Sentenze recenti lesione quota legittima

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1692 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da Gi. Sp. ed a, rappresentati e difesi dall'avv.to Um. Il., con domicilio digitale corrispondente alla PEC indicata negli scritti difensivi, e domicilio fisico eletto presso lo studio dell'avv.to Ni. Bu. in Palermo, Via (...); contro Presidente Regione Siciliana, Regione Sicilia - Assessorato Agricoltura, Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea - Dipartimento Sviluppo Rurale e Territoriale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distr.le dello Stato, con domicilio digitale corrispondente alla PEC come da registri di giustizia, e domicilio fisico ex lege presso la sua sede in Palermo, Via (...); nei confronti Ag. Societa Agricola Semplice, Ma. Xi. Societa Agricola Semplice, Et. Ir. Ma., Ma. Gr. La Ba., Ca. Ro. Me., non costituitisi in giudizio; per l'annullamento Ricorso introduttivo - DEL D.D.G. DELL'ASSESSORATO AGRICOLTURA, SVILUPPO RURALE E PESCA MEDITERRANEA, DIPARTIMENTO AGRICOLTURA DEL 30/4/2019 N. 766, DI APPROVAZIONE DEGLI ELENCHI E DEI PUNTEGGI DEFINITIVI DELLE ISTANZE DI SOSTEGNO AMMISSIBILI E NON, SUL PSR SICILIA 2014-20, SOTTO-MISURA 6.1 "AIUTI ALL'AVVIAMENTO DI IMPRESE PER GIOVANI AGRICOLTORI", E IN PARTICOLARE DELL'ART. 5; - OVE OCCORRA, DEL D.D.G. 10/8/2018 N. 1916 E 20/8/2018 N. 1920, DI APPROVAZIONE DEGLI ELENCHI PROVVISORI E DEGLI ELENCHI PROVVISORI RETTIFICATI; - DEL D.D.G. 1/4/2019 N. 489; - OVE OCCORRA, DEL D.D.G. 30/5/2019 N. 1098 E DEL D.D.G. 31/5/2019 N. 1111; - DI OGNI ALTRO ATTO ANNESSO, CONNESSO, PRESUPPOSTO E/O CONSEQUENZIALE, COMPRESI IL BANDO DELLA SOTTO-MISURA 6.1 E DI QUELLE COLLEGATE, NONCHÉ LE DISPOSIZIONI SPECIFICHE ATTUATIVE. Motivi aggiunti depositati il 9/11/2019 - DEL. D.D.G. 3/10/2019 N. 2473, RECANTE LA VERSIONE AGGIORNATA DEGLI ELENCHI DEFINITIVI DELLE ISTANZE AMMISSIBILI E NON, CONFERMANDO LA SUDDIVISIONE DELLE DOTAZIONI FINANZIARIE; - DELL'AVVISO PUBBLICO 3/10/2019, DI INDIVIDUAZIONE DELLE ISTANZE AMMISSIBILI; - DELLA NOTA DIRIGENZIALE 30/9/2019, DI CORREZIONE DI ALCUNI ERRORI NEL POSIZIONAMENTO DI ALCUNI BENEFICIARI E ALTRE RETTIFICHE; - DEL D.D.G. 31/7/2019 N. 1606, DI APPROVAZIONE DEGLI ELENCHI DEFINITIVI DELLA SOTTO-MSURA 6.1, CON CONFERMA DELLA RIPARTIZIONE TRA DOTAZIONI; - DEL D.D.G. 9/8/2019 N. 1739, DI CONFERMA DELLA SUDDIVISIONE PER LA SOTTO-MISURA 6.1; - DELL'AVVISO PUBBLICO 9/8/2019; - DEL VERBALE DEL GRUPPO DI RIESAME 30/7/2019 PER LA SOTTO-MISURA 6.1; - OVE OCCORRA DELL'AVVISO PUBBLICO 4/9/2019 PUBBLICATO IL GIORNO SUCCESSIVO; - DELLA NOTA DIRIGENZIALE 25/9/2019; - DELL'AVVISO PUBBLICO 27/9/2019 PUBBLICATO IN PARI DATA; - DEGLI ELENCHI PROVINCIALI NOMINATIVI DEI BENEFICIARI; - DI OGNI ALTRO ATTO ANNESSO, CONNESSO, PRESUPPOSTO E/O CONSEQUENZIALE. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Presidente Regione Siciliana e di Regione Sicilia - Assessorato Agricoltura, Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea - Dip.To Sviluppo Rurale e Territoriale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 17 maggio 2024 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO A. Espongono i ricorrenti che il 29/5/2017 l'Assessorato intimato pubblicava un bando relativo alla sotto-misura 6.1 "Aiuti all'avviamento di imprese per i giovani agricoltori", attraverso un premio forfettario di insediamento per promuovere il ricambio generazionale nel settore primario siciliano. B. L'art. 3 del bando individuava la dotazione finanziaria complessiva in 235.000.000 Euro, di cui 40.000.000 Euro per la sotto-misura 6.1 e gli ulteriori importi ripartiti tra 4.1 "Sostegno a investimenti nelle aziende agricole" (160.000.000 Euro), 6.4.a "Investimenti per creazione e sviluppo di attività extra-agricole..." (25.000.000 Euro) e 8.1 "Sostegno alla forestazione e/o rimboschimento" (10.000.000 Euro). Il termine ultimo di presentazione delle istanze era fissato nel 18/10/2017 (art. 6 della lex specialis) poi prorogato al 13/1/2018 per quelle cartacee. C. Rappresentano gli esponenti che, in data 15/9/2017, il Dirigente Generale divulgava un avviso nel quale, dopo aver richiamato le dotazioni del "Pacchetto giovani" e il complessivo stanziamento - nonché la quota per la sotto-misura 6.1 - puntualizzava testualmente che "... la dotazione finanziaria complessiva, assegnata alle sottomisure collegate (4.1, 6.4.a, 8.1), pari a Euro 195.000.000,00, sarà utilizzata indistintamente per il finanziamento delle pratiche relative a dette sottomisure sino al raggiungimento dei 1.000 insediamenti previsti dal bando. Le dotazioni finanziarie riportate nel bando per singola sottomisura e operazioni, come già precisato nello stesso bando, sono da considerare, pertanto, come previsionali". D. Secondo la prospettazione di parte ricorrente detta rettifica, nel rideterminare un'unica e indistinta provvista finanziaria, sarebbe coerente con la finalità del bando, che è quella di favorire l'insediamento di giovani agricoltori e il ricambio generazionale (fabbisogno F05, Focus Area 2b), e di incidere sul tema trasversale dell'innovazione. Ciò che conta sarebbe l'ingresso e l'insediamento dei giovani nel settore e nelle zone rurali, a prescindere dalla specifica attività posta in essere. E. Sostengono i ricorrenti che l'avviso è stato divulgato in pendenza del termine di inoltro delle domande, così da condizionare l'elaborazione dei progetti sulla base delle nuove regole del gioco: in particolare, essi avrebbero optato per la sotto-misura 6.4.a malgrado fosse meno conveniente sotto il profilo dei vantaggi economici (75% di contributo a fondo perduto con un massimo di 200.000 Euro, diversamente dalla 4.1 con un tetto del 70% con un massimo di 450.000 Euro), per il punteggio più elevato conseguibile agevolmente in base ai criteri introdotti. La riprova si rinverrebbe nelle numerose domande presentate dagli aspiranti per la 6.4.a accanto alla 6.1, finalizzate ad accettare un ammontare inferiore ma con una migliore collocazione in graduatoria e maggiori chance di ottenere il finanziamento. F. I successivi D.D.G. di approvazione degli elenchi provvisori delle istanze ammissibili (n. 1916 del 10/8/2018, n. 1920 del 20/8/2018, n. 489 dell'1/4/2019 (quest'ultimo di implementazione di 25.000.000 Euro per la voce 6.1), non si diffondevano sulla suddivisione della dotazione finanziaria, per cui gli istanti confidavano nella clausola riportata nell'avviso 15/9/2017 (ripartizione unitaria). Il D.D.G. 30/4/2019 n. 766 pubblicato il 2/5 successivo disponeva viceversa all'art. 5 che "al finanziamento delle domande di aiuto ammissibili... si farà fronte con le risorse pubbliche in dotazione al bando, pari ad euro 65.000.000 per la Sottomisura 6.1 e con le risorse pubbliche per le sottomisure attivabili con il pacchetto giovani pari ad euro 160.000.000 per la Sottomisura 4.1., ad euro 25.000.000 per la Sottomisura 6.4.a e ad euro 10.000.000 per la Sottomisura 8.1". In tal modo è stata re-inserita (ad avviso degli esponenti in modo illegittimo) la clausola di ripartizione degli stanziamenti tra le diverse iniziative pur correlate. G. Lamentano i ricorrenti che, nella graduatoria unica, i progetti dei giovani che hanno presentato domanda per la sottomisura 6.4.a. si collocano tra i primi 1.000 in posizione utile per ottenere l'aiuto laddove, per converso, la suddivisione delle risorse operata col D.D.G. n. 766 preclude di ottenere il finanziamento vista la riduzione del plafond a soli 25.000.000 Euro con conseguente delimitazione a 136 della platea degli aventi diritto per progetti della sottomisura 6.4.a. Malgrado gli effetti del D.D.G. 31/5/2019 n. 1111 che ha sospeso i provvedimenti di approvazione degli elenchi definitivi in attesa delle decisioni sulle istanze di riesame, parte ricorrente impugna la D.D.G. n. 766/2019, deducendo in diritto la violazione del programma di sviluppo rurale della Regione Sicilia 2014-2020 approvato dalla Commissione Europea con decisione 8403/2015 e successiva decisione 20/12/2016 n. 8969, la violazione degli obiettivi del fabbisogno F05 e della Focus Area 2B, l'inosservanza dell'Avviso del 15/9/2017, l'eccesso di potere sotto plurimi profili (sviamento, deficit istruttorio, illogicità, contraddittorietà, lesione par condicio, correttezza, buona fede e affidamento, buon andamento e imparzialità, efficienza e trasparenza) dato che: - l'avviso 15/9/2017, a procedura concorsuale aperta, ha indicato con precisione che le somme complessivamente stanziate sarebbero state accorpate in un'unica dotazione per finanziare i progetti delle sotto-misure fino a raggiungere 1.000 insediamenti nella graduatoria unitaria; - gli interessati sono stati indotti a formulare istanza per la misura 6.4.a, pur meno appetibile economicamente ma con più facili riconoscimenti in termini di punteggio e maggiore probabilità di collocarsi in posizione utile nell'elenco finale; - è contrario alla par condicio modificare i criteri (ben definiti dall'Avviso 15/9/2017) in un momento successivo alla presentazione e valutazione delle domande, con penalizzazione di chi ha confidato nell'utilizzo indistinto delle risorse (lo stravolgimento postumo è contrario a buona fede); - la trasfusione in un unico collettore risponde alla logica ragione, già indicata in fatto, di favorire l'ingresso e l'insediamento di giovani in agricoltura e nelle zone rurali, a prescindere alla sotto-misura; - inoltre, la separazione postuma dei plafond e delle graduatorie pone il problema della dotazione alla quale concorre chi ha inoltrato domanda per più sotto-misure (che otterrà il contributo per una sola sotto-misura, mettendo a rischio l'intero programma d'investimento), mentre con la graduatoria e con l'ammontare unico i progetti sono plasticamente premiati in base al punteggio e al posto progressivo in elenco; - anche se fosse legittima la scelta postuma, l'Assessorato avrebbe dovuto prevedere diverse graduatorie e non una soltanto. G.1 Parte ricorrente chiede l'autorizzazione alla notifica mediante pubblici proclami. H. L'amministrazione intimata si è costituita in giudizio. I. Nel seguito si sono susseguiti atti amministrativi di verifica delle domande di riesame (cfr. verbale 30/7/2019), conferma e rettifica delle precedenti determinazioni. Con D.D.G. 3/10/2019 n. 2473, pubblicato in pari data, veniva approvata la versione aggiornata degli elenchi definitivi delle istanze ammissibili e non per la sotto-misura 6.1, con conferma della suddivisione delle dotazioni finanziarie già disposta con D.D.G. 766/2019 (gravato con l'atto introduttivo del giudizio). Con Avviso 3/10/2019 sono state individuate le domande finanziabili. I.1 Chiariscono i ricorrenti che, dopo le modifiche intervenute, potrebbero beneficiare degli assestamenti della graduatoria, ma prudenzialmente insorgono tutti quanti perché la situazione è fluida con altri ricorsi pendenti e i punteggi potrebbero essere ancora rivisti. L'accoglimento del presente gravame soddisferebbe tutti gli esponenti, o perché migliorerebbero la posizione o perché la "blinderebbero". L. Con motivi aggiunti depositati il 9/11/2019 parte ricorrente impugna gli atti in epigrafe, deducendo in diritto la stessa articolata doglianza dedotta nell'atto introduttivo. M. Nelle proprie difese, l'amministrazione sottolinea che la nota dirigenziale del 15/9/2017 (consistente in un avviso non protocollato) contiene una mera indicazione del Dirigente Generale pro tempore di una possibile ripartizione delle risorse finanziarie, che non si è mai concretizzata attraverso l'adozione di un successivo provvedimento amministrativo di annullamento o modifica di quanto previsto nel bando: le prescrizioni stabilite nella lex specialis vincolerebbero sia i concorrenti che la stessa amministrazione, la quale non conserva alcun margine di discrezionalità nella loro concreta attuazione e applicazione. Osserva che l'uso indistinto delle risorse sarebbe in contrasto con le linee di priorità, le strategie di intervento, gli obiettivi specifici stabiliti nel Programma Sviluppo Rurale Sicilia 2014-2020 approvato dalla Commissione Europea (decisione 8403/2015, adottata con DGR 27/2/2018 n. 96 allegato D). La decisione sul ricorso straordinario del CGA avrebbe erroneamente attribuito all'avviso del 15/9/2017 la funzione di bando concorsuale, quando era privo di forma e requisiti, e soprattutto non era stato sottoposto all'approvazione del Comitato di Sorveglianza ex regolamento UE 1305/2013. Non sarebbe un caso che la somma di gran lunga maggiore sia stata stanziata per la misura 4.1 di sostegno a investimenti nelle aziende agricole, perché questo era l'obbiettivo più importante, concordato con la Commissione Europea e dalla stessa approvato. N. All'udienza straordinaria del 17/5/2024 il gravame introduttivo e i motivi aggiunti sono stati chiamati per la discussione e trattenuti in decisione. DIRITTO Con il gravame epigrafe, gli esponenti lamentano l'illegittimità degli atti della procedura comparativa concorsuale, nella parte in cui sono stati modificati i criteri definiti dall'Avviso 15/9/2017 in un momento successivo alla presentazione e valutazione delle domande, con indebita penalizzazione di chi ha confidato nell'utilizzo indistinto delle risorse. Il gravame introduttivo e i motivi aggiunti sono infondati e devono essere rigettati, per le ragioni di seguito precisate (potendosi prescindere dal profilo in rito della pienezza del contraddittorio). 1. La questione centrale che si pone investe la natura giuridica dell'Avviso del 15/9/2017, che "in base al noto principio del contrarius actus, il bando non poteva essere modificato con una mera comunicazione, cosicché legittimamente, nell'attribuzione dei benefici, l'Amministrazione regionale, come esplicitato negli avvisi del 4 e del 27 settembre 2019, ha tenuto conto della ripartizione della dotazione finanziaria complessiva di cui all'art. 3 del bando, la quale non era previsionale, ma vincolante". La predetta statuizione, che il Collegio ritiene condivisibile, è racchiusa nell'ordinanza della sez. I di questo T.A.R. - 4/12/2019 n. 1287 resa nel gravame r.g. 1690/2019, confermata in appello dal CGA (17/1/2020 n. 66). È stata altresì recepita nella recente sentenza della sez. V - 19/2/2024 n. 603. 2. Le suddette pronunce hanno evidenziato come, coerentemente con il bando, con avviso del 4/9/2019, l'Autorità di gestione del PSR Sicilia 2014/2020 ha chiarito che, al fine di beneficiare del premio previsto dalla sottomisura 6.1, era necessario che l'istanza rientrasse nella copertura finanziaria prevista dal bando e che almeno una delle sotto-misure collegate fosse oggetto di finanziamento; con avviso del 27/9/2019, l'Autorità medesima ha precisato che, sulla base delle risorse finanziarie disponibili per ciascuna sottomisura collegata a quella 6.1, erano indicativamente finanziabili tutti i progetti che prevedevano investimenti da realizzare solo con la sottomisura 8.1, mentre quelli collegati alla sottomisura 4.1 e all'operazione 6.4a erano finanziabili nei limiti della relativa disponibilità finanziaria. 3. Il Collegio conosce il parere reso su ricorso straordinario dal C.G.A. Sicilia 20/1/2023 n. 31. In base all'art. 5 del bando (e dell'Avviso del 15/9/2017) la graduatoria avrebbe dovuto essere unica e non era prevista la redazione di diverse graduatorie relative, ciascuna, ad una sottomisura (o ad una tipologia di progetto correlato ad una sottomisura). L'Avviso del 9/8/2019 avrebbe "modificato tale regola (della procedura selettiva); e ciò ha fatto stabilendo (innovativamente) che fra i progetti astrattamente finanziabili inclusi in graduatoria dal 154° posto in poi, sarebbero stati ammessi a finanziamento esclusivamente quelli correlati con le "sottomisure" 4/1 e 8/1". In tal modo l'amministrazione avrebbe ""scisso" la graduatoria, facendole perdere la omogeneità ed unitarietà prevista - in origine - dal bando" e, soprattutto, "inopinatamente (e illegittimamente) pregiudicato i concorrenti che, avendo fatto affidamento sulle regole del bando originario, avevano presentato progetti correlati con la sottomisura 6/4". 4. Il Collegio è, viceversa, dell'opinione che l'Assessorato non abbia violato i principi di par condicio e imparzialità, in quanto l'Avviso del 15/9/2017 non era in grado di modificare le regole di gara. 4.1 In proposito, quest'ultimo è privo di protocollo, non assume la forma rituale del decreto né indica le modalità di pubblicazione (il bando originario era apparso sul sito dell'Assessorato Regionale dell'Agricoltura dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea e del PSR Sicilia 2014/2020, e per estratto sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana). Inoltre, risulta emesso senza la preventiva acquisizione del parere obbligatorio del Comitato di Sorveglianza chiamato ad attestare la coerenza con il Programma di Sviluppo Rurale come previsto dai regolamenti UE 1305/2013 (artt. 49 e 74) e 1303/2013 (art. 47) e dallo stesso P.S.R. in atti (doc. 4 amm.ne, produzione dell'11/8/2019): a pagina 900 statuisce che "Il Comitato di sorveglianza (articoli 72 e 74 del Reg.(UE) n. 1305/2013) allo scopo di accertarsi delle prestazioni e dell'effettiva attuazione del Programma, oltre a svolgere le funzioni sopradescritte: - monitora la qualità di attuazione del Programma; - monitora il Programma mediante indicatori finanziari, di prodotti e di obiettivi; - è consultato ed emette un parere, entro quattro mesi dall'approvazione del programma, in merito ai criteri di selezione degli interventi finanziati, i quali sono riesaminati secondo le esigenze della programmazione; - esamina le attività e i prodotti relativi ai progressi nell'attuazione del piano di valutazione del programma; - esamina, in particolare, le azioni del Programma relative all'adempimento delle condizionalità ex ante nell'ambito delle responsabilità dell'Autorità di Gestione e riceve informazioni in merito alle azioni relative all'adempimento di altre condizionalità ex ante...". L'intervento del Comitato è fondamentale, dato che il finanziamento interferisce con la normativa che vieta in via tendenziale gli aiuti di Stato. In buona sostanza, traspare l'inosservanza del rituale iter previsto per l'adozione del bando originario. 4.2 La giurisprudenza ha evidenziato che la modifica della legge di gara contenuta nei "chiarimenti" adottati dall'Ente "non solo non è consentita, trattandosi di variazione della lex specialis con modalità difformi da quelle proprie della riformulazione del bando e del disciplinare (che richiederebbero l'adozione di omologhe forme pubblicitarie e la ri-apertura dei termini di partecipazione); ma può -e deve- essere disapplicata, in considerazione della natura non provvedimentale dei "chiarimenti" (che esclude l'onere di impugnazione e consente, per ciò, la disapplicazione degli stessi, senza violare il divieto generale di disapplicazione degli atti amministrativi)" (T.A.R. Puglia Bari, sez. I - 6/3/2024 n. 284). Infatti, i chiarimenti della stazione appaltante sono ammissibili solo se contribuiscono, con un'operazione di interpretazione del testo, a renderne chiaro e comprensibile il significato, ma non quando attribuiscano a una disposizione della lex specialis un significato ed una portata diversa o maggiore di quella che risulta dal legge di gara, cioè dal provvedimento che disciplina le regole di attuazione del principio di concorrenza: i chiarimenti infatti "non possono modificare gli atti di gara, pena l'illegittima disapplicazione della lex specialis (Cons. St., sez. III, 27 dicembre 2019 n. 8873). Ciò in quanto non è consentito nemmeno all'Amministrazione disapplicare il regolamento imperativo della procedura di affidamento da essa stessa predisposto, e al quale la stessa, e tutti i partecipanti, deve comunque sottostare (Ad. plen., 25 febbraio 2014 n. 9), pena la violazione delle regole di trasparenza e imparzialità che costituiscono il fondamento dei principi concorrenziali e dello stesso principio di buon andamento di cui all'art. 97 Cost." (Consiglio di Stato, sez. V - 26/10/2023 n. 9274; sez. V - 24/10/2023 n. 9210). 4.3 Posta la modifica sostanziale della lex specialis con la rettifica del 15/9/2017 (per cui le somme stanziate sarebbero state accorpate in un'unica dotazione per finanziare i progetti delle sotto-misure), può essere utilmente richiamato il principio del contrarius actus evocato nell'ordinanza cautelare del ricorso r.g. 1690/2019 (sia in primo che in secondo grado), ai sensi del quale il bando non poteva essere modificato con una mera comunicazione. 4.4 Da ultimo, l'amministrazione ha precisato di non avere formato diverse graduatorie ma una sola in ossequio al bando originario, finanziando secondo l'ordine fino all'esaurimento delle dotazioni previste per ciascuna sottomisura collegata (circa 1700 imprese per la sottomisura 4.1, avente maggiore capienza in quanto obiettivo strategico primario del P.S.R., e circa 300 imprese per la sottomisura 6.4a. 5. In conclusione, l'introdotto gravame, integrato da motivi aggiunti, non merita positivo apprezzamento. 6. Le spese di lite possono essere compensate, alla luce delle oscillazioni giurisprudenziali sul tema controverso. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione Quinta definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, integrato da motivi aggiunti, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2024, tenutasi mediante collegamento da remoto in video-conferenza, con l'intervento dei magistrati: Stefano Tenca - Presidente, Estensore Roberto Valenti - Consigliere Silvana Bini - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SARNO Giulio - Presidente Dott. GAI Emanuela - Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio - rel. Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere Dott. MAGRO Maria B. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 19/09/2022 della CORTE APPELLO di MESSINA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSIO SCARCELLA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale LUIGI GIORDANO, che, riportandosi alle conclusioni depositate, ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' dei ricorsi; udito il difensore, AVV. (OMISSIS) che si e' riportata ai motivi e alla memoria depositata, chiedendone l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza 19.09.2022, la Corte d'appello di MESSINA, in parziale riforma della sentenza del 22.09.2021 del tribunale di Messina, appellata da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ha riconosciuto agli stessi il beneficio della non menzione, revocando la disposta confisca, confermando nel resto l'appellata sentenza che li aveva riconosciuti colpevoli del reato omesso versamento IVA in relazione al periodo di imposta 2012 per un importo superiore alla soglia di punibilita'. 2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, i predetti propongono ricorso per cassazione tramite il comune difensore di fiducia, deducendo due motivi, di seguito sommariamente indicati. 2.1. Deducono, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all'articolo 27 Cost. ed agli articoli 42 e 43, c.p., e correlato vizio di motivazione con riferimento al profilo soggettivo del reato. In sintesi, si duole la difesa del fatto che la Corte d'appello non si sarebbe confrontata con gli elementi fattuali dimostrativi dell'impossibilita' di adempiere al debito IVA, tali da integrare gli estremi della forza maggiore, giungendo ad un'affermazione di responsabilita' penale distonica rispetto alle emergenze istruttorie, che attestavano la mancanza di un margine di scelta da parte degli imputati e la non riconducibilita' agli stessi della mancanza di provvista necessaria per l'adempimento dell'obbligazione tributaria. I giudici avrebbero inoltre ritenuto sussistente il dolo generico ancorandolo al dato formale della carica ricoperta, senza svolgere alcun accertamento circa l'effettiva volonta' dei ricorrenti di attuare la condotta evasiva. Sarebbe mancato ogni approfondimento sulla prospettata incidenza della crisi finanziaria che, agendo ab externo come evento imponderabile, avrebbe impedito di adempiere all'obbligazione tributaria, senza valutare che la societa' era in crisi e i ricorrenti si erano adoperati in tutti i modi per reperire la liquidita' necessaria per assolvere il debito fiscale, contestando l'affermazione della sentenza impugnata che avrebbe ancorato la mancanza di liquidita' a costi affrontati per l'andamento della societa', senza tuttavia indicare le spese sostenute. Diversamente, si sostiene in ricorso, l'impossibilita' di adempiere all'obbligazione tributaria sarebbe stata imputabile ad una crisi di liquidita' non riconducibile ad una negligente gestione societaria ne' a cause dipendenti dalla volonta' degli imputati, ma a cause esterne ritenute erroneamente dalla Corte d'appello non qualificabili come fattori eccezionali incidenti sulla capacita' dell'impresa di operare sul mercato. Sul punto, viene dedotto in ricorso il vizio di travisamento probatorio per omissione con riferimento, da un lato, alla circostanza documentata della contrazione del mercato automobilistico con contestuale revoca degli affidamenti bancari e, dall'altro, alla circostanza dell'utilizzo della liquidita' per il pagamento dei dipendenti e dei fornitori, con azzeramento da parte degli amministratori dei propri compensi. Richiamato un passaggio della relazione del c.t. (OMISSIS) che avrebbe riferito sulla crisi del mercato automobilistico e sull'improvvisa depressione dei ricavi, si sostiene in ricorso che cio' avrebbe rivestito il ruolo di evenienza imprevedibile ed estranea alla sfera di dominio dei ricorrenti, come sarebbe stato attestato dalla relazione del c.t.p. (OMISSIS) che dimostrerebbe come la crisi del settore automobilistico avrebbe causato alla societa' amministrata dagli imputati oltre il 70% di perdite, con revoca degli affidamenti bancari, atteso il ridursi dei ricavi tra il 2010 al 2013 dell'85%, con conseguente impossibilita' di rispettare la scadenze degli oneri tributari ed in particolare dell'IVA dell'anno 2013. Quanto al secondo profilo di travisamento probatorio, si censura la sentenza per non aver tenuto conto del fatto che la societa' non avrebbe piu' potuto usufruire della liquidita' versata sul conto anticipi, che sarebbe stata trattenuta dagli istituti bancari attesa l'esposizione debitoria della societa'. Non si sarebbe tenuto conto che la segnalazione effettuata dalla (OMISSIS) alla Centrale rischi, da cui era scattata la decisione degli istituti di credito di chiedere alla societa' l'immediato rientro dall'intera esposizione (e da cui era conseguita l'indisponibilita' di nuovi accrediti sul conto anticipo), era avvenuta in maniera repentina ed imprevedibile, privando la societa' della possibilita' di pagare l'IVA in quanto il modus procedendi della societa' consisteva nella presentazione alle banche delle fattura non scadute emesse richiedendo l'anticipo dei relativi importi. Difetterebbe, dunque, l'elemento soggettivo del reato contestato, avendo gli imputati adottato tutte le possibili azioni dirette a consentire il recupero in presenza di una crisi di liquidita', delle somme necessarie ad assolvere al debito tributario, peraltro senza che la Corte d'appello abbia valutato il dolo generico alla luce della condotta degli imputati che, pur di garantire la continuita' aziendale, avrebbero provveduto al pagamento di dipendenti e fornitori azzerando i propri compensi, nella convinzione che tale scelta potesse consentire la prosecuzione dell'attivita' di impresa attraverso il conseguimento di ricavi e utili. 2.2. Deducono, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all'articolo 131-bis, c.p., ed il correlato vizio motivazionale. In sintesi, premesso che dalle emergenze processuali risultava l'assoluta impossibilita' dei ricorrenti di adempiere al debito tributario ed il loro pronto attivarsi al fine di reperire le risorse necessarie al fine di adempiere al debito tributario, si osserva come gli stessi avessero chiesto ed ottenuto dall'Erario la rateizzazione, con conseguente pagamento integrale del debito d'imposta, cio' che aveva giustificato la revoca della confisca. Quanto sopra conduceva a ritenere dimostrata la particolare tenuita' dell'offesa e il comportamento dei ricorrenti non abituale. Diversamente, la sentenza sul punto non avrebbe fornito alcuna motivazione e, in quanto, tale sarebbe censurabile. 3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato in data 31.03.2023, la propria requisitoria scritta, cui si e' riportato in sede di discussione orale, chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' dei ricorsi per manifesta infondatezza. Con le doglianze sviluppate nel primo e nel secondo motivo (rectius, con il solo primo motivo, n.d.r.) il ricorrente ha contestato l'esclusione della forza maggiore o comunque l'affermazione della sussistenza del dolo, deducendo che la sentenza impugnata ha omesso di considerare, in estrema sintesi, la difficile situazione finanziaria dell'impresa del ricorrente, la crisi del mercato automobilistico e l'improvvisa depressione dei ricavi aziendali, la contrazione del credito bancario e la chiusura del conto corrente. Secondo l'insegnamento consolidato della giurisprudenza, in tema di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, l'inadempimento della obbligazione tributaria puo' essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all'imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volonta' e che sfuggono al suo dominio finalistico (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263128- 01, e Sez. 3, n. 2614 del 06/11/2013, dep. 2014, Saibene, Rv. 258595-01). In tempi piu' recenti, questa posizione e' stata mitigata attraverso il riconoscimento di un piu' ampio contenuto alla categoria dolo, cosi' da recuperare, in sostanza, spazio alla nozione della inesigibilita'. In particolare, mentre in passato si affermava con nettezza che, nel reato di cui all'articolo 10-ter Decreto Legislativo n. 74 del 2000, e' richiesto il dolo generico, integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceita', a nulla rilevando i motivi della scelta dell'agente di non versare il tributo (cfr. Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263127-01), diverse decisioni attribuiscono oggi un ruolo particolarmente significativo alla mancata riscossione delle somme indicate nelle fatture, quando le stesse corrispondono ad un'elevatissima quota del complessivo fatturato (cfr., ad esempio Sez. 3, n. 31352 del 05/05/2021, Baracchino, Rv. 282237-01; Sez. 3, n. 19651 del 24/02/2022, Semprucci). La sentenza impugnata ha escluso che l'imputato abbia adottato tutte le misure necessarie per adempiere l'obbligo tributario; anzi, ha rilevato che: - "la crisi del mercato automobilistico... e' un fattore di ordine generale che influisce sul rischio di impresa, ma che di per se' non legittima l'omesso versamento dell'iva"; - "non sono stati dedotti... fatti eccezionali che possano aver inciso sulla capacita' dell'impresa di operare sul mercato"; - "il pagamento rateale dell'imposta dovuta, effettuato parzialmente dopo l'emissione della cartella esattoriale e dopo l'apertura del dibattimento, dimostra che i prevenuti, ove avessero voluto, avrebbero potuto attivarsi anche in epoca precedente per onerare i loro impegni fiscali...". In sintesi, il collegio di secondo grado ha escluso una situazione di forza maggiore o di assenza di dolo. Queste conclusioni per il PG sono immuni da vizi. La sentenza impugnata, infatti, ha escluso, in relazione all'impresa cui si riferisce l'IVA non versata, una situazione di mancati incassi a fronte delle fatture emesse. Anzi, detta situazione non e' stata nemmeno allegata dal ricorrente, non solo in questa sede, ma neppure in appello, posto che il medesimo ha piuttosto fatto riferimento ad una situazione generale, derivante dalle condizioni del mercato, evidentemente prevedibile, rispetto alla quale era ben possibile istituire correttivi. Non essendo state allegate situazioni di oggettiva impossibilita' di effettuare i versamenti dovuti o di mancati incassi a fronte delle fatture emesse, non risultano evidenziati fatti integranti gli estremi della forza maggiore o di una inesigibilita' soggettiva ridondante in difetto di dolo, tali da rendere manifestamente illogica l'affermazione di responsabilita' sotto il profilo soggettivo. Anche il terzo motivo (rectius, il secondo, n.d.r.) e' per il PG manifestamente infondato. In tema di omesso versamento IVA, la causa di non punibilita' prevista dall'articolo 131-bis c.p., e' applicabile laddove la omissione abbia riguardato un ammontare di poco superiore alla soglia di punibilita', fissata ad Euro 250.000,00 dall'articolo 10-ter Decreto Legislativo n. 74 del 2000, in ragione del fatto che il grado di offensivita' che fonda il reato e' stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di rilevanza penale (cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 12906 del 13/11/2018, dep. 2019, Rv. 276546 - 01). La causa di non punibilita' prevista dall'articolo 131-bis c.p. e' applicabile laddove la omissione abbia riguardato un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilita' (Sez. 3, n. 16599 del 20/02/2020, Rv. 278946 - 01). 4. In data 12.05.2023, la difesa dei ricorrenti (Avv. Isabella Giuffrida), in replica alle conclusioni del PG, con memoria telematicamente depositata ha insistito nell'accoglimento del secondo motivo, valorizzando in particolare l'intervenuta modifica dell'articolo 131-bis, c.p. per effetto del Decreto Legislativo n. 150 del 2002, che consente di valorizzare la condotta susseguente al reato. Nella specie, l'intervenuta estinzione del debito tributario, oggetto di definizione integrale a seguito della rateizzazione, come attestato dalla sentenza d'appello, consentirebbe di ritenere applicabile la predetta causa di non punibilita', dimostrando la particolare tenuita' del fatto, alla luce del comportamento successivo dei ricorrenti, che, pagando integralmente il debito tributario, hanno dimostrato di non volersi sottrarre agli impegni con l'Erario. Si rileva, in ogni caso, che il reato risulterebbe estinto per prescrizione, chiedendosi pertanto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. 5. In data 17.03.2023 e' pervenuta istanza di trattazione orale da parte della difesa dei ricorrenti, accolta con provvedimento del Presidente titolare del 28.03.2023. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso, trattato oralmente, e' fondato quanto al secondo motivo. 2. Il primo motivo e', infatti, manifestamente infondato. 3. La censura ruota attorno alla valenza esimente della crisi di liquidita' che, secondo la difesa, sarebbe stata determinata da fatti estranei alla volonta' imprenditoriale e determinata, da un lato dalla crisi del mercato automobilistico e dalla contestuale contrazione progressiva dei ricavi nel triennio 2010/2013, e dall'altro, dalla circostanza dell'utilizzo della liquidita' per il pagamento dei dipendenti e dei fornitori, con azzeramento da parte degli amministratori dei propri compensi, elementi che sarebbe stati oggetto di un travisamento probatorio per omissione da parte della sentenza impugnata. Quest'ultima, diversamente da quanto sostenuto, si misura rispetto a tali elementi suppostamente travisati nella motivazione, precisando i giudici di appello che cio' che non era stata fornita dagli imputati era la presenza di fatti "eccezionali" (e non semplicemente estranei) incidenti sulla capacita' dell'impresa di operare sul mercato, elencandone a titolo semplificativo alcuni (perdita di beni aziendali; malattie o incapacita' fisica degli amministratori; mancato pagamento dei corrispettivi da parte dei clienti per importi significativi). 4. La sentenza, sul punto, non merita censura, atteso che e' giurisprudenza pacifica di questa Corte che in tema di reato di omesso versamento dell'IVA, la colpevolezza del contribuente non e' esclusa dalla crisi di liquidita' del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo e, nel caso in cui l'omesso versamento dipenda dal mancato incasso dell'IVA per altrui inadempimento, non siano provati i motivi che hanno determinato l'emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo (Sez. 3, n. 23796 del 29/05/2019, Rv. 275967 - 01). Dunque, sotto il profilo psicologico, secondo la giurisprudenza, nel reato di omesso versamento di Iva (articolo 10-ter Decreto Legislativo n. 74 del 2000) ai fini dell'esclusione della colpevolezza e' irrilevante la crisi di liquidita' del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo (Sez. 3, n. 2614 del 21/01/2014, Rv. 258595 - 01). E, nella specie, le emergenze processuali non danno conto di quali fossero dette iniziative finalizzate alla corresponsione, nel termine, di quanto dovuto all'Erario, emergendo, anzi, al contrario, come il modus procedendi dell'impresa fosse invece del tutto improntato a operare mediante l'anticipo su fatture, strumento finanziario che viene messo a disposizione dalla banca allo scopo di soddisfare le esigenze di liquidita' dell'impresa. In altri termini, la modalita' di reperimento di liquidita' da parte della societa', parte della quale avrebbe dovuto essere finalizzata all'assolvimento del debito tributario maturato, avveniva mediante uno strumento, l'anticipo su fatture, equiparabile ad un finanziamento a breve termine, atteso che l'istituto bancario erogava una somma di denaro all'impresa da riscuotere in base ad una fattura non ancora pagata e che ha una scadenza futura. In sostanza, attraverso questo strumento finanziario l'impresa cedeva alle banche con cui intratteneva rapporti i propri crediti commerciali per ottenere in cambio immediata liquidita'. 5. Alla stregua di quanto sopra, dunque, vi e' prova in atti che lo stesso meccanismo escogitato dall'impresa per garantirsi la liquidita' necessaria anche per il pagamento del debito tributario costituiva frutto di una precisa scelta di politica imprenditoriale, con la conseguenza che l'inadempimento della obbligazione tributaria non poteva dirsi attribuito a forza maggiore, atteso che la mancanza della provvista necessaria all'adempimento dell'obbligazione tributaria - dovuta, secondo la difesa alla improvvisa decisione degli istituti bancari di "rientrare" nell'intera posizione debitoria per effetto della segnalazione della BPL alla centrale rischi, cui era seguita lÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'†'ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã…¡ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'…ÃâEurošÃ‚¡ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã…¡ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'¢â‚¬ÃâEurošÃ‚¹ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã‚¦"indisponibilita' del conto anticipi - aveva la sua origine in una scelta di politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidita' che non era nemmeno da considerarsi improvvisa, considerato che il meccanismo degli anticipi su fatture costituiva l'ordinario mezzo di finanziamento della societa' e non era legato, come sembra emergere dagli atti, al contingente periodo di crisi del mercato dell'auto e alla conseguente contrazione dei ricavi nel triennio 2010/2013 (Sez. 3, n. 8352 del 25/02/2015, Rv. 263128 - 01). 6. Quanto, poi, all'ulteriore asserito travisamento probatorio, legato alla mancata valutazione della scelta imprenditoriale di utilizzare la liquidita' disponibile per garantire la continuita' aziendale attraverso il pagamento di dipendenti e fornitori, si tratta di censura che parimenti non ha pregio, alla luce della giurisprudenza di questa Corte formatasi con riferimento all'omologo reato omissivo previsto dalla L. n. 638 del 1983, secondo cui il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali (al pari di quello di omesso versamento IVA) e' a dolo generico, ed e' integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti (o, come nella specie, di omettere il pagamento dell'IVA dovuta all'Erario), ravvisabile anche qualora il datore di lavoro (nella specie, imprenditore), in presenza di una situazione di difficolta' economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell'attivita' di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all'erario (o, come nella specie, dell'IVA dovuta all'Erario), essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all'atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se cio' comporta l'impossibilita' di pagare i compensi nel loro intero ammontare (Sez. 3, n. 43811 del 22/09/2017, Rv. 271189 - 01). Comunque dovendosi evidenziare che detta scelta, dettata dalla volonta' di garantire la continuita' imprenditoriale piuttosto che di soddisfare il debito tributario, e' pur sempre frutto di una deliberata volonta' dell'imprenditore, essendo quindi ascrivibile la scelta di "preferire" la continuita' di impresa anziche' di pagare l'obbligazione tributaria al dolo generico dell'imprenditore, mancando peraltro la dimostrazione che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo (Sez. 3, n. 2614 del 21/01/2014, Rv. 258595 - 01), non essendo sufficiente la mera scelta di azzerare i compensi agli amministratori, ma essendo invece necessario porre in essere idonee misure anche sfavorevoli per il patrimonio personale, come richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 5467 del 4/02/2014, Rv. 258055; Sez. 3, n. 20266 del 15/05/2014, Rv. 259190 - 01). 7. Fondato e' invece il secondo motivo. 8. La Corte d'appello ha motivato sulla doglianza valorizzando la particolare entita' della somma dovuta a titolo di IVA non versata, superiore quasi al triplo della soglia di punibilita' (cio' che escluderebbe, di per se', la particolare tenuita' del fatto, anche secondo la prospettazione del P.G.: v., tra le tante, Sez. 3, n. 16599 del 3/06/2020, Rv. 278946). 9. Deve, tuttavia, valutarsi l'incidenza sulla vicenda processuale in esame della novella del 2022 che ha, con indubbi effetti sul piano sostanziale, determinato la modifica della disciplina della speciale causa di non punibilita' di cui all'articolo 131-bis c.p.. Incontestata e' la circostanza che gli imputati abbiano successivamente regolarizzato la propria posizione nei confronti dell'Erario, provvedendo all'integrale pagamento rateale del debito tributario. Orbene, come anticipato, sul punto rileva la circostanza che sia stata medio tempore modificata la previsione dell'articolo 131-bis, comma 1, c.p. per effetto della riforma "Cartabia" (Decreto Legislativo n. 150 del 2022) mediante il riferimento alla condotta susseguente al reato come parametro da doversi considerare per stabilire se l'offesa sia di particolare tenuita'. E' ben vero che gia' questa stessa Sezione si e' pronunciata sulla questione affermando il principio secondo cui, da un lato, ai fini dell'applicazione della causa di non punibilita' per la particolare tenuita' del fatto, acquista rilievo, per effetto della novellazione dell'articolo 131-bis c.p. ad opera dell'articolo 1, comma 1, lettera c), n. 1, Decreto Legislativo n. 10 ottobre 2022, n. 150, anche la condotta dell'imputato successiva alla commissione del reato, che, tuttavia, non potra', di per se' sola, rendere di particolare tenuita' un'offesa che tale non era al momento del fatto, potendo essere valorizzata solo nell'ambito del giudizio complessivo sull'entita' dell'offesa recata, da effettuarsi alla stregua dei parametri di cui all'articolo 133, comma 1, c.p. (Sez. 3, n. 18029 del 2/05/2023, Rv. 284497 - 01), e, dall'altro, che il giudizio sulla tenuita' dell'offesa dev'essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all'articolo 133, comma 1, c.p., non essendo tuttavia necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, n. 55107 del 10/12/2018, Rv. 274647 - 01). 10. Cio' posto, nella vicenda in esame, assume particolare rilevanza la considerazione, ai fini della valutazione della gravita' dell'offesa, anche della condotta susseguente al reato, elemento che la giurisprudenza di questa Corte, con riferimento alla previgente formulazione della norma, escludeva dal novero degli elementi da apprezzare proprio perche' non espressamente previsto, e dovendosi percio' valutare la misura dell'offesa nel momento di consumazione del reato (cfr., ad esempio, Sez. 5, n. 660 del 02/12/2019), rilevandosi al contempo che, per effetto dell'indicata modifica, invece, la condotta post factum e' uno - ma non certamente l'unico, ne' il principale - degli elementi che il giudice e' chiamato ad apprezzare ai fini del giudizio avente ad oggetto l'offesa, tenuto conto altresi' del fatto che, come si desume dalla Relazione illustrativa all'indicato Decreto Legislativo n. 150 del 2022, il Legislatore delegato ha volutamente utilizzato un'espressione ampia e scarsamente selettiva - quale, appunto, "condotta susseguente al reato" - allo scopo di "non limitare la discrezionalita' del giudice che, nel valorizzare le condotte post delictum, potra' (..) fare affidamento su una locuzione elastica ben nota alla prassi giurisprudenziale, figurando tra i criteri di commisurazione della pena di cui all'articolo 133, comma 2, n. 3 c.p. ". Da quanto appena esposto ne discende che il giudice potra' percio' valutare una vasta gamma di condotte definite solo dal punto di vista cronologico-temporale, dovendo essere "susseguenti" al reato, ed evidentemente in grado di incidere sulla misura dell'offesa, e cio' vale non solo nel caso in cui le condotte susseguenti riducano il grado dell'offesa - quali le restituzioni, il risarcimento del danno, le condotte riparatorie, le condotte di ripristino dello stato dei luoghi, l'accesso a programmi di giustizia riparativa, o, come nel caso in esame, l'intervenuto adempimento dell'obbligo tributario mediante l'integrale pagamento del debito erariale secondo il piano di rateizzazione concordato con il Fisco - ma anche, e specularmente, quando delle condotte aggravino la lesione - inizialmente "tenue" - del bene protetto. Va, infine, precisato, come pure emerge dalla Relazione illustrativa (p. 346), che la condotta susseguente al reato acquista rilievo, nella disciplina dell'articolo 131-bis c.p., non come esclusivo e autosufficiente indice-requisito di tenuita' dell'offesa, bensi' come ulteriore criterio, accanto a tutti quelli contemplati dall'articolo 133, comma 1, c.p. (ossia la natura, la specie, i mezzi, l'oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalita' dell'azione; la gravita' del danno o del pericolo; l'intensita' del dolo o della colpa): elementi tutti che, nell'ambito di un giudizio complessivo e unitario, il giudice e' chiamato a valutare per apprezzare il grado dell'offesa, e cio' comporta che le condotte post delictum non potranno di per se' sole rendere di particolare tenuita' un'offesa che tale non era al momento della commissione del fatto - dando cosi' luogo a una sorte di esiguita' sopravvenuta di un'offesa in precedenza non tenue - ma, come detto, potranno essere valorizzate nel complessivo giudizio sulla misura dell'offesa, giudizio in cui rimane centrale, come primo termine di relazione, il momento della commissione del fatto, e, quindi, la valutazione del danno o del pericolo verificatisi in conseguenza della condotta. 11. Nel caso di specie, e' indubbio che la condotta "susseguente" al reato (che, ove intervenuta "prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado", avrebbe certamente consentito l'applicabilita' dell'altra speciale causa di non punibilita' prevista dall'articolo 13, comma 1, Decreto Legislativo n. 74 del 2000), ha sostanzialmente neutralizzato la gravita' dell'offesa, originariamente consistente (notevole essendo indubbiamente l'importo il cui versamento era stato omesso, pari a poco meno di 710.000 Euro), provocata all'Erario, avendo i ricorrenti dimostrato con il proprio comportamento la volonta' di assolvere il debito tributario, provvedendo tempestivamente ad onorare il piano rateale concordato con il Fisco, tanto da determinare l'adozione in appello del provvedimento di revoca della disposta confisca in primo grado. Nella specie, dalla motivazione dei giudici di appello, tuttavia, emerge come il successivo versamento rateale del debito tributario non e' stato valutato in termini di condotta "susseguente" al reato nei termini richiesti dalla nuova previsione (e non poteva, del resto, esserlo, non essendo a tale data ancora entrata in vigore la novella dell'articolo 131-bis, c.p.), essendosi limitata la Corte territoriale ad esprimere una semplice valutazione in termini recessivi di tale condotta, a fronte del danno erariale cagionato sia in assoluto sia in rapporto alla soglia di punibilita', in considerazione del notevole importo il cui versamento era stato omesso. La necessita', invece, di dover apprezzare tale condotta alla luce della nuova previsione (che esplica indubbi effetti sostanziali, incidendo sulla punibilita' del fatto, ed e' quindi soggetta alla regola iuris dettata dall'articolo 2, comma 4, c.p.), imporrebbe pertanto l'annullamento della sentenza con rinvio al giudice d'appello per una rinnovata valutazione del fatto. 12. Deve, tuttavia, rilevarsi che, nel caso in esame, assume valenza assorbente la circostanza che il termine di prescrizione del reato, pur tenuto conto della sospensione di 431 gg. verificatasi nel giudizio di merito, e' maturato in data antecedente alla pronuncia della sentenza d'appello (ossia in data 1.09.2022, laddove la sentenza d'appello e' stata emessa in data 19.09.2022). Ne consegue, pertanto, l'adozione doverosa di una declaratoria di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche' il reato e' estinto per prescrizione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. CALASELICE Barbara - rel. Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere Dott. TOSCANI Eva - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI MILANO; dalle parti civili: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); nonche' da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); nel procedimento a carico di quest'ultimo; avverso la sentenza del 09/03/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere BARBARA CALASELICE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCA ZACCO, che ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alle statuizioni civili e alle relative spese con rinvio al giudice civile in grado di appello, per la parte civile (OMISSIS); dichiarare inammissibile nel resto il ricorso, nonche' rigettare i ricorsi del Procuratore generale e di (OMISSIS) e dichiarare inammissibili i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS). uditi i difensori, avv. (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno chiesto l'accoglimento delle conclusioni scritte depositate unitamente alle note spese; udito il difensore, avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso e l'inammissibilita' di quelli degli altri ricorrenti. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata la Corte di assise d'appello di Milano ha riformato la condanna, emessa dalla Corte di assise in sede, in data (OMISSIS), nei confronti di (OMISSIS), riqualificando i reati ascrittigli in quelli di cui all'articolo 572 c.p., u.c., aggravato dalle circostanze di cui all' articolo 61, n. 4 e articolo 5 c.p., consumato nei confronti del solo figlio minore Mehmet, quanto al capo A), ritenute le condotte sub B) circostanze della fattispecie come riqualificata, ai sensi dell'articolo 84 c.p., escluse le residue circostanze aggravanti (di cui all' articolo 61, n. 1 e articolo 94 c.p., articolo 576 n. 2 e articolo 577 n. 1, 61 c.p., n. 11 quinquies) rideterminando la pena irrogata in quella di anni ventotto di reclusione, nonche' pronunciando l'assoluzione perche' il fatto non sussiste, in relazione ai reati consumati ai danni della moglie, (OMISSIS), con revoca della condanna al risarcimento del danno disposta dal primo giudice in favore di quest'ultima. 1.1. Si tratta della originaria contestazione dei reati di omicidio pluriaggravato (capo A) ai danni del minore (OMISSIS), figlio dell'imputato, del reato di tortura (capo B), aggravato dall'aver provocato lesioni alla vittima per motivi futili, dall'uso abituale di stupefacenti, nonche' di maltrattamenti (capo C) ai danni di minori e della moglie, in stato di gravidanza almeno di quattro mesi, fatto contestato come aggravato dall'aver adoperato sevizie e per aver agito con crudelta' nei confronti del figlio minore di circa due anni. 1.2.11 primo giudice aveva condannato l'imputato alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno per mesi nove, in relazione a tutti i reati ascrittigli come contestati, ad esclusione di quello di cui al capo C), nei confronti delle sole figlie (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' aveva pronunciato condanna al risarcimento del danno in favore delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), quantificato in Euro centomila ciascuna (nella parte motiva a titolo di provvisionale, nel dispositivo senza precisazione dell'assegnazione delle somme in via provvisionale). La condanna di primo grado fonda sulle dichiarazioni parzialmente confessorie dell'imputato, quelle rese de relato dai suoi prossimi congiunti e dalle psicologhe presso l'istituto penitenziario ove l'imputato era ristretto, nonche' sulle intercettazioni telefoniche ed ambientali, oltre che in base alle dichiarazioni, raccolte in sede dibattimentale, tra cui quella della persona offesa, madre della piccola vittima del reato di cui al capo A). 1.3.La Corte territoriale ha riformato la condanna riscontrando, quanto al delitto di omicidio sub A), che questo doveva essere riqualificato nel reato di cui all'articolo 572 c.p., u.c, non potendosi ravvisare la sussistenza del dolo (eventuale) e non ravvisandosi alcuna cesura tra i maltrattamenti, attuati ai danni della vittima e l'evento morte, condotte che si sarebbero susseguite, per la Corte di secondo grado, senza soluzione di continuita', richiamando il precedente di questa Corte, Sez. 6, n. 46848 del 20 novembre 2012 (cfr. pag. 51 e ss.), indicato come in termini. La Corte territoriale (cfr. pag. 71 e ss.) rimarca le ragioni per le quali ha reputato la sussistenza di talune circostanze aggravanti, escludendone altre, nonche' ha esposto, quanto al capo B) (cfr. pag. 76 e ss.), le ragioni per le quali le condotte contestate come tortura, ai sensi dell'articolo 613-bis c.p., dovessero essere, invece, reputate soltanto circostanze aggravanti del reato di cui all'articolo 572 c.p., cosi' riqualificata la condotta di cui al capo A). Infine, la pronuncia impugnata specifica le ragioni dell'assoluzione dell'imputato in relazione al reato di cui al capo C) limitatamente alle condotte contestate come poste in essere ai danni della moglie, nonche', a pag. 87 e ss., rende conto della riforma operata, quanto alle statuizioni risarcitorie, revocate in toto, per quanto concerne la parte civile (OMISSIS). 2.Ricorre, avverso la descritta sentenza, l'imputato, per il tramite del difensore, avv. (OMISSIS), la parte civile, avv. (OMISSIS), quale curatore speciale delle minori, (OMISSIS) e (OMISSIS), (parte civile ammessa al gratuito patrocinio), la parte civile (OMISSIS) (ammessa al patrocinio a spese dello Stato), il Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano, devolvendo vizi di seguito riassunti, nei limiti necessari per la motivazione, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1.11 Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano ha dedotto due vizi. 2.1.1.Con il primo motivo si denuncia erronea applicazione degli articoli 572 e 613-bis c.p.. La Corte territoriale avrebbe errato nell'individuazione dell'elemento soggettivo del reato in relazione alla morte della piccola vittima. La pronuncia si richiama alla decisione delle Sezioni Unite di questa Corte, Thyssen, che ha definito la nozione di dolo eventuale (cfr. pag. 60 della sentenza impugnata). Questo precedente, per l'impugnante, riguarda solo i casi di distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente, quindi, connessa a casi in cui si versi in ipotesi di attivita' lecita rischiosa. Diverso sarebbe, per il ricorrente, il caso di specie in cui il primo giudice individua la sussistenza delle plurime percosse e l'esistenza del dolo eventuale, quanto alla consapevolezza delle conseguenze che poteva provocare la condotta. Peraltro, si sottolinea che, nel caso al vaglio, la conseguenza dell'azione era piu' che probabile e, anzi, il suo autore aveva proprio voluto l'evento non soltanto accettandone il rischio, trattandosi di dolo diretto. Inoltre, in relazione all'effettiva adesione psichica dell'agente alla morte della piccola vittima, si osserva che, pur seguendo gli indicatori della sentenza delle Sezioni Unite citata, questa si dovrebbe ricavare: -dalla condotta che caratterizza l'illecito, determinante negli illeciti di sangue, nella specie espressa attraverso una sequela di atrocita' attuate su un infante; - dalla storia e dalle precedenti esperienze dell'agente, assuntore abituale di stupefacenti; - dalla durata e ripetizione delle condotte, qui attuate nelle forme di torture abituali, crudeli ove la violenza e' dimostrata dal numero di colpi e dalle zone vitali attinte; - dalla probabilita' di verificazione dell'evento, che qui era elevata tenuto conto che si tratta di infante, incapace di difendersi; - dal fine della condotta che, nella specie, e' stato la mera crudelta'. Si sottolinea, poi, che la motivazione richiama un precedente della sezione Sesta penale di questa Corte, ritenuto sovrapponibile che, pero', risale al 2012, anno in cui non era entrato in vigore l'articolo 613-bis c.p. relativo al reato di tortura contestato al capo B), condotta, dunque, da non potersi reputare assorbita in quella di cui all'articolo 572 c.p.. Si richiama il precedente di legittimita' (Sez. 3, n. 32380 del 25 maggio 2021), secondo il quale bene giuridico tutelato dall'articolo 613-bis c.p. e' la dignita' umana, lesa da condotte che infliggono alla vittima sofferenze fisiche o psichiche tali da determinare un assoggettamento totale all'agente, divenendo la vittima una res. Di qui la richiesta di riconoscimento del concorso materiale, considerando che la tortura durava da pochi giorni, a differenza delle altre condotte maltrattanti, durate mesi, che si e' attuato un comportamento disumano e crudele, come dimostrato dalle risultanze dell'esame del corpicino martoriato della vittima, riportato dalla stessa Corte territoriale. Sicche' la condotta non deve essere qualificata ai sensi dell'articolo 572 c.p., u.c., come aggravata dall'articolo 613-bis c.p., ma rientra nella previsione di cui all'articolo 613-bis, comma 5, secondo periodo, per il quale la pena da irrogare e' quella dell'ergastolo. Infine, anche a voler reputare che la morte fosse stata conseguenza di condotta non voluta, andava applicato l'articolo 613-bis, comma 5, primo periodo, per il quale la pena da considerare e' quella di anni trenta di reclusione. 2.1.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione con riferimento alla testimonianza di (OMISSIS). La Corte territoriale avrebbe errato nel reputare la testimonianza della donna, coniuge dell'imputato e madre della piccola vittima, non attendibile e, a tratti, non credibile/ tanto da aver pronunciato l'assoluzione dell'imputato, in ordine al capo C), limitatamente ai maltrattamenti ai danni della stessa. Si reputa, infatti, contrastante rispetto agli esiti dell'istruttoria quanto affermato dalla Corte d'assise di appello (cfr. pag. 39-44 della sentenza) secondo la quale la donna avrebbe reso una deposizione reticente e mendace, in relazione ai maltrattamenti subiti, perche' mossa dalla finalita' di precostituirsi una giustificazione rispetto ad una sua corresponsabilita' per la morte del figlioletto. Si richiamano le testimonianze della psicologa e assistente sociale, le intercettazioni, le dichiarazioni dei parenti della vittima, per assumere che sarebbe emerso, dall'istruttoria svolta, che la donna era, invece, traumatizzata e si sottolinea che la Corte territoriale avrebbe reso, sul punto, un ragionamento contraddittorio. Non si sarebbe tenuto conto, infatti, in alcun modo del contesto sociale nel quale avvenivano i fatti, anche descritto dalla stessa Corte di assise di secondo grado, laddove indica la giovane donna di etnia rom come totalmente sottomessa al clan del marito e che, pur in stato di gravidanza, era sistematicamente utilizzata, in modo strumentale, per la commissione di reati di furto, priva di scolarizzazione e definita madre-bambina. Si sottolineano, infine, gli esiti delle conversazioni captate tra la persona offesa, i suoi familiari e anche la suocera (cfr. pag. 8 e ss del ricorso) dai quali emergerebbe che la donna non poteva ribellarsi al marito e alle sue condotte violente, che la giovane vittima era sempre incinta e sottomessa, anche psicologicamente, al marito. Anzi, si evidenzia, quanto alle captazioni valorizzate dal giudice di secondo grado, che queste sono lontane dai fatti e avvenute in carcere, durante i colloqui dell'imputato detenuto con la madre, indicate dal ricorrente come di contenuto manipolatorio per essersi, quest'ultima, resa conto delle conseguenze alle quali sarebbe andato incontro il figlio, peraltro sottolineando che le conversazioni avevano come unico oggetto le condotte ai danni dei bambini e non della moglie. Si sottolinea, infine, che la Corte di assise di appello non ha trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica perche' si procedesse a carico della donna ai sensi dell'articolo 40 c.p., comma 2. Anzi il primo giudice aveva espressamente escluso tale evenienza per non essere emersa prova che la donna fosse nelle condizioni oggettive di impedire l'evento. 2.2.La parte civile, avv. (OMISSIS), quale curatore speciale delle minori (OMISSIS), (OMISSIS), figlie dell'imputato, denuncia tre vizi. 2.2.1. Con il primo motivo si deduce vizio di motivazione e inosservanza degli articoli 43, 572, 575, 576 c.p.. Quanto al punto 2 della sentenza (pag. da 50 a 75) relativo al capo A) della rubrica, si osserva che, secondo la stessa motivazione della Corte di assise di appello, la morte del bambino sarebbe stata cagionata dalle percosse ricevute dal padre quella notte, mentre risalivano ad alcuni giorni prima le bruciature alle piante dei piedi e le varie ecchimosi e contusioni, queste ultime, anzi, datate dai giudici dell'appello come risalenti a diversi giorni prima. Secondo la parte ricorrente non sarebbe corrispondente al vero che le varie ecchimosi e contusioni, trovate sul corpo della vittima, fossero risalenti a diversi giorni prima, ma le cinquantuno lesioni riscontrate, in sede di autopsia, sarebbero risultate, all'esito dell'istruttoria svolta, coeve all'evento morte, con eccezione per sole tre di esse. La Corte territoriale, poi, esclude la sussistenza del dolo anche nella forma eventuale, valorizzando la circostanza che sarebbe stato proprio l'imputato a chiedere aiuto, senza tenere conto dell'immediata fuga dal luogo dei fatti, della mancata spontanea consegna alle Forze dell'ordine, da queste reperito successivamente, presso l'abitazione di uno zio. Quanto agli indicatori che la stessa pronuncia delle Sezione Unite cui si richiama il giudice di secondo grado, si sottolinea che, ai fini della sussistenza del dolo anche nella forma eventuale, rileva la condotta che caratterizza l'illecito e che questa, nella specie, e' stata attuata attraverso la produzione di ben quarantotto lesioni provocate alla vittima, la sera stessa del decesso, come affermato dalla stessa Corte territoriale a pag. 76 della sentenza. Si evidenzia, poi, che secondo gli stessi giudici di secondo grado, la condotta si era ripetuta con elevato numero di colpi, con intensita' e tipologia tali, unitamente alla gravita' delle lesioni inferte, da ritenere senz'altro sussistente il dolo, quanto meno nella forma di quello eventuale. Si valorizza, all'uopo, la violenza e il numero dei colpi, le zone vitali attinte, l'eta' della vittima, incapace di difendersi, tutti elementi che emergono dalla stessa motivazione censurata che, dunque, sarebbe viziata nella conclusione cui e' giunta quanto all'operata riqualificazione del fatto. Infine, si sottolinea che il precedente di legittimita' della sezione Sesta penale di questa Corte, richiamato dalla Corte di merito, non sarebbe del tutto sovrapponibile al caso in esame. In quello, la morte della vittima era avvenuta per effetto di un potente colpo (un calcio) sferrato dal basso verso l'alto, non diverso da quelli ripetuti come percosse, che avevano lasciato segni sul cadavere ed avvenute in precedenza, durante i maltrattamenti attuati. Nel caso in esame, invece, vi sarebbe una cesura rispetto alle condotte di maltrattamenti accertate (due lesioni per bruciatura della pianta dei piedi) e le lesioni riscontrate, tutte avvenute quella notte, in data 22 maggio 2019. Sicche' queste non erano state un evento aggravante del delitto di maltrattamenti, ma avevano provocato, autonomamente, il decesso della vittima con una condotta che, quindi, non e' stata lo sviluppo dell'unitaria ed abituale condotta di maltrattamenti. Si richiama, quale precedente conforme, pronuncia di legittimita' (Sez. 6 n. 16548 del 23 febbraio 2021). 2.2.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione, inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 572 e articolo 613-bis, articolo 84 c.p., articolo 3 CEDU. Si impugna, specificamente il punto 3 della sentenza (pag. 76). Per la Corte territoriale esistono acute sofferenze fisiche, patite dal minore, che pero' sono qualificate come evento aggravante il delitto di maltrattamenti. Si richiama precedente di legittimita' (Sez. 3, n. 32380 del 25 maggio 2021) e si afferma che, come in quel precedente, risultano acclarate, oltre alle sofferenze, anche altri comportamenti, minacce, percosse, tutti atti di offesa alla dignita' personale della vittima, come evinto, peraltro, dalla stessa Corte territoriale nel descrivere, nella motivazione, il corpo martoriato del bambino coperto di lividi, lesioni lievi e gravi. Inoltre, si deduce che l'esclusione del reato autonomo di cui all'articolo 613-bis c.p. viola l'articolo 3 CEDU. Si contesta che la Corte territoriale abbia ricondotto le lesioni da calore sulla pianta dei piedi del bambino alla presenza nell'abitazione, di piastre da cucina e si sottolinea che, invece, gli esiti della consulenza medico-legale svolta, avrebbero escluso la certa riconducibilita' delle lesioni alle piastre elettriche (cfr. consulenza del Pubblico ministero Zoja, su cui ha deposto il teste, che ha affermato che la compatibilita' tra le lesioni refertate alle piante dei piedi e una piastra surriscaldata potrebbe sussistere solo se si trattasse di piastra con un'area centrale inerte). 2.2.3. Con il terzo motivo si denuncia vizio di motivazione ed inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 43, 572, 575, 576 c.p.. Si contesta, specificamente, il punto 4 della sentenza (pag. 79) quanto alla pronuncia relativa al capo C), in relazione alla piccola vittima. La parte ricorrente si riporta alle considerazioni svolte con il primo motivo di ricorso e con riferimento al secondo motivo di ricorso. In conclusione, quanto alle statuizioni civilistiche adottate dalla Corte di assise di appello e alla legittimazione ad impugnare, si afferma che (punto 6 della sentenza pag. 87) senz'altro le parti civili assistite dal curatore speciale sarebbero legittimate in quanto minori danneggiate dal reato, iure proprio e iure successionis, anche se l'imputato e' stato assolto dal delitto di cui al capo C), limitatamente agli episodi di violenza nei loro confronti, segnalando l'intervenuta condanna da parte del primo giudice alla somma complessiva di Euro centomila. Si contesta, quindi, la violazione dell'articolo 185 c.p. e articolo 74 c.p.p., in relazione alla pronunciata esclusione di qualsiasi danno derivante da reato. 2.3. La parte civile (OMISSIS), denuncia sei vizi. 2.3.1. Il primo motivo denuncia erronea applicazione dell' articolo 530, articolo 533, articolo 546 lettera e), articolo 192 c.p.p. e vizio di motivazione, in relazione all'articolo 572 c.p., di cui al capo C). La motivazione fonderebbe su un giudizio (morale) negativo della parte civile perche' ritenuta portatrice di un retropensiero autoassolutorio, rispetto al suo ruolo (omissivo e che avrebbe cagionato la morte del piccolo), nonche' per aver riferito le violenze dell'imputato in modo strumentale, peraltro interpretando il contenuto delle conversazioni intercettate, tra la ricorrente e la madre, quale invito a mentire per precostituirsi un alibi, indicando, inoltre, la donna come portatrice di ostilita' e disaffezione verso il figlio, morto nelle circostanze contestate, giudizio non motivato in base agli atti processuali e comunque reputato irrazionale. Si richiamano gli elementi essenziali secondo il primo giudice, che hanno fondato il giudizio di attendibilita' della persona offesa, madre del minore, riportando anche stralci della motivazione (cfr. pag. 10 e ss. del ricorso) indicando quella offerta dalla Corte di assise, come giustificazione diffusa, cui oppone quella di secondo grado che la ricorrente indica come fondata su ipotesi e sensazioni, su colloqui tra l'imputato e suoi parenti in carcere, che pero', si collocherebbero in un momento in cui questi erano venuti a conoscenza delle accuse mosse dalla parte civile all'imputato. Rispetto a tali colloqui si precisa che si ignorano le captazioni, poste a base del giudizio di primo grado, non si terrebbe conto dell'elemento materiale della segregazione, posta in essere ai danni della parte civile, ribaltando, cosi', completamente il giudizio di attendibilita' del primo giudice anche quanto ai contenuti di telefonate e conversazioni captate, senza confrontarsi con i dati significativi, valorizzati dal primo giudice. La Corte territoriale, poi, in relazione alla veste di coimputata ai sensi dell'articolo 40 c.p., comma 2, della ricorrente giunge a conclusioni opposte rispetto al primo giudice, che ne aveva escluso ogni evenienza in tal senso (cfr. pag. 17 e ss. del ricorso). Si evidenzia, da parte della Corte territoriale, che la dichiarante avrebbe dovuto essere esaminata come coimputata, gia' alla stregua delle lesioni accertate al momento del decesso della piccola vittima, evidentemente riferibili all'opera irresponsabile di adulti e che la Corte di assise avrebbe dovuto trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica. Comunque, evidenzia la ricorrente che all'esito del secondo grado di giudizio, la Corte di assise di appello nonostante il tenore della motivazione circa il ruolo assunto dalla madre nel decesso del piccolo, non ha trasmesso gli atti a suo carico alla Procura competente, rendendo pertanto dal contenuto illogico la parte della motivazione che riguarda la scarsa affidabilita' delle dichiarazioni eteroaccustorie. Si sostiene, poi, che la Corte territoriale avrebbe negato significato alle dichiarazioni dell'imputato, alla loro evoluzione e alla circostanza, riportata nella sentenza di primo grado, secondo la quale le intercettazioni acclarerebbero che era stata la sorella a consigliare all'imputato (per non "pigliare" l'ergastolo) di accusare la moglie. La Corte d'assise di appello, invece, in violazione dell'articolo 192 c.p.p. e dell'articolo 546 c.p.p., secondo la ricorrente, valorizzerebbe soltanto la circostanza che, nelle conversazioni con i familiari, non si farebbe alcun accenno alle violenze fisiche ai danni della moglie e che questa avrebbe anch'ella picchiato il bambino, come riferito dall'imputato. Tanto, senza dare alcun risalto alla circostanza che tali accuse erano emerse solo al dibattimento e dopo che si era conosciuto il contenuto delle accuse che la persona offesa aveva mosso al coniuge. 2.3.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell' articolo 575, 572 u.c., articolo 576 n. 5 e articolo 43 c.p., con riferimento al capo A). La prima sentenza ha valorizzato gli esiti della consulenza tecnica del Pubblico ministero, attestante la presenza di cinquantuno lesioni, tra cui plurime fratture, intervenute la notte della morte del piccolo. Solo due delle tre lesioni da calore riscontrate sul corpicino del bambino, erano state reputate risalire a due - quattro giorni prima dell'accaduto. La Corte di assise di appello esclude la sussistenza del dolo eventuale, per il comportamento dell'imputato, successivo all'ultimo calcio inferto, che era consistito nell'accorata richiesta di soccorso, nonche' nel rammarico, provato successivamente, citando un precedente secondo il quale, in assenza di cesura temporale tra maltrattamenti ed evento morte, la corretta applicazione della legge penale prevede come necessaria la riqualificazione della condotta di cui all'articolo 575 c.p. in quella di cui all'articolo 572 c.p., u.c.. La difesa, invece, evidenzia che l'eta' della vittima, la qualita' e il numero delle lesioni, la gravita' dei colpi, come descritti nella stessa sentenza della Corte d'assise di appello, non potevano che far concludere per la sussistenza del dolo eventuale del reato di omicidio. Nessuno, poi, degli indici richiesti dalla sentenza delle Sezioni Unite, Thyssen risultano verificati da parte della Corte territoriale. Si sarebbe, peraltro, trascurato che l'imputato, dopo il fatto, si era dato alla fuga, aveva violato i suoi obblighi impostigli dall'articolo 147 c.c., aveva agito nonostante le condizioni di fragilita' del piccolo, di eta' poco superiore a due anni, aveva attinto zone del corpo sensibili e delicate, in quanto relative ad un infante, aveva cagionato lesioni con morsi, calci, schiaffi, pugni che non potevano che condurre alla morte, stante l'estrema vulnerabilita' della vittima, in considerazione della sua eta', nonche' per il numero, la reiterazione, l'intensita' dei colpi e le zone del corpo attinte. Si richiamano precedenti di legittimita' (Sez. 1, Rv. 240084; Sez. 1, Rv. 276395; Sez. 6, Rv. 282185), relativi a casi di vessazioni abituali e maltrattamenti seguiti da morte della vittima. Si sottolinea, da ultimo, che in caso di annullamento con rinvio quanto all'operata riqualificazione del fatto, rivivono le circostanze aggravanti escluse dalla Corte territoriale, perche' inerenti esclusivamente al delitto di cui all'articolo 575 c.p. (articolo 576 n. 2 e articolo 577 c.p., n. 1). 2.3.3. Con il terzo motivo si denuncia erronea applicazione dell'articolo 61 n. 1 e articolo 61 n. 11-quinquies c.p. in relazione alle circostanze aggravanti escluse in ordine al reato sub A) come riqualificato e vizio di motivazione. Non risulta provato il movente e, secondo la Corte territoriale, dunque, non vi e' prova della circostanza aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 1. Tale conclusione confliggerebbe con altra parte della motivazione dove per la Corte di assise di appello, movente dovrebbe ravvisarsi nell'ostilita' e disaffezione dell'imputato verso il figlioletto. Quanto alla circostanza di cui all'articolo 61 c.p., n. 11-quinquies, si evidenzia che e' vero che il delitto di cui all'articolo 572 c.p. non rientra tra quelli contro la vita e l'incolumita' personale, ma invece, si sostiene che il reato di maltrattamenti senz'altro lede l'incolumita' personale o la liberta' dell'individuo, concetti da intendere in senso lato, soprattutto quando ai maltrattamenti segua la morte della vittima. Si richiama precedente di questa Corte che reputa, per la fase dell'esecuzione, compatibile la configurabilita' del reato di cui all'articolo 572 c.p. con la circostanza aggravante indicata (Rv. n. 282320). 2.3.4. Con il quarto motivo si denuncia violazione dell' articolo 613-bis c.p., articoli 572 e 84 c.p. e vizio di motivazione. La Corte territoriale reputa il reato di tortura assorbito in quello, ritenuto piu' grave, di maltrattamenti per la sovrapponibilita' del fatto, applicando l'articolo 84 c.p. come evento che aggrava il delitto di cui all'articolo 572 c.p.. Secondo la ricorrente si tratterebbe di due condotte che tutelano beni giuridici distinti (maltrattamenti l'assistenza familiare, la tortura la liberta' morale), che hanno struttura diversa (maltrattamenti, reato abituale, l'altro eventualmente abituale) nei confronti delle quali vi e' come elemento discriminante la crudelta' e per le quali, pertanto, non opera ne' l'assorbimento ne' la specialita', richiamando precedenti di legittimita' indicati come in termini (Rv. 273846; Sez. 3, n. 32380 del 25 maggio 2021). Inoltre, il ragionamento svolto dalla Corte di assise di appello non terrebbe conto delle lesioni alle piante dei piedi del bambino che hanno cagionato, non solo acute sofferenze fisiche, ma anche un trauma psichico. Peraltro, le quarantotto lesioni riscontrate nelle ore immediatamente precedenti la morte del piccolo, sono espressione di condotta reiterata, foriera di sofferenze fisiche di particolare crudelta', eccedente la normalita' causale, atte a cagionare nella vittima sofferenze aggiuntive, richiamando precedente in termini (Rv. 277841). La condotta contestata, peraltro, secondo la ricorrente era soltanto quella di cui all'articolo 613-bis c.p., comma 4, relativa alle lesioni piu' gravi, concretizzata, quindi, in singoli episodi di lesioni non abituali e, in ogni caso, non si comprende perche' sia stato assorbito il delitto di tortura in quello di maltrattamenti e non viceversa, stando alla pena edittale che e' piu' grave, ex articolo 613-bis c.p.. 2.3.5. Con il quinto motivo si denuncia violazione dell'articolo 597, comma 1, articolo 574 c.p.p., comma 4, in ordine alla liquidazione del danno in favore della parte civile e mancanza di motivazione. La Corte territoriale, in mancanza di espressa impugnazione sul punto, revoca le statuizioni risarcitorie a favore della parte civile, sia come conseguenza della pronunciata assoluzione dal delitto di maltrattamenti sub C), sia per la qualita' di madre del minore, vittima del delitto sub A). L'imputato ha impugnato solo i capi della sentenza relativi alla responsabilita', quindi, in caso di accoglimento, senz'altro viene meno anche la pronuncia risarcitoria, anche se non oggetto di specifica richiesta. Pero' si osserva che le statuizioni non attinte da motivo di appello e che non sono collegate alla pronunciata assoluzione, come quella della riqualificazione della condotta sub A), comporta che non possa essere, da parte della Corte di assise di appello, attinta la decisione su tale punto. La Corte territoriale, in caso contrario, violerebbe il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e, comunque, si segnala che la revoca e' del tutto priva di motivazione. 2.3.6. Con il sesto motivo si denuncia erronea applicazione dell'articolo 541 c.p.p., comma 2, e illogicita' della motivazione. Si contesta l'operata compensazione parziale delle spese liquidate in favore della parte civile. Si tratta di compensazione effettuata senza richiesta da parte dell'imputato e senza che siano indicate le gravi ed eccezionali ragioni che la giustificano. La motivazione giustifica detta pronuncia sulla base della parziale soccombenza, ma la parte civile, nel caso di specie, non sarebbe soccombente nel giudizio di appello perche' non e' attore del procedimento, ma si e' limitata ad esercitare l'azione civile rispetto alle prospettazioni accusatorie del Pubblico ministero. 2.4. L'imputato denuncia due vizi. 2.4.1. Con il primo motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 521 c.p.p., articolo 3 Cost., articolo 27 Cost., comma 2, articolo 111 Cost. Una volta operata la riqualificazione del delitto di cui al capo A) in quello di maltrattamenti seguiti da morte della persona offesa e dopo aver operato l'assorbimento ex articolo 84 c.p., in relazione al capo B), come riqualificato, la Corte territoriale ha condannato l'imputato alla pena di anni 28 di reclusione. Ciononostante, si sottolinea la circostanza che, in sede di udienza preliminare, era stata avanzata istanza di rito abbreviato cd. secco o in subordine condizionato, sollevando, in caso di rigetto, questione di illegittimita' costituzionale dell'articolo 438 c.p.p., comma 1-bis. Analoga eccezione era stata riproposta alla prima udienza, dinanzi alla Corte di assise di Milano, da questa respinta con ordinanza del giudice di merito. Si sostiene che, pero', all'esito della riqualificazione operata dalla Corte territoriale, non sarebbe applicabile alla fattispecie in esame lo sbarramento di cui all'articolo 438 c.p.p., comma 1-bis, perche' si tratta di fattispecie di reato che, come riqualificate all'esito del giudizio di appello, non e' punibile con l'ergastolo. Di qui la richiesta dello sconto di pena che sarebbe stato riconosciuto all'imputato ove questi fosse stato giudicato, come tempestivamente richiesto, con il rito abbreviato. Si tratta, per il ricorrente, di richiesta ammissibile in quanto possibile soltanto in sede di legittimita' a seguito dell'operata riqualificazione cui e' pervenuto il giudice di secondo grado e che, ove negata, sarebbe non in linea con il principio di uguaglianza, per disparita' di trattamento, rispetto agli imputati che, per gli stessi reati ritenuti nella sentenza di secondo grado, hanno chiesto ed ottenuto di procedere nei propri confronti con il rito abbreviato. Inoltre, si rileva la violazione delle norme sul giusto processo e la violazione del combinato disposto di cui all' articolo 438, comma 1, e articolo 438 c.p., comma 1-bis. 2.3.2. Con il secondo motivo si denuncia errata interpretazione dell' articolo 69, articolo 62-bis e articolo 133 c.p.. Si sarebbero trascurate ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, anche prevalenti e della entita' del trattamento sanzionatorio, ex articolo 133 c.p. le dichiarazioni autoaccusatorie dell'imputato, quanto alle violenze poste in essere ai danni del figlioletto, l'esistenza di un quadro psicologico compromesso, documentato da cartelle cliniche rilasciate dall'istituto ove il detenuto e' ristretto, oltre che da una consulenza psichiatrica di parte. Si sottolineano, poi, elementi oggettivi e soggettivi (cfr. pag. 9) che la Corte di secondo grado avrebbe trascurato ai fini che interessano. 3.La difesa ha fatto pervenire tempestiva richiesta di trattazione in presenza, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, come prorogato, applicabile a impugnazioni proposte, entro il 30 giugno 2023, ai sensi del Decreto Legislativo n. 150 del 10 ottobre 2022, articolo 94, comma 2, come modificato dal Decreto Legge n. 162 del 31 ottobre 2022, articolo 5-duodecies quale risulta a seguito della conversione avvenuta con L. n. 199 del 30 dicembre 2022. All'odierna udienza le parti presenti hanno rassegnato le conclusioni nel senso precisato in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.II primo motivo di ricorso del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano, i motivi proposti, agli effetti civili, dal curatore speciale delle minori (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' i motivi secondo, quarto e quinto proposti dalla parte civile (OMISSIS), devono essere accolti, limitatamente all'operata riqualificazione giuridica dei fatti di cui ai capi A), B) e C), commessi in danno di (OMISSIS) e alle relative statuizioni civili, con declaratoria di inammissibilita', nel resto, dei ricorsi del Procuratore generale e della persona offesa (OMISSIS). In tale pronuncia restano, pertanto, assorbiti i motivi di ricorso dell'imputato. 2. Il primo motivo di ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano e' fondato per le ragioni di seguito indicate. 2.1. Rileva il Collegio, con riferimento al reato di maltrattamenti in famiglia, che, secondo l'indirizzo interpretativo cui il Collegio intende dare continuita', integra la circostanza aggravante derivante dalla morte della vittima, ritenuta nella fattispecie dalla Corte territoriale in relazione ai capi A) e C) della rubrica come riqualificati, la condotta di colui che pone in essere fatti di maltrattamento nel cui ambito si inscriva un'azione "finale", la quale provochi direttamente il decesso della persona offesa, quando i maltrattamenti, globalmente considerati, pure in considerazione dell'ultimo episodio di violenza, abbiano idoneita' concreta ad offendere il bene della vita, sicche' il decesso finisce per costituire il naturale sviluppo della unitaria abituale condotta di maltrattamenti (tra le altre, Sez. 6, n. 41744 del 11/05/2021, S., Rv. 282185 Sez. 6, n. 16548 del 23/02/2021, S., Rv. 280944; Sez. 6, n. 46848 del 20/11/2012, A., Rv. 254275). Con riferimento, poi, al dolo del reato di omicidio volontario escluso dalla Corte territoriale in relazione al capo A), anche nella forma di quello eventuale, si osserva che e' noto che questa Corte, nella sua massima espressione (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv, 261105) ha affermato che, per la configurabilita' del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione che l'agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si e' verificata nella fattispecie concreta, aderendo psicologicamente ad essa e che, a tal fine l'indagine giudiziaria, volta a ricostruire l'iter del processo decisionale, puo' fondarsi su una serie di indicatori. Questi sono, secondo le Sezioni Unite: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalita' e le pregresse esperienze dell'agente; c) la durata e la ripetizione dell'azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilita' con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilita' di verificazione dell'evento; g) le conseguenze negative anche per l'autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si e' svolta l'azione nonche' la possibilita' di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l'agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita, neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell'evento (cosiddetta prima formula di Frank). Dunque, quando l'agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilita' di verificazione dell'evento concreto e, cio' nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l'eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l'evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi detto evento, ricorre senz'altro il dolo eventuale. 2.1.1. Con riferimento al reato di tortura contestato al capo B), ritenuto ai sensi dell'articolo 84 c.p., circostanza aggravante del reato di maltrattamenti aggravato da morte, come riqualificata la condotta da parte della Corte territoriale, si osserva che, secondo la giurisprudenza di legittimita', cui il Collegio aderisce (cfr. Sez. 5, n. 50208 del 11/10/2019, Rv. 277841; Sez. 5, n. 47079 del 08/07/2019, R. Rv. 277544), il requisito della crudelta' della condotta di cui all'articolo 613-bis c.p., si concretizza in presenza di un comportamento eccedente rispetto alla normalita' causale che determina nella vittima sofferenze aggiuntive ed esprime un atteggiamento interiore, particolarmente riprovevole dell'autore del fatto. Si tratta di delitto configurato dal legislatore come reato eventualmente abituale, potendo essere integrato da piu' condotte violente, gravemente minatorie o crudeli, reiterate nel tempo, oppure da un atto lesivo dell'incolumita' o della liberta' individuale e morale della vittima, che pero' comporti un trattamento inumano e degradante per la dignita' della persona, essendo sufficienti condotte reiterate anche in un minimo lasso temporale. La tortura e', dunque, un reato a condotta reiterata, solo eventualmente abituale, che puo' essere integrato anche da una sola condotta che, pero', in tal caso deve integrare un trattamento inumano e degradante per la dignita' della persona. In questo senso va, infatti, intesa la proposizione normativa di cui all'articolo 613-bis c.p., comma 1, che, oltre a descrivere la condotta criminosa sulla base di note modali non necessariamente abituali (con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudelta') e a concentrare il disvalore sull'evento alternativo (cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico), prevede che il fatto possa essere commesso mediante piu' condotte ovvero anche con una condotta che determina un trattamento inumano e degradante per la dignita' della persona. Gli obblighi di incriminazione che sono derivati, per il legislatore nazionale, anche dalle carte internazionali, con particolare riferimento al divieto di tortura previsto dall'articolo 3 CEDU e dall'articolo 7 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, sono stati, dunque, ottemperati con la L. 14 luglio 2017 n. 110, che ha introdotto dagli articoli 613-bis e 613-ter c.p.p. In particolare, con l'articolo 613-bis c.p., e' stato tipizzato il reato di tortura strutturato come delitto a "geometria variabile" potendo l'ambito di operativita' della norma ricomprendere sia la tortura privata, cd. comune, orizzontale o impropria, di cui all'articolo 613-bis c.p., comma 1, sia la tortura pubblica cioe' cd. di Stato, verticale o propria, di cui all'articolo 613-bis, comma 2. Sono stati, quindi, configurati due titoli autonomi di reato e due diverse autonome fattispecie incriminatrici, a disvalore progressivo, secondo la qualifica del soggetto attivo del reato. La norma penale e' stata collocata tra i delitti contro la persona, tra i delitti contro la liberta' individuale, in particolare alla fine della sezione relativa ai delitti contro la liberta' morale. Tale collocazione induce la giurisprudenza di legittimita' a ritenere che l'oggettivita' giuridica generica debba individuarsi nella tutela della cd. liberta' morale o psichica della persona, intesa come diritto dell'individuo di autodeterminarsi liberamente, in assenza di coercizioni fisiche e psichiche che ne limitino la liberta' di movimento, liberta' pregiudicata da condotte costrittive che cagionano acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a persona affidata alla custodia, alla vigilanza e al controllo, cura o assistenza dell'agente, o che versi in una situazione di assoluta vulnerabilita'. Con la conseguenza che la forza di resistenza del soggetto passivo risulta, in quest'ultimo caso, ostacolata da particolari condizioni personali e ambientali che facilitano l'azione del colpevole e che rendono effettiva la signoria o il controllo dell'agente sulla vittima, agevolando il depotenziamento se non l'annullamento della capacita' di reazione di quest'ultima. E tutto cio' quando il fatto sia commesso con piu' condotte o, in mancanza di condotte plurime, comporti un trattamento umano e degradante per la dignita' della persona (Sez. 5, n. 50208 del 11/10/2019, S. Rv. cit.). Consistendo la tortura nell'inflizione di sofferenze corporali, questa determina un grave e prolungato patimento fisico e morale dell'essere umano che la patisce, cosicche' la sua particolarita' risiede nella conclamata e terribile attitudine che la stessa possiede, cioe' quella di assoggettare completamente la persona la quale, in balia dell'arbitrio altrui, e' trasformata da essere umano in una cosa ossia in una res oggetto di accanimento. Tale sofferenza corporale e' solo una componente della fattispecie incriminatrice il cui contenuto si arricchisce con la lesione della dignita' umana che costituisce la cifra comune della lesivita' specifica, tanto del reato di tortura privata quanto di quello di tortura pubblica e che consiste nell'asservimento della persona e, di conseguenza, dell'arbitraria negazione dei suoi diritti fondamentali inviolabili. Nel caso della tortura introdotto nell'articolo 613-bis c.p., quindi, si e' voluto ampliare il raggio di incriminazione rispetto alla soglia minima richiesta dal diritto internazionale. Si e' riconosciuta, infatti, la configurabilita' del reato anche nelle relazioni private, fermo restando il reato di tortura pubblica il quale non puo' assumere la forma circostanziale rispetto a quella privata ma costituisce istituto autonomo. Si tratta, dunque, di reato comune potendo essere realizzato da chiunque, a forma vincolata, essendo anche richiesto un requisito modale della condotta. La tortura e', poi, reato di evento, dovendo essere cagionate acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico, nonche' un reato eventualmente abituale improprio a dolo generico. Peraltro, anche in relazione alla dimensione eventualmente abituale del reato, va precisato che non e' richiesto un dolo unitario, rappresentazione, deliberazione iniziali anticipate del complesso di condotte da realizzare, calibrato su un'inesistente unita' ontologica del reato abituale, essendo, invece, sufficiente la coscienza e volonta' di volta in volta delle singole condotte (tra le altre, in tema di maltrattamenti, quale reato necessariamente abituale, Sez. 6, n. 25183 del 19/06/2012, R., RV. 253042). Va, infine, richiamato l'indirizzo di questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U, n. 38402 del 15/07/2021, Magistri, Rv. 281973) in tema di reato complesso, che ha sottolineato che e' necessario, per la configurabilita' dell'istituto, il presupposto sostanziale dell'unitarieta' del fatto - in aggiunta alle condizioni strutturali previste dall'articolo 84 c.p. - presupposto articolato non solo nella contestualita' dei singoli fatti criminosi sussunti della fattispecie assorbente, ma anche nella loro collocazione in una comune prospettiva finalistica, in quanto fondamento del reato complesso deve ravvisarsi nella convergenza dei fatti che lo compongono in direzione di un unico risultato finale. 2.1.2.Tali essendo i principi giurisprudenziali interpretativi cui il Collegio intende uniformarsi, si osserva che la sentenza di secondo grado, con riferimento al reato di omicidio volontario aggravato (ai sensi dell' articolo 576 n. 2, in relazione all'articolo 61 n. 1, 4 e 5, articolo 577, n. 1, articolo 61 n. 1, 4, articolo 11-quinquies, articolo 94 c.p.), commesso ai danni del minore, contestato al capo A) e quello di maltrattamenti di cui al capo C), ne ha ritenuto la diversa qualificazione, quale maltrattamenti aggravati da morte, in virtu' della riscontrata abitualita' delle condotte poste in essere ai danni del minore, considerando, quale dies a quo, il momento in cui il bambino, dopo essere stato affidato a terzi, era rientrato in famiglia, comportamenti ritenuti perpetrati, in modo omogeneo, per alcuni mesi, fino alla sua morte, avvenuta il 22 maggio 2019, senza soluzione di continuita' (cfr. pag. 54 e ss.). In data (OMISSIS) vi sono stati, secondo il giudice di appello, i primi episodi di maltrattamenti che avrebbero reso necessario l'intervento medico per le condizioni del piccolo. In quest'ultima data, peraltro, si colloca il brevissimo contatto con l'autorita' di polizia, circostanza documentata, nella quale la madre del piccolo aveva provato a chiamare il 112 (telefonata delle ore (OMISSIS), durata appena quattro secondi) perche', come la donna avrebbe, poi, spiegato nel corso della sua testimonianza, il bambino era stato picchiato tantissimo nella notte dal suo compagno. In quell'occasione, secondo la ricostruzione della donna riportata dalla sentenza di appello, il ricorrente aveva picchiato il bambino con una cintura e la sera, nell'imboccare con forza il figlio, lo aveva fatto vomitare. La sentenza espone che, a quel punto, la donna aveva chiamato il n. 112 ma che era intervenuto il compagno ad interrompere la telefonata e che l'oggetto, da quel giorno, non le era stato piu' restituito (circostanza, narrata dalla madre del piccolo, ma considerata non credibile da parte della Corte territoriale, cfr. pag. 55). In ogni caso, sulla scorta della deposizione della donna, ma anche delle intercettazioni successive, il giudice di appello giunge a collocare temporalmente le condotte maltrattanti, nei confronti della piccola vittima, a partire dal (OMISSIS) (cfr. pag. 54), prima occasione in cui il padre aveva picchiato l'infante e, nella reiterazione di dette condotte ai danni del bambino, si giunge, secondo la Corte territoriale, alla sera del (OMISSIS) quando, nella notte, la madre descrive il rinvenimento sul pavimento, da parte sua, del corpo del bambino ancora vivo, nonche' il calcio al petto, sferrato dal compagno, momento a partire dal quale il bambino non respirava piu' ("non respirava piu', non c'era piu'"). La Corte territoriale esclude la sussistenza dell'autonoma fattispecie di omicidio volontario pluriaggravato, ritenendo l'assenza di dolo (anche eventuale) del reato contestato al capo A), per essere stato lo stesso imputato a chiedere i soccorsi, per il suo pentimento dopo il fatto e non ravvisando alcuna cesura tra le descritte condotte maltrattanti e l'evento morte, verificatosi senza alcuna interruzione cronologica, richiamando come in termini la pronuncia di legittimita', Sez. 6, n. 46848 del 20/11/2012; sicche' ha riqualificato i fatti sub A) e C) quale reato di maltrattamenti aggravato perche' dal fatto e' derivata la morte della vittima. Tuttavia, sul punto, osserva il Collegio che proprio dalla motivazione della Corte territoriale - che, dunque, non segue un ragionamento lineare e immune da illogicita' manifesta ma che, anzi, fonda su argomenti, in parte, contraddittori e viziati da violazione di legge - si ricava l'esistenza di un momento temporale in cui le condotte maltrattanti hanno subito una considerevole esdation, integrando autonome e distinte condotte, alla stregua della stessa ricostruzione che si ricava dalla sentenza di appello, per le quali, dunque, e' necessario verificare, in sede di merito, la loro idoneita' a configurare l'autonoma fattispecie di cui all'articolo 613-bis c.p., come contestata al capo B). L'esame autoptico di cui rende conto la sentenza impugnata, infatti, ha dato modo di acclarare che moltissime lesioni - tra cui quella mortale - riscontrate sul corpo martoriato della giovane vittima erano risalenti a qualche ora prima del decesso, mentre diverse di queste risalivano a giorni precedenti (vedi pag. 59). Si fa riferimento alle lesioni che, secondo gli accertamenti medico legali, risalivano dai due ai quattro giorni prima della morte, quali le bruciature alle piante dei piedi, le varie ecchimosi e contusioni esogene, tutte descritte come non accidentali e cagionate da terzi, nonche' inferte con la precisa volonta' di ledere o ferire, in maniera importante, in tempi diversi di cui la stessa sentenza di appello rende conto per ricostruire gli esiti traumatici riscontrati sulla vittima. Anche parte delle lesioni descritte come attuate qualche ora prima del decesso, sono indicate come determinate da calci e pugni ripetuti, anche sulla testa, con lacerazione del frenulo labiale superiore, da morsicature, da bruciature, integranti un vero e proprio pestaggio attuato, quella notte, ai danni del bambino. A fronte di tale motivazione, dunque, deve rilevarsi la denunciata violazione di legge penale e il vizio di cui all'articolo 606 c.p.p., lettera e), denunciato, quanto alla pronunciata riqualificazione della condotta contestata ai capi A) e C), in quella di cui all'articolo 572 c.p., aggravato dalla morte della vittima e nel pronunciato assorbimento del reato di tortura sub B), quale circostanza aggravante della fattispecie come riqualificata, ai sensi dell'articolo 84 c.p.. In primo luogo, osserva il Collegio che emerge una cesura temporale e logica, secondo la stessa motivazione d'appello, tra le prime condotte abituali di maltrattamenti, attuate nei confronti della piccola vittima e l'evento morte, verificatosi in data 22 maggio 2019, perche' in tale condotta si innesta una seconda fase, caratterizzata da lesivita' ulteriore, descritta quale considerevole e2lation violenta che ha provocato nella giovane vittima acute sofferenze. Si evince, dunque, dalla motivazione di appello che la morte del bambino non si verifica direttamente, quale naturale sviluppo dei maltrattamenti globalmente considerati, ma in tale iter abituale, si innesta un inasprimento della condotta violenta ai danni della vittima, a partire dai due ai quattro giorni precedenti il decesso, nonche' attuata anche la sera stessa, provocando numerosissime lesioni, che aveva condotto alla morte del piccolo, con esecuzione di plurime condotte, brutali e violente, che la stessa sentenza di appello indica come esogene, non accidentali ma cagionate dall'imputato, con la precisa volonta' di ledere e ferire. Cosi' finendo per descrivere tre distinte porzioni di condotte, sia dal punto di vista ontologico che cronologico. Tanto, in ossequio all'indirizzo interpretativo che piu' si attaglia al caso di specie secondo il quale risponde della fattispecie di maltrattamenti aggravati dalla morte della persona offesa, solo chi pone in essere fatti di cui all'articolo 572 c.p., nel cui ambito si inscriva un'azione finale che provochi, direttamente, il decesso della persona offesa, quale naturale sviluppo dell'unitaria ed abituale condotta stessa (Sez. 6, n. 41744 del 11/05/2021, Rv. cit.; Sez. 6, n. 16548 del 23/02/2021, Rv. cit.). Si tratta di conclusione cui si deve giungere tenendo conto degli accadimenti di cui da' atto il giudice di appello, diversi rispetto a quelli presi in esame nella fattispecie evocata dalla Corte territoriale (Sez. 6, n. 46848 del 20/11/2012, cit.). Quest'ultima, infatti, e' pronuncia riferita ad un caso in cui il colpo mortale non era stato diverso da quelli inferti dall'agente, nel corso di altri episodi di violenza, commessi ai danni del minore, ma praticamente contestuale, visto che l'ultima percossa, per le sue intrinseche caratteristiche e la successiva morte del bambino, non costituivano rispettivamente un fatto e un evento imprevedibile rispetto all'unitaria e abituale condotta di maltrattamenti accertata, ma il loro naturale sviluppo. Nel caso in esame, invece, per quanto risulta dalla sentenza di appello, vi e' una cesura tra la condotta di maltrattamenti (a partire dalle due lesioni per bruciatura della pianta dei piedi e alle contusioni ed ecchimosi che si collocano nei giorni immediatamente precedenti al decesso) e l'evento morte verificatosi quella notte, provocato da lesioni e percosse brutali, messe a segno come un vero e proprio pestaggio, condotte autonome, rispetto alle quali va verificata l'intrinseca idoneita' ad integrare il delitto di tortura. Queste, invero, sono descritte come condotte che hanno provocato il decesso della vittima attraverso un comportamento dotato di un allarmante e violento quid pluris, che, quindi, non e' affatto indicato dalla stessa Corte territoriale come sviluppo naturale dell'unitaria ed abituale condotta di maltrattamenti, fino a quel momento attuata nei confronti del bambino. Inoltre, ai fini della configurabilita' del reato di omicidio volontario, il Collegio rileva che la Corte territoriale esclude che le lesioni inferte quella notte fossero sorrette da dolo diretto o, quanto meno, eventuale, rispetto alla morte dell'infante, gia' oggetto di altre condotte violente e lesive, prima di quella sera. Detta volonta' omicidiaria viene esclusa sulla base di un ragionamento manifestamente illogico che valorizza esclusivamente, la chiamata di soccorso che proviene dallo stesso imputato, attuata, pero', sempre secondo quanto descrivono i giudici di secondo grado, quando ormai il bambino non respirava piu', come affermato dalla madre e come comunicato dalla donna, al telefono, parlando con la sua genitrice. Quindi la motivazione appare viziata, quanto meno perche' contraddittoria e manifestamente illogica, in relazione all'esclusione del dolo, nella forma di quello eventuale, in relazione al reato di omicidio volontario, di cui all'articolo 575 c.p.. Sul punto si rimarca, poi, come valorizzato anche dalle ricorrenti parti civili, che secondo i giudici di appello, 1"imputato, dopo il fatto, si e' dato alla fuga, ha senz'altro violato gli obblighi impostigli nei confronti del figlio minore dall'articolo 147 c.c., ha agito con un vero e proprio sistematico pestaggio, nonostante le condizioni di fragilita' e minorata difesa del piccolo, di eta' poco superiore a due anni, ha attinto, in tale azione reiterata, zone del corpo sensibili e delicate (la testa e il torace), a maggior ragione perche' relative ad un infante, ha cagionato lesioni con morsi, calci, schiaffi, pugni che non potevano che condurre alla morte, stante l'estrema vulnerabilita' della vittima, in considerazione della sua eta', nonche' per il numero, la reiterazione, l'intensita' dei colpi (tanto che sono state riscontrate plurime fratture) e le zone del corpo attinte. Peraltro, i soccorsi non risultano, dai provvedimenti di merito, chiamati ad intervenire immediatamente dopo le percosse ma dopo qualche tempo, rispetto al momento in cui il bambino non respirava piu'. Infatti, secondo l'esame autoptico come riportato dai giudici di appello, diverse delle lesioni riscontrate sul corpo della vittima avevano preceduto il decesso di almeno qualche ora. In secondo luogo, il Collegio osserva che le condotte di tortura, contestate al capo B), per quello che concerne quelle poste in essere la notte del (OMISSIS) (attraverso, ad esempio, le riscontrate bruciature, morsicature, lacerazione del frenulo, colpi al capo e al torace) e quelle attuate nei giorni immediatamente precedenti la morte, come descritte dalla sentenza di appello, risultano comportamenti platealmente eccedenti rispetto alla normalita' causale, che hanno determinato nella vittima sofferenze corporali aggiuntive, con grave e prolungato patimento fisico e morale. Si ravvisano, secondo la sentenza di appello, infatti, piu' condotte violente, reiterate nel tempo e tali da sottoporre la vittima anche ad un trattamento degradante per la dignita' del bambino, pur se attuate in un minimo lasso temporale, ma, comunque, atte a cagionare acute sofferenze, fisiche e psichiche della vittima, peraltro affidata alla cura e alla potesta' dello stesso agente, suo genitore. Dunque, si ravvisa vizio di motivazione e violazione di legge anche quanto al pronunciato assorbimento del reato di tortura in quello di maltrattamenti seguito da morte della vittima, tenuto conto che e' carente, nella motivazione censurata, il presupposto sostanziale dell'unitarieta' del fatto - in aggiunta alla carenza delle condizioni strutturali previste dall'articolo 84 c.p. - presupposto che richiede non solo la contestualita' dei singoli fatti criminosi sussunti della fattispecie assorbente, ma anche la loro collocazione in una comune prospettiva finalistica, in quanto fondamento del reato complesso deve ravvisarsi nella convergenza dei fatti che lo compongono in direzione di un unico risultato finale, non ravvisabile nella specie, alla stregua dei dati di fatto di cui rende conto la stessa sentenza di appello. Dunque, viziata da violazione di legge penale e da manifesta illogicita' della motivazione e' l'operata riqualificazione dei reati di cui ai capi A) e C) in quello di maltrattamenti aggravato da morte e ai sensi dell'articolo 61 n. 4 e articolo 5 c.p., nonche' il pronunciato assorbimento, in tale fattispecie, del reato di tortura di cui al capo B). Deve rilevarsi, da ultimo, ove il giudice del rinvio, nel giudizio di merito diretto alla corretta qualificazione delle condotte ascritte all'imputato ai capi A), B) e C), secondo i principi fissati da questa Corte nella presente sede, ravvisi la sussistenza del reato di omicidio volontario aggravato, gli estremi dell'assorbimento, eventualmente, potranno reputarsi sussistenti tra il reato di tortura sub B) e quello di omicidio volontario di cui al capo A), come rimarcato dalla parte pubblica ricorrente, ove la morte sia ritenuta dal giudice del rinvio conseguenza voluta dall'agente, cosi' procedendo alla riqualificazione del fatto ai sensi dell'articolo 613-bis c.p., comma 5, seconda parte, fattispecie di reato punito con la pena dell'ergastolo. Si impone, pertanto, il pronunciato annullamento nei limiti indicati nel dispositivo, perche' il giudice del rinvio proceda alla corretta qualificazione delle condotte contestate ai capi A), B) e C) quest'ultimo commesso ai danni del minore, secondo i principi interpretativi sin qui esposti e precisi: - se vi e' configurabilita' dei maltrattamenti per la prima parte della condotta ai danni del minore (attuata a partire dal mese di marzo 2019); - se e' ravvisabile, per la condotta attuata da due a quattro giorni prima della morte e fino al (OMISSIS), il delitto di tortura; - se e' configurabile il delitto di omicidio volontario pluriaggravato come contestato e se vi e' eventuale assorbimento della condotta di cui al capo A), in quella di tortura seguita da morte (voluta), punita con la pena dell'ergastolo: - se sussiste, in relazione alla fattispecie sub A), il dolo (eventuale) tenendo presenti, in tale scrutinio, tutti i criteri indicatori di cui alla sentenza delle Sezioni Unite, ric. Espenhahn citata. 2.2.11 secondo motivo del ricorso della parte pubblica e' inammissibile. Invero, il motivo attinge il giudizio di attendibilita' e credibilita' della persona offesa reso dalla Corte territoriale, con riferimento alla condotta di maltrattamenti commessi ai danni della compagna, contestati al capo C). Si osserva, conformemente al pacifico e costante orientamento ermeneutico formatosi in seno a questa Corte regolatrice che, in tema di valutazione della prova dichiarativa, l'attendibilita' della persona offesa dal reato e' una questione di fatto che ha la sua chiave di lettura nell'insieme di una motivazione logica, rispetto alla quale e' inibita ogni rivalutazione in sede di legittimita', salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362). Tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., non rientrano, infatti, quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l'indagine sull'attendibilita' dei testimoni e parti lese, salvo il controllo estrinseco della congruita' e logicita' della motivazione. Peraltro, la censura sollecita poteri rivalutativi in ordine a fonti di prova dichiarativa e documentale, non attribuiti al giudice di legittimita', per il quale il controllo consentito concerne esclusivamente il rapporto tra motivazione e decisione, non quello tra prova e decisione; sicche' il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non gia' nei confronti della valutazione probatoria che, in quanto riservata al giudizio di merito, e' estranea al perimetro cognitivo del giudice di legittimita' (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. 6, n. 456 del 21/09/2012, dep. 2013, Cena, Rv. 254226; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, Rv. 235507). 3.11 ricorso della parte civile, avv. (OMISSIS), quale curatore speciale delle minori (OMISSIS), (OMISSIS), e' ammissibile. Va premesso, invero, che le parti civili assistite dal curatore speciale sono costituite in quanto parti lese del reato di cui al capo C) commesso ai loro danni, per il quale e' stata pronunciata l'assoluzione dell'imputato, ma anche quali minori danneggiate dai reati commessi nei confronti del fratello minore, iure proprio e iure successionis. Evidentemente a tale titolo e' gia' intervenuta condanna dell'imputato, da parte del primo giudice, alla somma di Euro centomila, quale risarcimento dei danni da loro patiti. Cio', nonostante la pronunciata assoluzione dal reato di cui al capo C) (ormai divenuta definitiva) commesso ai loro danni. Inoltre, deve rilevarsi che la corretta qualificazione delle condotte, ascritte all'imputato in relazione ai capi A), B) e C), incide sull'entita' del risarcimento in favore delle parti civili, posto che questo e' stato determinato dal primo giudice in un importo unitario, per tutte le condotte e, peraltro, di pari entita' per tutte le parti civili. 3.1. Cio' posto, si osserva che i motivi di ricorso primo, secondo e terzo sono fondati e si richiama, sul punto, quanto esposto al § 2. con riferimento all'impugnazione della parte pubblica. 3.2. Con particolare riferimento al secondo motivo di ricorso, si ribadisce che, in relazione alla dedotta erronea applicazione degli articoli 572 e 613-bis, 84 c.p. va condiviso il richiamato indirizzo di legittimita' secondo il quale nel caso in cui risultano acclarate, oltre alle sofferenze, anche altri comportamenti, minacce, percosse, tutti atti di offesa alla dignita' personale della vittima, come indicato, peraltro, dalla stessa Corte territoriale nel descrivere, nella motivazione, il corpo martoriato del bambino, coperto di lividi, lesioni lievi e gravi, il rapporto tra le due condotte non puo' giungere all'assorbimento del delitto di tortura in quello di maltrattamenti. In relazione ai rapporti tra il delitto di tortura e quello di maltrattamenti va rilevato che entrambi i reati rientrano nello schema dei reati di durata, eventualmente abituale, il reato di tortura, necessariamente abituale quello di maltrattamenti. Avuto riguardo ai principi che regolano il concorso di reati, va ricordato che, ai fini della individuazione della disposizione prevalente, il presupposto della convergenza di norme puo' ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le norme stesse, alla cui verifica deve procedersi mediante il confronto strutturale tra fattispecie astratte, con la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248864). Sicche' il confronto strutturale delle fattispecie depone, nel caso in esame, per la configurabilita' del concorso materiale tra reati posto che in linea astratta, per l'integrazione del reato di maltrattamenti possono assumere rilievo anche fatti non penalmente rilevanti o, comunque, non gravi, mentre ai fini della configurabilita' del reato di tortura, dovranno essere considerati necessariamente solo fatti (a seconda dei casi minaccia, percosse, lesioni, violenza privata) che si caratterizzano per la loro gravita' e per la loro idoneita' a produrre acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico, con la conseguenza che ciascuno dei singoli atti che concorrono ad integrare la fattispecie di tortura deve necessariamente superare la soglia minima di gravita', requisito non richiesto invece per i maltrattamenti. Si impone, pertanto, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata in relazione alle statuizioni civilistiche dipendenti dalla qualificazione dei reati di cui ai capi A), B), C) (quest'ultimo commesso ai danni del minore) che sara' operata dal giudice del rinvio, in ordine alle persone offese costituite parti civili, rappresentate dal curatore. 4. Il ricorso della parte civile (OMISSIS) e' fondato limitatamente al secondo, quarto e quinto motivo, per le ragioni che sono state sin qui esposte quanto alla necessita' che sia rivista, in sede di merito, la qualificazione giuridica dei reati sub A), B) e C), quest'ultimo limitatamente ai maltrattamenti eseguiti ai danni del bambino deceduto. 4.1. Il primo motivo e' inammissibile. Il motivo svolto sull'attendibilita' della persona offesa e' versato in fatto e sollecita una diversa ricostruzione delle fonti di prova, inibita al giudice di legittimita', proponendo un'alternativa lettura delle dichiarazioni, delle captazioni tra l'imputato e i suoi familiari, durante la detenzione del primo, nonche' delle telefonate registrate, non consentita in questa sede. Indubbio, risulta lo sforzo motivazionale della pronuncia impugnata e tale da integrare i caratteri della motivazione rafforzata, richiesta da consolidata giurisprudenza di questa Corte nel caso in cui la sentenza di appello riformi, in senso assolutorio, quella di primo grado e vi sia una netta disparita' di valutazioni e di conclusioni tra i giudici dei due gradi di merito, come avvenuto nella specie, con riferimento al capo C) contestato all'imputato come commesso ai danni della compagna. La Corte di appello delinea le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio con riferimento al delitto di cui al capo C), commesso ai danni della parte civile (cfr. pag. 79 e ss.) e si diffonde nel confutare specificamente i piu' rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato in senso assolutorio, limitatamente alla condotta di maltrattamenti ai danni della compagna (tra le altre, Sez. U, n. 33478 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. 2 n. 746 del 11/11/2005, dep. 2006, Vagge, Rv. 232986). 4.2. Il secondo, quarto e quinto motivo sono fondati. Sul punto si richiamano le osservazioni svolte con riferimento al ricorso della parte pubblica, al § 2. Va, qui, precisato che, come rimarcato dalla parte civile, avendo questa Corte pronunciato l'annullamento con rinvio anche quanto all'operata riqualificazione del fatto sub A), la contestazione con la quale il giudice del rinvio dovra' confrontarsi onde esaminarne l'eventuale sussistenza e' quella originariamente mossa all'imputato di omicidio volontario pluriaggravato, con riferimento anche alle circostanze aggravanti inerenti al delitto di cui all'articolo 575 c.p. (articolo 576 n. 2 e articolo 577 c.p., n. 1) originariamente contestate e non espressamente escluse dal giudice di appello. 4.3. Il terzo motivo e' inammissibile, posto che non risulta oggetto di impugnazione della parte pubblica, l'intervenuta esclusione delle circostanze aggravanti di cui all' articolo 61 n. 1 e articolo 61 n. 11-quinquies c.p., in ordine al reato sub A) come riqualificato, pronuncia rispetto alla quale, peraltro, la parte civile non illustra, compiutamente, l'interesse alla censura prospettata sotto il profilo dell'incidenza di dette specifiche circostanze rispetto all'entita' del risarcimento. In ogni caso, si osserva che gli argomenti proposti, in relazione alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 61 n. 1 c.p. sono genericamente prospettati e quelli relativi alla circostanza di cui all'articolo 61 c.p., n. 11-quinquies, sono articolati tenendo conto dell'intervenuta riqualificazione della condotta sub A) nel reato di maltrattamenti aggravato, statuizione oggetto di annullamento con rinvio pronunciato in questa sede. 4.4. Il quinto motivo e' fondato. La Corte territoriale ha revocato tutte le statuizioni risarcitorie a favore della parte civile. Cio', non soltanto in relazione alla pronunciata assoluzione dal delitto di maltrattamenti sub C) commesso ai suoi danni, ma anche nella qualita' di madre del minore, vittima dei reati sub A), B) e C), senza alcuna motivazione. Ne deriva che, in sede di merito, a fronte della riscontrata responsabilita' dell'imputato, all'esito della demandata esatta qualificazione delle condotte andra' rivista anche la disposta revoca tout court della pronuncia risarcitoria in favore della parte civile, compagna dell'imputato. 4.5. Il sesto motivo e' inammissibile. La censura attinge la compensazione delle spese processuali, liquidate in favore della parte civile, statuizione che non puo' essere rivisitata in sede di legittimita'. In tema di pagamento delle spese processuali in favore della parte civile costituita la decisione del giudice del merito di compensare le medesime, essendo l'espressione di un potere discrezionale attribuito dalla legge, e' incensurabile in cassazione, a meno che essa non sia basata su ragioni palesemente illogiche, tali da inficiare, stante la loro inconsistenza, lo stesso processo formativo della volonta' decisionale espressa sul punto (Sez. 3, n. 9344 del 15/07/1994, Bertino, Rv. 198802). 5.11 ricorso dell'imputato devolve censure il cui esame non puo' essere svolto se non all'esito del nuovo giudizio di merito, dunque, da considerare assorbite dal pronunciato annullamento con rinvio. 5.1.Si deve infatti rimettere, all'esito del giudizio di rinvio, la questione dell'operativita' o meno alla fattispecie in esame, dello sbarramento di cui all'articolo 438 c.p.p., comma 1-bis, nel testo introdotto dalla L. n. 33 del 2019, articolo 1, comma 1, lettera a), il quale prevede che non e' ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo. Secondo la pronuncia Corte Cost. n. 207 del 2022 tale disposizione e' intervenuta a sancire una preclusione all'accesso al giudizio abbreviato per questa categoria di delitti, dopo che tale facolta' era stata implicitamente riconosciuta dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice di procedura penale e all'ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennita' spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense), il cui articolo 30 aveva inserito nell'articolo 442 c.p.p. un secondo periodo al comma 2, secondo il quale alla pena dell'ergastolo e' sostituita quella della reclusione di anni trenta. Di li' a poco, dal Decreto Legge 23 novembre 2000, n. 341 articolo 7 (Interpretazione autentica dell'articolo 442 c.p.p., comma 2, e disposizioni in materia di giudizio abbreviato nei processi per reati puniti con l'ergastolo), convertito, con modificazioni, nella L. 10 gennaio 2001, n. 4, aveva inoltre stabilito che nell'articolo 442 c.p.p., comma 2, ultimo periodo, l'espressione "pena dell'ergastolo" deve intendersi riferita alli ergastolo senza isolamento diurno e aveva conseguentemente aggiunto allo stesso articolo 442 c.p.p., comma 2, un terzo periodo, secondo il quale "alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, e' sostituita quella dell'ergastolo". Nel quadro di tale intervento assumono rilievo ulteriori disposizioni contenute nella richiamata L. n. 33 del 2019. Deve essere segnalato, tra gli altri, dall'articolo 438 c.p.p., comma 6-ter, introdotto dall'articolo 1, comma 1, lettera c), della L. n. 33 del 2019, secondo cui "qualora la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell'udienza preliminare sia stata dichiarata inammissibile ai sensi del comma 1-bis, il giudice, se all'esito del dibattimento ritiene che per il fatto accertato sia ammissibile il giudizio abbreviato, applica la riduzione della pena ai sensi dell'articolo 442, comma 2". Specularmente, il nuovo articolo 441-bis c.p.p., comma 1-bis, introdotto dalla medesima L. n. 33 del 2019, articolo 2 stabilisce che "se, a seguito delle contestazioni, si procede per delitti puniti con la pena dell'ergastolo, il giudice revoca, anche d'ufficio, l'ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato e fissa l'udienza preliminare o la sua eventuale prosecuzione". Orbene, si osserva che il disposto annullamento con rinvio inibisce di valutare la fondatezza o meno della censura prospettata, avendo questo ad oggetto proprio la qualificazione della condotta anche quale titolo di reato punito con la pena dell'ergastolo. Tanto, peraltro senza considerare che, secondo la Corte territoriale, la preclusione fonderebbe sulla circostanza che la richiesta di rito abbreviato non e' stata rinnovata, formalmente, nei termini e nei modi di cui all'articolo 438 c.p.p., come interpretato dalla Corte Cost. con sentenza n. 169 del 19 maggio 2003, alla prima udienza dibattimentale, non anche perche' il reato per il quale si procede a carico dell'imputato e' punito con la pena dell'ergastolo. 