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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE II SEZIONE CIVILE in composizione monocratica e nella persona del dott.ssa Martina Fusco, in funzione di giudice unico, pronuncia ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella controversia civile iscritta al n. 2926 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2015, vertente TRA (...), elett.te dom. presso lo studio dell'avv. (...), dal quale è rapp.to e difeso, giusta procura in atti ATTORE E (...), in persona del legale rapp.tep.t., elett.te dom.to presso lo studio dell'avv. (...), dalla quale è rapp.to e difeso, giusta procura in atti CONVENUTO Oggetto: impugnativa delibera assembleare RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La presente decisione è adottata ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. e, quindi, è possibile prescindere dalle indicazioni contenute nell'art. 132 c.p.c. Infatti, l'art. 281-sexies c.p.c., consente al giudice di pronunciare la sentenza in udienza al termine della discussione dando lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, senza dover premettere le indicazioni richieste dal secondo comma dell'art. 132 c.p.c., perché esse si ricavano dal verbale dell'udienza di discussione sottoscritto dal giudice stesso. Pertanto, non è affetta da nullità la sentenza, resa nella forma predetta, che non contenga le indicazioni riguardanti il giudice e le parti, le eventuali conclusioni del P.M. e la concisa esposizione dei fatti e dei motivi della decisione (Cass. civ., Sez. III, 19 ottobre 2006, n. 22409). Ancora, in tale sentenza è superflua l'esposizione dello svolgimento del processo e delle conclusioni delle parti, quando questi siano ricostruibili dal verbale dell'udienza di discussione e da quelli che lo precedono (Cass. civ., Sez. III, 11 maggio 2012, n. 7268; Cass. civ., Sez. III, 15 dicembre 2011, n. 27002). Con atto di citazione regolarmente notificato, (...) impugnava la delibera assembleare del 13/02/2015 approvata dall'assemblea del (...), cui l'attore non aveva partecipato. A sostegno della propria domanda, in particolare, deduceva quale primo motivo di impugnazione, l'inadempimento dell'amministratore di condominio alla richiesta di consegna della documentazione richiesta; quale secondo motivo di impugnazione, allegava numerosi vizi della delibera impugnata - di approvazione del bilancio consuntivo. In particolare: - erronea applicazione dell'aliquota per la determinazione della rivalsa da addebitare, a titolo di contributo iscrizione Gestione Separata - Inps, per il compenso dell'amministratore; - erronea determinazione del compenso amministratore; - erronea rendicontazione della quota per la manutenzione ascensore Scala A; - erronea rendicontazione della quota per la pulizia Scala A e per la pulizia Piazzale; - erronea rendicontazione della quota dovuta per la verifica biennale dell'ascensore Scala A. Concludeva, quindi, chiedendo la declaratoria di nullità della delibera impugnata, con vittoria di spese. Si costituiva in giudizio il (...) convenuto, il quale, in persona del proprio amministratore e l.r.p.t, contestava tutto quanto ex adverso dedotto ed eccepito, ed in particolare rimarcava la legittimità di tutto gli addebiti rendicontati in bilancio; specificava, inoltre, che tutta la documentazione richiesta era stata in effetti consegnata all'attore. Concludeva, pertanto, per il rigetto della domanda, con vittoria di spese. Veniva espletata l'istruttoria ritenuta rilevante, ed in particolare veniva disposta CTU volta alla verifica della regolarità delle rendicontazioni effettuate in sede di bilancio approvato. Depositata la perizia, la causa veniva ritenuta matura per la decisione. L'udienza del 23/05/2024, disposta per la discussione ex art 281 sexies c.p.c., veniva sostituita dal deposito di note di trattazione scritta; nessuna delle parti costituite proponeva opposizione alla suddetta modalità di trattazione nel termine stabilito dalla legge e, anzi, entrambe depositavano note, in cui concludevano riportandosi a tutte le difese in atti. Il giudizio viene pertanto deciso con la presente pronuncia, allegata al provvedimento ex art 127 ter c.p.c.. Preliminarmente, non può dubitarsi della legittimazione attiva dell'attore; ed infatti, l'art. 63 co 4 delle disp. att. del codice civile stabilisce, nel caso di vendita di un immobile facente parte di condominio, la solidarietà dell'alienante e dell'acquirente rispetto ai debiti di natura condominiale relativi all'annualità in corso e a quella precedente alla data della vendita. Permane, pertanto, l'interesse dell'attore alla pronuncia in esame. Nel merito, la domanda va rigettata per le ragioni che qui si diranno. Quanto alla mancata consegna di documenti, va rilevato in primo luogo che per la costante giurisprudenza di legittimità "se ciascun comproprietario ha la facoltà di richiedere e di ottenere dall'amministratore del condominio l'esibizione dei documenti contabili in qualsiasi tempo e senza avere neppure l'onere di specificare le ragioni della richiesta finalizzata a prendere visione o estrarre copia dai documenti, è altresì certo che l'esercizio di tale facoltà non deve risultare di ostacolo all'attività di amministrazione, nè rivelarsi contraria ai principi di correttezza" (tra le altre, in questi termini, Cass. Civ. Sez. VI-2, 28/07/2020, n. 15996; Cass. Civ. Sez. 2, 21/09/2011 n. 19210; Cass. civ. Sez. 2, 29/11/2001, n. 15159). In sostanza, se è vero che in capo all'amministratore grava l'onere di esibizione dei documenti contabili, è anche vero che le richieste del singolo condomino non posso costituire violazione del principio di leale collaborazione tra le parti, rappresentando un ostacolo per lo svolgimento dell'attività dell'amministratore. Ebbene nel caso in esame, deve rilevarsi che l'amministratore, tenuto conto della puntuale richiesta da parte del (...) ha prontamente provveduto a rilasciare allo stesso copia della documentazione richiesta, necessaria alla verifica di quanto oggetto del bilancio consuntivo ad approvarsi. Irrilevanti, e contrarie al principio di buona fede, appaiono le ulteriori doglianze mosse dalla parte attrice, a fronte della consegna della documentazione. Quanto, infatti, al registro dell'anagrafe condominiale, l'amministratore ha prontamente provveduto alla consegna dell'elenco dei nominativi dei condomini e a fronte di ciò, l'attore non ha esplicitato le ragioni per cui la documentazione in effetti consegnata, non sarebbe stata idonea. Parimenti è a dirsi quanto al contratto di manutenzione ascensore: la documentazione consegnata, appare idonea, prima facie, alla verifica della rispondenza dei costi con la contabilizzazione operata in consuntivo, ragion per cui non si ravvisa l'incidenza della mancata consegna del contratto sulla validità della delibera assembleare. Ancora, infine, medesimo ragionamento è possibile operare in ordine alla mancata consegna della movimentazione del conto corrente condominiale in quanto dalla documentazione consegnata dall'amministratore è possibile rinvenire il complesso di rapporti dare-avere di cui il condominio era titolare all'epoca. Per altro, tutte le suddette conclusioni sono consolidate proprio dal comportamento dell'attore che, nell'avviare il presente procedimento, ha pedissequamente sottoposto a critica l'operato dell'amministratore proprio sulla base della documentazione dallo stesso pervenuta. Alla luce di ciò, deve senza dubbio ritenersi che la perduranza della richiesta da parte del (...), anche a seguito della consegna da parte dell'amministratore della documentazione, da cui emergono i dati necessari per una consapevole partecipazione all'assemblea di approvazione del consuntivo, rappresenti un ostacolo all'attività dell'amministratore, e una violazione del principio di correttezza, anche alla luce del rapporto di collaborazione verosimilmente richiesto nell'ambito dei rapporti condominiali. Venendo al merito, la questione è stata correttamente rimessa all'accertamento del consulente tecnico d'ufficio, cui è stato, in particolare, demandato, di verificare la rispondenza tra la documentazione contabile in atti e le risultanze del bilancio consuntivo approvato e oggetto di impugnativa. Quanto al primo punto contestato, è stato chiesto al consulente di accertare la regolarità della rivalsa esposta nel compenso amministratore rispetto alla deliberazione assembleare di conferimento dell'incarico. Il CTU sul punto ha in primo luogo premesso che "i professionisti che esercitano un'attività per la quale non è prevista un'apposita cassa di previdenza sono tenuti all'iscrizione alla gestione separata dell'Inps. La gestione separata è un regime contributivo che prevede il pagamento di un contributo annuo, calcolato in percentuale sul reddito imponibile del professionista (...) i soggetti tenuti all'iscrizione alla gestione separata, hanno la facoltà di addebitare in fattura al proprio committente una maggiorazione del 4% del compenso concordato, fermo restando che resta a suo carico l'obbligo del pagamento dei contributi Inps. Addebitando la rivalsa il professionista, in pratica, fa concorrere alla propria contribuzione previdenziale il soggetto committente, chiamato a versare il 4% del compenso, a titolo di rivalsa del contributo previdenziale Inps." Venendo al caso in esame, la consulente ha chiarito che dal consuntivo comparato dal 01/01/2014 al 31/12/2014, risulta un compenso all'amministratore del (...) per complessivi Euro 2.017,39 calcolando la rivalsa al 6% (Euro114,19) e quindi in violazione dell'indicazione normativa del 4%, articolo 1, comma 212, della Legge n. 622/1996: ne discende che il compenso base, senza rivalsa, è pari ad Euro 1.903,20. Calcolando, al contrario, la rivalsa al 4%, la stessa sarebbe pari Euro 76,13: la differenza totale ammonta, quindi, ad Euro38,06, di cui, a credito del condominio (...), Euro 1,48 (Millesimi 34,70 su 997,739). In ordine a tale conclusione, deve in primo luogo anticiparsi, come più in avanti si avrà modo di argomentare approfonditamente, che trattasi dell'unico punto rispetto al quale la CTU ha, in effetti, rilevato una incongruenza. Può, però, ritenersi, che tale incongruenza, per la sua entità minima, non può in alcun modo incidere sulla validità della delibera assembleare impugnata. Sul punto vale specificare che secondo la maggioritaria giurisprudenza di legittimità, "il condomino che intenda impugnare una delibera dell'assemblea, per l'assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, il quale presuppone la derivazione dalla detta deliberazione di un apprezzabile pregiudizio personale, in termini di mutamento della sua posizione patrimoniale." Cass. civ. ordinanza n. 6128 del 09/03/2017. Per la scarsa entità della differenza sostanziale riscontrata (pari ad Euro 1.48), deve escludersi che il credito derivante possa comportare un apprezzabile mutamento della posizione patrimoniale dell'attore, con conseguente rigetto del relativo punto. Come anticipato, tutti gli altri punti della delibera impugnati, sono stati considerati validi dall'analisi del CTU. Quanto al secondo punto oggetto di contestazione, l'incongruenza degli importi fatturati nel registro di contabilità e nel consuntivo in ordine al compenso dell'amministratore, il CTU ha chiarito che "che il principio di competenza economica è una prassi amministrativa che consiste nel considerare, nel conto economico di un bilancio d'esercizio, solo i costi e i ricavi che si riferiscono e hanno effetto in quel periodo di tempo, a prescindere dalle manifestazioni finanziarie già avvenute o che devono ancora avvenire". Ciò posto, dal bilancio comparato dal 01/01/2014 al 31/12/2014 emerge un costo per compenso amministratore per Euro 2.017,39, che fa correttamente riferimento alle spese di competenza dell'esercizio: la somma non indicata nel registro di contabilità (in cui si fa riferimento solo alla somma di Euro 1.849,27) non è ivi annotata poiché nella compilazione del registro, si fa riferimento al principio di cassa, per cui mancano gli esborsi in effetti non ancora perfezionatisi. "Nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale, invece, sono stati correttamente inseriti i costi di competenza dell'esercizio ma che alla data del riepilogo non risultano ancora pagati nella voce debiti v/fornitori. È corretto, pertanto, riportare tra i debiti verso fornitori l'importo di Euro 168,12 (ovvero Euro 2.017,39 - Euro 1.849,77). Gli importi sono stati correttamente ripartiti." Con riferimento al terzo punto oggetto di contestazione, la consulente ha chiarito che dalla documentazione in atti risultano tutti i giustificativi relativi alla voce "Manutenzione ordinaria Scala A" - per la cui indicazione specifica si rimanda al corpo della relazione peritale. Pertanto, l'importo di Euro 446,20 risulta correttamente giustificato e correttamente imputato. Parimenti, con riferimento al quarto punto oggetto di contestazione, inerente la spesa di pulizia della scala "A" e del piazzale, la consulente ha chiarito che dalla documentazione in atti risultano le seguenti fatture: - fattura n. 391 del 05/12/2014 relativa al servizio di pulizia per Euro 317,20; - fattura n. 25 del 02/01/2015 relativa al servizio di pulizia del mese di dicembre 2014 per Euro 317,20. Anche nel caso di specie l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità le voci di costo contestate in ragione dell'applicazione del principio di cassa, in quanto tali uscite non erano state ancora effettuate; le voci sono però presenti nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale. Pertanto, anche tale importo risulta correttamente ripartito tra i condomini. Infine, con riferimento al quinto punto oggetto di contestazione, con riferimento alle spese di verifica biennale ascensore scala "A", il consulente ha chiarito che nella documentazione in atti risulta la fattura n. 5221 del 07/10/2014 della (...) s.p.a. di complessivi Euro 294,91 e relativa alla verifica periodica dell'impianto ascensore Scala A e (...). Dal bilancio comparato risulta che l'amministratore ha imputato tale costo di competenza dell'anno 2014 per il 50% alla: tabella B "Scala e Ascensore Scala A per Euro 152,25 e alla tabella B "Scala e Ascensore Scala B per Euro 152,25. Anche in questo caso, l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità la voce di costo contestata in ragione dell'applicazione del principio di cassa. Pertanto, anche il suddetto importo, è stato correttamente ripartito. Delle conclusioni cui è giunto il CTU nella propria relazione peritale non si ha alcun motivo di dubitare. Ed infatti, ferma la coerenza tra le premesse metodologiche e le conclusioni stesse, non può non sottolinearsi il chiaro riferimento a tutta la documentazione depositata in atti e, soprattutto, ai principi generali in materia di tenuta della contabilità applicabili al caso in esame. In particolare, in risposta alle contestazioni sollevate da parte attrice in sede di osservazioni, la dott. (...) ha rilevato che "l'art. 1130 bis c.c. dispone anche che nel registro di contabilità devono essere annotate le voci di entrate e di uscita (principio di cassa), per cui se ne deduce che al rendiconto condominiale si applica il criterio misto di cassa (per la tenuta del registro di contabilità) e di competenza (per la redazione del riepilogo finanziario). In tal senso Trib. Roma sentenze nn. 246/2019 e 1918/2019. Nel caso di specie l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità le voci di costo contestate poiché per il principio di cassa tali uscite non sono state ancora effettuate. Nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale sono stati correttamente inseriti i costi di competenza dell'esercizio ma che alla data del riepilogo non risultano ancora pagati nella voce debiti v/fornitori." Proprio in applicazione dell'art. 1130 bis del Codice civile - a norma del quale "Il rendiconto condominiale contiene le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve che devono essere espressi in modo da consentire l'immediata verifica. Si compone di un registro di contabilità, di un riepilogo finanziario, nonché di una nota sintetica esplicativa della gestione con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti" -, pertanto, si impone, nell'ambito dei rapporti condominiali, l'utilizzo del criterio di cassa per la compilazione del registro di contabilità, senza, però, che l'applicazione del suddetto principio, possa incidere sulla ripartizione di tutte le spese di competenza dell'annualità in corso, laddove di tali spese vi sia idoneo giustificativo, pur non essendo stato già operato l'esborso pecuniario relativo. La domanda va, per tutte le ragioni anzidette, integralmente rigettata. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo ai sensi del DM 147/2022, secondo il valore della controversia, prendendo come riferimento i parametri minimi, stante l'assenza di questioni in fatto e in diritto di particolare complessità. Parimenti in capo all'attore soccombente vengono definitivamente poste le spese di CTU, come liquidate in separato decreto del 14/01/2021. P.Q.M. Il Tribunale di Nocera Inferiore, seconda sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sulla domanda promossa come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: a) rigetta la domanda; b) condanna parte attrice al pagamento, in favore di parte convenuta delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 1.278,00 oltre Iva e Cpa, come per legge, e rimb. spese forf. (nella misura del 15% del compenso); c) pone definitivamente in capo a parte attrice le spese di CTU, come liquidate in separato decreto. Depositato telematicamente in data 31 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MANNA Antonio - Presidente Dott. PATTI Adriano Piergiovanni - Consigliere Dott. PAGETTA Antonella - Consigliere Dott. PONTERIO Carla - Consigliere Dott. AMENDOLA Fabrizio - Rel. Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 3638-2021 proposto da: La. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, (...), presso lo studio dell'avvocato St.Pi., che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati Gi.Sc., Gi.Be.; - ricorrente - contro Di.Ti., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA (...) presso lo studio dell'avvocato Ma.Di., che lo rappresenta e difende; - controricorrente - avverso la sentenza n. 2589/2020 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 20/11/2020 R.G.N. 2421/2020; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/04/2024 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Ce.Ca., che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l'avvocato Pa.Po. per delega verbale avvocato St.Pi.; udito l'avvocato Ma.Di.. FATTI DI CAUSA 1. La Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato "la nullità del licenziamento intimato a Di.Ti. con lettera del 16.11.2011 e conseguentemente condanna(to) la La. Spa a reintegrare il predetto nel posto di lavoro e a corrispondere al medesimo le retribuzioni globali di fatto, (...), maturate dal recesso all'effettiva reintegra", oltre accessori e contributi assistenziali e previdenziali. 2. La Corte ha innanzitutto disatteso "l'eccezione sollevata dalla società di inammissibilità del reclamo per tardività". Ha constatato, infatti, che il reclamo era stato indirizzato telematicamente, nel termine breve di trenta giorni previsto dall'art. 1, comma 58, L. n. 92 del 2012, cadente il 28.8.2020, alla cancelleria del Tribunale civile di Roma che aveva comunicato al mittente, il giorno successivo alla scadenza di detto termine, "il rifiuto del deposito"; pertanto, il reclamante aveva provveduto al deposto telematico presso la Corte di Appello il 31.8.2020, dopo un precedente tentativo non andato a buon fine. Sulla base del precedente rappresentato da Cass. SS. UU. n. 18121 del 2016 - secondo il quale "l'appello proposto davanti ad un giudice diverso, per territorio o grado, da quello indicato dall'art. 341 C.P.C. non determina l'inammissibilità dell'impugnazione, ma è idoneo ad instaurare un valido rapporto processuale, suscettibile di proseguire dinanzi al giudice competente attraverso il meccanismo della translatio iudicii" - per la Corte territoriale "la mancata accettazione da parte della cancelleria del Tribunale del presente gravame, alla luce di tale indirizzo interpretativo, finisce per non avere un supporto giuridico, avendo dovuto condurre il procedimento, così come instaurato, ad una declaratoria di incompetenza da parte del giudice adito, con fissazione del termine per la riassunzione ed evidente salvezza e conservazione degli effetti del gravame tempestivamente proposto"; sicché, ad avviso del Collegio, "la circostanza che il Tribunale abbia rifiutato l'atto (...) non può tradursi in un danno del reclamante"; conseguentemente ha ritenuto tempestiva l'impugnazione proposta o, comunque, ha ravvisato "le condizioni per l'applicazione del disposto dell'art. 153/II comma C.P.C.". 3. Nel merito, la Corte di Appello - in sintesi - ha premesso essere pacifico che "il Di.Ti. è stato assente per malattia, nell'arco del triennio anteriore all'ultimo episodio morboso, per 371 giorni e perciò è stato licenziato in ragione della previsione dell'art. 4 CCNL Federculture, applicato al rapporto di lavoro in esame". Ha ritenuto sussistente nel Di.Ti. "una seria e permanente compromissione delle condizioni fisiche, con evidenti disabilità alle quali sono riconducibili le assenze per malattia in discussione", per cui ha considerato configurabile una discriminazione indiretta nell'applicazione al medesimo dello stesso periodo di comporto previsto per un soggetto non affetto da handicap. La Corte ha considerato, quindi, che la società, ai sensi dell'art. 3, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 216 del 2003, "era chiamata, al fine di evitare la discriminazione indiretta, ad adottare misure adeguate, tra le quali ben può essere ricompresa la sottrazione dal calcolo del comporto dei giorni di malattia ascrivibili all'handicap essendo a conoscenza, tra l'altro, dello status di invalidità accertato in capo al lavoratore". Ha aggiunto: "Non è stato dedotto né tantomeno concretamente dimostrato che la richiesta condotta avrebbe esposto la società ad uno sproporzionato onere finanziario, nei termini e limiti di cui alla direttiva europea per come interpretata dalla giurisprudenza della CGUE. Non sarebbe stato di impedimento al richiesto comportamento l'assenza nei certificati medici pervenuti alla società delle ragioni della malattia, perché nel già descritto contesto quest'ultima avrebbe potuto richiedere informazioni al lavoratore, in ossequio a quel dovere di reciproca collaborazione che connota il rapporto di lavoro, e determinarsi di conseguenza all'esito di un eventuale rifiuto di quest'ultimo". 4. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso La. Spa con cinque motivi; ha resistito con controricorso l'intimato, che ha anche comunicato memoria. Il Pubblico Ministero ha depositato memoria in cui ha chiesto il rigetto del ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. I motivi di impugnazione possono essere indicati secondo la sintesi offerta dalla stessa parte ricorrente. 1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia: "Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 287 c.p.c.; 83, co. 7, lett. a), del D.L. n. 18/2020 e 434, co. 2, c.p.c.; 50 c.p.c.; 58, 168, 347, 434 c.p.c. e 36, co. 1 e 2 e 72 disp. att. c.p.c., per avere la Corte d'Appello di Roma erroneamente rigettato l'eccezione preliminare di decadenza, tempestivamente sollevata da La. Spa, avendo invero violato e/o falsamente applicato le norme di diritto in tema di iscrizione della causa nel ruolo generale e della riassunzione per incompetenza (Motivo ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.)" 1.2. Il secondo motivo denuncia: "Nullità della sentenza o del procedimento con riferimento agli artt. 153, co. 2, 294 e 112 c.p.c., per avere la Corte d'Appello di Roma erroneamente rigettato l'eccezione preliminare di decadenza, tempestivamente sollevata da La. Spa, invero in assenza dei presupposti per l'operatività dell'istituto della rimessione in termini (Motivo ex art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c.)". 1.3. Il terzo motivo denuncia: "Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d'Appello di Roma erroneamente rigettato l'eccezione preliminare di decadenza, tempestivamente sollevata da La. Spa, avendo invero mancato di considerare circostanze e documenti decisivi per il giudizio, dedotti/allegati dal Sig. Di.Ti. (Motivo ex art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.)" 1.4. Il quarto motivo denuncia: "Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2110 c.c.; 44 del CCNL Federculture; 1, co. 1, lett. a), della L. n. 68/1999; 3, co. 1, della L. n. 104/1992; 2087 c.c.; 18, 41 e 42 del D.Lgs. n. 81/2008; 2 e 3 del D.Lgs. n. 216/2003; 2, 5 e 7 della Direttiva 2000/78/CE; 288, co. 3, del TFUE (ex art. 249 del TCE), per avere la Corte d'Appello di Roma erroneamente ritenuto discriminatorio, e quindi nullo, il licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato da La. Spa al Sig. Di.Ti., avendo invero violato e/o falsamente applicato la disciplina in tema di periodo di comporto, disabilità e tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, anche con riferimento all'interpretazione e ai correttivi derivanti dai consolidati arresti giurisprudenziali sul punto (Motivo ex art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c.)". 1.5. Il quinto motivo denuncia: "Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d'Appello di Roma erroneamente ritenuto discriminatorio, e quindi nullo, il licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato da La. Spa al Sig. Di.Ti., avendo invero mancato di considerare circostanze e documenti decisivi per il giudizio e ritualmente dedotti/allegati da La. Spa nelle fasi di merito (Motivo ex art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.)". 2. I primi tre motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto censurano il capo di sentenza con cui la Corte territoriale ha disatteso l'eccezione di tardività del reclamo. Il Collegio reputa che le censure ivi contenute, in tutte le articolazioni formulate, non possano essere condivise, premessa la radicale inammissibilità del terzo mezzo che deduce il vizio di cui al n. 5 dell'art. 360 c.p.c. per l'omesso esame di un fatto non avente natura sostanziale - e cioè di fatto storico decisivo che ha dato origine alla controversia - bensì meramente processuale (cfr., da ultimo, Cass. SS. UU. n. 5792 del 2024). 2.1. Non è dubbio che alla stregua del principio di diritto sancito da Cass. SS. UU. n. 18121 del 2016 - secondo il quale l'impugnazione proposta davanti ad un giudice diverso, per territorio o grado, da quello indicato dall'art. 341 c.p.c. non determina l'inammissibilità dell'impugnazione, ma è idoneo ad instaurare un valido rapporto processuale, suscettibile di proseguire dinanzi al giudice competente attraverso il meccanismo della translatio iudicii - la cancelleria del Tribunale non avrebbe dovuto rifiutare il deposito dell'atto telematico, pregiudicando l'instaurazione di un valido rapporto processuale nel rispetto del termine di decadenza e non sottoponendo la questione al giudice, che avrebbe potuto dichiararsi incompetente, consentendo così la prosecuzione del giudizio. 2.2. Su tale presupposto la Corte territoriale ha riconosciuto esplicitamente - come ricordato nello storico della lite - che concorressero le condizioni per la rimessione in termini, evidentemente ravvisando sia la proposizione in un lasso temporale ragionevolmente contenuto (cfr., tra altre, Cass. n. 32296 del 2023), sia la causa non imputabile determinata dall'incidenza del rifiuto indebito dell'atto, potenzialmente idoneo a ledere in modo irrimediabile il diritto di azione della parte. La società ricorrente eccepisce che la difesa del reclamante non avrebbe proposto l'istanza ex art. 153, comma 2, c.p.c., ma la rilevazione e l'interpretazione del contenuto delle domande, così come di una istanza di rimessione in termini, è attività riservata al Giudice di merito ed è insindacabile in questa sede se non nei ridotti limiti segnati dalla giurisprudenza di questa Corte (per tutte v. Cass. n. 11103 del 2020), nel caso sottoposto all'attenzione del Collegio non adeguatamente prospettati. 3. Il quarto motivo, che sottopone al Collegio la questione del licenziamento del disabile per superamento del periodo di comporto, non può trovare accoglimento. 3.1. Esso è infondato nella parte in cui lamenta che la Corte territoriale avrebbe "erroneamente sussunto la condizione di invalidità del lavoratore nel concetto di disabilità elaborato dalla normativa europea", sostenendo che, sebbene per il Di.Ti. l'INPS avesse accertato una invalidità civile al 40%, ciò non avrebbe comunque "comportato una condizione impeditiva allo svolgimento dell'attività lavorativa". 3.1.1. Occorre rammentare che questa Corte, riguardo l'ambito di applicazione della direttiva 78/2000/CE e dell'art. 3, Comma 3 bis, del D.Lgs. n. 216 del 2003, che ne costituisce attuazione, ha ritenuto, con indirizzo uniforme, che il fattore soggettivo dell'handicap non è ricavabile dal diritto interno ma unicamente dal diritto dell'Unione Europea (Cass. n. 6798 del 2018; Cass. n. 13649 del 2019; Cass. n. 29289 del 2019), peraltro letto in conformità con la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006, ratificata dall'Italia con la legge n. 18 del 2009 e approvata dall'Unione Europea con decisione del Consiglio del 26 novembre 2006. Secondo la Corte di Giustizia "la nozione di "handicap" di cui alla direttiva 2000/78 deve essere interpretata nel senso che essa include una condizione patologica causata da una malattia diagnosticata come curabile o incurabile, qualora tale malattia comporti una limitazione, risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche, che, in interazione con barriere di diversa natura, possa ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori, e tale limitazione sia di lunga durata" (CGUE sentenze 11 aprile 2013, HKDanmark, C-335/11 e C-337/11, punti 38-42; 18 marzo 2014, Z., C-363/12, punto 76; 18 dicembre 2014, FOA, C-354/13, punto 53; 1 dicembre 2016, Mo. Da. C-395/15, punti 41-42). Per quanto riguarda la nozione del carattere "duraturo" della limitazione, "tra gli indizi che consentono di considerare "duratura" una limitazione figura in particolare la circostanza che, all'epoca del fatto asseritamente discriminatorio, la menomazione dell'interessato non presentava una prospettiva ben delimitata di superamento nel breve periodo o, (...), il fatto che tale menomazione poteva protrarsi in modo rilevante prima della guarigione di tale persona", mediante una valutazione essenzialmente di fatto compiuta dal giudice, basata "sugli elementi obiettivi complessivi di cui dispone, in particolare sui documenti e sui certificati concernenti lo stato di tale persona, redatti sulla base di conoscenze e dati medici e scientifici attuali" (CGUE, sentenza, 1.12.2016, DAOUIDI, cause riunite C-395/2015, punti 54-57, di recente richiamata da Cass. n. 10568 del 2024). 3.1.2. Nella specie la Corte romana, ben consapevole di tali principi, sulla scorta della documentazione in atti e del giudizio di invalidità civile formulato dall'INPS, ha accertato che le disabilità di cui è affetto il lavoratore, "per la loro natura e entità, involgendo sia il sistema cardio-respiratorio sia i movimenti dell'arto inferiore destro, costituiscono all'evidenza una menomazione fisica tale da poter ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori (tant'è che il Di.Ti. è stato anche esonerato dal lavoro notturno), così potendo essere ricomprese (...) nella già richiamata definizione di handicap". Si tratta di un accertamento che involge apprezzamenti di merito, non suscettibile di sindacato innanzi a questa Corte di legittimità. 3.2. Le residue censure contenute nel quarto motivo sono infondate alla stregua delle considerazioni che seguono. 3.2.1. La sentenza impugnata è innanzitutto conforme a principi di recente affermati da questa Corte (Cass. n. 9095 del 2023; conf. Cass. n. 35747 del 2023). In particolare, nei precedenti citati, è stato precisato, in coerenza con la giurisprudenza della Corte di Giustizia ivi richiamata, che il rischio aggiuntivo di essere assente dal lavoro per malattia di un lavoratore disabile deve essere tenuto in conto nell'assetto dei rispettivi diritti ed obblighi in materia, con la conseguenza che la sua obliterazione in concreto, mediante applicazione del periodo di comporto breve come per i lavoratori non disabili, costituisce condotta datoriale indirettamente discriminatoria e, perciò, vietata. In una ottica di bilanciamento tra l'interesse protetto del lavoratore disabile con la legittima finalità di politica occupazionale, la contrattazione collettiva, per sfuggire al rischio di trattamenti discriminatori, dovrebbe prendere in specifica considerazione la posizione di svantaggio del disabile e non è sufficiente una disciplina negoziale che valorizzi unicamente il profilo oggettivo della astratta gravità della patologia: deve, infatti, essere considerato anche e soprattutto l'aspetto soggettivo della disabilità in relazione alla quale adottare gli accomodamenti ragionevoli prescritti dalla Dir. 2000/78/CE e dall'art. 3 comma 3-bis D.Lgs. n. 216/2003. Ciò perché anche la patologia non grave, ma in nesso causale diretto e immediato con la disabilità, implica per il lavoratore disabile la particolare protezione riconosciuta dalla normativa internazionale, euro-unitaria e statale più volte richiamata nelle pronunce di questa Corte qui condivise. Le disposizioni contrattuali collettive invocate da parte ricorrente nel caso di specie non risultano idonee ad escludere il rischio di una ingiustificata disparità di trattamento dei lavoratori portatori di handicap, non prevedendo una differenziata soglia di tollerabilità per i lavoratori disabili rispetto a quella prevista per coloro che tali non sono. 3.2.2. Per altro verso viene posta la tematica della conoscenza o conoscibilità da parte del datore di lavoro della condizione di disabilità e della riferibilità delle assenze per malattia a detta condizione; tale questione si pone, rispetto a quello della adozione degli accorgimenti ragionevoli, su di un piano logico, in modo immediatamente antecedente. La discriminazione indiretta, a norma del D.Lgs. n. 216/2003 e della Direttiva 2000/78/CE, si ha quando una disposizione un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri di fatto sfavoriscono un determinato gruppo di persone. Ciò che viene in rilievo è, pertanto, l'effetto discriminatorio e non la condotta, come invece avviene per la discriminazione diretta e, quindi, esula ogni problematica sul requisito della colpevolezza quale elemento costitutivo della responsabilità da comportamento discriminatorio. Sotto questo profilo, al Collegio preme precisare, avendo riguardo ai precedenti già menzionati di questa Corte (Cass. n. 9095/2023; conf. Cass. n. 35747/2023; dai quali può rilevarsi, peraltro, la presenza di elementi di prova circa la conoscenza della situazione di disabilità del dipendente da parte del datore di lavoro), che senza dubbio non è decisivo l'intento discriminatorio, operando la discriminazione obiettivamente in ragione del mero rilievo del trattamento deteriore riservato al lavoratore, quale effetto della sua appartenenza alla categoria dei disabili; tuttavia, non può negarsi che possa assumere rilevanza la conoscenza o la conoscibilità di un fattore discriminatorio, ai fini dell'accertamento della sussistenza di una esimente per il datore di lavoro al fine di rendere praticabili gli accomodamenti ragionevoli. Va sottolineato, infatti, che, proprio per le discriminazioni indirette, la Direttiva in materia stabilisce una causa di giustificazione specifica nel caso di handicap (art. 2, paragrafo 2, b), ii), e cioè quando il datore di lavoro "sia obbligato dalla legislazione nazionale ad adottare misure adeguate, conformemente ai principi di cui all'articolo 5, misure per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione, tale criterio o tale prassi"; in attuazione, con l'art. 3, comma 3 bis, D.Lgs. n. 216 del 2003, il legislatore nazionale, nel 2013, ha imposto ad ogni datore di lavoro privato e pubblico, di "adottare accomodamenti ragionevoli", salvo che richiedano oneri finanziari sproporzionati. Il presupposto della conoscenza dello stato di disabilità o la possibilità di conoscerlo secondo l'ordinaria diligenza incide, evidentemente, sulla possibilità che il datore di lavoro possa fornire la prova liberatoria circa la ragionevolezza degli accomodamenti da adottare e, quindi, rappresenta un momento indispensabile nella valutazione della fattispecie. Con riguardo a tale aspetto, possono enuclearsi due ipotesi in caso di licenziamento del disabile per superamento del periodo di comporto: la prima, in cui il datore di lavoro abbia colpevolmente ignorato la disabilità del dipendente; la seconda, in cui il fattore di protezione, pur non risultando espressamente portato a conoscenza del datore di lavoro, avrebbe potuto essere ritenuto reale secondo un comportamento di questi improntato a diligenza. Nella prima ipotesi rientrano certamente i casi in cui la disabilità sia conosciuta dal datore di lavoro per essere, per esempio, il lavoratore stato assunto ai sensi della legge n. 68/1999 ovvero perché il lavoratore stesso ha rappresentato, nella comunicazione delle assenze o in qualsiasi altro modo, la propria situazione di disabilità alla parte datoriale. Nella seconda, invece, vanno compresi i casi in cui, pur in presenza di una formale omessa conoscenza, la stessa non può ritenersi incolpevole perché il datore di lavoro era in grado di averne comunque consapevolezza per non avere, ad esempio, effettuato correttamente la sorveglianza sanitaria ex art. 41 del D.Lgs. n. 81/2008 ovvero perché le certificazioni mediche e/o la documentazione inviate erano sintomatiche di un particolare stato di salute costituente uno situazione di handicap come sopra delineata dalla normativa in materia. In entrambi i contesti, per il datore di lavoro sorge, prima di adottare un provvedimento di licenziamento per superamento del periodo di comporto, un onere di acquisire informazioni - cui non può corrispondere un comportamento ostruzionistico del lavoratore - circa la eventualità che le assenze siano connesse ad uno stato di disabilità e per valutare, quindi, gli elementi utili al fine di individuare eventuali accorgimenti ragionevoli onde evitare il recesso dal rapporto (cfr. Cass. n. 11731 del 2024, par. 7.2). Solo a titolo esemplificativo può ipotizzarsi un allungamento del periodo di comporto ex art. 2110, comma 2, c.c. o l'espunzione dal comporto di periodi di malattia connessi allo stato di disabilità ovvero altre misure da scegliere in relazione alla particolarità della fattispecie: accomodamenti, peraltro, le cui problematiche sono state oggetto di rinvio pregiudiziale alla CGUE da parte del Tribunale di Ravenna con ordinanza adottata il 4.1.2024. L'onere di acquisire informazioni per il datore di lavoro e la cooperazione del lavoratore, invece, trovano conforto nell'art. 2 della Convenzione ONU secondo cui è una forma di discriminazione "il rifiuto di accomodamento ragionevole", e può rifiutarsi solo ciò che risulta oggetto di una richiesta, di una istanza. Anche nel Commento generale n. 6, adottato nel 2018, dal Comitato per i diritti delle persone con disabilità (ONU), si afferma che: "è connaturato alla nozione di accomodamento ragionevole che l'obbligato entri in dialogo con l'individuo con disabilità". Il Comitato definisce "l'obbligo di fornire soluzioni ragionevoli un dovere reattivo individualizzato che viene attivato nel momento in cui viene fatta la richiesta di accomodamento". Appare pure significativo che, nelle conclusioni rese dall'Avvocato Generale nella causa innanzi alla Corte di Giustizia C 270/16 Ruiz Conejero contro Ferroser Servicios Auxiliares SA e Ministerio Fiscal (CGUE sentenza 18 Gennaio 2018), si affermi che il datore di lavoro "è tenuto a prendere provvedimenti appropriati per prevedere soluzioni ragionevoli ai sensi dell'articolo 5 della menzionata direttiva (...) qualora un lavoratore sia affetto da una disabilità e il suo datore di lavoro sia o dovrebbe ragionevolmente essere a conoscenza di tale disabilità". Del pari significativo è che l'art. 17 del decreto legislativo n. 62 del 3 maggio 2024, di attuazione della legge delega n. 227/21 - non applicabile alla fattispecie ma che riforma l'intera materia della disabilità - nell'introdurre l'art. 5-bis alla legge n. 104 del 1992, stabilisce che, "La persona con disabilità (...) ha facoltà di richiedere, con apposita istanza scritta, (tra gli altri) ai soggetti privati l'adozione di un accomodamento ragionevole, anche formulando una proposta" e partecipando "al procedimento dell'individuazione dell'accomodamento ragionevole". L'interlocuzione ed il confronto tra le parti, che si pongono su di un piano logico quale presupposto per adottare gli accomodamenti ragionevoli, rappresentano, pertanto, una fase ineludibile della fattispecie complessa del licenziamento del lavoratore disabile per superamento del periodo di comporto, proprio "al fine di non sconfinare in forme di responsabilità oggettiva" e, "per verificare l'adempimento o meno dell'obbligo legislativamente imposto dal comma 3-bis", "occorre avere presente il contenuto del comportamento dovuto"; ciò perché "... esso si caratterizza non (solo) in negativo, per il divieto di comportamenti" discriminatori, "quanto piuttosto per il suo profilo di azione, in positivo, volto alla ricerca di misure organizzative ragionevoli idonee a consentire lo svolgimento di un'attività lavorativa" al disabile. Quindi il datore è chiamato a provare, (...), di aver compiuto uno sforzo diligente ed esigibile per trovare una soluzione organizzativa appropriata, che scongiuri il licenziamento avuto riguardo a ogni circostanza rilevante nel caso concreto (Cass. n. 6497 del 2021). Alla stregua delle considerazioni che precedono è, dunque, corretto l'assunto della Corte territoriale che, una volta ritenuto che la società era "a conoscenza (...) dello status di invalidità accertato in capo al lavoratore" e che non si era attivata per "richiedere informazioni al lavoratore", ha considerato discriminatoria e non giustificata la mancata adozione di accomodamenti ragionevoli e l'applicazione al lavoratore disabile dello stesso periodo di comporto previsto per i lavoratori non disabili. 4. Il quinto motivo è inammissibile. Viene evocato il vizio di cui al n. 5 dell'art. 360 c.p.c. al di fuori dei limiti posti dalle Sezioni unite civili con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014, lamentando la "obliterazione" da parte dei giudici d'appello di molteplici "circostanze e documenti", piuttosto che l'omesso esame di un "fatto" storico avente il valore realmente decisivo nel senso individuato da questa Corte, vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia con un giudizio di certezza e non di mera probabilità (v. pure Cass. SS. UU. n. 3670 del 2015 e n. 14477 del 2015). Si è così sancita l'inammissibilità di censure che evochino una moltitudine di fatti e circostanze lamentandone il mancato esame o il difetto di valutazione da parte dei giudici d'appello, ma in realtà sollecitando un esame o una valutazione nuova da parte della Cassazione, così chiedendo un nuovo giudizio di merito ovvero chiamando "fatto decisivo", indebitamente trascurato, il vario insieme dei materiali di causa (tra le altre: Cass. n. 21439 del 2015). 5. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con condanna alle spese della parte soccombente liquidate come da dispositivo, da distrarsi in favore dell'Avv. Ma.Di. che si è dichiarato antistatario. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020). Va, disposta, da ultimo, per l'ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196/2003 della parte Di.Ti. . Ai sensi dell'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi Di.Ti. . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%, da distrarsi. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell'11 aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9542 del 2023, proposto da: Er. Pa., rappresentata e difesa dall'avvocato Cr. Pe. Qu., con domicilio digitale pec in registri di giustizia contro Università degli studi di Siena, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Il. D'A. e Br. Pi., con domicilio digitale pec in registri di giustizia per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, sezione prima, n. 945/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Università degli studi di Siena; Visti tutti gli atti della causa; Relatore il Cons. Laura Marzano; Udito, nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024, l'avvocato Cr. Pe. Qu.; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con atto notificato in data 4 dicembre 2023 la dott.ssa Er. Pa. ha impugnato la sentenza del Tar Toscana, sezione IV, n. 945 del 18 ottobre 2023 con cui è stato respinto il ricorso proposto per l'annullamento: - del provvedimento di mancata iscrizione, in favore di parte appellante, ad anno successivo al primo del corso di laurea in medicina e chirurgia a.a. 2022/2023, in relazione ai posti resi disponibili giusto decreto-bando dell'Università degli Studi di Siena denominato "Corso di laurea in Medicina e chirurgia Avviso pubblico per l'accesso agli anni successivi al primo - anno accademico 2022/2023"; - del decreto di approvazione atti e della graduatoria definitiva degli ammessi ad anni successivi al primo al corso di laurea magistrale a ciclo unico in medicina e chirurgia, emanate con Decreto Rettorale prot. 38971 del 21 febbraio 2023, per il III anno di corso, per il IV anno di corso, per il V anno di corso, nella parte in cui non collocano parte appellante in posizione utile alla iscrizione, nonché, ove occorra, di tutti i provvedimenti in essa richiamati e/o menzionati, nonché dei successivi scorrimenti delle graduatorie predette; - della omessa e/o errata valutazione della domanda di partecipazione della appellante alla procedura concorsuale riferita all'ammissione al IV anno del corso di laurea in medicina e chirurgia, e/o, comunque, a quella del III o V anno; - del decreto-bando, emanato dal Rettore dell'Università indicata in epigrafe, relativo alle procedure di ammissione ad anni successivi al primo del corso di laurea in medicina e chirurgia a.a. 2022/2023, nonché, ove occorra, di tutti i provvedimenti in esso richiamati e/o menzionati ovvero delle pregresse relative delibere, ancorché non conosciute, adottate dagli organi accademici competenti; - dei criteri di valutazione delle candidature e dei curricula adottati dall'Ateneo ai fini della predisposizione della graduatoria finale per l'accoglimento o meno delle istanze di iscrizione in questione, nonché di tutti i relativi atti ed i verbali; - della valutazione delle istanze da parte della Commissione all'uopo nominata, nonché di tutti i relativi atti ed i verbali, ivi compresi quelli oggetto di ostensione da parte dell'Università di Siena, giusta nota 2023-UNSISIE-0069989 dell'11 aprile 2023 e, segnatamente, dei verbali della Commissione per l'esame delle domande pervenute per l'accesso agli anni successivi al primo del corso di laurea in medicina e chirurgia (a.a. 2022-2023) nominata dal Comitato per la didattica nella seduta del 17 novembre 2022: 1. Verbale del 19 dicembre 2022 e relativi allegati; 2. Verbale del 24 gennaio 2023 e relativi allegati; 3. Verbale del 10 febbraio 2023 e relativi allegati; 4. Verbale del 21 marzo 2023 e relativi allegati; - della determinazione dell'Università in epigrafe del numero dei posti per trasferimento e passaggio di sede ad anno successivo al primo, a valere sul corso di laurea in medicina e chirurgia per l'a.a. 2022/2023, degli atti ed i verbali a tale determinazione relativi e dell'istruttoria compiuta a tale riguardo. La domanda di misure cautelari monocratiche è stata respinta con decreto n. 4887 del 5 dicembre 2023. L'Università appellata si è costituita nel presente grado di giudizio con memoria del 27 dicembre 2023, con cui ha chiesto la reiezione dell'appello. Con ordinanza n. 27 del 10 gennaio 2024 la sezione, in considerazione del contenuto della decisione impugnata e del necessario bilanciamento dei diversi interessi, ha fissato l'udienza per la trattazione dell'appello avendo ritenuto che le ragioni fatte valere dall'appellante possano essere efficacemente tutelate attraverso la sollecita definizione del giudizio. In vista della trattazione le parti hanno depositato memorie conclusive. Con atto depositato il 15 maggio 2024 l'amministrazione ha chiesto la decisione della causa sugli scritti. All'udienza pubblica del 21 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 2. Oggetto del giudizio è il mancato inserimento dell'appellante, in qualità di candidata già laureata in odontoiatria, nella graduatoria per l'iscrizione al quarto anno del corso di medicina e chirurgia presso l'Università degli studi di Siena per l'anno accademico 2022/2023, in posizione utile per potersi immatricolare, avendo conseguito un punteggio che non la colloca nei primi sei classificati, corrispondenti ai posti disponibili per il quarto anno. Unitamente alla graduatoria, la ricorrente in primo grado ha impugnato anche una serie di atti che, a suo dire, per ragioni di metodo e di merito, avrebbero condizionato negativamente la compilazione della graduatoria. La premessa che precede e l'elencazione degli atti impugnati è essenziale per perimetrare l'oggetto del presente giudizio e per sgombrare il campo da possibili equivoci indotti da alcuni atti depositati e da varie argomentazioni difensive. Rileva il Collegio, infatti, che l'appellante ha depositato nel presente grado di giudizio un documento (doc. B), che indica essere il ricorso di primo grado: tale atto, tuttavia, firmato digitalmente in data 23 ottobre 2024, non corrisponde né per contenuto né per data, al ricorso introduttivo del presente giudizio essendo un ricorso che la parte (verosimilmente) ha proposto o aveva intenzione di proporre al Tar Toscana incardinando un ulteriore giudizio, avente il diverso oggetto concernente il riconoscimento della carriera di provenienza della ricorrente, di cui al provvedimento adottato dal Comitato per la didattica del corso di laurea specialistica/magistrale in medicina e chirurgia dell'Università degli studi di Siena, al relativo verbale recante prot. n. 0155921 del 2 agosto 2023 ed atti successivi. Il contenuto di tale impugnazione non risulta trasfuso nel presente giudizio mediante la proposizione di motivi aggiunti, sicché la tematica del riconoscimento della carriera di provenienza della appellante e della convalida degli esami sostenuti nel corso di laurea in odontoiatria è estranea al thema decidendum. Tali atti successivi, peraltro, in quanto non impugnati nel presente giudizio, assumono comunque rilevanza ai fini della decisione del presente contenzioso. 3. Chiarito e definito l'ambito del giudizio, devono essere riportate le vicende fattuali della presente controversia. L'appellante ha presentato istanza per l'iscrizione ad anno successivo al primo del corso di laurea in medicina e chirurgia per l'anno accademico 2022/2023, indetta con decreto-bando dell'Università degli studi di Siena denominato "Corso di laurea in Medicina e chirurgia Avviso pubblico per l'accesso agli anni successivi al primo - anno accademico 2022/2023", chiedendo l'iscrizione al IV anno del corso di laurea in medicina e chirurgia, in quanto studentessa già laureata in odontoiatria e protesi dentaria (conseguita presso l'Università degli studi di Perugia nel 2006) e, pertanto, in ragione del possesso di CFU sufficienti ad ottenere l'immatricolazione richiesta. Nella procedura di iscrizione al IV anno ella ha ottenuto il riconoscimento di 75 punti (a suo dire errati in difetto), calcolati sulla base del criterio e del coefficiente stabilito dall'art. 4, lett. B, del bando, posizionandosi in graduatoria in posizione non utile ai fini della ammissione al relativo corso di laurea. Quindi, avendo rilevato incongruenze nelle graduatorie (incluse quelle del terzo e del quinto anno) e nella propria valutazione, anche in merito all'applicazione dei criteri dettati dal bando, ha presentato all'Università istanza di accesso agli atti, volta a conoscere tutti gli atti e i verbali della commissione di ateneo all'uopo preposta. L'Università ha fornito riscontro, con nota dell'11 aprile 2023, ostendendo i seguenti verbali: 19 dicembre 2022 e relativi allegati; 24 gennaio 2023 e relativi allegati; 10 febbraio 2023 e relativi allegati; 21 marzo 2023 e relativi allegati. Tali atti, unitamente alle tre graduatorie e agli atti di indizione della procedura (in epigrafe elencati), sono stati impugnati dinanzi al Tar Toscana per i seguenti motivi: I. Illegittimità delle graduatorie del III, IV e V anno di cui all'"Avviso pubblico per l'accesso agli anni successivi al primo - anno accademico 2022/2023" dell'Università di Siena. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 33, 34 e 97 della costituzione - Violazione e falsa applicazione del Bando dell'Università . Eccesso di potere. Illogicità . Violazione del giusto procedimento; II. Illegittimità della valutazione della carriera universitaria di provenienza della ricorrente, con particolare riguardo al punteggio attribuitole nella graduatoria del IV anno. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 33, 34 e 97 della costituzione. Violazione e falsa applicazione del decreto interministeriale del 9 luglio 2009 del Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'Innovazione. Violazione e falsa applicazione del bando dell'Università . Eccesso di potere. Illogicità . Violazione del giusto procedimento; III. Illegittimità delle graduatorie del III, IV e V anno di cui all'"Avviso pubblico per l'accesso agli anni successivi al primo - anno accademico 2022/2023" dell'Università di Siena. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 33, 34 e 97 della costituzione. Violazione e falsa applicazione del bando dell'Università . Violazione e falsa applicazione del verbale della commissione del 24 gennaio 2023 prot. n. 24497 dell'8 febbraio 2023. Eccesso di potere. Illogicità . Violazione del giusto procedimento; IV. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 33, 34 e 97 della costituzione. Eccesso di potere. Illogicità . Violazione del giusto procedimento; V. Illegittima determinazione del contingente di posti per l'ammissione e/o trasferimento e/o passaggio ad anno successivo al primo del corso di laurea in medicina e chirurgia presso l'Università degli Studi di Siena a.a. 2022/2023. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 33, 34 e 97 della costituzione. Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge n. 264/1999. Violazione e falsa applicazione dell'art. 6 ter del decreto legislativo n. 502/1992. Eccesso di potere. Illogicità . Sviamento per carente od insufficiente motivazione. Violazione del giusto procedimento per carenza di adeguata attività istruttoria. Eccesso di potere. Illogicità e contraddittorietà . Il Tar Toscana con ordinanza n. 179 del 25 maggio 2023 ha accolto l'istanza cautelare, disponendo l'ammissione con riserva della ricorrente al quarto anno del corso di medicina e chirurgia, anche in sovrannumero, con la seguente motivazione: "Considerato che ad un primo esame della fase cautelare appare fondato il primo motivo del ricorso nella parte in cui si deduce la violazione del bando laddove si è previsto che dovevano essere "ammessi alla graduatoria dell IV° anno coloro il cui punteggio calcolato secondo quanto previsto al precedente punto b) sia compreso tra 71 e 105 CFU"; Ritenuto che la previsione del possesso dell'ulteriore requisito delle iscrizioni agli anni precedenti, appare alla base del mancato rispetto delle soglie e degli scaglioni di CFU ai fini dell'inserimento della graduatoria di ciascun anno; Rilevato che, nel contemperamento dei diversi interessi coinvolti, appare prevalente l'interesse a consentire l'immatricolazione, con riserva e in caso anche in sovrannumero della ricorrente, al IV anno del corso di laurea in medicina e chirurgia presso l'Università in epigrafe". L'Università di Siena, quindi, in esecuzione dell'ordinanza, ha disposto l'iscrizione dell'appellante al IV anno del corso di laurea in medicina e chirurgia, con conseguente inserimento della stessa nel percorso formativo di Ateneo. Tuttavia, con sentenza n. 945 del 18 ottobre 2023, il Tar ha respinto il ricorso e, di conseguenza, l'Università di Siena, con decreto rettorale prot. 206848 del 3 novembre 2023, ha disposto l'annullamento dell'iscrizione al corso di laurea in medicina e chirurgia della appellante. 