5.2. Del pari risulta assorbito nel pronunciato annullamento con rinvio l'esame del secondo motivo di ricorso relativo al trattamento sanzionatorio. Da ultimo, e' appena il caso di osservare che, in quanto tardiva, non puo' essere esaminata la memoria difensiva, ai sensi dell'articolo 121 c.p.p., cui la difesa si e' riportata in sede di precisazione delle conclusioni. Invero, i termini per il deposito delle memorie difensive anche di replica, previsti dall'articolo 611, c.p.p. relativamente al procedimento in camera di consiglio, secondo la giurisprudenza, condivisa dal Collegio, di questa Corte di egittimita', sono applicabili anche ai procedimenti in udienza pubblica e la loro inosservanza esime la Corte di cassazione dall'obbligo di prendere in esame le stesse (Sez. 3, n. 48584 del 20/09/2016, Cacciatore, Rv. 268192; Sez. 1, n. 19925 del 04/04/2014, Cutri', Rv. 259618). Consegue a quanto sin qui esposto l'assorbimento, allo stato, dei due motivi di ricorso proposti da (OMISSIS), il cui esame implica la corretta qualificazione dei fatti di cui ai capi A), B) e C), commessi ai danni del figlio minore, che sara' adottata all'esito del giudizio di rinvio. 6. Alla pronuncia stante la mancanza, allo stato, di totale soccombenza agli effetti penali, non consegue la condanna dell'imputato alle spese processuali. Consegue, invece, la condanna dell'imputato, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa, sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara' liquidata dalla Corte di assise di appello di Milano, con separato decreto di pagamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82 e 83, disponendo il pagamento a favore dello Stato, ai sensi dell'articolo 110, comma 3, TU cit. e demandandone la liquidazione alla Corte di assise di appello (Sez. U, n. 5464 del 12/02/2020, ric. De Falco). Invero, deve ritenersi applicabile la pacifica giurisprudenza secondo la quale soltanto la parte interamente vittoriosa non puo' essere condannata, neanche in minima quota, al pagamento delle spese processuali sostenute dalle parti civili (Sez. civ. n. 4201 del 2002; Sez. civ. N. 406 del 2008; Sez. n. 31744 del 2003, Rv. 225928) mentre e' legittima la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile quando la responsabilita' sia stata confermata (tra le altre, pur in presenza di un accoglimento dell'impugnazione sotto altri profili, Sez. 5. n. 6419 del 19/11/2014, dep. 2015, Arrigone, Rv. 262685). In considerazione del titolo di reati per i quali si procede e considerata l'eta' delle vittime e persone offese dei delitti contestati, va disposto che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla qualificazione giuridica dei fatti di cui ai capi A), B) e C) commessi in danno di (OMISSIS) e alle relative statuizioni civili e rinvia per nuovo giudizio su tali punti ad altra sezione della Corte di assise di appello di Milano. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano e della parte civile (OMISSIS). Dichiara allo stato assorbito nel disposto annullamento il ricorso di (OMISSIS). Condanna l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara' liquidata dalla Corte di assise di appello di Milano con separato decreto di pagamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82 e 83 disponendo il pagamento in favore dello Stato. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente Dott. PAPA Patrizia - Consigliere Dott. SCARPA Antonio - rel. Consigliere Dott. CRISCUOLO Mauro - Consigliere Dott. OLIVA Stefano - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 13060/2017 R.G. proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS); - ricorrente - contro (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS); - controricorrente e ricorrente incidentale - (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS); - controricorrente e ricorrente incidentale - avverso la SENTENZA della CORTE D'APPELLO di TORINO n. 2190/2016 depositata il 20 dicembre 2016; Viste le conclusioni motivate, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile a norma del Decreto Legge 29 dicembre 2022, n. 198, articolo 8, comma 8, convertito con modificazioni nella L. 24 febbraio 2023, n. 14), formulate dal P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Aldo, il quale ha chiesto di accogliere il quinto e il sesto motivo del ricorso principale di (OMISSIS) e i corrispondenti motivi formulati dal ricorrente incidentale (OMISSIS), e di rigettare ogni altra censura. Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 27/04/2023 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA. FATTI DI CAUSA (OMISSIS), con atto notificato il 18 maggio 2017, ha proposto ricorso articolato in sei motivi avverso la sentenza n. 2190/2016 della Corte d'appello di Torino, pubblicata il 20 dicembre 2016. (OMISSIS) ha notificato il 23 giugno 2017 controricorso contenente altresi' ricorso incidentale articolato in otto motivi. (OMISSIS) ha notificato il 27 giugno 2017 controricorso contenente altresi' ricorso incidentale articolato in tre motivi. (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno altresi' notificato controricorsi per resistere contro gli avversi ricorsi. Il giudizio ebbe inizio con citazione del 10 maggio 2010 di (OMISSIS), che convenne il fratello (OMISSIS) domandando la reintegrazione nella sua quota di legittima con riguardo alla successione del padre (OMISSIS), deceduto il (OMISSIS). Il de cuius aveva disposto del suo patrimonio con testamento dell'11 novembre 1983, pubblicato il 9 settembre 2004, istituendo erede universale (OMISSIS). Nella causa e' poi intervenuta (OMISSIS), coniuge del de cuius, per domandare a sua volta la rispettiva quota di legittima. Essendo insorte varie questioni preliminari e contestazioni sugli atti riducibili e sulla consistenza dell'asse ereditario, l'adito Tribunale di Torino pronuncio' sentenza "non definitiva" in data 16 luglio 2013, rigettando le domande proposte da (OMISSIS) contro il fratello (OMISSIS), ritenendo fondata l'eccezione, sollevata da quest'ultimo, di prescrizione decennale ex articolo 480 c.c., del diritto dell'attrice di accettare l'eredita', decorrente comunque dal (OMISSIS) (momento della morte di (OMISSIS)) e non dalla data della pubblicazione del testamento (9 settembre 2004). Disposto il prosieguo per decidere sulle domande di (OMISSIS) nei confronti dei figli, la stessa presentava poi rinuncia agli atti e con riguardo a tali rapporti il giudizio era dichiarato estinto con sentenza del Tribunale del 2 maggio 2014. Proposto appello da (OMISSIS), lo stesso e' stato accolto dalla Corte d'appello di Torino nei termini di seguito riassunti. La Corte di Torino ha dapprima invocato, quanto alla prescrizione del diritto di accettare l'eredita', il principio enunciato dalla sentenza n. 20644 del 2004 (erroneamente indicato col numero 20664, e relativo al termine decennale di prescrizione dell'azione di riduzione), facendo nella specie riferimento quale dies a quo alla data di pubblicazione del testamento, avvenuta nel 2004. I giudici di secondo grado hanno poi comunque considerato che (OMISSIS), in quanto legittimaria integralmente pretermessa, non avrebbe potuto accettare l'eredita'. E' stata quindi richiamata la sentenza inter partes resa del Tribunale di Torino n. 7631/2006, confermata dalla sentenza della Corte d'appello n. 910/2009, che aveva deciso sulla domanda di divisione ereditaria avanzata da (OMISSIS) sul presupposto dell'apertura della successione legittima, domanda ritenuta inammissibile a seguito dell'avvenuta pubblicazione in corso di causa del testamento olografo di (OMISSIS), che escludeva totalmente la stessa (OMISSIS) dalla successione. Ritenuta pertanto ammissibile l'azione di riduzione di (OMISSIS), la Corte di Torino ha proceduto da determinare la porzione disponibile mediante riunione fittizia ex articolo 556 c.c.. A tal fine, la sentenza impugnata ha ricompreso nella massa ereditaria il 50% del compendio immobiliare (costituito da terreni e fabbricati, porzione di un piu' ampio complesso, donato per la restante parte da (OMISSIS) al figlio (OMISSIS)), gia' oggetto di concessione in enfiteusi a (OMISSIS) con atto del 1958 da parte della proprietaria concedente, madre del defunto (OMISSIS), e dalla medesima affrancato con atto del 10 gennaio 1980, e cosi' caduto in comunione legale col coniuge. I giudici di secondo grado hanno poi dichiarato opponibile a (OMISSIS) il diritto di usufrutto sugli immobili siti in (OMISSIS), gia' oggetto di affrancazione, costituito con atto di permuta dell'11 novembre 1998 (che trasferiva la nuda proprieta' al figlio (OMISSIS)), trascritto in data 5 dicembre 1998, e cio' agli effetti dell'articolo 561 c.c., comma 1, e articolo 2652 c.c., n. 8. Ancora, la sentenza impugnata ha ricompreso nell'asse ereditario tutti gli arredi presenti nella casa coniugale di (OMISSIS), superando, in quanto indimostrata, l'eccezione della (OMISSIS) che vantava il 50% della proprieta' degli stessi in quanto ricadenti nella comunione legale, fermo il diritto di uso a favore del coniuge ex articolo 540 c.c., comma 2. Sono state ancora considerate le donazioni effettuate dal de cuius con atti dell'11 novembre 1983 in favore della figlia (OMISSIS) e del 12 dicembre 1983 in favore del figlio (OMISSIS), nonche' in favore di entrambi i figli, con clausola convenzionale di dispensa dalla collazione. Tale dispensa, ai sensi dell'articolo 737 c.c., e' stata reputata irrilevante dalla Corte di Torino, statuendo che, nel calcolare la quota di riserva di (OMISSIS), doveva tenersi conto anche delle rispettive donazioni da lei ricevute. Viceversa, per le donazioni ricevute da (OMISSIS), destinatario dell'azione di riduzione, stante la dispensa da collazione, i giudici di secondo grado hanno invocato il disposto dell'articolo 737 c.c., e dunque il limite della quota disponibile, a salvaguardia della quota di riserva spettante a (OMISSIS). Ogni altra questione e' stata infine rimessa al prosieguo istruttorio e decisorio. I ricorsi sono stati decisi in Camera di consiglio procedendo nelle forme di cui al Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile a norma del Decreto Legge 29 dicembre 2022, n. 198, articolo 8, comma 8, convertito con modificazioni nella L. 24 febbraio 2023, n. 14). Hanno presentato memorie (OMISSIS) e (OMISSIS). MOTIVI DELLA DECISIONE 1. In via pregiudiziale, e' da respingere l'istanza di (OMISSIS) volta alla nomina di un curatore speciale ex articolo 78 c.p.c., in favore di (OMISSIS), la quale ha proposto ricorso avvalendosi quale procuratore generale di (OMISSIS), essendo evidente che la rappresentata ed il rappresentante non assumono affatto posizioni processuali contrapposte nel presente giudizio di cassazione. Nella memoria ex articolo 378 c.p.c., e nella memoria di nomina del nuovo difensore di (OMISSIS), avvocato (OMISSIS), si e' peraltro indicata la costituzione, quale rappresentante della stessa, del tutore avvocato (OMISSIS), munito dell'autorizzazione prescritta dall'articolo 374 c.c., n. 5. 1.1. Considerata la particolare ampiezza degli atti di parte, nella redazione della presente sentenza si fara' sintetico rinvio per relazione alle censure ed agli argomenti ivi contenuti. 2. Il primo motivo del ricorso principale di (OMISSIS) ed il primo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS) deducono identicamente la violazione e falsa applicazione dell'articolo 179 c.c., comma 1, lettera a), articoli 971 e 2643 c.c.. Si assume che i beni immobili gia' oggetto di diritto di enfiteusi e poi di affrancazione da parte di (OMISSIS) non fossero caduti in comunione legale col marito (OMISSIS). Il secondo motivo dei ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) deduce identicamente l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti o la violazione e falsa applicazione dell'articolo 184 c.c.. La censura fa riferimento ad un atto di vendita dei fondi gia' oggetto di affrancazione, stipulato da (OMISSIS) il 24 luglio 1980, che vedeva quali compratori i signori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), trascritto il 5 agosto 1980 e non impugnato dal coniuge ai sensi dell'articolo 184 c.c.. Il terzo motivo dei ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) deduce identicamente la violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 556 c.c., e articolo 115 c.p.c., sostenendo che la prova dell'appartenenza al patrimonio relictum di (OMISSIS) dei beni mobili costituenti gli arredi della casa coniugale di Torino, via Arcivescovado n. 5, di proprieta' esclusiva di (OMISSIS), doveva essere fornita dalla legittimaria che ha agito in riduzione (la quale, invece, li aveva solo genericamente indicati), e non, invece, dall'interveniente (in primo grado) e appellata (in secondo grado) (OMISSIS). Il quarto motivo dei ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) deduce identicamente la nullita' della sentenza per omessa motivazione o la falsa applicazione degli articoli da 1022 a 1026 c.c., articoli 556 e 2697 c.c., in quanto la Corte d'appello non avrebbe speso neanche una parola relativamente ai beni mobili costituenti gli arredi della residenza di campagna di (OMISSIS), salvo indicarli nel dispositivo, che ne ha accertato l'appartenenza al relictum; altrimenti, ove si volesse ritenere motivata l'appartenenza al patrimonio relitto di tali beni con la titolarita' in capo al de cuius del diritto di abitazione sull'immobile predetto, la Corte avrebbe violato o falsamente applicato le norme in tema di diritto di abitazione e di ripartizione dell'onere della prova. Il quinto motivo dei ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) deduce identicamente la violazione e falsa applicazione degli articoli 564 e 737 c.c., per avere la Corte d'appello erroneamente attribuito alla dispensa dalla collazione contenuta nella donazione dell'11 novembre 1983, fatta dal de cuius all'attrice in riduzione (OMISSIS), gli effetti di una inesistente dispensa dall'imputazione. Il sesto motivo dei ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) deduce identicamente la nullita' della sentenza per omessa pronuncia o l'omesso esame di un fatto decisivo, ed ancora la violazione e falsa applicazione dell'articolo 561 c.c., e articolo 2652 c.c., n. 8, per avere la Corte d'appello circoscritto la declaratoria di opponibilita' all'attrice in riduzione del diritto di usufrutto costituito con l'atto di permuta dell'11 novembre 1998 stipulato tra (OMISSIS) e (OMISSIS) solo a parte dei beni immobili (quelli gia' oggetto di affrancazione), sui quali era con esso parimenti costituito l'usufrutto in favore di (OMISSIS) (in particolare, quelli che (OMISSIS) aveva ricevuto dal padre con donazione del 12 dicembre 1983). Il settimo motivo del ricorso di (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 480 e 2935 c.c.. La censura osserva che (OMISSIS) non e' un'estranea rispetto alla successione paterna, ma una legittimaria, di tal che l'ignoranza che il defunto avesse disposto delle proprie sostanze per testamento non impediva nei suoi riguardi l'apertura della successione legittima, ne' le precludeva, quale chiamata, l'onere di accettare l'eredita' entro il termine di prescrizione, in maniera da acquisire altresi' la qualita' che potesse abilitarla ad impugnare il testamento successivamente scoperto. L'inerzia ventennale di (OMISSIS), che non ha mai accettato l'eredita', dovrebbe escluderne la legittimazione ad agire in giudizio per sentirsi dichiarare erede e per conseguire la sua quota ereditaria. L'ottavo motivo del ricorso di (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 554, 555, 480 c.c. e articolo 483 c.c., comma 2. Si deduce che la Corte d'appello ha considerato non prescritta l'azione di riduzione promossa piu' di vent'anni dopo l'apertura della successione, ritenendo che il relativo dies a quo decorresse dalla "accettazione in base al testamento" (pubblicato nel 2004) da parte dell'istituito, evidenziandosi come la nozione di "accettazione in base al testamento" sia nozione sconosciuta all'ordinamento, che non contempla due distinti ed autonomi diritti di accettazione dell'eredita', derivanti l'uno dalla devoluzione testamentaria e l'altro da quella legittima, unico essendo il termine di prescrizione di dieci anni decorrente dal giorno dell'apertura della successione. Il primo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS) denuncia la nullita' della sentenza in relazione agli articoli 112 e 342 c.p.c., con riferimento al capo con il quale la Corte di appello ha dichiarato "opponibile a (OMISSIS) l'usufruttuo gravante sui beni immobili e di cui al capo a) delle conclusioni di parte appellante, in favore di (OMISSIS)". In difetto di censure sulla declaratoria di estinzione del giudizio conseguente alla rinuncia agli atti formulata da (OMISSIS), di cui alla sentenza del Tribunale di Torino del 2 maggio 2014, la Corte d'appello avrebbe fatto "rivivere quelle domande sulla cui rinuncia, e sul correlativo effetto estintivo, era ormai sceso il giudicato". Il secondo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS) denuncia la nullita' della sentenza in relazione all'articolo 131 c.p.c., e articolo 111 Cost.. Secondo la ricorrente incidentale, seppur si volesse ritenere non violato il giudicato, la sentenza della Corte d'appello sarebbe priva degli essenziali requisiti di contenuto-forma, avendo essa "modificato" la pronuncia di estinzione resa dal Tribunale, limitando l'effetto della rinuncia alla sola azione di riduzione esperita dalla (OMISSIS), cio' giustificando con la sola apodittica argomentazione "a ben vedere". Il terzo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS) denuncia la violazione-falsa applicazione dell'articolo 2652 c.c., n. 8 e articolo 2697 c.c.. Si assume che la Corte d'appello avrebbe da un lato dovuto verificare l'onerosita' dell'atto e dall'altro accertare l'avvenuta trascrizione del titolo costitutivo dell'usufrutto a favore di (OMISSIS). 3. Va ora esaminata l'eccezione pregiudiziale di giudicato che la difesa di (OMISSIS) riconduce alla declaratoria di estinzione del giudizio contenuta nella sentenza del Tribunale di Torino del 2 maggio 2014 a seguito della rinuncia agli atti del giudizio operata da (OMISSIS) con riguardo al rapporto processuale instaurato in forza della domanda di reintegrazione nella rispettiva quota di legittima da lei proposta. 3.1. Tale eccezione e' connessa altresi' al primo ed al secondo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS), che parimenti deducono, come visto, l'esistenza di un "giudicato" preclusivo delle domande di (OMISSIS) in conseguenza della declaratoria di estinzione del giudizio conseguente alla rinuncia agli atti dalla stessa formulata. 4. La declaratoria di estinzione del giudizio contenuta nella sentenza del Tribunale di Torino del 2 maggio 2014 a seguito della rinuncia agli atti del giudizio operata da (OMISSIS) riguardava il rapporto processuale instaurato in forza della domanda di reintegrazione nella rispettiva quota di legittima da lei spiegata. Risulta, invero, che (OMISSIS), all'udienza del 25 novembre 2013, dichiaro' che era sua intenzione "rinunciare agli atti del giudizio" (rinuncia accettata da (OMISSIS)) e all'udienza del 13 dicembre 2013 preciso' le conclusioni chiedendo di dichiarare l'estinzione del giudizio pendente tra lei e (OMISSIS), "attesa la mancanza di interesse" di quest'ultima alla prosecuzione della causa, e in subordine chiedendo di dichiararsi la cessazione della materia del contendere tra le medesime parti. Il Tribunale di Torino, con la sentenza n. 3190/2014, dichiaro' "l'estinzione del giudizio fra (OMISSIS) e (OMISSIS)" (oltre che tra la (OMISSIS) e (OMISSIS)), evidenziando in motivazione che la terza intervenuta aveva rinunciato agli atti del giudizio nei confronti di entrambi i figli, che (OMISSIS) non aveva accettato la rinuncia e che tuttavia quest'ultima non risultava avere "alcun interesse alla prosecuzione del giudizio". 4.1. Ora, la rinunzia agli atti del giudizio e' la forma che assume la manifestazione di volonta' dell'attore di porre fine al processo senza ottenere la sentenza di merito. Essa non implica alcuna valutazione circa la fondatezza, o meno, della domanda proposta e riguarda il rapporto processuale nel suo complesso. Nella specie, la rinuncia agli atti era stata compiuta da (OMISSIS), terza volontariamente intervenuta per far valere la sua quota individuale di legittima nel giudizio di riduzione intentato da (OMISSIS) nei confronti del fratello (OMISSIS). 4.2. E' consolidata l'interpretazione giurisprudenziale secondo cui l'azione di riduzione non da' luogo a litisconsorzio necessario, ne' dal lato attivo ne' dal lato passivo, e puo', quindi, essere esercitata nei confronti di uno solo degli obbligati alla integrazione della quota spettante al legittimario. Essa ha, infatti, carattere individuale e compete in via autonoma al singolo erede che ritenga lesa la sua quota individuale di legittima, sicche' l'accertamento della lesione e della sua entita' non deve farsi con riferimento alla quota complessiva riservata a favore di tutti i legittimari, ma solo riguardo alla quota di coloro che abbiano proposto la domanda. Nel giudizio conseguente all'esercizio dell'azione di riduzione, legittimato passivo e', pertanto, il solo titolare della posizione giuridica che l'attore contesta al fine di ottenere la reintegrazione della sua quota di legittimario, rimanendo ogni altro soggetto, benche' coerede, estraneo a tale azione. Ove pure l'azione di riduzione si concluda con l'attribuzione di beni determinati al legittimario, essa vede, quindi, quale legittimato passivo soltanto il beneficiario della disposizione lesiva della legittima, e non anche i possessori dei beni con cui questa dev'essere reintegrata, i quali sono, invece, legittimati passivi della diversa azione di restituzione, conseguente al vittorioso esperimento dell'azione di riduzione (Cass. n. 32197 del 2021; n. 15706 del 2020; n. 27770 del 2011; n. 27414 del 2005; n. 2174 del 1998; n. 2923 del 1900, in tema di scindibilita' delle impugnazioni nella controversia promossa da piu' eredi legittimari per ottenere la riduzione di disposizioni lesive della loro quota di riserva; n. 99 del 1970, in tema di differenze tra azione di divisione e di riduzione ai fini dell'integrita' del contraddittorio). La sentenza n. 13429 del 2006 resa dalle Sezioni Unite chiari', peraltro, che l'individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari ed ai singoli legittimari appartenenti alla medesima categoria va effettuata sulla base della situazione esistente al momento dell'apertura della successione e non di quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento, per rinunzia o per prescrizione, dell'azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari. 4.3. Il giudizio in esame ebbe inizio con citazione del 10 maggio 2010 di (OMISSIS), che convenne il fratello (OMISSIS) domandando la reintegrazione nella sua quota di legittima con riguardo alla successione del padre (OMISSIS), ed aveva ad oggetto la disposizione testamentaria dell'11 novembre 1983, che istituiva erede universale (OMISSIS). Nella causa intervenne con comparsa del 16 settembre 2010 (OMISSIS), coniuge del de cuius, per domandare di formare la massa ereditaria e determinare la sua quota di legittima, riducendo le disposizioni testamentarie lesive e, successivamente, le donazioni poste in essere da (OMISSIS). La rinuncia agli atti del giudizio formulata da (OMISSIS), terza intervenuta ed attrice in riconvenzionale, non coinvolgeva la domanda proposta da (OMISSIS) verso (OMISSIS). In tal senso, alla rinuncia della (OMISSIS) doveva piuttosto riconoscersi l'effetto di aver eliminato dal thema decidendum la domanda di accertamento della lesione alla quota individuale di legittima a lei riservata, quale coniuge del de cuius, rimanendo da decidere soltanto la domanda riguardante l'entita' della lesione subita da (OMISSIS) e che vedeva quale legittimato passivo il solo (OMISSIS), titolare dell'unica posizione giuridica che l'attrice contestava al fine di ottenere la reintegrazione della sua quota di legittimaria, restando (OMISSIS) estranea alla causa. L'appello notificato da (OMISSIS) in data 14 marzo 2014 venne proposto contro la sentenza pronunciata dal Tribunale di Torino in data 16 luglio 2013 n. 5132/2013 ed era specificamente volto, col secondo motivo, a sentir accolta la domanda di riduzione avanzata dalla stessa (OMISSIS) con la citazione del 10 maggio 2010 rivolta nei confronti di (OMISSIS). Tale appello di (OMISSIS) e' stato definito con la sentenza n. 2190/2016 della Corte d'appello di Torino, pubblicata il 20 dicembre 2016. Ne' puo' affermarsi che nel giudizio di appello intentato da (OMISSIS), (OMISSIS) rimanesse quale litisconsorte necessaria in quanto coniuge in comunione legale dei beni sui quali sono sorte contestazioni con riguardo alla loro appartenenza all'asse ereditario. Qualora sia dedotta dal legittimario attore in riduzione, ai fini della riunione fittizia necessaria per ricostruire la consistenza dell'asse ereditario e determinare, cosi', l'entita' della disponibile, la circostanza che abbia formato oggetto della successione mortis causa la quota di un mezzo di spettanza del de cuius di beni caduti in comunione legale agli effetti dell'articolo 177 c.c., comma 1, lettera a), l'inerenza dei beni alla massa forma oggetto di un accertamento incidenter tantum, per cui il contraddittorio non deve essere integrato nei confronti del coniuge contitolare della comunione. 4.4. Ne consegue che e' inammissibile il ricorso per cassazione proposto da (OMISSIS) avverso la sentenza n. 2190/2016 della Corte d'appello di Torino, non risultando la stessa parte del giudizio di riduzione azionato da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS). 4.5. Il ricorso incidentale tardivo di (OMISSIS) (notificato il 23 giugno 2017, avverso sentenza pubblicata il 20 dicembre 2016, il cui termine semestrale ex articolo 327 c.p.c., scadeva percio' il 20 giugno 2017) ed il ricorso incidentale tardivo di (OMISSIS) (notificato il 27 giugno 2017), ai sensi dell'articolo 334 c.p.c., comma 2, perdono ogni efficacia per la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso principale. 5. Conseguono l'inammissibilita' del ricorso principale di (OMISSIS), nonche' l'inefficacia del ricorso incidentale di (OMISSIS) e del ricorso incidentale di (OMISSIS). Le spese processuali del giudizio di cassazione possono essere compensate, in ragione delle complesse sopravvenienze procedimentali relative al quadro di riferimento della controversia emergenti dalla motivazione. Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater - da parte della ricorrente principale (OMISSIS), di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, se dovuto. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale di (OMISSIS); dichiara inefficaci il ricorso incidentale di (OMISSIS) ed il ricorso incidentale di (OMISSIS); compensa per intero fra le parti le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da' atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale (OMISSIS), di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. MICCOLI Grazia R.A. - Consigliere Dott. ROMANO Michele - rel. Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere Dott. CARUSILLO Elena - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1. Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Reggio Calabria; 2. (OMISSIS) , nato ad (OMISSIS); 3. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 4. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 5. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 6. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 7. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 8. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 9. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 10. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); nel procedimento a carico di questi ultimi nove e di: 10. (OMISSIS) , nato a (OMISSIS); 11. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 12. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 13. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 14. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 15. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 16. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 17. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 18. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 09/07/2021 della Corte di appello di Catanzaro; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Michele Romano; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giuseppe Riccardi, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al trattamento sanzionatorio, e per l'inammissibilita' del ricorso nel resto, per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) in relazione al capo 14 septies), nei confronti di (OMISSIS) in relazione al capo 14 sexies), nei confronti di (OMISSIS) in relazione al capo 14 bis), nei confronti di (OMISSIS) in relazione ai capi 14 quater) e 14 novies), nei confronti di (OMISSIS) in relazione al capo 14 novies) e per il rigetto del ricorso del Procuratore generale nel resto, nonche' per il rigetto dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) cl. (OMISSIS), per l'inammissibilita' dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) cl. (OMISSIS) e (OMISSIS); udito il difensore della parte civile Comune di (OMISSIS), avv. (OMISSIS), in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), che si e' associata alle conclusioni del Procuratore generale; udito il difensore di (OMISSIS), avv. (OMISSIS), che ha concluso per il rigetto del ricorso del Procuratore generale; udito il difensore di (OMISSIS), avv. (OMISSIS), che ha concluso per il rigetto del ricorso del Procuratore generale e l'accoglimento del ricorso del suo assistito; udito il difensore di (OMISSIS) cl. (OMISSIS), avv. Armando Gerace, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso del suo assistito; udito il difensore di (OMISSIS), avv. (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento del ricorso del suo assistito; udito il difensore di (OMISSIS) e (OMISSIS) cl. (OMISSIS), avv. (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento dei ricorsi dei suoi assistiti; udito il difensore di (OMISSIS), avv. (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento del ricorso del suo assistito; udito il difensore di (OMISSIS), avv. (OMISSIS), che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso del Procuratore generale e l'accoglimento del ricorso del suo assistito; udito il difensore di (OMISSIS), avv. (OMISSIS), in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento del ricorso del suo assistito; udito il difensore di (OMISSIS), avv. (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento del ricorso del suo assistito; udito il difensore di (OMISSIS), avv. (OMISSIS), che ha concluso per il rigetto del ricorso del Procuratore generale; udito il difensore di (OMISSIS) , avv. (OMISSIS), che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso del Procuratore generale; udito il difensore di (OMISSIS), avv. (OMISSIS), che ha concluso per il rigetto del ricorso del Procuratore generale. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Reggio Calabria ha parzialmente riformato la sentenza del 25 luglio 2019 del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria che, all'esito del giudizio abbreviato, per quanto di interesse in questa sede, aveva affermato la penale responsabilita' di: - (OMISSIS) per il delitto di cui all'articolo 416-bis cod. pen. allo stesso ascritto al capo 1), con esclusione dell'aggravante di cui al sesto comma, nonche' dei delitti di cui ai capi 19), 22), 28) e 39); - (OMISSIS) per il delitto di cui all'articolo 416-bis cod. pen. a lui ascritto al capo 1), con esclusione dell'aggravante di cui al sesto comma, nonche' per i delitti di cui ai capi 18), 19), 31), 33), 35), 36), 37) e 44); - (OMISSIS) per il delitto di cui all'articolo 416-bis cod. pen. allo stesso ascritto al capo 1), con esclusione dell'aggravante di cui al sesto comma, nonche' per i delitti di cui ai capi 21), 23), 24), 25), 26), 27), 29), 30), 34), 37), 45), 48), 50), 51), 52), 53), 54), 55), 56) e 57); - (OMISSIS) per il delitto di cui all'articolo 416-bis cod. pen. allo stesso ascritto al capo 1), con esclusione dell'aggravante di cui al sesto comma, nonche' per i delitti di cui ai capi 5), 6), 13) 14 quater), 14 quinquies), 14 septies) e 14 novies); - (OMISSIS) per i delitti allo stesso ascritti ai capi 74) e 76), quest'ultimo riqualificato nel diverso reato di cui all'articolo 610 aggravato ex articolo 416-bis.1 cod. pen.; - (OMISSIS) per il delitto di cui all'articolo 416-bis cod. pen. allo stesso ascritto al capo 1), con esclusione dell'aggravante di cui al sesto comma, nonche' per i delitti di cui ai capi 74) e 76), quest'ultimo riqualificato nel diverso reato di cui all'articolo 610 cod. pen., circostanziato ex articolo 416-bis.1 cod. pen.; - (OMISSIS) per il delitto allo stesso ascritto al capo 14 sexies), previa esclusione dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 cod. pen.; - (OMISSIS) per il delitto allo stesso ascritto al capo 14); - (OMISSIS) per il delitto di cui all'articolo 416-bis cod. pen. allo stesso ascritto al capo 1), con esclusione della circostanza aggravante di cui al sesto comma; - (OMISSIS) per il delitto di cui all'articolo 416-bis cod. pen. allo stesso ascritto al capo 1), con esclusione della circostanza aggravante di cui al sesto comma, e per il delitto di cui al capo 14 novies); - (OMISSIS) per il delitto di cui all'articolo 416-bis cod. pen. allo stesso ascritto al capo 1), con esclusione della circostanza aggravante di cui al sesto comma, nonche' per i delitti di cui ai capi 4), 5), 8), 10) e 14 septies); - (OMISSIS) per il delitto di cui all'articolo 416-bis cod. pen. allo stesso ascritto al capo 1), con esclusione della circostanza aggravante di cui al sesto comma, nonche' per i delitti di cui ai capi 14 septies) e 14 novies); - (OMISSIS) per il delitto di cui all'articolo 416-bis cod. pen. allo stesso ascritto al capo 1), con esclusione della circostanza aggravante di cui al sesto comma, nonche' del delitto di cui al capo 14 septies); - (OMISSIS) per il delitto di cui all'articolo 416-bis cod. pen. allo stesso ascritto al capo 1), con esclusione della circostanza aggravante di cui al sesto comma; - (OMISSIS) per il delitto allo stesso ascritto al capo 14 bis), previa esclusione dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 cod. pen.; - (OMISSIS) cl. (OMISSIS) per il delitto di cui all'articolo 416-bis cod. pen. allo stesso ascritto al capo 1), con esclusione dell'aggravante di cui al sesto comma, nonche' per il delitto di cui al capo 76) riqualificato nel diverso reato di cui agli articoli 610 e 416-bis.1 cod. pen.; - (OMISSIS) cl. (OMISSIS) per il delitto di cui all'articolo 416-bis cod. pen. allo stesso ascritto al capo 1), con esclusione dell'aggravante di cui al sesto comma, nonche' dei delitti di cui ai capi 74) e 76), quest'ultimo riqualificato nel diverso reato di cui agli articoli 610 e 416-bis.1 cod. pen.; - (OMISSIS) cl. (OMISSIS) per il delitto di cui all'articolo 416-bis cod. pen. allo stesso ascritto al capo 1). Con la sentenza di primo grado e' stata accertata la responsabilita' per il reato di partecipazione alla âEuroËœndrangheta (capo 1) di diversi soggetti appartenenti alle cosche gia' radicate nei comuni di (OMISSIS) e (OMISSIS) e che controllavano il settore degli appalti pubblici nel territorio del Comune di (OMISSIS). Inoltre, la sentenza ha affermato la penale responsabilita' di diversi imputati per reati di estorsione ai danni di imprenditori operanti nel settore degli appalti pubblici o comunque collegati a tale attivita' imprenditoriale. Oltre ai soggetti gia' storicamente inseriti nelle cosche di (OMISSIS) e (OMISSIS) e che risultavano egemoni anche nel territorio di (OMISSIS), quali i fratelli (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) detti bruciati, i (OMISSIS) ramati ed i (OMISSIS) lare' ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), la sentenza di primo grado ha accertato che a (OMISSIS) esistevano anche alcuni esponenti della âEuroËœndrangheta che erano intenzionati a costituire a (OMISSIS) un nuovo locale, cosi' da limitare l'ingerenza dei forestieri, nonche' un'ulteriore realta' criminale di nuova formazione, composta da soggetti che tra loro si chiamavano con l'appellativo di "Cumps" (versione "moderna" del termine compari) ed operante sempre sul territorio di (OMISSIS) e a questo nuovo gruppo criminale appartenevano, secondo la sentenza di primo grado, tra gli altri, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Infine, il Giudice dell'udienza preliminare ha ritenuto l'esistenza un altro sodalizio criminale avente connotazioni mafiose ed operante nel Comune di (OMISSIS), sotto le direttive di un capo storico della âEuroËœndrangheta di (OMISSIS) quale (OMISSIS) e composto da (OMISSIS), (OMISSIS) cl. (OMISSIS), (OMISSIS) cl. (OMISSIS) e (OMISSIS) cl. (OMISSIS), anche loro raggiunti da statuizione di condanna per il capo associativo mafioso. 2. La Corte d'Appello ha, invece, per quanto rileva in questa sede: - assolto (OMISSIS) dalle imputazioni di cui ai capi 1) e 19) perche' il fatto non sussiste e dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per gli altri reati perche' estinti per prescrizione; - assolto (OMISSIS) dalle imputazioni di cui ai capi 1), 18), 19), 36) e 37) perche' il fatto non sussiste e dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per gli altri reati perche' estinti per prescrizione; - assolto (OMISSIS) dalle imputazioni di cui ai capi 1), 37), 48), 50) e 51) perche' il fatto non sussiste e dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per gli altri reati, perche' estinti per prescrizione; - assolto (OMISSIS) dalle imputazioni di cui ai capi 13), perche' il fatto non sussiste, e 14 novies), per non aver commesso il fatto e dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per il reato di cui al capo 14 quater) perche' estinto per prescrizione; - assolto (OMISSIS) dalle imputazioni a lui ascritte perche' il fatto non sussiste; - assolto (OMISSIS) dall'imputazione a lui ascritta al capo 74) perche' il fatto non sussiste; - assolto (OMISSIS) dall'imputazione di cui al capo 14 sexies) perche' il fatto non costituisce reato; - assolto (OMISSIS) dall'imputazione di cui al capo 14 novies) per non avere commesso il fatto; - assolto (OMISSIS) dalle imputazioni di cui ai capi 1) e 14 septies) perche' il fatto non sussiste e dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti in relazione ai reati di cui ai capi 4), 5), 8) e 10) perche' estinti per prescrizione; - assolto (OMISSIS) dall'imputazione di cui al capo 1) perche' il fatto non sussiste; - assolto (OMISSIS) dall'imputazione ascrittagli al capo 14 bis) perche' il fatto non costituisce reato; - assolto (OMISSIS) dall'imputazione a lui contestata al capo 74) perche' il fatto non sussiste. Ha pure rideterminato la pena per gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) cl. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). 3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Reggio Calabria chiedendone l'annullamento in relazione alle posizioni di (OMISSIS) , (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ed articolando undici motivi. 3.1. Con il primo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., in relazione alla assoluzione di (OMISSIS) dalla imputazione per il reato associativo contestato al capo 1), della mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione. Sostiene che l'assoluzione dell'imputato si fonda sull'omessa considerazione della circostanza che egli era invitato a prendere parte ai "tavoli" ove si decidevano le spartizioni degli appalti. Tale circostanza emergeva in particolare dall'intercettazione ambientale 13003 del 27 gennaio 2011 riportata alle pagg. 339 e segg. della sentenza di primo grado. La presenza a detti "tavoli" era concepibile solo in virtu' della partecipazione di (OMISSIS) alla âEuroËœndrangheta, ne' altrimenti l'imputato avrebbe avuto motivo di dolersi se associati del calibro di (OMISSIS), gia' condannato con altra sentenza per la partecipazione al sodalizio mafioso, non gli "avessero passato parola", essendosi il (OMISSIS) limitato ad interloquire con il capo locale, violando un dovere di comunicazione nei confronti degli altri sodali. La motivazione, sostiene il ricorrente, e' errata laddove fonda il convincimento della estraneita' di (OMISSIS) dalla sua affermazione, oggetto di intercettazione in data 28 luglio 2009 e riportata alla pag. 479 della sentenza di appello, che nel caso fosse scoppiata una guerra di mafia egli non avrebbe avuto da temere alcunche', potendo permettersi di camminare per strada anche a mezzanotte senza essere toccato da alcuno. In realta', secondo il ricorrente, (OMISSIS) era tranquillo non perche' estraneo al sodalizio criminale, ma perche' intratteneva buoni rapporti sia con i (OMISSIS) "bruciati" della locale di (OMISSIS), sia con (OMISSIS), capo della âEuroËœndrina distaccata di (OMISSIS), come si comprende da altre intercettazioni riportate nella sentenza di primo grado alle pagg. 224 e segg. ed in particolare dalla intercettazione ambientale progressivo n. 923 del 29 agosto 2000 riportata alle pagine 230 e segg. della sentenza di primo grado in cui (OMISSIS) e (OMISSIS) affermano di stare con i (OMISSIS) "bruciati" e con i (OMISSIS) "lari'", ma non per questo di stare contro (OMISSIS). Il ricorrente sostiene che la motivazione e' errata anche laddove fonda l'assoluzione sul proposito, espresso da (OMISSIS) , di elargire qualcosa alla famiglia (OMISSIS) laddove egli si fosse aggiudicato l'appalto dei lavori del cimitero, atteso che non e' inconciliabile con lo status di associato alla âEuroËœndrangheta il pagamento di mazzette ad altri appartenenti al sodalizio criminale, come riconosciuto in molte altre sentenze e anche nella sentenza di appello, che aveva riconosciuto (OMISSIS) "bruciato" colpevole di un'estorsione ai danni di un imprenditore che era protetto dalla cosca (OMISSIS) di (OMISSIS) (capo 14 novies). Peraltro, detta elargizione non era una tangente calcolata in proporzione al valore dei lavori appaltati, ma una somma minore, spontaneamente corrisposta in segno di rispetto nei confronti del capo della ndrina di riferimento. Infine, per le ragioni svolte con il secondo motivo di ricorso, era errata l'assoluzione di (OMISSIS) dal delitto di estorsione contestato al capo 14 septies), che costituiva un reato fine dell'associazione mafiosa e la cui commissione da parte dell'imputato avvalorava il suo inserimento nella stessa. 3.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., in relazione alla assoluzione di (OMISSIS) dalla imputazione per il reato di estorsione contestato al capo 14 septies), la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione, nonche', ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., la violazione dell'articolo 192 cod. proc. pen. e degli articoli 110 e 629 cod. pen. Il ricorrente evidenzia che la Corte d'Appello ha ammesso che (OMISSIS) avesse svolto il ruolo di tramite tra i (OMISSIS) "bruciati", che avevano attuato l'estorsione, e (OMISSIS), che l'aveva subita, e tuttavia ha escluso la partecipazione di (OMISSIS) al delitto. La Corte di merito, segnala il ricorrente, ha affermato che la circostanza che (OMISSIS) , su richiesta dei (OMISSIS) "bruciati" o nell'interesse dei (OMISSIS), avesse fatto da tramite con il (OMISSIS) per il pagamento di alcune somme che dovevano essere date a (OMISSIS) per i lavori eseguiti non dimostrerebbe che egli controllasse i lavori o fungesse da tramite tra le cosche e l'imprenditore. Sostiene, allora, il ricorrente che tale conclusione e' frutto di un evidente travisamento, poiche' non emergerebbe da alcun elemento che i (OMISSIS) "bruciati" abbiano chiesto a (OMISSIS) di intercedere per far ottenere i soldi a (OMISSIS). Risulterebbe, invece, che i (OMISSIS) avevano chiesto a (OMISSIS) di intercedere per ottenere il pagamento delle somme loro dovute. A sostegno di tale conclusione il Procuratore generale invoca l'intercettazione del 22 settembre 2009 riportata alla pag. 446 della sentenza di appello, avente ad oggetto una conversazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS) in cui il primo riportava al secondo il contenuto di una conversazione con (OMISSIS)"bruciato" asserendo che essa aveva ad oggetto la quantificazione dei soldi dell'estorsione, precisando che al termine della stessa (OMISSIS)l'aveva invitato a richiedere la consegna dei soldi per il giorno seguente, ma egli aveva rifiutato poiche' i termini dell'accordo raggiunto erano diversi e bisognava aspettare. Da detta conversazione emergerebbe, quindi, che (OMISSIS) fungeva da tramite alle richieste di tangenti rivolte dai (OMISSIS) "bruciati" a (OMISSIS) e sovrintendeva ai conti dei lavori che il (OMISSIS) doveva presentare ai predetti onde calcolare la percentuale loro dovuta, come affermato dalla sentenza di primo grado alle pagine 529 e segg. Il Procuratore generale ha anche riportato nel suo ricorso il testo delle conversazioni intercettate che avallerebbero tale conclusione, esaminate dal giudice di primo grado e pretermesse dalla Corte di appello. Il ricorrente sostiene pure che sono stati violati gli articoli 110 e 629 cod. pen., alla luce del principio reiteratamente affermato da questa Corte di cassazione per cui ai fini dell'integrazione del concorso di persone nel reato di estorsione e' sufficiente la coscienza e volonta' di contribuire, con il proprio comportamento, al raggiungimento dello scopo perseguito da colui che esercita la pretesa illecita, cosicche' anche l'intermediario, nelle trattative per la individuazione della persona alla quale versare la somma estorta, risponde del reato di concorso in estorsione, salvo che il suo intervento abbia avuto la sola finalita' di perseguire l'interesse della vittima e sia stato dettato da motivi di solidarieta' umana (Sez. 2, n. 6824 del 18/01/2017, Bonapitacola, Rv. 269117). Nel caso di specie (OMISSIS) ha agito allo scopo di favorire gli estorsori e non la vittima. 3.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., in relazione all'assoluzione di (OMISSIS) dalla imputazione per il reato di cui all'articolo 378 cod. pen. contestato al capo 14 sexies), la violazione degli articoli 378 e 384 cod. pen. La Corte d'Appello, evidenzia il ricorrente, ha riconosciuto che l'imputato e' stato reticente quando e' stato sentito a sommarie informazioni da parte delle forze dell'ordine e tuttavia ha applicato l'esimente di cui all'articolo 384 cod. pen., ritenendo che l'imputato avesse taciuto a causa del timore di ritorsioni. Sostiene allora il Procuratore generale che tale disposizione e' stata erroneamente applicata in modo eccessivamente estensivo, dovendo invece operare il principio, affermato da questa Corte di cassazione, per cui, in tema di reati contro l'amministrazione della giustizia, l'esimente prevista dall'articolo 384, primo comma, cod. pen. non puo' essere invocata sulla base del mero timore, anche solo presunto o ipotetico, di un danno alla liberta' o all'onore, implicando essa non solo un rapporto di derivazione del fatto commesso dalla esigenza di tutela di detti beni, ma, soprattutto, che detto rapporto sia rilevabile sulla base di un criterio di immediata ed inderogabile consequenzialita' e non di semplice supposizione, per cui il pericolo deve essere collegato a circostanze obiettive ed attuali e risultare evitabile soltanto con la commissione di uno dei reati in relazione ai quali l'esimente opera (Sez. 2, n. 7264 del 14/01/2020, Spini, Rv. 278424). Il timore invocato dalla Corte di appello era solo ipotetico e presunto e, comunque, mai era stato invocato dall'imputato. L'interpretazione estensiva adottata dalla Corte di appello avrebbe condotto all'abrogazione implicita dell'articolo 378 cod. pen. nei territori controllati dalla criminalita' organizzata, potendo sempre ipotizzarsi che le false dichiarazioni siano state ingenerate da paura e non dalla volonta' di proteggere gli autori dei fatti oggetto di indagine. 3.4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., in relazione alla assoluzione di (OMISSIS) dalla imputazione per il reato di cui all'articolo 378 cod. pen. contestato al capo 14 bis), della violazione degli articoli 378 e 384 cod. pen., richiamando gli argomenti gia' posti a base del terzo motivo di ricorso. 3.5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., in relazione alla dichiarazione di non doversi procedere a carico di (OMISSIS) per il reato di cui all'articolo 353 cod. pen. contestato al capo 14 quater) perche' estinto per prescrizione, la erroneita' e contraddittorieta' della motivazione. La Corte territoriale ha accertato la sussistenza del reato, ma ha escluso l'aggravante ex articolo 416-bis.1 cod. pen. e ha dichiarato che esso si era estinto per prescrizione; ha motivato l'esclusione dell'aggravante affermando che il (OMISSIS), pur essendo inserito nel sodalizio mafioso, non aveva agito per agevolare lo stesso, ma nel proprio esclusivo interesse. Sostiene, allora, il Procuratore generale che la motivazione e' contraddittoria perche' l'aggravante e' stata ritenuta sussistente in relazione al delitto contestato al capo 14 quinquies), sebbene questo riguardi il medesimo appalto cui si riferisce il delitto di cui al capo 14 quater). Dapprima il (OMISSIS) ha turbato la regolarita' dell'appalto contattando diversi imprenditori per farli desistere dalla gara e poi, non essendo riuscito a far desistere tutti i concorrenti, si era presentato all'aggiudicatario per conto della cosca (OMISSIS) , ottenendo cosi' la cessione di parte dei lavori appaltati. Poiche' il (OMISSIS) non aveva una sua impresa edile, non poteva sostenersi, come aveva fatto la Corte di appello, che egli avesse agito per un suo personale interesse, e proprio i giudici di secondo grado, nell'affermare la sua penale responsabilita' per il delitto associativo, avevano evidenziato che egli partecipava all'esecuzione di tutti i lavori appaltati solo in virtu' della sua partecipazione alla âEuroËœndrangheta e dell'appoggio che gli veniva assicurato dalla famiglia dei (OMISSIS) "bruciati" di (OMISSIS). Era, quindi, contraddittorio affermare che egli avesse turbato la regolarita' dell'appalto per motivi personali e poi avesse costretto l'aggiudicatario a cedergli parte dei lavori agendo nell'interesse della cosca. 3.6. Con il sesto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., in relazione alla assoluzione di (OMISSIS) e (OMISSIS) dalla imputazione di tentata estorsione ai danni di (OMISSIS) contestata al capo 14 novies), la erroneita' e contraddittorieta' della motivazione, nonche', ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., la violazione degli articoli 110, 56, 629, secondo comma, e 628, terzo comma n. 1, cod. pen. La Corte d'Appello ha pronunciato nei confronti dei predetti una sentenza assolutoria, ritenendo isolato il riferimento agli stessi contenuto nelle intercettazioni ambientali e il loro ruolo, in relazione a detto episodio estorsivo, del tutto marginale e privo di efficienza causale; l'estorsione era condotta da (OMISSIS) "bruciato" e la mera presenza del (OMISSIS) e del (OMISSIS) ad un incontro tra estorsore e vittima era troppo isolata e marginale per fondare una pronuncia di condanna. Evidenzia il ricorrente che la giurisprudenza di questa Corte di cassazione afferma che ai fini della configurabilita' del concorso di persone nel delitto di estorsione e' sufficiente anche la semplice presenza, purche' non meramente casuale, sul luogo della esecuzione del reato, quando sia servita a fornire all'autore del fatto stimolo all'azione o maggior senso di sicurezza nel proprio agire, palesando chiara adesione alla condotta delittuosa (Sez. 2, n. 28895 del 13/07/2020, Massaro, Rv. 279807) o esercitare una maggiore pressione sulla vittima, riducendone la forza di reazione (Sez. 2, n. 671 del 23/10/2019, dep. 2020, Pignataro, Rv. 277817) e che dalle intercettazioni e' emerso che lo stesso (OMISSIS) ha riferito a (OMISSIS) di avere preso parte con (OMISSIS) e (OMISSIS) alla riunione svoltasi a (OMISSIS) in cui i tre avevano preteso da (OMISSIS) " (OMISSIS)", che aveva svolto il ruolo di garante, il rispetto dell'impegno assunto dall'imprenditore (OMISSIS) che, eseguendo lavori in un territorio controllato dalle cosche di (OMISSIS), era tenuto a pagare a queste una percentuale. Non e', quindi, possibile ritenere casuale ed insignificante la presenza dei due imputati all'incontro tenutosi a (OMISSIS). Le intercettazioni, utilizzate anche per affermare la penale responsabilita' del (OMISSIS) e del (OMISSIS) per il reato associativo, dimostravano che essi avevano preso parte anche ad altre vicende di analoga natura, cosicche' era illogico ritenere che in questa occasione la loro presenza fosse priva di efficienza causale. 3.7. Con il settimo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., in relazione alla assoluzione di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dalla imputazione di estorsione contestata al capo 74), della erroneita' e contraddittorieta' della motivazione, nonche', ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., della violazione degli articoli 192 e 533 cod. proc. pen. e dell'articolo 353 cod. pen. In relazione ai lavori della chiesa di (OMISSIS) nel Comune di (OMISSIS) la Corte di appello ha assolto gli imputati per mancanza di prova della natura estorsiva della fornitura. Segnala il ricorrente che la persona offesa ha sempre affermato che la sua liberta' di autodeterminazione in relazione alla scelta dei soggetti da quali rifornirsi era stata lesa e che, dopo essersi rivolta per la sabbia ad (OMISSIS), era stata contattata da un altro soggetto interessato a fornire lo stesso materiale, ma era stata redarguita dallo (OMISSIS), che con tono minaccioso gli aveva dichiarato che una volta che egli si era rivolto a lui non avrebbe potuto accettare sabbia da altri; nemmeno la persona offesa aveva potuto contrattare il prezzo, determinato unilateralmente dallo (OMISSIS) in misura giudicata esorbitante dal teste. La Corte ha, quindi, errato nell'affermare che dal racconto della persona offesa non si ricavava l'esistenza di imposizioni. Inoltre, sostiene il ricorrente, la Corte d'Appello avrebbe errato nel ritenere non sufficienti a provare le responsabilita' le dichiarazioni della persona offesa per mancanza di riscontri in ordine al numero delle forniture ed al prezzo fuori mercato che le era stato praticato, dovendo invece trovare applicazione il principio per il quale le dichiarazioni testimoniali della persona offesa sono sufficienti a provare i fatti purche' sia stata accertata la loro attendibilita'. Ne' si chiarisce perche' la stessa persona offesa, ritenuta attendibile in relazione al reato contestato al capo 76), sarebbe inattendibile in relazione al capo 74). Peraltro, le dichiarazioni della persona offesa sono riscontrate dal contenuto delle intercettazioni riportate alle pagine 715 e 716 della sentenza di primo grado, non prese in considerazione dalla sentenza di appello, in cui il (OMISSIS) dichiarava che avrebbe pagato solo un prezzo giusto e non quello che gli era stato richiesto, che considerava esorbitante. Infine, il ricorrente lamenta la violazione dell'articolo 629 cod. pen., sostenendo che la Corte di appello ha omesso di prendere in considerazione il profilo della estorsione contrattuale, evidenziato nella sentenza di primo grado: la sproporzione tra il prezzo praticato e quello di mercato era irrilevante, poiche' comunque la persona offesa era stata costretta al rapporto contrattuale in violazione della propria autonomia negoziale. 3.8. Con l'ottavo motivo il ricorrente, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., in relazione alla assoluzione di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dall'imputazione per il reato associativo contestato al capo 1), lamenta la mancanza, erroneita' e contraddittorieta' della motivazione. Il ricorrente sottolinea che la Corte d'Appello ha confermato che gli imputati si sono resi colpevoli di numerosi reati in materia di droga ed armi, dichiarati estinti per prescrizione solo in conseguenza della ritenuta insussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 cod. pen., e piu' volte hanno tentato di ingerirsi nei lavori pubblici eseguiti nel territorio, esercitando pressioni per ottenere richieste di forniture o rivolgendo richieste di denaro ai vari imprenditori e, tuttavia, ha ritenuto che tali condotte non consentissero loro di esercitare un controllo sul territorio o di esercitare un potere di intimidazione tale da integrare il reato associativo di cui all'articolo 416-bis cod. pen. Sostiene che tale conclusione deriva dall'omessa considerazione di taluni elementi di prova che, invece, dimostravano che l'associazione aveva gia' conseguito, grazie alla sua forza di intimidazione, il rispetto della popolazione che la considerava quale struttura in grado di assicurare protezione. Tale circostanza emergeva dalla conversazione intercettata in data 24 marzo 2012 tra (OMISSIS) ed un uomo di etnia rom di nome Patrizio ed avente ad oggetto il furto di uova pasquali all'interno di un supermercato di (OMISSIS) il cui proprietario aveva preferito rivolgersi al (OMISSIS) piuttosto che alle forze dell'ordine o agli esponenti della locale di (OMISSIS) o della ndrina di (OMISSIS). Nella conversazione il (OMISSIS) minacciava di uccidere gli autori del furto e il suo interlocutore, manifestandosi intimidito, si dichiarava disposto a collaborare; l'intervento del (OMISSIS) non era dovuto alla entita' del furto, ma alla circostanza che esso fosse avvenuto senza la previa autorizzazione. Il ricorrente riporta nel ricorso il testo della conversazione intercettata. Il Procuratore generale sostiene pure che sono state travisate le intercettazioni dalle quali risulta che il gruppo capeggiato dal (OMISSIS) era entrato in fibrillazione quando i componenti della famiglia (OMISSIS) erano stati arrestati per detenzione di armi. L'interesse di (OMISSIS) non era dettato da mera curiosita' o da spirito di solidarieta', ma dal timore di un suo coinvolgimento nelle indagini, avendo (OMISSIS) sotterrato in un terreno molte armi appartenenti al gruppo, come risulta dal contenuto di una intercettazione trascritta nel ricorso. L'errata considerazione della conversazione intercettata aveva poi condotto ad una sottovalutazione delle conversazioni intercettate relative alla raccolta di fondi per sostenere il (OMISSIS) durante la carcerazione, che era stata erroneamente interpretata come un mero gesto ispirato a solidarieta' tra amici, mentre costituiva adempimento di un obbligo della associazione nei confronti del singolo associato che rispondeva penalmente per la detenzione di armi che in realta' appartenevano all'associazione. Errata o comunque incompleta era anche la ricostruzione del danneggiamento con colpi di pistola della motopala del (OMISSIS), sminuita dalla Corte di appello che l'aveva ritenuta una ragazzata, travisandone il vero movente, ossia compiere un attentato ai mezzi di (OMISSIS), cognato degli (OMISSIS), onde affermare la loro supremazia sul territorio; essi avevano colpito il veicolo del (OMISSIS) confondendolo con quello del (OMISSIS). Il ricorrente riporta nel ricorso il testo della conversazione intercettata tra (OMISSIS) e (OMISSIS) in cui viene ricostruito l'episodio. Neppure, si duole il ricorrente, e' stata considerata la conversazione intercettata il 14 giugno 2011 tra (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e tale (OMISSIS) in cui il (OMISSIS) aveva affermato l'esistenza di un programma delinquenziale finalizzato ad ottenere il controllo sui lavori edili eseguiti nel loro paese. Dalle prove pretermesse e da quelle erroneamente valutate si desumono ulteriori elementi che, uniti a quelli gia' valutati dalla Corte di appello, consentono di affermare la penale responsabilita' degli imputati per il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso di cui ricorrono tutti gli elementi costitutivi. 3.9. Con il nono motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., in relazione alla assoluzione di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dalla imputazione per il reato associativo contestato al capo 1), la mancanza, erroneita' e contraddittorieta' della motivazione, nonche', ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., la violazione dell'articolo 521 cod. proc. pen. e dell'articolo 416, primo, secondo e terzo comma, cod. pen. La Corte di appello, pur escludendo la sussistenza di un'associazione di tipo mafioso, ammette la esistenza di un gruppo criminale genericamente dedito alla commissione di reati e difatti risulta accertato che gli imputati hanno commesso molteplici delitti in materia di armi e stupefacenti, danneggiamenti, cosicche' non risultano indicate le ragioni per le quali non ha ritenuto di sussumere il reato associativo, esclusa la sua natura mafiosa del gruppo criminale, nella fattispecie prevista dall'articolo 416 cod. pen. Per il reato previsto dal primo comma della disposizione appena citata, ascrivibile a (OMISSIS) e (OMISSIS), ai quali al capo 1 veniva attribuita la qualifica di capo, il termine di prescrizione non risulta ancora decorso. Inoltre, il termine non sarebbe decorso per tutti gli imputati laddove fosse stata ritenuta sussistente l'aggravante della "scorreria in armi", applicabile nel caso di specie, avendo gli imputati in piu' occasioni portato con loro armi nelle pubbliche vie ed utilizzato le stesse per commettere delitti di danneggiamento volti ad accrescere la forza di intimidazione del gruppo criminale. 3.10. Con il decimo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., in relazione alla esclusione dell'aggravante ex articolo 416-bis.1 cod. pen. ed alla conseguente dichiarazione di prescrizione per i reati di cui ai capi 21), 22), 23), 24), 27), 29), 30), 31), 33), 34) e 35) contestati a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la assenza, erroneita' e contraddittorieta' della motivazione. Sostiene, in particolare, che gli errori di motivazione lamentati in ordine al reato associativo si riverberano sugli altri reati conducendo alla esclusione dell'aggravante sopra indicata e sul termine di prescrizione. L'accoglimento dell'ottavo motivo di ricorso dovrebbe, invece, condurre a ritenere sussistente l'aggravante in relazione agli altri reati, da considerarsi quindi non prescritti. 3.11. Con l'undicesimo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., in relazione alla assoluzione di (OMISSIS) dalla imputazione di rapina contestata al capo 36), mancanza, erroneita' e contraddittorieta' della motivazione, nonche', ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., della violazione dell'articolo 521 cod. proc. pen. e degli articoli 110, 624, 625, primo comma, nn. 5 e 7 cod. pen. Sostiene il ricorrente che l'assoluzione dipende dal travisamento del fatto e che in una parte della motivazione (a pag. 472 della sentenza di appello) la assoluzione sembra dipendere dalla circostanza che la condotta e' stata tenuta da altri e precisamente da Antonino (OMISSIS) ed in altra parte della sentenza sembra che l'assoluzione dipenda dalla circostanza che la appropriazione delle merci non sia collegata alle minacce rivolte al titolare dell'esercizio commerciale. Quanto alla partecipazione di (OMISSIS) al delitto, esso emerge da una conversazione intercettata in data 21 gennaio 2012 tra Nicola ed (OMISSIS). Non rileva che la condotta "principale" sia stata attuata dal (OMISSIS), se poi anche altri, e tra questi (OMISSIS), hanno contribuito moralmente o materialmente alla esecuzione del delitto. Inoltre, laddove fosse stato ritenuto insussistente il collegamento tra la sottrazione della merce e la minaccia, il fatto avrebbe dovuto essere riqualificato quale minaccia e furto aggravato perche' commesso da almeno tre persone e su cose esposte alla pubblica fede; quest'ultimo reato, in virtu' delle aggravanti contestate, non sarebbe ancora prescritto. 4. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso anche (OMISSIS), a mezzo dei suoi difensori, ciascuno con un proprio atto introduttivo, chiedendone l'annullamento ed articolando complessivamente ventisei motivi. All'esito del giudizio di appello (OMISSIS) risulta condannato sia per il delitto associativo mafioso contestato al capo 1) quale promotore ed organizzatore dal marzo 2009 al mese di aprile 2013, sia per il delitto di estorsione aggravata ai danni di (OMISSIS) contestato al capo 14 septies) e quello di tentata estorsione aggravata ai danni di (OMISSIS) di cui al capo 14 novies). 4.1. Con il primo motivo - corrispondente al primo motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge e mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine ai criteri di valutazione adottati in ordine alle conversazioni intercettate a bordo dell'autovettura utilizzata da (OMISSIS) . Evidenzia il ricorrente che l'affermazione della sua penale responsabilita' poggia principalmente, avendo la Corte di appello ritenuto di scarso rilievo le propalazioni del collaborante (OMISSIS), sul contenuto delle conversazioni intercettate e sulla sentenza emessa all'esito del processo c.d. Touaerg, che tuttavia veniva travisata poiche' con essa gli era stata attribuito il ruolo di mero partecipe al sodalizio mafioso dal 1983 al 20 maggio 1998, mentre nella sentenza qui impugnata si afferma che con essa sarebbe stato accertato il suo ruolo apicale. Il ricorrente segnala in primo luogo che non sono emersi elementi di prova a suo carico per reati di criminalita' di tipo mafioso nei vari procedimenti penali che dal 1998 al 2009 hanno anche interessato il territorio di (OMISSIS), cosicche' e' illogico far derivare dalla sentenza Touareg la sua permanenza nella associazione e finanche un suo ruolo apicale. La stessa Corte di appello ammette alla pag. 484 della sentenza qui impugnata che la principale prova a suo carico e' rappresentata dal contenuto delle conversazioni intercettate. Alle conversazioni prendono parte, oltre a (OMISSIS) , anche altri soggetti e tra questi soprattutto il suo amico (OMISSIS); in esse (OMISSIS) o altri espongono fatti ai quali hanno direttamente assistito, mentre in altre vengono espresse mere ipotesi o congetture su chi e perche' era interessato agli appalti ed alla loro spartizione; in alcune occasioni (OMISSIS) riferiva ai suoi interlocutori circostanze apprese da altri soggetti nominativamente indicati, che poi, quando erano stati intercettati a bordo dell'autovettura di (OMISSIS) , avevano smentito il narrato di quest'ultimo. Tali "smentite" erano state segnalate dalla difesa del ricorrente alla Corte di appello sia nell'atto di impugnazione, sia in una memoria difensiva, atteso che l'attendibilita' delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) nel corso delle conversazioni intercettate costituiva un tema cruciale del processo. A tale proposito il ricorrente sottolinea che (OMISSIS) e' stato assolto dall'imputazione di partecipazione alla âEuroËœndrangheta per insussistenza del fatto, cosicche' la attendibilita' non poteva basarsi sulla sua intraneita' al sodalizio criminale e difatti la Corte di appello, ben consapevole di cio', afferma che la attendibilita' di (OMISSIS) poggia sulla sua qualita' di imprenditore edile operante nel territorio del Comune di (OMISSIS), costretto a confrontarsi con un sistema di spartizione degli appalti organizzato dalle locali cosche di âEuroËœndrangheta che lo estrometteva costantemente dall'aggiudicazione di lavori pubblici, inclusi quelli sotto soglia che, secondo le regole fissate dal sodalizio criminale, dovevano essere eseguiti dalle imprese locali di (OMISSIS). Egli, appartenendo a tale contesto imprenditoriale, era prossimo ai fatti raccontati. Evidenzia il ricorrente che, tuttavia, (OMISSIS) deve essere ritenuto estraneo alle dinamiche associative mafiose e non puo', quindi, riferire in ordine alle stesse, essendo una rigida regola associativa quella che vieta ai sodali di divulgare all'esterno le vicende interne all'organizzazione criminale. Inoltre, la difesa del ricorrente aveva segnalato alla Corte di appello due occasioni in cui il contenuto delle conversazioni intercettate si era rivelato scientemente falso. Precisamente, in una conversazione avvenuta in data (OMISSIS) (OMISSIS) aveva riferito a (OMISSIS) di avere casualmente incontrato (OMISSIS) che lo aveva invitato a rimanere a casa quella sera per festeggiare il compleanno del figlio, mentre nessuno dei figli di (OMISSIS) e' nato in quella data o in date ad essa vicine e, pertanto, deve concludersi che si tratti di circostanza frutto di invenzione. Altro episodio riguarda la conversazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS) in data (OMISSIS) in cui il primo aveva riferito al secondo che tale (OMISSIS), identificato in (OMISSIS), gli aveva detto che nei lavori delle fogne erano coinvolti anche i (OMISSIS) "bruciati", mentre fino a quel momento (OMISSIS) aveva creduto che fossero coinvolti solo i (OMISSIS) "ramati". Anche il contenuto di questa conversazione viene smentito dalla conversazione avvenuta in data 3 febbraio 2011 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) , nel corso della quale, mentre i due stavano transitando davanti al cantiere dei lavori delle fogne, il primo aveva chiesto al secondo quali lavori stessero realizzando all'interno del cantiere e (OMISSIS) aveva risposto che si trattava dei lavori delle fogne e che essi erano di interesse esclusivo dei (OMISSIS) "ramati". Dagli episodi sopra descritti emerge che (OMISSIS) era solito mentire e la Corte di appello non si e' affatto confrontata con tali evidenze, sebbene segnalate dalla difesa, cosicche' sussiste sul punto un'evidente carenza di motivazione. La Corte di appello, in talune ipotesi, ha ritenuto non attendibile quanto riferito da (OMISSIS) a (OMISSIS) a causa della inattendibilita' della fonte di conoscenza di (OMISSIS) , in ordine alla quale pure quest'ultimo aveva espresso dubbi e perplessita' al suo amico (OMISSIS). Cosi' era avvenuto in relazione alla veridicita' delle dichiarazioni autoaccusatorie che (OMISSIS) aveva rivolto a (OMISSIS) asserendo di avere compiuto un grave atto di danneggiamento seguito da incendio per un valore di Euro 700.000,00. Avendo lo stesso (OMISSIS) espresso dubbi in ordine alla veridicita' di quanto appreso dal (OMISSIS), quest'ultimo era stato assolto dalla relativa imputazione (capo 13) per insussistenza del fatto, in mancanza di ulteriori riscontri. Il ricorrente evidenzia che, tuttavia, la Corte di appello non ha costantemente applicato tale criterio di giudizio. (OMISSIS) , nel corso delle conversazioni intercettate, aveva dichiarato di avere appreso da (OMISSIS) di un incontro, avvenuto all'interno di un bar a (OMISSIS) durante le festivita' natalizie del (OMISSIS), tra (OMISSIS) e (OMISSIS) in occasione del quale (OMISSIS) aveva tentato di estromettere il (OMISSIS) dalla gestione dei "lavori delle coste". Il (OMISSIS) aveva affermato di avere partecipato all'incontro, ma (OMISSIS) aveva espresso a (OMISSIS) il dubbio che quanto il (OMISSIS) gli aveva detto fosse vero. Pertanto, la Corte di appello avrebbe dovuto verificare la presenza di ulteriori riscontri prima di considerare come realmente accaduto l'episodio riferito dal (OMISSIS). La applicazione di due diversi criteri di giudizio a vicende analoghe rendeva manifestamente illogica la motivazione. Peraltro, dalle indagini e' emerso che non solo (OMISSIS) , ma anche (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed altri aveva espresso giudizi di scarsa affidabilita' sul (OMISSIS), affermando che egli era solito riferire fatti e circostanze false. Il (OMISSIS) aveva anche riferito a (OMISSIS) , in data 15 dicembre 2010, di avere personalmente aggredito (OMISSIS) per costringerlo a. pagare un debito verso (OMISSIS), ma il giorno seguente (OMISSIS) aveva raccontato a (OMISSIS) che quanto il (OMISSIS) gli aveva detto era falso, come aveva accertato anche 7Pasquale Maurizio Talia. Il ricorrente cita nel suo ricorso numerose occasioni in cui il (OMISSIS) viene indicato quale imbroglione aduso a raccontare fatti inventati a dimostrazione che la Corte di appello non ha adeguatamente valutato la sua attendibilita'. 4.2. Con il secondo motivo - corrispondente al secondo motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge e mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine all'affermazione di penale responsabilita' per il reato associativo. La Corte di appello ha attribuito a (OMISSIS) una posizione di vertice in seno alla cosca osservando che egli e suo fratello (OMISSIS) compaiono in quasi tutti gli appalti come figure di riferimento alle quali compete ogni decisione sulla attribuzione dei lavori, sulla imposizione di imprese o di sodali, sulla divisione dei proventi delle estorsioni e sull'attribuzione di zone. In particolare la figura di (OMISSIS) emerge nei lavori del cimitero, nei lavori delle coste, nei lavori di sistemazione idrogeologica e di consolidamento della zona costiera di (OMISSIS) e nei lavori del sottopassaggio pedonale della stazione di (OMISSIS). I lavori del cimitero del valore di circa Euro 50.000,00 erano stati consegnati all'aggiudicatario (OMISSIS) il 3 dicembre 2010 e completati il 25 febbraio 2011. (OMISSIS) aveva partecipato alla gara di appalto e provava risentimento nei confronti di (OMISSIS) che, pur non avendo partecipato, voleva comunque inserirsi nell'esecuzione dei lavori; (OMISSIS) era amareggiato perche' era stato estromesso dai lavori in favore del (OMISSIS), che si era imposto accreditando legami con gli (OMISSIS) ed in particolare con i (OMISSIS) "bruciati". Dalla vicenda relativa ai lavori del cimitero emerge che vi era un patto tra gli imprenditori locali e le cosche di (OMISSIS) in base al quale gli appalti pubblici di importo inferiore alla soglia di Euro 140.000,00 erano riservati agli imprenditori di (OMISSIS), mentre quelli di valore superiore erano riservati alle cosche di (OMISSIS). (OMISSIS) si doleva perche' l'ingerenza di (OMISSIS) nell'esecuzione dei lavori del cimitero integrava una violazione di detta regola. In realta', sottolinea il ricorrente, in relazione al delitto associativo (capo 1) e ai delitti connessi ai lavori del cimitero contestati al solo (OMISSIS) (capi 14 quater e 14 quinquies), quest'ultimo viene presentato come imprenditore (OMISSIS) alla famiglia dei (OMISSIS) "ramati". La Corte di appello afferma pure che lo stesso (OMISSIS) , nella conversazione intercettata in data 12 novembre 2010, quando la gara per l'aggiudicazione non era stata ancora espletata, si prefigurava, nel caso i lavori del cimitero fossero rimasti a lui, di dover elargire un pensiero alla famiglia (OMISSIS) "lare'" ed a (OMISSIS) in particolare. Dalla conversazione intercettata emerge, quindi, che i lavori non erano controllati da (OMISSIS) ed in genere dai (OMISSIS) "bruciati", cosicche' la motivazione della sentenza di secondo grado appare illogica. La conclusione alla quale e' pervenuta la Corte di appello poggia su una lettura isolata di alcuni passaggi di una singola conversazione intercettata il 21 dicembre 2010 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) in cui (OMISSIS) si lamentava con (OMISSIS) del mancato rispetto della regola relativa ai lavori sotto soglia, ritenendolo garante del rispetto di tale regola, e (OMISSIS) affermava di avere invano invitato il (OMISSIS) a non intromettersi nei lavori ed esprimeva una critica al suo comportamento. In realta', la conversazione intercettata - il cui testo viene riportato nel ricorso - e' ben piu' ampia e dal suo tenore emerge che (OMISSIS) e' estraneo alla vicenda contestata al (OMISSIS), che si sarebbe illecitamente inserito nella fase esecutiva dell'appalto aggiudicato a (OMISSIS); l'intervento del (OMISSIS) era stato autonomamente deciso dal (OMISSIS) e non su mandato di (OMISSIS), che invece l'aveva invitato a desistere. Il (OMISSIS), al fine di convincere i suoi interlocutori, aveva pero' speso il nome dei (OMISSIS) "bruciati" nonostante fosse stato redarguito da (OMISSIS), il che contraddice il ruolo apicale di quest'ultimo. Il (OMISSIS) spendeva il nome dei (OMISSIS) per sfruttarne la forza di intimidazione legata alle passate vicende relative alla c.d. faida di (OMISSIS) e non ad una attuale operosita' criminale. Nella conversazione intercettata mentre (OMISSIS) allude all'esistenza di una regola per la quale i lavori di importo inferiore ad Euro 140.000,00 sono riservati agli imprenditori locali, (OMISSIS) mostra di non conoscerla e (OMISSIS) afferma che (OMISSIS), per indurre (OMISSIS) a ritirarsi dalla gara ha fatto anche il nome dello stesso (OMISSIS) , asserendo che entrambi avevano discusso e deciso che il (OMISSIS) avrebbe dovuto ritirarsi. Anche nella conversazione intercettata in data 1 gennaio 2011 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) il primo riferisce al secondo che (OMISSIS) ha usato i nomi dei (OMISSIS) "bruciati" mentre "quelli non c'entrano niente". Le suddette conversazioni intercettate erano state illustrate sia nell'atto di appello che nella memoria difensiva depositata a corredo della discussione in appello e l'omessa loro considerazione integra una carenza di motivazione ed una manifesta sua illogicita', se raffrontata al compendio probatorio in atti. Quanto alla sussistenza di un accordo tra le cosche di (OMISSIS) e gli imprenditori operanti nel Comune di (OMISSIS), essa e' smentita dalla vicenda relativa ai lavori del palazzetto-palestra, il cui importo era superiore alla soglia di Euro 140.000,00 e che erano stati aggiudicati alla (OMISSIS) s.r.l. di (OMISSIS). Tali lavori, per il loro importo di circa Euro 314.000,00, avrebbero dovuto essere gestiti dalle cosche di (OMISSIS) ed invece erano stati eseguiti in subappalto da (OMISSIS) , imprenditore operante a (OMISSIS), senza alcuna intromissione o coinvolgimento di soggetti appartenenti alle cosche di (OMISSIS). Lo stesso (OMISSIS) nelle conversazioni intercettate in data 18 e 19 novembre 2010 aveva escluso il pagamento di tangenti. L'unico episodio nel quale emerge la figura di (OMISSIS) in relazione ai lavori delle coste riguarda l'incontro, del quale ha riferito a (OMISSIS) (OMISSIS), tenutosi in un bar di (OMISSIS) durante le festivita' natalizie del (OMISSIS) durante il quale (OMISSIS) avrebbe tentato di estromettere (OMISSIS) dalla gestione dei lavori e sul punto il ricorrente richiama gli argomenti gia' sviluppati nel primo motivo di ricorso e sottolinea l'inattendibilita' del (OMISSIS) e l'assenza di riscontri e evidenzia che comunque il tentativo di estromissione non era riuscito, tanto che nella conversazione intercettata in data 21 gennaio 2010 (OMISSIS) asseriva di essere stato contattato proprio dal (OMISSIS) per l'esecuzione di opere connesse ai "lavori delle coste". 4.3. Con il terzo motivo - corrispondente al terzo motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente si duole, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), cod. proc. pen., della attribuzione del ruolo di promotore in relazione al reato associativo contestato al capo 1) e della esclusione del vincolo della continuazione tra i fatti giudicati con la sentenza qui impugnata e quelli per i quali e' stata emessa sentenza irrevocabile all'esito del processo c.d. Touareg. Nella sentenza emessa all'esito del processo c.d. Touareg all'imputato era stato riconosciuto il ruolo di componente della cosca capeggiata da (OMISSIS), mentre in questo processo a (OMISSIS) viene contestato un ruolo direttivo ed organizzativo in seno alla cosca. La sentenza qui impugnata, segnala il ricorrente, non individua il momento in cui egli avrebbe assunto un ruolo direttivo e neppure indica le condotte dalle quali emergerebbe l'assunzione di un simile ruolo, limitandosi ad affermare laconicamente che "Le intercettazioni provano poi la posizione di gerarchia in seno al gruppo". Il ricorrente si duole pure della esclusione del vincolo della continuazione, motivata dalla Corte territoriale sulla base della notevole distanza temporale tra le due condotte associative (quindici anni) e del diverso ruolo a lui ascritto. Sostiene che il lungo lasso di tempo tra le due condotte associative non vale ad escludere l'unicita' del disegno criminoso, considerato che trattasi in entrambe le sentenze della partecipazione alla medesima compagine composta e diretta dal medesimo nucleo di soggetti e che ha avuto perdurante e concreta operativita' e continuita' nel tempo. Per affermare la configurabilita' di diversi ed autonomi sodalizi, il giudice deve, invece, fornire espressa indicazione delle ragioni che l'hanno indotto ad escludere l'ipotesi di un unico gruppo criminale che operi in permanenza, con fisiologici adattamenti della propria composizione ed azione al trascorrere del tempo e delle condizioni esterne. La motivazione della sentenza qui impugnata risulta illogica su tale punto, in quanto o il ricorrente e suo fratello (OMISSIS)hanno continuato a far parte della medesima associazione mafiosa, ed allora deve ritenersi sussistente il vincolo della continuazione, o e' stata creata una nuova associazione ed allora la Corte di appello avrebbe dovuto motivare sulle ragioni per le quali questa nuova associazione avrebbe i caratteri dell'associazione di tipo mafioso, non potendo a tal fine essere utilizzata la sentenza Touareg. A sostegno della medesimezza della associazione e quindi della sussistenza del vincolo della continuazione, depone anche il carattere unitario della âEuroËœndrangheta, sancito con la sentenza c.d. Crimine, che aveva riconosciuto in favore di (OMISSIS) il vincolo della continuazione tra la condotta associativa giudicata con la sentenza stessa e quelle per le quali era stato condannato con la sentenza Touareg. 4.4. Con il quarto motivo - corrispondente al quarto motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge e mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla sua penale responsabilita' per il reato contestato al capo 14 septies). Il ricorrente segnala che la Corte di appello ha confermato la condanna di (OMISSIS), (OMISSIS)e (OMISSIS) per l'estorsione ai danni di (OMISSIS), la cui impresa si era aggiudicata i lavori di consolidamento delle strade della zona costiera in diverse contrade del Comune di (OMISSIS), mentre ha prosciolto (OMISSIS) . Era stato rappresentato alla Corte di appello che il latore della minaccia risultava essere (OMISSIS), ma non era possibile stabilire chi l'avesse incaricato di attuare l'estorsione. Per quanto emerge dalle conversazioni tra (OMISSIS) e (OMISSIS), il (OMISSIS) era stato incaricato di recarsi dal (OMISSIS) per riferirgli che l'appalto interessava a "gente di (OMISSIS)". Al (OMISSIS) non era mai stato contestato in precedenza il ruolo di associato alla âEuroËœndrangheta e nell'imputazione si asseriva che egli era soggetto a disposizione della famiglia dei (OMISSIS) "ramati" e non della famiglia dei (OMISSIS) "bruciati". In ogni caso, l'espressione sopra riportata non aveva alcuna portata minatoria ed il richiamo all'estorsione ambientale non valeva a superare la mancata dimostrazione della sussistenza della minaccia. Questa Suprema Corte, segnala il ricorrente, ha affermato che l'estorsione ambientale si intende quella particolare forma di estorsione, che viene perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali che spadroneggiano in un determinato territorio e che e' immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale dell'associazione di appartenenza del soggetto agente, quand'anche attuata con linguaggio e gesti criptici, a condizione che questi siano idonei ad incutere timore e a coartare la volonta' della vittima (Sez. 2, n. 53652 del 10/12/2014, Bonasorta, Rv. 261632), ma la Corte di appello non ha chiarito le ragioni per le quali quella espressione dovrebbe ritenersi minatoria, soprattutto ove si consideri che la stessa sentenza di appello esclude che (OMISSIS) avesse compreso a quali soggetti (OMISSIS) avesse inteso riferirsi, tanto da rivolgersi, tramite le conoscenze di un suo operaio, a (OMISSIS), che sarebbe stato poi coinvolto nell'esecuzione dei lavori, avendo egli fornito il cemento. La sentenza e', quindi, affetta da mancanza di motivazione. Quanto alla partecipazione di (OMISSIS) alla estorsione, egli si sarebbe rivolto a (OMISSIS) per rappresentargli la richiesta di (OMISSIS) di ottenere dal (OMISSIS) l'anticipazione di una somma di denaro a (OMISSIS) per il lavoro da questi svolto, somma da destinare a soggetti ristretti in carcere ed appartenenti alla cosca (OMISSIS) di (OMISSIS). Poiche', in relazione a tale vicenda non e' stata mossa alcuna contestazione a (OMISSIS), mentre (OMISSIS) e' stato assolto sia dal reato associativo, sia da quello di estorsione, risulta illogica la condanna di (OMISSIS) che, in relazione all'estorsione si sarebbe limitato a riportare a (OMISSIS) la richiesta di (OMISSIS); le somme ricavate dall'estorsione erano peraltro destinate a soggetti detenuti appartenenti alla cosca di (OMISSIS) e non a quella alla quale (OMISSIS) apparterrebbe secondo l'ipotesi accusatoria. La circostanza accertata dimostrerebbe semmai che i lavori appaltati interessavano alla famiglia (OMISSIS) e non ai (OMISSIS) . La Corte di appello afferma anche che (OMISSIS) ed il (OMISSIS) dovevano presentare a (OMISSIS) e (OMISSIS)i conteggi relativi ai lavori e da tale circostanza desume che i lavori appaltati erano controllati dalla famiglia dei (OMISSIS) "bruciati", i quali non solo avevano l'autorita' per stabilire a chi dovessero essere assegnati i lavori, ma avevano titolo anche per decidere come dovessero essere suddivisi gli utili derivanti dall'appalto ed i soggetti che a detta suddivisione dovevano partecipare, tra i quali vi erano gli stessi fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS). Segnala, allora, il ricorrente che dalla conversazione intercettata in data 24 settembre (OMISSIS) tra (OMISSIS) e (OMISSIS) si apprende di una riunione che si sarebbe dovuta tenere il giorno successivo ed alla quale avrebbero dovuto partecipare tale " (OMISSIS)" fratello di " (OMISSIS)" e gli inquirenti hanno ritenuto che si trattasse di (OMISSIS) "bruciato", ma non vi e' stato alcun accertamento sulla circostanza che il giorno seguente quella riunione vi sia stata effettivamente e che ad essa abbia partecipato (OMISSIS), cosicche' tale conversazione non puo' da sola fondare l'affermazione di penale responsabilita' a carico del ricorrente. Peraltro, era provato che alla data del 24 settembre (OMISSIS) (OMISSIS) viveva fuori e tornava al suo paese di origine solo sporadicamente e non era a conoscenza delle vicende relative all'appalto, tanto che proprio in data 24 settembre (OMISSIS), alle ore 18,35, (OMISSIS) gli aveva preannunciato un "discorso" che riguardava anche suo fratello (OMISSIS)e che gli sarebbe stato spiegato dal "professore", ossia (OMISSIS). Dalla conversazione intercettata emergeva che (OMISSIS) era all'oscuro del "discorso" riguardante suo fratello e quindi non e' verosimile che il giorno successivo egli potesse partecipare ad una riunione avente ad oggetto la spartizione del provento di un'estorsione alla quale anch'egli aveva partecipato ai danni di (OMISSIS) per i "lavori del muro". Anche in questo caso la Corte di appello non si e' confrontata con tale deduzione difensiva, cosicche' anche su tale punto vi e' carenza di motivazione. 4.5. Con il quinto motivo - corrispondente al quinto motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge e mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla sua penale responsabilita' per il reato contestato al capo 14 novies). Anche âEuroËœin relazione alla tentata estorsione contestata al capo 14 novies) la Corte territoriale ha affermato la penale responsabilita' del ricorrente, pur assolvendo (OMISSIS) e (OMISSIS) dalla medesima imputazione. Questa riguarda un tentativo di estorsione che, in virtu' delle assoluzioni dei presunti concorrenti, risulterebbe commessa dal solo (OMISSIS) ai danni di (OMISSIS) per i lavori di adeguamento del sottopassaggio pedonale della stazione ferroviaria di (OMISSIS) per Euro 900.000,00 ed aggiudicati al (OMISSIS) grazie all'intervento di (OMISSIS), appartenente alla famiglia (OMISSIS) di (OMISSIS). Con l'atto di appello si era dedotto che la vicenda si poneva in contrasto con la ricostruzione operata in primo grado, secondo la quale, in base agli accordi spartitori tra le cosche di (OMISSIS) e gli imprenditori locali, gli appalti di valore superiore ad Euro 140.000,00 spettavano alle cosche (OMISSIS), essendo i lavori relativi al sottopassaggio stati affidati al (OMISSIS) che era sotto la protezione dei (OMISSIS) di (OMISSIS). La vicenda si poneva anche in contrasto con la massima di esperienza secondo la quale una cosca puo' occuparsi esclusivamente degli affari che riguardano il proprio territorio, massima che trovava conferma anche nel blocco dei lavori attuato dai cosiddetti " (OMISSIS)" ai danni di (OMISSIS) , quando quest'ultimo aveva operato nel territorio di (OMISSIS) da loro controllato. La Corte di appello non si e' confrontata con tali argomenti difensivi, omettendo di motivare in relazione ad essi, cosicche' anche su tale punto la sentenza di appello e' affetta da carenza di motivazione, oltre che illogicita' della motivazione, atteso che in un caso la validita' della massima di esperienza viene confermata e in un altro caso viene negata. In relazione a tale tentata estorsione, vi sono due conversazioni intercettate che riguardano la posizione di (OMISSIS). In una prima conversazione, intercettata il 26 gennaio 2010, (OMISSIS) riferisce a (OMISSIS) di una lamentela di (OMISSIS), che, sfogandosi con lui, si doleva di non aver ancora ricevuto per tali lavori alcuna somma di denaro. Nella stessa conversazione (OMISSIS) riferisce a (OMISSIS) come i (OMISSIS) Bruciati avrebbero dovuto comportarsi se avessero inteso ottenere il pagamento di quanto loro dovuto. Quanto alla prima parte della conversazione, relativa allo sfogo di (OMISSIS), con l'atto di appello si era osservato che nella conversazione non si precisava quando e dove esso sarebbe avvenuto e non si comprendeva perche' (OMISSIS) avrebbe dovuto parlare della vicenda a (OMISSIS) , se questo non era un appartenente alla associazione mafiosa. Il racconto che (OMISSIS) riferisce a (OMISSIS) si pone in conflitto con la regola per la quale l'associato non puo' parlare di vicende attinenti all'associazione mafiosa con soggetti che non ne facciano parte. Peraltro, e' illogico ritenere attendibile una conversazione nella quale un soggetto estraneo al sodalizio mafioso, (OMISSIS) , spiega ad altro estraneo, (OMISSIS), come una cosca avrebbe dovuto operare allo scopo di imporre il pagamento dell'estorsione relativa ai lavori del sottopassaggio. Laddove si ritenga credibile tale conversazione, dovrebbe semmai concludersi che la pretesa estorsiva non sia poi stata attuata. La Corte di appello avrebbe semmai dovuto precisare chi, quando, in quali circostanze e con quali mezzi avesse posto in essere una condotta idonea ad integrare una minaccia o una violenza con finalita' estorsive. La seconda conversazione e' quella del 31 gennaio 2010 in cui (OMISSIS) afferma di avere appreso da (OMISSIS) dell'incontro al quale avrebbero partecipato a (OMISSIS), oltre al (OMISSIS), (OMISSIS) "bruciatu" e (OMISSIS) "u gnomu" ed esponenti della famiglia (OMISSIS), i quali, a seguito dell'incontro, avevano promesso che in pochi giorni sarebbe stata consegnata una somma di denaro di Euro 30.000,00. Dalla conversazione emerge che l'appalto dei lavori e' controllato dai (OMISSIS), eppure non viene mossa alcuna contestazione a carico dei (OMISSIS) o del (OMISSIS). La Corte di appello si discosta dalla sentenza di primo grado quando assolve (OMISSIS) e (OMISSIS) ed invece la conferma laddove condanna (OMISSIS) per il tentativo di estorsione. Nella motivazione della sentenza di appello si afferma che il riferimento a (OMISSIS) e' troppo isolato e che il ruolo svolto dal (OMISSIS) in quella riunione e' marginale e la sua condotta non appare causalmente efficiente in relazione alla specifica vicenda estorsiva. Segnala allora il ricorrente che se isolati e marginali sono i riferimenti alle figure del (OMISSIS) e del (OMISSIS), alla medesima conclusione doveva pervenirsi in relazione alla sua posizione, essendo medesimi i riferimenti probatori. La differenza tra le posizioni del (OMISSIS) e del (OMISSIS) e quella di (OMISSIS) viene illustrata nell'ultima parte della motivazione dedicata a tale vicenda, in cui si fa riferimento all'accertato ruolo del ricorrente in seno all'associazione mafiosa quale riscontro alla sua partecipazione alla tentata estorsione. In tal modo, tuttavia, si viene a creare un "corto circuito" motivazionale in cui la partecipazione al sodalizio criminale funge da riscontro in ordine alla partecipazione di (OMISSIS) alla tentata estorsione e il suo concorso nella tentata estorsione, essendo questo un reato fine dell'associazione mafiosa, dimostrerebbe la sua partecipazione all'associazione mafiosa. 4.6. Con il sesto motivo - corrispondente al sesto motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge e mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine all'applicazione dell'aggravante della finalita' di agevolare l'associazione mafiosa in relazione ai reati contestati ai capi 14 septies) e 14 novies). Sostiene il ricorrente che l'aggravante non puo' discendere dalla mera appartenenza dell'imputato alla âEuroËœndrangheta, mentre occorre motivare in ordine alle ragioni per cui deve ritenersi che tali reati siano stati commessi per agevolare o rafforzare l'associazione mafiosa e non per finalita' di arricchimento o rafforzamento personale dell'imputato e nel caso di specie la Corte di appello non ha fornito in proposito alcuna motivazione. 4.7. Con il settimo motivo - corrispondente al settimo motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge e mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine all'applicazione dell'aggravante prevista dai commi quarto e quinto dell'articolo 416-bis cod. pen. La Corte di appello ha ritenuto sussistente l'aggravante in quanto e' risultato che (OMISSIS) aveva la disponibilita' di armi di diverso tipo ed anche il danneggiamento della motopala del (OMISSIS) era avvenuta esplodendo colpi di arma da fuoco. Inoltre, anche (OMISSIS) aveva ritenuto possibile lo scoppio di una guerra di mafia. Il ricorrente sostiene che tale ragionamento e' illogico. Non si spiega sulla base di quali elementi si e' ritenuto che il (OMISSIS) detenesse le armi non nel suo esclusivo interesse, ma per tenerle a disposizione dell'associazione, cosicche' in relazione a tale punto vi e' mancanza di motivazione. L'episodio del danneggiamento dell'automezzo del (OMISSIS) e' stato attuato dal gruppo dei "(OMISSIS)", che era sotto il controllo di (OMISSIS) e che la Corte di appello ha ritenuto non integrasse un'associazione di tipo mafioso. Non e' quindi possibile riferire la detenzione di armi da parte del gruppo dei "(OMISSIS)" alla associazione di tipo mafioso alla quale apparterrebbe l'odierno ricorrente. Ne', nel periodo temporale oggetto della contestazione di cui al capo 1), erano scoppiate guerre di mafia attuate utilizzando armi, cosicche' quella evocata da (OMISSIS) nella conversazione intercettata alla quale si e' fatto sopra riferimento resta una mera congettura priva di riscontro. 4.8. Con l'ottavo motivo - corrispondente all'ottavo motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge e mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio ed in particolare in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche. La Corte di appello non ha illustrato le ragioni per le quali si e' discostata dal minimo edittale e nemmeno ha spiegato le ragioni del diniego delle circostanze attenuanti generiche, limitandosi ad affermare l'insussistenza di elementi valutabili a tal fine e senza spiegare le ragioni per le quali esse non potrebbero trovare applicazione, se non facendo riferimento ai precedenti penali dell'imputato. 4.9. Con il nono motivo - corrispondente al primo motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta la inutilizzabilita' degli atti di indagine acquisiti successivamente al 22 gennaio 2012, data di scadenza del termine di durata massima delle indagini preliminari ed in particolare delle informative redatte dalla polizia giudiziaria depositate il 12 maggio 2012 ed il 12 aprile 2013, che non avevano natura riepilogativa, nonche' le informative redatte dai Carabinieri del Gruppo di (OMISSIS) datate 23 febbraio 2018, 31 maggio 2018 e 1 giugno 2018, relative ai c.d. "lavori delle coste", ai "lavori del muro" e ai lavori del sottopassaggio della stazione ferroviaria di (OMISSIS). L'eccezione di inutilizzabilita' e' stata rigettata dal Giudice dell'udienza preliminare, osservando che tali atti riguardavano reati che non emergevano dagli atti e neppure erano stati ipotizzati nella prima fase della indagine, che riguardava il solo delitto associativo, ed avevano costituito oggetto di iscrizione successiva. La Corte di appello ha invece affermato che, avendo gli imputati optato per il rito abbreviato, essi non potrebbero far valere l'inutilizzabilita' degli atti di indagine. Il ricorrente sostiene che tale assunto non e' condivisibile, in quanto tale forma di inutilizzabilita' puo' essere rilevata anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo e anche l'articolo 438, comma 5, cod. proc. pen. impone al giudice di tenere conto, ai fini della decisione, degli atti "acquisiti ed utilizzabili", mostrando in tal modo di non consentire al giudice di porre a base della decisione atti inutilizzabili. Ne' l'inutilizzabilita' e' suscettibile di sanatoria alcuna. Per effetto di tale inutilizzabilita', il ricorrente non dovrebbe essere condannato per tutte le imputazioni per le quali e' stata affermata la sua penale responsabilita'. Anche la motivazione addotta dal Giudice per le indagini preliminari e' errata, poiche' tutti gli elementi di fatto relativi alle vicende di cui ai capi 14 septies) e 14 novies) dai quali sono sca (OMISSIS)te nel 2018 le iscrizioni a carico del (OMISSIS) erano gia' a disposizione del Pubblico ministero all'epoca del deposito dell'informativa del 12 maggio 2012. A tal fine era sufficiente esaminare la informativa del 14 maggio 2012 e la delega di indagine emessa dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria del 7 dicembre 2017 che a quella informativa faceva riferimento per constatare che alla data del 22 gennaio 2012 il Pubblico ministero gia' disponeva di tutti gli elementi per iscrivere a carico di (OMISSIS) i reati di cui ai capi di imputazione sopra menzionati. In ogni caso il Pubblico ministero avrebbe potuto al massimo aggiornare le precedenti iscrizioni, non iscrivere ex novo i delitti di estorsione facendo decorrere nuovamente i termini di durata delle indagini preliminari allo scopo di rendere legittima l'utilizzazione delle successive acquisizioni. Non ricorre, quindi, l'ipotesi dell'iscrizione di nuove notizie di reato. In relazione ad entrambe le imputazioni il Giudice dell'udienza preliminare ha utilizzato gli atti di cui si lamenta l'inutilizzabilita' ai fini dell'affermazione di penale responsabilita'. 4.10. Con il decimo motivo - corrispondente al secondo motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente deduce la mancanza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione quanto alla valutazione delle conversazioni ambientali registrate all'interno della vettura di (OMISSIS) , utilizzate quale prova a carico dello stesso ricorrente, nonche' la violazione dell'articolo 416-bis cod. pen. La Corte di appello ha fondato l'affermazione di penale responsabilita' del ricorrente per il reato associativo soprattutto sulle conversazioni intercettate all'interno dell'autovettura di (OMISSIS) , ritenute attendibili nonostante quest'ultimo non appartenesse ad alcuna cosca e non fosse un referente delle cosche operanti sul territorio, ma fosse addirittura sottomesso a queste, venendo costantemente estromesso dagli appalti pubblici; la Corte di appello ha ritenuto (OMISSIS) attendibile perche' imprenditore edile come tale costretto a confrontarsi con le cosche che dominavano il settore degli appalti pubblici e comunque conoscitore, in virtu' del suo passato, di persone e situazioni ed in genere di tale ambiente. Egli doveva, quindi, ritenersi, per tali sue qualita' e per la sua prossimita' ai fatti oggetto di narrazione, altamente credibile. In tal modo, pero', segnala il ricorrente, la Corte di appello non ha rispettato i principi che disciplinano la valutazione delle conversazioni intercettate quale fonte diretta di prova e ha evitato di confrontarsi con le doglianze sollevate in relazione a tale punto con l'atto di appello, neppure da essa comprese, incorrendo nel vizio di mancanza di motivazione. Con il gravame si era dedotto che (OMISSIS) , nelle conversazioni intercettate, non avesse raccontato fatti realmente accaduti, ma avesse formulato ipotesi e congetture su fatti da lui non conosciuti. Quanto alla qualita' dei conversanti intercettati, mentre la sentenza di primo grado aveva affermato che (OMISSIS) era un appartenente alla âEuroËœndrangheta, la Corte territoriale ha escluso detta appartenenza, asserendo che egli, anche per ragioni familiari, era contiguo alle cosche, ma non ha poi valutato le sue dichiarazioni con quel rigore che e' necessario laddove esse provengano da soggetti estranei all'associazione di tipo mafioso. Le conversazioni intercettate, in quanto intervenute tra soggetti estranei all'associazione di tipo mafioso, non possono avere valore di prova diretta, cosicche' la motivazione appare illogica. Quanto alla prossimita' di (OMISSIS) ai fatti oggetto di narrazione, tale criterio, oltre ad essere "evanescente", non fornisce alcuna garanzia di veridicita' dei fatti narrati, considerato che egli non riferisce fatti ai quali ha assistito, ma si limita ad immaginare scenari sulla base di mere congetture. Anche volendo tenere conto della riservatezza del luogo in cui erano state tenute le conversazioni, essa non valeva a rendere di per se' veritiere le narrazioni. In ogni caso la Corte di appello non ha risposto alle censure formulate con l'atto di appello in relazione a ciascuna delle vicende dalle quali dovrebbe evincersi il controllo, da parte della âEuroËœndrangheta, degli appalti pubblici ed e' addirittura incorsa in contraddizione, laddove, pur ammettendo che (OMISSIS) aveva in talune occasioni espresso millanterie, aveva escluso che egli avesse mentito a (OMISSIS), sebbene fosse stato provato il contrario in relazione ai c.d. "lavori delle fogne" e la stessa Corte di appello avesse riconosciuto, in relazione al capo di imputazione n. 4), che la prova della collusione dei pubblici ufficiali non poteva essere tratta dalle sue dichiarazioni. In tal modo la Corte territoriale ha operato una inammissibile selezione del materiale probatorio, valorizzando talune conversazioni e trascurandone altre ed esprimendo un giudizio onnicomprensivo avulso dalla concreta analisi critica di quanto attinente alle singole vicende che si pretendono essere state oggetto di condizionamento mafioso, necessaria laddove si fosse voluto dare risposta alle doglianze difensive. I risultati ai quali e' pervenuta la Corte di appello contrastano anche con le massime di esperienza relative alla âEuroËœndrangheta e tra queste quella secondo la quale una locale non puo' invadere il territorio di competenza di altra locale. Anche l'ipotesi della conclusione di un accordo tra la âEuroËœndrangheta e gli imprenditori locali al fine di lasciare a questi ultimi gli appalti di importo inferiore ad Euro 150.000,00 non appare verosimile, dovendo ipotizzarsi che le cosche mafiose siano disponibili a venire a patti con indeterminati soggetti imprenditoriali. La affermazione della penale responsabilita' del ricorrente e' quindi il frutto di errori nella valutazione del materiale istruttorio che rendono la motivazione mancante, illogica e comunque contraddittoria, anche per effetto del travisamento delle prove. 4.11. Con l'undicesimo motivo - corrispondente al secondo motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta la mancanza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine alla valutazione delle conversazioni intercettate, di cui vengono specificati gli estremi, relative ai c.d. "lavori delle coste". Il ricorrente sostiene che dalle conversazioni intercettate emerge solo che i due interlocutori parlano di scenari meramente immaginati sulla base di mere congetture che neppure consentono di individuare con esattezza i soggetti cui esse si riferiscono e che per cio' stesso risultano non utilizzabili. Laddove poi la Corte territoriale afferma che le conversazioni sono riscontrate da servizi di accertamenti della polizia giudiziaria, il ricorrente sostiene che tali riscontri sono in realta' dati del tutto neutri in quanto a conoscenza di chiunque avesse operato quale imprenditore edile in un piccolo Comune quale quello di (OMISSIS) e che in un'occasione, in relazione alla presenza di due escavatori sulla marina interessata dai lavori che (OMISSIS) attribuiva a tale (OMISSIS) ed ad un "(OMISSIS)", i carabinieri avevano accertato che essi appartenevano a (OMISSIS) e a (OMISSIS), ossia a persone non collegate a (OMISSIS) o a (OMISSIS), cosicche' non e' dimostrato che i (OMISSIS) "bruciati" abbiano imposto l'utilizzo di propri mezzi in relazione all'appalto dei "lavori delle coste". Nemmeno e' mai accaduto l'episodio che (OMISSIS) riferisce al (OMISSIS) per averlo appreso da (OMISSIS), ossia che (OMISSIS) avesse pesantemente redarguito (OMISSIS) invitandolo a non interessarsi ai predetti lavori; lo stesso (OMISSIS) , conversando con il (OMISSIS), mostra di non dare credito a quanto il (OMISSIS) gli aveva riferito. In altre occasioni la Corte territoriale ha ritenuto il (OMISSIS) un millantatore e non ha dato credito a quanto da lui dichiarato a (OMISSIS) proprio in virtu' dei dubbi espressi da quest'ultimo in ordine alla veridicita' del suo racconto e, tuttavia, nel caso sopra riportato la Corte di appello ha ritenuto veritiero il racconto, del (OMISSIS), nonostante i dubbi espressi da (OMISSIS) . 4.12. Con il dodicesimo motivo - corrispondente al quarto motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta la mancanza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine alla valutazione delle conversazioni intercettate, di cui vengono specificati gli estremi, relative ai c.d. "lavori delle fiumare", nonche' il travisamento del fatto per l'omessa valutazione di talune conversazioni intercettate, da intendersi quali prove decisive. Con l'atto di appello si era dedotto che non vi erano elementi per identificare in (OMISSIS) il " (OMISSIS)" al quale aveva fatto riferimento (OMISSIS) nella conversazione intercettata il 30 agosto (OMISSIS) e la conclusione in tal senso formulata dal Giudice di primo grado era fondata su mere congetture; ne' aveva pregio la considerazione espressa dal Giudice dell'udienza preliminare alla pagina 507 della sentenza di primo grado e basata sulla conversazione del 21 gennaio 2010 ove si afferma che il Miceli si era accordato con gli "(OMISSIS)", essendo questa un'espressione del tutto generica. 4.13. Con il tredicesimo motivo - corrispondente al quinto motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta la mancanza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine alla valutazione delle conversazioni intercettate, di cui vengono specificati gli estremi, relative ai c.d. "lavori della scuola elementare di (OMISSIS)", nonche' il travisamento del fatto per l'omessa valutazione di talune conversazioni intercettate, da intendersi quali prove decisive. Con l'atto di appello era stata dedotta l'erronea valutazione di talune delle conversazioni intercettate e l'omessa valutazione di altre e, tra queste, in particolare della conversazione del 31 gennaio 2010 dalla quale risultava che l'effettivo esecutore dei lavori era (OMISSIS), che stava completando i lavori prendendo a prestito attrezzi di proprieta' di (OMISSIS) . Quest'ultimo, nella conversazione del 24 marzo 2010, stigmatizzava le millanterie del (OMISSIS), che si vantava di ingerirsi negli appalti pubblici. Nella conversazione del 16 ottobre 2010 (OMISSIS) e (OMISSIS), parlando tra loro, affermano che i lavori sono svolti, sotto la protezione dei (OMISSIS) "ramati", dal (OMISSIS) che essi definiscono un imbroglione e che, non disponendo egli di una impresa, ha acquisito l'appalto per il tramite di tale (OMISSIS). In questa conversazione ed in quella del 23 novembre 2010 (OMISSIS) non viene in alcun modo menzionato, ne' vengono menzionati i (OMISSIS) "bruciati". 4.14. Con il quattordicesimo motivo - corrispondente al sesto motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) -- il ricorrente lamenta la mancanza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine alla valutazione delle conversazioni intercettate relative ai c.d. "lavori del villaggio Gioiello del mare", nonche' il travisamento del fatto per l'omessa valutazione di talune conversazioni intercettate, di cui vengono indicati gli estremi, da intendersi quali prove decisive. Anche in relazione a tali lavori, non veniva operato alcun riferimento specifico alla persona di (OMISSIS), che non era annoverato tra le persone che avevano incontrato il Cuppari o con lui avevano interloquito o comunque avevano preso parte alla vicenda. Il " (OMISSIS)" al quale aveva fatto riferimento (OMISSIS) nella conversazione intercettata il 27 gennaio 2011 era (OMISSIS) (OMISSIS). Anche in relazione a tale vicenda (OMISSIS) , conversando con (OMISSIS), si limita a formulare delle mere ipotesi, come emerge chiaramente dalle conversazioni del 5 gennaio 2010 e del 3 dicembre 2010. La decisione dei giudici del merito poggia sul racconto, riferito a (OMISSIS) da (OMISSIS), secondo il quale quest'ultimo avrebbe convocato il Cuppari innanzi ai "lare'", ai "bruciati" e ai "ramati", ma essa appare illogica poiche' pur ammettendo che il (OMISSIS) era solito mentire, non spiega perche' in tale occasione egli avrebbe detto la verita'. Anche (OMISSIS) ed il (OMISSIS) mostrano di non credere al suo racconto nella conversazione intercettata il 5 dicembre 2010. La stessa Corte di appello ha ritenuto il (OMISSIS) non credibile anche quando si era autoaccusato del reato di incendio di cui al capo 13). Dalle conversazioni intercettate risulta che, in realta', (OMISSIS) ed il (OMISSIS) si limitano ad esprimere proprie personali opinioni, senza essere a conoscenza delle dinamiche delinquenziali della zona. 4.15. Con il quindicesimo motivo - corrispondente al settimo motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta la mancanza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine alla valutazione delle conversazioni intercettate relative ai c.d. "lavori delle fogne", di cui vengono indicati gli estremi, da intendersi quali prove decisive. Il ricorrente segnala che confrontando la conversazione intercettata il 15 novembre 2010 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), in cui il primo riferisce al secondo che (OMISSIS) gli aveva rivelato che anche i (OMISSIS) "bruciati" erano interessati ai predetti lavori, e la conversazione del 3 febbraio 2011 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), in cui quest'ultimo chiede a (OMISSIS) informazioni su cosa abbiano ad oggetto e chi stia eseguendo tali lavori, si comprende agevolmente che (OMISSIS) ha mentito al (OMISSIS) in occasione della prima conversazione. Pertanto, (OMISSIS) non puo' essere ritenuto credibile quando conversa con il (OMISSIS). 4.16. Con il sedicesimo motivo - corrispondente all'ottavo motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta la mancanza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine alla valutazione della conversazioni intercettata il 21 luglio 2010, da intendersi quale prova decisiva, in relazione ai c.d. "lavori della Chiesa e della (OMISSIS)", ai lavori del palazzetto dello sport, ai c.d. "lavori del taglio dell'erba" e ai lavori della caserma dei carabinieri di (OMISSIS). I lavori della chiesa e della (OMISSIS) ed i lavori del palazzetto dello sport erano stati subappaltati a (OMISSIS) dalla (OMISSIS) s.r.l. senza alcun intervento di (OMISSIS), come riconosciuto dalla stessa Corte di appello e come emergeva dalla conversazione intercettata sopra citata. Tale circostanza dimostrava l'insussistenza di un gruppo di potere mafioso deputato alla spartizione degli appalti e comunque l'estraneita' ad esso del ricorrente. Diversamente ragionando, non si comprenderebbe come (OMISSIS) abbia potuto acquisire tali lavori senza doverne rendere conto a tale gruppo di potere, ne' potrebbe trovare spiegazione il blocco dei "lavori del taglio dell'erba" subito da (OMISSIS) ; laddove egli fosse stato "sponsorizzato" da (OMISSIS), egli non avrebbe dovuto subire alcun intoppo. Anche in relazione ai lavori della caserma dei carabinieri, (OMISSIS) non aveva subito alcun condizionamento e solo per ragioni di cortesia aveva consentito a (OMISSIS) di utilizzare la propria ditta per l'esecuzione delle opere. 4.17. Con il diciassettesimo motivo - corrispondente al nono motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta la mancanza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine alla valutazione delle conversazioni intercettate, di cui vengono indicati gli estremi, relative ai c.d. "lavori del cimitero", anche per effetto del travisamento di altre conversazioni, di cui vengono indicati gli estremi, da intendersi quali prove decisive. Si segnala che la vicenda dei lavori del cimitero assume particolare rilievo in relazione alla posizione di (OMISSIS), in quanto quest'ultimo avrebbe avvicinato (OMISSIS) assieme a (OMISSIS) ed avrebbe ammesso, nella conversazione con (OMISSIS) intercettata in data 21 dicembre 2010, che vi era un patto tra le cosche e gli imprenditori locali che riservava a questi gli appalti relativi ai lavori di importo inferiore ad Euro 140.000,00. Sostiene il ricorrente che e' stata travisata la conversazione del 21 dicembre 2010 in cui (OMISSIS) riferisce a (OMISSIS) di avere appreso dal (OMISSIS) che (OMISSIS) aveva chiesto a quest'ultimo le ragioni per le quali (OMISSIS) era stato escluso dalla partecipazione alla gara per l'aggiudicazione dei lavori ed il (OMISSIS) aveva risposto che l'invito a partecipare alla gara era stato inviato anche al (OMISSIS), che, pero', si era dimenticato di concorrere. In realta', evidenzia il ricorrente, la veridicita' del racconto del (OMISSIS) era esclusa dalle indagini della polizia giudiziaria che avevano permesso di accertare che la impresa del (OMISSIS) non era mai stata invitata a partecipare alla gara dal Comune di (OMISSIS) e tanto faceva ritenere non credibile l'intero racconto del (OMISSIS), poiche' il (OMISSIS) non aveva, quale progettista dei lavori, alcun interesse a riferire il falso. In ogni caso, dalla circostanza che (OMISSIS) avesse cercato di attingere notizie dal progettista dei lavori, che non aveva alcun potere decisionale in ordine alla loro aggiudicazione, non poteva evincersi un suo intervento illecito nella procedura di aggiudicazione. Inoltre, la Corte territoriale aveva mal interpretato la conversazione intercettata in data 21 dicembre 2010 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) senza coglierne il reale significato. In essa (OMISSIS) prende le distanze dal condizionamento illecito degli appalti e disconosce le condotte del (OMISSIS), che utilizzava indebitamente il nome suo e quello di suo fratello (OMISSIS)per sfruttarne abusivamente il potere intimidatorio, e mostra la sua intenzione di redarguirlo. Ne' puo' trarsi alcun elemento di prova dalla conversazione del 22 dicembre 2010 tra (OMISSIS) ed il (OMISSIS), che pure ha un significato diverso da quello che gli viene attribuito, o la conversazione intervenuta tra gli stessi il 19 novembre 2010, sia per la genericita' del riferimento ai "bruciati" in essa contenuto, sia perche' gli stessi interlocutori definiscono in essa il (OMISSIS) quale un imbroglione e millantatore. 4.18. Con il diciottesimo motivo - corrispondente al decimo motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta la mancanza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine alla valutazione della conversazione intercettata il 2 ottobre (OMISSIS) tra (OMISSIS) ed il (OMISSIS), da intendersi quale prova decisiva. Nella conversazione (OMISSIS) riferisce a (OMISSIS) di avere appreso, da un colloquio con Francesco (OMISSIS), che quest'ultimo non e' a conoscenza del presunto patto tra imprenditori locali e âEuroËœndrangheta. La Corte di appello ha affermato che la vicenda relativa all'estorsione ai danni del (OMISSIS) non contraddice l'esistenza del patto spartitorio poiche' essa si colloca al di fuori del sistema imposto dalle cosche di (OMISSIS). Sostiene, allora, il ricorrente che tale motivazione e' eccentrica rispetto al motivo di appello con il quale si era evidenziato che il (OMISSIS), pur operando quale imprenditore edile nel territorio del Comune di (OMISSIS), non aveva avvertito alcun condizionamento, tanto da proporre a (OMISSIS) di organizzarsi economicamente allo scopo di acquisire gli appalti banditi dal Comune di (OMISSIS). Non vi era stata alcuna estorsione attuata ai danni del (OMISSIS). 4.19. Con il diciannovesimo motivo - corrispondente all'undicesimo motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta la mancanza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine alla valutazione della conversazione intercettata il 21 dicembre 2010, da intendersi quale prova decisiva, in relazione alle difficolta' economiche di (OMISSIS). I Giudici del merito non hanno considerato che (OMISSIS) viveva lontano dalla Calabria dal giugno 2007 e per tale motivo non e' rimasto coinvolto in alcuna altra indagine riguardante la gestione da parte della âEuroËœndrangheta degli appalti pubblici. Peraltro, la Corte di appello ha omesso di considerare la conversazione intercettata sopra indicata, nel corso della quale (OMISSIS) evidenzia che le condizioni economiche dell'odierno ricorrente non sono buone, il che contrasta con la spartizione delle grandi somme di denaro che allo stesso sarebbero dovute derivare laddove egli effettivamente avesse avuto il controllo degli appalti banditi dal Comune di (OMISSIS). 4.20. Con il ventesimo motivo - corrispondente al dodicesimo motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta la mancanza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine alla valutazione di talune conversazioni intercettate, i cui estremi vengono indicati nel motivo di ricorso e da intendersi quali prove decisive, e relative alla partecipazione di (OMISSIS) all'incontro con (OMISSIS) e altri esponenti di âEuroËœndrangheta presso un bar nel periodo delle feste natalizie del (OMISSIS). Secondo l'ipotesi accusatoria, (OMISSIS) avrebbe partecipato a detto incontro ed avrebbe pesantemente redarguito (OMISSIS), esponente di spicco della criminalita' organizzata operante sul territorio. La circostanza emergerebbe dalla conversazione del 31 gennaio 2010 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), che l'avrebbe riferita al primo. Con l'appello era stato dedotta l'inesistenza di alcuna prova che l'incontro fosse avvenuto e comunque era stata evidenziata l'inattendibilita' del (OMISSIS), tanto che pure (OMISSIS) , pochi minuti dopo aver ascoltato il racconto del (OMISSIS), aveva espresso al (OMISSIS) i suoi dubbi sulla veridicita' del racconto. La Corte di appello, in relazione ad altre circostanze di fatto, aveva ritenuto inattendibile quanto riferito dal (OMISSIS) nelle conversazioni intercettate proprio in virtu' dei dubbi espressi da (OMISSIS) e, tuttavia, del tutto contraddittoriamente, non aveva applicato il medesimo criterio di giudizio in relazione all'incontro tra (OMISSIS) e (OMISSIS). Anche in numerose altre conversazioni (OMISSIS) ed il (OMISSIS) mostrano di considerare il (OMISSIS) quale un imbroglione. Ciononostante, la Corte territoriale ha ritenuto attendibile il suo racconto, che, peraltro, non risulta in alcun modo riscontrato. 4.21. Con il ventunesimo motivo - corrispondente al tredicesimo motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta la mancanza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine alla valutazione delle dichiarazioni accusatorie del collaboratore di giustizia (OMISSIS). La Corte di appello ha considerato generiche le dichiarazioni del collaborante, mentre avrebbe dovuto ritenerle inattendibili e non riscontrate. 