4. Le motivazioni poste alla base della suindicata sentenza possono così schematizzarsi: - sono infondati i primi due motivi con i quali si sostiene che la graduatoria sarebbe illegittima, in quanto contrastante con le prescrizioni del bando e, ciò, in conseguenza dell'introduzione da parte della commissione di un nuovo sottocriterio, non previsto dallo stesso bando, che avrebbe impedito alla ricorrente di essere in posizione utile per essere iscritta al quarto anno del corso di laurea in medicina, in quanto, sebbene "È la stessa Università di Siena ad ammettere che la Commissione ha integrato i criteri del bando prevedendo che, oltre ad essere in possesso dei CFU sopra citati, i candidati dovevano essere iscritti agli anni precedenti a quello nel quale intendevano concorrere", "Ad un più attento esame questo Tribunale ritiene che, malgrado una non chiarissima previsione del bando, la Commissione non avrebbe potuto che applicare il criterio sopra descritto" atteso che il decreto ministeriale del 16 marzo 2007 "prevede che il corso di Laurea in medicina ha una durata pari a sei anni e, in quanto tale, non è suscettibile di essere ridotto ad un numero di anni inferiore", quindi quello contestato "non è suscettibile di essere qualificato quale un "nuovo" criterio, in quanto la Commissione si è limitata ad applicare la disciplina vigente, meglio precisando quanto già contenuto (in modo forse non del tutto intellegibile) nel bando di concorso nella normativa vigente e, ciò, nell'intento di evitare l'abbreviazione della durata del corso di laurea a ciclo unico di Medicina e Chirurgia, avente necessariamente una durata legale di almeno 6 anni"; - "Analoghe considerazioni possono essere estese con riferimento alla conversione dei voti dei candidati provenienti dalle Università straniere che non adottano il sistema in 30esimi, laddove la Commissione ha previsto che, per il calcolo della relativa media, venissero utilizzate le apposite tabelle di conversione allegate al Decreto Direttoriale n. 909 del 2002"; - non è condivisibile l'argomentazione diretta ad affermare che la commissione avrebbe dovuto attribuire alla ricorrente 360 CFU in luogo dei 300 riconosciuti nella valutazione del corso di laurea in odontoiatria (secondo motivo di ricorso), atteso che la valutazione della commissione è stata posta in essere in applicazione del DM n. 583 del 24 giugno 2022 laddove prevede che il giudizio sia strettamente attinente al percorso formativo compiuto dallo studente e che, in ogni caso, non risulta superata la prova di resistenza in quanto, anche laddove alla ricorrente fossero stati riconosciuti i 360 CFU richiesti, ella avrebbe raggiunto un punteggio di 90 (calcolato sempre con il criterio e il coefficiente di cui all'art. 4, lett. B, del bando, comunque non sufficiente a collocarsi nei primi 6 posti; - è infondato il terzo motivo, con il quale si sostiene che sarebbe illegittimo il criterio previsto dalla commissione secondo il quale non potevano essere conteggiati due volte i CFU in caso di presentazione di più carriere da parte di uno studente avendo invece la commissione precisato che in caso di "candidati che abbiano presentato più carriere non sono conteggiati i CFU che risultano chiaramente convalidati dalla carriera pregressa presentata a favore di quella più recente", così evitando di conteggiare due volte gli stessi CFU; - attengono all'esercizio di un potere discrezionale le censure contenute nel quarto e nel quinto motivo con le quali si è contestata l'attribuzione di un coefficiente di 0,25 per la laurea in odontoiatria e, ancora, il numero dei posti messi a concorso dall'amministrazione, essendo congruo il coefficiente "in quanto la commissione ha valutato un percorso di laurea secondo il vecchio ordinamento (quale è quello conseguito dalla ricorrente), corso che non appartiene alla classe di laurea di Medicina e Chirurgia, ma ad una classe di laurea diversa" ed avendo il decreto ministeriale n. 583 del 24 giugno 2022, nel chiarire le modalità concrete con le quali gli atenei devono calcolare i posti disponibili per ciascun anno di corso, escluso la possibilità di iscrivere gli studenti oltre i posti disponibili vietando, altresì, le iscrizioni in sovrannumero. 5. L'appello è affidato ai motivi di seguito sintetizzati. 1) Con il primo motivo la sentenza impugnata è censurata per contraddittorietà fra la motivata soluzione adottata in cautelare e la poco motivata soluzione adottata nella decisione di merito, sia con riferimento alla violazione delle regole del bando per quanto riguarda il range di punteggio previsto per l'inserimento in ciascuna graduatoria, sia per l'illegittima introduzione del criterio aggiuntivo da parte della commissione, consistente nel richiedere che i candidati "abbiano almeno 2 anni di iscrizioni pregresse in altro o altri corsi di laurea", per l'iscrizione al terzo anno, ovvero 3 anni per l'iscrizione al quarto anno e 4 anni per l'iscrizione al quinto anno. Lamenta che l'introduzione di tale ulteriore criterio, non indicato nel bando, avrebbe completamente falsato le graduatorie, in quanto avrebbe svilito e disapplicato le soglie e gli scaglioni di CFU per l'ingresso nella graduatoria di un anno piuttosto che in quella di un altro anno. 2) Con il secondo motivo lamenta che la valutazione della sua carriera pregressa e il punteggio attribuitole dalla commissione sarebbe errato, poiché in contrasto con il decreto interministeriale del 9 luglio 2009 del Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'Innovazione, il quale all'allegato 1, recante la tabella di equiparazione, stabilisce che la laurea in odontoiatria e protesi dentaria di cui al vecchio ordinamento (52/S Odontoiatria e protesi dentaria) è equiparata a quella del nuovo (LM-46 Odontoiatria e protesi dentaria), la quale ultima prevede un numero di crediti formativi universitari (CFU) pari a 360, come peraltro risulta dalla attestazione del sito dell'Università di Perugia, depositata in atti. Quindi ritiene che quale base di calcolo per il coefficiente moltiplicatore, si sarebbe dovuto assumere il numero di CFU pari a 360 e non 300, come erroneamente avrebbe fatto la commissione. Censura pertanto quanto deliberato dalla commissione nel verbale del 24 gennaio 2023 in cui si legge: "La Commissione, seguendo le indicazioni del detto avviso pubblico e i criteri per l'esame delle domande valide declinati nella seduta del 19 dicembre 2022, precisa inoltre quanto segue: - i candidati laureati nei corsi di laurea appartenenti a ordinamenti nei quali non erano previsti CFU ma solo annualità sono valutate per 60 CFU per ciascun anno della durata legale del corso al momento del conseguimento del titolo". Tale criterio di valutazione (che ha determinato la riduttiva valutazione dei CFU) sarebbe illegittimo sia perché introduce un criterio di valutazione non previsto dal bando, sia perché contrasta con il richiamato decreto interministeriale. 3) Con il terzo motivo l'appellante censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto infondato il terzo motivo facendo rilevare che, diversamente da quanto erroneamente interpretato dal Tar, la censura formulata in primo grado riguardava non il criterio (secondo cui chi avesse più lauree non poteva far valere CFU già conteggiati in ragione della prima laurea) in sé, bensì la violazione del suddetto criterio evidenziando che, quanto meno per i concorrenti individuati specificamente nel ricorso, la commissione avrebbe conteggiato per due volte gli stessi CFU. Sostiene che tali candidati, in virtù del sistema di calcolo (moltiplicatore) del punteggio dei CFU previsto dal bando, sarebbero stati avvantaggiati avendo visto considerata una duplicazione delle proprie carriere. 4) Con il quarto motivo l'appellante censura la sentenza nella parte in cui avrebbe, a suo dire, liquidato sbrigativamente il quarto motivo di ricorso, sulla scorta della discrezionalità di cui gode la commissione (rectius l'amministrazione). Osserva che la censura, in questo caso, riguardava l'illogicità del coefficiente moltiplicatore indicato dal bando per la laurea in odontoiatria e protesi dentaria. Sostiene che il coefficiente di 0, 25 sarebbe: - riduttivo perché non terrebbe conto che il corso di odontoiatria ha il primo biennio, praticamente, in comune con il percorso di medicina; - illogico perché ha posto sullo stesso piano (indicando lo stesso coefficiente) percorsi di laurea che, invece, sono molto differenti (biotecnologie, scienze biologiche, magistrali in biotecnologie mediche, veterinarie e farmaceutiche, magistrali in psicologia) senza tener conto del fatto che tali ultimi percorsi di laurea hanno una evidente inferiore affinità (in termini di compatibilità di esami) rispetto a quello di odontoiatria; - sproporzionato rispetto allo stesso corso di medicina, ai cui candidati richiedenti trasferimento è stato assegnato un coefficiente moltiplicatore pari a 1,00 (ciò anche in considerazione del fatto che la maggior parte dei candidati istanti risultava essere proveniente da università straniere, il cui percorso formativo non è propriamente sovrapponibile a quello italiano). Infine osserva che tale criterio di valutazione delle domande è stato introdotto, per la prima volta, nel corrente anno accademico e nella selezione per cui è causa mentre in precedenza, come si evince anche dal bando dell'anno precedente presso il medesimo ateneo (depositato in atti), era stato utilizzato il più equo criterio di conteggio dei CFU corrispondenti agli esami sostenuti nel piano degli studi di ciascun candidato, senza prevedere l'applicazione di alcun coefficiente moltiplicatore. 5) Con il quinto motivo l'appellante censura la sentenza nella parte in cui ha respinto il motivo concernente l'illegittima determinazione dei posti disponibili che sarebbe stata effettuata in carenza di istruttoria. 6. Le difese dell'amministrazione poggiano essenzialmente sulla tesi, accolta dal Tar, che la commissione non avrebbe introdotto alcun nuovo criterio ma si sarebbe limitata a specificare il portato di una disciplina sovraordinata che, in mancanza di intervento della commissione, avrebbe comunque comportato l'eterointegrazione del bando, osservando che il decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 583 del 24 giugno 2002, all'allegato 12, quanto all'iscrizione agli anni successivi al primo, dispone che: "agli atenei è consentito di procedere all'iscrizione dei candidati collocati in posizione utile in graduatoria ad anni successivi al primo esclusivamente a seguito del riconoscimento dei relativi crediti e delle necessarie propedeuticità previste dai regolamenti di corso di studio di Ateneo" e l'art. 32 del regolamento dell'ateneo di Siena prevede che il corso di laurea in medicina e chirurgia non può essere abbreviato, sicché correttamente la commissione avrebbe previsto che per l'ammissione agli anni successivi è necessario acquisire, oltre che il numero dei crediti previsti dal bando, anche i precedenti anni di iscrizione e, quindi, gli esami compiuti. Fa presente che, come dimostrato nel corso del primo grado di giudizio, la non applicazione del suddetto criterio avrebbe comportato, per tornare all'ipotesi invocata dall'appellante, che il primo candidato in posizione utile nella graduatoria del quarto anno, con un punteggio di 191,5 (derivante dai CFU conseguiti in 3 anni di iscrizione nel corso di laurea in medicina e chirurgia), sarebbe stato inserito nella graduatoria del quinto anno e iscritto a tale annualità di corso, ottenendo illegittimamente ed in spregio alla normativa vigente in materia una abbreviazione del corso di laurea in medicina e chirurgia, frequentando un anno in meno rispetto a quanto previsto a livello comunitario. In ordine all'asserita erroneità della valutazione, effettuata della commissione, della carriera di provenienza della appellante, poiché considerata contrastante rispetto a quanto prescritto dal decreto interministeriale del 9 luglio 2009, ribadisce che l'appellante non ha dimostrato in giudizio il superamento della prova di resistenza. In ogni caso ricorda che l'equiparazione di cui al citato decreto interministeriale è prevista ai soli fini dell'accesso ai pubblici concorsi, mentre in questo caso si tratta dell'ammissione di uno studente alla frequenza delle attività didattiche di un corso di laurea, per le quali si deve applicare quanto prescritto dal decreto ministeriale n. 583 del 24 giugno 2022. La correttezza dell'operazione effettuata dalla commissione sarebbe, peraltro, confermata dalle determinazioni assunte dal Comitato della didattica di ateneo del 22 giugno 2023 e del 17 agosto 2023 (atti depositati nel fascicolo di primo grado), con cui l'organo a ciò espressamente preposto, nel ricostruire la carriera della ricorrente in sede di iscrizione al quarto anno, le ha riconosciuto integralmente solo due degli esami sostenuti nel corso di laurea in odontoiatria, stanti le differenze formative e di ordinamento didattico del corso di studi di odontoiatria vecchio ordinamento rispetto a quello di medicina, così come precisate dai rispettivi decreti ministeriali di riferimento. Contesta, alla luce dei documenti prodotti, la circostanza, peraltro non provata, secondo cui la commissione avrebbe effettuato una valutazione multipla delle carriere dei candidati. In ogni caso rileva che la censura dell'appellante su questo punto sarebbe anche inammissibile non essendo stato provato in giudizio il vantaggio in graduatoria che l'appellante avrebbe potuto conseguire ove fosse stato espunto tale criterio. Osserva che il coefficiente di 0,25 attribuito al corso di laurea in odontoiatria sarebbe coerente con la normativa universitaria di riferimento, attese le indubbie ed evidenti differenze formative dei due corsi di laurea di cui si discute. 7. Nelle memorie conclusive (conclusionale e replica), l'appellante ha sostanzialmente ripetuto le stesse argomentazioni più volte formulate, fra le quali merita di essere segnalata la specificazione, relativa alla censura riguardante la duplicazione di valutazione di CFU asseritamente effettuata dalla commissione per alcuni candidati. Osserva l'appellante che, nella memoria dell'amministrazione depositata in primo grado si legge (pag. 13) che: "Invero, la Commissione espletando il suo potere/dovere di predeterminazione dei criteri da seguire nel valutare le domande ha precisato che in caso di "... candidati che abbiano presentato più carriere non sono conteggiati i CFU che risultano chiaramente convalidati dalla carriera pregressa presentata a favore di quella più recente". (vedi al proposito all.8). In pratica, la Commissione, attenendosi a tale criterio, ha correttamente proceduto a valutare ai fini del punteggio da attribuire tutti i CFU conseguiti dagli studenti nelle diverse carriere universitarie nel frattempo sostenute; essa ha ritenuto, quindi, maggiormente garantista ed equo effettuare un conteggio pieno e completo solo ove non fosse evidente e/o non dichiarato dallo stesso candidato che i CFU conseguiti nella vecchia carriera fossero stati riconosciuti anche nella carriera più recente da parte dell'Ateneo di ultima iscrizione, e ciò al fine di evitare di conteggiare doppiamente lo stesso sforzo compiuto da uno studente per l'ottenimento dei medesimi CFU. Al contrario, nei casi in cui tale evidenza non si evincesse dalla domanda di partecipazione, la Commissione ha considerato, in virtù di un principio generale di favor, che la più recente acquisizione di CFU rappresentasse uno sforzo effettivo dello studente; tale criterio era necessario a fronte della non rara evenienza di ripetizione di un esame, dal momento che ciascuno Ateneo ha piena autonomia nelle modalità di convalida degli esami, soprattutto in un contesto in cui spesso si tratta di Atenei appartenenti a sistemi universitari nazionali ed esteri, con ordinamenti didattici eterogenei e talvolta anche molto diversi fra loro". Quindi l'appellante evidenzia che l'Università avrebbe ammesso che è stata considerata la doppia carriera, a meno che non fosse espressamente dichiarato dal candidato una duplicazione dello stesso esame nei due o più percorsi: ipotesi che ritiene inverosimile. Ciò posto denuncia, ancora una volta, il travisamento del motivo da parte del Tar, l'erroneità della sentenza e l'illegittimità, in via ulteriore, delle graduatorie. 8. Seguendo l'ordine logico, in luogo dell'ordine impresso dall'appellante alle censure, il Collegio ritiene di dover esaminare per primo il quarto motivo con cui è dedotta l'illogicità del coefficiente moltiplicatore di 0,25 indicato dal bando per la laurea in odontoiatria e protesi dentaria. Innanzitutto va osservato che non è dirimente la circostanza che nei bandi degli anni precedenti tale criterio non fosse previsto: non appare illegittima (né peraltro ne è dedotta l'irragionevolezza) l'introduzione nel bando di tale coefficiente moltiplicatore, dal momento che l'amministrazione può discrezionalmente introdurre criteri di calcolo o di valutazione, purché non manifestamente errati o irragionevoli. Nel caso di specie da una parte tale scelta non appare irragionevole e, dall'altra, l'appellante non ha evidenziato come tale coefficiente, peraltro applicato uniformemente a tutti i candidati della medesima provenienza, l'avrebbe penalizzata, essendosi limitata ad argomentazioni generiche e di principio. Quanto alla scelta del coefficiente deve rilevarsi che si tratta di quello più alto, dopo quello di 1, attribuito soltanto ai candidati provenienti dal corso di medicina, ed è attribuito in modo uniforme a discipline che, evidentemente, sulla base dei rispettivi piani di studio, sono state non irragionevolmente ritenute di pari attinenza (biotecnologie, scienze biologiche, magistrali in biotecnologie mediche, veterinarie e farmaceutiche, magistrali in odontoiatria e protesi dentaria, magistrali in psicologia) ma comunque di maggiore vicinanza al corso di medicina rispetto ad altre discipline sanitarie, cui però è stato attribuito il minore coefficiente 0,10 (scienze delle attività motorie, scienze e tecniche psicologiche, scienze e tecnologie farmaceutiche, professioni sanitarie infermieristiche e professione sanitaria ostetrica, professioni sanitarie della riabilitazione, professioni sanitarie tecniche, professioni sanitarie della prevenzione, magistrali biologia, magistrali in farmacia e farmacia industriale, magistrali in ingegneria biomedica, magistrali in medicina veterinaria, magistrali in scienze della nutrizione umana, lauree magistrali nelle scienze infermieristiche e ostetriche, magistrali nelle scienze delle professioni sanitarie della riabilitazione, magistrali nelle scienze delle professioni sanitarie tecniche, magistrali nelle scienze delle professioni sanitarie della prevenzione). Anche la circostanza che il coefficiente 1 sia stato previsto soltanto per i candidati provenienti dal corso di medicina non appare illegittimo, non essendo irragionevole dare precedenza, verosimilmente anche per ragioni di continuità didattica, a chi provenga da altri atenei e stia già seguendo tale corso di laurea. 9. Sempre in ordine logico va esaminato il secondo motivo, con cui l'appellante lamenta l'errata attribuzione in suo favore di 300 CFU e non di 360, come previsto nel decreto interministeriale del 9 luglio 2009. Il motivo è infondato atteso che, come rilevato dalla difesa dell'amministrazione, tale decreto ha ad oggetto le "Equiparazioni tra diplomi di lauree di vecchio ordinamento, lauree specialistiche (LS) ex decreto n. 509/1999 e lauree magistrali (LM) ex decreto n. 270/2004, ai fini della partecipazione ai pubblici concorsi". Il suddetto decreto, pertanto, sarebbe potuto essere assunto come base di riferimento ma non può considerarsi obbligatorio nei confronti dell'ateneo senese, con riferimento ad una procedura che non riguarda la partecipazione ad un concorso pubblico ma che disciplina l'accesso ad un corso di laurea: nel predisporre tale disciplina l'ateneo, nell'ambito della propria autonomia, può fissare e, nel caso di specie, ha fissato un diverso criterio, valido per tutti i candidati già laureati, attribuendo 60 CFU a ciascun anno del corso di laurea concluso dal candidato. Sotto tale profilo gli atti impugnati si presentano immuni da vizi. D'altra parte non può sottacersi la circostanza, posta in luce anche nella sentenza impugnata, che l'appellante, anche se le fossero stati riconosciuti 360 CFU, avrebbe conseguito un punteggio di 90, comunque insufficiente per collocarsi utilmente in graduatoria. 10. A seguire va esaminato il terzo motivo con cui l'appellante, censurando la sentenza, lamenta la violazione da parte della commissione del criterio autoimpostosi di non conteggiare per due volte gli stessi CFU. L'appellante ha indicato, nel dettaglio, i codici di alcuni candidati che sarebbero stati avvantaggiati da tale doppio conteggio. Il motivo è infondato. Nella documentazione in atti è presente una scheda che elenca le domande in cui la commissione ha semplicemente riportato quanto dichiarato dai candidati; invece, esaminando le graduatorie, è possibile rilevare che, dei codici indicati dall'appellante, soltanto 4 risultano inseriti in una graduatoria e, segnatamente, nella graduatoria del quarto anno, quella di interesse della dottoressa Pa. (ossia il candidato n. protoc. 2022-UNISISIE-0223325, il candidato n. protoc. 2022-UNISISIE-0223989, il candidato n. protoc. 2022-UNISISIE-0223322 e il candidato n. protoc. 2022-UNISISIE-0226222, i quali tuttavia, al pari dell'appellante, sono tutti collocati in posizione non utile). Ne discende che è palese l'inammissibilità della censura dal momento che, anche escludendo i suddetti candidati, l'appellante comunque non si collocherebbe in posizione utile per immatricolarsi, ossia fra i primi sei. Quanto precede, priva di rilevanza il richiamo fatto dall'appellante alle difese dell'amministrazione, con le quali, a suo dire, la stessa avrebbe ammesso che in alcuni casi vi sia stata duplicazione nella valutazione dei CFU. A prescindere dal rilevo che le affermazioni del difensore dell'ateneo sono espresse in forma meramente ipotetica, è dirimente la circostanza che non risulta provato in concreto quale delle valutazioni della commissione possa aver vulnerato la posizione della ricorrente. 10. Quanto al primo motivo, il Collegio ne rileva innanzitutto l'inammissibilità per carenza di interesse. Va osservato che la dottoressa Pa. non è stata esclusa dalla graduatoria perché, in ipotesi, priva del requisito dell'iscrizione ad anni precedenti; al contrario è stata collocata in graduatoria ma in posizione non utile per insufficienza del punteggio per collocarsi bei primi sei posti. Il suddetto criterio, che l'appellante qualifica illegittimo perché non previsto nel bando, non l'ha in concreto danneggiata, quindi ella non ha interesse a censurarlo. Ciò posto deve anche rilevarsi che la commissione ha specificato espressamente un criterio che, comunque, avrebbe eterointegrato il bando, dal momento che l'art. 32 del regolamento dell'ateneo di Siena prevede che il corso di laurea in medicina e chirurgia non può essere abbreviato. Detta previsione si pone in linea con l'allegato 1 al decreto del Ministero dell'università e della ricerca del 16 marzo 2007, recante "Determinazione delle classi di laurea magistrale", il quale prevede che per la facoltà di medicina e chirurgia sono necessari 6 anni e 360 CFU (60 x anno) di cui 60 acquisiti in attività formative volte alla maturazione di specifiche capacità professionali (cfr. pag. 115 della Gazzetta ufficiale della Repubblica del 9 luglio 2007, n. 157). La regola, va osservato, non è assoluta in quanto in altri atenei è possibile ottenere l'abbreviazione del corso di laurea: per esempio nel "Regolamento per la frequenza dei corsi di laurea e laurea magistrale e contribuzione studentesca" dell'università di Roma "La Sapienza" è previsto all'art. 49, al comma 1 che "1. E' possibile ottenere una abbreviazione di corso a seguito di passaggio ad altro Corso di studio della Sapienza (art. 10), a seguito di trasferimento da altra Università (art. 44), a seguito di riconoscimento esame dopo rinuncia agli studi (art. 48), a seguito di riconoscimento esami dopo la decadenza (art. 34), a seguito di un cambio di ordinamento (art. 38), all'atto di una nuova iscrizione al primo anno di corso, per chi risulta già in possesso di un titolo di studio italiano o estero o, come previsto dal Regolamento Didattico di Ateneo, per chi ha terminato un Master o un Corso di perfezionamento. Per questi ultimi due casi sono riconoscibili massimo 12 Cfu" e al comma 5: "Valutazione del percorso formativo e variazione dell'anno di corso. La valutazione della carriera ai fini del riconoscimento dei crediti è effettuata sull'intero percorso formativo pregresso, fatte salve eventuali disposizioni delle strutture didattiche. La struttura didattica del corso, dopo la valutazione della carriera pregressa, definirà l'anno di corso a cui ci si potrà iscrivere, in base al numero di esami riconoscibili e la Segreteria amministrativa effettuerà la variazione". Tanto chiarito in ordine alla carenza di interesse dell'appellante a dolersi del criterio in questione, che non l'ha affatto danneggiata, per completezza deve comunque osservarsi che, così come risultante dalla integrazione operata dalla commissione, il bando risulta piuttosto oscuro e intrinsecamente contraddittorio. Invero, se si ammette, come previsto nel bando, che possa accedere direttamente al terzo, al quarto o al quinto anno di corso, un candidato in possesso di un'altra laurea, implicitamente si esclude (e non potrebbe essere diversamente) che costui sia già iscritto ad un corso di medicina: chiedendo dunque, in aggiunta, anche la pregressa iscrizione a medicina per due, tre o quattro anni, si finirebbe per consentire l'accesso soltanto a candidati già iscritti a medicina, provenienti da altri atenei, italiani o stranieri. Ma, nel bando, così non è . D'altra parte, ammettere, come è previsto nel bando, che un candidato possa accedere al terzo, al quarto o al quinto anno di medicina, perché in possesso di un diploma di laurea i cui CFU siano sufficienti per l'immatricolazione, significa implicitamente consentire (e non potrebbe essere diversamente) che il corso di studi di 6 anni possa essere abbreviato. Dunque è evidente l'aporia rilevabile nel bando, come predisposto dall'Università di Siena e integrato dalla commissione. Pertanto, se lo scopo che l'Università si prefigge di raggiungere, è quello di evitare che lo studente che si iscriva ad anni successivi abbia una preparazione non conforme al percorso di studi che tutti gli studenti di medicina hanno seguito negli anni precedenti, il vincolo da imporre, a parere di questo Collegio, non è quello del numero di anni, bensì quello del numero e del tipo di esami già proficuamente sostenuti nel corso di laurea di provenienza. Non a caso, nella valutazione successiva (la cui tematica è estranea al perimetro di questo giudizio) la commissione ha riconosciuto all'appellante soltanto due degli esami sostenuti nel corso di odontoiatria, vecchio ordinamento: a parere del Collegio questo è il dato da esigere e valorizzare ai fini dell'ammissione ad anni successivi. Il dato numerico è di per sé insignificante, dal momento che chi ha concluso un altro corso di laurea ha certamente svolto, all'interno della struttura universitaria, un numero di anni che, sommato a quelli che andrà a svolgere immatricolandosi al terzo, al quarto o al quinto anno di medicina, coprirà comunque e senza ombra di dubbio i sei anni di corso fissati per la facoltà di medicina. Chiusa questa digressione in punto di metodo, quanto alla doglianza che investe la contraddittorietà nella decisione del Tar laddove, nella sentenza appellata, ha manifestato un orientamento opposto a quello manifestato in sede cautelare, il Collegio deve ricordare che la fase cautelare per sua natura comporta provvedimenti giurisdizionali non definitivi, emanati con riserva di accertamento della fondatezza nel merito, con l'evidente finalità di evitare che la pendenza del giudizio pregiudichi la parte vittoriosa all'esito del processo. Questi provvedimenti dunque sono interinalmente subordinati alla verifica definitiva della fondatezza della tesi del ricorrente e i definitivi effetti di carattere sostanziale conseguono solo al passaggio in giudicato della pronuncia di merito favorevole, che è la sola idonea a conformare con effetti permanenti la realtà giuridica interinalmente cristallizzata dal provvedimento cautelare del giudice (cfr. Cons. Stato, sez. III, 8 giugno 2016, n. 2448). Da ciò discende che il provvedimento interinale per definizione non può che essere provvisorio e prodromico alla pronuncia che chiude il giudizio (cfr., in argomento, Cons. Stato, sez. II, 13 agosto 2019, n. 5711). Non a caso le ordinanze cautelari, in quanto prive di contenuto definitivamente decisorio, sono insuscettibili di passare in giudicato, analogamente ai provvedimenti istruttori, interlocutori o di rinvio al ruolo ordinario (cfr. Cons. Stato, sez. III, 29 agosto 2018, n. 5084 e sez. V, 10 giugno 2015, n. 2847). Un provvedimento di sospensione dell'esecuzione dell'atto amministrativo si limita ad impedire temporaneamente e con efficacia ex nunc, la possibilità di portare l'atto ad ulteriore esecuzione e, per questo, è inevitabilmente connesso alla conclusione del giudizio. Quindi gli effetti di carattere sostanziale possono conseguire solo al passaggio in giudicato della pronuncia di merito, che è la sola idonea a rimuovere dalla realtà giuridica l'atto con effetti permanenti ovvero a confermarla (cfr. Cons. Stato, sez. III, 28 giugno 2019 n. 4461). Sotto il profilo sistematico, poi, la inconfigurabilità di un giudicato cautelare è direttamente dimostrata anche dall'art. 21 septies della legge 241/1990, il quale sanziona con la nullità solo ed esclusivamente l'atto che viola o elude il giudicato sulla sentenza e non anche della pronuncia del giudice che non abbia ancora il carattere della definitività come la pronuncia cautelare (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 marzo 2021, n. 2004). Dai principi fin qui declinati emerge con chiarezza come la decisione definitiva non sia in alcun modo condizionata da quella assunta in sede cautelare la quale, infatti, non produce effetti sostanziali, stante la sua naturale interinalità . La possibile divergenza fra decisione cautelare e decisione di merito, lungi dall'essere sintomo di contraddittorietà, è semmai la conferma, ove mai ve ne fosse necessità, di come l'esame approfondito del merito della vicenda dedotta in giudizio possa dar luogo ad un esito diverso da quello conseguente ad una cognizione meramente sommaria (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 10 maggio 2024, n. 4222). 11. Infine, solo per completezza, trattandosi di censura che l'appellante ha sostanzialmente abbandonato, non avendola ribadita nelle memorie conclusive, è inammissibile per genericità il quinto motivo, con cui si lamenta il presunto difetto di istruttoria nella determinazione, da parte dell'ateneo, dei posti disponibili. Osserva il Collegio che l'appellante non ha indicato in alcun modo in cosa consista il lamentato difetto di istruttoria né quali verifiche ulteriori l'ateneo avrebbe in ipotesi dovuto effettuare, onde pervenire ad un numero di posti superiore; fermo restando il rilievo che l'appellante è collocata in graduatoria in posizione piuttosto deteriore, sicché è difficile perfino ipotizzare che, con una istruttoria più approfondita, i posti potessero essere portati da 6 sei a circa 150, fino a raggiungere i candidati con punteggio pari a quello dell'appellante. Conclusivamente, per quanto precede, l'appello deve essere respinto. 12. Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate tenuto conto della novità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Daniela Di Carlo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta da: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - Relatore Dott. CENCI Daniele - Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Ab.Ro. nato a C il (Omissis) avverso l'ordinanza del 07/11/2023 del TRIB. LIBERTA' di CATANZARO udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO PEZZELLA; Lette le conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 D.L. 137/2020 conv. dalla L. n. 176/2020, come prorogato ex art. 16 D.L. 228/21 conv. con modif. dalla L.15/22 e successivamente ex art. 94, co. 2, del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come sostituito prima dall'art. 5-duodecies della I. 30.12.2022, n. 199, di conversione in legge del D.L. n. 162/2022) e poi dall'art. 17 del D.L. 22 giugno 2023, conv. con modif. dalla L. 10.8.2023 n. 112, del P.G., in persona del Sost. Proc. Gen. SABRINA PASSAFIUME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 7 novembre 2023 il Tribunale di Catanzaro ha rigettato l'appello avverso l'ordinanza del 2/10/2023 con cui il GIP del Tribunale di Catanzaro a sua volta aveva rigettato la richiesta di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, disposta dal GIP del Tribunale di Catanzaro in data 20/6/2023 nei confronti di Ab.Ro. in quanto indagata per i reati di cui all'articolo 74 co. 1, 2, 3 e 4 DPR 309/90, 416-bis.l cod. pen. (capo 35) e 110, 648-bis, 416 1-bis cod. pen. (capo 67). 2. Ricorre l'Ab.Ro., a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo, quale unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. violazione di legge e vizio di motivazione per erronea applicazione degli artt. 274 e 275, co. 3, cod. proc. pen., in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari, illogicità della motivazione in tema di attualità della pericolosità sociale. La ricorrente espone di essere indagata per la partecipazione ad un'associazione finalizzata al traffico degli stupefacenti con lo specifico ruolo di coadiuvare il marito Ab.Ro.nella riscossione dei proventi. L'operatività dell'associazione va dal marzo 2019 al novembre 2021. A carico della Ab.Ro. -si legge in ricorso- vi sono soltanto le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia e alcune intercettazioni nelle quali risulta che la stessa accompagnava il marito presso l'attività commerciale Bar tabacchi Happy Moments per cambiare il denaro provento dello spaccio, costituito da banconote di piccolo taglio, in banconote di taglio maggiore. Pertanto, in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari, la difesa evidenzia, in primo luogo che i collaboratori di giustizia hanno reso dichiarazioni relative ad un periodo precedente rispetto a quello in contestazione, in quanto in tale periodo erano già detenuti. In secondo luogo, l'imputazione di aver accompagnato il marito a cambiare le banconote troverebbe fondamento in due conversazioni intercettate il 7/3/2019. Ma dal contenuto di tali intercettazioni emerge che la donna non era stata presente né durante il conteggio del denaro presso l'abitazione di Ab.Wi.né presso il Bar-tabacchi Happy Moments, ma che la stessa rimase in auto mentre il marito entrava nell'esercizio commerciale. La difesa evidenzia di aver sottolineato con l'istanza rigettata come non vi fossero elementi recenti e idonei in grado di dimostrare un effettivo pericolo di concretizzazione del rischio di reiterazione in particolar modo in relazione all'attualità. Il tribunale del riesame non avrebbe tenuto conto dell'orientamento di questa Corte che impone un obbligo di motivazione più stringente sulla rilevanza del tempo trascorso e sull'esistenza e attualità delle esigenze cautelari qualora intercorra un notevole lasso di tempo tra l'emissione della misura e i fatti contestati. Ci si duole che l'ordinanza impugnata non abbia fornito congrua motivazione sull'inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari presso Se.Mi., di cui si documentava la disponibilità all'assistenza in regime di arresti domiciliari, in abitazione sita in comune diverso e distante dal luogo di operatività dell'associazione. Ancora, ci si duole di vizio di motivazione in relazione alla necessità di prestare assistenza alla figlia minore, di anni 16, affetta da gravi patologie in corso di accertamento, per cui è necessaria la presenza di almeno uno dei due genitori. La minore, anche se non ne era stata ancora accertata l'invalidità permanente, presentava gravi condizioni cliniche con il rischio di nuovi episodi di sincope, ischemia o ictus. Veniva documentato, tra l'altro, che non vi erano familiari che potessero prendersene cura. Si rileva, infine che all'udienza camerale del 7/11/2022, la difesa depositava l'iscrizione nel registro degli indagati della ricorrente, nonostante non fosse stata indicata come indagata nell'informativa di reato della P.G., avvenuta solo in data 24/1/2022, appena un giorno prima della richiesta di applicazione della misura. Anche tale questione non sarebbe stata adeguatamente valutata dal riesame, nonostante la mancata iscrizione della Ab.Ro. fino al 24/1/2022 potesse incidere positivamente sull'effettività e concretezza del pericolo di recidivanza. Chiede pertanto che questa Corte annulli l'ordinanza impugnata. 3. Il PG ha reso le conclusioni scritte riportate in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati. Per contro, il provvedimento impugnato appare contrassegnato da motivazione che, secondo il perimetro di cognizione del giudice di legittimità in sede cautelare, contiene l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l'assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (anche con riferimento alla puntuale analisi delle specifiche doglianze difensive), oltre ad essere corretto in diritto. Ne deriva il proposto ricorso va rigettato. 2. Va premesso che questa Corte Suprema è ferma nel ritenere che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione con il quale si lamenti l'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando (...) propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 6, n. 11194 dell'8/3/2012, Lupo, Rv. 252178). Conseguentemente, allorquando si censuri la motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460; conf. Sez. 4, n. 37878 del 6/7/2007, Cuccaro e altri, Rv. 237475); Parametro ermeneutico centrale ai fini della delimitazione della cognizione della Corte in materia cautelare è quello secondo il quale non è conferita a questo giudice di legittimità alcuna possibilità di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, né dello spessore degli indizi; e non è dato nemmeno alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche del fatto o di quelle soggettive dell'indagato in relazione all'apprezzamento delle stesse che sia stato operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate. Donde l'inammissibilità delle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono in realtà nella sollecitazione a compiere una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr., tra le altre, Sez.1, n.7445/2021). 3. Va anche ricordato che, secondo il costante orientamento di questa Corte, la decisione del giudice sull'appello avverso l'ordinanza di rigetto dell'istanza di revoca o sostituzione di una misura cautelare è vincolata, oltre che dall'effetto devolutivo proprio di questo tipo d'impugnazione, per cui la sua cognizione non può superare i confini tracciati dai motivi, anche dalla natura del provvedimento impugnato, che è del tutto autonomo rispetto all'ordinanza impositiva della misura. Il giudice, pertanto, non deve riesaminare la questione della sussistenza delle condizioni dì applicabilità della misura stessa, ma solo stabilire se il provvedimento gravato sia immune da violazioni di legge ed adeguatamente motivato in relazione all'eventuale allegazione di fatti nuovi, preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificare il quadro probatorio o ad influire sull'esigenza della misura cautelare, fermo restando il dovere, in ogni caso, e cioè anche indipendentemente da qualsiasi sollecitazione dell'interessato, di revocare immediatamente la misura allorché ne siano venute meno le condizioni di applicabilità (ex multis, Sez. 6, n. 45826 del 27/10/2021, Rv.282292 - 01; conf. Sez. 2, n. 1134 del 22/02/1995, Rv. 201863). A differenza del riesame, la cognizione del giudice d'appello cautelare, a differenza di quanto previsto per il riesame, quale mezzo totalmente devolutivo, è limitata ai punti cui si riferiscono i motivi di gravame e a quelli ad essi strettamente connessi, pur non essendo condizionata dalle deduzioni in fatto e dalle argomentazioni in diritto poste a base della decisione impugnata Sez. 3, n. 28253 del 9/6/2010 B. Rv. 248135; Sez. 2, n. 18057 del 1/4/2014, Campana, Rv. 259712; Sez. 5, n. 30828 del 29/5/2014, Rv. 260484) L'appello cautelare di cui all'art. 310 cod. proc. pen. ha la fisionomia strutturale e strumentale degli ordinari mezzi di impugnazione, con la conseguenza che allo stesso si applicano le norme generali in materia, tra cui le disposizioni di cui agli artt. 581 e 591 cod. proc. pen.; ne deriva che l'impugnazione deve non solo indicare i capi e i punti ai quali si riferisce, ma anche enunciare i motivi, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta (Sez. 5, n. 9432 del 12/1/2017, Cimino, Rv. 269098 4. Tanto premesso, non colgono nel segno le doglianze proposte dalla ricorrente in quanto nel caso in esame, i giudici della cautela hanno evidenziato l'assenza di qualsivoglia elemento dì novità a sostegno dell'istanza, posto che la gravità indiziaria e la distanza temporale dai fatti erano già state oggetto di valore di giudicato cautelare e l'attenuazione delle esigenze cautelari non può essere desunta dal solo decorso del tempo di esecuzione della misura. Per i giudici del gravame cautelare risulta adeguata e idonea unicamente la misura in atto, come già vagliato in sede di riesame e correttamente valutato nel provvedimento impugnato, non sussistendo nuovi elementi tali da superare la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere sussistente nel caso di specie. Corretto appare il rilievo che, a, a norma dell'art. 299 cod. proc. pen. la misura cautelare può essere sostituita con altra meno afflittiva qualora venga in rilievo un'attenuazione delle esigenze cautelari ovvero la mancanza di proporzione della cautela in atto con l'entità del fatto o con la sanzione prognosticamente irrogabile in via definitiva e che l'attenuazione o l'esclusione delle esigenze cautelali non può essere desunta dal solo decorso del tempo di esecuzione della misura e dall'osservanza puntuale delle relative prescrizioni, dovendosi valutare ulteriori elementi (di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all'inizio dei trattamento caute/are (Sez. 3, n. 43113 del 15/09/2015, K., Rv. 265652 - 01; Sez. 2, n. 1858 del 09/10/2013, dep. 2014, Scalamana, Rv. 258191 - 01; Sez. 5, Ordinanza n. 16425 del 02/02/2010, Iurato, Rv. 246868 -01). Come ricorda il provvedimento impugnato la gravità indiziaria in capo alla ricorrente e la distanza temporale dai fatti, risulta già valutata dal medesimo tribunale con valore di giudicato cautelare, non risultando comunque contestata dalla difesa, il che porta a ritenere del tutto inconferenti le argomentazioni relative all'adeguatezza e alla proporzionalità della misura in atto in assenza di elementi indicativi di una possibile rivalutazione in melius del quadro cautelare. In particolare, viene ricordato come l'impossibilità di salvaguardare altrimenti le esigenze cautelari era stata desunta dalla pluralità di gravi condotte poste in essere dall'Ab.Ro., dal non contenuto arco temporale di consumazione delle stesse, dal ruolo fiduciario e di stretta collaborazione con i vertici del sodalizio che l'hanno preposta all'espletamento di compiti essenziali per l'esistenza e l'operatività dell'associazione, l'impossibilità di formulare nei suoi confronti un giudizio prognostico favorevole sull'osservanza degli obblighi derivanti dall'esecuzione degli arresti domiciliari rimessi esclusivamente alla capacità di autocontrollo della ricorrente nella specie del tutto assente. Sul punto era anche stato già valutato come la misura meno afflittiva di quella della custodia in carcere non fosse in grado di impedire in modo assoluto la reiterazione, comunque attuabile mediante forme di gestione indiretta e/o a distanza, stante le condotte attribuite all'indagata connotate da abitualità e professionalità nel settore nonché la sua notevole intraprendenza criminale. Ciò in quanto le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e il compendio intercettivo ha reso evidente il ruolo assunto all'interno della predetta consorteria ricoperto da Ab.Ro., sorella del capo Ab.Ni.anche detto "semiasse", accompagnando e coadiuvando il marito, Ab.Ro., in ogni attività illecita, occupandosi specificamente della custodia e della gestione del denaro provento della vendita di spaccio, non soltanto ricevendolo periodicamente, bensì anche concorrendo nel riciclaggio dello stesso secondo le modalità collaudate dagli Ab.. Per i giudici calabresi il tempo trascorso dai fatti - di per sé peraltro non così rilevante - non appare un elemento concreto ed idoneo ad incidere sulla permanenza dell'elevato pericolo recidivante sussistente nel caso di specie, sul corretto rilievo che "il tempo trascorso dalla commissione del reato" deve essere oggetto di valutazione, a norma dell'art. 292, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., da parte del giudice che emette l'ordinanza di custodia cautelare, mentre analoga valutazione non è richiesta dall'art. 299 cod. proc. pen. ai fini della revoca o sostituzione della misura (cfr. Sez. 2 n. 46368 de/ 14/09/2016, Rv. 268567). 5. Il provvedimento impugnato si colloca nel solco del consolidato orientamento di questa Corte di legittimità secondo cui le ordinanze in materia cautelare, quando siano esaurite le impugnazioni previste dalla legge, hanno efficacia preclusiva "endoprocessuale" riguardo alle questioni esplicitamente o implìcitamente dedotte, con la conseguenza che una stessa questione, di fatto o di diritto, una volta decisa, non può essere riproposta, neppure adducendo argomenti diversi da quelli già presi in esame (così Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235908 - 01 che nell'affermare tale principio, hanno escluso che possa valere a rimuovere l'effetto preclusivo il mero sopravvenire di una sentenza della Corte di cassazione che esprima un indirizzo giurisprudenziale diverso da quello seguito dall'ordinanza che ha deciso la questione controversa; conf. Sez. 5, n. 27710 del 04/05/2018, Bertocchi Rv. 273648 - 01 che ha ha annullato l'ordinanza del tribunale del riesame, emessa a seguito di appello avverso un'ordinanza di rigetto ex art. 299 cod. proc. pen., poiché i giudici, in quella sede, avevano operato una riqualificazione giuridica del fatto invece preclusa dal c.d. "giudicato cautelare"). E' stato anche affermato che in tema di giudicato cautelare, la preclusione processuale conseguente alle pronunzie emesse, all'esito del procedimento incidentale di impugnazione, dalla Corte Suprema ovvero dal Tribunale in sede di riesame o di appello, avverso le ordinanze in tema di misure cautelari, ha una portata più modesta rispetto a quella determinata dalla cosa giudicata, sia perché è limitata allo stato degli atti, sia perché non copre anche le questioni deducibili, ma soltanto le questioni dedotte, implicitamente o esplicitamente, nei procedimenti di impugnazione avverso ordinanze in materia di misure cautelari personali (così Sez. 1, n. 47482 del 06/10/2015, Orabona, Rv. 265858 - 01 che ha ritenuto riteneva non coperta dal giudicato cautelare, la questione, non dedotta nelle precedenti impugnazioni incidentali de liberiate, attinente alla incidenza sui termini della durata complessiva della custodia cautelare delle aggravanti speciali, riconosciute sussistenti nei due gradi del giudizio di cognizione). Tuttavia, è stato anche precisato che l'efficacia preclusiva endoprocessuaie del giudicato cautelare comprende le questioni dedotte esplicitamente e quelle che si pongono in rapporto di stretta derivazione logica con le prime (Sez. 6, n, 8900 del 16/01/2018, Persano, Rv. 272338 - 01) 6. Il tribunale catanzarese, peraltro, come visto non si è limitato a respingere l'istanza di sostituzione in mancanza dell'elemento di "novità", ma ha confutato le deduzioni difensive fornendo al riguardo esauriente e logica motivazione. In particolare, il giudice dell'appello cautelare, facendo corretta applicazione di detto principio, ha ravvisato in capo alla ricorrente la permanenza di concrete ed attuali esigenze cautelari, inferite dal suo ruolo (la ricorrente è la sorella del capo Ab.Ni.) all'interno della consorteria criminosa e dalle condotte poste in essere, connotate da abitualità e professionalità nel settore del narcotraffico. Elementi, questi, che avevano fondato l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere e rispetto ai quali non è stato introdotto alcun elemento di novità. Nel provvedimento impugnato si dà anche atto per quanto concerne i profili afferenti le condizioni di salute della ricorrente come nel caso di specie non sussista uno stato di incompatibilità delle stesse con il regime carcerario, peraltro neppure invocato dalla stessa difesa, stante altresì la recente perizia effettuata e richiamata dallo stesso Gip. e la relazione sanitaria della casa circondariale che attesta il continuo monitoraggio dell'Ab.Ro. non sussistendo pertanto i presupposti per l'applicazione dell'art. 275 co. 4-bis cod. proc. pen. Contrariamente a quanto assunto dalla difesa, il Tribunale di Catanzaro ha altresì fornito una motivazione immune da vizi logici e giuridici anche in ordine al mancato riconoscimento dei presupposti di cui all'art. 275 co. 4 cod. proc. pen. in relazione alla figlia (la figlia dell'Ab.Ro. ha un'età superiore ai sei anni e la ricorrente operava nell'ambito del sodalizio già prima dell'insorgere della patologia della stessa). Come si legge nel provvedimento impugnato, i giudici del gravame cautelare ritengono che non risulta idonea a ritenere attenuata l'intensità del pericolo di reiterazione delle condotte poste in essere dall'Ab.Ro. la certificata patologia della figlia in quanto, come correttamente evidenziato nel provvedimento impugnato, si tratta di situazioni sicuramente meritevoli di rilievo ma che sotto il profilo giuridico non possono che essere pretermesse rispetto alle esigenze di cautela sociale sottese all'applicazione della custodia in carcere. D'altro canto viene posto in rilievo come la ricorrente risulti cooperare nell'ambito del sodalizio già dal 2008, periodo nel quale veniva sentito il collaboratore Pe.Pa.che dava atto specificamente del ruolo negli "affari della droga condotti dagli zingari di L di Ab.Ro. e Ab.Ro.", dovendosi ritenere che tale modus operandi ha poi caratterizzato l'intero percorso esistenziale della stessa fino almeno al 2019 emergendo come per più di un decennio gli Ab. abbiano proseguito nella catena affaristica afferente allo spaccio organizzato e alle ulteriori attività criminali, pur essendo già genitori della figlia che benché non ancora affetta da patologia risultava in quanto minorenne comunque bisognosa di assistenza e di tutela psico-fisica. 7. Congruo e logico appare il percorso motivazionale in merito all'adeguatezza della misura essendo necessario impedire il movimento e le interazioni dell'indagata per scongiurare il ripetersi delle condotte di abitualità e professionalità nella gestione del narcotraffico. Per i giudici del gravame cautelare nel caso di specie le esigenze cautelari, in specie quella del pericolo di reiterazione del reato, appaiono di particolare intensità e non risultano scalfite dalle argomentazioni difensive, inidonee a superare la presunzione normativa. Invero, le esigenze cautelari, in specie quella del pericolo di reiterazione del reato, vengono ritenute di particolare intensità, atteso che la ricorrente è cautelata in relazione al delitto p. e p. dall'art: 74 D.P.R. 309/90, per il quale opera la presunzione normativa di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere, avendo peraltro l' Ab.Ro. comunque mostrato assoluta pervicacia nella perpetrazione del predetto delitto trattandosi di soggetto di fiducia degli esponenti apicali, così garantendo la sopravvivenza dell'associazione dedita al narcotraffico dovendo dunque ritenersi che la presunzione relativa prevista dall'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità opera non solo nel momento di adozione del provvedimento genetico della misura coercitiva ma anche nelle successive vicende che attengono alla permanenza delle esigente caute/ad, e, pertanto, solo fatti nuovi, anche se apprezzati congiuntamente a quelli originariamente esaminati, dai quali derivi un mutamento in melius del quadro indiziario, possono condurre alla sostituzone della misura con altra meno afflittiva" (così la richiamata Sez. 1, n. 82 del 10/11/2015, dep. 2016, Rv. 265383). Logica, pertanto, appare la conclusione che le evidenziate e allarmanti modalità e circostanze dei fatti, l'appartenenza della ricorrente, ad un sistema criminoso accuratamente organizzato e preordinato al commercio di droga, non possono che condurre a ritenere permanenti, immutate e inalterate le esigenze di cautela sottese al provvedimento genetico di applicazione della misura custodiale così come correttamente enunciato nel provvedimento impugnato, sicché in ordine al profilo dell'adeguatezza della misura unica idonea a salvaguardare le ritenute esigenze cautelari sia stata ritenuta quella di massimo rigore già disposta dal gip, reputandosi necessario imporre una incisiva limitazione alla libertà di movimento e di interazione dell'odierna ricorrente, così da scongiurarne il rischio di ripetizione di analoghi allarmanti comportamenti. Il giudice del gravame cautelare dà anche atto di avere valutato che altre forme di coercizione, quali quelle che presuppongono forme di autocustodia - compresa la misura degli arresti domiciliari in altro comune ovvero con dispositivo elettronico- appaiono nella fattispecie concreta inapplicabili, tenuto conto della spregiudicatezza della Ab.Ro. (peraltro indagata per un reato associativo a cui risultano sottesi ampi e complessi collegamenti territoriali) e della necessità di recidere in modo netto e radicale lo spessore criminale che ha dimostrato di possedere così come già valutato in sede di riesame. Logico appare infine, il rilievo che inidoneo si rivelerebbe anche il cosiddetto braccialetto elettronico, in quanto questo consentirebbe di monitorare continuamente la presenza dell'indagata nel perimetro entro il quale le sarebbe consentito di muoversi, così scongiurando il pericolo di evasione, ma non offrirebbe alcuna garanzia di controllo con riferimento alla possibilità che nel domicilio si compiano reati e, comunque, alle altre prescrizioni che di consueto accedono alla misura degli arresti domiciliari la cui violazione nel caso di specie potrebbe favorire il riattivarsi dell'attività criminosa. 8. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Vanno dati gli avvisi di cui all'art. 94 c. 1-ter disp. att. cod. proc. pen. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen. Così deciso in Roma il 3 aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 30 maggio 20204.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5539 del 2023, proposto da Sa. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vi.Do., Al.Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Al.Ce. in Roma, via (...); contro Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An.Ia., Gi.Ro.Ch., Fi.Ar., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Agenzia delle Entrate, Agenzia delle Entrate - Riscossione, Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., Wi.Ai.Hu. Ltd., Wi.Ai.Ma. Ltd., Ea.Ai. Company Ltd., Ry.Da., Vo. S.L., non costituite in giudizio; Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma.Di.Gi., El.Pa.Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Autorità di Regolazione dei Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ib.It.Bo. Airline Representatives, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma.Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); sul ricorso numero di registro generale 5632 del 2023, proposto da Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., Ea.Ai. Company Limited, Ry.Da., Vo. S.L., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Gi.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An.Ia., Gi.Ro.Ch., Fi.Ar., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Agenzia delle Entrate - Riscossione, Sa. S.p.A., Autorità di Regolazione dei Trasporti - Art, Wi.Ai.Hu. Ltd., Wi.Ai.Ma. Ltd., Associazione Ibar - Italian Board Airline Representatives, non costituite in giudizio; Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato El.Pa.Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma: quanto al ricorso n. 5539 del 2023: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00868/2023, resa tra le parti; quanto al ricorso n. 5632 del 2023: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00868/2023, resa tra le parti; Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Venezia e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Ministero dell'Interno e di Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile e di Autorità di Regolazione dei Trasporti e di Ib.It.Bo. Airline Representatives e di Comune di Venezia e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Ministero dell'Interno e di Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 novembre 2023 il Cons. Diana Caminiti e uditi per le parti gli avvocati Do., Ce., Ar., e Ci. in dichiarata delega di Di.Gi.. Ma., Ar., e Ci.in dichiarata delega di Di.Gi.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Sa. S.p.A., gestore dell’aeroporto di Venezia, e l’Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., associazione sindacale senza scopo di lucro che rappresenta gli interessi dei vettori aerei associati, rientranti nella c.d. categoria delle low fares, unitamente alle compagnie aeree Ea.Ai. Company Limited, Ry.Da., Vo. S.L., con autonomi ricorsi iscritti rispettivamente al n. ruolo, R.G. n. 5539/2023 e al n. R.G. n. 5632/2023, hanno interposto appello avverso la sentenza del Tar per il Veneto, sez. prima, 20 giugno 2023, n. 868, con cui sono stati respinti i ricorsi riuniti, da esse rispettivamente proposti, iscritti al n. R.G. 244/2023 e n. R.G. 395/2023, avverso delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022 concernente l'approvazione del Bilancio di previsione per gli esercizi finanziari 2023-2025, pubblicata dal 23 dicembre 2022 al 7 febbraio 2023, immediatamente eseguibile, nella parte in cui dispone di istituire un'addizionale comunale sui diritti aeroportuali d'imbarco a partire dal 1° aprile 2023 ed avverso i relativi atti presupposti. L’istituzione dell’addizionale comunale de qua da parte dell’Ente comunale ha fatto seguito ad un accordo, denominato “Patto per Venezia” (anch’esso oggetto di impugnativa), finalizzato al riequilibrio strutturale finanziario del bilancio di previsione, stipulato - in forza dell’art. 43, commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022 - tra il Comune di Venezia e la Presidenza del Consiglio dei Ministri. 2.1. L’indicato disposto normativo consente che i comuni sede di Città Metropolitana (come nel caso del Comune di Venezia), caratterizzati da “un debito pro capite superiore ad euro 1.000 sulla base del rendiconto dell'anno 2020 definitivamente approvato e trasmesso alla BDAP al 30 giugno 2022” (art. 43, comma 8, d.l. n. 50 del 2022), possano avviare, su proposta del Ministero dell’Economia e delle Finanze e all’esito della verifica dei requisiti da parte di un Tavolo tecnico appositamente istituito, un percorso di riequilibrio strutturale del bilancio comunale per mezzo dell’adozione delle misure di cui all’art. 1, comma 572, lettere da a) ad i), della legge n. 234 del 2021, fra le quali è previsto l’incremento dell’addizionale comunale all’IRPEF e un’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale. Nel caso in cui fosse deliberata l’addizionale sui diritti di imbarco (fino ad un massimo di 3 euro), è previsto come l’incremento dell’addizionale IRPEF non possa superare lo 0,4%. Nel ricordato “Patto per Venezia”, il Comune ha assunto l’impegno di istituire - limitatamente al periodo compreso tra il 2023 e il 2042, in cui dovrà essere ripianato il disavanzo - l’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale nei confronti di ogni passeggero nella misura di 2,50 euro fino al 2031, con una progressiva diminuzione, fino a 0,80 euro, per il periodo dal 2038 al 2042. 2.2. Con la deliberazione impugnata (su conforme proposta emendativa della Giunta) veniva peraltro stabilito che, limitatamente ai diritti di imbarco portuale, l’addizionale sarebbe stata istituita con un successivo atto e comunque a decorrere dal 1° gennaio 2026. Di conseguenza, l’addizionale, contestata in questa sede, risulta attualmente prevista per i soli imbarchi aeroportuali. Sa. s.p.a., società concessionaria dell’aeroporto “Marco Polo” di Venezia, ha pertanto impugnato innanzi al Tar per il Veneto, unitamente agli atti presupposti, la indicata deliberazione consiliare n. 75 del 23 dicembre 2022, nella parte in cui istituisce l’addizionale sui diritti di imbarco valevole negli aeroporti presenti sul territorio comunale. 3.1. Nel ricorso di prime cure - iscritto al n. R.G. 244 del 2023 - Sa. ha sostenuto che l’introduzione dell’addizionale, il cui onere economico viene fatto gravare sul passeggero, allorché acquista il biglietto presso il vettore (che, quale sostituto d’imposta, è poi tenuto a riversarne l’importo all’erario), comporterebbe la riduzione dell’attrattività dello scalo veneziano con grave danno per l’indotto che gravita attorno all’infrastruttura aeroportuale. 3.2. A sostegno del gravame ha articolato, in sei motivi, le seguenti censure: 1) Violazione dell’art. 3, comma 2, l. 212/2000 (Statuto del Contribuente); la deliberazione istitutiva dell’addizionale sui diritti d’imbarco sarebbe illegittima nella parte in cui avrebbe fissato la decorrenza dell’obbligo tributario per la data del 1° aprile 2023, senza tenere conto che, ai sensi dell’art. 3, comma 2 della l. n. 212 del 2000, la scadenza degli adempimenti posti a carico del contribuente non può essere fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell'adozione dei provvedimenti di attuazione. Detto termine, nel caso esaminato, avrebbe dovuto decorrere dalla comunicazione ai vettori e all’International Air Transport Association (IATA) da parte di ENAC e, in ogni caso, dalla determinazione delle modalità di riscossione del tributo (rectius: delle modalità di versamento all’Erario da parte dei vettori); 2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 conv. con mod. in l. 91/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; il Comune non avrebbe adeguatamente motivato in merito alle ragioni per le quali l’addizionale sui diritti d’imbarco è stata introdotta quale misura di risanamento, in luogo delle altre previste dalla normativa; 3) Illegittimità della delibera consiliare n. 75 del 2022 per eccesso e sviamento di potere in violazione dei principi di proporzionalità, imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa (art. 1, l. 241/1990 e s.m.i.) nonché eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà e ingiustizia manifeste, difetto di motivazione e istruttoria, sviamento; in continuità con la precedente censura, la ricorrente censurava la scelta di introdurre una rilevante misura impositiva applicabile, per numerose annualità, ai soli passeggeri partenti dallo scalo veneziano, ritenendola irragionevole, discriminatoria e squilibrata, in quanto i soggetti passivi del tributo sarebbero privi di “collegamento con il ripiano del disavanzo del Comune di Venezia”. Si osservava che l’Amministrazione si sarebbe determinata ad introdurre l’(ulteriore) addizionale sui diritti d’imbarco, dopo avere preso atto della difficoltà di riscuotere il contributo di accesso al centro storico di Venezia (punto 28 della deliberazione impugnata), il quale, tuttavia, sarebbe dovuto gravare su tutti i turisti che effettivamente fanno ingresso nella città, utilizzandone in modo massivo i servizi, diversamente da quanto si verificherebbe, il più delle volte, per l’utenza aeroportuale. Altrettanto irragionevole e discriminatoria sarebbe inoltre la scelta di non applicare il tributo, almeno in questa prima fase, agli imbarchi portuali; 4) Eccesso di potere, irragionevolezza della Delibera - Violazione del principio del legittimo affidamento; la deliberazione sarebbe inoltre illegittima nella parte in cui richiederebbe l’esazione del tributo a tutti i passeggeri in partenza dal 1° aprile 2023, indipendentemente dalla data di acquisto del titolo di viaggio, senza quindi escludere dalla sua sfera applicativa i passeggeri che abbiano acquistato il biglietto precedentemente a tale data; 5) Difetto di istruttoria e violazione delle garanzie partecipative e del contraddittorio procedimentale anche in relazione all’art. 2 lett. e) del d.lgs. n. 250 del 1997. Perplessità e irragionevolezza della motivazione; l’introduzione dell’addizionale sarebbe illegittima, in quanto non sarebbe stata preceduta da alcuna consultazione con l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (ENAC), competente riguardo all’”istruttoria degli atti concernenti tariffe, tasse e diritti aeroportuali” (art. 2, lett. e, d.lgs. n. 250 del 1997) e con la ricorrente, in quanto soggetto deputato alla riscossione del tributo; 6) Illegittimità costituzionale dell’art. 43 commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022 nonché dell’art. 1, comma 572 della l. n. 234/2021 (nella parte in cui consente ai Comuni sede di capoluogo di città metropolitane di istituire un incremento dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale per passeggero da destinare al ripiano del disavanzo comunale) con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost. e, in via derivata, illegittimità della delibera del Consiglio Comunale n. 75 del 23.12.2022; la ricorrente rilevava l’illegittimità costituzionale della disciplina di cui la contestata introduzione del tributo costituiva attuazione, osservando come l’istituzione di un’ulteriore addizionale sui diritti d’imbarco aeroportuali si ponesse in violazione principi costituzionali di ragionevolezza, di capacità contributiva e progressività del sistema tributario, nonché di leale collaborazione (art. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost.). La deliberazione impugnata risulterebbe inoltre viziata “per la violazione degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea” per mancato coinvolgimento degli enti interessati (in contrasto con la direttiva 2009/12/CE, art. 6, par. 2, recepita dal d.l. n. 1 del 2012). 3.3. Con motivi aggiunti Sa. contestava sotto ulteriore profilo la legittimità della deliberazione istitutiva del tributo, in quanto il presupposto tavolo tecnico si sarebbe tenuto il 20 ottobre 2022, ossia oltre il termine di legge, individuato dall’art. 43, comma 3, d.l. n. 50 del 2022, nel 30 settembre 2022. Con il secondo ricorso, l’Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., associazione sindacale senza scopo di lucro che rappresenta gli interessi dei vettori aerei associati, rientranti nella c.d. categoria delle low fares, già intervenuta ad adiuvandum nel giudizio promosso da Sa., ha del pari impugnato la delibera de qua, istitutiva dell’indicata addizionale comunale, unitamente alle compagnie aeree innanzi indicate, articolando analoghi motivi di gravame, ovvero deducendo: 1) Illegittimità costituzionale dell’art. 43, commi 2, 3 e 8, del d.l. 17 maggio 2022, n. 50, nonché dell’art. 1, comma 572, della l. 30 dicembre 2021, n. 234, con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 della Costituzione e, in via derivata, illegittimità della Deliberazione del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022. Violazione del principio della capacità contributiva e della progressività del sistema tributario; Violazione dell’art. 43, comma 3, d.l. n. 50/2022, convertito con modificazioni dalla l n. 91/2022; III. Violazione dell’art. 3, comma 2, l. 212/2000; Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della L. n. 241/1990. Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà e ingiustizia manifeste, difetto di motivazione e istruttoria, sviamento, disparità di trattamento. Violazione del principio del legittimo affidamento. Violazione dell’art. 97 della Costituzione. Il Comune di Venezia, nel costituirsi in prime cure in ambedue i giudizi, ha controdedotto in ordine a ciascun profilo di censura, insistendo per il rigetto dei ricorsi ed eccependo in via preliminare il difetto di interesse a ricorrere in capo a Sa.. L’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, del pari costituito in entrambi i giudizi, ha fatto presente di avere “comunicato al vettore nazionale l’avvenuta introduzione dell’addizionale sui diritti d’imbarco istituita al Comune di Venezia, ai fini della successiva notifica ai vettori operanti presso lo scalo di Venezia, ritenendo la medesima applicabile, ai sensi dell’art. 3, co. 2, l. 212/2000, a partire dal giorno 30.05.2023”, data determinata in seguito all’istruttoria - conclusa il 31 marzo 2023 - condotta ai sensi dell’art. 2, d.lgs. n. 250 del 1997, lett. e), e dell’art. 2, lett. t) del proprio Statuto (p. 4 della memoria depositata il 21 aprile 2023). In merito a tale comunicazione il Comune ha obiettato che la decorrenza dell’applicazione dell’addizionale prescinderebbe dall’interposizione attuativa di ENAC, e che essa coinciderebbe con la data stabilita dalla deliberazione consiliare di approvazione del bilancio di previsione, rispettosa del termine indicato dall’art. 3 della legge n. 212 del 2000. La sentenza del Tar ha respinto tutte le censure, affermando preliminarmente che la decorrenza, dal 1 aprile 2023, è da riferirsi alla data di acquisto del biglietto, come successivamente precisato dal Comune, e non alla data del volo, per cui ha rigettato anche la censura riferita alla necessità della dilazione temporale. Sa., con il ricorso iscritto al n. R.G. 5539 del 2023, ha impugnato la sentenza di prime cure, formulando avverso la stessa, in cinque motivi, le seguenti censure: I) Sul primo motivo di ricorso: erroneità della sentenza - omessa pronuncia Illegittimità della Delibera CC Venezia 75/2022: violazione e falsa applicazione dell’art. 3, co. 2, l. 212/2000 (Statuto del Contribuente); II) Sul secondo, terzo, quarto e quinto motivo di ricorso: erroneità della sentenza - Omessa pronuncia - Illegittimità della Delibera impugnata: Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 conv. con mod. in l. 91/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; III) Ancora sul quinto motivo di ricorso: Erroneità della sentenza - Illegittimità della Delibera: Difetto di istruttoria e violazione delle garanzie partecipative e del contraddittorio procedimentale anche in relazione all’art. 2 lett. e) del d.lgs. n. 250 del 1997. Perplessità e irragionevolezza della motivazione; IV) Sulla violazione del termine per la conclusione dell’istruttoria (motivo aggiunto); V) Sulla questione di legittimità costituzionale: Erroneità della sentenza: illegittimità costituzionale dell’art. 43 commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022 nonché dell’art. 1, comma 572 della l. n. 234/2021 (nella parte in cui consente ai Comuni, sede di capoluogo di città metropolitane di istituire un incremento dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale per passeggero da destinare al ripiano del disavanzo comunale) con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost. e, in via derivata, illegittimità della delibera del Consiglio Comunale n. 75 del 23.12.2022. 9.1. Sa. ha pertanto concluso in via principale per l’annullamento della sentenza di prime cure e per l’effetto per l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ed in via subordinata per la rimessione della questione di costituzionalità del d.l. n. 50 del 2022 nonché dell’art. 1, comma 572 della L. n. 234/2021, come rassegnate in atti. Analoghi motivi di appello sono stati formulati con il ricorso iscritto al n. R.G. 5632 del 2023 dall’Associazione italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai. e dalle compagnie aeree in epigrafe indicate. 10.1. Segnatamente, con tale atto, sono stati formulati, in quattro motivi di appello, le seguenti censure: I) Error in iudicando ed omessa pronuncia. Violazione dell’art. 3, comma 2, l. 212/2000; II) Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; III) Error in iudicando. Violazione dell’art. 43, comma 3, d.l. n. 50/2022, convertito con modificazioni dalla l n. 91/2022, in ragione del fatto che il Tavolo Tecnico ha concluso la propria istruttoria all’esito della riunione del 20 ottobre 2022 e quindi, oltre il termine del 30 settembre fissato dall’anzidetta disposizione di legge; IV) Error in iudicando ed omessa pronuncia. Illegittimità costituzionale dell’art. 43, commi 2, 3 e 8, del d.l. 17 maggio 2022, n. 50, nonché dell’art. 1, comma 572, della l. 30 dicembre 2021, n. 234, con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 della Costituzione e, in via derivata, illegittimità della Deliberazione del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022. Violazione del principio della capacità contributiva e della progressività del sistema tributario. 10.2. Anche l’Associazione italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai. e le compagnie appellanti hanno pertanto concluso in via principale per la riforma della sentenza di prime cure e per l’effetto per l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia, n. 75 del 23 dicembre 2022, ed in via subordinata per la rimessione della questione di costituzionalità rassegnata in atti. Il Comune di Venezia, costituitosi in entrambi i giudizi, ha preliminarmente reiterato l’eccezione relativa all’inammissibilità del ricorso di prime cure azionato da Sa. innanzi al Tar per il Veneto, per carenza di interesse, assorbita dal primo giudice sul rilievo dell’infondatezza del ricorso, evidenziando che la delibera oggetto di impugnativa introdurrebbe un adempimento gravante primariamente sui vettori, chiamati ad applicare una maggiorazione pari a 2,50 euro sui biglietti venduti a partire dall’1.4.2023, mentre il coinvolgimento di Sa. riguarderebbe unicamente la fase successiva di periodica rendicontazione e riversamento di quanto riscosso all’Amministrazione. 11.1. Nel merito ha insistito per il rigetto di entrambi gli appelli. IBAR - Italian Board Airline Representatives, associazione dei vettori aerei, operanti in Italia, costituita nel 1960, cui è stato notificato il ricorso in appello da parte di Sa., in qualità di interveniente, ha aderito alle conclusioni dell’appellante Sa. s.p.a.. Le amministrazioni statali evocate in giudizio e l’Enac si sono costituiti con atti di mero stile in entrambi i giudizi. Le parti hanno rinunciato all’istanza cautelare all’udienza camerale del 18 luglio del 2023, in vista della fissazione del merito degli appelli per l’udienza pubblica del 30 novembre 2023. Nelle more della celebrazione di tale udienza, il Comune di Venezia ha prodotto documenti e sia le parti appellanti che il Comune di Venezia hanno prodotto articolate memorie difensive, insistendo nei rispettivi assunti. 15.1. In particolare il Comune ha evidenziato e documentato per un verso come, nonostante l’adozione della delibera oggetto di impugnativa, si sia registrato un incremento dei collegamenti dall’Aeroporto di Venezia da parte di diverse compagnie aeree, e per altro verso come negli ultimi anni si sia assistito ad un aumento crescente del costo dei biglietti aerei, per lo più correlato ai servizi aggiuntivi offerti. 15.2. Ha inoltre evidenziato come della documentazione prodotta - segnatamente Masterplan 2023-2037 - sia evincibile l’impatto che il traffico aereo genera, tra gli altri, sulle infrastrutture, servizi e ambiente del Comune di Venezia. 15.3. Le parti appellanti hanno replicato sull’irrilevanza di quanto addotto e documentato nell’odierno grado di appello da parte del Comune. DIRITTO Il presente contenzioso ha ad oggetto la delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022, concernente l'approvazione del Bilancio di previsione per gli esercizi finanziari 2023-2025, nella parte in cui dispone di istituire un'addizionale comunale sui diritti aeroportuali d'imbarco a partire dal 1° aprile 2023, oggetto di contestazione da parte di Sa. s.p.a. (d’ora in poi anche semplicemente Sa.), dall’Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai. (in seguito anche solamente Associazione), e dalla compagnie aeree Wi.Ai.Hu. Ltd., Wi.Ai.Ma. Ltd., Ea.Ai. Company Ltd., Ry.Da., Vo. S.L. (di seguito anche compagnie aeree). A fronte della sentenza di rigetto del Tar, le ricorrenti, con separati atti di appello, hanno reiterato le censure formulate in primo grado, contestando i passaggi motivazionali della sentenza di prime cure. Ciò posto, occorre preliminarmente procedere alla riunione dei ricorsi in epigrafe indicati, ai sensi dell’art. 96 comma 1 c.p.a., in quanto proposti avverso la medesima sentenza. Prima di passare alla disamina dei motivi di appello e delle eccezioni preliminari di rito giova peraltro ripercorrere l’excursus normativo e procedimentale che ha condotto all’adozione della delibera gravata in prime cure. 19.1. Il d.l. n. 50/2022 (c.d. decreto aiuti), convertito con modificazioni dalla l. n. 91/2022, ha previsto, all’art. 43, misure di riequilibrio finanziario di province, città metropolitane e comuni capoluogo di provincia. La norma distingue: i) misure destinate a enti per i quali è in corso l’applicazione della procedura di riequilibrio ai sensi dell’art. 243-bis del d.lgs. 267/2000 o che si trovano in stato di dissesto finanziario ai sensi dell’art. 244 del medesimo decreto (comma 1); ii) misure finalizzate al riequilibrio finanziario dei comuni capoluogo di provincia che hanno registrato un disavanzo pro-capite superiore a 500 euro sulla base del disavanzo risultante dal rendiconto 2020 definitivamente approvato (comma 2); iii) misure rivolte ai comuni sede di città metropolitana “con un debito pro-capite superiore a 1000 euro, sulla base del rendiconto dell’anno 2020 definitivamente approvato... che intendano avviare un percorso di riequilibrio strutturale” (comma 8). 19.2. Con riferimento a tale terza fattispecie, che è quella attivata dal Comune di Venezia, la procedura è disciplinata mediante rinvio al comma 2, che prevede la sottoscrizione di un accordo con il Presidente del Consiglio dei Ministri o suo delegato, su proposta del Ministero dell’economia e delle finanze, nel quale “il comune si impegna, per il periodo nel quale è previsto il ripiano del disavanzo, a porre in essere, in tutto o in parte, le misure di cui all’articolo 1, comma 572, della legge n. 234 del 2021”. La conclusione dell’accordo è preceduta dalla verifica delle misure proposte dai comuni interessati da parte di un tavolo tecnico istituito presso il Ministero dell’interno, il quale “considerata l’entità del disavanzo da ripianare, individua anche l’eventuale variazione, quantitativa e qualitativa, delle misure proposte dal comune interessato per l’equilibrio strutturale del bilancio” (art. 43, comma 3, del d.l. 50/2022). 19.3. Con nota prot. n. 18343 del 18.7.2022 il Ministero dell’interno - Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, ha comunicato al Comune di Venezia l’avvenuta istituzione del suddetto tavolo tecnico, invitando l’ente - qualora intenzionato ad avvalersi delle procedure previste dal citato art. 43 del d.l. 50/2022 - a proporre entro il 31.7.2022 le misure finalizzate alla sottoscrizione dell’accordo di riequilibrio strutturale (doc. 1 fasc. primo grado Comune di Venezia; al fascicolo di primo grado del Comune di Venezia si riferiscono i successivi allegati, ove non diversamente precisato). 19.4. In riscontro a tale missiva, il Sindaco del Comune di Venezia ha proposto l’istituzione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale per passeggero fino a 3 euro, in considerazione del contesto descritto nell’allegata relazione a firma del Direttore dell’Area Economia e Finanza (nota PG 342430 del 29.7.2022 - doc. 2 fasc. primo grado). 19.5. Su richiesta del Ministero dell’interno, il Comune di Venezia ha successivamente trasmesso, per l’esame da parte del tavolo tecnico, i prospetti contenenti la quantificazione delle entrate attese dall’applicazione delle misure proposte e la conseguente verifica degli equilibri di bilancio per effetto dell’applicazione di tali misure (nota PG 387323 del 31.8.2022 - doc. 3 fasc. primo grado). I prospetti sono stati accompagnati da una nota esplicativa del Direttore dell’Area Economia e Finanza nella quale è stata ribadita la situazione di importante riduzione delle entrate, a fronte della quale l’Amministrazione si era vista costretta, sia in sede di approvazione del bilancio di previsione 2022, sia in sede di assestamento, all’adozione di misure straordinarie per la copertura della spesa corrente. 19.5.1. L’Amministrazione ha quindi ipotizzato l’attuazione di una misura consistente nell’applicazione dell’addizionale pari a 2,50 euro ad una platea di 5.600.000 passeggeri stimati l’anno, per un totale di 14.000.000 fino al 2031, con una progressiva diminuzione dell’importo negli anni successivi, fino a 0,80 euro a decorrere dall’anno 2038 (v. ancora doc. 3 fasc. primo grado). 19.6. Nell’ambito delle interlocuzioni con il Ministero dell’interno, è stata inoltre condivisa la possibilità di valorizzare, quale indicatore funzionale al monitoraggio dell’accordo e della misura in riduzione dell’addizionale, l’eventuale formazione di un avanzo libero nella gestione corrente. 19.7. La proposta del Comune di Venezia è stata esaminata nella seduta del tavolo tecnico del 20.10.2022, che ha concluso l’istruttoria con esito positivo. 19.8. In data 23-25.11.2022 è stato quindi sottoscritto, tra Presidenza del Consiglio dei Ministri e Comune di Venezia, l’accordo denominato “Patto per Venezia” (doc. 5 fasc. primo grado e doc. 32 fasc. primo grado, completo di firme) per la formalizzazione delle misure destinate ad assicurare il riequilibrio strutturale, nel quale: - l’Amministrazione comunale si è impegnata all’attuazione di una politica di gestione del debito orientata ad una sua progressiva e costante diminuzione, tenendo conto degli investimenti programmati nell’ambito delle iniziative correlate al PNRR (punto 1); - è stata prevista l’attivazione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale per passeggero pari a 2,50 euro a persona a decorrere dal 2023 e fino al 2031, con una graduale diminuzione a partire dal 2032, fino ad euro 0,80 dal 2038 al 2042 (come da tabella ivi riportata: punto 2); - è stata considerata l’eventualità della formazione di un avanzo libero di gestione ed il suo impatto in riduzione sulla misura programmata (punti 4 e 5); - è stata prevista la facoltà del Comune di Venezia di proporre, previa deliberazione del Consiglio comunale, una diversa rimodulazione delle misure da adottare, con conseguente aggiornamento del cronoprogramma (punto 6). 19.9. Con deliberazione del Consiglio comunale n. 75 del 23.12.2022 (doc. 6 fasc. primo grado), in sede di approvazione del bilancio di previsione per gli esercizi finanziari 2023-2025, il Comune di Venezia ha quindi istituito la citata addizionale comunale, prevedendo una diversa articolazione temporale per quella sui diritti di imbarco aeroportuale e quella sui diritti di imbarco portuale. Con riferimento alla prima fattispecie è stata infatti sancita la sua applicazione a partire dal 1 aprile 2023, mentre con riguardo all’addizionale sui diritti di imbarco portuale è stata prevista l’applicazione dall’1.1.2026, “in considerazione degli effetti del d.l. n. 103/2021, convertito dalla legge n. 125/2021, che hanno determinato una situazione di mutabilità logistica e incerto andamento relativamente a transiti e approdi delle grandi navi passeggeri con effetti la cui durata ad oggi non è prevedibile”. 19.10. In data 13.1.2023 l’Assessore al Bilancio del Comune di Venezia ha dunque comunicato all’Amministratore Delegato di Sa. S.p.A., gestore dell’aeroporto di Venezia, l’avvenuta istituzione della citata addizionale, invitando la società a concordare un incontro finalizzato a definire le modalità di accertamento, liquidazione e riscossione dell’entrata, attività spettanti per legge e per prassi consolidata alle società concessionarie di aeroporti. 19.11. Nelle more, l’Amministrazione comunale, in attuazione della DCC n. 75/2022, ha precisato che l’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale dovrà essere applicata ai biglietti venduti a partire dal 1° aprile 2023, al fine di garantire l’effettività del diritto di rivalsa accordato dalla normativa di settore ai vettori (doc. 18 fasc. primo grado). 19.12. L’avvenuta istituzione dell’addizionale comunale è stata comunicata, in data 20.2.2023 all’Enac (doc. 19 fasc. primo grado) e alla Iata (doc. 20 fasc. primo grado) e in data 13.2.2023 all’Autorità di regolazione trasporti (doc. 21 e 22 fasc. primo grado). 19.13. Parallelamente, in data 1.3.2023, il Comune di Venezia ha sollecitato l’Enac a dare riscontro dell’avvenuta comunicazione ai vettori dell’istituzione dell’addizionale, al fine di consentire il tempestivo avvio dell’attività di riscossione (doc. 23 fasc. primo grado). Sennonché l’Enac - precisando che l’aggiornamento dei sistemi di biglietteria necessario per rendere esigibile la nuova addizionale comunale “avviene a seguito di una notifica effettuata per il tramite del vettore nazionale di riferimento previa apposita comunicazione da parte dell’ENAC, non essendo contemplata, da quadro normativo vigente e dalla prassi consolidatasi sin dall’istituzione della prima addizionale comunale alcuna azione diretta dei Comuni nei confronti dei Vettori” - ha chiesto al Comune di trasmettere copia di tutti gli atti istruttori che hanno preceduto l’istituzione dell’addizionale, “al fine di verificare e condividere la procedura adottata”. In pendenza del giudizio di primo grado, l’Enac, con nota del 31.3.2023, ha comunicato al Comune di aver “completato l’istruttoria necessaria per inviare la comunicazione alla IATA per l’aggiornamento degli importi relativi agli oneri accessori alle tariffe aeree” (doc. 34 fasc. primo grado). Sempre l’Enac, con ulteriore nota del 31.3.2023, indirizzata a ITA e per conoscenza, tra gli altri, anche al Comune di Venezia, ha comunicato ai vettori l’avvenuta istituzione dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco ai sensi dell’art. 43, co. 2 e 8 del d.l. n. 50/2022, affermando che “l’addizionale di che trattasi sarà esigibile per i biglietti venduti dal 30 maggio p.v.” e ciò in ragione del fatto che la notifica (da parte dell’Enac) ai vettori rappresenterebbe “un provvedimento di attuazione della disposizione istitutiva del tributo da cui far decorrere il [...] termine di 60 giorni (n. d.r. fissato dall’art. 3, co. 2 della L. n. 212/2000)”. Ciò posto, quanto ai presupposti normativi e ai passaggi procedimentali aventi ad oggetto la delibera oggetto di impugnativa in prime cure, in limine litis va delibata l’eccezione di difetto di interesse a ricorrere in capo all’appellante Sa., reiterata in questa sede dal Comune di Venezia, in quanto assorbita dal giudice di prime cure con la sentenza di rigetto oggetto di gravame. Infatti, come noto, l’esame delle questioni preliminari deve precedere la valutazione del merito della domanda (Cons. Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4), salve esigenze eccezionali di semplificazione che possono giustificare l'esame prioritario di altri aspetti della lite, in ossequio al superiore principio di economia dei mezzi processuali (Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5); inoltre l'ordine di esame delle questioni pregiudiziali di rito non rientra nella disponibilità delle parti (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 febbraio 2014, n. 9). La norma positiva enucleabile dal combinato disposto degli artt. 76, co. 4, c.p.a. e 276, co. 2, c.p.c., impone infatti di risolvere le questioni processuali e di merito secondo l'ordine logico loro proprio, assumendo come prioritaria la definizione di quelle di rito rispetto a quelle di merito, e fra le prime la priorità dell'accertamento della ricorrenza dei presupposti processuali (nell'ordine, giurisdizione, competenza, capacità delle parti, ius postulandi, ricevibilità, contraddittorio, estinzione), rispetto alle condizioni dell'azione (tale fondamentale canone processuale è stato ribadito anche da Cons. Stato Ad. Plen. 3 giugno 2011, n. 10). 20.1. Segnatamente l’amministrazione comunale sostiene che Sa. non avrebbe interesse al presente giudizio in quanto il suo coinvolgimento riguarderebbe soltanto la fase di rendicontazione e riversamento all’Amministrazione di quanto riscosso a titolo di addizionale comunale, conseguendone che la Deliberazione del Comune di Venezia impugnata non arrecherebbe nessun pregiudizio alla odierna appellante. 20.2. L’eccezione, ad avviso del collegio, è infondata. Ed invero, alla luce di quanto innanzi precisato, non può che evidenziarsi come risulti dagli atti che Sa. sia il soggetto direttamente tenuto all’espletamento dell’attività di riscossione dell’addizionale, secondo quanto del resto richiesto dall’ente locale. Infatti, lo stesso Comune veneziano, con nota del 13 gennaio 2023 comunicava a Sa. la necessità di definire congiuntamente «le modalità applicative con riferimento all’addizionale comunale introdotta con la citata deliberazione», rendendosi dunque necessario stipulare un accordo per la disciplina della gestione amministrativa e finanziaria finalizzata alla riscossione e al versamento dell’entrata in questione, comprese le attività correlate e complementari, gravando pertanto la concessionaria dell’aeroporto di tali attività. Peraltro è la stessa deliberazione C.C. impugnata che ha attribuito ai gestori aeroportuali l’onere della riscossione e del riversamento al Comune, delegando alla Giunta l’approvazione di appositi accordi (con la concessionaria dell’aeroporto) per la disciplina di tale attività (cfr. p. 27 del dispositivo della delib. C.C. 75 impugnata). 20.3. Inoltre, a prescindere da tali superiori rilievi, come replicato da Sa. all’eccezione formulata dal Comune, al di là dell’attività di riscossione e dei relativi costi, Sa. è altresì direttamente interessata dall’incremento dell’addizionale sui diritti d’imbarco oggetto di impugnativa per la circostanza che, con la sua entrata in vigore, l’aeroporto Marco Polo di Venezia è diventato il più caro d’Italia (l’incremento dell’addizionale di 2.50 euro va infatti aggiunto ai 6.50 euro già vigenti, per un totale di 9,00 euro). A ciò consegue pertanto il lamentato effetto lesivo - da valutarsi ex ante al momento dell’adozione della delibera, secondo un criterio di consequenzialità logica e non ex post, con conseguente irrilevanza di quanto dedotto e documentato nell’odierno grado di appello dal Comune di Venezia circa l’aumento dei voli presso l’aeroporto di Venezia, pur dopo l’adozione della misura - riferito al pericolo di abbandono o riduzione dei voli da e per l’Aeroporto Marco Polo, con un evidente impatto sul numero dei passeggeri che transitano per il sedime aeroportuale e, conseguentemente, sulle strategie del gestore aeroportuale. Ciò posto, nell’esaminare i motivi di appello, non avendo le parti appellanti vincolato i motivi in senso vincolante per il giudice, secondo il noto arresto di cui alla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015, ad eccezione dell’ultimo motivo, relativo alla dedotta illegittimità costituzionale dell’art. 43 commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022, nonché dell’art. 1, comma 572 della l. n. 234/2021, formulati in via subordinata rispetto ai precedenti motivi, il collegio esaminerà le censure in ordine logico, avuto in particolare riguardo alla maggiore satisfattività delle stesse rispetto agli interessi fatti valere dalle parti appellanti. In tale ottica ritiene il collegio che l’esame delle censure articolate in entrambi gli appelli al primo motivo, in quanto riferite alla mera decorrenza dell’addizionale di cui è causa, possa essere postergato alla disamina degli ulteriori motivi, del pari formulati in via principale, in quanto riferiti alla stessa legittimità dell’istituzione dell’indicata misura, con possibilità pertanto di assorbimento in caso di ritenuta fondatezza degli stessi. Il secondo motivo di appello articolato da Sa., nonché l’analogo secondo motivo di appello formulato dall’Associazione e dalle compagnie aeree, volti a contestare la sentenza di prime cure, nei punti in cui ha disatteso le censure di difetto di motivazione e di istruttoria, sono fondati nel senso di seguito precisato. 23.1. Il giudice di prime cure, nel disattendere i motivi formulati dalle odierne appellanti, ha in primo luogo osservato come la delibera oggetto di impugnativa non necessitasse di motivazione in quanto atto generale, richiamando a sostegno di tale conclusione una sentenza di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. III, 12 febbraio 2020, n. 1111), che così ha qualificato un atto di approvazione del calendario nazionale delle corse negli ippodromi (par. 14.1 della sentenza), nonché altro pronunciamento di questa Sezione, (Cons. St., Sez. V, 10 luglio 2003, n. 4117), relativa alla non necessità di motivazione dell’intervallo d’imposta fra il minimo ed il massimo, laddove nell’ipotesi di specie viene in rilievo la decisione, fra le varie scelte lasciate dalla normativa innanzi indicata alla discrezionalità dell’ente locale, della stessa istituzione dell’addizionale di cui è causa. Inoltre, secondo il giudice di prime cure, il merito della scelta operata dall’amministrazione comunale - reso sulla scorta del parere del tavolo tecnico - sarebbe inconfutabile (par. 14.2 della sentenza), così come inconfutabili sarebbe l’iscrizione delle poste del bilancio di previsione dell’ente e le disposizioni volte a individuare le risorse destinate a dare copertura alle voci di spesa (14.3). Per quanto specificamente concerne poi l’art. 43, comma 8, d.l. n. 50/2022, la procedura prescinderebbe dall’accertamento di una situazione di astratto pareggio formale, ovvero dalla presenza di un avanzo o disavanzo transitorio e, nella specie, la deliberazione impugnata sufficientemente chiarirebbe i presupposti atti a giustificare l’introduzione dell’addizionale (ossia, l’entità del debito pro capite e l’instaurazione del percorso di riequilibrio strutturale) (parr. 14.5 - 14.7 della sentenza). Infine, tale misura non sarebbe né irragionevole né discriminatoria, in quanto il Comune avrebbe esigenza di reperire le risorse per sopperire alle esternalità negative, generate dall’aeroporto, e rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore la scelta di destinazione del gettito (parr. 14.8 - 14.9). Le statuizioni di prime cure sono state sottoposte a critica dalle odierne appellanti, che hanno reiterato le censure di difetto di istruttoria e di motivazione articolate in prime cure, evidenziando l’erroneità della motivazione resa al riguardo dal primo giudice. Nell’esaminare tali censure giova peraltro richiamare l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale nel giudizio amministrativo l'art. 101 c.p.a. (d.lgs. n. 104/2010) - che fa riferimento a "specifiche censure contro i capi della sentenza gravata" - deve essere coordinato con il principio di effetto devolutivo dell'appello, in base al quale è rimessa al giudice di secondo grado la completa cognizione del rapporto controverso, con integrazione - ove necessario - della motivazione della sentenza appellata e senza che rilevino, pertanto, le eventuali carenze motivazionali di quest'ultima (ex multis Cons. Stato, sez. V, 26 aprile 2021, n. 3308; 17 gennaio 2020, n. 430; 13 febbraio 2017, n. 609). 25.1. Ciò posto, vanno in primo luogo disattese le censure formulate da Sa., su cui il primo giudice si è pronunciato in maniera implicita, rinviando per un verso alla completezza dell’istruttoria svolta dal tavolo tecnico e per altro verso alla finalità della misura, volte a contestare, sia pure sotto il profilo del difetto di istruttoria, avuto riguardo anche alla perizia prodotta in prime cure, la stessa sussistenza dei presupposti per il ricorso alla misura de qua. 25.2. Nella richiamata relazione di parte si afferma infatti che “dall’andamento del risultato di amministrazione dell’ultimo triennio si evince come non sussistono le esigenze per il riequilibrio strutturale” (v. pg. 14 dell’atto di appello). Il riferimento è alla situazione di avanzo che il perito di parte ha indicato con riferimento agli anni 2020, 2021 e 2022” (punto 5 del doc. 5 del fasc. di primo grado di Sa.). Il rilievo è privo di fondamento, in quanto, come innanzi precisato, condizione per l’attivazione della procedura di cui ai commi 2 e 8 dell’art. 43 del DL 50/2022 e dunque per l’applicazione dell’addizionale comunale oggetto di causa è l’esistenza di un “debito pro-capite superiore ad euro 1.000 sulla base del rendiconto dell’anno 2020 definitivamente approvato e trasmesso alla BDAP al 30 giugno 2022” (co. 8 del cit. art. 43) 25.2.1. La procedura prevista dall’art. 43, commi 2 e 8 del d.l. n. 50/2022 pertanto, come evidenziato nelle difese del Comune: (i) è compatibile con una situazione di avanzo di amministrazione, altrimenti il legislatore avrebbe limitato tale strumento ai soli enti in disavanzo (laddove il comma 8 del citato art. 43 si riferisce ai comuni con debito pro-capite superiore a euro 1.000 “che intendano avviare un percorso di riequilibrio strutturale”); (ii) è compatibile con una transitoria assenza di disavanzo, siccome finalizzata al raggiungimento di un equilibrio duraturo. Per contro fondate sono le censure di difetto di motivazione e di istruttoria articolate del pari nel secondo motivo da entrambe le parti appellanti, con i separati ricorsi, nel senso di seguito precisato. 26.1. Il primo giudice ha al riguardo in primo luogo affermato che la delibera comunale oggetto di impugnativa, in quanto atto generale, si sottrae all’obbligo di motivazione, ex art. 13 l. 241/90. 26.2. L’assunto, ad avviso del collegio, non è condivisibile, dovendo aderirsi a quell’orientamento giurisprudenziale, richiamato dalle parti appellanti, secondo il quale, anche per gli atti a carattere generale aventi carattere composito sussiste un obbligo motivazionale che è conseguenza diretta dei fondamentali principi di legalità e buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione (ex multis T.A.R. Piemonte, Sez. I, n. 101/2020; in termini Cons. Stato, Sez. V, nn. 5729/2019, 1162/2019, 539/2022). Secondo tale condivisibile orientamento i provvedimenti che costituiscono e disciplinano la tariffa per la gestione dei rifiuti (e dunque in materia tributaria), “pur avendo natura di atti generali... hanno un contenuto composito, in parte regolamentare e in parte provvedimentale (con particolare riferimento al costo del servizio e la determinazione della tariffa.... le agevolazioni... le modalità di riscossione... etc.) che non può intuitivamente sfuggire a qualsiasi forma di controllo e che non può essere sottratto all’obbligo della motivazione, se non al costo di rinnegare i principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento, i quali, ai sensi dell’ar.t 97 della Cost. devono caratterizzare l’azione amministrativa”. Pertanto anche tali provvedimenti, in base alla richiamata giurisprudenza, non si sottraggono alle censure di difetto di istruttoria e di motivazione. Ciò posto, avuto riguardo altresì alla motivazione contenuta nella sentenza di prime cure circa la sufficiente indicazione contenuta negli atti gravati dei presupposti giuridici e fattuali per il ricorso all’indicata misura, occorre ripercorrere l’iter istruttorio, con il correlativo supporto motivazionale, che ha portato all’adozione della delibera n. 77 del 23 dicembre 2022, oggetto di impugnativa in prime cure, avendo le parti appellanti censurato la sentenza del Tar, laddove ha ritenuto l’Amministrazione esonerata dal motivare le proprie scelte di istituire l’addizionale sui diritti di imbarco aeroportuale, senza peraltro alcuna considerazione, né motivazione delle ragioni per cui non aveva considerato alcuna delle altre opzioni consentite dalla legge per il raggiungimento del medesimo risultato e senza dare evidenza dei dati che la rendevano maggiormente coerente con la ratio perseguita e idonea al risanamento del disavanzo. 27.1 Ciò posto, giova precisare che la delibera oggetto di impugnativa, che è l’atto terminale del procedimento che ha portato all’istituzione dell’addizionale de qua, risulta così motivata: “Richiamato l’articolo 43, comma 8 del decreto legge n. 50/2022 convertito con legge 15.7.2022 n, 91 che consente ai comuni sede di città metropolitana, con un debito pro-capite superiore ad euro 1.000,00 sulla base del rendiconto dell’anno 2020, di attivare le procedure di cui ai commi 2, 3 e 6 del medesimo articolo; Dato atto che in esito alla procedura di verifica tecnica di direzione ministeriale, di cui al comma 3 dell’articolo 43 del decreto legge n. 50/2022 è stato sottoscritto tra i soggetti, con le modalità e i termini previsti dalla norma, l’accordo di cui all’art. 43 comma 2 del medesimo decreto, che prevede l’attuazione della misura di cui all’articolo 1, comma 572, lettera a) della L. 234/2021 relativamente all’addizionale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale; Considerato che il recepimento delle misure accordate dal Tavolo tecnico ministeriale ai sensi della richiamata normativa costituisce prescrizione sostanziale per l’efficacia dell’accordo; Preso atto che ai sensi del punto 6 dell’accordo, il Comune di Venezia può, “previa deliberazione del Consiglio Comunale, proporre una diversa modulazione delle misure da adottare e aggiornare, di conseguenza, il cronoprogramma”; Ritenuto pertanto: -quanto all’addizionale sui diritti di imbarco aeroportuale, in considerazione dei tempi tecnici di avvio, di procede con l’istituzione e con l’applicazione a decorre dal 1° aprile 2023; -quanto all’addizionale sui diritti di imbarco portuale, in considerazione degli effetti del D.L. n. 103/2021, convertito dalla legge n. 125/2021, che hanno determinato una situazione di mutabilità logistica e incerto andamento relativamente a transiti ed approdi delle grandi navi passeggeri con effetti la cui durata ad oggi non è prevedibile, di prevedere l’istituzione con successivo atto a decorrere dal 1° gennaio 2026; Ritenuto quindi di procedere con l’istituzione, a decorrere dal 1° aprile 2023, dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale nella prescritta misura di euro 2,50 dal 2023 al 2031, e progressivamente diminuita negli importi indicati a decorrere dal 2032 e fino al 2042, fatta salva diversa modulazione, previa deliberazione del Consiglio Comunale, ai sensi del punto 6 dell’accordo; Dato atto che, in applicazione della normativa vigente (tra le altre L. 324/1976, D.Lgs. 250/1997, L. 350/2003) e della prassi esecutiva di altri enti, le modalità di riscossione di detta addizionale saranno definite con appositi accordi con i soggetti interessati da approvarsi a cura della Giunta Comunale; Richiamato il regolamento per “L’istituzione e la disciplina del Contributo di accesso, con qualsiasi vettore, alla Città antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna”, approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. 11 del 26.02.2019 e successive modifiche; Dato atto che, a seguito modifiche legislative intervenute, è attualmente all’esame degli organi consiliari la proposta di deliberazione n. 1032/2022 ad aggetto: “Regolamento per l’istituzione e la disciplina del contributo di accesso, con o senza vettore, alla Città Antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 1129 della legge n. 145 del 30/12/2018”; Ritenuto quindi necessario sospendere l’efficacia del regolamento per “L’istituzione e la disciplina del Contributo di accesso, con qualsiasi vettore, alla Città antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna”, approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. 11 del 26.02.2019 e successive modifiche”. 27.2. Peraltro occorre considerare anche le motivazioni emergenti dagli atti presupposti rispetto all’indicata delibera, da intendersi richiamati per relationem nella stessa. 27.3. Infatti, come innanzi precisato, l’articolo 43, comma 8, del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2022, n. 91, consente ai comuni sede di città metropolitana e ai comuni capoluoghi di provincia con un debito pro capite superiore a euro 1.000 sulla base del rendiconto dell’anno 2020 definitivamente approvato e trasmesso alla BDAP entro il 30 giugno 2022, di avviare un percorso di riequilibrio strutturale attraverso la sottoscrizione di un accordo con il Presidente del Consiglio dei ministri o suo delegato, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, accordo pertanto costituente il necessario presupposto della delibera impugnata. 27.4. L’Accordo tra lo Stato ed il Comune di Venezia depositato in atti, denominato Patto per Venezia, la cui sottoscrizione è stata subordinata alla verifica, da parte del Tavolo tecnico appositamente istituito presso il Ministero dell’Interno, ai sensi del citato art. 43 d.l. n. 50 del 2022, delle misure proposte dai comuni interessati ai fini dell’equilibrio strutturale del bilancio, scelte tra quelle previste all’articolo 1, comma 572, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, a sua volta, nel rinviare al resoconto della seduta del 20 ottobre 2022 del Tavolo tecnico, precisa che dalle risultanze di tale tavolo è emerso che, nonostante il comune di Venezia abbia registrato nel triennio 2019-2021 un consistente avanzo libero, questo sia stato determinato da eventi straordinari e non ricorrenti e che, nel contempo, il Comune aveva rappresentato significative riduzioni di entrata, legate in via principale al fenomeno turistico, evidenziando come allo stato attuale non vi fossero indicazioni che consentissero di considerare tali entrate transitorie. La rigidità del bilancio, derivante dall’attuale livello di indebitamento e da quello da contrarre per garantire la realizzazione di nuovi investimenti correlati al PNRR, si ripercuoterebbe infatti sul mantenimento degli equilibri finanziari che, in assenza di misure straordinarie, rischierebbe di compromettere la qualità e di rivedere al ribasso la quantità dei servizi erogati. 27.5. A sua volta la nota del Comune di Venezia PG 342430 del 29/7/2022, con cui si è comunicato al Ministero dell’Interno l’intenzione di avvalersi della previsione di cui all’art. 43, comma 8, del decreto legge 7 maggio 2022, ovvero l’atto di impulso all’istituzione dell’addizionale de qua, rappresenta in primo luogo il percorso virtuoso dell’Amministrazione comunale che, a partire dal 2015, aveva intrapreso un’importante opera di risanamento finanziario, con azzeramento del disavanzo e riduzione dell’indebitamento. 27.5.1. Peraltro, nella nota stessa si precisa che “Nonostante tali risultati, l’impatto del debito sugli equilibri di bilancio, anche in considerazione di operazioni derivate comportanti differenziali negativi significativi, continua ad essere importante. Nel 2021, infatti, a titolo di rimborso quote capitale, interessi, accantonamenti per rimborso prestito obbligazionario bullet, differenziali swap ed oneri pluriennali il Comune di Venezia ha assunto impegni per euro 29.919.641,85. In una situazione di normalità, la dinamica del debito sarebbe stata tale da poter essere gestita, pur con qualche dovuta attenzione, all’interno di un quadro di bilancio prospetticamente in sostanziale equilibrato ed in tale contesto il Comune aveva programmato l’accensione di nuovo debito a supporto della realizzazione, con i fondi del PNRR, di un’opera strategica per il territorio che manca di strutture sportive di primissimo livello quali è innegabile debbano essere presenti in una città capoluogo di città metropolitana. In tale contesto, infatti, il Comune ha avviato la realizzazione di una importante area sportiva, con stadio e Ar., per un investimento di circa 280 mln. di cui 1/3 con fondi PNRR, 1/3 con fondi propri già disponibili e 1/3 con ricorso ad indebitamento, che quindi risulta essere funzionale al perseguimento di tale importante obiettivo. Si rappresenta, peraltro, che la scelta dell’amministrazione di ricorrere a nuovo debito dopo che dal 2015 in poi il nuovo debito assunto è stato pari ad euro 6.000.000,00, è stata effettuata nella consapevolezza che nonostante tale nuova accensione, il debito complessivo avrebbe comunque proseguito la dinamica di tendenziale decrescita. L’evoluzione della situazione congiunturale sta invero comportando una diversa valutazione sull’incidenza del peso del debito che, ancorché come detto in tendenziale diminuzione anche in presenza del nuovo debito da contrarre, rischia di mettere a repentaglio la capacità dell’amministrazione di garantire l’erogazione dei servizi essenziali. La Città di Venezia, infatti, sta registrando una difficoltà nel vedere le entrate ritornare al livello prepandemico. In un contesto di generale ripresa del turismo, infatti, i dati del comune segnano tutt’ora un livello significativamente lontano rispetto ai valori del 2019. A titolo di esempio, infatti, le entrate per accesso alla zona traffico limitato bus turistici, che nel 2019 hanno generato entrate per oltre 20 mln., a giugno 2022 hanno registrato un valore del 54% inferiore rispetto all’analogo mese del 2019; le entrate accertate a titolo di imposta di soggiorno (che nel 2019 hanno comportato accertamenti per oltre 37 mln.) sono state nel secondo trimestre 2022 del 10% inferiori rispetto all’analogo periodo del 2019. Tale situazione se confermata rischia di portare il Comune in una situazione di tendenziale squilibrio anche per le annualità successive al 2022, anno nel quale in sede di assestamento di bilancio si è dovuto ricorrere alla procedura di riequilibrio di bilancio ai sensi di quanto previsto dall’articolo 193 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ipotizzando quindi la necessità di dover ricorrere ripetutamente a tale procedura, subordinatamente all’emergere di risorse utili allo scopo, al fine di garantire il mantenimento degli standard di servizio attualmente in essere, che in assenza di tali possibili risorse potrebbero dover essere rivisti al ribasso. In tale contesto, quindi, al fine di rendere maggiormente sostenibili gli oneri del debito sul bilancio dell’ente e quindi continuare a garantire i livelli di servizio, la proposta di istituzione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aereoportuale per passeggero fino a euro 3 potrebbe quindi concorrere al completamento del percorso di riequilibrio avviato nel 2015. I dati di traffico dell’aereoporto Marco Polo di Tessera dell’anno 2019 evidenziano un numero di partenze pari 5.775.658 (fonte Enac - Dati di traffico 2019). In considerazione dell’attuale situazione si ipotizza un dato a regime comunque prudenzialmente non superiore a 5.500.000, per un importo a bilancio pari a euro 16.500.000,00 (in caso di importo pari ad euro 3) che rappresentano circa il 50% degli attuali oneri sul debito. Per i dati di imbarco portuale, l’attuale situazione della crocieristica veneziana non consente di effettuare valutazioni attendibili e quindi, allo stato, non si considera tale possibile entrata”. Ciò posto, avuto riguardo alle risultanze degli indicati passaggi procedimentali, con la correlativa motivazione, ritiene il collegio che la sentenza di prime cure non sia condivisibile nel punto in cui ha ritenuto che l’Amministrazione fosse esonerata dal motivare le proprie scelte di istituire l’addizionale sui diritti di imbarco aeroportuale, senza alcuna considerazione né motivazione sulle ragioni per cui non aveva considerato alcuna delle altre opzioni consentite dalla legge (il richiamato comma 572 l. 234/2021 ne prevede ben 15) per il raggiungimento del medesimo risultato, gravando i soli passeggeri che si imbarcano a Venezia, anziché ricorrere, anche in parte, alle altre misure che potevano essere assunte per far fronte allo squilibrio strutturale del Comune. Ed invero, né nella proposta del dirigente dei Servizi finanziari del Comune, né nel verbale del tavolo tecnico, né nell’accordo (c.d. Patto per Venezia), né infine nella delibera istitutiva dell’addizionale de qua, secondo quanto innanzi riportato, compare alcuna considerazione sulla possibilità di ricorrere in tutto o in parte alle altre misure consentite dal legislatore. 28.1. Come correttamente evidenziato dalle parti appellanti, la circostanza che, ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 8 dell’art. 43, d.l. n. 50/2022, il legislatore abbia autorizzato il Comune a porre in essere le misure di cui all’art. 1, comma 572, l. n. 234/2021 non esonera l’amministrazione dal motivare in ordine alle ragioni per le quali era stata adottata l’addizionale comunale sui diritti di imbarco, in luogo delle altre previste, anche dando evidenza dei dati che la rendevano maggiormente coerente con la ratio perseguita e idonea al risanamento del disavanzo, avuto riguardo anche alle ragioni di tale disavanzo. 28.1.1. Come innanzi precisato dall’istruttoria non risulta che l’Amministrazione abbia effettuato alcuna valutazione non solo circa la possibilità di adottare le ulteriori misure di cui al citato comma 572 dell’art. 1 della l. n. 234/2021, ma anche sulla opportunità di incrementare l’addizionale comunale all’Irpef, che avuto riguardo ad un interpretazione costituzionalmente orientata del disposto normativo, sarebbe stata probabilmente più coerente, avuto riguardo alla motivazione sottesa ai richiamati atti, in quanto applicata nei confronti dei cittadini del Comune di Venezia, ossia dei soggetti direttamente interessati al risanamento finanziario dell’Ente e alle finalità sottese alla misura imposta, avuto in particolare riguardo alla circostanza che, come emergente dalla suddetta Relazione Tecnica del Comune, innanzi richiamata, che ha dato impulso all’avvio del procedimento, l’Ente ha provveduto all’accensione di un nuovo debito per la realizzazione, in parte con i fondi del PNRR, di una “importante area sportiva, con stadio e Ar.”, ovvero un’area destinata in particolare alla fruizione della cittadinanza. Peraltro, come evidenziato dall’Associazione e dalla compagnie aeree appellanti, la scelta di adottare un’addizionale comunale sui diritti aeroportuali è stata adottata dal Comune di Venezia sulla base dei soli dati di traffico dell’Aeroporto relativi all’anno 2019 (forniti da ENAC), senza tenere conto dei dati aggiornati, relativo al successivo biennio, inciso, come noto, in modo significativo dall’emergenza pandemica e senza pertanto considerare che il settore aereo era risultato gravemente colpito dagli effetti della pandemia da Covid-19. 29.1. Sotto questo profilo non appaiono convincenti le difese comunali con le quali si è evidenziato che, al contrario di quanto addotto da parte appellante, nello stesso documento richiamato dalle parti appellanti si sarebbe precisato che: “I dati di traffico dell’aereoporto Marco Polo di Tessera dell’anno 2019 evidenziano un numero di partenze pari 5.775.658 (fonte Enac - Dati di traffico 2019). In considerazione dell’attuale situazione si ipotizza un dato a regime comunque prudenzialmente non superiore a 5.500.000, per un importo a bilancio pari a euro 16.500.000,00 (in caso di importo pari ad euro 3) che rappresentano circa il 50% degli attuali oneri sul debito” (nota del Comune di Venezia PG 342430 del 29.7.2022, prodotta dal Comune sub doc. 2 nel fasc. primo grado). Ed invero proprio detto riferimento rende palese come l’istruttoria sia stata condotta avendo riguardo non ai dati aggiornati all’epoca di adozione della delibera, ma ad una mera stima prudenziale fondata sui dati del 2019 comunicati da ENAC. 29.2. Deve pertanto ritenersi condivisibile, avuto riguardo al calo dei voli aerei determinato dall’emergenza Covid, quanto dedotto dall’Associazione e dalle compagnie aeree appellanti secondo le quali, qualora il Comune avesse utilizzato i dati ENAC disponibili alla data di adozione della Deliberazione, ossia quelli per le annualità 2020 e 2021, avrebbe potuto agevolmente rilevare un flusso dei passeggeri nettamente inferiore rispetto al 2019. 