4.22. Con il ventiduesimo motivo - corrispondente al quattordicesimo motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta, in relazione al delitto di estorsione di cui al capo 14 septies), la mancanza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine alla valutazione di talune conversazioni intercettate, i cui estremi vengono indicati nel motivo di ricorso e relative ai c.d. "lavori del muro", nonche' l'erronea qualificazione giuridica del fatto, in realta' integrante un mero tentativo di estorsione. Il ricorrente evidenzia che mentre nella sentenza di primo grado (OMISSIS) viene indicato quale uno dei concorrenti nell'estorsione, la sentenza di secondo grado gli attribuisce la posizione di vittima, avendo egli partecipato alla esecuzione dei lavori, e segnala che la motivazione e' illogica perche' non e' dimostrato che (OMISSIS) abbia in alcun modo collaborato alla commissione del delitto. In particolare, non puo' sostenersi che il (OMISSIS) sia stato inviato dal ricorrente a rappresentare al (OMISSIS) la richiesta estorsiva sol perche' il (OMISSIS) ha, in tale frangente, affermato che il lavoro "lo fanno i paesani miei" e che il lavoro interessava "a gente di (OMISSIS)" e la Corte di appello non ha dato risposta al motivo di gravame con il quale si sosteneva che le persone indicate dal (OMISSIS) non potevano essere identificate con certezza nei (OMISSIS) "bruciati" potendo i mandanti essere individuati in soggetti diversi, come (OMISSIS), che pure era di (OMISSIS). Difatti, non avendo il (OMISSIS) menzionato i "bruciati", il (OMISSIS) non era stato in grado di comprendere a chi egli avesse voluto riferirsi, tanto che egli aveva chiesto ad altri soggetti di scoprire chi fossero coloro che, tramite il (OMISSIS), avevano avanzato le loro pretese e poi, tramite un suo operaio, si era rivolto a (OMISSIS) per chiedere protezione. In ogni caso, anche laddove si ritenesse che il (OMISSIS) fosse stato incaricato dai "bruciati", non era dimostrato che tutti i componenti della famiglia indicata con quel soprannome fossero coinvolti nella vicenda estorsiva. Neppure era dato comprendere a vantaggio di chi i "bruciati" avessero esercitato le loro pressioni, atteso che il (OMISSIS) non aveva eseguito lavori in relazione ai c.d. "lavori del muro" ed essendo intervenuto un patto chiaro ed esplicito tra (OMISSIS) e (OMISSIS) per gestire insieme i lavori ed i subappalti sin dal maggio (OMISSIS), come risultava da molte delle conversazioni intercettate. In particolare, dalla conversazione intercettata in data 18 maggio (OMISSIS) tra (OMISSIS) ed il (OMISSIS) risulta che quest'ultimo era in grado di scegliere autonomamente i subappaltatori e quindi l'assenza del condizionamento degli (OMISSIS) e nella stessa sentenza di appello si riconosce che anche (OMISSIS) era in condizione di scegliersi i subappaltatori. Se vi sono state pressioni su (OMISSIS) e su (OMISSIS) , esse sono state esercitate dallo (OMISSIS), che pretendeva di partecipare all'esecuzione dei lavori. Il ricorrente segnala che i giudici del merito hanno tratto la convizione che (OMISSIS) abbia chiesto a (OMISSIS) di intervenire sul (OMISSIS) da due conversazioni tra (OMISSIS) ed il (OMISSIS) intercettate il 10 settembre (OMISSIS), il cui significato e' stato travisato. Il " (OMISSIS)" al quale in esse si faceva riferimento andava identificato in (OMISSIS) (OMISSIS), che pure aveva partecipato all'esecuzione dei "lavori del muro", come risultava da altra conversazione intercettata il 14 ottobre (OMISSIS). In ogni caso, anche volendo individuare in (OMISSIS) il soggetto al quale (OMISSIS) aveva parlato, dal tenore della conversazione del 10 settembre (OMISSIS) emergeva che l'intervento del (OMISSIS) era volto esclusivamente ad ottenere notizie da (OMISSIS) tramite (OMISSIS) circa l'eventuale avvenuto pagamento da parte del (OMISSIS) allo (OMISSIS) del prezzo del subappalto; (OMISSIS) non aveva affidato a (OMISSIS) alcuna richiesta da rivolgere al (OMISSIS) e comunque (OMISSIS) non aveva rivolto alcuna richiesta di notizie o di pagamenti al (OMISSIS) valendosi di (OMISSIS) , non avendo egli mai incontrato il (OMISSIS) e non volendo che l'oggetto della richiesta del (OMISSIS) fosse conosciuta. Neppure vi e' prova che la riunione in cui si sarebbe dovuto discorrere dei conteggi relativi ai "lavori del muro" sia stata effettivamente tenuta e se le somme siano state corrisposte, cosicche' il fatto andrebbe semmai qualificato come tentata estorsione. 4.23. Con il ventitreesimo motivo - corrispondente al quindicesimo motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente denuncia, in relazione al delitto di estorsione di cui al capo 14 septies), la nullita' della sentenza ai sensi dell'articolo 522 cod. proc. pen. per difetto di correlazione tra accusa e sentenza, poiche', come sopra gia' esposto, mentre nella sentenza di primo grado il destinatario dell'estorsione e' il (OMISSIS), nella sentenza di appello viene indicato come tale (OMISSIS) , senza che sul mutamento del fatto, mai formalizzato nel corso del giudizio di primo grado, sia stata attivata alcuna forma di contraddittorio, con conseguente lesione del diritto di difesa dell'imputato. 4.24. Con il ventiquattresimo motivo - corrispondente al sedicesimo motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta, in relazione al delitto di estorsione di cui al capo 14 novies), la mancanza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine alla valutazione di talune conversazioni intercettate, i cui estremi vengono indicati nel motivo di ricorso e relative ai c.d. "lavori del sottopassaggio", nonche' la violazione degli articoli 56 e 629 cod. pen. La Corte territoriale, alla quale era stato segnalato che in nessuna delle conversazioni intercettate era stato collegato il nome di tale " (OMISSIS)" ed il nome di " (OMISSIS)" ai lavori del sottopassaggio della stazione ferroviaria di (OMISSIS), ha rigettato il motivo osservando che attraverso l'impresa aggiudicataria indicata nelle conversazioni era certo che l'appalto oggetto della vicenda estorsiva andasse identificato in quello relativo ai suddetti lavori. Osserva, allora, il ricorrente che il ragionamento e' illogico perche' presuppone che l'impresa aggiudicataria si sia occupata esclusivamente dei lavori del sottopassaggio, mentre tale circostanza non emerge dalle conversazioni intercettate. Peraltro, le conversazioni intercettate sono di sei mesi successive al completamento dei lavori del sottopassaggio, il che porta ad escludere che il relativo appalto sia stato controllato dalle cosche di (OMISSIS). Nella conversazione del 26 gennaio 2010 si fa riferimento a tale " (OMISSIS)" che viene immotivatamente identificato in (OMISSIS), mentre potrebbe trattarsi di (OMISSIS) o di (OMISSIS), che pure erano coinvolti nell'esecuzione dei lavori pubblici. Ne' dalla conversazione emerge alcuna condotta estorsiva. In essa si fa riferimento a "viaggi" ed "assegni", termini che non escludono interpretazioni alternative; ne' e' possibile comprendere la natura ed il contenuto delle eventuali minacce esercitate, onde poterne apprezzare la serieta' e la idoneita'. 4.25. Con il venticinquesimo motivo - corrispondente al diciassettesimo motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta, in relazione al trattamento sanzionatorio, la violazione dell'articolo 81, cod. pen. per avere la Corte di appello negato il vincolo della continuazione tra i reati per i quali si procede in questa sede e quello di cui all'articolo 416-bis cod. pen. per il quale egli e' stato condannato con la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria datata 11 giugno 1999 che ha parzialmente riformato quella del Tribunale di (OMISSIS) del 23 maggio 1998. Sostiene il ricorrente che le vicende criminali oggetto del presente giudizio sono collegate a quelle per le quali egli e' stato gia' giudicato e ne costituiscono lo sviluppo e sono quindi tutte oggetto, quanto meno nelle loro linee essenziali, di un solo momento ideativo collocato anteriormente alla adesione del ricorrente alla âEuroËœndrangheta e diretto al conseguimento del controllo totale del territorio in cui operava la cosca. La associazione di tipo mafioso e' sempre la stessa e le estorsioni ed il controllo degli appalti pubblici rientrano nel programma dell'associazione criminale. La Corte di appello ha, invece, rigettato l'istanza di applicazione della disciplina del reato continuato con una motivazione inconsistente e viziata, che non considera le ragioni poste a sostegno della richiesta e trascura che proprio la forza di intimidazione delle cosche consentiva la realizzazione delle estorsioni ed il controllo degli appalti pubblici. La distanza temporale tra le due condotte associative non era dirimente, rispondendo essa solo all'esigenza pratica di accertamento e definizione processuale delle vicende giudicate. In ogni caso, l'imputazione per la quale (OMISSIS) e' stato gia' condannato si estende "dal 1983 ad oggi" e non e' chiusa al 1995. 4.26. Con il ventiseiesimo motivo - corrispondente al diciottesimo motivo dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) - il ricorrente lamenta, in relazione al trattamento sanzionatorio, la violazione degli articoli 133 e 62-bis cod. pen., quanto all'omessa applicazione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti, e dell'articolo 114 cod. pen., quanto all'omessa applicazione dell'attenuante al reato di cui al capo 14 septies), la violazione degli articoli 416-bis.1 e 416-bis, quarto e quinto comma, cod. pen., la violazione dell'articolo 81 cod. pen., quanto alla determinazione dell'aumento di pena per la continuazione, nonche' la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine a tali punti della decisione. Quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, la Corte di appello ha motivato collettivamente per tutti gli imputati, senza differenziare le varie posizioni. L'intervento di (OMISSIS) nella vicenda estorsiva di cui al capo 14 septies) era stato secondario e quasi irrilevante e dalle conversazioni intercettate risulta che egli era estraneo alle richieste rivolte al (OMISSIS) da altri e quindi l'efficienza causale della sua condotta era stata minima. La somma versata, Euro 6000,00, da dividere con il fratello, estremamente modesta, tenuto conto anche del valore dell'appalto, pari ad Euro 160.000,00. I fatti risalgono al (OMISSIS) e successivamente egli non ha commesso altri reati di estorsione, mentre la sua partecipazione all'associazione si e' arrestata nel 2010; anche gli altri elementi indicati dall'articolo 133 cod. pen. militano a favore dell'applicazione delle attenuanti generiche. Inoltre, puo' trovare applicazione l'attenuante di cui all'articolo 114 cod. pen. Doveva anche escludersi l'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 cod. pen., in quanto l'estorsione era stata attuata al fine di aiutare il fratello (OMISSIS) e non per agevolare l'associazione criminale. Neppure (OMISSIS) aveva parlato con (OMISSIS) e non poteva, quindi, essergli applicata l'aggravante delle piu' persone riunite. L'associazione mafiosa non poteva ritenersi armata sol perche' (OMISSIS) disponeva di armi e (OMISSIS) aveva espresso il timore che scoppiasse una guerra di mafia. In ogni caso l'aumento di pena per la continuazione risulta eccessivo rispetto alla gravita' del reato associativo e tale da negare al beneficio della continuazione la sua ratio. 5. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso anche (OMISSIS), a mezzo del suo difensore, chiedendone l'annullamento ed articolando dieci motivi. 5.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), cod. proc. pen., la inutilizzabilita' degli atti indagine acquisiti dopo la scadenza dei termini massimi di durata delle indagini preliminari ai sensi degli articoli 191 e 407, comma 3, cod. proc. pen. La Corte di appello ha affermato che le informative di polizia giudiziaria compiute dal 23 gennaio 2012, giorno successivo alla scadenza del termine massimo per le indagini preliminari, sino al 1 giugno 2018 sarebbero utilizzabili in quanto non compiute in violazione di legge e che il vizio sarebbe sanato per effetto della scelta del rito abbreviato ai sensi dell'articolo 438, comma 6-bis, cod. proc. pen. secondo il quale tale scelta comporta la non rilevabilita' delle inutilizzabilita', salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio. Il ricorrente sostiene che tale assunto e' errato, in quanto l'articolo 191, comma 2, cod. proc. pen. prevede che l'inutilizzabilita' puo' essere rilevata anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento e comunque la norma fa salve le inutilizzabilita' conseguenti alla violazione di un divieto probatorio quale e' appunto la violazione del termine di durata massima delle indagini preliminari. Anche gli atti di indagine successivi alla scadenza di detto termine sarebbero affetti dalla c.d. inutilizzabilita' patologica e sarebbero inutilizzabili pure in sede di giudizio abbreviato, sulla base dei principi affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza Tammaro (Sez. U, n. 16 del 21/06/2000, Tammaro, Rv. 216246). 5.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), cod. proc. pen., violazione degli articoli 192, 530, 533, 546, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. e dell'articolo 416-bis, primo e terzo comma, cod. pen. e mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla affermazione della sua penale responsabilita' per il reato contestato al capo 1). Sostiene il ricorrente che manca la motivazione in relazione ad alcuni punti che avevano costituito oggetto di impugnazione, mentre in relazione ad altri la motivazione e' illogica a causa dell'omessa valutazione di numerosi elementi di prova; la mancata valutazione delle prove ha poi condotto alla violazione dell'articolo 416-bis cod. pen., essendo stato ritenuto sussistente il reato previsto da questa disposizione in mancanza dei suoi elementi oggettivi. Mentre il Giudice di primo grado ha utilizzato a fini di prova sia le intercettazioni di conversazioni intercorse tra soggetti diversi da (OMISSIS)e le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia (OMISSIS), la Corte di appello ha ritenuto queste ultime eccessivamente generiche ed incapaci di fornire elementi utili in quanto relative a circostanze accadute molto tempo prima rispetto alle condotte oggetto di contestazione. Tuttavia, segnala il ricorrente, le conversazioni di (OMISSIS) oggetto di intercettazione non hanno ad oggetto fatti storici, ma considerazioni e deduzioni. Per valere come prova esclusiva della penale responsabilita' dell'imputato, gli elementi di prova da esse ricavati devono essere gravi e l'interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni intercettate costituisce una questione di fatto insindacabile in sede di legittimita', purche' motivata in conformita' ai criteri della logica e delle massime di esperienza, mentre nel caso di specie la motivazione e' illogica a causa del travisamento probatorio, dovuto alla circostanza che la Corte di appello ha analizzato solo una parte del compendio probatorio, senza considerare le conversazioni intercettate dalle quali emerge l'inattendibilita' di quanto dichiarato da (OMISSIS) che, nelle sue conversazioni, riferisce considerazioni personali ed avvenimenti mai riscontrati nella loro effettiva verificazione e spesso riporta quanto appreso da (OMISSIS), anch'egli palesemente non credibile, oltre che inattendibile, tanto che che anche (OMISSIS) ed il (OMISSIS) lo ritengono un millantatore, che era solito utilizzare il nome dei (OMISSIS) "bruciati" in modo sconsiderato, tanto da far adirare (OMISSIS), come risulta in una delle conversazioni intercettate. Evidenzia il ricorrente che la sentenza del Tribunale di (OMISSIS) del (OMISSIS), che si e' pronunciata nei confronti degli imputati che non avevano optato per il giudizio abbreviato, ha assolto tutti i coimputati in relazione allo stesso reato, applicando il principio secondo il quale, in caso di generiche affermazioni fatte da terze persone nel corso di conversazioni alle quali non ha partecipato l'indagato, e' necessario che esse trovino riscontro in altri elementi di supporto che integrino con riferimenti specifici la genericita' dell'accusa. La Corte di appello neppure si e' curata di verificare la qualita' dei conversanti, occorrendo invece valutare il loro grado di inserimento in seno al sodalizio criminale. Gli indizi raccolti nel corso di conversazioni telefoniche intercettate, a cui non abbia partecipato l'imputato, possono costituire fonte diretta di prova, senza necessita' di reperire riscontri esterni, a condizione che il contenuto della conversazione sia chiaro e che, per il ruolo ricoperto dagli interlocutori nell'ambito dell'associazione di cui fanno parte, siano portatori di conoscenze qualificate e non vi sia motivo per ritenere che essi esprimano mere opinioni personali o semplici congetture. Peraltro, la Corte di appello ha illogicamente affermato che (OMISSIS)deve essere ritenuto un associato al locale di âEuroËœndrangheta di (OMISSIS), finanche in posizione apicale, sol perche' aveva gia' riportato condanna per il reato associativo mafioso, senza considerare che tale condanna si riferisce ad un periodo di tempo molto risalente nel tempo rispetto ai fatti contestati in questa sede, sostenendo che un soggetto condannato per associazione di tipo mafioso molti anni fa deve necessariamente continuare a far parte dell'associazione, non considerando la funzione rieducativa della pena gia' espiata e senza porre a base di tale conclusione alcuna prova. Per quanto concerne la vicenda dei cosiddetti "lavori del muro", in data 12 ottobre (OMISSIS) (OMISSIS) riferisce al (OMISSIS) che " (OMISSIS)", ossia (OMISSIS), in quanto mandato da gente di (OMISSIS), sarebbe andato da (OMISSIS), aggiudicatario dell'appalto, per intimidirlo e far si' che potessero intromettersi nei lavori alcune famiglie (OMISSIS), tra le quali quella dei (OMISSIS) "bruciati" e quindi anche (OMISSIS). Dalla conversazione, secondo la Corte di appello, si ricaverebbe il coinvolgimento di (OMISSIS)nella vicenda, in quanto egli si sarebbe avvalso del (OMISSIS) per intimidire il (OMISSIS). Dalla conversazione, tuttavia, non si capisce da chi avrebbe appreso tale informazione (OMISSIS) , che nel corso della conversazione la riporta al (OMISSIS). Nonostante le doglianze sollevate in proposito con l'atto di appello, nessuna risposta e' stata fornita dalla Corte territoriale. In realta', (OMISSIS) si limita ad esplicitare al (OMISSIS) il risultato di una sua congettura. - In ogni caso, anche laddove si ritenesse che sia stato il (OMISSIS) a riferire la circostanza a (OMISSIS) , dovrebbe osservarsi che laddove la Corte territoriale afferma che il primo e' soggetto attendibile, la motivazione risulta assolutamente illogica, atteso che nel corso delle conversazioni intercettate piu' volte, ed in particolare nella conversazione del 3 novembre 2010, (OMISSIS) ed il (OMISSIS) affermano che il (OMISSIS) e' un imbroglione ed un millantatore, aduso a spendere il nome di persone senza avere con queste alcun rapporto o accordo. La sentenza di appello afferma che non appaiono scriminanti le conversazioni nelle quali si fa riferimento a "cazziate" fatte dai (OMISSIS) al (OMISSIS), poiche' tale circostanza sarebbe al contrario una conferma del loro legame e, sebbene in piu' occasioni i conversanti abbiano screditato la figura del (OMISSIS), in numerosissime occasioni i dati probatori hanno confermato che l'imputato era imposto dalle cosche (OMISSIS). In realta', neppure era dimostrato che i (OMISSIS) avessero rimproverato il (OMISSIS) e comunque non era dimostrato il preteso legame dei (OMISSIS) con il (OMISSIS). La circostanza dimostrava, invece, che (OMISSIS), avendo appreso che il (OMISSIS) aveva indebitamente utilizzato il suo nome per intimidire il (OMISSIS), non aveva tollerato tale comportamento, non volendo essere accostato ad un imbroglione quale era il (OMISSIS). Proprio l'impossibilita' di stabilire da chi (OMISSIS) avesse appreso le circostanze da lui riferite al (OMISSIS) aveva indotto il Tribunale di (OMISSIS), all'esito del giudizio ordinario celebrato a carico di coloro che non avevano scelto il rito abbreviato, a svalutare la rilevanza probatoria della conversazione intercettata, che ben poteva avere ad oggetto mere congetture e supposizioni di (OMISSIS). Quanto ai "lavori dell'asilo di (OMISSIS)", che secondo l'ipotesi accusatoria sarebbero stati eseguiti dal (OMISSIS) quale socio di (OMISSIS), la Corte di appello si limita a dare per scontata la veridicita' di quanto da (OMISSIS) riferito al (OMISSIS), senza tenere conto della genericita' delle dichiarazioni e della inattendibilita' di (OMISSIS) , aspetti sui quali la Corte di appello omette di motivare poiche' non vi sono elementi di prova in grado di riscontrare la circostanza. Da quanto sopra esposto in relazione ai "lavori del muro" emerge, invece, che (OMISSIS)non apprezzava la persona del (OMISSIS) ed e' quindi inverosimile che i due fossero soci. Analoghe considerazioni valgono in relazione ai "lavori della caserma e della scuola elementare". Il Tribunale di (OMISSIS), nella sentenza resa all'esito del giudizio ordinario, afferma che la abitudine del (OMISSIS) di millantare un suo legame con i (OMISSIS) "bruciati" preoccupa (OMISSIS) che, avendo prestato la sua azienda al (OMISSIS), teme che la stessa possa essere colpita da una misura interdittiva antimafia. La circostanza che il (OMISSIS) spendesse indebitamente il nome di (OMISSIS)emerge anche dalla conversazione intercettata in data 23 novembre 2010 in cui (OMISSIS) riferiva al (OMISSIS) che lo stesso (OMISSIS)gli aveva detto che il (OMISSIS) aveva utilizzato a sproposito il nome dei "bruciati", motivo per il quale il (OMISSIS), rifiutato dal "bruciato", aveva poi richiesto l'appoggio di (OMISSIS) "(OMISSIS)". Questa intercettazione non e' stata affatto presa in considerazione dalla Corte di appello, che e' incorsa in un vero e proprio travisamento probatorio. La motivazione della Corte di appello risulta, quindi, illogica perche' le conversazioni intercettate, alle quali (OMISSIS)non ha partecipato, sono generiche e non riscontrate e finanche contraddette da riscontri negativi. La motivazione e' quindi mancante, poiche' manca l'esposizione delle prove poste a base della decisione e delle ragioni per le quali non si ritengono attendibili le prove contrarie, come invece prescritto dall'articolo 546, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. Analoghe considerazioni vengono spese dal ricorrente in relazione ai lavori del "Gioiello del mare". Dalle convinzioni, puramente congetturali, espresse dal (OMISSIS) in ordine ad un inserimento di (OMISSIS)in tali lavori, i giudici di appello hanno desunto la partecipazione dell'imputato ad un sodalizio criminoso. Il ricorrente segnala che la vicenda relativa ai suddetti lavori riguarda un'estorsione attuata ai danni del Cuppari, cosicche' se davvero (OMISSIS)fosse stato implicato in detta vicenda, avrebbero dovuto contestargli il concorso nell'estorsione, che invece non gli era stato addebitato. Laddove, a pag. 484 della sentenza qui impugnata, si afferma che sulla base di tutte le vicende relative ai lavori (OMISSIS) rappresenta fondatamente a (OMISSIS) che su (OMISSIS) comandano gli (OMISSIS), tra i quali spiccano (OMISSIS) e (OMISSIS), in realta', dal complesso delle conversazioni intercettate, risulta che (OMISSIS) riferisce al (OMISSIS) fatti appresi da terzi non identificati, come emerge dalla conversazione del 27 gennaio 2011 in cui si parla di un incontro al quale, secondo la Corte di appello, (OMISSIS)avrebbe partecipato, mentre la sua partecipazione non e' affatto riscontrata. Il ricorrente precisa che egli non intende chiedere a questa Corte di cassazione una rivalutazione delle prove ed in particolare delle conversazioni intercettate, ma evidenziare la illogicita' della motivazione, che poggia esclusivamente su parte delle conversazioni captate, e la mancanza della motivazione, non avendo la Corte di appello illustrato le ragioni per le quali devono essere disattesi i motivi di gravame che si basavano proprio sulle conversazioni che non sono state oggetto di valutazione. Aggiunge il ricorrente che, peraltro, laddove i conversanti si riferiscono a tale " (OMISSIS)" non e' affatto detto che essi facciano riferimento a (OMISSIS), in quanto anche altri si chiamano (OMISSIS), come (OMISSIS), ed in un'occasione, quella della conversazione del 21 gennaio 2010 relativa ai "lavori del muro", risulta che essi fanno riferimento proprio a (OMISSIS), cosicche' risulta illogica l'affermazione, contenuta nella motivazione della sentenza di appello, secondo la quale non vi sono dubbi che quando i conversanti menzionavano " (OMISSIS)" essi intendessero riferirsi a (OMISSIS). Anche in relazione alla vicenda relativa ai lavori del cimitero di (OMISSIS), la Corte di appello omette di valutare la conversazione del 21 dicembre 2020 dalla quale emerge che l'intervento dei (OMISSIS) "bruciati" e dei "(OMISSIS)" era solo apparente e che in realta' il (OMISSIS) spendeva indebitamente i loro nomi. Dalle conversazioni intercettate la cui valutazione e' stata omessa dalla Corte di appello emerge che non e' possibile sostenere la partecipazione di (OMISSIS)alla âEuroËœndrangheta e che pertanto la Corte di appello ha erroneamente applicato l'articolo 416-bis cod. pen., come interpretato dalle Sezioni Unite con la sentenza Modafferi che afferma che va riscontrato in concreto il fattivo inserimento nell'organizzazione criminale. Quand'anche fosse dimostrata la esistenza di un gruppo di persone che si interessavano ai lavori appaltati ed avevano stabilito alcune regole da rispettare in ordine alla loro spartizione, non si tratterebbe di un'associazione di tipo mafioso, non risultando in alcun modo che essa utilizzasse alcun potere di intimidazione derivante dal vincolo associativo e dalla condizione di assoggettamento e di omerta' che ne deriva. La motivazione e' illogica laddove, per affermare che (OMISSIS) e' attendibile, la Corte di appello sostiene che egli e' intraneo al circuito dei subappalti illeciti, avendo ampie conoscenze in ordine alle famiglie mafiose operanti sul territorio, e poi sostiene che egli non faccia parte di alcuna cosca. 5.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), cod. proc. pen., violazione degli articoli 192, 530, 533, 546, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. e dell'articolo 416-bis, secondo comma, cod. pen. e mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla affermazione della sua penale responsabilita' per il reato contestato al capo 1). Sostiene il ricorrente che anche l'attribuzione a suo carico di una posizione apicale in seno al sodalizio mafioso e' stata motivata in modo illogico ed e' il risultato di una valutazione solo parziale del quadro probatorio. L'attribuzione di una posizione di vertice in seno alla cosca discenderebbe da una conversazione captata in data 24 settembre (OMISSIS) tra (OMISSIS) e (OMISSIS) in cui il primo racconta al secondo che il giorno seguente si sarebbero dovuti recare assieme presso il bar (OMISSIS) di (OMISSIS) per incontrarsi anche con " (OMISSIS)" bruciato onde stabilire come dovessero essere spartiti i soldi ricavati dai "lavori del muro" di (OMISSIS). Dalla attribuzione a (OMISSIS)dell'autorita' di stabilire tra chi e come i soldi andassero spartiti, si e' desunto che egli occupasse una posizione di supremazia. Tuttavia, anche in questo caso la conversazione intercettata, per la sua genericita', avrebbe dovuto essere corroborata da riscontri estrinseci, che nel caso di specie mancano, in quanto, sebbene gli inquirenti conoscessero preventivamente il giorno, l'ora ed il luogo dell'incontro, non e' stato effettuato alcun accertamento onde controllare se esso si fosse effettivamente tenuto e chi vi avesse partecipato, cosicche' non si puo' nemmeno affermare con certezza che esso vi sia stato. E difatti, nella sentenza emessa dal Tribunale di (OMISSIS) all'esito del giudizio ordinario si afferma appunto che, mancando alcun riscontro, non si puo' ritenere accertato l'incontro. In relazione a detta conversazione del 24 settembre (OMISSIS), inoltre, la Corte di appello, segnala il ricorrente, si contraddice perche' sostiene che (OMISSIS) avrebbe riferito al (OMISSIS) che loro due, il (OMISSIS) e lo (OMISSIS) il giorno seguente avrebbero dovuto recarsi da " (OMISSIS)" per portargli i conteggi relativi ai lavori, mentre nella conversazione riportata nella sentenza di appello emerge chiaramente che laddove i conti non fossero tornati, la persona che si sarebbe potuta arrabbiare non era (OMISSIS), ma un diverso soggetto, tanto che essi affermano che, laddove tale ipotesi si fosse concretizzata, della questione avrebbero discusso tra loro " (OMISSIS)" e questa terza persona. Ne consegue che non e' logico desumere da tale conversazione un ruolo di vertice in capo a (OMISSIS). Anche in relazione alla conversazione del 7 ottobre (OMISSIS), in cui secondo la Corte di appello (OMISSIS) riferisce a (OMISSIS) come il (OMISSIS) si sarebbe dovuto comportare con (OMISSIS)in ordine alla spartizione del denaro e che pure e' stata valorizzata dalla Corte di appello per desumerne un ruolo direttivo in capo al ricorrente, quest'ultimo sostiene che la motivazione e' illogica perche' in realta' (OMISSIS) riferisce al (OMISSIS) come quest'ultimo si sarebbe dovuto comportare, senza menzionare il (OMISSIS) o fare riferimento a suoi comportamenti. Dalla conversazione emerge che (OMISSIS) e (OMISSIS)occupano posizioni paritarie tra loro. Peraltro, segnala il ricorrente, le conversazioni sono tutte anteriori al 26 ottobre (OMISSIS), data di chiusura dei lavori, e quindi non si puo' affermare con certezza che gli accordi spartitori siano stati rispettati. 5.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), cod. proc. pen., violazione degli articoli 192, 530, 533, 546, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. e dell'articolo 416-bis, quarto e quinto comma, cod. pen. e mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine all'applicazione, per il reato contestato al capo 1), dell'aggravante della disponibilita' di armi in capo all'associazione mafiosa. Anche in relazione a detta aggravante la Corte di appello poggia la sua decisione sull'attendibilita' di quanto dal (OMISSIS) riferito a (OMISSIS) . L'illogicita' della motivazione, per le ragioni sopra gia' esposte, nella parte in cui afferma la attendibilita' del (OMISSIS) porta a ritenere illogica detta motivazione anche nella parte relativa all'applicazione dell'aggravante. Peraltro, laddove la decisione poggia sulla affermazione, rivolta da (OMISSIS) al (OMISSIS), che presto le cosche locali sarebbero entrate in conflitto tra loro e sarebbe scoppiata una guerra di mafia, essa non considera che trattasi di una ipotesi meramente congetturale basata su valutazioni soggettive dello stesso (OMISSIS) , inidonea a dimostrare l'effettivo possesso di armi in capo alla associazione. 5.5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli articoli 192, 530, 533, 546, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. e degli articoli 110 e 629, primo comma, cod. pen. e mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla affermazione della sua penale responsabilita' per il reato contestato al capo 14 septies). Anche in relazione alla vicenda estorsiva contestata al capo 14 septies), le conversazioni intercettate risultano generiche e necessitano, per valere come prova, di ulteriori riscontri. Durante la conversazione del 12 ottobre (OMISSIS) (OMISSIS) racconta al (OMISSIS) che il (OMISSIS), in quanto mandato da gente di (OMISSIS), avrebbe cercato di intimidire il (OMISSIS), aggiudicatario dell'appalto, onde consentire ad alcune famiglie di (OMISSIS) di ingerirsi nei lavori e tra queste anche quella dei (OMISSIS) "bruciati", di cui fa parte (OMISSIS). Da questa conversazione dovrebbe ricavarsi che (OMISSIS)e' direttamente coinvolto nella vicenda, per avere attraverso il (OMISSIS) intimidito il (OMISSIS) onde ingerirsi nell'appalto. Anche in questo caso, segnala il ricorrente, non si comprende da chi (OMISSIS) avrebbe appreso tale circostanza e nemmeno chi sarebbero gli (OMISSIS) che avrebbero agito quali mandanti del (OMISSIS). Nonostante le doglianze segnalate con l'atto di appello, la Corte territoriale non chiarisce tale punto. E' peraltro evidente che (OMISSIS) formula una ipotesi, una sua congettura e, comunque, anche ipotizzando che la circostanza sia stata riferita a (OMISSIS) dal (OMISSIS), la motivazione della sentenza di secondo grado e' contraddittoria perche' omette di rilevare che dalla conversazione medesima risulta la inattendibilita' del (OMISSIS) per le ragioni sopra esposte. Anche in riferimento all'incontro che si sarebbe dovuto tenere il giorno seguente, 25 ottobre (OMISSIS), presso il bar (OMISSIS) di (OMISSIS) ed al quale avrebbe dovuto partecipare anche (OMISSIS)onde concordare la divisione delle somme derivanti dal lavoro appaltato al (OMISSIS), le conversazioni intercettate sono non riscontrate poiche' non vi e' alcun elemento di prova che poi l'incontro sia avvenuto e che (OMISSIS)vi abbia partecipato, atteso che gli inquirenti neppure, pur potendolo, hanno svolto un servizio di appostamento onde controllare se l'incontro si fosse realmente tenuto. Difatti, anche il Tribunale di (OMISSIS), all'esito del giudizio ordinario, aveva ritenuto la conversazione priva di rilevanza probatoria perche' non riscontrata. Neppure da tale conversazione puo' desumersi un ruolo direttivo o apicale in capo all'imputato. Anche laddove si sostiene che da detta conversazione dovrebbe ricavarsi che (OMISSIS) , (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) il giorno successivo avrebbero dovuto portare a (OMISSIS)i conteggi dei lavori appaltati affinche' egli stabilisse la percentuale dovuta dal (OMISSIS) e che da tale circostanza dovrebbe ricavarsi la posizione di supremazia di (OMISSIS), la motivazione risulta illogica perche' nella conversazione intercettata si fa riferimento ad un terzo soggetto che avrebbe dovuto stabilire la percentuale e, laddove questo avesse avanzato rivendicazioni non gradite, con lo stesso se la sarebbe "sbrigata" (OMISSIS). Il ricorrente ribadisce anche quanto gia' esposto, con il terzo motivo di ricorso, in relazione alla conversazione del 7 ottobre (OMISSIS) per evidenziare la illogicita' della motivazione addotta per sostenere che il mandante del (OMISSIS), quale autore dell'intimidazione nei confronti del (OMISSIS), fosse (OMISSIS)e torna a segnalare che le conversazioni poste a sostegno dell'affermazione di penale responsabilita' sono tutte antecedenti alla chiusura dei lavori appaltati, avvenuta in data 26 ottobre (OMISSIS), cosicche' non puo' affermarsi che gli accordi spartitori siano stati rispettati. Ne' si chiarisce perche' non possa essere accolta la tesi difensiva volta a sostenere che quando (OMISSIS) menziona tale " (OMISSIS)" egli non sempre faccia riferimento a (OMISSIS), come confermato dalla conversazione intercettata in data 21 gennaio 2010 tra (OMISSIS) ed il (OMISSIS), in cui, dopo aver fatto piu' volte a tale " (OMISSIS)", se ne menziona il cognome " (OMISSIS)", cosicche' si comprende che egli si riferisce a (OMISSIS), anch'egli di (OMISSIS). E' quindi ben possibile che anche nelle altre conversazioni intercettate (OMISSIS) , menzionando tale " (OMISSIS)", si riferisse a quest'ultimo. Infine, il ricorrente sostiene che anche laddove il (OMISSIS) avesse intimidito il (OMISSIS) affermando che vi erano persone di (OMISSIS) interessate all'appalto, non risulta che a tale condotta il (OMISSIS) sia stato istigato da (OMISSIS); dalla motivazione della sentenza di appello sembra che "tutti quelli di (OMISSIS)" abbiano inviato il (OMISSIS) a minacciare il (OMISSIS), ma tale conclusione e' illogica, poiche' neppure si comprende da chi (OMISSIS) avrebbe appreso simile circostanza. Anche il Tribunale di (OMISSIS) ha ritenuto la conversazione intercettata non riscontrata e quindi espressiva di una mera supposizione o congettura personale di (OMISSIS) . Mancando il delitto di estorsione, il Tribunale di (OMISSIS) ha anche assoto il (OMISSIS) dal delitto di favoreggiamento. 5.6. Con il sesto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), cod. proc. pen., della violazione degli articoli 192, 530, 533, 546, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. e degli articoli 629, secondo comma, e 628, terzo comma nn. 1 e 3, cod. pen. e della mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine all'applicazione dell'aggravante prevista dalle disposizioni appena citate al reato contestato al capo 14 septies). Sostiene che il (OMISSIS), se effettivamente ha intimidito il (OMISSIS) su istigazione di (OMISSIS), ha agito da solo e non riunito a tutti gli altri concorrenti nel reato, dovendosi distinguere la aggravante di cui al n. 1 del terzo comma dell'articolo 628 cod. pen., applicabile solo se piu' persone riunite abbiano attuato la minaccia, ed il mero concorso di persone come affermato anche dalle Sezioni Unite, secondo le quali, nel reato di estorsione, la circostanza aggravante speciale delle piu' persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia (Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, Alberti, Rv. 252518). Anche l'aggravante di cui al n. 3 del terzo comma dell'articolo 628 cod. pen. non e' applicabile, dovendo escludersi, per le ragioni esposte in precedenza, la partecipazione del ricorrente alla âEuroËœndrangheta. 5.7. Con il settimo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli articoli 192, 530, 533, 546, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. e dell'articolo 416-bis.1 cod. pen. e la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine all'applicazione dell'aggravante prevista dalla disposizione appena citata in relazione al reato contestato al capo 14 septies). Sostiene che la aggravante non puo' farsi discendere dalla mera circostanza che (OMISSIS)sia un associato alla âEuroËœndrangheta e nel caso di specie, non potendo prestarsi fede alle affermazioni di (OMISSIS) , neppure puo' ritenersi dimostrato che il reato sia stato commesso al fine di agevolare una qualche associazione mafiosa e comunque non e' dato sapere quale destinazione sarebbe stata data al ricavato dall'estorsione. Peraltro, gia' all'esito del primo grado l'aggravante non era stata applicata. 5.8. Con l'ottavo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., la violazione dell'articolo 99 cod. pen. in relazione all'applicazione della recidiva specifica in relazione ai reati contestati ai capi 1) e 14 septies). Sostiene che la Corte territoriale non ha in alcun modo motivato sull'applicazione della recidiva, sebbene questa avesse costituito oggetto di un motivo di appello. 5.9. Con il nono motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., la violazione dell'articolo 62-bis cod. pen. in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche in relazione ai reati contestati ai capi 1) e 14 septies). Sostiene che le circostanze attenuanti non possono essere negate in virtu' della gravita' del reato e della sua pericolosita', discendente dall'essere egli gia' stato condannato per il delitto di cui all'articolo 416-bis cod. pen., mentre la pericolosita' deve essere valutata sulla base del reato oggetto di questo processo. Ne' la Corte di appello ha spiegato perche' l'imputato sarebbe "estremamente pericoloso". La motivazione risulta meramente apparente. 5.10. Con il decimo motivo il ricorrente si duole della misura eccessiva della pena, sostenendo che essa contrasta con gli articoli 132 e 133 cod. pen., con l'articolo 27 Cost. e con l'articolo 49 della Carta di Nizza, giacche' una pena eccessiva e' di ostacolo alla sua funzione rieducativa e sostiene che la Corte di appello neppure ha motivato indicando a quali tra i criteri di cui all'articolo 133 cod. pen. avrebbe inteso fare riferimento nella concreta quantificazione del trattamento sanzionatorio. 6. Ha proposto ricorso (OMISSIS), classe (OMISSIS), tramite il difensore di fiducia, deducendo tre diversi motivi di censura correlati alla sua condanna per il delitto di partecipazione mafiosa di cui al capo 1. 6.1. Il primo argomento difensivo si snoda lungo la direttrice del vizio di travisamento della prova e della motivazione apparente, denunciando che il provvedimento impugnato non avrebbe dato risposta alcuna alle obiezioni difensive rappresentate nei motivi d'appello e nella memoria successiva; in particolare ci si duole anche della violazione di legge in relazione all'errata valorizzazione delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia prive di riscontro ed assunte in maniera apodittica dai giudici d'appello. Si eccepisce che gli elementi utilizzati per attribuire al ricorrente la partecipazione all'associazione mafiosa - precisamente collaborando nel settore del controllo criminale di tutte le attivita' edilizie, private e pubbliche in appalto, nel territorio del comune di (OMISSIS) (locale di (OMISSIS)), con imposizione di forniture dei materiali e del pagamento di danaro per i lavori - sarebbero incoerenti con il ruolo di "santista" dunque erroneamente attribuitogli: non e' possibile che un soggetto di tale caratura criminale sia stato impiegato in quei lavori di manovalanza cantieristica nei quali si innesta il contesto delle intimidazioni ritenute provate dalla Corte d'Appello; non vi sono dati di appartenenze familiari che possano fondare un tale ruolo primario nell'organizzazione del "locale". Vengono poi evocate alcune imprecisioni contenute nella sentenza, a riprova della confusione nella ricostruzione degli elementi di fatto dai quali e' stata tratta la prova indiziaria della partecipazione mafiosa del ricorrente (tra questi, le dichiarazioni di un collaboratore, non meglio precisato nel ricorso, che avrebbe riferito di un fratello del ricorrente, il quale tuttavia non ha fratelli). Si lamenta la genericita' delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), peraltro anche prive di riscontri. 6.2. Il secondo motivo di ricorso (erroneamente rubricato al n. 3) denuncia violazione di legge per vizio di mancanza assoluta di motivazione quanto alla ricostruzione del ruolo associativo del ricorrente, inserito in un gruppo denominato degli " (OMISSIS)", in ipotesi radicato nel comune di (OMISSIS), di cui mancano i cardini essenziali di struttura, vale a dire: un leader (che sarebbe, secondo la sentenza impugnata, (OMISSIS), il quale, tuttavia, non e' neppure imputato nel processo ed e' stato condannato in precedente giudizio solo quale mero partecipe, senza ruoli di "capo" in qualsivoglia territorio; una dimensione operativa chiara. Anche le funzioni del ricorrente all'interno della compagine mafiosa non sono state determinate ed anzi, nonostante i controlli di polizia frequenti, risulta che il ricorrente non sia mai stato ritrovato in compagnia di pregiudicati, ovvero di (OMISSIS) e che si sia sempre mostrato rispettoso degli obblighi imposti dalla liberta' vigilata cui era sottoposto e che, successivamente, gli e' stata revocata. 6.3. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione di legge in relazione al difetto assoluto di motivazione quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, basato sulla sola constatazione dei precedenti penali dell'imputato, senza tener conto del limitato apporto associativo, riconosciuto dalla stessa circoscritta durata della partecipazione, e del suo impiego in lavori umilissimi quali la ripulitura della strada provinciale (OMISSIS)-(OMISSIS). Si contesta, altresi', la sussistenza dell'aggravante della recidiva, riconosciuta in controtendenza rispetto al positivo accertamento sull'assenza di pericolosita' sociale che ha fondato, nel 2013, la revoca della liberta' vigilata nei suoi confronti. 6.4. Sono stati depositati motivi nuovi dal ricorrente con i quali si ribadiscono e precisano le ragioni del ricorso principale. In particolare, si evidenzia come, nelle intercettazioni, siano state formulate dagli interlocutori (OMISSIS) e (OMISSIS) semplicemente delle ipotesi, non confortate da alcun elemento certo che possa ricondurre i fatti della mattina del (OMISSIS) - allorquando taluni soggetti avrebbero imposto agli operai del (OMISSIS) la non prosecuzione dei lavori relativi al taglio dell'erba - all'odierno ricorrente; anzi vi sarebbe prova della impossibilita' di provare la sua presenza a (OMISSIS), stanti gli obblighi derivanti dall'essere sottoposto al regime di sorveglianza speciale. Si evidenzia, inoltre, l'errore motivazionale contenuto a pag. 496 della sentenza impugnata, la' dove si ritengono altamente significative del controllo totalizzante del territorio esercitato dagli imputati, tra i quali il ricorrente, vicende criminali (quelle "estorsive" di cui ai capi 74 e 76) in relazione alle quali l'imputato non solo non e' stato condannato ma neppure e' stato mai accusato nelle imputazioni. Si mettono nuovamente in risalto alcune incongruenze motivazionali rispetto a dati documentali di contesto e si ribadisce che l'unico elemento diretto indiziario nei confronti del ricorrente e' il servizio di identificazione del 04.10.2010, ove egli viene identificato dalla polizia giudiziaria mentre unitamente a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), gli ultimi due neanche mai iscritti nel registro degli indagati per nessuna delle vicende costituenti il complesso compendio investigativo posto a base del presente procedimento, e' intento ad effettuare i lavori di taglio dell'erba lungo i margini della (OMISSIS). 7. Ha proposto ricorso (OMISSIS), tramite il suo difensore, eccependo due motivi di censura. 7.1. La prima ragione difensiva si incentra sul vizio di violazione di legge e di motivazione con riguardo all'affermazione di responsabilita' del ricorrente per il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa di cui al capo 1 (precisamente collaborando nel settore del controllo criminale di tutte le attivita' edilizie, private e pubbliche in appalto, nel territorio del comune di (OMISSIS), sottoposto al locale di (OMISSIS), con imposizione di forniture dei materiali e del pagamento di danaro per i lavori). Si contesta il mancato raggiungimento della soglia necessaria di colpevolezza "oltre ogni ragionevole dubbio", la mancanza di prova dell'apporto causale delle condotte contestate al ricorrente rispetto al delitto associativo, la scarsa robustezza degli elementi di prova con riguardo alla stessa sussistenza di una compagine mafiosa di âEuroËœndrangheta, autonoma o meno, denominata "degli (OMISSIS)" di cui non si comprende neppure la composizione soggettiva. La sentenza sarebbe apodittica e congetturale nelle sue affermazioni e non avrebbe tenuto conto dei motivi d'appello. Il ricorrente non e' stato mai chiamato in causa direttamente dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia utilizzabili nel processo (in particolare da quelle di (OMISSIS)), tanto che non si ricostruisce il suo ruolo specifico; si dubita, altresi', della capacita' dimostrativa delle due uniche condotte contestategli rispetto al reato di partecipazione mafiosa, relative entrambe alle condotte realizzate ai danni dell'imprenditore (OMISSIS); tanto piu' che per l'estorsione di cui al capo 74 l'imputato e' stato assolto (mentre si denuncia la scarsa rilevanza di intraneita' della violenza privata aggravata dal metodo mafioso contestatagli al capo 76). Ripercorrendo la giurisprudenza di legittimita' in tema di partecipazione mafiosa, il ricorso lamenta che non sia stata raggiunta la prova nei confronti del ricorrente di un suo contributo causale effettivo al sodalizio ed in proposito la Corte territoriale non avrebbe risposto alle specifiche censure dell'atto di appello. 7.2. Il secondo argomento del ricorso evoca il vizio di violazione di legge e quello di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dell'aggravante del metodo mafioso rispetto alla contestazione di violenza privata ascritta all'imputato al capo 76 (violenza privata avente ad oggetto la consegna di vecchie lamiere prive di valore economico). Secondo la ricostruzione difensiva, la persona offesa ha negato, nel corso del suo esame, di aver subito violenza o minacce dal ricorrente capaci di fondare l'aggravante del metodo mafioso, poiche' questi non si era mai proposto come esponente di una consorteria mafiosa; inoltre, dalle intercettazioni pur utilizzate in sentenza non emerge l'esistenza di un interesse di qualche associazione criminale a ricevere le lamiere al centro della vicenda contestata. In ultima analisi, secondo la difesa, al piu' vi sarebbe prova di un litigio tra il ricorrente e la presunta vittima, litigio svincolato da logiche mafiose. 8. Il ricorso di (OMISSIS), presentato dal suo difensore di fiducia, si compone di due motivi. 8.1. Il primo e' dedicato ad eccepire vizio di violazione di legge e di motivazione in merito alla condanna del ricorrente per il reato di tentata estorsione in danno della ditta (OMISSIS): la prova della colpevolezza sarebbe stata desunta da tre intercettazioni, che non vedono mai protagonista il ricorrente, il contenuto delle quali non e' univoco e comunque non e' sufficiente; a parlare sono (OMISSIS) e (OMISSIS), ma il primo e' soggetto assolto dal reato di partecipazione mafiosa dalla stessa Corte d'Appello, sicche' il suo contributo conoscitivo - seguendo la giurisprudenza di legittimita' - anche se riferito ad intercettazioni, necessita di un rigoroso vaglio e di riscontri, in quanto si tratta di fonte che non e' inserita nel sodalizio e, quindi, non ha un canale privilegiato di acquisizione del patrimonio cognitivo criminale da "intraneo". Ne' puo' essere sufficiente, al fine di offrire pregnanza alle parole captate, il fatto che (OMISSIS) sia inserito nel settore dell'edilizia, come invece sostiene la Corte d'Appello, ovvero il riscontro offerto dalla testimonianza dell'operaio (OMISSIS), che ha solo visto il ricorrente al cantiere, intento a parlare con un dipendente della ditta di lavori ma non ha contezza del contenuto del dialogo, ed e' stato smentito da altri testi ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), oltre che dalle stesse persone offese (OMISSIS) e (OMISSIS) ( (OMISSIS) ha anche escluso di conoscere (OMISSIS) o di averlo mai incontrato); il sacerdote committente dei lavori, (OMISSIS), ha riferito, poi, soltanto di aver appreso da un operaio della possibile richiesta estorsiva portata al cantiere durante le festivita' natalizie, ma non ha potuto fornire elementi per individuare gli autori. In sintesi, il ricorrente eccepisce che le intercettazioni, pur costituendo prova diretta di per se' nel loro contenuto, tuttavia, nel caso di specie, poiche' non univoche nell'interpretazione, rivestono la natura di indizi, che hanno necessita' di essere valutati come gravi, precisi e concordanti per fondare l'accusa, mentre non hanno tali caratteristiche nella vicenda processuale in esame. 8.2. Il secondo motivo di censura denuncia vizio di violazione di legge e di motivazione manifestamente illogica e carente in relazione alla dosimetria sanzionatoria, che andrebbe rimodulata, una volta esclusa l'aggravante del metodo mafioso dal delitto di cui al capo 14, come fatto dalla Corte d'Appello, e quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, non concesse nonostante il buon comportamento processuale dell'imputato, che ha scelto il rito abbreviato, e senza tener conto della sua giovane eta' all'epoca dei delitti ((OMISSIS)). La motivazione della sentenza impugnata, poi, e' deficitaria rispetto alla necessita' di un'analisi individualizzante dei parametri normativi previsti dall'articolo 133 cod. pen., poiche' si e' focalizzata sulla sola intensita' del dolo ed ha determinato la pena per il delitto tentato di estorsione discostandosi di poco dalla misura indicata dal giudice di primo grado, che aveva ritenuto, invece, sussistente l'aggravante mafiosa (passando da quattro anni ed 8 mesi di reclusione, nonche' 4.000 Euro di multa, a quattro anni di reclusione e 1.000 Euro di multa). 9. Ha proposto ricorso anche (OMISSIS), tramite il difensore di fiducia, deducendo sei distinti motivi di censura. 9.1. Il primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di carenza di motivazione quanto alla ritenuta affermazione di colpevolezza del ricorrente per il reato di partecipazione mafiosa, stante la mancanza assoluta di individuazione di specifiche ed apprezzabili condotte sintomatiche di contributo associativo. Si denuncia, altresi', omessa risposta alle obiezioni dell'atto di appello e della memoria difensiva, nonche' travisamento delle risultanze processuali; si rappresenta che la Corte d'Appello ha basato la condanna dell'imputato solo su intercettazioni che non lo coinvolgono direttamente ne' indirettamente, senza neppure un riscontro dato da servizi di osservazione con altri coimputati. Il ricorso mette in evidenza: - alcune incoerenze tra i risultati delle intercettazioni, non chiare ed anzi ambigue, e le conclusioni della Corte di merito, che ha creduto di ritrovarvi la prova della partecipazione del ricorrente, in posizione di vertice, alle trattative finalizzate alla spartizione dei lavori nel territorio di riferimento - e dunque al sodalizio di âEuroËœndrangheta - laddove invece vi e' la certezza che il soggetto cui si riferiscono i due interlocutori (OMISSIS) e (OMISSIS) non e' il ricorrente. Si sottolinea, altresi', come nelle conversazioni intercettate i due riferiscano soltanto di notizie apprese da altri, sicche' si dubita anche della loro attendibilita', visto che non hanno ruoli associativi ( (OMISSIS) e' stato assolto dall'imputazione di associazione mafiosa) e loro stessi, peraltro, indicano nella fonte un soggetto di scarsa credibilita'. La maggior parte dei dati riferiti nelle intercettazioni da (OMISSIS) sono frutto, secondo la difesa, di valutazioni personali, pronostici, voci correnti o notizie apprese da fonti sconosciute o inattendibili; - l'assoluzione per l'unica contestazione estorsiva riferita al capo 14-novies, unico reato fine attribuitogli, mentre l'estorsione nella quale viene coinvolto dalla ricostruzione dei giudici di merito non gli e' stata imputata (capi 14-quater e 14-quinquies); - l'assenza di elementi gravi e precisi della partecipazione del ricorrente al gruppo dei (OMISSIS) "(OMISSIS)" cui viene accostato nelle intercettazioni o ad altri gruppi mafiosi operanti sul territorio. 9.2. La seconda censura difensiva denuncia violazione di legge e carenza assoluta di motivazione nell'individuazione, da parte del provvedimento impugnato, dei presupposti per ritenere sussistente la posizione apicale del ricorrente all'interno del sodalizio oggetto dell'imputazione: non sono stati addotti elementi concreti dalla sentenza impugnata per ritenere provato il ruolo di vertice attribuitogli. 9.3. Il terzo motivo di ricorso denuncia nullita' della sentenza d'appello (ai sensi degli articoli 521 e 522, 178, comma primo, lettera b e c, cod. proc. pen.), poiche' ha ritenuto sussistente ed applicato l'aggravamento di pena per un'aggravante non contestata, vale a dire quella prevista per gli organizzatori e capi dell'associazione mafiosa di cui al comma secondo dell'articolo 416-bis cod. pen. Nell'imputazione non e' richiamato il nominativo del ricorrente tra quelli ai quali e' contestata esplicitamente detta disposizione aggravatrice, come aveva fatto notare anche il pubblico ministero nella sua requisitoria, chiedendone prudentemente l'esclusione; tuttavia, la Corte d'Appello ha ritenuto una pena eccessiva, frutto o di una svista riguardo all'editto vigente all'epoca dei fatti ovvero dell'aver ritenuto contestata "in fatto" l'aggravante predetta. 9.4. La quarta censura eccepisce difetto assoluto di motivazione riguardo all'aggravante del quarto comma dell'articolo 416-bis cod. pen.: le ragioni di sussistenza dell'aggravante sono tautologiche ed insufficienti, quanto al riferimento alla disponibilita' di armi da parte di (OMISSIS), contestatagli ai capi 5 e 6. Inoltre, non risulta alcuna motivazione circa la consapevolezza o l'ignoranza per colpa, in capo al ricorrente, della disponibilita' di armi da parte del sodalizio di appartenenza, condizioni giurisprudenziali per l'attribuibilita' dell'aggravante in esame ad un partecipe. 9.5. Il quinto motivo di ricorso eccepisce omessa motivazione della sentenza d'appello quanto alla denunciata contraddittorieta' della pronuncia di primo grado che ha applicato l'aumento di pena per la recidiva, nonostante in parte motiva fosse stata esclusa l'applicazione dell'aggravante. I giudici d'appello si sono limitati a ritenere sussistente la recidiva specifica in luogo di quella contestata come anche reiterata, senza alcuna argomentazione riguardo alle ragioni di piu' accentuata pericolosita' del ricorrente, richieste dalla giurisprudenza di legittimita' e dalla Corte costituziónale, tanto piu' che la condotta oggetto della precedente condanna e' risalente al 1983, vale a dire ben oltre dieci anni prima della contestazione al centro del presente processo. 9.6. Il sesto motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche, il cui mancato riconoscimento da parte della Corte d'Appello non tiene conto della richiesta di ritenere insussistente l'aggravante della posizione di vertice in capo all'imputato e l'assenza di reati fine contestatigli, esattamente come per le posizioni dei coimputati ritenuti in sentenza, viceversa, meritevoli del beneficio. Inoltre, anche la condanna precedente per associazione mafiosa, ritenuta anch'essa ostacolo alla concessione delle circostanze attenuanti ex articolo 62-bis cod. pen., si riferisce a fatti risalenti al 1998, dunque molto lontani nel tempo. 10. Il ricorso di (OMISSIS), classe (OMISSIS), proposto tramite il difensore di fiducia, si compone di quattro motivi diversi, ciascuno con precisazioni interne. 10.1. Il primo argomento difensivo censura violazione di legge e vizio di motivazione quanto all'affermazione di responsabilita' del ricorrente per il delitto associativo. Si contesta, in particolare: - la carenza di elementi per sostenere che sussista la stessa compagine mafiosa del cd. Gruppo (OMISSIS), contiguo a (OMISSIS), che la Corte d'Appello ha derivato solo da altre sentenze emesse in diversi procedimenti, irrilevanti, nonche' da un'intercettazione ambientale del 13.8.(OMISSIS) captata tra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), relativa all'inserimento del ricorrente e di altri ragazzi nel "locale" di (OMISSIS); - la carenza di elementi indizianti della condotta di partecipazione mafiosa a carico del ricorrente e la mancata risposta ai relativi motivi d'appello, che tra l'altro contestavano la valenza delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), non convergenti e non attendibili, invece, oltre che generiche e imprecise (e se ne elencano le non corrispondenze a dati reali): il dichiarante, infatti, non ha rapporti con soggetti legati a sodalizi criminali ne' tantomeno con (OMISSIS), di cui pure ha accusato il ricorrente di essere uno "scagnozzo"; neppure esistono riscontri individualizzanti rispetto alle sue propalazioni; infine, non sussistono elementi di coinvolgimento del ricorrente nella vicenda del "blocco lavori" che la sentenza d'appello (alle pagine 490 e seguenti) ha ritenuto sintomatica delle frizioni tra i gruppi degli " (OMISSIS)" e di (OMISSIS) per la spartizione territoriale dell'esecuzione dei lavori e della ripartizione dei relativi guadagni. L'intera ricostruzione e' priva di prova e congetturale, mentre i due interlocutori delle conversazioni intercettate che fondano la prova, secondo i giudici d'appello, non raccontano di fatti ai quali avevano direttamente assistito; inoltre, il riscontro costituito dalla riferibilita' al ricorrente di un'autovettura Golf grigia, mai precisamente individuata con la targa, non e' elemento certo della sua presenza sul luogo teatro dell'episodio del "blocco lavori". Infine, sarebbe insufficiente anche l'elemento di intraneita' del ricorrente desunto dalla ritenuta sua colpevolezza per il reato di violenza privata (capo 76, inizialmente qualificato come estorsione), con vittima (OMISSIS); invero, non e' stato provato il vantaggio dell'associazione mafiosa nell'appropriarsi delle lamiere, materiali di risulta dei lavori edili in corso per la ristrutturazione della chiesa di (OMISSIS), al centro delle condotte criminali; inoltre, non vi e' prova che l'imputato abbia mai intrattenuto rapporti con (OMISSIS) nel corso della durata dei lavori suddetti, ne' che si sia recato sul cantiere. 10.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla condanna del ricorrente per il reato di violenza privata, riproponendo parte degli argomenti che criticano la ritenuta sussistenza del reato a suo carico, sia per la vaghezza della "costrizione collettiva" subita dal piccolo imprenditore edile, sia per la scarsa valenza economica di lamiere smontate dal tetto della chiesa in rifacimento, sia per l'assenza di un contributo concorsuale effettivo dell'imputato nel reato. 10.3. Il terzo motivo contesta, invece, la sussistenza dell'aggravante del metodo e della finalita' mafiosi in relazione alla condanna del ricorrente per il reato di violenza privata predetto, sia sotto il profilo dell'omessa motivazione rispetto ai motivi d'appello formulati, sia della violazione di legge: a suo carico non vi e' prova di alcun rapporto diretto con la vittima del reato ne' della consapevolezza dell'utilizzo, eventualmente, di metodologie mafiose da parte dei concorrenti nel reato; si rammenta che e' necessario il dolo specifico per l'attribuibilita' dell'aggravante in parola; quanto alla finalita' di agevolazione mafiosa, appare evidente che essa non sia stata minimamente provata. 10.4. Un quarto motivo evidenzia vizi di violazione di legge e di manifesta illogicita' della motivazione quanto alla sussistenza dell'aggravante dell'essere l'associazione mafiosa, di cui si e' ritenuto partecipe il ricorrente, "armata": non vi sarebbe prova che il sodalizio avesse effettivamente armi a sua disposizione, ne' che siano stati commessi delitti fine utilizzando armi. 10.5. Un ultimo motivo di ricorso si lamenta della violazione degli articoli 133 e 81 cpv. cod. pen., in relazione alla dosimetria sanzionatoria: non sono stati enunciati in sentenza i parametri normativi individualizzati ai quali si e' fatto riferimento per il calcolo della pena. 11. Ha proposto ricorso (OMISSIS), tramite il difensore di fiducia, deducendo un unico complesso motivo con cui, premessa una lunga disamina degli orientamenti di legittimita' e dottrinari in tema di standard probatori e reato di partecipazione mafiosa con ruolo verticistico - reato in relazione al quale e' stato condannato il ricorrente -, ha contestato la valenza probatoria delle intercettazioni datate 23.8.(OMISSIS) e 31.1.2010 per individuare il ruolo dinamico dell'imputato all'interno del sodalizio; intercettazioni che, oltre a non avere un contenuto che marchi la metodologia mafiosa delle condotte di reato ascritte ai coimputati, costituiscono l'unico, insufficiente caposaldo di prova, in mancanza di dichiarazioni di collaboratori di giustizia e di riscontri. Tali elementi si rivelano ancor piu' carenti quanto alla prova del ruolo di vertice attribuito al ricorrente (non costituirebbe sufficiente riscontro la conversazione n. 875 del 23.8.(OMISSIS) e le dichiarazioni di (OMISSIS) in essa registrate, valorizzate invece dalla Corte d'Appello, a differenza che in altra sentenza del Tribunale di (OMISSIS) del 5.11.2020, dep. 2021, n. 305, in cui si e' ritenuto non credibile il portato informativo di costui). Si tratta di due sole intercettazioni indirette, in conclusione, caratterizzate dall'inattendibilita' del contenuto e dal deficit di elementi di riscontro, oltre che da affermazioni valutative e da pronostici, prive di reale valenza accusatoria. Il ricorso evidenzia, altresi', la maggior necessita' di attenta verifica dei contenuti di intercettazioni solo eteroaccusatorie, provenienti da soggetti non portatori di informazioni qualificate (poiche' non apprese in prima persona ma da altri - nel caso di specie da (OMISSIS), ritenuto un millantatore e neppure acquisite nel circuito associativo di appartenenza, di cui gli interlocutori non fanno parte: (OMISSIS) e' stato assolto dal reato associativo di cui al capo 1). Infine, mancherebbe in ogni caso qualsiasi valenza dimostrativa, nelle suddette intercettazioni, del ruolo operativo addirittura di "promotore" svolto dal ricorrente nel sodalizio ed in suo favore, ne' tantomeno vi e' prova della stabilita' ed organicita' di un eventuale contributo prestato e neppure della certa riferibilita' della conversazione registrata al n. 875 del 23.8.(OMISSIS) all'imputato quale soggetto di cui discorrono i due interlocutori, identificandolo con il mero nome di battesimo, senza altra specificazione. Non vi sono, in ultima analisi, elementi sintomatici della esteriorizzazione della funzione direttiva nel sodalizio esercitata dal ricorrente, anzi vi e' prova del disinteresse di questi verso i lavori e gli appalti al centro dell'indagine che ha dato inizio al processo. 12. Ha proposto ricorso anche (OMISSIS), tramite il difensore, che e' stato condannato per i reati di cui ai capi 1 e 76, quest'ultimo riqualificato in violenza privata aggravata ai sensi dell'articolo 416-bis.1. 12.2. Il primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al capo 1 della contestazione, per l'omessa considerazione delle ragioni difensive proposte nell'atto di appello, in particolare volte a dimostrare l'incerta individuazione del ricorrente come partecipe del sodalizio in contestazione, che emerge dalle prove raccolte, se fossero state correttamente analizzate. Si evidenzia un corto circuito motivazionale, in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, ricavando la prova dell'un reato dall'altro, non separando i piani di indagine fattuale e giuridica. Gli elementi concreti alla base delle condanne (il cd. "blocco lavori", la consegna del materiale di risulta dai lavori della chiesa di (OMISSIS) e le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS)) sono contestati nel loro significato probatorio, soprattutto per la qualita' degli interlocutori delle conversazioni intercettate, che non appartengono alla compagine associativa in esame (gli (OMISSIS)) e parlano per asserzioni e supposizioni personali, senza che sia stato individuato con certezza neppure il riferimento personale al ricorrente (indicato solo con il cognome, dato insufficiente). Altrettanto apodittiche sarebbero le affermazioni della sentenza d'appello. Dubitative ed incerte appaiono, poi, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, quanto all'inserimento del ricorrente nel sodalizio, per quanto a sua conoscenza, tanto piu' che sono state valorizzate solo quelle da lui rese in fase investigativa e non gia' anche i verbali contenenti altre sue dichiarazioni rese in diversi processi e acquisite nel corso del giudizio d'appello. Il ricorso contesta la complessiva inattendibilita' del collaboratore e la carente verifica operata dai giudici di secondo grado della sua credibilita' intrinseca. In conclusione, si ribadisce che il complesso degli elementi di prova e' stato travisato dalla Corte d'Appello mentre i canoni valutativi non sono stati rispettosi della giurisprudenza di legittimita' consolidata in tema di partecipazione mafiosa e contributo causale in favore dell'associazione da parte del presunto associato, oltre che di quella sedimentatasi in relazione al peso probatorio dei contenuti delle intercettazioni che non coinvolgano direttamente il soggetto condannato sulla loro base. Nel caso di specie, la difesa evidenzia il limitato periodo temporale in cui si sarebbe manifestata l'intraneita' del ricorrente al sodalizio (le intercettazioni vanno da maggio ad agosto del 2010 e lui stesso e' stato intercettato solo per pochi giorni) che meritava uno speciale approfondimento dei dati probatori acquisiti al processo, al fine di provare lo "stabile inserimento" nella compagine: tale precipua verifica degli elementi di prova non e' stata svolta dai giudici di secondo grado, tanto piu' dinanzi ad una scarsa chiarezza ed univocita' del dato contenutistico derivato dalle intercettazioni. 12.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla condanna per il capo 76 dell'imputazione; anche in relazione a tale imputazione vi sarebbe stata un'omessa verifica dei motivi d'appello da parte del provvedimento impugnato ed un'errata valutazione del materiale probatorio, che conduce a ricostruire, invece, la vicenda della violenza privata commessa per ottenere la consegna dei materiali di risulta dei lavori edili presso la chiesa di (OMISSIS), scevra da connotazioni mafiose alla sua radice (tanto che e' stata ridimensionata da estorsione nel reato di cui all'articolo 610 cod. pen.). Anzi, non vi sarebbe prova neppure della condotta di violenza o minaccia con effetto costrittivo, che configura l'elemento oggettivo del reato. La difesa sottolinea di non proporre una inammissibile lettura alternativa del contenuto delle intercettazioni o delle prove, ma che intende, invece, evidenziare l'erroneita' della lettura della Corte di merito, appiattitasi sulla sentenza di primo grado, senza rendersi conto di come non vi sia prova del coinvolgimento del ricorrente in alcuna condotta minacciosa o violenta, poiche' la stessa vittima (OMISSIS) ha ritenuto la vicenda "una questione di principio" tra i protagonisti (si cita l'intercettazione n. 354 del 8.8.2013). 12.3. La terza censura denuncia analoghi vizi del provvedimento impugnato in relazione alla ritenuta sussistenza dell'aggravante mafiosa, sia perche' mancherebbe prova dello stesso reato cui la circostanza si riferisce, sia perche' non e' sufficiente un mero collegamento dei soggetti accusati con contesti di criminalita' organizzata o la loro caratura mafiosa, ma vi e' necessita' dell'effettivo utilizzo del metodo mafioso nel reato; la sentenza d'appello invece si incentra su un automatismo di contesto di accadimento del reato per ritenere configurata l'aggravante che confligge con i dati concreti di prova: l'atteggiamento non coartato della vittima nella gestione dell'appalto; la mancanza di esplicite od oggettive condotte di intimidazione da parte degli imputati. 12.4. Un quarto motivo di censura e' dedicato a contestare la dosimetria sanzionatoria, ritenuta eccessiva, nonostante il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. 12.5. II difensore del ricorrente ha anche depositato memoria ex articolo 611 cod. proc. pen. con cui chiede che venga dichiarato inammissibile il ricorso del pubblico ministero in relazione alla posizione di (OMISSIS) per il capo 74 dell'imputazione, da cui e' stato assolto. Si tratterebbe di ragioni in fatto e rivalutative; mancherebbe il travisamento della prova denunciato e si proporrebbe una lettura parcellizzata delle dichiarazioni della persona offesa. La difesa di (OMISSIS) lamenta anche l'erroneita' della prospettiva giuridica con cui si e' proposta la riforma della sentenza nel senso di configurare una estorsione cd. contrattuale. In sintesi, le censure alla sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria, nella sua quota assolutoria, omettono di svolgere alcun ragionato confronto con le specifiche argomentazioni spese in motivazione, senza cioe' indicare le ragioni delle pretese illogicita'. 13. Anche altri difensori degli imputati hanno depositato memorie difensive per opporsi all'accoglimento del ricorso del Procuratore generale. 13.1. Il difensore di (OMISSIS) ha depositato una memoria con la quale ha sostenuto che l'ottavo, il nono ed il decimo motivo del ricorso del Procuratore generale sono inammissibili, in quanto generici o volti ad invocare una diversa valutazione del fatto o delle prove poste a base della sua ricostruzione, senza attaccare in modo critico le ragioni poste dalla Corte territoriale a base della sua decisione. 13.2. Pure il difensore di (OMISSIS) ha depositato una memoria onde eccepire l'inammissibilita' della impugnazione del Procuratore generale, in quanto diretta a sollecitare una rivalutazione del merito del processo, ed in ogni caso la sua manifesta infondatezza, fondandosi la decisione della Corte territoriale su una valutazione globale e non parcellizzata del materiale istruttorio. 13.3. Il difensore di (OMISSIS) e (OMISSIS) ha depositato memoria difensiva con la quale deduce che l'undicesimo motivo del ricorso del Procuratore generale riguarda il capo 36 che non e' contestato a (OMISSIS) e che in ogni caso i motivi di ricorso concernenti le posizioni dei suoi assistiti sono inammissibili perche' generici e volti ad invocare valutazioni di merito o a denunciare travisamenti di prove che, dalla motivazione della sentenza qui impugnata, risultano invece essere state valutate e la cui rilevanza probatoria e' stata ritenuta inidonea a dimostrare i fatti contestati ai due imputati. 14. La parte civile, Comune di (OMISSIS), ha depositato conclusioni con le quali chiede che venga accolto il ricorso del pubblico ministero, con nota spese del giudizio (per la somma di 13.175,55) nei confronti di Paolo Benevoli, Alessio e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) , (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO Premessa. Appare opportuno chiarire in premessa, per la linearita' della successiva esposizione delle posizioni processuali dei ricorrenti, due linee interpretative generali, alle quali ci si atterra' nell'esame dei ricorsi, di talche' successivamente bastera' un rapido richiamo alla premessa per risolvere le questioni proposte. Quanto alla partecipazione mafiosa, il Collegio e' ben consapevole della complessita' dei paradigmi ermeneutici che sovrintendono alla configurazione concreta del delitto di associazione mafiosa, complessita' che ha dato vita ad un incessante lavoro di forgiatura della struttura del reato previsto dall'articolo 416-bis cod. pen., partendo da quella che e' stata definita da piu' parti la sua "tipicita' incompiuta" - l'espressione si ritrova, da ultimo, nella piu' recente pronuncia delle Sezioni Unite in tema: Sez. U, n. 36958 del 27/5/2021, Modaffari, Rv. 281889-01 - per arrivare a selezionare la natura del reato, i suoi elementi essenziali, i confini della condotta di "partecipazione" penalmente rilevante. Proprio su tale ultimo fronte sono dovute nuovamente e recentemente intervenire le Sezioni Unite, con la citata pronuncia Modaffari, con cui, nel risolvere il contrasto relativo alla sufficienza o meno della affiliazione formale al sodalizio mafioso ai fini della sussistenza della condotta di partecipazione, si sono evidenziate le oscillazioni giurisprudenziali presenti storicamente nella ricostruzione dei caratteri della fattispecie di associazione mafiosa, sottolineando la complessita' dell'attivita' interpretativa volta a chiarire i presupposti di rilevanza penale della condotta punibile, specificamente quanto alla condotta partecipativa, in ragione dell'oggettiva carenza definitoria del disposto normativo di cui al primo comma dell'articolo 416-bis cod. pen., per l'intrinseca valenza polise (OMISSIS)ca dell'espressione "far parte". Viceversa - sottolineano le Sezioni Unite -, le attivita' di direzione, promozione e organizzazione, incriminate al secondo comma 416-bis, sono capaci di manifestare, sul piano descrittivo, di per se', una maggiore attitudine connotativa della condotta punibile. La pronuncia Modaffari, all'esito di un'ampia ricostruzione della fattispecie prevista dall'articolo 416-bis cod. pen., nella scia della sentenza Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, Rv. 231670, ha espresso il principio di diritto secondo cui la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell'agente nella struttura organizzativa dell'associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua âEuroËœmessa a disposizione' in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (per un'ultima ricostruzione sul tema, cfr. Sez. 5, n. 18020 del 10/2/2022, Laudani, Rv. 283371, in motivazione). Quanto all'aggravante dell'essere l'associazione armata - prevista dall'articolo 416-bis, commi quarto e quinto, cod. pen. - il Collegio rammenta che, in tema di associazione di stampo mafioso, ai fini della configurabilita' della circostanza aggravante della disponibilita' delle armi non e' richiesta l'esatta individuazione delle armi stesse, ma e' sufficiente l'accertamento, in fatto, della disponibilita' di un armamento, desumibile, ad esempio, dai fatti di sangue commessi dal gruppo criminale o dal contenuto delle intercettazioni, come avviene nel caso della prova del presente processo (cfr. Sez. 6, n. 55748 del 14/9/2017, Macri', Rv. 271743; Sez. 1, n. 14255 del 14/6/2016, dep. 2017, Ardizzone, Rv. 269839). A prescindere dalle considerazioni, pur rilevanti, sul fatto che la dotazione di strumenti di offesa e' ritenuta, con ricadute in punto di consapevolezza da parte degli associati, connaturata al perseguimento degli scopi di un sodalizio di tipo mafioso (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 36198 del 3/7/2014, Ancora, Rv. 260272), la giurisprudenza di legittimita' si e' attestata da tempo nel ritenere che, proprio in ragione delle peculiarita' strutturali dei sodalizi mafiosi, l'aggravante della disponibilita' di armi, prevista dai commi quarto e quinto dell'articolo 416-bis cod. pen., e' configurabile a carico degli associati che siano consapevoli del possesso delle stesse da parte della consorteria criminale o che per colpa lo ignorino (Sez. 6, n. 44667 del 12/5/2016, Camarda, Rv. 268677), rilevando a tal fine anche il fatto notorio della detenzione di strumenti di offesa in capo ad un determinato sodalizio mafioso, a condizione che detta detenzione sia desumibile da indicatori concreti quali fatti di sangue ascrivibili al sodalizio o risultanze di titoli giudiziari, intercettazioni, dichiarazioni od altre fonti - di cui il giudice deve specificamente dare conto nella motivazione del provvedimento (Sez. 1, n.7392 del 12/9/2017, dep. 2018, Di Majo, Rv. 272403; cfr. Sez. 2, n. 31920 del 4/6/2021, Alampi, Rv. 281811). Nella sentenza impugnata, il giudice di secondo grado, invero, ha ritenuto con motivazione logica, ben innestata sulle argomentazioni gia' svolte dal GUP in primo grado, che il sodalizio mafioso contestato al capo 1 avesse disponibilita' di armi per le finalita' delle âEuroËœndrine di supremazia sul territorio; e cio' ha concluso sulla base di attivita' di intercettazione, nonche' facendo leva sulla specifica presenza di episodi intimidatori commessi con armi, ad esempio il danneggiamento di un veicolo sul cantiere "Il gioiello del mare"; le conversazioni intercettate, poi, hanno un contenuto inequivoco della pericolosa disponibilita' di armi da parte del sodalizio (si citano i riferimenti di (OMISSIS) a vere e proprie possibili "guerre di mafia"). Infine, si sottolinea la disponibilita' di armi da parte di soggetti anche non apicali, come l'imprenditore complice (OMISSIS), condannato per il delitto associativo, quale partecipe, ancorche' nei suoi confronti, come nei confronti di (OMISSIS) (cfr. i capi da 5 a 10 della contestazione), sia stata esclusa l'aggravante dell'agevolazione mafiosa riferita a tali ipotesi delittuose: la disponibilita' "facile" di armi trova comunque, da tali circostanze, un ulteriore elemento di riscontro. L'evidenza dei dati di prova richiamati configura il supporto logico-fattuale utile alla configurabilita' dell'aggravante quale caratteristica epifenomenica dell'associazione mafiosa in esame. E tali conclusioni corrispondono pienamente al paradigma interpretativo disegnato negli anni da questa Corte regolatrice. 1. I primi due motivi del ricorso del Procuratore generale, entrambi attinenti alla posizione di (OMISSIS) , possono essere trattati unitariamente e sono inammissibili. 1.1. Quanto al secondo motivo, relativo al proscioglimento di (OMISSIS) dall'imputazione di cui al capo 14 septies), deve osservarsi che in sede di legittimita' e' possibile prospettare un'interpretazione del significato di un'intercettazione diverso da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformita' risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, Di Maro, Rv. 272558; Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, Asaro, Rv. 252190; Sez. 2, n. 38915 del 17/10/2007, Donno, Rv. 237994). Nel caso di specie, il Procuratore generale invoca piuttosto una rivalutazione del contenuto delle conversazioni intercettate dallo stesso segnalate, operazione non consentita in questa sede di legittimita'. Infatti, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (Sez. U, n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263715). Peraltro, il Procuratore generale, laddove lamenta la violazione degli articoli 110 e 629 cod. pen., mostra di non avere compreso la ratio decidendi. La vicenda estorsiva di cui al capo 14 septies) riguarda i c.d. "lavori del muro", ossia lavori di consolidamento di talune strade pubbliche comprese nel territorio comunale di (OMISSIS) che erano stati aggiudicati alla impresa di (OMISSIS); i lavori, nonostante il divieto di subappalto, era stato cogestito da (OMISSIS) e da (OMISSIS) , che aveva realizzato alcuni muri di sostegno. Nelle conversazioni intercettate, secondo quanto affermato dal Giudice dell'udienza preliminare e dalla Corte di appello, (OMISSIS) afferma di essere stato costretto a rifornirsi per i materiali edili da (OMISSIS), appartenente alla cosca (OMISSIS) di (OMISSIS), il quale a tal fine si era avvalso della intercessione di (OMISSIS)"bruciato". (OMISSIS), su incarico dei (OMISSIS) "bruciati", si era recato presso (OMISSIS) e gli aveva detto che i lavOri interessavano a "gente di (OMISSIS)" e proprio a (OMISSIS); non sapendo a chi quello avesse inteso riferirsi con tale espressione, tramite un suo dipendente, (OMISSIS), si era rivolto a (OMISSIS), che, approfittando della circostanza ed avendo capito che all'appalto era interessato (OMISSIS), aveva chiesto a quest'ultimo il permesso di ingerirsi nei lavori e, ottenuto il suo assenso, si era poi presentato a (OMISSIS) per chiedergli se poteva essere lui il fornitore del calcestruzzo necessario all'esecuzione delle opere. Per il giudice di primo grado, (OMISSIS) aveva proceduto alla gestione dell'appalto ed aveva svolto anche il ruolo di referente dei (OMISSIS) "bruciati", ai quali (OMISSIS) e (OMISSIS) dovevano rendere conto in relazione ai prezzi dei materiali utilizzati e ai conteggi relativi ai lavori eseguiti. Inoltre, (OMISSIS)si era rivolto a (OMISSIS) per ottenere da (OMISSIS) la corresponsione di una somma di Euro 6.000,00, che il primo avrebbe poi destinato al mantenimento del fratello (OMISSIS) , ristretto in carcere. Emergeva pure che (OMISSIS) , (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avrebbero dovuto recarsi dai fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS) al fine di presentare i conteggi relativi ai lavori effettuati, onde quantificare la quota di utili loro spettante, e che proprio (OMISSIS) aveva spiegato al (OMISSIS) come comportarsi in tale occasione, consigliandogli di presentarsi con i conteggi gia' predisposti e con l'indicazione dell'importo loro dovuto. Per il giudice di primo grado (OMISSIS) era intervenuto nella gestione dei lavori appaltati quale referente dei (OMISSIS) "bruciati", ottenendo vantaggi personali, come l'assegnazione di parte dei lavori, in violazione del divieto di subappalto, nonche' la corresponsione dal (OMISSIS) di una somma di denaro quale "mazzetta" da dividere con il (OMISSIS), in aggiunta al prezzo per i lavori da lui eseguiti. Per la Corte di appello, invece, dal complesso delle conversazioni intercettate (OMISSIS) non appare quale un referente delle cosche, ma piuttosto risulta essere un imprenditore costretto a sopportare una condizione di sottomissione alle stesse, venendo costantemente estromesso dagli appalti pubblici e finanche da quelli "sotto soglia", ossia di importo inferiore ad Euro 140.000,00, che secondo gli accordi tra le cosche dovevano rimanere agli imprenditori locali di (OMISSIS). In particolare, emergerebbe un rapporto fiduciario tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) che renderebbe verosimile l'assegnazione a quest'ultimo di lavori in subappalto, senza che questa fosse il risultato di una imposizione mafiosa. Inoltre, (OMISSIS) , evidenzia la Corte territoriale, si e' trovato a subire la imposizione di (OMISSIS) da parte di (OMISSIS)e non vi e' prova che le somme versate dal (OMISSIS) a (OMISSIS) integrino una "mazzetta", anziche' costituire il prezzo pattuito per le opere da lui eseguite. Ne' la circostanza che (OMISSIS) si sia prestato, su invito dei "bruciati", a sollecitare al (OMISSIS) il pagamento a (OMISSIS) di somme a quest'ultimo dovute per i lavori eseguiti vale a renderlo concorrente nella estorsione. Quanto alla partecipazione di (OMISSIS) all'incontro con i fratelli (OMISSIS) in cui, unitamente a (OMISSIS), si doveva discutere dei conteggi relativi ai lavori e della quota degli utili ad essi spettante, secondo la ricostruzione fattuale operata dalla Corte di appello, gli utili derivanti dalla esecuzione delle opere sarebbero stati divisi tra (OMISSIS), (OMISSIS) ed i fratelli (OMISSIS) "bruciati", ma, mentre questi ultimi non avevano partecipato alla esecuzione delle opere e quindi le somme venivano dagli stessi ricevute a titolo di estorsione, la partecipazione di (OMISSIS) ai lavori non consente di equiparare la sua posizione a quella dei "bruciati"; l'utile derivante dai lavori, in assenza della condotta estorsiva dei fratelli (OMISSIS) , sarebbe stato diviso tra (OMISSIS) e (OMISSIS) , cosicche' la necessita' di corrispondere ai "bruciati" la quota da loro pretesa vale a ridurre l'ammontare a disposizione di (OMISSIS) e (OMISSIS) e quest'ultimo, anziche' svolgere il ruolo di intermediario tra estorsori e vittima, viene anch'egli ad assumere la posizione di estorto al pari del (OMISSIS) e, in quanto tale, non concorre nel reato. Il secondo motivo di ricorso risulta, quindi, manifestamente infondato anche laddove si lamenta la violazione degli articoli 110 e 629 cod. pen. 1.2. Quanto al primo motivo di ricorso, alla luce di quanto appena esposto, emerge chiaramente la sua inammissibilita'. La manifesta inammissibilita' del motivo di ricorso relativo alla vicenda estorsiva di cui al capo 14 septies) neutralizza uno degli argomenti di maggior rilievo a sostegno della partecipazione di (OMISSIS) alla âEuroËœndrangheta. Quanto, poi, all'intercettazione ambientale che il ricorrente afferma essere stata trascurata, si sostiene che la stessa andrebbe interpretata come dimostrativa della appartenenza di (OMISSIS) alla âEuroËœndrangheta, sia perche' da essa emergerebbe che egli era stato invitato a partecipare ad un "tavolo" ove si sarebbe discusso della spartizione dei lavori collegati alla realizzazione del villaggio "(OMISSIS)", sia perche' in relazione a tali lavori (OMISSIS) nella conversazione intercettata si era lamentato del comportamento di (OMISSIS), che aveva tenuto nascosta a tutti la sua ingerenza in detti lavori. Secondo il ricorrente, l'invito manifesterebbe che (OMISSIS) , in quanto appartenente alla âEuroËœndrangheta, ha titolo per partecipare a simili spartizioni e la sua lamentela per il comportamento omissivo di (OMISSIS), esponente di spicco dell'associazione mafiosa, tradirebbe la violazione da parte dello stesso dell'obbligo derivante dal rapporto associativo di comunicare a (OMISSIS) , anch'egli appartenente al sodalizio criminale, quanto a sua conoscenza. Deve, allora, ribadirsi che in realta' il motivo di ricorso poggia su una interpretazione del contenuto e soprattutto su una valutazione della rilevanza probatoria della conversazione intercettata che non puo' ritenersi certa ed incontestabile. Anche in questo caso si chiede una rivalutazione del materiale istruttorio non consentita nel giudizio innanzi a questa Corte di cassazione. Peraltro, resta il fatto che (OMISSIS) , secondo quanto accertato dalla Corte d'Appello, non ha partecipato alla spartizione dei lavori ai quali si riferisce la suddetta conversazione ed i giudici, sulla base del complesso dei colloqui oggetto di intercettazione e del materiale istruttorio raccolto nel corso delle indagini, hanno affermato che l'imputato veniva sistematicamente escluso da tutte le opere che costituivano oggetto di spartizione tra le cosche e finanche da quelle il cui valore era inferiore ad Euro 140.000,00, che, secondo l'ipotesi accusatoria, sulla base degli accordi trai diversi gruppi, dovevano essere assegnati alle imprese locali di (OMISSIS), tra le quali era compresa quella di (OMISSIS) . Sulla base di tale circostanza di fatto, la Corte ha concluso che (OMISSIS) non partecipava alla spartizione degli appalti e non aveva influenza sulla loro assegnazione e, quindi, ha escluso la sua partecipazione al sodalizio criminale. Ne consegue che neppure la conversazione intercettata che il ricorrente lamenta essere stata trascurata appare avere un rilievo decisivo, tale da scardinare il ragionamento posto a base dell'assoluzione di (OMISSIS) pronunciata dai giudici di appello. Peraltro, lo stesso (OMISSIS) , nella conversazione, afferma di avere declinato l'invito. Analoghe considerazioni valgono in relazione alla conversazione del 28 luglio (OMISSIS), in relazione alla quale il ricorrente deduce che la Corte di appello ne avrebbe mal interpretato il significato, ed alla conclusione che dovrebbe trarsi dal collegamento tra vari elementi di prova o, ancora, dalla intenzione, manifestata da (OMISSIS) , di elargire un "pensiero" alla famiglia (OMISSIS) laddove si fosse aggiudicato i lavori del cimitero, che il ricorrente afferma non essere incompatibile con la appartenenza dell'imputato alla âEuroËœndrangheta. Pure in questi casi il ricorrente invoca a questa Corte di cassazione una rivalutazione del significato delle conversazioni o degli altri elementi di prova per poi giungere ad una diversa ricostruzione del fatto, operazione che non e' consentita in questa sede di legittimita'. 2. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso del Procuratore generale, con i quali quest'ultimo lamenta la violazione degli articoli 378 e 384 cod. pen. in relazione all'assoluzione di (OMISSIS) dall'imputazione di cui al capo 14 sexies) e di (OMISSIS) dall'imputazione di cui al capo 14 bis) - che pure possono essere trattati unitariamente in quanto a base degli stessi vengono posti i medesimi argomenti - sono inammissibili. E' ben vero che, come segnalato dal ricorrente, questa Corte di cassazione ha piu' volte affermato, in tema di reati contro l'amministrazione della giustizia, che l'esimente prevista dall'articolo 384, primo comma, cod. pen. non puo' essere invocata sulla base del mero timore, anche solo presunto o ipotetico, di un danno alla liberta' o all'onore, implicando essa non solo un rapporto di derivazione del fatto commesso dall'esigenza di tutela di detti beni, ma, soprattutto, che detto rapporto sia rilevabile sulla base di un criterio di immediata ed inderogabile consequenzialita' e non di semplice supposizione, per cui il pericolo deve essere collegato a circostanze obiettive ed attuali e risultare evitabile soltanto con la commissione di uno dei reati in relazione ai quali l'esimente opera (Sez. 2, n. 7264 del 14/01/2020, Spini, Rv. 278424). Tuttavia, la Corte di appello, pur citando l'articolo 384 cod. pen., non ha ritenuto operante l'esimente prevista da detta disposizione - che, del resto, non avrebbe potuto essere invocata in relazione al pericolo di un nocumento alla vita o all'incolumita' personale (vedi Sez. 6, n. 7006 del 08/01/2021, Di Sanzo, Rv. 280840) -, ma ha espressamente dichiarato di ritenere insussistente il dolo del delitto di favoreggiamento, in quanto gli imputati non avevano agito allo scopo di aiutare gli autori dei delitti, sui quali essi erano chiamati a rendere dichiarazioni, ad eludere le indagini, quanto piuttosto per evitare il pericolo di ritorsioni da parte delle cosche; la Corte d'Appello ha ritenuto che sussistessero circostanze obiettive ed attuali, nel momento in cui le false dichiarazioni erano state rese, che facevano ritenere sussistente un concreto pericolo all'incolumita' personale dei dichiaranti, evitabile solo attraverso le false dichiarazioni, ed ha quindi ritenuto che le false dichiarazioni trovassero causa esclusiva nel timore di ritorsioni. In sostanza, la Corte territoriale, sulla base della motivazione della sentenza di secondo grado, ha ritenuto necessario, per la sussistenza del reato di favoreggiamento, il dolo specifico di aiutare gli autori delle estorsioni ad eludere le investigazioni e, sulla base delle considerazioni sopra esposte, ha escluso che esso ricorresse. Il Procuratore generale non ha colto la ratio decidendi e pertanto, in relazione alla esclusione dell'elemento soggettivo, non ha mosso una critica argomentata alle ragioni poste a fondamento delle due assoluzioni, cosicche' il motivo di ricorso risulta inammissibile. Ad identiche conclusioni si perverrebbe anche laddove dovesse ritenersi che la Corte di appello abbia, al contempo, ritenuto insussistente il dolo ed operante l'esimente di cui all'articolo 384 cod. pen. Difatti, ove la decisione si fondi su distinte ed autonome rationes decidendi, ciascuna di per se' sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, e' inammissibile, per difetto di specificita', il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola di esse, poiche' anche laddove una di esse venisse meno, basterebbe l'altra a giustificare la decisione (vedi Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Bimonte, Rv. 272448). 3. E', invece, fondato il quinto motivo di ricorso. La Corte d'Appello ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) per il reato di cui al capo 14 quater) perche' estinto per prescrizione, in conseguenza dell'esclusione dell'aggravante prevista dall'articolo 416-bis.1 cod. pen. Secondo la ricostruzione fattuale operata dalla Corte territoriale, l'imputato avrebbe cercato di ottenere l'affidamento dei lavori di consolidamento dell'area cimiteriale e di sistemazione idraulica del fosso Ettaro del Comune di (OMISSIS), oggetto di licitazione privata, dapprima contattando le imprese invitate alla gara per convincerle ad astenersi dal partecipare - condotta in relazione alla quale all'imputato e' stato contestato il reato di cui all'articolo 353 cod. pen. (capo 14 quater) - e poi, non essendo riuscito a contattarle tutte ed avendo quattro di esse presentato le loro offerte, si era presentato all'aggiudicatario, (OMISSIS), quale emissario dei (OMISSIS) "bruciati" e facendo valere la forza di intimidazione di questi ultimi era riuscito ad ottenere la cessione in subappalto di parte dei lavori (condotta in relazione alla quale all'imputato e' stato contestato il reato di concorso in estorsione: capo 14 quinquies). Mentre, tuttavia, in relazione al reato contestato al capo 14 quinquies), la sentenza d'appello ha ritenuto sussistente l'aggravante prevista dalla disposizione sopra citata nella forma della finalita' agevolatrice dell'associazione di tipo mafioso, la stessa aggravante e' stata esclusa in relazione al reato di cui all'articolo 353 cod. pen., sebbene entrambe le condotte fossero relative al medesimo appalto e finalizzate ad ottenere il controllo sui lavori oggetto della gara da parte del (OMISSIS), cosicche' la decisione, in mancanza di adeguata giustificazione in ordine alle ragioni di tale distinzione, appare manifestamente illogica. A tale proposito, la Corte d'Appello si e' limitata ad affermare che, mentre per il delitto di estorsione la finalita' di agevolare le cosche di (OMISSIS) emerge chiaramente dalle conversazioni intercettate, dalle quali risulta che ai lavori erano interessati i (OMISSIS) "(OMISSIS)" ed i (OMISSIS) "bruciati", la prova di tale finalita' non emerge in modo chiaro in relazione al diverso delitto di cui all'articolo 353 cod. pen. Eppure, la stessa Corte di appello ammette che anche la condotta di turbativa della gara e' stata attuata da (OMISSIS) con l'appoggio delle cosche (OMISSIS) dei (OMISSIS) e dei (OMISSIS) (vedi pag. 435 della motivazione della sentenza di appello). Ne consegue che, in accoglimento del quinto motivo del ricorso del Procuratore generale, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di (OMISSIS) relativamente al capo 14 quater) con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria. 4. Il sesto motivo del ricorso del Procuratore generale e' fondato limitatamente alla posizione di (OMISSIS). 4.1. In relazione ai lavori di realizzazione del sottopassaggio pedonale nella stazione ferroviaria di (OMISSIS), appaltati all'impresa di (OMISSIS), la Corte territoriale ha desunto da una conversazione intercettata il 26 gennaio 2010 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) che erano stati raggiunti accordi tra (OMISSIS) "bruciato" e (OMISSIS) per il pagamento di una somma a titolo estorsione e che, tuttavia, l'accordo non era stato rispettato, tanto che (OMISSIS) se ne era lamentato con (OMISSIS) . Da altra conversazione del 31 gennaio 2010, (OMISSIS) riferisce a (OMISSIS) di avere appreso da (OMISSIS) che questi si era recato, assieme a (OMISSIS) "bruciato" e a (OMISSIS) "(OMISSIS)", a (OMISSIS) per incontrare alcuni esponenti della famiglia (OMISSIS), che, all'esito della riunione, avevano promesso che dopo alcuni giorni sarebbe stata versata la somma di Euro 30.000,00. La Corte di appello ha ritenuto provata la responsabilita' di (OMISSIS) per l'estorsione, ma, pur ritenendo provata la partecipazione di (OMISSIS) alla riunione, ha prosciolto quest'ultimó dalla imputazione, ritenendo il suo ruolo del tutto marginale e la sua condotta non causalmente efficiente in relazione alla vicenda estorsiva. Deve, allora, osservarsi che questa Corte di cassazione ha affermato, in tema di concorso di persone nel reato, che anche la semplice presenza sul luogo dell'esecuzione del reato puo' essere sufficiente ad integrare gli estremi della partecipazione criminosa quando, palesando chiara adesione alla condotta dell'autore del fatto, sia servita a fornirgli stimolo all'azione e un maggiore senso di sicurezza (Sez. 2, n. 50323 del 22/10/2013, Aloia, Rv. 257979; Sez. 1, n. 4805 del 11/03/1997, Perfetto, Rv. 207582). Tale possibile aspetto della vicenda non viene in alcun modo scrutinato dalla Corte territoriale; ed anche laddove questa esclude che la condotta del (OMISSIS) abbia avuto una qualche efficienza causale nell'indurre gli esponenti della cosca (OMISSIS) ad assicurare l'imminente pagamento della somma richiesta a titolo di estorsione, la motivazione risulta apodittica e carente, in quanto trascura le numerose altre occasioni in cui la stessa Corte territoriale ha ritenuto provata la partecipazione di (OMISSIS) alle condotte estorsive attuate dalle cosche (OMISSIS), nonche' l'accertata partecipazione dell'imputato alla âEuroËœndrangheta. Ne consegue che, in accoglimento del sesto motivo del ricorso del Procuratore Generale, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di (OMISSIS) anche relativamente al capo 14 novies), con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Reggio Calabria. 4.2. E', invece, inammissibile il sesto motivo di ricorso in relazione alla posizione di (OMISSIS). Quanto a quest'ultimo imputato, il Procuratore generale non coglie la ratio decidendi della sua assoluzione, che risiede non nella mancanza di efficienza causale della sua partecipazione alla riunione, ma addirittura sulla mancata dimostrazione della sua partecipazione alla stessa. Dalla motivazione della sentenza di appello emerge che la Corte territoriale ha considerato che la prova della partecipazione del (OMISSIS) alla riunione dovrebbe trarsi esclusivamente dalla descrizione della stessa che il (OMISSIS) ha riferito a (OMISSIS) , ossia su un'unica fonte de relato e non riscontrata, e ha ritenuto "troppo isolato" tale riferimento per fondare su di esso l'affermazione della penale responsabilita' del (OMISSIS) a titolo di concorso nella tentata estorsione. Con il motivo di ricorso il Procuratore generale non attacca la ratio decidendi sopra descritta, cosicche' in relazione alla posizione del (OMISSIS) il motivo di impugnazione e' inammissibile per genericita'. 5. Manifestamente infondato e' il settimo motivo del ricorso del Procuratore generale. In relazione ai lavori di restauro della chiesa della frazione di (OMISSIS) del Comune di (OMISSIS), affidati a (OMISSIS), la Corte d'appello ha ritenuto non dimostrata la condotta estorsiva di cui al capo 74), ritenendo provato il solo reato di violenza privata contestato al capo 76). La Corte territoriale ha osservato che, sulla base delle dichiarazioni del (OMISSIS), quest'ultimo, proveniente da altra Regione, si era rivolto ad (OMISSIS) per la fornitura della sabbia occorrente alla esecuzione delle opere semplicemente perche' quest'ultimo gli era stato indicato come persona in grado di soddisfare la sua esigenza. I giudici d'appello, in particolare, hanno ritenuto non dimostrato il danno in capo alla persona offesa, osservando che, sulla base delle dichiarazioni del (OMISSIS), non puo' ritenersi accertato che il quantitativo di sabbia fornita fosse eccedente rispetto a quello necessario per l'esecuzione dei lavori o che il prezzo complessivamente richiesto, pari ad Euro 320, fosse esorbitante e fuori mercato rispetto ai quantitativi forniti, mentre ha correttamente ritenuto irrilevante la circostanza che (OMISSIS) riuscisse ad ottenere gratuitamente la sabbia da una terza persona. Non essendo stato dimostrato il danno, la Corte territoriale ha ritenuto insussistente l'estorsione. Laddove il ricorrente afferma che la Corte di appello avrebbe dovuto ritenere attendibili le dichiarazioni della persona offesa anche laddove la stessa considera esorbitanti le richieste economiche avanzate da (OMISSIS) per la sabbia fornita e non necessari ulteriori riscontri, egli invoca una rivalutazione delle dichiarazioni del (OMISSIS) non consentita in questa sede. Peraltro, la Corte territoriale non ha ritenuto (OMISSIS) inattendibile, ma ha affermato che dalle sue dichiarazioni, per il loro contenuto, non e' possibile affermare con certezza che sussista il danno del delitto ipotizzato. Essa, peraltro, ha pure escluso che (OMISSIS) abbia dovuto subire la imposizione del rapporto contrattuale, osservando che egli aveva liberamente scelto (OMISSIS) quale suo fornitore, cosicche' neppure appare aderente al caso concreto il riferimento alla c.d. estorsione contrattuale operato dal ricorrente. 6. Inammissibili sono anche l'ottavo, il nono ed il decimo motivo del ricorso del Procuratore generale. Il ricorrente, con l'ottavo motivo, richiama alcune conversazioni intercettate e sostiene che l'interpretazione della loro rilevanza probatoria e' stata mal valutata e che, sul punto, la motivazione fornita e' "errata", ma l'articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. consente di far valere la motivazione contraddittoria o manifestamente illogica, anche nella forma del travisamento, laddove esso cada sul "significante" e non sul "significato" della prova. In tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di "contraddittorieta' processuale" (o "travisamento della prova") vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimita' alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l'eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos, Rv. 283370). Nel caso di specie, dal tenore del motivo di ricorso, il Procuratore generale non si duole di una errata percezione delle conversazioni intercettate, ma del valore probatorio ad esse attribuito, cosicche' la sua censura attiene al merito, in quanto diretta ad invocare una rivalutazione del materiale istruttorio non consentita in questa sede di legittimita'. Peraltro, dalla motivazione della sentenza qui impugnata risulta che la Corte territoriale ha escluso non solo che il gruppo dei "(OMISSIS)" fosse dotato di alcun potere di intimidazione con il quale poter esercitare una qualche forma di controllo sul territorio (vedi pag. 497-499 della motivazione della sentenza di appello), ma ha pure ritenuto non accertata la sussistenza di un vincolo tra sodali in grado di dar vita ad una vera e propria associazione dotata di un minimo di organizzazione (vedi pag. 400-409 della motivazione), cosicche' neppure vi era spazio per procedere, ai sensi dell'articolo 521 cod. proc. pen., ad una riqualificazione del reato associativo contestato al capo 1), quale associazione per delinquere di cui all'articolo 416 cod. pen., non essendo a tal fine sufficiente, in mancanza dell'elemento organizzativo, la mera commissione di numerosi reati da parte dello stesso gruppo di persone (vedi Sez. 2, n. 20451 del 03/04/2013, Ciaramitaro, Rv. 256054). Ne deriva che anche il nono motivo di ricorso e' manifestamente infondato. L'inammissibilita' dell'ottavo motivo di ricorso conduce alla inammissibilita' del decimo motivo, che poggia sulla possibilita' di ravvisare nel gruppo dei "(OMISSIS)" un'associazione di tipo mafioso. 7. Anche l'undicesimo motivo del ricorso del Procuratore generale non si sottrae alla sanzione dell'inammissibilita'. La Corte di appello ha affermato che il tenore della conversazione intercettata non e' chiaro e che non e' possibile stabilire con certezza cosa sia accaduto. In sostanza, si afferma che non e' neppure ben chiaro se (OMISSIS) abbia partecipato al reato e in che modo, mentre la condotta tipica del reato sarebbe stata verosimilmente commessa da (OMISSIS). Neppure e' certo che si tratti di una rapina, poiche' non e' possibile collegare le minacce rivolte al titolare del bar allo specifico episodio di sottrazione della merce. Esclusa la possibilita', pur invocata dal ricorrente, per questa Corte di cassazione di apprezzare direttamente il valore probatorio della conversazione intercettata, non emergendo dalla ricostruzione operata dalla Corte di appello le modalita' esecutive della sottrazione o la partecipazione di (OMISSIS) all'impossessamento di quanto sottratto, deve concludersi che non era possibile per la Corte territoriale procedere, ai sensi dell'articolo 521 cod. proc. pen., ad una riqualificazione del fatto come furto pluriaggravato ed affermare in relazione ad esso la penale responsabilita' di (OMISSIS). 8. Il primo motivo del ricorso di (OMISSIS)ed il nono motivo del ricorso di (OMISSIS), con i quali i ricorrenti si dolgono dell'utilizzazione degli atti di indagine acquisiti dopo la scadenza dei termini massimi di durata delle indagini preliminari, sono manifestamente infondati. A prescindere da ogni altra considerazione, deve rilevarsi che questa Corte di cassazione ha piu' volte affermato il principio, dal quale questo Collegio non intende discostarsi, secondo il quale la scelta del giudizio abbreviato preclude all'imputato la possibilita' di eccepire l'inutilizzabilita' degli atti d'indagine compiuti fuori dai termini ordinari di inizio e fine delle indagini preliminari in quanto, non essendo equiparabile alla inutilizzabilita' delle prove vietate dalla legge (di cui all'articolo 191 cod. proc. pen.), la stessa non e' rilevabile d'ufficio ma solo su eccezione di parte, sicche' essa non opera nel giudizio abbreviato (Sez. 6, n. 4694 del 24/10/2017, dep. 2018, Picone, Rv. 272196; Sez. 6, n. 12085 del 19/12/2011, dep. 2012, Inzitari, Rv. 252580; Sez. 6, n. 21265 del 15/12/2011, dep. 2012, Milo, Rv. 252853). Anche in epoca piu' recente, questa Corte di cassazione ha ribadito che l'inutilizzabilita' degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza dei termini non e' rilevabile d'ufficio, ma soltanto su eccezione di parte immediatamente dopo il compimento dell'atto o nella prima occasione utile (Sez. 1, n. 11168 del 18/02/2019, Caratelli, Rv. 274996), con la conseguenza che la predetta eccezione deve ritenersi rinunciata per effetto della scelta del rito abbreviato. 9. Il primo e il decimo motivo del ricorso di (OMISSIS) ed il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS)sono infondati. Sull'attendibilita' del contenuto delle conversazioni intercettate all'interno dell'autovettura in uso a (OMISSIS) la Corte d'Appello ha diffusamente motivato, spiegando le ragioni per le quali le informazioni che emergono dalle stesse devono ritenersi attendibili ed utili a dimostrare la fondatezza delle ipotesi accusatorie, nonostante (OMISSIS) , diversamente rispetto a quanto ritenuto dal Giudice dell'udienza preliminare, sia stato ritenuto estraneo al sodalizio mafioso e sostanzialmente una vittima del sistema spartitorio degli appalti dei lavori pubblici nel territorio di (OMISSIS) e sebbene non sempre (OMISSIS), nelle sue conversazioni, indichi quale sia la fonte delle sue conoscenze. Detta motivazione, riportata alle pagine da 391 a 398 e poi alle pagine da 473 a 477 della sentenza di secondo grado, non risulta affatto contraddittoria o illogica. Quanto alle due conversazioni del 5 e del 1(OMISSIS), che il ricorrente (OMISSIS) indica a dimostrazione della falsita' del contenuto delle conversazioni intrattenute da (OMISSIS) con (OMISSIS), deve osservarsi che la stessa Corte di appello in piu' occasioni ha ritenuto inattendibili i racconti di (OMISSIS) , come appunto avvenuto in relazione al reato di cui all'articolo 424 cod. pen. contestato al capo 13), per il quale (OMISSIS) e' stato prosciolto, e tuttavia ha escluso che singole conversazioni dalle quali emergono fatti rivelatisi insussistenti o comunque incongruenze o contraddizioni possano condurre ad un giudizio di inattendibilita' riferito all'intero complesso delle conversazioni intercettate. E di fatto la Corte territoriale ha del tutto correttamente esaminato le varie conversazioni intercettate per valutarne la attendibilita', la rilevanza e la concludenza in relazione a ciascuno dei capi di imputazione per valutare se da esse emergesse la prova dei fatti contestati, giungendo di volta in volta a risultati diversi, pur in genere adottando i medesimi criteri di valutazione. Del resto, neppure il ricorrente (OMISSIS) indica la rilevanza specifica delle conversazioni da lui segnalate in ordine alle singole imputazioni per le quali in questa sede si procede nei suoi confronti. In ogni caso, le Sezioni Unite hanno affermato che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attivita' di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'articolo 192, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714). Quanto, poi, al contrasto con le massime di esperienza secondo le quali una locale non puo' invadere il territorio di competenza di altra locale e un associato non puo' confidare circostanze attinenti al sodalizio con un estraneo all'associazione, o all'identificazione in (OMISSIS)del " (OMISSIS)" menzionato nelle conversazioni possono richiamarsi in questa sede gli argomenti che saranno esposti nei successivi §§ 10 e 11 del "considerato in diritto" della presente sentenza. Nel resto, le censure dei ricorrenti attengono esclusivamente al merito, in quanto dirette a sovrapporre all'interpretazione delle risultanze probatorie operata dal giudice una diversa valutazione dello stesso materiale probatorio per arrivare ad una decisione diversa, e come tali si pongono all'esterno dei limiti del sindacato di legittimita'. La decisione del giudice di merito non puo' essere invalidata da ricostruzioni alternative che si risolvano in una "mirata rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perche' illustrati come maggiormente plausibili o perche' assertivamente dotati di una migliore capacita' esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si e' in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507). Questa Corte di cassazione ha affermato, in tema di motivi di ricorso per cassazione, che non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicita', dalla sua contraddittorieta' (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicche' sono inammissibili tutte le doglianze che attaccano la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita', la stessa illogicita' quando non manifesta, cosi' come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilita', della credibilita', dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747). Le doglianze dei ricorrenti, invero, si risolvono nel dissenso sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimita', attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per una presunta violazione di legge e per un vizio motivazionale con cui, in realta', si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimita' operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ne' deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilita' di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 - dep. 2000, Moro, Rv. 215745). 10. Il quarto, il ventiduesimo ed il ventitreesimo motivo del ricorso di (OMISSIS) ed il quinto motivo del ricorso di (OMISSIS), che possono essere trattati unitariamente in quanto tutti relativi all'affermazione di penale responsabilita' dei due ricorrenti per l'estorsione di cui al capo 14 septies), sono infondati. Quanto alla portata minatoria della condotta di (OMISSIS), che si era recato presso il (OMISSIS) per riferirgli che i lavori a lui appaltati interessavano a "gente di (OMISSIS)", la Corte di appello ha adeguatamente motivato evidenziando che essa e' attestata dai successivi sviluppi della vicenda, quali emergono dalla conversazione intercettata; difatti il (OMISSIS), intimidito dalla visita del (OMISSIS), avendo compreso la sua natura estorsiva, tramite un suo dipendente si era rivolto a (OMISSIS), per avere la sua protezione, e lo stesso aveva approfittato dell'occasione per rivolgersi a (OMISSIS)ed ottenere da quest'ultimo il permesso di effettuare forniture di calcestruzzo ad un prezzo superiore a quello che (OMISSIS) , che aveva eseguito le opere appaltate unitamente al (OMISSIS), contava di poter spuntare rifornendosi da altra persona. Ne' la portata intimidatoria del messaggio recapitato da (OMISSIS) e' esclusa dalla circostanza che inizialmente il (OMISSIS) non avesse compreso chi fossero i soggetti di (OMISSIS) interessati ai suoi lavori. La circostanza che il destinatario dell'atto intimidatorio ignori chi ne sia l'autore non esclude la sussistenza della minaccia, altrimenti non sarebbe ipotizzabile la minaccia anonima, che invece integra una forma aggravata di minaccia, ai sensi degli articoli 612 e 339 cod. pen. Ne' sussiste illogicita' della motivazione dell'affermazione di penale responsabilita' di (OMISSIS) in conseguenza dell'assoluzione di (OMISSIS) dal reato di estorsione, atteso che, come si e' gia' sopra esposto in relazione al ricorso del Procuratore generale, secondo la ricostruzione fattuale operata dalla Corte di appello (OMISSIS) e' anch'egli, unitamente al (OMISSIS), una vittima dell'estorsione, come peraltro lo stesso ricorrente ammette nel suo ventiduesimo motivo di ricorso. La circostanza che la gente di (OMISSIS) menzionata da (OMISSIS) fossero i (OMISSIS) "bruciati" lo si ricava dalla partecipazione degli stessi alla riunione in cui (OMISSIS) e (OMISSIS) dovevano presentare i conteggi relativi alle somme percepite dall'appalto, ai costi sostenuti ed all'utile ricavatone, onde poi attribuire loro la somma corrispondente alla quota di utili loro spettante a titolo di estorsione, non trovando l'attribuzione di detta somma in una qualche loro partecipazione all'esecuzione delle opere, e tale circostanza vale a dimostrare che essi, grazie al loro potere di intimidazione, avevano il controllo dei lavori appaltati, stabilendo chi poteva partecipare alla loro esecuzione e come dovesse essere spartito il ricavato. Laddove, poi, i ricorrenti sostengono che non e' stato accertato che la predetta riunione vi sia stata e che essi vi abbiano partecipato, essi trascurano che in ogni caso, sulla base della ricostruzione fattuale operata dalla Corte territoriale, risulta la loro partecipazione alla complessiva condotta estorsiva, tanto che lo stesso (OMISSIS) nella conversazione intercettata il 24 settembre (OMISSIS) esprime il suo compiacimento per la partecipazione, alla riunione gia' programmata, di (OMISSIS), da lui preferito al fratello (OMISSIS). La circostanza che la riunione sia avvenuta viene desunta dalla Corte di appello da una successiva conversazione intercettata il 16 ottobre (OMISSIS) in cui (OMISSIS) si lamenta della circostanza che a seguito dei conteggi predisposti dal (OMISSIS) e detratte le somme spettanti ai (OMISSIS) il suo utile si e' ridotto ad un importo estremamente modesto. Ma la partecipazione dei due fratelli (OMISSIS) alla predetta riunione non e' comunque decisiva e da essa non dipende la consumazione del reato. La Corte di appello ha considerato come integranti il reato di estorsione condotte che sono anteriori alla riunione per discutere dei conteggi, e precisamente sia l'imposizione a (OMISSIS) ed a (OMISSIS) di rivolgersi a (OMISSIS) per la fornitura del calcestruzzo, che (OMISSIS) avrebbe poi fornito ad un prezzo superiore a quello praticato da altro soggetto, (OMISSIS), conosciuto da (OMISSIS) (imposizione resa possibile dall'intervento di (OMISSIS) su (OMISSIS) affinche' quest'ultimo ed il (OMISSIS) si rifornissero dallo (OMISSIS)), sia la corresponsione di somme a (OMISSIS)(vedi pag. 451 della motivazione della sentenza di appello). A tale ultimo proposito, la Corte di appello afferma (vedi pag. 446 in fondo della motivazione della sentenza di secondo grado) che (OMISSIS)aveva dapprima chiesto a (OMISSIS) , ottenendo un rifiuto, di farsi versare da (OMISSIS) la somma di Euro 6.000,00, di cui poi aveva ottenuto la corresponsione direttamente da (OMISSIS); nella sentenza di primo grado si precisa (vedi pag. 544 della motivazione della sentenza di primo grado) che, in una conversazione ambientale intercettata tra (OMISSIS) e (OMISSIS) il 22 settembre (OMISSIS), quest'ultimo riferisce al suo interlocutore di un incontro da lui avuto con (OMISSIS) che gli aveva detto: - "vede'te per quel fatto di (OMISSIS), per i soldi... vedete che ce li siamo presi, perche' c'era mio fratello...", espressione che e' stata intesa dai giudici del merito nei senso che i due fratelli (OMISSIS) si erano fatti consegnare dal (OMISSIS) la somma di Euro 6.000,00 per sostenere gli oneri economici connessi alla detenzione del loro fratello (OMISSIS), che effettivamente in quel periodo era ristretto in carcere. Sulla base della ricostruzione fattuale operata dalla Corte territoriale, si e' quindi verificato l'evento del delitto di estorsione pure grazie all'intervento di (OMISSIS), anche a prescindere dal fatto che la riunione sia avvenuta e che (OMISSIS) vi abbia partecipato. Quanto, poi all'individuazione in (OMISSIS) e (OMISSIS)dei " (OMISSIS)" e " (OMISSIS)" menzionati nelle conversazioni intercettate, deve osservarsi come, gia' nella sentenza di primo grado (a pag. 582), si affermi che, in occasione della conversazione intercettata il 21 gennaio 2010 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), il primo riferisce al secondo che (OMISSIS), dopo essere stato contattato dal Silvestro, si era recato da (OMISSIS), da intendersi per (OMISSIS), mentre il termine (OMISSIS) e' riferito non a " (OMISSIS)", ma a (OMISSIS), nel senso dell'appartenenza di (OMISSIS) alla cosca dei (OMISSIS). Inoltre, secondo i giudici del merito, la circostanza che (OMISSIS) e (OMISSIS) siano i due ricorrenti emerge pure dalla circostanza che nelle conversazioni intercettate vengono indicati come fratelli e nella conversazione del 22 settembre (OMISSIS) si fa riferimento ad un terzo fratello detenuto ed e' stato accertato che (OMISSIS) , fratello dei due ricorrenti, era all'epoca detenuto. Manifestamente infondato e' pure il ventitreesimo motivo del ricorso di (OMISSIS). Deve in primo luogo osservarsi che la Corte di appello non ha sostituito (OMISSIS) a (OMISSIS) quale persona offesa dall'estorsione, ma ha ritenuto che anche (OMISSIS) fosse vittima del reato; in sostanza, a (OMISSIS) si e' aggiunto, quale persona offesa, (OMISSIS) . Deve allora osservarsi che le Sezioni Unite hanno affermato, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, che per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui sca (OMISSIS)sca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perche', vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione e' del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051). In particolare, la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e l'accertamento contenuto in sentenza si verifica solo quando il fatto accertato si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneita' o di incompatibilita' sostanziale tale da recare un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 2016, Addio, Rv. 265946). Nel caso di specie, in cui a (OMISSIS) si e' aggiunto quale vittima dell'estorsione (OMISSIS) , non ricorre una trasformazione radicale della fattispecie concreta nei suoi elementi essenziali, atteso che le condotte e gli eventi oggetto di contestazione sono rimasti gli stessi, anche se si e' ritenuto che il pregiudizio economico conseguente all'estorsione sia andato a gravare anche su (OMISSIS) . Peraltro, il ricorrente (OMISSIS) neppure chiarisce in che modo la sua facolta' di difendersi sarebbe stata pregiudicata. Nel resto, con i motivi di ricorso sopra indicati i ricorrenti sollevano censure con le quali essi, in realta', invocano una rivalutazione delle prove, ed in particolare delle conversazioni oggetto di intercettazione, onde pervenire ad una diversa ricostruzione del fatto e che, essendo attinenti al merito, non possono essere scrutinate in questa sede. Ne' puo' essere invocata in questa sede la diversa ricostruzione fattuale operata dal Tribunale di (OMISSIS) nei confronti dei coimputati che hanno optato per il giudizio ordinario, trattandosi di sentenza pronunciata sulla base di un diverso compendio probatorio dopo la sentenza qui impugnata e che comunque non avrebbe potuto essere utilizzata ai sensi dell'articolo 238-bis cod. proc. pen., non essendo ancora irrevocabile. 