29.3. Né in senso contrario rileva, secondo quanto innanzi precisato nell’esaminare l’eccezione preliminare sollevata dal Comune circa l’interesse a ricorrere di Sa., l’aumento dei voli aerei per il periodo successivo alla data di adozione della delibera, quale documentato dal Comune nelle more della celebrazione dell’udienza pubblica, dovendosi avere riguardo ai dati esistenti al momento dell’adozione dell’atto gravato e che avrebbero dovuti essere presi in considerazione in sede istruttoria. Parimenti non condivisibile è la motivazione della sentenza di prime cure, relativa alla delibazione di cui al terzo motivo di diritto del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, sollevato da Sa. e dell’analogo motivo formulato dall’Associazione e dalle compagnie nel quinto motivo, con cui le ricorrenti avevano lamentato la mancata disamina in sede istruttoria della proporzionalità della misura adottata. 30.1. In particolare Sa. aveva dedotto come immotivatamente il Consiglio Comunale avesse deciso di adottare l’addizionale comunale, in misura oltremodo squilibrata e gravosa per i passeggeri dell’aeroporto Marco Polo, che nella stragrande maggioranza dei casi (il 96% dei passeggeri non sono veneziani e il 53% non hanno Venezia come destinazione principale) non hanno alcun collegamento con il ripiano del disavanzo del Comune di Venezia, senza nemmeno considerare una qualche riduzione della spesa o un’altra delle tante opzioni offerte dal comma 572 dell’art. 1 della l. 234/2021, per giungere al risultato del riequilibrio strutturale. Al riguardo il Tar si è limitato a evidenziare - senza che vi fosse alcun riscontro motivazionale in atti - come l’aeroporto generi un sovraccarico sulle infrastrutture cittadine, «dando luogo a esternalità negative che il Comune è evidentemente tenuto a fronteggiare reperendo adeguate risorse finanziarie» (par. 14.8 della sentenza). Né al difetto di istruttoria e motivazione sotto questo profilo può sopperire la documentazione sopravvenuta, depositata nel presente grado di giudizio dal Comune di Venezia - e segnatamente il Masterplan 2023-2037 - dalla quale, in tesi del Comune, sarebbe evincibile l’impatto che il traffico aereo genera, tra gli altri, sulle infrastrutture, servizi e ambiente del Comune di Venezia. 30.2. Inoltre, come evidenziato dall’Associazione e dalla Compagnie aeree, e non contestato dal Comune, introducendo l’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuali pari ad euro 2,50 - ossia stabilita nella misura quasi massima, considerato che l’art. 43, comma 3 del d.l. n. 50/2022 stabilisce che “l’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale non può essere superiore a 3 euro per passeggero” - la tassazione per chi parte dall’Aeroporto di Venezia passa da Euro 6,50 ad Euro 9,00, divenendo così la più elevata d’Italia. 30.3. A tal riguardo non può negarsi che l’incremento per passeggero, considerato il prezzo medio dei biglietti aerei, e in particolare le tariffe applicate dalle compagnie low cost, quali i Vettori appellanti, sia proporzionalmente eccessivo; esso, infatti, è quantificabile tra il 4% e il 7% della tariffa media di una low fares per un biglietto di sola andata. Né in senso contrario rileva quanto dedotto e documentato in questa fase dal Comune circa l’aumento del costo dei biglietti negli ultimi anni, sia perché trattasi di circostanza successiva alla delibera oggetto di impugnativa, sia perché correlato, come del resto ammesso dal Comune, all’offerta di servizi aggiuntivi opzionabili dal cliente e non all’acquisto del biglietto base, secondo le note politiche tariffarie delle compagnie low cost. 30.4. Né il difetto di proporzionalità della misura può essere ovviato, come ritenuto dal primo giudice, in ragione del “meccanismo di adeguamento previsto dal Patto per Venezia” il quale “consente pur sempre la rimodulazione nel tempo dell’addizionale anche nel caso di contrazione o aumento dei traffici, imponendo in particolare all’Ente di disporne la riduzione nel caso di “formazione di un avanzo libero [...] di importo superiore alle entrate derivanti dall’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale accertate nell’anno di riferimento aumentate del 50%” (cfr. par. 14.7 della Sentenza). Ed invero occorre evidenziare innanzitutto, come non sia prevista alcuna rimodulazione dell’addizionale nel caso di “contrazione o aumento dei traffici” ed in secondo luogo come la censurata sproporzione della misura introdotta dalla Deliberazione non può essere attenuata dalle clausole contenute nel Patto per Venezia c.d. “di salvaguardia”, che subordinano una non definibile diminuzione dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale ed aeroportuale a futuri ed incerti eventi, nell’an e nel quando, condizionati in particolare ad una eventuale formazione di un determinato avanzo libero. 30.5. Il Comune di Venezia ha quindi adottato una misura che, in quanto non preceduta da una congrua istruttoria e motivazione in ordine alle alternative prese in considerazione dalla norma e delle cause che avevano causato l’indebitamento (cfr la indicata realizzazione degli impianti sportivi a beneficio dei cittadini di Venezia solo parzialmente finanziata con i fondi PNRR), non resiste, al contrario di quanto ritenuto dal primo giudice, alle articolate censure, che hanno ben posto in evidenza anche la non proporzionalità della misura e la sua incidenza su persone (i passeggeri in partenza da Venezia) che verosimilmente potrebbero non essere né cittadini veneziani, né turisti in visita a Venezia - a differenza dei soggetti incisi dalla tassa di ingresso a Venezia - ma magari cittadini veneti che periodicamente si imbarcano dall’aeroporto di Venezia e che pertanto alcun beneficio potrebbero ricevere dai servizi resi dal Comune di Venezia, non potendosi annettere, in senso contrario, come innanzi precisato, alcun rilievo alla documentazione prodotta nel presente grado di appello. (Masterplan 2023-2037). 30.5.1. Nella sostanza pertanto la misura de qua, in quanto non supportata da congrua motivazione ed istruttoria, finirebbe per connotarsi come un contributo di solidarietà in favore del Comune di Venezia, fondato sulla sola occasionalità dell’utilizzo dello scalo aeroportuale di Venezia. 30.6. Né risulta condivisibile - avuto riguardo ai dedotti vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, nonché di mancata valutazione della proporzionalità della misura e di ricorso ad altre possibili forme di ripianamento, alla stregua delle possibilità di scelta concesse dalla normativa - quanto dedotto nelle difese del Comune di Venezia, circa il fatto che l’istituzione dell’addizionale comunale prevista dal citato art. 43 non sarebbe altro che una attuazione della previsione contenuta in una norma di rango primario, la cui rispondenza alla valutazione di adeguatezza è stata compiuta a monte da un Tavolo tecnico istituito presso il Ministero dell’interno, nonché sul rilievo che la delibera in questione rappresenterebbe un atto doveroso, la cui adozione è necessaria al fine di rispettare gli impegni assunti con lo Stato. 30.7. Ed invero deve aversi riguardo, come innanzi precisato, alle alternative rimesse dalla normativa primaria alla scelta discrezionale dell’Amministrazione, in alcun modo valutate in sede procedimentale, e segnatamente, né nell’atto di impulso del Comune, né in sede di tavolo tecnico preordinato all’adozione dell’Accordo per Venezia, né infine nella delibera gravata, per cui alcun automatismo è ravvisabile rispetto alla previsione normativa. Ed invero, sebbene l’art. 43 del d.l. n. 50/2022, come osservato dal Comune nella propria memoria, non preveda alcuna gerarchia tra le misure in concreto adottabili, resta fermo che l’Amministrazione era tenuta a fornire le motivazioni sottese alla decisione adottata a fronte della pluralità di scelte consentite dalla normativa primaria. 30.7.1. Intese in questi termini le censure sono pertanto fondate, senza che sia configurabile un inammissibile sindacato delle scelte di merito dell’Amministrazione, rimanendosi nell’alveo delle censure di difetto di motivazione e di istruttoria anche relativamente alla proporzionalità della misura, con possibilità pertanto di riesercizio del potere da parte dell’Amministrazione, nel rispetto dei vincoli conformativi derivanti da questo decisum. Le indicate censure di difetto di motivazione e di istruttoria, in quanto di carattere assorbente, renderebbero superfluo la disamina delle ulteriori censure. Le stesse peraltro verranno sommariamente affrontate solo per esigenze di completezza. Non fondate appaiono al riguardo le censure, del pari contenute nel secondo motivo degli appelli riuniti, relative alla connessione fra l’adozione della gravata delibera e la decisione sulla sospensione della tassa di accesso a Venezia. 33.1. Dalla lettura della DCC 75/2022 si evince infatti che il Regolamento per l’istituzione e la disciplina del contributo di accesso è stato approvato con DCC n. 11/2019 e che, a seguito di modifiche normative che avevano inciso radicalmente sul presupposto del contributo stesso, era all’esame degli organi consiliari la nuova bozza di provvedimento, circostanza impeditiva dell’applicazione del regolamento già approvato, senza che ciò potesse implicare alcuna “rinuncia” dell’Amministrazione alla riscossione del contributo, le cui poste sono state iscritte nel bilancio di previsione (cfr. la nota integrativa al bilancio di previsione 2023 - 2025, pag. 18, nella quale si precisa che “Con l’art. 12, comma 2 ter del decreto legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla legge 15 febbraio 2022, n. 15, peraltro, è stata introdotta una dirimente modifica alla norma sopra richiamata, prevedendo l’applicabilità del contributo per l’accesso alla Città antica e alle altre isole minori della laguna, anche senza vettore. Considerato che la suddetta novella impone una modifica regolamentare in materia... allo scopo di provvedere al necessario ri-allineamento conformativo tra norma di legge e disciplina secondaria di esecuzione della stessa, mediante la formulazione di una proposta di ristrutturazione generale dell’impianto regolamentare, si rappresenta che, ad oggi, la proposta di approvazione del nuovo regolamento, con l’abrogazione del precedente è all’esame del Consiglio comunale e, conseguentemente, l’avvio è subordinato alla conclusione dell’iter consiliare...” - doc. 28 fasc. primo grado del Comune di Venezia). 33.2. Parimenti infondata è la censura, fondata sulla irrazionalità della scelta volta a postergare l’entrata in vigore dell’addizionale comunale de qua con riferimento agli imbarchi portuali, in quanto il Comune nella delibera impugnata ha considerato debitamente le difficoltà create agli operatori portuali dal decreto governativo sul blocco all’ingresso delle c.d. grandi navi al Porto di Venezia, attraverso il bacino di S. Marco e il canale della Giudecca, rinviando al 2026 l’applicazione dell’addizionale ai passeggeri che si imbarchino sulle navi del Porto di Venezia. La circostanza che il Comune non abbia per contro considerato che nel periodo Covid il traffico aeroportuale sia diminuito, pertanto, non vale ex se ad inficiare la scelta ragionevolmente compiuta circa il differimento dell’entrata in vigore della misura con riferimento agli imbarchi portuali, posto che in ogni caso, con riferimento tanto agli imbarchi portuali - per cui è previsto il differimento dell’entrata in vigore dell’imposta - che con riguardo a quelli aereoportuali, l’addizionale è stata fissata nella misura di euro 2,50, per cui alcun beneficio potrebbero ricavare le appellanti dalla pari decorrenza dell’imposta con riferimento agli imbarchi portuali, ovvero a partire dal 1 aprile 2023. Parimenti infondato è il terzo motivo di appello formulato da Sa., volto ad evidenziare l’illegittimità dell’indicata misura per il mancato coinvolgimento dell’Enac e della stessa Sa., posto che la normativa di rango primario (art. 43 del d.l. n. 50 del 2022 che rinvia all’art. 1 comma 572 l. m. 243 del 2021) non prevede alcun coinvolgimento di detti soggetti e che pertanto occorrerebbe semmai sollevare questione di costituzionalità dell’indicata normativa, laddove la stessa Sa. ha formulato solo in via subordinata la questione di legittimità costituzionale. Ed invero, come correttamente sul punto osservato dal primo giudice, la competenza dell’Enac in materia di atti concernenti tariffe, tasse e diritti aeroportuali risulta circoscritta alla sola “istruttoria [...] per l'adozione dei conseguenti provvedimenti del Ministro dei trasporti e della navigazione” (art. 2, comma 1, lett. e del d.lgs. n. 250 del 1997), fattispecie che non appare sovrapponibile o analoga a quella in esame, vertendosi in questo diverso caso dell’istituzione dell’addizionale sul diritto d’imbarco da parte dell’Amministrazione comunale in forza della speciale procedura, prevista dall’art. 43, del d.l. n. 50 del 2022 e diretta al riequilibrio finanziario dell’ente. Infine infondata è la censura contenuta nel quarto motivo, formulato da Sa., e nel terzo motivo, articolato dall’Associazione e dalle compagnie aeree appellanti, fondata sul rilievo che il Tavolo Tecnico aveva concluso la propria istruttoria all’esito della riunione del 20 ottobre 2022 e quindi, oltre il termine del 30 settembre fissato dall’anzidetta disposizione di legge, trattandosi all’evidenza di un termine ordinatorio in funzione acceleratoria e non di un termine decadenziale. 35.1. È infatti principio consolidato quello secondo il quale “un termine è perentorio soltanto qualora vi sia una previsione normativa che espressamente gli attribuisca questa natura, ovvero quando ciò possa desumersi dagli effetti, sempre normativamente previsti, che il suo superamento produce (quali, ad esempio, una preclusione o una decadenza [...]). Ove manchi un’espressa indicazione circa la natura del termine o gli specifici effetti dell’inerzia, deve aversi riguardo alla funzione che lo stesso in concreto assolve nel procedimento, nonché alla peculiarità dell’interesse pubblico coinvolto. Naturale corollario di tale ricostruzione è che in mancanza di elementi certi per qualificare un termine come perentorio, per evidenti ragioni di favor, esso deve ritenersi ordinatorio” (Cons. Stato, 22.1.2020, n. 537. In senso analogo, Cons. Stato, 6.6.2017, n. 2718). Il primo motivo di appello, per contro, in quanto riferito alla sola decorrenza dell’applicazione dell’addizionale de qua, deve intendersi assorbito, avuto riguardo alle evidenziate ragioni di accoglimento degli appelli riuniti, maggiormente satisfattive degli interessi delle parti. In conclusione l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati. 37.1. Le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all'esame del Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3176). Gli argomenti di difesa non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Sussistono nondimeno eccezionali e gravi ragioni, avuto riguardo alla complessità delle questioni sottese, per compensare integralmente fra le parti le spese di lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), riunisce preliminarmente gli appelli come in epigrafe proposti e, definitivamente pronunciando, li accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati. Compensa le spese di lite Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Diego Sabatino - Presidente Stefano Fantini - Consigliere Elena Quadri - Consigliere Gianluca Rovelli - Consigliere Diana Caminiti - Consigliere, Estensore L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Diana Caminiti Diego Sabatino IL SEGRETARIO
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CATALDI Michele - Presidente Dott. LENOCI Valentino - Consigliere Dott. DI MARZIO Paolo - Consigliere Dott. LUME Federico - Consigliere rel. Dott. CHIECA Danilo - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 11148/2017 R.G. proposto da: FRATELLI Za. Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Pa.Fr., in forza di procura in calce al ricorso ed elettivamente domiciliata in Roma alla via (...) presso l'avv. An.Ma. - ricorrente - contro AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore; - intimata - avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 5545/65/2016 pronunciata in data 29/09/2016 e pubblicata in data 27/10/2016, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella udienza pubblica del 19/04/2024 dal consigliere dott. Federico Lume; udito il PM, in persona del sostituto Procuratore generale dott. Tommaso Basile, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso; udito l'avv. Ga.St. per la ricorrente; udito l'avv. Da.Pi. per l'Avvocatura dello Stato. FATTI DI CAUSA 1. La Commissione tributaria regionale della Lombardia (CTR), sezione staccata di Brescia, accoglieva l'appello dell'ufficio contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Bergamo (CTP) che aveva parzialmente accolto le impugnazioni proposte dalla società contribuente, con distinti ricorsi poi riuniti, contro tre avvisi di accertamento per maggior Ires e Irap relativi agli anni di imposta 2008, 2009 e 2010, con cui, per quanto in questa sede rileva, era negata la detassazione prevista dall'art. 6, commi 13-19, della L. n. 388 del 2000, c.d. Tremonti ambientale. In particolare, i giudici di appello respingevano l'eccezione di nullità della notifica dell'avviso di accertamento, riproposta dalla società contribuente, e, nel merito, ritenevano che la pretesa tributaria fosse fondata, dovendosi la detassazione applicare solo agli investimenti volti a prevenire, ridurre o riparare un danno all'ambiente cagionato dalla propria attività di impresa e non agli investimenti realizzati dalle imprese che si occupano di prevenire, riparare o ridurre danni cagionati da altre imprese, altrimenti risultando detta agevolazione incompatibile con la disciplina comunitaria in tema di aiuti di Stato; considerazione confermata dal riferimento al criterio incrementale previsto dalla norma in forza del quale il costo agevolabile è solo quello della differenza tra il valore dell'investimento ambientale e quello non ambientale; disapplicavano altresì le sanzioni in ragione della presenza di obiettive condizioni di incertezza normativa. 2. Contro tale decisione propone ricorso la società contribuente sulla base di quattro motivi. Agenzia delle entrate, cui il ricorso è stato notificato in data 27/042/05/2017, è rimasta intimata. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 28/04/2023, per la quale la ricorrente ha depositato memoria, e poi rinviato alla pubblica udienza, fissata per il 19/04/2024, per la quale la ricorrente ha depositato nuova memoria. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo d'impugnazione, proposto in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 29 d.l. n. 78 del 2010 e dell'art. 60 D.P.R. n. 600 del 1973, lamentando l'erroneità della decisione della CTR laddove ha ritenuto valida la notificazione mediante servizio postale, nonostante nel caso di specie si trattasse di un atto impoesattivo c.d. primario, per il quale la norma evidenziata prescrive, a pena di inesistenza dell'avviso, la notificazione mediante l'intermediazione di un agente della notificazione. Con il secondo motivo, proposto in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la società deduce la violazione degli artt. 6, commi da 13 a 19, della L. n. 388 del 2000, lamentando l'erroneità della decisione laddove ha riconosciuto la competenza dell'Agenzia delle entrate nella funzione di controllo sull'esistenza dei presupposti per il riconoscimento dell'agevolazione in esame. Col terzo motivo deduce la violazione dell'art. 6, comma 15, della L. n. 388 del 2000, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., censurando la sentenza: a) perché, laddove ha ritenuto che per poter godere del beneficio di cui alla Tremonti ambientale gli investimenti devono contribuire alla riduzione dei danni ambientali prodotti dalla stessa impresa, avrebbe introdotto un requisito non previsto dal tenore letterale della disposizione, violando la regola dell'interpretazione letterale imposta dalla natura eccezionale delle norme di agevolazione; b) ove avrebbe violato un giudicato interno formatosi a seguito della mancata contestazione da parte dell'Agenzia sulla natura degli investimenti; c) ove avrebbe violato il c.d. approccio incrementale, in quanto nel caso di specie i cespiti acquistati costituiscono un unicum inscindibile interamente ed esclusivamente funzionale al trattamento e al recupero dei rifiuti in cui non c'è una singola parte avente funzione ambientale. Col quarto motivo la società deduce la violazione degli artt. 3, 23, 53, 97 della Costituzione e dell'art. 10 della L. n. 212 del 2000, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., laddove la sentenza della CTR ha implicitamente rigettato la doglianza di violazione del legittimo affidamento della società, derivante dall'aver questa regolarmente adempiuto all'onere di comunicazione degli investimenti ambientali, previsto dall'art. 30 della L. n. 179 del 2002 che aveva sostituito il comma 17 dell'art. 6, al Ministero delle attività produttive, che nulla aveva osservato in merito nonostante il tempo trascorso. 1.1. Occorre premettere che l'Agenzia intimata, senza contestazione delle controparti, ha partecipato, tramite l'Avvocato dello Stato presente in udienza, alla discussione della controversia innanzi a questo Collegio, esercitando la facoltà processuale espressamente consentita, nella fattispecie de qua, dal secondo periodo del primo comma dell'art. 370, cod. proc. civ., in base al principio per cui nel giudizio di legittimità, l'Agenzia delle entrate intimata, anche quando non abbia contraddetto il ricorso mediante rituale controricorso, ha pur sempre la facoltà di partecipare alla discussione orale avvalendosi dell'Avvocatura dello Stato, senza necessità che a quest'ultima sia rilasciata una specifica procura per il singolo giudizio (Cass. 25/01/2024, n. 2465). 2. Il primo motivo, relativo alla validità della notifica a mezzo postale dell'avviso di accertamento c.d. impoesattivo, nella vigenza dell'art. 29 del d.l. n. 78 del 2010 (essendo pacifico in fatto che l'avviso di accertamento impugnato è stato notificato a mezzo posta direttamente dall'agenzia fiscale senza l'intermediazione di ufficiale giudiziario ovvero di messo notificatore), è infondato e va rigettato, secondo quanto già deciso dalla Corte in casi analoghi, con orientamento cui va dato ulteriore seguito (Cass. 03/12/2020, n. 27634; Cass. 02/12/2021, n. 38010; Cass. 27/07/2022, n. 23435; Cass. 17/04/2023, n. 10109). L'art. 29, comma 1, lett. a) del d.l. n. 78 del 2010, convertito nella L. n. 122 del 2010, così dispone: "Le attività di riscossione relative agli atti indicati nella seguente lettera a) emessi a partire dal 1 ottobre 2011 e relativi ai periodi d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007 e successivi, sono potenziate mediante le seguenti disposizioni: a) l'avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle Entrate ai fini delle imposte sui redditi, dell'imposta regionale sulle attività produttive e dell'imposta sul valore aggiunto ed il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni, devono contenere anche l'intimazione ad adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso, all'obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati, ovvero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso ed a titolo provvisorio, degli importi stabiliti dall'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. L'intimazione ad adempiere al pagamento è altresì contenuta nei successivi atti da notificare al contribuente, anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento, in tutti i casi in cui siano rideterminati gli importi dovuti in base agli avvisi di accertamento ai fini delle imposte sui redditi, dell'imposta regionale sulle attività produttive e dell'imposta sul valore aggiunto ed ai connessi provvedimenti di irrogazione delle sanzioni ai sensi dell'articolo 8, comma 3-bis del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, dell'articolo 48, comma 3-bis, e dell'articolo 68 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e dell'articolo 19 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, nonché in caso di definitività dell'atto di accertamento impugnato ... ". Orbene, anche a voler definire "primario" l'avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle entrate ai fini delle imposte sui redditi, dell'imposta regionale sulle attività produttive e dell'imposta sul valore aggiunto ed il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni contenente "anche l'intimazione ad adempiere", e "secondario" l'eventuale successivo atto da notificare al contribuente "in cui siano rideterminati gli importi dovuti in base agli avvisi di accertamento", la disposizione in esame, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, non introduce alcuna distinzione tra l'uno e l'altro tipo di atto quanto a modalità di notificazione e sicuramente nessuna limitazione per gli atti "primari". La disciplina della "notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente" è infatti contenuta nell'art. 14 della L. n. 890 del 1982, che prevede espressamente, nella prima parte del comma 1, che essa "sia eseguita" (di regola) "a mezzo della posta, direttamente dagli uffici finanziari" e solo "ove ciò risulti impossibile, a cura degli ufficiali giudiziari, dei messi comunali ovvero dei messi speciali autorizzati dall'Amministrazione finanziaria, secondo le modalità previste dalla presente legge". Tale disposizione non è stata abrogata e nemmeno può intendersi derogata dall'art. 29 del d.l. n. 78 del 2010, convertito con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010, sicché la tesi sostenuta dal ricorrente, che ciò lascia presumere, non ha fondamento. È ben vero che l'art. 14 della legge n. 890 del 1982 prevede che "Sono fatti salvi i disposti di cui agli artt. 26, 45 e seguenti del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e 60 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché le altre modalità di notifica previste dalle norme relative alle singole leggi di imposta", ma tale disposizione non si pone affatto in conflitto con la modalità di notificazione prevista nella prima parte della medesima disposizione (direttamente a mezzo posta), limitandosi a lasciare inalterata la facoltà dell'amministrazione finanziaria di procedere comunque alla notificazione dei vari atti tributari con modalità alternative alla prima, ovvero quelle previste dalle norme espressamente elencate nel citato art. 14 o da quelle "relative alle singole leggi di imposta". Pertanto, diversamente da quanto si sostiene nel motivo di ricorso in esame, l'art. 29, comma 1, lett. a), seconda parte, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, non fa altro che attribuire all'amministrazione finanziaria la facoltà di effettuare la notificazione degli atti "in cui siano rideterminati gli importi dovuti in base agli avvisi di accertamento", emanati successivamente a questo, "anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento", senza in alcun modo incidere sulle modalità di notificazione degli avvisi di accertamento, vietandone la notificazione diretta a mezzo posta. Come precisato da Cass. n. 38010 del 2021 cit., in linea generale, la notificazione di un atto impositivo non è affatto un elemento costitutivo di esistenza giuridica/validità del medesimo, bensì esclusivamente una sua condizione di efficacia (cfr. ex multis, Cass. 24/08/2018, n. 21071) e nel caso di specie non vi è peraltro ragione per affermare che l'idoneità a trasformarsi in titolo esecutivo solo dopo 60 giorni dalla notificazione stessa, a differenza dell'iscrizione a ruolo che, ai sensi dell'art. 12, comma 4, D.P.R. n. 602 del 1973, ha effetto immediato, ne rappresenti invece un elemento costitutivo. Infatti, è la stessa disposizione legislativa che chiarisce che con la novità normativa si è inteso aggiungere una nuova modalità di formazione di un titolo esecutivo legittimante la riscossione esattoriale, laddove il d.l. n. 78 del 2010, art. 29, comma 1, lett. b), prevede appunto espressamente che "la riscossione delle somme richieste, in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione a ruolo, è affidata in carico agli agenti della riscossione anche ai fini dell'esecuzione forzata". Da quanto detto consegue che deve ribadirsi il principio per cui "è legittima la notificazione degli avvisi di accertamento emessi nei confronti del contribuente, effettuata direttamente dall'Agenzia delle entrate a mezzo raccomandata postale, anche nel caso di avvisi impoesattivi, osservandosi al riguardo che in tale ipotesi non è richiesta né può essere pretesa la redazione della relata di notificazione, né altro adempimento che non sia espressamente previsto dalle norme concernenti il servizio postale ordinario" (cfr. Cass. 14/11/2019, n. 29642, secondo cui "In caso di notificazione a mezzo posta dell'atto impositivo eseguita direttamente dall'Ufficio finanziario ai sensi dell'art. 14 della L. n. 890 del 1982, si applicano le norme concernenti il servizio postale ordinario per la consegna dei plichi raccomandati, e non quelle di cui alla suddetta legge concernenti esclusivamente la notifica eseguita dall'ufficiale giudiziario ex art. 149 cod. proc. civ., sicché non va redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull'avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico, e l'atto pervenuto all'indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest'ultimo, senza necessità dell'invio della raccomandata al destinatario, stante la presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 cod. civ., la quale opera per effetto dell'arrivo della dichiarazione nel luogo di destinazione ed è superabile solo se il destinatario provi di essersi trovato, senza sua colpa, nell'impossibilità di prenderne cognizione"). 3. Il secondo motivo è infondato. Ed infatti, questa Corte ha già scrutinato la questione riconoscendo in capo all'Agenzia delle entrate la competenza esclusiva in ordine alla verifica dei presupposti di legittimità dell'agevolazione prevista dalla c.d. Tremonti ambientale (Cass. 19/12/2022, n. 37152). In particolare l'art. 62 del D.Lgs. 30/07/1999, n. 300 stabilisce che all'Agenzia delle entrate "sono attribuite tutte le funzioni concernenti le entrate tributarie erariali che non sono assegnate alla competenza di altre agenzie, amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, enti od organi, con il compito di perseguire il massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali sia attraverso l'assistenza ai contribuenti, sia attraverso i controlli diretti a contrastare gli inadempimenti e l'evasione fiscale (..)" (comma 1) e che la stessa Agenzia "è competente in particolare a svolgere i servizi relativi alla amministrazione, alla riscossione e al contenzioso dei tributi diretti (..)" (comma 2). Tali disposizioni conferiscono perciò all'Agenzia tutte le funzioni e i poteri in materia di imposizione fiscale, cioè tutte le funzioni e i poteri strumentali all'adempimento delle obbligazioni tributarie verso l'erario, a meno che siffatti funzioni e poteri siano assegnate ad altre amministrazioni da specifiche disposizioni "siano assegnate alla competenza di altre agenzie, amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, enti od organi". Nella specie i compiti attribuiti al Ministero delle Attività Produttive relativamente agli incentivi fiscali in argomento si limitano al censimento degli investimenti ambientali, con soli scopi statistici. Occorre solo aggiungere a tali considerazioni che è il meccanismo stesso di funzionamento della detassazione in parola, che opera attraverso una variazione dell'imponibile nella dichiarazione dei redditi, a deporre nel senso della natura tributaria dell'agevolazione. Occorre quindi dare continuità al principio di diritto per cui "che in tema di agevolazioni fiscali di cui alla L. n. 388 del 2000, in relazione ad investimenti destinati a prevenire, ridurre o riparare danni ambientali determinati dall'attività svolta dal contribuente, tutta l'attività di controllo circa la spettanza dell'agevolazione spetta, in virtù dell'art. 62 del D.Lgs. n. 300 del 1999, all'Agenzia delle Entrate, quale titolare di tutte le funzioni e dei poteri strumentali all'adempimento delle obbligazioni tributarie verso l'erario, mentre sono attribuiti al Ministero delle Attività produttive solo compiti di raccolta di dati statistici, attraverso il censimento degli investimenti stessi". 4. Il terzo motivo non è fondato, alla luce delle recenti decisioni di questa Corte sullo specifico tema, cui occorre dare continuità. Cass. 23/12/2020, n. 29365 ha già evidenziato infatti che, ai fini della spettanza di tale beneficio, occorre che l'investimento (rectius: l'immobilizzazione immateriale con esso acquistata) sia necessario per prevenire, ridurre e riparare danni causati all'ambiente dall'attività dell'impresa che lo realizza (come correttamente ritenuto dalla CTR) ma non i danni causati dall'attività di soggetti terzi (come sostenuto dalla ricorrente). Al riguardo, si è infatti osservato che la concessione dell'agevolazione de qua a favore della generalità delle imprese (piccole e medie) - e non, quindi, di altri soggetti che non esercitano attività di impresa - si fondava, in tutta evidenza, sull'implicito presupposto della dannosità per l'ambiente di tale attività, alla quale la stessa dannosità è inerente; per tale ragione, risulta chiaro che, nel definire gli investimenti cui si applicava l'agevolazione come quelli necessari per prevenire, ridurre e ripianare "danni causati all'ambiente", il legislatore intendeva fare riferimento ai danni all'ambiente inerenti all'attività dell'impresa investitrice, cioè ai danni causati da tale sua attività; l'accoglimento della tesi opposta, del resto, comporterebbe che l'agevolazione di cui ai commi da 13 a 19 dell'art. 6 della legge n. 388 del 2000 si tradurrebbe in un'agevolazione all'attività stessa delle imprese il cui oggetto sia costituito, come nel caso della società ricorrente, da un'attività di prevenzione, riduzione e riparazione di danni causati all'ambiente da terzi - e i cui investimenti sono, perciò, strutturalmente generalmente diretti a prevenire, ridurre e riparare danni all'ambiente - esito che, oltre che contrastare con l'indicata intenzione del legislatore, sarebbe suscettibile di trasformare l'agevolazione de qua in un aiuto di Stato, in contrasto con gli articoli da 87 a 89 del Trattato CEE (e, successivamente, con gli articoli da 107 a 109 TFUE), stante il vantaggio che essa potrebbe comportare a favore del detto settore di imprese rispetto ai concorrenti di altri Paesi dell'Unione europea, con la conseguente alterazione (o minaccia di alterazione) della concorrenza; la diversità tra la situazione dell'impresa che realizzi un investimento diretto a prevenire, ridurre e riparare danni causati all'ambiente da terzi e la situazione dell'impresa che realizzi un investimento diretto a prevenire, ridurre e riparare danni causati all'ambiente dalla propria attività giustifica - contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente - il fatto che, a fronte dell'acquisto di un'identica immobilizzazione materiale, il relativo costo non sia detassato nel primo caso e lo sia, invece, nel secondo. In tale arresto si è peraltro specificato che, ovviamente, l'interpretazione seguita non preclude alle imprese il cui oggetto sia costituito da un'attività di prevenzione, riduzione e riparazione di danni causati all'ambiente da terzi di beneficiare dell'agevolazione in relazione agli investimenti necessari per prevenire, ridurre e riparare danni causati all'ambiente dalla propria attività, il che però non è stato dedotto dalla società ricorrente e deponendo in senso contrario la stessa assunzione in fatto che gli investimenti realizzati fossero tutti integralmente detassabili, in quanto costituenti un unicum inscindibile funzionale al miglioramento del funzionamento dell'impresa e quindi, indirettamente, della tutela ambientale. Tali principi sono stati espressamente ribaditi di recente, all'esito di pubblica udienza, da Cass. 23/08/2023, n. 25157 e Cass. 22/12/2023, n. 35919, dandosi anche atto di alcuni precedenti parzialmente dissonanti (Cass. 14/10/2022, n. 30225 e Cass. 29/12/2022, n. 38043), evidenziandosi altresì che le norme di agevolazione fiscale hanno carattere eccezionale e derogatorio e, come tali, sono di stretta interpretazione (ex plurimis, Cass. 12/06/2020, n. 11337, Cass. 12/12/2019, n. 32635, Cass. 10/05/2019, n. 12500, Cass. 21/06/2017, n. 15407), e che la materia dell'imposizione tributaria fa parte del c.d. "nucleo duro" delle prerogative della potestà pubblica, poiché la natura autoritativa del rapporto tra il contribuente e la collettività è predominante (Corte EDU, Ferrazzini c. Italia), laddove "le scelte in questa materia implicano normalmente una ponderazione di problemi politici, economici e sociali che la Convenzione lascia alla competenza degli stati firmatari, poiché le autorità interne sono evidentemente nella posizione di valutare meglio tali aspetti che non la Corte" (Corte EDU, Belmonte c. Italia). Né è rilevante il regolamento 651/2014, invocato dalla ricorrente in memoria, in quanto norma sopravvenuta a quella in esame, e che comunque fa salvo il principio che i costi ammissibili corrispondono ai costi d'investimento supplementari necessari per realizzare un investimento che conduca ad attività di riciclaggio o riutilizzo rispetto a un processo tradizionale di attività di riutilizzo e di riciclaggio di analoga capacità che verrebbe realizzato in assenza di aiuti. Deve infine evidenziarsi che il motivo è altresì infondato laddove deduce un giudicato interno, in quanto l'oggetto dell'appello era proprio relativo alla mancanza dei presupposti per godere dell'agevolazione, in ragione della natura degli investimenti, come emerge inequivocabilmente dalla parte narrativa della sentenza impugnata. 5. Il quarto motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. 5.1. Il motivo è inammissibile in riferimento alle norme costituzionali. Con riguardo alle questioni di costituzionalità, deve essere, in primo luogo, rilevato che non può costituire motivo di ricorso per cassazione la prospettazione di una questione di legittimità costituzionale in quanto è riservata al potere decisorio del giudice la facoltà di sollevare o meno la questione dinanzi alla Corte costituzionale (art. 23, L. 11/03/1958, n. 87), mentre alle parti non è attribuito alcun potere di iniziativa al riguardo in quanto, in riferimento alle questioni di legittimità costituzionale in via incidentale l'iniziativa spetta esclusivamente al giudice, le parti potendo presentare soltanto delle deduzioni nel processo dinanzi alla Corte costituzionale ed, eventualmente, limitarsi a sollecitare anche motivatamente il giudice a sollevare la questione di costituzionalità; peraltro, ai sensi dell'art. 24, terzo comma, L. n. 87 del 1953, la questione di costituzionalità di una norma non solo non può costituire unico e diretto oggetto del giudizio, ma soprattutto può sempre essere proposta, o riproposta, dalla parte interessata, oltre che prospettata d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, purché essa risulti rilevante, oltre che non manifestamente infondata, in connessione con la decisione di questioni sostanziali o processuali che siano state ritualmente dedotte nel processo (in senso conforme vedi, tra le altre: Cass. 16/04/2018, n. 9284; Cass. 24/02/2014, n. 4406; Cass. 29/10/2003, n. 16245; Cass. 18/02/1999, n. 1358; Cass. 22/04/1999, n. 3990). Ne deriva l'inammissibilità del motivo di ricorso per cassazione formulato come diretto esclusivamente a prospettare una questione di legittimità costituzionale (come accade nella specie) oppure a censurare il concreto esercizio del potere che compete al Giudice in materia, non potendo essere configurato al riguardo un vizio del provvedimento impugnato idoneo a determinarne l'annullamento da parte di questa Corte (Cass., Sez. U., 29/03/2013, n. 7929; Cass. 16/04/2018, n. 9284). Peraltro, un simile motivo può essere esaminato come sollecitazione al giudice (anche a questa Corte) a sollevare una questione di legittimità costituzionale, attività consentita alle parti, come si è detto, ma che nel caso di specie risulta del tutto priva di alcuna specifica illustrazione. 5.2. Il motivo è altresì infondato con riferimento alla violazione dell'art. 10 della L. n. 212 del 2000. In primo luogo, il principio del legittimo affidamento opera in tema di sanzioni ma non incide sulla debenza dell'imposta (e nel caso di specie le sanzioni sono state escluse); infatti anche ove il contribuente si sia conformato ad un'interpretazione erronea fornita dall'Amministrazione finanziaria, è esclusa soltanto l'irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, senza alcun esonero dall'adempimento dell'obbligazione tributaria, in base al principio di tutela dell'affidamento, espressamente sancito dall'art. 10, comma 2, della L. n. 212 del 2000 (Cass. 09/01/2019, n. 370; Cass. 18/05/2016, n. 10195, secondo cui in tema di sanzioni tributarie la tutela dell'affidamento incolpevole del contribuente, sancita dall'art. 10, commi 1 e 2, della L. n. 212 del 2000, costituisce espressione di un principio generale dell'ordinamento tributario, che trova origine nei principi affermati dagli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost. e, in materia di tributi armonizzati, in quelli dell'ordinamento dell'Unione europea, sicché deve ritenersi che la situazione di incertezza interpretativa, ingenerata da risoluzioni dell'Amministrazione finanziaria, anche se non influisce sulla debenza dell'imposta, deve essere valutata ai fini dell'esclusione dell'applicazione delle sanzioni). In secondo luogo, come evidenziato nell'esame del secondo motivo, questa Corte ha già chiarito che in tema di agevolazioni fiscali di cui alla L. n. 388 del 2000 tutta l'attività di controllo circa la spettanza dell'agevolazione spetta all'Agenzia delle entrate, per cui il silenzio serbato dal Ministero delle Attività produttive non può avere alcuna rilevanza ai fini del formarsi di un legittimo affidamento. 6. Ne segue il rigetto del ricorso. Le spese (l'Agenzia delle entrate, come visto in precedenza, ha discusso la causa) seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell'Agenzia delle entrate, spese che liquida in euro 3.700,00 oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 19 aprile 2024. Depositata in cancelleria il 29 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3224 del 2022, proposto da Regione Molise, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, pressi i cui uffici, in Roma, via (...), domiciliata ex lege; contro Al. De Li., rappresentata e difesa dagli avvocati Vi. Ia. e Vi. Fi., con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima n. 00341/2021, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Al. De Li.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2024 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti l'avvocato Co. e l'avvocato dello Stato Sa.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con ricorso al T.A.R. Molise, l'avvocato Al. De Li., dirigente presso la Regione Molise e già direttore dell'avvocatura regionale, ha impugnato il regolamento 16/4/2020, n. 1 (avente a oggetto il funzionamento del detto ufficio), nella parte in cui (art. 2, comma 2), nel prevedere che il responsabile dell'avvocatura regionale sia individuato tra i dipendenti regionali in possesso della qualifica dirigenziale, non ha specificato che il medesimo debba, necessariamente, essere in possesso anche dell'abilitazione all'esercizio della professione forense. L'adito Tribunale, con sentenza 8/10/2021, n. 341, ha accolto il ricorso. Avverso la sentenza ha proposto appello la Regione Molise. Per resistere al ricorso si è costituita in giudizio l'avvocato De Li.. Con successive memorie le parti hanno ulteriormente argomentato le rispettive tesi difensive; Alla pubblica udienza del 23/5/2024 la causa è passata in decisione. Col primo motivo si denuncia l'errore commesso dal Tribunale nel respingere l'eccezione con la quale l'odierna appellante aveva dedotto il difetto di interesse ad agire. E invero, la detta condizione dell'azione sorgerebbe, in capo ai potenziali destinatari della normativa secondaria, solo nel momento in cui quest'ultima viene concretamente applicata, sennonché, nella fattispecie, la regione non avrebbe ancora adottato atti applicativi della contestata norma regolamentare. Diversamente da quanto affermato dal Tribunale, l'interesse all'impugnazione non potrebbe farsi discendere dal fatto che l'appellata avrebbe impugnato dinanzi al giudice del lavoro il provvedimento di revoca del proprio incarico di responsabile dell'avvocatura regionale e avrebbe accettato soltanto con riserva i successivi incarichi dirigenziali conferitile. Né il menzionato atto di revoca, né i provvedimenti di assegnazione dei detti incarichi dirigenziali, sarebbero stati, infatti, adottati in esecuzione del regolamento oggetto del contendere. La motivazione della sentenza non sarebbe condivisibile nemmeno laddove ricollega l'interesse al ricorso all'ulteriore circostanza che il regolamento impugnato, ampliando la platea degli aspiranti all'incarico di che trattasi, sarebbe idoneo a incidere in via immediata sulla posizione giuridica soggettiva dell'appellata. Il nocumento sarebbe, infatti, del tutto ipotetico e, quindi, inidoneo a rendere attuale, diretto e concreto l'interesse a ricorrere. La doglianza è fondata. Il giudice di prime cure non ha accolto l'eccezione con cui l'amministrazione regionale aveva dedotto l'insussistenza dell'interesse ad agire, sulla base della seguente motivazione: "... non è contestato che la ricorrente abbia impugnato innanzi al giudice del lavoro, in particolare, i provvedimenti relativi alla revoca del proprio incarico di responsabile dell'Avvocatura regionale, e abbia accettato solo con espressa riserva i successivi incarichi dirigenziali conferitile, senza perciò prestare acquiescenza alla revoca del precedente incarico di preposizione all'Avvocatura. Cosicché, essendo i relativi atti gestori ancora sub iudice, l'eventuale accoglimento delle domande giudiziali della ricorrente attinenti alla gestione del suo rapporto di impiego potrebbe ben vederla reintegrata nella direzione dell'Avvocatura regionale: prospettiva che consente appunto di cogliere il suo conseguente interesse all'impugnazione del relativo regolamento sul funzionamento dello stesso Servizio. È difatti ampiamente riconosciuto che la titolarità di un ufficio pubblico sia idonea ad abilitare il titolare a impugnare gli atti di organizzazione che incidono negativamente sull'assetto e sulle funzioni dell'ufficio rivestito. Nel caso specifico, quindi, l'interesse a ricorrere, seppur correlato all'esito dei giudizi lavoristici pendenti, non per questo può considerarsi insussistente. È d'altro canto evidente l'effetto negativo del provvedimento impugnato sulla posizione giuridica della ricorrente: l'eliminazione di un selettivo requisito precedentemente previsto per l'accesso al ruolo di direttore del Servizio ha l'inevitabile effetto di ampliare la platea dei possibili candidati alla relativa posizione, con conseguente nocumento per la posizione riferibile alla ricorrente (anche in considerazione dell'esiguità dei dirigenti regionali muniti sia dell'abilitazione all'esercizio della professione forense, sia dell'iscrizione nell'elenco speciale tenuto dal locale C.O.A.)". Orbene, nessuna delle due argomentazioni è idonea a giustificare il riconoscimento dell'interesse ad agire in capo all'appellata. Difatti, la circostanza che ella abbia impugnato, davanti al giudice del lavoro, la revoca dell'incarico di direttore dell'avvocatura regionale, è del tutto ininfluente ai fini di causa, atteso che come, correttamente dedotto dall'appellante, l'impugnata norma regolamentare, limitandosi a disporre che: "La direzione del Servizio (avvocatura regionale) è affidata dalla Giunta regionale ad uno tra i dipendenti regionali in possesso della qualifica dirigenziale, che ne assicura il necessario supporto e ne assume la responsabilità organizzativa ed il coordinamento amministrativo", non poteva fungere da presupposto per il provvedimento di ritiro. E infatti, quest'ultimo, è motivato con riguardo alla differente esigenza di conferire all'avvocato De Li. la direzione del Servizio di protezione civile, "in considerazione dell'esperienza pregressa maturata dalla stessa quale direttore dell'Agenzia regionale di protezione civile" (si veda la delibera della Giunta regionale 1/10/2019, n. 377). Nemmeno l'ampliamento della platea dei possibili aspiranti all'incarico in questione, derivante dall'avversata disposizione regolamentare, è idoneo a conferire all'appellata l'interesse al ricorso, potendo tale interesse concretizzarsi solo nel momento in cui, in applicazione della detta norma, l'incarico di direttore dell'avvocatura regionale dovesse essere assegnato a un dirigente privo di abilitazione all'esercizio della professione forense. E invero, per consolidato orientamento giurisprudenziale, l'atto regolamentare non è di per sé impugnabile, se non congiuntamente al provvedimento applicativo che abbia, in concreto, reso attuale la lesione della sfera giuridica del soggetto, lesione che non può mai discendere da un pregiudizio soltanto futuro ed eventuale (ex plurimis Cons. Stato, Sez. V, 15/1/2024, n. 454; 26/8/2020, n. 5213; 13/11/2019, n. 7797; 23/12/2019, n. 8732). Si è, anzi, più radicalmente affermato che: "L'atto applicativo, oltre a radicare l'interesse al ricorso, determina, inoltre,... anche la legittimazione a ricorrere. L'interesse all'annullamento del regolamento, invero, all'interno della "categoria" o della "classe" dei suoi potenziali destinatari è un interesse indifferenziato, seriale, adesposta (nella sostanza un interesse diffuso): esso diventa interesse soggettivamente differenziato (e, quindi, interesse legittimo) solo nel momento in cui il regolamento è concretamente applicato nei confronti del singolo" (Cons. Stato, Sez. V, 2/11/2017, n. 5071). L'appello va, pertanto, accolto. Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Sussistono eccezionali motivi per compensare le spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della gravata sentenza, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Diego Sabatino - Presidente Alessandro Maggio - Consigliere, Estensore Valerio Perotti - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Sara Raffaella Molinaro - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8604 del 2023, proposto da Regione Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ch.Dr., Lu.Lo., Gi.Qu., Cr.Za., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio An.Ma. in Roma, via (...); contro Gl.Ca.Of.Hu.Ri.Et., non costituito in giudizio; nei confronti Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12; per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima) n. 00368/2023, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Massimo Santini e uditi per le parti l’avv. Ga.St. su delega di Quarneti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO E DIRITTO Gl.Ca. è una associazione interuniversitaria, impegnata nello studio dei diritti umani, la quale ha chiesto di essere inserita nell’elenco delle organizzazioni del terzo settore. Ciò soprattutto al fine di accedere a determinati benefici fiscali. La Regione Veneto rigettava la domanda per due ragioni: a) lo statuto della ridetta associazione non garantiva una partecipazione aperta a tutti i soggetti che avrebbero chiesto di farne parte (i quali avrebbero dovuto a tal fine ottenere una previa “lettera di presentazione” da parte di uno dei soci di diritto); b) di tale associazione fanno comunque parte alcune università che svolgerebbero un ruolo dominante, all’interno dell’assetto organizzativo, ruolo come tale incompatibile con la normativa che vieta alle pubbliche amministrazioni di far parte di tale elenco (organizzazione terzo settore). Il suddetto provvedimento di diniego veniva impugnato dinanzi al TAR Veneto che accoglieva il ricorso presentato dalla Gl.Ca. sia perché lo statuto non conteneva clausole discriminatorie, sia perché le università di Venezia, Padova e Verona non svolgevano alcun ruolo dominante all’interno della predetta associazione. La sentenza di primo grado formava oggetto di appello per i motivi di seguito sintetizzati: 4.1. Erroneità nella parte in cui non sarebbe stata rilevata la violazione, ad opera della disposizione statutaria di cui all’art. 3.5. (lettera di presentazione da parte di uno dei soci di diritto onde chiedere di entrare nella associazione), dell’art. 23 del decreto legislativo n. 117 del 2017 il quale prevede espressamente il “carattere aperto” delle associazioni che chiedono di fare parte dell’elenco degli enti del terzo settore; 4.2. Erroneità nella parte in cui non è stato considerato che, soprattutto l’Univesrità di Venezia, svolge un ruolo di direzione della associazione che non le sarebbe consentito per via del divieto di iscrizione nel suddetto elenco degli enti del terzo settore espresso, per le pubbliche amministrazioni, dall’art. 4 del decreto legislativo n. 114 del 2017. Non si costituiva in giudizio la appellata associazione. Si costituiva soltanto il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per chiedere la conferma della sentenza nella parte in cui si dispone la sua estromissione dal giudizio. In vista della pubblica udienza, la difesa dell’amministrazione regionale appellante faceva presente, con memoria in data 12 aprile 2024, che la ridetta associazione interuniversitaria ha presentato nuova domanda di ammissione all’elenco, questa volta producendo una nuova versione dello statuto da cui risulta espunta la previsione della c.d. “lettera di presentazione”. La domanda è stata accettata mediante inserimento nel predetto elenco con decreto regionale n. 188 del 13 febbraio 2024. Alla pubblica udienza del 16 maggio 2024 la difesa di parte appellante rassegnava le proprie conclusioni ed il ricorso in appello veniva infine trattenuto in decisione. Tutto ciò premesso va innanzitutto respinta la richiesta di conferma della sentenza di primo grado, formulata dal Ministero del lavoro, nella parte in cui si dispone la sua estromissione dal giudizio. E ciò dal momento che tale parte della decisione di primo grado non ha formato oggetto di appello, con conseguente formazione del giudicato sul punto specifico. Nel merito: 9.1. Va innanzitutto dichiarata la sopravvenuta carenza di interesse sul primo motivo di appello in quanto è stata eliminata la formulazione ritenuta lesiva dall’appellante amministrazione regionale. Di qui la parziale improcedibilità del gravame ossia del primo motivo di appello; 9.2. Sul secondo motivo di appello, con cui si lamenta la influenza dominante di alcune università (in particolare quella di Venezia), si rammenta la formulazione dell’art. 4, comma 2, del decreto legislativo n. 117 del 2017, secondo cui “non sono enti del terzo settore le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165... nonché gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti enti”). Tanto premesso, non si ravvisano nello statuto elementi tali da far presupporre un simile peso organizzativo e decisionale rispetto ad altri membri dell’associazione. Il motivo è comunque generico in quanto si basa su dati testuali non degli atti costitutivi e statutari dell’associazione ma, piuttosto, su affermazioni contenute nel ricorso introduttivo di primo grado della stessa associazione, in particolare laddove sarebbe stato affermato che: “La sede principale e di coordinamento complessivo dell'attività è quella di Venezia”. Affermazione questa che, in assenza di un formale riscontro di matrice statutaria, è ovviamente insufficiente onde prefigurare un potere di direzione e di controllo quale quello prospettato. Né d’altra parte la difesa regionale indica quali specifiche disposizioni dello statuto dell’associazione appellata disvelerebbero una tale posizione di preminenza dell’Università di Venezia rispetto a tutti gli altri soggetti. Di cui la sostanziale genericità della deduzione difensiva. Il motivo di appello si rivela dunque infondato. Quanto al regime delle spese, occorre tenere conto che il primo motivo di appello, ove affrontato nel merito, sarebbe stato ritenuto fondato dal momento che: 10.1. Come rammentato nella circolare ministeriale del 6 febbraio 2019, gli enti del terzo settore, ai sensi della legge delega n. 106 del 2016, debbono “consentire il libero svolgimento della personalità dei singoli al proprio interno, quale strumento di promozione e di attuazione di principi di pluralismo, solidarietà, partecipazione e sussidiarietà che trovano copertura costituzionale negli articoli 2, 3, 18 e 118 della Costituzione (art. 2)”. Dunque: “è soprattutto nelle associazioni di promozione sociale che devono essere valorizzati in particolare i principi di democraticità e partecipazione (art. 4)”. Di qui il c.d. “carattere aperto delle associazioni” specificamente contemplato dall’art. 23 del decreto legislativo n. 117 del 2017; 10.2. Prosegue la stessa circolare affermando che ogni “associazione di promozione sociale può, anzi deve necessariamente fissare nel proprio statuto "i requisiti per l'ammissione di nuovi associati" (art. 21 comma 1)”, ma tali requisiti debbono risultare “non discriminatori”. Di qui “la contrarietà alle disposizioni... che rimettano al mero arbitrio degli amministratori le decisioni in merito all'ammissione di nuovi associati”; 10.3. In questa stessa direzione si rivela dunque necessario “che le previsioni statutarie siano volte, più che ad individuare requisiti in grado di porre limiti alle adesioni (al fine di realizzare artificiali restrizioni della base associativa), a tracciare una sorta di "identità associativa", un sistema di finalità e valori fondanti”; 10.4. La condivisibile impostazione della richiamata circolare del 2019 trova peraltro radice nella individuazione delle associazioni portatrici di interessi ambientali che pure, ai sensi dell’art. 13 della legge n. 349 del 1986, debbono distinguersi per un ordinamento interno democratico (come da statuto) e dunque pienamente ispirarsi alla c.d. “politica della porta aperta” (di qui la teorica impossibilità di riconoscere associazioni ed enti che prevedano metodi di cooptazione per la nomina dei propri organi direttivi oppure il compimento di continuative ed intrepide azioni onde ottenere la qualifica di socio effettivo); 10.5. Alla luce di quanto sopra evidenziato emerge dunque che, quanto al fatto che gli stessi aspiranti dovessero illo tempore essere presentati da un socio effettivo mediante “lettera di patronage”: a) ciò si sarebbe tradotto in un ostacolo eccessivo onde accedere ad un ente associativo che - giova ripetere - dovrebbe avere carattere aperto e democratico. Un adempimento di questo genere (lettera di patronage di uno dei soci di diritto) avrebbe integrato una sorta di potere altamente discrezionale non altrimenti sindacabile in quanto i limiti di tale intervento non sono stati in ogni caso delimitati e circoscritti (di qui la prossimità al “mero arbitrio” stigmatizzato proprio dalla circolare ministeriale del 6 febbraio 20919). E ciò a differenza della decisione finale da parte del Consiglio e dell’Assemblea, i quali debbono invece compiere le proprie valutazioni sulla base della condivisione o meno, da parte dell’aspirante socio, delle finalità proprie dell’associazione (cfr. art. 3.5. statuto ente); b) al tempo stesso si rischiava che gli interessi generali, che ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto legislativo n. 117 del 2017, debbono essere perseguiti da taluni enti che intendono far parte del suddetto elenco, sarebbero trasmutati in interessi di parte visto che si sarebbe rimessa la decisione di poter accedere ad un soggetto soltanto (il “socio presentatore”). Ed infatti, la valutazione circa la meritevolezza di un certo candidato ad essere ammesso alla suddetta associazione sarebbe stata espressione del particolare orientamento di un singolo socio e non si sarebbe piuttosto basata sulla comune “identità associativa” ossia sulla condivisione di quei valori fondanti e finalità su cui si attesta l’ente stesso. Non è un caso che i soggetti che sono espressione di “interessi di parte” (es. partiti politici, sindacati, associazioni di categoria e professionali) siano espressamente esclusi dall’elenco, ai sensi dell’art. 4, comma 2, del suddetto decreto legislativo n. 117 del 2017, proprio perché ontologicamente portatori di interessi parziali (e non generali) e dunque anche privi della necessaria imparzialità. Imparzialità che nella specie sarebbe risultata fortemente compromessa proprio a cagione dell’intervento del tutto discrezionale da parte del “socio sostenitore” (o “presentatore”). 10.6. Tale motivo sarebbe dunque stato da accogliere, ove affrontato nel merito; 10.7. In conclusione l’appello sarebbe stato in parte fondato (lettera di presentazione) ed in parte infondato (ruolo svolto da università). 10.8. Ne deriva che, in applicazione del principio della “soccombenza virtuale”, le spese di lite possono essere integralmente compensate tra le parti costituite atteso che l’accoglimento del primo motivo avrebbe determinato una soccombenza reciproca. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara improcedibile ed in parte lo rigetta. Spese compensate, con le precisazioni di cui alla parte motiva. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Francesco Caringella - Presidente Stefano Fantini - Consigliere Alberto Urso - Consigliere Marina Perrelli - Consigliere Massimo Santini - Consigliere, Estensore L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Massimo Santini Francesco Caringella IL SEGRETARIO