11. Il quinto ed il ventiquattresimo motivo del ricorso di (OMISSIS) sono infondati. Deve innanzitutto escludersi che la ricostruzione della vicenda della tentata estorsione ai danni di (OMISSIS) si ponga in contrasto con la regola, affermata da entrambi i giudici del merito, secondo la quale gli appalti di importo superiore ad Euro 140.000,00 erano riservati alle cosche (OMISSIS) o alla massima di esperienza secondo la quale una cosca non puo' ingerirsi negli affari che riguardano il territorio di altra cosca. Detta regola non comportava necessariamente che le cosche (OMISSIS) provvedessero direttamente con proprie imprese alla esecuzione dei lavori, ma solo che l'individuazione del soggetto deputato alla esecuzione delle opere incontrasse il loro placet e che tale soggetto provvedesse poi a "retribuire" le cosche mediante il versamento di somme di denaro o il loro coinvolgimento nelle opere attraverso subappalti o la fornitura di materiali o mezzi. La vicenda relativa ai lavori di realizzazione del sottopassaggio pedonale nella stazione ferroviaria di (OMISSIS) costituisce, quindi, attuazione di detta regola perche', secondo la ricostruzione fattuale operata dalla Corte territoriale, la cosca dei (OMISSIS), che sponsorizzava il (OMISSIS), ben consapevole della circostanza che l'appalto era pertinente al territorio controllato dai (OMISSIS) "bruciati" aveva raggiunto con questi un accordo che prevedeva il pagamento in loro favore di una somma di denaro da parte del (OMISSIS). La Corte territoriale, sulla base della prima delle conversazioni intercettate, quella del 26 gennaio 2010, afferma che la cosca dei (OMISSIS), anche grazie ad un potere intimidatorio superiore a quello dei (OMISSIS) "bruciati", era riuscita a patteggiare con questi l'assegnazione dei lavori al (OMISSIS) e tuttavia, consapevole della propria forza, aveva tardato nell'erogazione della somma, tanto che proprio (OMISSIS) si era sfogato con (OMISSIS) lamentandosi del mancato rispetto della regola sopra esposta da parte del (OMISSIS) sotto forma di ritardo nell'adempimento e anche (OMISSIS) , commentando con il suo amico (OMISSIS) il colloquio da lui avuto con (OMISSIS), aveva stigmatizzato il comportamento di (OMISSIS), che, approfittando della sponsorizzazione dei (OMISSIS), da (OMISSIS) si era spostato sino a (OMISSIS) per aggiudicarsi i lavori e pretendeva di sottrarsi al pagamento della somma dovuta alla cosca territorialmente competente. Nella seconda conversazione intercettata, quella del 31 gennaio 2010, (OMISSIS) afferma di avere appreso da (OMISSIS) che quest'ultimo, (OMISSIS) e (OMISSIS) "(OMISSIS)" si erano incontrati a (OMISSIS) con alcuni esponenti della cosca dei (OMISSIS), i quali, a seguito dell'incontro, si erano impegnati a consegnare entro pochi giorni la somma di Euro 30.000,00. Quanto alla lamentata genericita' del contenuto delle predette conversazioni ed alla circostanza che (OMISSIS), lamentandosi con (OMISSIS) del comportamento dei (OMISSIS) e di (OMISSIS), abbia violato le regole dell'associazione criminale che impongono di non parlare di vicende inerenti al sodalizio con coloro che sono estranei alla âEuroËœndrangheta, deve osservarsi che la Corte di appello ha motivato in modo approfondito ed esaustivo in ordine alla attendibilita' di quanto dichiarato da (OMISSIS) nelle conversazioni intercettate (vedi pag. 391-398 della motivazione della sentenza d'appello); si e' evidenziato come questi fosse a conoscenza degli ambienti di âEuroËœndrangheta, in quanto suo fratello era intraneo alla stessa ed era stato ucciso anni prima, in occasione della strage di (OMISSIS), sicche', pur non essendo intraneo, puo' dirsi "contiguo" a tali ambienti, anche per la sua attivita' imprenditoriale in un settore controllato dalle cosche, mostrando di conoscerne appieno le regole. Si spiegano in tal modo le confidenze che egli riceve da (OMISSIS), che trovano conferma anche in un colloquio intercettato direttamente tra (OMISSIS) e (OMISSIS) in data 21 dicembre 2010, in cui discutono dei lavori del cimitero e del comportamento tenuto da (OMISSIS). Alla luce di quanto appena esposto, deve concludersi che la Corte territoriale ha chiarito le ragioni per le quali il contenuto delle conversazioni intercettate tra (OMISSIS) e (OMISSIS) in data 26 e 31 gennaio 2010 non e' inverosimile e deve ritenersi attendibile. Quanto alla circostanza che la Corte di appello ha affermato la penale responsabilita' di (OMISSIS) per la tentata estorsione, mentre ha prosciolto dalla medesima imputazione (OMISSIS) e (OMISSIS), la questione e' stata gia' affrontata al § 4. del "considerato in diritto", ove si e' evidenziato che la assoluzione di (OMISSIS) poggia sulla ritenuta assenza di prova della sua partecipazione alla riunione di (OMISSIS) con gli esponenti della cosca (OMISSIS). Il riferimento al (OMISSIS) emerge esclusivamente dalla narrazione dell'episodio che il (OMISSIS) riferisce a (OMISSIS) ; trattandosi di un riferimento isolato e de relato, in assenza di ulteriori riscontri la Corte di appello ha correttamente ritenuto tale elemento di prova insufficiente a fondare un'affermazione di penale responsabilita'. Quanto alle posizioni di (OMISSIS) e di (OMISSIS), le dichiarazioni di (OMISSIS) riportano quanto egli ha appreso direttamente dai coimputati e, quindi, hanno una rilevanza probatoria maggiore. In particolare, (OMISSIS) apprende della partecipazione di (OMISSIS) alla vicenda estorsiva sia dallo stesso imputato, sia dal (OMISSIS). Il protagonismo di (OMISSIS) nella condotta estorsiva e' reso manifesto proprio dal contenuto delle sue doglianze, lamentandosi egli del mancato incasso della somma dovutagli a titolo di estorsione. Quanto a (OMISSIS), egli si e' "limitato" ad accompagnare (OMISSIS) alla riunione e per tale motivo la Corte territoriale ha ritenuto il suo contributo piu' "sfumato", ma gia' si e' detto sopra, in relazione alla impugnazione del Procuratore generale, che la distinzione delle posizioni dei due imputati e' semmai illogica "per difetto", nel senso che la Corte di appello ha svalutato la rilevanza della partecipazione del (OMISSIS) alla riunione, trascurando la sua implicazione in altre vicende estorsive e la sua partecipazione alla âEuroËœndrangheta e fornendo una motivazione apodittica. Ne' appare illogico che la Corte di appello abbia considerato la accertata ingerenza di (OMISSIS) in relazione ad altri appalti come un ulteriore riscontro della sua partecipazione alla tentata estorsione di cui al capo 14 novies). Deve, invece escludersi che la Corte di appello abbia desunto dalla partecipazione dei ricorrenti ai reati di estorsione consumata e tentata la loro partecipazione al reato associativo, atteso che proprio la Corte territoriale (vedi pag. 474 della motivazione della sentenza di secondo grado) ha escluso di dover "ricorrere al modulo indiziario della prova dei reati fine verso la prova del reato associativo". Ne' la motivazione in ordine alla penale responsabilita' del ricorrente puo' essere ritenuta illogica per avere collegato la vicenda estorsiva ai lavori del sottopassaggio nella stazione ferroviaria di (OMISSIS). A tale proposito, la Corte territoriale ha affermato che, sulla base della indicazione dell'impresa aggiudicataria, ha potuto individuare i lavori cui si riferiva l'estorsione. E' ben vero che, come sostenuto nel ricorso, l'impresa di (OMISSIS) non avra' eseguito solo i lavori del sottopassaggio, ma deve anche considerarsi che i lavori erano relativi al territorio di (OMISSIS) e neppure il ricorrente ha saputo indicare altri lavori eseguiti dalla stessa impresa in quel territorio. Non ha rilevanza la distanza temporale tra la fine dei lavori e le conversazioni intercettate, ove si consideri che nella prima conversazione del 26 gennaio 2010 (OMISSIS) riferisce al (OMISSIS) che (OMISSIS) si era lamentato con lui proprio del ritardo nel pagamento della somma dovuta, cosicche', come correttamente osservato dalla Corte territoriale, vi e' compatibilita' tra il contenuto del colloquio intercettato e la fine dei lavori in data 14 luglio (OMISSIS). Quanto alla identificazione del " (OMISSIS)", menzionato nelle conversazioni intercettate, in (OMISSIS), oltre a richiamarsi quanto sopra gia' esposto, deve evidenziarsi che il ricorrente in sostanza si duole della valutazione del significato attribuito dalla Corte di appello alle conversazioni intercettate che e' questione di merito, non suscettibile di riesame in questa sede. Nel resto, anche in questo caso, le censure dei ricorrenti attengono esclusivamente al merito, in quanto dirette a sovrapporre all'interpretazione delle risultanze probatorie operata dal giudice una diversa valutazione dello stesso materiale istruttorio per arrivare ad una decisione diversa, e come tali si pongono all'esterno dei limiti del sindacato di legittimita'. La decisione del giudice di merito non puo' essere invalidata da ricostruzioni alternative che si risolvano in una "mirata rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perche' illustrati come maggiormente plausibili o perche' assertivamente dotati di una migliore capacita' esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si e' in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507). 12. Sulla base dei principi esposti poco sopra e al § 9 del "considerato in diritto" e di quelli in tema di travisamento della prova che hanno condotto alla dichiarazione di inammissibilita' dell'ottavo, del nono e del decimo motivo del ricorso del Procuratore generale (vedi § 6 del "considerato in diritto"), deve affermarsi anche la inammissibilita' dei motivi undicesimo, dodicesimo, tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo, sedicesimo, diciassettesimo, diciottesimo, diciannovesimo e ventesimo del ricorso di (OMISSIS). Anche con essi il ricorrente sostiene che le conversazioni intercettate sono state mal valutate e che in realta' ad esse doveva essere attribuito un diverso significato, piu' aderente al contesto, tale da consentire di pervenire ad una ricostruzione dei fatti piu' aderente alle esigenze difensive. Oppure denuncia l'insussistenza di riscontri alle conversazioni intercettate, in contrasto con il principio affermato dalle Sezioni Unite e richiamato al § 9 del "considerato in diritto" di questa sentenza o, ancora, solleva censure in fatto, sostenendo che la sua partecipazione alla spartizione degli appalti e dei relativi utili non e' compatibile con le conversazioni intercettate dalle quali risulta che egli versava in condizioni economiche assai precarie o che la esistenza di un sistema di spartizione degli appalti non e' compatibile con l'assegnazione di taluni lavori alla (OMISSIS) ed a (OMISSIS) senza alcun intervento o ingerenza del ricorrente. Laddove, poi, il ricorrente lamenta il travisamento di talune conversazioni intercettate, egli non allega al ricorso i verbali delle loro trascrizioni. Appare opportuno ricordare in questa sede che e' inammissibile il ricorso per cassazione che deduca vizi di motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione, cosi' da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (cfr., ex p/urimis, Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Natale, Rv. 256723); siffatta interpretazione va mantenuta ferma anche dopo l'entrata in vigore dell'articolo 165-bis, comma 2, d.lgs 28 luglio 1989, n. 271, inserito dall'articolo 7, d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, secondo il cui disposto, in caso di ricorso per cassazione, copia degli atti "specificamente indicati da chi ha proposto l'impugnazione ai sensi dell'articolo 606, comma 1 lettera e) del codice", e' inserita a cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato in separato fascicolo da allegare al ricorso, prevedendosi che, nel caso in cui tali atti siano mancanti, ne sia fatta attestazione; sebbene la materiale allegazione con la formazione di un separato fascicolo sia devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, resta in capo al ricorrente l'onere di indicare nel ricorso gli atti da inserire nel fascicolo, che ne consenta la pronta individuazione da parte della cancelleria, organo amministrativo al quale non puo' essere de (OMISSIS) il compito di identificazione degli atti attraverso la lettura e l'interpretazione del ricorso (Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, dep. 2021, Cossu, Rv. 280419; Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Talamanca, Rv. 276432). 13. Palesemente inammissibile e' il ventunesimo motivo del ricorso di (OMISSIS). L'interesse ad impugnare, previsto in via generale dall'articolo 568, comma 4, cod. proc. pen., non puo' risolversi in una pretesa, meramente teorica e formale, all'esattezza giuridica della decisione, senza riflessi in punto di utilita' concreta, dovendo l'impugnazione essere sempre diretta al conseguimento di un risultato favorevole, che sia anche indirettamente utile al proponente (Sez. 7, ord. n. 21809 del 18/12/2014, dep. 2015, Letorri, Rv. 263538). Nel caso di specie, lo stesso ricorrente ammette che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) non sono state utilizzate quale prova a suo carico, cosicche' nessun vantaggio sarebbe stato conseguito dall'imputato anche laddove il collaborante fosse stato ritenuto inattendibile. 14. Complessivamente infondato e' il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS). Dall'intenzione manifestata da (OMISSIS) di elargire un "pensiero" ai (OMISSIS) "(OMISSIS)", laddove egli avesse ottenuto l'assegnazione dei "lavori del cimitero", non puo' trarsi la conclusione che solo questi controllassero i lavori. Deve in primo luogo osservarsi che (OMISSIS) non e' riuscito a realizzare il suo proposito e, secondo la ricostruzione operata dalla Corte territoriale, (OMISSIS), facendo valere la sua vicinanza ai (OMISSIS) "(OMISSIS)" e spendendo il nome dei (OMISSIS) "bruciati" e' riuscito ad imporsi venendo preferito a (OMISSIS) . Secondo quanto affermato dalla Corte di appello in relazione alla posizione di (OMISSIS) (vedi pag. 435 della motivazione della sentenza di secondo grado), quest'ultimo aveva potuto ingerirsi nei lavori grazie all'appoggio sia dei (OMISSIS) "bruciati", sia dei (OMISSIS) "(OMISSIS)", con la conseguenza che il controllo di una delle due cosche non escludeva l'ingerenza dell'altra. Non e' quindi ravvisabile il profilo di illogicita' denunciato dal ricorrente. Quanto alla conversazione intercettata tra (OMISSIS) e (OMISSIS) del 21 dicembre 2010, la Corte territoriale ha indicato le ragioni, che riposano anche su altre conversazioni intercettate, per le quali comunque emerge l'appoggio dei (OMISSIS) "bruciati" in favore del (OMISSIS) (vedi pagine da 433 a 442 della sentenza di appello), onde farlo partecipare ai lavori del cimitero, appoggio che traspare anche dalla conversazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS), in cui "quest'ultimo non rinnega la condotta del (OMISSIS) cercando blandamente di giustificarla nei confronti dell'interlocutore" (vedi pag. 441 della motivazione della sentenza di secondo grado). Anche in questo caso, quindi, la pretesa illogicita' della motivazione della sentenza qui impugnata poggia sull'attribuzione alle conversazioni intercettate di un significato diverso da quello ad esse assegnato dalla Corte territoriale e quindi sulla invocazione di una diversa rivalutazione del materiale istruttorio, non consentita in questa sede di legittimita'. Quanto alla sussistenza del patto spartitorio degli appalti, la circostanza che dall'istruttoria espletata non sia emersa un'ingerenza delle cosche (OMISSIS) in relazione all'appalto del palazzetto dello sport non appare decisiva ed in grado di superare le numerose prove di segno opposto indicate dalla Corte territoriale a sostegno della ingerenza delle cosche (OMISSIS) sia in relazione ad appalti di importo superiore ad Euro 140.000,00 Euro, sia in relazione a lavori di importo superiore a detta soglia, a dimostrazione che la regola suddetta e' stata fissata dai (OMISSIS) "bruciati" e che pertanto spetta a costoro garantirne il rispetto o anche il potere di violarla a favore di altri sodali, quale era il (OMISSIS) (vedi pag. 475 della motivazione della sentenza di appello). Non appare, quindi, ravvisabile l'illogicita' denunciata dal ricorrente. Nel resto, il motivo di ricorso e' volto a sollevare censure di merito e risulta, pertanto, inammissibile. 15. Il terzo motivo del ricorso di (OMISSIS), nella parte in cui si duole dell'attribuzione di un ruolo apicale all'interno del sodalizio mafioso, ed il terzo motivo del ricorso di (OMISSIS)sono infondati. Non rileva che mentre con la sentenza gia' passata in giudicato (OMISSIS) risulta condannato per una condotta di mera partecipazione alla âEuroËœndrangheta, la Corte di appello lo abbia condannato per avere partecipato con il ruolo di capo alla medesima organizzazione senza precisare quando e come egli abbia assunto detta qualifica, tenuto conto che tra la condotta gia' giudicata e quella di cui si discute in questa sede intercorre un periodo di tempo molto ampio e che trattasi di condotte tra loro distinte. Rileva, invece, che la Corte di appello ha desunto il ruolo apicale dell'imputato dal complesso delle conversazioni intercettate; e soprattutto da quelle in cui emerge il suo ruolo di partecipe alle decisioni in ordine alla individuazione dei soggetti ai quali dovevano essere assegnati i lavori o che a questi dovevano partecipare attraverso subappalti o forniture ed alla determinazione delle modalita' di distribuzione degli utili tra i vari soggetti implicati nelle vicende relative alle varie opere appaltate. Quest'ultima circostanza non puo' essere contestata sol perche' dal materiale istruttorio non emerge quando e perche' (OMISSIS) abbia assunto un ruolo di comando. Quanto al terzo motivo del ricorso di (OMISSIS), deve richiamarsi in questa sede quanto gia' esposto al precedente § 10 ed osservarsi che la sua posizione apicale emerge anche da numerose circostanze di fatto accertate dalla Corte di appello, come la imposizione da parte sua di (OMISSIS) quale fornitore del calcestruzzo, in relazione alla estorsione relativa ai "lavori del muro", e dalla sua partecipazione, quale protagonista di primo piano, all'incontro tenutosi a (OMISSIS) con alcuni esponenti della cosca dei (OMISSIS). In sostanza, sebbene, come si e' gia' detto al § 10, secondo la ricostruzione fattuale operata dalla Corte territoriale, la circostanza che l'incontro finalizzato alla spartizione degli utili derivati da tali lavori sia realmente avvenuta deve ritenersi dimostrata, a prescindere dalla esistenza di ulteriori riscontri non necessari (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714), essa tuttavia non risulta avere un valore decisivo ai fini dell'attribuzione all'imputato di un ruolo verticistico all'interno della sua cosca, potendo questo essere desunto dal ruolo da assunto da (OMISSIS)in altri momenti della vicenda relativa ai "lavori del muro" o in occasione delle vicende relative ad altri lavori. Ne deriva in ogni caso la infondatezza del motivo di ricorso. Ne' sull'attribuzione ai due imputati di un ruolo di comando all'interno della cosca di appartenenza ha influito, sulla base di quanto emerge dalla motivazione della sentenza qui impugnata, la condanna irrevocabile pronunciata per la partecipazione alla âEuroËœndrangheta. Anche la circostanza indicata da (OMISSIS)in relazione alla conversazione del 24 settembre (OMISSIS) non contraddice, ma rafforza il suo ruolo di vertice, poiche' nella conversazione, per come interpretata dalla Corte territoriale, in sostanza, (OMISSIS) afferma che se qualcuno avesse voluto spuntare, in occasione della riunione finalizzata alla spartizione degli utili anche in favore di chi non aveva partecipato all'esecuzione dei lavori, una somma superiore rispetto a quella risultante dai criteri gia' fissati, avrebbe dovuto "vedersela" con (OMISSIS), con cio' attribuendo a quest'ultimo una maggiore autorita' in seno alla riunione. Nel resto, anche laddove il ricorrente attribuisce alla conversazione intercettata un diverso significato, il motivo, per le ragioni gia' esposte, risulta inammissibile. 16. Il terzo motivo, nella parte in cui si duole del diniego dell'applicazione della disciplina del reato continuato in relazione alla condanna gia' divenuta irrevocabile per altra condotta di partecipazione alla âEuroËœndrangheta, ed il venticinquesimo motivo del ricorso di (OMISSIS) sono infondati. La motivazione addotta dalla Corte territoriale, che ha evidenziato il lungo periodo di tempo trascorso tra le due condotte ed il diverso ruolo assunto dall'imputato in seno al sodalizio criminale, non appare illogica o contraddittoria. Tra le due condotte di partecipazione alla âEuroËœndrangheta intercorre un periodo di tempo eccessivo (oltre quindici anni) perche' esse possano essere considerate espressione di un unico momento deliberativo e quindi essere considerate attuazione del medesimo disegno criminoso. Solo laddove la partecipazione dell'imputato alla âEuroËœndrangheta si fosse protratta ininterrottamente, senza alcuna soluzione di continuita', avrebbe potuto sostenersi la sussistenza del vincolo della continuazione, ma tale ipotesi non e' stata accertata e lo stesso ricorrente ha negato che la precedente condanna per il reato associativo possa valere quale indizio della nuova condotta di partecipazione alla âEuroËœndrangheta che gli e' stata contestata in questo processo. Ne' puo' sostenersi che, poiche' nel processo per il quale (OMISSIS) e' stato gia' condannato con sentenza irrevocabile gli si contestava la partecipazione alla âEuroËœndrangheta "dal 1983 ad oggi", il giudicato coprirebbe la condotta associativa anche oltre il 1995, in quanto questa Corte di cassazione ha piu' volte affermato che l'imputazione per un reato associativo, limitata temporalmente con l'espressione "dal... ad oggi", deve ritenersi estesa fino alla data del decreto che dispone il giudizio e, nel caso in cui questo manchi, trattandosi di rito abbreviato, fino alla data della richiesta di rinvio a giudizio (ex multis, Sez. 3, n. 2567 del 17/09/2018, dep. 2019, Ghiringhelli, Rv. 275829). 17. Il sesto ed il ventiseiesimo motivo - nella parte in cui il ricorrente si duole dell'applicazione dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 cod. pen. - di (OMISSIS) ed il settimo motivo del ricorso di (OMISSIS) sono infondati. I reati di cui ai capi 14 septies) e 14 novies), per quanto sopra gia' esposto, sono volti ad agevolare la realizzazione le finalita' delle cosche (OMISSIS) ed in particolare quella di assicurarsi il controllo del territorio e delle attivita' economiche ivi attuate attraverso la scelta di coloro che avrebbero dovuto partecipare all'esecuzione dei lavori imponendo persone loro gradite anche mediante l'imposizione di subappalti o forniture o il pagamento di somme di denaro e comunque costituiscono attuazione degli accordi raggiunti tra le cosche in relazione alla spartizione degli appalti. Ne' tale finalita' puo' dirsi venuta meno in conseguenza della destinazione al mantenimento di (OMISSIS) , all'epoca detenuto, di una somma di denaro che i (OMISSIS) "bruciati" hanno percepito da (OMISSIS) per i cosiddetti "lavori del muro", in quanto l'assistenza economica ai sodali detenuti costituisce proprio una regola generalmente attuata dalle associazioni di tipo mafioso (vedi Sez. I, 18 febbraio (OMISSIS) n. 13578, Autiero, non massimata). 18. Il settimo ed il ventiseiesimo motivo - nella parte in cui il ricorrente si duole dell'applicazione dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis, quarto e quinto comma, cod. pen. - di (OMISSIS) ed il quarto motivo del ricorso di (OMISSIS)sono infondati. Sul punto, le ragioni del ricorso non hanno pregio, poiche' come sopra gia' esposto in premessa, la motivazione che si ricava dalle due sentenze di merito appare del tutto logica e coerente, in quanto dalla ricostruzione fattuale operata dalla Corte territoriale emerge sia il compimento di atti delittuosi con armi da parte dell'associazione, sia la disponibilita' di armi in capo agli associati ed in particolare a (OMISSIS), cosicche' appaiono ampiamente rispettati i principi espressi dalla giurisprudenza precedentemente richiamata. 19. Il ventiseiesimo motivo del ricorso di (OMISSIS), nella parte in cui sostiene l'inapplicabilita' al delitto di estorsione di cui al capo delle aggravanti delle piu' persone riunite, ed il sesto motivo del ricorso di (OMISSIS) sono infondati. L'infondatezza dei motivi del ricorso di (OMISSIS)relativi all'affermazione della sua penale responsabilita' per il reato associativo conduce necessariamente all'infondatezza del sesto motivo del suo ricorso con riguardo all'aggravante prevista dall'articolo 628, terzo comma, n. 3, cod. pen. Quanto alla aggravante dell'essere la estorsione stata commessa da piu' persone riunite, le censure dei ricorrenti risultano infondate, atteso che nel reato di estorsione commesso nell'interesse di un'associazione di tipo mafioso, la simultanea presenza di non meno di due persone, necessaria a configurare la circostanza aggravante delle piu' persone riunite, deve essere individuata in relazione ai plurimi momenti in cui viene effettuata la richiesta estorsiva ed alla pluralita' dei soggetti che interviene a contattare la persona offesa, esplicitando la natura collettiva della richiesta proveniente da piu' soggetti appartenenti al gruppo criminale (Sez. 2, n. 6272 del 19/01/2017, Corigliano, Rv. 269295), come appunto avvenuto, sulla base della ricostruzione fattuale operata dalla Corte di appello, in relazione all'estorsione contestata al capo 14 septies). Peraltro, l'aggravante delle piu' persone riunite ha natura oggettiva concernendo le modalita' dell'azione e, pertanto, si comunica ai correi non presenti nel luogo di consumazione del reato se gli stessi erano a conoscenza del fatto che il reato sarebbe stato consumato da piu' persone riunite o se per colpa ignoravano tale circostanza (Sez. 2, n. 36926 del 04/07/2018, Sabatino, Rv. 273521). E', quindi, priva di rilievo la circostanza che (OMISSIS) non abbia eventualmente parlato con il (OMISSIS). 20. Infondati sono l'ottavo motivo ed il ventiseiesimo motivo - nella parte in cui si duole del diniego dell'attenuante di cui all'articolo 114 cod. pen. e delle circostanze attenuanti generiche e della misura della pena, anche a titolo di aumento per la continuazione - di (OMISSIS). Quanto all'attenuante di cui all'articolo 114 cod. pen., questa Corte di cassazione ha affermato, in tema di concorso di persone nel reato, che ai fini dell'integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui alla citata disposizione, non e' sufficiente una minore efficacia causale dell'attivita' prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto e' necessario che il contributo dato si sia concretizzato nell'assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale cosi' lieve rispetto all'evento da risultare trascurabile nell'economia generale dell'iter criminoso (Sez. 6 -, Sentenza n. 34539 del 23/06/2021, I., Rv. 281857). Nel caso di specie siffatto ruolo marginale appare in contrasto sia con la ricostruzione fattuale operata dalla Corte di appello, avendo (OMISSIS) partecipato alla riunione finalizzata alla spartizione dell'utile derivato dai cosiddetti "lavori del muro" e comunque alle attivita' estorsive, sia con il ruolo di comando che egli rivestiva nell'associazione criminale e che valeva ad attribuire alla sua partecipazione al delitto una forte carica minatoria. Con riguardo alle attenuanti generiche, deve osservarsi che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269). In particolare, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non e' necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899). Nel caso di specie la Corte territoriale ha adeguatamente motivato facendo riferimento ai precedenti penali dell'imputato ed al suo ruolo all'interno del sodalizio mafioso. Quanto al trattamento sanzionatorio ed all'aumento di pena per la continuazione, anch'esso e' stato adeguatamente motivato facendo riferimento alla gravita' dei fatti ed alla personalita' dell'imputato. 21. L'ottavo, il nono ed il decimo motivo del ricorso di (OMISSIS)sono inammissibili. Non e' censurabile, in sede di legittimita', la sentenza che non motivi espressamente in relazione a una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza (Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, dep. 2023, Lakrafy, Rv. 284096). Nel caso di specie, quanto alla recidiva applicata al ricorrente, dal complesso della motivazione della sentenza di secondo grado si comprendono le ragioni che hanno indotto la Corte di appello ad applicare a (OMISSIS)l'aumento per la recidiva contestata e a negargli le circostanze attenuanti generiche, avendo i giudici di secondo grado evidenziato sia che egli e' gia' stato condannato per il reato di partecipazione alla âEuroËœndrangheta, sia che il nuovo reato costituisce espressione di una maggiore pericolosita' del ricorrente, in considerazione del ruolo apicale in seno al sodalizio criminale che gli viene attribuito in esito al presente processo (vedi pag. 521 della motivazione della sentenza di appello). Le stesse considerazioni sono state utilizzate dalla Corte territoriale per il diniego delle circostanze attenuanti generiche cosicche', in applicazione del principio sopra gia' espresso (vedi § 20), deve concludersi che i giudici di appello, anche in relazione a questo punto della decisione, hanno fornito adeguata motivazione. Quanto all'entita' del trattamento sanzionatorio, la pena base ed i conseguenti aumenti per le aggravanti appaiono di entita' ridotta, cosi' come l'aumento per la continuazione con il reato associativo, tenuto conto della sua gravita', cosicche' puo' trovare applicazione il principio per il quale solo l'irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall'articolo 133 cod. pen., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, (OMISSIS), Rv. 276932), mentre per una pena base contenuta entro tale limite e' sufficiente un generico rinvio all'adeguatezza della pena (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283) e quindi agli elementi di cui all'articolo 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa Giorgio, Rv. 276288) e nel caso di specie la Corte territoriale ha fatto riferimento sia alla gravita' dei reati che alla personalita' dell'imputato. 22. Il ricorso di (OMISSIS), classe (OMISSIS), e' complessivamente inammissibile. Il ricorrente eccepisce questioni tutte collegate alla sua condanna per il delitto di partecipazione mafiosa di cui al capo 1, con una formulazione che e' diffusamente generica, priva di dati specifici di confronto con la motivazione della sentenza impugnata, riguardo al suo ruolo nel sodalizio di âEuroËœndrangheta oggetto della contestazione, apodittica nel sostenere la propria tesi difensiva ed i presunti vizi di travisamento della prova, non rilevati, invece, dal Collegio. Come noto, nel caso ci si trovi dinanzi ad una cosiddetta "doppia conforme", il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, puo' essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato e' stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (cfr. ex multis, la recente Sez. 3, n. 45537 del 28/9/2022, M., Rv. 283777). Inoltre, come si e' gia' chiarito, il vizio di "contraddittorieta' processuale" (o "travisamento della prova") vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimita' alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l'eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos, Rv. 283370). Invece, nel caso all'esame del Collegio, si sovrappongono ragioni gia' dedotte con i motivi d'appello, senza tener conto delle argomentazioni complessive che hanno portato la Corte territoriale a confermare la sentenza di primo grado e l'affermazione di responsabilita' del ricorrente. Costituisce orientamento consolidato e condiviso dal Collegio, invero, ritenere che la sentenza di merito non e' tenuta a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo e' stato tenuto presente, si' da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 4, n. 26660 del 13/5/2011, (OMISSIS) e altro, Rv. 250900; Sez. 6, n. (OMISSIS)2 del 4/5/2011, Schowick, Rv. 250105). La conseguenza e' che, in sede di legittimita', non e' censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione del provvedimento complessivamente considerato (Sez. 1, n. 27825 del 22/5/2013, Caniello, Rv. 256340). 22.1. Il ricorrente non tiene conto, nel lamentare, all'interno del primo motivo di ricorso, alcune omesse risposte ai motivi di censura contenuti nell'atto di appello, degli' approdi consolidati della giurisprudenza di legittimita' sopra sintetizzati, formulando eccezioni, peraltro, diffusamente generiche, limitate a riproporre la propria versione difensiva degli elementi di prova a suo carico. In particolare, quanto ancora al primo motivo di ricorso, e' del tutto apodittica la censura riferita ad una sorta di incompatibilita' tra il ruolo concretamente ricostruito dai giudici di merito per configurare la partecipazione all'associazione mafiosa contestata al capo 1 - vale a dire la collaborazione nel settore del controllo criminale di tutte le attivita' edilizie, private e pubbliche in appalto, nel territorio del comune di (OMISSIS) Zejfirio (locale di (OMISSIS)), con imposizione di forniture dei materiali e del pagamento di danaro per i lavori, mediante l'esecuzione di ruolo anche di vera e propria manovalanza edile - ed il ruolo di "santista" a lui assegnato. Si tratta di un'affermazione priva di sostegno sia nella prassi criminale storicamente nota - che, a dispetto di quanto afferma il ricorrente, non prevede aprioristiche preclusioni tra ruoli di primo piano nei sodalizi mafiosi e l'esecuzione, magari occasionale o per necessita', di mansioni "umili" - sia nel tessuto di prova del presente processo, in cui si da' atto di una realta' sfumata tra imprenditoria e organizzazione criminale sul territorio, con interessi economici anche di piccolo e medio cabotaggio. Anche le censure riferite all'imprecisione delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia utilizzati nella ricostruzione del piano accusatorio nei suoi riguardi scontano diffuse aspecificita'. In un caso, relativamente alla circostanza imprecisa che il ricorrente avrebbe fratelli, non si indica neppure il nominativo del dichiarante che avrebbe riferito tale dato (cfr. pag. 6 del ricorso), ne' tantomeno se ne indica la decisivita' e neppure la rilevanza a scalfire il quadro accusatorio. Nel caso delle dichiarazioni del principale collaboratore di giustizia (OMISSIS), invece, poiche' il ricorso si limita a riproporre apoditticamente l'assenza di riscontri alle stesse, dimenticando che la sentenza impugnata ha evidenziato come gia' il GUP, nella decisione di primo grado, aveva rappresentato la precisione e specificita' del narrato del suddetto dichiarante, riguardo all'intraneita' alla locale di (OMISSIS) dei cd. (OMISSIS) (i cugini (OMISSIS), cl. (OMISSIS) e (OMISSIS), cl. (OMISSIS); nonche' (OMISSIS) e (OMISSIS)), tutti soggetti individuati con puntuale, personale indicazione come facenti parte di quel sottogruppo interno alla cosca, facente capo a (OMISSIS) (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata); le dichiarazioni del collaboratore sono state riscontrate dalle intercettazioni acquisite al processo, relative alla vicenda inerente al "blocco dei lavori" di manutenzione delle strade provinciali, emersa dalle conversazioni ambientali registrate all'interno dell'autovettura in uso a (OMISSIS) . Quanto alla sussistenza della gravita' degli elementi di prova nel senso della sussistenza del sodalizio mafioso contestato al capo 1, e delle sue propaggini microterritoriali, che costituisce l'ossatura del secondo motivo di ricorso, il Collegio richiama l'ampia sintesi della Corte d'Appello, contenuta alle pagine 243 e ss., in particolare, della sentenza impugnata, nelle quali si da' atto dell'operativita' esterna della cosca, dell'ampiezza degli obiettivi criminali, della pluralita' dei settori illeciti di intervento del sodalizio e, per quel che piu' rileva in questa sede, nel settore degli appalti (senza dimenticare il traffico degli stupefacenti e le estorsioni, tradizionali fonti di approvvigionamento economico della criminalita' organizzata di tipo mafioso), del compimento di reati-fine, della disponibilita' di uomini e mezzi per il perseguimento degli scopi illeciti del sodalizio, dell'approvvigionamento di armi da impiegare in azioni delittuose, l'utilizzo di scorte armate, del ricorso sistematico alla violenza per l'affermazione della supremazia criminale sul territorio, dell'esecuzione di spedizioni armate, anche esplodendo colpi d'arma da fuoco in luoghi pubblici, dell'instaurazione di un clima di assoggettamento ed omerta' tipico. Si tratta dei caratteri propri della fattispecie di cui all'articolo 416-bis cod. pen., come delineati nella giurisprudenza consolidata di legittimita', facendo ricorso proprio a indicatori sintomatici quali quelli gia' descritti (cfr. Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555, in motivazione, per una ricostruzione della tipicita' del delitto di cui all'articolo 416-bis cod. pen., nonche' Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, Rv. 231670, in motivazione). Di fronte alla imponente elaborazione giurisprudenziale, della quale si sono richiamati solo alcuni dei principali arresti, che la sentenza impugnata ha calato nella realta' fattuale sottoposta al suo giudizio, il ricorrente si limita a sostenere apoditticamente che mancherebbero elementi "indicatori" della configurabilita' del gruppo criminale in relazione al quale e' instaurato il processo come associazione mafiosa (una leadership unitaria; una dimensione operativa chiara), dimenticando qualsiasi confronto con la lunga ed ampia disamina delle prove condotte dalla Corte d'Appello (cfr. pag. 233 e seguenti, in particolare, 242 e 243), in cui si e' messo in risalto, tra l'altro, il contenuto inequivoco delle intercettazioni, nelle quali si fa chiaro riferimento all'esistenza del gruppo mafioso, alle relative posizioni apicali, all'omerta' diffusa, dedotta dall'incapacita' delle vittime dei reti di denunciarne gli autori, anzi "protetti", e, in ultima analisi, si allude chiaramente al concetto stesso di associazione mafiosa. Specificamente per la posizione del ricorrente, alle pag. 253-255 della sentenza impugnata, si sono messe in collegamento le dichiarazioni, come detto precise e puntuali di (OMISSIS), con vari elementi di riscontro (intercettazioni ambientali e telefoniche, della cui validita' probatoria la Corte motiva ampiamente alle pagine 393 e ss., in particolare pag. 399; riprese video; controlli dei Carabinieri; documenti provenienti dal rapporto di ispezione della (OMISSIS) s.p.a. del mese di ottobre 2010, con la foto scattata dal personale della ditta e che ritraeva il ricorrente sul luogo dell'episodio del cd. "blocco dei lavori", vale a dire lo coinvolgeva inequivocabilmente nelle condotte intimidatorie poste in essere su ordine di (OMISSIS), al fine di impedire lo svolgimento delle opere da parte di ditte riferibili a (OMISSIS) , (OMISSIS), (OMISSIS), in quanto il lavoro nel tratto di strada posto nel comune di (OMISSIS) sarebbe "spettato" al gruppo facente capo proprio a (OMISSIS), referente di quel territorio). Si e' convincentemente, poi, spiegato in sentenza perche' siano certi i riferimenti al ricorrente identificato come colui il quale nelle intercettazioni viene indicato come inviato per eseguire il "fermo dei lavori"; tra i dati piu' importanti: l'identificazione di (OMISSIS), cl. (OMISSIS), a mezzo del controllo di polizia giudiziaria sul luogo dei lavori, intento a svolgerli (di qui l'asserita, apodittica incoerenza delle prove denunciata dal ricorso), successivamente proprio all'intervento intimidatorio, in data 04.10.2010, a dimostrazione del "passaggio di consegne" tra le ditte precedenti e quella degli uomini di (OMISSIS) (vedi anche, sul punto, pag. 495-497 della sentenza impugnata). 22.2. Anche il terzo motivo di ricorso e' inammissibile, in quanto manifestamente infondato. Quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, basato sulla sola constatazione dei precedenti penali dell'imputato, che la Corte evidenzia essere "gravissimi", e' evidente che tale valutazione sia stata ritenuta preponderante e negativamente assorbente eventuali, diversi aspetti a lui favorevoli, quali quelli indicati nel ricorso. La decisione e' legittima, sulla base della condivisa e stabile giurisprudenza di legittimita', secondo cui, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (cfr., per tutte, Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, Pettinelli, Rv. 271269: nella specie, la Corte ha ritenuto sufficiente, ai fini dell'esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell'imputato, cfr. ancora Sez. 2, n. 23093 del 15/7/2020, Marigliano, Rv. 279549). Si contesta, altresi', la sussistenza dell'aggravante della recidiva, riconosciuta in controtendenza rispetto al positivo accertamento sull'assenza di pericolosita' sociale che ha fondato, nel 2013, la revoca della liberta' vigilata nei suoi confronti, ma i motivi oggi esposti, peraltro in modo confuso e non centrato rispetto alle indicazioni della giurisprudenza costituzionale e di legittimita' consolidata in tema, non erano stati accennati nell'atto di appello, che non contesta in modo specifico la ritenuta recidiva; tale genericita' del motivo d'appello preclude l'esame della ragione difensiva, su cui la Corte territoriale si e' sostanzialmente espressa implicitamente, valutando in piu' punti la pericolosita' criminale del ricorrente. 22.3. Infine, i motivi nuovi sono, in parte, reiterativi del primo e del secondo motivo di ricorso, quanto alla critica al contenuto delle intercettazioni, inammissibile poiche' rientrante nel giudizio di merito, se non afflitta, come nel caso di specie, da evidenti illogicita', ovvero quanto alla valenza dell'elemento indiziario nei confronti del ricorrente costituito dal servizio di identificazione del 04.10.2010, obiezione che, come si e' gia' detto, e' manifestamente infondata, oltre che rivalutativa. In parte, si tratta di argomenti inammissibili poiche' generici: cosi' e' l'obiezione relativa all'errata indicazione contenuta nella motivazione della sentenza d'appello, a pag. 496, relativa a vicende in relazione alle quali l'imputato non e' stato condannato e che neppure gli sono state mai attribuite in ipotesi, che non costituisce certo l'unico elemento logico-fattuale a suo carico, posto quanto si riferisce nelle plurime indicazioni motivazionali precedenti al passaggio contestato e valutato il principio consolidato secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, e' onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilita' di atti processuali indicare, pena l'inammissibilita' del ricorso per genericita' del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresi' la incidenza sul complessivo compendio indiziario gia' valutato, si' da potersene inferire la decisivita' in riferimento al provvedimento impugnato (cfr. Sez. U, n. 23868 del 23/4/2009, Fruci, Rv. 243416). 23. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 23.1. Il primo motivo di censura e' formulato secondo direttrici di censura sottratte al sindacato di legittimita' e manifestamente infondate. Il ricorrente tenta di demolire il quadro di prova a suo carico in relazione al reato di partecipazione ad associazione mafiosa (capo 1), proponendo una rivalutazione della piattaforma probatoria in senso a lui piu' favorevole, in chiave, peraltro, soltanto destrutturante e negativa, oltre che apodittica ed assertiva. Si contesta il tasso qualitativo delle prove raccolte nei suoi confronti, cosi' manifestamente svelando l'erronea prospettiva su cui si muove il ricorso che, pur segnalando un deficit di accertamento "oltre ogni ragionevole dubbio" della sua colpevolezza, propone, sostanzialmente, una lettura a senso unico dei dati raccolti nell'istruttoria processuale. Come si e' gia' accennato nell'esame del ricorso precedente, la compagine associativa degli " (OMISSIS)", sottogruppo del locale di âEuroËœndrangheta dominante nel territorio del comune di (OMISSIS), facente capo a (OMISSIS), emerge dalle intercettazioni soprattutto (sul delitto associativo vedi pag. 393 e ss.) quale sodalizio di sicuro spessore criminale nella gestione degli appalti, spartiti nella zona con i gruppi dei (OMISSIS) Bruciati e dei (OMISSIS) (OMISSIS), avente, in particolare, l'assegnazione esclusiva della zona di (OMISSIS)-(OMISSIS) e composta da (OMISSIS), (OMISSIS), i due cugini (OMISSIS), classe (OMISSIS) e classe (OMISSIS), sotto la guida e direzione del citato (OMISSIS), il cui spessore criminale pure e' stato oggetto di ampi cenni in sentenza (vedi, tra l'altro, pag. 490 e ss.). L'apporto causale del ricorrente e' stato adeguatamente illustrato dalla sentenza impugnata (cfr. pag. 495 e ss.), soprattutto con riferimento a-la complessiva vicenda criminale, sfociata poi nella condanna solo per il reato di violenza privata ai danni dell'imprenditore (OMISSIS) (capi 74 - estorsione ritenuta, poi, insussistente dalla Corte d'Appello - e 76: nei confronti del ricorrente e' stata raggiunta prova certa soltanto della condotta di violenza privata aggravata di cui al capo 76), altamente significativa del controllo totalizzante esercitato sul territorio dal gruppo criminale (vedi sopra per (OMISSIS)), che, al di la' del valore economico dei beni al centro della rivalita' tra cosche (lamiere provenienti da lavori edilizi), fa assurgere la questione a vera e propria affermazione di potere sul territorio. La Corte d'Appello sottolinea, in chiave di gravita' del quadro probatorio a carico del ricorrente per il delitto associativo, proprio il tenore inequivoco e particolarmente pregnante delle parole utilizzate dal ricorrente nei confronti della vittima (OMISSIS), "colpevole" di aver cedutole lamiere di risulta dei lavori di ristrutturazione di un cantiere di una chiesa in territorio di Monticella di (OMISSIS), "senza prima ottenere il suo permesso" (cfr. pag. 496 della sentenza impugnata), nonche' la conclusione della querelle criminale, con il ricorrente che, insieme al fratello (OMISSIS), cl. (OMISSIS), ed a (OMISSIS), prelevano le lamiere direttamente dal cantiere, secondo quanto emerge dalle intercettazioni telefoniche. In aggiunta, si richiamano le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), gia' messe in risalto dalla sentenza di primo grado, resa all'esito del rito abbreviato. Anche secondo la giurisprudenza di legittimita' in tema di partecipazione mafiosa, i cui approdi invoca il ricorrente, non e' rilevante la quantita' del contributo partecipativo che emerge dagli indicatori/prove del reato, bensi' la sua qualita' e significativita', sicche' anche sotto tale aspetto il ricorso e' manifestamente infondato. 23.2. Egualmente inammissibile, perche' formulato in fatto, con obiettivi di rivalutazione e riscrittura dei risultati probatori, e' il secondo argomento del ricorso che evoca il vizio di violazione di legge e quello di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dell'aggravante del metodo mafioso rispetto alla contestazione di violenza privata ascritta all'imputato al capo 76. Le intercettazioni telefoniche sulle utenze dei coimputati e del ricorrente, nonche' le dichiarazioni di (OMISSIS) hanno condotto i giudici d'appello, diversamente che per il capo 74 (a dimostrazione del rigore nella valutazione delle prove dimostrato dalla Corte territoriale), a ritenere provata la grave intimidazione portata avanti a piu' riprese da Antonino e (OMISSIS) cl. (OMISSIS), nonche' da (OMISSIS), in particolare, ai danni dell'imprenditore, con la finalita', centrata, di farsi consegnare le lamiere di risulta del tetto di copertura della chiesa in ristrutturazione, una volta smontate. La tesi difensiva si fonda sull'irrisorio valore delle lamiere e la mancanza di interesse del clan, ma - come e' evidente - la difesa tenta di far passare una diversa lettura di un "messaggio" criminale che del tutto logicamente, invece, la Corte d'Appello ha interpretato come espressivo ai massimo di un'affermazione di potere mafioso, che non si cura della banalita' dell'oggetto delle proprie pretese, ma soltanto della posizione di dominio e signoria da mantenere sul territorio di riferimento. Di qui la chiara sussistenza della metodologia mafiosa, leggibile nella rimostranza inequivoca fatta dal ricorrente alla vittima di aver operato "senza la sua autorizzazione", a riprova della capacita' intimidatoria tipicamente mafiosa del metodo utilizzato per commettere la violenza privata (nonche' del risultato di agevolazione mafiosa, che si configura, ancorche' non contestato espressamente, secondo le indicazioni di Sez. 3, n. 45536 del 15/9/2022, Coluccio, Rv. 284199; Sez. 3, n. 9142 del 13/1/2016, Basile, Rv. 266464). Nel caso di specie, non puo' esservi dubbio, seguendo la ricostruzione della sentenza, circa la carica rivelatrice della metodologia mafiosa che scaturisce proprio dalla pervicacia con cui si porta avanti la condotta criminale, a dispetto della minima rilevanza economica della vicenda, sopravvalutata dai coimputati proprio sul piano simbolico, evocativa, cosi' come le concrete parole utilizzate da (OMISSIS), della supposta capacita' dimostrativa di un simile episodio a rafforzare la condizione di assoggettamento o di condizionamento mafioso di fasce del territorio. Anche il tentativo di sminuire la portata delle dichiarazioni di (OMISSIS) sull'intimidazione subita (accreditandosi, nel ricorso, la tesi di un litigio tra lui e il ricorrente) e', di fondo, reiterativo di argomenti gia' risolti dalla sentenza impugnata (cfr. pag. 457) sulla credibilita' della vittima, mediante l'evidenziazione della perfetta sovrapponibilita' del loro tenore con i contenuti delle intercettazioni. 24. Il ricorso di (OMISSIS) e' complessivamente inammissibile. 24.1. Il primo motivo, dedicato ad eccepire vizio di violazione di legge e di motivazione in merito alla condanna del ricorrente per il reato di tentata estorsione in danno della ditta (OMISSIS) (capo 14, in relazione al quale e' stata esclusa l'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 cod. pen.), e' manifestamente infondato e formulato in fatto, secondo direttrici di censura, come gia' evidenziatosi, non consentite in sede di legittimita'. Si contesta inammissibilmente il contenuto delle intercettazioni utilizzate come prova (cfr. Sez. U, Sebbar, Rv. 263715, cit.), senza enunciare manifeste distopie della lettura dei giudici di merito, ma proponendo una chiave interpretativa semplicemente rivalutativa e piu' favorevole al ricorrente; si contesta, altresi', il loro "peso" in termini di prova, attaccando la qualita' mafiosa dell'interlocutore (OMISSIS) , di cui gia' in altri richiami precedenti si e', invece, chiarita la capacita' di comprendere e conoscere i fenomeni mafiosi locali dei quali riferisce, nonostante sia stato assolto dal delitto associativo, e le cui dichiarazioni sono state ampiamente riscontrate da numerosi altri elementi esterni (cfr. pag. 393 e ss. della sentenza impugnata, in particolare). Infine, non rileva il fatto che il ricorrente non sia interlocutore diretto delle conversazioni. Come noto, gli indizi raccolti nel corso di conversazioni telefoniche intercettate, a cui non abbia partecipato l'imputato, possono costituire fonte diretta di prova, senza necessita' di reperire riscontri esterni, a condizione che siano gravi, precisi e concordanti (ex multis, cfr. Sez. 6, n. 5224 del 2/10/2019, dep. 2020, Acampa, Rv. 278611; le intercettazioni vanno valutate verificando che: a) il contenuto della conversazione sia chiaro; b) non vi sia dubbio che gli interlocutori si riferiscano all'imputato; c) per il ruolo ricoperto dagli interlocutori nell'ambito dell'associazione di cui fanno parte, non vi sia motivo per ritenere che parlino non seriamente degli affari illeciti trattati; d) non vi sia alcuna ragione per ritenere che un interlocutore riferisca il falso all'altro). Nella fattispecie in esame, la sentenza d'appello si e' lungamente diffusa nel rappresentare, in piu' punti, sia la chiarezza e genuinita' dell'interpretazione dei contenuti delle conversazioni, sia la credibilita' degli interlocutori intercettati, rispetto al ruolo di costoro, ancorche' non ritenuti "intranei" responsabili del delitto associativo, ma solo soggetti "molto vicini" al contesto mafioso di cui riferiscono; sia, infine, la presenza di diffusi riscontri alle intercettazioni (l'inserimento di (OMISSIS) nel settore dell'edilizia; alcune testimonianze: tra tutte, quella individualizzante nei confronti del ricorrente, dell'operaio (OMISSIS), che lo ha visto al cantiere, intento a parlare con un dipendente della ditta di lavori al centro della vicenda estorsiva contestatagli; il clima di omerta', che supera anche le obiezioni difensive riferite alla valenza di altre testimonianze, ritenute favorevoli al ricorrente). Del resto, la Corte d'Appello ha escluso l'aggravante mafiosa, proprio operando una rigorosa disamina del quadro di prova a carico del ricorrente per il delitto a lui ascritto. 24.2. Il secondo motivo di ricorso, con cui si denuncia l'eccessiva dosimetria sanzionatoria ed il diniego delle circostanze attenuanti generiche, e' manifestamente infondato. La sentenza impugnata resiste alle obiezioni difensive, avendo sinteticamente motivato le ragioni in base alle quali ha ritenuto di non concedere le circostanze attenuanti ex articolo 62-bis cod. pen., valorizzando legittimamente, in chiave negativa, l'intensita' del dolo leggibile dalla condotta delittuosa ascrittagli. D'altro canto, relativamente alla censura riferita alla mancata riduzione della pena corrispondente all'abbattimento per il rito abbreviato, una volta esclusa la circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 cod. pen., vi e' da rilevare l'estrema vaghezza dell'obiezione difensiva, che non si confronta con una scansione dosimetrica non puntualmente determinata nella sua quantificazione dal giudice di primo grado, con metodo sintetico riproposto dalla Corte d'Appello; la compatibilita' astratta, dunque, della pena inflitta, peraltro in misura comunque sensibilmente ridotta rispetto a quella stabilita dal GUP (da 4 anni e 8 mesi, a 4 anni di reclusione), giustificata dalla ritenuta gravita' del fatto, affermata espressamente anche attraverso il diniego delle circostanze attenuanti generiche. 25. Il ricorso di (OMISSIS) e' complessivamente infondato e deve essere rigettato. 25.1. Il primo ed il secondo motivo di censura sono inammissibili, rivalutativi delle prove, in particolare delle intercettazioni e dei loro contenuti, invece, interpretati in modo logico e plausibile dalla Corte d'Appello: si e' gia' detto in precedenza di come simili doglianze non siano ammesse in sede di legittimita', senza che si adducano specifici o precisi travisamenti della prova, sottolineando la valenza di prova piena ed autonoma delle intercettazioni, una volta validate nell'affidabilita' dei loro contenuti, secondo i canoni di verifica dettati da questa Corte regolatrice. Nella specie, il ruolo apicale del ricorrente all'interno della compagine mafiosa descritta al capo 1 e' stato ampiamente argomentato dalla sentenza impugnata (cfr. pagg. 488 e ss., tra le altre) e da quella di primo grado - doppia pronuncia conforme -, con puntuali riferimenti alle chiare conversazioni intercettate, nelle quali si fa riferimento a "compare (OMISSIS)" ovvero a (OMISSIS) "(OMISSIS)", soggetto individuato senza dubbio in (OMISSIS), descrivendolo come al centro di vicende criminali collegate a lavori acquisiti in appalto, ad esempio quelli per il sottopassaggio ferroviario di (OMISSIS), ovvero ai contatti con altre cosche di âEuroËœndrangheta (quale il gruppo (OMISSIS) di (OMISSIS)) sempre finalizzati alla spartizione degli appalti; ovvero ancora indicandolo tra i leader del sodalizio che partecipano ai tavoli delle trattative per appalti importanti, da spartirsi tra le âEuroËœndrine (i lavori del cimitero); la posizione di protagonista criminale del sodalizio occupata dal ricorrente e' richiamata dalla Corte d'Appello anche quando si concentra sulla posizione del sodale/imprenditore strettamente collegato ai (OMISSIS) (OMISSIS), vale a dire (OMISSIS) (cfr. pag. 479 e ss.), nonche' nei chiari riferimenti che fa direttamente quest'ultimo nelle intercettazioni che lo coinvolgono (di richiama quella del 19.11.2010, progr. n. 11136: cfr. pag. 489 della sentenza impugnata) a proposito della vicenda dell'appalto al cimitero ed alla sua presenza tra i leader per le trattative necessarie. Il ricorrente insiste anche sulla significativa assoluzione dal reato ascrittogli al capo 14-novies, da cui deriverebbe un'incisione determinante del tessuto probatorio a suo carico relativamente al delitto associativo, in relazione al quale e' stato condannato. Tuttavia, la censura, declinata in linea di principio, e' manifestamente infondata, poiche', ai fini dell'integrazione della condotta di partecipazione ad un'associazione di tipo mafioso, l'investitura formale o la commissione di reati-fine funzionali agli interessi dalla stessa perseguiti non sono essenziali, in quanto rileva la stabile ed organica compenetrazione del soggetto rispetto al tessuto organizzativo del sodalizio, da valutarsi alla stregua di una lettura non atomistica ma unitaria degli elementi rivelatori di un suo ruolo dinamico all'interno dello stesso che emergono anche da significativi "facta concludentia" (cfr., tra le piu' recenti massimate, Sez. 5, n. 32020 del 16/3/2018, Capraro, Rv. 273571, nonche' Sez. 5, n. 25838 del 23/7/2020, Prestia, Rv. 279597; nella stessa logica si muovono le Sezioni Unite, nella piu' recente sentenza Modaffari del 2021, cit., che sottolineano la necessita' di prova dello stabile inserimento e della messa a disposizione in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi, da verificarsi secondo le specificita' degli elementi indiziari del caso concreto). 25.2. Il terzo motivo di ricorso e' manifestamente infondato. La denunciata violazione degli articoli 521 e 522, 178, comma primo, lettera b e c, cod. proc. pen., non e' sussistente: l'aggravante prevista per gli organizzatori e capi dell'associazione mafiosa di cui al comma secondo dell'articolo 416-bis cod. pen. e' chiaramente contestata nell'ambito del capo 1, sebbene non richiamata nell'ultima parte: si legge, infatti, a pag. 9 della sentenza d'appello, la' dove si richiama l'imputazione per esteso ".. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) alias u brucia tu, unitamente a (OMISSIS), ricoprivano un ruolo apicale del sodalizio criminoso, concorrendo a formare il vertice decisionale, attraverso riunioni, incontri per spartirsi gli appalti nella zona di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) - in particolare decidendo l'assegnazione dei subappalti, delle forniture di mezzi e di materiali - il tutto al fine di assicurare una equa ripartizione tra famiglie di âEuroËœndrangheta dei proventi degli appalti". Tale indicazione, unita all'espresso richiamo iniziale della contestazione delittuosa al secondo comma dell'articolo 416-bis cod. pen., elimina qualsiasi problema relativamente all'eccepita mancanza di correlazione tra accusa e sentenza, a prescindere dalla assenza di successiva (ulteriore) contestazione, in calce all'imputazione, eliminando, altresi', i dubbi difensivi relativi all'eccessiva dosimetria sanzionatoria. 25.3. Anche il terzo motivo di censura e' inammissibile perche' manifestamente infondato. Il ricorrente contesta la sussistenza dell'aggravante di cui al quarto comma dell'articolo 416-bis cod. pen., tuttavia il confronto con le ragioni della sentenza impugnata e' parziale e, quindi, aspecifico: se da un lato, infatti, i giudici di secondo grado hanno collegato, quale esempio della diffusa disponibilita' di armi da parte dei sodali, il fatto che ne fosse in possesso anche un partecipe/imprenditore, vale a dire un soggetto in una posizione non di primo piano, quanto ai possibili delitti fine di intimidazione o di sangue, ai quali direttamente, normalmente, si riferisce l'aggravante; dall'altro, si sono indicati altri elementi "indicatori" della disponibilita' da parte delle cosche (OMISSIS) (specifici episodi intimidatori; le intercettazioni di (OMISSIS) , molto chiare sul punto e che prospettano anche vere e proprie "guerre di mafia": cfr. pagg. 476 e 477). Quanto alla attribuibilita' al ricorrente dell'aggravante, secondo le indicazioni della giurisprudenza di legittimita' gia' precedentemente richiamate in premessa, deve sottolinearsi come la difesa si limiti apoditticamente e genericamente ad ipotizzare la mancata prova della sua "ignoranza incolpevole", in alcun modo contestualizzandola, dimenticando anche il rapporto inscindibile tra ruolo apicale e consapevolezza delle dinamiche e dei mezzi operativi a disposizione del sodalizio mafioso diretto, "colorato" di significato dai dati di fatto emersi dal tessuto probatorio raccolto nell'ambito del giudizio abbreviato. 25.4. Il quinto motivo di ricorso e' infondato. L'erronea applicazione dell'aggravante speciale, denunciata con il ricorso, fa leva su un evidente refuso, privo di rilievo in quanto tale, presente nella sentenza di primo grado (a pag. 931), che ha indotto il difensore a sostenere la tesi dell'esclusione della recidiva da parte del GUP, laddove, invece, detta aggravante e' stata ritenuta sussistente, come chiaramente emerge dalla motivazione della citata sentenza, a pag. 932; nell'atto di appello, peraltro, non vi e' stata contestazione specifica sul punto (cfr. pag. 368 della sentenza di secondo grado), mentre la Corte territoriale ha accolto le ragioni difensive "di merito", soltanto con riguardo alla riqualificazione da "recidiva specifica reiterata" a "recidiva specifica", tenuto conto dell'unica condanna irrevocabile rilevata, ribadendo in motivazione l'estrema pericolosita' del ricorrente, figura apicale della criminalita' calabrese, gia' condannato per associazione mafiosa, con cio' rispondendo anche alle obiezioni sulla rappresentativita' del nuovo delitto associativo a costituire simbolo di piu' spiccata attitudine al delitto. La sentenza d'appello, pertanto, non difetta di motivazione e non ha operato una reformatio in peius. 25.5. Un ultimo motivo e' dedicato a contestare, con ragioni inammissibili, il diniego delle circostanze attenuanti generiche, legittimamente fondato, secondo la giurisprudenza della Cassazione gia' richiamata, su un elemento negativo preponderante, tra i parametri di cui all'articolo 133 cod. pen. da tenere in considerazione: vale a dire la pericolosita' soggettiva, desunta dal ruolo apicale nella criminalita' mafiosa di (OMISSIS) e dal precedente specifico di condanna per reato associativo di cui all'articolo 416-bis cod. pen. 26. Il ricorso di (OMISSIS), classe (OMISSIS), e' complessivamente infondato e deve essere rigettato. 26.1. Quanto all'affermazione di responsabilita' del ricorrente per il delitto associativo contestatogli al capo 1 e per la violenza privata aggravata di cui al capo 76 dell'imputazione, le censure si rivelano prive di pregio, ai limiti dell'ammissibilita', poiche' constano di un nucleo di fondo volto a sostenere una diversa e piu' favorevole valutazione degli esiti della prova, allineati nel senso della colpevolezza dalla sentenza impugnata, doppia conforme - per quel che qui interessa - con la pronuncia di primo grado, alle conclusioni del GUP, anch'esse ampie e logiche. Secondo i giudici di merito (cfr. pagg. 490 e ss. nonche' 255 e ss. della sentenza d'appello), le prove a carico del ricorrente sono costituite dalle intercettazioni captate ed acquisite nel processo (della cui affidabilita' gia' si e' detto ampiamente); dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), che lo ha indicato quale "scagnozzo di (OMISSIS)", dichiarazioni riscontrate dal suo coinvolgimento (con relativa condanna) nell'episodio della violenza privata ai danni dell'imprenditore (OMISSIS) (capo 76) e del "blocco dei lavori" stradali sulla statale "(OMISSIS) - (OMISSIS)" (per cui non vi e' contestazione specifica), in cui gli (OMISSIS), inviati da (OMISSIS), avevano impedito di portare avanti l'appalto alle ditte riferibili a (OMISSIS) ed a (OMISSIS) perche' il territorio era di spettanza del gruppo facente capo a (OMISSIS), appunto. Il "blocco" era stato ordinato da due uomini a bordo di una golf grigia, eguale a quella nella disponibilita' del ricorrente; la violenza privata (con intimidazione a consegnare le lamiere di risulta dei lavori edili in opera, oggetto della cessione "senza autorizzazione" della cosca, per questo impedita) era stata commessa proprio dal ricorrente, insieme a (OMISSIS) ed a (OMISSIS), principalmente, secondo la certa ricostruzione testimoniale (cfr. quanto si e' detto al par. 23.1 del considerato in diritto). La sentenza ha logicamente messo in fila i risultati probatori, sicche' resiste alle censure difensive sulla loro valenza e portata, ancor piu' se letta anche nel prisma di quella di primo grado (evidenziata a pag. 255 della sentenza d'appello, per quel che concerne il ruolo primario del ricorrente, che collaboro' all'intimidazione di (OMISSIS) insieme a (OMISSIS) ed al ritiro materiale delle lamiere). Quanto alla sussistenza della compagine mafiosa degli " (OMISSIS)", e' lo stesso ricorso a ricordare una fondamentale intercettazione ambientale - quella del 13.8.(OMISSIS) captata tra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), relativa all'inserimento del ricorrente e di altri ragazzi nel "locale" di (OMISSIS) significativa di per se' dell'esistenza del sodalizio, peraltro confortata dai reati fine (sia quello per cui sono stati condannati, sia quello per cui non vi e' contestazione specifica), dalle ulteriori intercettazioni e dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS). Rivalutative ed inammissibili, invece, sono le censure riferite all'attendibilita' ed al peso probatorio delle dichiarazioni di quest'ultimo, che, come si e' detto, sono state adeguatamente sottoposte al vaglio di credibilita' e risultano riscontrate. In proposito, si rammenta che, nella valutazione della chiamata in correita' o in reita', il giudice, ancora prima di accertare l'esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilita' soggettiva del dichiarante e l'attendibilita' oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilita' soggettiva del dichiarante e l'attendibilita' oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l'articolo 192, comma terzo, cod. proc. pen., alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina, Rv. 255145; Sez. 1, n. 22633 del 05/02/2014, Pagnozzi, Rv. 262348 - 01; Sez. 4, n. 34413 del 18/6/2019, Khess, Rv. 276676) e, dall'altro, la chiamata in correita' o in reita' non puo' di per se' sola costituire prova piena della responsabilita'. Da cio' deriva la necessita' di riscontri, che possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione che sia indipendente, potendo quindi risolversi in altre chiamate in correita' purche' totalmente autonome, ed a condizione che abbia valenza individualizzante, dovendo cioe' riguardare non soltanto il fatto reato ma anche la riferibilita' dello stesso all'imputato (Sez. 1, n. 1263 del 20/10/2006, dep. 2007, Alabiso, Rv. 235800-01; vedi anche Sez. 6, n. 45733 del 11/07/2018, P., Rv. 274151-01, secondo cui, ai fini dell'affermazione di responsabilita' dell'imputato, il riscontro alla chiamata in correita' puo' dirsi individualizzante quando non consiste semplicemente nell'oggettiva conferma del fatto riferito dal chiamante, ma offre elementi che collegano il fatto stesso alla persona del chiamato, fornendo un preciso contributo dimostrativo dell'attribuzione a quest'ultimo del reato contestato). Non e' richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova "autosufficiente" perche', in caso contrario, la chiamata non (OMISSIS)ebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correita' (Sez. 2, n. 35923 del 11/7/2019, Campo, Rv. 276744). La valutazione di credibilita' ed attendibilita' del dichiarante (OMISSIS) soddisfa i criteri interpretativi dettati oramai stabilmente dalla giurisprudenza di legittimita' ed e' stata adeguatamente motivata nei due giudizi di merito. 26.2. Il terzo motivo di ricorso, riferito alla sussistenza dell'aggravante mafiosa analogamente a quello simile proposto dal ricorrente (OMISSIS), e' inammissibile. Da un lato, infatti, si prospettano censure rivalutative e formulate "in fatto", pertanto, non consentite in sede di legittimita' (la' dove si deduce l'assenza di rapporti diretti con la vittima del reato); d'altro canto, si propongono censure generiche circa la mancanza di consapevolezza dell'utilizzo di metodologie mafiose da parte dei concorrenti nel reato ed alla prova dell'aggravante relativa. Quanto a quest'ultima, sufficientemente motivata dalla sentenza impugnata, si richiama quanto gia' esposto al par. 23.2. in relazione al coimputato (OMISSIS). 26.3. Il quarto motivo di ricorso ripropone la censura - comune ad altri ricorrenti - relativa alla sussistenza dell'aggravante dell'essere l'associazione mafiosa, di cui si e' ritenuto partecipe il ricorrente, "armata": non vi sarebbe prova che il sodalizio avesse effettivamente armi a sua disposizione, ne' che siano stati commessi delitti fine utilizzando armi. In proposito, valgano le affermazioni gia' svolte in precedenza, soprattutto in Premessa. 26.4. Un ultimo motivo di ricorso si lamenta della violazione degli articoli 133 e 81 cpv. cod. pen., in relazione alla dosimetria sanzionatoria: non sarebbero stati enunciati in sentenza i parametri normativi individualizzati ai quali si e' fatto riferimento per il calcolo della pena, ma in realta' la sensibile diminuzione della pena inflitta in secondo grado, rispetto a quella di primo grado (da otto anni di reclusione si e' passati a sei anni), e' in stretto collegamento con la concessione delle circostanze attenuanti generiche - invece negate dal GUP - e fonda la evidente ragione ispiratrice del giudizio di disvalore, diminuito in ragione del ruolo del ricorrente, di mero partecipe, dal carattere di non particolare pericolosita', ma pur sempre rilevante rispetto alle contestazioni in relazione alle quali e' stata pronunciata sentenza di condanna. La censura, pertanto, e' complessivamente infondata. 27. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. Il ricorrente, con un unico motivo, ha contestato la valenza probatoria delle intercettazioni datate 23.8.(OMISSIS) e 31.1.2010 per individuare il ruolo dinamico dell'imputato all'interno del sodalizio, trattandosi di due sole intercettazioni indirette, delle quali si eccepisce la valutazione contraddittoria della Corte d'Appello, rispetto all'ulteriore materiale probatorio; denuncia, altresi', la mancanza di valenza dimostrativa di tali intercettazioni circa il suo ruolo stabile nel sodalizio, addirittura come promotore, nonche' mette in dubbio la valenza di contenuti di intercettazioni solo eteroaccusatorie, provenienti da soggetti non portatori di informazioni qualificate, poiche' non apprese in prima persona; si denuncia, ancora, che (OMISSIS) sarebbe, di fondo, un millantatore e che (OMISSIS) , assolto dal reato associativo di cui al capo 1), e' fuori dal circuito associativo di cui alla contestazione di reato. Il motivo e', ancora una volta, cosi' come affermato per altri ricorsi, inammissibile poiche' volto a leggere in maniera diversa e piu' favorevole il contenuto di intercettazioni, in relazione alle quali due giudici di merito hanno apprezzato l'affidabilita' dei contenuti, siglandone la valenza di prova. Basti in questa sede il richiamo alle affermazioni di Sez. U Sebbar, Rv. 263714, cit., secondo cui le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attivita' di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'articolo 192, comma terzo, cod. proc. pen.: nel caso di specie, si e' evidenziato come entrambe le sentenze di merito abbiano valorizzato le ragioni di affidabilita' della proposta, conforme lettura dei contenuti delle intercettazioni, non solo provenienti, si badi, da soggetti non ritenuti partecipi del reato associativo in contestazione, ma anche da intranei, ed hanno analizzato approfonditamente le ragioni in base alle quali, in particolare, (OMISSIS) , ancorche' assolto dal reato di cui all'articolo 416-bis cod. pen., e' stato giudicato soggetto in grado di conoscere approfonditamente le dinamiche dei sodalizi e delle individuali appartenenze o singole vicende delle quali trattava nel corso delle conversazioni registrate ed utilizzate nel processo. Il ricorrente si limita a contestare tali approdi del tessuto logico-probatorio della sentenza d'appello, senza individuare effettive carenze o aporie del ragionamento condotto dai giudici di secondo grado, bensi' aprioristicamente dando per scontato che chi non sia intraneo ad un'associazione mafiosa possa parlarne e riferirne credibilmente, eventi, dinamiche, ruoli dei partecipi. Tale prospettazione difensiva e', ovviamente, manifestamente infondata, non potendo trovare ingresso preclusioni valutative di tal fatta nel processo penale. Le censure, inoltre, sono anche generiche per una gran parte, costituite da lunghe pagine di riferimenti giurisprudenziali, ed aspecifiche poiche' non si confrontano con le argomentazioni spese dalla sentenza impugnata (cfr. le pagine 391-400, in particolare), per rispondere ad analoghe doglianze sull'inaffidabilita' dei contenuti intercettivi provenienti da (OMISSIS) e (OMISSIS), proposte, diffusamente da molti degli imputati, in senso analogo, con gli atti d'appello, nel tentativo di svilire i risultati della prova costituita dalle intercettazioni in atti (soprattutto quelle ambientali che vedono protagonisti i due interlocutori predetti). La sentenza, ad ogni modo, ha preso in esame dettagliatamente gli esiti di dette intercettazioni, con riguardo alla posizione di (OMISSIS) "(OMISSIS)" (vedi pagg. 488 e ss.). Il ricorrente viene fuori nel suo ruolo associativo apicale dalle intercettazioni ambientali registrate, per aver preso parte all'appalto relativo ai lavori di riqualificazione dell'arenile di (OMISSIS), con la descrizione, altresi', di un incontro tra il ricorrente e lo stesso (OMISSIS) - di cui questi, sodale del gruppo riferisce direttamente nella conversazione -, oltre ad altri leader delle âEuroËœndrine locali ( (OMISSIS), (OMISSIS) "u bruciatu", il nipote del ricorrente), espressamente indicati, funzionale a gestire gli appalti dei lavori sulle coste marine, nei quali erano interessate tutte le cosche; si tratta di un incontro strategico, in cui il ricorrente partecipa in rappresentanza del suo sodalizio, a dimostrazione del ruolo apicale svolto (cfr. pag. 249 della sentenza impugnata che richiama le osservazioni del GUP, successivamente condividendole nella parte dedicata all'esame della decisione di primo grado). Nella fondamentale conversazione n. 875 del 23.8.(OMISSIS), specificamente riportata in sentenza, (OMISSIS) indica proprio nel ricorrente colui il quale ha la guida del gruppo mafioso di riferimento dei "lari'"; l'indicazione del ruolo apicale trova eco, peraltro, nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS). Quanto all'evocata sentenza del Tribunale di (OMISSIS) n. 305 del 2020, dep. 2021, che giungerebbe a conclusioni diverse, il Collegio rileva che si tratta di pronuncia neppure passata in giudicato, secondo la prospettazione difensiva che nulla chiarisce al riguardo, sicche' la sua valenza e' del tutto limitata, circoscritta alla esistenza della decisione e alle vicende processuali in esse rappresentate, ma non ai fini della valutazione delle prove e della ricostruzione dei fatti oggetto di accertamento in quei procedimenti (Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, Rv. 231677). 27. Il ricorso di (OMISSIS), infine, e' inammissibile perche' manifestamente infondato e formulato secondo direttrici di censura in fatto, estranee al sindacato di legittimita', come si e' gia' chiarito. 27.1. Il ricorrente e' stato condannato per i reati di cui ai capi 1 e 76, quest'ultimo riqualificato in violenza privata aggravata ai sensi dell'articolo 416-bis.1 cod. pen., dei quali si e' gia' diffusamente trattato, nell'esaminare i motivi di ricorso dei coimputati, direttamente collegati alla posizione processuale di (OMISSIS). Egli contesta l'affermazione di responsabilita' per il delitto associativo, ritenendo che non vi siano sufficienti elementi per sostenere il suo stabile inserimento, ma non si confronta se non apoditticamente, ed in chiave esclusivamente difensiva, con il tessuto probatorio: le conversazioni registrate nelle intercettazioni (delle quali si vuole inammissibilmente proporre un diverso risultato di significato, facendo leva sulla circostanza manifestamente infondata che non si riferiscano a lui con sicurezza); le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS); i riscontri fisici, poiche' il ricorrente e' uno dei due soggetti coinvolti nella vicenda cd. del "blocco lavori", trovato sul luogo dell'esecuzione dei lavori stradali dopo l'intervento intimidatorio nei confronti di coloro i quali (proprio (OMISSIS) e l'amico (OMISSIS)) avevano "osato" appropriarsi di un appalto sul territorio di spettanza del sub-sodalizio di âEuroËœndrangheta guidato da (OMISSIS) - il gruppo degli (OMISSIS) - di cui il ricorrente si e' accertato che faccia parte. Tutti detti elementi di prova o riscontro guidano verso la soluzione che coerentemente e' stata disegnata dai giudici di merito, vale a dire la responsabilita' del ricorrente per il delitto di partecipazione mafiosa contestato al capo 1. Egli ha partecipato attivamente (portando via le lamiere di risulta contese) al reato fine contestato al capo 76, e cioe' l'oramai nota vicenda della violenza privata aggravata dal metodo mafioso, rappresentativa della vera e propria guerra tra clan - come la definisce la vittima (OMISSIS) in un'intercettazione - per la spartizione del potere sulle micro-frazioni territoriali al centro del processo, simbolo eclatante della esasperata ricerca dello spazio criminale vitale per i "locali" presenti nella zona di (OMISSIS) e dintorni. (OMISSIS) e', altresi', colui il quale contatta (OMISSIS) per i lavori in atto sulla (OMISSIS) per (OMISSIS) (cfr. pag. 494 della sentenza impugnata e le conversazioni riportate); e' colui che viene individuato per essere a bordo della golf grigia, mandato a bloccare i lavori insieme a (OMISSIS), cl. (OMISSIS); e' anche colui che, successivamente al riappropriarsi dell'appalto da parte del gruppo di appartenenza, essendo andata a buon fine l'intimidazione, viene trovato sul posto di esecuzione dei lavori stradali insieme a (OMISSIS), cl. (OMISSIS). Sull'episodio, peraltro, vi sono coerenti dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS). In altre parole, a fronte di una compatta presenza di gravi elementi di prova a suo carico, precisi e concordanti tra loro, il ricorrente oppone travisamenti riferiti al fatto e non alla motivazione, di per se', dunque, inammissibili; generiche, poi, sono le obiezioni riferite alla durata delle indagini intercettative a suo carico, da cui non puo' desumersi, come fa il ricorrente, la mancanza di stabilita' del vincolo associativo con il gruppo mafioso di riferimento. 27.2. Eguale sorte di inammissibilita' tocca al secondo motivo di ricorso, rivalutativo e in fatto rispetto alla condanna per il capo 76 dell'imputazione, dei cui elementi essenziali, per il coinvolgimento del ricorrente, gia' si e' fatto cenno e in relazione alla quale la sentenza impugnata ha, in piu' punti, dato ampia spiegazione: a dispetto di quanto afferma il ricorso, il tentativo difensivo e' proprio quello di rileggere le prove per sostenere che non vi siano i caratteri della tipicita' del reato di violenza privata, pacificamente desumibili se si tiene mente gia' solo alla frase pronunciata dal coimputato (OMISSIS), che chiari' a (OMISSIS) come non vi fosse possibilita' alcuna di disporre liberamente neppure di materiali di risulta nella zona di competenza degli (OMISSIS), i quali dovevano controllare tutto, anche situazioni di poco conto come quelle dello smaltimento di lamiere da ristrutturazione, pretendendone e ottenendone la consegna, provata in atti. Il tentativo di riscrivere la vicenda come una mera questione di principio non trova alcun fondamento negli elementi di prova raccolti. 27.3. Inammissibile e' anche la terza censura, dedicata a contrastare la configurata sussistenza dell'aggravante del metodo mafioso al capo 76. Gli argomenti proposti ricalcano, nella sostanza, quelli gia' spesi dalle analoghe ragioni formulate in alcuni dei ricorsi precedenti, sicche' bastera' richiamare quanto affermato ai par. 23.2. e 26.2., in relazione ai ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) cl. (OMISSIS). 27.4. Infine, l'ultimo motivo dedicato a contestare la dosimetria sanzionatoria, ritenuta eccessiva, nonostante il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, e' generico e manifestamente infondato. La pena finale di 6 anni di reclusione, riconosciuta la continuazione tra i capi 1 e 76, in relazione ai quali e' stata affermata la sua responsabilita', e le attenuanti predette, ritenute equivalenti all'aggravante di cui all'articolo 416-bis, comma quarto cod. pen., appare commisurata al disvalore del fatto e motivata implicitamente nel collegamento con le ragioni per le quali si e' ritenuto di concedere il beneficio di cui all'articolo 62-bis cod. pen., illustrate alla pag. 520 della sentenza impugnata riferite al bilanciamento tra gravita' dei reati e posizione di semplice partecipe del ricorrente, non di particolare pericolosita'. Del resto, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e' sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 cod. pen. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, Mastro, Rv. 271243): nella specie, la pena, considerata la continuazione criminosa, non supera di gran lunga la media edittale. 12.5. La memoria ex articolo 611 cod. proc. pen., con cui il ricorrente chiede che venga dichiarato inammissibile il ricorso del pubblico ministero, in relazione alla sua posizione, per il capo 74 dell'imputazione, da cui e' stato assolto, ha trovato risposta nella declaratoria di inammissibilita' del ricorso del PG per quella parte, poiche' composto da ragioni in fatto e rivalutative. 13. Al rigetto dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)e (OMISSIS) cl. (OMISSIS) ed all'inammissibilita' dei ricorsi degli altri imputati consegue, ai sensi dell'articolo 616, comma 1, cod. proc. pen., la condanna di tutti gli imputati al pagamento delle spese processuali, nonche' la condanna di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) cl. (OMISSIS) al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in Euro 3000,00 per ciascun ricorrente. Inoltre, ai sensi dell'articolo 541 cod. proc. pen., i ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), risultati soccombenti, devono pure essere condannati al pagamento in favore della parte civile Comune di (OMISSIS), delle spese processuali che si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, in accoglimento del ricorso del Procuratore Generale, nei confronti di (OMISSIS), relativamente ai reati di cui ai capi 14 quater e 14 novies, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso del Procuratore Generale. Rigetta i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) , (OMISSIS) e (OMISSIS) ci. 78, che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) cl. (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Comune di (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 5.000, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RICCIARELLI Massimo - Presidente Dott. COSTANZO Angelo - Consigliere Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere Dott. CALVANESE Ersili - rel. Consigliere Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 3. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 4. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 5. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 6. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 7. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 8. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 9. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 10. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 11. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 12. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 13. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 14. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 15. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 16. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 17. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 18. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 19. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 20. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 21. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 22. (OMISSIS), nata (OMISSIS); 23. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 24. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 25. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 26. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 27. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 28. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 29. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 30. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso il decreto del 28/09/2021 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Ersilia Calvanese; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Morosini Piergiorgio, che ha concluso chiedendo che siano dichiarati inammissibili i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) per rinuncia; che sia annullato il decreto impugnato con rinvio relativamente alla misura patrimoniale della confisca delle quote (pari al 50 %) della (OMISSIS) s.r.l. di cui era titolare (OMISSIS) e dell'immobile sito in (OMISSIS) nella titolarita' di (OMISSIS); che siano rigettati i ricorsi degli altri ricorrenti. RITENUTO IN FATTO 1. Con il decreto in epigrafe indicato, la Corte di appello di Napoli ha parzialmente riformato il provvedimento emesso dal Tribunale della stessa citta' del 7 novembre 2016 e in particolare ha revocato la misura personale di prevenzione emessa nei confronti del proposto (OMISSIS), confermando nel resto. Le statuizioni confermate dalla Corte di appello hanno ad oggetto la misura personale di prevenzione disposta nei confronti del proposto (OMISSIS), la confisca disposta nei confronti dei proposti (OMISSIS) e (OMISSIS) e di vari terzi interessati. 1.1. In particolare, con riferimento alle misure personali, la Corte di appello ha confermato che entrambi i fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS) erano soggetti portatori di pericolosita' sociale qualificata ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, lettera a) in quanto gravemente indiziati di appartenenza al clan camorristico (OMISSIS). Tale giudizio per la posizione di (OMISSIS) era corroborato dalla irrevocabilita', nel frattempo intervenuta, della sentenza che lo aveva condannato, sulla base di un materiale probatorio sostanzialmente identico a quello utilizzato in sede di prevenzione, per la partecipazione con ruolo di organizzatore al suddetto clan con condotta accertata sino al 2010 (capo 1), per la partecipazione con il medesimo ruolo a tre associazioni per delinquere finalizzate alla commissione di reati di intestazione fittizia di beni in settori economici relativi alla gestione di impianti di distribuzione di carburante in aree di ristoro (capo 97) e di bar e pubblici esercizi di somministrazione di cibi e bevande (capo 99), alla ricettazione e smercio di preziosi e orologi di provenienza illecita (capo 101), nonche' per il reato di intestazione fittizia di varie imprese operanti nei suddetti settori (capo 106), tutti reati questi ultimi aggravati ai sensi del Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, in quanto commessi per agevolare le attivita' criminali del clan (OMISSIS). Inoltre, la Corte di appello ha dato atto che nel giudizio penale in fase di appello erano stati dichiarati estinti per prescrizione nei confronti del predetto altri reati di intestazione fittizia (capi 98, 100, 104, 105) e di ricettazione (102). La figura di (OMISSIS), come illustrata anche nella decisione irrevocabile, era quella di esponente apicale del clan (OMISSIS) con ruolo di alter ego dei capi nei periodi di latitanza o di detenzione degli stessi e con il costante compito di gestire il patrimonio ed investire i capitali di tutto il clan: era l'abile e "invisibile" gestore di proventi illeciti, fungendo da raccordo tra chi ai vertici del clan (OMISSIS) aveva la disponibilita' dell'immenso patrimonio derivante dalle attivita' illecite della cosca, e i formali intestatari delle attivita' produttive, numerosi fedeli individui, familiari e non, che in tal modo avevano il compito di non dare adito a investigazioni. La Corte di appello ha ritenuto la pericolosita' di (OMISSIS), che copriva un arco temporale molto esteso, sin dagli anni âEuroËœ80, ancora attuale sulla base dei fatti accertati in sede penale commessi in epoca prossima all'adozione del decreto da parte del Tribunale. 1.2. Quanto alla posizione di (OMISSIS), la Corte di appello ha dato atto che nel medesimo giudizio in sede penale nei suoi confronti vi era stato l'annullamento con rinvio in sede di legittimita' della statuizione di condanna per il reato associativo mafioso di cui al capo 1), mentre era divenuta definitiva la condanna per l'associazione aggravata di cui al capo 97) ed era stato dichiarato non doversi procedere per prescrizione per i reati di intestazione fittizia (capi 98 e 105). La Corte di appello ha ritenuto che il processo penale avesse acclarato irrevocabilmente la sua partecipazione ad una associazione dedita all'investimento dei proventi illeciti del clan (OMISSIS) nel settore economico dei distributori di carburanti, gestendo le societa' sotto le direttive del fratello (OMISSIS), eseguendo i suoi ordini e intestando a se' ed altri immobili e attivita' economiche indicate da questi, cosi' agevolando obiettivamente il clan stesso. Quindi, pur ritenendo sussistente la pericolosita' qualificata di (OMISSIS) ancora attuale al momento dell'adozione del decreto di primo grado, la Corte di appello ha ritenuto che la misura personale andasse revocata alla luce delle emergenze del processo di merito ( (OMISSIS) ripeteva il proprio ruolo criminale da quello di ben altra caratura del germano (OMISSIS), non essendo emerse relazioni con il clan di camorra), in quanto risultavano cessate le esigenze di prevenzione proprie del presidio disposto. 2. Avverso il suddetto decreto hanno proposto ricorso per cassazione le persone indicate in epigrafe, denunciando, a mezzo dei rispettivi difensori, i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.1.1. Violazione di legge. Si deduce la carente motivazione rispetto alle questioni avanzate dalla difesa e travisamento della prova. 2.2. Ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) (avv. (OMISSIS) e avv. (OMISSIS)). 2.2.1. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 20 e 24, quanto ai presupposti per la confisca. La Corte di appello da un lato ha richiamato come dirimente l'accertamento penale compiuto nei confronti di (OMISSIS), e dall'altro ha ritenuto consentite valutazioni autonome da parte del giudice della prevenzione rispetto a quello ordinario. Le societa' confiscate (la (OMISSIS) sas e (OMISSIS) srl) non sono state mai raggiunte da sequestro penale e non hanno mai formato oggetto di valutazione da parte del giudice di merito, come anche le due ricorrenti (ritenute estranee ad ipotesi di reato di intermediazione illecita e riciclaggio, per mancanza dell'elemento oggettivo del reato di cui all'articolo 648-bis c.p.). La Corte di appello ha eluso le questioni sollevate con l'appello (la capacita' patrimoniale delle ricorrenti; la congruita' degli acquisti con le loro disponibilita' finanziarie all'epoca; la assenza di prove della immissione di capitali illeciti per l'avvio delle due imprese commerciali; la assenza di disponibilita' da parte del proposto dei beni confiscati in esame), sulla base del solo giudicato formatosi in sede penale. Restano non affrontate pertanto le questioni: sproporzione reddituale e patrimoniale del terzo; riconducibilita' della impresa al terzo; valore della prova fornita dal terzo sull'utilizzo di risorse finanziarie lecite. E' sufficiente rilevare che i soggetti richiamati dalla sentenza penale - (OMISSIS) e (OMISSIS) - non sono stati mai raggiunti da un'imputazione di promotori e direttori di un'associazione per delinquere, ma solo di meri partecipi con il compito di curare la gestione di imprese di (OMISSIS) e non di favorire la intestazione delle stessa a terzi familiari. In Cassazione sono state state annullate la aggravante mafiosa e la confisca. In ogni caso il giudizio penale non ha riguardato l'intestazione fittizia della (OMISSIS), non ha accertato se le societa' in esame fossero state acquistate con provviste illecite e con intestazioni fittizie a terzi; nonche' il ruolo di prestanomi delle ricorrenti. Quindi l'accertamento penale non era sufficiente a provare i presupposti della confisca e la Corte di appello ha travisato il dictum delle sentenze di merito, facendo trasmodare il vizio in violazione di legge. Vi sono state specifiche censure rimaste prive di risposta (la difesa attraverso consulenze tecniche di parte e prove documentali aveva contrastato la disponibilita' delle due societa' da parte del (OMISSIS)). 2.3. Ricorso di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.3.1. Violazione di legge in relazione all'articolo 192 c.p.p. e Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24. La prova posta alla base della confisca disposta nei confronti del ricorrente e' priva dei requisiti richiesta dal citato articolo 24: questi ha dato prova della lecita provenienza della provvista per l'acquisto del bene, con elementi non contrastati (in quanto insufficienti) da quelli raccolti in senso contrario. Il ricorrente ha assolto l'onere giustificativo della legittima provenienza dei beni: la difesa aveva contestato la presunzione relativa con una perizia che aveva ricostruito i flussi economici del ricorrente e la sua capacita' reddituale. 2.2.2. Violazione di legge rispetto alla valutazione degli elementi prodotti dalla difesa. La Corte di appello non ha affrontato - limitandosi a ricorrere a formule di stile e motivazione apparente - la produzione probatoria sulla capacita' reddituale. 2.3.3. Violazione di legge in ordine al dato temporale per l'applicazione della misura della confisca. La Corte di appello non ha applicato la necessaria perimetrazione temporale della misura ablativa rispetto alla pericolosita' qualificata del proposto (OMISSIS), collocando con un artificio la sua pericolosita' all'interno del clan (OMISSIS), mentre gli elementi emersi si collocano in epoca successiva (dal 2006). 2.3.4. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24 e all'articolo 1803 c.c.. La Corte di appello non ha considerato che l'impianto di erogazione di carburante era stato consegnato al ricorrente in comodato d'uso e quindi non era confiscabile a costui, essendo di proprieta' della societa' petrolifera (dato emergente dal provvedimento impugnato). 2.4. Ricorso di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.4.1. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24, articoli 603 e 125 c.p.p.. Il decreto impugnato e' nullo per difetto di motivazione rispetto al devoluto e alla richiesta di rinnovazione dell'istruttoria per l'acquisizione della prova documentale decisiva in ordine alla provenienza della provvista per l'avvio e il finanziamento del bar tabacchi, oggetto di confisca. Si tratta della dichiarazione autentica in Comune resa dal ricorrente il 10 agosto 2008 dalla quale risulta che la proprieta' del bar tabacchi era in realta' della nonna di costui, mentre quest'ultimo ne era l'intestatario fiduciario. Tale documento rafforzava la prova della genesi della provvista, in sintonia con le dichiarazioni rese da informatori, ai sensi dell'articolo 327-bis c.p.p.. Quanto alla ammissibilita' della richiesta, il termine ex articolo 127 c.p.p., comma 2 e Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 7, comma 3, e' ordinatorio e comunque era stato rispettato il contraddittorio. Va inoltre considerato che il giudizio penale e quello di prevenzione sono autonomi e che in sede penale quanto accertato per il bar tabacchi era contenuto in una sentenza di prescrizione e che la posizione del ricorrente per reati di ricettazione e interposizione fittizia era stata archiviata. La Corte di appello non ha affrontato le specifiche doglianze di appello, come riassunte dallo stesso decreto impugnato in narrativa (il dichiarato degli informatori, la consulenza tecnica di parte) e ai quali si rinvia per relationem. 2.4.2. Violazione di legge in relazione agli Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24, articoli 192 e 125 c.p.p., articolo 24, articolo 111 Cost., articolo 13 CEDU. La Corte di appello ha ritenuto decisivo l'accertamento compiuto in sede penale, al quale il ricorrente non ha partecipato. La mancata valutazione delle doglianze di appello viene a violare inoltre il diritto ad un ricorso effettivo. La motivazione risulta comunque apparente e in violazione dei presupposti di cui all'articolo 24 cit.. In particolare, non poteva l'onere probatorio della capacita' reddituale essere posto a carico del ricorrente. La Corte di appello ha valorizzato elementi di prova logica del tutto inidonei a dimostrare l'esistenza di una relazione di appartenenza tra il bene e il proposto, mentre non ha tenuto conto di elementi logici di segno opposto (l'archiviazione, la assenza di contatti e rapporti tra i due soggetti). 2.5. Ricorso di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.5.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 191 e 238-bis c.p.p., articolo 104-bis disp. att. c.p.p., articolo 111 Cost. 47 Carta dei diritti fondamentali Unione Europea, 8 direttiva Unione Europea n. 42 del 2014. La Corte di appello ha ritenuto quale dato assorbente ed insuperabile per la confisca delle quote intestate al ricorrente delle due societa' (la (OMISSIS) srl e La (OMISSIS) srl) la condanna nel processo penale di (OMISSIS) in relazione al reato di interposizione fittizia (capo 106). Processo nel quale la posizione del ricorrente era stata gia' stralciata per archiviazione in relazione alla medesima accusa. Si deve ritenere che le due societa' siano state sequestrate e confiscate in sede penale. Va rilevato peraltro che entrambe le sentenze penali di merito erano prive di motivazione con riferimento alla vicenda, alle societa' e al ricorrente; e che il Giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto non sussistente il fumus del reato di interposizione fittizia, rigettando la richiesta di misure reali nei confronti delle quote e del complesso aziendale. In ogni caso, l'accertamento penale non ha visto la partecipazione del ricorrente, quanto al diritto al contraddittorio, e la misura ablativa e' stata estesa in sede di prevenzione al 25% di quote della (OMISSIS) srl, non oggetto del procedimento penale. La utilizzazione della sentenza penale nei confronti del ricorrente che non ha partecipato a quel processo ha comportato la violazione sia dell'articolo 238-bis c.p.p. sia della normativa comunitaria in epigrafe indicata. La confisca penale e' da considerare illegittima nei confronti del ricorrente che non ha partecipato al processo. 2.5.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 20 e 24. La Corte di appello ha erroneamente considerato, al fine di dimostrare la sproporzione della capacita' reddituale del ricorrente, gli esborsi eseguiti dalle societa', che erano riconducibili all'attivita' delle imprese e non al singolo. Inoltre, ha considerato l'esistenza della sproporzione anche per gli anni 20152016, la' dove la perizia si arrestava all'anno 2014. La Corte di appello ha omesso qualsiasi accertamento in merito alle capacita' patrimoniali e all'operativita' delle sue societa'; sui rapporti tra il ricorrente e il proposto. Il ragionamento operato dalla Corte di appello e' frutto della pacifica violazione dei principi enucleati in sede di legittimita' sulle modalita' di accertare l'esistenza di sufficienti indizi in tema di confisca di prevenzione, nonche' si presenta del tutto illogico e disancorato dagli elementi di prova. Non vi e' alcun elemento che provi la "disponibilita'" delle quote delle societa' da parte del proposto e la consapevolezza del ricorrente, soggetto incensurato, di tale disponibilita'. Il ricorrente ha dimostrato come l'investimento eseguito fosse in linea con l'attivita' imprenditoriale della famiglia e, appena saputo del coinvolgimento del marito della sua socia nel processo penale, ebbe a estromettere la stessa dalla societa' - scelta che dimostra l'estraneita' dall'ipotesi accusatoria. Il ricorrente ha dimostrato la capacita' di acquisire le societa' in questione con danaro proprio (operazioni tutte tracciabili). 2.6. Ricorso di (OMISSIS) cl. (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.6.1. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 7 e 24, articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p. in ordine alla disponibilita' da parte del proposto (OMISSIS) dell'immobile confiscato di (OMISSIS), alla sproporzione del valore delle quote delle due societa' (OMISSIS) sas e (OMISSIS) sas in relazione al valore dell'attivita' economica svolta; difetto di motivazione su punti essenziali e sulla prova della provenienza lecita dei beni. La Corte di appello ha totalmente disatteso senza motivazione le puntuali osservazioni della difesa in ordine ai punti sopra indicati, replicando le argomentazioni del primo giudice e anche gli errori. Quanto alla fonte della capacita' reddituale per l'acquisto delle quote societarie (la madre del ricorrente, (OMISSIS)), la Corte di appello ha ritenuto illecita la provvista fornita dalla madre, perche' nel 2006 risultava priva di disponibilita', senza considerare che la consulenza di parte aveva spiegato come risultasse non provata la conclusione del perito su tale punto e che le attivita' della stazione di rifornimento, oggetto di una delle due societa', non richiedesse investimenti iniziali e quindi rilevanti esborsi per essere avviata. Quest'ultima argomentazione rende illogica anche la motivazione relativa alla provvista per l'acquisto dell'immobile, che si basa anch'essa sulla incapienza di redditi da impegnare negli investimenti iniziali delle attivita'. 2.7. Ricorso di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.7.1. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 7 e 24, articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p. e in ordine alla disponibilita' da parte del proposto (OMISSIS) dell'immobile confiscato di (OMISSIS), alla sproporzione dei beni nella disponibilita' della famiglia della ricorrente e all'attivita' economica svolta; difetto di motivazione su punti essenziali e sulla prova della provenienza lecita dei beni. La Corte di appello omette la motivazione, mentre, trattandosi di confisca del solo usufrutto dell'immobile, doveva essere rigoroso l'accertamento del presupposto della disponibilita' di esso da parte del proposto. - La difesa aveva contestato con il gravame la sproporzione dei beni e la Corte di appello si e' limitata ad una motivazione apparente, non considerando che l'accensione del mutuo spostava in epoca successiva gli esborsi per onorarlo (al fine anche della perimetrazione cronologica della confisca). La Corte di appello non ha fatto buon governo dei principi in tema di riparto dell'onere probatorio. 2.8. Ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) cl. (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.8.1. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 7 e 24, articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p. e in ordine alla sproporzione dei beni intestati ai ricorrenti con l'attivita' economica svolta; difetto di motivazione su punti essenziali e sulla prova della provenienza lecita dei beni. A fronte di articolate doglianze per ogni cespite confiscato, anche in ordine alle violazioni di diritto in ordine ai presupposti del provvedimento ablatorio nei confronti dei terzi, la Corte di appello si e' limitata a scarne osservazioni solo in ordine alle posizioni di (OMISSIS) e (OMISSIS) cl. (OMISSIS). In tal modo vi e' stata la violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24 in quanto la Corte di appello ha totalmente omesso di argomentare sulla disponibilita' in capo al proposto (OMISSIS) dei beni confiscati, intestati ai ricorrenti. Parimenti la Corte di appello non ha applicato i principi sulle regole di valutazione in ordine alla sproporzione, alla ragionevolezza temporale della prognosi di illecita derivazione, con la violazione anche dell'articolo 111 Cost. e articolo 125 c.p.p. per carenza assoluta di motivazione su tali punti. La difesa aveva viepiu' dimostrato come la famiglia dei ricorrenti avesse goduto dei proventi delle attivita' commerciali e vissuto sin dal (OMISSIS) negli immobili. Alcuna motivazione si rinviene per la posizione di (OMISSIS). Per il figlio dei ricorrenti, (OMISSIS), la motivazione si esaurisce nella sola illeceita' originaria dei redditi familiari, nonostante si sia trattato di investimenti di poche migliaia di Euro. La Corte di appello non ha applicato i principi da ultimo affermati dalla giurisprudenza che consente al terzo di contestare i presupposti applicativi della misura ablativa in capo al proposto. La Corte di appello non ha tenuto conto della consulenza di parte quanto alla societa' DICAR (mancanza di investimenti o garanzie iniziali, versamento delle quote solo ad avvio della attivita', utilizzando a tal fine le entrate, il notevole volume di affari della societa'), facendo leva sulla mancanza di risorse per l'avvio degli investimenti iniziali per l'attivita'. Inoltre, la Corte di appello ha fatto apoditticamente leva sull'esistenza di "garanzie esterne reali" per le garanzie delle fideiussioni, mentre era stato dimostrato che (OMISSIS) potesse far fronte ad esse con proprie lecite disponibilita'. La Corte di appello non ha fornito risposta sulla ritenuta irragionevolezza temporale dell'ablazione rispetto al periodo di pericolosita' dei proposti (i reati erano stato commessi nel 2006 e 2007 mentre gli acquisti risalivano al periodo 1980-1990). Non poteva in ogni caso assurgere a giudicato parziale la sentenza emessa in sede penale, posto che la Cassazione aveva escluso che i beni fossero nella disponibilita' di (OMISSIS) e acquistati con danaro del clan (OMISSIS), annullando con rinvio la confisca per (OMISSIS) e (OMISSIS) e senza rinvio per (OMISSIS). Resta indimostrato all'esito di quel giudizio (che ha soltanto definito l'appartenenza dei tre fratelli (OMISSIS) ad una associazione semplice dedita al reimpiego di capitali) che il clan (OMISSIS) avesse attraverso (OMISSIS) investito capitali nelle attivita' economiche. 2.11. Ricorso di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.11.1. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 7 e 24, articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p. e in ordine alla sproporzione delle quote della (OMISSIS), difetto di motivazione su punti essenziali e sulla prova della provenienza lecita dei beni. La Corte di appello nel disattendere le doglianze difensive, ha di fatto invertito l'onere della prova, avendo la ricorrente dimostrato che la provvista per costituire la societa' e avviare l'attivita' di ristorazione provenisse dal padre. 2.12. Ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.12.1. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 7 e 24, articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p. e in ordine alla disponibilita' da parte del proposto (OMISSIS) dell'immobile confiscato di via (OMISSIS) e dei beni e delle quote intestate a (OMISSIS) e alla sproporzione dei beni nella disponibilita' della famiglia (OMISSIS); difetto di motivazione su punti essenziali e sulla prova della provenienza lecita dei beni. Con riferimento alla posizione di (OMISSIS) la mancanza di motivazione e' evidente (neppure e' menzionata tra gli appellanti), con riferimento alle numerose questioni poste con l'appello. In particolare, la perizia aveva concluso senza dati oggettivi che la (OMISSIS) fosse incapiente tra il 1988 e il 1996 tanto da non dichiarare redditi mentre appariva piu' logico ritenere che il perito non avesse reperito - stante il tempo trascorso - la documentazione tributaria. La conclusione del perito veniva giustificata dal Tribunale sul fuorviante assioma della illeceita' genetica dei successivi redditi documentati nel 1997, inoltre il Tribunale non aveva considerato il condono tombale al quale le due societa' avevano aderito nel 2003, nonche' il volume di affari delle due societa', che giustificava gli acquisti effettuati da queste ultime. La consulenza di parte aveva documentato che non vi era stata immissione di capitali al momento della costituzione delle societa'; e la difesa aveva evidenziato come fosse irrilevante la prestazione di fideiussione rilasciata dalla societa' ICP nel 2004, che risultava garantita dall'immobile di proprieta' della societa' e dal volume di affari solido. Analoghe considerazioni si avanzano per la posizione di (OMISSIS). La Corte di appello ha imposto alla ricorrente un onere probatorio specifico sulla propria capacita' produttiva di reddito in tempi molto remoti. 2.13. Ricorso (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.13.1. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p. e in ordine al mancato esame della sentenza depositata dalla difesa. La misura della confisca si basava sulla ritenuta pericolosita' qualificata del ricorrente, desunta essenzialmente dalla sentenza di condanna emessa nei suoi confronti per partecipazione al clan camorristico. La difesa aveva prodotto in appello l'intervenuto annullamento di tale sentenza e la Corte di appello ha soltanto revocato la misura personale, ritenendo esistente ma non attuale la pericolosita' qualificata del ricorrente. L'annullamento doveva riflettersi anche sulla confisca, posto che era stata riferita al ricorrente "in proprio" e non come terzo. La Corte di appello ha valorizzato una sorta di connivenza con il fratello (OMISSIS), omettendo di verificare la "resistenza" dell'accertamento di prevenzione, una volta sopraggiunto il novum costituito dall'annullamento della Corte di cassazione. L'intero giudizio di secondo grado e' stato incentrato su un'ipotesi di pericolosita' qualificata e la Corte di appello ha ridisegnato il ruolo del ricorrente che non puo' corrispondere ad un indiziato di appartenenza, secondo gli insegnamenti di legittimita'. 2.13.2. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, alla efficacia destrutturante della misura di prevenzione con l'annullamento della condanna per il reato ex articolo 416-bis c.p. e alla nozione di indiziato di appartenenza ad associazione camorristica in tema di prevenzione. La Corte di appello assimila con errato automatismo la condanna per il reato associativo semplice a quella per il reato ex articolo 416-bis c.p.. Sebbene vi sia un'autonoma valutazione del giudice della prevenzione del materiale dimostrativo, questa non puo' sfociare in arbitrio, dovendo individuare condotte che consentono di ritenere integrata la nozione di indiziato di appartenenza a sodalizio mafioso e non potendosi del tutto affrancare dal dare conto della interferenza cognitiva tra i due procedimenti (nella specie i comportamenti materiali attribuiti al ricorrente erano i medesimi in entrambi i procedimenti). 2.13.3. Questione di costituzionalita' degli articoli 4, 24, 29 Decreto Legislativo n. 159 del 2011 per contrasto agli articoli 3, 24, 25, 42, 111 e 117 Cost., 6 e 13 CEDU, 1 Protocollo aggiuntivo n. 11 CEDU, 2 Protocollo aggiuntivo n. 4 CEDU. La misura di prevenzione e' basata su una sorta di contiguita' del ricorrente al clan (OMISSIS). Questa esegesi che trova spazio anche nella giurisprudenza di legittimita' che ha dato rilievo, se pur limitato, ad un'area di contiguita' mafiosa, non appare rispettoso della necessaria tassativita' e prevedibilita' della nozione di pericolosita' qualificata, che lascia margini di incertezza nella ritenuta distinzione con la nozione di appartenente ad associazione mafiosa recepita nell'articolo 416-bis c.p. (pur a fronte di termini che hanno lo stesso significato), consentendo standard probatori diversi. 2.13.4. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 7 e 24, articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p. e in ordine alla sproporzione dei beni nella disponibilita' del ricorrente rispetto all'attivita' economica svolta e difetto di motivazione sulla prova della provenienza lecita dei beni. La Corte di appello si e' adagiata sul giudicato parziale della sentenza penale (quanto alla parte in cui aveva reso definitiva la condanna di (OMISSIS) per i reati di intestazione fittizia e dei tre (OMISSIS) per l'associazione semplice) senza considerare l'annullamento disposto dalla Corte di cassazione sulle disposte confische. Nulla la Corte di appello ha dimostrato sulla provenienza dal clan (OMISSIS) dei presunti investimenti nelle attivita' di distribuzione dei carburanti. Ne' poteva essere sufficiente l'appartenenza del fratello (OMISSIS) al clan per riferire ogni attivita' e investimento di costui al sodalizio mafioso. La Corte di appello ha eluso il tema devoluto della sproporzione dei beni rispetto ai redditi e alle attivita' economiche lecite del ricorrente. La difesa aveva dimostrato la fallacia della tesi della provenienza della provvista dal clan (OMISSIS) e la Corte di appello ha omesso ogni considerazione, tralasciando anche la questione della irragionevolezza temporale delle acquisizioni patrimoniali ritenute illecite. Quanto all'immobile di Ischia la difesa aveva dimostrato la provenienza lecita della provvista e la Corte di appello ha preteso un onere probatorio a carico del ricorrente nella specie eccessivamente gravoso. Tra l'altro la difesa aveva chiesto la rinnovazione dell'istruttoria proprio per dimostrare le garanzie prestate (e escusse) alla banca a fronte del mutuo ricevuto. 2.14. Ricorso di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.14.1. Violazione di legge in relazione agli articoli 125 c.p.p. e 111 Cost. e alla portata preclusiva delle valutazioni espresso nelle sentenze di condanna del processo di merito e al difetto di motivazione alla esistenza dei presupposti legittimanti la confisca. La difesa con l'appello aveva contestato il quadro indiziario che aveva portato a ritenere come fittizia l'intestazione dell'attivita' economica svolta dal ricorrente per oltre trenta anni: venivano esaminate le generiche propalazioni dei collaboratori, che descrivevano i rapporti con il (OMISSIS), ma che non avevano mai ipotizzato che questi fosse il reale dominus della sua attivita' commerciale; fatte salve quelle di (OMISSIS) - de relato e incerte - smentite dalla sua fonte, il padre (OMISSIS); erano contestate le due captazioni che non riguardavano la gestione della gioielleria; si evidenziavano i rapporti con il resto del clan ed in particolare con (OMISSIS) e le vessazioni patite - culminate con l'incendio della gioielleria con la complicita' del (OMISSIS). La difesa aveva inoltre evidenziato la proporzionalita' tra i redditi del ricorrente e i beni, rilevando le lacune e omissioni della perizia. La Corte di appello ha trascurato ogni argomentazione difensiva ritenendo assorbente la sentenza definitiva di condanna. 2.14.2. Violazione di legge in relazione agli articoli 125 c.p.p. e 111 Cost. per assenza di motivazione sulla confisca dei gioielli e dei preziosi rinvenuti nella abitazione. La difesa aveva eccepito con l'appello che la confisca riguardava l'attivita' di oreficeria e non i preziosi personali, ma la Corte di appello nulla ha motivato sul punto. 2.15. Ricorso di (OMISSIS). (avv. (OMISSIS)). 2.15.1. Violazione di legge e carenza assoluta di motivazione in relazione all'articolo 649 c.p.p.. La Corte di appello ha escluso la portata preclusiva della vicenda cautelare del processo di merito (era stato disposto il sequestro di un distributore del ricorrente ritenuto oggetto di reinvestimento e/o impiego di risorse del clan (OMISSIS) e, a seguito di impugnazione, il bene veniva restituito al ricorrente per esclusione del fumus della fittizia intestazione) con motivazione inesistente e frutto di travisamento la' dove richiama le decisioni di merito (il ricorrente non e' stato attinto dal processo di merito se non per il sequestro, ne' formalmente ne' nelle motivazioni dei provvedimenti di merito; la captazione del 2007 era equivoca e riferita ad un distributore in Abruzzo e non rileva la presenza di altri distributori in Molise, quali quello di (OMISSIS)). Gli elementi citati dalla Corte di appello sono "piovuti" addosso al ricorrente senza che avesse potuto contestarli. La difesa aveva in primo grado, con una memoria, specificato le modalita' di acquisizione del distributore (che non richiedeva investimenti perche' l'impianto e l'area erano concessi in comodato gratuito). Il Tribunale con una pseudo motivazione aveva valorizzato una conversazione del 2007 che faceva riferimento ad un distributore in Abruzzo e non in Molise (dove era quello del ricorrente), senza spiegare perche' la ditta di Venafro fosse riconducibile al clan (OMISSIS). Con l'appello si deduceva l'improcedibilita' della proposta di prevenzione e la mancanza di elementi del fumus. In ogni caso la Corte di appello ha richiamato passaggi della sentenza di merito relativi alla figura di (OMISSIS), senza spiegare come tali argomentazioni potessero riguardare anche il ricorrente. Quanto alla vicenda evocata della (OMISSIS), la Corte di appello non ha considerato quegli elementi fattuali (l'ingresso del ricorrente solo un anno e cinque mesi prima della cancellazione) che erano stati valutati in sede di riesame, per escludere il fumus. Altro travisamento si riscontra nell'aver attribuito al ricorrente una partecipazione nella (OMISSIS) dal 1993, anziche' dal 2003. La societa' in ogni caso e' stata cancellata nel 2005. 2.15.2. Violazione di legge e assenza di motivazione in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24 e ss.. La Corte di appello non ha motivato affatto sui rapporti tra il ricorrente e i (OMISSIS), se non per il fatto di essere fratello di (OMISSIS). Parimenti alcuna argomentazione e' spesa in ordine ai rapporti tra la (OMISSIS) e il distributore del ricorrente (del tutto slegato dalla prima). 2.16. (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.16.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 125, 185, 191, 192 e 238-bis c.p.p., in relazione agli articoli 125 e 192 c.p.p., Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 20 e 24; omessa motivazione sulla sussistenza ei presupposti oggettivi previsti dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24 per la confisca. Con i motivi di appello, la difesa aveva eccepito il difetto di motivazione del provvedimento di sequestro di prevenzione in ordine all'ipotizzata intestazione fittizia e, ex articolo 185 c.p.p., della disposta confisca. La Corte di appello ha ritenuta la prima questione preclusa in quanto il sequestro non era stato impugnato con l'opposizione nella forma dell'incidente di esecuzione. Peraltro, si richiama la giurisprudenza che ha affermato come tale rimedio fosse previsto solo a favore del terzo che non aveva potuto partecipare al procedimento di cognizione. La carenza di motivazione del sequestro comportava anche la lesione del diritto di difesa del terzo interessato. Il Tribunale aveva cercato di colmare questa lacuna ponendo a base della confisca una mail del 2007 e stringate dichiarazioni di un collaboratore. Quanto alla prima, i giudici di merito ne hanno tratto un significato con evidente salto logico. Quanto alle seconde, la difesa non ha partecipato al giudizio di merito e le stesse sono state acquisite nel giudizio di prevenzione di primo grado dopo la requisitoria del PM senza chiedere il consenso delle parti. La Corte di appello ha respinto l'eccezione sollevata dalla difesa al riguardo, non rendendosi conto del momento in cui erano state acquisite. In ogni caso la difesa aveva eccepito che era comunque necessaria la valutazione delle dichiarazioni del collaboratore ai sensi dell'articolo 192 c.p.p.. Risultava comunque smentita la immissione di capitali dal clan (OMISSIS) con la contrazione degli affari della (OMISSIS) che la porto' nel 2011 allo scioglimento; il collaboratore neppure ha citato la societa' oggetto di confisca, dimostrando di non conoscerla neppure. La difesa aveva con l'appello fornito elementi che venivano a contrastare l'ipotesi di intestazione fittizia e la Corte di appello non ha chiarito quale siano gli indizi dimostrativi, trincerandosi dietro l'accertamento irrevocabile intervenuto sui fatti storici e sulla identita' del supporto probatorio ricostruttivo. La sentenza andava tuttavia valutata alla stregua dei criteri di cui all'articolo 238-bis c.p.p., tenuto conto che a quel giudizio il ricorrente non aveva partecipato. Quanto ai fatti, oggetto di giudicato, l'imputazione del processo penale aveva ad oggetto l'attribuzione fittizia della titolarita' della (OMISSIS) a (OMISSIS) e comunque la sentenza di primo grado non spendeva alcuna parola e non accertava alcun fatto storico sulla ipotizzata intestazione fittizia, mentre quella di appello dedicava alla vicenda una stringata motivazione. Va evidenziato che, relativamente alla incapienza della socia (OMISSIS), la Corte di appello non ha valutato che la difesa aveva versato in atti documentazione che dimostrava la compatibilita' dei redditi con l'acquisto. 2.17. Ricorso di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.17.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 125, 191, 192 e 238-bis c.p.p., in relazione agli articoli 125 e 192 c.p.p., Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 20 e 24; omessa motivazione sulla sussistenza ei presupposti oggettivi previsti dall'articolo 24 Decreto Legislativo cit. per la confisca. La Corte di appello, a fronte dei motivi di appello, che contestavano la motivazione del primo decreto, ha ritenuto di superare ogni censura richiamando il giudicato formatosi in sede penale che non consentiva di rimettere in discussione il medesimo supporto probatorio ricostruttivo. La Corte di appello non si e' attenuta alle regole probatorie dettate dall'articolo 238-bis c.p.p. viepiu' considerando che la ricorrente non ha partecipato al processo penale e quindi non ha potuto difendersi provando. Inoltre, l'oggetto dell'accertamento penale riguardava la intestazione fittizia delle sole quote della (OMISSIS) della societa' confiscata; la sentenza penale di primo grado non spendeva alcuna parola e non accertava alcun fatto storico sulla ipotizzata intestazione fittizia, mentre quella di appello dedicava alla vicenda una stringata motivazione. Occorreva invece una rigorosa dimostrazione che il proposto fosse l'effettivo dominus del bene, tema che i giudici della prevenzione non affrontano. All'epoca dell'acquisto solo gli inquirenti conoscevano i collegamenti tra il marito della (OMISSIS) e i (OMISSIS). Va evidenziato che, relativamente alla incapienza della ricorrente, la Corte di appello non ha valutato che la difesa aveva versato in atti documentazione che dimostrava la compatibilita' dei redditi con l'acquisto. 2.18. Ricorsi di (OMISSIS), in proprio e quale erede di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.18.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 18, 20 e 24, articolo 125 c.p.p.. La Corte di appello ha valutato in modo apparente e viziato le censure difensive che intendevano far valere la assenza dei presupposti per la disposta confisca, attribuendo efficacia dirimente in ordine alla fittizieta' delle intestazioni dei beni oggetto di confisca alla sentenza emessa in sede penale. Andava considerato che tale sentenza aveva dichiarato la prescrizione per il reato di intestazione fittizia contestato a (OMISSIS) ed era quindi priva di efficacia accertativa; che la posizione dei ricorrenti, quali concorrenti in tale reato, era stata stralciata con provvedimento di archiviazione; che la sentenza penale era stata emessa in assenza del contraddittorio con i ricorrenti; che nel giudizio di prevenzione i ricorrenti avevano sottoposto nuovi elementi per dimostrare l'assenza dei presupposti applicativi; che dalla stessa sentenza impugnata e' facile rilevare come tutte le questioni poste dalla difesa non siano state considerate. Con formula di stile la Corte di appello ritiene acquisita la prova della sproporzione reddituale del "gruppo (OMISSIS)" senza affrontare le plurime questioni dedotte (come sintetizzate in calce al ricorso). 2.19. Ricorso di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.19.1. Violazione di legge per motivazione apparente. La Corte di appello ha ritenuto il ricorrente intestatario fittizio di una quota della societa' (OMISSIS) per conto di (OMISSIS). Peraltro, di tale giudicato penale non vi e' traccia nel casellario penale del ricorrente. Quindi la sentenza impugnata si e' basata su un dato inesistente. Risulta erroneo, inoltre, il passaggio della sentenza impugnata la' dove ha rigettato il motivo di appello in ordine alla vicenda cautelare di merito, avendo la Corte di appello travisato la motivazione del provvedimento di restituzione degli impianti (nella specie per insussistenza dei presupposti legittimanti il vincolo reale). Tale errore e' stato centrale nella motivazione della Corte di appello. 2.19.2. Violazione di legge per estraneita' dell'oggetto confiscato al patrimonio del ricorrente. Il provvedimento ablativo, come dedotto, non ha considerato che l'impianto confiscato era di proprieta' dell'Eni mentre il ricorrente era soltanto titolare del comodato. 2.20. Ricorso di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.20.1. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 7 e 24, articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p. e in ordine alla disponibilita' dell'immobile confiscato di (OMISSIS) in capo al proposto (OMISSIS) e alla sproporzione dei beni nella disponibilita' della famiglia della ricorrente rispetto all'attivita' economica svolta dal padre e alla sproporzione del valore della quota della societa' della ricorrente in relazione all'attivita' svolta; difetto di motivazione su punti essenziali e sulla prova della provenienza lecita dei beni. A fronte della dimostrazione della insussistenza dei presupposti per farsi luogo alla confisca in capo alla ricorrente (moglie di (OMISSIS)), la Corte di appello ha effettuato due erronee e apodittiche affermazioni: che la difesa non avesse contestato la concreta disponibilita' dell'immobile da parte di (OMISSIS); che il giudicato penale formatosi nel processo penale fosse sufficiente a giustificare la confisca. Quanto al primo punto si allega la documentazione a sostegno. In ordine al giudicato, la Corte di appello non ha considerato che la Corte di cassazione aveva annullato la sentenza di appello per le confische, con rinvio per (OMISSIS) e (OMISSIS) e senza rinvio per la ricorrente e (OMISSIS) cl. (OMISSIS). Relativamente alla quota sociale, la Corte di appello non ha motivato affatto. Ne' poteva essere assunta come scappatoia del giudicato favorevole in sede penale la autonomia del giudizio di prevenzione rispetto alla tipicita' della fattispecie penale, in difetto della prova del reimpiego o del riciclaggio di danaro del clan (OMISSIS) nella attivita' dei distributori di carburanti. Difetta anche la motivazione sulla correlazione temporale degli acquisti con la pericolosita' del proposto. 2.21. Ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)) 2.21.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 191 e 238-bis c.p.p., articolo 104-bis disp. att. c.p.p., articolo 111 Cost., articolo 47 Carta dei diritti fondamentali Unione Europea, articolo 8 Direttiva Unione Europea n. 2 del 2014 e alla tutela processuale del terzo interessato. La Corte di appello ha confermato la confisca nei confronti delle ricorrenti sulla ragione fondamentale dell'accertamento definitivo e della confisca definitiva risultante dalle sentenze di merito relative al procedimento contro (OMISSIS) per il reato di interposizione fittizia con riferimento alla societa' (OMISSIS), le cui quote erano riferibili alle ricorrenti. In primo luogo, va rilevato che l'accertamento penale riguardava la sola costituzione della (OMISSIS) (2012) e l'acquisto del 25% delle quote da parte di (OMISSIS) e non il successivo acquisto da parte delle ricorrenti (2014) delle quote (10% e 15%). Gia' in sede penale il Giudice per le indagini preliminari ebbe a rigettare la richiesta di sequestro della societa' per mancanza di prova indiziaria della riconducibilita' di essa a (OMISSIS). Il processo penale portato avanti anche per tale societa' non ha visto le ricorrenti avervi preso parte e la sentenza di primo grado non contiene alcun cenno in motivazione alla vicenda della societa', mentre in appello dedica poche affermazioni alla vicenda, per lo piu' relative al socio (OMISSIS) e alla riconducibilita' della disponibilita' al (OMISSIS) per la presenza quale socia della moglie del (OMISSIS). Si tratta in ogni caso di assunti del tutto apodittici la' dove afferma che (OMISSIS) e la (OMISSIS) erano prestanomi del (OMISSIS). Quindi nel mero richiamo al giudicato penale si e' verificata da un lato la violazione del contraddittorio (non avendo le ricorrenti partecipato a quel giudizio) e dall'altro la carenza di motivazione, in ordine ai presupposti legittimanti la confisca di prevenzione (stanti le lacune motivazionali delle sentenze richiamate). In ordine alla posizione delle ricorrenti, inoltre, non vi e' alcun elemento che le stesse (acquirenti in epoca successiva) fossero consapevoli delle vicende che mesi prima avevano riguardato la (OMISSIS) (loro dante causa) e del ruolo rivestito dal (OMISSIS) (posizione questa tra l'altro archiviata). Il ragionamento della Corte di appello e' frutto della violazione dei principi in tema di prova a carico del terzo per giustificare la misura ablativa (disponibilita' indiretta da parte del proposto dei beni in esame; consapevolezza del terzo intestatario dell'essere un mero intestatario fittizio; sufficienti indizi della fittizia intestazione, derivanti dall'incapienza del terzo o dalla illecita provenienza della provvista). 2.21.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 20 e 24. La Corte di appello ha valorizzato inoltre la circostanza delle ridotte capacita' reddituali delle ricorrenti, peraltro sufficienti agli acquisti, senza fornire elementi circa la ipotizzata disponibilita' delle quote da parte del proposto. 3. Hanno presentato memorie i seguenti ricorrenti. 3.1. (OMISSIS), tramite il suo difensore, ha replicato alla requisitoria del Procuratore generale, evidenziando come risulti travisato il dato della riferibilita' della (OMISSIS) al ricorrente (si allegano visura camerale e sequestro preventivo); che la vicenda della (OMISSIS) e' ininfluente stante la distanza temporale e la assenza di interferenze illecite con la ditta confiscata; che la captazione e' stata apoditticamente interpretata con riferimento ai distributori molisani. 3.2. (OMISSIS), a mezzo del suo difensore, ha presentato una memoria di replica, ribadendo la assoluta decisivita' della prova documentale di cui al primo motivo di ricorso ed evidenziando la autonoma e non sospetta dichiarazione sulla riferibilita' alla nonna del bar oggetto di confisca. 4. L'avv. (OMISSIS) per la posizione di (OMISSIS) ha richiesto la trattazione orale del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Va in primo luogo disattesa la istanza di trattazione orale del procedimento presentata dalla difesa del ricorrente (OMISSIS), in quanto la trattazione dei ricorsi per cassazione aventi ad oggetto la materia delle misure di prevenzione e' soggetta al rito camerale non partecipato previsto dall'articolo 611 c.p.p.. E' appena il caso di aggiungere che questa Corte ha anche precisato che il principio di pubblicita' dell'udienza in materia di misure di prevenzione, affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 93 del 2010 e dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo con la sentenza del 13 novembre 2007, nella causa Bocellari e Rizza c. Italia, qualora l'interessato ne abbia fatto richiesta, si riferisce esclusivamente alla fase di merito (Sez. 6, n. 50437 del 28/09/2017, Rv. 271500; in senso conforme, Sez. 5, n. 20489 del 22/01/2018, Rv. 273034). 2. Onde evitare inutili ripetizioni nella trattazione delle singole posizioni, il Collegio intende affrontare preliminarmente alcune tematiche e questioni comuni alla gran parte dei ricorsi. 3. In linea generale va rammentato quale sia l'ambito del controllo affidato alla Corte di cassazione in materia di misure di prevenzione. Nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione e' ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, articolo 4, richiamato dalla L. 31 maggio 1965, n. 575, articolo 3-ter, comma 2, attualmente disciplinato dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 10 e 27. I principi che regolano pacificamente la materia sono i seguenti. In sede di legittimita' e' possibile svolgere il controllo inerente all'esatta applicazione della legge, sui provvedimenti applicativi della misura di prevenzione, ove si profila la totale esclusione di argomentazione su un elemento costitutivo della fattispecie che legittima l'applicazione della misura, configurandosi, in caso di radicale mancanza di argomentazione su punto essenziale, la nullita' del provvedimento ai sensi delle disposizioni di cui all'articolo 111 Cost., comma 6, articolo 125 c.p.p., comma 3, Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 7, comma 1, poiche' l'apparato giustificativo costituisce l'essenza indefettibile del provvedimento giurisdizionale (Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, Rv. 271512). Il sindacato sulla motivazione in questa materia e' invece escluso dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimita' nell'ipotesi dell'illogicita' manifesta di cui all'articolo 606 c.p.p., lettera e), potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiche' qualificabile come violazione dell'obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d'appello, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014 Repaci, Rv. 260246) In tale arresto la Suprema Corte ha ribadito che non puo' essere proposta, come vizio di motivazione mancante o apparente, la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realta', siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato. Invero, il giudice dell'impugnazione non e' tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo e' stato tenuto presente, si' da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata. Sicche', ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicita' quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, si' da consentire l'individuazione dell'iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi e' luogo per la prospettabilita' del denunciato vizio di preterizione (ex multis, Sez. 2, n. 29434 del 19/05/2004, Rv. 229220; Sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, Rv. 250900; Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Rv. 254107). Va infine ribadito che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione non e' ammesso per il vizio di travisamento della prova per omissione ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p. che e' estraneo al procedimento di legittimita', a meno che il travisamento non abbia investito plurime circostanze decisive totalmente ignorate ovvero ricostruite dai giudici di merito in modo talmente erroneo da trasfondersi in una motivazione apparente o inesistente, riconducibile alla violazione di legge (Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, Rv. 279435). 4. Tema comune a molti dei ricorsi presentati, in particolare dai terzi intestatari dei beni, oggetto della misura della confisca, riguarda l'utilizzazione nei loro confronti del giudicato formatosi nel procedimento penale c.d. Aieta Anna ed altri, piu' volte richiamato dalla Corte di appello nell'esame delle loro impugnazioni. 4.1. La maggior parte di costoro, originariamente attinti in sede penale dalla misura cautelare reale in quanto indagati, ai sensi della L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies, quali intestatari fittizi dei beni ritenuti nella disponibilita' di (OMISSIS), "braccio economico" del clan (OMISSIS), avevano visto la propria posizione archiviata e avevano ancor prima ottenuto la revoca delle stesse misure reali. Il P.M. aveva scelto di proseguire l'azione penale nei confronti dei presunti effettivi titolari, contestando in particolare a (OMISSIS) la suddetta imputazione ai capi 98), 100), 104), 105), e 106), anche aggravata dalla finalita' di agevolazione mafiosa. Secondo l'ipotesi accusatoria, costui, associato al clan (OMISSIS), aveva intestato a terzi prestanome una serie di beni, costituiti in larga parte da imprese operanti in determinati settori economici (gestione di impianti per la distribuzione di carburante con annessi anche servizi di bar, bar e caffe', ristorazione, oreficeria, torrefazione del caffe'), oltre che da immobili, per schermare gli investimenti illeciti di capitali mafiosi. Queste intestazioni si inserivano nell'ambito di un sistematico programma criminoso perseguito da (OMISSIS) attraverso sodalizi illeciti deputati ad investire denaro di provenienza delittuosa nei suddetti settori (reati associativi contestati ai capi 97, 99 e 101). Nel procedimento di prevenzione avviato anche nei confronti dei terzi intestatari erano stati riversati dal P.M. sia con la proposta che nel corso del procedimento di primo grado gli atti del parallelo processo penale (da ultimo gli atti del dibattimento che si stava celebrando davanti al Tribunale). Parimenti nel procedimento penale erano transitati, con le garanzie del contraddittorio, atti del procedimento di prevenzione (cosi' in particolare la perizia contabile, acquisita tramite l'audizione in dibattimento del perito (OMISSIS)). Questa "osmosi probatoria" tra i due procedimenti aveva fatto si' che il decreto di primo grado venisse sostanzialmente a basarsi in larga parte sul medesimo compendio probatorio utilizzato in sede penale. All'epoca del giudizio di appello di prevenzione, lo scenario che si era presentato ai giudici era quello della intervenuta conclusione del procedimento penale per la quasi totalita' delle posizioni coinvolte anche nella procedura prevenzionale: la sentenza di primo grado, successiva al decreto del 7 novembre 2016, era stata emessa il 28 dicembre 2017, quella di appello il 27 novembre 2019, quella della Corte di cassazione il 1 aprile 2021. Tali provvedimenti erano stati acquisiti dai giudici dell'appello, anche su richiesta delle parti che intendevano far valere statuizioni a loro favorevoli. Il giudizio penale in particolare si era concluso nei confronti di (OMISSIS), oltre che con la sua condanna per il reato associativo mafioso, con le seguenti statuizioni definitive: quanto alle fittizie intestazioni con la sua condanna per il capo 106) e con il proscioglimento per prescrizione (per la maggior parte dei casi gia' maturata in primo grado) per i capi 98), 100), 104) e 105); quanto ai reati associativi semplici con la sua condanna per i capi 97), 99) e 101). La Corte di appello, come si e' anticipato, ha fatto riferimento a tali statuizioni e al contenuto dei suddetti provvedimenti per dimostrare il carattere fittizio delle intestazioni in capo ai titolari formali dei beni confiscati ad opera di (OMISSIS), quale reimpiego di capitali illeciti, ritenendolo "un fatto" definitivamente accertato in sede penale e dal quale non era possibile discostarsi in sede di prevenzione, in virtu' del principio di non contraddizione del sistema. Occorre pertanto chiarire la correttezza o meno di tale approccio valutativo da parte del giudice dell'appello, contestato in larga parte dai terzi intestatari ricorrenti. 4.2. Il processo di prevenzione, come piu' volte affermato dalla giurisprudenza di legittimita', e' autonomo rispetto a quello penale: autonomia, che risulta oramai consacrata anche dall'articolo 29 Decreto Legislativo n. 159 del 2011 e che si dipana nelle differenze rispetto a quest'ultimo quanto all'oggetto, ai criteri di valutazione e alle finalita'. "Le profonde differenze", di "procedimento e di sostanza" che e' possibile intravedere tra le due sedi, penale e di prevenzione e' giustificata dal rilievo che la prima e' ricollegata a un determinato fatto-reato oggetto di verifica nel processo, a seguito dell'esercizio della azione penale; la seconda e' riferita a una complessiva notazione di pericolosita', espressa mediante condotte che non necessariamente costituiscono reato (v. Corte Cost., sentenza n. 275 del 1996). Come hanno osservato le Sezioni Unite, il vero tratto distintivo, che qualifica l'autonomia del procedimento di prevenzione dal processo penale, va intravisto nella diversa "grammatica probatoria" che deve sostenere i rispettivi giudizi (Sez. U, n. 13426 del 25/03/2010, Cagnazzo, Rv. 246271), quanto al "modo d'essere" degli elementi di apprezzamento del "merito". Lo statuto probatorio del giudizio di prevenzione e' affidato anche nel testo unico del 2011 a poche norme, che delineano un sistema di prova atipica, limitandosi il decreto legislativo a richiamare le "prove rilevanti" ammesse dal giudice, purche' non vietate dalla legge o superflue (articolo 7, comma 4-bis) e a prevedere la possibilita' di assumere le dichiarazioni del proposto o di terzi informati sui fatti (articolo 7, commi 6 e 7), nonche' rinviando significativamente "per quanto non espressamente previsto" alle "disposizioni contenute nell'articolo 666 del codice di procedura penale", in quanto "compatibili" (articolo 4, comma 9). Ricorrente e' l'affermazione nella giurisprudenza di legittimita', secondo cui proprio il riferimento all'articolo 666 c.p.p. delinea un procedimento camerale scarsamente formale, nel quale non e' prevista una scansione di fasi o di udienze ne' un diritto alla controprova come regolato nel procedimento penale e nel quale il giudicante acquisisce informazioni e prove, anche di ufficio, senza l'osservanza dei principi sull'ammissione della prova di cui all'articolo 190 c.p.p., essendo essenziale l'accertamento dei fatti, che deve tuttavia avvenire nel rispetto della liberta' morale delle persone e con le garanzie del contraddittorio (tra tante, (Sez. 2, n. 3954 del 18/01/2017, Rv. 269250). Quanto alle garanzie del contraddittorio, si e' evidenziato che le richiamate disposizioni del procedimento di esecuzione garantiscono l'esercizio del diritto di difesa non soltanto con la presenza necessaria del difensore nell'udienza di trattazione, ma altresi' con il riconoscimento della facolta' di dedurre o richiedere elementi a discarico - eventualmente anche a mezzo dell'audizione personale di cui al comma 4 dell'articolo 666 c.p.p. - salvo il vaglio di pertinenza o di inerenza probatoria comunque rimesso al giudice (in tema di misure reali, Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262606). Pur nell'autonomia genetica (il testo unico prevede che il P.M. conduca indagini in vista del giudizio di prevenzione) e nella liberta' di forme nella raccolta di dati informativi, il sistema prevede anche l'opportuno coordinamento, per esigenze di economia processuale, con il procedimento penale (Corte Cost., 22 luglio 1996, n. 275), cosi' da prevedere la trasmigrazione delle prove da questo procedimento a quello di prevenzione (L. n. 646 del 1982, articolo 23-bis, comma 2, richiamato dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 115). La prassi giudiziaria dimostra infatti il frequente ricorso da parte del P.M. nel procedimento di prevenzione alle emergenze probatorie gia' formate e ai giudizi emessi in un procedimento penale pendente o gia' concluso (atti di indagine, verbali dibattimentali, sentenze, ordinanze cautelari, ecc.), assumendo la istruttoria nel giudizio di prevenzione una connotazione in larga parte cartolare. Quanto alla valenza di questo materiale, la giurisprudenza ha costantemente affermato che, in ragione della citata reciproca autonomia tra i due procedimenti in ordine all'oggetto dell'accertamento (in quello di prevenzione costituito dalla pericolosita' del soggetto), il giudice della prevenzione non sia vincolato alle conclusioni di irrilevanza penale di fatti emersi durante le indagini preliminari, essendo consentita in termini generali la valutazione del "fatto" - comunque accertato o desumibile da decisioni di assoluzione emesse in sede penale - quale eventuale sintomo di pericolosita' (da ultimo, Sez. 2, n. 4191 del 11/01/2022, Rv. 282655). Costituisce affermazione ricorrente - a far data dalla pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 18 del 03/07/1996, Simonelli, Rv. 205261 - che l'assoluta autonomia dei due procedimenti - penale e di prevenzione - comporta la possibilita' di applicazione dei provvedimenti, personali e/o patrimoniali, anche in contrasto con le conclusioni cui possa pervenire il giudizio penale: e cio', sia per diversita' dei presupposti, sia per la valenza diversa che la legge assegna agli elementi sulla cui base le singole procedure vengono definite. In tale arresto la Suprema Corte ebbe ad affermare che alla mancanza anche assoluta di prove o di gravi indizi di colpevolezza richiesti in sede penale non corrisponde affatto un'analoga valenza in tema di "procedimento di prevenzione", nel quale gli indizi di pericolosita' e la indimostrata liceita' dell'appartenenza dei beni possono essere desunti anche dagli stessi fatti storici in ordine ai quali e' stata esclusa la configurabilita' di illiceita' penale ovvero da altri acquisiti o autonomamente desunti nel giudizio di prevenzione. Tale arresto continua a trovare in varia guisa applicazione (si rinvia a Sez. 2, n. 33533 del 25/06/2021, Avorio, Rv. 28186), pur con taluni temperamenti (sul punto Sez. 5, n. 182 del 30/11/2020, dep. 2021, Zangrillo, Rv. 280145). Sempre in virtu' dell'autonomia tra i due procedimenti si e' anche posta in rilievo la peculiarita' dello statuto probatorio del giudizio di prevenzione quanto alle regole di utilizzabilita' delle emergenze transitate dal processo penale, se pur con il limite delle prove illegali (in tema di intercettazioni, Sez. U, n. 13426 del 25/03/2010, Cagnazzo, Rv. 246271). Cio' che rileva e' che il giudizio di pericolosita' sia fondato su elementi certi, dai quali possa legittimamente farsi discendere l'affermazione dell'esistenza della pericolosita', fermo restando che gli indizi sulla cui base formulare il giudizio di pericolosita' non devono necessariamente avere i caratteri di gravita', precisione e concordanza richiesti dall'articolo 192 c.p.p. (Sez. U, n. 13426 del 25/03/2010, cit.), cosi' come le chiamate in correita' o in reita' non devono essere necessariamente sorrette da riscontri esterni individualizzanti - necessari per giustificare la condanna - ai fini dell'accertamento della pericolosita' (Sez. 5, n. 50202 del 08/10/2019, Rv. 278049). Le ipotesi che la prassi ha evidenziato sono due: a) materiale probatorio prodotto nell'ambito del giudizio di prevenzione, derivante da processi penali gia' conclusisi; b) materiale probatorio acquisito dal Pubblico Ministero a seguito di indagini: bi) non sottoposto al vaglio del giudice penale o b2) sottoposto al vaglio di un giudizio penale in corso. A tal riguardo si e' affermato che gli indizi possono essere desunti direttamente anche dai provvedimenti giudiziari emessi in sede penale, non essendo necessaria l'acquisizione dei verbali, delle trascrizioni e dei provvedimenti autorizzativi esistenti nel diverso procedimento (tra tante, Sez. 2, n. 25919 del 28/05/2008, Rv. 240629). La' dove si tratti di giudicato di condanna si e' affermato che il giudice della misura di prevenzione puo' fare riferimento nella motivazione a provvedimenti emessi in sede penale che abbiano affermato (anche in via provvisoria) la ricorrenza di condotte delittuose commesse dal proposto, esprimendo argomentata condivisione e confrontandosi con gli argomenti contrari introdotti dalla difesa. Tali fatti storici, se accertati con sentenza irrevocabile, possono di certo costituire la base logico-giuridica della valutazione del giudice della prevenzione (Sez. 1, n. 43826 del 19/04/2018). In tal caso l'accertamento definitivo in sede penale costituisce un "fatto" di per se' in grado di legittimare l'adozione delle misure di prevenzione, non essendo esigibili dal giudice della prevenzione ulteriori oneri motivazionali sul punto e men che meno la rivisitazione dell'effettiva valenza probatoria degli elementi posti a fondamento della decisione assunta nella sede penale (Sez. 5, n. 1831 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 265862; Sez. 5, n. 25288 del 06/06/2022, Libreri, non mass.). 4.3. Tali principi sono stati affermati in larga parte con riferimento alla figura del proposto e all'accertamento penale condotto nei suoi confronti. Nel caso in cui il giudicato di condanna sia utilizzato nei confronti di soggetti terzi a quel procedimento e' evidente che i suddetti principi debbano coniugarsi in ogni caso con il diritto di difesa: la circolazione e l'utilizzazione di sentenze definitive nel procedimento di prevenzione - ancorche' non assistite dalla regola probatoria di cui all'articolo 238-bis c.p.p. (che e' strutturata in funzione delle regole del contraddittorio penale) - esige che sia consentita a costoro la possibilita' di confutarne il valore indiziante. Come ha affermato la Corte costituzionale, la ormai acquisita configurazione giurisdizionale del procedimento di prevenzione impone in via di principio l'osservanza delle regole (come quelle del contraddittorio) coessenziali al giudizio in senso proprio, pur presentando il procedimento di prevenzione e il processo penale proprie peculiarita', sia sul terreno processuale che nei presupposti sostanziali, sicche' le forme di esercizio del diritto di difesa possono essere diversamente modulate in relazione alle caratteristiche di ciascun procedimento, allorche' di tale diritto siano comunque assicurati lo scopo e la funzione (sent. n. 21 del 2012). 4.4. Sulla base di quanto premesso, puo' affermarsi con riferimento al caso in esame che l'acquisizione agli atti del procedimento di prevenzione della sentenza penale irrevocabile non comportava alcun automatismo probatorio in ordine ai fatti in essa accertati rispetto a coloro che non erano stati parte del processo penale, in quanto il giudice della prevenzione non poteva esaurire il proprio compito col richiamare sic et simpliciter le statuizioni penali definitive, senza confrontarsi con le produzioni e le censure difensive volte a contestarne il valore indiziante. In altri termini le parti, una volta acquisita al procedimento la sentenza definitiva che aveva accertato, senza la loro partecipazione, il "fatto", presupposto fondante della confisca nei loro confronti (nella specie, la titolarita' effettiva del bene in capo al proposto e quindi la loro veste di prestanomi, nonche' l'impiego per l'acquisto del bene di capitali mafiosi), avevano diritto alla controprova e a introdurre temi difensivi in grado di disarticolare quel giudizio. Tale principio si ricava dal sistema. E' costante il principio in tema di confisca penale (da ultimo Sez. 3, n. 17399 del 20/03/2019 Rv. 278763), che il terzo che non ha preso parte al processo penale puo' tutelare la sua situazione in ordine al bene confiscato, facendo valere, a fronte della sentenza penale coperta da giudicato, le piu' ampie deduzioni per contestare la sussistenza delle condizioni legittimanti la confisca nel procedimento instaurato a seguito di incidente di esecuzione, nel quale il giudice puo' assumere i necessari mezzi di prova, ai sensi dell'articolo 666 c.p.p., comma 5, ivi compresi l'esame di testimoni e il conferimento di perizia, come si desume dall'articolo 185 disp. att. c.p.p., cosi' assicurando il diritto alla prova e il rispetto del principio del contraddittorio (cfr. Sez. 3, n. 1503 del 22/06/2017, dep. 2018, Rv. 273535). Attraverso tale confronto, il terzo e' messo in condizione di far valere tutte le questioni, di fatto e di diritto, che avrebbe potuto dedurre nel giudizio di merito, a cui e' rimasto estraneo, cosi' assicurando il sistema il rispetto dell'articolo 7 CEDU. 4.5. Sotto altro verso, va considerato il dato peculiare, esposto in premessa e posto piu' volte in luce dalla Corte di appello nel decreto impugnato, che il presente procedimento di prevenzione si e' basato sostanzialmente sulla medesima piattaforma probatoria del processo penale: la proposta del P.M. si fondava sull'ampio materiale investigativo che aveva portato il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ad emettere l'ordinanza cautelare del 12 ottobre 2013 in quel procedimento penale; nel corso del giudizio di primo grado il Tribunale aveva acquisito, su richiesta del P.M., gli ulteriori atti di indagine nel frattempo raccolti nel corso delle investigazioni penali e i verbali delle udienze del procedimento penale che si stava celebrando davanti al Tribunale di Napoli. I giudici della prevenzione avevano dato atto nel decreto di primo grado della possibilita' offerta alle parti di controdedurre su tali produzioni. Quindi sin dal primo grado alle parti (anche per quelle estranee al processo penale) era stato garantito il contraddittorio su tutto il materiale probatorio transitato dal processo penale e sul quale - come ha rilevato la Corte di appello si erano in definitiva basati entrambi i giudizi. Il giudicato formatosi in sede penale veniva a costituire quindi un potente dato di riscontro della tenuta del ragionamento giustificativo e segnatamente della valutazione indiziante compiuta in primo grado su una piattaforma pressoche' omogenea. In tale prospettiva puo' ritenersi corretta la valutazione della Corte di appello la' dove ha definito l'accertamento penale un "punto fermo", "in assenza di da ulteriori rispetto alla sede di merito" offerti dalle difese (cfr. pag. 42 della sentenza impugnata). 4.6. Quanto, infine, alle statuizioni di estinzione per prescrizione dei reati di cui alla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies, la Corte di appello ha evidenziato che, sebbene alcune fossero state pronunciate gia' nel primo grado del processo penale, non avevano impedito al giudice penale di procedere ad un incidentale accertamento in ordine alla sussistenza dei fatti, funzionale sia alla prova dei reati associativi nel cui programma si inserivano le fraudolente intestazioni sia alla confisca. Il giudice penale, infatti, non si era limitato al mero rilevamento della causa di estinzione e alla constatazione dell'assenza di elementi per un piu' ampia assoluzione nel merito, ma aveva condotto una verifica molto puntuale sulla sussistenza dei reati fine delle associazioni (benche' prescritti) dai quali aveva tratto la prova sintomatica del reato associativo. 4.7. In definitiva, quanto alla posizione degli estranei al processo penale e destinatari delle statuizioni di confisca di prevenzione, in quanto ritenuti fittizi intestatari dei beni, a fronte dell'accertamento irrevocabile in relazione alla esistenza delle associazioni dirette da (OMISSIS) finalizzate alla realizzazione di una pluralita' indefinita di delitti di intestazione fittizia e ricettazioni e in relazione alla commissione di singoli delitti di cui alla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies che avevano ad oggetto i beni confiscati, la Corte di appello doveva necessariamente confrontarsi con la confutazione di tale accertamento sostenuta dalle difese. Confutazione che doveva, peraltro, offrire elementi in grado di disarticolare la valutazione compiuta in sede penale. Fatta questa precisazione di fondo, va rilevato, come si avra' modo di precisare scrutinando i singoli ricorsi, che le difese hanno fatto leva in sede di appello su argomenti o irrilevanti rispetto a quanto accertato in sede penale o comunque superati dalla valutazione della Corte di appello. Come precisato a pag. 41 del decreto impugnato, nella quasi totalita' delle censure avanzate in appello, le difese avevano replicato questioni gia' sottoposte e risolte dal primo giudice, vertenti essenzialmente sulla capacita' reddituale degli intestatari formali dei beni. Tema che si presentava di per se' non dirimente rispetto all'accertamento penale o che in ogni caso risultava affrontato anche dalla Corte di appello. 5. Altro tema comune a molti ricorsi, che si collega a quanto gia' illustrato, riguarda la definizione favorevole delle indagini preliminari condotte nei confronti dei terzi intestatari, sia con l'annullamento in sede cautelare dei sequestri dei beni poi confiscati dal giudice della prevenzione sia con l'archiviazione del procedimento per il reato di cui alla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies. Come si e' osservato, l'autonomia del processo di prevenzione comporta che lo stesso possa essere promosso anche ove, a carico del proposto, non sia mai stato proposto un giudizio penale: ad es. perche' la notitia criminis, e' stata archiviata; perche' l'indagato e' deceduto; perche' le prove raccolte non furono ritenute sufficienti a sostenere un'accusa penale. Muovendo dal rilievo che solo l'accertamento negativo di un fatto contenuto in una sentenza irrevocabile di assoluzione impedisce di assumerlo come elemento indiziante ai fini del giudizio di prevenzione, si e' sostenuto che il giudice in tale sede puo' valutare autonomamente anche i fatti oggetto di un procedimento archiviato (Sez. 6, n. 49750 del 04/07/2019, Rv. 277438). La regola di giudizio che governa l'archiviazione, invero, rende ragione dell'irriducibile diversita' del "contenuto cognitivo" associabile ad una sentenza assolutoria. E' appena il caso di aggiungere che lo stesso giudice penale, come ha sottolineato il decreto impugnato, ha ritenuto non incompatibili alla ricostruzione delle fittizie intestazioni in capo a (OMISSIS) e agli altri concorrenti nel reato le disposte archiviazioni nei confronti dei terzi formali intestatari dei beni, anche in considerazione del rilevante arricchimento del quadro probatorio in sede dibattimentale (in tal senso cfr. sentenza penale di primo grado, pag. 1243). 6. Altra questione comune e' quella della prova della disponibilita' indiretta dei beni in capo al soggetto proposto. Tema che si ricollega anch'esso a quanto esaminato al paragrafo 4 del considerato in diritto. Come hanno chiarito le Sezioni Unite (da Sez. U, n. 12621 del 22/12/2016, dep. 2017, De Angelis), fuori dei casi di operativita' delle presunzioni di fittizieta' previste dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 26, comma 2, "occorre provare l'esistenza di situazioni che avallino concretamente l'ipotesi del carattere puramente formale dell'intestazione e, corrispondentemente, del permanere della disponibilita' dei beni nella effettiva ed autonoma disponibilita' di fatto del proposto". Tale disponibilita' in capo al soggetto indiziato di pericolosita' non e' riconducibile, secondo una pacifica linea interpretativa (ex plurimis, Sez. 2, n. 35628 del 23/06/2004, Rv. 229726; Sez. 2, n. 6977 del 09/02/2011, Rv. 249364), esclusivamente alla presenza di una relazione materiale o naturalistica, ma "va rigorosamente accertata con riferimento a tutte le situazioni nelle quali l'utilizzo dei beni, pur formalmente schermato attraverso l'interposizione di un terzo, ricade nella sfera degli interessi economici o comunque nella signoria di fatto del proposto, che ne risulti essere l'effettivo dominus, potendone determinare la destinazione o l'impiego". In tal senso, come hanno rammentato le Sezioni Unite, nel novero delle situazioni concretamente rilevanti ai fini dell'individuazione del carattere puramente formale dell'intestazione possono farsi rientrare le circostanze e gli elementi indiziari piu' diversi: le relazioni familiari e di convivenza, rapporti di tipo affettivo, lavorativo e di collaborazione, la intromissione del proposto nella gestione del bene, la incapacita' del terzo, sotto il profilo economico, di acquisirne la titolarita', specie nell'ipotesi in cui il terzo intestatario non alleghi circostanze idonee a prospettare una diversa configurazione del rapporto, o una diversa provenienza delle risorse necessarie all'acquisto del bene. Si tratta di indizi pregnanti, la cui valorizzazione all'interno del procedimento di prevenzione patrimoniale e' ritenuta particolarmente opportuna poiche' essi, specie se esaminati unitariamente, contribuiscono a formare la prova necessaria per la individuazione del reale dominus dell'operazione e la conseguente adozione del provvedimento ablativo. Siffatto modus procedendi, hanno precisato le Sezioni Unite nella sentenza (OMISSIS), e' perfettamente compatibile, del resto, con i principi che regolano la distribuzione dell'onere della prova, giacche' non si tratta di addossare al terzo, sia esso estraneo ovvero legato da un rapporto di parentela, l'onere di provare la corrispondenza fra titolarita' formale ed effettiva, ma di valorizzare gli elementi indiziari legittimamente acquisiti per risolvere le problematiche connesse all'accertamento della disponibilita' indiretta. Quindi la prova indiziaria - che deve essere connotata dai requisiti della gravita', della precisione e della concordanza - dell'assunto del superamento della coincidenza tra titolarita' apparente e disponibilita' effettiva dei beni stessi, puo' fondarsi su una serie variegata di fatti dimostrativi, che non sempre sono superabili da parte del terzo con la sola allegazione della piena capacita' patrimoniale per sostenere gli acquisti patrimoniali corrispondenti ai beni confiscati. Nel caso in esame, la peculiarita' della prova indiziaria posta a fondamento della confisca nei confronti dei terzi rispetto ai piu' frequenti procedimenti di prevenzione stava nel fatto che essa e' stata tratta dai giudici della prevenzione non a mezzo di dati sintomatici, semmai in taluni casi di valore confermativo, ma dal materiale probatorio derivante dal processo penale e utilizzato in quella sede proprio per la dimostrazione delle intestazioni fittizie di una serie di beni ad opera di (OMISSIS). Elementi costituiti da dichiarazioni di collaboratori di giustizia, intercettazioni di conversazioni, indagini di polizia giudiziaria e produzioni documentali. Va in particolare evidenziato - con riferimento ai ricorsi che hanno in questa sede sollevato il tema della prova della disponibilita' dei beni confiscati da parte di (OMISSIS) - che la Corte di appello a pag. 42 del decreto impugnato ha rilevato che solo alcuni appellanti, estranei alla cerchia degli "stretti familiari", avevano affrontato nei gravami tale questione (per quel che qui interessa, il solo (OMISSIS)). Deve aggiungersi -per delineare i principi che presiedono alla valutazione di legittimita'- che nel caso dei terzi intestatari la sfera di legittimazione e di interesse e' correlata non all'intera gamma dei presupposti della confisca di prevenzione, rispetto ai quali solo il proposto puo' funditus interloquire, ma all'elemento dal quale discende il loro coinvolgimento, cioe' la configurabilita' della disponibilita' indiretta in capo al proposto (Sez. 5, n. 333 del 20/11/2020, dep. 2021, Rv. 280249; Sez. 6, n. 7469 del 04/06/2019, Rv. 278454; Sez. 2, n. 31549 del 06/06/2019, Rv. 277225). Nel contempo, va rimarcato come con riguardo ai terzi la sproporzione reddituale assuma non tanto il significato di presupposto della misura ablativa, bensi' di indice sintomatico della disponibilita' indiretta in capo al proposto, la stessa assumendo peraltro un valore neutro, allorche' tale disponibilita' sia altrimenti desumibile e si correli alla provenienza illecita dei beni, alla luce della ricognizione degli elementi di fatto, spettante al giudice di merito. 7. Sulla base di quanto premesso, possono essere affrontati i singoli ricorsi. Come sara' precisato nella trattazione delle impugnazioni, nessuno dei ricorsi proposti merita accoglimento, risultando alcuni di essi privi di fondamento, mentre i restanti non superano la soglia della ammissibilita'. 8. Inammissibili sono i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS), in quanto entrambi hanno fatto pervenire atto di rinuncia all'impugnazione. Attesa la regolarita' formale della rinuncia, in quanto sottoscritta dai ricorrenti con firma autenticata dal difensore, i ricorsi devono dichiararsi inammissibili ex articolo 591, comma 1, lettera d) c.p.p., con conseguente condanna di ciascuno al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 9. Inammissibile e' anche il ricorso di (OMISSIS), in quanto propone censure manifestamente infondate e aspecifiche. La ricorrente e' destinataria della statuizione di confisca di quote di partecipazione in societa' ritenute nella disponibilita' di (OMISSIS) e non e' stata parte del procedimento penale. 9.1. Va osservato preliminarmente che la Corte di appello ha correttamente valutato la rilevanza non ostativa dell'archiviazione della posizione della ricorrente. Secondo quanto esposto dalla Corte di appello, il decreto di archiviazione, pur riconoscendo che lei non aveva acquistato personalmente i beni a lei intestati, aveva ritenuto carente la prova del necessario dolo specifico del reato. Le diverse argomentazioni sul punto svolte dalla difesa appaiono generiche, atteso viepiu' che anche in sede penale (in tal senso riporta il decreto impugnato ao' pag. 69) per affermare la fittizieta' di quelle intestazioni era stato rilevato che non esisteva "alcuna incompatibilita' tra il decreto di archiviazione emesso nei confronti di... (OMISSIS)..e la sentenza impugnata, considerato che il quadro probatorio a carico degli imputati risulta notevolmente arricchito a seguito dell'istruttoria dibattimentale svolta nel corso del giudizio di primo grado". 9.2. In ordine al rilievo dato dalla Corte territoriale a quanto risultava accertato in via definitiva in sede penale con riferimento ai beni alla stessa intestati, le critiche difensive sono aspecifiche. In primo luogo, la ricorrente non si confronta con il ragionamento giustificativo che aveva portato in primo grado il Tribunale a decretare la confisca in relazione ai beni alla stessa intestati: per dimostrare la fittizia intestazione erano stati valorizzati sia la figura del marito della ricorrente, (OMISSIS), soggetto fiduciario di (OMISSIS) e (OMISSIS) e impegnato nella gestione degli investimenti del "gruppo" nei settori della ristorazione e della torrefazione del caffe', che costituivano due dei tre settori di maggiore interesse dei proposti; sia la circostanza che i (OMISSIS) si avvalessero di altro fiduciario, (OMISSIS), in analoghe operazioni nei vari settori di interesse dei proposti, ricorrendo anche in tal caso ad una stretta commistione dei loro piu' stretti familiari nella gestione delle aziende (cosi' per le mogli del (OMISSIS) e del (OMISSIS), cosi' per la sorella del (OMISSIS)); sia le ammissioni fatte da (OMISSIS) quanto ai rapporti con i (OMISSIS) e agli acquisti fatti "personalmente" insieme al (OMISSIS) di aziende (come (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), peraltro intestate formalmente ad altri soggetti, quali la moglie del (OMISSIS), parenti del (OMISSIS) e la stessa moglie di quest'ultimo, in alcuni casi figurante come amministratore unico) e talvolta cedute (come (OMISSIS)) a (OMISSIS) "con l'impegno morale" di seguirne la gestione; i profondi legami tra le aziende e societa', di cui la ricorrente era titolare o partecipe, con i proposti (il Tribunale aveva ricostruito i collegamenti delle societa' costituite e partecipate dalla ricorrente con la societa' (OMISSIS), della quale (OMISSIS) era certamente il dominus, che si riflettevano sulle societa' che da questa erano derivate, dimostrando come tutte queste aziende fossero tra loro collegate, formando una sorta di "scatola cinese"). Proprio questi legami venivano a costituire per il Tribunale la principale prova della effettiva titolarita' dei beni confiscati, ancor prima della sproporzione tra i redditi dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) e i loro investimenti effettuati. Questa lettura delle emergenze indiziarie in sede di prevenzione aveva ricevuto conferma dall'esito dell'accertamento penale in via definitiva: da un lato era stato accertato il ruolo strategico rivestito dal (OMISSIS) (quest'ultimo era stato condannato con (OMISSIS) per la partecipazione all'associazione finalizzata al reimpiego di capitali illeciti nel settore della ristorazione) e dall'altro le societa' oggetto di confisca erano state ritenute fittiziamente intestate da (OMISSIS) nell'ambito del programma associativo portato avanti con il (OMISSIS) e acquistate con provvista di provenienza illecita. Quanto alla estensione di tale accertamento alla ricorrente, il ricorso non considera in primo luogo che il coniuge (OMISSIS) in sede penale ha presentato istanza di revoca della confisca anche dei beni intestati alla ricorrente (sostanzialmente in tal modo rivendicandone la titolarita'). Sotto altro verso la ricorrente ancora in questa sede reitera argomenti difensivi gia' esaminati in sede penale (la capacita' patrimoniale, la congruita' degli acquisti rispetto alle capacita' finanziarie all'epoca, la mancanza di prova dell'immissione di capitali illeciti) e in quella sede ritenuti non dirimenti rispetto alle acquisizioni probatorie e che in ogni caso non si correlano con il percorso giustificativo che aveva portato il primo giudice - sulla base delle stesse evidenze utilizzate dal giudice penale - a ravvisare la fittizia intestazione. In tale prospettiva, appare aspecifica la censura difensiva quanto all'elusione da parte della Corte di appello delle questioni sollevate con l'appello (a pag. 69 la Corte di appello le definisce invero irrilevanti rispetto alla ricostruzione fattuale accertata in sede penale). Quanto all'oggetto dell'accertamento penale, i Giudici in quella sede non avevano limitato il ruolo del (OMISSIS) a quello di gestore di societa' riconducibili al (OMISSIS), ma avevano anche evidenziato come lo stesso si fosse prestato per conto di quest'ultimo a intestarle fittiziamente e farle amministrare dalla moglie (quella che la Corte di appello in sede penale, a pag. 562 della sentenza di secondo grado, definisce "la gestione (OMISSIS)- (OMISSIS)", con rifermento a molteplici societa' riferibili al (OMISSIS), ovvero un "sistema" collaudato e rodato nel quale le singole intestazioni divenivano seriali e continuative, come aveva accertato gia' il Tribunale a pag. 1546 della sentenza di primo grado). Tant'e' che le societa' confiscate alla ricorrente sono annoverate quale oggetto dei reati-fine ex L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinques dell'associazione costituita da (OMISSIS) e dal (OMISSIS). Il fatto che in sede penale non siano state direttamente esaminate le vicende della (OMISSIS) e della (OMISSIS) (le societa' oggetto della presente confisca) non elide la rilevanza del giudicato penale. Invero la questione appare in primo luogo aspecifica, posto che i giudici penali con riferimento a "tutte le societa' di cui al capo 100)" (e quindi anche alla (OMISSIS)) avevano accertato il ruolo attivo in esse svolto dall'alter ego di (OMISSIS), (OMISSIS), e segnatamente anche in quelle gestite per il tramite del (OMISSIS), mentre per la (OMISSIS) la fittizieta' della intestazione era stata accertata proprio per la presenza nella compagine sociale della ricorrente, moglie del fiduciario (OMISSIS). In secondo luogo, la questione non risulta neppure dirimente alla luce dell'accertato "sistema" di fittizie intestazioni: i giudici penali avevamo infatti valorizzato le modalita' con le quali la serie indeterminata di intestazioni fittizie era stata realizzata, il coinvolgimento in ognuna di esse delle stesse persone, le modalita' operative di intervento uniformi, gli anni di realizzazione delle condotte delle condotte, quali prove di una strategia ben precisa seguita da (OMISSIS). Non possono trovare infine ingresso in questa sede i rilievi concernenti la tenuta logica del ragionamento giustificativo che non siano di portata tale da rendere la motivazione apparente o inesistente (Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, Rv. 279435). Cosi' la esatta portata dell'imputazione penale riferita al (OMISSIS) (evidentemente quel che era dirimente nella valutazione del giudice della prevenzione era il suo ruolo di stabile fiduciario di (OMISSIS)). 9.3. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 10. Da rigettare, in quanto complessivamente infondato, e' il ricorso di (OMISSIS). Anche la ricorrente e' stata attinta dalla confisca di quote societarie e non ha partecipato al giudizio penale. A differenza della socia (OMISSIS), risultava tuttavia intestataria di quote di un'unica societa', la (OMISSIS), ritenuta uno degli investimenti della holding dei (OMISSIS). Contesta nei medesimi termini della (OMISSIS) (si tratta di atto comune di ricorso) la rilevanza assegnata dalla Corte di appello al giudicato penale e la elusione delle censure avanzate in appello. 10.1. Il ricorso, alla luce delle precisazioni fatte in premessa in ordine a tale comune questione, non puo' essere accolto. La Corte di appello anche per la ricorrente ha ritenuto dirimente l'accertamento definitivo compiuto in sede penale sulla base della medesima piattaforma probatoria in ordine alla intestazione fittizia delle quote della societa' (OMISSIS), rispetto al quale gli argomenti difensivi - basati sulla sola capacita' reddituale a sostenere l'acquisto - si presentavano irrilevanti, in quanto inidonei a confutare quell'accertamento. Il decreto di primo grado aveva fondato la confisca della sua quota della (OMISSIS) anche in tal caso sulle figure dei fiduciari (OMISSIS)- (OMISSIS), impegnati a gestire societa' e imprese per conto di (OMISSIS) (in tal senso si ponevano le captazioni; le stesse ammissioni del (OMISSIS) in sede di interrogatorio - aveva dichiarato che erano "sue" le aziende formalmente intestate alla moglie, come la (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), e che effettivamente "poteva sembrare" che lui dovesse dar conto a (OMISSIS) della gestione delle imprese); sul modus operandi della holding dei (OMISSIS) di intestare le aziende a parenti dei fiduciari (come le varie aziende intestate alla moglie del (OMISSIS), tra le quali significativamente la (OMISSIS), per la quale era certamente provata la riferibilita' al (OMISSIS)) o da ultimo, per meglio schermare gli investimenti, a dipendenti di altre ditte legate ai fiduciari o a parenti meno stretti di questi ultimi (la (OMISSIS) era all'epoca infatti dipendente di (OMISSIS) - nipote del (OMISSIS) e anch'egli impegnato nella holding mafiosa - e parente della moglie del (OMISSIS)); sulle circostanze che la compagine sociale vedeva come socia la moglie del (OMISSIS), che la ricorrente, pur essendo socia di minoranza, era stata investita del ruolo di amministratore (per salvaguardare evidentemente proprio la piu' esposta (OMISSIS)), che dipendente della (OMISSIS) era la moglie del (OMISSIS). A tali elementi, convergenti nella dimostrazione della attribuzione fittizia della titolarita' della societa', il Tribunale aggiungeva, a chiusura, anche la mancanza della provvista necessaria per sostenere non solo l'acquisto delle quote della societa' (alla quale la ricorrente partecipava sin dalla costituzione), ma soprattutto di li' a poco il rilevante esborso per l'acquisto da parte di quest'ultima di un'altra azienda operante nel settore del caffe'. Questi elementi risultavano corroborati in sede di appello dall'accertamento definito condotto in sede penale sulla fittizieta' della intestazione ad opera di (OMISSIS) e sulla partecipazione del (OMISSIS) alla associazione da loro promossa per il reimpiego di capitali illeciti. A fronte di tale quadro probatorio, le censure avanzate dalla difesa per contrastare la valutazione del carattere puramente formale di detta intestazione (basate sulla capacita' reddituale della ricorrente per sostenere l'acquisto) non appaiono dirimenti per scardinare il ragionamento giustificativo posto alla base della disposta confisca, che riposa su elementi fattuali connotati dai requisiti della gravita', precisione e concordanza. Valgono anche per la ricorrente le osservazioni fatte per la posizione di (OMISSIS) in ordine alla (OMISSIS) e al ruolo dei fiduciari. 10.2. Pertanto, il ricorso va rigettato con le conseguenze di legge in tema di spese. 11. Da rigettare e' anche il ricorso di (OMISSIS). Al ricorrente risulta confiscata un'impresa individuale per la gestione di un impianto di distribuzione di carburante con sede in Napoli, anch'essa ritenuta in sede penale (giudizio al quale non ha partecipato) far parte della holding dei (OMISSIS). 11.1. Il primo motivo e' ai limiti dell'inammissibilita' in quanto contesta in termini generici e meramente oppositivi la prova della fittizieta' della intestazione, richiamando come dirimenti le allegazioni difensive. Va rilevato che in primo grado era stata ricostruita la posizione dei tre fratelli (OMISSIS), legati tramite la madre (OMISSIS) da rapporti di parentela con la famiglia (OMISSIS) (la nonna dei (OMISSIS) era sorella del nonno dei (OMISSIS)) e titolari di imprese nel campo della distribuzione del carburante. Il legame con i (OMISSIS) era rivelato da una captazione tra (OMISSIS) e il fratello (OMISSIS), nella quale costoro facevano riferimento a loro impianti di distribuzione di carburanti in zone dove esistevano impianti gestiti dalla famiglia (OMISSIS)- (OMISSIS), nonche' dalla costituzione da parte dei tre fratelli nel 1993 di una societa', la (OMISSIS), che gestiva un impianto di distribuzione successivamente passato nelle mani dei (OMISSIS). Inoltre, la situazione reddituale del (OMISSIS) era tale da non giustificare i costi sostenuti per l'impianto. Questi elementi in sede di appello risultavano corroborati da quanto era stato accertato in sede penale: (OMISSIS), che aveva preso in gestione l'area di servizio della (OMISSIS), era stato ritenuto un mero prestanome degli zii (OMISSIS) e (OMISSIS) e di suo padre (OMISSIS) e utilizzato dagli stessi per la realizzazione dei loro fini illeciti; (OMISSIS) era stato definitivamente condannato per aver promosso una associazione per delinquere finalizzata al reimpiego di capitali illeciti nel settore delle aree di servizio e di distribuzione di carburante (capo 97); era stata incidentalmente accertata, ai fini della prova del reato associativo, la fittizieta' della intestazione della ditta del ricorrente, oggetto di confisca in sede di prevenzione (capo 98); (OMISSIS) era stato in primo grado condannato per la fittizia intestazione al fratello (OMISSIS) della quota della societa' (OMISSIS), operante sempre nel medesimo settore (capo 98), reato dichiarato prescritto in appello. A fronte di tali evidenze che dimostravano sinergicamente la collaborazione nel tempo della famiglia (OMISSIS) con i (OMISSIS), agevolata dal rapporto di parentela, nelle fittizie intestazioni in uno dei settori deputato dai (OMISSIS) al reimpiego di capitali di provenienza illecita, risultavano, secondo la Corte di appello, inidonee le censure volte a sostenere la capacita' reddituale per l'inizio dell'attivita', in quanto non consideravano la spesa necessaria per le fideiussioni, mentre non apparivano convincenti le osservazioni contabili sui flussi di cassa. 11.2. Quanto ora osservato esclude che la Corte di appello abbia offerto una motivazione "apparente" sugli elementi allegati dalla difesa. La Corte di appello ha infatti adeguatamente spiegato perche' l'analisi dei flussi economici condotta dal consulente di parte fosse ininfluente sul piano dimostrativo a giustificare gli esborsi. La censura finisce pertanto per rivelarsi aspecifica. 11.3. In ordine alla perimetrazione della pericolosita' del (OMISSIS), va rilevato che difetta un motivo di appello sul punto. In ogni caso, la perimetrazione della pericolosita' e' ampiamente affrontata dalla Corte di appello con riferimento al ricorso di (OMISSIS) e trovava fondamento nella ricostruzione del suo percorso criminale nel giudicato penale (la' dove venivano fatti risalire agli anni âEuroËœ80 i rapporti di questi con il clan (OMISSIS)). 11.4. Priva di rilevanza e' l'ultima censura sull'oggetto della confisca, in quanto la misura ablativa ha riguardato la ditta individuale e non l'impianto di distribuzione carburanti. 11.5. In conclusione, il ricorso va rigettato con le conseguenze di legge in tema di spese. 12. Inammissibile e' il ricorso di (OMISSIS), in quanto avanza censure generiche e non correlate alla trama argomentativa del decreto impugnato. Il ricorrente e' stato interessato dalla confisca della sua ditta individuale, esercente l'attivita' di bar-tabacchi in (OMISSIS) e non ha partecipato al giudizio penale. 12.1. In merito alla censura concernente la mancata acquisizione in appello della prova nuova, va osservato che la decisivita' della stessa risulta solo labialmente sostenuta dal ricorrente, trattandosi di atto di parte ben compatibile con la ritenuta predisposizione da parte della holding dei (OMISSIS) di un sistema "schermante". In tale prospettiva sono irrilevanti le argomentazioni spese con la memoria presentata in questa sede. 12.2. In ordine all'estensione al ricorrente dell'accertamento penale, va evidenziato che la Corte di appello ha richiamato quanto incidentalmente accertato in via definitiva in sede penale nei confronti di (OMISSIS) per il reato di cui alla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies - dichiarato prescritto - avente ad oggetto la fittizia intestazione della ditta del ricorrente (capo 100). La riconducibilita' di tale impresa a (OMISSIS) si basava sui seguenti elementi: l'esercizio commerciale dello (OMISSIS) aveva la stessa insegna della societa' (OMISSIS), riferita in modo certo al (OMISSIS); le captazioni tra il (OMISSIS) e la moglie del (OMISSIS) (il fiduciario di (OMISSIS)) dimostravano che fosse quest'ultimo ad occuparsi della ditta; in altra captazione (OMISSIS), stretto fiduciario del (OMISSIS), si informava della presenza in (OMISSIS) di suoi inviati; lo (OMISSIS) non aveva la capacita' finanziaria e la forza economica, a soli 20 anni, di rilevare e gestire l'attivita' commerciale, dovendosi quindi considerare un mero prestanome, a cui veniva intestata la stessa per mezzo dell'intervento del (OMISSIS), stabile collaboratore di (OMISSIS). A tali considerazioni e' appena il caso di aggiungere le argomentazioni sviluppate dal decreto impugnato in ordine all'accertamento penale sulla figura di (OMISSIS) e al suo ruolo nella holding (OMISSIS) (di cui si e' detto in precedenza). Quanto accertato in sede penale veniva a saldarsi con le emergenze fattuali valorizzate in primo grado dal giudice della prevenzione per la dimostrazione della fittizieta' della intestazione: il Tribunale aveva richiamato le captazioni che rivelavano il coinvolgimento del (OMISSIS) nella ditta, la dichiarazione resa dal (OMISSIS), in sede di separazione dalla moglie, di collaborare con la madre e il nipote nel bar "di loro proprieta'", la circostanza che il (OMISSIS) utilizzasse l'auto e il cellulare intestati al nipote. Risultava inoltre, secondo il Tribunale, inidonea a contrastare la prova indiziaria l'allegazione difensiva del sovvenzionamento del giovane da parte del marito della nonna: gli assegni asseritamente forniti per pagare una parte del prezzo di acquisto risultavano incassati da soggetti diversi dalla titolare della ditta. In ogni caso la sua situazione reddituale gli impediva anche di sostenere i ratei del prezzo rimanente. A cio' deve aggiungersi che la difesa del ricorrente aveva presentato istanza di revoca della confisca in sede penale (pag, 563 della sentenza penale di appello), che, respinta in grado di appello, veniva coltivata in cassazione dalla difesa di (OMISSIS) (pag. 86 della sentenza di cassazione), cosi' confermando una sua cointeressenza nella gestione. A fronte di tali complessivi elementi, che venivano a comporre la prova indiziaria della fittizieta' della intestazione, la difesa si e' limitata a richiamare in questa sede i motivi di gravame, senza confrontarsi con le acquisizioni di appello, che rendevano evidentemente non piu' pertinenti o rilevanti quelle censure. 12.3. Il ricorrente contesta infine la tenuta logica del ragionamento probatorio del decreto impugnato. Si tratta di motivo non consentito in sede di prevenzione. Sulla rilevanza della archiviazione della sua posizione in sede penale, si e' gia' in detto in premessa. Non puo' inoltre sostenersi che sia stata violata la regola probatoria sulla confisca nei confronti del terzo, non avendo i giudici della prevenzione invertito l'onere della prova, per quanto sopra osservato. 12.4. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 13. Da rigettare e' il ricorso di (OMISSIS). Nei suoi confronti, rimasto terzo rispetto al processo penale, e' stata disposta la confisca di quote di societa' ritenute far parte della holding illecita di (OMISSIS). 13.1. Non puo' essere accolto il motivo sulla utilizzazione da parte della Corte di appello della sentenza definitiva emessa in sede penale, per le ragioni esposte in premessa. Anche relativamente alle societa' le cui quote risultavano formalmente intestate al ricorrente (la (OMISSIS) e la (OMISSIS)), la Corte di appello ha evidenziato come la difesa non avesse introdotto "elementi ulteriori e di segno opposto" a quanto accertato in sede penale. In quella sede in particolare era stato condannato definitivamente (OMISSIS) per il reato di cui all'articolo 12-quinquies L. n. 356 del 1992 (capo 106) riguardante la intestazione fittizia delle suddette societa'. La Corte di appello ha riportato i passaggi della sentenza penale di appello di interesse riguardante l'analisi specifica della riferibilita' delle societa' in questione alla persona di (OMISSIS) (pag. 450 e 451). In particolare, in sede penale era stata valorizzata non solo l'incapienza dei soci, ma significativamente la presenza nella compagine sociale di entrambe le societa' della (OMISSIS), moglie di (OMISSIS), il cui ruolo di longa manus del (OMISSIS) risultava definitivamente accertato in sede penale (capo 99). Su tale accertamento si e' gia' detto nell'esaminare il ricorso della (OMISSIS). Questi elementi si saldavano in definitiva con gli elementi indiziari gia' esposti in primo grado, rafforzandone la tenuta indiziaria: il Tribunale, oltre all'analisi della capienza reddituale del ricorrente e degli altri soci, aveva richiamato per entrambe le societa' la ricostruzione operata nei confronti della (OMISSIS) sia in merito alle figure dei fiduciari (OMISSIS) e (OMISSIS) sia sui rapporti di stretto collegamento tra le societa' dalla stessa partecipate e quelle sicuramente riferibili a (OMISSIS). In particolare, anche per le societa' relative al ricorrente, il Tribunale aveva evidenziato il collegamento (definito un sistema di "scatole cinesi") tra le societa' (OMISSIS) e (OMISSIS) (il cui ramo di azienda della torrefazione era stato acquistato dalla prima qualche mese dopo l'ingresso nella compagine sociale del ricorrente) con la societa' (OMISSIS), il cui vero dominus era (OMISSIS) (tutti i beni della (OMISSIS) erano stati trasferiti alla (OMISSIS), a dimostrazione della continuita' tra le due aziende) come anche la circostanza che la (OMISSIS) avesse la sua sede presso i locali della (OMISSIS). Rispetto a queste complessive emergenze che convergevano nella dimostrazione della fittizieta' delle intestazioni societarie, la difesa, secondo la Corte di appello, non aveva introdotto elementi idonei a confutare quanto emerso in sede penale. Pertanto, anche per il ricorrente non vi e' stata violazione del contraddittorio, per quanto si e' argomentato in premessa, vieppiu' considerando anche la circostanza che le sue societa' sono state confiscate in sede penale (epilogo che il ricorrente sembra non escludere e che gli consentiva gia' una piena tutela della sua posizione attraverso il rimedio dell'incidente di esecuzione). Neppure l'utilizzazione della sentenza penale doveva sottostare alle regole probatorie articolo 238-bis c.p.p., in ragione del diverso statuto probatorio applicabile alla circolazione delle sentenze nel giudizio di prevenzione. Quanto poi all'estensione della confisca rispetto all'accertamento penale, si tratta di questione che risulta assorbita dalla ricostruzione della fittizieta' della intestazione societaria nei termini sopra indicati. Ne' potevano rilevare, per le ragioni in via generale gia' illustrate, i provvedimenti favorevoli assunti nei confronti del ricorrente nel corso delle indagini preliminari. 13.2. In ordine alla rilevanza delle censure ruotanti sulla dimostrazione della sua incapienza ad affrontare gli acquisti delle quote societarie - che la Corte di appello ha definito ultronee rispetto al ragionamento giustificativo che sorregge la confisca - la difesa non ne dimostra la portata disarticolante. Neppure possono trovare ingresso le critiche sulla tenuta logica della motivazione quanto alla prova indiziaria della fittizieta' delle intestazioni, non ricorrendo ictu oculi vizi tali da far apparire il percorso giustificativo seguito dai giudici di merito affetto da illogicita' tanto radicali da farlo risultare apparente. 13.3. Il ricorso va pertanto rigettato con le conseguenze di legge in tema di spese. 14. Inammissibile e' il ricorso di (OMISSIS) cl. (OMISSIS). Il ricorrente, figlio del proposto (OMISSIS), e' stato interessato dalla confisca di quote di due societa', che gestivano servizi bar e di distribuzione carburante in un'area di servizio in comune di (OMISSIS) sull'autostrada A1, della ditta individuale, operante nel medesimo settore sempre in (OMISSIS) sull'autostrada A1, nonche' di immobili siti in (OMISSIS). Non e' stato parte del procedimento penale. 14.1. Quanto alle censure con cui contesta la elusione da parte della Corte di appello delle censure difensive, il ricorrente non si confronta con i motivi di appello sollevati, limitati, come si evince sia dalla sintesi a pag. 5 del decreto impugnato sia dalle pagg. 32-34 dell'atto comune presentato dal "gruppo (OMISSIS)", a due soli profili: la provenienza lecita della provvista utilizzata per l'acquisto dei beni confiscati; la idoneita' delle prove fornite in ordine alla vincita al gioco. La difesa non aveva contestato la disponibilita' dei beni confiscati in capo al padre proposto. Quanto alla censura volta a contestare il ricorso da parte della Corte di appello ad una motivazione che replicava le argomentazioni del primo giudice, il ricorrente non si correla con la premessa fatta dalla Corte di appello a pag. 41 del decreto impugnato in ordine alla ripetitivita' delle questioni sollevate dalle difese, che giustificava il ricorso alla motivazione per relationem (tra tante, Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014, Rv. 259929). Inoltre, il ricorso appare del tutto silente sul nucleo centrale del percorso argomentativo seguito dalla Corte di appello in ordine alla dimostrazione della fittizieta' della intestazione dei beni del ricorrente e dell'impiego di provviste illecite per il loro acquisto, sulla base di quanto accertato in sede penale nei confronti di (OMISSIS). In particolare, a riscontro della captazione in cui il ricorrente aveva confessato nei 2006 la sua incapacita' economica ed imprenditoriale, la Corte di appello ha richiamato l'incidentale accertamento definitivo in ordine alla fittizia intestazione delle due societa' ad opera del (OMISSIS) (capo 98), nell'ambito del reato associativo per il quale era stato condannato, avente ad oggetto proprio l'attivita' di reimpiego di capitali di provenienza illecita nel settore del rifornimento di carburanti. La Corte di appello ha in ogni caso esaminato la versione difensiva nei termini indicati dall'appello. In particolare, per quel che rileva rispetto ai motivi di ricorso, la Corte di appello, in ordine all'impiego della lecita provvista proveniente dalla madre, (OMISSIS), ha evidenziato come tale tesi avesse trovato anch'essa smentita negli accertamenti condotti in sede penale (che vedeva la (OMISSIS) imputata per il reato di cui alla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies per l'intestazione fittizia di altra societa' operante nel medesimo settore, con prescrizione dichiarata in appello): la (OMISSIS) era stata ritenuta l'ennesimo prestanome utilizzato dal marito (OMISSIS) per schermare la sua persona e gli interessi del clan (OMISSIS), sin dall'acquisto della ICP alla fine degli anni âEuroËœ90 (epoca nella quale i coniugi risultavano avere redditi modestissimi). Quindi in ragione della origine illecita delle eventuali disponibilita' in capo alla (OMISSIS) nel 2006 (epoca dell'acquisto da parte del figlio), la Corte di appello ha ritenuto non liberatoria la versione fornita dal ricorrente. La stessa sorte era stata assegnata dalla Corte di appello alla tesi sulla liceita' della provvista impiegata per l'acquisto degli immobili nel 2011. Anche le somme impiegate per far fronte al mutuo bancario alla luce delle emergenze processuali avevano una origine illecita, anche considerando le attivita' economiche avviate dal (OMISSIS) in quell'anno, anch'esse non giustificate da leciti investimenti iniziali. Rispetto a tali argomentazioni, il ricorrente introduce aspetti di merito (entita' dell'investimento per l'acquisto e avvio delle due societa') neppure sollevati con l'appello e comunque non correlati con il ragionamento giustificativo seguito dalla Corte di appello. 14.2. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 15. Inammissibile e' anche il ricorso di (OMISSIS). La ricorrente, sorella dei proposti (OMISSIS) e (OMISSIS), ha subito la confisca di un immobile sito in Napoli, (OMISSIS), del quale lei e il marito (OMISSIS) risultavano usufruttuari dal 2010, dopo averne acquistato la proprieta' nel 2003. Non ha partecipato al procedimento penale. 15.1. Va premesso che la Corte di appello ha rilevato come la ricorrente avesse soltanto contestato il ragionamento del Tribunale in ordine alla valutazione dell'accensione del mutuo bancario per l'acquisto dell'immobile, sostenendo nell'appello trattarsi di una spesa da posticipare al momento del pagamento dei ratei del mutuo (pag. 56 del decreto impugnato). Sintesi dei motivi di appello che la ricorrente non ha contestato in questa sede. Rispetto a tali censure, i motivi di ricorso si rivelano non consentiti (in quanto relativi a questioni non dedotte con il gravame, come i punti della disponibilita' del bene confiscato in capo al proposto, della perimetrazione cronologica della confisca e della ricostruzione della sua capacita' reddituale) o manifestamente infondati. In particolare, quanto ai motivi non consentiti, perche' non dedotti con il gravame, va osservato che la stessa Corte di appello aveva rilevato come il tema della disponibilita' fosse stato sollevato soltanto da alcuni appellanti (tra i quali non figurava la ricorrente). Quindi la censura e' vieppiu' anche aspecifica. Anche il tema della perimetrazione cronologica della confisca, oltre che non dedotto in appello, e' sollevato in ogni caso in termini generici rispetto all'epoca degli esborsi per il mutuo, collocati dal primo giudice tra il 2004 e il 2010, epoca in cui la Corte di appello ha dimostrato la pericolosita' qualificata di (OMISSIS) (pag. 36 del decreto impugnato). In ordine alle modalita' della valutazione di incapienza della ricorrente, la Corte di appello ha richiamato l'orientamento di legittimita' in tema di misure di prevenzione patrimoniali, secondo cui l'allegazione difensiva in ordine alla legittima provenienza dei beni non puo' limitarsi alla mera indicazione della esistenza di una provvista sufficiente per concludere il negozio di acquisto degli stessi, dovendo invece indicarsi gli elementi fattuali dai quali il giudice possa dedurre che il bene non sia stato acquistato con i proventi di attivita' illecita, ovvero ricorrendo ad esborsi non incompatibili con la capacita' reddituale, in tale prospettiva essendosi ritenuto che l'acquisto di un immobile mediante l'accensione di un mutuo non costituisca dimostrazione della legittima provenienza della provvista, dovendosi fornire la prova della disponibilita' di risorse lecite e sufficienti a sostenere il pagamento delle rate mensili (Sez. 6, n. 21347 del 10/04/2018, Rv. 273388). Va invero rimarcato che il primo giudice aveva evidenziato l'incapienza patrimoniale anche in relazione al pagamento dei ratei di mutuo e sul punto nulla aveva dedotto in senso contrario la ricorrente con l'appello. 15.2. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 16. Inammissibili sono i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) cl. (OMISSIS). I ricorrenti sono rispettivamente il fratello dei proposti (OMISSIS) e (OMISSIS), la moglie di (OMISSIS) e il figlio di costoro. 16.1. Quanto al ricorso di (OMISSIS), va rilevato che l'atto di appello, pur indicando la ricorrente tra i soggetti impugnanti (cfr. pag. 1), di fatto non ha declinato alcuna censura specifica relativamente alla sua posizione (sulla nozione di specificita' dei motivi di appello, cfr. Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822). Quindi l'appello era inammissibile e pertanto resta preclusa in questa sede la facolta' di impugnazione per censurare il contenuto del decreto in esame. 16.2. Relativamente ad (OMISSIS) va premesso che il ricorrente e' stato giudicato nel procedimento penale piu' volte citato, nel quale e' stato condannato in via definitiva per la partecipazione, aggravata dall'agevolazione mafiosa, all'associazione promossa e diretta da (OMISSIS) al fine del rimpiego di capitali di illecita provenienza nel settore della gestione di impianti stradali di distribuzione di carburante e annesse aree di ristoro e di attribuzione fittizia di valori (capo 97), e' stato prosciolto per prescrizione per i reati di intestazione fittizia di beni, nella fase di merito per i capi 98) e 105) e nel giudizio di cassazione per il capo 106). La difesa sostiene che la Corte di appello non abbia dato risposta ad una serie di questioni sollevate con l'appello e con le memorie, con le quali erano state segnalate una serie di incongruenze e violazioni del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24. La difesa non ha peraltro contestato la sintesi dei motivi di appello come esposta dalla Corte di appello a pagg. 7-8 e a pag. 54 del decreto impugnato. I motivi di impugnazione avevano ad oggetto soltanto gli acquisti dell'appartamento di (OMISSIS) (peraltro divenuto di proprieta' del fratello (OMISSIS) nel 1984), e del terreno in Volla (quanto alla valenza del mutuo bancario), nonche' le garanzie delle fideiussioni (non risultando dimostrato cosa sia stato posto in garanzia). Ebbene, a fronte di queste specifiche censure (per il resto l'atto di appello, relativo a 17 posizioni, declinava, oltre a specifiche critiche per i vari appellanti, generiche censure per nulla correlate alle argomentazioni del decreto di primo grado in ordine alle posizioni dei singoli appellanti), non era consentito al ricorrente di ampliare l'ambito del devoluto attraverso il deposito di memorie, riferibili a temi rientranti nell'esame compiuto dal Tribunale. Va rammentato che, in virtu' del combinato disposto dell'articolo 10, comma 4, Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 27, comma 2, e articolo 680 c.p.p., comma 3, la disciplina delle impugnazioni che trova applicazione in materia di confisca di prevenzione e' quella, di regola, delle disposizioni generali sulle impugnazioni (cfr. Sez. 1, n. 8644 del 10/02/2009, Rv. 242889), tra le quali, appunto, l'articolo 597 c.p.p., comma 1, che limita la cognizione del giudice di secondo grado ai soli punti devoluti con il gravame (Sez. 6, n. 51366 del 17/05/2018, in motivazione) e l'articolo 581 c.p.p. che impone il requisito di specificita' dei motivi. Ma anche a voler considerare le memorie quali motivi nuovi di cui all'articolo 585 c.p.p., comma 4, in ogni caso sussisteva l'obbligo per il giudice di appello di procedere alla loro valutazione solo se ed in quanto il contenuto delle stesse fosse in relazione con le questioni devolute con l'impugnazione (Sez. 2, n. 36118 del 26/06/2019, Rv. 277076; Sez. 2, n. 15940 del 19/02/2016, Rv. 266668). I motivi nuovi devono infatti avere ad oggetto, a pena di inammissibilita', i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell'originario atto di gravame. Nella specie le questioni introdotte con le memorie, come esposte dal ricorrente, riguardavano punti non attinti dall'appello principale (la omessa motivazione sulla disponibilita' in capo al proposto (OMISSIS) dei beni confiscati; la valutazione in ordine alla sproporzione e alla ragionevolezza temporale della prognosi di illecita derivazione dei beni acquistati). Punti che l'appello principale avrebbe dovuto sviluppare con specifici motivi (sulla nozione di specificita' dell'appello, cfr. Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822; sulla non sanabilita' dell'appello generico con motivi aggiunti, tra tante, Sez. 2, n. 34216 del 29/04/2014, Rv. 260851). Esaminato pertanto il ricorso nei limiti dei punti devoluti con l'appello, le censure del ricorrente si limitano a generiche argomentazioni che non superano la soglia dell'ammissibilita', avendo la Corte di appello fornito una risposta adeguata e priva di vizi sussumibili nella violazione di legge. Quanto all'immobile di (OMISSIS), la Corte di appello ha ritenuto l'appello privo di interesse, in quanto il ricorrente aveva ceduto la sua quota al fratello (OMISSIS). In ogni caso, la questione di fondo (la capacita' reddituale dei genitori a sostenere l'acquisto) non risulta omessa dalla Corte di appello, in quanto affrontata per il fratello (OMISSIS) a pag. 45 del decreto impugnato (la Corte di appello infatti fa espresso rinvio a tale parte). Per il terreno di (OMISSIS), la Corte di appello ha affrontato il tema proposto dal comune difensore per la posizione di (OMISSIS) (quanto alla rilevanza del mutuo), al quale si rinvia per evitare inutili ripetizioni. Relativamente al tema delle fideiussioni, la Corte di appello ha ritenuto generica e irrilevante la questione sollevata dalla difesa, posto che il dato significativo era costituito dal ricorso reiterato alla garanzia per importi elevati sin dal 1997, anno nel quale il ricorrente non percepiva redditi, e per attivita' rientranti nel settore della gestione di impianti stradali di distribuzione di carburante indicati nel capo 98) e costituenti l'oggetto dell'associazione di cui al capo 97) per la quale era stato irrevocabilmente condannato. Quindi la solidita' che giustificava l'erogazione delle fideiussioni doveva ritenersi riferita al colosso economico costituito dal fratello (OMISSIS), che gestiva il patrimonio dei (OMISSIS). E' evidente che tale risposta non abbia invertito l'onere della prova, quanto alla natura delle garanzie: la Corte di appello ha soltanto rilevato che tale nodo poteva era sciolto dal ricorrente ma che la questione risultava in ogni caso superata dalle osservazioni sopra riportate. Sul valore del giudicato penale si e' gia' detto in premessa, tenuto conto che il ricorrente e' stato parte di quel procedimento. Quanto all'annullamento delle confische in sede penale, e' appena il caso di rilevare che la Corte di cassazione ha censurato il vuoto motivazionale della sentenza di merito, la' dove non era stato chiarito in primo luogo il titolo della misura ablativa e quindi il regime normativo applicabile, che veniva a differire a seconda della tipologia di confisca applicata. Considerazioni, che in ragione del diverso quadro normativo operante in sede di prevenzione reale, non possono essere ritenute ostative all'applicazione della confisca nei confronti del ricorrente. La ragionevolezza temporale degli acquisti dei cespiti oggetto di ablazione rispetto alle condotte illecite, richiesta dall'articolo 12-sexies L. 356 del 1992, oggi articolo 240-bis c.p., richiamata dal ricorrente evidentemente non ha nulla a che fare con la perimetrazione cronologica degli acquisti richiesta dalla normativa di prevenzione, che va riferita al diverso indice della pericolosita' del proposto. 16.3. Stessa sorte va assegnata al ricorso di (OMISSIS), cl. (OMISSIS). Il ricorrente e' stato giudicato nel procedimento penale, nel quale, dopo la condanna di primo grado per il reato di intestazione fittizia di beni di cui al capo 106), veniva assolto in appello per difetto di dolo. Anche per la sua posizione, la comune difesa sostiene che la Corte di appello non abbia dato risposta ad una serie di questioni sollevate con l'appello e con le memorie, con le quali erano state segnalate una serie di incongruenze e violazioni del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24. Valgono anche per il presente ricorrente le osservazioni fatte per il padre (OMISSIS), posto che il suo atto di appello principale, facente parte di quello cumulativo presentato dal gruppo dei (OMISSIS), si limitava a contestare in forma specifica soltanto un tema (cfr. la sintesi alle pag. 9 e 55 del decreto impugnato, non contestata dalla difesa), ovvero la mancata considerazione, ai fini della provvista utilizzata per i suoi investimenti, dei redditi dei genitori che tra il 2010 e 2011 erano ampiamente sufficienti a finanziarli. La difesa critica la risposta data dalla Corte di appello a tale questione, sostenendo anche in tal caso la elusione di una serie di profili sollevati con le memorie, profili che, peraltro, parimenti riguardano punti non attinti in modo specifico dal gravame principale. Cosi' delimitato l'ambito del ricorso, va rilevato che la motivazione offerta dalla Corte di appello alla tesi difensiva circa la provenienza dei redditi impiegati negli acquisti del ricorrente non presenta alcun vizio rilevabile in questa sede. La Corte di appello ha infatti osservato come il Tribunale avesse ricostruito la genesi illecita dei redditi dei genitori del ricorrente. Dal decreto di primo grado si evince infatti che costoro sin dagli anni âEuroËœ80 (nei quali avevano redditi minimi) avevano dato inizio ad una serie di investimenti immobiliari e societari, tra i quali la costituzione della Dicar nel 1997, a compagine familiare (soci erano i fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS) con la moglie del fratello (OMISSIS)), operante nel settore della distribuzione di carburanti, e di seguito di altre societa' sempre operanti nel medesimo settore, nella cui compagine sociale figurava sempre la moglie del fratello (OMISSIS). Ebbene, la Corte di appello ha rilevato come questa ricostruzione non fosse stata contestata da entrambi i genitori (come, d'altra parte, si e' avuto modo di osservare nei paragrafi precedenti) e che pertanto venisse in definitiva in esame soltanto il ragionamento in ordine alla natura dell'investimento fatto con proventi illeciti. Si tratta di conclusione che la comune difesa in questa sede ha cercato di attaccare, da un lato "recuperando" quanto allegato dai genitori ricorrenti con le memorie in sede di appello, dall'altro sostenendo che il terzo possa attaccare tutti i presupposti di applicabilita' della confisca in capo al proposto. Si tratta di argomenti inammissibili sotto entrambi gli aspetti. Sul primo si e' gia' detto. Quanto al secondo, ferma restando l'infondatezza della tesi giuridica sostenuta dalla difesa alla luce del costante orientamento di legittimita' in materia di prevenzione (vedi retro al punto 6), l'appello del presente ricorrente non conteneva alcuna specifica contestazione circa la genesi lecita della provvista a lui fornita dai genitori per gli acquisti societari (acquisti che riguardavano tra l'altro una quota di una delle societa' di cui si e' detto in precedenza, che vedeva come soci il padre e la moglie dello zio (OMISSIS), e la costituzione insieme ai figli degli zii (OMISSIS) e (OMISSIS) di una societa' operante nel settore della somministrazione di bevande e alimentari). 16.4. Alla luce di quanto premesso, i ricorsi devono dichiararsi inammissibili, con conseguente condanna di ciascuno al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 17. Inammissibile e' anche il ricorso di (OMISSIS). La ricorrente e' destinataria di confisca ed e' parte della famiglia dei (OMISSIS) (e' la moglie di (OMISSIS) cl. (OMISSIS), figlio del proposto (OMISSIS)). Non e' stata parte al procedimento penale. In questa sede contesta il ragionamento probatorio della Corte di appello, posto che quale terza interessata aveva fornito la indicazione della fonte (il padre) della provvista impiegata per l'acquisto della quota societaria della (OMISSIS). 17.1. Il ricorso e' aspecifico. Come si e' detto in premessa, la prova della fittizia intestazione in capo ad un terzo, non facente parte degli stretti parenti del proposto, di beni nella disponibilita' del proposto puo' essere fornita attraverso le piu' variegate circostanze, purche' si tratti di indizi dotati dei caratteri di serieta', gravita' e concordanza di cui all'articolo 192 c.p.p.. Nel caso in esame, la ricorrente non si confronta con la prova indiziaria sulla quale sin dal primo grado era stata ravvisata la sua interposizione fittizia. Era stata evidenziata la vicinanza della ricorrente agli affari di (OMISSIS) sin dal 2006, epoca in cui entrava a far parte, pur senza reddito, di una societa' con (OMISSIS), ritenuto fiduciario di (OMISSIS) e (OMISSIS) in vari investimenti della holding (OMISSIS). Dato rilevante di questa partecipazione era l'acquisto da parte di questa societa' nel 2007 della (OMISSIS), facente capo ai (OMISSIS) (come, tra l'altro, dimostravano le intercettazioni). Tale societa' non era sottoposta a confisca sol perche' inattiva dal 2013. E' in questo contesto che nel 2011 la ricorrente costituisce con la quota del 40% la (OMISSIS), esercente attivita' di ristorazione in un'area di servizio, in precedenza gestita da (OMISSIS), che vedeva come altri soci (OMISSIS) (figlio di (OMISSIS), sorella di (OMISSIS)) e (OMISSIS), cl. (OMISSIS) (figlio di (OMISSIS), fratello di (OMISSIS)). Il Tribunale aveva ricostruito la situazione reddituale anche di questi ultimi, constatando la mancanza di redditi sufficienti ( (OMISSIS)) o leciti ( (OMISSIS)). Rispetto a tale ricostruzione, il Tribunale aveva rilevato come la ricorrente si fosse limitata a sostenere di aver impiegato nell'acquisto la somma ricevuta nel 2009 dal padre. La Corte di appello ha rilevato non tanto la assenza di tracce documentali di tale utilizzazione, quanto, piuttosto, che il dato probatorio dirimente era costituito dall'accertamento definitivo in sede penale in ordine alla fittizieta' della intestazione della (OMISSIS) (capo 98) ad opera di (OMISSIS), essendo stata ritenuta l'operazione in questione una vera e propria fotocopia del modus operandi di quest'ultimo nel reperire tra familiari gli intestatari per schermare le attivita' realizzate con i soldi del clan (OMISSIS), circostanza non vulnerata dal tipo di deduzione difensiva formulata. 17.2. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 18. Inammissibili sono anche i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS). 18.1. (OMISSIS), pur figurando tra coloro che avevano proposto appello con l'unico atto comune ad altri membri della famiglia dei (OMISSIS), non presentava specifici motivi di gravame. Pertanto, il ricorso va ritenuto inammissibile, al pari di quanto gia' osservato per il ricorso di (OMISSIS). 18.2. (OMISSIS) invece non risulta soggetto appellante. La dichiarazione dei difensori di impugnazione a pag. 1 dell'atto di appello, presentato dal gruppo dei familiari dei (OMISSIS), non vede infatti indicato il suo nominativo tra i terzi intestatari per i quali l'appello era stato proposto. In difetto di tale enunciazione, irrilevante e' la presentazione a pag. 35 dell'appello di un punto 5) relativo all'analisi dei redditi di (OMISSIS). In ogni caso, anche a voler tacere di tale profilo di genetica inammissibilita', il ricorso e' inammissibile in quanto declina censure aspecifiche rispetto al ragionamento giustificativo che sorregge la confisca. Nella specie, la confisca aveva riguardato un immobile acquistato nel 1995 dalla ricorrente (sorella della moglie di (OMISSIS)). In sede di appello, la Corte territoriale aveva ritenuto che le indagini patrimoniali condotte per dimostrare la sua incapienza avessero ricevuto un riscontro specifico da quanto accertato in sede penale (l'immobile in questione risultava tra le intestazioni fittizie contestate a (OMISSIS) al capo 105, per le quale vi era stata declaratoria di prescrizione, fermi restando gli accertamenti di merito). Rispetto a tale accertamento gli argomenti spesi nel ricorso (volti a contestare soltanto la sua capacita' reddituale) sono all'evidenza non correlati alla motivazione del decreto impugnato. 18.3. Alla luce di quanto premesso, i ricorsi devono dichiararsi inammissibili, con conseguente condanna di ciascuno al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 19. Va complessivamente rigettato il ricorso di (OMISSIS). 19.1. I primi due motivi sono infondati. Il ricorrente, quale proposto, era stato raggiunto in primo grado sia dalla misura di prevenzione personale sia da quella reale, in quanto ritenuto al pari del fratello (OMISSIS) raggiunto da indizi di pericolosita' qualificata, non solo quale partecipe al clan (OMISSIS), ma anche come riciclatore insieme al fratello (OMISSIS) per conto del sodalizio mafioso. Nel disegnare il ruolo del ricorrente e la sua "appartenenza" al clan (OMISSIS) il Tribunale aveva infatti valorizzato i molteplici investimenti, con movimenti di decine di migliaia di Euro, realizzati in attivita' economiche nei settori delle pompe di rifornimento di carburante, della ristorazione e della vendita di preziosi, dai fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS), a fronte di una loro capacita' economica sproporzionata. Il Tribunale aveva richiamato a tal riguardo la figura dell'imprenditore colluso con il clan mafioso. Nel giudizio di prevenzione, il Tribunale aveva assegnato largo spazio alla rete di attivita' illegali, frutto di reimpiego di illeciti capitali, costituita da (OMISSIS) e (OMISSIS), che avevano portato a contestare in sede cautelare penale numerosi reati di intestazione fittizia e reati associativi il cui programma criminoso era costituito dal reimpiego di proventi illeciti del clan (OMISSIS). In sede di appello, la difesa aveva fatto valere l'esito del procedimento penale celebrato nel frattempo e che aveva registrato a favore del ricorrente in sede di giudizio di cassazione l'annullamento con rinvio della condanna per il capo associativo mafioso. La Corte di appello, prendendo atto di quanto era stato accertato in sede penale, ha, coerentemente ai principi di autonoma valutazione del giudice della prevenzione, rilevato che tale statuizione non venisse a travolgere (se non in punto di attualita') la ritenuta pericolosita' sociale qualificata del proposto. La Corte di appello ha infatti evidenziato come fosse stato confermato in sede penale l'impianto accusatorio in ordine al suo ruolo di riciclatore che aveva fondato la misura di prevenzione: era infatti divenuta definitiva la condanna del ricorrente per il capo 97), relativo all'associazione per delinquere dedita al reimpiego di denaro di provenienza delittuosa in attivita' economiche inerenti il settore della gestione di impianti stradali di distribuzione di carburante con annesse aree di ristoro e di attribuzione fittizia di valori; risultavano definitivamente accertate, ancorche' prescritti i relativi reati, le intestazione fittizie di cui ai capi 98) e 105). La Corte di cassazione, se aveva annullato la sentenza di appello per il capo associativo mafioso (per difetto di motivazione), aveva ribadito come nella holding creata da (OMISSIS) (e nella quale si sostanziava la sua intraneita' al clan (OMISSIS)) per riciclare denaro del sodalizio mafioso, questi si fosse servito anche del fratello (OMISSIS), consapevolmente partecipe a tale programma criminoso (in tal senso era confermata anche l'aggravante mafiosa). Peraltro, il quadro accusatorio riguardo al capo 97) non era stato ritenuto sufficiente a fondare "con certezza" una condotta per il reato associativo mafioso che non corresse il rischio di essere sovrapponibile alla condotta illecita del ricorrente gia' individuata nell'ambito della associazione a delinquere "semplice" (cosi' pag. 211 della sentenza della Suprema Corte). Ebbene, l'analisi condotta dalla Corte di appello si rivela in linea con lâEuroËœesegesi pacifica di questa Corte in tema di "appartenenza" ad una associazione mafiosa, rilevante per l'applicazione delle misure di prevenzione, che come precisato dalle Sezioni Unite comprende la condotta che, sebbene non riconducibile alla "partecipazione", si sostanzia in un'azione, anche isolata, funzionale agli scopi associativi, con esclusione delle situazioni di mera contiguita' o di vicinanza al gruppo criminale (Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, Rv. 271512). E gia' questa Corte ha ritenuto che rientri in tale nozione la condotta del proposto consistita nel contributo continuativo in favore degli associati, curando, in particolare, gli investimenti di fondi di provenienza illecita in operazioni immobiliari di riciclaggio (Sez. 6, n. 49750 del 04/07/2019, Rv. 277438). Non puo' ritenersi neppure la dedotta violazione del contraddittorio, posto che gia' il decreto di primo grado basava la nozione di appartenenza al clan (OMISSIS) sulle medesime condotte rivelatrici e la valutazione del nuovo materiale probatorio in sede di appello era stata condotta su materiale acquisito nel contraddittorio delle parti. 19.2. Alcun pregio ha la dedotta questione di costituzionalita' con riferimento alla fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, comma 1, lettera a). La ipotizzata "contiguita' mafiosa", quale forma di appartenenza rilevante ai fini di tale forma di pericolosita', non trova infatti alcuno spazio ne' nella sentenza delle Sezioni Unite, Gattuso, sopra indicata, costituente diritto vivente (articolo 618 c.p.p.) (infatti la Suprema Corte, proprio aderendo ai parametri costituzionali e convenzionali, di cui si era gia' fatta carico la sentenza a Sezioni Unite n. 40076 del 27/04/2017, Paterno', in funzione della necessita' di una "lettura tassativizzante e tipizzante della fattispecie", ha chiaramente escluso la possibilita' di qualificare come appartenenza la condotta che, nella consapevolezza dell'illecito, si muova in una indefinita area di contiguita' o vicinanza al gruppo, che non sia riconducibile ad "un'azione", ancorche' isolata, che si caratterizzi per essere funzionale agli scopi associativi), ne' nel decreto impugnato che ha ricostruito la pericolosita' del ricorrente in termini del tutto conformi alle indicazioni delle Sezioni Unite, individuando specifiche "condotte" funzionali agli scopi del clan (OMISSIS). 19.3. Il quarto motivo e' manifestamente infondato. Sulla estensione del giudicato penale al proposto, che a quel giudizio ha partecipato, si e' gia' detto nella premessa generale. Rispetto alla condanna penale non era pertanto necessaria alcun'altra valutazione da parte del giudice della prevenzione; mentre era senz'altro utilizzabile nell'ambito del giudizio di prevenzione l'accertamento condotto in sede penale in ordine al reato prescritto. In ordine alle statuizioni di confisca, va rilevato in primo luogo che la Corte di cassazione, al pari del ricorrente (OMISSIS) (cfr. sopra), aveva annullato con rinvio sul punto soltanto per la incertezza sui presupposti applicativi, non emergendo a quale titolo fossero state disposte. Quindi si trattava di pronuncia che non era ostativa alla confisca di prevenzione, stante anche il diverso statuto giuridico. Confisca che, in conseguenza della pericolosita' qualificata del proposto, poteva essere disposta sulla base della presunzione relativa della illiceita' degli acquisti o degli investimenti, conseguente alla loro sproporzione con il reddito dichiarato ovvero ad indizi idonei alla loro caratterizzazione quale frutto o reimpiego di proventi di attivita' illecite. Naturalmente nel rispetto della delimitazione temporale della pericolosita' operata dalla Corte di appello. Come hanno da tempo chiarito le Sezioni Unite (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli), l'assunto della provenienza illecita del patrimonio del proposto deve pur sempre essere la risultante di un processo dimostrativo, che si avvalga anche di presunzioni, affidate ad elementi indiziari purche' connotati dei necessari coefficienti di gravita', precisione e concordanza. I parametri probatori indicati dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24 sono a) la mancata giustificazione della provenienza dei beni da parte del soggetto nei cui confronti e' instaurato il procedimento di prevenzione; b) la titolarita' o disponibilita', a qualsiasi titolo, degli stessi beni, da parte dello stesso soggetto, sia direttamente che indirettamente, in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, od alla propria attivita' economica; c) la provenienza dei beni, che risultino essere frutto di attivita' illecite o ne costituiscano il reimpiego. Ai fini di questo processo dimostrativo, ben poteva pertanto la Corte di appello utilizzare gli esiti degli accertamenti definitivi in sede penale per la confisca dei beni del proposto, quale idonea base indiziaria per dimostrare la provenienza illecita dei beni. In particolare, con l'appello il ricorrente aveva soltanto contestato in modo specifico la confisca dell'immobile sito in (OMISSIS) e acquistato nel 2007, sostenendo che il prezzo era stato in gran parte pagato con un mutuo bancario, garantito da ipoteca, e non, come ritenuto, con provvista sproporzionata ai suoi redditi (il prezzo era di 957.000 Euro). La Corte di appello ha rilevato al riguardo come le perplessita' insite nell'operazione di acquisto (la stessa difesa aveva ammesso che il saldo del conto corrente del ricorrente all'epoca dell'acquisto fosse pari a zero e che il mutuo per Euro 797.500 Euro, corrisposto dopo l'acquisto, andasse a compensare uno scoperto di 422.650 Euro, il prestito della sorella e un'anticipazione della banca; andava considerato inoltre che il prestito erogato dalla banca andava comunque onorato con una spesa fissa di rilevante importo che il proposto non poteva sostenere) venivano ad assumere un diverso rilievo indiziario alla luce di quanto accertato in sede penale. L'acquisto dell'immobile veniva infatti a ricadere nell'arco temporale della ritenuta partecipazione del ricorrente, dei fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS) e dei cognati, all'associazione di cui al capo 97) dedita al reimpiego di capitali illeciti del clan (OMISSIS), anche tramite fittizie intestazioni, e lo stesso immobile era incluso tra i beni oggetto di intestazione fittizia di cui al capo 105). La Corte di appello, nel richiamare questo accertamento (che per l'immobile risultava puntualmente svolto nella sentenza del processo penale di appello), aveva anche valorizzato a sostegno di questo quadro indiziario una captazione coeva all'acquisto gia' riportata nel decreto di primo grado, in cui i fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS) commentavano l'alto stile di vita del ricorrente ("molto piu' alto" del loro tanto da chiedergli di versare ai fratelli la differenza). 19.4. Il ricorso va pertanto rigettato con le conseguenze di legge in tema di spese. 20. Inammissibile e' il ricorso di (OMISSIS). Il ricorrente ha subito la confisca della ditta individuale. E' stato coinvolto nel procedimento penale con le seguenti statuizioni definitive: condannato per il reato di partecipazione ad associazione per delinquere, aggravato dal Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 di cui al capo 101), inerente alla commissione di reati di ricettazione di preziosi e orologi di provenienza delittuosa per il successivo smercio, il cui promotore era (OMISSIS); e' stato prosciolto per prescrizione dal reato di intestazione fittizia di beni di cui al capo 104). La Corte di cassazione ha annullato con rinvio la confisca dei beni, in ragione della incertezza di fondo sul titolo della confisca e sul ruolo del ricorrente rispetto ad essa (se di titolare o di prestanome dei beni oggetto del provvedimento ablativo, tra i quali e' stata indicata anche l'attivita' della gioielleria a lui formalmente riconducibile). 20.1. Con il primo motivo contesta, in modo aspecifico e manifestamente infondato, la portata dimostrativa dell'accertamento penale ai fini della confisca della ditta. Correttamente la Corte di appello ha fatto riferimento ai provvedimenti definitivi emessi in sede penale, nei termini gia' chiariti in premessa. Quanto alla condanna penale non vi era quindi alcuno spazio per la rivalutazione del materiale probatorio, mentre l'accertamento incidentale della sussistenza del reato di intestazione fittizia, dichiarato prescritto, poteva essere utilizzato nel processo dimostrativo ai fini di confisca. La Corte di appello ha in particolare riportato i passaggi piu' significativi della sentenza della Corte di cassazione con riferimento al capo 101), la' dove erano descritti i rapporti tra il ricorrente e (OMISSIS), "azzerando ogni contraria obiezione volta a sostenerne la liceita' e l'autonomia del ricorrente nella gestione della sua attivita' commerciale con la compagine intitolata "Ditta individuale (OMISSIS) di (OMISSIS)", cosi' indicata nel capo di imputazione 104), inerente al reato di intestazione fittizia di beni contestato al ricorrente e dichiarato prescritto (ma non insussistente) fin dal primo grado". In particolare, la Suprema Corte aveva richiamato tanto il contenuto delle captazioni (che rimandavano all'esistenza di una societa' occulta tra il proposto e il ricorrente), che le dichiarazioni dei collaboratori (che lo indicavano come socio occulto di (OMISSIS)), che convergevano nel dimostrare il rapporto occulto di affari nel settore dei gioielli tra il ricorrente e (OMISSIS). Tutte le questioni sollevate con l'appello in sede di prevenzione sulla idoneita' e significativita' del compendio indiziario risultavano pertanto gia' risolte in sede penale. Quanto alla censura che si assume elusa volta a dimostrare la proporzionalita' dei suoi redditi rispetto ai beni confiscati, il ricorrente non si confronta con la motivazione del decreto impugnato, nella parte in cui ha valorizzato l'accertamento in fatto definitivo sul reato di intestazione fittizia riguardante la sua ditta di oreficeria di cui al capo 104). 20.2. Manifestamente infondato e' il secondo motivo. Con l'appello, la difesa aveva soltanto criticato il decreto del Tribunale la' dove in modo generico e fuorviante aveva fatto riferimento a gioielli ritrovati nella abitazione-ufficio, ma non in quanto confiscati (come, tra l'altro, dimostra il dispositivo), bensi' solo in funzione dell'accertamento sui redditi del ricorrente. 20.3. Alla luce di quanto premesso, il ricorso va dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 21. Va complessivamente rigettato il ricorso di (OMISSIS). Il ricorrente e' destinatario della confisca della sua ditta individuale, esercente la vendita al dettaglio di carburante, con sede a Venafro. Non ha partecipato al procedimento penale. 21.1. Quanto al primo motivo, con cui si deduce la portata preclusiva della vicenda cautelare penale e si contesta l'utilizzazione del giudicato penale, va osservato quanto segue. Inammissibile e' la censura sulla vicenda cautelare penale per le ragioni gia' evidenziate in premessa. Quanto all'utilizzazione del giudicato penale nei confronti del soggetto terzo a quel giudizio, parimenti si rinvia alle osservazioni generali sul tema. Va esclusa la violazione del contraddittorio in ordine alla utilizzazione della sentenza penale (secondo la difesa, gli elementi sarebbero "piovuti" addosso al ricorrente senza possibilita' di difesa): in primo luogo il materiale probatorio posto a fondamento del giudizio penale era stato reso disponibile alle parti sin dal primo grado, che erano state poste in condizione di controdedurre; inoltre, i provvedimenti del giudizio penale erano stati acquisiti nel corso del giudizio di appello, cosi' da consentire anche in tal caso il contraddittorio delle parti. Va rammentato che nel giudizio d'appello di prevenzione possono essere utilizzati nuovi elementi probatori, preesistenti o sopravvenuti, introdotti anche dal pubblico ministero, purche' nell'ambito del "devolutum" e nel rispetto del principio del contraddittorio. (Sez. 5, n. 5749 del 23/11/2021, dep. 2022, Rv. 28278, in motivazione, la Corte ha precisato che la parte pubblica deve portare a conoscenza delle altre parti, mediante deposito nella segreteria del procuratore generale, gli ulteriori atti e che questi devono formare oggetto, nel corso dell'udienza camerale, di una specifica richiesta di acquisizione, sulla quale il giudice, all'esito dell'interlocuzione di tutte le parti, provvede valutando la legittimita', la rilevanza e la non superfluita' delle nuove prove). In ordine alle contestazioni specifiche mosse dal ricorrente all'utilizzazione dell'accertamento penale, va in primo luogo evidenziato che gia' il Tribunale in primo grado aveva fatto riferimento alla vicenda della (OMISSIS) per dimostrare il collegamento tra i tre fratelli (OMISSIS) e i (OMISSIS) e che su tale questione la Corte di appello ha rilevato che alcuna contestazione era stata mossa dal ricorrente con l'appello (quindi non possono essere recuperati in questa dalla difesa i dedotti travisamenti o errori nella ricostruzione della vicenda). In sede penale era venuta la conferma di tale collegamento, essendo stato ritenuto (OMISSIS), titolare di quote della societa' che era subentrata nella gestione dell'area di servizio, "un mero prestanome degli zii (OMISSIS) e (OMISSIS) nonche' di suo padre (OMISSIS) e che era utilizzato dagli stessi per la realizzazione dei loro fini illeciti". Altra circostanza valorizzata, gia' nel decreto di primo grado, era la vicenda della (OMISSIS), relativa al fratello (OMISSIS), confermativa della storica collaborazione dei fratelli (OMISSIS) con i (OMISSIS) (anche in tal caso nessun errore ricostruttivo era stato sollevato dalla difesa). Vicenda anch'essa esaminata in sede penale: (OMISSIS) era stato ritenuto, con riferimento a tale societa' "un mero prestanome dell'imputato (OMISSIS)) e.. la sua presenza nella societa'..finalizzata a schermare la reale titolarita' posta in capo a (OMISSIS)". I giudici penali avevano utilizzato a tal fine quali elementi probatori gli stessi indizi dimostrativi esposti nel decreto di prevenzione: i rapporti familiari con i (OMISSIS), la captazione in cui (OMISSIS) e (OMISSIS), nel fare l'elenco dei distributori di loro titolarita' e degli intestatari fittizi, avevano ammesso anche la titolarita' di detta societa', l'incapienza dei redditi del titolare. Quanto alla suddetta captazione, che figurava sin dal primo grado del giudizio di prevenzione tra gli elementi dimostrativi della interposizione soggettiva dei (OMISSIS) e della quale la difesa aveva contestato la lettura, la Corte di appello ha confermato che il riferimento dei conversanti ai distributori in "Abruzzo" fosse un mero errore nella individuazione geografica dei distributori situati invece in Molise (dove vi erano gli impianti della famiglia (OMISSIS)- (OMISSIS)), tenuto conto che alle stesse conclusioni era giunto anche il giudice penale. Sul punto non puo' ritenersi la motivazione del tutto apodittica (come tale censurabile in questa sede): gia' in primo grado il Tribunale aveva richiamato (pag. 221) quelle captazioni in cui i (OMISSIS) avevano fatto riferimento ad impianti gestiti dai proposti nel Venafrano (dove aveva sede proprio la ditta del ricorrente); il rinvio al provvedimento penale consentiva inoltre di rilevare che tale lettura era stata confermata in dibattimento dal teste di polizia giudiziaria, che aveva riferito che dalle indagini espletate non erano risultati distributori riconducibili alla famiglia di (OMISSIS) in quella regione, mentre gli stessi risultavano in Molise, in particolare a (OMISSIS), dove vi erano distributori intestati alla famiglia (OMISSIS)- (OMISSIS). Il richiamo all'accertamento in sede penale consentiva alla Corte di appello di dimostrare non solo la fittizia intestazione della ditta, ma anche la riferibilita' dei proventi impiegati al clan (OMISSIS), del quale (OMISSIS) era il braccio economico. Rispetto a tale provvedimento definitivo, come si e' detto, il ricorrente era stato posto in grado di difendersi, contestando - come ha fatto in definitiva con l'appello - la valenza indiziante degli elementi posti a fondamento. Quanto agli altri travisamenti, sono vizi non deducibili in questa sede, riguardando aspetti della ricostruzione nel merito (gia' presenti nel decreto di primo grado), non sollevati con l'appello. 21.2. Infondato e' anche il secondo motivo, in quanto il ricorrente parcellizza il discorso giustificativo dei giudici di merito, basato sinergicamente su convergenti elementi indiziari: i rapporti di storica collaborazione imprenditoriale dei tre fratelli (OMISSIS) con i (OMISSIS); i collegamenti familiari che costituivano la base del "sistema" di gestione della holding da parte di (OMISSIS) per schermare gli investimenti illeciti; il riferimento dei (OMISSIS) al distributore situato proprio dove insisteva quello del ricorrente; non da ultimo l'accertamento definitivo svolto in sede penale. 21.3. Le argomentazioni spese nella memoria sono o inammissibili (nella misura in cui introducono vizi non oggetto del ricorso principale e comunque neppure dedotti con l'appello) o comunque superate dalle osservazioni che precedono. 21.4. Pertanto, il ricorso va rigettato con le conseguenze di legge in tema di spese. 22. Inammissibile e' il ricorso di (OMISSIS). Il ricorrente propone l'impugnazione "quale amministratore unico e legale rappresentante pro tempore de La (OMISSIS) s.r.l.", societa' le cui quote risultano totalmente confiscate (cfr. pag. 662 del decreto di primo grado). Va rammentato al riguardo che la legittimazione ad impugnare in capo alla societa' (e, per essa, al suo legale rappresentante), sussiste soltanto in funzione della tutela del patrimonio sociale e dei beni che lo compongono. Pertanto, nel caso di confisca dell'intero capitale sociale di una societa' e quindi dei beni formalmente intestati alla stessa, legittimati a costituirsi in giudizio, ai sensi del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 23, comma 2, e a proporre impugnazione sono solo le persone fisiche titolari dei diritti nascenti dalle quote sociali e non, invece, la persona giuridica in quanto tale (Sez. 1, n. 35793 del 15/02/2019 Rv. 276939; Sez. 1, n. 42238 del 18/05/2017, Rv. 270973; conf. Sez. 5, n. 8984 del 19/01/2022). Alla luce di quanto premesso, il ricorso va dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 23. Va rigettato il ricorso di (OMISSIS). La ricorrente ha subito la confisca delle quote della societa' La (OMISSIS). Non ha partecipato al giudizio penale. 23.1. In ordine alla utilizzazione dei provvedimenti penali si e' gia' detto in premessa. Va ribadita la non applicazione in sede di prevenzione dello statuto probatorio del processo penale. Si e' anche chiarito quale sia il limite della valenza di giudicati penali emessi all'esito di procedimenti ai quali il terzo destinatario della confisca di prevenzione sia rimasto estraneo: il diritto al contraddittorio esige che il terzo sia posto in condizione di difendersi rispetto agli elementi probatori utilizzati in sede penale. In altri termini il terzo deve avere la possibilita' di contestare la forza dimostrativa di tali elementi, cosi' da disarticolare l'intero ragionamento giustificativo volto a provare quel "fatto" incidente sulla posizione del terzo. Gli elementi introdotti dalla difesa della ricorrente in sede di appello - attesa, come piu' volte detto, la uniformita' della piattaforma probatoria tra i due procedimenti - risultavano non avere questa idoneita'. La Corte di appello ha a tal riguardo rilevato che i verbali delle prove utilizzati in sede penale erano gia' presenti in atti e nessuna richiesta istruttoria era stata fatta al riguardo dalla difesa. Gli argomenti spesi dalla ricorrente in appello si incentravano essenzialmente nella dimostrazione della capienza reddituale per affrontare l'acquisto da fonti lecite e nella confutazione della valenza indiziaria degli elementi valorizzati in primo grado. Si contestava in particolare l'ipotizzato collegamento tra le societa' amministrate dal padre della ricorrente, (OMISSIS), e (OMISSIS) (il contenuto delle e-mail inviate nel 2007 tra (OMISSIS) e il faccendiere (OMISSIS) riferite alla (OMISSIS), quale societa' del primo; la distanza temporale tra tale corrispondenza e la costituzione della societa' (OMISSIS) nel 2011), la mancanza di contatti tra l'amministratore (OMISSIS) e i (OMISSIS), il rapporto all'epoca sommerso tra il (OMISSIS) e i (OMISSIS), il silenzio del proposto e dei suoi fiduciari nelle captazioni sulla societa' della ricorrente; l'irrilevanza delle dichiarazioni di (OMISSIS) quanto alla suddetta societa'. Nessun elemento era stato introdotto invece per confutare il "fatto" - come accertato in sede penale - della fittizieta' della intestazione ed in particolare della riferibilita' della societa' alla holding creata da (OMISSIS) per investire i capitali del clan (OMISSIS): la sentenza penale di appello aveva respinto la richiesta di assoluzione di (OMISSIS) per il capo 106) (relativo all'intestazione fittizia della (OMISSIS)), basandosi non tanto sulla incapienza dei soci, come accertata anche in quella sede, quanto soprattutto sul ruolo strategico svolto da (OMISSIS), marito dell'altra socia (OMISSIS) (considerato l'anello di congiunzione nei vari investimenti nel settore ad opera di (OMISSIS)), sul quale si e' gia' detto in precedenza. Evidentemente a fronte di tale accertamento, che deponeva per la fittizieta' dell'intera intestazione delle quote, non erano temi dirimenti ne' la conoscenza della ricorrente dei rapporti tra la (OMISSIS) e i (OMISSIS), ne' la sua capacita' patrimoniale. La portata del giudicato penale veniva viepiu' a dissolvere quelle incertezze ricostruttive dedotte dalla ricorrente avverso il decreto di primo grado, nel quale si era dato tra l'altro ampio spazio ai rapporti delle societa' facenti capo alla (OMISSIS) e alla societa' (OMISSIS), di sicura riferibilita' al (OMISSIS) (come accertato anche in sede penale) e alla ubicazione della sede della (OMISSIS), altra societa' strettamente connessa alla (OMISSIS), presso i locali della (OMISSIS). In definitiva la dimostrazione della intestazione fittizia a favore del proposto risulta affidato ad un quadro indiziario che non appare censurabile. 23.2. Pertanto, il ricorso va rigettato con le conseguenze di legge in tema di spese. 24. Infondati sono i ricorsi di (OMISSIS), di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS), mentre sono inammissibili i ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS). 24.1. Va premesso che l'appello comune proposto da tutti i sopraindicati ricorrenti contestava la confisca di una serie di societa' ed era stato presentato "anche in favore dei terzi non formalmente intestatari del provvedimento di confisca", quali risultavano essere (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio. Le societa' per le quali e' stato proposto appello sono infatti: (OMISSIS), ditta individuale (OMISSIS) (deceduto), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), imprese nelle quali, secondo il decreto di primo grado, non figuravano le suddette ricorrenti come intestatarie di quote o proprieta' alla data del provvedimento ablativo di primo grado. Pertanto, i loro ricorsi devono essere dichiarati inammissibili (con esclusione di quello di (OMISSIS), che quanto alla sua legittimazione come erede va dichiarato infondato), posto che l'impugnazione (come la stessa partecipazione al procedimento) e' riservata ai terzi "proprietari o comproprietari dei beni" oggetto della misura di prevenzione. L'interesse ravvisabile nella contestazione della ricostruzione del patrimonio familiare, operata in sede di prevenzione, non puo' legittimare evidentemente l'impugnazione e il ricorso in questa sede presentato. E' appena il caso di rilevare, tra l'altro, che la procura speciale per proporre tanto l'appello quanto il ricorso per cassazione e' stata conferita dalle ricorrenti nella qualita' di "terze intestatarie di beni" oggetto di confisca. Alla luce di quanto premesso, i ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) devono dichiararsi inammissibili, con conseguente condanna di ciascuna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 24.2. Quanto alle restanti posizioni, va evidenziato che i ricorrenti sono terzi che hanno subito la confisca di quote di societa' o imprese individuali, operanti nel settore della distribuzione di carburante e annessa ristorazione. Non risultano aver partecipato al processo penale. Va premesso che, come per altri gruppi familiari, la posizione di costoro e' stata ricostruita in modo unitario (la famiglia (OMISSIS)). Secondo i giudici di merito, i componenti di tale famiglia si sarebbero prestati - anche per loro tornaconto - a fungere da prestanomi per gli investimenti illeciti dei (OMISSIS) nel suddetto settore imprenditoriale, a cominciare dalla capostipite (OMISSIS) e di seguito i figli di quest'ultima, (OMISSIS) (nel frattempo deceduto), (OMISSIS) e (OMISSIS), affiancati dai rispettivi coniugi ( (OMISSIS) e' la moglie di (OMISSIS), (OMISSIS) e' la moglie di (OMISSIS), (OMISSIS) e' il marito di (OMISSIS)). In questa sede i ricorrenti hanno sollevato il tema comune ad altri ricorsi della rilevanza sia dell'esito favorevole delle indagini preliminari nei loro confronti (con la disposta archiviazione delle loro posizioni per i reati di intestazione fittizia) sia del giudicato penale. Con riferimento a quest'ultimo sono dedotti i profili della violazione del contraddittorio, della valenza dell'accertamento compiuto in sede penale (sentenza di prescrizione) con riferimento ai reati di fittizia intestazione e della elusione delle censure difensive. Sulle suddette questioni si rinvia a quanto gia' osservato in linea generale. Nello specifico, va rilevato che la Corte di appello, quanto al profilo contestato dai ricorrenti della ritenuta disponibilita' delle societa' e imprese della famiglia (OMISSIS) in capo al proposto (OMISSIS), ha precisato come sul punto fosse intervenuto l'accertamento definitivo in sede penale sia sul capo 97), con la condanna di (OMISSIS) e (OMISSIS) per il reato associativo finalizzato a commettere reati di intestazione fittizia di beni nei settori economici relativi alla gestione di impianti stradali di distribuzione di carburante con annesse aree di ristoro, sia sul capo 98), con la declaratoria di prescrizione del reato di intestazione fittizia nei confronti, tra gli altri, dei suddetti proposti con riferimento alle suddette societa' ed imprese. La Corte di appello ha riportato i passaggi significativi dei provvedimenti emessi in sede penale ed in particolare quelli relativi al compendio probatorio, costituito dalle captazioni, alcune delle quali oggetto dei motivi di appello in sede di prevenzione. La difesa aveva infatti contestato la lettura di tre captazioni sulle quali si basava l'assunto della interposizione fittizia, evidenziando che nessun altro elemento indiziante era stato offerto dal decreto appellato (tale non potendosi considerare la partecipazione nelle compagini sociali di componenti della famiglia (OMISSIS); proprio la presenza di costoro escludeva la ipotesi della schermatura). La Corte di appello ha rilevato come le captazioni fossero alla base anche dell'accertamento penale, cosi' confermando la lettura di quelle utilizzate in primo grado anche attraverso la valorizzazione di altre (come quella riportata a pag. 65 del decreto impugnato che confermava come (OMISSIS) fosse coinvolto dai (OMISSIS) in relazione ad altra societa', facente parte della loro holding illecita). Ha anche risposto all'altro rilievo sollevato dalla difesa in ordine alla presenza nelle societa' loro confiscate anche di soggetti della famiglia (OMISSIS), che costituiva un dato distonico alla ipotizzata schermatura: la Corte di appello ha rilevato come fosse stato acclarato in sede penale il ricorso da parte di (OMISSIS), nell'ambito del programma criminoso e secondo un seriale modus operandi, sia a membri della sua famiglia sia a soggetti estranei ma di fiducia. Quanto alla valenza della sentenza penale per il reato dichiarato prescritto, come si e' gia' avuto modo di osservare per altre posizioni, anche la' dove la prescrizione era stata dichiarata per alcuni reati di intestazione fittizia in primo grado (come per il capo 98), i giudici penali hanno effettuato un accertamento incidentale di queste condotte al fine di provare i reati associativi, dei quali i primi costituivano i reati-fine. Inoltre, la Corte di appello a pag. 66 del decreto impugnato ha affrontato le altre questioni sollevate dalla difesa con specifico riferimento alla ricostruzione economica operata dal perito e al tema rilevante delle fideiussioni. A fronte di tale complessiva motivazione, la difesa ha dedotto che la Corte di appello non avrebbe risposto alle molteplici questioni sollevate con l'appello. A parte la genericita' della censura con cui si ritiene insoddisfacente la risposta del decreto impugnato sulla sproporzione reddituale del gruppo (OMISSIS) rispetto alle "plurime questioni dedotte dalla difesa", i ricorrenti non chiariscono come le questioni, che si assumono prive di considerazione, vengano a disarticolare il ragionamento portante della Corte di appello. Invero la circostanza che i ricorrenti gestissero da epoca remota distributori di carburanti risulta assorbita dal processo dimostrativo fatto proprio dal decreto impugnato (cfr. in tal senso, Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246) ed e' anche del tutto compatibile con il "sistema" di schermatura di (OMISSIS) e con la ricostruzione delle vicende economiche del gruppo (OMISSIS) fin dal suo nascere (da pag. 566 del decreto di primo grado). Nello stesso senso si pone la circostanza della partecipazione degli esponenti del nucleo (OMISSIS) alle procedure per l'affidamento del servizio da parte delle societa' petrolifere (le captazioni sopra indicate dimostravano come i prestanomi portassero "lo stipendio" ai (OMISSIS), quindi operando nelle imprese confiscate). Quindi in definitiva deve concludersi che nessuna violazione del contraddittorio si e' verificata, essendosi la Corte di appello confrontata con le deduzioni difensive. In conclusione, i ricorsi di (OMISSIS), di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS) vanno rigettati con le conseguenze di legge in tema di spese. 