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6488 del 2023, proposto da Agenzia Territoriale dell'Emilia Romagna per i Servizi Idrici e Rifiuti - Atersir, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Ma., con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Fa., Ch. Fe., con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Fa. in Padova, via (...); nei confronti He. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Ca., con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia; Regione Emilia-Romagna, Comune di Bologna, Comune di (omissis), non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l''Emilia Romagna Sezione Seconda n. 326/2023, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di He. S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 marzo 2024 il Cons. Riccardo Carpino e uditi per le parti gli avvocati delle parti come da verbale. FATTO e DIRITTO 1. La questione controversa riguarda l'obbligo di Atersir di stabilire meccanismi compensativi per il recupero di 1.458.316,92 Euro a favore del Comune di (omissis) (corrispondente alle sovra-coperture del servizio per le annualità 2013-2016). Parte appellata unitamente al Comune di (omissis) (appellato in altra controversia, RG 202304574) in data 9 agosto 2023 ha proposto istanza per la trattazione congiunta rilevando che i due giudizi di primo grado decisi con le sentenze oggetto dei predetti appelli - benché promossi separatamente dai Comuni di (omissis) e (omissis) - riguardano la medesima vicenda sostanziale, essendo stati proposti nei confronti delle medesime controparti (ATERSIR, He. spa, Comune di Bologna, Comune di (omissis), oltre che notiziando la Regione Emilia-Romagna ed ARERA) e richiedendo l'annullamento dei medesimi provvedimenti di ATERSIR, per ragioni e sotto profili di diritto pressoché identici. Entrambi gli enti hanno fatto presente che le due sentenze del Tar Emilia-Romagna contro le quali ATERSIR ha proposto gli appelli dinanzi indicati (sent. 926/2022 e sent. 326/2023) hanno deciso i ricorsi di primo grado sulla base di motivazioni analoghe e che analoga sovrapponibilità si riscontra anche negli stessi atti di appello da parte della predetta ATERSIR. Con decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 15 settembre 2023 la controversia è stata assegnata a questa sezione in considerazione dei profili di connessione. In sede cautelare è stata concessa, tenuto conto dei profili di connessione, la misura cautelare per le medesime motivazioni di cui all'altra controversia (ord.3438 del 30 agosto 2023) al fine di mantenere la res adhuc integra in vista della fissazione dell'udienza pubblica per la trattazione del merito evitando cosi il rischio di eventuali riconteggi - che in definitiva avrebbero gravato sugli utenti - e la dispersione delle risorse amministrative necessarie. La controversia riguarda la determinazione del corrispettivo per il servizio di raccolta rifiuti sul proprio territorio, secondo il Piano Finanziario (PEF) annualmente deliberato da Atersir sostenendo parte appellante che l'equilibrio del sistema va ricercato a livello di bacino. In particolare, in primo grado l'attuale appellato - Comune di (omissis) - ha censurato l'indebita determinazione del corrispettivo a suo carico per il servizio di raccolta rifiuti sul proprio territorio, secondo il Piano Finanziario (PEF) annualmente deliberato da Atersir sostenendo che il D. Lgs. 152/2006, nel disciplinare la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, sancisce il principio dell'integrale copertura dei costi (ribadito per la TARI, art. 1, comma 654, della l 147/2013); il gestore dovrebbe elaborare quindi il PEF che contempla il costo per ciascun Comune, da riversare sui cittadini mediante la determinazione della tariffa. Il Comune di (omissis) ha lamentato che, dal confronto fra i costi e i ricavi della gestione del servizio per gli anni 2013, 2014, 2015 e 2016 - come rendicontati dal gestore del servizio ad ATERSIR e da questa trasmessi all'amministrazione - risultano costanti "sovra-coperture" del servizio, per importi nell'ordine complessivo di 1.458.316,92; Atersir non si sarebbe adoperata per porvi rimedio, ed anzi avrebbe affermato l'equilibrio del sistema a livello di bacino e la fisiologia degli scostamenti locali. In sede di primo grado il giudice ha accolto il ricorso del Comune di (omissis) qui appellato ritenendo che i disallineamenti tra i costi preventivati e quelli risultati dai rendiconti si sono risolti in un indebito vantaggio per i Comuni dell'ambito a danno del Comune di (omissis); di conseguenza il TAR ha statuito l'obbligo per Atersir di adottare - entro un termine ragionevolmente compatibile con la scansione temporale della programmazione - un piano per il recupero delle somme versate in eccesso dal Comune di (omissis) nelle annualità dal 2013 al 2016. Parte appellata ha anche proposto un giudizio di ottemperanza, notificato in data 27 giugno 2023, innanzi al TAR per l'Emilia-Romagna, Sede di Bologna, Sez. II, R.G. n. 472/2023, con il quale ha contestato all'Agenzia di non aver dato immediata esecuzione alla sentenza gravata. 1.2 Atersir propone ora appello per i seguenti motivi di ricorso: I Error in iudicando per aver travisato la disciplina in materia di attribuzione delle competenze di regolazione tariffaria del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani. Falsa ed erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 3 bis comma 1 bis, d.l. n. 138/2011 e dell'art. 4, l.r. Emilia-Romagna n. 23/2011; II Error in iudicando per aver travisato la disciplina in materia di TARI. Falsa ed erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 1 comma 639 e seg. della l. n. 147 del 2013 Con il primo motivo di ricorso, l'appellante ritiene che la competenza del singolo Comune ad approvare il PEF è stata ritenuta da Atersir implicitamente superata in forza della vis abrogans del nuovo assetto delle competenze determinato dal codice dell'ambiente e dall'art. 3 bis, comma 1 bis, del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 conv. in l. 14 settembre 2011 n. 148, nonché dalla stessa legge regionale che attribuisce espressamente ad un organo dell'Agenzia - al Consiglio Locale - la competenza ad approvare le tariffe all'utenza (art. 8 l.r. 23 dicembre 2011 n. 23). Nel processo di determinazione della tariffa, l'appellante richiama la competenza di ARERA sulla base della l. n. 205/2017, art. 1, comma 527, ad approvare "le tariffe definite, ai sensi della legislazione vigente, dall'ente di governo dell'ambito territoriale ottimale per il servizio integrato e dai gestori degli impianti di trattamento"; a tal riguardo, fa presente che l'ARERA ha esercitato la propria funzione di "predisposizione ed aggiornamento del metodo tariffario per la determinazione dei corrispettivi del servizio integrato dei rifiuti", in occasione dell'emanazione del primo metodo tariffario (c.d. MTR 1), che ha inizialmente previsto la possibilità per ciascun Ente di governo per gli ambiti territoriali ottimali (EGATO) di presentare un piano tariffario articolato per singolo Comune o per ambito. Successivamente - per il secondo e corrente periodo regolatorio (c.d. MTR2) - il metodo adottato dall'Autorità si è fondato esclusivamente sul PEF d'ambito (o pluricomunale), rimettendo in via del tutto eccezionale la possibilità di operare tramite PEF costruiti su base comunale in fattispecie che non si riscontrerebbero nel caso che ci occupa. Sostiene l'appellante inoltre che la scelta di Atersir di determinare la tariffa con riferimento al bacino di affidamento nel suo complesso e le modalità con cui essa ha inteso distribuire tra i Comuni associati gli oneri in funzione perequativa non solo non sarebbe illegittima perché pienamente aderente sia alla legge regionale sia alla legge nazionale, ma sarebbe anche insindacabile poiché attiene al merito amministrativo circa l'ottimizzazione di quelle "economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio", poste dal legislatore nazionale alla base della creazione stessa degli Enti di governo dell'ambito ottimale. Ritiene quindi censurabile l'affermazione del giudice di primo grado secondo cui la "stretta interconnessione tra la T.A.R.I. applicata ai cittadini e i costi di investimento e di esercizio dell'attività praticata sul territorio comunale" imporrebbe una rigida correlazione tra quelle porzioni di servizio effettivamente realizzate sul singolo territorio ed i costi di esercizio da parte del gestore unico, poiché non terrebbe conto del fatto che tali costi, inferiori a quelli che sarebbero praticati in un'ottica di gestione in economia, sono possibili proprio perché la gestione del servizio si svolge sull'intero bacino. Con il secondo motivo rileva che la ratio sottesa all'attribuzione della competenza ai singoli Comuni riguardo alla TARI si fonda sull'autonomia tributaria degli enti locali e non delle loro forme associative; si tratta di un meccanismo di articolazione della tariffa per cui gli utenti sono considerati uti universi e la determinazione dell'onere sostenuto dal singolo utente è ancora calcolato su base parametrica (superficie e numero di soggetti collegati ad un singolo immobile). Tale circostanza, ritiene, non deve confondere l'articolazione tariffaria a livello di bacino con lo strumento tributario, ossia la delibera comunale, che ripartisce la quota di tariffa spettante agli utenti; diversamente emergerebbe una contraddizione rispetto alla logica d'ambito o di area vasta. La controinteressata He. sostiene che: - la TARI è uno strumento tributario volto a garantire il recupero del costo del servizio di gestione rifiuti in capo agli utenti finali. Si tratta di un tributo locale volto a finanziare il costo del servizio complessivo di gestione integrata dei rifiuti ma tale costo dovrebbe essere considerato come un costo definito a livello di "ambito territoriale ottimale", non parametrato sulla base del singolo utente finale del servizio e dunque sulla base di un singolo territorio comunale; - il corrispettivo spettante a He., per la gestione del servizio deve essere tale da coprire il costo complessivo del servizio stesso sull'intero ambito di affidamento così come previsto dalla Convenzione sottoscritta tra il gestore del servizio e l'Autorità di Ambito (cfr. art. 13-bis Convenzione Atersir - He.) e dall'art. 3, co. 2 del d.P.R. 158/1999 che dispone "la tariffa di riferimento a regime deve coprire tutti i costi afferenti al servizio di gestione dei rifiuti urbani". Il Comune appellato, in sede di costituzione, ripropone le domande e i motivi ex art. 101 c.p.a. che illustrerebbero un quadro di complessivo inadempimento da parte di ATERSIR delle corrette procedure previste per l'approvazione dei Piani economico finanziari (PEF) dei diversi Comuni. In particolare seguendo l'elencazione dell'atto di costituzione: A.1) censura contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, di data 23 ottobre 2018 2. Violazione delle modalità procedimentali stabilite nel cronoprogramma previsto dalla delibera 27 luglio 2017, n. 51, del Consiglio d'Ambito di ATERSIR, come sostituita dalla delibera del 25 luglio 2018, n. 56, e del principio dell'accordo con il comune interessato. Difetto di motivazione. 3. Ulteriore violazione procedimentale dell'art. 8, comma 3, lett. d), d.P.R. 158/1999. Necessaria riapertura del procedimento per introdurre i meccanismi di recupero delle sovracoperture. A.2) Censure contenute nei (primi) motivi aggiunti, di data 13 maggio 2019 2. Violazione delle modalità procedimentali stabilite nel cronoprogramma previsto dalla delibera 27 luglio 2017, n. 51, del Consiglio d'Ambito di ATERSIR, come sostituita dalla delibera del 25 luglio 2018, n. 56, e del principio dell'accordo con il comune interessato. Difetto di motivazione. 3.Ulteriore difetto di motivazione in relazione al parere negativo espresso dal Consiglio locale dell'8 marzo 2019, n. 3 e contestuale violazione dell'art. 7, comma 5, lett. c), l.r. Emilia - Romagna n. 23 del 2011. B. Riproposizione della domanda subordinata avanzata in primo grado dal Comune di (omissis) e non esaminata nella sentenza del Tar Emilia-Romagna (versione contenuta nel ricorso per motivi aggiunti del Comune di (omissis) data 13 maggio 2019) 4. In subordine: accertato che He. S.p.A. ha ricevuto negli anni 2013-2016 dal Comune di (omissis) sovracoperture del servizio per un importo di Euro 1.948.954 (o di quanto comunque risulterà ), sancire il suo conseguente dovere di restituzione, con corrispondente condanna. 2. I motivi del ricorso di appello vanno trattati unitariamente per i profili di connessione che presentano e sono fondati. Nel caso in questione occorre premettere che la Regione Emilia-Romagna con la legge regionale 23 dicembre 2011 n. 23 ha disciplinato il servizio idrico integrato ed il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani in Emilia-Romagna, a seguito dell'abrogazione delle autorità d'ambito disposta dall'articolo 2, comma 186-bis legge 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010). Detta legge regionale ha individuato un unico ambito territoriale ottimale di dimensione regionale; le funzioni sono svolte dall'Agenzia territoriale dell'Emilia-Romagna per i servizi idrici e rifiuti (Atersir) cui partecipano obbligatoriamente tutti i Comuni e le Province della Regione. L'Agenzia esercita le proprie funzioni per l'intero ambito territoriale ottimale mediante due distinti livelli di governo: le funzioni del primo livello sono esercitate con riferimento all'intero ambito territoriale ottimale; quelle del secondo livello sono esercitate, in sede di prima applicazione della presente legge, con riferimento al territorio provinciale. Al riguardo va inoltre considerato il sistema che emerge dalla disposizione introdotta con l'art. 3 bis, comma 1 - bis d.l. 138/2011. L'art. 3 bis, comma 1 bis, d.l.138/2011, tra l'altro dispone che "Le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al settore dei rifiuti urbani, di scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all'utenza per quanto di competenza, di affidamento della gestione e relativo controllo sono esercitate unicamente dagli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei istituiti o designati ai sensi del comma 1 del presente articolo cui gli enti locali partecipano obbligatoriamente, fermo restando quanto previsto dall'articolo 1, comma 90, della legge 7 aprile 2014, n. 56". Si tratta di una disposizione che completa un percorso di passaggio di funzioni all'ente di governo dell'ambito ottimale al quale compete l'organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica compreso quello dei rifiuti. Si definisce così un percorso di superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti, già iniziato con l'art. 23 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che si proiettava verso una gestione unitaria pur con il limite del mantenimento della privativa in capo ai Comuni. Mediante l'ambito territoriale ottimale si è superata una ottica di parcellizzazione della gestione dei servizi pubblici a livello dei singoli enti per realizzare economie di scala realizzando una migliore utilizzazione delle risorse pubbliche. In tal senso, per la materia di interesse, basti richiamare l'art. 200, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 152 del 2006 in base al quale la gestione dei rifiuti urbani risponde, tra l'altro, al criterio di superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti, intervenendo nella materia di tutela ambientale. Peraltro, con il d.lgs. 152/2006, l'ambito trova ancora più forza mediante la "gestione integrata" dei rifiuti svolta da un unico soggetto a seguito di gara pubblica; e soprattutto viene costituita l'autorità d'ambito, struttura tecnica dotata di personalità giuridica. Con la soppressione delle autorità d'ambito ex art 2, comma 186-bis, l. 23 dicembre 2009, n. 191, il percorso si è interrotto per riprendere con il richiamato art. 3 bis d.l.138/2011 e la costituzione degli enti di governo degli ambiti; un percorso che ha visto transitare una serie di funzioni (organizzazione, scelta della forma di gestione, determinazione delle tariffe all'utenza, affidamento della gestione e relativo controllo) in un ambito più vasto in cui il dominus diventa l'ente di governo. 2.1 Va però evidenziata anche una differenza tra i soggetti titolati alla gestione, ossia l'autorità d'ambito prima e l'ente di governo dell'ambito dopo. L'autorità d'ambito, in base all'abrogato art. 201 d.lgs. 152/2006, era dotata di una propria soggettività giuridica - mediante il riconoscimento della personalità giuridica - che la distingueva dagli enti locali che ne facevano parte. Con l'ente di governo dell'ambito, di cui all'art. 3 - bis d.l.138/2011, si fa un passo ulteriore - anche in termini di funzioni e soggettività - verso la responsabilizzazione di un nuovo ente che si distingue ancora di più dai Comuni che vi partecipano. Non a caso l'ente di governo, dopo l'abrogazione dell'autorità d'ambito che ha segnato una pausa nel processo degli ambiti, viene previsto in un decreto legge recante misure per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, nel contesto della situazione economico-finanziaria degli anni 2010-2012. Tra queste misure va anche richiamato l'art. 4 del medesimo decreto legge in materia di disciplina dei servizi pubblici locali (introdotto dopo il referendum abrogativo dell'art. 23 bis d.l. 112/2008) successivamente dichiarato incostituzionale in quanto riproduttivo della normativa caducata dal referendum medesimo. È un passaggio legislativo di rilievo se si pensa che l'ambito territoriale ottimale (Ato) veniva inteso - lungi dal costituire un nuovo ente locale - quale strumento operativo per la gestione dei rifiuti urbani, secondo criteri di efficienza e di efficacia, senza alcun riconoscimento di potere impositivo (cfr. Consiglio di Stato sez. V - 2 dicembre 2012, n. 539). 2.2 In questa ottica ha una sua rilevanza la determinazione del PEF a cura dell'ente di governo il quale è dotato di organi anche essi titolari - almeno in via mediata - di rappresentatività dei singoli enti; l'organo di governo dell'ambito è quindi rappresentativo degli enti che vi partecipano, che rimangono capaci di tradurre il proprio indirizzo politico in una reale azione di influenza sull'esercizio delle funzioni (cfr. in tal senso Corte Cost. 33/2019 relativamente alle forme associative con ragionamento sovrapponibile alla fattispecie in esame). 2.3 Né, in ultimo, può essere trascurato che anche la recente normativa (d.lgs. 201/2022) sembra attribuire agli enti di governo d'ambito la natura di autorità di regolazione locale. Nell'impostazione generale della nuova disciplina che impone una distinzione tra le funzioni di regolazione e di gestione, è previsto che gli enti di governo "non possono direttamente o indirettamente partecipare a soggetti incaricati della gestione del servizio", aggiungendosi che la partecipazione degli locali compresi nell'ambito non è considerata quale partecipazione (anche solo) indiretta (art. 6).. Sempre in questa ottica va richiamato quanto previsto dall'art. 37, comma 2, del citato d.lgs. 201/2022 che, modificando l'art. 3 - bis, comma 1- bis, d.l. 138/2011, dispone che "Le deliberazioni degli enti di governo di cui al comma 1 sono validamente assunte nei competenti organi degli stessi senza necessità di ulteriori deliberazioni, preventive o successive da parte degli organi degli enti locali"; previsione che si ritrova nella medesima formulazione anche nella richiamata legge regionale Emilia - Romagna 23/2011 (art 4 comma 3) e che sta ad indicare una autonomia dell'organo di governo dell'ambito dall'ente locale che ne fa parte e la necessità di una "consonanza" al fine di evitare che quanto in una sede deliberato (Atersir nello specifico) venga superato da parte del singolo ente locale aderente. 2.4 Quanto poi all'attuazione della disciplina statale a livello regionale occorre considerare che la legge regionale 23 dicembre 2011 n. 23 prevede, per la parte di interesse: art 4, comma 4: Al fine di valorizzare le differenziazioni territoriali, l'Agenzia opera su due livelli cui competono funzioni distinte di governo. Le funzioni del primo livello sono esercitate con riferimento all'intero ambito territoriale ottimale. Le funzioni del secondo livello sono esercitate, in sede di prima applicazione della presente legge, con riferimento al territorio provinciale. Art. 7, commi 1, 3 e 5: 1.Il Consiglio d'ambito svolge le funzioni di primo livello, è nominato dal Consiglio locale ed è costituito da Sindaci, Presidenti della Provincia o Amministratori da loro delegati in via permanente. 3.Le deliberazioni del Consiglio d'ambito sono validamente assunte a maggioranza dei votanti e ogni componente ha a disposizione un voto. 5.Il Consiglio d'ambito provvede sia per il servizio idrico integrato sia per quello di gestione dei rifiuti: b) alla definizione e approvazione dei costi totali del servizio; c) all'approvazione, sentiti i Consigli locali, del piano economico-finanziario; d) all'approvazione del piano d'ambito e dei suoi eventuali piano stralcio; i) al monitoraggio e valutazione, tenendo conto della qualità ed entità del servizio reso in rapporto ai costi, sull'andamento delle tariffe all'utenza deliberate dai Consigli locali ed all'eventuale proposta di modifica e aggiornamento; art. 8 I Consigli locali svolgono le funzioni di secondo livello ai sensi dell'articolo 4, comma 4. Ogni Consiglio locale è costituito dai Comuni della provincia e da quelli confinanti di altre Regioni che siano stati inclusi nell'ambito territoriale ottimale, rappresentati dai Sindaci, nonché dalla Provincia, rappresentata dal Presidente, o dagli amministratori locali delegati, in coerenza con quanto previsto per le conferenze di cui all'articolo 11 della legge regionale 24 marzo 2004, n. 6. Dall'articolazione delle funzioni sopra richiamate e dalla natura degli organi e dalla loro composizione emerge come i singoli Comuni aderenti partecipano a pieno titolo, con i loro rappresentanti di vertice - Sindaci o Presidenti di provincia - al processo decisionale a livello di ambito. In particolare, nel Consiglio locale che dà il parere sul PEF è prevista la presenza di tutti i Sindaci ed opera il principio della maggioranza assoluta delle quote di partecipazione presenti (cfr. art. 8, comma 4, l.r. 23/2011). Le quote di partecipazione dei Comuni sono determinate per un decimo in ragione del loro numero e per nove decimi sulla base della popolazione residente in ciascun Comune, calcolate sui nove decimi dei voti complessivamente a disposizione del Consiglio locale; le quote di partecipazione della Provincia è pari ad un decimo dei voti complessivamente a disposizione del Consiglio locale. Il Consiglio di ambito poi - che approva il Pef - è costituito da sindaci, presidenti della provincia o amministratori locali delegati in via permanente nel numero di nove secondo la formulazione attualmente vigente, nominati dai Consigli locali; le deliberazioni del Consiglio d'ambito sono validamente assunte a maggioranza dei votanti e ogni componente ha a disposizione un voto indipendentemente dalla popolazione (cfr. art 7, comma 3, l.r. 23/2011). In sostanza si tratta di un criterio in cui è prevalente la popolazione, più direttamente nel consiglio locale per la presenza diretta del sindaco di tutti i Comuni e in maniera mediata per il Consiglio di ambito i cui componenti sono nominati dal consiglio locale nel cui ambito prevale il criterio numerico della popolazione. Se questo, come si ritiene, è l'impianto degli enti di governo dell'ambito ne consegue che il PEF rappresenta la sintesi più avanzata - sotto il profilo economico e finanziario - delle funzioni di gestione ed esso viene approvato dal consiglio d'ambito previo parere del consiglio locale. 2.5 Se quindi ha un senso il criterio dell'area vasta - per un servizio complessivo secondo quanto rileva l'appellante del valore di 130 milioni di euro annui - occorre prescindere da una logica ancorata al criterio del costo a livello del singolo Comune senza considerare l'area vasta ed i vantaggi della sua gestione; diversamente opinando l'area vasta risulterebbe, da un lato, la somma dei singoli costi maturati a livello comunale e dall'altro una mera ripartizione di costi generali. In definitiva, si tratta di una migliore gestione di risorse, con assegnazione della gestione ad un solo soggetto in luogo dei diversi Comuni appartenenti all'ambito. E' questa una impostazione legislativa che ritroviamo anche in altre disposizioni comprese quelle che incentivano l'associazionismo - a livello statale e regionale - come quella dell'obbligo dell'esercizio associato delle funzioni per i Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, invero non ancora attuato, di cui all'art. 14 comma 27 del D.L. n. 78 del 31 maggio 2010 conv. in legge 30 luglio 2010, n. 122. Da quanto sin qui premesso il tema della competenza del Comune all'approvazione del PEF va visto in una ottica diversa. Le quantificazioni ivi contenute sono "approvate" da ciascun Comune mediante l'iscrizione a bilancio dei costi risultanti dai PEF approvati dall'Agenzia relativi al proprio territorio (in tal senso si veda nota dell'Atersir dell'11 dicembre 2016) restando al Comune la valutazione su come ripartire tra i propri cittadini la relativa TARI. 2.6 Si può quindi sostenere che, nel caso specifico, vi sia un passaggio pieno all'ente di governo delle funzioni relative alle dinamiche gestionali e finanziarie della gestione del servizio dei rifiuti. Ossia l'ente di governo - inteso come ente che organizza e che affida il servizio - necessariamente deve poter "dominare" l'aspetto dei costi che prelude proprio all'affidamento medesimo; il che non si concilierebbe con un ruolo del Comune come soggetto con il quale l'ente di governo deve necessariamente cercare un accordo sui costi di ciascun Comune attesa l'eventualità che ciò si tramuti in un potere interdittivo non conciliabile con quanto sopra rilevato in ordine ai meccanismi di governo dell'ente, improntati appunto alla maggioranza. Da quanto sopra emerge anche che l'obbligo di copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio di cui all'art. 1, comma 654, l. 147/2013 non può essere ipotizzato come la somma dei costi a livello comunale; si deve necessariamente avere riguardo ai costi dell'ambito che però con trasparenza devono essere resi evidenti dall'ente di governo e dimostrare anche quelle economie di scala per le quali l'ambito trova la propria ragion d'essere. Sulla scorta di quanto sin qui esposto appare coerente con il disegno legislativo descritto il ruolo dell'ente di governo - il consiglio d'ambito nello specifico - che approva a maggioranza il PEF senza dovere essere condizionato da un accordo puntuale con ciascun Comune appartenente all'ambito; altro tema è comunque quello del riequilibrio di cui si dirà in appresso. 3.In relazione ai motivi di parte appellata occorre puntualizzare che il comportamento di Atersir sebbene non censurabile in questa sede per le ragioni esposte necessita di una verifica nel merito amministrativo delle scelte operate che hanno visto, come emerge dagli atti di causa, un primo orientamento volto al recupero delle sovra-coperture ed in seguito l'adozione di una serie di atti non rispondenti a detto fine. Si tratta di valutazioni di merito che esulano dalle valutazioni di legittimità da svolgersi in questa sede e che potranno essere approfondite dagli organi competenti, come a quanto consta dagli atti di causa è avvenuto in relazione alla delibera del 13 ottobre 2023 che ha incrementato il costo dei servizi di spazzamento a favore di determinati Comuni, tra cui (omissis), da ripartire sui Comuni di tutto il bacino. E ciò in considerazione di una rimodulazione dei servizi di spazzamento i cui "maggiori oneri che ne derivano siano distribuiti tra gli utenti dell'intero bacino di gara, in linea con il principio di organizzazione del servizio per bacino territoriale ottimale previsto dalla normativa vigente...anche in considerazione del fatto che qualora tali fabbisogni fossero stati correttamente inseriti già nel monte chilometrico descritto dal bando di gara, il relativo costo sarebbe poi stato suddiviso tra tutti i Comuni del bacino, secondo la medesima logica di attribuzione dei costi che viene utilizzata per passare dai costi descritti dal PEF "di bacino" al PEF di ogni singolo comune e che comprende ragioni perequative che vanno oltre la matematica ripartizione dei costi attribuibili ai singoli territori comunali". La citata delibera ha pertanto dato "mandato alla struttura tecnica di elaborare idonee simulazioni di ripartizione del costo sopra riportato e pari a 512.116 euro sull'intero bacino di concessione, in conformità al sopra richiamato principio di organizzazione del servizio per bacino territoriale ottimale previsto dalla normativa vigente e in coerenza con le consuete logiche perequative di area vasta già adottate in precedenti atti di questo Consiglio Locale, affinché siano poi applicate a partire dalla prossima pianificazione economico finanziaria del servizio". In quest'ultima delibera può rilevarsi che l'ente di governo si è posto in una ottica perequativa che appare imprescindibile al fine di consentire che le risorse che ciascun Comune versa - e quindi ciascun cittadino a titolo di Tari - trovino una loro "compensazione". Ne consegue che all'ente di governo ed agli organi di natura politica che lo compongono, che compete, nell'esplicazione di una valutazione di merito, l'individuazione di una soluzione, nella gamma di quelle possibili, che offra maggiori o migliori servizi a favore di quei cittadini che mediante la Tari hanno sopportato i costi dell'ambito anche per i Comuni meno efficienti con il rischio di sovracoperture, auspicabilmente da evitare in generale. 3.1 In relazione alle singole censure riproposte da parte appellata ex art 101 cpa si rileva quanto segue. A.1) censura contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, di data 23 ottobre 2018 2. Violazione delle modalità procedimentali stabilite nel cronoprogramma previsto dalla delibera 27 luglio 2017, n. 51, del Consiglio d'Ambito di ATERSIR, come sostituita dalla delibera del 25 luglio 2018, n. 56, e del principio dell'accordo con il comune interessato. Difetto di motivazione. 3. Ulteriore violazione procedimentale dell'art. 8, comma 3, lett. d), d.P.R. 158/1999. Necessaria riapertura del procedimento per introdurre i meccanismi di recupero delle sovracoperture. Le richiamate censure possono essere trattate unitariamente visti i profili di connessione. In particolare, con le richiamate censure (A.1, sub 2 e 3) l'appellato Comune di (omissis) rileva che il Consiglio d'Ambito di ATERSIR con delibera 27 luglio 2017, n. 51, aveva deliberato un cronoprogramma per la stesura dei successivi piani economico-finanziari; cronoprogramma che non è stato rispettato. Evidenzia che il gestore ha effettivamente avuto dei contatti preliminari con il Comune di (omissis), ma non ha fornito il PEF nella sua versione definitiva, che avrebbe poi dovuto consegnare ad ATERSIR entro il termine del 15 novembre, secondo la tempistica della richiamata delibera 51/2017 e soprattutto concordare il suo contenuto anche in ordine alle sovracoperture; l'assenza dell'accordo dovrebbe comportare un onere di motivazione aggravata. Segnala inoltre che sono intervenuti dei contatti del gestore (nota del 22 dicembre 2017) con l'Amministrazione comunale senza esito per cui il confronto sulla programmazione si sarebbe risolto nella mera comunicazione della bozza di PEF, poi unilateralmente approvata. La mancata comunicazione (si veda motivo sub 3) costituirebbe anche una diretta violazione di legge dell'art. 8 d.P.R. n. 158 del 1999, il quale stabilisce infatti, al comma 3, che "il piano finanziario deve essere corredato da una relazione" nella quale deve essere indicato, tra l'altro, "con riferimento al piano dell'anno precedente, l'indicazione degli scostamenti che si siano eventualmente verificati e le relative motivazioni" (lett. d) Ritiene infine che l'affermazione della delibera n. 19 del 2018, di approvazione del PEF 2018, secondo cui la pianificazione "è costruita tenendo conto della procedura individuata dalla deliberazione del Consiglio di ambito n. 51 del 27 luglio 2017 "Procedura per la definizione del percorso approvativo della pianificazione economico finanziaria 2018 e anni seguenti"" appare una mera formula di stile, non corrispondendo ad un reale contenuto. I motivi sono infondati. La mera delibera di adozione di un cronoprogramma (delibera 27 luglio 2017, n. 51) sebbene impegni l'ente di governo non può assumere valore vincolante al fine di determinare un vizio dell'atto successivamente adottato in violazione del richiamato cronoprogramma; nello specifico i due atti - cronoprogramma e PEF 2018 - promanano dal medesimo Consiglio di ambito che con il successivo atto si è determinato - implicitamente revocando il precedente. Inoltre, la previsione di un accordo con il Comune sul PEF, richiamato nella delibera 51/2017 non può essere letta come un vincolo avente maggiore valenza di quelli che la legge regionale dispone e che prevede l'approvazione a maggioranza del PEF in sede di Consiglio d'ambito; peraltro la delibera 51/2017 aveva il prioritario fine di prevedere uno scadenzario alle attività preparatorie del PEF. Quanto poi alla violazione dell'art 8 d.P.R. 158/1999 essa non può assurgere a vizio invalidante sulla base dell'art. 21 - octies della l. 241/1990; ossia si tratta di un vizio formale relativo all'iter procedimentale da seguire la cui ottemperanza non avrebbe reso differente il contenuto degli atti poi legittimamente adottati. Analogamente quanto all'affermazione della delibera 10/2018 di approvazione del Pef che si ritiene mera affermazione di stile nella parte in cui fa riferimento al tenere conto della richiamata delibera 51/2017; anche per detta censura valgono le medesime considerazioni sopra svolte in ordine all'applicabilità dell'art 21 -octies l. 241/1990 atteso che, anche in questo caso, si tratta di un vizio formale che non modifica la legittimità degli atti adottati con le maggioranze e secondo l'iter previsti dalla legge regionale. 3.2 Con la censura rubricata "A.2) Censure contenute nei (primi) motivi aggiunti, di data 13 maggio 2019: 2. Violazione delle modalità procedimentali stabilite nel cronoprogramma previsto dalla delibera 27 luglio 2017, n. 51, del Consiglio d'Ambito di ATERSIR, come sostituita dalla delibera del 25 luglio 2018, n. 56, e del principio dell'accordo con il Comune interessato. Difetto di motivazione", l'appellato Comune di (omissis) rileva che le modalità di presentazione del PEF 2019 non hanno rispettato quelle originariamente disposte dalla delibera 57/2011, poi modificata nel 2018 con la delibera n. 56 del 25 luglio 2018. Al riguardo rileva che entro il 15 novembre i gestori della raccolta avrebbero dovuto fornire ad ATERSIR i PEF dell'anno concordati con i Comuni con l'elencazione dei costi comunali e la fornitura delle relazioni di accompagnamento; al riguardo il Comune, in data 7 febbraio 2019, ha evidenziato delle censure all'operato dell'Agenzia senza ricevere alcun riscontro. Ritiene inoltre che la controinteressata He. S.p.A. avrebbe dovuto non solo tempestivamente anticipare il PEF in via "notiziale" al Comune, ma avrebbe dovuto previamente concordarlo anche in ordine al rientro delle sovracoperture. In ogni caso avrebbe dovuto, ove per serie ragioni tale accordo non possa essere raggiunto, assolvere ad un onere di motivazione aggravato. Il motivo è infondato. Preliminarmente va rilevato che esso è in parte riproduttivo di quanto già evidenziato con la precedente censura dalla quale comunque differisce trattandosi del PEF 2019; ne consegue che valgono le medesime motivazioni sopra evidenziate, cui si fa rinvio. Si aggiunge anche che in questo contesto non può perseguirsi una logica di accordo puntuale con ciascun Comune sul PEF neutralizzando quanto disposto dalla legge regionale in materia di funzionamento degli organi dell'ente di governo a maggioranza. 3.3 Con il motivo rubricato: "3.Ulteriore difetto di motivazione in relazione al parere negativo espresso dal Consiglio locale dell'8 marzo 2019, n. 3 e contestuale violazione dell'art. 7, comma 5, lett. c) l.r. n. 23 del 2011" l'appellato Comune rileva che il Consiglio locale di cui all'art 8 della l.r. 23/2011 (costituito dai Comuni della provincia e da quelli confinanti di altre Regioni che siano stati inclusi nell'ambito territoriale ottimale) in data 8 marzo 2019, ha espresso parere negativo rispetto alla programmazione economico-finanziaria per l'anno 2019; il Consiglio d'ambito (costituito dai Sindaci, Presidenti della Provincia o Amministratori da loro delegati) nella deliberazione di approvazione del PEF 2019 qui impugnata, non ha fornito alcuna motivazione per la differente decisione adottata né ha indicato il segno del parere. Rileva inoltre che - al momento dell'adozione della delibera del Consiglio d'Ambito - il prescritto parere non era stato nemmeno formalizzato, esprimendo dubbi circa la conoscenza da parte dei membri del Consiglio d'Ambito del contenuto della richiamata delibera del Consiglio locale n. 3 dell'8 marzo 2019. Il motivo è infondato. In sede di Consiglio locale per l'espressione del parere sul PEF 2019, come evidenzia l'appellante è stato dato parere negativo ma detta modalità del parere non è stata riportata nella delibera di approvazione del PEF 2019; l'assenza del richiamo alla natura del parere non inficia la validità della delibera in quanto la legge regionale 23/2011, all'art 7,comma 5, lett. c) prescrive solo che sia sentito il Consiglio locale non prevedendo espressamente alcuna diversa procedura (ad esempio, maggioranza rafforzata) nell'ipotesi in cui detto parere fosse negativo. Da ciò ne consegue che, sebbene indice di una trascuratezza nella redazione della delibera, detto mancato richiamo non può inficiare la delibera ex art. 21-octies l. 241/1990 trattandosi di un vizio formale che non incide sul contenuto dell'atto; in tal caso infatti si è registrata la maggioranza per cui la delibera risulta formalmente approvata. Quanto poi alla mancata formalizzazione del parere del Consiglio locale, cui parte appellata fa riferimento, occorre precisare che si tratta di atto pubblico che fa prova fino a querela di falso e pertanto non si ritiene questa la sede per evidenziare dette carenze; in disparte il fatto che detta censura non è provata in questa sede. 3.4 Con la censura rubricata "B. Riproposizione della domanda subordinata avanzata in primo grado dal Comune di (omissis) e non esaminata nella sentenza del Tar Emilia-Romagna (versione contenuta nel ricorso per motivi aggiunti del Comune di (omissis) di data 13 maggio 2019): 4. In subordine: accertato che He. S.p.A. ha ricevuto negli anni 2013-2016 dal Comune di (omissis) sovracoperture del servizio per un importo di Euro 1.948.954 (o di quanto comunque risulterà ), sancire il suo conseguente dovere di restituzione, con corrispondente condanna", l'appellato Comune rileva di avere sempre cercato una soluzione "amministrata" per tenere conto delle esigenze di Atersir, di He. S.p.A. e degli stessi altri enti locali appartenenti all'ambito. Con tale impostazione, il Comune di (omissis) si sarebbe allineato alle rassicurazioni dell'Ente di governo, sulla base della delibera del 27 febbraio 2017, CAMB/2017/10 con la quale Atersir aveva deliberato "di assumere quale prima linea di indirizzo nella predisposizione della pianificazione economico finanziaria 2017 (...) con particolare riferimento al bacino di affidamento di He." quella del "recupero totale delle sovracoperture determinatesi nell'implementazione del sistema di definizione dei costi del servizio a partire dalle rendicontazioni consuntive prodotte dai gestori ai sensi della D.G.R. 754/2012". Una volta venuto a conoscenza di questo atto (nel giugno 2017), il Comune di (omissis) fa presente che ha sempre cercato di conseguire l'obiettivo di un rientro progressivo, accettando la prospettiva di una compensazione stabilita su base pluriennale, quale voce di sconto nei singoli PEF. In considerazione del fatto che Atersir non ha proceduto in tal senso rileva che le sovracoperture corrispondono pur sempre a somme che il Comune ha versato ad He. S.p.A. in assenza di una controprestazione; ciò in aperta violazione dell'art. 2, comma 2, della "regolamentazione della fatturazione e dei pagamenti" n. 225 del 21 agosto 2013 tra Comune di (omissis) ed He. S.p.A.; detto atto convenzionale dispone che "He. emetterà una fattura di conguaglio del corrispettivo per il servizio, sempre con data fine mese, a dicembre 2013, per il pagamento del maggior / minor corrispettivo eventualmente dovuto sulla base del PEF 2013 del servizio SGRUA e di variazioni degli standard di servizio o di servizi extracontrattuali, convenuti tra He., Comune ed ATERSIR nel corso dell'esercizio 2013". In ogni caso ritiene trattarsi di un dovere restitutorio derivante dal pagamento di un indebito oggettivo (art. 2033 c.c.), o comunque un indebito soggettivo ex art. 2036 c.c. avendo il Comune di (omissis) pagato un debito dei Comuni che sulla base dei predetti rendiconti elaborati da Atersir ai sensi del d.G.R. 754 del 2012 risulterebbero sottocoperti (come i Comuni di Bologna e (omissis), qui non costituiti). In tal senso ritiene si verterebbe in materia di giurisdizione esclusiva ai sensi dell'art. 133 comma 1 lett. c) o p) c.p.a. Il motivo è infondato. Al riguardo occorre premettere che la fattispecie che ci occupa verte in materia di giurisdizione esclusiva ex art 133 lett. p) c.p.a. atteso che si tratta di controversia relativa al ciclo dei rifiuti riconducibile, anche se in via mediata, all'esercizio di un pubblico potere. Va rilevato che detto obbligo restitutorio è privo di fondamento attesa la legittimità della procedura come sopra rilevata. Nello specifico comunque l'appellato fonda la propria censura sulla convenzione del 21 agosto 2013 agli atti di causa che disciplina la fatturazione e i pagamenti del servizio di raccolta rifiuti; si tratta di un atto convenzionale che avrebbe potuto essere modificato ad iniziativa anche del Comune appellato e che comunque non può modificare l'impianto normativo sin qui descritto sui costi e sulla loro legittimità come sopra evidenziato. 4. Attesa la complessità e la novità delle questioni esaminate sussistono idonei motivi per la compensazione delle spese. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie l'appello e riforma la sentenza di primo grado. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Lopilato - Presidente FF Giuseppe Rotondo - Consigliere Michele Conforti - Consigliere Luigi Furno - Consigliere Riccardo Carpino - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI PALMI SEZIONE CIVILE in persona del Giudice unico dott. (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento iscritto al n. (...) dell'anno 2020 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi, vertente TRA FALLIMENTO (...) S.R.L.S, (C.F. (...)), in persona del curatore fallimentare pro tempore, rappresentato e difeso dall'(...) giusta procura in atti. Attore E (...) (C.F.(...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. (...) e dall'Avv. (...)# giusta procura in atti Convenuta NONCHE' (...) S.A. (P.Iva (...)), con sede (...)persona dell'(...) e Legale Rappresentante pro tempore, (...) rappresentata e difesa dall'avv. (...) e dall'avv. (...) giusta procura in atti, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. (...) in (...) n. (...). (...) chiamato in causa E (...) s.r.l. (P.I.: (...)3), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. (...) del foro di Napoli, giusta procura in atti. (...) chiamato in causa (...) (P.I. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. (...) con sede (...), elettivamente domiciliat (...)- (...), presso lo studio legale dell'avv. (...) che la rappresenta e difende giusta procura in atti. (...) chiamato in causa (...) azione ex art.78 L.F. CONCLUSIONI DELLE PARTI Come da note scritte depositate ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c. RAGIONI DELLA DECISIONE 1.- Domanda di parte attrice Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. il Fallimento della (...) "(...)" s.r.l., in persona del curatore fallimentare pro tempore, adiva questo Tribunale chiedendo la condanna, ex art.78 L.F., della (...) spa alla restituzione delle somme presenti sul conto corrente intestato alla società alla data del fallimento, nonché le somme oggetto delle operazioni bancarie contabilizzate successivamente all'annotazione della sentenza di fallimento nel registro delle imprese. A seguito del mutamento del rito disposto dal giudice istruttore, la curatela fallimentare precisava la domanda giudiziale chiedendo: a) di condannare la (...) s.p.a. alla restituzione delle somme corrispondenti al saldo rinvenuto sul conto corrente al 18.02.2019, pari ad (...) 4.035,78 (al netto delle somme versate a titolo di acconto da (...) s.p.a. con assegno prodotto in atti); previa dichiarazione di inefficacia delle operazioni documentate nell'estratto conto aggiornato al gennaio 2020 (prodotto da (...), di condannare la banca convenuta al pagamento della somma pari ad (...) 371.482,52, già al netto delle scritture di storno e degli addebiti per bolli e commissioni, non ripetibili, oltre interessi legali dall'annotazione della sentenza di fallimento (sul saldo al 18.02.19) e dalle singole operazioni (sui movimenti successivi) sino alla proposizione della domanda giudiziale, nonché, a far data dal deposito del ricorso, gli interessi moratori sino al soddisfo ex art. 1284 c.c.. In via subordinata, chiedeva, previo accertamento dell'inefficacia dei pagamenti ex art. 44 L.F. eseguiti in favore dei terzi chiamati in causa dalla convenuta, la condanna dei predetti alla restituzione in favore della curatela fallimentare degli importi percepiti pari ad (...) 138.671,43 quanto a (...) nonché ad (...) 33.290,00 quanto a (...) srl ed (...) 11.061,28 quanto a (...) 2.- Richieste di parte convenuta Si costituiva la convenuta, contestando la domanda giudiziale di cui chiedeva il rigetto. Precisava al riguardo che il curatore fallimentare solo in data (...) aveva comunicato a mezzo pec, ricevuta dalla filiale in data (...), la sentenza dichiarativa di fallimento emessa in data (...) a carico della "(...) Srls", cliente dell'(...) di credito e titolare del conto corrente n. 18688.05, gestito su basi attive. A causa della non tempestiva notifica della sentenza di fallimento da parte del curatore fallimentare, la filiale non aveva apposto i blocchi previsti dall'art.78 L.F., con la conseguenza che la fallita aveva continuato ad operare liberamente sul conto corrente nonostante la dichiarazione di fallimento. Eccepiva, quindi, l'inammissibilità della domanda giudiziale nei confronti di essa convenuta, in quanto parte attrice avrebbe dovuto agire ex art.44 L.F. direttamente nei confronti dei terzi beneficiari dei pagamenti, terzi chiamati in causa da essa convenuta; la banca, infatti, in quanto delegata dal fallito ad effettuare i bonifici richiesti, era rimasta estranea al rapporto obbligatorio tra il fallito e il terzo creditore e non poteva, quindi, essere destinataria né dell'azione di inefficacia, né dell'azione di condanna alla restituzione. Nel merito, contestava l'ammontare delle somme pretese, ritenendo che la curatela fallimentare avesse illegittimamente sommato i versamenti ed i prelevamenti, computando gli introiti e gli utilizzi degli stessi, con conseguente duplicazione delle pretese. (...) In via subordinata, chiedeva che i terzi chiamati in causa fossero condannati a manlevare la banca per i pagamenti effettuati a favore di parte attrice. 3. - La posizione dei terzi chiamati in causa Si costituivano tutti i chiamati in causa (la (...) s.a.s., la (...) s.r.l. e la (...), in persona dei rispettivi rappresentanti legali, eccependo la carenza di legittimazione passiva in ragione dell'inammissibilità ed infondatezza della domanda di garanzia spiegata dalla (...) s.p.a., sul presupposto che essi chiamati erano estranei al rapporto di conto corrente dedotto in causa ed in quanto la chiamata in causa di un terzo per un titolo (causa petendi) diverso da quello dedotto dall'attore era inammissibile. Nel merito precisavano che dopo la dichiarazione di fallimento la società fallita aveva continuato l'attività di impresa, dando luogo a pagamenti eseguiti con utilizzo di provvista scaturente da accrediti successivi alla dichiarazione di fallimento, con la conseguenza che invece dell'art. 44 L.F. avrebbe dovuto trovare applicazione l'art. 42 L.F., trattandosi di utilizzo di risorse sopravvenute rispetto alla data della dichiarazione fallimentare. 4. - Motivi della decisione (...) premettersi che il rito speciale di cui all'art.702 bis c.p.c., che ha caratterizzato il presente giudizio nella sua fase introduttiva, è stato mutato in rito ordinario a seguito della costituzione della (...) s.a.s., della (...) s.r.l. e della (...) terzi chiamati in manleva dalla (...) s.p.a.. (...) Nel merito, ritiene questo giudice che la domanda giudiziale di parte attrice è parzialmente fondata e va, quindi, accolta per quanto di ragione. Va subito chiarito che la presente domanda giudiziale è finalizzata al recupero, da parte del fallimento della "(...)" s.r.l., delle somme presenti alla data del fallimento e transitate, in epoca successiva al fallimento, sul conto corrente intestato alla società e intrattenuto presso la (...) s.p.a., previa dichiarazione di inefficacia nei confronti della curatela fallimentare di tutte le operazioni bancarie intervenute sul conto corrente in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento. La domanda giudiziale come sopra strutturata non può essere qualificata come azione ex art.44 L.F., secondo l'ipotesi prospettata dalla convenuta, non essendo finalizzata alla dichiarazione di inefficacia dei pagamenti eseguiti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento, ma alla dichiarazione di inefficacia delle operazioni bancarie in entrata ed in uscita effettuate dall'istituto di credito convenuto per conto della società dopo la dichiarazione del fallimento, con conseguente restituzione alla curatela fallimentare delle somme di pertinenza della massa fallimentare in quanto somme riferibili alla società fallita. Al riguardo vale osservare che la dichiarazione di fallimento del correntista comporta la risoluzione del contratto a norma dell'art. 78 L.F., secondo cui "i contratti di conto corrente, anche bancario, e di commissione, si sciolgono per il fallimento di una delle parti". Ne consegue che a seguito del fallimento della "(...)" s.r.l. è intervenuta ex lege l'estinzione degli obblighi della banca di esecuzione del mandato inerente al conto corrente intestato alla società fallita, nonché l'acquisizione alla massa del fallimento dei relativi accreditamenti, restando salva, secondo quanto previsto dall'art. 42, comma 2, L.F., la detrazione delle sole spese per la (...) tenuta e conservazione del conto corrente, ma non dei pagamenti e/o dei versamenti eseguiti dalla banca per conto del correntista successivamente al suo fallimento (cfr. Cass. n.407/1988). (...) ex art.78 L.F. implica la cristallizzazione della causa petendi sul rapporto di conto corrente esistente tra la società "(...) srl" e la (...) s.p.a., con conseguente piena legittimazione passiva dell'istituto di credito convenuto. Dalla documentazione in atti risulta che il conto corrente della fallita intrattenuto presso la (...) al momento della dichiarazione di fallimento (18/02/2019) presentava un saldo attivo di Euro 11.618,48. E', inoltre, pacifico tra le parti che l'istituto di credito abbia restituito alla curatela fallimentare la somma di Euro 7.582,70, con assegno in data (...), a titolo di saldo attivo presente sul conto alla data del fallimento. Dall'estratto conto in atti risulta, peraltro, un addebito in data (...) pari ad Euro 4.035,78, che, ai sensi del su richiamato art.78 L.F., è inopponibile alla curatela fallimentare. (...) di credito, infatti, a seguito della risoluzione del contratto di conto corrente ha registrato tale addebito in mancanza di un valido titolo giuridico. Va, quindi, affermato il diritto della curatela fallimentare alla restituzione di detta somma illegittimamente sottratta dal saldo del conto corrente, in modo da ricostituire integralmente la provvista esistente al 18/02/2019, pari ad Euro 11.618,48. La (...), pertanto, tenuto conto di quanto già corrisposto alla curatela fallimentare a titolo di saldo sul conto corrente, deve essere condannata al pagamento a favore della curatela fallimentare della somma di Euro 4.035,78, oltre interessi dalla data del fallimento al soddisfo. (...) Dalla documentazione prodotta emergono, inoltre, ulteriori operazioni dopo la dichiarazione di fallimento, sia in entrata (pari ad Euro 186.017,24) che in uscita (pari ad Euro 192.037,35), che parte attrice intende recuperare ai sensi dell'art.78 L.F.. Invero, ai sensi dell'art.42 comma 2 L.F., vanno compresi nel fallimento - salvo espressa rinuncia da parte del curatore fallimentare - non solo i beni presenti alla data del fallimento, ma anche i beni che pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività incontrate per l'acquisto e la conservazione dei beni medesimi. Ne consegue che i versamenti registrati sul conto corrente in epoca successiva alla dichiarazione del fallimento, in mancanza di espressa rinuncia del curatore fallimentare, rientrano nella massa attiva del fallimento. Al riguardo vale osservare che, nonostante si tratti di accrediti intervenuti in assenza di un conto corrente valido ed efficace, l'istituto di credito ha indebitamente incamerato dette somme, pur sempre riferibili alla società fallita e quindi alla massa fallimentare, con conseguente obbligo di restituzione. (...) di credito non può neutralizzare la pretesa di parte attrice di restituzione dei versamenti sul presupposto che gli stessi siano stati impiegati per il pagamento di terzi creditori della società, in ragione del fatto che - come sopra chiarito - le operazioni in uscita intervenute dopo la dichiarazione di fallimento non sono opponibili alla curatela fallimentare ai sensi dell'art.78 L.F. Alla luce di tali considerazioni va, pertanto, dichiarata l'inefficacia di tutte le operazioni bancarie intervenute dopo il fallimento, trattandosi di operazioni non opponibili alla curatela fallimentare, essendo state eseguite dall'istituto di credito, sia in entrata che in uscita, senza un valido ed efficace titolo giuridico a supporto. (...) (...) di dette operazioni permette alla curatela fallimentare, in accoglimento della domanda spiegata, il recupero delle somme di pertinenza della massa fallimentare, rappresentate non solo dall'ammontare del saldo attivo presente al momento del fallimento (come già detto pari ad Euro 11.618,48), ma da tutte le ulteriori somme versate dalla società sul conto (pari ad Euro 186.017,24), al fine di assicurare alla massa fallimentare le ulteriori somme pervenute al fallito durante il fallimento, secondo quanto previsto dall'art.42 comma 2 L.F.. La convenuta va, quindi, condannata al pagamento a favore della curatela fallimentare dell'ulteriore somma di Euro 186.017,24, oltre interessi dai singoli versamenti fino al soddisfo. Non possono riconoscersi alla curatela fallimentare anche le somme oggetto delle operazioni in uscita, in ragione del fatto che, pur trattandosi di operazioni non opponibili alla curatela fallimentare, si tratta di bonifici in uscita mediante il prelievo di somme accreditate sul conto e già riconosciute alla curatela fallimentare. In altri termini, considerato che per le operazioni bancarie in uscita fu utilizzata esclusivamente la provvista costituita dalle operazioni bancarie in entrata dopo la dichiarazione di pagamento, la restituzione dell'ammontare complessivo di tutte le operazioni (in entrata ed in uscita) si risolverebbe in un illegittimo arricchimento della curatela fallimentare a danno dell'istituto di credito. Privo di pregio giuridico è l'assunto della (...) secondo cui le operazioni bancarie successive alla dichiarazione di fallimento risultano legittime ed efficaci fino a quando non è intervenuta la comunicazione formale del fallimento della società all'istituto di credito. (...).16 L.F., infatti, prevede espressamente che la dichiarazione di fallimento sviluppa gli effetti nei confronti dei terzi (e quindi anche gli effetti ex art.78 L.F.) alla data di iscrizione della sentenza nel registro delle imprese, avvenuta nel caso in esame in (...) data 18/02/2019, con la conseguenza che non sono opponibili alla curatela tutte le operazioni successive a tale data. La stessa giurisprudenza di legittimità ha chiarito che gli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento si producono sin dall'ora "zero" del giorno della sua pubblicazione o iscrizione nel registro delle imprese con riguardo, rispettivamente, da una parte, al debitore fallito ed al creditore istante, e, dall'altra, ai terzi, poiché la legge ricollega detti effetti alla sola data di esecuzione di tali adempimenti, senza ulteriori riferimenti cronologici (cfr. Cass. n.7477/2020). In definitiva, alla luce delle considerazioni svolte, in parziale accoglimento della domanda attorea, la (...) s.p.a. va condanna alla restituzione alla curatela fallimentare della complessiva somma di Euro 4.035,78, oltre interessi dalla data del fallimento al soddisfo, nonché all'ulteriore somma di Euro 186.017,24, oltre interessi dai singoli versamenti fino al soddisfo. Va disattesa, infine, la domanda di manleva della (...) s.p.a. spiegata nei confronti dei terzi chiamati in causa, (...) s.a.s., (...) s.r.l. e (...) nei limiti delle somme da questi ricevute a titolo di pagamento (complessive Euro 138.671,43 a favore della (...) s.a.s., Euro 33.290,00 a favore della (...) srl ed Euro 11.061,28 a favore della (...). Ritiene, infatti, questo giudice che i terzi chiamati in causa siano privi di legittimazione passiva, in quanto risultano assolutamente estranei al rapporto di conto corrente dedotto in giudizio. Né è emersa l'esistenza di un titolo giuridico, sotteso al contratto di conto corrente, in virtù del quale l'istituto di credito debba essere manlevato dalle società terze chiamate per le somme dovute alla curatela fallimentare. Il parziale accoglimento della domanda giudiziale di parte attrice giustifica l'integrale compensazione delle spese del presente giudizio (...) tra curatela fallimentare e (...) s.p.a.; quest'ultima, di contro, in virtù del principio della soccombenza, va condanna alla refusione delle spese giudiziali a favore delle terze chiamate in causa, liquidate come in dispositivo e distratte, per la (...) s.r.l., a favore dell'Avv. (...) antistatario. P.Q.M. Il Tribunale di Palmi, sezione civile, in composizione monocratica, in persona del dott. (...) definitivamente pronunciando sulla domanda giudiziale promossa dal (...) della (...) "(...)" s.r.l., in persona del curatore fallimentare pro tempore, nei confronti della (...) s.p.a., in persona del rappresentante pro tempore, nonché nei confronti dei terzi chiamati in causa, (...) s.a.s., (...) s.r.l. e (...) in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, così provvede: 1) dichiara il difetto di legittimazione passiva d(...) s.a.s., (...) s.r.l. e (...) 2) dichiara l'inefficacia di tutte le operazioni bancarie intervenute sul conto corrente intestato alla "(...)" s.r.l. presso la (...) s.p.a., dopo il fallimento della società; 3) condanna la (...) s.p.a., per le causali di cui in parte motiva, al pagamento a favore di parte attrice della somma di Euro 4.035,78, oltre interessi dalla data del fallimento al soddisfo, nonché dell'ulteriore somma di Euro 186.017,24, oltre interessi dai singoli versamenti sul conto corrente intestato alla "(...)" s.r.l. fino al soddisfo; 4) dichiara integralmente compensate tra parte attrice e parte convenuta le spese del presente giudizio; 5) condanna la (...) s.p.a. alla refusione delle spese processuali a favore dei terzi chiamati in causa, che liquida in complessive Euro (...) 7.052,00, oltre spese generali, iva e cpa, a favore della (...) s.a.s., in complessive Euro 3.809,00, oltre spese generali, iva e cpa, a favore della (...) s.r.l., da distrarsi a favore dell'Avv. (...) antistatario, ed in complessive Euro 2.540,00 oltre spese generali, iva e cpa, a favore della (...) Manda alla (...) per gli adempimenti di competenza.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4574 del 2023, proposto da Agenzia Territoriale dell'Emilia Romagna per i Servizi Idrici e Rifiuti - Atersir, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Ma., con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Fa., Ch. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Fa. in Padova, via (...); nei confronti He. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Ca., con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia; Regione Emilia-Romagna, Comune di Bologna, Comune di (omissis), non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna Sezione Seconda n. 926/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis) e di He. S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 marzo 2024 il Cons. Riccardo Carpino e uditi per le parti gli avvocati delle parti come da verbale. FATTO e DIRITTO 1.La questione controversa riguarda l'obbligo dell'Agenzia territoriale dell'Emilia Romagna per i servizi idrici e rifiuti -Atersir- di stabilire meccanismi compensativi per il recupero di 688.031,07 Euro a favore del Comune di (omissis) (corrispondente alle sovra-coperture del servizio per le annualità 2013-2016). In particolare, in primo grado l'attuale appellato - Comune di (omissis) - ha censurato l'indebita determinazione del corrispettivo a suo carico per il servizio di raccolta rifiuti sul proprio territorio, secondo il Piano Finanziario (PEF) annualmente deliberato da Atersir sostenendo che il d.lgs. 152/2006, nel disciplinare la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, sancisce il principio dell'integrale copertura dei costi (ribadito per la TARI dall'art. 1, comma 654, della l. 147/2013); il gestore dovrebbe elaborare quindi il PEF che contempla il costo per ciascun Comune, senza sovra-coperture, da riversare sui cittadini mediante la determinazione della tariffa. Nello specifico, il Comune di (omissis) ha lamentato che, dal confronto fra i costi e i ricavi della gestione del servizio per gli anni 2013, 2014, 2015 e 2016 - come rendicontati dal gestore del servizio ad ATERSIR e da questa trasmessi all'amministrazione - risultano costanti "sovra-coperture" del servizio, per importi nell'ordine complessivo di 688.031,07; Atersir non si sarebbe adoperata per porvi rimedio, ed anzi avrebbe affermato l'equilibrio del sistema a livello di bacino e la fisiologia degli scostamenti locali. In sede di primo grado il giudice ha accolto il ricorso del Comune di (omissis), qui appellato, ritenendo che i disallineamenti tra i costi preventivati e quelli risultati dai rendiconti si sono risolti in un indebito vantaggio per i Comuni dell'ambito a danno del Comune di (omissis). Di conseguenza il Tar - aderendo alla prospettazione del Comune ricorrente - ha statuito l'obbligo per Atersir di adottare - entro un termine ragionevolmente compatibile con la scansione temporale della programmazione - un piano per il recupero delle somme versate in eccesso dal Comune di (omissis) nelle annualità dal 2013 al 2016. Parte appellata ha anche proposto un giudizio di ottemperanza, notificato in data 27 giugno 2023, innanzi al TAR per l'Emilia-Romagna, Sede di Bologna, Sez. II, R.G. n. 471/2023, con il quale ha contestato all'Agenzia di non aver dato immediata esecuzione alla sentenza gravata. 1.2 Atersir propone ora appello per i seguenti motivi di ricorso. I Error in iudicando per aver travisato la disciplina in materia di attribuzione delle competenze di regolazione tariffaria del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani. Falsa ed erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 3 bis comma 1 bis, d.l. n. 138/2011 e dell'art. 4, l.r. Emilia-Romagna n. 23/2011. II Error in iudicando per aver travisato la disciplina in materia di TARI. Falsa ed erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 1 comma 639 e seg. della l. n. 147 del 2013 Con il primo motivo di ricorso, l'appellante ritiene che la competenza del singolo Comune ad approvare il PEF è stata ritenuta da Atersir implicitamente superata in forza della vis abrogans del nuovo assetto delle competenze determinato dal codice dell'ambiente e dall'art. 3 bis, comma 1 bis, del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 conv. in l. 14 settembre 2011 n. 148, nonché dalla stessa legge regionale che attribuisce espressamente ad un organo dell'Agenzia - al Consiglio Locale - la competenza ad approvare le tariffe all'utenza (art. 8 l.r. 23 dicembre 2011 n. 23). Nel processo di determinazione della tariffa, l'appellante richiama la competenza di ARERA sulla base della l. n. 205/2017, art. 1, comma 527, ad approvare "le tariffe definite, ai sensi della legislazione vigente, dall'ente di governo dell'ambito territoriale ottimale per il servizio integrato e dai gestori degli impianti di trattamento"; a tal riguardo, fa presente che l'ARERA ha esercitato la propria funzione di "predisposizione ed aggiornamento del metodo tariffario per la determinazione dei corrispettivi del servizio integrato dei rifiuti", in occasione dell'emanazione del primo metodo tariffario (c.d. MTR 1), che ha inizialmente previsto la possibilità per ciascun Ente di governo per gli ambiti territoriali ottimali (EGATO) di presentare un piano tariffario articolato per singolo Comune o per ambito. Successivamente - per il secondo e corrente periodo regolatorio (c.d. MTR2) - il metodo adottato dall'Autorità si è fondato esclusivamente sul PEF d'ambito (o pluricomunale), rimettendo in via del tutto eccezionale la possibilità di operare tramite PEF costruiti su base comunale in fattispecie che non si riscontrerebbero nel caso che ci occupa. Sostiene l'appellante, inoltre, che la scelta di Atersir di determinare la tariffa con riferimento al bacino di affidamento nel suo complesso e le modalità con cui essa ha inteso distribuire tra i Comuni associati gli oneri in funzione perequativa non solo non sarebbe illegittima perché pienamente aderente sia alla legge regionale sia alla legge nazionale, ma sarebbe anche insindacabile poiché attiene al merito amministrativo circa l'ottimizzazione di quelle "economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio", poste dal legislatore nazionale alla base della creazione stessa degli Enti di governo dell'ambito ottimale. Ritiene quindi censurabile l'affermazione del giudice di primo grado secondo cui la "stretta interconnessione tra la T.A.R.I. applicata ai cittadini e i costi di investimento e di esercizio dell'attività praticata sul territorio comunale" imporrebbe una rigida correlazione tra quelle porzioni di servizio effettivamente realizzate sul singolo territorio ed i costi di esercizio da parte del gestore unico, poiché non terrebbe conto del fatto che tali costi, inferiori a quelli che sarebbero praticati in un'ottica di gestione in economia, sono possibili proprio perché la gestione del servizio si svolge sull'intero bacino. Con il secondo motivo rileva che la ratio sottesa all'attribuzione della competenza ai singoli Comuni riguardo alla TARI si fonda sull'autonomia tributaria degli enti locali e non delle loro forme associative; si tratta di un meccanismo di articolazione della tariffa per cui gli utenti sono considerati uti universi e la determinazione dell'onere sostenuto dal singolo utente è ancora calcolato su base parametrica (superficie e numero di soggetti collegati ad un singolo immobile). Tale circostanza, ritiene, non deve confondere l'articolazione tariffaria a livello di bacino con lo strumento tributario, ossia la delibera comunale, che ripartisce la quota di tariffa spettante agli utenti; diversamente emergerebbe una contraddizione rispetto alla logica d'ambito o di area vasta. La controinteressata He. sostiene che: -la TARI è uno strumento tributario volto a garantire il recupero del costo del servizio di gestione rifiuti in capo agli utenti finali. Si tratta di un tributo locale volto a finanziare il costo del servizio complessivo di gestione integrata dei rifiuti ma tale costo dovrebbe essere considerato come un costo definito a livello di "ambito territoriale ottimale", non parametrato sulla base del singolo utente finale del servizio e dunque sulla base di un singolo territorio comunale; - il corrispettivo spettante a He. per la gestione del servizio deve essere tale da coprire il costo complessivo del servizio stesso sull'intero ambito di affidamento così come previsto dalla Convenzione sottoscritta tra il gestore del servizio e l'Autorità di Ambito (cfr. art. 13-bis Convenzione Atersir - He.) e dall'art. 3, co. 2 del d.P.R. 158/1999 che dispone "la tariffa di riferimento a regime deve coprire tutti i costi afferenti al servizio di gestione dei rifiuti urbani". 1.4 Il Comune appellato, in sede di costituzione, ripropone le domande e i motivi ex art. 101 c.p.a. che illustrerebbero un quadro di complessivo inadempimento da parte di ATERSIR delle corrette procedure previste per l'approvazione dei Piani economico finanziari (PEF) dei diversi Comuni. In particolare, seguendo l'elencazione dell'atto di costituzione: A.1) censura contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, di data 10 aprile 2018. 2. Violazione di modalità e tempistiche stabilite nel cronoprogramma previsto dalla delibera 27 luglio 2017, n. 51, del consiglio d'ambito di Atersir. Violazione dell'art. 8, comma 3, lett. d), d.P.R. 158/1999. Necessaria riapertura del procedimento per introdurre i meccanismi di recupero delle sovracoperture. A.2) Censure contenute nei (primi) motivi aggiunti, di data 13 maggio 2019. 2. Violazione delle modalità procedimentali stabilite nel cronoprogramma previsto dalla delibera 27 luglio 2017, n. 51, del Consiglio d'Ambito di ATERSIR, come sostituita dalla delibera del 25 luglio 2018, n. 56, e del principio dell'accordo con il comune interessato. Difetto di motivazione. 3.Ulteriore difetto di motivazione in relazione al parere negativo espresso dal Consiglio locale dell'8 marzo 2019, n. 3 e contestuale violazione dell'art. 7, comma 5, l.r. Emilia - Romagna n. 23 del 2011. B. Riproposizione della domanda subordinata avanzata in primo grado dal Comune di (omissis) e non esaminata nella sentenza del Tar Emilia-Romagna (versione contenuta nel ricorso per motivi aggiunti del comune di data 13 maggio 2019). 4. In subordine: accertato che He. S.p.A. ha ricevuto negli anni 2013-2016 dal Comune di (omissis) sovracoperture del servizio per un importo di Euro 688.029 (o di quanto comunque risulterà ), sancire il suo conseguente dovere di restituzione, con corrispondente condanna. 2. I motivi del ricorso di appello vanno trattati unitariamente per i profili di connessione che presentano e sono fondati. Nel caso in questione occorre premettere che la Regione Emilia-Romagna, con la legge regionale 23 dicembre 2011 n. 23, ha disciplinato il servizio idrico integrato ed il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani in Emilia-Romagna, a seguito dell'abrogazione delle autorità d'ambito disposta dall'articolo 2, comma 186-bis, legge 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010). Detta legge regionale ha individuato un unico ambito territoriale ottimale di dimensione regionale; le funzioni sono svolte dall'Agenzia territoriale dell'Emilia-Romagna per i servizi idrici e rifiuti (Atersir) cui partecipano obbligatoriamente tutti i Comuni e le Province della Regione. L'Agenzia esercita le proprie funzioni per l'intero ambito territoriale ottimale mediante due distinti livelli di governo: le funzioni del primo livello sono esercitate con riferimento all'intero ambito territoriale ottimale; quelle del secondo livello sono esercitate, in sede di prima applicazione della presente legge, con riferimento al territorio provinciale. Al riguardo va inoltre considerato il sistema che emerge dalla disposizione introdotta con l'art. 3 bis, comma 1 - bis d.l. 138/2011 come anche dalle disposizioni precedenti, volte alla gestione unitaria dei rifiuti. L'art. 3 - bis, comma 1- bis, d.l.138/2011, tra l'altro, dispone che "Le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al settore dei rifiuti urbani, di scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all'utenza per quanto di competenza, di affidamento della gestione e relativo controllo sono esercitate unicamente dagli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei istituiti o designati ai sensi del comma 1 del presente articolo cui gli enti locali partecipano obbligatoriamente, fermo restando quanto previsto dall'articolo 1, comma 90, della legge 7 aprile 2014, n. 56". Si tratta di una disposizione che completa un percorso di passaggio di funzioni all'ente di governo dell'ambito ottimale al quale compete l'organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica compreso quello dei rifiuti. Si definisce così un percorso di superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti, già iniziato con l'art. 23 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che invero si proiettava verso una gestione unitaria pur con il limite del mantenimento della privativa in capo ai Comuni. Mediante l'ambito territoriale ottimale si è superata una ottica di parcellizzazione della gestione dei servizi pubblici a livello dei singoli enti per realizzare economie di scala realizzando una migliore utilizzazione delle risorse pubbliche. In tal senso, per la materia di interesse, basti richiamare l'art. 200, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 152 del 2006 in base al quale la gestione dei rifiuti urbani risponde, tra l'altro, al criterio di superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti, intervenendo nella materia di tutela ambientale. Con il d.lgs. 152/2006, l'ambito trova ancora più forza mediante la "gestione integrata" dei rifiuti svolta da un unico soggetto a seguito di gara pubblica e soprattutto viene costituita l'autorità d'ambito, struttura tecnica dotata di personalità giuridica. Con la soppressione delle autorità d'ambito, ex art 2, comma 186-bis, l. 23 dicembre 2009, n. 191, il percorso si è interrotto per riprendere con il richiamato art 3 - bis d.l.138/2011 e la costituzione degli enti di governo degli ambiti; un percorso che ha visto transitare una serie di funzioni (organizzazione, scelta della forma di gestione, determinazione delle tariffe all'utenza, affidamento della gestione e relativo controllo) in un ambito più vasto in cui il dominus diventa l'ente di governo. 2.1 Va però evidenziata anche una differenza tra i soggetti titolati alla gestione, ossia l'autorità d'ambito prima e l'ente di governo dell'ambito dopo. L'autorità d'ambito, in base all'abrogato art. 201 d.lgs. 152/2006, era dotata di una propria soggettività giuridica - mediante il riconoscimento della personalità giuridica - che la distingueva dagli enti locali che ne facevano parte. Con l'ente di governo dell'ambito, di cui all'art 3 bis d.l.138/2011, si fa un passo ulteriore - anche in termini di funzioni e soggettività - verso la responsabilizzazione di un nuovo ente che si distingue ancora di più dai Comuni che vi partecipano. Non a caso l'ente di governo, dopo l'abrogazione dell'autorità d'ambito che ha segnato una pausa nel processo degli ambiti, viene previsto con un decreto legge recante misure per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, nel contesto della situazione economico-finanziaria degli anni 2010-2012. Tra queste misure va anche richiamato l'art. 4 del medesimo decreto legge in materia di disciplina dei servizi pubblici locali (introdotto dopo il referendum abrogativo dell'art. 23 - bis d.l. 112/2008) successivamente dichiarato incostituzionale in quanto riproduttivo della normativa caducata dal referendum medesimo. È un passaggio legislativo di rilievo se si pensa che l'ambito territoriale ottimale (Ato) veniva inteso - lungi dal costituire un nuovo ente locale - quale uno strumento operativo per la gestione dei rifiuti urbani, secondo criteri di efficienza e di efficacia, senza alcun riconoscimento di potere impositivo (cfr. Consiglio di Stato sez. V - 2 dicembre 2012, n. 539). 2.2 In questa ottica ha una sua rilevanza la determinazione del PEF a cura dell'ente di governo il quale è dotato di organi anche essi titolari - almeno in via mediata - di rappresentatività dei singoli enti. L'organo di governo dell'ambito è quindi rappresentativo degli enti che vi partecipano, che rimangono capaci di tradurre il proprio indirizzo politico in una reale azione di influenza sull'esercizio delle funzioni (cfr. in tal senso Corte Cost. 33/2019 relativamente alle forme associative, con ragionamento sovrapponibile alla fattispecie in esame). 2.3 Né, in ultimo, può essere trascurato che anche la recente normativa (d.lgs. 201/2022) sembra attribuire agli enti di governo d'ambito la natura di autorità di regolazione locale. Nell'impostazione generale della nuova disciplina che impone una distinzione tra le funzioni di regolazione e di gestione, è previsto che gli enti di governo "non possono direttamente o indirettamente partecipare a soggetti incaricati della gestione del servizio", aggiungendosi che la partecipazione degli locali compresi nell'ambito non è considerata quale partecipazione (anche solo) indiretta (art. 6). Sempre in questa ottica va richiamato quanto previsto dall'art 37, comma 2, del citato d.lgs. 201/2022 che, modificando l'art. 3 - bis, comma 1 - bis d.l. 138/2011, dispone che "Le deliberazioni degli enti di governo di cui al comma 1 sono validamente assunte nei competenti organi degli stessi senza necessità di ulteriori deliberazioni, preventive o successive da parte degli organi degli enti locali"; previsione che si ritrova nella medesima formulazione anche nella richiamata legge regionale Emilia - Romagna 23/2011 (art 4 comma 3) e che sta ad indicare una autonomia dell'organo di governo dell'ambito dall'ente locale che ne fa parte e la necessità di una consonanza al fine di evitare che quanto in una sede deliberato (Atersir nello specifico) venga superato da parte del singolo ente locale aderente. 2.4 Quanto poi all'attuazione della disciplina statale a livello regionale occorre considerare che la legge regionale 23 dicembre 2011 n. 23 prevede, per la parte di interesse: art 4, comma 4: Al fine di valorizzare le differenziazioni territoriali, l'Agenzia opera su due livelli cui competono funzioni distinte di governo. Le funzioni del primo livello sono esercitate con riferimento all'intero ambito territoriale ottimale. Le funzioni del secondo livello sono esercitate, in sede di prima applicazione della presente legge, con riferimento al territorio provinciale. Art. 7, commi 1, 3 e 5: 1.Il Consiglio d'ambito svolge le funzioni di primo livello, è nominato dal Consiglio locale ed è costituito da Sindaci, Presidenti della Provincia o Amministratori da loro delegati in via permanente. 3.Le deliberazioni del Consiglio d'ambito sono validamente assunte a maggioranza dei votanti e ogni componente ha a disposizione un voto. 5.Il Consiglio d'ambito provvede sia per il servizio idrico integrato sia per quello di gestione dei rifiuti: b) alla definizione e approvazione dei costi totali del servizio; c) all'approvazione, sentiti i Consigli locali, del piano economico-finanziario; d) all'approvazione del piano d'ambito e dei suoi eventuali piano stralcio; i) al monitoraggio e valutazione, tenendo conto della qualità ed entità del servizio reso in rapporto ai costi, sull'andamento delle tariffe all'utenza deliberate dai Consigli locali ed all'eventuale proposta di modifica e aggiornamento; art. 8 I Consigli locali svolgono le funzioni di secondo livello ai sensi dell'articolo 4, comma 4. Ogni Consiglio locale è costituito dai Comuni della provincia e da quelli confinanti di altre Regioni che siano stati inclusi nell'ambito territoriale ottimale, rappresentati dai Sindaci, nonché dalla Provincia, rappresentata dal Presidente, o dagli amministratori locali delegati, in coerenza con quanto previsto per le conferenze di cui all'articolo 11 della legge regionale 24 marzo 2004, n. 6. Dall'articolazione delle funzioni sopra richiamate e dalla natura degli organi e dalla loro composizione emerge come i singoli Comuni aderenti partecipano a pieno titolo, con i loro rappresentanti di vertice - Sindaci o Presidenti di provincia - al processo decisionale a livello di ambito. In particolare, nel Consiglio locale che dà il parere sul PEF è prevista la presenza di tutti i Sindaci ed opera il principio della maggioranza assoluta delle quote di partecipazione presenti (cfr. art. 8 comma 4 l.r. 23/2011). Le quote di partecipazione dei Comuni sono determinate per un decimo in ragione del loro numero e per nove decimi sulla base della popolazione residente in ciascun Comune, calcolate sui nove decimi dei voti complessivamente a disposizione del Consiglio locale; le quote di partecipazione della Provincia è pari ad un decimo dei voti complessivamente a disposizione del Consiglio locale. Il Consiglio di ambito poi - che approva il Pef - è costituito da sindaci, presidenti della provincia o amministratori locali delegati in via permanente nel numero di nove secondo la formulazione attualmente vigente, nominati dai Consigli locali; le deliberazioni del Consiglio d'ambito sono validamente assunte a maggioranza dei votanti e ogni componente ha a disposizione un voto indipendentemente dalla popolazione (cfr. art 7, comma 3, l.r. 23/2011). In sostanza si tratta di un criterio in cui è prevalente la popolazione, più direttamente nel consiglio locale per la presenza diretta del sindaco di tutti i Comuni e in maniera mediata per il Consiglio di ambito i cui componenti sono nominati dal consiglio locale nel cui ambito prevale il criterio numerico della popolazione. Se questo, come si ritiene, è l'impianto degli enti di governo dell'ambito ne consegue che il PEF rappresenta la sintesi più avanzata - sotto il profilo economico e finanziario - delle funzioni di gestione ed esso viene approvato dal consiglio d'ambito previo parere del consiglio locale. 2.5 Se quindi ha un senso il criterio dell'area vasta - per un servizio complessivo secondo quanto rileva l'appellante del valore di 130 milioni di euro annui - occorre prescindere da una logica ancorata al criterio del costo a livello del singolo Comune senza considerare l'area vasta ed i vantaggi della sua gestione. Diversamente opinando l'area vasta risulterebbe, da un lato, la somma dei singoli costi maturati a livello comunale e dall'altro una mera ripartizione di costi generali. In definitiva, si tratta di una migliore gestione di risorse, con assegnazione della gestione ad un solo soggetto in luogo dei diversi Comuni appartenenti all'ambito. E' questa una impostazione legislativa che ritroviamo anche in altre disposizioni comprese quelle che incentivano l'associazionismo - a livello statale e regionale - come quella dell'obbligo dell'esercizio associato delle funzioni per i Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, invero non ancora attuato, di cui all'art. 14 comma 27 del D.L. n. 78 del 31 maggio 2010 conv. in legge 30 luglio 2010, n. 122. Da quanto sin qui premesso il tema quindi della competenza del Comune all'approvazione del PEF va visto in una ottica diversa. Le quantificazioni ivi contenute sono "approvate" da ciascun Comune mediante l'iscrizione a bilancio dei costi risultanti dai PEF approvati dall'Agenzia relativi al proprio territorio (in tal senso si veda nota dell'Atersir dell'11 dicembre 2016) restando al Comune la valutazione su come ripartire tra i propri cittadini la relativa TARI. 2.6 Si può quindi sostenere che nel caso specifico vi sia un passaggio pieno all'ente di governo delle funzioni relative alle dinamiche gestionali e finanziarie della gestione del servizio dei rifiuti. Ossia l'ente di governo - inteso come ente che organizza e che affida il servizio - necessariamente deve poter "dominare" l'aspetto dei costi che prelude proprio all'affidamento medesimo. Il che non si concilierebbe con un ruolo del Comune come soggetto con il quale l'ente di governo deve necessariamente cercare un accordo sui costi di ciascun Comune attesa l'eventualità che ciò si tramuti in un potere interdittivo non conciliabile con quanto sopra rilevato in ordine ai meccanismi di governo dell'ente, improntati appunto alla maggioranza. Da quanto sopra emerge anche che l'obbligo di copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio di cui all'art. 1, comma 654, l 147/2013 non può essere ipotizzato come la somma dei costi a livello comunale; si deve necessariamente avere riguardo ai costi dell'ambito che però con trasparenza devono essere resi evidenti dall'ente di governo e dimostrare anche quelle economie di scala per le quali l'ambito trova la propria ragion d'essere. Sulla scorta di quanto sin qui esposto appare coerente con il disegno legislativo descritto il ruolo dell'ente di governo - il consiglio d'ambito nello specifico - che approva a maggioranza il PEF senza dovere essere condizionato da un accordo puntuale con ciascun Comune appartenente all'ambito; altro tema è comunque quello del riequilibrio di cui si dirà oltre. 3.In relazione ai motivi di parte appellata occorre puntualizzare che il comportamento di Atersir sebbene non censurabile in questa sede per le ragioni esposte necessita di una verifica nel merito amministrativo delle scelte operate che hanno visto, come emerge dagli atti di causa, un primo orientamento volto al recupero delle sovra-coperture ed in seguito l'adozione di una serie di atti non rispondenti a detto fine. Si tratta di valutazioni di merito che esulano dalle valutazioni di legittimità da svolgersi in questa sede e che potranno essere approfondite dagli organi competenti, come a quanto consta dagli atti di causa è avvenuto in relazione alla delibera del 13 ottobre 2023 che ha incrementato il costo dei servizi di spazzamento a favore di determinati Comuni, tra cui (omissis), da ripartire sui Comuni di tutto il bacino. E ciò in considerazione di una rimodulazione dei servizi di spazzamento i cui "maggiori oneri che ne derivano siano distribuiti tra gli utenti dell'intero bacino di gara, in linea con il principio di organizzazione del servizio per bacino territoriale ottimale previsto dalla normativa vigente...anche in considerazione del fatto che qualora tali fabbisogni fossero stati correttamente inseriti già nel monte chilometrico descritto dal bando di gara, il relativo costo sarebbe poi stato suddiviso tra tutti i Comuni del bacino, secondo la medesima logica di attribuzione dei costi che viene utilizzata per passare dai costi descritti dal PEF "di bacino" al PEF di ogni singolo comune e che comprende ragioni perequative che vanno oltre la matematica ripartizione dei costi attribuibili ai singoli territori comunali". La citata delibera ha pertanto dato "mandato alla struttura tecnica di elaborare idonee simulazioni di ripartizione del costo sopra riportato e pari a 512.116 euro sull'intero bacino di concessione, in conformità al sopra richiamato principio di organizzazione del servizio per bacino territoriale ottimale previsto dalla normativa vigente e in coerenza con le consuete logiche perequative di area vasta già adottate in precedenti atti di questo Consiglio Locale, affinché siano poi applicate a partire dalla prossima pianificazione economico finanziaria del servizio". In quest'ultima delibera, può rilevarsi che l'ente di governo si è posto in una ottica perequativa che appare imprescindibile al fine di consentire che le risorse che ciascun Comune versa - e quindi ciascun cittadino a titolo di Tari - trovino una loro "compensazione". Ne consegue che è all'ente di governo ed agli organi di natura politica che lo compongono, che compete, nell'esplicazione di una valutazione di merito, l'individuazione di una soluzione, nella gamma di quelle possibili, che offra maggiori o migliori servizi a favore di quei cittadini che mediante la Tari hanno sopportato i costi dell'ambito anche per i Comuni meno efficienti con il rischio di sovracoperture, auspicabilmente da evitare in generale. 3.1 In relazione alle singole censure riproposte da parte appellata ex art. 101 c.p.a. si rileva quanto segue. Con la censura rubricata "A.1) censura contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, di data 10 aprile 2018: 2. Violazione di modalità e tempistiche stabilite nel cronoprogramma previsto dalla delibera 27 luglio 2017, n. 51, del consiglio d'ambito di Atersir. Violazione dell'art. 8, comma 3, lett. d), d.P.R. 158/1999. Necessaria riapertura del procedimento per introdurre i meccanismi di recupero delle sovracoperture", l'appellato Comune di (omissis) rileva che l'interesse del Comune di (omissis) rispetto alla presente censura, è quello a che la procedura di pianificazione finanziaria per l'anno 2018 venga annullata. Al riguardo, rileva che il Consiglio d'Ambito di Atersir, con delibera 27 luglio 2017, n. 51, aveva deliberato un cronoprogramma per la stesura dei successivi piani economico-finanziari; cronoprogramma che non è stato rispettato. Evidenzia che il gestore ha effettivamente avuto dei contatti preliminari con il Comune di (omissis), ma non ha fornito il PEF nella sua versione definitiva, che avrebbe poi dovuto consegnare ad Atersir entro il termine del 15 novembre, secondo la tempistica della richiamata delibera 51/2017 e ne avrebbe dovuto concordare il contenuto. La mancata comunicazione del PEF al Comune costituirebbe anche una diretta violazione di legge dell'art. 8 d.P.R. n. 158 del 1999 il quale stabilisce, al comma 3, che "il piano finanziario deve essere corredato da una relazione" nella quale deve essere indicato, tra l'altro, "con riferimento al piano dell'anno precedente, l'indicazione degli scostamenti che si siano eventualmente verificati e le relative motivazioni" (lett. d). Ritiene infine che l'affermazione della delibera n. 10 del 2018, di approvazione del PEF 2018, secondo cui la pianificazione "è costruita tenendo conto della procedura individuata dalla deliberazione del Consiglio di ambito n. 51 del 27 luglio 2017 "Procedura per la definizione del percorso approvativo della pianificazione economico finanziaria 2018 e anni seguenti"" appare una mera formula di stile, non corrispondendo a un reale contenuto. Il motivo è infondato. Primariamente va rilevato che la mera delibera di adozione di un cronoprogramma (delibera 27 luglio 2017, n. 51) sebbene esprima il volere dell'amministrazione non può assumere valore vincolante al fine di determinare un vizio dell'atto successivamente adottato in violazione del richiamato cronoprogramma; nello specifico i due atti - cronoprogramma e PEF 2018 - promanano dal medesimo Consiglio di ambito che con il successivo atto si è determinato, implicitamente revocando - di fatto - il precedente orientamento. Inoltre, la previsione di un accordo con il Comune sul PEF, richiamato nella delibera 51/2017, non può essere letto come un vincolo avente maggiore valenza di quelli che la legge regionale dispone e che prevede l'approvazione a maggioranza del PEF in sede di Consiglio d'ambito; peraltro detta delibera 51/2017 ha il prioritario fine di prevedere uno scadenzario alle attività preparatorie del PEF. Quanto poi alla violazione dell'art 8 d.P.R. 158/1999 essa non può assurgere a vizio invalidante sulla base dell'art. 21 - octies della l. 241/1990; ossia si tratta di un vizio formale relativo all'iter procedimentale da seguire la cui ottemperanza non avrebbe reso differente il contenuto degli atti poi legittimamente adottati. Analogamente deve ritenersi circa l'affermazione della delibera 10/2018 di approvazione del Pef, che l'appellante ritiene sia una mera affermazione di stile; anche per detta censura valgono le medesime considerazioni sopra svolte in ordine all'applicabilità nella fattispecie dell'art. 21 -octies l. 241/1990. 3.2 Con la censura rubricata "A.2) Censure contenute nei (primi) motivi aggiunti, di data 13 maggio 2019: 2. Violazione delle modalità procedimentali stabilite nel cronoprogramma previsto dalla delibera 27 luglio 2017, n. 51, del Consiglio d'Ambito di ATERSIR, come sostituita dalla delibera del 25 luglio 2018, n. 56, e del principio dell'accordo con il Comune interessato. Difetto di motivazione", l'appellato Comune di (omissis) rileva che le modalità di presentazione del PEF 2019 non hanno rispettato quelle originariamente disposte dalla delibera 57/2011, poi modificata nel 2018 con delibera n. 56 del 25 luglio 2018. Al riguardo rileva che entro il 15 novembre i gestori della raccolta avrebbero dovuto fornire ad Atersir i PEF dell'anno concordati con i Comuni con l'elencazione dei costi comunali e la fornitura delle relazioni di accompagnamento. Il Comune, in data 18 febbraio 2019, ha chiesto, senza riscontro, che venisse "inserita nel PEF 2019, per intero o pro rata, la restituzione al Comune di (omissis) di quanto esso ha pagato negli anni precedenti in eccesso rispetto ai costi effettivi" e che inoltre venisse "fornito il dettaglio delle voci di costo imputate al Comune, nella relazione prescritta a corredo del PEF o in documento collegato". Ritiene che il gestore - la controinteressata He. S.p.A. - avrebbe dovuto non solo tempestivamente anticipare il PEF in via "notiziale" al Comune, ma avrebbe dovuto previamente concordarlo anche in ordine al rientro delle sovracoperture. In ogni caso avrebbe dovuto, ove tale accordo non potesse essere raggiunto, assolvere ad un onere di motivazione aggravato. Il motivo è infondato. Preliminarmente va rilevato che esso è in parte riproduttivo di quanto già evidenziato con la precedente censura dalla quale differisce trattandosi del PEF 2019; ne consegue che valgono le medesime motivazioni sopra evidenziate cui si fa rinvio. Si aggiunge anche che in questo contesto non assume rilievo il mancato riscontro alla nota del Comune atteso che, come sopra evidenziato, non può perseguirsi una logica di accordo puntuale con ciascun Comune sul PEF neutralizzando quanto disposto dalla legge regionale in materia di funzionamento degli organi degli organi dell'ente di governo a maggioranza. 3.3 Con il motivo rubricato: "3.Ulteriore difetto di motivazione in relazione al parere negativo espresso dal Consiglio locale dell'8 marzo 2019, n. 3 e contestuale violazione dell'art. 7, comma 5, l.r. n. 23 del 2011", l'appellato Comune rileva che il Consiglio locale di cui all'art. 8 della l.r. 23/2011 (costituito dai Comuni della provincia e da quelli confinanti di altre Regioni che siano stati inclusi nell'ambito territoriale ottimale) in data 8 marzo 2019, ha espresso parere negativo rispetto alla programmazione economico-finanziaria per l'anno 2019; il Consiglio d'ambito (costituito dai Sindaci, Presidenti della Provincia o Amministratori da loro delegati) nella deliberazione di approvazione del PEF 2019 qui impugnata, non ha fornito alcuna motivazione per la differente decisione adottata né ha indicato il segno del parere. Rileva inoltre che - al momento dell'adozione della delibera del Consiglio d'Ambito - il prescritto parere non era stato nemmeno formalizzato, esprimendo dubbi circa la conoscenza da parte dei membri del Consiglio d'Ambito del contenuto della richiamata delibera del Consiglio locale n. 3 dell'8 marzo 2019. Il motivo è infondato. In sede di Consiglio locale per l'espressione del parere sul PEF 2019, come evidenzia l'appellante è stato dato parere negativo ma detta accezione del parere non è stata riportata nella delibera di approvazione del PEF 2019; l'assenza del richiamo alla natura del parere non inficia la validità della delibera in quanto la legge regionale 23/2011, all'art 7,comma 5, lett. c) prescrive solo che sia sentito il Consiglio locale non prevedendo espressamente alcuna diversa procedura (ad esempio, maggioranza rafforzata) nell'ipotesi in cui detto parere fosse negativo. Da ciò ne consegue che, sebbene indice di una trascuratezza nella redazione della delibera, esso non può inficiare la delibera ex art. 21 -octies l. 241/1990 trattandosi di un vizio formale che non indice sul contenuto dell'atto; in tal caso infatti si è registrata la maggioranza per cui la delibera risulta formalmente approvata. Quanto poi alla mancata formalizzazione del parere del Consiglio locale, cui parte appellata fa riferimento, occorre precisare che si tratta di atto pubblico che fa prova fino a querela di falso e pertanto non si ritiene questa la sede per evidenziare dette carenze; in disparte il fatto che detta censura non è provata in questa sede. 3.4 Con la censura rubricata sub "B. Riproposizione della domanda subordinata avanzata in primo grado dal Comune di (omissis) e non esaminata nella sentenza del Tar Emilia-Romagna (versione contenuta nel ricorso per motivi aggiunti del comune di data 13 maggio 2019): 4. In subordine: accertato che He. S.p.A. ha ricevuto negli anni 2013-2016 dal Comune di (omissis) sovracoperture del servizio per un importo di Euro 688.029 (o di quanto comunque risulterà ), sancire il suo conseguente dovere di restituzione, con corrispondente condanna", l'appellato Comune rileva di avere sempre cercato una soluzione "amministrata" per tenere conto delle esigenze di Atersir, di He. S.p.A. e degli stessi altri enti locali appartenenti all'ambito. Con tale impostazione, il Comune di (omissis) si sarebbe posto in linea con le ripetute rassicurazioni dell'Ente di governo, sulla base della delibera del 27 febbraio 2017, CAMB/2017/10 con la quale Atersir aveva deliberato "di assumere quale prima linea di indirizzo nella predisposizione della pianificazione economico finanziaria 2017 (...) con particolare riferimento al bacino di affidamento di He." quella del "recupero totale delle sovracoperture determinatesi nell'implementazione del sistema di definizione dei costi del servizio a partire dalle rendicontazioni consuntive prodotte dai gestori ai sensi della D.G.R. 754/2012". Una volta venuto a conoscenza di questo atto (nel giugno 2017), il Comune di (omissis) fa presente che ha sempre cercato di conseguire l'obiettivo di un rientro progressivo, accettando la prospettiva di una compensazione stabilita su base pluriennale, quale voce di sconto nei singoli PEF. In considerazione del fatto che Atersir non ha proceduto in tal senso rileva che le sovracoperture corrispondono pur sempre a somme che il Comune ha versato ad He. S.p.A. in assenza di una controprestazione; ciò in aperta violazione dell'art. 2, comma 2, della "regolamentazione della fatturazione e dei pagamenti" tra Comune di (omissis) ed He. S.p.A., giusta il quale "He. emetterà una fattura di conguaglio del corrispettivo, con data fine mese, a Dicembre di ogni anno, per la gestione del servizio SGRUA eventualmente dovuto sulla base del PEF approvato da ATERSIR, per quell'anno". In ogni caso ritiene trattarsi di un dovere restitutorio derivante dal pagamento di un indebito oggettivo (art. 2033 c.c.), o comunque un indebito soggettivo ex art. 2036 c.c. avendo il Comune di (omissis) pagato un debito dei Comuni che sulla base dei predetti rendiconti elaborati da Atersir ai sensi del d.G.R. 754 del 2012 risulterebbero sottocoperti (come i Comuni di Bologna e (omissis), qui non costituiti). In tal senso ritiene si verterebbe in materia di giurisdizione esclusiva ai sensi dell'art. 133 comma 1 lett. c) o p) c.p.a. Il motivo è infondato. Occorre premettere che si verte in materia di giurisdizione esclusiva ex art 133 lett. p) c.p.a. atteso che si tratta di controversia relativa al ciclo dei rifiuti riconducibile, anche se in via mediata, ad un pubblico potere. Va rilevato che detto obbligo restitutorio è privo di fondamento attesa la legittimità della procedura come sopra rilevata. Nello specifico comunque l'appellato fonda la propria censura sulla convenzione del 13 dicembre 2014 agli atti di causa che disciplina la fatturazione e i pagamenti del servizio di raccolta rifiuti. Si tratta di un atto convenzionale che avrebbe potuto essere modificato ad iniziativa anche del Comune appellato e che comunque non può modificare l'impianto normativo sin qui descritto sui costi e sulla loro legittimità come sopra evidenziato. 4. In considerazione di quanto sin qui esposto il ricorso è accolto. 5. Attesa la complessità e la novità delle questioni esaminate sussistono idonei motivi per la compensazione delle spese. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie l'appello e, per l'effetto, riforma la sentenza di primo grado. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Lopilato - Presidente FF Giuseppe Rotondo - Consigliere Michele Conforti - Consigliere Luigi Furno - Consigliere Riccardo Carpino - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta da: Dott. CASA Filippo - Presidente Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio Augusto - Consigliere Dott. LANNA Angelo Valerio - Consigliere Dott. CAPPUCCIO Daniele - Consigliere Dott. TOSCANI Eva - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: PM e/ Ra.Al. nato a P il (Omissis) avverso l'ordinanza del 26/04/2023 del GIUD. SORVEGLIANZA di CATANIA udita la relazione svolta dal Consigliere EVA TOSCANI; lette le conclusioni del PG, Gi.Li., che ha chiesto l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza in preambolo, il Magistrato di sorveglianza di Catania, dichiarava "manifestamente inammissibile" l'opposizione, proposta dalla condannata Ra.Al., avverso il provvedimento, col quale lo stesso giudice aveva dichiarato non luogo a provvedere sull'istanza di conversione in libertà controllata della pena pecuniaria di 4.000,00 euro di ammenda, inflitta con sentenza del 5 novembre 2009, emessa dal Tribunale di Catania, irrevocabile il 16 ottobre 2012, e aveva contestualmente rilevato l'opportunità di trasmettere gli atti al Pubblico ministero richiedente la conversione, al fine di "pronunciarsi in ordine alla intervenuta prescrizione quinquennale, anche tenuto conto della notifica della cartella esattoriale". A ragione della decisione il Magistrato di sorveglianza poneva "quanto già espressamente motivato da questo Mds con provvedimento in data 3 /2/2923". 2. Avverso detto provvedimento ricorre per cassazione il Pubblico ministero, lamentando la violazione degli art. 173 cod. Pen. e 212 e 227-ter D.P.R. n. 115 del 2002. Rileva il Pubblico ministero ricorrente che nei confronti della condannata, previa iscrizione al ruolo del debito erariale, in data 15 giugno 2015 era stata notificata cartella esattoriale e che tale circostanza che attesta l'intervenuto inizio dell'esecuzione per il recupero dell'importo dovuto. Sulla scorta della giurisprudenza di questa Corte indicata nel ricorso, reputa tale evenienza idonea a impedire gli effetti della decorrenza del tempo ai sensi dell'art. 173 cod. Pen. . 3. Con requisitoria scritta depositata in data 4 dicembre 2023, il Sostituto Procuratore generale, Gi.Li., ha l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato. I presupposti fattuali della vicenda esecutiva in esame sono pacificamente attestati in atti nei seguenti termini: ad Ra.Al., destinataria di condanna alla pena di 4.000,00 euro di ammenda, giusta sentenza del 5 novembre 2009, emessa dal Tribunale di Catania, irrevocabile il 16 ottobre 2012, previa iscrizione al ruolo del debito erariale, è stata notificata, in data 15 giugno 2015, la cartella esattoriale, con esito "irreperibilità relativa", riguardante il medesimo debito che la stessa non risulta aver adempiuto. 2. Tanto premesso in punto di fatto, può senz'altro aderirsi alla prospettazione del Pubblico ministero ricorrente, che ha richiamato l'insegnamento di legittimità secondo cui "Ai fini dell'estinzione della pena pecuniaria per decorso del tempo rileva, quale fatto impeditivo, il solo momento dell'inizio dell'esecuzione, non venendo in conto né il modo - coattivo o spontaneo - in cui tale inizio ha avuto luogo né le successive concrete tempistiche dell'esecuzione medesima. (Fattispecie in cui è stato escluso che la pena dell'ammenda inflitta al condannato si fosse estinta per decorso del tempo in ragione dell'avvenuta notifica della cartella esattoriale prima del compimento del termine di legge)" (Sez. 1, n. 22312 del 08/07/2020, Vitobello, RV. 279453). Questa Corte, con orientamento che qui si condivide e si ribadisce, ha difatti chiarito che in tema di estinzione della pena pecuniaria per decorso del tempo, rileva, quale fatto impeditivo, il solo momento dell'inizio dell'esecuzione, a partire dal quale le concrete modalità e le scansioni temporali della procedura stessa risultano irrilevanti. In altri termini, l'inizio dell'esecuzione, che realizza la pretesa alla riscossione del credito dello Stato, è sufficiente a evitare l'estinzione della pena e nessuna rilevanza - in mancanza di una previsione legislativa in tal senso - assume la circostanza che tale inizio sia avvenuto coattivamente, oppure con la collaborazione del condannato (Sez. 3 n. 17228 del 3/11/2016, dep. 2017, Ghidini, RV. 269981). Come affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità civile (Sez. 6 civ., n. 21178 del 2/03/2017, RV. 645484; Sez. 3 civ., n. 14528 del 10/06/2013, RV. 626687), nel sistema attuale, gli uffici giudiziari recuperano le somme derivanti da provvedimenti divenuti esecutivi, procedendo direttamente, dopo l'iscrizione delle stesse sul registro, alla formazione ed alla trasmissione dei ruoli, senza effettuare nessuna richiesta bonaria di pagamento al debitore, essendo tale adempimento demandato all'agente della riscossione, che vi provvede con un'intimazione a pagare comunicata unitamente alla cartella di pagamento. La richiesta di pagamento nel termine di un mese costituisce un adempimento richiesto per la regolarità formale della procedura, cioè inerente al quomodo dell'azione esecutiva esattoriale, condotta dal concessionario del servizio di riscossione, cui compete la procedura di riscossione, che è preceduta dalla notificazione della cartella di pagamento, adempimento che tiene luogo del precetto di pagamento proprio della procedura di esecuzione forzata, disciplinata dal codice di procedura civile. In conformità a tale disciplina, l'esecuzione di pena pecuniaria non si realizza al momento del passaggio in cosa giudicata della sentenza di condanna, che rappresenta il titolo esecutivo, bensì allorché il debito erariale viene iscritto a ruolo, oppure, secondo una tesi alternativa, quando venga notificata la cartella esattoriale; in ogni caso, l'inizio della procedura di recupero coattivo è sufficiente ad evitare l'estinzione della pena perché manifesta la pretesa punitiva dello Stato, la cui assenza dà luogo alla prescrizione, a prescindere poi dalle specifiche vicende successive dell'effettivo recupero di quanto dovuto. 3. Sotto altro, concorrente profilo, va rilevato che l'ordinanza impugnata ha assertivamente reputato l'opposizione "manifestamente inammissibile", richiamandosi alle motivazioni del proprio precedente provvedimento, senza in alcun modo confrontarsi con il tema posto dal Pubblico ministero opponente, ovverosia quello del rapporto tra la prescrizione quinquennale e l'avvenuta notifica della cartella esattoriale, così rendendo una motivazione meramente apparente. 4. S'impone, per le esposte ragioni, l'annullamento del provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al magistrato di sorveglianza di Catania. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Magistrato di sorveglianza di Catania. Così deciso, il 20 dicembre 2023. Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA in nome del Popolo Italiano LA CORTE DI APPELLO DI BRESCIA Sezione Prima Penale Composta dai signori: 1 - dott. Anna Maria Dalla Libera Presidente 2 - dott. Guido Taramelli Consigliere relatore 3 - dott. Roberto Gurini Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA nella causa penale trattata con il rito dibattimentale; contro (...) Elettivamente domiciliato c/o lo studio del difensore avv. (...) di Milano Difensori di fiducia avv. (...), entrambi del Foro di Milano LIBERO PRESENTE IMPUTATO B) del reato di cui agli articoli 81 cpv, 110 e 326 c.p., poiché, quale (...), ricevuta una proposta di incontro privato da parte del dr. sost. proc. in Milano titolare del p.p. (...)