25. Infondato e' complessivamente il ricorso di (OMISSIS). Il ricorrente ha subito la confisca della ditta individuale, esercente la vendita al dettaglio di carburante. Non partecipato al processo penale. 25.1. Anche in tal caso la difesa ha contestato l'utilizzazione della sentenza penale, peraltro ritenendola il frutto di un "errore" della Corte di appello, posto che il ricorrente non risulta condannato in quel giudizio per il reato di intestazione fittizia. Come si e' ampiamente gia' spiegato, non era questo il senso del richiamo da parte del decreto impugnato del giudicato penale, risultando ben chiaro che il ricorrente, al pari di altri ritenuti intestatari fittizi, non aveva partecipato a quel giudizio. Quanto alla questione della valenza del giudicato, si rinvia a quanto gia' esposto in premessa, essendosi la difesa limitata soltanto a contestare in termini generici il richiamo da parte della Corte di appello alle risultanze di un processo penale "di cui non vi e' traccia alcuna negli atti della procedura". La difesa inoltre attacca la risposta della Corte di appello in ordine alla vicenda cautelare penale (sarebbe stata travisata, con portata decisiva, la motivazione del provvedimento di restituzione degli impianti). Come si e' detto in premessa, l'archiviazione al pari dei provvedimenti cautelari penali favorevoli alla parte non vincolavano il giudice della prevenzione. La decisione, pertanto, di restituzione degli impianti, quale che ne fosse la ragione, spiegava la sua efficacia nell'ambito del procedimento incidentale (Sez. U, n. 20 del 12/10/1993, Durante, Rv. 195352). 25.2. Il secondo motivo declina un motivo inammissibile, posto che la difesa sostiene che l'oggetto della confisca sia estraneo al patrimonio del ricorrente. Si tratta di assunto che, in realta', disvelerebbe la mancanza di legittimazione (per difetto di interesse). Peraltro, oggetto della confisca, come per altre aziende similari, non sono gli impianti di distribuzione del carburante (che gia' in primo grado per alcune di esse risultavano restituiti alle societa' petrolifere) ma l'impresa individuale. 25.3. Pertanto, il ricorso va rigettato con le conseguenze di legge in tema di spese. 26. Inammissibile e' il ricorso di (OMISSIS). La ricorrente, moglie del proposto (OMISSIS), e' stata destinataria di confisca delle quote della societa' (OMISSIS), che gestiva un distributore di carburanti, e di un immobile in (OMISSIS). Ha subito anche il procedimento penale: e' stata prosciolta in primo grado per prescrizione dal reato di intestazione fittizia con riferimento alle quote della societa' (capo 98), mentre e' stata assolta in appello "perche' il fatto non costituisce reato" per analoga imputazione relativa all'immobile (capo 105). 26.1. Con il ricorso la difesa contesta in primo luogo quanto affermato dalla Corte di appello in merito al contenuto delle censure dell'appello, a suo avviso non limitate a quelle esaminate nel decreto impugnato. In particolare, sarebbe stato contestato il punto della concreta disponibilita' dell'immobile da parte di (OMISSIS). Inoltre, la ricorrente lamenta la mancanza di motivazione sulla confisca delle quote sociali e sulla correlazione temporale degli acquisti con la pericolosita' del proposto. Valgono anche per la ricorrente le medesime osservazioni fatte per gli altri ricorrenti del gruppo (OMISSIS) che hanno presentato atto di appello comune. Effettivamente dall'esame della suddetta impugnazione non risulta che la ricorrente abbia in modo specifico sottoposto alla Corte di appello tali punti del decreto appellato (l'appello si limitava all'immobile di Napoli e la censura riguardava soltanto la capienza reddituale per affrontare l'acquisto e l'impossibilita' dopo 30 anni di documentare il passaggio di danaro). Quanto al valore delle memorie, si e' gia' detto per le altre analoghe posizioni alle quale si rinvia per evitare ripetizioni. 26.2. Altra questione sottoposta nel ricorso riguarda la valenza del giudicato penale. Quanto all'annullamento senza rinvio disposto dalla Corte di cassazione delle disposte confische in sede penale dei beni, oggetto delle imputazioni di fittizia intestazione, la Corte di appello ha rilevato come la ricorrente fosse stata assolta per il capo 105) sul rilievo che, pur "pacifica... la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato di intestazione fittizia" - invero, nemmeno contestato dalla difesa-" non erano emersi "elementi sufficienti a ritenere provato anche l'elemento soggettivo del delitto e cioe' la consapevolezza, in capo all'imputato della finalita' elusiva dell'intestazione fittizia". In tale prospettiva, ne era derivato l'annullamento delle disposizioni di confisca nei suoi confronti. Pertanto, l'esito del processo penale, in ragione del "fatto" accertato (mancanza di dolo), non era ostativo alla dimostrazione della interposizione del (OMISSIS) in sede di prevenzione. Ben poteva inoltre la' Corte di appello utilizzare, a conferma di tale interposizione quanto accertato in sede penale, con cui le deduzioni difensive non si misuravano specificamente. 26.3. Il ricorso per le ragioni sopra indicate va dichiarato inammissibile con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 27. Infondati sono infine i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS). Le ricorrenti hanno subito la confisca delle quote della societa' (OMISSIS) (gia' (OMISSIS)) e non hanno partecipato al processo penale. 27.1. La loro comune difesa contesta l'utilizzazione nei loro confronti del giudicato penale, sotto due profili: per la violazione del contraddittorio, non avendo partecipato al relativo giudizio, e per la carenza di motivazione sui presupposti legittimanti la confisca, risultando i provvedimenti emessi in sede penale lacunosi con riferimento alle posizioni delle ricorrenti. In ordine al primo profilo, si rinvia a quanto gia' si osservato in premessa. Relativamente all'accertamento condotto in sede penale, la Corte di appello non ha fondato la confisca relativa alle ricorrenti soltanto su di esso. Ne' puo' definirsi il ragionamento seguito dalla Corte di appello per confermare la misura ablativa errato (quanto alla dimostrazione dei presupposti, nei termini gia' precisati in premessa) o apparente. Il decreto impugnato ha infatti illustrato ampiamente e con un percorso lineare gli elementi dimostrativi della riferibilita' della societa' in esame (e delle sue quote) a (OMISSIS) gia' risultanti dal decreto di primo grado, ovvero: la circostanza che la societa', che vendeva caffe', operava nei locali di proprieta' della s.a.s. (OMISSIS) (dove fino alla cessione dei locali vendeva anch'essa caffe'), pacificamente gestita indirettamente da (OMISSIS), attraverso l'intestazione fittizia delle quote alla (OMISSIS), moglie del (OMISSIS); che le due ricorrenti avevano acquistato nel settembre 2014 le quote dalla (OMISSIS) (che era la socia al 50% con (OMISSIS)); che la (OMISSIS), che aveva il minore reddito, aveva acquistato la quota piu' elevata tra le due; che prima della cessione sia (OMISSIS) sia la (OMISSIS) non avevano esercitato alcun ruolo effettivo nella societa', risultando la societa' nella disponibilita' di (OMISSIS); entrambe le ricorrenti erano del tutto estranee all'imprenditoria e men che meno al settore commerciale della societa' (non era pertanto sostenibile che all'uscita della (OMISSIS) il proposto avesse consentito l'ingresso nella societa' a soggetti estranei privi di esperienza, pur mantenendone il controllo attraverso la quota di maggioranza del (OMISSIS)). A tali elementi la Corte di appello ha aggiunto quanto accertato in sede penale, ovvero che (OMISSIS) aveva fatto largo e funzionale ricorso a prestanomi per realizzare i suoi investimenti di capitali illeciti nel settore della vendita del caffe' (la (OMISSIS) era infatti tra le societa' ritenute far parte della holding del (OMISSIS)), giungendo alla conclusione che l'uscita della (OMISSIS) dalla compagine sociale fosse stata una decisione assunta dal proposto funzionale alla necessita' di sostituire una persona oramai all'epoca compromessa dalle indagini penali avviate nei confronti del marito (OMISSIS) (l'ordinanza cautelare era emessa nell'ottobre 2013). Come si evince da tale motivazione, la Corte di appello ha valorizzato principalmente la figura della (OMISSIS) e quindi il complessivo ragionamento dimostrativo, di cui si e' gia' detto, incentrato sul ruolo di quest'ultima quale prestanome stabile (per il tramite del marito (OMISSIS)) del (OMISSIS) nelle societa' operanti nel settore della distribuzione del caffe' (quel collegamento definito dai giudici della prevenzione un sistema di "scatole cinesi", cfr. pag. 455 del decreto genetico dove si afferma che la (OMISSIS), societa' anch'essa riferita al proposto aveva ceduto un ramo di azienda nel giugno 2013 alla (OMISSIS)). A fronte di tale quadro, la Corte di appello ha ritenuto ininfluente la tesi difensiva della capacita' reddituale all'acquisto (basandosi il costrutto indiziario non su tale indice). Anche le obiezioni mosse in questa sede della mancanza di elementi dimostrativi della consapevolezza delle vicende della (OMISSIS) e del ruolo rivestito dal (OMISSIS) si rivelano aspecifiche rispetto al processo dimostrativo seguito dalla Corte di appello. P.Q.M. Dichiara inammissibili per rinuncia i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS). Dichiara inoltre inammissibili i ricorsi il (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), Classe (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), Classe (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS). Condanna tutti i predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Rigetta i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), anche quale erede di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), ricorrenti che condanna al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. PARDO Ignazio - Consigliere Dott. AIELLI Lucia - Consigliere Dott. MINUTILLO T. Marzia - Consigliere Dott. LEOPIZZI Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza del 03/02/2022 della CORTE DI APPELLO DI TORINO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Marzia MINUTILLO TURTUR; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. MARINELLI Felicetta, che ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi (OMISSIS) e (OMISSIS), per il rigetto dei ricorsi (OMISSIS) e (OMISSIS), per l'annullamento con rinvio del ricorso (OMISSIS); udite le conclusioni dei difensori, Avv. (OMISSIS) in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), Avv. (OMISSIS) in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), che hanno chiesto che la sentenza impugnata venga annullata con ogni conseguente statuizione anche in considerazione dei motivi aggiunti e delle note di produzione. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Torino, con sentenza del 03/02/2022, ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa citta' del 09/07/2019, appellata da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con la quale venivano condannati alle pena di giustizia per i delitti agli stessi rispettivamente ascritti (capo 2) per il (OMISSIS) articoli 110 e 81 cpv. c.p., articolo 648-ter c.p., comma 1 e 2; capo 5) per il (OMISSIS) e la (OMISSIS), articoli 110 e 81 cpv., e articolo 648-ter c.p., comma 1 e 2; capo 13) per (OMISSIS), articoli 110, 81 cpv., articolo 648-ter, comma 1 e 2; capo 14) per (OMISSIS), articoli 110 e 81 cpv. c.p., articolo 648-ter c.p., commi 1 e 2; capo 16) per (OMISSIS), articoli 81 cpv. e 648 c.p.; capo 20) per (OMISSIS) articoli 81 cpv. e 648 c.p.). 2. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori, proponendo diversi motivi di ricorso che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p.. 3. Ricorso (OMISSIS). Con un unico motivo di ricorso e' stata dedotta violazione di legge in relazione all'articolo 192 c.p.p., violazione ed erronea applicazione della legge processuale penale con riferimento all'articolo 533 c.p.p.; vizio della motivazione perche' contraddittoria, manifestamente illogica e mancante come risultante dal testo del provvedimento impugnato. La manifesta contraddittorieta' secondo la difesa deriverebbe dalla considerazione delle dichiarazioni del (OMISSIS) che andrebbero a contraddire quelle del (OMISSIS); ne e' conseguito un palese travisamento dell'attivita' svolta dal (OMISSIS), che gia' in sede di interrogatorio aveva chiarito di essersi rivolto al (OMISSIS) perche' aveva saputo che era un bravo artigiano; la Corte di appello a pag. 31 ha reso inequivocabilmente una motivazione apparente laddove afferma che le espressioni utilizzate si riferiscono, sia pure in modo criptico ed allusivo, a cessioni di beni illeciti e quindi innominabili; manca del tutto la prova che si trattasse di beni illeciti; ricorre una mera motivazione per relationem quanto al linguaggio allusivo, al pagamento in contanti e all'assenza di ricevute proforma, giungendo sostanzialmente ad una lettura a senso unico delle capitazioni effettuate; la prova delittuosa dei beni non puo' essere desunta dal fatto che, nonostante l'esperienza del (OMISSIS), la legittima vendita dell'oro da parte dello stesso al (OMISSIS) in quanto non regolarizzata mediante registrazione e rilascio di ricevuta dovrebbe essere prova della piena consapevolezza della provenienza delittuosa dei beni e di acquisto in male fede, ritenendo non credibile la versione resa dal ricorrente quanto alla vendita di gioielli di famiglia; la Corte di appello ha in tal senso omesso di considerare quanto dichiarato dal (OMISSIS) in dibattimento. 4. Ricorso (OMISSIS). Con un unico motivo di ricorso e' stata dedotta violazione di legge in relazione all'articolo 192 c.p.p. "violazione ed erronea applicazione della legge processuale civile con riferimento all'articolo 533 c.p.p.; vizio della motivazione perche' contraddittoria, manifestamente illogica e mancante come risultante dal testo del provvedimento impugnato; manca la prova al di la' di ogni ragionevole dubbio, in mancanza di confronto con le doglianze difensive e con i motivi aggiunti; non e' sufficiente richiamare in toto, come avvenuto a pagina 34 della sentenza la decisione di primo grado quanto al tenore criptico delle chiamate captate, delle cautele negli incontri, del pagamento in contanti e dell'assenza di documentazione relativa all'acquisto; in sostanza la Corte di appello ha basato la propria decisione su una lettura a senso unico delle capitazioni; inoltre ha erroneamente imputato al (OMISSIS) il mancato trattenimento dello scontrino di riscatto al Monte dei pegni, pretendendo la pre-costituzione di una prova che legittimi la lecita provenienza dell'oro, omettendo di considerare le dichiarazioni rese da (OMISSIS) in dibattimento; l'omessa considerazione della testimonianza del (OMISSIS) ha inficiato l'intera motivazione e caratterizza la decisione che si fonda su mere supposizioni. 5. Ricorso (OMISSIS). Sono stati proposti cinque motivi di ricorso. 5.1. Con il primo motivo di ricorso e' stata dedotta violazione di legge e vizio della motivazione perche' contraddittoria quanto alla ritenuta ricorrenza del concorso dello (OMISSIS) nel delitto di cui all'articolo 648-ter c.p. con particolare riferimento al capo 13) gia' contestato ad altri imputati giudicati separatamente; gli elementi di prova richiamati sono riferibili in realta' a (OMISSIS) e Miglioranza giudicati separatamente e ritenuti colpevoli dal G.u.p. di Torino con sentenza del 04/12/2017; una serie di elementi estremamente rilevanti (la mancata citazione del ricorrente nella conversazione n. 167 del 26/09/2015, il mancato prelievo di denaro dai conti correnti intestati alle societa' croate, l'assenza di qualsiasi ruolo all'interno delle stesse, il rinvenimento dei documenti relativi alla societa' (OMISSIS) presso (OMISSIS)), pur richiamati dalla Corte di appello, non sono stati ritenuti decisivi per escludere la responsabilita' dello (OMISSIS), mentre la Corte di appello e' incorsa in un evidente travisamento della prova quanto alle dichiarazioni della teste (OMISSIS), nonche' quanto alla ricorrenza di contatti numerosi che sarebbero intercorsi via mail con lo (OMISSIS) per richiedere allo stesso documentazione o numeri iban per pagare le fatture emesse dalle societa' croate, mentre in realta' dalle dichiarazioni rese dalla teste non emerge affatto tale circostanza. Nella prospettazione difensiva tale circostanza e' rimasta indimostrata, non e' emersa alcuna comunicazione in tal senso, ne' e' stata indicato l'indirizzo mail dal quale sarebbero partite tali comunicazioni; la testimonianza in questione dunque non puo' essere ritenuta credibile, anche tenuto conto della circostanza, non considerata dalla Corte di appello, secondo la quale mentre (OMISSIS) frequentava la sede della societa' del (OMISSIS) quotidianamente lo (OMISSIS) era stato presente in una sola occasione; ricorre in sostanza un travisamento delle dichiarazioni della Scicchitano. La sentenza della Corte di appello partendo da un dato di fatto lecito, ovvero il ruolo di procacciatore di affari dello (OMISSIS) per conto delle societa' croate nell'ambito di rapporti commerciali di compravendita di metallo prezioso con alcune societa' italiane del settore, ne ha desunto il consapevole coinvolgimento dello (OMISSIS) nelle attivita' illecite del (OMISSIS), senza motivare le ragioni della ritenuta correita' dello stesso, omettendo di considerare l'esito delle dichiarazioni della testimone Burato, della testimone Ciabatti e del testimone (OMISSIS). Ne' la ricorrenza dell'elemento soggettivo puo' essere induttivamente ritenuta in considerazione dell'attivita' lecita svolta dallo (OMISSIS) per conto delle societa' croate in compravendite regolari con (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) S.r.l.; in tal senso sono mal interpretate e travisate anche le dichiarazioni rese dal Capitano (OMISSIS), che ha chiarito come il ruolo centrale per queste operazioni, per come emerso anche dalle captazioni, fosse da riferire a (OMISSIS), senza alcun coinvolgimento diretto del ricorrente; la conversazione ambientale intercettata e richiamata in motivazione non costituisce alcun indizio del coinvolgimento dello (OMISSIS) nelle condotte contestate al (OMISSIS) e al (OMISSIS); nello stesso senso deve essere escluso qualsiasi coinvolgimento sulla base della documentazione bancaria riferibile alle tre societa' croate. 5.2. Con il secondo motivo di ricorso e' stata dedotta violazione di norme processuali quanto alla ritenuta utilizzabilita' di prove acquisite dalla autorita' giudiziaria estera in assenza di rogatoria; il motivo di appello sul punto non poteva essere ritenuto generico e la Corte di appello ha deciso in evidente violazione delle disposizioni di cui agli articoli 78 disp. att. c.p.p., articoli 238 e 729 c.p.p.. Il tema dell'inutilizzabilita' dell'atto giudiziario proveniente da procedimento penale pendente avanti l'autorita' giudiziaria era gia' stato posto in primo grado; il contenuto dell'atto in questione e' sostanzialmente assimilabile ad un decreto che dispone il giudizio, ne' puo' essere acquisito come semplice documento ai sensi dell'articolo 234 c.p.p., comma 3, perche' irripetibile, in quanto relativo all'attestazione di una scansione processuale. 5.3. Con il terzo motivo di ricorso e' stata dedotta violazione di legge e vizio della motivazione per inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 507 c.p.p. e delle norme relative alla utilizzabilita' delle testimonianze acquisite in violazione dell'articolo 507 c.p.p., in assenza del requisito della loro decisivita' ai fini penali; non e' stata fornita alcuna motivazione in ordine alla assoluta necessita' dell'assunzione delle prove disposte ex articolo 507 c.p.p.; e' infondata la circostanza allegata secondo la quale i rapporti tra le societa' croate e (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l. sarebbero emersi durante il giudizio, mentre il Pubblico ministero era gia' a conoscenza di tali circostanze, sicche' la motivazione sul punto si deve ritenere meramente apparente. 5.4. Con il quarto motivo di ricorso e' stata dedotta violazione di legge in relazione all'articolo 648-ter c.p., mentre doveva essere ritenuta applicabile la disposizione di cui agli al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 2 o 8; la motivazione sul punto si e' basata sul richiamo all'esperienza dello (OMISSIS) nel settore della vendita di metalli preziosi, sicche' doveva essere ritenuto consapevole del fatto che il servizio fornito non era semplicemente quello di realizzare fatture per operazioni inesistenti per giustificare spese e ridurre l'imponibile fiscale, ma un mezzo per nascondere l'illecita provenienza dell'oro; in realta' la piena consapevolezza in tal senso poteva essere dedotta solo in relazione ad uno specifico momento, ovvero la fusione del metallo di dubbia provenienza, realizzata dal Gancio e in relazione alla quale non poteva essere ipotizzato alcun coinvolgimento dello (OMISSIS); mentre l'unico elemento di coinvolgimento sarebbe rappresentato dai contatti tra lo stesso e la dipendente del (OMISSIS); l'unica attivita' forse riferibile al ricorrente poteva essere ritenuta nell'aver coadiuvato il (OMISSIS) nel fornire al (OMISSIS) alcuni dati fiscali e le coordinate bancarie delle societa' croate, dati utili per effettuare i bonifici di pagamento e registrare le fatture nella contabilita' della societa' italiana. 5.5. Con il quinto motivo di ricorso e' stata dedotta omessa motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze aggravanti in regime di prevalenza, piuttosto che di equivalenza, con la contestata aggravante. 5.6. Sono stati proposti motivi aggiunti in data 31/03/2023. 5.6.1. Con il primo motivo aggiunto e' stata dedotta violazione di legge in relazione all'errata applicazione degli articolo 533 e 192 c.p.p., quale aggiunta e sviluppo del primo motivo di ricorso; richiamato il tema della valutazione della testimonianza della Scicchitano, la difesa ha nuovamente sottolineato la mancanza di qualsiasi riscontro documentale alle dichiarazioni predette; sono state inoltre richiamate le erronee valutazioni in ordine alla ammissione di prove testimoniali ex articolo 507 c.p.p.; 5.6.2. Con il secondo motivo aggiunto e' stato dedotta violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento all'errata qualificazione giuridica delle condotte contestate, con contraddittorieta' delle argomentazioni rese sul punto, potendo al massimo essere riscontrata la fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 2 o 8; la difesa ha sottolineato che non essendo possibile configurare il risparmio fiscale nel patrimonio dell'autore del reato presupposto, risulta difficile individuare una condotta di impiego, sostituzione, trasferimento del risparmio fiscale stesso, diretta ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa, con conseguente necessaria riqualificazione della condotta contestata eventualmente come un concorso in riciclaggio,, come tra l'altro deciso dalla Corte di appello di Torino con sentenza del 24/04/2019 a carico degli altri concorrenti giudicati con rito abbreviato. 5. Ricorso (OMISSIS). Sono stati proposti due motivi di ricorso. 5.1. Con il primo motivo di ricorso e' stato dedotto vizio della motivazione perche' mancante, contraddittoria o manifestamente illogica in ordine alla consapevolezza del (OMISSIS) quanto alla provenienza delittuosa del metallo prezioso; era stato sul punto proposto specifico motivo di appello al quale il giudice di secondo grado non ha dato risposta, articolando una motivazione manifestamente illogica non potendosi ritenere sufficiente il richiamo al lasso di tempo intercorrente tra il fissaggio e la consegna del metallo, la considerazione dell'affermazione contenuta in una intercettazione "se conosco il fornitore" e il rinvenimento dei timbri della (OMISSIS) s.r.l. nella abitazione slovena del (OMISSIS), il ruolo del (OMISSIS) quale intermediario con le principali aziende dedite al commercio di oro nella zona di Arezzo allo scopo di dare una veste lecita al metallo di provenienza illecita. La Corte di appello non ha preso in considerazione una serie di elementi in senso contrario, tra i quali la testimonianza del (OMISSIS) nella descrizione del meccanismo di fissaggio, con particolare riferimento alla velocita' delle azioni da espletare e alla marginalita' dei guadagni sul punto; in sostanza da una serie di elementi acquisiti a giudizio si dovrebbe considerare e ritenere che colui che detiene il metallo prezioso non attende il fissaggio per muoversi verso il destinatario della consegna, tanto che il fissaggio puo' essere realizzato anche pochi minuti prima della consegna se il trend del valore del metallo sul mercato e' in crescita. Nella prospettazione difensiva la Corte di appello non ha tenuto conto anche di ulteriori elementi rilevanti desumibili dalla testimonianza del teste (OMISSIS), che aveva chiarito come in alcune occasioni il (OMISSIS) avesse effettuato direttamente dei trasporti in loro favore; allo stesso modo non era stato adeguatamente indagato il rapporto tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS), atteso che evidentemente la (OMISSIS) prima di vendere al (OMISSIS) avrebbe dovuto acquistare il metallo prezioso da terzi; questo elemento non poteva essere ritenuto elemento significativo della piena consapevolezza da parte dello stesso della provenienza da delitto, nonostante il (OMISSIS) avesse dichiarato di non aver mai comunicato al (OMISSIS) la provenienza dell'oro. Infine, quanto al timbro la difesa ha rilevato come non sia mai stata provata, ne' sia emersa la falsificazione di documenti contabili, mentre il (OMISSIS) aveva probabilmente la disponibilita' del timbro della (OMISSIS) s.r.l. per velocizzare la compilazione dei formulari, anziche' inserire nome, destinatario, partita iva. Ancora la difesa contestava la ricostruzione della Corte di appello quanto al ruolo di intermediazione del (OMISSIS) rispetto alle societa' aretine, anche considerato che egli era intervenuto in un numero limitato di occasioni rispetto alle molte operazioni della (OMISSIS) di (OMISSIS). 5.2. Con il secondo motivo di ricorso e' stato dedotto vizio della motivazione e violazione di legge con riferimento alla confisca del prodotto del reato, cosi' come disposta dal Tribunale. La Corte di appello ha erroneamente condiviso le motivazioni del giudice di primo grado, nonostante lo specifico motivo di appello con il quale era stata evidenziata la non corretta individuazione dei valori da sottoporre a confisca. E' stata condivisa la giurisprudenza richiamata dal Tribunale senza alcun vaglio critico, senza tener conto che la nozione di prodotto del reato utilizzata e' stata superata dalla giurisprudenza piu' recente, attesa la ricorrenza nel caso in esame di confisca di valore che non puo' essere applicata per una valore superiore al profitto del reato. La confisca di valore per equivalente corrisponde esclusivamente al vantaggio patrimoniale realmente percepito dall'autore del reato, con conseguente onere da parte del giudice di determinare la somma di denaro corrispondente al prezzo, prodotto o profitto/vantaggio effettivamente ottenuti dall'attivita' illecita; sul punto la motivazione della Corte di appello si deve ritenere apparente. 6. Ricorso (OMISSIS). Sono stati proposti quattro motivi di ricorso e due motivi aggiunti. 6.1. Con il primo motivo di ricorso e' stata dedotta inosservanza di norme processuali in relazione all'eccezione di incompetenza territoriale ritualmente proposta in udienza preliminare, replicata al momento della formulazione delle questioni preliminari in primo grado e con specifico motivo di appello; il G.i.p. di fatto non aveva affrontato la questione dedotta, disponendo il rinvio a giudizio della ricorrente, mentre il giudice di primo grado nel rigettare l'eccezione aveva richiamato in modo del tutto improprio il rigetto implicito del Gip; la condotta oggetto di contestazione si era verificata in Novi Ligure. Il giudice del dibattimento ha deciso l'eccezione affermando di doversi basare esclusivamente sulla descrizione del fatto contenuto nel capo di imputazione; appare evidente che la non decisione del Gip abbia di fatto privato la (OMISSIS) di una decisione invece basata su una piena conoscenza degli atti presenti al fascicolo. Comunque, il richiamo effettuato alla regola di cui all'articolo 9 c.p.p. e' palesemente errato se si considera che il complesso meccanismo oggetto di imputazione trovava il suo incipit nella vendita dell'argento da parte della (OMISSIS) ad (OMISSIS). Secondo l'impostazione della giurisprudenza di legittimita' in tema di riciclaggio la competenza territoriale deve essere individuato in relazione al luogo ove si realizza il primo atto costituente segmento della condotta tipica. 6.2. Con il secondo motivo di ricorso e' stato dedotto vizio della motivazione nella valutazione del quadro indiziario, in considerazione della posizione del tutto marginale della ricorrente e dei labili ed illogici argomenti che, anche sulla base delle captazioni, portavano alla sua identificazione come persona coinvolta nel complesso meccanismo ideato da (OMISSIS) e (OMISSIS). La Corte di appello si e' basata su una considerazione del tutto congetturale, senza alcun riscontro effettivo quanto all'asserita ricorrenza dell'accordo operativo e del concorso della (OMISSIS) ed anche gli elementi di riscontro richiamati, come la colorazione dei capelli e l'epiteto bionda, sono stati letti in ottica accusatoria mentre hanno una valenza del tutto neutra, non essendo fondate le considerazioni atecniche sul punto rese dalla Corte di appello; nello stesso senso deve essere rilevata, nell'ottica difensiva, una oggettiva aporia dimostrativa quanto alla considerazione da parte della Corte di appello delle captazioni, con particolare riferimento al progressivo 12939 del 06706/2016, venendo confusa la portata dei semilavorati rispetto all'argento. Non potevano ritenersi indizi sufficienti a configurare la responsabilita' della ricorrente: la presenza dell' (OMISSIS) presso la (OMISSIS) s.r.l. in data 09/06/2016 e il successivo fissaggio relativo a 138 kg di argento, anche considerato che in quella data la (OMISSIS) non era presente nella sede della (OMISSIS) s.r.l., in quanto impegnata in un'asta giudiziaria ad Alessandria; - e' mera induzione ritenere che la stessa si fosse appositamente allontanata per potersi creare una soluzione nel caso in cui l'attivita' concordata con l' (OMISSIS) non fosse andata bene; - e' una mera presunzione che una terza persona potesse essere coinvolta nella attivita' di consegna dell'argento, e, comunque, nessuna attivita' al fine della sua identificazione e' stata svolta; - la valenza indiziante del fissaggio del prezzo dell'argento all'interno della sede della (OMISSIS) s.r.l. e' minima considerato che in altre occasioni il fissaggio di altri tre carichi riferibili alla (OMISSIS) era stato effettuato successivamente al carico e in diversa localita' ((OMISSIS)); - gli addebiti e i carichi riferibili alla (OMISSIS) scontano una elevata genericita' quanto ai criteri di identificazione, mentre ricorre una sola prova indiretta rappresentata dalla elencazione dei cidt; - gli elementi relativi alla fatturazione della (OMISSIS) sono stati valutati in modo assolutamente inadeguato e con valenza neanche indiziaria. 6.3. Con il terzo motivo di ricorso e' stata dedotta violazione di legge e elusione della regola sul ragionevole dubbio in violazione dei diritti di difesa, oltre che vizio della motivazione; la quantita' di argento oggetto di contestazione e riferita alla ricorrente e' del tutto incompatibile per dimensioni e peso con le strutture a disposizione della (OMISSIS) S.r.l.; per superare tale limite oggettivo la Corte di appello ipotizza il ricorso della stessa ad altre strutture con maggiore capienza, senza alcun riscontro in tal senso; ricorre in tal senso un ragionamento meramente presuntivo e non riscontrato; si giustificano premesse fattuali della decisione in modo arbitrario e manifestamente illogico, giustificando il ragionamento con mere congetture, tanto da doversi ritenere violato il principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio. In tal senso la difesa ha criticato l'estensione del meccanismo di cui al capo 2) al capo 5) in mancanza di elementi certi, tra l'altro il prezzo di vendita asseritamente praticato dalla ricorrente all' (OMISSIS) contrasta gia' di per se' la natura illecita della transazione. 6.4. Con il quarto motivo di ricorso e' stata violazione di legge e manifesta illogicita' della motivazione, attesa la mera ripetitivita' delle argomentazioni giustificative quanto alla condotta contestata al capo 5) mediante il mero richiamo alle considerazioni spese in relazione al capo 2);la Corte di appello conseguentemente erra nel configurare la condotta della ricorrente quale concorso nel delitto di cui all'articolo 648-ter c.p. e non quale ricettazione; sfugge la ragione per cui i vari fornitori di oro ai vari (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS) siano stati dichiarati responsabili di ricettazione, mentre la fornitrice dell'argento sia stata considerata concorrente, anche attesa l'assenza della (OMISSIS) da qualsiasi incontro e parte della condotta nella quale si sarebbe dipanato il reimpiego dell'argento, mentre tale condotta deve essere riferita esclusivamente agli altri tre coimputati. Viene, inoltre, sottolineata dalla difesa l'erroneita' dell'affermazione della Corte di appello secondo la quale il pagamento delle forniture effettuate dalla (OMISSIS) sarebbero avvenute con denaro fornito dal (OMISSIS), a seguito della restituzione al (OMISSIS) delle somme bonificate a favore della (OMISSIS), quale solo formale pagamento delle fatture di vendita emesse a carico della (OMISSIS) s.r.l., in tal modo configurando un diretto interesse della (OMISSIS) al buon esito delle condotte di reimpiego; tuttavia il denaro non e' mai stato fornito da (OMISSIS), ma da (OMISSIS); manca, dunque, una prova del pagamento con somma di ritorno del pagamento fittizio ad (OMISSIS) s.r.l.. 6.5. Con il primo motivo aggiunto e' stata richiamata la questione relativa all'incompetenza per territorio, le diverse occasioni nel corso del procedimento in cui la questione e' stata sollevata, la violazione di legge derivante dalla decisione implicita del Gip, cosi' come definita dal Tribunale in primo grado, con chiaro pregiudizio del diritto di difesa e della piattaforma probatoria in relazione alla quale giungere ad una decisione. Il Tribunale, inoltre, nel considerare la condotta oggetto di imputazione, le differenze rispetto alla condotta di ricettazione e riciclaggio e' giunto ad una interpretazione errata del momento consumativo del delitto di reimpiego. Le alternative interpretative portano, dunque, a poter ritenere la competenza o in relazione alla effettiva realizzazione teleologica della condotta, ovvero il materiale impiego del metallo in una attivita' economica-fine, commerciale, diversa dalla intermediazione o all'estremo opposto in via anticipata al momento del medesimo disegno criminoso come indicato in motivazione; ad ogni modo non ricorrerebbe la competenza del Tribunale di Torino identificato solo in correlazione con la dissimulazione della provenienza illecita del metallo attraverso la predisposizione di fatture ideologicamente false. Anche la considerazione dei criteri sussidiari per come indicati non appare condivisibile. 6.6. Con il secondo motivo di ricorso e' stato introdotto il tema della confisca obbligatoria ex articolo 648-quater c.p. del prodotto del reato, ovvero dei quantitativi di metallo prezioso immessi nel circuito commerciale individuati per la (OMISSIS) nella quota di argento corrispondente a 1.836,085 kg, per un valore indicato in fattura di 677.809,00 Euro; sul punto risultano disattesi i motivi di appello e le doglianze difensive introdotte anche con i motivi nuovi. Nella sentenza impugnata e' mancato un accertamento in ordine all'entita' del vantaggio economico di cui avrebbe effettivamente goduto l'imputata (OMISSIS), perche' responsabile del delitto di cui all'articolo 648-ter c.p.. I criteri richiamati rendono evidente che ricorre un pericolo di moltiplicazione del calcolo del prodotto del reato; manca sul punto una adeguata e logica motivazione, attesa la natura sanzionatoria della confisca di valore; il rischio e' dunque quello di scadere in una pena del tutto illegale, non corrispondendo la disposta confisca all'effettivo valore del vantaggio patrimoniale realmente percepito dall'autore del reato. 6.7. La difesa della (OMISSIS) allegava anche una nota di produzione documentale a fini di autosufficienza del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Sono inammissibili i ricorsi proposti da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) perche' proposti con motivi manifestamente infondati, generici e non consentiti, mentre devono essere rigettati i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) perche' proposti con motivi infondati e in parte non consentiti. 1. Ricorso (OMISSIS). 1.1. Il motivo di ricorso e' manifestamente infondato, generico e in parte non consentito. In via preliminare occorre considerare che nel caso in esame ricorre una c.d. "doppia conforme" quanto all'affermazione di responsabilita' del (OMISSIS). Questa Corte ha ripetutamente affermato che la sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, specie quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze gia' esaminate e ampiamente chiarite nella pronuncia di primo grado (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, Valerio, Rv. 252615-01; Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229-01). Pertanto, in presenza di una doppia conforme anche nell'iter motivazionale, il giudice di appello non e' tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le argomentazioni che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593-01; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera, Rv. 260841-01). 1.2. Il ricorrente ha, inoltre, dedotto la ricorrenza di violazione di legge con riferimento all'articolo 192 c.p.p. Tale motivo non e' consentito. In tal senso si deve richiamare e ribadire l'orientamento di questa Corte secondo il quale le doglianze relative alla violazione del suddetto articolo, riguardanti la valutazione delle risultanze probatorie, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge (Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M." Rv. 274191-01; Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, Pecorelli, Rv. 271294-01; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567-01; Sez. 6, n. 7336 del 08/01/2004, Meta, Rv. 229159-01). Di recente anche le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito detto principio, affermando che non e' "consentito il motivo di ricorso c:on cui si deduca la violazione dell'articolo 192 c.p.p., anche se in relazione agli articoli 125 c.p.p., e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti, in quanto i limiti all'ammissibilita' delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), ed in difetto di una espressa sanzione di inutilizzabilita', nullita', inammissibilita', decadenza" (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-04, in motivazione; nello stesso senso anche quanto alla lettera b) dell'articolo 606 c.p.p. Sez. 6, n. 4119 del 30/04/2019, Romeo Gestioni S.p.a., Rv. 278196-02). 1.3 La deduzione, dunque, puo' essere esaminata sotto il profilo del vizio motivazionale, ma il vizio dedotto e' quello della mancanza, carenza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione, chiaramente insussistente, alla luce delle argomentazioni dei giudici di merito, in larga parte obliterate dalla difesa, che in sostanza ha reiterato una doglianza di puro merito, sollecitando un sindacato sulle valutazioni effettuate ed invocando di fatto una inammissibile rilettura delle prove poste a fondamento della decisione impugnata. 1.4. La Corte di appello ha, difatti, ricostruito in modo analitico e persuasivo la condotta posta in essere dal (OMISSIS) in relazione all'imputazione elevata (pag. 30 e seg.), descrivendo i suoi costanti rapporti con il (OMISSIS), la correlazione tra il reperimento del denaro in contanti trasportato illegalmente dall'estero dal (OMISSIS) e gli accordi tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), la rilevanza della sua posizione rispetto agli interessi del (OMISSIS), anche tenuto conto delle captazioni ricorrenti e costanti tra gli stessi, elementi questi letti in modo analitico e compiuto dalla Corte di appello, tenendo conto in modo esplicito della versione alternativa fornita dallo stesso anche quanto alle dichiarazioni del (OMISSIS), ricostruendo il ruolo di fornitore dello stesso del (OMISSIS), con motivazione logica e persuasiva, con la quale il ricorrente non si confronta limitandosi a proporre una lettura alternativa e parcellizzata degli elementi acquisiti in giudizio non consentita in questa sede. 1.5. Il motivo si caratterizza, dunque, per un'evidente genericita' e mancanza di specificita'. La mancanza di specificita' del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericita', come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificita', conducente, a norma dell'articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), all'inammissibilita' (cfr. Sez.4, n. 256 del 18/09/1997, Ahmetovic, Rv. 210157-02; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano, Rv. 236945-01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568-01; Sez. 2, n. 11951 del 20/01/2014, Lavorato, Rv. 259435-01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Botartour Sami, Rv. 277710 -01). 1.6. La difesa si e' dunque limitata a proporre una lettura alternativa dell'insieme degli elementi acquisiti in giudizio, sebbene questa Corte abbia ripetutamente affermato che e' preclusa la possibilita' di una nuova valutazione delle risultanze acquisite da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito attraverso una diversa ed alternativa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilita' delle fonti di prova (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217-01, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, Barraglia, Rv. 275100-01, Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, Colomberotto, Rv. 271702-01, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Ferri, Rv. 277758-01, Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482-01; Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, Battaglia, Rv. 275100-01). 1.7. Da cio' consegue l'inammissibilita' di tutte le doglianze che criticano la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita', la stessa illogicita' quando non manifesta, cosi' come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilita', della credibilita', dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento, rappresentando tutto cio' una non ammissibile interferenza con la valutazione del fatto riservata al giudice del merito (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747-01, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965-01). 1.8. Infine occorre considerare che il ricorrente - nel ritenere la ricorrenza di ogni genere di vizio (violazione di legge, violazione di legge processuale, vizio della motivazione in tutte le sue forme) con plurimi e differenziati elementi richiamati in modo assai generico in un unico motivo di ricorso - ha anche censurato l'interpretazione data dalla Corte di appello alle numerose captazioni che hanno interessato il (OMISSIS), proponendone in sostanza una diversa lettura. La doglianza, tra l'altro articolata genericamente nel corpo dell'unico motivo, si presenta anche in questo caso manifestamente infondata, atteso che l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, non puo' essere sindacata dalla Corte di cassazione se non nei limiti della manifesta illogicita' e irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite. In questa sede, dunque, e' possibile prospettare un'interpretazione del significato di un'intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il contenuto sia stato indicato in modo difforme da quello reale e la difformita' risulti decisiva e incontestabile (Sez. U, n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263715; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650; da ultimo v. Sez. 1, n. 22336 del 23/03/2021, La Torre, non mass.), circostanza evidentemente non solo non ricorrente nel caso in esame, ma neanche allegata dalla difesa. La Corte di appello ha considerato in modo analitico tali elementi, li ha ricollegati in ambito spazio temporale specifico, ha valutato la rilevanza delle chiamate effettuate a seguito dei contatti tra (OMISSIS) e il soggetto che doveva trasportare il denaro in contanti, sottolineandone la significativita' in modo logico e persuasivo. 1.9. Infine tra i molti elementi richiamati nel predetto unico motivo di ricorso si fa anche un aspecifico riferimento all'asserita ricorrenza di un travisamento della prova, senza tuttavia puntualmente evidenziare l'ambito di tale travisamento, ne' articolare conseguentemente rilievi puntuali in tema di prova resistenza, con evidente genericita' ed aspecificita' della censura proposta. In tal senso occorre ricordare che il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, puo' essere dedotto con il ricorso per cassazione quando la decisione impugnata abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", essere superato il limite costituito dal devolutum con recuperi in sede di legittimita', salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, Rv. 243636; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Rv. 257499; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 Rv. 258438). E nel caso di specie il giudice di appello, con valutazione del tutto conforme a quello di primo grado, ha ricostruito compiutamente l'insieme degli elementi probatori riferibili al (OMISSIS), la sua attivita', i suoi contatti con il (OMISSIS), il tipo di interessi che li legava, la mancata allegazione di una valida versione alternativa da parte dello stesso, anche considerata la competenza specifica da riferire al ricorrente nella attivita' professionale oggetto di indagine. Tale valutazione, in quanto ancorata a precise circostanze emerse nel corso dell'istruzione dibattimentale, appare priva di qualsiasi illogicita', tanto piu' manifesta, esente da qualsiasi travisamento, e si rileva non censurabile nella presente sede. 2. Ricorso (OMISSIS). Il motivo di ricorso e' manifestamente infondato, generico e in parte non consentito. Anche nel caso del (OMISSIS) ricorre un c.d. "doppia conforme" quanto all'affermazione di responsabilita' dello stesso. Devono essere conseguentemente richiamati sul punto i principi gia' affermati su questo tema al punto 1.1.. La difesa del (OMISSIS) con argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle del (OMISSIS) ha, quindi, ritenuto la ricorrenza di violazione di legge in relazione all'articolo 192 c.p.p. Vanno anche in relazione a tale doglianza richiamati i principi di cui al punto 1.2., quanto all'impossibilita' di dedurre come vizio di violazione di legge o violazione di legge processuale il mancato rispetto del canone di cui al parametro normativo invocato, come di recente ribadito dalle Sezioni Unite Filardo. La deduzione, dunque, puo' essere esaminata sotto il profilo del vizio motivazionale, ma il vizio dedotto e' quello della mancanza, carenza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione, chiaramente insussistente, alla luce delle argomentazioni dei giudici di merito, in larga parte obliterate dalla difesa, che in sostanza ha reiterato una doglianza di puro merito, sollecitando un sindacato sulle valutazioni effettuate ed invocando di fatto una inammissibile rilettura delle prove poste a fondamento della decisione impugnata. La Corte di appello ha, difatti, ricostruito in modo analitico e persuasivo la condotta posta in essere dal (OMISSIS) in relazione all'imputazione elevata (pagg. 33 e seg.), descrivendo i suoi costanti rapporti con il (OMISSIS) con una serie di contatti e rapporti tra i due caratterizzati da speciale assiduita' ed aventi ad oggetto scambi di quantita' e qualita' assai elevata, la correlazione tra il reperimento del denaro in contanti trasportato illegalmente dall'estero dal (OMISSIS) e gli accordi tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), la rilevanza della sua posizione rispetto agli interessi del (OMISSIS), anche tenuto conto delle capitazioni ricorrenti e costanti tra gli stessi. Elementi questi letti in modo analitico e compiuto dalla Corte di appello, tenendo conto in modo esplicito della versione alternativa fornita dal ricorrente anche quanto alle dichiarazioni del (OMISSIS), ricostruendo il ruolo di fornitore del (OMISSIS) con motivazione logica e persuasiva, con la quale il ricorrente non si confronta, limitandosi a proporre una lettura alternativa e parcellizzata degli elementi acquisiti in giudizio non consentita in questa sede. Devono essere richiamati in tal senso i principi evidenziati ai punti 1.6 e 1.7. La Corte di appello ha, difatti, ricostruito in modo puntuale e persuasivo le incongruenze della testimonianza del (OMISSIS), tanto da ritenerla inattendibile con specifico riferimento si richiami effettuati nei motivi di ricorso. Sono stati, inoltre, richiamati una serie di elementi ulteriori, nella considerazione della persona del (OMISSIS), estremamente rilevanti anche quanto ai motivi aggiunti proposti, ovvero la pluralita' di indizi, gravi, precisi e concordanti a carico della stesso, oltre alla genericita' delle giustificazioni fornite, con considerazione specifica della versione alternativa fornita dal ricorrente. Di fatto il ricorrente, nel proporre una serie di argomentazioni alquanto generiche ed aspecifiche, non tiene conto di una serie di elementi ulteriori, anche documentali, richiamati dalla Corte di appello, come la sentenza del G.u.p. di Torino del 04/12/2017, limitandosi dunque a proporre una aspecifica e non consentita lettura alternativa degli elementi acquisiti in giudizio. Devono essere in tal senso richiamati i principi gia' enunciati al punto 1.5.. Nello stesso senso si devono ritenere non consentite le generiche censure, articolate in modo cumulativo e confuso all'interno del medesimo motivo, quanto all'interpretazione delle captazioni, ritenuta "a senso unico" senza ulteriore specificazione, cosi' quanto ad un non meglio precisato travisamento della prova in ordine alle dichiarazioni del (OMISSIS). Devono essere richiamati anche in questo caso i principi enunciati ai punti 1.6,1.7, 1.8 e 1.9. Il richiamo alla lettura delle intercettazioni si risolve in un'inammissibile intrusione nel merito da parte del ricorrente, in assenza di qualsiasi illogicita' nelle argomentazioni spesa dalla Corte di appello, che ha dato rilievo non solo ed esclusivamente al contenuto delle stesse, quanto piuttosto alla significativa tempistica dei contatti, alla frequenza degli stessi ed alla correlazione con le attivita' del (OMISSIS), cosi' persuasivamente ricostruendo il collegamento tra le diverse attivita' dei soggetti coinvolti nella complessa ed illecita attivita' di commercio di oro oggetto di accertamento. Nello stesso senso devono essere ritenute manifestamente infondate le censure in tema di travisamento della prova, di fatto meramente enunciate, senza effettiva argomentazione, e senza alcun richiamo all'eventuale prova di resistenza, cosi' scadendo la doglianza articolata nell'ambito dell'unico motivo nel vizio evidente di aspecificita'. Al contrario di quanto affermato dalla difesa, ricorre un'ampia ed approfondita considerazione delle dichiarazioni del (OMISSIS), con c:onclusioni logiche e persuasive quanto all'inattendibilita' della stessa in considerazione di una serie di dati oggettivi puntualmente richiamati, con connotazione specificamente articolata quanto alle caratteristiche delle conversazioni, agli interessi in gioco, alla correlazione con le altre attivita' collegate agli interessi del (OMISSIS) e del (OMISSIS). 3. Ricorso (OMISSIS). I motivi di ricorso presentati dallo (OMISSIS) sono manifestamente infondati, generici e non consentiti. In via preliminare occorre considerare come anche quanto alla posizione del ricorrente ricorra una c.d. doppia conforme. Devono quindi essere richiamati e ritenuti applicabili i principi gia' enunciati al punto 1.1. Inoltre si deve osservare come i motivi proposti siano caratterizzati da evidente genericita', meramente reiterativi dei motivi di appello, in assenza di qualsiasi diretta correlazione con la motivazione ampia, logica, approfondita ed argomentata in assenza di aporie, della Corte di appello di Torino. Va ricordato che la mancanza di specificita' del motivo deve essere apprezzata non solo per la sua genericita', come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificita', conducente, a norma dell'articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), all'inammissibilita' (Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521-01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutatour, Rv. 277710-01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Rv. 255568-01; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849-01; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Rv. 23694501). Nel riproporre pedissequamente i motivi di appello, cosi' c:ome nell'articolare una serie di considerazioni in tutto corrispondenti ai motivi di appello al fine di introdurre un'evidente lettura alternativa del merito, non ammissibile in questa sede, il ricorrente non si confronta compiutamente con la motivazione della sentenza di appello. Deve essere, in tal senso, ribadito il principio di diritto affermato da questa Corte secondo il quale e' inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilita' delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericita' delle doglianze che, cosi' prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608-01). La giurisprudenza di legittimita' ha, infatti, chiarito che e' inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l'appello, e motivatamente respinti in secondo grado, che non si confronta criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, ma si limita, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicita' della motivazione (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01). 3.1. Il primo motivo di ricorso non e' consentito. Il ricorrente, infatti, seppure con ampie ed approfondite argomentazioni, di fatto non si confronta con l'ampia motivazione della Corte di appello quanto alla condotta imputata ed al concorso ascritto allo (OMISSIS), tendendo a proporre una lettura alternativa del merito non consentita in questa sede. Devono essere in tal senso richiamati i principi gia' enunciati al punto 1.6. Il giudice di secondo grado ha ricostruito in modo ampio, analitico e persuasivo, la dinamica sottesa al realizzato traffico di oro, chiarendo come questo si basasse sull'articolata finzione della provenienza dall'estero dell'oro, con un meccanismo particolarmente evolul:o che coinvolgeva societa' di diritto straniero, realmente costituite, al fine di gestire con maggiore facilita' la movimentazione di contanti per retribuire i ricettatori e l'organizzazione della vendita dell'oro in Italia (pagg. 39 e seg.), ricostruendo in modo specifico il ruolo del ricorrente (OMISSIS) (pagg. 48 e seg.). In tal senso si e' persuasivamente ricostruito: - il ruolo del ricorrente e il suo essere subentrato in una diversa fase rispetto al precedente coinvolgimento del (OMISSIS); - le caratteristiche delle fatture emesse dal (OMISSIS); - la decisione del G.u.p. di Torino che aveva ritenuto colpevoli i concorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS); - la definitivita' dell'accertamento sulla condotta per come riscontrata da tale decisione; - la presenza di ulteriori elementi di prova tra i quali la testimonianza della Scicchitano; - la significativa rilevanza della documentazione utilizzata dal (OMISSIS) con particolare riferimento ad una fattura del 21/12/2015 riferibile ad una societa' che tuttavia diveniva operativa in data successiva; - la mancata contestazione da parte dello (OMISSIS) del complesso meccanismo organizzato dal (OMISSIS), con conseguente falsita' delle compravendite con le societa' croate (OMISSIS) d.o.o. e (OMISSIS) d.o.o., (OMISSIS) d.o.o. e (OMISSIS) d.o.o. rispetto alle quali il ricorrente si limitava a dichiarare la propria estraneita'; - il coinvolgimento dello stesso non solo sulla base delle dichiarazioni della (OMISSIS), ma anche di altri testimoni che evidenziavano come per tali societa' croate, che all'evidenza non vendevano oro, il referente era sempre stato lo (OMISSIS), con il quale si trattavano le condizioni di vendita, l'instaurazione del rapporto di fornitura e il c.d. fissaggio; - la mancata spiegazione da parte del ricorrente delle caratteristiche effettive della sua relazione professionale con tali societa', attesa la numerosa documentazione proveniente dalle societa' croate che attestava la compravendita di oro mai nella loro effettiva disponibilita' e delle quali lo (OMISSIS) era referente, in assenza di contestazioni sul punto. Contrariamente, quindi, a quanto affermato dalla difesa, non ricorre alcuna erronea considerazione del complesso degli elementi probatori acquisiti, ne' tanto meno un travisamento delle dichiarazioni della (OMISSIS), che rappresentano solo uno degli elementi valutati dalla Corte di appello nel ricostruire ruolo dello (OMISSIS) nel complesso meccanismo ideato dal (OMISSIS). Il ricorrente si limita, di fatto, a proporre una lettura parcellizzata di tali elementi senza confrontarsi effettivamente con la motivazione della Corte di appello, tentando di introdurre una lettura alternativa degli stessi, non consentita in questa sede, in mancanza di qualsiasi illogicita' o travisamento delle prove assunte. Valgono anche in questo caso i principi gia' enunciati al punto 1.6. 3.2. Anche il secondo e terzo motivo di ricorso sono inammissibili perche' del tutto reiterativi in mancanza di esplicito confronto con l'ampia e logica motivazione della Corte di appello sul punto (pag. 51 e 52), con la quale il ricorrente non si confronta. Il giudice di secondo grado ha, difatti, chiarito come le doglianze articolate non fossero centrate, atteso che la documentazione in questione era da identificare in documentazione bancaria richiesta direttamente all'autorita' di polizia straniera. Nel ricostruire tale ambito applicativo e' stato correttamente ritenuto che non ricorresse alcun vizio, ne' sanzione d'inutilizzabilita' della documentazione in questione in applicazione di corretti principi di diritto, tra l'altro esplicitamente richiamati dalla Corte di appello, che qui si intendono ribadire, secondo i quali la sanzione di inutilizzabilita' degli atti assunti per rogatoria non si applica ai documenti acquisiti in via autonoma dalla parte all'estero tramite le amministrazioni competenti (Sez. 2, n. 4152 del 25/10/2019, Nunziata, Rv. 278003-01). Con tale motivazione il ricorrente non si confronta, limitandosi a riproporre le proprie argomentazioni in termini assolutamente coincidenti con il motivo di appello ed allegando in modo del tutto generico, in assenza di qualsiasi reale ed effettiva specificazione ed argomentazione sul punto, una natura per di tali atti (non specificamente indicati) sostanzialmente corrispondente ad un provvedimento di rinvio a giudizio, senza tuttavia chiaramente specificare su quale base sia stata raggiunta tale conclusione. 3.3. Anche il tema introdotto dal terzo motivo di ricorso viene reiterato in termini assolutamente identici al relativo motivo di appello, senza effettivo confronto con la motivazione della Corte di appello, che ha chiarito come il potere ex articolo 507 c.p.p. puo' essere esercitato anche con riferimento a quelle prove per la cui ammissione si sia verificata la decadenza per omesso tempestivo deposito della lista testimoniale, con particolare esplicazione del concetto di prova nuova con il quale il ricorrente non si confronta affatto. La Corte di appello ha poi anche chiarito, con una motivazione del tutto logica, che i rapporti tra le societa' croate e le societa' di cui i testi erano dipendenti o legali rappresentati erano emersi in modo chiaro solo ad esito della traduzione della documentazione proveniente dalle societa' croate, con cio' ulteriormente chiarendo e precisando la portata della legittima decisione del Tribunale. Con tale motivazione il ricorrente non si confronta affatto. Il motivo, dunque, oltre a caratterizzarsi per ripetitivita' e reiterazione si manifesta nella sua oggettiva aspecificita'. La Corte di appello ha correttamente applicato il principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale il giudice ha il potere di disporre d'ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prova ex articolo 507 c.p.p. anche con riferimento a prove testimoniali indicate in liste depositate tardivamente o rinunciate, trattandosi di potere funzionale a garantire il controllo giudiziale sull'esercizio dell'azione penale e sul suo sviluppo processuale, ovvero sulla completezza del compendio probatorio su cui deve fondarsi la decisione. Dunque l'assegnazione al giudice di tale potere non e' in contrasto con le indicazioni della Costituzione e della Corte EDU, che si limitano a garantire il contraddittorio nella formazione della prova, ma non inibiscono il controllo sulla completezza del compendio probatorio, necessario correlato dell'indisponibilita' dell'azione penale, conseguente al riconoscimento della natura ultra-individuale degli interessi tutelati dalla giurisdizione penale (Sez. 2, n. 46147 del 10/10/2019, Janmoune, Rv. 277591-01). 3.4. Anche il quarto motivo di ricorso non e' consentito risolvendosi, ancora una volta, in una lettura alternativa del merito non consentita in questa sede. Devono essere in tal senso richiamati i principi gia' evidenziati al punto 1.6., risolvendosi il motivo, in mancanza di confronto con la motivazione della Corte di appello sul punto, in una mera reiterazione del motivo di appello, denunciando cosi' solo apparentemente un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608-01), senza tener conto delle ampie argomentazioni spese dal giudice di secondo grado in ordine alla ricostruzione del fatto, della complessa organizzazione ad essa sottesa, della piena consapevolezza dei molteplici attori coinvolti nel delitto contestato allo (OMISSIS) (pag. 72 e seg.). Con tale ampia motivazione il ricorrente non si confronta. In tal senso, la ricostruzione analitica della disciplina relativa al commercio dei metalli preziosi, le molteplici attivita' poste in essere dagli imputati nel loro diverso ruolo, l'evidente organizzazione di mezzi e persone al fine di occultare in modi diversi, a seconda del ruolo svolto, la provenienza non lecita dei materiali preziosi oggetto di contrattazione, fatturazione, fissaggio e vendita, sono stati compiutamente considerati dalla Corte di appello con argomentazione logica e persuasiva, evidenziando in modo puntuale la ricorrenza di una autonoma e successiva determinazione volitiva di reimpiego in attivita' economiche. La Corte di appello ha, dunque, correttamente applicato il principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale ai fini della configurabilita' del reato di cui all'articolo 648-ter c.p., non e' necessario che la condotta di reimpiego presenti connotazioni dissimulatorie volte ad ostacolare l'individuazione o l'accertamento della provenienza illecita dei beni, in quanto tale delitto tutela, in via residuale rispetto a quelli di riciclaggio e autoriciclaggio, la genuinita' del libero mercato da qualunque forma di inquinamento proveniente dall'utilizzo di beni di provenienza illecita (Sez. 2, n. 24273 del 18/02/2021, Iozzino, Rv. 281626-01; Sez. 2, n. 43387 dep 08/10/2019, Novizio, Rv. 277997-03; Sez. 2, n. 37678 del 17/06/2015, Corallo Rv. 264466-01; Sez. 2, n. 9026 del 05/11/2013, Palumbo, Rv. 258525-01), anche quanto alla connotazione dell'elemento soggettivo, atteso che il dolo del delitto di cui all'articolo 648-ter c.p. e' costituito dalla mera coscienza e vollonta' di destinare ad un impiego economicamente utile i capitali illeciti, unitamente alla consapevolezza, anche solo generica, della loro provenienza delittuosa. Difatti, se il legislatore avesse ritenuto necessaria la sussistenza del dolo specifico, collegato alla finalita' di ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa delle risorse impiegate, lo avrebbe espressamente previsto. 3.5. Anche il quinto motivo di ricorso e' manifestamente infondato. La Corte di appello ha specificamente motivato in terna di trattamento sanzionatorio, evidenziando non solo la sostanziale prossimita' al minimo dello stesso, ma anche chiarendo le caratteristiche dell'azione proprio quanto alla dosimetria della pena, specificando come non potesse essere condivisa l'aggettivazione di gregario riferita allo (OMISSIS). Il giudice di secondo grado, nel richiamare la dosimetria della pena seguita dal primo giudice, ne ha condiviso esplicitamente portata e criteri di calcolo, attese le modalita' e i caratteri della condotta posta in essere, manifestando un giudizio di congruita' sul punto. Il motivo di ricorso non si confronta con il costante orientamento di questa Corte secondo il quale poiche' la graduazione del trattamento sanzionatorio, in generale, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p., nel giudizio di cassazione e', comunque, inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, Cicciu', Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142; Sez. 1, n. 24213 del 13/03,12013, Pacchiarotti, Rv. 255825; da ultimo v. Sez. 2, n. 1929 del 16/12/2020, dep. 2021, Cipollini, non mass.). Le Sezioni Unite di questa Corte hanno di recente ribadito che una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantita' di pena irrogata e' necessaria soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. U, n. 12778 del 27/02/2020, S., Rv. 278869-01, in motivazione). 3.6. L'inammissibilita' dei motivi proposti rende di conseguenza inammissibili i motivi aggiunti, posto che secondo quanto inequivocabilmente disposto dall'articolo 585 c.p.p., comma 4, applicabile anche al ricorso per cassazione, l'inammissibilita' dell'impugnazione si estende anche ai motivi nuovi (Sez. 3, n. 43917 del 14/10/2021, G., Rv. 282218-01; Sez. 5, n. 166 del 13/01/1992, GGT, Rv. 279942-01) 4. Ricorso (OMISSIS). 4.1. Il primo motivo, del tutto reiterativo del motivo di appello, non e' consentito tendendo ad una evidente rilettura del merito, non ammessa in questa sede, tra l'altro in presenza di una c.d. doppia affermazione conforme quanto alla responsabilita' del (OMISSIS) per le condotte allo stesso ascritte. Devono essere in tal senso richiamati i principi di diritto gia' evidenziati ai punti 1.1., 1.6.,1.7. e 1.8. anche quanto alla puntuale interpretazione delle captazioni effettuate dalla Corte di appello. Dalla motivazione emerge, difatti, un'ampia ed argomentata ricostruzione delle condotte imputate al ricorrente in considerazione del sistema di ripulitura metalli effettuata dal (OMISSIS) e gestita per la vendita finale dal (OMISSIS), nonostante l'evidente provenienza illecita dei materiali oggetto di compravendita. La Corte di appello, come sopra evidenziato, ha puntualmente ricostruito il sistema di ripulitura del materiale prezioso in questione mediante il coinvolgimento di societa' estere con sostanziale funzione di interposizione quali cartiere ed ha collocato temporalmente, in modo chiaro ed inequivoco, la compartecipazione del (OMISSIS) nel trasporto del materiale oggetto di alterazione da parte del (OMISSIS) agli operatori aretini per la collocazione finale. In tale contesto e' stato anche considerato il rapporto intercorrente tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), la consegna dell'oro da parte del (OMISSIS) al (OMISSIS), in accordo con il (OMISSIS), seppure in mancanza di contatti diretti tra i due (pag. 40); l'evoluzione dei rapporti da parte del (OMISSIS) e (OMISSIS) con il (OMISSIS) a causa della sua ritenuta inaffidabilita'. In tale ambito spazio temporale (definito seconda fase, pag. 40 e seg.) sono state analiticamente descritte le attivita' poste in essere a seguito di accordo intervenuto tra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) proprio presso la sede della (OMISSIS) s.r.l., circostanza non smentita in alcun modo dal ricorrente. Con motivazione logica e persuasiva la Corte di appello ha ricostruito anche il profilo dell'elemento soggettivo della condotta oggetto d'imputazione (pag.42), dando condivisibile rilievo alla tempistica che ha caratterizzato l'azione del (OMISSIS), indicativa di una piena consapevolezza della impossibilita' che il metallo prezioso provenisse da Bucarest. Con tale articolata motivazione il ricorrente non si confronta, limitandosi a ribadire in modo del tutto corrispondente ai motivi di appello le proprie considerazioni dIfensive, proponendo dal proprio di vista una considerazione piu' plausibile delle risultanze istruttorie, senza tuttavia effettivamente evidenziare una reale illogicita' o contraddittorieta' della motivazione. Il motivo e' dunque del tutto reiterativo; devono anche in questo caso essere richiamati i principi di cui al punto 3.1. Gli ulteriori elementi richiamati dl ricorrente pur avendo un'evidente minore efficacia dimostrativa nella valutazione della Corte di appello, sono tuttavia ampiamente e persuasivamente considerati a conforto della ricostruzione della condotta complessivamente riferita al (OMISSIS), anche tenuto conto dell'esito di altri giudizi e delle ormai definitive affermazioni di responsabilita' quanto ai concorrenti nel reato allo stesso imputato (capo 14), con particolare riferimento alla tempistica e caratterizzazione delle operazioni bancarie con le societa' di diritto estero e al contenuto, logicamente interpretato, delle captazioni. Ne' appare risolutivo il generico richiamo quanto all'asserita ricorrenza di un complessivo travisamento della prova, in considerazione della pluralita' di elementi presi in considerazione dalla Corte di appello e dal giudice di primo grado, in assenza di qualsiasi allegazione da parte del ricorrente in ordine alla prova di resistenza conseguente. 4.2. Il secondo motivo di ricorso e' infondato. Sul tema della disposta confisca occorre preliminarmente sottolineare e chiarire che la stessa ha avuto ad oggetto il prodotto del reato. In tal senso le argomentazioni spese dalla difesa, con ampio richiamo a giurisprudenza di legittimita', non sembrano cogliere nel segno, atteso il riferimento a casi e fattispecie del tutto diverse ed, in particolare, ad ipotesi di riciclaggio con riferimento al profitto del reato. Il giudice di secondo grado ha ampiamente condiviso la decisione del Tribunale quanto alla confisca obbligatoria disposta ex articolo 648-quater c.p. del prodotto del reato, identificato nei quantitativi di metallo prezioso immessi nel circuito commerciale e individuati nei capi di imputazione grazie all'ampia documentazione reperita sulla base delle indagini piu' volte richiamate e svolte dalla Guardia di Finanza, indicando il valore con riferimento alle quotazioni ottenute per ciascun carico riguardo al capo 2) e ai corrispettivi indicati nelle fatture per gli altri capi", salvo precisare per il capo 5) che la quota di argento per la (OMISSIS), alla luce dei corrispettivi indicati nelle fatture e' pari a 677.809. La Corte di appello ha, in particolare, affermato che nel caso di specie costituiscono prodotto del reato i beni, quantitativi di oro e di argento, acquisiti dai vari soggetti collettori, poi trasformati mediante fusione e conversione in verghe d'oro e d'argento, e quindi nuovamente impiegati in un'attivita' economica lecita mediante immissione nel circuito commerciale ordinario grazie alla copertura delle finte vendite delle societa' estere. Richiamata, quindi, la natura fungibile di tali beni si e' affermato che la confisca per equivalente puo' riguardare la stessa quantita' di metallo avente le medesime caratteristiche ovvero l'equivalente valore di denaro al momento del fatto, con la conseguenza che, essendo stati rinvenuti solo in minima parte i quantitativi di oro e di argento negoziati dagli imputati, la confisca potra' essere disposta per equivalente su beni/denaro o altra utilita' sino alla concorrenza del valore del prodotto illecito indicato. Il giudice di secondo grado ha, inoltre, chiarito che, trattandosi di fattispecie di concorso, tutti i correi rispondono per intero dei beni che costituiscono il prodotto del reato. La confisca e' stata dunque disposta evidentemente in solido per l'intero dei beni che costituiscono il prodotto del reato e non in base all'attivita' posta in essere da ciascuno; in tal senso correttamente la Corte di appello ha chiarito che tale decisione ha carattere generale e prescinde dal ruolo effettivamente esercitato in concreto da ciascun concorrente, essendo sufficiente a tal fine un qualunque contributo causale. Infine, la motivazione ha sottolineato che l'unico correttivo e' rappresentato dal divieto di duplicazione. Tale motivazione del tutto logica, articolata e persuasiva, in considerazione del concetto giuridico di prodotto del reato per come elaborato dal diritto vivente e dalla giurisprudenza di legittimita' (Sez. U, n. 9149 del 1996, Chabni, Rv. 205707-01) ha dunque richiamato a fini di confisca il prodotto del reato inteso come la cosa materiale creata, trasformata o acquisita mediante l'attivita' criminosa, caratterizzata da un legame diretto ed immediato con tale attivita', e valutata la natura fungibile dell'oro ha disposto, nel rispetto del divieto di duplicazione, la confisca nei termini indicati. Con tale motivazione di fatto il ricorrente non si confronta, limitandosi a richiamare in modo aspecifico e non coerente con il caso concreto, come gia' detto, giurisprudenza relativa al concetto di profitto e non di prodotto, in tema di riciclaggio con riferimento alla singola porzione di condotta posta in essere dal riciclatore e non al complesso dell'azione posta in essere dai concorrenti nel reato, come nel caso in esame. La motivazione della Corte di appello ha tenuto conto della giurisprudenza di legittimita' su questo tema, che ha delineato i confini e le caratteristiche della confisca disposta ai sensi dell'articolo 648-quater c.p. applicata nel caso in esame; la confisca ha, dunque, ad oggetto il valore del vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dagli autori del reato, assolvendo in tal modo ad una sostanziale funzione ripristinatoria della situazione economica, modificata a seguito della commissione del reato (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 26443701). La natura sanzionatoria della confisca per equivalente, che non e' commisurata ne' alla colpevolezza dell'autore del reato ne' alla gravita' della condotta, e' stata invocata dagli stessi ricorrenti al fine di sostenere l'illegittimita' della confisca disposta con la sentenza impugnata e, pur tuttavia, come sopra evidenziato, occorre ribadire che le doglianze proposte in ordine alla quantificazione degli importi assoggettati a confisca sono infondate. Il giudice di merito, difatti, ha specificamente ed ampiamente motivato in ordine alla estensione della confisca disposta, precisando con un richiamo puntuale alla contestazione e agli elementi di prova acquisiti, anche mediante ampia produzione documentale, che il prodotto del reato deve essere identificato dall'intero valore dei beni reimpiegati dagli imputati in concorso tra loro, proprio perche' i metalli preziosi oggetto di contestazione rappresentano il prodotto acquisito mediante reato, nell'ambito della composita attivita' posta in essere dai ricorrenti in concorso tra loro. Applicando poi il principio solidaristico, il giudice di primo grado, il cui ragionamento e' stato condiviso, esplicato ed ampliato dalla Corte di appello, ha considerato il valore complessivo, indicato in ciascuno dei capi d'imputazione specificamente contestati, riferito a tutte le attivita' illecite ascritte al complessivo gruppo dei concorrenti in volta per volta preso in considerazione nei capi di imputazione medesimi a prescindere dal profitto materialmente percepito da ciascuno dei concorrenti, appunto responsabili in concorso. Ne consegue che il motivo proposto pur se formalmente riferito anche al vizio di violazione di legge, che all'evidenza risulta insussistente, nella sostanza contesta la valutazione del giudice quanto al profilo quantitativo della misura disposta, richiamando di fatto, in modo non consentito, una diversa interpretazione dell'esito dibattimentale e degli accertamenti e prove ivi confluite. In concreto poi i giudici di merito hanno correttamente applicato il principio solidaristico, con conseguente imputazione dell'intera azione e dell'effetto conseguente in capo a ciascun concorrente nel reato, disponendo la confisca del prodotto del reato - che nell'ambito dell'azione illecita caratterizzata da organizzazione di mezzi e persone ha perso la sua individualita' storica - indifferentemente verso ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entita' del profitto accertato, cori l'enunciazione del chiaro limite, rappresentato dal divieto di duplicazione, perche' chiaramente non e' consentito eccedere nel quantum dell'ammontare complessivo dello stesso, verifica questa normalmente demandata alla fase esecutiva, come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimita' anche in sede di:sequestro e di reati di riciclaggio e ricettazione, con principio certamente applicabile anche al caso in esame (Sez.6, n. 6607 del 21/10/2020, Venuti, Rv. 281046-01; Sez. 6, n. 26621 del 10/04/2018, Ahmed, Rv. 273256-01; Sez. 3, n. 56451 del 05/12/2017, dep. 2018, Maiorana, Rv. 273604-01). Difatti, la responsabilita' penale dell'agente deriva sempre da un fatto proprio, sia pure ascritto a titolo di concorso, cosi' come avviene per l'imputazione dell'intera azione delittuosa in capo a ciascun concorrente, sulla base della concezione unitaria del concorso di persone recepita dal codice penale. 5. Ricorso (OMISSIS). 5.1. Quanto al primo motivo di ricorso, si deve, in primo luogo, precisare, che secondo il costante indirizzo espresso della giurisprudenza di legittimita' quanto alla determinazione della competenza per territorio nel caso di reati connessi, detta competenza va determinata avendo riguardo alla contestazione formulata dal pubblico ministero, a meno che la stessa non contenga rilevanti errori, macroscopici e immediatamente percepibili (tra le altre, Sez. 1, n. 31335 del 23/03/2018, Giugliano, Rv. 273484-01; Sez. 1, n. 36336 del 23/07/2015, Novarese, Rv. 264539-01; Sez. 1, n. 11047 del 24/02/2010, Guida, Rv. 246782-01). 5.2. Quanto invece alla critica articolata nei confronl:i della decisione del Gip, occorre considerare che in tema di competenza la valutazione della questione, posta anche dinnanzi al Gip, puo' effettivamente essere desunta dal tenore complessivo del provvedimento adottato dal giudice, che per il suo contenuto, caratteristiche e portata di fatto contiene in se' la statuizione negativa e di rigetto (Sez. 1, n. 26373 del 24/01/2017, Orbulescu, Rv. 270116-01 in tema di conflitto negativo di competenza, ma espressione di principio condivisibile anche nel caso in esame). 5.3. Cio' posto, occorre considerare che sia il giudice di primo grado che la Corte di appello hanno fatto corretta applicazione del principio, piu' volte affermato dalla Corte, secondo il quale le valutazioni che riguardano l'individuazione della competenza territoriale vanno condotte "allo stato degli atti", considerata la collocazione delle relative questioni nell'ambito della fase degli atti preliminari al dibattimento (ai sensi del combinato disposto dell'articolo 21 c.p.p., comma 2 e articolo 491 c.p.p., comma 1), che preclude qualsiasi previa istruzione od allegazione di prove a sostegno della proposta eccezione (dovendosi cosi' escludere alcun rilievo, ad esempio, alle sopravvenute prove assunte in dibattimento, Sez. 4, n. 27252 del 23/09/2020, S., Rv. 279537-01; Sez. 6, n. 49754 del 21/11/2012, Casulli, Rv. 254100-01; Sez. 6, n. 33435 del 04/05/2006, Battistella, Rv. 23434701). Sia il giudice di primo che di secondo grado hanno considerato con motivazione esplicita, logica e adeguatamente motivata, che il Gip con il proprio provvedimento avesse disatteso in modo inequivoco, anche se implicito, la questione relativa alla competenza territoriale. I giudici del merito hanno poi esplicitamente affrontato la questione di competenza proposta, pronunciandosi espressamente sul tema, con motivazione che deve essere solo in parte corretta in relazione a quanto affermato dalla Corte di appello. 5.4. Il Tribunale in primo grado e la Corte di appello hanno, dunque, con la loro decisione, ampiamente motivato in ordine alla questione proposta, richiamando caratteristiche dell'azione imputata, connotazione della fattispecie in esame, per giungere ad una soluzione che non appare condivisa dalla difesa, che di fatto in questa sede reitera le proprie argomentazioni, in senso alternativo, senza realmente confrontarsi con il portato della motivazione nell'insieme fondato, che ha anche esplicitamente considerato la diversita' delle fattispecie di riciclaggio e reimpiego in considerazione della condotta contestata, e' bene sottolinearlo, alla (OMISSIS) in concorso con altri. Con tale motivazione la ricorrente non si confronta effettivamente ed anzi, nella sostanza, il motivo di ricorso si caratterizza per una sua sostanziale genericita'. Difatti, in presenza di una contestazione caratterizzata dalla presenza di un concorso di persone nel reato e di reati tra loro connessi soggettivamente, la ricorrente indugia nel riproporre gli argomenti gia' delineati con i motivi di appello, volti a fornire una lettura alternativa dei fatti storici descritti nelle imputazioni, esaltando la consegna dell'argento avvenuta in (OMISSIS) quale fatto integrante la fattispecie ex articolo 648-ter c.p., isolando impropriamente quella che e' stata una delle operazioni, una parte della condotta, a seguito dell'accordo criminoso intercorso tra i correi, rispetto alle modalita' descritte nell'imputazione, ma senza evidenziare che effettivamente tale condotta possa essere ritenuta la piu' grave e rilevante al fine di radicare la competenza territoriale o, ancora, la prima posta in essere a fronte di piu' complesse e articolate vicende e condotte (ex articolo 16 c.p.p.), attraverso le quali doveva essere realizzata l'attivita' di reimpiego in attivita' produttive con inserimento di diversi ruoli ed azioni da parte dei concorrenti nel reato. Tale criterio e' stato compiutamente richiamato dalla Corte di appello. La cui motivazione deve essere solo parzialmente corretta, essendo sufficiente a tal fine fare riferimento al principale criterio di determinazione della competenza territoriale in caso di connessione soggettiva, senza fare ricorso come invece ha fatto la Corte di appello ai diversi ed ulteriori criteri suppletivi richiamati. Difatti, il criterio di determinazione della competenza territoriale e' effettivamente quello di cui all'articolo 12 c.p.p., lettera a) integrato nel caso in esame, in presenza di medesima contestazione di reimpiego, dall'ulteriore criterio di cui al citato articolo 16 c.p.p. e secondo cui nel caso in cui si proceda per reati connessi tutti di pari gravita' e' competente il giudice ove risulta commesso il primo reato e cioe' quello cronologicamente anteriore rispetto a tutti gli altri, sempre secondo le indicazioni contenute nell'imputazione formulata dal pubblico ministero. Questa Corte ha chiarito che il fatto che il reato sia commesso tra piu' persone in concorso tra loro non puo' determinare spostamento di competenza territoriale con riguardo a taluno soltanto degli imputati, atteso che la connessione meramente soggettiva dei procedimenti non e' idonea a produrre spostamenti di competenza territoriale quando concerne uno o piu' imputati contro cui si procede per reato commessi in concorso (Sez. 1, n. 3907 del 06/06/1996, Bragagnolo, Rv.205313-01), dovendo essere applicato di conseguenza, nel caso in cui sia contestato a tutti gli imputati lo stesso reato (nel caso di specie il reimpiego) il criterio della prima condotta posta in essere. La difesa della (OMISSIS) non ha in alcun modo non solo introdotto a livello difensivo tale argomento, ma neanche ha allegato compiutamente elementi significativi quanto all'essere stata la condotta della ricorrente la prima posta in essere nel concorso imputato ai diversi soggetti nel reimpiego, connesso soggettivamente con una serie di altre specifiche contestazioni, in modo da poter ritenere possibile un radicamento della competenza in (OMISSIS). In tal senso appare logica e persuasiva la considerazione" effettuata gia' dal giudice di primo grado e richiamata dal giudice di appello, quanto ad una lettura atomistica della condotta della (OMISSIS) per come proposta dalla difesa; atteso che tale condotta certamente non poteva ritenersi esaurita in (OMISSIS), dove trovava solo parziale attuazione la complessa attivita' realizzata dai concorrenti nel reato. In concreto, dunque, elemento di distinguo risolutivo e' rappresentato dal fatto che la condotta posta in essere dalla (OMISSIS), per come emersa dalla contestazione e dal dibattimento, nella considerazione dei giudici di merito, e' chiaramente connessa alle altre che risultano contestate a decorrere dal 26 settembre 2015 in (OMISSIS), mentre la difesa non ha in alcun modo evidenziato che la condotta della (OMISSIS) rispetto a tale complesso di elementi risulti la prima ad essere stata commessa, tanto da radicare in (OMISSIS) la competenza territoriale. La data di iniziale consumazione del reato deve dunque essere riferita, in presenza di connessione soggettiva ed identita' di contestazione ai sensi dell'articolo 648-ter c.p. alla prima condotta posta in essere, individuata nelle contestazioni elevate e connesse soggettivamente in (OMISSIS) nell'anno 2015. Tale dato non e' stato in alcun modo allegato o sostenuto dalla difesa della (OMISSIS), cosi' evidenziandosi la genericita' del motivo proposto. In altri termini, in questo caso, si deve escludere che possa avere rilievo l'interesse del singolo imputato, che per il tipo di connessione sussistente non puo' essere considerato atomisticamente, mentre deve ritenersi prevalente l'interesse dei coimputati a non essere sottratti al giudice naturale secondo le norme ordinarie in tema di competenza (Sez. 1, n. 2442 del 06/11/1984, Ruggieri, Rv. 167048-01). E d'altra parte la competenza per connessione non rappresenta una deroga ai principi generali dettati in materia di attribuzione della competenza, bensi' un criterio originario direttamente attributivo della competenza medesima, di stretta interpretazione, in quanto correlato al principio costituzionale del giudice precostituito per legge (Sez. U, n. 27343de1 28/02/2013, Taricco, Rv. 255345-01; Sez. 1, n. 19066 del 20 aprile 2004, Rv.228654-01). Detto criterio di determinazione della competenza territoriale e', invero, idoneo a realizzare la ratio della disciplina sulla connessione, da ravvisarsi nell'esigenza di privilegiare la trattazione unitaria di reati legati da un'oggettiva connessione anche soggettiva. Di conseguenza, in caso di connessione, ove non si dovesse propendere per la trattazione congiunta dei procedimenti davanti al giudice territorialmente competente per quello avente ad oggetto il reato piu' grave o commesso per primo si darebbe luogo alla violazione del principio del giudice naturale sancito dall'articolo 25 Cost.. 5.5. Il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente, contestando tutti, seppure da diverse angolazioni prospettiche, la complessiva valutazione effettuata dalla Corte di appello quanto alla identificazione della ricorrente ed attribuzione alla stessa dell'effettiva responsabilita' per le condotte ascritte. Anche in questo caso, in presenza di una c.d. doppia conforme, la difesa si limita, con motivi ampiamente reiterativi dei motivi di appello, a proporre una lettura alternativa del merito, seppure approfonditamente articolata, non consentita in questa sede. Devono essere in tal senso richiamati i principi di diritto ampiamente esplicati ai punti 1.2.,1.6., 1.7., 1.8. (quanto alla lettura alternativa del portato delle captazioni) e 1.9. e 3.1. Con riferimento al punto relativo alla compiuta identificazione della (OMISSIS), emerge senza alcun dubbio come la lettura proposta dalla difesa si caratterizzi per una oggettiva parcellizzazione e considerazione limitata del complesso degli elementi valutato sia dal giudice di primo che di secondo grado. In particolare, la difesa omette di considerare che l'individuazione della (OMISSIS) come la donna definita bionda si e' basata non solo sulle numerosissime captazioni intercorrenti tra la stessa e l' (OMISSIS), ma anche sulle attivita' alle stessa riferibili quale imprenditrice, sulle costanti comunicazioni con l' (OMISSIS), sulla documentazione prodotta dagli agenti operanti ed in particolare sul cartellino anagrafico esibito dal Capitano (OMISSIS) in sede di esame dibattimentale, aggiornato in occasione del rilascio della carta di identita' in data 01/12/2016, a fronte di una produzione documentale della difesa remota e risalente ad oltre cinque anni prima. L'eventuale non condivisibilita' delle ulteriori argomentazioni di tipo statistico adottate dalla Corte di appello, non ledono il consistente compendio istruttorio, non citato dalla difesa, che portava alla compiuta identificazione della ricorrente, anche in considerazione dell'approfondita ricostruzione dei rapporti della stessa con l' (OMISSIS) e dell' (OMISSIS) con gli altri concorrenti nel reato. Lo stesso deve dirsi quanto all'asserita estraneita' della ricorrente ai fatti del 09/06/2016 in relazione ad una sua eventuale assenza dalla sede della societa' (OMISSIS). L'insieme degli argomenti persuasivamente spesi dalla Corte di appello, con particolare riferimento all'attivita' di fatturazione, al coinvolgimento del (OMISSIS), al complesso di rapporti tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.r.l. con la (OMISSIS), evidenziano, senza alcuna illogicita', la complessita' delle attivita' poste in essere dagli imputati e il pieno coinvolgimento della (OMISSIS), che si adoperava al fine di far pervenire il materiale prezioso, circostanza questa non contestata dalla difesa, restando indifferente la modalita' di confezionamento dello stesso e l'eventuale disponibilita' di forni adeguati alla fusione (terzo motivo). Ne consegue l'evidente volonta' di giungere ad una lettura alternativa del merito, proponendo una pur serrata critica alla logica argomentazione della Corte di appello, che non vale a scalfirne la piena persuasivita'. 5.6. Le stesse considerazioni valgono in relazione al quarto motivo di ricorso; la ricorrente contesta la qualificazione giuridica del fatto sostenendo che la Corte di appello abbia ritenuto la ricorrenza della fattispecie di cui all'articolo 648-ter c.p. con una motivazione manifestamente illogica. Anche in questo caso il motivo non e' consentito, caratterizzandosi ancora una volta per la volonta', seppure articolata in modo approfondito, di introdurre una lettura alternativa del merito rispetto a quella realizzata dalla Corte di appello. Difatti, il giudice di secondo grado ha ricostruito in modo persuasivo e del tutto privo di aporie, i rapporti tra la (OMISSIS) e gli altri correi, ha richiamato e interpretato in assenza d'illogicita' le captazioni che richiamavano i trasporti e la collocazione sul mercato dell'argento proveniente dalla (OMISSIS) s.r.l. e, dunque, direttamente riferibile alla (OMISSIS), anche in considerazione del suo rapporto privilegiato con l' (OMISSIS) e tenuto conto delle consistenti quantita' conferite in mancanza di reale giustificazione in ordine alla provenienza di tale materiale, richiamando la portata risolutiva a livello probatorio delle documentazione contabile e delle richieste di fissaggio per conto della (OMISSIS) s.r.l.. Con tale motivazione, ampia e persuasiva, relativa ad una pluralita' di consegne e transazioni conseguenti mediante fissaggio, specificamente indicate ed analizzate dalla Corte di appello, la ricorrente non si confronta. L'insieme di tali elementi, letti nella loro oggettiva portata, ha dunque condotto la Corte di appello a ritenere pienamente integrata la condotta imputata ai sensi dell'articolo 648-ter c.p. (pag. 72 e seg.), con particolare riferimento alla connotazione soggettiva delle condotte ascritte, alla pianificazione che caratterizzava l'attivita' dei soggetti imputati, alla predisposizione a tal fine di mezzi e persone, tenuto conto del ruolo centrale delle societa' cartiere estere, che con il loro fondamentale supporto documentale consentivano la sostituzione di un bene, che per caratteristiche e quantita' appariva come di illecita provenienza, con un nuovo bene immediatamente spendibile nel mercato. La Corte di appello ha, dunque, correttamente applicato il principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale la previsione di cui all'articolo 648-ter c.p., a prescindere dalle connotazioni dissimulatorie volte ad ostacolare l'individuazione e accertamento della provenienza illecita dei beni (che possono anche non sussistere), e' volta a tutelare la genuinita' del libero mercato da qualunque forma di inquinamento proveniente dall'utilizzo di beni di provenienza illecita (Sez. 2, n. 24273 del 18/02/2021, Iozzino, Rv. 281626-01). Il giudice di merito ha compiutamente ricostruito la condotta della ricorrente anche quanto all'elemento soggettivo, intenso quale dolo generico volto a realizzare un impiego economicamente utile di beni o capitali illeciti, unitamente alla consapevolezza della loro provenienza delittuosa, chiaramente emergente nel caso di specie dal ruolo centrale in tal senso delle societa' di diritto estero (Sez. 2, n. 43387 del 08/10/2019, Novizio, Rv. 277997-03). Tale soluzione ermeneutica trova autorevole precedente in Sez. U, 27/02/2014, n. 25191, Iavarazzo, (non massimata sul punto), che, dopo aver ribadito il carattere residuale che il legislatore ha inteso imprimere alla fattispecie in parola, rispetto ai delitti di ricettazione e riciclaggio, rileva che il reato di cui all'articolo 648-ter (che letteralmente non richiama la necessita' della dissimulazione), pur avendo natura pluri-offensiva, privilegia la tutela dell'ordine economico, che deve essere preservato da ogni attivita' di reimpiego di capitale illecito, idonea, anche quando non assuma carattere dissimulatorio, ad inquinare il mercato e il fisiologico sviluppo delle dinamiche economiche. Correttamente, dunque, e' stata esclusa la configurazione di una diversa fattispecie come richiesto dalla difesa, atteso l'evidente ruolo della (OMISSIS) s.r.l., e per la stessa della ricorrente, di collettore di materiale in quantita' rilevantissime, non tracciato, di chiara provenienza illecita in considerazione d'ell'accertato ruolo di cartiera delle societa' estere, con re-immissione di capitale illecito ed evidente lesione conseguente dell'ordine economico. In tal senso, ulteriore elemento risolutivo, nella logica considerazione della Corte di appello che non si presta a censure, e' rappresentato dalla natura di operatori professionali dei soggetti coinvolti, con chiara conoscenza della normativa di settore e dei vincoli conseguenti alla gestione di materiali di valore come oro e argento. La posizione della (OMISSIS) e' stata correttamente considerata centrale in relazione al traffico di argento. 5.7. In ordine ai motivi aggiunti occorre considerare come il primo motivo si caratterizzi per essere del tutto reiterativo della questione in tema di competenza. Valgono sul punto le considerazioni spese al precedente paragrafo sul tema. Il secondo motivo invece non rappresenta un motivo aggiunto, ma bensi' un motivo nuovo e non consentito, atteso che il tema della confisca non era stato introdotto con i motivi articolati nel corpo del ricorso per cassazione. Comunque, deve essere sottolineato che anche nel caso della (OMISSIS) valgono le considerazioni spese sul tema della confisca del prodotto del reato quanto al motivo in tal senso proposto dal ricorrente (OMISSIS). 6. Al rigetto dei ricorsi del (OMISSIS) e della (OMISSIS) consegue la condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali. 7. All'inammissibilita' dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) consegue la condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Rigetta i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente Dott. PAPA Patrizia - Consigliere Dott. SCARPA Antonio - Consigliere Dott. CRISCUOLO Mauro - rel. Consigliere Dott. OLIVA Stefano - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 23165-2017 proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale autenticata dal Funzionario giudiziario del Tribunale di Bolzano; - ricorrente - contro (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso; - controricorrente - nonche' contro (OMISSIS); - intimata - avverso la sentenza n. 798-2017 della CORTE D'APPELLO di BARI, depositata il 26/03/2017; Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice Generale, Dott.ssa MARIA ROSARIA DELL'ERBA, che ha chiesto il rigetto del ricorso; Lette le memorie del controricorrente; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/04/2023 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO. MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione del 13 aprile 2000 (OMISSIS) evocava in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari - Sezione distaccata di Rutigliano, il fratello (OMISSIS) per procedere alla divisione di alcuni beni in comunione, in quanto oggetto di donazione in favore di entrambi da parte del genitore, con l'imputazione alla massa delle rendite prodotte e dei frutti derivanti dal godimento esclusivo. Evidenziava che il bene comune era un compendio immobiliare in (OMISSIS) composto da capannone industriale, per l'attivita' di produzione ed imbottigliamento di olio, da un fabbricato a tre piani adibito ad ufficio, da un silos e da due fabbricati di cui uno adibito a deposito e l'altro a garage. Inoltre, era in comunione, per la quota di 7/10 in capo all'attore e di 3/10 in capo al convenuto, un fondo rustico sito in (OMISSIS). Nella resistenza del convenuto che eccepiva la non comoda divisibilita' dei beni, veniva disposta la chiamata in causa di (OMISSIS) sul presupposto che la stessa vantasse un diritto di usufrutto ovvero di abitazione su parte dei beni comuni. Si costituiva la terza chiamata che assumeva l'invalidita' della transazione con la quale aveva rinunciato al diritto e chiedeva accertarsi l'esistenza dello stesso. Il Tribunale con la sentenza n. 1555-2014 dichiarava lo scioglimento della comunione, assegnando la quota n. 1 all'attore e la quota n. 2 al convenuto, rigettando le altre domande proposte. Avverso tale sentenza ha proposto appello principale (OMISSIS) cui ha resistito con appello incidentale (OMISSIS). La Corte d'Appello di Bari, con la sentenza n. 798 del 23 giugno 2017 ha rigettato il gravame principale, ed in accoglimento di quello incidentale ha affermato che la (OMISSIS) vantava sui beni un diritto di abitazione e non di usufrutto. In primo luogo, escludeva la fondatezza della deduzione dell'appellante secondo cui la comunione oggetto di causa avesse natura ereditaria, trattandosi di beni acquisiti dai germani per effetto di donazione, e non potendosi attribuire rilevanza alla circostanza che una volta deceduto il genitore, donante, entrambi avessero rinunciato all'eredita' paterna, essendo subentrati per rappresentazione i figli di (OMISSIS). Cio' escludeva anche la necessita' di partecipazione di questi ultimi, il cui intervento in primo grado era stato dichiarato inammissibile. Passando alla valutazione dei beni, la Corte distrettuale rilevava come il complesso immobiliare, a causa anche della sua vetusta' e dello stato di abbandono in cui versava, non fosse assolutamente idoneo a svolgere alcuna funzione produttiva. Il bene era stato dichiarato inagibile nel 1993 e sebbene nel 1995 fosse stata costituita una societa' volta alla produzione e commercializzazione di olio, nella realta' tale societa' non aveva mai operato. Doveva quindi accedersi alla soluzione cui era pervenuto il CTU in punto di divisione in natura dei beni, essendo quindi stato attribuito il lotto con funzione residenziale a (OMISSIS) e quello ab origine produttivo a (OMISSIS). La differenza di quote tra i due condividenti, come si evinceva dalla differente misura delle quote vantate sul terreno, legittimava altresi' la diretta attribuzione delle quote, senza dover far ricorso al criterio del sorteggio. Ribadita l'inammissibilita' per la tardiva proposizione della domanda riconvenzionale del convenuto, la sentenza reputava altresi' corretta la stima dei beni, che teneva conto delle loro attuali condizioni, indubbiamente deterioratesi nel corso del giudizio per lo stato di abbandono ed incuria in cui versavano. Rigettati anche i motivi relativi alla condanna alle spese ed alla richiesta di sospendere il giudizio in attesa della definizione del diverso giudizio avente ad oggetto la validita' della transazione intervenuta con la (OMISSIS), la sentenza riteneva fondato l'appello incidentale volto unicamente a contestare la qualificazione del diritto vantato sui beni dalla (OMISSIS). Il Tribunale aveva, infatti, ritenuto che si trattasse di un usufrutto, ma da una serie di elementi probatori, ed in particolare dal tenore dell'atto di donazione del 25/10/1991, con il quale era stato costituito dal dante causa, emergeva che invece si trattava di un diritto di abitazione, avendo il donante inteso esonerare la beneficiaria da qualsiasi concorso alle spese per le utenze varie. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di quattro motivi. (OMISSIS) ha resistito con controricorso illustrato da memorie. (OMISSIS) non ha svolto difese in questa fase. 2. Preliminarmente, come gia' segnalato con la precedente ordinanza interlocutoria n. 34868-2022, nella vicenda si pone la questione il problema della ammissibilita' del ricorso per la nullita' della procura. Infatti, il ricorso risulta proposto da parte di difensori officiati in virtu' di procura speciale per atto del Funzionario giudiziario del Tribunale di Bolzano, Dott. (OMISSIS) del 18 settembre 2017, autenticata avvalendosi della previsione di cui alla L. n. 445 del 2000, articolo 21. Deve pero' escludersi che tale procura possa reputarsi valida, trattandosi di atto che esula dal novero di quelli per i quali il funzionario giudiziario possa validamente esercitare il potere di autenticazione, e cio' in ragione della natura negoziale della procura de qua. La L. n. 445 del 2000, articolo 21 citato cosi' recita: "1. L'autenticita' della sottoscrizione di qualsiasi istanza o dichiarazione sostitutiva di atto di notorieta' da produrre agli organi della pubblica amministrazione, nonche' ai gestori di servizi pubblici e' garantita con le modalita' di cui all'articolo 38, comma 2 e comma 3. 2. Se l'istanza o la dichiarazione sostitutiva di atto di notorieta' e' presentata a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1 o a questi ultimi al fine della riscossione da parte di terzi di benefici economici, l'autenticazione e' redatta da un notaio, cancelliere, segretario comunale, dal dipendente addetto a ricevere la documentazione o altro dipendente incaricato dal Sindaco; in tale ultimo caso, l'autenticazione e' redatta di seguito alla sottoscrizione e il pubblico ufficiale, che autentica, attesta che la sottoscrizione e' stata apposta in sua presenza, previo accertamento dell'identita' del dichiarante, indicando le modalita' di identificazione, la data ed il luogo di autenticazione, il proprio nome, cognome e la qualifica rivestita, nonche' apponendo la propria firma e il timbro dell'ufficio." La norma risulta evidentemente limitativa de potere di autentica del pubblico funzionario, diverso dal notaio, specificamente per gli atti negoziali, e siffatta limitazione trova conforto anche nella previsione del successivo articolo 38, il cui comma 3 bis conferma che deve trattarsi di atti che sebbene rivolti alla PA non hanno valore negoziale: articolo 38: "Modalita' di invio e sottoscrizione delle istanze. 1. Tutte le istanze e le dichiarazioni da presentare alla pubblica amministrazione o ai gestori o esercenti di pubblici servizi possono essere inviate anche per fax e via telematica. 2. Le istanze e le dichiarazioni inviate per via telematica, ivi comprese le domande per la partecipazione a selezioni e concorsi per l'assunzione, a qualsiasi titolo, in tutte le pubbliche amministrazioni, o per l'iscrizione in albi, registri o elenchi tenuti presso le pubbliche amministrazioni, sono valide se effettuate secondo quanto previsto dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, articolo 65. 3. Le istanze e le dichiarazioni sostitutive di atto di notorieta' da produrre agli organi della amministrazione pubblica o ai gestori o esercenti di pubblici servizi sono sottoscritte dall'interessato in presenza del dipendente addetto ovvero sottoscritte e presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identita' del sottoscrittore. La copia fotostatica del documento e' inserita nel fascicolo. La copia dell'istanza sottoscritta dall'interessato e la copia del documento di identita' possono essere inviate per via telematica; nei procedimenti di aggiudicazione di contratti pubblici, detta facolta' e' consentita nei limiti stabiliti dal regolamento di cui alla L. 15 marzo 1997, n. 59, articolo 15, comma. 3-bis. Il potere di rappresentanza per la formazione e la presentazione di istanze, progetti, dichiarazioni e altre attestazioni nonche' per il ritiro di atti e documenti presso le pubbliche amministrazioni e i gestori o esercenti di pubblici servizi puo' essere validamente-conferito ad altro soggetto con le modalita' di cui al presente articolo. Nella giurisprudenza di questa Corte, sebbene manchino precedenti specificamente riferiti al potere di autentica delle procure alle liti da parte di funzionari giudiziari, e' pero' maturato un orientamento nettamente contrario al riconoscimento del potere di autentica da parte di soggetti diversi dai notai. In tal senso rileva Cass. n. 19666/2013, a mente della quale e' nulla la procura speciale alle liti conferita mediante scrittura privata con firma autenticata dall'ufficiale dell'anagrafe del Comune, non potendosi ricavare dal sistema normativo un potere dell'incaricato comunale di autenticare la sottoscrizione di atti negoziali (conf. Cass. n. 27356/2014; Cass. n. 12816/2017). In motivazione, nell'esaminare un'ipotesi di procura speciale conferita dal Sindaco al difensore con scrittura privata autenticata, dall'ufficiale dell'anagrafe del Comune, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 28 dicembre 2000, n. 445, articolo 21, e' stato sottolineato che il comma 2 dell'articolo 83, c.p.c. prevede che la procura alle liti deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata. E' stato ricordato come in passato la Corte avesse avuto modo di occuparsi della procura alle liti conferita con scrittura privata autenticata dal segretario comunale e ne avesse escluso l'idoneita', sulla base della specificita' del dettato della L. 4 gennaio 1968 n. 15, articolo 20, che e' in larga parte sovrapponibile alla norma sopra richiamata, concernente solo l'autenticazione di istanze da produrre ad organi amministrativi, nonche' del Regio Decreto 3 marzo 1934, n. 383, articolo 89, concernente la possibilita' per i segretari comunali di rogare, nell'esclusivo interesse dell'Amministrazione, gli atti e i contratti "riguardanti alienazioni, locazioni, acquisti, somministrazioni od appalti di opere". Per l'effetto, ai fini della idoneita' della procura rilasciata con separata scrittura privata, avente natura negoziale, e' stato affermato che deve essere autenticata dal notaio, al quale spetta, ai sensi dell'articolo 2703 c.c., certificare l'autografia di tali sottoscrizioni, previo accertamento della identita' personale delle parti, non limitato al controllo dei documenti identificativi (Cass. 15 marzo 2001, Ric. 2017 n. 23165 sez. S2 - ud. 27-04-2023 -9- n. 3757, Cass. 3 aprile 1998, n. 3426). Al notaio, ed in relazione ad ipotesi di procura rilasciata all'estero dalla parte al proprio difensore con scrittura privata, e' stata ritenuta idonea l'autenticazione della firma da parte dell'autorita' consolare italiana, in quanto titolare di competenze notarili, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 5 gennaio 1967, n. 200, articolo 19 (Cass. 30 settembre 2005, n. 19214). Ritiene il Collegio che tali conclusioni debbano essere confermate anche alla luce della disciplina del 2000, e che si estendano anche al caso, qui in esame, di autenticazione della sottoscrizione della procura da parte del funzionario giudiziario. A tal fine rileva la regola secondo cui, al di fuori degli atti espressamente previsti dalla legge, per i quali e' specificamente conferita, al funzionario diverso dal notaio, il potere di autenticazione di determinati atti, tale potere non e' generalizzato, ma e' di volta in volta individuato dal legislatore (cfr. Cass. n. 16266/2004). Una volta quindi ribadita la natura negoziale della procura alle liti (cfr. Cass. n. 8863/2021; Cass. n. 18450/2014), al funzionario giudiziario e' preclusa la possibilita' di autenticare la sottoscrizione della procura alle liti, e cio' in quanto la L. n. 445 del 2000, articolo 21 subordina il potere di autentica al ricorrere di due presupposti di cui uno oggettivo (istanza rivolta alla PA o dichiarazione sostitutiva di atto di notorieta'), e l'altro relativo alla destinazione dello stesso. Solo in via di interpretazione offerta da circolari ministeriali il potere di autentica e' stato esteso alle deleghe a terzi per la riscossione di un beneficio economico, ma sul presupposto che le stesse siano assimilabili ad un'istanza rivolta alla PA procedente per permettere ad un terzo la riscossione di una somma, estensione che pero' non puo' spingersi sino ad ammettere l'autentica della sottoscrizione per una procura alle liti, che costituisce un atto che presuppone una manifestazione di volonta' negoziale con cui si attribuiscono poteri di agire al rappresentante. Attesa l'assenza di una valida procura speciale ex articolo 365 c.p.c., il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, senza che a tale esito ostino le conclusioni del Pubblico Ministero. Quetsi ha infatti sostenuto che e' stato anche piu' volte affermato ed anche di recente ribadito che "la mancata certificazione, da parte del difensore, dell'autografia della firma del ricorrente, apposta sulla procura speciale in calce o a margine del ricorso per cassazione, costituisce mera irregolarita', che non comporta la nullita' della procura alla lite, perche' tale nullita' non e' comminata dalla legge ne' tale formalita' incide sui requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo dell'atto, individuabile nella formazione del rapporto processuale attraverso la costituzione in giudizio del procuratore nominato, salvo che la controparte non contesti, con valide e specifiche ragioni e prove, l'autografia della firma non autenticata" (Cfr Cass. civ. SU n 4191/96, n 12625/98, n 6959/00, n 23994/04, n 24894/15, n 27774/11, n 34748/19). Ha quindi reputato che tali principi possano essere applicati anche alla procura redatta su un foglio materialmente congiunto al ricorso, come nel caso in esame, vista l'equiparazione da ultimo ribadita ai fini della specialita' della procura con quella redatta in calce o a margine del ricorso. Pertanto l'invalidita' colpirebbe esclusivamente la certificazione eseguita da un soggetto non abilitato, ma non si estenderebbe alla procura nell'ipotesi in cui, come nel caso in esame, sia regolarmente avvenuta la costituzione in giudizio del procuratore nominato e la controparte non abbia affatto contestato l'autografia della sottoscrizione non autenticata. La soluzione pero' non e' condivisa dal Collegio. I precedenti ai quali mostra di richiamarsi l'Ufficio di Procura attengono alla mancata certificazione della sottoscrizione della firma del cliente rilasciata in relazione ad una procura apposta in calce o a margine dell'atto processuale e quindi di una procura che rientra nelle ipotesi per le quali il potere di certificazione e' attribuito univocamente al difensore, che pero', pur trascurando di attestare l'autenticita' della firma per la procura, sottoscrive l'atto cui la procura stessa inerisce, essendo inserita nello stesso e facendone parte, anche in ragione delle fattispecie di congiunzione materiale individuate dal codice di rito. Qui invece siamo al cospetto di una procura conferita con atto separato, come riconosciuto nella stessa epigrafe del ricorso, cosi' che per la stessa devono valere i requisiti formali posti dal comma 2 dell'articolo 83 c.p.c., che prevede che la procura sia rilasciata per atto pubblico o per scrittura privata autenticata. Il vizio investe quindi il potere di autenticazione del pubblico ufficiale al quale la parte si e' rivolta, non ritenendo invece di far ricorso al potere di certificazione del difensore di cui al comma 3 dell'articolo 83 c.p.c., cosi' che la mera sottoscrizione del ricorso non puo' supplire al difetto di procura valida che investe la procura che a monte non e' stata affidata al potere di certificazione del difensore. Ad opinare diversamente, ne avremmo che basterebbe anche una procura rilasciata su di un foglio in carta semplice, priva di qualsivoglia attestazione di autenticita' della firma, che sol perche' richiamata in ricorso dal difensore, varrebbe come valida procura, e cio' con una interpretazione sostanzialmente abrogante dell'articolo 83 comma 2 c.p.c., che invece individua specifici requisiti di forma per le ipotesi di procura speciale, ove la parte non si affidi al potere di autentica del difensore ed in relazione a procure apposte in calce o a margine degli atti processuali individuati dal successivo comma 3. V quindi dichiarata l'inammissibilita' del ricorso per l'assenza di una valida procura speciale, attenendo il vizio alla valida costituzione del rapporto processuale, vizio che e' rilevabile anche d'ufficio (Cass. n. 3757/2001 cit.) e, che in ogni caso - cioe' anche dopo la riforma dell'articolo 182 c.p.c. ad opera della l. 69/2009, comunque inapplicabile al presente giudizio introdotto nel 2000 - non e' suscettibile di sanatoria "occorrendo che la stessa sia rispettosa del principio di specialita', che ne impone, come si e' visto, certo e specifico riferimento alla decisione impugnata, non e' configurabile un rilascio tardivo per ordine del giudice" (Cass., Sez. Un., 21.12.2022, n. 37434). 3. A fornte della declaratoria di inammissibilita' del ricorso, tuttavia le questioni poste dai primi tre motivi di ricorso appaiono di particolare importanza, attesa anche l'assenza di specifici precedenti sul punto, sicche' ai sensi dell'articolo 363 comma 3 c.p.c., ritiene il Collegio che debba procedersi alla loro disamina ancorche' ai fini dell'affermazione del principio di diritto nell'interesse della legge. 3.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli articoli 521 e 552 c.c., nella parte in cui la sentenza gravata ha escluso che nella comunione fossero subentrati anche i figli di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali, attesa la rinuncia espressa del genitore all'eredita' del donante (OMISSIS), padre dei donatari, erano subentrati per rappresentazione. A tal fine era stato sottolineato che, a seguito della rinuncia, il rinunciante puo' ritenere la donazione nei limiti della disponibile, dovendosi altresi' tenere conto del dettato dell'articolo 552 c.c., che tempera la previsione di cui all'articolo 521 c.c., disponendo che il legittimario che rinuncia all'eredita', quando non si ha rappresentazione, puo' sulla disponibile ritenere le donazioni e conseguire i legati a lui fatti. Dalla lettura combinata delle due norme si inferisce quindi che, ove invece operi la rappresentazione ed i rappresentati effettivamente adiscano l'eredita', tenuto anche conto di quanto disposto all'articolo 564 comma 3 c.c. (a mente del quale il legittimario che subentra per rappresentazione deve imputare le donazioni ed i legati fatti, senza espressa riserva, al suo ascendente), in realta' il legittimario donatario non ha la possibilita' di trattenere nulla e trasmette automaticamente quanto ricevuto al soggetto che subentra per rappresentazione. Ne deriva quindi che i beni oggetto della donazione effettuata in favore del rappresentato sono pervenuti ex lege ai rappresentanti che dovevano quindi prendere parte al giudizio di divisione. Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione della Cost., articolo 111 e 132 comma 2 n. 4 c.p.c. per carenza assoluta di motivazione, quanto all'affermazione del giudice di appello secondo cui la comunione oggetto di causa avrebbe conservato natura ordinaria, non avvedendosi delle ragioni che avevano indotto i rappresentati ad intervenire nel processo, mancando qualsivoglia argomentazione idonea a confutare la tesi che invece sorreggeva l'intervento. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione degli articoli 101 e 102 c.p.c., in quanto, avuto riguardo a quanto esplicitato nei precedenti motivi di ricorso, i nipoti del donante, subentrati alla successione per rappresentazione, devono reputarsi proprietari dei beni oggetto di causa dovendo quindi prendere parte al giudizio nella qualita' di litisconsorti necessari. 3.2 I tre motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, si fondano pero' su di una tesi che non puo' essere condivisa. Il complesso delle censure pone all'attenzione della Corte la questione, a quanto consta, non ancora espressamente affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte, della corretta esegesi del comma 2 dell'articolo 552 c.c.. La norma prevede che il legittimario che rinunzia all'eredita', quando non si ha rappresentazione, puo' sulla disponibile ritenere le donazioni o conseguire i legati a lui fatti; ma quando non vi e' stata espressa dispensa dall'imputazione, se per integrare la legittima spettante agli eredi e' necessario ridurre le disposizioni testamentarie o le donazioni, restano salve le assegnazioni, fatte dal testatore sulla disponibile, che non sarebbero soggette a riduzione se il legittimario accettasse l'eredita', e si riducono le donazioni e i legati fatti a questo ultimo. La disposizione, che completa quanto gia' disposto dall'articolo 521 c.c., mira, secondo la prevalente opinione dottrinale, a sanzionare il legittimario che, avendo gia' ricevuto delle donazioni in vita non dispensate da imputazione, e quindi naturalmente in conto di legittima, preferisce rinunciare all'eredita', determinando in tal modo un aggravio della posizione degli altri legittimari, e ponendo potenzialmente in pericolo, ai fini della riduzione, le donazioni ovvero le altre disposizioni mortis causa, che, ove invece avesse accettato, sarebbero state immuni dalla riduzione, in quanto gravanti sulla disponibile. In questo caso il legislatore prevede che le pretese degli altri legittimari debbano essere indirizzate proprio nei confronti delle disposizioni che il rinunciante intendeva ritenere con la propria scelta, mettendo al riparo quelle altre donazioni o legati che invece sarebbero gravate sulla disponibile, ove vi fosse stata accettazione. La norma pero' pone un dubbio interpretativo nell'ipotesi in cui, per effetto della rinuncia, operi il meccanismo della rappresentazione con il subentro dei discendenti in luogo del rinunciante. Occorre, infatti, anche tenere conto dell'ulteriore previsione di cui al comma 3 dell'articolo 564 c.c. che prevede che il legittimario che subentra per rappresentazione debba imputare alla propria quota di riserva le donazioni ed i legati dispensati da imputazione fatti al proprio ascendente. Se l'avvenuta rinuncia all'eredita' da parte degli originari donatari esclude che possa dibattersi per loro di collazione, mancando l'attuale qualita' di coeredi in capo ai medesimi, parte della dottrina, richiamata in ricorso, ritiene che l'insieme delle norme determinerebbe delle conseguenze inique a carico dei rappresentanti, i quali, pur non avendo tratto alcun beneficio dalle donazioni ricevute dal loro ascendente, dovrebbero comunque imputarle alla loro quota nel momento in cui agissero in riduzione (nonche' a portarle in collazione ai sensi dell'articolo 740 c.c.). Al fine, quindi, di rendere tollerabile tale apparente iniquita', alcuni autori hanno sostenuto che l'inciso contenuto nell'articolo 552 c.c., con il riferimento alla rappresentazione, comporterebbe che la possibilita' per il donatario di ritenere le donazioni in caso di rinuncia varrebbe solo in assenza di rappresentazione, ma laddove operi anche questo istituto, quanto ricevuto per donazione si trasmetterebbe automaticamente a favore dei rappresentanti. Solo in questa prospettiva ermeneutica sarebbe quindi meritevole di fondamento la tesi di parte ricorrente secondo cui della comunione oggetto della domanda di divisione sarebbero parti anche i figli di (OMISSIS) (ma senza che cio' incida a ben vedere sulla qualificazione come ereditaria anziche' ordinaria della comunione, sembrando al Collegio che il meccanismo come configurato dalla dottrina in esame, miri solo a prevedere un subentro dei rappresentanti nella titolarita' dei beni donati, ma senza che muti la natura originaria dell'acquisto). Ritiene pero' la Corte che debba invece aderirsi all'opinione della prevalente dottrina che, senza prevedere un subentro dei rappresentanti in luogo del rappresentato (conclusione questa che porrebbe evidentemente anche profili problematici quanto alla tutela dell'eventuale terzo acquirente dal donatario, in assenza di adeguate forme di pubblicita' che consentano di avvedersi del mutamento di titolarita' dei beni per effetto del meccanismo sopra delineato), reputa che la norma contempli in ogni caso il diritto del donatario di ritenere i beni oggetto della donazione che, in assenza di rappresentazione, gravano in ogni caso sulla disponibile. Ove invece si verifichi il subentro dei discendenti del rinunciante, le stesse donazioni e legati vanno invece fatti gravare sull'indisponibile e quindi sulla quota di legittima, nella quale sono subentrati i rappresentanti, che per effetto tale previsione sono appunto tenuti a procederne all'imputazione. Inoltre, non sussiste alcun profilo di iniquita' in quanto la norma si pone in maniera coerente rispetto al principio secondo cui la divisione avviene per stirpi, e con la regola per cui ad una data stirpe, ancorche' a seguito dell'operativita' della rappresentazione, non puo' essere attribuito piu' di quanto sarebbe spettato al capostipite. In assenza, infatti, di una norma che appunto disponga l'onere di imputazione delle donazioni fatte all'ascendente anche al rappresentante, si potrebbero perpetrare delle iniquita' in danno degli altri soggetti convolti nella successione, in quanto il rappresentato potrebbe rinunciare all'eredita' (ritenendo, quindi, le donazioni), ed i rappresentanti potrebbero far valere per intero la quota di legittima che sarebbe spettata al loro ascendente, senza che si debba tenere conto di quanto gia' ricevuto da quest'ultimo in conto di legittima (in tal senso, e cioe' di ritenere tale norma intesa alla tutela dei terzi e delle aspettative gia' consolidate, si veda anche la Relazione al Codice civile. Libro dele successioni e delle donazioni, n. 47). Trattasi di conclusione che appare conforme al complessivo tenore letterale delle norme ed idonea a raggiungere un giusto equilibrio tra le esigenze dei vari soggetti coinvolti nella successione, impregiudicata in ogni caso la possibilita' per i rappresentanti, ove anche a seguito dell'imputazione alla loro quota delle donazioni ricevute in vita dal loro ascendente, residui una lesione della quota di legittima, di poter avvalersi della previsione di cui all'articolo 553 c.c., ovvero, ove non vi sia spazio per la successione legittima ovvero non sia possibile, riequilibrare la misura delle quote ab intestato, agire in riduzione nei confronti delle disposizioni testamentarie ovvero delle donazioni compiute dal de cuius. Cosi' intesa la portata precettiva delle norme richiamate dal ricorrente, resta confermata la natura ordinaria della comunione, e la conseguente correttezza della soluzione in punto di diritto raggiunta dal giudice di appello, la cui motivazione, in parte carente, non avendo apparentemente inteso il senso della critica mossa, deve essere integrata nei termini sovra esposti. La conferma della contitolarita' dei beni in capo ai soli donatari rende altresi' evidente l'infondatezza della denuncia di violazione delle regole del litisconsorzio necessario, attesa la partecipazione al giudizio degli effettivi comproprietari. 