/17 mod. 21 r.g.n.r., rassicurandolo di essere autorizzato a ricevere copia degli atti indicati ai capo sopra riportato e riferendogli che il segreto investigativo su di essi non era a lui opponibile in quanto (...), concorreva nel reato descritto al capo che precede, rafforzando il proposito criminoso di ed entrando così in possesso del contenuto di atti coperti da segreto investigativo. Ciò faceva al di fuori di una procedura formale - non essendo applicabile quella descritta dalle circolari n. 510 del 1994 e n. 13682 del 1995 dettate dal CSM in merito alla trasmissione, da parte del p.m. procedente, di informazioni relative ad un procedimento penale a carico di un magistrato, da indirizzare formalmente al comitato di Presidenza del CSM - e senza che vi fosse una ragione ufficiale che legittimasse (...) a disvelare atti coperti dal segreto investigativo anziché investire organi istituzionali competenti a risolvere questioni attinenti alla gestione dell'indagine. In esecuzione di un medesimo disegno criminoso, una volta ricevuti i citati documenti segreti, violando i doveri inerenti alle proprie funzioni ed abusando della sua qualità di (...), pur avendo l'obbligo giuridico ed istituzionale di impedirne l'ulteriore diffusione, ne rivelava il contenuto a terzi, e segnatamente: consegnava al (...), informalmente e senza alcuna ragione ufficiale, ma allo scopo di "metterlo in allarme circa la frequentazione dei consiglieri (...) e (...), copia degli atti in questione, dopo averlo informato del loro contenuto, incaricandolo di custodirli e di consegnarli al comitato di Presidenza qualora glieli avesse richiesti; riferiva al (...), sempre in assenza di una ragione ufficiale, ma per suggerirle di "prendere le distanze dai consiglieri (...) e (...)", il contenuto delle dichiarazioni rese dall'invitandola a leggerle; riferiva, in assenza di una ragione d'ufficio, al dichiarato scopo di ottenere un giudizio sull'attendibilità dell'Avv. (...), le medesime circostanze al (...), facendogli leggere le dichiarazioni del predetto; informava di quanto appreso dal dr (...) il (...), consegnandogli copia degli atti sopra indicati, al di fuori di qualunque ufficialità al punto che (...), ritenendo irricevibili quegli atti ed inutilizzabili le confidenze ricevute, immediatamente distruggeva detta documentazione; riferiva confidenzialmente analoghe circostanze anche al consigliere del C.S.M., consentendogli la lettura di passi dei verbali; riferiva al (...), in assenza di qualunque ragione d'ufficio, dì un'indagine segreta su una presunta loggia massonica aggiungendo che "in questa indagine è coinvolto"; riferiva al senatore (...), in assenza di qualunque ragione istituzionale e nell'ambito di un colloquio privato, allo scopo di spiegare il motivo dei contrasti insorti con il consigliere (...) che vi era un'indagine in corso su una presunta loggia coperta cui avrebbe fatto parte il citato consigliere; riferiva, in violazione dell'obbligo di segretezza, il contenuto dei verbali resi da (...) alle collaboratrici amministrative (...) e (...); riferiva inoltre, in violazione dell'obbligo di segretezza e al di fuori di una formale procedura, al primo (...) dell'esistenza di atti di un'indagine penale presso la Procura di Milano, nell'ambito della quale (...) aveva riferito dell'esistenza di una loggia coperta in cui sarebbero stati implicati numerosi esponenti delle istituzioni, tra cui i (...) e (...). In Milano e Roma, da aprile a settembre 2020. APPELLANTE avverso la sentenza emessa dal Tribunale collegiale di Brescia, in data 20 giugno 2023, che dichiarava (...) responsabile dei reati a lui ascritti e, concesse attenuanti generiche, ritenuto il vincolo della continuazione, lo condannava alla pena di anni 1 e mesi 3 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Concedeva all'imputato il benefìcio della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato di casellario giudiziale. Condannava l'imputato al risarcimento del danno cagionato alla costituita parte civile, che si liquidava definitivamente in euro 20.000,00. Condannava altresì l'imputato alla refusione delle spese di lite sostenute dalla parte civile, (...), che si liquidavano in euro 5.000,00 oltre accessori di legge. PARTE CIVILE (...), domiciliato ex lege dal difensore Fa.Re. Foro di Messina Assistito e rappresentato dall'avv. Fa.RE. del Foro di Messina In esito all'odierna udienza dibattimentale; Udita la relazione del Consigliere dr. Gu.TA.; Udita la requisitoria del S.P.G. dr. En.Be.CE., che ha chiesto la conferma della impugnata sentenza; Udita la difesa della Parte Civile, che ha concluso come da note difensive depositate; Udita la difesa dell'appellante, che si è riportata ai motivi di appello, chiedendone l'accoglimento; la Corte osserva: MOTIVI DELLA DECISIONE La sentenza di primo grado La decisione della Corte di Appello Tanto premesso, ritiene questa Corte territoriale di non condividere le doglianze dell'impugnazione. La produzione documentale delle parti Deve, anzitutto, darsi formalmente atto dell'acquisizione della copiosa documentazione prodotta dalle parti nel corso del giudizio di appello. Sono documenti venuti in essere per lo più successivamente alla sentenza impugnata e che hanno ad oggetti fatti, che hanno un'evidente connessione con alcune circostanze oggetto del presente processo, così da renderli necessari al fine del decidere. Il concorso dell'extraneus nel reato di cui all'art.326 c.p. Ritiene, in prima battuta, questa Corte territoriale di affrontare la tematica concernente l'asserita inesistenza del concorso dell'extraneus nel delitto di rivelazione del segreto d'ufficio commesso dall'intraneus; in tesi difensiva il reato si sarebbe perfezionato nel momento in cui la notizia segreta sarebbe stata rilevata dall'intraneus al primo, di tal che la successiva condotta dell'extraneus costituirebbe un post factum non punibile. Nel caso di specie, peraltro, non potrebbe sussistere un concorso di reato nel proposito criminoso altrui, ai sensi dell'art. 110 c.p., dal momento in cui il dott. (...) è stato assolto giustappunto per mancanza di finalità illecita. Né sarebbe stata contestata l'ipotesi mediata di cui all'art.48 c.p. in ordine all'induzione dolosa di taluno mediante inganno a commettere per errore il reato. Osserva, al riguardo, il collegio che le contestazioni dell'appellante non tengono conto della giurisprudenza della Corte di Cassazione sul tema. Invero afferma la Suprema Corte che "integra il concorso nel delitto di rivelazione di segreti d'ufficio la divulgazione da parte dell'extraneus" di una notizia segreta, riferitagli come tale, realizzandosi in tal modo una condotta ulteriore rispetto a quella dell'originario propalatore? (Cass pen., sez.V, 17.11.2020, n.1957). Da ciò si evince che, se la condotta dell'intraneus si consuma nel momento in cui svela all'extraneus la notizia riservata, la condotta di quest'ultimo di successiva rivelazione ad altri di detta circostanza costituisce tutt'altro che un post factum non punibile, ma determina la realizzazione di altra e ulteriore condotta di rivelazione distinta da quella dell'originario autore del reato. E, nel caso di specie, è incontestato e incontestabile che il dott. (...) ha messo a conoscenza delle notizie acquisite in via riservata dal dott. (...) una serie di soggetti terzi non esaustivamente limitata ai nominativi elencati nel capo di incolpazione (si pensi ad esempio al Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. (...) al collega della corrente di (...), dott. (...)). Non solo, ma ai fini della sussistenza del concorso nel reato dell'extraneus è anche necessario che questi non si sia limitato a ricevere la notizia, ma abbia istigato o indotto il pubblico ufficiale ad attuare la rivelazione, non essendo sufficiente ad integrare il reato la mera rivelazione a terzi della notizia coperta da segreto (cfr Cass. pen., sez.VI, 17.4.2018, n.34928). Ed anche sul punto risulta in modo incontrovertibile dalla citata sentenza della Corte di Appello di Brescia del 3.11.2022, che il dott. (...) ha effettivamente indotto il dott. (...) a rivelargli le propalazioni dell'avv.to (...) in ordine alla sussistenza della cd. "Loggia Ungheria" in ragione della prospettazione - tutt'altro che fondata, per come si dirà - che il segreto investigativo, non essendo opponibile al C.S.M., per ciò stesso non poteva esserlo nei confronti del singolo consigliere, che ne faceva parte. Ne consegue che non vi era alcuna necessità da parte della Pubblica accusa di costruire la contestazione secondo lo schema dell'autorità mediata ai sensi dell'art.48 c.p. per punire l'extraneus a titolo di concorso nel reato, posto che è sufficiente che questi, dopo avere agevolato la rivelazione del segreto da parte del suo depositario, ne abbia disvelato il suo contenuto a terzi. Né assume rilievo l'intervenuta assoluzione del dott. (...), posto che la stessa non è avvenuta per insussistenza del fatto, ma per carenza dell'elemento soggettivo. Sul tema si rileva che "ai fini della configurabilità della responsabilità dell'extraneus" per concorso nel reato proprio, è indispensabile, oltre alla cooperazione materiale ovvero alla determinazione o istigazione alla commissione del reato, che l'intraneus" esecutore materiale del reato sia riconosciuto responsabile del reato proprio, indipendentemente dalla sua punibilità in concreto per l'eventuale presenza di cause personali di esclusione della responsabilità" (Cass. pen., sez. II, 17.10.2018, n. 219). Ed, invero, la formula assolutoria adottata dai giudici di merito del processo svoltosi a carico del dott. (...) opera esclusivamente sul piano personale, posto che la mancanza di colpevolezza è stata ancorata all'affidamento non colpevole della prospettazione proveniente dall'autorevole componente del C.S.M. dell'epoca secondo cui egli, in quanto tale, era pienamente autorizzato a ricevere notizie coperte da segreto investigativo. A ciò aggiunge la Corte bresciana che, nemmeno poteva ipotizzare il dott. che il destinatario delle sue rivelazioni, vincolato all'obbligo del segreto delle notizie apprese nella veste di (...), non avrebbe mantenuto il segreto, riferendo la notizia e consegnando gli atti ad altri. L'assoluzione dell'intraneus sul piano personale e non oggettivo impone, pertanto, di verificare la necessità di pervenire alla medesima soluzione per l'extraneus senza poterne escludere automaticamente la colpevolezza. Vale al riguardo il principio di diritto, secondo cui l'assoluzione per difetto dell'elemento soggettivo in capo al concorrente "intraneo" nel reato proprio non esclude di per sè la responsabilità del concorrente "estraneo", che resta punibile nei casi di autorità mediata di cui all'art. 48 c.p., o in tutti gli altri casi in cui la carenza dell'elemento soggettivo riguardi solo il concorrente "intraneo" e non sia quindi a lui estensibile (Cass pen., sez. IV, 20.4.2018 n.36730; sez. IV, 28.9.2017 n. 57706; sez. IV, 8.7.2016, n. 6872). L'oggetto della rivelazione del segreto d'ufficio Alla luce delle contestazioni dell'appellante deve, quindi, affrontarsi il tema relativo all'oggetto materiale della condotta di rivelazione del segreto necessaria a integrare la sussistenza del reato. A tal proposito si assume, in chiave difensiva, che la condotta addebitabile in astratto al dott. non potrebbe ricomprendere altro che quella della materiale consegna dei verbali o dell'integrale esibizione degli stessi, in quanto la secretazione si è riferita unicamente a tali atti, per come apposta dal pubblico ministero procedente e non già alla mera notizia della loro esistenza. Così non è. A ben vedere, infatti, viene riproposta una tematica già disattesa dal Tribunale, che, con argomentazione esaustiva, ha affermato come oggetto del reato sia l'informazione e non già il corpo materiale mediante la quale questa è veicolata. La norma di cui aU'art.326 c.p. non parla, infatti, di atti, ma di notizie, con ciò rimandando al contenuto dell'atto investigativo e non già alla veste formale con la quale viene trasmesso, di tal che il reato è integrato allorché vengano riportate notizie inerenti all'ufficio pubblico ricoperto e che siano destinate a rimanere segrete, a prescindere dalla forma con le quali vengano rivelate. E, nel caso di specie, è indubbio che il dott. (...) abbia portato a conoscenza di una selezionata platea di soggetti, più o meno qualificati, informazioni riservate quali: la notizia dell'esistenza di un indagine; l'indicazione dell'autorità procedente; il contenuto delle dichiarazioni rese da un soggetto in tale indagine, nella parte in cui indicava chi erano i partecipi di una loggia massonica, con indicazione specifica di alcuni dei soggetti accusati; il nominativo della fonte dichiarativa. Non appare poi seriamente contestabile che, al momento della loro rivelazione dal dott. (...) al dott. (...) e da questi a terzi, tali notizie erano coperte da segreto istruttorio, essendo state secretate dal pubblico ministero procedente ai sensi dell'art. 329 co. III c.p.p. nel cd. procedimento contenitore (...) della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano; senza contare poi, che a far data dal 12.5.2020, tali notizie avevano dato vita ad un'autonoma iscrizione nel registro degli indagati, per applicazione della ed. "legge Anselmi" limitatamente al nominativo dei tre soggetti rei confessi - (...), e (...) -, con conseguente obbligo del segreto ai sensi dell'art. 329 co. I c.p. E per quanto in tesi difensiva ci si ostini a sostenere che, alla data del 4.5.2020, epoca della rivelazione dal dott. (...) al dott. (...) non vi era stata ancora alcuna iscrizione nel registro degli indagati per effetto delle dichiarazioni auto ed etero accusatorie di (...) ben ci si guarda dal confrontarsi con le analoghe condotte tenute dall'imputato verso i terzi dopo la data del 12.5.2020, a iscrizione già avvenuta, e protrattesi sinanco al settembre 2020. Il contenuto della rivelazione al (...) Il contenuto dell'oggetto della rivelazione involge, quindi, la necessità di valutare la contestazione in fatto introdotta dall'appellante con i motivi aggiunti in merito alle rivelazioni effettuate dal dott. (...) a fine estate 2020 al (...) all'epoca (...). La prospettazione dell'appellante vuole che il ricordo del parlamentare sia fallace, nella parte in cui questi avrebbe ricordato che il dott. (...) nel mostrargli i verbali contenenti il nome di (...) da parte di un soggetto, che stava collaborando con l'autorità giudiziaria e che tacciava il magistrato di appartenere ad una loggia segreta di tipo massonico, avrebbe fatto riferimento ad un'indagine di una non meglio precisata "Procura del Nord". Ad avviso del deducente il teste avrebbe fatto confusione, sovrapponendo al suo ricordo le notizie, nel frattempo, apprese dalla stampa, posto che non avrebbe avuto senso logico che il dott. (...) avesse mostrato i verbali al teste, sul cui frontespizio era riportata l'intestazione "Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano" per fare cenno ad una indagine presso una non meglio precisata "Procura del Nord"; a ciò si aggiunge che il dott. (...) giammai avrebbe potuto fare cenno ad un'indagine, che non sapeva nemmeno se avesse avuto corso. Sul punto osserva il collegio che il ricordo sbiadito appare essere quello del dott. (...) ("ma perché avrei dovuto farlo?...Che cosa aggiungeva... non lo ricordo, ma logicamente lo nego"), piuttosto che del teste (...), il quale ha ricordato con precisione tempi e modalità con le quali il (...) lo ha messo al corrente dell'esistenza della notizia riservata sul conto del collega (...). E a conferma della veridicità del suo racconto, il teste ha tratteggiato le modalità del suo incontro con l'imputato, in termini di atteggiamento prudenziale del suo contraddittore, in tutto sovrapponibile a quello descritto dagli altri destinatari delle sue rivelazioni e in relazione ai quali non viene sollevata alcuna contestazione circa la veridicità di quanto da loro riferito. Il teste (...) peraltro, ha specificato che l'imputato gli avrebbe fatto vedere dei fogli velocemente, non consentendogli di leggere altro che il nome di (...), il che rende del tutto possibile che il concentrato sul nominativo indicatogli dal suo interlocutore, non si sia soffermato sull'intestazione dei documenti a lui esibiti in fretta e furia. A ciò si aggiunge che, peraltro, la questione riguarda un particolare del tutto secondario, non smentito altrimenti dall'imputato e che rende ben possibile il fatto che il dott. (...) abbia volutamente cercato di non essere troppo preciso con la sua controparte, diversamente da come si era comportato con altri soggetti con cui aveva più confidenza; significativo, a tal proposito, è il fatto che l'imputato, in tale occasione e a differenza di altre occasioni, non abbia riferito al parlamentare nemmeno il nominativo del cosiddetto collaborante, che, nella sua prospettazione, era la fonte dichiarativa delle accuse mosse nei confronti del dott. (...) Non solo, ma, a ben vedere, l'accenno da parte del dott. (...) all'esistenza di un'indagine presso una "Procura del Nord" emerge parimenti anche dalla deposizione del teste (...), a conferma del fatto che il riferimento ad una determinata area geografica da parte del prevenuto per indicare l'organo inquirente, che aveva raccolto o stava raccogliendo le accuse sulla presunta appartenenza del dott. (...) ed altri ad una loggia segreta, è stata indicazione tutt'altro che eccentrica. Nè la genericità di tale indicazione inficia la sussistenza del reato di rivelazione del segreto, posto che, comunque, sono stati portati a conoscenza di un terzo non legittimato a riceverne la notizia dati coperti da segreto, quali l'esistenza di un'indagine, l'oggetto della stessa con il relativo titolo di reato e il nominativo di uno di coloro che vi erano implicati. Irricevibile è, poi, la considerazione, secondo la quale il dott. Non avrebbe mai potuto parlare di un'indagine in corso, in quanto non sapeva nemmeno se quell'indagine fosse partita o meno. La tesi difensiva si scontra con le affermazioni stesse del dott. (...), il quelle, in sede di esame, ha espressamente dichiarato il contrario, sostenendo che, dopo avere parlato con il (...), il (...) aveva proceduto all'iscrizione, come poi confermatogli di lì a breve, sempre nel maggio 2020, dal dott. (...). Peraltro e a riscontro di tale considerazione vi è il dato oggettivo emergente dall'annotazione di P.G. dell'8.6.2021 a firma del per (...) come riportato nella sentenza di assoluzione del dott. (...) emessa della Corte di Appello di Brescia il 3.11.2022, secondo cui, il 19.5.2020, si registra un contatto telefonico tra il dott. (...) e il dott. (...). Posto il dato pacifico secondo il quale tra i due non vi era alcun rapporto di frequentazione abituale, né di amicizia, appare del tutto evidente che l'unica ragione d'essere di tale comunicazione sia stata quella di uno scambio di informazioni in merito all'eventuale sblocco di quella situazione di stallo all'indagine a suo tempo segnalata dal dott. (...) all'autorevole collega. L'iscrizione nel registro degli indagati da parte della Procura della Repubblica di Milano del 12.5.2020 Sul tema della natura del reato di pericolo del delitto di rivelazione del segreto d'ufficio l'appellante ripropone la tesi dell'inesistenza del danno all'indagine per effetto delle sue condotte rivelatone, che, anzi, piuttosto che danneggiare l'attività investigativa, l'avrebbero promossa per effetto dello sprone operato dal (...) nei confronti del (...) grazie al suo fattivo intervento, così da mettere il procedimento "sui binari della legalità". Nessuno degli interessati sarebbe, peraltro, venuto a conoscenza delle notizie riservate comunicate dal dott. (...) concernenti le propalazioni dell'avv.to (...), che, viceversa, sono state oggetto di divulgazione coram populo per effetto della comunicazione in forma anonima dei verbali di interrogatorio ai due giornalisti (...) e (...) e della trasmissione in diretta su Radio Radicale della seduta dell'assemblea plenaria del C.S.M. del 18.2.2021, nella quale il (...) aveva riferito di avere ricevuto un plico contenente i predetti verbali con una nota accompagnatoria, nella quale si accusava sostanzialmente il (...) e lo stesso (...) di omissioni investigative. Quanto al tema fattuale introdotto dall'appellante, che ripetutamente rivendica a suo merito l'iscrizione del 12.5.2020 della notizia di reato per violazione dell'art.2 delle legge 17/85 da parte del (...) è bene sgombrare il campo da possibili suggestioni di parte, che sembrano peraltro avallate dalla sentenza assolutoria della Corte di Appello di Brescia emessa nei confronti del dott. (...) (pg.38-40). A tenore della citata pronuncia la prospettazione del dott. (...) - secondo cui l'impressione che la decisione da parte dei colleghi di pervenire finalmente all'iscrizione nel registro degli indagati dei nominativi dei tre rei confessi per applicazione della cd. "legge Anselmi", per come decisa nella riunione presso la (...) e materialmente effettuata il sarebbe stata determinata da un input esterno - è confermata da quanto riferito dal dott. (...), dal dott. (...) e dai tabulati telefonici dell'utenza in uso al dott. (...) Invero i predetti elementi probatori collocherebbero con certezza l'intervento del (...) presso il (...) prima dell'8.5.2020, così che, ragionevolmente, si dovrebbe supporre che tale iscrizione sia stata la conseguenza logica del suo antefatto. Così non può essere. Il teste (...) ha, infatti, dichiarato che, una volta informato dal dott. (...) della situazione di possibile impasse esistente presso la (...) aveva avuto nel mese di maggio un colloquio telefonico con il dott. (...), che gli era sembrato avere le idee particolarmente chiare sull'indagine menzionatagli e, successivamente, il 16 giugno, era tornato con lui sull'argomento in occasione di un incontro di persona a Roma. Dal canto suo il teste (...) ha collocato tale contatto telefonico alla data del 25 maggio 2020, confermando poi il colloquio avvenuto di persona a Roma il successivo 16 giugno. Ha escluso, viceversa, che negli sms del 7 maggio 2020, scambiatisi con il dott. (...), l'argomento trattato fosse stato quello avente ad oggetto l'indagine sulla cd. "Loggia Ungheria", spiegando, viceversa, che oggetto di tali messaggi era il ben più urgente disegno di legge del Ministro sulla scarcerazione dei mafiosi a seguito della pandemia per "Covid 19". Del tutto inconferente sul punto appare, viceversa, la deposizione del teste (...), che ha ancorato il ricordo delle confidenze ricevute dal dott. (...) - con le quali questi gli aveva esternato la sua preoccupazione per l'indagine a carico del collega osteggiata dalla Procura della Repubblica di Milano e, nell'occasione, gli aveva fatto vedere i verbali, rappresentandogli di averne già fatto parola con il dott. (...) e il dott. (...) nel primo giorno del suo rientro a Roma dopo il lockdown. A ben vedere, infatti, tale data non è quella riportata nella citata sentenza della Corte di Appello di Brescia -indicata, all'evidenza per un mero errore materiale nell'8 maggio 2020, così da indurre a collocare il colloquio tra il dott. (...) e il dott. (...) tra il 4 e il 6 maggio-, ma è l'8 giugno 2020, posto che il teste indica con precisione proprio tale data per il suo rientro a Roma dopo il lockdown, specificando che questo era avvenuto in ritardo rispetto alla ripresa dei lavori in presenza presso il (...) risalente al 4 maggio 2020, in ragione delle gravi problematiche connesse (...) (vds deposizione teste (...) udienza 23.2.2023 pg. 14). Orbene e a prescindere dalla considerazione del G.I.P. del Tribunale di Brescia, che, nell'archiviare la posizione del dott. (...) per il reato di cui all'art. 328 c.p. ritiene implausibile che un'eventuale comunicazione riservata sul procedimento "Ungheria" possa essere stata affidata a dei semplici messaggi di testo susseguitisi nell'arco di pochissimi secondi, come quelli documentati il 7 maggio 2020 tra i due Procuratori, in ottica difensiva dovrebbe ipotizzarsi che il teste (...) affermi il falso per ragioni di comprensibile autotutela. Rileva il collegio, tuttavia, come non vi siano elementi concreti che smentiscano quanto affermato dal teste, tanto più che la sua spiegazione ha una sua dignità storica alla luce del tragico periodo emergenziale, che, all'epoca, il Paese stava attraversando e che ben può spiegare come i vertici operativi delle più importanti sedi investigative d'Italia potessero confrontarsi sulle tematiche di maggiore attualità nell'imminenza della cessazione del primo periodo di sospensione dei termini processuali. Non solo, ma è lo stesso dott. (...) - a meno di non volere ritenere che anche il (...), questa volta senza interesse alcuno, abbia anch'egli dichiarato il falso- a corroborare la deposizione del (...), allorché riferisce di avere avuto sul tema della "Loggia Ungheria" un colloquio telefonico con il dott. (...) e non già un semplice scambio di sms, come quello per l'appunto registrato il 7 maggio 2020. Peraltro il teste (...) ha dichiarato solo di essersi informato dell'esistenza dell'indagine e del suo contenuto e non già di avere ordinato una qualche iscrizione, rimanendo peraltro confortato dalle rassicuranti risposte ricevute dal suo interlocutore. A ciò si aggiunga che è la stessa cronistoria delle attività investigative sorte a seguito delle rivelazioni dell'avvocato (...) per come ripercorsa dal decreto di archiviazione del G.I.P. del Tribunale di Brescia a smentire l'assunto dell'appellante e a far ritenere che l'iscrizione nel registro degli indagati di (...), e (...) sia stata decisa a prescindere dall'intervento del dott. (...) presso il (...). Invero già il 29 aprile 2020 il dott. (...), ricevuta la scheda di iscrizione spedita dal dott. (...), aveva indetto una riunione per discutere del procedimento penale e di eventuali iscrizioni, riunione poi postergata al giorno successivo e ulteriormente rinviata al giorno 8 maggio 2020 per cause indipendenti dalla volontà del medesimo accusato. Da ciò si desume che l'iscrizione dei nominativi dei tre rei confessi di appartenere alla ed. "Loggia Ungheria" sia stata maturata prima e, comunque, a prescindere dall'intervento del dott. (...) presso il (...) e sia stata, viceversa, il frutto di quel confronto tra investigatori determinato dalla improvvisa iniziativa del dott. (...) e dalla sua eccentricità - al sol considerare che la scelta degli otto nominativi da iscrivere riportati nella scheda di iscrizione appariva del tutto casuale e priva di logica, per come emerge anche dalle affermazioni dello stesso teste (...). La natura di reato di pericolo del reato di rivelazione del segreto d'ufficio Quanto alla natura di reato di pericolo del reato di cui all'art.326 c.p. si osserva, poi, come ormai sia pacifica la giurisprudenza sulla natura del reato in contestazione, all'indomani dell'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, con la nota sentenza n.4694 del 27.10.2011, con cui si è affermato che "il delitto di rivelazione di segreti d'ufficio riveste natura di reato di pericolo effettivo e non meramente presunto nel senso che la rivelazione del segreto è punibile, non già in sé e per sé, ma in quanto suscettibile di produrre nocumento a mezzo della notizia da tenere segreta". Al collegio pare di particolare pregnanza il passaggio motivazionale della sentenza citata, nella parte in cui, dopo avere affermato che le ipotesi di non punibilità del reato di cui all'art.326 c.p. per inoffensività del fatto risultano comunque limitate a casi assai circoscritti, viene evidenziato che quando è la legge a prevedere l'obbligo del segreto in relazione ad un determinato atto o in relazione ad un determinato fatto, il reato sussiste senza che possa sorgere questione circa l'esistenza o la potenzialità del pregiudizio richiesto, in quanto la fonte normativa ha già effettuato la valutazione circa l'esistenza del pericolo, ritenendola conseguente alla violazione dell'obbligo del segreto (cfr Cass pen., sez.VI, 11.10.2005, n.42726). Se così è, è evidente che, nel momento in cui è lo stesso art.329 c.p.p. a indicare che, come nel caso di specie, gli atti di indagine sono atti coperti da segreto tout court e che, anche quelli non più coperti da segreto, possono essere secretati con decreto motivato del pubblico ministero in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini, la valutazione circa la sussistenza del pericolo della loro divulgazione è già stata fatta, a monte, dalla norma primaria senza che possa essere rimesso all'interprete la valutazione del rischio. Da ciò consegue che le rivelazioni rese dal dott. (...), in quanto concernenti atti coperti da segreto ex art.329 c.p., erano, per ciò stesso, potenzialmente pericolose per l'indagine a prescindere dalla loro successiva e ulteriore divulgazione. Peraltro, per come condivisibilmente affermato dal giudice di prime cure, la fuga di notizie mediante la trasmissione dei plichi anonimi ai giornalisti (...) e (...) e, non a caso, al consigliere (...), non può certo considerarsi una vicenda estranea e avulsa dalla responsabilità dell'imputato in termini anche di prevedibilità e permea di significato la nozione di pericolo concreto evocato dalla norma incriminatrice. Sul punto lo stesso decreto di archiviazione del G.I.P. del Tribunale di Perugia della posizione di (...) e altri per il reato di cui all'art.2 della cd. "legge Anselmi" condivide le difficoltà evidenziate dal P.M. nella richiesta di archiviazione, già di per sé non semplici per il titolo di reato -che non consentiva di attivare intercettazioni- e per l'unicità della fonte dichiarativa -che riferiva principalmente di circostanze apprese de relato-, in ragione della fuga di notizie "senza eguali precedenti, che ha inevitabilmente inciso sullo sviluppo delle investigazioni negativamente" (pg.39). Senza peraltro trascurare, sempre sul pericolo concreto di inquinamento probatorio, quanto riportato dal Tribunale in merito al fatto che il dott. (...) aveva consegnato per la loro lettura i verbali contenenti le dichiarazioni dell'avv.to (...) al collega consigliere, dott. (...), soggetto menzionato dallo stesso legale come uno dei destinatari, a suo insaputa, dei favori della "Loggia Ungheria" per intralciare un'indagine promossa da un pool di magistrati di Roma, tra cui vi era lo stesso dott. (...) (vds deposizione teste (...) del 15.11.2022). Il contemperamento tra le esigenze investigative e il perseguimento delle finalità del C.S.M. La questione in oggetto discende ancora una volta dal principio affermato dalla menzionata sentenza delle Sezioni Unite, secondo cui il reato non sussiste, oltre che nella generale ipotesi della notizia divenuta di dominio pubblico, qualora le notizie d'ufficio ancora segrete siano rivelate a persone autorizzate a riceverle (e cioè che debbono necessariamente esserne informate per la realizzazione dei fini istituzionali connessi al segreto di cui si tratta). Posto che il segreto investigativo, in tesi difensiva, non sarebbe opponibile al C.S.M. e, per ciò stesso, al singolo consigliere, che di tale consesso faccia parte e che i terzi, a cui la notizia è stata riferita, erano soggetti autorizzati a riceverle per i loro fini istituzionali, il reato non sussisterebbe. Questo collegio non condivide la tesi propugnata. L'assunto, secondo il quale il segreto investigativo non è opponibile al singolo consigliere dell'organo di autogoverno della magistratura, in quanto il segreto investigativo non sarebbe opponibile al C.S.M., poggia su una forzatura interpretativa, che, per quanto suggestiva, è da ritenersi erronea. E', innanzitutto, indubbio che la secretazione accordata al segreto investigativo riceve una tutela particolarmente rafforzata dalla sua previsione con legge primaria, quale giustappunto sono gli artt. 326 c.p. e 329 c.p.p. Nel contemperare, poi, le opposte esigenze di tutela investigativa da parte degli organi inquirenti e di necessità per il C.S.M. di apprendere fatti, che possano avere rilievo per la tutela dei suoi fini istituzionali, si sono succedute una serie di circolari, per come ampiamente riportate dal Tribunale. Si tratta questa volta di una serie di norme di rango secondario, che disciplinano casi, modalità e tempi con i quali gli Uffici di Procura sono tenuti, in deroga alle norme di carattere primario poste a tutela del segreto investigativo, a trasmettere al C.S.M. atti funzionali allo svolgimento delle proprie attività. E poiché si tratta di norme di carattere secondario che derogano ad un principio generale stabilito da norma di rango superiore, queste sono, per ciò stesso, norme di stretta interpretazione e la cui valutazione non può, per ciò stesso, essere rimessa alla soggettiva valutazione dell'interprete. Orbene richiamando sul punto quanto argomentato dal Tribunale, si può ritenere che il (...) non abbia alcun accesso incondizionato e immediato agli atti di indagine, per come, viceversa, sostenuto dall'appellante. Già con deliberazione n.510 in data 15 gennaio 1994 il Consiglio Superiore della Magistratura aveva disposto che il pubblico ministero procedente desse immediata comunicazione al Consiglio di tutte le notizie di reato, nonché di tutti gli altri fatti e circostanze concernenti magistrati che possono avere rilevanza rispetto alle competenze del Consiglio, salvo che sussistano e vengano comunicate ragioni che possano rendere inopportuna la immediata comunicazione, per il positivo sviluppo delle indagini e/o per la sicurezza delle persone. Con la successiva deliberazione del 17 maggio 1995, concernente lo svolgimento di ispezioni ed inchieste ministeriali, il C.S.M. ha ribadito il suo costante orientamento sul punto della non opponibilità, in linea di principio, del segreto investigativo, prevedendo, tuttavia, la rimessione alla valutazione del magistrato procedente della sussistenza di specifiche ragioni per il mantenimento del segreto anche nei confronti degli organi titolari del potere-dovere di vigilanza. Infine la successiva circolare n. 13682 del 5 ottobre 1995 ("Informative concernenti procedimenti penali a carico di magistrati'') ha specificato che le notizie di reato, nonché di tutti gli altri fatti e circostanze concernenti magistrati che possono avere rilevanza rispetto alle competenze del Consiglio vengano comunicate dai Procuratori Generali e dai Procuratori della Repubblica con plico riservato al Comitato di Presidenza, salvo che sussistano e vengano comunicate ragioni che possono rendere inopportuna la immediata comunicazione, per il positivo sviluppo delle indagini e/o per la sicurezza delle persone. Sul punto ritiene il collegio come non vi possano essere fraintendimenti sull'organo deputato a interloquire con il C.S.M. a proposito dell'opponibilità o meno del segreto investigativo. Per quanto la sezione disciplinare del C.S.M. nel procedimento a carico del dott. (...) nel giungere al proscioglimento limitatamente ad uno degli addebiti formulatigli, ha fatto riferimento a problematiche di natura interpretativa, posto che la circolare 510/1994 fa riferimento al pubblico ministero che procede, mentre le successive e, da ultimo la 13682/1995, parlano di Procuratore delle Repubblica e di Procuratore Generale, non si vede francamente perché non si dovrebbe assecondare l'ultima e più recente indicazione dello stesso organo di autogoverno, del tutto conforme a quei principi di stretta interpretazione valevoli per le eccezioni al principio generale, peraltro introdotto da norme di rango inferiore e, per di più, coerente con la successiva introduzione di un modello fortemente gerarchizzato della Procura della Repubblica per effetto del D.Lgs. 20.2.2006, n.106 recante "Disposizioni in materia di riorganizzazione dell'ufficio del Pubblico Ministero, a norma dell'art. 1 comma 1, lett. d) della legge 2005 n.150". Confortano tale ricostruzione ermeneutica, del resto, le affermazioni stesse del teste dott. (...), il quale ha specificato che, nelle sue funzioni di (...) riceve generalmente le notizie dalle (...) il che comporta, che già a monte, è stato vagliato il tema della non opponibilità dell'atto di indagine al C.S.M. Diversamente se l'atto non perviene dall'organo deputato a interloquire con il C.S.M., egli stesso - o anche le singole commissioni in sede di istruttoria- avvia una preliminare interlocuzione con la competente Procura della Repubblica per comprendere la natura di tali atti e se questi siano o meno coperti da segreto investigativo. E, nel caso di specie, va ricordato quanto di fatto è avvenuto all'indomani delle rivelazioni al (...) del dott. (...) circa la ricezione dei verbali contenenti le dichiarazioni dell'avv.to (...), allorché è stata addirittura (...) a chiedere gli atti di indagine alla (...) che, puntualmente, ne ha rifiutato la consegna, opponendo il segreto. Il C.S.M., pertanto, non ha alcun accesso incondizionato agli atti di un'indagine. Infatti le Procure possono omettere - o eventualmente opporsi o ritardare - la trasmissione delle informative per esigenze investigative o per la tutela di terzi e ciò, lo si ribadisce, alla luce del principio di gerarchia esistente tra le fonti normative primarie poste a tutela delle indagini e quelle di rango subordinato che disciplinano l'attività del C.S.M. Non solo, ma anche a voler opinare il contrario, e cioè che possa spettare al pubblico ministero procedente opporre il segreto investigativo e non già al Procuratore della Repubblica, di tal che, se è questi a disvelare la notizia, vi sarebbe implicitamente il suo consenso alla rivelazione dell'atto di indagine, nel caso di specie non si potrebbe nemmeno ritenere sussistente la legittimazione del dott. (...) al disvelamento degli atti di indagine secretati, trattandosi solo del contitolare del procedimento penale n. (...) in quanto in co-assegnazione con la dott.ssa (...) E posto che la circolare 510 non fa alcun riferimento a poteri disgiunti, ma solo al pubblico ministero che procede, l'eventuale discovery agli atti investigativi sarebbe dovuto provenire necessariamente da entrambi i titolari del procedimento e non già da uno solo di essi. Quindi, nel caso di specie, il dott. (...) non era in alcun modo autorizzato a ricevere atti e notizie coperti dal segreto investigativo, anche perché il suo contraddittore non aveva comunque legittimazione alcuna a tal proposito. Ma vi è di più. Per come puntualizza il giudice di prime cure, le circolari menzionate sono particolarmente restrittive anche per quanto riguarda l'oggetto e le modalità di trasmissione al C.S.M. delle notizie coperte da segreto. Quanto all'oggetto delle informative queste devono, infatti, concernere notizie di reato iscritte ex art. 335 c.p.p. o anche a mod. 45, ove si ravvisino fatti privi di rilievo penale "che possono avere rilevanza rispetto alle competenze del Consiglio". L'invio degli atti deve avvenire, poi, mediante plico riservato con destinatario il (...) La migrazione di atti coperti da segreto deve, dunque, avvenire attraverso il canale comunicativo tracciato dalle normative in materia e giammai può avvenire attraverso quelle comunicazioni riservate e confidenziali, di cui tutti i testi hanno parlato, per come espressamente riportato nella sentenza impugnata. Non solo, ma anche a voler sostenere che non necessariamente i verbali contenenti le dichiarazioni "esplosive" dell'avv.to (...) dovevano essere spediti in plico chiuso al (...) vi era la necessità che quanto da essi rappresentato venisse formalmente acquisito al protocollo del (...) per l'inoltro al (...), cosa che viceversa non è in alcun modo avvenuto. E in tale modo la violazione delle circolari è stata tutt'altro che formale, ma è stata sostanziale, in quanto con l'agire sotto traccia è stato impedito alla Procura della Repubblica di Milano di poter opporre il segreto investigativo, per come avrebbe fatto sicuramente, secondo quanto manifestato dal teste (...) e avvenuto, poi concretamente, da parte del Procuratore della Repubblica di Perugia, una volta che l'indagine era stata spostata per competenza nel capoluogo umbro. Né, infine, convince la tesi secondo la quale i soggetti terzi, cui sarebbe stata destinata da parte del dott. (...) la notizia "riservata", l'avrebbero dovuta conoscere per i propri fini istituzionali. A prescindere dalle considerazioni spese a proposito dell'opponibilità del segreto investigativo al C.S.M., l'inconsistenza della tesi difensiva si evidenzia, in maniera eclatante, con riferimento alla comunicazione dell'indagine alle collaboratrici di ufficio dell'imputato, dott.sse (...) e (...); non si vede, francamente, la ragione per la quale costoro dovessero essere messe al corrente del contenuto accusatorio riportato nei verbali dell'avv.to (...), tanto più che si trattava di atti che mai erano stati formalmente acquisiti dal C.S.M. e che, pertanto, non erano atti dell'ufficio. Peraltro costoro non solo sono state messe a conoscenza dell'asserita esistenza della loggia massonica ventilata dal legale e dei soggetti che ne erano coinvolti, ma sono anche state compiutamente edotte dei meccanismi di condizionamento che questa avrebbe posto in essere per favorire la nomina di alcune cariche istituzionali di particolare rilievo, così da arrivare, addirittura, a convincersi che la mancata conferma del dott. (...) nell'incarico di consigliere del C.S.M., al raggiungimento dell'età pensionabile, fosse stata determinata, giustappunto, dalla trame di detta associazione segreta. Senza peraltro dimenticarsi del soggetto del tutto estraneo al C.S.M. o del (...), anch'egli non facente certo parte all'epoca dell'organo di autogoverno della magistratura. L'assenza di alternative comportamentali Questa Corte territoriale dissente, poi, dalla tesi difensiva più volte richiamata, che rimarca come il dott. (...), venuto suo malgrado a conoscenza delle scottanti dichiarazioni dell'(...) consapevole del possibile attacco che poteva essere sferrato all'ordine giudiziario e sconcertato per le oscure manovre, che avrebbero indotto a non investigare oltre sulla cd. "Loggia Ungheria", non avesse altra alternativa che quella di rispedire al mittente il dott. (...). Si assume, viceversa, che l'imputato abbia avvertito la gravità della situazione denunciata ed, anziché disinteressarsi della questione, si sia fatto carico di tale pesante fardello al fine di rimuovere un'indagine apparentemente incagliata e rimettere il procedimento nei binari della legalità. Orbene ed anche a non volere condividere la tesi esposta dal (...), secondo cui non poteva certo sfuggire ad un magistrato così esperto la problematicità delle dichiarazioni accusatorie rese dall'avv.to (...) rappresentative di una congerie di circostanze slegate una dall'altra, fondate per lo più su notizie apprese de relato e per la quale la competenza territoriale era di altro distretto, appare impensabile che una persona professionalmente attrezzata come il dott. (...) non si sia rappresentata che la strada per porre rimedio alla riferita inerzia dei vertici della Procura della Repubblica di Milano non era certo quella di rivolgersi al (...), le cui competenze, all'evidenza, esulano dal provvedere alle iscrizioni delle notizie di reato. E', infatti, l'art. 6 del già citato D.Lgs. 106/2006 che pone in capo al Procuratore Generale della Corte di Appello il compito, tra gli altri, di verificare il corretto ed uniforme esercizio dell'azione penale e l'osservanza delle disposizioni relative all'iscrizione delle notizie di reato. Al riguardo il dott. (...) assume che tale soluzione non gli sarebbe venuta in mente (vds deposizione (...) udienza (...)) e che aveva ritenuto sufficiente avere il supporto di una persona esperta e autorevole, come il dott. (...), peraltro, (...). A ben vedere nemmeno nel procedimento, che lo vedeva imputato, il dott. (...) ha dato una qualche plausibile giustificazione di una dimenticanza tanto eclatante, tant'è che nelle stesse sentenze, che pur hanno avallato la sua versione, non si rinviene alcuna giustificazione in ordine alla ragione per la quale questi non abbia ritenuto di percorrere la strada maestra tracciata dall'ordinamento per porre rimedio all'asserito ostracismo del Procuratore della Repubblica di Milano al suo anelito investigativo e, cioè, quella di rivolgersi al soggetto istituzionale che, per disposizione normativa, ha il compito di vigilanza ed ha gli strumenti per intervenire, ivi compreso il potere di avocazione previsto dall'art.412 c.p.p. Non solo, ma lo stesso dott. (...), il quale ha creduto alla versione del collega -sostanzialmente sulla scorta della sua sola parola, non avendo egli mosso alcun passo formale sino ad allora, nemmeno quello di procedere alla identificazione dei ed "ungheresi"-, non è stato in grado di illustrare se avesse compreso la ragione compiuta, per la quale il dott. (...) si era rivolto a lui e non già al (...) o a chi, in quel periodo, ne faceva le veci. Se, tuttavia, si può anche non pretendere che l'imputato si faccia carico di giustificare l'incedere altrui, una spiegazione plausibile la si sarebbe aspettata in merito alla sua personale decisione di avallare la scelta del più giovane collega e di non indirizzarlo al (...) o di consigliarlo in tal senso (vds deposizione (...), udienza 24.5.2022 pg.87). Sul tema la spiegazione resa dal dott. (...) e, cioè che, all'epoca, la (...) era retta (...) soggetto noto per alcuni suoi macroscopici errori giuridici e tale da non riscuotere affidamento (udienza (...) esame (...)), non appare per nulla appagante. Si tratta, all'evidenza, di una giustificazione di facciata per avallare la scelta di disattendere le chiare indicazioni ordinamentali di sistema, che prescindono, proprio perché sono poste a presidio del corretto funzionamento di insieme dell'organizzazione giudiziaria, dalle capacità personali del singolo; ciò a maggior ragione, nel caso di specie, ove la questione concernente la potenziale tardività di un'iscrizione nel registro degli indagati rispetto all'emersione della fonte dichiarativa e l'adozione dei conseguenti provvedimenti, non era certo una problematica così difficile da risolvere e tale da richiedere l'intervento di un giurista particolarmente raffinato. L'imputato e il (...) A ciò deve aggiungersi che, per quanto l'imputato si sia speso nel sostenere di essersi dato da fare per risolvere la questione dello stallo investigativo presso la Procura della Repubblica di Milano, andando direttamente dal (...), senza percorrere la via formale, così da evitare che il dott. (...) potesse venire a conoscenza delle accuse mosse a suo carico, nessuno dei componenti del predetto ha affermato di avere avuto l'intendimento che il dott. (...) volesse che la notizia riferita uscisse dall'ambito prettamente confidenziale, con il quale gli era stata riportata. Tralasciando la circostanza per la quale il dott. (...) non ha compulsato il (...) il dott. (...), il cui collocamento a riposo è comunque avvenuto ben dopo il 4 maggio 2020, risultando il suo pensionamento dopo la metà del mese di luglio 2020, ai singoli componenti del (...) che pur è organo collegiale, l'imputato si è rivolto partitamente, attraverso contatti de visu, informalmente e con modalità, a ben vedere, diverse a seconda del tipo di interlocutore, con il quale di volta in volta si interfacciava. Al (...), dott. (...), il dott. (...), verosimilmente sfruttando il suo ascendente di magistrato di lungo corso rispetto ad un cd. "avvocato di provincia", per come si è autodefinito il teste, sollecita l'attivazione presso il (...) consegna brevi manu i verbali contenenti le dichiarazioni dell'avv.to (...), così da accreditare la sua versione, ma si guarda bene dal riferirgli di mettersi in contatto con gli altri componenti del Comitato; sul punto il teste (...) ha dichiarato che l'imputato gli aveva detto che avrebbe parlato lui con il (...) per cui aveva inteso che tanto bastava, visti i poteri di indagine che a questi competevano. Viceversa con il dott. (...) e, successivamente, con il dott. (...), una volta che questi era divenuto subentrando al dott. (...), il dott. (...) risulta molto più accorto, tant'è che al (...) non rappresenta di avere già parlato dell'indagine milanese con il (...) e di averlo in qualche modo sollecitato ad andare dal (...). Il teste (...), peraltro, ha specificato che il collega non si era rivolto a lui (...), ma gli aveva esternato solo una sorta di preoccupazione per lo stallo dell'indagine milanese, ragion per cui egli si era determinato di conseguenza, senza farne cenno alcuno al dott. (...) inoltre, nell'occasione, nessun cenno gli era stato fatto alla fonte della notizia confidenziale, né tanto meno alla disponibilità dei verbali contenenti le dichiarazioni dell'avv.to (...). Lo stesso teste (...) ha escluso che il dott. (...) si fosse a lui proposto in quanto (...) interpretando piuttosto il gesto del collega come un atto di cortesia verso un compagno di concorso di vecchia data, così da anticipargli un possibile problema che avrebbe potuto insorgere e prepararlo all'evenienza; ed anche in questo caso, a detta del teste, nessuna menzione gli era stata fatta dei verbali contenenti le dichiarazioni dell'avv.to (...) e del fatto che questi erano stati già consegnati al dott. (...), né tanto meno che di tali riservate notizie gli (...) del (...) fossero già al corrente. Si è, quindi, in presenza di un comportamento, che, in qualche modo, appare funzionale ad evitare la circolarità della notizia tra i componenti di un organo che è collegiale e che funziona come tale e che, di conseguenza, appare tanto più eccentrico e lontano dall'affermazione dell'imputato di essersi voluti rivolgere al (...). Non solo, ma quel che colpisce del comportamento del dott. (...) è che con i colleghi, quali il dott. (...) e il dott. (...), egli è risultato particolarmente "abbottonato", tanto da non riferire loro quale fosse la sua fonte di informazione. E ciò è tanto più singolare se si considera che l'imputato, nelle altre propalazioni, non ha avuto remore con i (...) a lui più vicini a rivelare che la fonte delle sue informazioni era un (...), arrivando sin anco a farne il nome (teste (...)) o ad esibire loro i verbali consegnatigli dallo stesso (testi (...)). La ragione di tale agito nei confronti dei componenti del (...) che a prima vista sembrerebbe avere una certa incoerenza, appare viceversa avere una sua logica e, cioè, quella di evitare che il (...) potesse venire a sapere quale era la fonte della conoscenza della sua indagine, cosa che sarebbe accaduta se questi avesse parlato della circostanza con l'avvocato (...). Posto, infatti, che il dott. (...) nella sua qualità di (...) è anche il titolare dell'azione disciplinare nei confronti dei magistrati, non appare un fuor d'opera ritenere che il silenzio sul punto del dott. (...) e il suo relazionarsi paratitamente con i singoli componenti del (...) tacendo agli uni quello che era stato detto all'altro, sia stato fatto appositamente per tutelare il dott. (...) dalle conseguenze relative alla sua irrituale iniziativa. Prova ne è che, successivamente all'emersione pubblica del retroscena della vicenda, il (...) ha esercitato, ancorché senza successo per un capo, l'azione disciplinare nei confronti del dott. (...), per come si evince dalla stessa sentenza della Corte di Appello di Brescia che ha assolto quest'ultimo. L'elemento soggettivo del reato Quanto al profilo del dolo, va evidenziato che il reato di cui all'art. 326 c.p. è punibile a titolo di dolo generico, consistente nella volontà consapevole della rivelazione e nella coscienza che la notizia costituisce un segreto di ufficio, essendo, perciò, irrilevante il movente ovvero la finalità della condotta e senza che possa aver alcun valore esimente l'eventuale errore sui limiti dei propri e degli altrui poteri e doveri in ordine a dette notizie (Cass. pen., sez.VI, 13.1.1999, n.2183; sez. VI, 11.2.2002, n.9331). Nel caso di specie nemmeno l'appellante profila la sussistenza di errori sulle proprie e sulle altrui attribuzioni, cosa che, del resto, sarebbe impensabile stante il suo spessore professionale. E' indubitabile, infatti, che il dott. (...), ancorché compulsato dal dott. (...) ai primi di aprile 2020 in ordine alla situazione di impasse nella quale si sarebbe trovato per effetto degli asseriti comportamenti ostruzionistici dei suoi superiori, era ben consapevole di ricevere notizie coperte da segreto investigativo ed in relazione alle quali, giammai, vi sarebbe potuto essere consenso alla loro rivelazione in ragione della mancanza di legittimazione del suo interlocutore per le ragioni sovra rappresentate. Così come ben era cosciente, per come desumibile dalla spiegazione concernente la scelta di non rivolgersi all'(...) che all'epoca reggeva la (...), che questi era il soggetto cui competeva, per legge, di porre rimedio alle eventuali inerzie investigative della Procura della Repubblica. La piena conoscenza dei limiti delle proprie attribuzioni da parte dell'imputato esclude, radicalmente, che egli possa poi avere ritenuto di adempiere un dovere, che in alcun modo l'ordinamento gli attribuiva. E per quanto si voglia opinare circa il fatto che l'imputato si sarebbe trovato a gestire una situazione, per la quale non aveva interesse alcuno, che non era stata da lui sollecitata e che gli veniva rappresentata in termini di estrema gravità, appare difficile sostenere che egli non abbia avuto il tempo di comprendere appieno quanto riferitogli, di valutarlo, di riflettere sul da farsi e di determinarsi conseguentemente. Le stesse differenti modalità di rapportarsi diversamente con i membri del (...) appaiono indicative di una scelta ben ponderata e tutt'altro che casuale. Non può nascondersi, del resto, che i contatti con il dott. (...), a dire dei due protagonisti, risalgono in pieno periodo emergenziale, quando l'isolamento sociale imposto dal potere esecutivo per frenare il contagio aveva determinato un rallentamento dei ritmi di vita e di lavoro quotidiani anche in ambito giudiziario. La stessa attività del C.S.M. in presenza, peraltro, era stata sospesa. Non può allora ritenersi appagante la spiegazione, secondo la quale le successive propalazioni del dott. (...) sarebbero state dettate dalla volontà di riportare la vicenda sui binari della legalità e sventare un gravissimo attacco all'Ordinamento giudiziario. Sarebbe stato sufficiente per questo, cosi da avallare quanto meno la buona fede dell'imputato, che egli avesse indirizzato il dott. (...) alla (...) e, se tale strada nell'ottica personale del dott. (...) non fosse stata percorribile in ragione della ritenuta incapacità del suo reggente, che lui stesso avesse compulsato il (...) nella sua collegialità, rimettendo a tale organo se e in che modo dovesse avvenire la formalizzazione della vicenda e i conseguenti comportamenti da adottare sia per smuovere l'eventuale stallo all'indagine meneghina sia per tutelare i soggetti, che ne erano coinvolti, ivi compresa la figura del dott. (...). Viceversa l'imputato si è determinato ad una sovraesposizione personale del tutto singolare, non necessitata e che, per quanto ponderata, si è risolta di fatto in una serie di irrituali e illecite confidenze, che poi hanno sortito quell'effetto finale di una fuga di notizie "senza eguali precedenti", già stigmatizzata dall'Autorità giudiziaria umbra. L'imputato e la parte civile Non è compito di questa Corte comprendere la ragione degli agiti del dott. (...), il quale, senza necessità alcuna, ha sapientemente portato a conoscenza di una selezionata platea di destinatari notizie coperte da segreto investigativo attraverso una serie di incontri informali, pur consapevole di gettare una sinistra luce sull'operato della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano e sui (...), dottori (...) e (...). Il reato di cui all'art. 326 c.p. è del resto un reato a dolo generico e il movente è, perciò, irrilevante, come lo è la finalità della condotta. E sul punto appare del tutto inutile ritornare sull'argomento relativo agli asseriti moventi personali, che avrebbero spinto il dott. (...) a ottenere e poi divulgare i verbali dell'avv. (...) Già il Tribunale, senza smentita alcuna, ha rimarcato come gli elementi raccolti non abbiano consentito di comprovare con sufficiente certezza che il comportamento del dott. (...) sia stato determinato sin dall'origine dall'animus nocendi nei confronti della parte civile per personalismi e/o intenti ritorsivi verso la stessa in ragione dei dissapori, che si erano via via andati creando, pur a fronte di un'originaria affinità e comunanza di intenti. Né, del resto, vi è dimostrazione che l'imputato già sapesse delle accuse rivolte al collega dall'avv.to (...), al momento della riunione di "corrente" del 3 marzo 2020, nel corso della quale si registra l'aggressione verbale del dott. (...) al dott. (...), reo, ai suoi occhi, di dissentire dalla proposta di sostenere la candidatura del dott. (...) al vertice della (...) Il danno alla parte civile Nel contestare la sussistenza del danno alla parte civile assume l'appellante, che avere informato i (...) di un fatto veritiero, quale l'esistenza di un'indagine per una presunta partecipazione a una loggia segreta, non potrebbe essere inteso nell'accezione di disseminare "tossine denigratorie". A ciò si aggiunge che quasi tutti i testi sentiti avrebbero escluso sostanzialmente di avere cambiato atteggiamento nei confronti del consigliere (...), dopo quanto appreso dall'imputato. Osserva il collegio come, a prescindere dal fatto che l'azione del dott. (...) sia stata tutt'altro che necessitata e che le notizie confidenziali si sono estese ben oltre il perimetro della stretta cerchia (...) non vi siano margini di incertezza sul fatto che l'imputato abbia operato in modo tale da insinuare, quanto meno, il dubbio nella maggior parte dei destinatari delle sue confidenze circa l'appartenenza ad una loggia massonica del dott. (...), così andando a lederne l'onore e il prestigio. Per quanto si voglia contestare che tale incedere integri l'espressione usata dal Tribunale, è indubitabile che attribuire ad un magistrato la possibile appartenenza ad una loggia massonica equivale a consegnargli la patente di soggetto inaffidabile e infedele, in quanto, uniformandosi alle regole della fratellanza, antepone queste a quello dello Stato repubblicano, di cui è servitore. Si tratta di un'accusa gravissima, tenuto conto del ruolo e dalla qualifica professionale rivestiti dal destinatario di questa e che, per ciò stesso, è in grado di minarne la sua credibilità, per come di fatto è avvenuto. E la reazione sdegnata del dott. (...), all'esito della riunione informale tenutasi tra consiglieri del C.S.M., dopo l'intervento al del dott. (...) dell'aprile del (...) in cui la parte civile ha appreso come una buona parte dei consiglieri fosse a conoscenza delle accuse mossegli dall'avv.to (...), è significativa in ragione della comprensione da parte della parte civile del motivo, per il quale, sin dalla primavera precedente, era stato isolato e ciò in ragione dell'opera diffamatoria posta in essere dal dott. (...). Peraltro lo sdegno della parte civile non sorge certo per il fatto di non essere stato avvisato delle accuse potenzialmente calunniose -visto che nei confronti dell'avv.to (...) è stata promossa azione penale giustappunto per il reato di cui all'art. 368 c.p.-, ma perché persone, con cui aveva un rapporto di colleganza ed anche di militanza correntizia, avevano dubitato della sua integrità morale, così da prendere per buona l'accusa di essere un massone e assumere nei suoi confronti un atteggiamento distaccato rispetto ai normali rapporti di confidenza che si creano tra coloro che, generalmente, condividono il lavoro quotidiano. E, per quanto in chiave difensiva, si voglia sostenere che quasi tutti i testi avrebbero affermato di non avere cambiato atteggiamento verso il (...) basta riportare le affermazioni di un teste neutrale come il dott. (...), il quale giustappunto e a riscontro di quanto riferito dalla parte civile, ha ricordato come ben prima di ricevere il plico anonimo, avesse constatato un certo isolamento del collega all'interno del consiglio. Il teste (...) ha, del resto, dichiarato di avere "prudenzialmente" preso le distanze dal collega. Il teste (...) ha ricondotto il suo atteggiamento distaccato già alla vicenda (...), ma certo le confidenze del dott. (...) non devono averlo certo incoraggiato verso la parte civile. Il teste (...) ha ammesso di avere avuto una fisiologica diffidenza verso il collega, anche se poi, cercando di ridimensionare tale affermazione, ha ricondotto tale suo approccio anche con tutti gli altri consiglieri; tale ultima giustificazione, tuttavia, appare incongrua al sol considerare come l'asserito e generalizzato atteggiamento di distacco verso i colleghi mal si concili con l'abitudine di recarsi tutte le mattine presso lo studio del (...) per consumare un cioccolatino e intrattenersi con lui in amabile conversazione, per come riferito dall'imputato medesimo. Il teste (...) ha poi rimarcato che, in ragione della notizia ricevuta, ebbe a tenere un atteggiamento di prudenza verso il dott. (...) Non solo, ma se non bastasse appare vieppiù significativo l'episodio della confidenza fatta al (...). Posto che il dott. (...) non aveva necessità alcuna di indicare nell'asserita appartenenza massonica del collega il motivo per il quale non voleva partecipare al prospettato incontro pacificatore, ben potendo limitarsi a rappresentare l'esistenza di motivi personali che gli impedivano di partecipare al prospettato incontro pacificatore, la ragione di tale incedere risiede altrove. Se, infatti, si tiene a mente che nelle intenzioni del parlamentare vi era la conclamata volontà di proporre al dott. (...) una collaborazione con la (...) è evidente che la rivelazione del dott. (...) sia stata funzionale a scongiurare tale iniziativa. E' poi evidente che se l'intenzione del dott. (...) fosse stata unicamente quella di rimettere la vicenda sui binari della legalità, egli avrebbe ben dovuto acquietarsi, una volta compulsato il (...) e il (...). Il fatto che, viceversa, l'imputato abbia avvertito l'esigenza di continuare a ledere l'onore della parte civile -e non solo- è comprensibile solo nella mirata strategia volta ad isolare la parte civile nei suoi rapporti istituzionali. Sul tema è lo stesso Tribunale a rimarcare l'"entusiasmo" con il quale il dott. (...) ha cavalcato la notizia della possibile appartenenza massonica del dott. (...), frutto di una convinzione che è ben lungi dalla prospettazione difensiva formulata in sede di arringa, secondo cui egli si sarebbe limitato ad avanzare prudenziali dubbi sulle accuse mosse dall'avv.to (...) Basti pensare che egli, di fronte alle titubanze avanzate dal dott. (...), che a pelle escludeva la possibile appartenenza del dott. (...) a logiche massoniche, ribatte con convinzione che "quando i massoni vanno in sonno, rimangono sempre massoni" o all'esigenza di apprendere il grado di affidabilità dell'avv.to (...) quale fonte dichiarativa dal collega (...) che già, nel corso delle sue indagini come pubblico ministero, vi aveva avuto a che fare o all'invito rivolto al dott. (...) di prendere le distanze dal dott. (...), in quanto l'indagine sulla sua possibile appartenenza massonica avrebbe preso una brutta piega per lo stesso. Per tali ragioni, di conseguenza, non può che condividersi l'assunto, secondo il quale il comportamento dell'imputato ha leso la parte civile, oltre che nella sua sfera morale -si pensi alla reazione emotiva e psicologica della persona offesa descritta dai testi (...) e (...) all'indomani della diffusione delle notizie sulla cd. Loggia Ungheria-, anche sotto il profilo della sua reputazione. La contestazione della continuazione tra la rivelazione al (...) e le altre condotte di disvelamento del segreto Da ultimo va affrontata la questione introdotta dall'appellante il 6.12.2023 in sede di motivi aggiunti e con la quale si deduce l'erroneità dell'applicazione dell'istituto della continuazione alla condotta di rivelazione del segreto di ufficio operata dal dott. (...) nei confronti del (...), già (...) della (...) rispetto alle precedenti condotte rivelatorie contestate all'imputato al capo B). Sul punto non può che ritenersi condivisibile l'assunto del Procuratore Generale in merito all'inammissibilità di detto motivo di gravame. E' principio giurisprudenziale condiviso quello per cui "in materia di impugnazioni, la facoltà del ricorrente di presentare motivi nuovi incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali, di cui i primi devono rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, ma sempre ricollegabili ai capi e ai punti già dedotti, sicché sono ammissibili soltanto motivi aggiunti con i quali si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, ma non anche motivi con i quali si intenda allargare l'ambito del predetto "petitum", introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l'impugnazione" (cfr Cass pen., sez. VI, 30.9.2020, 36206). I motivi nuovi di impugnazione devono, quindi, essere inerenti ai temi specificati nei capi e punti della decisione investiti dall'impugnazione principale già presentata, essendo necessaria la sussistenza di una connessione funzionale tra i motivi nuovi e quelli originari. E, a tal proposito, va richiamato il costante indirizzo interpretativo secondo il quale i motivi "nuovi" che possono essere presentati dalla parte che ha proposto l'impugnazione fino al quindicesimo giorno precedente l'udienza di trattazione del gravame (art. 585 co. IV c.p.p. in relazione all'art. 167 disp. att. c.p.p.) debbono consistere in una ulteriore illustrazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta rivolta al giudice dell'impugnazione, peraltro sempre nei limiti dei capi o punti della decisione oggetto del gravame. In altri termini con i motivi nuovi non possono impugnarsi parti del provvedimento gravato, che non siano stati oggetto della preventiva impugnazione. Diversamente argomentando verrebbero frustrati i termini, la cui inosservanza è sanzionata con l'inammissibilità dell'impugnazione, prescritta dalla legge per la proposizione del gravame (cfr Cass. pen., sez. IV, 17.1.1997, n.90; Cass. pen., Sez. Unite, 25.2.1998, n. 4683; Cass pen., sez.III, 22.1.2004, n. 14776). Nel caso in esame è oggettivo il dato per cui, nell'impugnazione principale proposta nell'interesse del dott. (...), non è stata dedotta la questione secondo la quale la contestata rivelazione del segreto d'ufficio al (...) non rientrerebbe nel medesimo disegno criminoso volto, in tesi accusatoria, a minare la reputazione del dott. (...), così da isolarlo all'interno dei suoi rapporti di ufficio e interpersonali e che già sarebbe stato il filo conduttore delle altre condotte di rivelazione del segreto in contestazione al capo B) della rubrica imputativa. Di qui l'inammissibilità di tale domanda difensiva proposta nei motivi aggiunti di appello in ragione dell'assoluta novità del suo contenuto rispetto alle ragioni affidate all'impugnazione principale. Per effetto del rigetto integrale del gravame l'appellante va, conseguentemente, condannato al pagamento delle spese processuali e, in ossequio al principio della soccombenza, alla refusione delle spese di assistenza tecnica della parte civile, per come liquidate in dispositivo sulla scorta dei parametri tabellari forensi. PQM Visti gli artt. 592 e 605 c.p.p., conferma la sentenza emessa il 20.6.2023 dal Tribunale di Brescia appellata da (...), che condanna al pagamento delle ulteriori spese processuali del grado. Condanna (...) al pagamento in favore della parte civile (...) delle spese di rappresentanza, assistenza e difesa, che liquida in euro 946, oltre IVA, CPA e accessori di legge. Visto l'art. 544 co. III c.p.p., indica in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione. Brescia, 7 marzo 2024
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TREVISO TERZA SEZIONE CIVILE Il Giudice del Tribunale di Treviso, Terza Sezione civile, dott. Carlo Baggio, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado RG 6416/2023 (portante riunita la causa RG 7044/2023), promossa da Parte_1 (C.F. C.F._1) e Parte_2 (C.F. C.F._2), con il patrocinio dell'avv. BO.GI. e domicilio eletto presso lo studio del difensore in indirizzo_l - TREVISO attori contro Controparte_1 (C.F. P.IVA_1), con il patrocinio dell'avv. CA.RO. e domicilio eletto presso lo studio del difensore in lndirizzo_2 - TREVISO Controparte_2 (C.F. C.F._3 ), con il patrocinio degli avv. MA.NI. e CA.RO. e domicilio eletto presso lo studio dei difensori in lndirizzo_3 - TREVISO convenuti avente per oggetto: Comunione e CP_1 impugnazione di delibera assembleare trattenuta in decisione all'udienza di precisazione delle conclusioni del 21.5.2024, nella quale le parti hanno formulato le seguenti CONCLUSIONI - per Parte_1 e Parte_2: "Voglia il Giudice adito, nelle cause riunite rg 6416/2023 e 7044/23, ogni avversa domanda, eccezione e istanza respinta Nel merito, accertato in relazione alle delibere assembleari 30.03.23 e 16.11.23 l'identità degli interessi, ancorché contrapposti perseguiti da tutte le parti del giudizio, e l'unicità/conseguenzialità/premeditazione della condotta delle parti convenute, dott.ssa Controparte_2 e Controparte_3 , dall'impugnazione della prima delibera, 30.03.23, alla sua revoca assembleare del 16.11.23 la cui causa è stata falsamente o comunque maliziosamente deviata - anche con strumentali riferimenti a complicanze in sede amministrative- dal suo modo di porsi in quanto motivata e fondata unicamente da una proposta conciliativa di alla impugnazione o rinuncia alle spese legale della stessa parte impugnante, dott.ssa CP_2 con grave danno per i condòmini Pt_2 e Pt_l, e accertata la condotta non imparziale dell'amministratore nella gestione dell'assemblea del 16.11.2023 conseguentemente: 1. accertare e dichiarare che a) l'oggetto della delibera del 30.03.23 del (...) Controparte_1 di Treviso è stata il diniego alla realizzazione di opera che -per giurisprudenza conforme anche di legittimità, almeno a partire dal 2012- non rientra tra le innovazioni di cui all'art.1120 ma solo riflettono un uso più intenso delle parti comuni ex art. 1102 cc; b) che, tali lavori non richiedono l'autorizzazione dell'assemblea condominiale, trattandosi di diritto, pieno e legittimo, di ogni condomino, al maggior utilizzo della cosa comune, c) che in relazione alla normativa erano state rispettati i requisiti e le maggioranze come previste dall'art. 1136, III comma, cc, così come rispettate le maggioranze di cui all'art. 8 del Regolamento Condominiale, che prevede l'obbligo di sottoporre all'assemblea anche gli interventi di semplice modifica prevedendo tuttavia una valutazione in negativo ovvero richiedendo la maggioranza degli intervenuti per negare l'autorizzazione conseguentemente dichiarare che la delibera del 30.03.23 è (o, comunque, era) pienamente valida ed efficace; 2. accertare l'uso strumentale e illegittimo della procedura di mediazione e della documentazione offerta ai condomini da parte dell'amministratore che ha condizionato, viziandola, la formazione della volontà assembleare del 16.11.2023; accertare altresì che la revoca della delibera del 30.03.23 è stata approvata con il voto determinante della condomina Controparte_2 nella doppia veste di parte proponente e parte accettante della proposta propria transattiva, dichiararne l'invalidità e quindi annullare per vizio del consenso o eccesso di potere la delibera assembleare del 16.11.2023. Con integrale vittoria di spese, diritti e onorari. In via istruttoria: si allegano i documenti richiamati e si chiede sin d'ora che il giudice voglia acquisire ex art. 210/213 cpc copia della segnalazione protocollata al numero 134128 del 25.9.23 Rep. N. 161 548 del 15 11 2023 Polizia Locale nucleo Territorio Comune di Treviso; dalla Controparte_4 sportello unico e verde urbano- copia del fascicolo relativo all'accesso agli atti al Comune di Treviso che ha portato alla esibizione e copia alla dott.ssa Controparte_2 del documento prodotto dall'amministratore in convocazione della assemblea 16.11.2023 e relativo alla ID n. CodiceFiscale_4 -090522023-0649 SUPRO: 0138466 DEL 9.5.2023 RI.: Prat. N2023/AE/0879 -prot. n.69046del 10.05.2023. Vorrà essere ammessa prova per interpello dell'amministratore CP_5 sui seguenti capitoli: 1) Vero che nel complesso condominiale " Controparte_1", su altra porzione di tetto, esistono altre due terrazze a tasca; 2) Vero che le stesse sono state realizzate in epoca successiva all'edificazione da parte del costruttore; 3) Vero che le stesse terrazze esistenti risultano essere state debitamente autorizzate dall'Assemblea e munite delle prescritte autorizzazioni amministrative; Vorrà essere ammessa sugli stessi capitoli la testimonianza dell'architetto Tes_1 (...) con studio in lndirizzo_4 Treviso al quale vorrà essere chiesto altresì risposta sul seguente ulteriori capitoli: 4) Vero che nei sopralluoghi da Lei svolti in vista dell'acquisto dell'immobile di cui è causa da parte dei signori Pt_2 e Pt_l, a Lei come ai probabili acquirenti, sia da parte del venditore signor Per_1 sia in diversa sede presso gli uffici del settore urbanistica - edilizia privata Le era sta stata prospettata come ammissibile la realizzazione di una terrazza a tasca sulla porzione di tetto interessata; 5) Vero che a seguito del parere negativo i coniugi Pt_2 e Pt_l hanno dovuto interrompere i lavori di ristrutturazione previsti per il 2023 dell'immobile destinato a loro personale abitazione; 6) Vero che a seguito della segnalazione di un condomino è intervenuto sopralluogo da parte dei responsabili ufficio tecnico, in sua presenza, dal quale è partito anche procedimento di revoca della residenza dei coniugi all 'indirizzo di lndirizzo_5, in Treviso"; - per il CONDOMINIO RESIDENCE IL CP_1 : "Causa n. 6416/23 R.G. In via preliminare. Per tutte le ragioni esposte in narrativa, accertare e dichiarare la carenza di legittimazione attiva dei sigg.ri Parte_1 e Parte_2, nonché l'insussistenza del loro interesse ad agire e per l'effetto dichiarare l'inammissibilità di tutte le domande attoree e la cessazione della materia del contendere. Con vittoria di spese e competenze professionali anche ex art. 96 c.p.c., come da nota spese depositata. In via principale. Per le ragioni esposte in narrativa respingere tutte le domande formulate dai sigg.ri Parte_1 e Parte_2, perchè infondate in fatto e diritto. Con vittoria di spese e competenze professionali anche ex art. 96 c.p.c., come da nota spese depositata. In via istruttoria. Ammettersi, altresì, all'esito della prova per testi eventuale C.T. U.. Ci si oppone a tutti i mezzi istruttori dedotti dagli Attori per i motivi indicati in terza memoria ex art. 171 ter c.p.c. del 05.04.2024. Causa n. 7044/23 R.G. In via preliminare. Per tutte le ragioni esposte in narrativa, accertare e dichiarare la carenza di legittimazione attiva dei sigg.ri Parte_1 e Parte_2, nonché l'insussistenza del loro interesse ad agire e per l'effetto dichiarare l'inammissibilità di tutte le domande attoree e la cessazione della materia del contendere. Con vittoria di spese e competenze professionali anche ex art. 96 c.p.c., come da nota spese depositata. In via principale. Per le ragioni esposte in narrativa respingere tutte le domande formulate dai sigg.ri Parte_1 e Parte_2, perché infondate in fatto e diritto. Con vittoria di spese e competenze professionali anche ex art. 96 c.p.c., come da nota spese depositata. In via istruttoria. Per le ragioni espresse in terza memoria ex art. 171 ter c.p.c. del 05.04.2024 ci si oppone a tutte le istanze istruttorie ex adverso formulate ed in particolare: alla prova per testimoni ed interpello; nonchè alla richiesta di acquisizione ex art. 210 c.p.c. di copia degli atti relativi alla procedura di mediazione n. 175/23 GP ed alla richiesta di acquisizione ex art. 213 c.p.c. formulata nei confronti della "PoliziaLocale di Treviso" e della "Controparte_4"; - per Controparte_2 "Causa R.G. n. 6416/23 In via preliminare: accertarsi e dichiararsi l'originaria carenza di interesse ad agire in capo ai Signori Parte_1 e Parte_2 ovvero accertarsi e dichiararsi la sopravvenuta carenza di interesse ad agire giusta revoca della delibera assembleare del 30.03.2023 e, conseguentemente, accertarsi e dichiararsi l'inammissibilità dell'azione promossa nel presente giudizio. Nel merito In via principale: - per le ragioni esposte in narrativa, accertarsi e dichiararsi la nullità e/o annullabilità e/o comunque inefficacia della delibera assembleare del 30.03.2023 e, conseguentemente, rigettarsi le domande attoree in quanto infondate in fatto ed in diritto; - condannarsi i Signori Parte_1 e Parte_2 all'integrale rifusione delle spese di lite, come da nota spese depositata. In via istruttoria. Così come meglio precisato nella memoria ex art. 171-ter, n. 3 c.p.c. del 05.04.2024, ci si oppone alle istanze istruttorie ex adverso formulate ed in particolare: all'ammissione della prova per interpello e per testi richiesta da controparte; all'acquisizione ex art. 210/213 c.p.c. di copia della segnalazione alla Polizia Locale - Nucleo Territorio del Comune di Treviso, assunta al prot. n. 134128 del 25.09.2023; nonché all'acquisizione ex art. 210/213 c.p.c. di copia degli atti relativi alla procedura di mediazione n. 175/23 presso la Curia Mercatorum. Causa R.G. n. 7044/23 In via preliminare: accertarsi e dichiararsi il difetto di legittimazione in capo all'odierna convenuta e conseguentemente pronunciarsi l'estromissione dell'Avv. Controparte_2 dal presente giudizio. Subordinatamente, in via preliminare: accertarsi e dichiararsi l'improcedibilità della presente azione per difetto della condizione di procedibilità di cui all'art. 5 del D.Lgs. n. 28/2010 e conseguentemente disporsi l'esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria a carico di parte attrice. Nel merito In via principale: - per le ragioni esposte in narrativa, accertarsi e dichiararsi la validità nonché l'efficacia della delibera assembleare del 16.11.2023 e, conseguentemente, rigettarsi le domande attoree in quanto infondate in fatto ed in diritto; - condannarsi i Signori Parte_1 e Parte_2 all'integrale rifusione delle spese di lite, come da nota spese depositata. In via istruttoria. Così come meglio precisato nella memoria ex art. 171-ter, n. 3 c.p.c. del 05.04.2024, ci si oppone alle istanze istruttorie ex adverso formulate ed in particolare: all'ammissione della prova per interpello e per testi richiesta da controparte; all'acquisizione ex art. 210/213 c.p.c. di copia della segnalazione alla Polizia Locale - Nucleo Territorio del Comune di Treviso, assunta alprot. n. 134128 del 25.09.2023; nonché all'acquisizione ex art. 210/213 c.p.c. di copia degli atti relativi alla procedura di mediazione n. 175/23 presso la Curia Mercatorum". MOTIVI DELLA DECISIONE Parte_1 e Parte_2 hanno introdotto il giudizio RG 6416/2023, convenendo in giudizio il Controparte_1 e la condomina Controparte_2 (...) proponendo azione autonoma di mero accertamento della validità ed efficacia della delibera condominiale del 30.3.2023, avente ad oggetto l'autorizzazione alla realizzazione da parte degli attori di una terrazza a tasca, ritenendo rispettati i requisiti e le maggioranze di cui all'art. 1136 co. 3 CC e all'art. 8 del Regolamento Condominiale, trattandosi a loro dire di opere che non comporterebbero innovazione, ma solo modifica delle parti comuni ex art. 1102 CC. Il condominio si è costituito in giudizio eccependo anzitutto la cessazione della materia del contendere e la carenza di interesse ad agire in capo agli attori ex art. 100 CPC, sia perché la delibera condominiale del 30.3.2023, per quanto qui rileva, venne revocata e sostituita dalla delibera condominiale del 16.11.2023, sia perché in ogni caso la competente Commissione Edilizia, nella seduta del 30.5.2023, aveva espresso parere contrario al progetto di realizzazione della terrazza a tasca, di talché gli attori non sono stati autorizzati dal Comune di Treviso a realizzare l'opera. Nel merito, in subordine, il CP_1 ha comunque chiesto il rigetto delle domande attoree, osservato che l'opera di cui si discute sarebbe comunque da qualificarsi quale innovazione ex art. 1120 CC, la quale non sarebbe però stata autorizzata nell'assemblea del 30.3.2023 con le maggioranze di cui all'art. 1136 co. 5 CC e in presenza dei requisiti di cui all'ultimo comma del medesimo art. 1120 CC. La condomina CP_2 si è costituita in giudizio svolgendo difese del tutto analoghe a quelle del CP_1. Nel frattempo, i medesimi attori avevano introdotto il separato giudizio RG 7044/2023, anche in tale sede convenendo sia il CP_1 che la condomina CP_2 al fine di ottenere l'annullamento della già citata delibera del 16.11.2023, che aveva in parte revocato la precedente delibera del 30.3.2023, o a motivo dell'asserito vizio nella formazione della volontà dell'assemblea (posto che l'amministratore del condominio non avrebbe tenuto una condotta imparziale e avrebbe fatto un "uso strumentale e illegittimo della procedura di mediazione e della documentazione offerta ai condomini" allo scopo, per l'appunto, di condizionare indebitamente la volontà dei condomini), o a motivo del conflitto di interessi della condomina CP_2 (considerato che la revoca della delibera del 30.3.2023 venne approvata "con il voto determinante della condomina Controparte_2 nella doppia veste di parte proponente e parte accettante della proposta propria transattiva"). Anche in tale sede il CP_1 ha eccepito la carenza di interesse ad agire in capo agli attori e, in ogni caso, l'infondatezza nel merito dell'impugnazione. Analoghe difese sono state svolte dalla convenuta CP_2 la quale ha altresì eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva. Stante l'evidente connessione dei due procedimenti, ne è stata disposta la riunione. All'udienza di precisazione delle conclusioni e di discussione orale ex art. 281-sexies CPC tenutasi il 21.5.2024, il procuratore attoreo ha altresì, per la prima volta, invocato il vizio della delibera 16.11.2023 per eccesso di potere. Le cause riunite vengono in decisione senza lo svolgimento di attività istruttoria. Appare opportuno esaminare dapprima le questioni relative all'impugnazione della delibera del 16.11.2023, ancorché successiva rispetto alla delibera del 30.3.2023: laddove la delibera più recente dovesse essere annullata, rivivrebbe la più risalente e dovrebbero quindi essere esaminate le contrapposte domande di accertamento della validità e di annullamento della stessa; diversamente, dovrebbe essere dichiarata la cessazione della materia del contendere relativamente alla delibera più risalente, in quanto revocata ed assorbita dalla successiva. Va anzitutto rigettata l'eccezione sollevata dalla convenuta CP_2 (e ribadita nel foglio di precisazione delle conclusioni depositato il 20.5.2024) di improcedibilità - per mancato esperimento della mediazione obbligatoria - del procedimento RG 7044/2023. Come già osservato nell'ordinanza datata 19.4.2024, da intendersi qui richiamata, non si ritiene che la domanda di annullamento della delibera del 16.11.2023 sia soggetta alla condizione di procedibilità in esame, considerato che l'oggetto della delibera in esame è nella sostanza sovrapponibile a quello della delibera del 30.3.2023 (sia pure se con esito diametralmente opposto), ragion per cui - avendo le due delibere ad oggetto esattamente la medesima vicenda sostanziale - la condizione di procedibilità deve ritenersi soddisfatta dal già avvenuto esperimento del procedimento di mediazione relativo alla delibera da ultimo citata, e ciò anche alla luce dei principi recentemente affermati da Cass. SSUU 3452/2024, che ha ritenuto non sussistente la condizione di procedibilità nemmeno in relazione alle domande riconvenzionali c.d. "eccentriche" (ossia che addirittura allarghino l'oggetto del giudizio senza connessione con quello già introdotto dalla parte attrice), considerato tra l'altro che - come da tempo riconosciuto dalla Corte costituzionale - "la mediazione obbligatoria non viola il diritto di azione, sancito dalla Costituzione, soltanto laddove risulti idoneo a produrre il risultato vantaggioso del c.d. effetto deflattivo, senza mai divenire tale da provocare un inutile prolungamento dei tempi del giudizio', dal che deriva che "le condizioni di procedibilità stabilite dalla legge non possono essere aggravate da una interpretazione che conduca ad estenderne la portata" e che, in ogni caso, "l'istituto non può essere utilizzato in modo disfunzionale rispetto alle predette finalità ed essere trasformato in una ragione di intralcio al buon funzionamento della giustizia". Non v'è dubbio che debba essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva della convenuta CP_2 in relazione alla domanda di annullamento della delibera del 16.11.2023, posto che nei giudizi promossi dai condomini per l'impugnazione delle delibere assembleari unico legittimato passivo è, in via esclusiva, l'amministratore del CP_1 , potendo gli altri condomini unicamente spiegare nel giudizio un intervento principale (laddove anch'essi legittimati all'impugnazione della delibera) o meramente ad adiuvandum. La domanda di annullamento della delibera del 16.11.2023 deve essere dichiarata inammissibile per difetto di interesse ad agire in capo agli attori. È consolidato il principio per cui, per proporre una domanda, è necessario avervi interesse e tale interesse, di cui all'art. 100 CPC, deve essere concreto ed attuale, poiché solo in tal caso trascende il piano di una mera prospettazione soggettiva, assurgendo a giuridica ed oggettiva consistenza, e resta invece escluso quando il giudizio sia strumentale alla soluzione soltanto in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche (cfr., ex multis, Cass. 41688/2021 e Cass. 24434/2007). Ebbene, si ritiene che un siffatto interesse - concreto e, soprattutto, attuale - difetti nel caso di specie, posto che il Comune di Treviso non ha autorizzato la realizzazione della terrazza a tasca progettata dagli attori (la competente Commissione Edilizia, pur avendo espresso parere favorevole quanto alla realizzazione dei lucernari, ha espresso parere contrario quanto alla terrazza, avendo l'immobile un grado di protezione 3, e conseguentemente il Dirigente del Settore Urbanistica ha ordinato agli odierni attori di conformare l'intervento edilizio al suddetto parere). Detti provvedimenti del Comune di Treviso non sono stati impugnati (la circostanza contraria non è nemmeno stata allegata dagli attori). Risulta quindi, quanto meno all'attualità, la carenza di qualsivoglia interesse in capo agli attori ad ottenere l'autorizzazione del condominio alla realizzazione di un'opera che non potrebbe comunque essere legittimamente realizzata, in quanto non assentita dalla competente autorità amministrativa. Si osserva che gli attori nulla hanno osservato nei propri scritti difensivi circa tale carenza di interesse all'impugnazione della delibera (essi hanno sì dedicato all'interesse ad agire il primo paragrafo della loro memoria ex art. 171-ter n. 1 del giudizio RG 7044/2023, ma si sono in realtà limitati ad illustrare le ragioni per cui sussisterebbe il loro interesse - ed anzi il loro diritto - di realizzare la terrazza a tasca, senza spendere nemmeno una parola relativamente al provvedimento di diniego della PA). Solo in prima udienza gli attori hanno osservato che l'interesse ad agire permarrebbe essendovi "comunque la possibilità per gli attori di insistere con l'autorità amministrativa per l'assentimento della terrazza a vasca". Si osserva tuttavia che tale considerazione, lungi dallo smentire le osservazioni sopra svolte, non fa in realtà che confermare l'attuale carenza di interesse ad agire, tanto che sono gli stessi attori a prospettare la loro richiesta di un provvedimento amministrativo favorevole, difforme rispetto a quello già reso dalla PA, solo in termini meramente futuri e del tutto eventuali. Per mera completezza si osserva che, anche laddove sussistesse un interesse rilevante ex art. 100 CPC all'impugnazione della delibera del 16.11.2023, comunque le doglianze attoree non potrebbero trovare accoglimento. Gli attori, pur ribadendo di essere "perfettamente consapevoli che l'assemblea è sovrana e può rinnovare una decisione già assunta quindi modificarla o porla nel nulla", censurano la "illegittimità/illiceità della modalità attraverso la quale ... è stata sollecitata la nuova decisione" dell'assemblea del 16.11.2023, lamentando che l'amministratore del CP_1 ed il legale dello stesso (avv. Carraretto, che pure lo assiste nel presente giudizio) avrebbero rappresentato all'assemblea una realtà dei fatti distorta, avrebbero fatto un "uso strumentale della procedura di mediazione" e avrebbero dato una "maliziosa lettura di atti e documenti', in tal modo "carpendo" e condizionando in modo indebito la volontà dell' assemblea, la quale risulterebbe conseguentemente viziata. La doglianza appare talmente generica e confusa da rasentare l'inammissibilità, non essendo nemmeno ben chiaro quale sia lo specifico vizio dedotto dagli attori. In ogni caso, è sufficiente leggere il verbale dell'assemblea del 16.11.2023 per avvedersi di come in quell'occasione vi fosse in realtà stato un ampio confronto tra tutti i soggetti interessati e anche gli stessi attori (peraltro in quella sede rappresentati dal medesimo avv. Bonotto, che li assiste anche nel presente procedimento) avessero ampiamente illustrato le proprie ragioni e contestato le tesi dell'amministratore e del difensore del condominio avv. Carraretto, ragion per cui non si vede come si possa sostenere che vi sia stata una qualche forma di captazione della volontà dei condomini, i quali sono stati compiutamente resi edotti di tutte le circostanze del caso e quindi messi nelle condizioni di poter formare in piena libertà il proprio convincimento e conseguentemente esprimere il proprio voto. Si precisa che tali conclusioni non mutano anche a voler far rientrare l'asserito vizio nella categoria, invocata dagli attori solo all'udienza di precisazione delle conclusioni, dell'eccesso di potere. Se infatti tale figura è stata invocata solo a fini descrittivi, nulla cambia. Se invece la doglianza deve intendersi attenere a profili ulteriori rispetto a quelli evidenziati in atto di citazione, la stessa non può che ritenersi tardiva e quindi inammissibile. In ogni caso, peraltro, l'eccesso di potere si configura non tanto in relazione alle modalità con cui l'assemblea ha formato il proprio convincimento, quanto piuttosto in relazione all'esito della delibera che, pur formalmente conforme a legge e regolamento, abbia una causa "falsamente deviata dal suo modo di essere", non essendo il risultato del legittimo esercizio dei poteri discrezionali dell'assemblea. Ebbene, nulla hanno gli attori osservato sul punto, né hanno evidenziato la sussistenza nel caso concreto di alcuna delle cause sintomatiche dell'eccesso di potere elaborate dalla giurisprudenza amministrativa in materia (da ritenersi applicabile mutatis mutandis anche all'ipotesi dell'impugnazione delle delibere assembleari). D'altronde, non pare nemmeno palesemente irragionevole la scelta dell'assemblea di revocare l'autorizzazione alla realizzazione della terrazza a tasca a fronte da un lato dei costi connessi alla difesa in giudizio nella possibile (e già minacciata) impugnazione della delibera del 30.3.2023 da parte della condomina CP_2 e dell'esito comunque non certo della causa, dall'altro della consapevolezza che in ogni caso per i condomini Pt_l e Pt_2 non ne sarebbe derivato alcun concreto ed attuale pregiudizio, non potendo comunque gli stessi porre in essere l'intervento edilizio sperato, alla luce del provvedimento di diniego della PA. Si ribadisce, comunque, che le allegazioni degli attori circa l'eccesso di potere, nei termini sopra descritti, quand'anche effettivamente svolte, sarebbero sicuramente tardive. Quanto al presunto conflitto di interessi in capo alla condomina CP_2 è sufficiente osservare che: - la semplice presenza di un interesse del singolo condomino non comporta di per sé anche l'esistenza di un conflitto di interessi (d'altronde, anche gli stessi attori hanno espresso il loro voto nell'assemblea di cui si discute); il conflitto di interessi si configura infatti solo laddove la delibera leda gli interessi della stessa compagine condominiale, il che non è nel caso di specie (la delibera pregiudica semmai solo gli interessi degli odierni attori; si osservi che nessuna argomentazione in senso contrario è stata portata dagli stessi); - in ogni caso, certo non si può dire che il voto di CP_2 fosse stato determinante, dato che anche laddove la stessa si fosse astenuta o non avesse in radice partecipato all'assemblea, comunque si sarebbero raggiunte le maggioranze di cui all'art. 1136 co. 3 CC, considerato che: - all'assemblea erano presenti condomini per complessivi 586,27 millesimi; - la delibera venne approvata col voto favorevole di 501,01 millesimi; - anche sottraendo i 55,21 millesimi di CP_2 risultano comunque voti favorevoli per 445,80 millesimi, che rappresentano senz'altro "la maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio", ex art. 1136 co. 3 ultimo periodo CC. Essendo la delibera del 30.3.2023 stata revocata (per la parte che qui interessa) dalla successiva delibera del 16.11.2023 e dovendosi dichiarare inammissibile la domanda di annullamento di quest'ultima, la quale consolida quindi i propri effetti, non può che discenderne la declaratoria di cessazione della materia del contendere quanto alle domande svolte dagli attori e dalla condomina convenuta in relazione alla prima delibera, sulla scorta del consolidato orientamento per cui è a tal fine sufficiente che l'assemblea condominiale, regolarmente riconvocata, abbia deliberato sui medesimi argomenti della delibera oggetto dell'impugnazione, ponendo in essere, pur in assenza di forme particolari, un atto formalmente sostitutivo di quello invalido (in analogia peraltro con quanto previsto dall'art. 2377 CC, dettato in materia di società di capitali, ma espressione di un principio valido anche per le delibere condominiali, per cui "l'annullamento della deliberazione non può avere luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita da altra presa in conformità della legge o dello statuto"). Le spese di lite di entrambi i giudizi seguono la soccombenza degli attori, considerato che: - la domanda di annullamento della delibera del 16.11.2023 è stata dichiarata inammissibile per carenza di interesse e sarebbe stata comunque infondata nel merito; - è quanto meno legittimo dubitare della stessa ammissibilità della domanda attorea di mero accertamento della validità della delibera assembleare del 30.3.2023, considerato che, per principio generale, mentre la nullità degli atti può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, le pronunce costitutive di annullamento possono essere sollecitate solo dalla parte nel cui interesse è prevista la causa di invalidità (cfr. artt. 1137 nonché, quanto ai contratti, 1441 CC), né pare nel presente caso sussistere un interesse giuridicamente rilevante alla rimozione di uno stato di incertezza, che potrebbe protrarsi anche per lungo tempo, circa la consistenza dei diritti e degli obblighi delle parti, posto che -proprio per garantire la certezza del diritto e la solidità dei rapporti condominiali - l'art. 1137 CC prevede un brevissimo termine decadenziale di trenta giorni per l'impugnazione della delibera, decorso il quale la stessa si consolida e diventa inoppugnabile; - anche a voler ritenere la domanda ammissibile, è ben vero che l'atto di citazione del giudizio RG 6416/2023 venne notificato il 15.11.2023, quindi prima dell'adozione della delibera del 16.11.2023 (che determinò la cessazione della materia del contendere); non si può tuttavia non osservare che: o era già da tempo intervenuto il provvedimento di diniego del Comune di Treviso relativamente alla terrazza a tasca, circostanza che, come detto, avrebbe comunque comportato la carenza dell'interesse ad agire; la circostanza appare già di per sé assorbente; o gli attori avevano già ricevuto, prima di notificare l'atto di citazione, la convocazione all'assemblea del 16.11.2023 ed avrebbero quindi ben potuto attendere un solo giorno prima di introdurre un giudizio relativamente ad una delibera che il giorno seguente avrebbe potuto essere revocata (come poi avvenuto); o la stessa iscrizione a ruolo della causa RG 6416/2023 venne posta in essere il 24.11.2023, quindi successivamente alla delibera del 16.11.2023, ed anch'essa - e a maggior ragione - avrebbe potuto essere evitata, evitando conseguentemente il presente contenzioso. Le spese vengono liquidate come segue, secondo valori medi dei procedimenti di valore indeterminabile e di bassa complessità per le fasi di studio e introduttiva, secondo valori inferiori ai medi per la fase istruttoria (essendosi quest'ultima limitata al deposito delle memorie ex art. 171-ter CPC) e secondo valori medi aumentati del 30% (ex art. 4 co. 2 DM 55/2014) per la fase decisoria: - causa RG 6416/2023: - fase di studio: Euro 1.701,00 o fase introduttiva: Euro 1.204,00 - fase istruttoria: Euro 1.300,00 - causa RG 7044/2023: - fase di studio: Euro 1.701,00 - fase introduttiva: Euro 1.204,00 - fase istruttoria: Euro 1.300,00 - giudizi riuniti: - fase decisoria: Euro 3.776,50 per un totale di Euro 12.186,50, oltre accessori di legge. Si ritiene altresì che, alla luce della palese inammissibilità (e comunque infondatezza) delle domande svolte dagli attori, per tutti i motivi sopra illustrati, gli stessi abbiano agito in giudizio con dolo o, quanto meno, con colpa grave, il che ne legittima la condanna ex art. 96 co. 3 al pagamento della somma che appare equo liquidare in Euro 2.000,00 in favore di ciascuno dei convenuti. P. Q. M. Il Giudice, ogni diversa domanda ed eccezione reiette ed ogni ulteriore deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, 1. dichiara il difetto di legittimazione passiva della convenuta Controparte_2 (...) relativamente al procedimento di impugnazione della delibera assembleare del 16.11.2023, RG 7044/2023; 2. dichiara inammissibile per carenza di interesse ad agire la domanda attorea di annullamento della delibera assembleare del 16.11.2023, oggetto della causa RG 7044/2023; 3. dichiara la cessazione della materia del contendere quanto alle domande relative alla delibera dell'assemblea di condominio del 30.3.2023, oggetto della causa RG 6416/2023; 4. condanna gli attori Parte_l e Parte_2, in solido tra loro, a rifondere ai convenuti Controparte_1 ed Controparte_2 le spese di lite del presente procedimento, liquidate per ciascuno dei convenuti in Euro 12.386,50 per compensi, oltre ad IVA, CPA e rimborso spese generali al 15% ex DM 55/2014; 5. condanna gli attori Parte_l e Parte_2, in solido tra loro, a pagare a ciascuno dei convenuti Controparte_1 ed Controparte_2 (...) la somma capitale di Euro 2.000,00, ex art. 96 co. 3 CPC. Così deciso in Treviso, il 23 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1626 del 2023, proposto da Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Ma. e Ro. Pa., con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultima in Roma, via (...); contro Di Sa. Mi., rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. D'A., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Il. Co. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania Sezione Terza n. 6749/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Di Sa. Mi.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2024 il Cons. Valerio Perotti ed udito per le parti l'avvocato Pa.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con ricorso al Tribunale amministrativo della Campania, il sig. Di Sa. Mi. chiedeva l'annullamento del decreto dirigenziale n. 698 del 14 settembre 2020, con cui la Giunta regionale della Campania aveva disposto la revoca delle agevolazioni in precedenza concessegli con d.d. n. 477 del 15 giugno 2020, unitamente agli atti da questo presupposti. Lo stesso chiedeva altresì il risarcimento dei danni subiti per effetto dell'esecuzione degli atti gravati. I provvedimenti impugnati si fondavano sul presunto mancato rispetto, da parte del ricorrente, dei requisiti previsti per la concessione dell'agevolazione, in particolare delle condizioni del paragrafo 8 dell'avviso pubblico, che escludeva le spese "sostenute nei confronti di: (...) qualunque impresa che abbia tra i propri soci, titolari o amministratori, persone fisiche che ricadono nei casi di cui alla precedente lettera c", ossia "persone fisiche" che "siano: i) legale rappresentante, amministratore o socio del richiedente o beneficiario; ii) coniuge, parente o affine (in linea retta o collaterale) entro il terzo grado, del legale rappresentante amministratore o socio controllante del richiedente o beneficiario (...)". La domanda di annullamento era affidata a tre motivi: 1) violazione di legge in relazione agli artt. 97 Cost., 3, 7, 8, 10 bis e 21 nonies l. 241/90, nonché eccesso di potere per motivazione contraddittoria, erroneità dei presupposti istruttori oltre che per la natura illogica e sviata delle relative statuizioni. In particolare, evidenziava di essere sempre stato in possesso dei requisiti richiesti ai fini della concessione delle agevolazioni finanziarie in questione; a nulla rileverebbe una precedente discrasia tra il contenuto degli atti societari ed il contenuto delle annotazioni inizialmente contenute presso la Camera di Commercio inglese, poiché queste ultime avrebbero mero valore dichiarativo. 2) Eccesso di potere per carenza di istruttoria, in particolare per violazione delle previsioni di cui all'art. 18 della l. 241 del 1990, a mente del quale alle amministrazioni pubbliche è imposto di procedere all'accertamento di ufficio de "i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare". Ed invero, l'effettivo possesso dei requisiti richiesti dal § 8 dell'avviso pubblico sarebbe emerso anche dalle informazioni acquisibili dal database Arachne (strumento informatico istituzionalmente previsto per l'estrazione dei dati e sviluppato dalla Commissione europea per agevolare i controlli delle autorità amministrative sull'impiego dei fondi strutturali, ivi compresi quelli di cui al presente giudizio), che non sarebbe stato adoperato la Regione nonostante l'impiego dello stesso fosse contemplato dal d.d. n. 83 del 2019. Con un terzo motivo di gravame veniva infine censurata la presunta contraddittorietà tra le motivazioni del provvedimento di revoca dell'agevolazione (di cui al d.d. n. 698 del 14 settembre 2020) e quelle del successivo atto di rigetto dell'istanza di annullamento d'ufficio (nota della Direzione generale FESR prot. PG/2020/0467388 del 7 ottobre 2020). Proponeva altresì istanza risarcitoria relativamente ai danni derivanti dall'esecuzione degli atti impugnati. Costituitasi in giudizio, la Regione Campania concludeva per l'infondatezza del ricorso, chiedendo che fosse respinto. Con relazione della Direzione generale competente, depositata il 5 gennaio 2021, l'amministrazione resistente ulteriormente eccepiva, in punto di fatto, che nel corso delle attività istruttorie era stato accertato che il Di Sa. avrebbe ricoperto nella società fornitrice il ruolo di socio unico fino al 16 luglio 2020 (data nella quale veniva registrato l'ingresso dei nuovi soci Ma. Mi. ed altri) e che lo stesso avrebbe ricoperto la carica di CEO fino al 10 giugno 2019, data in cui risultava essere nominato Ma. Mi. e avvenuta la cessazione del Dott. Mi. Di Sa. (cfr. "Termination of a Director Appointment"), come confermato dal "Confirmation statement" del luglio 2019, che non registrava modifiche nell'assetto societario della I.S. Ltd fino al 2 luglio 2019. Rispetto all'istanza di annullamento d'ufficio del decreto di revoca delle agevolazioni, in cui il ricorrente faceva valere il venir meno delle circostanze ostative all'erogazione del contributo per effetto delle modifiche intervenute presso il registro delle imprese inglese, la Regione deduceva che l'iscrizione presso la Co. Ho. non avrebbe assolto alcun effetto certificativo e validativo delle informazioni riportate. In definitiva, la Regione obiettava che dalla documentazione fornitale dal beneficiario non potesse desumersi, con assoluta certezza, che in data anteriore al 14 settembre 2018 (nella quale erano stati sottoscritti i contratti di locazione con il fornitore I.S. Ltd) il Di Sa. non fosse titolare di poteri, quote e cariche sociali integranti i motivi di revoca dell'agevolazione concessa. Nel corso del giudizio di primo grado, peraltro, la Regione Campania rimuoveva in autotutela, con d.d. n. 69 dell'8 marzo 2021, il provvedimento di revoca del contributo pubblico n. 698/2020, oggetto di impugnazione. Ciò veniva giustificato dall'amministrazione con la produzione da parte dell'interessato, medio tempore, di una certificazione notarile che peraltro, ad avviso del dott. Di Sa., semplicemente confermava circostanze già desumibili dagli atti precedentemente trasmessi nel corso del procedimento. Con sentenza 31 ottobre 2022, n. 6749, il giudice adito dichiarava la cessata materia del contendere in ordine alle domande di annullamento degli atti gravati e parzialmente accoglieva il ricorso in riferimento alla domanda risarcitoria, condannando l'amministrazione regionale al risarcimento, in favore della parte ricorrente, del danno patrimoniale da illegittimo provvedimento, liquidato in complessivi euro 5.090,63. Avverso tale decisione la Regione Campania interponeva appello, deducendo i seguenti motivi di impugnazione: 1) Violazione dell'artt. 2 e 97 Cost., della legge 41/1990 e dell'art. 30 c.p.a. - Violazione degli artt. 1227, 2042 e 2697 c.c. - Difetto dei presupposti - Travisamento - Motivazione insufficiente ed illogica - Error in judicando. 2) Violazione dell'artt. 2 e 97 Cost., della legge 241/1990 e del'lart. 30 c.p.a. - Violazione degli artt. 2043, 2700 e 2704 c.c. - Difetto dei presupposti - Travisamento - Motivazione insufficiente ed illogica - Error in judicando. 3) Violazione dell'artt. 2 e 97 Cost., della legge 241/1990 e dell'art. 30 c.p.a. - Violazione degli artt. 1225, 1226, 2043 e 2697 c.c. - Difetto dei presupposti - Travisamento - Motivazione insufficiente ed illogica - Error in judicando. Costituitosi in giudizio, il dott. Di Sa. contestava l'infondatezza dell'appello, chiedendone la reiezione. Successivamente le parti ulteriormente precisavano, con apposite memorie, le rispettive tesi difensive ed all'udienza del 22 febbraio 2024 la causa veniva trattenuta in decisione. Con il primo motivo di appello la Regione Campania deduce, a fondamento della correttezza del proprio operato, che "la rimozione d'ufficio della revoca si è resa possibile solo a seguito di un'integrazione tardiva (la produzione, avvenuta nel giudizio di prime cure, di una certificazione notarile del 20.11.2020 validativa della documentazione lacunosa proveniente da organi britannici non fidefacenti". In questi termini, non sarebbe dunque corretto sostenere - come si legge in sentenza - che "la colpa dell'Amministrazione regionale può ravvisarsi nella carente istruttoria procedimentale, ove è stata ripetutamente trascurata la copiosa documentazione offerta dall'odierno ricorrente, il cui attento esame avrebbe condotto a differenti conclusioni". L'amministrazione, in particolare, avrebbe "effettuato tutti i controlli necessari alla verifica della sussistenza dei requisiti di ammissibilità delle spese, previsti dal DD n. 53 del 16.3.2018, servendosi anche della banca dati internazionale Aracne, dalla quale risultava che, alla data di sottoscrizione del contratto, il Di Sa. era socio della società fornitrice inglese IS. Ltd", con ciò violando le disposizioni del paragrafo 8, lett. c) e d), dell'avviso pubblico. Il motivo non è fondato. Risulta dagli atti che con nota del 16 luglio 2020 la Regione Campania, a seguito di verifiche sulla documentazione prodotta, aveva rappresentato al dott. Di Sa. la verosimile sussistenza di legami personali tra quest'ultimo e l'impresa fornitrice (International Service and Management Ltd), sia in qualità di socio che di componente del Consiglio di amministrazione (oltre che di dirigente): trattandosi di circostanze potenzialmente ostative alla concessione del finanziamento, chiedeva al medesimo di "fornire chiarimenti in merito, producendo altresì eventuale documentazione atta a dimostrare l'estraneità del beneficiario rispetto alla succitata Società " entro il termine di 10 giorni. A riscontro di tale richiesta il Di Sa. trasmetteva, con una prima PEC del 21 luglio 2020, la certificazione relativa all'assetto delle partecipazioni sociali, in cui lo stesso non figurava e quindi, con ulteriore PEC del 24 luglio 2020, una visura dell'impresa fornitrice da cui risultava evidente che lo stesso non ricopriva più la carica di socio a far data dal 10 luglio 2018. Lo stesso evidenziava altresì come i forti ritardi nelle risposte da parte della Co. Ho., dovuti all'emergenza Covid, lo obbligassero a trasmettere in un momento successivo la documentazione attestante l'insussistenza anche della carica di amministratore. A fronte di ciò, con nota del 30 luglio 2020 la Regione Campania comunicava l'avvio del procedimento preordinato alla integrale revoca delle agevolazioni, risultandole che alla data di sottoscrizione del contratto (il 14 settembre 2018) il professionista beneficiario ricoprisse in seno alla società fornitrice sia la carica di CEO (precisamente dal 3 luglio 2018 al 10 Giugno 2019) che il ruolo di socio (dal 3 luglio 2018 all'8 giugno 2019); al riguardo chiariva - a seguito di richiesta in tal senso avanzata dal dott. Di Sa. -, che i dati riportati nella suddetta comunicazione di avvio del procedimento erano stati desunti da documenti acquisiti presso la Co. Ho. inglese. A fronte di quanto sopra, il dott. Di Sa. chiedeva la sospensione del procedimento, stante la necessità di attendere (per le note ragioni pandemiche) la documentazione mancante da parte della Co. Ho. in merito alla carica di amministratore, ribadendo per il resto di aver già trasmesso la documentazione comprovante la sua cessazione dalla carica di socio nel periodo di riferimento; quindi, il successivo 24 agosto 2020, sempre il Di Sa. presentava (a mezzo PEC) istanza di annullamento dell'avvio del procedimento di revoca, indicando i link alle certificazioni disponibili online dalle quali, a seguito delle rettifiche apportate dalla Co. Ho., risultava che dal 10 luglio 2018 lo stesso non era più né socio, né amministratore della IS. Ltd. A tal punto la Regione Campania rappresentava le proprie perduranti perplessità con nota pec del 1° settembre 2020, chiedendo all'uopo ulteriori chiarimenti in merito al fatto che le richieste di modifica inerenti alla composizione della compagine societaria, al ruolo di CEO ed a quello di Direttore della società fornitrice fossero state avanzate dal Di Sa. alla Co. Ho. solo successivamente alla richiesta dell'amministrazione di chiarimenti (di cui alla PEC del 16 luglio 2020) ed alla comunicazione di avvio del procedimento di revoca delle agevolazioni del 1° agosto 2020; a tal fine, la Regione chiedeva l'invio degli atti e documenti societari da cui desumere le evoluzioni della società IS. Ltd circa la compagine societaria ed il suo organo amministrativo. Il dott. Di Sa. forniva riscontro a tali richieste nella medesima giornata, rappresentando che la predetta discrasia tra le date era dovuta ai ritardi nell'aggiornamento dei moduli trasmessi alla Camera di Commercio inglese (la Co. Ho.) ed alla necessità di inviare anche documentazione in formato cartaceo che, causa l'emergenza Covid, richiedeva tempi di lavorazione più lunghi. Inoltre, il giorno successivo sempre il Di Sa. trasmetteva una copia del verbale di assemblea del 10 luglio 2018, unitamente alla lettera di accompagnamento dell'attuale amministratore (sig. Ma. Mi.), ad una copia dei documenti trasmessi alla Co. Ho., ad una visura dei soci (statement) ed a quella camerale. Nonostante ciò, con Decreto dirigenziale n. 698 del 14 settembre 2020 veniva disposta la revoca dell'agevolazione concessa per il mancato rispetto delle condizioni di cui al par. 8 dell'avviso pubblico, adducendo che in base alle risultanze della Co. Ho. il Di Sa. risultava essere socio ed amministratore della società fornitrice ed altresì evidenziando le tempistiche sospette con cui erano state di volta in volta effettuate le rettifiche e l'invio di documenti. Ritenendo quindi che il dott. Di Sa. non avesse prodotto, ancorché richiesto, alcun documento dal quale si potessero evincere con assoluta certezza le modifiche interne della compagine della società fornitrice e del suo organo amministrativo, concludeva nel senso che non fosse stata dimostrata l'insussistenza dei motivi di inammissibilità indicati nella comunicazione di avvio del procedimento. Come viene ribadito ancora nell'atto d'appello, il provvedimento di revoca ab origine impugnato si fondava sul presupposto che gli atti prodotti dal dott. Di Sa., tutti provenienti da enti britannici, non avessero alcuna reale valenza costitutiva o certificativa. Tale conclusione, però, è contraddetta dalla circostanza che nel corso dell'istruttoria procedimentale la stessa Regione aveva ammesso, su istanza dello stesso dott. Di Sa., che le ragioni fondanti l'avvio del procedimento di revoca del finanziamento pubblico erano da ricercarsi nel contenuto di atti acquisiti proprio presso la medesima Co. Ho. inglese dalla quale l'odierno appellato aveva tratto la documentazione fondante le proprie ragioni, in particolare - da ultimo - le rettifiche da cui inequivocabilmente risultava che dal 10 luglio 2018 lo stesso non era più né socio, né amministratore della IS. Ltd. Tale evidente contraddizione può solo spiegarsi con un difetto di istruttoria, all'evidenza non avendo la Regione preso atto (ancorché tempestivamente trasmessele) delle rettificazioni operate dallo stesso ente britannico proprio in ordine all'oggetto del contendere, ossia alla persistenza o meno della qualità di socio e di alcune cariche direttive in seno alla fornitrice I.S. Ltd. Del resto, proprio dalla documentata scansione della vicenda procedurale come sopra riassunta emerge evidente la "culpa" in procedendo dell'amministrazione regionale, limitatasi a prendere per buone solamente le risultanze del proprio originario accesso agli atti del competente organo di diritto inglese e per il resto limitatasi a sollevare generiche (e non sempre pertinenti) perplessità in ordine alle documentate rettifiche opposte dal Di Sa., relative, almeno in parte, agli stessi dati acquisiti dalla Regione, senza però svolgere a sua volta delle nuove verifiche aggiornate (anche solo) presso il medesimo ente, al fine di prendere atto di eventuali rettifiche o sopravvenienze. Neppure convince - in quanto contraddittorio, come bene evidenziato dal primo giudice - l'argomento (richiamato dall'amministrazione nei propri d.d. n. 69 dell'8 marzo 2021 e n. 84 del 7 aprile 2021) secondo cui solamente il deposito in sede processuale di un atto notarile avrebbe alla fine consentito all'amministrazione di accertare con certezza l'assenza di cause ostative ai sensi del par. 8 dell'avviso pubblico, così determinandola a ripristinare in autotutela il finanziamento in precedenza revocato: tale conclusione, infatti, è incoerente con quanto in precedenza specificato dalla stessa amministrazione nella PEC del 1° settembre 2020, circa la necessità di acquisire "non già registri o atti notarili, bensì qualsivoglia atto o documento dal quale possa evincersi in maniera inequivocabile sia l'evoluzione della compagine della Società ". Deve quindi concludersi che le indicazioni fornite dall'amministrazione nello svolgimento del procedimento fossero sostanzialmente incoerenti con il procedimento logico contestualmente da questa seguito nel corso della relativa istruttoria. Il che, anche alla luce di quanto sopra evidenziato, supera l'argomento per cui "la Regione ha dovuto confrontarsi con dati giuridici provenienti da un ordinamento straniero di common law che possono implicare la commissione di errori cd. "scusabili"", le dette incoerenze procedimentali collocandosi in una fase antecedente l'eventuale valutazione della portata di istituti giuridici stranieri. Quanto poi al contenuto dell'atto notarile, cui la Regione Campania attribuisce valenza dirimente della questione, sul presupposto della sua valenza quale "controllo di merito sulla veridicità " dei dati riportati dalla Co. Ho. (peraltro, come si è detto, utilizzati in primis dalla stessa Regione), lo stesso in realtà nulla aggiunge rispetto ai documenti depositati dal dott. Di Sa. nel corso del procedimento di revoca (e poi riversati in giudizio), limitandosi a recepire le dichiarazioni rese dal medesimo odierno appellato. Tale rilievo vale anche a respingere il secondo motivo di appello, con il quale la Regione Campania ribadisce, a fondamento della correttezza del proprio operato, che "solo in seguito a deposito nel giudizio di primo grado, oltre quindi il decorso dei termini istruttori concessi, del certificato notarile del 20.11.2020, l'appellante ha potuto accertare che il Di Sa. aveva perso lo status di socio della International Service and Management LTD in data antecedente alla stipula, con la medesima società, del contratto di affitto prodotto in sede di rendicontazione. Con il citato documento, infatti, l'atto di cessione di quote e di individuazione delle persone con controllo significativo all'interno della International Service and Management LTD veniva ad assumere una data certa - 10.7.2018 - antecedente alla data di sottoscrizione del contratto (14.9.2018), facendo, di conseguenza, venire meno i motivi di revoca". Infine, con il terzo motivo di appello la sentenza impugnata viene censurata per aver liquidato, in via equitativa (in tal modo supplendo alla presunta carenza di prova da parte del ricorrente) un danno emergente ritenuto abnorme, non avendo l'appellato provato, nemmeno in via di principio, di aver effettivamente e concretamente patito un danno economico di tale natura. Neppure vi sarebbero stati i presupposti per la liquidazione in via equitativa del preteso danno, quest'ultima presupponendo che sia provata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare. Le considerazioni testé esposte non convincono. Risulta dal tenore della sentenza impugnata che la liquidazione operata dal giudice - non in via meramente equitativa, bensì in aderenza alle risultanze di una perizia contabile di parte prodotta dall'allora ricorrente proprio a sostegno delle relative pretese - in altro non consti che nel preciso ammontare degli interessi passivi addebitabili alla Regione a causa del ritardato pagamento del contributo pubblico spettante all'appellato, con decorrenza dal 24 agosto 2020 al 18 aprile 2021. Non si tratta pertanto di un importo liquidato una tantum sulla base di apprezzamenti di equità sostanziale, bensì di un'operazione di calcolo ancorata ad oggettivi parametri fattuali. Alla luce dei rilievi che precedono, l'appello va dunque respinto. La particolarità delle questioni esaminate giustifica peraltro l'integrale compensazione, tra le parti, delle spese di lite del grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese del grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Diego Sabatino - Presidente Valerio Perotti - Consigliere, Estensore Sara Raffaella Molinaro - Consigliere Elena Quadri - Consigliere Marina Perrelli - Consigliere
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