3.3 Deve quindi essere affermato il seguente principio di diritto: Ai sensi dell'articolo 552 il legittimario che rinuncia all'eredita' ha diritto di ritenere le donazioni o di conseguire i legati a lui fatti, anche nel caso in cui operi la rappresentazione, senza che i beni oggetto dei legati o delle donazioni si trasmettano ai rappresentanti, fermo restando pero' l'onere di questi ultimi di dover imputare le stesse disposizioni alla quota di legittima nella quale subentrano iure repraesentationis. 4. Attesa la parziale novita' della questione relativa al potere di autentica della procura speciale da parte del funzionario giudiziario, nonche' della questione che e' invece oggetto del principio di diritto di cui all'articolo 363 comma 3 c.p.c., si ritiene che ricorrano i presupposti per disporre tra le parti la compensazione delle spese del presente giudizio, nulla dovendosi invece disporre quanto alla parte rimasta intimata. 5. Poiche' il ricorso e' rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilita' 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell'articolo 13 del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. Dichiara il ricorso inammissibile, ed ai sensi dell'articolo 363 c.p.c., enuncia il seguente principio di diritto: " Ai sensi dell'articolo 552 il legittimario che rinuncia all'eredita' ha diritto di ritenere le donazioni o di conseguire i legati a lui fatti, anche nel caso in cui operi la rappresentazione, senza che i beni oggetto dei legati o delle donazioni si trasmettano ai rappresentanti, fermo restando pero' l'onere di questi ultimi di dover imputare le stesse disposizioni alla quota di legittima nella quale subentrano iure repraesentationis"; Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 -quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GIUSTI Alberto - Presidente Dott. COSENTINO Antonello - Consigliere Dott. FALASCHI Milena - Consigliere Dott. GIANNACCARI Rossana - rel. Consigliere Dott. CAPONI Remo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 17043-2018 R.G. proposto da: (OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS) ( (OMISSIS)) ed (OMISSIS); -ricorrenti- contro (OMISSIS) SNC, (OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi dall'avvocato (OMISSIS); - controricorrenti e ricorrenti in via incidentale- avverso la sentenza della Corte d'appello di Brescia n. 196-2018 depositata il 05/03/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/12/2022 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI. FATTI DI CAUSA 1.L' (OMISSIS). s.n.c., (OMISSIS) ed (OMISSIS), in qualita' di legali rappresentanti della societa', citarono in giudizio innanzi al Tribunale di Bergamo (OMISSIS) ed (OMISSIS) per sentirli condannare all'arretramento del fabbricato, dell'autorimessa e del terrapieno realizzati in posizione antistante alla struttura alberghiera in violazione delle distanze previste dal d.M 1444-68, articolo 9. La costruzione consisteva nella sopraelevazione di un vecchio manufatto adibito a laboratorio-magazzino, realizzato alla distanza di 1,5 metri dal confine ed a 6 metri dalla frontistante parete del fabbricato " (OMISSIS)", nonche' nell'ampliamento dell'edificio preesistente, posto alla distanza di dieci metri dal predetto albergo. 1.1.Il Tribunale di Bergamo accolse per quanto di ragione la domanda e condanno' i convenuti ad arretrare la porzione di edificio costruita in sopraelevazione; rigetto', invece la domanda in relazione all'autorimessa ed al terrapieno. 1.2.Proposero appello (OMISSIS) ed (OMISSIS); si costituirono per resistere al gravame e spiegarono appello incidentale la societa' (OMISSIS). s.n.c., (OMISSIS) ed (OMISSIS). 1.3.Nel corso del giudizio d'appello, venne prodotta la sentenza del Consiglio di Stato N. 2782-2013, che aveva dichiarato inammissibile per tardivita' l'impugnazione proposta dalla societa' (OMISSIS) avente ad oggetto la legittimita' della concessione edilizia. 1.4.La Corte d'Appello di Brescia, con sentenza del 22.11.2017, rigetto' l'appello principale ed accolse l'appello incidentale. 1.5.La corte distrettuale non ritenne rilevante il giudicato amministrativo in quanto la sentenza del Consiglio di Stato si era limitata a dichiarare inammissibile l'impugnazione proposta dalla societa' per tardivita', senza pronunciarsi nel merito della legittimita' dell'intervento edilizio. In ogni caso, poiche' la domanda di annullamento della concessione edilizia aveva ad oggetto il controllo di legittimita' dell'esercizio del potere da parte della PA, era esclusa l'efficacia del giudicato amministrativo nelle controversie fra privati aventi ad oggetto la lesione del diritto di proprieta' derivante dalla violazione delle distanze legali. 1.6.La Corte d'appello accerto' che l'opera realizzata era differente dal precedente manufatto per forma altezza e volume, costituiva una nuova costruzione e violava le distanze; escluse che l'intervento edilizio avesse natura di "sopralzo", in relazione al quale era legittima la distanza preesistente prevista dall'articolo 5 delle NTA del Comune di (OMISSIS). In ogni caso, la inderogabilita' della normativa sui distacchi tra fabbricati prevista dal Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, avente rango primario, determinava l'illegittimita' di ogni previsione regolamentare in contrasto con il limite minimo di distanza. 1.7.La Corte distrettuale accolse l'appello incidentale proposto dalla societa' con riferimento alla violazione delle distanze dell'autorimessa, che considero' parte integrante del fabbricato, in quanto l'altezza dell'autorimessa sporgeva di cm86 e, quindi di oltre 16 centimetri rispetto alle previsioni dell'articolo 7 delle NTA del Comune di (OMISSIS). La Corte distrettuale rigetto', invece, l'appello incidentale, non ravvisando la violazione delle distanze rispetto al terrapieno, attese le sue modeste dimensioni e la funzione sostanzialmente ornamentale. 2.Avverso la sentenza della Corte d'appello hanno proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) ed (OMISSIS) sulla base di cinque motivi. 2.1. L' (OMISSIS). s.n.c., (OMISSIS) ed (OMISSIS) hanno resistito con controricorso ed hanno proposto ricorso incidentale sulla base di due motivi. 2.2.I ricorrenti hanno depositato controricorso per resistere al ricorso incidentale. 2.3.In prossimita' dell'udienza, le parti hanno depositato memorie illustrative. 2.4.Il Sostituto Procuratore Generale in persona del Dott. Alessandro Pepe ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale. RAGIONI DELLA DECISIONE 1.Con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell'360, comma 1, n. 5 c.p.c., l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e' stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla sentenza del Consiglio di Stato N. 2782-2013, oltre alla violazione del giudicato amministrativo, ai sensi dell'articolo 2909 c.c., relativamente al potere di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo, previsto dalla L. n. 2248 del 1865, articolo 5, All. E. I ricorrenti denunciano l'erroneita' della statuizione della Corte d'Appello di Brescia nella parte in cui ha affermato che il giudicato amministrativo ha avuto ad oggetto la legittimita' della concessione edilizia mentre, invece, il Consiglio di Stato avrebbe accertato, con autorita' di giudicato, che l'intervento edilizio doveva essere qualificato come "sopralzo" e non come nuova costruzione. Tale statuizione sarebbe vincolante nel giudizio avente ad oggetto la violazione delle distanze, al fine di evitare un contrasto di giudicati mentre, invece, la Corte d'appello avrebbe erroneamente disapplicato l'articolo 8 delle NTA, che esclude l'applicabilita' delle norme sulle distanze per i "sopralzi", con evidente violazione del ne bis in idem. Affermano i ricorrenti che il giudizio civile ed amministrativo sono caratterizzati da identita' soggettiva, petitum e causa petendi, perche' aventi ad oggetto l'accertamento delle distanze minime legali fra fabbricati frontistanti. 1.Il motivo e' infondato. 1.1.Non merita accoglimento la censura relativa al vizio motivazionale in quanto la Corte d'appello non ha omesso l'esame della sentenza del Consiglio di Stato ma, esaminandola, ha ritenuto irrilevante il giudicato amministrativo nel presente giudizio per ragioni che questo collegio condivide. 1.2.Come correttamente affermato dalla Corte di merito, il Consiglio di Stato non ha valutato la legittimita' delle norme urbanistiche del Comune di (OMISSIS) ma ha pronunciato in rito, dichiarando l'inammissibilita' dei ricorsi. Infatti, come risulta dalla motivazione della sentenza del Consiglio di Stato, per due dei tre ricorsi era stata omessa la notifica alla Regione Lombardia mentre il terzo ricorso, nella parte in cui aveva impugnato le NTA, era stato dichiarato inammissibile per tardivita', considerando che il dies a quo decorreva dal momento in cui gli atti avevano manifestato la concreta attitudine lesiva, coincidente con la conoscenza della concessione edilizia (pag. 4 della sentenza del Consiglio di Stato del 16.4.2013). In tali ipotesi, non puo' dirsi formato il giudicato amministrativo, non contenendo detta decisione nessun accertamento sul merito del ricorso, con la conseguenza che all'adito giudice ordinario non e' precluso l'esame di quelle delibere nonche' di disapplicarle, in caso di riconosciuta illegittimita', limitatamente al caso sottoposto al suo esame (Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 5982 del 09/07/1987). L'esercizio da parte del giudice ordinario del potere di disapplicare un atto della p.a. e' precluso solo quando la legittimita' dell'atto sia stata accertata dal giudice amministrativo con sentenza passata in giudicato, resa nel contraddittorio delle parti (Cassazione civile sez. II, 04/02/2005, n. 2213). 1.3. La Corte di merito ha anche ribadito il consolidato il principio di questa Corte, secondo cui la pronuncia del giudice amministrativo, investito della domanda di annullamento della licenza, concessione o permesso di costruire ha ad oggetto il controllo di legittimita' dell'esercizio del potere da parte della Pubblica Amministrazione ovvero concerne esclusivamente il profilo pubblicistico relativo al rapporto fra il privato e la P.A., sicche' non ha efficacia di giudicato nelle controversie tra privati, proprietari di fabbricati vicini, aventi ad oggetto la violazione della normativa in tema di distanze legali, che e' posta a tutela non solo di interessi generali ma anche della posizione soggettiva del privato (Cassazione civile sez. II, 14/05/2015, n. 9869). 2.Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 2248 del 1865, articolo 5 All. E, in relazione al contenuto delle NTA del PRG di (OMISSIS); la Corte d'appello, nell'affermare che gli strumenti urbanistici comunali non possono derogare al DM 1444-68, non avrebbe indicato nessuna delle norme tecniche del Comune di (OMISSIS) (NTA) contrastanti con la disciplina statale in tema di distanze fra fabbricati. Ne conseguirebbe l'inapplicabilita' dell'istituto della disapplicazione previsto della L. n. 2248 del 1865, articolo 5, allegato E. in relazione all'articolo 5 delle NTA, che prevedono una nozione di "sopralzo" diversa da quella di "nuova costruzione", ai fini del calcolo delle distanze. L'articolo 5 delle NTA prevede, infatti, che "in caso di sopralzo la verifica delle si distanze si intende soddisfatta ove siano mantenuti i rapporti e le distanze esistenti" e tale norma, siccome non tempestivamente impugnata dalla parte interessata non potrebbe essere disapplicata. 2.1.Con la memoria ex articolo 378 c.p.c., i ricorrenti hanno posto la questione dell'applicabilita' della normativa sopravvenuta, con particolare riferimento alle modifiche previste dalla L.120 del 2020, articolo 19, comma 1, lett.a) e b), ritenendo che sopraelevazione fosse legittima anche per effetto dello ius superveniens. 2.2.Nell'incipit della memoria illustrativa, i ricorrenti hanno evidenziato come il fulcro del presente giudizio sia costituito dalla disapplicazione dell'articolo 8 delle NTA del Comune di (OMISSIS) per contrasto con il Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9. Pur prendendo atto dell'orientamento giurisprudenziale che assimila la sopraelevazione ad una nuova costruzione, rilevano come l'articolo 2 bis, comma 1 ter del Testo Unico dell'Edilizia, nella formulazione adottata dalla L. 120 del 2020, consenta l'aumento volumetrico dei fabbricati esistenti anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell'altezza massima dell'edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Inoltre, la normativa sopravvenuta avrebbe ampliato il concetto di intervento di "ristrutturazione edilizia", come previsto dall'articolo 3, lettera d del citato TUE, comprendendo anche gli interventi di demolizione e ricostruzione degli edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, specificando che l'intervento possa prevedere "incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana". Nel caso di specie, quindi, per effetto della normativa sopravvenuta la sopraelevazione rientrerebbe nell'ambito della ristrutturazione. 2.3.Il motivo e' infondato. 2.4.La vicenda processuale va certamente esaminata alla luce dello ius superveniens, trattandosi di normativa posteriore alla proposizione del ricorso per cassazione e pertinente rispetto alle questioni in esso prospettate (Cass. 19617/2018; Cass. 10547/206). 2.5.Secondo la costante interpretazione giurisprudenziale in materia di distanze nelle costruzioni, infatti, qualora subentri una disposizione derogatoria favorevole al costruttore, si consolida - salvi gli effetti di un eventuale giudicato sull'illegittimita' della costruzione - il diritto di quest'ultimo a mantenere l'opera alla distanza inferiore, se, a quel tempo, la stessa sia gia' ultimata, restando irrilevanti le vicende normative successive (tra le tante Cass. Civ., Sez. II, 4.2.2021, n. 2640; Cass. Civ., Sez. II, 26.7.2013, m.18119). Il sopravvenire della disciplina normativa meno restrittiva comporta, invero, che l'edificio in contrasto con la regolamentazione in vigore al momento della sua ultimazione, ma conforme alla nuova, non possa piu' essere ritenuto illegittimo, cosicche' il confinante non puo' pretendere l'abbattimento o, comunque, la riduzione alle dimensioni previste dalle norme vigenti al momento della sua costruzione. 2.6. Ai fini della decisione della controversia, e' opportuno esaminare sommariamente lo stato della normativa e della giurisprudenza in materia. 2.7.Innanzitutto, la nozione di ricostruzione di un edificio, in passato, era individuata in un intervento che fosse contenuto nei limiti preesistenti di altezza, volumetria, sagoma e area di sedime dell'edificio. Le eventuali eccedenze invece andavano considerate come nuova costruzione. Da cio' discendeva, in tema di distanze, che le nuove costruzioni dovevano essere soggette alle distanze legali, mentre per le ricostruzioni le distanze erano quelle previste per l'edificio originario (in tal senso Cass. Civ., Sez. II n. 473/2019). 2.8. Tale distinzione si basava su una serie di disposizioni, a partire dalla L. n. 457 del 1987, articolo 31, comma 1, lettera d), per passare poi all'articolo 3, comma 1, lettera d), del Testo Unico dell'Edilizia (Decreto del Presidente della Repubblica n. 6 giugno 2001 n. 380), il quale, nella sua formulazione originaria, prevedeva che "nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica". Basandosi su tale norma, la giurisprudenza ha quindi ripetutamente ribadito che si ha ricostruzione, che segue le sorti dell'edificio preesistente, quando ci si contenga nei limiti di sagoma, volumi, area di sedime di quest'ultimo, si ha nuova costruzione per cio' che eccede (ex multis Cass. Civ, Sez. II, n. 15041/2018). 2.9. Il D. L. 69 del 2013 ha novellato l'articolo 3 del T.U dell'edilizia, comprendendo, nell'ambito della ristrutturazione edilizia gli interventi consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica. Nella nuova formulazione, per aversi una ricostruzione bastava dunque rispettare la volumetria originaria, senza necessita' di rispettare la sagoma. 2.10. Il Decreto Legge n. 32 del 2019, convertito nella L. 55 del 2019, e' intervenuto sul tema delle distanze per le costruzioni al fine di semplificare e velocizzare i procedimenti sottesi alla realizzazione degli interventi edilizi di rigenerazione del tessuto edificatorio nelle aree urbane. 2.11.In questo quadro, la L.55 del 2019 ha operato una serie di modifiche agli standard urbanistici fissati dal Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, che prevedeva limiti inderogabili "di distanza tra i fabbricati", tali da vincolare i comuni nell'adozione degli strumenti urbanistici e tali da poter essere invocati, previa disapplicazione dello strumento urbanistico eventualmente difforme, nelle controversie tra privati. 2.12.I cambiamenti al Decreto Ministeriale n. N. 1444 del 1968 sono in concreto intervenuti mediante le modifiche apportate dal Decreto Legge n. 32 del 2019 all'articolo 2 bis del TU edilizia, con riferimento a quelle disposizioni che consentivano a Regioni e Province autonome di adottare disposizioni derogatorie sulle distanze legali. 2.13.Il Decreto Legge n. 32 del 2019 ha aggiunto i seguenti commi al citato articolo 2 bis: "1-bis. Le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i comuni nella definizione di limiti di densita' edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio." 1-ter. In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest'ultima e' comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purche' sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo." 2.14. Discende da quanto sopra delineato che con le modifiche apportate dal Decreto Legge n. 32 del 2019, articolo 5, all'articolo 2 bis del TU edilizia, la demolizione e ricostruzione di un fabbricato e' consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purche' sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo. In caso diverso, le eventuali disposizioni derogatorie sulle distanze devono comunque essere previste dai Comuni nell'ambito degli strumenti urbanistici. 2.15. Dette previsioni non consentivano quindi l'aumento di volumetria e le leggi regionali in contrasto con la legge statale sono state dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale in tutte le occasioni in cui e' stata adita. 2.16.E' utile ricordare la sentenza della Corte Costituzionale N. 30 del 2020, che, pronunciandosi sulla legittimita' dell'articolo 9, comma 8 bis della Legge Regionale Veneto n. 14 del 2009, la quale consentiva deroghe alle altezze dei fabbricati, ha ribadito l'inderogabilita' delle norme sulle distanze previste dal Decreto Ministeriale n.1444-68, articolo 9. 2.17.La Corte Costituzionale e' nuovamente intervenuta con la sentenza N. 70-2020 per dichiarare costituzionalmente illegittime le previsioni della Legge Regionale Puglia n. 5 del 2019 (Piano Casa Puglia) che consentiva, in caso di demolizione e ricostruzione un aumento volumetrico. Con tale decisione, ribadendo il suo consolidato orientamento (tra le tante Corte Cost n. 86/2019; Corte Cost. 125/2017), il giudice delle leggi ha ribadito, sulla base del Decreto Legge n.32 del 2019, articolo 2 bis, l'inderogabilita' delle norme statali, in quanto necessarie a offrire una protezione unitaria su tutto il territorio nazionale in relazione alle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza. 2.18. Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato, nelle prime applicazioni delle modifiche apportate dal Decreto Legge n. 32 del 2019, articolo 5 all'articolo 2 bis del TU Edilizia, ha affermato che la demolizione e ricostruzione di un fabbricato e' consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purche' sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo; in caso diverso, le eventuali disposizioni derogatorie sulle distanze devono comunque essere previste dai Comuni nell'ambito degli strumenti urbanistici (Consiglio di Stato sez. IV, 16/10/2020, n. 6282 in fattispecie antecedente al S.L. N. 76 del 2020, convertito nella L. n. 120 del 2020, che ha ulteriormente modificato l'articolo 2 bis del TU Edilizia). 2.19. Al fine di allargare l'ambito degli interventi di ristrutturazione e riqualificazione urbana, senza incorrere nel rilievo di incostituzionalita', il legislatore e' nuovamente intervenuto sul Testo Unico dell'Edilizia. 2.20. Il D. L. 16.7.2020 m.76, articolo 10 convertito con modificazioni dalla L.11.9.2020 n. 120 ha inciso profondamente sulla struttura del Decreto del Presidente della Repubblica n. 6.6.2001, n. 380 attraverso una serie di interventi puntuali, aventi come finalita' l'esigenza di "semplificare e accelerare le procedure edilizie, di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo del suolo". 2.21.Le singole previsioni del decreto sono intervenute su specifici profili della disciplina edilizia, con l'obiettivo pratico di fornire strumenti normativi favorevoli alla rigenerazione dei tessuti urbani. 2.22.Secondo autorevole dottrina, con il decreto semplificazioni, il legislatore statale ha compiuto una "manutenzione straordinaria del Testo Unico dell'Edilizia", proseguendo nel percorso intrapreso con il "decreto sbloccacantieri" del 2019, che, pur avendo indicato una serie di obiettivi ritenuti prioritari nella rigenerazione urbana, era intervenuto soprattutto in materia di distanza tra costruzioni con previsioni che non avevano superato il vaglio di costituzionalita'. 2.23.Proprio in tema di distanze tra gli edifici, la novita' introdotta dalla L. 120 del 2020 e' proprio la rivisitazione del concetto di "ristrutturazione edilizia" (Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, comma 1 lettera d) ed il suo conseguente coordinamento con la definizione di "manutenzione straordinaria" (Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, comma 1, lett.b)). In tal senso sono orientate le norme in tema di demolizione- ricostruzione, che costituiscono il fulcro della normativa inserita con la L.120 del 2020. 2.24. Ai sensi dell'articolo 3, lettera d) costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. La norma prosegue affermando che, nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia, sono ricompresi altresi' gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilita', per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. Inoltre, al solo fine di promuovere interventi di rigenerazione urbana, sono ammessi incrementi di volumetria, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali. 2.25.Con le modifiche apportate dall'articolo 3, lettera d), gli interventi di ristrutturazione possono, quindi, consistere anche in demolizioni e ricostruzioni in cui, rispetto all'edificio originario mutino la sagoma, i prospetti, il sedime e le caratteristiche planivolumetriche e tipologiche. In tali casi, l'intervento deve mantenersi rispettoso unicamente del volume preesistente, con possibilita' di formazione di un manufatto tipologicamente anche radicalmente diverso dal preesistente. 2.26. Quando, invece, " la legislazione vigente o gli strumenti comunali lo consentano", sono ammessi incrementi di volumetria "anche per interventi di rigenerazione urbana". 2.27.Questa flessibilita' derogatoria non e' ammessa ne' per gli edifici tutelati, per le zone A (o come diversamente definite dalle leggi regionali) cosi' come nei "centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico", fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici. In tali ipotesi, la ricostruzione ed il ripristino degli edifici crollati o demoliti deve mantenersi fedele all'esistente, ossia deve rispettare non solo il volume ma anche la sagoma, il sedime e le caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio demolito, senza possibilita' di incrementi volumetrici. 2.28. E' stato osservato in dottrina che gli interventi di ristrutturazione edilizia sarebbero fortemente penalizzati qualora dovessero rispettarsi anche per i nuovi edifici le distanze tra costruzioni previste dal Decreto Ministeriale n. 1444-68, articolo 9 nell'ambito di interventi di rigenerazione urbana che abbiano come fine un nuovo modello di citta' "urbana" e lo sviluppo del territorio. 2.29. Le criticita' emerse con il c.d "Decreto del Fare" (D. L. 69 del 2013) e con il "Decreto Sbloccacantieri" (L.55 del 2019) sono state, quindi, superate con il nuovo testo dell'articolo 2 bis, comma 1 ter, che consente di sfruttare gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell'altezza massima dell'edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. 2.30. Ne e' seguita la modifica dell'articolo 2 bis, comma 1 ter del Testo Unico dell'Edilizia, da parte della L.120 del 2020, che, nel nuovo testo, cosi' recita: "in ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell'area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione e' comunque consentita nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l'intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell'altezza massima dell'edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti" 2.31.La norma introduce il principio secondo cui ogni intervento di demolizione - ricostruzione, nel contesto di un intervento unitario, indipendentemente dalla qualificazione come ristrutturazione o nuova costruzione ("in ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici"), puo' essere realizzato sulla linea di confine del fabbricato demolito, anche ove quest'ultimo risulti "legittimamente" posto ad una distanza da fabbricati e da confini inferiore da quelle attualmente previste. La norma prosegue indicando la possibilita' che anche eventuali "incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti all'intervento" possano essere collocati sul filo dell'edificio preesistente, anche fuori della sagoma e con superamento dell'altezza del manufatto demolito. 2.32. Cosi' ricostruito il quadro normativo in relazione allo ius superveniens, nel caso di specie, la normativa sopravvenuta non incide sulla fattispecie in esame, in cui il fabbricato ricostruito e' diverso dal preesistente manufatto per "forma, altezza e superficie " (pag.11 della sentenza impugnata) e l'intervento costruttivo non rientra nel regime derogatorio previsto dall'articolo 3 lettera d), ovvero per promuovere un intervento di rigenerazione urbana. 2.33.Si tratta di costruzione realizzata dal privato in violazione del Decreto Ministeriale n.1944-68, articolo 9, in ragione dell'entita' delle modificazioni apportate al volume ed alla collocazione del fabbricato, che rendevano l'opera realizzata nel suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente. L'opera aumentava il volume e modificava la sagoma dell'edificio demolito, senza rispettare le distanze preesistenti, e cioe' di quelle conformi alla normativa vigente al momento in cui e' stato realizzato l'intervento originario (Cassazione civile sez. II, 24/06/2022, n. 20428; Cass. Civ., Sez. II, 14.4.2022, n. 12196). 2.34. L'intervento costruttivo e' avvenuto in assenza di alcun intervento di pianificazione urbanistica, che legittimasse l'aumento di volumetria. 2.35.La normativa introdotta sulle distanze dalla L.120/2020 e' coerente con il perseguimento dell'interesse pubblico e non gia' con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che e' invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile e dal Decreto Ministeriale n.1444-68. 2.36.Allo stato attuale della normativa, in ogni caso di demolizione con ricostruzione - e quindi anche in presenza di aumento di volumetria nei casi consentiti dall'articolo 3, lettera d) del TUE - la costruzione deve rispettare le distanze preesistenti. 2.37. Come chiarito anche dalla relazione ministeriale al decreto semplificazioni (Decreto Legge n. 76 del 2020), l'articolo 2, comma 1-ter, ha rimosso il vincolo del medesimo sedime e della medesima sagoma ma solo per gli interventi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione disciplinati da un piano urbanistico che preveda un programma di rigenerazione urbana, nella specie non sussistente. 2.38. L'ulteriore profilo di ricorso riguarda la qualificazione dell'intervento edilizio. I ricorrenti sostengono che si tratti di "sopralzo" di un edificio preesistente e non di nuova costruzione, ragione per la quale esso sarebbe legittimo ai sensi dell'articolo 5 delle NTA del Comune di (OMISSIS), che cosi' dispone: "in caso di sopralzo la verifica delle distanze si intende soddisfatta ove siano mantenuti i rapporti e le distanze esistenti", mentre la distanza di metri dieci rispetto alle pareti finestrate dei fabbricati antistanti si applicherebbe agli interventi di nuova costruzione e di ampliamento, ai sensi dell'articolo 8 delle NTA. 2.39. Anche tale profilo e' infondato. 2.40. Come correttamente statuito dalla Corte di merito, in tema di distanze tra costruzioni, il Decreto Ministeriale n. 2 aprile 1968 n. 1444, articolo 9 comma 2, essendo stato emanato su delega della l. 17 agosto 1942 n. 1150, articolo 41 quinquies (cd. legge urbanistica), aggiunto dalla l. 6 agosto 1967 n. 765, articolo 17, ha efficacia di legge dello Stato, sicche' le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densita', altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica (Cassazione civile sez. un., 07/07/2011, n. 14953; Cassazione civile sez. II, 15/01/2021, n. 624). 2.41 Ne consegue che, una volta che i Comuni abbiano proceduto alla pianificazione del territorio, effettuando la ripartizione per zone omogenee, le distanze minime sono quelle previste dal citato decreto n. 1444 del 1968, articolo 9, sia nel caso in cui lo strumento urbanistico preveda distanze inferiori, sia nel caso di assenza di previsioni sul punto. Nella prima ipotesi si verifica l'inserimento automatico della norma cogente di cui al decreto n. 1444 del 1968, in sostituzione della illegittima previsione di distanze inferiore a quella minima. Nella seconda ipotesi - quando cioe' lo strumento urbanistico non contenga previsioni al riguardo, ragioni di ordine sistematico e di interpretazione conforme impongono l'analoga conclusione della inserzione automatica della disciplina dettata dal richiamato decreto. 2.42, Nel caso di specie, poiche' l'intervento edilizio era diverso dal preesistente manufatto per forma, altezza, volume e superficie, doveva osservare la distanza di dieci metri dall'edificio frontistante, per inserzione automatica dell'articolo 9 del DM 1444-68 ed in conformita' all'articolo 8 delle NTA del Comune di (OMISSIS). 3.Con il terzo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del disposto di cui agli articoli 113 e 115 c.p.c e la nullita' della sentenza, ai sensi dell'articolo 132 n. 4 c.p.c., in quanto la Corte d'appello non avrebbe considerato che vi era una discrasia in ordine alla misurazione delle distanze, sulla base delle diverse conclusioni cui erano giunti il CTU in primo grado ed in appello. Tale discrasia si riverberebbe sulla nullita' della motivazione. 3.1.Il motivo e' inammissibile perche' difetta di specificita' per non avere il ricorrente allegato gli atti ed i documenti su cui il motivo di ricorso si fonda, attraverso la trascrizione, anche sommaria, delle consulenze svolte nei gradi di merito. 5.Con il quarto motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell'articolo 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 7 e 8 delle NTA del Comune di (OMISSIS), per avere la Corte di merito ritenuto che l'autorimessa sporgesse di sedici centimetri rispetto al limite massimo di sporgenza dalla quota zero, facendo coincidere il "piano di calpestio" dell'autorimessa interrata con la "soletta" dell'autorimessa stessa. L'errore della Corte consisterebbe nell'aver applicato l'articolo 8, comma 12 delle NTA, che disciplina le autorimesse edificate a confine mentre, nel caso di specie, l'autorimessa sarebbe posta alla distanza di 1,5 metri dal confine e troverebbe, pertanto, applicazione dell'articolo 8 comma 11 delle NTA, del quale rispetterebbe le condizioni. Dalla CTU emergerebbe infatti che il pavimento del piano terra del fabbricato e il piano di calpestio esterno sporgono di 16 cm oltre la fascia di tolleranza e non la "soletta" dell'autorimessa, come invece erroneamente ritenuto dalla Corte d'Appello di Brescia. 6.Con il quinto motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e' stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento agli elaborati peritali della CTU di secondo grado ed alle osservazioni critiche del proprio CT. I ricorrenti rilevano come la Corte d'Appello di Brescia abbia omesso di considerare le risultanze della relazione peritale, che dimostrerebbe il pieno rispetto alla fascia di tolleranza di 70 cm della "soletta" di copertura dell'autorimessa interrata. La Corte avrebbe anche omesso di considerare che i 16 cm di eccedenza riguarderebbero il "piano di calpestio" esterno soprastante, elemento estraneo alla "soletta" dell'autorimessa. 6.1.I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente perche' attinenti al calcolo della distanza dell'autorimessa, sono infondati. 6.2.L'articolo 8, comma 11 delle NTA del Comune di (OMISSIS) prevede che "per le costruzioni completamente interrate-in tutte le zone- la distanza minima dai confini deve essere di mt 1,50". 6.3.L'articolo 8, comma 12 delle NTA cosi' recita: " E' ammessa la costruzione a confine nei seguenti casi ove si tratti di autorimessa o di locale di servizio interrati aventi altezza interna non superiore a mt 2,30 e sporgenza - rispetto alla quota 00 come definita dal precedente articolo 7 - non eccedente i 70 cm. 6.4. E' incontestato- ed e' stato oggetto di puntuale accertamento da parte della Corte d'appello - che l'autorimessa realizzata dai ricorrenti non era completamente interrata in quanto il piano di copertura sporgeva di 86 cm. 6.5.In tale ipotesi, la sporgenza sarebbe stata ammissibile solo in caso di costruzione posta al confine e non nei casi in cui la costruzione sia realizzata a distanza dal confine; in tal caso, l'autorimessa deve essere completamente interrata e ad una distanza minima di mt 1, 50 dal confine. 6.6.Assorbente al riguardo appare la considerazione che l'articolo 873 c.c., che stabilisce per le costruzioni su fondi limitrofi, se non unite o aderenti, la distanza non minore di tre metri, assegna ai regolamenti locali la sola potesta' di disporre una distanza maggiore, ma non gia' di definire la nozione di costruzione, cioe' di stabilire le caratteristiche in base alle quali l'opera possa definirsi costruzione e quindi ritenersi soggetta alla normativa sulle distanze (Cass. N. 23843 del 2018; Cass. N. 144 del 2016; Cass. N. 5136 del 2015; Cass. N. 19530 del 2005) 6.7.La nozione di costruzione, agli effetti dell'articolo 873 c.c., e' infatti necessariamente unica e non puo' subire deroghe, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, da parte delle norme locali, atteso il loro rango secondario e la delimitata competenza loro assegnata in materia. 6.8.Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell'osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dagli articolo 873 c.c. e delle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio, ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidita', stabilita' ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e cio' indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa (Cass. N. 23856 del 2018; Cass. n. 27399 del 2014; Cass. 15972 del 2011). Solanto l'immobile completamente interrato si sottrae pertanto al rispetto della normativa in tema di distanze, non anche quello che si eleva dal suolo, indipendentemente dalla relativa altezza (Cass. n. 3793 del 2012; Cass. 5956 del 1996). 6.9. Alla luce della nozione unitaria di costruzione, il piano di copertura dell'autorimessa comprende non solo la soletta ma anche il terrazzo che la ricopre, il quale e' strettamente integrato alla soletta ed emerge complessivamente dal piano di campagna, violando l'articolo 11 delle NTA del Comune di (OMISSIS). 6.10. Correttamente, la Corte di merito, ai fini della determinazione della quota zero, ha richiamato l'articolo 7 NTA, che considera la "media delle quote del terreno lungo la linea di intersezione di esso con l'edificio da costruire" ed ha ritenuto che dovesse tenersi conto dell'intero perimetro dell'edificio di nuova costruzione, comprensivo della villa e dell'autorimessa, in conformita' alla nozione unitaria di costruzione. 7. Deve essere esaminato il ricorso incidentale. 7.1. Deve essere, in primo luogo, rigettata l'eccezione di inammissibilita' del ricorso incidentale, sia in relazione alla carenza di interesse, per essere i fratelli (OMISSIS) e l' (OMISSIS) vittoriosi in relazione alla regolarita' dell'autorimessa, sia perche' sarebbe stata introdotta una domanda nuova. 7.2.Osserva il collegio che il primo motivo dell'appello incidentale, con il quale era stato impugnato il rigetto della domanda di arretramento dell'autorimessa, era stato parzialmente accolto dalla Corte d'appello (pag. 15-15 della sentenza impugnata), che ha aderito alla terza ipotesi elaborata dal CTU, tenendo conto del perimetro della villa e dell'autorimessa mentre i ricorrenti in via incidentale avevano chiesto che venisse calcolato il perimetro della sola autorimesse; in tal modo, la demolizione avrebbe interessato non solo la soletta ma anche il terrazzo che la ricopriva. 7.3. Poiche' l'appello incidentale era stato parzialmente accolto, sussisteva l'interesse a ricorrere in cassazione al fine di ottenere una pronuncia piu' favorevole. 7.4. Ne' sussiste il vizio di novita' della domanda poiche' la demolizione dell'autorimessa, e non solo della soletta, era stata riproposta in sede di appello incidentale, ove, solo in via subordinata era stato chiesta la demolizione della porzione eccedente la sporgenza massima di 70 cm dalla quota 0. 7.5.Ne consegue che non vi e' stata modifica della domanda ma riproposizione, della domanda proposta in via principale, che era stata rigettata dalla Corte d'appello. 7.6. I motivi, contrariamente a quanto eccepito dai ricorrenti, sono specifici in quanto idonei a censurare con chiarezza la statuizione della Corte d'appello. 7.7.Con il primo motivo, si deduce, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 7 e 8 delle NTA del PRG del Comune di (OMISSIS) in materia di distanze delle autorimesse dal confine; si rileva che la quota zero dovesse essere calcolata sulla base del perimetro della sola autorimessa e non dell'autorimessa e della villa, come affermato dalla Corte d'appello. Sarebbe quindi errata l'adesione alla terza ipotesi interpretativa elaborata dal CTU in quanto l'articolo 7 del NTA del Comune di (OMISSIS) individuerebbe la quota zero con riferimento "all'edificio da costruire" da identificarsi nella sola autorimessa. La decisione della Corte di merito sarebbe erronea perche' basata esclusivamente sul fatto che il titolo abilitativo edilizio era comprensivo sia del fabbricato residenziale che dell'autorimessa, atteso il rapporto di pertinenzialita' tra edificio ed autorimessa. 7.8. il motivo e' infondato. 7.9. Come argomentato in relazione al quarto e quinto motivo del ricorso principale, la Corte di merito, ai fini della determinazione della quota zero, ha correttamente applicato l'articolo 7 NTA, che considera la "media delle quote del terreno lungo la linea di intersezione di esso con l'edificio da costruire" ed ha ritenuto che dovesse tenersi conto dell'intero perimetro dell'edificio di nuova costruzione, comprensivo della villa e dell'autorimessa, in conformita' alla nozione unitaria di costruzione. 8.Con il secondo motivo del ricorso incidentale, si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 873 c.c. e articolo 8 NTA del PRG del Comune di (OMISSIS) per avere la Corte di merito escluso che il terrapieno realizzato sopra l'autorimessa fosse un'opera rilevante ai fini del calcolo delle distanze dal confine poiche' costituiva un'opera di modeste dimensioni con funzioni sostanzialmente ornamentali. La Corte d'appello ha ritenuto che le ridotte dimensioni del terrapieno e la sua sporgenza da terra possano essere calcolate a partire dai 70 cm di altezza previsti per l'autorimessa, non considerando invece, piu' correttamente, l'intera altezza del terrapieno che fuoriesce dal piano originario di campagna. 8.1.Il motivo e' fondato. 8.2. Questa Corte ha affermato, con orientamento che si condivide, che, in tema di distanze legali, diversamente dal muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale, che, per la parte che adempie alla sua specifica funzione, non puo' considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'articolo 873 c.c., devono invece ritenersi soggetti a tale norma, perche' costruzioni, il terrapieno e il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (Cass. n. 23843 del 2018; Cass. n. 10512 del 2018; Cass. n. 11388 del 2013). 8.3.La sentenza impugnata ha errato nell'affermare che il terrapieno non era soggetto al rispetto delle distanze perche' costituiva un'opera di modeste dimensioni con funzioni sostanzialmente ornamentali, senza verificare se fosse opera dell'uomo e se adempiva alla specifica funzione di sostegno e contenimento. 8.4.Il motivo deve, pertanto, essere accolto. 8.5.La sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimita', alla Corte di Appello di Brescia in diversa composizione. 8.7.Il giudice di rinvio provvedera' anche in ordine alle spese relative al presente giudizio di legittimita'. 9.Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, rigetta il ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimita', alla Corte di Appello di Brescia in diversa composizione. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere Dott. RUSSO Carmine - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 21/07/2021 della CORTE APPELLO di CATANZARO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Carmine Russo; udito il Procuratore Generale, Marco Dall'Olio, che ha concluso chiedendo il rigetto di tutti i motivi di ricorso; uditi i difensori che concludono nei modi indicati di seguito: L'Avv. (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'Avv. (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso e in subordine raccoglimento del motivo subordinato. L'Avv. (OMISSIS) conclude chiedendo raccoglimento del ricorso. L'Avv. (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'Avv. (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'Avv. (OMISSIS) conclude chiedendo raccoglimento del ricorso. L'Avv. (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'Avv. (OMISSIS) conclude chiedendo raccoglimento dei motivi di ricorso. L'Avv. (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'Avv. (OMISSIS) conclude chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata senza rinvio. Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 24 ottobre 2019 il Tribunale di Crotone, in rito ordinario, ha condannato, per cio' che rileva ai fini di questo giudizio: (OMISSIS) alla pena di 7 anni ed 8 mesi di reclusione per i reati degli articoli 74 d.p.r 9 ottobre 1990, n. 309 (capo n. 15 della imputazione) e 73 stesso decreto (capo n. 36); (OMISSIS) alla pena di 12 anni di reclusione per il reato di cui all'articolo 416-bis c.p. (capo n. 1); (OMISSIS) alla pena di 16 anni e 9 mesi di reclusione per il reato dell'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (capo n. 15); (OMISSIS) alla pena di 16 anni e 9 mesi di reclusione per il reato dell'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (capo n. 15); (OMISSIS) alla pena di 14 anni di reclusione per i reati dell'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (capo n. 15), degli articoli 73 stesso decreto (capi nn. 31, 32, 33); (OMISSIS) alla pena di 10 anni e 6 mesi di reclusione per i reati dell'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (capo n. 15) e dell'articolo 73 stesso decreto (capo n. 32); (OMISSIS) alla pena di 20 anni di reclusione e 4.000 Euro di multa per i reati degli articoli 416-bis c.p. (capo n. 1) e degli articoli 56 e 629 c.p. (capi nn. 12 e 14); (OMISSIS) alla pena di 18 anni di reclusione per il reato dell'articolo 416-bis c.p. (capo n. 1); (OMISSIS) alla pena di 2 anni di reclusione e 2.000 Euro di multa per il reato degli articoli 56 e 629 c.p. (capo n. 12); (OMISSIS) alla pena di 6 anni e 6 mesi di reclusione e 10.000 Euro di multa per i reati dell'articolo 73 d,p.r. n. 309 del 1990 (capi nn. 24 e 25); (OMISSIS) alla pena di 9 anni di reclusione per il reato dell'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (capo n. 15); (OMISSIS) alla pena di 10 anni e 6 mesi di reclusione per il reato dell'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (capo n. 15). Con sentenza del 21 luglio 2021 la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato la pena nei confronti di (OMISSIS) in 17 anni di reclusione, e nei confronti di (OMISSIS) in 1 anno, 5 mesi e 23 giorni di reclusione e 1.333 Euro di multa, concedendo a quest'ultimo la sospensione condiz39Ionale, e confermato per il resto la sentenza di primo grado. 2. Avverso il predetto provvedimento hanno proposto ricorso gli imputati, per il tramite dei rispettivi difensori, con i seguenti motivi di seguito descritti nei limiti strettamente necessari ex articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS) Con il primo motivo deduce error in procedendo e travisamento delle conclusioni della perizia in punto di capacita' di partecipare al processo e di imputabilita' della imputata al momento del fatto; si evidenzia che il perito ha concluso per l'esistenza di un disturbo di personalita' borderline e per la vulnerabilita' della imputata che la rendevano potenzialmente soggetto passivo di sollecitazioni esterne; i risultati della perizia sarebbero confortati dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), che e' stato amante, e che si e' assunto le responsabilita' di averla coinvolta nel crimine. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria in punto di responsabilita' per il reato associativo del capo n..15, in quanto la responsabilita' sarebbe stata desunta dalla partecipazione ad un unico reato-fine, ed in quanto la imputata non avrebbe avuto coscienza di partecipare ad una organizzazione stabilmente finalizzata al commercio di stupefacenti. Con il terzo motivo lamenta erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria in punto di responsabilita' per il reato di spaccio di cui al capo n. 36, in quanto la responsabilita' sarebbe stata desunta dalla mera partecipazione della imputata al viaggio in auto con cui lo stupefacente fu portato a (OMISSIS), ma in quel viaggio il soggetto incaricato del trasporto era (OMISSIS) e nessun incarico illecito aveva ricevuto la imputata, cui puo' essere contestata al piu' una connivenza passiva non punibile. Con il quarto motivo -deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria in punto di mancata rilevazione della imputabilita' per vizio totale di mente, e si torna sugli argomenti esposti nel primo motivo, evidenziando che l'imputata era in terapia psichiatrica, ha posto in essere tentativi di suicidio, e nel periodo dei fatti abusava anche di alcool e stupefacenti. 2.2. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); sono stati depositati due atti di ricorso. 2.2.1 Nel primo atto di ricorso in ordine temporale si deduce quanto segue. Con il primo motivo erronea applicazione della legge penale in punto di responsabilita' per il reato associativo di cui al capo n. 1, di cui, a giudizio del ricorrente, non sussisterebbero gli elementi costitutivi per l'occas39Ionalita' della condotta dell'imputato e la sua estraneita' rispetto a contesti associativi; in particolare, si spiega che e' vero che l'imputato ha avvicinato i capi del locale di (OMISSIS) ma lo ha fatto per chiedere aiuto per un problema concreto che aveva avuto con un socio in affari, ma alla richiesta di mettersi a disposizione ha sempre dato risposta negativa; e' anche vero che in alcune conversazioni intercettate l'imputato si sarebbe vantato di disporre di macchinette per le bonifiche da microspie e schede telefoniche coperte, ma si tratterebbe di vanterie; in definitiva, non vi sarebbe prova di alcun contributo causale all'efficienza dell'associazione dato dall'imputato, evidenziando anche che nonostante la ritenuta qualifica di esperto finanziario della consorteria nessun investimento ha effettuato la consorteria tramite l'imputato. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di mancata riqualificazione del fatto in concorso esterno nel reato associativo, atteso che al piu' dovrebbe ritenersi che l'imputato abbia fornito un contributo causale dall'esterno di un sodalizio cui non e' mai stato legato da affectio societatis, purche', pero', si provi che vi sia stato un contributo causale dell'imputato accertato ex post. Con il terzo motivo lamenta erronea applicazione della legge penale in punto di ritenuta responsabilita' per l'aggravante dei commi 4 e 5 per la natura armata dell'associazione, aggravante applicata all'imputato in modo meccanicistico senza che vi sia prova che lo stesso avesse consapevolezza dell'esistenza in capo agli associati di armi di alcun tipo. Con il quarto motivo deduce erronea applicazione della legge penale in punto di diniego delle attenuanti generiche, motivate con un riferimento generico alla gravita' dei fatti, e senza prendere in esame tutti i parametri di valutazione, tra cui verrebbe in rilievo la marginalita' della posizione del ricorrente. Con il quarto motivo deduce erronea applicazione della legge penale in punto di applicazione all'imputato della formulazione dell'articolo 416-bis coda pen. successivo alla riforma della L. 27 maggio 2015 n. 69, laddove avrebbe dovuto essergli applicato il testo antecedente piu' favorevole attesa, in presenza di una imputazione a contestazione aperta, la mancanza di condotte post entrata in vigore della legge, non avendo rilievo le intercettazioni valorizzate dal giudice in sentenza relative all'agosto 2015 che non hanno rilievo criminale. 2.2.2. Nel secondo atto di ricorso in ordine temporale si deduce quanto segue. Nel primo motivo si propone la questione della insussistenza della partecipazione all'associazione criminosa. Nel secondo motivo si deduce l'insussistenza in ogni caso dell'elemento soggettivo del reato. Nel terzo motivo ci si lamenta della mancata concessione all'imputato delle attenuanti generiche. 2.3. Ricorso nell'interesse. di (OMISSIS); Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di riconoscimento della responsabilita' per il reato associativo del capo n. 15, evidenziando che la responsabilita' e' stata ricavata senza che all'imputato sia contestato neanche un reato fine; che la responsabilita' e' stata ricavata soltanto dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), ma tali dichiarazioni avrebbero la caratteristica di essere estremamente generiche, anche con riferimento ai periodi in cui sarebbe avvenuta la collaborazione all'associazione, periodi che in parte si sovrapporrebbero con periodo di detenzione del ricorrente; in ogni caso, il collaboratore difetterebbe di credibilita' intrinseca, avendo iniziato a collaborare in periodo di detenzione e con riferite fragilita' psicologiche, mancherebbero anche i riscontri esterni, tali non essendo la certa conoscenza e frequentazione tra i due, in quanto si puo' essere vicini ad una persona senza essere coinvolti nei suoi traffici criminali, e non essendo un riscontro neanche la conversazione intercettata del 22 febbraio 2011 che non ha comunque un contenuto criminale, in ogni caso, si evidenzia che i contatti sono stato documentati solo con l' (OMISSIS), e non con gli altri soggetti asseritamente associati; dell'associazione mancherebbe in ogni caso un organigramma, una indicazione. della linea di comando, e sarebbe sfuggente anche il ruolo specifico del ricorrente, indicato come fornitore/acquirente delle partite di stupefacente, essendo anomalo che una persona acquisti da una associazione di cui fa parte e poi rivenda per conto proprio. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di recidiva (riconosciuta soltanto in virtu' del precedenti penali e senza alcuna valutazione della maggiore capacita' criminale), mancata valutazione delle attenuanti generiche per il ruolo marginale (in ipotesi cada la preclusione dovuta alla recidiva), e pena applicata in concreto (in quanto il giudice e' partito da una pena base di 10 anni, molto superiore al limite edittale, senza adeguata motivazione). 2.4. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di riconoscimento della responsabilita' per il reato associativo del capo n. 15, evidenziando che la responsabilita' e' stata ricavata soltanto dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), che le dichiarazioni non sono riscontrate, se non da due intercettazioni dal contenuto comunque equivoco, che anzi le dichiarazioni del collaboratore sono smentite dalle dichiarazioni di persone vicine a lui come (OMISSIS) e (OMISSIS) che hanno escluso di conoscere il ricorrente; che non risulta contatto con alcuno dei sodali diversi dal collaboratore, se non per un dialogo nell'auto di (OMISSIS), che in ogni caso manca qualsiasi prova di un programma generico volto alla commissione di un numero indeterminato di reato di spaccio e manca la prova della consapevolezza del ricorrente di partecipare ad una associazione. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di recidiva, atteso che e' stata ritenuta la recidiva infraquinquennale in ragione di una sentenza di condanna (quella dell'8 luglio 2015) che pero' non era ancora intervenuta al momento di commissione del reato. 2.5. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Con il primo motivo deduce motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di riconoscimento della responsabilita' per il reato associativo del capo n. 15, evidenziando l'omessa motivazione o la motivazione apparente della Corte d'appello sulla ricostruzione alternativa del materiale investigativo proposto dalla difesa nei motivi di appello, in cui si evidenziava che la ricorrente era tossicodipendente ed aveva acquistato stupefacente in ragione di questa sua condizione, senza pero' che vi fosse prova della destinazione allo spaccio di quanto acquistato; la prova sarebbe stata ricavata dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), che riferiva che la ricorrente vendeva per conto del gruppo criminale, ma queste dichiarazioni sono generiche, non sono riscontrate dal riconoscimento fotografico operato dalla compagna di (OMISSIS), (OMISSIS), in quanto la stessa si limita a riconoscere la ricorrente come persona che operava nel mondo dello stupefacente, il che e' incontestato attesa la tossicodipendenza, e perche' gli specifici fatti di spaccio accertati nei capi da n. 31 a 33 sono commessi nel corso di un solo mese, il che sarebbe in contrasto con la tesi della stabilita' del rapporto associativo. Con il secondo motivo deduce motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, evidenziando che, anche con riferimento ai reati-fine, la responsabilita' e' stata tratta da conversazione con (OMISSIS) di per se' equivoca, perche' da' conto del fatto che la ricorrente abbia acquistato stupefacente ma non che l'abbia venduto, perche' la frase in cui la stessa chiedeva una consegna urgente perche' "tra un'ora mi viene qua la persona" non e' prova di spaccio in mancanza di riscontro successivo sull'avvenuta traditio. La difesa precisa anche espressamente di non impugnare la condanna per i capi nn. 32 e 33. Con il terzo motivo lamenta omessa motivazione sulla richiesta di riqualificare i fatti nella fattispecie dell'articolo 73 comma 5 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, in quanto la risposta della Corte d'appello che si tratterebbe di "notevoli quantitativi" e' una mera clausola di stile. Con il quarto motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta responsabilita' per l'aggravante del comma 3 dell'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, atteso che non e' possibile imputare al tossicodipendente l'aumento di pena previsto per chi utilizza dei tossicodipendenti nella struttura dell'associazione, tale aumento e' stato ritenuto in giurisprudenza applicabile solo ai non tossicodipendenti, e quindi non alla ricorrente. 2.6. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di riconoscimento della sussistenza del reato associativo del capo n. 15, evidenziando che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) sono inattendibili, e che le intercettazioni costituiscono prova solo dei reati-fine, che di per se' non sono sufficienti a ritenere provata anche l'associazione, di cui mancherebbero sufficiente stabilita' (lo stesso (OMISSIS) lascerebbe trapelare la totale disorganizzazione della struttura) e programma criminoso (si tratterebbe di mera "droga parlata"). Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di mancato riconoscimento della ipotesi lieve del comma 6 dell'articolo 74 per il reato associativo del capo n. 15, evidenziando che lo stesso collaboratore di giustizia (OMISSIS) ha parlato di quantita' di stupefacente di qualche chilogrammo alla volta, nella stessa imputazione si parla di quantita' imprecisate, la associazione aveva una scarsa struttura utilizzando autovetture occas39Ionali, l'unica modalita' di vendita provata era quella al minuto, indice di scarsa capacita' criminale, mancava una cassa comune, mancava la capacita' di incidere sul territorio di (OMISSIS) ove erano operanti ben altre organizzazioni. In ipotesi di derubricazione, si evidenzia l'avvenuta prescrizione del reato. Con il terzo motivo lamenta erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di riconoscimento della partecipazione del ricorrente all'associazione del capo n. 15, evidenziando che risulta dagli atti che il ricorrente ha avuto rapporti con alcuni dei coimputati solo per un periodo breve di circa cinque mesi tra dicembre 2010 e maggio 2011, insufficiente a ritenere la stabilita' della collaborazione con l'associazione, che i viaggi in (OMISSIS) di cui e' accusato avevano finalita' private perche' di essi ne parlava con la figlia, mentre non ne ha mai parlato con gli associati, che la sua conoscenza con il collaboratore di giustizia (OMISSIS) deriva dall'averlo ospitato in (OMISSIS) soltanto per fare un favore al suo amico (OMISSIS) che glielo aveva chiesto, che le dichiarazioni del collaboratore a suo carico che lo dipingono come una persona che, a richiesta, si prestava ad andare.a minacciare e picchiare per recuperare crediti, sono generiche ed inattendibili, si tratta di un collaboratore gia' giudicato inattendibile in altri processi, che dalle conversazioni intercettate non emergono riscontri, atteso che tali non sono il suo essersi prestato a difendere il suo amico (OMISSIS) da una minaccia essendosi limitato a riappacificare gli animi ed il suo essersi prestato ad aiutare la (OMISSIS) a recuperare un credito di 3.000 Euro che puo' avere altre spiegazioni. Con il quarto motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di riconoscimento della responsabilita' per il reato di spaccio del capo n. 32, in quanto sulla base degli indici dettati dalla giurisprudenza in tema di c.d. âEuroËœdroga parlata', non puo' dirsi pienamente provata ne' la disponibilita' della sostanza stupefacente in capo alla (OMISSIS), ne' l'effettiva consegna della stessa. Con il quinto motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di mancata derubricazione del fatto di cui al capo n, 32 nella ipotesi degli articoli 73, commi 1 e 4, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, evidenziando che non vi e' prova in atti che lo stupefacente âEuroËœspacciato sia cocaina, come scritto in imputazione; la Corte d'appello avrebbe tratto la prova dal fatto che si parla di "assaggi" ma qualsiasi stupefacente puo' essere assaggiato. In caso di derubricazione in Gomma 4, si deduce l'intervenuta prescrizione. Con il sesto motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di mancata derubricazione del fatto di cui al capo n. 32 nella ipotesi degli articoli 73, commi 1 e 5, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, evidenziando che non vi e' prova in atti, oltre che della tipologia, anche della quantita' dello stupefacente spacciato, e quindi, in mancanza di prova, avrebbe dovuto essere applicata la ipotesi piu' favorevole del comma 5. Con il settimo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, evidenziando che a sostegno depongono la condotta di vita anteatta, immune da precedenti, e la marginalita' del ruolo del ricorrente. 2.7. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Con il primo motivo vizio di motivazione con riferimento alla identificazione del ricorrente nell'interlocutore di alcune delle telefonate intercettate; il Tribunale, infatti, si e' limitato a dare incarico per la trascrizione delle conversazioni ma non ha conferito anche incarico per la perizia fonica per la identificazione dei chiamanti; e' vero che il precedente difensore aveva in primo grado dato il consenso all'utilizzo delle schede della polizia giudiziaria sulla identificazione dei chiamanti, ma il consenso non puo' riguardare il metodo con cui la stessa polizia giudiziaria era arrivata alla identificazione che era errato, illogico ed aberrante. Si censura anche una annotazione integrativa redatta il 17 aprile 2018, giorno successivo alla annotazione sui criteri di identificazione, ed in cui in modo improbabile un vice ispettore di polizia riferisce di aver riconosciuto in quella dell'imputato una voce di una conversazione di cinque anni prima. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di esistenza di una associazione di cui all'articolo 416-bis c.p. che e' stata ricavata dalle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), che la Corte ha ritenuto riscontrate da quelle dell'altro collaboratore (OMISSIS) e da quelle della compagna di (OMISSIS), (OMISSIS), in contrasto con le dichiarazioni dei capi storici della âEuroËœndrangheta corleonese che riferiscono di non riconoscere in (OMISSIS) il capo della locale di (OMISSIS); va anche aggiunto che lo stesso (OMISSIS) riferisce che non ricorda se il ricorrente fu battezzato, in ogni caso non sarebbe dimostrato il vincolo associativo e la presenza di una struttura stabile. Con il terzo motivo lamenta erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta esistenza dell'aggravante di cui al comma 4 dell'articolo 416-bis c.p., perche' l'associazione e' stata ritenuta armata nonostante non vi fosse prova della disponibilita' di armi. Con il quarto motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta esistenza di un ruolo apicale in seno all'associazione, anziche' di mero partecipe alla stessa, ruolo apicale desunto dalle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) e del collaboratore (OMISSIS), ruolo apicale in definitiva non confermato da nessun riscontro. Con il quinto motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta responsabilita' per il reato del capo 12, perche' non si comprende quale sia stata in concreto la condotta commessa dal ricorrente nel contesto dell'episodio estorsivo, la stessa persona offesa riferisce che quando il ricorrente frequentava il locale pagava regolarmente, per cui in definitiva il ricorrente e' condannato per responsabilita' da posizione. Inoltre, al piu' i fatti andavano riqualificati in danneggiamento. Con il sesto motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta responsabilita' per il reato del capo 14, perche' questo tentativo di estorsione sarebbe rimasto allo stato sotto la soglia del tentativo punibile, essendo stata recapitata solo una proposta di assunzione di una persona, proposta rifiutata. Inoltre, non si comprende quale comportamento abbia tenuto il ricorrente, di cui nessuno riferisce. Con il settimo motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta responsabilita' per l'aggravante dell'articolo 416-bis.1 c.p. nella sua componente oggettiva, riconosciuta sia per il reato del capo 12 che per il reato del capo 14, in' quanto non si comprende da cosa sia stata desunta posto che non e' stato usato un linguaggio mafioso, che manca un comportamento propriamente intimidatorio, e l'estorsore ha anche risarcito i danni. Con l'ottavo motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta responsabilita' per l'aggravante dell'articolo 416-bis.1 c.p. nella sua componente finalistica, riconosciuta sia per il reato del capo 12 che per il reato del capo 14, in quanto il dolo di favorire l'associazione deve essere diretto, non potendo rilevare vantaggi indiretti o lo scopo di favorire un esponente della cosca. Con il nono motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta esistenza dell'aggravante dell'articolo 628, comma 3, n. 3.c.p., in quanto all'epoca dei fatti il ricorrente non era persona sospettabile di âEuroËœndrangheta. o' Con il decimo motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta esistenza della recidiva, desunta soltanto dai precedenti penali, in particolare per estorsione, senza un giudizio individualizzal:o sulla maggiore capacita' criminale. 2.8. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Con il primo motivo nullita' della sentenza per mancata assunzione di prova decisiva costituita dall'assunzione delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), collaboratore che aveva reso dichiarazioni nei confronti di (OMISSIS), dichiarazioni non credibili, avendo sbagliato anche altezza dell'imputato e sua residenza, in separato procedimento per la vicenda dell'omicidio (OMISSIS), che costituisce l'unico comportamento attribuito al ricorrente nel contesto dell'associazione. Con il secondo motivo deduce nullita' della sentenza per erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, perche' la Corte d'appello ha ritenuto convergenti sulla posizione del ricorrente le chiamate dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS), ma in esse in realta' vi sono divergenze in quanto sul mandante dell'omicidio (OMISSIS) si e' attribuito la paternita' della decisione mentre (OMISSIS) individua il mandante in tale (OMISSIS), sul movente (OMISSIS) indica la necessita' di evitare contrasti con i cirotani, mentre (OMISSIS) riferisce di una sovrapposizione delle piazze di spaccio, sul coesecutore che avrebbe affiancato il ricorrente (OMISSIS) indica tale (OMISSIS) e (OMISSIS) tale (OMISSIS), le dichiarazioni sono convergenti soltanto sul fatto che entrambi indicano il ricorrente come l'autore del reato che avrebbe esploso i colpi da arma da fuoco; i due collaboratori, inoltre, non renderebbero dichiarazioni autonome perche' proveniente dalla stessa fonte, che e' lo stesso ricorrente che ha riferito loro di ritorno dalla Calabria. Con il terzo motivo lamenta nullita' della sentenza per motivazione manifestamente illogica o contraddittoria in punto di responsabilita' per il reato associativo, atteso che il ricorrente non e' mai stato avvistato o fermato a (OMISSIS) e pasi limitrofi nel periodo dei fatti, e' sconosciuto all'autorita' di polizia del posto, e' sconosciuto anche a (OMISSIS) che pure e la convivente del collaboratore (OMISSIS), non vi sono riscontri negli aeroporti vici lo a (OMISSIS) di sue partenze per la (OMISSIS) al momento dei fatti, il ricorrente vive a (OMISSIS) e non risulta avere conoscenza degli organigrammi criminali della zona dei fatti. 2.9. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di ritenuta responsabilita' per il reato di tentata estorsione, in quanto sarebbe stata svalutata la dichiarazione della stessa vittima che riferisce che il ricorrente ha compiuto il danneggiamento mentre era ubriaco e chiedeva comunque di entrare nel locale, dichiarazione confortata da quella della moglie (OMISSIS) che effettuava il servizio di controllo degli ingressi al night club del marito, e non sarebbe stato tenuto in conto che nelle telefonate intercettate risulta che' fu il ricorrente a ricevere reiterate richieste di pagamento dalla vittima per il risarcimento dei danni cagIonati. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria in punto di ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, perche' non si comprende da quale elemento probatorio sia stato ricavato la circostanza che il ricorrente avesse ricevuto un mandato estorsivo. Con il terzo motivo lamenta erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria in punto di mancata applicazione della disciplina della desistenza ex articolo 56, comma..3, c.p., che la Corte d'appello ha escluso perche' il reato non si sarebbe perfezionato per intervento di (OMISSIS) ed un altro soggetto che avevano il ruolo di protettori della vittima, ma non risulta alcun intervento di (OMISSIS) e la desistenza risulta dalle intercettazioni da cui emerge che il ricorrente era richiesto di pagare i danni. 2.10. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e di norma processuale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di ritenuta responsabilita' del ricorrente per il reato del capo 24 in quanto di lui non parlano ne' il collaboratore di giustizia (OMISSIS) che ha fatto rinvenire lo stupefacente, ne' le conversazioni intercettate, mentre in ordine a quattro telefonate utilizzate come prova nei suoi confronti non e' noto quale sia il criterio in forza del quale sono state attribuite al ricorrente. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e di norma processuale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di ritenuta responsabilita' del ricorrente per il reato del capo 25 in quanto, relativamente alle tre telefonate utilizzate come prova nel suoi confronti, non e' noto quale sia il criterio in forza del quale sono state attribuite al ricorrente. Con il terzo motivo lamenta erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di mancata concessione delle attenuanti generiche che sarebbero state dovute per contributo marginale e comportamento processuale. 2.11. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Con unico motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta responsabilita' per il reato del capo 15, in quanto la responsabilita' si fonda essenzialmente sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), che la Corte di appello ha ritenuto riscontrate da quelle della compagna (OMISSIS), che pero' e' un riscontro debole essendo persona vicina allo stesso collaboratore, e dalle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), che pero' si limita a riferire che il ricorrente fosse persona dedita al traffico di stupefacenti, il che pero' e' irrilevante, in quanto non dice che si tratti proprio di quella associazione che gli e' stata contestata. Inoltre, i soggetti esterni all'associazione indicati nella imputazione come riferimenti del ricorrente (tali (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) non sono mai stati attinti da contestazioni o sono stati assolti. La stessa telefonata tra (OMISSIS) ed (OMISSIS) in cui si parlerebbe del ricorrente e' neutra perche' in essa si parla di un (OMISSIS) che pero' non e' detto sia il ricorrente e comunque non si parla esplicitamente di droga. 2.12. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS) Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e processuale, in quanto la sentenza di primo grado riporta a pagina 4 anche il capo di imputazione per il reato dell'articolo 41.6-bis cod. pen per cui non vi era stato rinvio a giudizio, non si tratterebbe di svista casuale ma del segno evidente di un pregiudizio che ha portato di fatto il ricorrente ad essere processato anche per l'articolo 416-bis cod. pen pur senza che sia mai stato vocato in ius per questo titolo; la circostanza che non sia stato condannato per tale reato e' marginale. Con il secondo motivo deduce mancata assunzione di prova decisiva, perche' la sentenza impugnata non avrebbe preso in considerazione un documento prodotto dalla difesa che dimostra che il ricorrente era stato condannato in (OMISSIS) alla pena di 4 anni di reclusione nel novembre 2007, da esso dovrebbe desumersi la latitanza del ricorrente in (OMISSIS) sino all'avvenuto arresto del (OMISSIS), la latitanza in (OMISSIS) renderebbe poco credibile le dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) che attribuisce al ricorrente proprio il ruolo di corriere con il (OMISSIS) che sarebbe stato un comportamento rischioso, inoltre pretermette la battaglia del ricorrente per ottenere l'affido della figlia in (OMISSIS). Con il terzo motivo lamenta mancata assunzione di prova decisiva, perche' la Corte d'appello avrebbe respinto la richiesta di assunzione di due interrogatori resi dal collaboratore (OMISSIS) il 23 aprile 2012 ed il 16 maggio 2012, perche' avrebbero dovuto essere usati nell'esame e controesame, ma lo standard di decisione della o' rinnovazione dibattimentale ex articolo 603 c.p.p. avrebbe dovuto essere quello della incapacita' di decidere allo stato degli atti. Con il quarto motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di ritenuta responsabilita' per il reato del capo 15, in quanto la stessa e' stata desunta da dichiarazioni rese in dibattimento dal collaboratore (OMISSIS), che pero' nell'interrogatorio reso in indagini preliminari escludeva che il ricorrente trafficasse in stupefacenti, perche' nell'unica telefonata intercettata usata come prova non si parla mai di stupefacenti in quanto l'oggetto e' soltanto una richiesta di aiuto per un lavoro di buttafuori in un locale notturno, perche' in dibattimento il collaboratore (OMISSIS) fa del ricorrente anche un affiliato alla âEuroËœndrangheta, e perche' il riscontro fornito dalla compagna del collaboratore 3itaru (OMISSIS) costituito dal riconoscere il ricorrente in una foto segnaletica e ricordare che lo stesso era andato in (OMISSIS) a prendere cocaina e' generico, perche' la stessa mai riferisce che lo stesso avrebbe avuto addosso cocaina ne' l'abbia mai visto consegnarla ne' sa dove e quando lo stesso l'avrebbe comprata. Con il quinto motivo deduce erronea applicazione della legge penale in punto di mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e dl manciata riqualificazione della condotta nel reato di cui all'articolo 73, comma 5, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. 2.13. Motivi nuovi nell'interesse di (OMISSIS) Con il primo motivo si torna sulla questione della responsabilita' per il reato dell'articolo 416-bis c.p. e si ritiene di aggiungere argomenti alla luce della sentenza delle sezioni unite Modaffari, rilevando che il coinvolgimento del ricorrente e' determinato da un singolo episodio, la questione (OMISSIS), e non puo' ritenersi sufficiente ad integrare la condotta di partecipazione ad associazione mafiosa la collaborazione episodica, richiedendosi, invece, un'attivita' di carattere continuativo e fiduciario idonea a fornire un contributo causale e volontario alla realizzazione dei fini del sodalizio criminale. Con il primo motivo si torna sulla questione della mancata concessione delle attenuanti generiche, e si sostiene che la motivazione della Corte d'appello e' una clausola di stile, e che l'imputato le avrebbe meritate per incensuratezza, ruolo marginale, e comportamento dopo la commissione del reato. 2.14. Motivi nuovi nell'interesse di (OMISSIS) Con il primo motivo si torna sulla questione della condanna per il ruolo apicale, e non come semplice partecipe, dell'associazione ma non vi sarebbero elementi dai quali e' possibile desumere che l'odierno ricorrente abbia contribuito alla potenzialita' pericolosa del gruppo, egli non ha provocato ad esempio l'adesione di terzi all'associazione ed ai suoi scopi attraverso un'attivita' di diffusione del programma, ne' che abbia compiuto funzioni decis39Ionali, e che il richiamo generico alle dichiarazioni rese dal collaboratore di Giustizia (OMISSIS) che lo ha definito âEuro˜âEuroËœil numero uno" della organizzazione criminale di (OMISSIS) e di (OMISSIS) non possono giustificare una condanna per la condotta apicale. 3. Le difese degli imputati hanno chiesto la discussione orale. Il Procuratore generale, Dott. Marco Dall'Olio, ha concluso per il rigetto dei ricorsi. I difensori degli imputati, avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), avv. (OMISSIS), tramite sostituto processuale, per (OMISSIS), avv. (OMISSIS), tramite sostituto processuale, per (OMISSIS), avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) ed (OMISSIS), avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) e (OMISSIS), avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), hanno insistito per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto E' fondato il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS); tutti gli altri ricorsi, invece, sono infondati. 1. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS) Il ricorso e' infondato. 1.1. Il primo ed il quarto motivo, dedicati entrambi all'asserito vizio della sentenza impugnata per illogica motivazione sulla sussistenza della capacita' di intendere e di volere della imputata al momento del fatto, sona infondati. Nei motivi di ricorso si evidenzia che il perito nominato nel corso del giudizio ha concluso per l'esistenza nella imputata di un disturbo di personalita' borderline, nonche' per la vulnerabilita' della stessa, circostanze che la rendevano soggetto passivo di potenziali sollecitazioni esterne idonee ad indirizzare il suo comportamento; si sostiene anche che i risultati della perizia sarebbero confortati dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), che e' stato amante della imputata, e che si e' assunto la responsabilita' di averla coinvolta nel crimine. Nel quarto motivo si precisa anche che la imputata era dipendente da alcool e droghe al momento in cui avvenivano i fatti, il che ha ulteriormente contribuito a menomarne la capacita' di comprendere i crimini in cui era stata coinvolta dall'amante. La Corte d'appello ha risposto a questi argomenti proposti a suo tempo gia' nell'atto di appello, affermando che: "l'indicato disturbo, per sua natura e per come emerge dagli atti processuali, non integrava una infermita' che ha inciso sulle capacita' intellettive e volitive della donna menomandone o compromettendone le facolta' di giudizio e di discernimento. Anzi, le conversazioni intercettate rimandano l'immagine di una donna dotata di assoluto discernimento, pienamente consapevole delle proprie condotte ed assolutamente capace di autodeterminarsi". La risposta della Corte d'appello e' conforme agli orientamenti della giurisprudenza di legittimita', che ha ritenuto che "ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i disturbi della personalita', che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di "infermita'", purche' siano di consistenza, intensita' e gravita' tali da incidere concretamente sulla capacita' di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell'imputabilita', deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalita' che non presentino i caratteri sopra indicati, nonche' agli stati emotivi e pass39Ionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccez39Ionalmente, in un quadro piu' ampio di "infermita'" (Sez. U, Sentenza n. 9163 del 25/01/2005, (OMISSIS), Rv. 230317; per una riproposizione piu' recente della medesima sistematica v. Sez. 1, Sentenza n. 35842 del 16/04/20193ilazzeo, Rv. 276616: in tema di imputabilita', ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, possono rientrare nel concetto di "infermita'" anche i disturbi della personalita' o comunque tutte quelle anomalie psichiche non inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, purche' siano di consistenza, intensita' e gravita' tali da incidere concretamente sulla capacita' di intendere e di volere, escludendola o facendola scemare grandemente, e sussista un nesso eziologico tra disturbo mentale e condotta criminosa, mentre nessun rilievo deve riconoscersi ad altre anomalie caratteriali o alterazioni o disarmonie della personalita' prive dei caratteri predetti, nonche' agli stati emotivi e pass39Ionali che non si inseriscano, eccez39Ionalmente, in un quadro piu' ampio di infermita'). La Corte d'appello, quindi, non oblitera l'esistenza del disturbo di personalita', ma lo ritiene non di consistenza tale da integrare una condizione patologica che incida sulla capacita' di intendere e di volere al momento del fatto, secondo un giudizio che, come visto, e' ammesso dalla giurisprudenza di legittimita'. Inoltre, del tutto correttamente la motivazione della sentenza impugnata derubrica a "stati emotivi e pass39Ionali" inidonei ad incidere sulla capacita' di intendere e di volere la dipendenza della imputata dalla relazione affettiva con il collaboratore o quella da sostanze stupefacenti o alcooliche (Sez. 6, Sentenza n. 25252 del 03/05/2018, B., Rv. 273389: la situazione di tossicodipendenza che influisce sulla capacita' di intendere e di volere e' solo quella che, per il suo carattere ineliminabile e per l'impossibilita' di guarigione, provoca alterazioni patologiche permanenti, cioe' una patologia a livello cerebrale implicante psicopatie che permangono indipendentemente dal rinnovarsi di un'azione strettamente collegata all'assunzione di sostanze stupefacenti, tali da fare apparire indiscutibile che ci si trovi di fronte a una vera e propria malattia psichica"). Ne' costituisce passaggio illogico della motivazione la circostanza che la Corte d'appello abbia ricavato la sua conclusione, oltre che dalle affermazioni del perito, anche dagli ulteriori elementi di prova acquisiti in giudizio, ed, in particolare, dalle conversazioni intercettate, da cui ha tratto, dalla coerenza delle frasi pronunciate dall'imputata e dalla congruenza delle stesse con il contesto di fatto e le affermazioni dei suoi interlocutori, elementi di giudizio nel senso che la stessa fosse capace di comprendere cio' in cui era coinvolta e di volere i comportamenti che il suo amante (OMISSIS) le chiedeva di volta in volta di porre in essere. La valutazione del giudice sulla imputabilita' puo', infatti, essere tratta da tutto il materiale probatorio a sua disposizione. In definitiva, posto che nella decisione impugnata non s rinvengono i vizi logici dedotti in ricorso, va ricordato che "l'accertamento della capacita' di intendere e di volere dell'imputato costituisce questione di fatto la cui valutazione compete al giudice di merito e si sottrae al sindacato di legittimita' se esaurientemente motivata, anche con il solo richiamo alle valutazioni delle perizie, se immune da vizi logici e conforme ai criteri scientifici di tipo clinico e valutativo. (Sez. 1, Sentenza n. 11897 del 18/05/2018, dep. 2019, P., Rv. 276170), ed i motivi di ricorso che ne hanno riproposto la questione anche in sede di ricorso per cassazione devono, pertanto, essere giudicati infondati. 1.2. Non e' fondato neanche il secondo motivo, dedicato alla responsabilita' dell'imputata per il reato associativo di cui al capo n. 15, che sarebbe stata desunta dalla partecipazione ad un unico reato-fine. Nel motivo si sostiene, inoltre, che la imputata non avrebbe avuto coscienza di partecipare ad una organizzazione stabilmente finalizzata al commercio di stupefacenti. La giurisprudenza di legittimita' ha, in realta', piu' volte precisato che la partecipazione ad una associazione, purche' vi sia un contributo al rafforzamento del sodalizio criminoso, puo' avvenire anche quando risulti il coinvolgimento dell'imputato in un solo specifico reato-fine (Sez. 1, Sentenza n. 43850 del 03/07/2013, Durand, Rv. 257800: L'elemento oggettivo del reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti prescinde dal numero di volte in cui il singolo partecipante ha personalmente agito, per cui il coinvolgimento in un solo episodio criminoso non e' incompatibile con l'affermata partecipazione dell'agente all'organizzazione di cui si e' consapevolmente servito per commettere il fatto. Fattispecie relativa al coinvolgimento in o' un unico episodio di programmato trasporto di un apprezzabile quantitativo di droga; conformi Sez. 3, Sentenza n. 36381 del 09/05/2019, Cruzado Ocaris, Rv. 276701; Sez. 6, Sentenza n. 1343 del 04/11/2015, dep. 2016, Policastri, Rv. 265890). La Corte d'appello ha in modo corretto tratto il contributo al rafforzamento del sodalizio evidenziando la presenza continua di (OMISSIS) nelle trattative per il commercio di stupefacente di fianco al suo amante (OMISSIS), ed aggiungendo che l'imputata "mette a disposizione del capo della associazione e dei suoi collaboratori la sua autovettura che e' praticamente il luogo sicuro in cui la medesima organizzazione stabilmente opera, atteso che al suo interno si svolgono le trattative, si contattano fornitori e acquirenti, si incontrano i sodali, si decidono le strategie di espansione del gruppo". Questa risposta e' coerente con gli esiti dell'istruttoria, in quanto a carico della imputata non e' stata ricostruita soltanto la vicenda del singolo trasporto di stupefacente a (OMISSIS) con (OMISSIS) per cui la stessa e' stata destinataria di specifica contestazione di reato-fine, ma anche i contatti prolungati con gli altri coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), che usavano lei per fare da tramite con (OMISSIS). Ed, infatti, coerentemente con gli esiti istruttori la Corte d'appello conclude che "la (OMISSIS) fosse in grado di decodificare alla perfezione senza sforzo anche i termini criptici e convenz39Ionali adoperati dagli altri associati" (si pensi, a titolo di esempio, alla richiesta rivolta all'imputata "digli che servono giubbotti pesanti"). Si tratta di argomenti di prova da cui in modo del tutto logico la Corte d'appello ha tratto la conclusione dello stabile coinvolgimento della stessa in un gruppo criminale organizzato, e della sua consapevolezza, anche soggettiva, di farne parte, gruppo in cui la imputata aveva un ruolo, per quanto subordinato, di esecutore di ordini o di tramite tra gli associati, che ne fanno comunque un soggetto che con la propria presenza ed i propri comportamenti ha rafforzato la operativita' dell'associazione. 1.3. E' infondato anche il terzo motivo, dedicato alla responsabilita' della imputata per il reato-fine di cui al capo n. 36. In esso si sostiene che la responsabilita' sarebbe stata desunta dalla mera partecipazione della imputata al viaggio in auto con cui lo stupefacente in disponibilita' dell'organizzazione fu trasportato a (OMISSIS), ma che in quel viaggio il soggetto incaricato del trasporto era (OMISSIS), mentre nessun incarico illecito aveva ricevuto la imputata, cui puo' essere contestata al piu' una connivenza passiva non punibile. La Corte d'appello risponde in modo molto articolato a questa deduzione difensiva, riportando alle pagine da 89 a 97 le fonti di prova esistenti sulla vicenda del trasporto di stupefacente a (OMISSIS), che consentono di delimitare bene i ruoli di ciascuno dei protagonisti della stessa, e conclude, quindi, nel senso della insostenibilita' della tesi della mera connivenza passiva, affermando che: "dalle intercettazioni sopra riportate e dalla ricostruzione dei fatti cosi' come operata attraverso le indagini tecniche egli accertamenti di p.g., non emerge una presenza meramente passiva della (OMISSIS), che secondo la difesa avvalorerebbe la tesi secondo cui il soggetto incaricato da (OMISSIS) del trasporto e del recupero del corrispettivo fosse il solo (OMISSIS), quanto piuttosto un ruolo attivo ed operativo della donna che si reca con il sodale (OMISSIS) su incarico dell' (OMISSIS) fino a (OMISSIS) mettendo a disposizione dell'associazione la propria autovettura da utilizzare per gli spostamenti ed il trasporto dello stupefacente". La risposta della Corte d'appello e', in effetti, coerente con le risultanze probatorie e non denota alcun travisamento del fatto, ne' per invenzione, ne' per omissione, essendo riportate in sentenza alcune conversazioni in cui parla (OMISSIS) in prima persona che mostra un interesse al buon esito della vendita ("speriamo che paga almeno quello che ha fatto ieri"; "prima magari di dargliela altra in mano") ed altre da cui e' legittimo inferire che a (OMISSIS) sia stato affidato il compito di riportare in (OMISSIS) i soldi ad (OMISSIS) (ad esempio, le conversazioni sempre riportate in sentenza, in cui (OMISSIS) dice "domani se non mi dai soldi...che quella martedi'...deve andare via", in cui la persona citata e' sicuramente l'imputata, perche' poi si aggiunge anche che le si deve pagare l'albergo, e dalle conversazioni riportate in sentenza risulta che in quei giorni a (OMISSIS) in camera d'albergo era sistemata proprio l'imputata). In definitiva, la risposta della Corte della presenza di un ruolo attivo, sia pure subordinato alle direttive di (OMISSIS), dell'imputata nella vicenda del trasporto e vendita di stupefacente e' congruente con le risultanze dell'istruttoria ed e' esente da vizi logici. 2. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS) Il ricorso e' fondato. 2.1. Sono fondati, in particolare, il primo ed il secondo motivo di ricorso che devono essere letti e valutati congiuntamente. Nel primo motivo si deduce, infatti, che non sussisterebbero gli elementi costitutivi della partecipazione del ricorrente all'associazione a delinquere di tipo mafioso denominata locale di (OMISSIS) per l'occas39Ionalita' della frequentazione dell'imputato con alcuni dei suoi componenti e estraneita' dello stesso rispetto al contesto associativo, e nel secondo motivo si aggiunge che, al piu', il comportamento tenuto dall'imputato avrebbe dovuto essere scrutinato sotto il profilo del concorso esterno, di cui, pero', a quel punto la sentenza avrebbe dovuto farsi carico di verificare l'esistenza di tutti gli elementi costitutivi, tra cui quello della effettivita' del contributo causale fornito dall'esterno al sodalizio criminale. La sentenza impugnata, dopo una preliminare ricostruzione delle ragioni per cui (OMISSIS) ha ritenuto di avvicinare alcuni esponenti di vertice del clan di âEuroËœndrangheta operante nel territorio in cui viveva e dei contatti che questi ha intrattenuto con essi, ragioni che sono pacifiche perche' riportate in modo ampio nello stesso ricorso, ha tratto le conclusioni dal materiale probatorio a sua disposizione e ritenuto l'imputato responsabile della partecipazione all'associazione mafiosa con la seguente motivazione: "il (OMISSIS) deve ritenersi organicamente inserito nella cosca quale sodale, perfettamente a conoscenza delle logiche e delle dinamiche criminali dell'organizzazione, che ha lucidamente accettato, sia pure inizialmente per conseguire un utile personale, di instaurare con la cosca un rapporto sinallagmatico in virtu' del quale, in cambio di protezione e tutela, ha messo la propria persona e le sue conoscenze in materia finanziaria a disposizione della stessa organizzazione e dei suoi vertici, per conto dei quali, come sostanzialmente confessato al Pantusa, ha gestito e amministrato capitali e risorse finanziarie, compito di rilevanza fondamentale per l'intera organizzazione della quale ha certamente rafforzato le capacita' operative e le prospettive di accumulare e reinvestire illeciti profitti. Non puo', pertanto, procedersi alla richiesta riqualificazione della condotta dell'imputato nella fattispecie di cui agli articoli 110, 416 bis c.p., stante la acclarata compenetrazione organica dell'appellante nella cosca e, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, la non occas39Ionalita' della condotta.". La sentenza della Corte d'appello, pertanto, ha ricostruito l'elemento oggettivo del reato associativo che ha ritenuto provato a carico dell'imputato nella instaurazione con la cosca di un rapporto sinallagmatico che lo ha portato a gestire ed amministrare capitali e risorse finanziarie per conto della stessa. Questa parte del percorso logico-argomentativo della Corte d'appello non resiste alle censure di illogicita' e contraddittorieta' che le sono state mosse. L'aver postulato, infatti, un rapporto di tipo sinallagmatico tra l'imputato e l'associazione indica, infatti, l'alterita' tra l'imputato e la cosca, e non la "compenetrazione organica dell'appellante nella cosca", come, invece, argomentato in sentenza; l'alterita' e' una caratteristica del concorso esterno, e non della partecipazione all'associazione criminale (cfr., per argomento in questo senso, Sez. 1, Sentenza n. 47054 del 16/11/2021, Coppola, Rv. 282455; Sez. 6, Sentenza n. 32384 del 27/03/2019, Putrino, Rv. 276474; Sez. 5, Sentenza n. 30133 del 05/06/2018, Bacchi, Rv. 273683; Sez. 5, Sentenza n. 47574 del 07/10/2016, Falco, Rv. 268403; Sez. 1, Ordinanza n. 11613 del 04/02/2005, Micari, Rv, 231630). E' vero che il percorso logico della pronuncia impugnata prosegue aggiungendo che il comportamento dell'imputato "ha certamente rafforzato le capacita' operative e le prospettive di accumulare e reinvestire illeciti profitti", ma di per se' il rafforzamento delle capacita' operative dell'associazione e' compatibile sia con la partecipazione dell'intraneus che con il concorso esterno. La sentenza si pone, in realta', il problema della possibile sussumibilita' del fatto sub articolo 110 e 416-bis c.p., ma, per escluderla, fa leva sulla "acclarata compenetrazione organica dell'appellante nella cosca" e sulla "non occas39Ionalita' della condotta", ma, posto che la prima espressione e' tautologica, la motivazione della esclusione del concorso esterno si regge allora essenzialmente sulla non occasIonalita' della condotta. La non occas39Ionalita' della condotta e' senz'altro un parametro di valutazione da cui inferire la stabilita' della partecipazione ad una associazione a delinquere (nel senso che la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizzi per lo stabile inserimento dell'agente nella struttura organizzativa dell'associazione v., per tutte, Sez. U, Sentenza n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889), ma di per se' non e' un parametro decisivo, perche' anche il concorso esterno puo' configurarsi come reato non occas39Ionale, o "di durata" (Sez. 5, Sentenza n. 35100 del 05/06/2013, Matacena, Rv. 255769; Sez. 5, Sentenza n. 15727 del 09/03/2012, Dell'Utri, Rv. 252329), talche' la non occas39Ionalita' e' compatibile anche con esso. La distinzione tra la partetipazione ad associazione mafiosa ed il concorso esterno alla stessa, infatti, non dipende dalla durata dei rapporti, che sono solo un indice da valutare, ed ha natura qualitativa, e non quantitativa (Sez. 2, Sentenza n. 34147 del 30/04/2015, PG in proc. Agostino, Rv. 264625), dipendendo, come detto, dalla organicita' o alterita' del rapporto tra il singolo e la consorteria. I confini tra la partecipazione all'associazione ed il concorso esterno sono stati delimitati dalla giurisprudenza di legittimita' che ha precisato che "assume il ruolo di "concorrente esterno" il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell'associazione e privo dell"âEuroËœaffectio societatis", fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi un'effettiva rilevanza causale e quindi si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacita' operative dell'associazione (o, per quelle operanti su larga scala come "(OMISSIS)", di un suo particolare settore e ramo di attivita' o articolazione territoriale) e sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima. In motivazione la Corte, rilevando come la efficienza causale in merito alla concreta realizzazione del fatto criminoso collettivo costituisca elemento essenziale e tipizzante della condotta concorsuale, di natura materiale o morale, ha specificato che non e' sufficiente una valutazione "ex ante" del contributo, risolta in termini di mera probabilita' di lesione del bene giuridico protetto, ma e' necessario un apprezzamento "ex post", in esito al quale sia dimostrata, alla stregua dei comuni canoni di "certezza processuale", l'elevata credibilita' raz39Ionale dell'ipotesi formulata in ordine alla reale efficacia condiz39Ionante della condotta atipica del concorrente" (Sez. U, Sentenza n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231671) mentre " la condotta di partecipazione e' riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, piu' che uno "status" di appartenenza, un ruolo dinamico e funz39Ionale, in esplicazione del quale l'interessato "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. In motivazione la Corte ha osservato che la partecipazione puo' essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalita' di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza nel senso indicato, purche' si tratti di indizi gravi e precisi - tra i quali, esemplificando, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di "osservazione" e "prova", l'affiliazione rituale, l'investitura della qualifica di "uomo d'onore", la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, e pero' significativi "facta concludentia" -, idonei senza alcun automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall'imputazione" (ancora Sez. Unite n. 33748, Mannino, citata, rv. 231670). L'indagine sul dolo del concorrente esterno dovra', a sua volta, essere condotta alla luce della giurisprudenza di legittimita', che ha ritenuto che "ai fini della configurabilita', sul piano soggettivo, del concorso esterno nel delitto associativo non si richiede, in capo al concorrente, il dolo specifico proprio del partecipe, dolo che consiste nella consapevolezza di far parte dell'associazione e nella volonta' di contribuire a tenerla in vita e a farle raggiungere gli obiettivi che si e' prefissa, bensi' quello generico, consistente nella coscienza e volonta' di dare il proprio contributo al conseguimento degli scopi dell'associazione" (Sez. LI, Sentenza n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202904), e che ha precisato poi successivamente che "ai fini della configurabilita' del concorso esterno occorre che il dolo investa sia il fatto tipico oggetto della previsione incriminatrice, sia il contributo causale recato dalla condotta dell'agente alla conservazione o al rafforzamento dell'associazione, agendo l'interessato nella consapevolezza e volonta' di recare un contributo alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio. In motivazione la Corte ha precisato che deve escludersi la sufficienza del dolo. eventuale, inteso come mera accettazione da parte del concorrente esterno del rischio di verificazione dell'evento, ritenuto solamente probabile o possibile insieme ad altri risultati intenz39Ionalmente perseguiti (Sez. Unite n. 33748, Mannino, citata, rv. 231672; conforme Sez. 5, Sentenza n. 18256 del 10/01/2019, S.e.d.s. srl, Rv. 276768; nel senso che "in tema di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, ai fini della configurabilita' del dolo, occorre che l'agente, pur in assenza dell'"affectio societatis" e, cioe', della volonta' di far parte dell'associazione, sia consapevole dell'esistenza della stessa e del contributo causale recato dalla propria condotta alla sua conservazione o al suo rafforzamento, agendo con la volonta' di fornire un apporto per la realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio, dovendo escludersi la sufficienza del dolo eventuale inteso come mera accettazione da parte del concorrente del rischio del verificarsi, insieme ad altri risultati intenz39Ionalmente perseguiti, dell'evento, ritenuto invece solamente probabile o possibile" v. Sez. 5, Sentenza n. 26589 del 23/02/2018, V., Rv. 273356; nel senso che "in tema di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, ai fini della configurabilita' del dolo diretto occorre che l'agente, pur in assenza delraffectio societatis" e, cioe', della volonta' di far parte dell'associazione, sia consapevole dei metodi e dei fini della stessa nonche' dell'efficacia causale della propria attivita' di sostegno per la conservazione o il rafforzamento della struttura organizzativa, essendo a tal fine sufficiente che egli abbia previsto ed accettato tale effetto come risultato non solo possibile, bensi' certo, o comunque altamente probabile, della propria condotta. In motivazione, la Corte ha affermato che, ai predetti fini valutativi, si deve tener conto anche delle massime di esperienza desumibili, fra l'altro, dai rapporti intrattenuti con i membri del sodalizio a fini elettorali, dalla sua conoscenza del ruolo che i suddetti membri ricoprivano nell'ambito della cosca, nonche' dalle connotazioni qualitative e quantitative dell'attivita' prestata in favore dei singoli sodali o del sodalizio" (Sez. 2, Sentenza n. 18132 del 13/04/2016, PM in proc. Trematerra, Rv. 266907); nel senso che "in tema di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, il rafforzamento del sodalizio cosi' come connotato dal suo programma delinquenziale, integrante l'evento del contributo causale del concorrente, e' oggetto di dolo generico, che deve atteggiarsi come diretto e non come meramente eventuale, nel senso che lo stesso puo' non aver rappresentato l'obiettivo unico o primario della condotta dell'imputato, ma questi deve averlo previsto, accettato e perseguito come risultato non sola possibile o probabile, bensi' certo o comunque altamente probabile della medesima condotta" (Sez. 5, Sentenza n. 15727 del 09/03/2012, Dell'Utri, Rv. 252330). La sentenza impugnata, che ha concluso nel senso della esistenza della partecipazione all'associazione, non si e' posta a quel punto il problema di sottoporre a verifica il compendio indiziario acquisito nei confronti di (OMISSIS) anche sotto il profilo della eventuale esistenza degli elementi costitutivi del concorso esterno, individuati dalla giurisprudenza di legittimita' consolidata, che ritiene che il concorrente esterno di un'associazione mafiosa sia "il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell'associazione mafiosa e privo dell'affectio societatis (...), fornisce tuttavia un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo abbia un'effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento delle capacita' operative dell'associazione (...) e sia comunque diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima" (Sez. U, Sentenza n. 33478 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 236584). Stabilendo che l'accertamento sul rafforzamento delle capacita' operative dell'associazione deve essere effettuato ex post, la sentenza Mannino ha, infatti, agganciato il concorso esterno allo statuto della causalita'. Trattandosi di un accertamento processuale che svolge una funzione di carattere selettivo delle condotte penalmente rilevanti, e', infatti, necessario che il contributo atipico sia considerato effettivamente idoneo ad aumentare la probabilita' o il rischio di realizzazione del fatto di reato, escludendone la rilevanza laddove si riveli "ininfluente o addirittura controproducente per la verificazione dell'evento lesivo" (Sez. U, n. 33478 del 12/07/2005, Mannino, cit.). Il confine tra le fattispecie della partecipazione all'associazione e del concorso esterno e' stato ulteriormente precisato con riferimento al caso, quale quello in esame, del contributo del professionista, che dovra' essere valutato alla luce del principio secondo cui "integra la condotta di "concorso esterno" l'attivita' del " professionista che fornisca un concreto, specifico e volontario contributo idoneo a conservare ovvero a rafforzare le capacita' operative del sodalizio, nella consapevolezza di favorirne, in tal modo, la realizzazione del programma criminoso" (Sez. 5, Sentenza n. 18020 del 10/02/2022, PG in proc. Laudani, Rv. 283371 - 02), con la precisazione che "In tema di concorso esterno in associazione mafiosa, l'efficienza causale del contributo arrecato dal professionista che, non inserito stabilmente nel tessuto organizzativo del sodalizio, presti la propria attivita' nell'interesse di esso, non richiede la compiuta realizzazione del risultato illecito finale perseguito, dall'associazione, assumendo rilievo la mera messa a disposizione dei sodali delle proprie competenze profess39Ionali e l'esecuzione puntuale delle prestazioni richieste, trattandosi di attivita' che comunque consolida e rafforza le capacita' operative dell'organizzazione" (Sez. 6, Sentenza n. 32902 del 23/06/2021, (OMISSIS), Rv. 281841). Quello che, pertanto, assume rilievo, ai fini della valutazione dell'atteggiamento dell'esponente del mondo profess39Ionale con cui il sodalizio criminale si rapporta, e' la valutazione della sua adesione al progetto di controllo illecito del territorio, per il quale e' indispensabile che il dolo del concorrente esterno "investa sia il fatto tipico oggetto della previsione incriminatrice, sia il contributo causale recato dalla condotta dell'agente alla conservazione o al rafforzamento dell'associazione, agendo l'interessato nella consapevolezza e volonta' di recare un contributo alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio" (ancora Sez. U, n. 33478 det12/07/2005, Mannino, cit.). La Corte di rinvio dovra' valutare non solo l'esistenza del contributo concorsuale, ma anche l'ipotesi partecipativa contestata. Nel caso in esame, l'accertamento compiuto dalla Corte di appello, che si e' fermato alla constatazione della esistenza della partecipazione all'associazione a delinquere, non si e' esteso a verificare ex post l'esistenza di questo contributo funz39Ionale di (OMISSIS) - alla luce del rapporto personale sicuramente esistente tra l'indagato e gli esponenti del locale di (OMISSIS) con cui si rapportava - mediante una verifica probatoria eseguita sull'efficienza causale del suo apporto concorsuale, effettuata mediante le regole tipiche dell'argomentare processuale. Nel giudizio di rinvio la Corte d'appello dovra', pertanto, compiere tale verifica congrua sulla rilevanza causale del contributo fornito da (OMISSIS) agli scopi illeciti e agli obiettivi strategici del sodalizio criminale, verifica da eseguire attraverso una valutazione del collegamento funz39Ionale dei comportamenti profess39Ionali, ed anche non strettamente profess39Ionali (si veda, ad esempio, la riferita disponibilita' di strumenti in grado di effettuare bonifiche' da microspie o la riferita disponibilita' di schede telefoniche intestate a prestanomi), dell'indagato con la sfera di operativita' del gruppo di âEuroËœndrangheta oggetto dell'accertamento giurisdiz39Ionale. La verifica sara' aperta in primo luogo alla possibilita' di individuare nel comportamento accertato la contestata condotta di partecipazione all'associazione criminale, partecipazione da valutare in base agli elementi caratteristici della stessa individuati dalla giurisprudenza di legittimita' sopra richiamata. Dalle considerazioni esposte consegue la fondatezza dei primi due motivi di ricorso, e l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio sul capo e sui profili critici segnalati, che dovra' svolgersi in coerente applicazione dei principi di diritto dettati dalle richiamate decisioni di legittimita', anche con riferimento alle specifiche censure del ricorrente, colmando, nella piena autonomia dei relativi apprezzamenti di merito le indicate lacune e discrasie della motivazione. Gli ulteriori motivi, contenuti nei due atti di ricorso, sono assorbiti. 3. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Il ricorso e' infondato. 3.1. Il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di riconoscimento della responsabilita' dell'imputato per il reato associativo del capo n. 15. II motivo sostiene che la responsabilita' e' stata ricavata soltanto dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), di cui si censura la credibilita' intrinseca, avendo questi iniziato a collaborare in un periodo di detenzione e con riferite fragilita' psicologiche, e che, inoltre, mancherebbero i riscontri esterni individualizzanti idonei a corroborare tali dichiarazioni, in quanto la certa conoscenza e frequentazione trai due non e' un riscontro. La questione della credibilita' intrinseca del collaboratore (OMISSIS) e dell'attendibilita' delle sue dichiarazioni e' stata esaminata sia dalla sentenza di primo grado che da quella di appello. La Corte d'appello ha ritenuto che il materiale probatorio, costituito da intercettazioni e sequestri, che supporta le dichiarazioni del collaboratore "rende estremamente semplice la verifica del giudizio di intrinseca credibilita' delle dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS), fornendo il medesimo, si ripete, una molteplicita' di dati univoci e chiari che disvelano con chiarezza l'esistenza della struttura organizzativa descritta dal collaboratore e, al contempo, permettono di assegnare a ciascuno degli odierni imputati quegli stessi ruoli e compiti indicati dal collaboratore di giustizia". La Corte d'appello spiega comunque che il collaboratore supera lo standard di credibilita', attesa l'assenza di motivi di astio nei confronti dei chiamati in correita', la circostanza che lo stesso abbia fornito elementi nuovi e sconosciuti, il fatto che si sia accusato nel corso della collaborazione di numerosi e gravissimi fatti delittuosi, la circostanza che, attraverso le sue dichiarazioni, sia stato possibile interpretare in modo coerente alcuni elementi, acquisiti prima dell'inizio della collaborazione, in particolare attraverso le attivita' di intercettazione svolte. A sostegno della credibilita' del collaboratore, inoltre, il giudice di primo grado aveva gia' evidenziato il modo in cui lo stesso ha risposto all'esame dibattimentale, in particolare la esposizione "chiara, precisa, puntuale, circostanziata, logica a tutte le domande rivoltegli", "la grande pacatezza", nonche' sul piano soggettivo la mancanza di atteggiamento di astio o rancore nei confronti delle persone coinvolte nelle dichiarazioni, l'essere stato valutate positivamente le dichiarazioni in altri giudizi, l'essere state riscontrare da intercettazioni, sequestro di armi e droga rinvenuti nei luoghi indicati dal collaboratore. Nella verifica della credibilita' il giudice di primo grado fa riferimento, da ultimo, anche alla prova dichiarativa costituita dalle dichiarazioni di (OMISSIS), altro collaboratore che riferisce della locale di (OMISSIS) per fatti relativi allo stesso periodo storico, e da quelle della compagna del collaboratore (OMISSIS), che riferisce delle conoscenze private dello stesso. Le conclusioni dei giudici del merito su credibilita' ed attendibilita' di (OMISSIS) sono conformi alle indicazioni della giurisprudenza di legittimita'. (OMISSIS) e', infatti, un chiamante in correita' che riferisce per lo piu', per cio' che interessa le posizioni coinvolte in questo processo, per conoscenza diretta, e non de relato; si tratta, quindi, della figura soggettiva che nella sistematica della pronuncia Sez. U, Sentenza n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145, gode dello standard di credibilita' maggiore. Il giudizio di credibilita' soggettiva e di attendibilita' oggettiva del collaboratore e', inoltre, correttamente motivato sul piano logico con la circostanza che le sue dichiarazioni abbiano trovato riscontro nei diversi sequestri cli stupefacente ed armi ottenuti grazie alle sue dichiarazioni. E' ulteriore argomento logico che sostiene il giudizio di credibilita' del collaboratore la circostanza che parte delle stesse vicende narrate da (OMISSIS) fossero gia' state acquisite alla investigazione perche' oggetto delle conversazioni intercettate. Ne' sono stati spesi argomenti in ricorso per contrastare la tesi dell'assenza di motivi di astio o rancore del collaboratore verso le persone coinvolte nelle dichiarazioni, talche' sotto questo rilevante profilo il ricorso si palesa parziale ed aspecifico. In definitiva, sul piano del giudizio di credibilita' del collaboratore le sentenze di entrambi i gradi del merito resistono alle critiche che sono state loro rivolte. Il motivo non e' fondato neanche in punto di asserita mancanza di riscontri individualizzanti a carico di (OMISSIS). La Corte d'appello ha ritenuto che le dichiarazioni di (OMISSIS) siano riscontrate in modo individualizzante nei confronti di (OMISSIS) dalla conversazione registrata in data 22 febbraio 2011, alle ore 17.45, all'interno dell'autovettura in uso ad (OMISSIS) intercorsa fra questi, (OMISSIS) ed il ricorrente (chiamato compare (OMISSIS)) e in seguito anche con il nipote di quest'ultimo chiamato espressamente (OMISSIS) o (OMISSIS), riportata alle pagg. 263 e 264 della sentenza di primo grado, il cui tenore, in effetti, e' inequivoco, trattandosi di uno spostamento effettuato con l'evidente fine di provvedere alla fornitura di sostanze stupefacenti le cui trattative erano in corso, come risulta dal riferimento a quantitativi, alla qualita' della sostanza, al costo della stessa. Nel motivo di ricorso la difesa del ricorrente sostiene che i giudici del merito si siano fatti accecare da questa conversazione, e non abbiano valutato che le dichiarazioni del collaboratore siano parzialmente smentite da due periodi di detenzione che ha affrontato il ricorrente. L'argomento, pero', non e' decisivo, perche' dalla stessa prospettazione del ricorso i periodi di detenzione del ricorrente vanno dal 1991 al 2002 e dal maggio 2009 al giugno 2010, e non toccano quindi i fatti per cui e' processo che sono successivi. E' vero che nelle sue dichiarazioni (OMISSIS) accenna anche ad attivita' criminali avvenute nel 2001, ma il rapido accenno del collaboratore ("quando mi hanno preso a maggio del 2001, a lui lo avevo lasciato fuori") non semplice, peraltro, da contestualizzare, non e' illogico non abbia avuto nel giudizio della Corte d'appello, attesa la lontananza temporale dal nucleo centrale dei fatti contestati, rilievo prevalente rispetto alla conversazione intercettata di cui si e' riportato sopra il riferimento, in cui e' lo stesso (OMISSIS) che parla di commercio di stupefacente, e che gia' di per se', piu' che mero elemento di riscontro, costituisce prova a carico nei suoi confronti. A differenza di quanto sostenuto in ricorso, non e' rilevante, inoltre, che la conversazione non abbia portato alla contestazione di un reato-fine, il che non inficia sul piano logico la circostanza che essa sia stata riconosciuta come indice chiaro del (Ndr: testo originale non comprensibile) coinvolgimento del ricorrente nel commercio di stupefacenti gestito dall'associazione. Ne' e'rilevante la mancanza o il numero limitato di contatti con sodali diversi da (OMISSIS), perche' non e' elemento necessario per la configurabilita' del reato associativo che gli associati si conoscano necessariamente tra loro (Sez. 6, Sentenza n. 11733 del 16/02/2012, Abboubi, Rv. 252232: Per la configurabilita' dell'associazione dedita al narcotraffico non e' richiesta la conoscenza reciproca fra tutti gli associati, essendo sufficiente la consapevolezza e la volonta' di partecipare, assieme ad almeno altre due persone aventi la stessa consapevolezza e volonta', ad una societa' criminosa strutturata e finalizzata secondo lo schema legale; Sez. 6, Sentenza n. 14223 del 03/06/1989, Spadano, Rv. 182338: Per la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di associazione per delinquere, previsto dall'articolo 75 della L. 22 dicembre 1975 n. 685, e' richiesta la consapevolezza e la volonta' di far parte dell'organizzazione, condividendone le finalita', con netta autonomia materiale e psicologica rispetto ai reati programmati. E' necessario e sufficiente che l'adesione si manifesti con contributi del singolo innestati nella struttura associativa, in vista del perseguimento dei suoi scopi, mentre non e' richiesto da parte di ogni partecipe la conoscenza di tutti i particolari della struttura organizzativa dell'associazione (persone e mezzi) e delle attivita' realizzate (quantitativi e ricavi dello spaccio); Sez. 2, Sentenza n. 4976 del 17/01/1997, P.M. e Accardo, Rv. 207845: La condotta di partecipazione all'associazione per delinquere di cui all'articolo 416-bis c.p. e' a forma libera, nel senso che il comportamento del partecipe puo' realizzarsi in forme e contenuti diversi, purche' si traduca in un contributo non marginale ma apprezzabile alla realizzazione degli scopi dell'organismo: in questo modo, infatti, si verifica la lesione degli interessi salvaguardati dalla norma incriminatrice, qualunque sia il ruolo assunto dall'agente nell'ambito dell'associazione; ne consegue che la condotta del partecipe puo' risultare variegata, differenziata, ovvero assumere connotazioni diverse, indipendenti da un formale atto di inserimento nel sodalizio, sicche' egli puo' anche non avere la conoscenza dei capi o degli altri affiliati essendo sufficiente che, anche in modo non rituale, di fatto si inserisca nel gruppo per realizzarne gli scopi, con la consapevolezza che il risultato viene perseguito con l'utilizzazione di metodi mafiosi). E non e' un elemento di illogicita' della sentenza la circostanza che non esistesse un organigramma della organizzazione, non essendo questo un elemento necessario di una struttura criminale. Non inficia, da ultimo, sul piano logico la sentenza impugnata l'aver costruito il ruolo del ricorrente come procacciatore dello stupefacente, ed a volte acquirente e rivenditore in proprio dello stesso, perche' la circostanza che l'imputato rivendesse anche in proprio non comporta l'estraneita' dello stesso alla struttura criminale essendo logicamente sostenibile la presenza anche di un profitto in proprio, e non soltanto come quota di quello del gruppo criminale. 3.2. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di recidiva (riconosciuta soltanto in virtu' dei precedenti penali e senza alcuna valutazione della maggiore capacita' criminale), mancata valutazione delle attenuanti generiche per il ruolo marginale (in ipotesi cada la preclusione dovuta alla recidiva), e pena applicata in concreto (in quanto il giudice e' partito da una pena base di 10 anni, molto superiore al limite edittale, senza adeguata motivazione). Il motivo non e' fondato. In punto di recidiva la motivazione della pronuncia impugnata e' la seguente "l'imputato e' gravato da piu' condanne definitive per reati gravissimi e della stessa indole di quello per cui si procede, che, posti in correlazione a quello oggetto di giudizio, la partecipazione ad una pericolosissima associazione che, dotata di una stabile struttura organizzativa che, sotto la guida del capo (OMISSIS), ha per anni operato con profess39Ionalita' nel settore del traffico degli stupefacenti, manifestano indubbiamente una sua maggiore pericolosita' sociale". La motivazione e', pertanto, rispettosa dello standard motivaz39Ionale previsto dalla pronuncia Sez. U, Sentenza n. 35738 del 27/05/2010, P.G. in proc. Celibe, Rv. 247838, perche' da' adeguatamente conto dell'incremento di capacita' criminale conseguenza dei reati per cui l'imputato aveva riportato condanna. In punto di attenuanti generiche, la motivazione della sentenza impugnata sulla mancata concessione e' la seguente: "la gravita' dei fatti in contestazione ed i precedenti penali dell'imputato, non consentono il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e, comunque, non sono rilevabili elementi di segno positivo idonei a determinare l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche ". La motivazione e' stata ancorata, quindi, a parametri che trovano in effetti aggancio normativo nell'articolo 133, commi 1 e 2, c.p.. In punto di pena applicata in concreto, la motivazione della pronuncia di appello e' la seguente: "l'omessa illustrazione di motivi che indichino le ragioni per le quali la sanzione inflitta dal giudice di primo grado non sia conforme ai criteri indicati dall'articolo 133 c.p., rende Impossibile raccoglimento della richiesta di contenimento della pena inflitta all'imputato nel minimo edittale, avanzata dalla difesa, ritenendosi, d'altronde, del tutto congrua la pena irrogata dal primo giudice". Si tratta di motivazione conforme ai principi generali in punto di contenuto necessario dell'atto di appello, correttamente ritenuto generico, al fine di radicare il rapporto processuale di secondo grado (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268823), e che preclude l'ulteriore esame della censura in sede di legittimita'. 4. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Il ricorso e' infondato. 4.1. Il primo motivo e' dedicato alla responsabilita' dell'imputato per il reato associativo del capo n. 15. In esso si deduce che il giudizio di responsabilita' e' stato fondato soltanto sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), che le dichiarazioni non sono riscontrate, se non da due intercettazioni dal contenuto comunque equivoco, e che anzi le dichiarazioni del collaboratore sono smentite dalle dichiarazioni di persone vicine a lui come (OMISSIS) e (OMISSIS) che hanno escluso di conoscere il ricorrente; non risulterebbero, d'altronde, contatti con sodali diversi dal collaboratore, se non per un dialogo nell'auto di (OMISSIS), in ogni caso mancherebbe qualsiasi prova di un programma generico volto alla commissione di un numero indeterminato di reato di spaccio e mancherebbe la prova della consapevolezza del ricorrente di partecipare ad una associazione. La motivazione della sentenza impugnata su questi argomenti gia' proposti in sede di appello e' la seguente: "l' (OMISSIS) ha reso nei confronti dell'appellante dichiarazioni precise, puntuali, circostanziate, costanti la cui intrinseca credibilita' oggettiva e soggettiva e' stata positivamente valutata dal primo giudice con giudizio pienamente condiviso da questa Corte. Quelle dichiarazioni sono riscontrate in modo individualizzante dalle emergenze delle intercettazioni (riportate e richiamate alle pagg. 252-257 della sentenza impugnata) e, in primo luogo, nella conversazione n. 173 captata il 5 febbraio 2011 a bordo dell'autovettura di (OMISSIS) all'interno della quale vi erano anche (OMISSIS) e (OMISSIS) (conversazione RIT 46/11, progr. n. 173, trascritta in forma peritale)". Nella individuazione dei riscontri esterni la sentenza impugnata richiama anche le "conversazioni intercettate tra (OMISSIS) e (OMISSIS), quelle tra (OMISSIS) e (OMISSIS) aventi ad oggetto un contrasto insorto tra il (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione al mancato pagamento di una fornitura di droga e per risolvere il quale viene incaricato da (OMISSIS) proprio (OMISSIS)". Si tratta di motivazione che resiste-alle censure che le vengono mosse nel ricorso. La correttezza sul piano logico del giudizio di credibilita' intrinseca ed attendibilita' estrinseca delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) formulato dai giudici del merito e' stata gia' esaminata nel paragrafo 3.1. di questa sentenza, che affronta l'analogo motivo di ricorso proposto nel ricorso (OMISSIS), si fa rinvio, pertanto, a quanto osservato esaminando tale motivo dl ricorso. La circostanza, poi, che la (OMISSIS) non conoscesse l'imputato non e' idonea a disarticolare il percorso logico della pronuncia impugnata, perche' dimostra soltanto che lo stesso non frequentava il collaboratore nella vita privata, o che lo frequentava in altri ambiti della vita privata del collaboratore ( (OMISSIS) aveva conosciuto l'amante del collaboratore, (OMISSIS)r pure imputata in questo giudizio). E', invece, del tutto irrilevante che non lo conoscesse neanche (OMISSIS), che non e' neanche coimputato nel medesimo reato. In ogni caso, il giudizio della Corte d'appello ha una solida base nella conoscenza e nell'esistenza di accordi commerciali tra il collaboratore e (OMISSIS), che e' attestata dalle conversazioni intercettate in cui gli stessi colloquiano, talche' la deduzione di inattendibilita' del collaboratore perche' l'imputato (OMISSIS) non e' conosciuto da persone a lui vicine si scontra comunque con il dato obiettivo della esistenza di rapporti tra i due soggetti provato da altra fonte di prova. La circostanza poi che non risultino contatti con associati diversi dal collaboratore e da (OMISSIS) non e' di per se' decisivo, in quanto le organizzazioni criminali possono essere strutturate anche secondo modelli in cui il vertice della stessa intrattiene rapporti separati con i diversi associati fungendo da collante ed organizzatore dell'apporto fornito da ciascuno di essi (v. Sentenze n. 11733 del 16/02/2012, Abboubi n. 14223 del 03/06/1989, Spadano Sez. 2, Sentenza n. 4976 del 17/01/1997, P.M. e Accardo, citate sopra nel paragrafo 3.1.). Il motivo non e' fondato neanche nella parte in cui sostiene l'inesistenza di riscontri individualizzanti alle dichiarazioni del collaboratore sulla posizione di (OMISSIS). Si e' detto che la Corte d'appello ha ricavato l'esistenza di tali riscontri individualizzanti da diverse conversazioni intercettate, riportate dettagliatamente in sentenza. In ricorso si sostiene che tali conversazioni sono equivoche, ma, in realta', non si ritiene illogico che la Corte d'appello abbia considerato un riscontro individualizzante, ad esempio, la intercettazione ambientale del 5 febbraio 2011 in cui partecipano alla conversazione, oltre a (OMISSIS), il collaboratore e (OMISSIS), nella cui autovettura si svolge la scena, perche' i termini utilizzati dai conversanti sono palesemente quelli di una trattativa commerciale ("pagamento a uno e quattro"; "a seconda, a seconda la quantita'"; "ma mille e quattro e' assai"), per di piu', trattativa commerciale di una merce illecita (perche' per lo scambio viene formulata la proposta di non andare "all'(OMISSIS)...perche' troppe telecamere..."); La circostanza poi che la Corte d'appello abbia valorizzato anche il ruolo specifico che svolgeva (OMISSIS) nel contesto associativo, come soggetto deputato a tenere i profitti del reato (secondo le dichiarazioni del collaboratore), o incaricato della risoluzione delle controversie sui pagamenti (secondo alcune conversazioni intercettate), oltre che rendere evidente il ruolo di (OMISSIS) di fiduciario del capo della organizzazione, rende del tutto logica la conclusione che la Corte trae della consapevole stabile appartenenza dello stesso ad una organizzazione criminale. 4.2. Il secondo motivo e' dedicato alla recidiva. In esso si sostiene che e' stata ritenuta la recidiva infraquinquennale in ragione di una sentenza di condanna, quella dell'(OMISSIS), che pero' non era ancora intervenuta al momento di commissione del reato. Il motivo e' infondato, perche' fraintende il precedente penale di riferimento su cui la sentenza impugnata ha fondato il giudizio di esistenza della infraquinquennalita' della recidiva. Infatti, nella motivazione della sentenza si legge che "l'appello puo' accolto limitatamente alla ritenuta recidiva che puo' configurarsi soltanto come recidiva infraquinquennale e non anche specifica, posto che alla data del commesso reato l'imputato non aveva ancora riportato condanne in materia di stupefacenti". Proprio perche' la Corte d'appello ha scritto che "alla data del commesso reato l'imputato non aveva ancora riportato condanne in materia di stupefacenti", cio' vuoi dire che la condanna cui ha fatto riferimento per fondare una recidiva infraquinquennale, ma non specifica, non puo' essere quella cui si riferisce il ricorso, ma altra condanna con un oggetto diverso dai reati in materia di cessione di stupefacenti. Ed, in effetti, nel certificato penale dell'imputato si rinviene una condanna del Tribunale di Milano del 24 marzo 2009, irrevocabile il 1 ottobre 2009, per il delitto dell'allora vigente articolo 9, comma 2 L. 27 dicembre 1956; n. 1423, che, in ragione della data in cui si collocano le condotte attribuite all'imputato in questo processo, si presta a fondare un giudizio di infraquinquennalita' (Sez. 2, Sentenza n. 32785 del 13/07/2021, Amadasi, Rv. 281860: ai fini del riconoscimento della recidiva aggravata infraquinquennale il calcolo dei cinque anni va effettuato considerando come "dies a quo" non gia' la data di commissione dell'ultimo delitto antecedente a quello espressivo della recidiva, bensi' quella relativa al passaggio in giudicato della sentenza avente ad oggetto il medesimo reato presupposto), ma non un giudizio di specificita' della recidiva, quale quello che, in effetti, la Corte d'appello - rettificando la conclusione cui era giunto il giudice di primo grado che aveva valorizzato la sentenza in materia di spaccio per ritenere la recidiva non solo infraquinquennale ma anche specifica - ha correttamente tratto. 5. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Il ricorso e' infondato. 5.1. Il primo motivo, dedicato alla responsabilita' per il reato associativo del capo n. 15, e' infondato. In esso si deduce che vi e' prova che la ricorrente abbia acquistato stupefacente, ma non che lo abbia destinato allo spaccio, in quanto la prova della destinazione allo spaccio consisterebbe soltanto nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), dichiarazioni generiche, e non riscontrate, e si deduce che comunque gli specifici fatti di spaccio contestati alla imputata nei capi da n. 31 a 33 sono commessi nel corso di un solo mese, il che sarebbe in contrasto con la tesi della stabilita' del rapporto associativo. La risposta della Corte d'appello a queste deduzioni difensive e' stata la seguente: "l'impianto probatorio fonda, in primo luogo, sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) che l'ha definita persona che "vendeva per noi, per il locale di (OMISSIS) e la maggior parte si riforniva da noi e in piu' era una persona di fiducia", precisando che la (OMISSIS), detta âEuroËœ (OMISSIS)' prendeva la cocaina per rivenderla agli spacciatori, per quelli che âEuroËœspacciavano poi al dettaglio". La sentenza impugnata poi aggiunge che "il collaboratore ha reso nei confronti dell'appellante dichiarazioni precise, puntuali, circostanziate, costanti la cui intrinseca credibilita' oggettiva e soggettiva deve essere positivamente valutata. Quelle dichiarazioni sono riscontrate in modo individualizzante dalle dichiarazioni rese nei confronti dell'imputata da (OMISSIS) che l'ha riconosciuta in foto e l'ha inditata come soggetto che si occupava del settore degli stupefacenti. Ulteriori e plurimi elementi di riscontro alle dichiarazioni del collaboratore sono costituiti dalle intercettazioni effettuate prima che l' (OMISSIS) iniziasse il suo percorso collaborativo e che sono poste anche a fondamento delle contestazioni dei reati fine di cui al capi 31), 32) e 33) della rubrica. Dunque, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, l'adesione dell'imputata al sodalizio non fonda soltanto sull'accertata commissione dei reati fine, quanto su un molto piu' vasto ed articolato materiale probatorio che denota il pieno ed organico inserimento dell'imputata nella associazione in oggetto, l'apporto da lei fornito alla attuazione del programma delinquenziale della associazione medesima e la piena adesione al programma delittuoso". La risposta della sentenza impugnata e' priva di vizi logici ed esente da censure di travisamento delle evidenze probatorie. Il giudizio della Corte d'appello di credibilita' del collaboratore (OMISSIS) e' stato gia' scrutinato al punto 3.1. di questa sentenza, cui, pertanto, si fa rinvio. I riscontri individualizzanti relativi alla posizione di (OMISSIS), individuati dalla sentenza impugnata nelle dichiarazioni di (OMISSIS) ed in alcune conversazioni intercettate, sono esenti dalle censure formulate in ricorso, perche' le dichiarazioni della (OMISSIS) che definisce (OMISSIS) come una persona che si occupava di stupefacenti, oltre che essere certamente individualizzanti, perche' a lei senza alcun dubbio si riferiscono, hanno' un contenuto sufficientemente specifico per essere considerato un riscontro (un riscontro non deve essere una prova autonoma; la prova nei confronti di (OMISSIS) continua ad essere la chiamata in correita' del collaboratore, le dichiarazioni di (OMISSIS) servono soltanto a confermare dall'esterno questa chiamata). Inoltre, le conversazioni intercettate, tra cui soprattutto quella valorizzata dalla sentenza impugnata in cui la imputata pressa il suo interlocutore per ottenere subito la consegna dello stupefacente perche' "tra un'ora mi viene qua la persona", in base ai canoni della logica, in modo del tutto corretto, sono state ritenute dalla sentenza impugnata prove di una condotta di acquisto nello stupefacente finalizzata alla successiva rivendita senza che, a tal fine, sia necessaria anche la prova della avvenuta traditio. In ordine alla questione del periodo molto breve in cui durano i contatti della (OMISSIS) con gli associati, il che denoterebbe - a giudizio del ricorso - mancanza di stabilita' del rapporto con l'associazione, va osservato che si tratta di una circostanza che, dipendendo, in realta', anche da fattori esterni quali la durata della investigazione e della osservazione della imputata, in modo non illogico e' stata ritenuta non decisiva, atteso che in ogni caso "in tema di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione al sodalizio, ed in particolare dell'"affectio" di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che puo' essere anche breve, purche' dagli elementi acquisiti possa inferirsi l'esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benche' per un periodo di tempo limitato" (Sez. 6, Sentenza n. 42937 del 23/09/2021, Sermone, Rv. 282122). In definitiva, il giudice della Corte d'appello di credibilita' del collaboratore, attendibilita' delle sue dichiarazioni ed esistenza di riscontri esterni individualizzanti alle sue dichiarazioni sulla posizione di (OMISSIS) e' esente da vizi logici, ed il motivo di ricorso deve essere rigettato. 5.2. Il secondo motivo, dedicato, a quanto e' dato di capire, alla responsabilita' per il reato-fine del capo n, 31 (il ricorso non indica in modo chiaro il capo della decisione impugnato, ma lo si puo' desumere a contrario dalla circostanza che la difesa precisa espressamente di non impugnare la condanna per i capi nn. 32 e 33), e' infondato. In esso si riprende un argomento gia' proposto nel precedente motivo di ricorso, e si sostiene che la responsabilita' per questo singolo episodio e' stata tratta da una conversazione di per se' equivoca, che da' conto del fatto che la ricorrente abbia acquistato stupefacente ma non che lo abbia anche venduto, perche' la frase in cui la stessa chiedeva una consegna urgente perche' "tra un'ora mi viene qua la persona" non e' prova di spaccio in mancanza di riscontro successivo sull'avvenuta traditio. Come si e' gia' detto al punto precedente, una conversazione, quale quella valorizzita dalla sentenza impugnata, in cui la imputata pressa il suo interlocutore per ottenere subito la consegna dello stupefacente perche' "tra un'ora mi viene qua la persona", in base ai canoni della logica, in modo del tutto corretto e' stata ritenuta dalla sentenza impugnata prova di una condotta di acquisto dello stupefacente finalizzata alla successiva rivendita, in presenza, peraltro, di dichiarazioni del collaboratore che riferisce che la imputata vendeva per conto dell'organizzazione, talche' la conclusione della sentenza impugnata che le conversazioni abbiano "univoco e chiarissimo significato e dimostrano, al di la' di ogni ragionevole dubbio, che la (OMISSIS) ha trattato con (OMISSIS) l'acquisto di sostanza stupefacente destinata alla cessione a terzi e di cui l'imputata aveva la disponibilita'" e' esente da vizi logici. 5.3. Il terzo motivo lamenta omessa motivazione sulla richiesta di riqualificare i fatti nella fattispecie dell'articolo 73 comma 5 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, in quanto la risposta della Corte d'appello che si tratterebbe di "notevoli quantitativi" e' una mera clausola di stile. Il motivo e' manifestamente infondato. La motivazione della pronuncia di appello sul punto e' la seguente: "non puo' essere ritenuta l'ipotesi del comma 5 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 in considerazione del fatto che si e' trattato di una pluralita' di condotte, concentrate in un ristretto ambito temporale e geografico e connotate da identiche modalita' operative, di cessione di sostanze i cui notevoli quantitativi erano gestiti da una rete di soggetti che facevano capo, quale referente, all'imputata che, secondo le dichiarazioni dell' (OMISSIS) si approvvig39Ionava dalla locale di (OMISSIS) e vendeva la droga disponendo, sostanzialmente, di una rete di spacciatori al dettaglio". Il motivo di ricorso aggredisce questa parte della sentenza sostenendo che il controllo del giudice avrebbe dovuto concentrarsi sulle imputazioni contestate a (OMISSIS), ne avrebbe concluso che si tratta di vendita di piccole quantita' di stupefacente al dettaglio. In realta', non e' illogico che la pronuncia impugnata abbia valutato la condotta della ricorrente inserendola all'interno del contesto organizzativo in cui era inserita, e quindi alla sua vicinanza all'organizzazione criminale che le forniva lo stupefacente, nonche' alla sua capacita' di creare una rete organizzata di rivenditori al dettaglio per provvedere allo smercio dello stesso. Sul punto la pronuncia ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza di legittimita' che attribuisce rilievo ai fini del riconoscimento del reato di cui all'articolo 73, comma 5 alle relazioni dell'agente con il mercato di riferimento ed alla rete organizzativa in cui lo stesso e' inserito (Sez. 4, Sentenza n. 476 del 25/11/2021, dep. 2022, Quaranta, Rv. 282704: In tema di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, ai fini della qualificazione dei singoli reati scopo come ipotesi di lieve entita' di cui all'articolo 73, comma 5, Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, puo' tenersi conto del dato quantitativo relativo agli approvvig39Ionamenti del gruppo, quale indice della finalizzazione degli stessi alla commissione di fatti non riconducibili allo spaccio di lieve entita', fatta salva l'autonomia della valutazione complessiva della pericolosita' delle singole condotte di cessione sulla base di tutti gli altri indici disponibili; Sez. 3, Sentenza n. 6871 del 08/07/2016, dep. 2017, Bandera, Rv. 269149: In materia di sostanze stupefacenti, la reiterazione nel tempo di una pluralita' di condotte di cessione della droga, pur non precludendo automaticamente al giudice di ravvisare il fatto di lieve entita', entra in considerazione nella valutazione di tutti i parametri dettati, in proposito, dall'articolo 73, comma 5, Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309; ne consegue che e' legittimo il mancato riconoscimento della lieve entita' qualora la singola cessione di una quantita' modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una piu' ampia e comprovata capacita' dell'autore di diffondere in modo non episodico, ne' occas39Ionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensivita' della condotta essere ancorata al solo dato statico della quantita' volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio piu' ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva). 5.4. Il quarto motivo, dedicato all'aggravante del comma 3 dell'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, e' infondato. In esso si sostiene che non e' possibile applicare anche al tossicodipendente partecipe di una associazione ex articolo 74 l'aumento di pena previsto per chi utilizza dei tossicodipendenti nella struttura dell'associazione. La sentenza impugnata risponde a tale motivo di appello sostenendo che: "detta aggravante e' configurabile anche nei confronti dell'associato tossicodipendente, in quanto il requisito oggettivo di applicabilita' della circostanza e' esclusivamente costituito dal fatto che tra i partecipanti all'associazione vi siano persone dedite all'uso di sostanze stupefacenti, in considerazione della maggiore pericolosita' sociale di un'organizzazione criminosa che si avvalga della partecipazione di tossicodipendenti". La risposta della Corte d'appello e' conforme all'orientamento della giurisprudenza di legittimita', che ha ritenuto che "in materia di associazione finalizzata al traffico di droga, l'aggravante prevista dall'articolo 74, comma 3, Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e' configurabile anche nei confronti dell'associato tossicodipendente, in quanto il requisito oggettivo di applicabilita' della circostanza e' esclusivamente costituito dal fatto che tra i partecipanti all'associazione vi siano persone dedite all'uso di sostanze stupefacenti, in considerazione della maggiore pericolosita' sociale di un'organizzazione criminosa che si avvalga della Partecipazione di tossicodipendenti" (Sez. 6, Sentenza n. 13749 del 24/02/202, FeiMeri, Rv. 281499; Sez. 2, Sentenza n. 48924 del 11/10/2016, Adduci, Rv. 268527). La motivazione della Corte di appello resiste, pertanto, alle censure che le sono rivolte ed il relativo motivo di ricorso deve essere giudicato infondato. 6. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Il ricorso e' infondato. 6.1. Il primo motivo e' dedicato alla responsabilita' per il reato associativo del capo n. 15. In esso si evidenzia che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) sono inattendibili, che le intercettazioni costituiscono prova solo dei reati-fine, che di per se' non sono sufficienti a ritenere provata anche l'associazione, di cui mancherebbero sufficiente stabilita' e programma criminoso. Il motivo non e' fondato. Il giudizio della Corte d'appello di credibilita' ed attendibilita' delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) e' stato gia' vagliato al punto 3.1. di questa sentenza, cui si fa rinvio. La Corte d'appello ha poi risposto anche alla deduzione contenuta nel motivo di appello, e riproposta in quello di ricorso, secondo cui le dichiarazioni di (OMISSIS), le intercettazioni e gli ulteriori elementi di prova non restituirebbero comunque la prova dell'esistenza di una struttura associativa, ma, al piu', soltanto di reati-fine. La sentenza impugnata risponde nella parte generale, dedicata alla preliminare ricognizione dell'esistenza o meno di una struttura associativa, ed afferma che "dall'istruttoria dibattimentale e' emerso che il programma delittuoso della "locale" di (OMISSIS) comprendeva anche il traffico di sostanze stupefacenti, di varia natura e tipologia, che veniva svolto in maniera stabile e profess39Ionale attraverso una struttura organizzativa a cio' preposta, la quale si sovrapponeva, distinguendosene, dalla parallela associazione âEuroËœndranghetistica di cui costituiva, appunto, una diversa forma di manifestazione, aventi precise e peculiari caratteristiche, oltre che uno specifico campo di azione. Tale struttura operava, infatti, non solo in quella porzione del territorio calabrese soggetta alla influenza del locale di (OMISSIS) (e quindi nell'area geografica c.d. (OMISSIS), a. cavallo tra le provincie di (OMISSIS) e (OMISSIS)), ma anche in Lombardia e precisamente nel Comune di (OMISSIS) ove, per lungo tempo, (OMISSIS) ha vissuto ed operato, nonche' nella citta' di (OMISSIS)". E' una conclusione coerente con le risultanze dell'istruttoria; e' vero, infatti, che da esse si puo' correttamente desumere che l'organizzazione era incentrata su (OMISSIS) e sulle persone che gli ruotavano attorno, ma, come rileva in modo del tutto logico la stessa Corte d'appello, un'associazione finalizzata al commercio di sostanze stupefacenti non richiede una complessa ed articolata organizzazione dotata di notevole disponibilita' economica e di imponenti strumenti operativi, essendo sufficiente l'esistenza di strutture sia pure rudimentali deducibili dalla predisposizione di mezzi, anche semplici ed elementari, per il perseguimento del fine comune. Nel caso in esame, nel senso della esistenza di una struttura organizzativa non e' illogico siano stati valorizzati nelle sentenze dei giudici del merito la durata prolungata dei contatti tra gli associati, l'esistenza o' di piu' fonti di approvvig39Ionamento, l'esistenza di piu' luoghi di spaccio, l'esistenza di diversi corrieri, la centralizzazione della destinazione dei proventi che finivano al contabile deputato a tenere i soldi. In questo contesto non e', pertanto, illogico che la sentenza impugnata abbia ritenuto rag (OMISSIS) la prova dell'esistenza di una stabile struttura organizzativa. 6.2. Il secondo motivo e' dedicato al mancato riconoscimento della ipotesi lieve del comma 6 dell'articolo 74 per il reato associativo del capo n. 15. In esso si deduce che lo stesso collaboratore di giustizia (OMISSIS) ha parlato nelle dichiarazioni rese di quantita' di stupefacente che di volta in volta erano pari a qualche chilogrammo, e che nella stessa imputazione si parla di quantita' imprecisate; si aggiunge che la associazione aveva una scarsa struttura utilizzando autovetture occas39Ionali, che l'unica modalita' di vendita provata era quella al minuto, indice di scarsa capacita' criminale, che mancava una cassa comune, che mancava la capacita' di incidere sul territorio di (OMISSIS) ove erano operanti ben altre organizzazioni. Il motivo non e' fondato. La motivazione della sentenza impugnata sul punto respinge l'analogo motivo di appello "in considerazione della capacita' operativa, dell'articolata organizzazione, della capacita' di approvvig39Ionamento continuo e sistematico di sostanze stupefacenti di diversa qualita', dell'articolato organigramma del gruppo, della posizione di controllo del mercato evidenziate dall'associazione in esame". La motivazione e' conforme alla giurisprudenza di legittimita', ed e' anzi sovrabbondante rispetto a cio' che richiede la stessa, che ammette l'attenuante del comma 6 solo per le associazioni che trafficano soltanto quantita' di stupefacente che rientrino nei limiti del comma 5 dell'articolo 73, ovvero, in definitiva, piccole strutture organizzate di spacciatori al dettaglio (Sez. 6, Sentenza n. 1642 del 09/10/2019, dep. 2020, PG in proc. Degli Angioli, Rv. 278098: "in tema di stupefacenti, la fattispecie associativa prevista dall'articolo 74, comma 6, Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e' configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entita', predisponendo modalita' strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravita' e che., in concreto, l'attivita' associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione dell'articolo 73, comma 5, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. Fattispecie in cui la Corte ha confermato la condanna per l'associazione minore, evidenziando che il sodalizio si riforniva di eroina, sempre presso gli stessi fornitori, per quantitativi non eccedenti i 100 gr. per volta, in quanto non aveva capacita' finanziaria per acquisti maggiori, che non spacciava sostanze di tipo diverso, che non aveva, sul territorio di riferimento, una posizione di controllo del mercato, che presentava un organigramma estremamente ridotto e che gli associati erano gia' stati condannati in primo grado per fatti di droga di lieve entita'; conformi Sez. 3, Sentenza n. 44837 del 06/02/2018, Caprioli, Rv. 274696; Sez. 4, Sentenza n. 53568 del 05/10/2017, PG in proc. Perdo, Rv. 271708). Nel caso in esame, le quantita' di stupefacente che, secondo la stessa prospettazione contenuta nelle dichiarazioni di (OMISSIS) evidenziate in ricorso, si risolvevano in qualche chilogrammo alla volta sono gia' di per se' incompatibili con il riconoscimento della ipotesi lieve, che appare correttamente ritenuto dalla sentenza impugnata del tutto estraneo al gruppo criminoso oggetto di esame. 6.3. Il terzo motivo contesta il giudizio della Corte d'appello di riconoscimento della partecipazione del ricorrente all'associazione del capo n. 15. In esso si sostiene che risulta dagli atti che il ricorrente ha avuto rapporti con alcuni dei coimputati solo per un periodo breve di circa cinque mesi tra dicembre 2010 e maggio 2011, insufficiente a ritenere la stabilita' della collaborazione con l'associazione, che le dichiarazioni del collaboratore a suo carico sono generiche ed inattendibili, che si tratta di un collaboratore gia' giudicato inattendibile in altri processi, che dalle conversazioni intercettate non emergono riscontri. Il motivo non e' fondato. Il giudizio della Corte d'appello di credibilita' ed attendibilita' delle dichiarazioni del collaboratore e' stato gia' scrutinato in altra parte della sentenza, paragrafo 3.1., cui si fa rinvio. La sentenza resiste anche alla censura di genericita' delle dichiarazioni del collaboratore su (OMISSIS), perche' in presenza di dichiarazioni quali quelle indicate in sentenza (lo stesso "faceva da corriere", "era a disposizione sempre di noi, in, qualunque occasione, all'occorrenza lo mandavamo a chiamare" "sapevo che macchine sue non ne aveva, macchine sue non ne ha mai avute.. Ha sempre avuto macchine o di (OMISSIS) o mie o via dicendo. Le mettevamo noi a disposizione"), non e' illogico che la Corte d'appello le abbia considerate sufficientemente specifiche per fondare un giudizio di responsabilita'. Il ricorso contesta poi che sulla posizione di (OMISSIS) vi siano riscontri individualizzanti. La Corte d'appello ha ritenuto, invece, l'esistenza di tali riscontri, in particolare affermando che: "plurimi elementi di riscontro alle dichiarazioni del collaboratore sono costituiti dalle intercettazioni effettuate e poste a. fondamento delle contestazioni dei reati fine di cui al capo 32) per il quale l'imputato e' stato condannato, ed al capo 34) per il quale e' stata pronunciata sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione"; la sentenza impugnata aggiunge che riscontri individualizzanti si rinvengono anche nelle intercettazioni che dimostrerebbero "gli organici collegamenti del (OMISSIS) con altri componenti di rilievo del sodalizio e fra questi con (OMISSIS), indicato dall' (OMISSIS) come il sodale con cui il (OMISSIS) era solito relaz39Ionarsi, con (OMISSIS), con (OMISSIS), detto (OMISSIS), con (OMISSIS) e con (OMISSIS) le cui posizioni sono state definite con il rito abbreviato, con (OMISSIS)", nonche' "nei viaggi fatti dal (OMISSIS) in (OMISSIS) e in (OMISSIS) e dei quali ha riferito il collaboratore (OMISSIS), emergono dalle intercettazioni, in particolare dalle conversazioni captate il 23 ed il 25 febbraio 2011". In ricorso si sostiene che i viaggi in (OMISSIS) di cui l'imputato e' accusato avevano, in realta', finalita' private perche' di essi ne parlava con la figlia, mentre non ne ha mai parlato con gli associati, ma si tratta di deduzione che non e' in grado di scalfire le considerazioni effettuate nella sentenza impugnata; se il collaboratore dichiara che l'imputato si recava in (OMISSIS) per rifornire l'organizzazione di stupefacente, la circostanza che sia provato che il collaboratore effettivamente si e' recato in (OMISSIS) nel periodo indicato costituisce riscontro esterno individualizzante alle dichiarazioni del collaboratore, qualunque fosse lo scopo del viaggio, che peraltro poteva avere anche una doppia natura, personale e collegata agli scopi associativi. In ricorso si sostiene che la conoscenza di (OMISSIS) con il collaboratore di giustizia (OMISSIS) deriva dall'averlo ospitato in (OMISSIS) soltanto per fare un favore al comune amico (OMISSIS), ma si tratta di affermazione a sua volta non in grado di incidere sull'impianto accusatorio, perche' non e' importante quale sia stata l'origine del rapporto personale, costituendo riscontro, invece, la circostanza che le due persone si siano effettivamente conosciute e frequentate nei luoghi in cui vengono indicate essere state poste in essere le condotte criminose. In ricorso si sostiene che non e' un riscontro della partecipazione alla struttura associativa l'essersi prestato in una circostanza a difendere il suo amico (OMISSIS) ed in un'altra ad aiutare (OMISSIS) a recuperare un credito di 3.000 Euro, ma, in realta', si tratta di ulteriori circostanze idonee ad essere utilizzate come riscontri, in quanto nella sistematica della citata pronuncia delle Sezioni Unite Aquilina gli elementi che possono essere assunti come riscontro esterno sono liberi; in essa si legge, infatti, che "quanto alla tipologia e all'oggetto dei riscontri, la genericita' dell'espressione "altri elementi di prova" utilizzata dall'articolo 192, comma 3, c.p.p. legittima l'interpretazione secondo cui, in subiecta materia, vige il principio della "liberta' dei riscontri", nel senso che questi, non essendo predeterminati nella specie e nella qualita', possono essere di qualsiasi tipo e natura, ricomprendere non soltanto le prove storiche dirette, ma ogni altro elemento probatorio, anche indiretto, legittimamente acquisito al processo ed idoneo, anche sul piano della mera consequenzialita' logica, a corroborare, nell'ambito di una valutazione probatoria unitaria, il mezzo di prova ritenuto ex lege bisognoso di conferma". In definitiva, non e' illogico che nel percorso argomentativo della Corte di appello siano state valorizzate come riscontro esterno alle dichiarazioni eteroaccusatorie di (OMISSIS) le conversazioni captate nel corso delle intercettazioni in cui e' lo stesso (OMISSIS) a parlare ed a pronunciare frasi, quali, ad esempio, "e' una merda questa roba te l'avevo gia' detto" "Ti porto l'altra", o la conversazione captata sulla Mercedes Classe A targata (OMISSIS) in uso ad (OMISSIS), in cui (OMISSIS) riferisce di essere stato fermato dalla polizia in Germania per un controllo assicurativo, il che e' ulteriOre conferma delle dichiarazioni di (OMISSIS) sul fatto che (OMISSIS) facesse da corriere e che usasse autovetture messe a disposizione dall'organizzazione. La conclusione della sentenza impugnata sulla partecipazione di (OMISSIS) alla associazione e', pertanto, immune da vizi logici e supera le censure che le sono state mosse. 6.4. Il quarto motivo e' dedicato al riconoscimento della responsabilita', in concorso, per il reato-fine del capo n. 32. In esso si deduce che sulla base degli indici dettati dalla giurisprudenza in tema di c.d. âEuroËœdroga parlata', non puo' dirsi pienamente provata ne' la disponibilita' della sostanza stupefacente, ne' l'effettiva consegna dello stesso. Il motivo non e' fondato. La Corte d'appello risponde a questo argomento difensivo, affermando che: "dalle conversazioni intercorse tra la (OMISSIS) e (OMISSIS) emerge con chiarezza che i due facevano riferimento a transazioni positivamente concluse, comprovando il loro pregresso possesso di quantitativi destinati allo spaccio; cio' si desume agevolmente dalle interlocuzioni utilizzate e dal tenore volutamente, quanto inutilmente, criptico delle conversazioni nelle quali si parlava di "quarantino", di qualita', di assaggi, di soldi, in un contesto al quale non puo' attribuirsi nessun significato diverso da quello posto a base dell'impostazione accusatoria". Si tratta di una conclusione che e' conforme alle regole di valutazione della prova di cui all'articolo 192 c.p.p.; la circostanza che gli interlocutori parlino di "assaggi" vuole, infatti, dire che hanno avuto reale disponibilita' della sostanza; la circostanza che parlino di denaro vuol dire anche che l'hanno venduta, perche' il fornitore deve essere poi pagato in qualche modo. Pur nella condivisibilita' dell'impostazione su cui e' fondato il motivo di ricorso che evidenzia la natura indiziaria di questa accusa che dipende essenzialmente dalle intercettazioni, e che non trova riscontro in consequenziali sequestri dello stupefacente, non e' illogico che, in conformita' d'altronde ad indirizzo espresso dalla giurisprudenza di legittimita' (Sez. 2, Sentenza n. 53615 del 20/10/2016, Buonvi.cino, Rv. 268710: la prova dei reati di traffico e di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti puo' essere desunta non soltanto dal sequestro o dal rinvenimento delle sostanze, ma anche dal contenuto di conversazioni intercettate), la sentenza impugnata abbia ritenuto questo materiale probatorio costituire gli indizi gravi, precisi e'concordanti dell'articolo 192, comma 2, c.p.p., da cui ha desunto la responsabilita' dell'imputato anche per questo reato-fine. Il motivo e', pertanto, infondato. 6.5. Il quinto motivo contesta la mancata derubricazione del fatto di cui al capo n. 32 nella ipotesi degli articoli 73, commi 1 e 4, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, evidenziando che non vi e' prova in atti che lo stupefacente oggetto di spaccio sia proprio cocaina, come scritto in imputazione. Il motivo e' infondato. La motivazione della sentenza impugnata e' la seguente: "il riferimento a soldi, qualita' e "quarantino" sono tutti elementi che non lasciano dubbi in ordine al fatto che i contatti tra i due soggetti avessero ad oggetto sostanza stupefacente che, dal prezzo indicato nelle conversazioni medesime, era evidentemente droga pesante della natura indicata nel capo di Imputazione". In ricorso si sostiene che la sentenza impugnata avrebbe tratto la prova dal fatto che si parla di "assaggi" anche se qualsiasi stupefacente puo' essere assaggiato, e che anche il riferimento al denaro non e' univoco, mentre non si comprende da quale elemento probatorio derivi la conclusione che si tratta di cocaina. In realta', l'elemento decisivo da cui la sentenza impugnata ha desunto la natura della sostanza e' il prezzo pagato ("dal prezzo indicato nelle conversazioni medesime era evidentemente droga pesante") e dedurre la natura di una sostanza stupefacente dal prezzo del denaro cui viene contrattato non e' una conclusione illogica, mentre resta questione di fatto che esula dai poteri del giudice di legittimita', per il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova (per una riproposizione recente v. Sez.,5, Sentenza n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos, Rv. 283370), la rilettura della valutazione della Corte d'appello sul prezzo dello stupefacente, in quanto elemento di fatto posto a fondamento della decisione. 6.6. Il sesto motivo contesta la mancata derubricazione del fatto di cui al capo n. 32 nella ipotesi degli articoli 73, commi 1 e 5, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, evidenziando che non vi e' prova in atti, oltre che della tipologia, anche della quantita' dello stupefacente oggetto di spaccio, e quindi, in mancanza di prova, avrebbe dovuto essere applicata la ipotesi piu' favorevole del comma 5 dell'articolo 73. Il motivo e' infondato. La sentenza impugnata aveva escluso la possibilita' di riconoscere il fatto di lieve entita' sostenendo che "si e' trattato di una pluralita' di condotte, concentrate in un ristretto ambito temporale e geografico e connotate da identiche modalita' operative, di cessione di sostanze i cui notevoli quantitativi erano gestiti da una rete di soggetti che facevano capo, quale referente, anche all'imputato che, secondo le dichiarazioni dell' (OMISSIS) si approvvig39Ionava all'estero di grossi quantitativi di sostanza stupefacente di tipo pesante". Si tratta di risposta che e' congruente con le risultanze dell'istruttoria, e, quindi non suscettibile di essere censurata per travisamento, in quanto che si tratti di una pluralita' di condotte, e non di un singolo fatto di spaccio, emerge con evidenza dalle intercettazioni che riguardano diverse giornate e diverse contrattazioni. In un contesto di questo tipo non e', pertanto, illogica una motivazione quale quella della pronuncia impugnata che ha escluso la possibilita' che si trattasse di quantitativi o comunque di condotte idonee a rientrare nella lieve entita'. 6.7. Il settimo motivo e' dedicato al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. In ricorso si evidenzia che a sostegno della richiesta deporrebbero la condotta di vita anteatta, immune da precedenti, e la marginalita' del ruolo del ricorrente. La sentenza impugnata ha ritenuto di non riconoscere le attenuanti in quanto "non sono rilevabili elementi di segno positivo idonei a determinare l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche richieste". In ricorso si individuano questi motivi nella marginalita' del ruolo del ricorrente, che pero' e' autoriferito, in quanto (OMISSIS), quale corriere che andava a prelevare droga all'estero, svolgeva una funzione essenziale nel contesto della operativita' della organizzazione. Inoltre, la condotta di vita anteatta non e' un parametro di valutazione sufficiente alla concessione delle attenuanti generiche in presenza di una norma quale quella dell'articolo 62-bis, comma 3, c.p. che prevede la impossibilita' di Motivare la concessione delle attenuanti generiche soltanto per la mancanza di condanne penali. In definitiva, il motivo di ricorso e' infondato. 7. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS) Il ricorso e' infondato. 7.1. Il primo motivo deduce vizio di motivazione cori riferimento alla identificazione del ricorrente nell'interlocutore di alcune delle telefonate intercettate; in esso si sostiene che il Tribunale si sarebbe limitato a dare incarico per la trascrizione delle conversazioni ma non ha conferito anche incarico per la perizia fonica per la identificazione dei chiamanti, e che, pur se e' vero che il precedente difensore aveva in primo grado dato il consenso all'utilizzo delle schede della polizia giudiziaria sulla identificazione dei chiamanti, il consenso non puo', pero', riguardare il metodo con cui la stessa p.g. era arrivata alla identificazione, che era errato, illogico ed aberrante. Si censura anche una annotazione integrativa redatta il 17 aprile 2018, giorno successivo alla annotazione sui criteri di identificazione, ed in cui un vice ispettore di polizia riferisce di aver riconosciuto in quella dell'imputato una voce di una conversazione di cinque anni prima. Il motivo e' inammissibile. Dalla lettura dello stesso ricorso si comprende che il Tribunale ha dato incarico per la trascrizione delle conversazioni ma non ha conferito incarico per la perizia fonica per la identificazione dei chiamanti, perche' la difesa dell'imputato aveva accettato le schede di identificazione redatte dalla polizia giudiziaria. A seguito del cambiamento del difensore, nel corso della discussione in appello (quindi, non come motivo di appello, ma in una fase inoltrata del giudizio di appello) il nuovo difensore aveva chiesto di introdurre una consulenza fonica per sostenere che la voce che si ascoltava nelle intercettazioni non era quella dell'imputato. La Corte d'appello ha respinto la richiesta di acquisizione della consulenza fonica con la seguente motivazione: "nel giudizio di primo grado il difensore ha prestato il consenso all'acquisizione della nota n. 359/207-8-2008 del 31.3.2019 dei Carabinieri procedenti contenente l'indicazione, nelle varie conversazioni trascritte in forma peritale, dei nomi dei soggetti parlanti gia' identificati con le schede acquisite e cio' al fine di rendere maggiormente intellegibile il contenuto dell'elaborato peritale (v. pag. 33 della sentenza appellata); dunque, la difesa non ha mai contestato l'identificazione dei conversanti effettuata dalla polizia giudiziaria, ne' ha richiesto una perizia fonica nel giudizio di primo grado, ne' in quello di appello, anzi, ha acconsentito all'acquisizione delle schede redatte dalla p.g. e relative alle voci dei conversanti prestando, in tal modo, il consenso all'identificazione effettuata dalla p.g., ne' ha sollevato eccezioni nel corso delle operazioni peritali di trascrizione delle intercettazioni svolte nel contraddittorio tra le parti". Nel motivo di ricorso la richiesta di acquisizione della consulenza fonica presentata in appello si e' trasformata in vizio della pronuncia di secondo grado per travisamento delle risultanze probatorie in punto di identificazione del ricorrente come uno degli interlocutori delle conversazioni contestate. Il motivo, pero', e' inammissibile, perche' non proposto contro la sentenza di primo grado, che a questo punto doveva, secondo lo stesso percorso logico della difesa, essere portatrice del medesimo vizio. Ne' un motivo di appello non presentato a suo tempo puo' essere recuperato attraverso una richiesta di ingresso nel giudizio di appello di una prova quale la consulenza fonica in esame (ed il rigetto della stessa), perche' il rigetto della richiesta di acquisizione e' neutro ai fini del travisamento, peraltro predicato in modo del tutto generico ed apodittico, che, se vi e' stato, risale a questo punto al giudizio di primo grado. In ogni caso, va osservato che "nel giudizio di appello, la rinnovazione di una perizia puo' essere disposta soltanto se il giudice ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti. Fattispecie relativa alla richiesta di rinnovazione della perizia sulla capacita' del testimone ex articolo 196 c.p.p., in cui la S.C. ha precisato che la valutazione discrez39Ionale del giudice di appello sulla predetta richiesta, se logicamente e congruamente motivata, e' incensurabile in cassazione, in quanto costituente giudizio di fatto" (Sez. 3, Sentenza n. 7259 del 30/11/2017, dep. 2018, S., Rv. 273653). 7.2. Il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di esistenza di una associazione di cui all'articolo 416-bis c.p. e di partecipazione alla stessa del ricorrente. La esistenza di una associazione criminale in (OMISSIS), come articolazione locale di âEuroËœndrangheta, e' stata ricavata dalla Corte d'appello dalle sentenze gia' passate in giudicato che l'hanno attestata. La sentenza impugnata Scrive che: "sono numerose le sentenze, oggi definitive, prodotte dal P.M. nel giudizio di primo grado che hanno riconosciuto la nascita a partire dagli anni âEuroËœ80 e l'esistenza fino all'anno 2005 del sodalizio di âEuroËœndrangheta stanziato sul territorio di (OMISSIS) e comuni limitrofi ((OMISSIS)) inizialmente denominato "(OMISSIS)", con a capo (OMISSIS), con il quale si pone in continuita' quello operante negli anni successivi denominato "Locale di (OMISSIS)" con a capo (OMISSIS)". La pronuncia di primo grado e' piu' dettagliata e riferisce delle sorti di questo locale di (OMISSIS) dagli anni âEuroËœ80 sotto la guida di (OMISSIS), della successiva violenta faida che aveva portato il locale ad essere prima sospeso e poi riattivato sotto la guida di (OMISSIS). Il motivo di ricorso ritiene, invece, che (OMISSIS) non sia mai stato un capo della locale e sostiene siano state sottovalutate le dichiarazioni dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS) che non riconoscono (OMISSIS) come capo di questo locale. La Corte d'appello risponde a questo motivo mediante il rinvio alla parte generale della sentenza impugnata, in cui evidenzia che la riattivazione di una locale in (OMISSIS) guidata da (OMISSIS) e' attestata, in particolare, dalla sentenza del Tribunale di Catanzaro del 18 luglio 2013, irrevocabile il 17 febbraio 2015. In questo contesto non e' illogico che la sentenza impugnata abbia attribuito rilievo subvalente alle dichiarazioni dei due collaboratori citati nel motivo di ricorso. Va aggiunto che (OMISSIS) inizia a collaborare dopo essere stato attinto da ordinanza cautelare emessa nei suoi confronti in data 20 dicembre 2011 dal Tribunale di Catanzaro proprio per associazione ex articolo 416-bis c.p. quale capo locale della locale di (OMISSIS), cio' ad evidenziare che la prospettazione dell'esistenza di un locale a (OMISSIS) con a capo (OMISSIS) precede la collaborazione e non dipende solo dalle dichiarazioni del collaboratore. Va anche aggiunto che, almeno nel percorso logico della sentenza di primo grado, sono assunti come riscontri esterni alle dichiarazioni di (OMISSIS) anche i numerosi sequestri che portano a rinvenire in un casolare in un agro collinare, in due abitazioni, diverse armi comuni da sparo, una anche con matricola abrasa, una con il calcio tagliato all'altezza dell'impugnatura, e numerose cartucce, anche a pallettoni. Nel percorso logico della pronuncia sia di primo che di secondo grado, inoltre, hanno il rilievo di riscontri all'esistenza dell'associazione anche le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), che con un ruolo diverso pure ha confermato l'esistenza nel periodo in esame nel territorio di competenza di una struttura organizzativa criminale della tipologia di quelle di âEuroËœndrangheta. Il motivo di ricorso evidenzia che (OMISSIS) fatica a riconoscere in fotografia (OMISSIS), ma questo non incide sul percorso logico.della pronuncia impugnata, che valorizza la conoscenza che (OMISSIS) ha delle attivita' criminali del gruppo oggetto di investigazione (" (OMISSIS), organicamente inserito proprio nella âEuroËœndrina di (OMISSIS) e, quindi, a perfetta conoscenza di tutte le attivita' criminali svolte dall'imputato in seno a tale sodalizio, il quale ha riconosciuto l'importanza e il ruolo apicale ricoperto dall'appellante in seno al "gruppo dei (OMISSIS)" (pag. 31). Fa parte del percorso logico della sentenza impugnata anche la circostanza che (OMISSIS) abbia riferito in giudizio "delle attivita' di imposizione dei "servizi di ordine e sicurezza" poste in essere dallo (OMISSIS), unitamente a suo fratello (OMISSIS)" (sempre pag. 31 della sentenza), e "dei rapporti che l'imputato manteneva con gli (OMISSIS) di (OMISSIS)" (ancora pag. 31 della sentenza). Il motivo di ricorso si sofferma anche sulla questione della presenza dello (OMISSIS) alla riunione di (OMISSIS), sostiene che essa era indetta non per riti di affiliazione ma per risolvere problematiche insorte sul territorio, e che (OMISSIS) potrebbe essersi recato ad essa solo quale accompagnatore, aggiunge anche che il collaboratore (OMISSIS) ha riferito di non ricordare se in quell'occasione (OMISSIS) sia stato o meno battezzato. In realta', la circostanza che la riunione di (OMISSIS) sia stata indetta per risolvere problematiche insorte sul territorio e' introdotta in ricorso in violazione del principio di autosufficienza, cosi' come quella che (OMISSIS) possa essersi recato ad essa quale accompagnatore. La circostanza che in essa sia stato battezzato e' affrontata dalla pronuncia di appello che risponde a questo rilievo, rilevando "che il collaboratore (OMISSIS) ha riferito anche della formale affiliazione dello (OMISSIS) avvenuta nel corso di una riunione in (OMISSIS)" (pag. 33 della sentenza). Il motivo di ricorso evidenzia che (OMISSIS) abbia definito lo (OMISSIS) come un "bravo ragazzo", ma si tratta di rilievo non sufficiente a contrastare le considerazioni espresse dalla pronuncia impugnata, che sul punto evidenzia che "anche le dichiarazioni rese dalla testimone (OMISSIS) sono perfettamente convergenti con le accuse di "azionista e sodale di estrema fiducia" mosse all'imputato dall' (OMISSIS), in particolare con riferimento alla cena svoltasi dopo l'omicidio (OMISSIS) alla quale aveva preso parte anche lo (OMISSIS)" (pag. 31 della sentenza impugnata), dichiarazione che il ricorso illogicamente svaluta affermando sia stata effettuata solo dopo contestazione del pubblico ministero, e che la pronuncia impugnata mette in relazione con una conversazione intercettata "nel corso della quale il (OMISSIS) individuava nello (OMISSIS) il killer che aveva ucciso, insieme ad (OMISSIS), il (OMISSIS)" (sempre pag. 31). Il motivo di ricorso contesta anche che vi sia stata messa a disposizione del ricorrente nei confronti della struttura criminale, ma l'argomento non e' coerente con il contenuto della motivazione della pronuncia della Corte d'appello, che non parla mai di messa a disposizione con riferimento a (OMISSIS), soggetto che, almeno nella prospettazione recepita dalle pronunce di merito, era la persona che teneva i rapporti con i clan territoriali limitrofi, che riceveva il provento delle estorsioni nel territorio di competenza, che e' stato chiamato a collaborare alla realizzazione di un omicidio, e che piu' che essersi semplicemente messo a disposizione ha preso concretamente parte in modo stabile alle attivita' dell'organizzazione criminale. Nella sentenza impugnata vi sono, inoltre, alcuni ulteriori passaggi della motivazione che pure sostengono la decisione, e che non sono aggrediti in ricorso, quale il riferimento alla "conversazione del 23 dicembre 2008, intervenuta tra (OMISSIS) e (OMISSIS) (sodale gia' condannato anche per il delitto di cui all'articolo 416 bis c.p. nel separato giudizio abbreviato) conversazione nel corso della quale lo (OMISSIS), al tempo detenuto, viene chiaramente indicato come il sodale piu' autorevole di (OMISSIS), tanto e' vero che (OMISSIS) dice ad (OMISSIS) che avrebbe atteso la sua scarcerazione prima di riorganizzare le attivita' sul territorio" (pag. 32 della sentenza impugnata), o il riferimento alle "intercettazioni relative alle vicende estorsive di cui ai capi 12) e 14) e che confermano la fattiva commissione da parte dell'imputato di azioni finalizzate ad attuare i programmi delinquenziali delle associazioni, programmi che prevedevano, fra l'altro, proprio l'imposizione del servizio di security ai titolari di locali ubicati sul territorio" (pag. 32 della sentenza impugnata), nonche' il riferimento ad "ulteriori conversazioni dalle quali emerge, come lo (OMISSIS) fosse ritenuto sul territorio di (OMISSIS) il capo assoluto, l'autorita' alla quale appellarsi per risolvere problemi di varia natura ed origine" (sempre pag. 32), nonche' il riferimento alle "risultanze di alcune specifiche attivita' di-o.c.p. e di video sorveglianza, sulle quali hanno riferito in dibattimento i testi di p.g., eseguite nella fase delle indagini e che hanno permesso di documentare, non solo un importante summit di mafia verificatosi nel mese di luglio del 2013 nella zona (OMISSIS) denominata Localita' (OMISSIS), ma anche di seguire in diretta quelle visite agli (OMISSIS) e quegli incontri con (OMISSIS) e con altri esponenti dell'omonima cosca, riferiti da (OMISSIS), che lo (OMISSIS) era solito effettuare presso il bar di (OMISSIS)" (sempre pag. 32). Non confrontandosi in modo completo con il contenuto della pronuncia impugnata, il motivo di ricorso deve essere, pertanto, per questa parte, giudicato inammissibile per difetto del requisito di specificita'. 7.3. Il terzo motivo lamenta erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta esistenza dell'aggravante di cui al comma 4 dell'articolo 416-bis c.p., perche' l'associazione e' stata ritenuta armata nonostante non vi fosse prova della disponibilita' di armi. Il motivo e' infondato. La Corte d'appello ha risposto a questo motivo rilevando che l'organizzazione disponeva sicuramente di armi, in quanto nella conversazione ambientale intercettata tra (OMISSIS) Saverio e (OMISSIS) si e' fatto riferimento all'imputato quale esecutore materiale dell'efferato omicidio (OMISSIS) e che il collaboratore (OMISSIS) e la testimone di giustizia (OMISSIS) hanno indicato lo (OMISSIS) come uno dei sodali preposti all'esecuzione dei piani omicidiari dell'associazione capeggiata dall' (OMISSIS). Nel motivo di ricorso si contesta che (OMISSIS) possa essere associato all'omicidio in questione, e che comunque nelle intercettazioni non vi e' traccia dell'utilizzo di armi ad opera dell'organizzazione. Il motivo non e' fondato, perche' la disponibilita' di armi in capo all'organizzazione e' provato in modo diretto dalle perquisizioni e sequestri, descritti partitamente nella sentenza di primo grado alle pagine 68 e 69 in cui, nei luoghi indicati da (OMISSIS), sono state rinvenute effettivamente delle armi da sparo e delle cartucce. La disponibilita' di armi in capo all'organizzazione e' anche provato in modo indiziario dalla commissione ad opera della stessa di fatti di sangue, in particolare dagli omicidi di cui si e' autoaccusato (OMISSIS) quale esecutore materiale o quale mandante, a nulla rilevando che ad esso sia associabile o meno (OMISSIS), posto che, ai fini del giudizio di cui al comma 4 dell'articolo 416-bis c.p., cio' che rileva e' la disponibilita' delle armi in capo alla struttura criminale, non in capo al singolo partecipante. 7.4. Il quarto motivo ed il motivo nuovo deducono erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta esistenza di un ruolo apicale in seno all'associazione, ruolo apicale che sarebbe stato desunto dalle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) e del collaboratore (OMISSIS), che parlano della disponibilita' del ricorrente ad effettuare omicidi per conto dell'organizzazione, ma smentito dalla circostanza che mai il ricorrente e' stato iscritto per omicidio nel registro notizie di reato, ruolo apicale che in definitiva non e' confermato da nessun riscontro. Nel motivo nuovo si aggiunge che il ricorrente non ha provocato ad esempio l'adesione di terzi all'associazione ed ai suoi scopi attraverso un'attivita' di diffusione del programma, ne' che abbia compiuto funzioni decis39Ionali, e che il richiamo generico alle dichiarazioni rese dal collaboratore di Giustizia (OMISSIS) che lo ha definito "il numero uno" della organizzazione criminale di (OMISSIS) e di (OMISSIS) non puo' giustificare una condanna a titolo di organizzatore. La sentenza di appello ha attribuito a (OMISSIS) la qualifica di cui al comma 2 dell'articolo 416-bis c.p., considerandolo responsabile della `ndrina di (OMISSIS). La fonte di questa attribuzione sono le dichiarazioni di Olivetti, riscontrate da quelle del collaboratore di giustizia (OMISSIS), che la Corte di appello considera particolarmente attendibile su (OMISSIS) perche' organicamente inserito proprio nella âEuroËœndrina di (OMISSIS). La Corte di appello aggiunge poi che c'e' un ulteriore riscontro alla apicalita' della posizione di (OMISSIS) nel gruppo criminale nella intercettazione di una conversazione di (OMISSIS), il riconosciuto capo della âEuroËœndrina di (OMISSIS), che individuava nello (OMISSIS) il killer che aveva ucciso, insieme ad (OMISSIS), il (OMISSIS); la Corte d'appello indica un ulteriore riscontro a questa posizione apicale del ricorrente anche in una ulteriore conversazione in cui (OMISSIS) dice ad (OMISSIS) che avrebbe atteso la scarcerazione di (OMISSIS) prima di riorganizzare le attivita' sul territorio. Secondo un percorso logico sostanzialmente conforme, nella pronuncia di primo grado il Tribunale di (OMISSIS) aveva ritenuto che, sulla posizione apicale di (OMISSIS), il primo elemento di accusa era costituito dalla chiamata in correita' di (OMISSIS), che chiama (OMISSIS) il numero uno della âEuroËœndrina di (OMISSIS) a partire dalla morte dello zio (OMISSIS). Il Tribunale di (OMISSIS) aveva aggiunto che la chiamata era riscontrata da (OMISSIS), che pure attribuisce a (OMISSIS) un ruolo egemone nel gruppo dei sangiovannesi di cui fa parte anche il fratello di (OMISSIS), ed aveva richiamato anche la conversazione progressivo 4931 del 24 giugno 2014 in cui (OMISSIS), che era il capo della âEuroËœndrina di (OMISSIS), riferisce che (OMISSIS) era in predicato per assumere definitivamente la direzione della âEuroËœndrina di (OMISSIS). Sulla partecipazione all'omicidio (OMISSIS) il giudice di primo grado riporta, invece, le dichiarazioni di (OMISSIS) che dice che si trovarono a sera. con (OMISSIS), (OMISSIS) ed altri e da quello che i presenti dicevano capi' che stavano festeggiando la uccisione del macellaio (OMISSIS) e che (OMISSIS) faceva i complimenti a (OMISSIS) per il ruolo che aveva svolto, nonche' la conversazione intercettata progressivo 4027 del 20 dicembre 2013 tra (OMISSIS) e tale (OMISSIS) in cui il primo autorizza (OMISSIS) a tenere un'attivita' di vendita ambulante di generi alimentari a condizione che acquisti i prodotti da un soggetto indicato dallo stesso (OMISSIS). Nel motivo di ricorso si contesta che da questo materiale probatorio risultino comportamenti concreti in cui si sarebbe sostanziato questo ruolo di organizzatore dell'imputato. Il motivo e' sviluppato fondamentalmente in diritto senza una specifica contestazione degli elementi probatori da cui la sentenza impugnata ha tratto il giudizio di responsabilita' sulla posizione apicale di (OMISSIS) nella organizzazione criminale. Il motivo non prende posizione, infatti, sulla circostanza che (OMISSIS) sia stato indicato da (OMISSIS) come la persona che in occasione di una serie di furti avvenuti nel territorio di (OMISSIS) si e' recato ad (OMISSIS) a chiedere la cessazione del fenomeno ad una cosca che controllava il territorio cui apparteneva il soggetto che era accusato di averli perpetrati; il tenere contatti esterni con i gruppi criminali dei territori limitrofi e', infatti, una attivita' che e' indice di un ruolo apicale, cosi' come lo e' la circostanza, pure valorizzata in sentenza, che si chieda a (OMISSIS) l'autorizzazione a tenere un'attivita' di vendita ambulante di generi alimentari nel territorio di competenza, che e' una risposta anche al motivo nuovo laddove si dice che l'attivita' di (OMISSIS) non avrebbe provocato l'ingresso di altri soggetti nell'associazione, ma, in realta', ne ha comunque rafforzato la capacita' attrattiva nel momento in cui (OMISSIS) autorizza una persona a svolgere l'attivita' ambulante soltanto se si rifornira' da persona indicata dallo stesso. L'intenzione di attendere la scarcerazione di (OMISSIS) per ricostruire le attivita' criminali nel territorio che (OMISSIS) riferisce ad (OMISSIS) e', a sua volta, conferma della dichiarazione di (OMISSIS) sul ruolo apicale del ricorrente. Il ricorso non prova ad attaccare queste parti della pronuncia, e quindi non si confronta, in realta', pienamente con il percorso argomentativo del giudice del merito, che resiste, pertanto, alle critiche le sono state mosse, e che induce a ritenere manifestamente infondato il motivo di ricorso. - 7.5. Il quinto motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta responsabilita' per il reato del capo 12, perche' non si comprende quale sia stata in concreto la condotta commessa dal ricorrente nel contesto dell'episodio estorsivo, la stessa persona offesa riferisce che quando il ricorrente frequentava il locale pagava regolarmente, per cui in definitiva il ricorrente e' condannato per responsabilita' da posizione. Inoltre, al piu' i fatti andrebbero riqualificati in danneggiamento. Il motivo e' infondato. Nel rispondere a questo motivo di appello, poi divenuto motivo di ricorso, la Corte d'appello rimanda ampiamente alla sentenza di primo grado, e spiega che nell'episodio contestato il ruolo di (OMISSIS) e' quello del mandante, in quanto (OMISSIS) commise il fatto di danneggiamento non perche' ubriaco ma perche' inviato da (OMISSIS) e (OMISSIS) che per tale azione gli avevano dato carta bianca. La sentenza di primo grado conferma e specifica ricostruendo il percorso della progettata estorsione al locale (OMISSIS) attraverso le conversazioni intercettate, da cui si comprende bene, senza che sul punto la sentenza possa essere tacciata di travisamento delle risultanze probatorie, che (OMISSIS) era âEuroËœstato inviato nel locale con un mandato specifico. In particolare, la pronuncia di primo grado evidenzia che alle 2.30 della notte del 28 luglio 2013 e' stata intercettata una conversazione in cui tale (OMISSIS) ricorda ad (OMISSIS) che ha avuto carta bianca, ed (OMISSIS) risponde che glielo ha detto lui quello che devo fare, e che poi alle 3.56 (OMISSIS) chiama (OMISSIS) e gli dice che e' stato cacciato fuori e chiede come si deve comportare e (OMISSIS) gli dice che deve fare come era stato deciso, ed alle 4.36 (OMISSIS) chiama sempre (OMISSIS) e dice che un tale (OMISSIS) dice che vuole vedere (OMISSIS). Nel percorso della sentenza impugnata emerge anche che dopo alcune ore alle 19.33 (OMISSIS) chiama sempre (OMISSIS) che gli chiede se lo ha detto a (OMISSIS), ed (OMISSIS) dice di si' e (OMISSIS) gli ha detto che ne risponde lui, e che (OMISSIS) chiama poi (OMISSIS) lo mette a conoscenza delle richieste di denaro di (OMISSIS) e (OMISSIS) gli risponde che va bene ma che non avrebbe corrisposto il denaro richiesto ("l'avanza"). Inoltre, come ulteriore elemento a carico la pronuncia di primo grado riporta anche le dichiarazioni di (OMISSIS) che riferisce di aver lavorato nel locale proprio su disposizione di (OMISSIS). Nel motivo di ricorso si sostiene che il (OMISSIS) di cui parlano gli interldcutori al telefono nella conversazione n. 6046 non e' (OMISSIS), ma, in realta', nella stessa sentenza e' scritto espressamente che il (OMISSIS) della telefonata n. 6046 e' (OMISSIS), ma cio' non incide sul percorso logico della decisione, in cui per la individuazicine di (OMISSIS) e' ritenuto decisivo che, come riportato sopra, quando il proprietario del locale ha chiesto di essere risarcito, (OMISSIS) chiami (OMISSIS) (nel ricorso non vi e' contestazione sulla circostanza che l'interlocutore sia proprio (OMISSIS) nella conversazione in esame) e lo metta a conoscenza delle richieste di denaro, e (OMISSIS) gli risponde che va bene e che "l'avanza" (pag. 84 della sentenza di primo grado). Non e' illogico che da questo materiale probatorio la pronuncia di primo grado, e poi quella confermativa della Corte d'appello, abbiano tratto la conclusione che il (OMISSIS) di cui si parla come mandante dell'azione criminosa sia proprio (OMISSIS). Non e' illogico, inoltre, che, a fronte del materiale probatorio costituito dalle conversazioni intercettate da cui si evince con evidenza che (OMISSIS) ha seguito la notte dei fatti un piano programmato su cui ha riferito prontamente al telefono ai suoi mandanti, la motivazione della sentenza impugnata abbia attribuito un rilievo subvalente alle dichiarazioni del titolare del locale e della moglie dello stesso sulla causa che avrebbe determinato (OMISSIS) a compiere il danneggiamento. La prova costituita dalle conversazioni intercettate restituisce, infatti, una fotografia degli eventi di quella notte che collide apertamente con la versione fornita dal titolare del locale e dalla moglie. La ponderazione degli elementi di prova, e la prevalenza dell'uno rispetto all'altro, e' apprezzamento di fatto che appartiene al giudice del merito, ma non e' in ogni caso illogico che nel caso in esame i giudici del merito, in doppia conforme, abbiano attribuito rilievo prevalente ad una prova (quella restituita dalle conversazioni intercettate) che fotografa la realta' degli eventi di quella notte in modo oggettivo rispetto ad una prova (quella delle dichiarazioni della vittima e della moglie) che passa attraverso un preliminare scrutinio di credibilita' soggettiva ed oggettiva di persone che, pur non essendosi costituite parte civili, avevano un interesse civilistico nella vicenda, interesse che hanno soddisfatto rivolgendosi direttamente alla controparte contro cui poi sono state chiamate a testimoniare. Non e', inoltre, illogico che alla luce del materiale probatorio evidenziato nella sentenza impugnata non sia stata accolta la richiesta di riqualificazione del fatto in danneggiamento, sia alla luce delle conversazioni intercettate da cui emerge il progetto criminoso come percepito dalla stessa vittima, sia alla luce delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), pure riferite in sentenza, che inserisce la questione del danneggiamento nella non accettazione della sua presenza come dipendente del locale. 7.6. Il sesto motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta responsabilita' per il reato del capo 14, perche' questo ulteriore tentativo di estorsione sarebbe rimasto allo stato sotto la soglia del tentativo punibile, essendo stata recapitata al locale solo una proposta di assunzione di una persona, proposta che e' stata rifiutata senza conseguenze per chi ha manifestato il rifiuto. Inoltre, secondo il motivo di ricorso, non si comprenderebbe quale comportamento abbia tenuto il ricorrente, di cui nessuno riferisce. Il motivo e' infondato. La sentenza di secondo grado effettua un ampio rinvio alla pronuncia di primo grado, che specifica che la tentata estorsione al (OMISSIS) e' stata ricostruita tramite le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), che riferisce in correita' di circostanze che conosce personalmente per esserne stato parte, nonche' tramite le intercettazioni, da cui emerge anche l'intervento in prima persona di (OMISSIS). Nel motivo di ricorso si sostiene che vi e' stata soltanto una proposta di effettuare un servizio di vigilanza che e' stata rifiutata, ma in realta' il percorso logico della sentenza di primo grado comprende anche degli elementi di prova su cui non si prende posizione in ricorso, quali l'intervento di un altro gruppo criminale che avrebbe dato protezione al locale contro la richiesta che era stata rivolta, intervento che si comprende da altra conversazione in cui (OMISSIS) riferisce a (OMISSIS) che il locale si e' messo sotto protezione di quelli di sotto; nel percorso logico della pronuncia di rimo grado trova posto anche il post factum costituito dalla conversazione in cui (OMISSIS), scontento dell'esito della vicenda, riferisce a (OMISSIS) che avrebbe richiesto comunque il compenso come se avesse svolto il servizio, pretesa che e' una evidente espressione di logica criminale e di rapporti di forza, e che in alcun modo puo' essere letta come una mera vicenda relativa ad un appalto di servizi assegnato ad altri, come pretende il ricorrente. 7.7. Il settimo motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta responsabilita' per l'aggravante dell'articolo 416-6/5.1 c.p. nella sua componente oggettiva, riconosciuta sia per il reato del capo 12 che per il reato del capo 14, in quanto non si comprende da cosa sia stata desunta posto che non e' stato usato un linguaggio mafioso, che manca un comportamento propriamente intimidatorio, e l'estorsore ha anche risarcito i danni. Il motivo e' infondato. La Corte d'appello ritiene l'esistenza dell'aggravante per "il ruolo riconosciuto allo (OMISSIS) nell'associazione di âEuroËœndrangheta per cui si procede e perche' le vicende in esame sono connotate da un indubbio metodo mafioso e finalizzate ad agevolare le attivita' della âEuroËœndrina operante in (OMISSIS) della quale l'imputato faceva parte con ruolo apicale". In ricorso si sostiene che e' mancata una condotta propriamente intimidatoria causalmente connessa alla realizzazione del fatto-reato, ma nell'episodio sub 12 la condotta intimidatoria e' stata individuata dai giudici del merito ed e' il danneggiamento prodromico alla richiesta estorsiva (cfr. pagina 85 della sentenza di primo grado in cui, tirando le conclusioni sul materiale probatorio, si sostiene che esso "con assoluta certezza dimostra che (OMISSIS) si e' recato presso il night club di Pignanelli, ove ha posto in essere una pacifica condotta di danneggiamento") mentre nell'episodio sub 14 la condotta intimidatoria e' stata puntualmente individuata nelle pronunce di merito nella "imposizione della forzosa assunzione di (OMISSIS) come buttafuori" (pag. 95 della sentenza di primo grado), i giudici del merito hanno- ritenuto che "tale condotta, seppure non portata a compimento, e quindi correttamente contestata nella forma tentata, e' stata certamente in grado di incidere fortemente ed in maniera definitiva sulla liberta' d'impresa e sulla connessa liberta' di individuazione del personale dipendente che nel caso di specie ove il reato si fosse consumato, non sarebbe stato selez39Ionato secondo i criteri che regolano tali scelte nel mondo imprenditoriale, in ossequio a parametri di economicita', produttivita' e redditivita', ma esclusivamente in ragione delle condotte di intimidazione e costrizione poste in essere" (sempre pag. 95 citata). In modo non illogico, pertanto, sia il giudice di primo grado che quello d'appello sono pervenuti al giudizio di responsabilita' anche in ordine alla sussistenza dell'aggravante. 7.8. L'ottavo motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta responsabilita' per l'aggravante dell'articolo 416-bis.1 c.p. nella sua componente finalistica, riconosciuta sia per il reato del capo 12 che per il reato del capo 14, in quanto il dolo di favorire l'associazione deve essere diretto, non potendo rilevare vantaggi indiretti o lo scopo di favorire un esponente della cosca. Il motivo e' infondato. Le Sezioni Unite hanno evidenziato che "possono sussistere plurimi motivi che determinano all'azione che, ove accertati, non depotenz ano la funzione intenz39Ionale della condotta richiesta dalla norma specifica" e che "essenziale alla configurazione del dolo intenz39Ionale e' la volizione da parte dell'agente, tra i motivi della sua condotta, della finalita' considerata dalla norma" (Sez. U, Sentenza n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, Chioccini, Rv. 278734; cfr., sul punto, anche Sez. 6, Sentenza n. 24883 del 15/05/2019, Crocitta, Rv. 275988: In tema di favoreggiamento personale, e' configurabile l'aggravante dell'agevolazione mafiosa solo qualora risulti provato che la condotta sia caratterizzata dalla coscienza e volonta' di favorire, unitamente ai singoli indagati, anche le rispettive cosche di appartenenza; Sez. 5, Sentenza n. 28648 del 17/03/2016, Zindato, Rv. 267300: Ai fini della sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 7 Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, conv. nella L. 12 luglio 1991, n. 203, e' necessario che la condotta di agevolazione sia finalizzata a far si' che l'associazione mafiosa nel suo insieme tragga beneficio dall'attivita' svolta, non essendo sufficiente che serva gli interessi dei singoli associati, pur se collocati ai vertici del sodalizio criminale). I giudici del merito hanno fatto buon governo di tali principi ritenendo che, a prescindere dalla circostanza che il beneficiario diretto del reato possa anche essere una singola persona fisica, i fatti accertati siano "espressione della pretesa di controllo delle attivita' economiche del territorio nutrita dallo (OMISSIS) quale esponente apicale del gruppo dei sangiovannesi" (pag. 87 della sentenza di primo grado). Infatti, favorire un esponente della associazione mafiosa significa in ogni caso favorire l'associazione in quanto tale, perche' cio' contribuisce alla assunzione di potere, di capacita' di contatti, ed, in qualche caso, anche di risorse finanziarie per l'organizzazione, ed, in ogni caso, in una logica di rapporti di forza che e' propria dell'equilibrio tra i gruppi criminali ed e' anche lo strumento attraverso cui i gruppi criminali riescono ad imporre la propria presenza sul territorio, rafforza l'immagine del gruppo e ne aumenta la capacita' attrattive nei confronti di altri potenziali sodali che possono essere tentati di affidarsi all'organizzazione per vedere realizzate le loro aspirazioni, in questo caso, di sistemazione lavorativa. 7.9. Il nono motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta esistenza dell'aggravante dell'articolo 628, comma 3, n. 3 c.p., in quanto all'epoca dei fatti il ricorrente non era persona sospettabile di âEuroËœndrangheta. Il motivo e' infondato. Non e' rilevante che alla data in cui e' commesso il fatto il ricorrente fosse stato o meno gia' condannato per un delitto di criminalita' organizzata, perche' la norma si applica non a chi e' condannato, ma a chi "fa parte dell'associazione di cui all'articolo 416-bis". Nel motivo di ricorso si dice che alla data in cui e' commesso il fatto il ricorrente non fosse neanche sospettato di far parte dell'associazione di cui all'articolo 416bis c.p., ma l'accertamento sull'essere o meno sospettato di tale reato lo effettua la stessa sentenza di primo grado che prende posizione su questa aggravante e precisa che essa si puo' applicare a (OMISSIS) perche' con la stessa sentenza egli viene condannato per il reato di associazione mafiosa. In questo modo la pronuncia fa, in effetti, corretta e pedissequa applicazione dell'orientamento della giurisprudenza di legittimita' che ha ritenuto che "ai fini della configurabilita' della circostanza aggravante prevista dall'articolo 628, comma 3, n. 3, c.p., non e' necessario che l'appartenenza dell'agente a un'associazione di tipo mafioso sia accertata con sentenza definitiva, ma e' sufficiente che tale accertamento sia avvenuto nel contesto del provvedimento di merito in cui si applica la citata aggravante". (Sez. 2, Sentenza n. 33775 del 04/05/2016, Bianco, Rv. 267850). Il motivo, pertanto, deve essere respinto. 7.10. Il decimo motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta esistenza della recidiva, desunta soltanto dai precedenti penali, in particolare per estorsione, senza un giudizio individualizzato sulla maggiore capacita' criminale. Il motivo e' infondato. Al di la' del fatto che in concreto la recidiva non ha esplicato effetto sulla pena principale, perche' e' ritenuta solo con riferimento alle tentate estorsioni, va evidenziato che la giurisprudenza di legittimita' ha ammesso che il giudizio sulla recidiva possa "essere adempiuto anche implicitamente" (Sez. 6, Sentenza n. 14937 del 14/03/2018, De Bellis, Rv. 272803) "ove si dia conto della ricorrenza dei requisiti di riprovevolezza della condotta e di pericolosita' del suo autore" (Sez. 6, Sentenza n. 20271 del 27/04/2016, Duse, Rv. 267130). Nel caso in esame, la sentenza impugnata contiene riferimenti alle "indiscusse capacita' criminali del ricorrente" (pag. 101 della sentenza di primo grado) o al suo "rilevante ruolo" ricoperto nell'organizzazione criminale (pag 35 della sentenza di secondo grado). 8. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Il ricorso e' infondato. 8.1. Con il primo motivo si deduce nullita' della sentenza per mancata assunzione di prova decisiva che sarebbe costituita dall'assunzione delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), collaboratore che aveva reso dichiarazioni nei confronti di (OMISSIS), in separato procedimento per l'omicidio (OMISSIS) che costituisce l'unico comportamento attribuito al ricorrente nel contesto dell'associazione. La Corte d'appello aveva risposto alla istanza difensiva di sentire il collaboratore (OMISSIS) nel seguente modo: "deve, innanzitutto, essere rigettata la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale poiche' l'esame del collaboratore (OMISSIS) non appare rilevante ai fini della decisione. Dal verbale dell'interrogatorio reso dal (OMISSIS), il cui stralcio e' allegato ai motivi di appello, non solo non emerge l'estraneita' del (OMISSIS) al duplice omicidio (OMISSIS)/ (OMISSIS), atteso che il collaboratore lo indica tra i mandanti dell'omicidio, quanto non e' ravvisabile neppure contraddittorieta' rispetto al ruolo di mandante autoattribuitosi dall' (OMISSIS). Si tratta, invero, di dichiarazioni de relato del tutto generiche su fatti che il collaboratore avrebbe appreso da suo fratello mentre si trovava detenuto, e che non sono, comunque, inconciliabili con il ruolo di esecutore materiale dell'omicidio attribuito dall' (OMISSIS) al (OMISSIS), posto che il primo aveva inviato dal nord Italia in (OMISSIS) proprio il (OMISSIS) per informare (OMISSIS) della decisione presa di eliminare il (OMISSIS), ed il (OMISSIS) a sua volta aveva convocato (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per studiare il piano delittuoso; di talche' la presenza del (OMISSIS) in (OMISSIS) e le informazioni da questi passate ai soggetti indicati poteva ben essere stata intesa, e quindi riferita al collaboratore (OMISSIS), come ordine impartito per l'esecuzione dell'omicidio senza essere a conoscenza del coinvolgimento, in qualita' di mandante, anche dell' (OMISSIS) che all'epoca dei fatti viveva al nord". Il motivo di ricorso attacca questa decisione, sostenendo che (OMISSIS) sia poco credibile, perche' sbaglia completamente l'altezza del 8Tassone (lo indica come 1.80, mentre sarebbe 1.60) e lo indica come residente a (OMISSIS) (mentre, in realta', vive ormai da anni in Lombardia). Queste deduzioni non contrastano la decisione della Corte d'appello, ed anzi in un certo senso rafforzano la conclusione della sentenza impugnata della l'inutilita' di sentire (OMISSIS). Il motivo di ricorso conforta la decisione della Corte d'appello nel momento in cui sostiene che (OMISSIS) sia anche poco credibile nel momento in cui attribuisce l'omicidio a (OMISSIS), mentre la tesi che, proprio perche' il collaboratore ne individua come autore una persona molto alta e residente in (OMISSIS), egli si possa riferire ad altra persona che ha conosciuto con il nome sbagliato, introduce un elemento che, piu' che congetturale, e' di mera confusione, e rende la prova costituita dalle dichiarazioni di (OMISSIS) inidonea ad essere sussunta sotto il paradigma della mancata assunzione di prova decisiva, che, per giurisprudenza consolidata, e' una "prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante. (Sez. 3, Sentenza n. 9878 del 21/01/2020, R., Rv. 278670; circa la svalutazione della prova dichiarativa quale prova decisiva ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera d), c.p.p. v. anche Sez. 5, Sentenza n. 37195 del 11/07/2019, D., Rv. 277035: la prova decisiva, la cui mancata assunzione puo' essere dedotta in sede di legittimita' a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera d), c.p.p., deve avere ad oggetto un fatto certo nel suo accadimento e non puo' consistere in un mezzo di tipo dichiarativo, il cui risultato e' destinato ad essere vagliato per effettuare un confronto con gli altri elementi di prova acquisiti al fine di prospettare l'ipotesi di un astratto quadro storico valutativo favorevole al ricorrente). 8.2. Il secondo motivo deduce nullita' della sentenza per erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, perche' la Corte d'appello ha ritenuto convergenti sulla posizione del ricorrente le chiamate dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS), ma in esse, in realta', vi sarebbero divergenze perche', quanto al mandante dell'omicidio, (OMISSIS) si e' attribuito la paternita' della decisione mentre (OMISSIS) individua il mandante in tale (OMISSIS), sul movente (OMISSIS) indica la necessita' di evitare contrasti con i cirotani, mentre (OMISSIS) riferisce di una sovrapposizione delle piazze di spaccio, sul coesecutore che avrebbe affiancato il ricorrente (OMISSIS) indica tale (OMISSIS) e (OMISSIS) tale (OMISSIS). Le dichiarazioni sarebbero convergenti solo sul fatto che entrambi indicano il ricorrente come l'autore del reato che avrebbe esploso i colpi da arma da fuoco; i due collaboratori, inoltre, non renderebbero dichiarazioni autonome, perche' entrambi riferiscono, sia pure in modo diverso, quanto hanno appreso dalla stessa fonte, che e' lo stesso ricorrente. Il motivo e' infondato. La Corte d'appello ha risposto a questi argomenti rilevando che non vi sono reali contrasti tra le dichiarazioni dei due collaboratori e tra le due versioni del coinvolgimento di (OMISSIS) nell'omicidio: "entrambi i collaboratori hanno dichiarato che era stato il (OMISSIS) ad esplodere i colpi d'arma da fuoco all'indirizzo delle vittime e che l'omicidio era stato deliberato per contrasti insorti con esponenti di spicco della locale criminalita' e perche' il (OMISSIS), nonostante le raccomandazioni dell' (OMISSIS), aveva continuato a comportarsi con assoluta autonomia, mentre le difformita' evidenziate dalla difesa in ordine all'indicazione del mandante non sono di per se' idonee a privare della natura di riscontro individualizzante le dichiarazioni del (OMISSIS)". Il motivo di ricorso non riesce a scalfire il percorso argomentativo della Corte d'appello. Il fondamento della responsabilita' di (OMISSIS) per il reato associativo e' stato, infatti, individuato nelle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), che si autoattribuisce il ruolo di mandante dell'omicidio (cio' che in ricorso viene definita in modo piu' edulcorato come "imbasciata" ai soggetti in loco affinche' essi fossero resi edotti che era favorevole all'eliminazione di (OMISSIS), e che nella sostanza e' un mandato aperto o, se si preferisce, un mandato preliminare ad uccidere) ed indica in (OMISSIS) la persona cui lo ha commiss39Ionato. Il giudice di primo grado ha ritenuto tale comportamento idoneo a costituire prova della partecipazione di (OMISSIS) all'associazione in base alla regola di esperienza per cui un delitto di questo tipo da eseguire per conto dell'organizzazione mafiosa non viene affidato ad un componente estraneo all'organizzazione stessa. Questa chiamata di correo di (OMISSIS) e' stata ritenuta riscontrata dalle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), che riferisce di sapere, sia pure de relato, del coinvolgimento di (OMISSIS) nell'omicidio. Il motivo di ricorso censura che si verrebbe ad avere un riscontro che proviene dalla stessa fonte della chiamata in correita', perche' sia (OMISSIS) che (OMISSIS) riferiscono circostanze apprese da (OMISSIS), ma questo in realta' non e' del tutto vero, perche' (OMISSIS) riferisce per scienza diretta di aver incaricato (OMISSIS) dell'omicidio e delle sue causali, mentre riferisce de relato solo i particolari relativi all'esecuzione che ha appreso dallo stesso (OMISSIS). Il motivo di ricorso sostiene che vi sarebbero contraddizioni tra la chiamata in correita' di (OMISSIS) e la chiamata in reita' di (OMISSIS), ma le contraddizioni vertono su aspetti di dettaglio dell'esecuzione del crimine, che nel giudizio oggetto della sentenza impugnata sono del tutto irrilevanti, posto che in questo giudizio (OMISSIS) e' chiamato a rispondere di associazione a delinquere, e quindi cio' che rileva e' soltanto se egli ha ricevuto effettivamente il mandato omicidiario da (OMISSIS), come lo stesso collaboratore riferisce, perche' e' questo mandato che ne radica l'appartenenza all'associazione. Sulla esistenza del mandato, pur se aperto o preliminare, vi e' la chiamata in correita' di (OMISSIS), riscontrata dalla dichiarazione di (OMISSIS) che riferisce della confessione stragiudiziale ricevuta dallo stesso (OMISSIS) di essere stato l'autore dell'omicidio (dalla sentenza di primo grado si comprende, peraltro, che (OMISSIS) riferi' a (OMISSIS) anche di essere un appartenente alla âEuroËœndrangheta), e la ricostruzione della logica della sentenza impugnata resiste, pertanto, alle censure che le sono state mosse. 8.3. Il terzo motivo lamenta nullita' della sentenza per motivazione manifestamente illogica o contraddittoria in punto di responsabilita' per il reato associativo, atteso che il ricorrente non e' mai stato avvistato o fermato a (OMISSIS) e paesi limitrofi nel periodo dei fatti, e' sconosciuto all'autorita' di polizia del posto, e' sconosciuto anche a (OMISSIS) che pure e' la convivente del collaboratore (OMISSIS), non vi sono riscontri negli aeroporti vicino a (OMISSIS) di sue partenze per la (OMISSIS) al momento dei fatti, il ricorrente vive a (OMISSIS) e non risulta avere conoscenza degli organigrammi criminali della zona dei fatti. Il motivo e' inammissibile, perche' e' eccentrico rispetto al contenuto della sentenza impugnata che ha motivato la condanna di (OMISSIS) per il delitto associativo non per effetto di condotte connesse al controllo del territorio della cosca, ma in virtu' della partecipazione dello stesso all'omicidio (OMISSIS). Non rileva, pertanto, che il ricorrente non sia mai stato avvistato o fermato a (OMISSIS) e paesi limitrofi nel periodo dei fatti o che sia sconosciuto all'autorita' di polizia del posto o che non risultino partenze per la (OMISSIS), perche' questi argomenti non si confrontano con il contenuto della pronuncia impugnata. Ha un rilievo, invece, la circostanza che lo stesso non sia conosciuto da (OMISSIS), perche' cio' sta ad Indicare senz'altro che il rapporto del ricorrente con (OMISSIS) non e' passato attraverso una frequentazione continuativa, perche' altrimenti la compagna avrebbe conosciuto questa persona, ma si tratta in ogni caso di un elemento probatorio non decisivo, posto che l'appartenenza ad una associazione criminale non chiede necessariamente la frequentazione continuativa di uno o piu' dei suoi appartenenti, pur potendo la stessa costituirne un riscontro (Sez. 2, Sentenza n. 31541 del 30/05/2017, Abbamundo, Rv. 270468). 9. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Il ricorso e' infondato. 9.1. Il primo motivo ed il secondo motivo, dedicati entrambi a contestare la responsabilita' per il reato di tentata estorsione in danno del locale (OMISSIS), e che devono essere esaminati con (OMISSIS)mente, sono infondati. Nel primo motivo si sostiene che sarebbero state svalutate le dichiarazioni rese in giudizio dal titolare del locale e dalla moglie di questi, che effettuava il servizio di controllo degli ingressi al night club del marito; entrambi hanno sostenuto in giudizio che il danneggiamento commesso da (OMISSIS) sarebbe stato dovuto al rifiuto di far entrare l'imputato a causa del suo stato di ubriachezza. Nel motivo si deduce anche che la sentenza non avrebbe tenuto in conto che nelle telefonate intercettate risulta che fu il ricorrente a ricevere reiterate richieste di pagamento dalla vittima per il risarcimento dei danni cag39Ionati. Nel secondo motivo si sostiene che manchino elementi probatori a sostegno della tesi che il ricorrente avesse ricevuto un mandato estorsivo. In realta', nessuno di questi argomenti e' idoneo a disarticolare il percorso logico della sentenza di secondo grado (la cui motivazione -sul punto effettua un ampio rinvio per relationem alla sentenza di primo grado, di cui sono citate espressamente anche le pagine che si intendono richiamate) in punto di ritenuta esistenza del tentativo di estorsione. Il giudizio sulla logicita' della ricostruzione operata dalla Corte d'appello della vicenda della tentata estorsione al locale (OMISSIS) e' stato effettuato nell'affrontare l'analogo motivo di ricorso presentato dal coimputato (OMISSIS) al paragrafo 7.5 di questa sentenza, cui pertanto si fa rinvio in punto di accertata esistenza di un mandato estorsivo. Non e' illogico, inoltre, che - a fronte del materiale probatorio costituito dalle conversazioni intercettate da cui si evince che (OMISSIS) ha seguito la notte dei fatti un piano programmato sulla cui attuazione riferiva prontamente al telefono ai suoi mandanti - la motivazione della sentenza impugnata abbia attribuito un rilievo subvalente alle dichiarazioni del titolare del locale e della moglie dello stesso in punto di scaturigine del danneggiamento. La prova costituita dalle conversazioni intercettate restituisce, infatti, una fotografia degli eventi di quella notte che collide apertamente con la versione fornita dal titolare del locale e dalla moglie. La ponderazione degli elementi di prova, e la prevalenza dell'uno rispetto all'altro, e' apprezzamento di fatto che appartiene al giudice del merito, ma non e' in ogni caso illogico che nel caso in esame i giudici del merito, in doppia conforme, abbiano attribuito rilievo prevalente ad una prova (quella restituita dalle conversazioni intercettate) che fotografa la realta' degli eventi di quella notte in modo oggettivo rispetto ad una prova (quella delle dichiarazioni della vittima e della moglie) che passa attraverso un preliminare scrutinio di credibilita' soggettiva ed oggettiva di persone che, pur non essendosi costituite parte civili, avevano un interesse civilistico nella vicenda che hanno soddisfatto rivolgendosi direttamente alla controparte contro cui poi sono state chiamate a testimoniare. - 9.2. Il terzo motivo censura la mancata applicazione alla vicenda del tentativo di estorsione della disciplina della desistenza di cui all'articolo 56, comma 3, c.p. In esso si deduce che la Corte d'appello ha escluso la desistenza, perche' l'estorsione non si sarebbe perfez39Ionata per intervento di (OMISSIS) ed un altro soggetto che avevano il ruolo di protettori della vittima, ma, in realta', non risulterebbe alcun intervento di (OMISSIS), ed anzi l'abbandono del proposito criminoso emergerebbe dalle intercettazioni. Il motivo e' infondata. Il giudizio sulla logicita' e congruenza con le risultanze istruttorie della ricostruzione in fatto dell'episodio operata dalla Corte d'appello e' stato effettuato nell'affrontare il motivo di ricorso presentato dal coimputato (OMISSIS) al punto 7.6. di questa sentenza, cui si fa rinvio. Una volta riconosciuta come logica la conclusione della Corte d'appello sull'esistenza di un intervento di terzi a protezione del locale che ha ostacolato l'azione criminosa, la successiva conclusione del giudice del merito sulla impossibilita' di applicare la norma sulla desistenza di cui all'articolo 56, comma 3, c.p. e' coerente con le risultanze della istruttoria, che disegnano un quadro che, piu' che abbandono del progetto criminoso, e' quello di non riuscita dello stesso (si ricorda, a conferma della inesistenza della desistenza, la conversazione intercettata gia' evidenziata al paragrafo 7.6., in cui il correo (OMISSIS), ancora dopo la serata in cui doveva essere svolta la prestazione lavorativa, sostiene che si fara' pagare come se avesse fatto il servizio). La desistenza, infatti, "deve essere il frutto di una scelta volontaria dell'agente, non riconducibile ad una causa indipendente dalla sua volonta' o necessitata da fattori esterni" (Sez. 3, Sentenza n. 17518 del 28/11/2018, dep. 2019, T., Rv. 275647; in particolare, con riferimento al reato di tentata estorsione v. Sez. 2, Sentenza n. 3793 del 11/09/2019, dep. 2020, Fichera, Rv. 277969: "in tema di estorsione va considerata integrata l'ipotesi tentata ed esclusa la desistenza quando la consegna della somma di denaro, costituente oggetto di una richiesta effettuata con violenza o minaccia, non abbia avuto luogo non per autonoma volonta' dell'imputato, bensi' per la ferma resistenza opposta dalla vittima"). 10. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Il ricorso e' infondato. 10.1. Il primo motivo contesta la ritenuta responsabilita' del ricorrente per il reato del capo 24. In esso si evidenzia che di (OMISSIS) non parla mai il collaboratore di giustizia (OMISSIS) che ha fatto rinvenire lo stupefacente che ha originato poi il capo di imputazione, mentre in ordine alle conversazioni ambientali utilizzate come prova nei suoi confronti non e' noto quale sia il criterio in forza del quale sono state attribuite allo stesso. Il motivo e' infondato. Non e' illogico che la pronuncia di appello non abbia attribuito rilievo decisivo alla circostanza che di (OMISSIS) non parti il collaboratore (OMISSIS), perche' (OMISSIS) gia' in primo grado era stato assolto dall'accusa di essere uno dei componenti dell'associazione, (OMISSIS) e' rimasto coinvolto nel processo soltanto per la detenzione a fini di spaccio dei quantitativi di stupefacente indicati nei capi nn. 24 e 25; egli non ha, d'altronde, un collegamento diretto con (OMISSIS), ma soltanto con (OMISSIS), che aveva, invece, il contatto con (OMISSIS), ed, a quanto risulta dalle conversazioni intercettate, ne aveva anche favorito la latitanza ospitandolo con documenti falsi presso un suo agriturismo. L'attribuibilita' alla voce di (OMISSIS) delle conversazioni ambientali intercettate nell'autovettura di (OMISSIS) e' molto contestata dalla difesa, che afferma di non avere avuto sul punto adeguata risposta dalla Corte d'appello. La sentenza impugnata, in effetti, da' per scontata la attribuibilita' a (OMISSIS) di tali conversazioni e si appoggia sul punto alle conclusioni di quella di primo grado, di cui riporta diversi passaggi per esteso. La sentenza di primo grado e' piu' dettagliata e da' conto delle ragioni del coinvolgimento del (OMISSIS) nella vicenda riportando anche conversazioni telefoniche intrattenute tra questo e (OMISSIS) nel periodo in esame. Le conversazioni telefoniche intercettate sono, in effetti, piu' anodine rispetto alle ambientali, che sono, invece, molto piu' esplicite; al telefoni), infatti, (OMISSIS) e (OMISSIS) si limitano a prendere accordi per incontrarsi di persona, il che, peraltro, e' coerente con le loro preoccupazioni, che pure emergono dagli atti, secondo cui gli stessi avrebbero interesse a dispositivi per la bonifica delle conversazioni. Queste anodine conversazioni telefoniche, su cui la difesa, pero', non muove rilievi in ordine alla identificazione di (OMISSIS) come uno dei due interlocutori sono, pero', utili nella prospettiva accusatoria accolta dal giudice di primo grado, e poi confermata dal giudice di appello, di attribuire a (OMISSIS) anche le conversazioni ambientali che avvenivano nell'auto di (OMISSIS), atteso che il servizio di ascolto di una intercettazione ambientale comporta l'associazione di una voce ignota ad un nome tramite gli elementi noti a disposizione, tra cui vi e' senz'altro l'aver ascoltato la stessa voce in una conversazione telefonica attribuibile con certezza ad una persona identificata, o l'aver ascoltato in una conversazione telefonica tra due interlocutori riferimenti certi al contenuto di una conversazione ambientale intercettata o accordi per incontrarsi seguiti dall'incontro. In questo contesto, pertanto, non e' illogico che il giudice di primo grado, che ha assolto (OMISSIS) dalla contestazione del reato associativo sulla base delle stesse intercettazioni con cui gli ha attribuito, con giudizio confermato dalla Corte d'appello, i reati fine dei capi nn. 24 e 25 abbia ritenuto essere proprio (OMISSIS) il soggetto coinvolto in tali conversazioni ambientali, mentre la âEuroËœvalutazione nel merito delle fonti di prova resta estranea al giudizio di legittimita'. Una volta attribuite a (OMISSIS) le conversazioni ambientali intercettate, la deduzione della Corte d'appello sulla imputabilita' anche allo stesso della detenzione dello stupefacente rinvenuto in Castel(OMISSIS) occultato in alcuni fusti in acciaio e', pur se il terreno in cui era stato rinvenuto non dl proprieta' dello stesso, congruente con il contenuto di tali conversazioni, che sono in effetti sul punto molto esplicite. 10.2. Il secondo motivo e' dedicato alla ritenuta responsabilita' del ricorrente per il reato del capo 25 in quanto, relativamente alle tre telefonate utilizzate come prova nei suoi confronti, non e' noto quale sia il criterio in forza del quale sono state attribuite al ricorrente. Il motivo e' speculare al precedente, si differenzia solo per essere riferito al capo n. 25 della imputazione. Per esso valgono le stesse considerazioni appena espresse al punto 10.1, cui, pertanto, si fa rinvio. 10.3. Il terzo motivo contesta la mancata concessione delle attenuanti generiche che sarebbero state dovute per contributo marginale e comportamento processuale. Il motivo non e' fondato. La Corte d'appello ha ritenuto di non concedere le attenuanti generiche sull'assunto che non siano rilevabili elementi di segno positivo idonei al loro riconoscimento. Si tratta di un giudizio che non presenta profili di illogicita'. Nel motivo di ricorso si sostiene che gli elementi di segno positivo sarebbero il contributo marginale dell'imputato riconosciuto dalla stessa sentenza di primo grado che ha assolto (OMISSIS) dalla contestazione associativa (pag. 15 del ricorso) ed il comportamento processuale, ma la assoluzione dalla fattispecie associativa non comporta come consequenziale sul piano logico l'apprezzamento della marginalita' nel contributo causale dato ai due reati per cui (OMISSIS), invece, e' stato condannato, su cui in ricorso non sono spesi argomenti; la correttezza del comportamento processuale e', poi, una deduzione che nel caso in esame ha anche una vaghezza che la rende difficilmente apprezzabile, non essendo stato specificato in ricorso a cosa, in particolare, si riferisca. 11. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Il ricorso e' infondato. Nell'unico motivo si censura la ritenuta responsabilita' per il reato del capo 15, evidenziando che la responsabilita' si fonderebbe essenzialmente sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), non sufficientemente riscontrate; si evidenzia anche che i soggetti esterni all'associazione indicati nella imputazione come riferimenti del ricorrente non sono mai stati attinti da contestazioni o sono stati assolti, e che la stessa telefonata tra (OMISSIS) ed (OMISSIS) assunta come indizio a carico non avrebbe un significato esplicito. Il motivo e' infondato. Il giudizio sulla valutazione della Corte d'appello in punto di credibilita' del collaboratore (OMISSIS) ed attendibilita' delle sue dichiarazioni e' gia' stato effettuato al paragrafo 3.1. di questa sentenza, cui si fa rinvio. Il motivo di ricorso contesta l'esistenza di riscontri individualizzanti sulla posizione del ricorrente. La sentenza impugnata individua l'esistenza di tali riscontri nella parte in cui afferma che: "la chiamata in correita' dell' (OMISSIS) in ordine alla partecipazione al traffico da parte dell'imputato ha trovato riscontro nelle convergenti dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che in un ampio compendio intercettivo, anche il collaboratore di giustizia (OMISSIS), infatti, ha parlato del (OMISSIS) definendolo come un soggetto dedito allo spaccio di erba e fumo. La (OMISSIS), ha ricordato, invece, in cio' confermando appieno il racconto dell' (OMISSIS), di essere andata a (OMISSIS) casa di un tale (OMISSIS), detto âEuroËœ (OMISSIS)' e di avere li' trovato il (OMISSIS); da tale luogo, ha aggiunto, l' (OMISSIS), (OMISSIS), detto âEuroËœ (OMISSIS)' e (OMISSIS) erano poi partiti alla volta della Germania. Ulteriori elementi di riscontro sono, poi, costituti dalle intercettazioni poste a fondamento dei reati di cui ai capi 20) e 21) della rubrica". La motivazione della sentenza impugnata non presenta i profili di illogicita' censurati in ricorso. Non e' un profilo di illogicita' della pronuncia la circostanza che le dichiarazioni di (OMISSIS) siano un riscontro debole perche' provengono da persona vicina al collaboratore, in quanto (OMISSIS) riferisce un fatto (l'aver incontrato (OMISSIS) nella occasione precisata) di cui ha conoscenza diretta, e non per riferito dal collaboratore. Non e' un profilo di illogicita' della pronuncia la circostanza che (OMISSIS) parli del ricorrente come un soggetto genericamente coinvolto in attivita' di spaccio senza pero' indicare specificamente il collegamento con l'associazione. Come gia' precisato sopra, il riscontro esterno funge soltanto da parametro di conferma di una dichiarazione eteroaccusatoria proveniente da uno dei soggetti di cui all'articolo 192, comma 3, c.p.p., ma non deve avere il contenuto di una prova autonoma, perche' altrimenti sarebbe esso stesso prova; pertanto, nel caso in esame, posto che la fonte dl prova a carico del (OMISSIS) sono le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), la circostanza che il collaboratore (OMISSIS) ricordi il (OMISSIS) come una persona coinvolta nello spaccio di stupefacenti sono un riscontro sufficiente alle dichiarazioni del primo collaboratore secondo lo standard, gia' riferito sopra della piu' volte citata pronuncia delle Sezioni Unite Aquilina. Peraltro, nel caso in esame la Corte d'appello ha evidenziato anche l'ulteriore elemento di riscontro costituito dalle conversazioni intercettate in cui si parla del ricorrente, atteso che il " (OMISSIS), quello del lavaggio" di cui parlano (OMISSIS) ed (OMISSIS) e', in base all'utilizzo dei criteri della logica, associabile a (OMISSIS), persona che pacificamente i due interlocutori conoscono e di cui in atti si dice essere titolare di un autolavaggio in (OMISSIS). In questo contesto l'ulteriore censura contenuta in ricorso in cui si evidenzia che le persone che in imputazione si assumeva collegate a (OMISSIS) siano state prosciolte, pur corretta, non e' sufficiente a disarticolare il percorso logico-argomentativo della pronuncia impugnata. Il motivo e', pertanto, infondato. 12. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Il ricorso e' infondato. 12.1. Il primo motivo sostiene che la sentenza di primo grado riporta a pagina 4 anche il capo di imputazione per il reato dell'articolo 416-bis cod. pen per cui non vi era stato rinvio a giudizio; non si tratterebbe, a giudizio del ricorrente, di una svista casuale ma del segno evidente di un pregiudizio che ha portato di fatto il ricorrente ad essere processato anche per l'articolo 416-bis cod. pen pur senza essere mai stato vocato in ius e condannato per questo titolo. Il motivo e' inammissibile. La sentenza impugnata non contiene condanna del ricorrente per il reato dell'articolo 416-bis c.p., come lo stesso ricorso, peraltro, ammette. Ne consegue che manca qualsiasi interesse all'impugnazione, perche' dall'eventuale accoglimento il ricorrente non trarrebbe alcun beneficio. Per il vero, vi e' un ulteriore profilo di inammissibilita' del motivo di ricorso; manca anche, infatti, a monte il capo della sentenza impugnato con questo motivo, posto che nessun capo della decisione e' dedicato alla condanna del ricorrente per la fattispecie penale indicata, e gia' di per se' la mancata indicazione del capo della decisione che viene aggredito con l'impugnazione costituisce causa autonoma di inammissibilita' del ricorso ex articolo 581 c.p.p.. 12.2. Il secondo motivo deduce che la sentenza impugnata non avrebbe preso in considerazione un documento prodotto dalla difesa, allegato anche al ricorso, in una versione in lingua fiamminga, ed in una versione in lingua italiana redatto âEuroËœda traduttore giurato. Questo estratto della decisione giudiziaria della Corte di appello di Anversa del 29 giugno 2007 documenterebbe che in quella data la Corte d'appello ha ordinato l'arresto immediato di (OMISSIS). (OMISSIS) era in quel periodo processato in (OMISSIS) e la condanna alla pena di 4 anni di reclusione era divenuta irrevocabile per effetto della reiezione del.ricorso in Cassazione il 27 novembre 2007, circostanza che si apprende sempre dai documenti allegati al ricorso. Da questi documenti dovrebbe desumersi la latitanza del ricorrente in (OMISSIS) tra il giugno 2007 e sino all'avvenuto arresto del (OMISSIS), il che renderebbe, nella prospettazione del ricorrente, poco credibile le dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) che attribuisce al ricorrente proprio il ruolo di corriere con il (OMISSIS). Il motivo e' infondato. In esso si censura nella sostanza non una mancata assunzione di prova decisiva, perche' la prova, secondo la stessa prospettazione del ricorso, e' stata assunta, ma un travisamento per omissione, con riferimento alla mancata valutazione dei documenti del processo belga introdotti dalla difesa. Va osservato che il travisamento assume rilievo soltanto quando attiene a circostanza di fatto idonea, per la sua forza, a disarticolare il percorso logico della decisione impugnata. E, se si legge la sentenza impugnata, si puo' notare come il giudice del merito abbia attribuito a (OMISSIS) soprattutto il ruolo di organizzatore dei viaggi di stupefacente proveniente dal (OMISSIS) grazie ai contatti, anche familiari, di cui disponeva in quel paese e grazie alla copertura della sua attivita' di commercio di autovetture usate. La sentenza impugnata, infatti, a pag. 18 precisa il ruolo di (OMISSIS) in questi termini: "abitava a (OMISSIS) e aveva il fratello, i nipoti e anche parecchi cugini al confine dell'(OMISSIS), in (OMISSIS) ove parlano fiammingo", si occupava in genere di macchine di grossa cilindrata, anche rubate o a leasing che mandava all'estero, in particolare in (OMISSIS) e in (OMISSIS). Egli era, dunque, in grado di fare arrivare dal (OMISSIS) e dall'(OMISSIS) grossi quantitativi di stupefacente e, infatti, ha detto testualmente il collaboratore, "la maggior parte della droga la faceva arrivare lui". E' vero che la stessa pronuncia aggiunge a pag. 20 che il collaboratore (OMISSIS) ha indicato (OMISSIS) come "il sodale che, oltre a procurare i contatti con canali esteri di approvvig39Ionamento, era preposto alle funzioni specifiche di corriere, con il compito di portare in Italia rilevanti quantitativi di droga, prelevati in (OMISSIS) e (OMISSIS)", e che, pertanto, nell'impianto della sentenza impugnata (OMISSIS) non avrebbe soltanto il ruolo dell'organizzatore dei trasporti, ma anche quella di corriere. Anche se poi a pag. 74 della motivazione si torna a ritagliare a (OMISSIS) il ruolo dell'organizzatore del trasporto dall'estero, attribuendo il ruolo del corriere al coindagato (OMISSIS) ("il (OMISSIS) era in contatto con il coimputato (OMISSIS) che fungeva da corriere"). Il giudizio della Corte d'appello quantomeno sul ruolo di organizzatore dei trasporti dello stupefacente non e' Scalfito sul piano della congruenza logica dalle vicende giudiziarie dell'imputato in (OMISSIS), vicende che non gli hanno, peraltro, impedito di recarsi in Germania (un altro dei paesi coinvolti nel traffico, ove fu controllato (OMISSIS) in occasione di uno dei trasporti gia' valutati al punto 6.3 di questa sentenza) dove poi, in base agli stessi documenti prodotti in allegato al ricorso, emerge che egli fu arrestato il (OMISSIS), per poi essere estradato in (OMISSIS) il 10 luglio 2015. 12.3. Il terzo motivo lamenta mancata assunzione di prova decisiva, perche' la Corte d'appello avrebbe respinto la richiesta di assunzione di due interrogatori resi in fase di indagini dal collaboratore (OMISSIS) il 23 aprile 2012 ed il 16 maggio 2012. Il ricorso censura la motivazione della Corte d'appello, secondo cui essi avrebbero dovuto essere usati nell'esame e controesame, sostenendo che lo standard di decisione della rinnovazione dibattimentale ex articolo 603 c.p.p. avrebbe dovuto essere quello della incapacita' di decidere allo stato degli atti. Il motivo e' manifestamente infondato. La decisione della Corte d'appello e' corretta. L'interrogatorio reso in fase di indagini non e' un documento acquisibile ex articolo 234 c.p.p., ma un atto del procedimento, che non entra nel fascicolo del dibattimento ex articolo 431 c.p.p., salvo i casi previsti dagli articoli 503, 512 e 513 c.p.p., o salvo il consenso delle parti. La risposta della Corte d'appello e', quindi, che vi fosse una preclusione all'ingresso dell'atto nel fascicolo per il dibattimento che dipende dalla tipologia di atto che si chiede di acquisire, preclusione che sul piano logico viene prima della decisione ex articolo 603 c.p.p. sulla utilita' o meno dell'atto ai fini della decisione su cui e' impostato il motivo di ricorso, risposta che, come si e' esposto, e' perfettamente conforme al sistema processuale. 12.4. Il quarto motivo censurala valutazione della prova effettuata dalla Corte d'appello nel ritenere il ricorrente responsabile del reato associativo del capo 15. In esso si deduce che la responsabilita' e' stata desunta da dichiarazioni rese in dibattimento dal collaboratore (OMISSIS), che pero' nell'interrogatorio reso in indagini preliminari escludeva che il ricorrente trafficasse in stupefacenti, perche' nell'unica telefonata intercettata usata come prova non si parla mai di stupefacenti, in quanto l'oggetto e' soltanto una richiesta di aiuto per un lavoro di buttafuori in un locale notturno, perche' in dibattimento il collaboratore (OMISSIS) fa del ricorrente anche un affiliato alla âEuroËœndrangheta, e perche' il riscontro fornito dalla compagna del collaboratore (OMISSIS) costituito dal riconoscere il ricorrente in una fotosegnaletica e ricordare che lo stesso era andato in 13elgio a prendere cocaina e' generico, perche' la stessa mai riferisce che lo stesso avrebbe avuto addosso cocaina ne' l'abbia mai visto consegnarla ne' sa dove e quando lo stesso l'avrebbe comprata. Il motivo e' infondato. Il giudizio della Corte d'appello di credibilita' delle dichiarazioni rese dal collaboratore (OMISSIS) e' gia' stato scrutinato al paragrafo 3.1. di questa sentenza, cui si fa rinvio. L'argomento contenuto nel ricorso della parziale diversita' delle dichiarazioni rese dal collaboratore nell'interrogatorio reso durante le indagini e' processualmente non spendibile, perche' si tratta di atto non entrato nel fascicolo del dibattimento; se, invece, il verbale di interrogatorio e' stato usato per le contestazioni, nel motivo di ricorso avrebbe dovuto essere indicato in modo specifico quali sono le contestazioni rivolte al dichiarante nel corso dell'esame in dibattimento che ne avrebbero inficiato la credibilita'. I riscontri individualizzanti sulla posizione di (OMISSIS) sono stati individuati dal giudice d'appello nelle intercettazioni riportate nella sentenza di primo grado alle pagg. 206-207 e 272-277, e richiamate per relationem in quella di appello, e su cui peraltro non ci sono specifiche deduzioni nel motivo di ricorso. Il motivo di ricorso si e' soffermato molto sulla conversazione in cui (OMISSIS) chiede aiuto ad (OMISSIS) nel suo lavoro di buttafuori di un locale notturno, che la difesa legge come la prova dell'innocenza di (OMISSIS) che mai avrebbe potuto accettare un lavoro oneroso e poco pagato come quello del buttafuori se fosse stato realmente un trafficante internaz39Ionale di stupefacenti, e che la Corte d'appello ha considerato, invece, non incompatibile con quello di componente di una associazione ex articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. La risposta della Corte d'appello non ha soddisfatto la difesa, che la apostrofa con una espressione colorita ed atecnica, insistendo per la sua censura. Va osservato, peraltro, che la conclusione della Corte d'appello non ha nulla di illogico, perche' proprio non si riesce a comprendere perche' lo svolgere un lavoro dipendente piuttosto faticoso (in questo caso, quello del buttafuori) dovrebbe essere incompatibile con l'attivita' criminale, posto che, secondo l'id quod plerumque accidit, molte persone dedite al crimine hanno anche una attivita' lavorativa lecita. E' in ogni caso un riscontro individualizzante sulla posizione del ricorrente anche la circostanza che (OMISSIS) abbia riconosciuto (OMISSIS) in individuazione fotografica precisando di sapere sul suo conto che questi era andato in (OMISSIS) a prendere della cocaina, circostanza non attaccata sotto questo profilo in ricorso, mentre non e' logico pretendere ai fini della natura individualizzante, come si sostiene in ricorso, che la dichiarante abbia visto (OMISSIS) con lo stupefacente tra le mani. 12.5. Il quinto motivo censura il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e la mancata riqualificazione della condotta nel reato di cui all'articolo 73, comma 5, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. Il motivo e' inammissibile per mancanza del requisito della specificita' estrinseca dei motivi di ricorso (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Gaitelli, Rv. 268823), in quanto esso e' meramente assertivo, e non contiene critiche al rag39Ionamento svolto dalla Corte d'appello nella sentenza con il cui contenuto non prova neanche a confrontarsi. 13. Ai sensi dell'articolo 616, comma 1, c.p.p., alla decisione consegue la condanna dei ricorrenti diversi da (OMISSIS) al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro. Rigetta i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI Elisabetta - Presidente Dott. VERGA Giovanna - Consigliere Dott. PELLEGRINO Andrea - rel. Consigliere Dott. PERROTTI Massimo - Consigliere Dott. LEOPIZZI Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti rispettivamente da: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 3. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 4. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 5. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 6. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 7. (OMISSIS), nata a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 8. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 9. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 10. (OMISSIS), nata a (OMISSIS), rappresentata ed assistita dall'avv. (OMISSIS); 11. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 12. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS) e dall'avv. (OMISSIS); 13. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 14. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 15. (OMISSIS), nato a (OMISSIS) rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 16. (OMISSIS), nato a (OMISSIS) rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 17. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); avverso la sentenza n. 14802/17 in data 09/02/2022 della Corte di appello di Napoli, quarta sezione penale; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; preso atto che i ricorrenti sono stati ammessi alla richiesta trattazione orale in presenza ai sensi dell'articolo 611 c.p.p., comma 1-bis, Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato da ultimo in forza del Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, articolo 5-duodecies, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PELLEGRINO Andrea; udita la requisitoria con la quale il Sostituto Procuratore Generale, Dott. ROMANO Giulio, ha concluso chiedendo il rigetto di tutti i ricorsi; udita la discussione delle difese dei ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), avv. (OMISSIS), comparso anche in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), che si e' riportato ai rispettivi motivi di ricorso chiedendone l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 09/02/2022, la Corte di appello di Napoli, decidendo su rinvio della Corte di Cassazione, disposto con sentenza della sesta sezione penale n. 13281 in data 09/01/2018, in riforma della pronuncia resa dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli in data 05/02/2014, come gia' riformata con sentenza della Corte di appello di Napoli del 17/03/2016, annullata limitatamente alla posizione degli imputati appellanti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nei termini indicati dalla Corte remittente, cosi' provvedeva: - dichiarava non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) in ordine ai reati di cui ai capi 56) e 56-ter) perche' estinti per prescrizione e, per l'effetto, rideterminava la pena nei confronti del sunnominato in relazione al residuo capo C1) nella misura di anni diciassette e mesi quattro di reclusione; - rideterminava la pena, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, con giudizio di equivalenza rispetto alle posizioni di (OMISSIS) e di (OMISSIS), nella misura di: anni dieci e mesi quattro di reclusione per (OMISSIS) anni otto, mesi dieci e giorni venti di reclusione per (OMISSIS) anni tre, mesi quattro di reclusione ed Euro 10.000 di multa per (OMISSIS) anni tre, mesi quattro di reclusione ed Euro 12.000 di multa per (OMISSIS); - riduceva la pena nella misura di: anni diciassette e mesi otto di reclusione per (OMISSIS); anni dodici, mesi nove e giorni dieci di reclusione per (OMISSIS); anni quattro, mesi quattro di reclusione ed Euro 18.000 di multa per (OMISSIS); anni quattro, mesi quattro di reclusione ed Euro 18.000 di multa per (OMISSIS); anni quattro, mesi otto di reclusione ed Euro 24.000 di multa per (OMISSIS); - dichiarava (OMISSIS) interdetto in perpetuo dai pubblici uffici nonche' in stato di interdizione legale durante l'espiazione della pena; - applicava a (OMISSIS) la misura di sicurezza della liberta' vigilata per la durata di anni tre, a pena espiata; - revocava la confisca disposta nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS) limitatamente alla quota di un nono del fabbricato distinto in catasto al fg. (OMISSIS) e della quota di un nono del terreno distinto in catasto al fg. (OMISSIS), tutti siti in (OMISSIS), di cui al decreto di sequestro del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli in data 21/03/2013, disponendone la restituzione a favore dei sunnominati (OMISSIS) e (OMISSIS); - confermava nel resto, condannando (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento delle ulteriori spese processuali. La Suprema Corte aveva annullato la sentenza della Corte di appello di Napoli in data 17/03/2016 nei confronti di (OMISSIS) riconoscendo come l'appello presentato dall'avv. (OMISSIS) non era sicuramente "inefficace" in quanto presentato da terzo difensore, dovendo lo stesso, in conseguenza delle caratteristiche di originalita' delle censure svolte, essere oggetto di esame come memoria ex articolo 121 c.p.p., cosi' come da esaminare avrebbero dovuto essere anche i motivi nuovi ex articolo 585 c.p.p., con conseguente rilevato vizio di omessa motivazione rilevante. Nel medesimo contesto, la Suprema Corte aveva annullato la citata sentenza di merito: - nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) limitatamente al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; - nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al mancato riconoscimento dell'ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5; - nei confronti del solo (OMISSIS) anche in relazione alla confisca della quota di un nono dei beni situati a (OMISSIS). 2. Avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli in data 09/02/2022, nell'interesse di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), sono stati proposti ricorsi per cassazione, i cui motivi vengono enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p.. 3. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). 3.1. Motivo unico: vizio di motivazione in merito al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche sulla cui meritevolezza la Corte territoriale aveva omesso di pronunciare ritenendo le stesse non concedibili d'ufficio, obliterando in tal modo il fatto che il (OMISSIS) non aveva riportato condanna per il reato associativo ma esclusivamente per due capi di imputazione relativi ad episodi di spaccio e che lo stesso svolgeva regolare attivita' lavorativa. 4. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). 4.1. Motivo unico: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 125 c.p.p., articoli 62-bis, 81 e 133 c.p.. La Corte territoriale aveva omesso di considerare come l'imputato fosse soggetto incensurato ed indenne da carichi pendenti; lo stesso, inoltre, aveva ammesso nell'immediatezza la propria dipendenza da sostanze stupefacenti, chiarito le ragioni dei numerosi contatti telefonici con (OMISSIS) (unico interlocutore e fornitore della sostanza) ed era altresi' emersa la sua estraneita' a compagini associative. Si censura, infine, l'aumento di pena complessivo operato dalla Corte territoriale a titolo di continuazione, rimasto sostanzialmente senza motivazione. 4-bis. La difesa ha presentato in data 23/02/2023 memoria con motivi aggiunti insistendo nelle censure proposte con il ricorso principale. 5. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Motivo unico: vizio di motivazione in ordine al giudizio di equivalenza delle riconosciute circostanze attenuanti generiche. La Corte territoriale, dopo aver preso atto del comportamento positivo dell'imputato, tale da legittimare nei suoi confronti il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non ha poi spiegato il motivo per cui lo stesso in termini di pena dovesse essere neutralizzato dalle contestate aggravanti a seguito di un giudizio di equivalenza con le stesse. 6. Ricorsi nell'interesse di (OMISSIS) e di (OMISSIS). Motivo unico: vizio di motivazione in merito al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. (OMISSIS), dall'applicazione dell'ordinanza cautelare relativa al presente procedimento e' stato ininterrottamente detenuto, prima per questo processo e poi per altro. Anche (OMISSIS) non e' mai stato rimesso in liberta': infatti, fino alla pronuncia oggetto della presente impugnazione, lo stesso e' stato sottoposto alla misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale; la circostanza che (OMISSIS) non avesse posto in essere alcuna condotta illecita successivamente ai fatti di causa, emerge dall'ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di Bologna che concedeva allo stesso il beneficio della liberazione anticipata rimarcando la regolarita' e la correttezza del comportamento del ricorrente. A cio' si aggiunga che il ruolo dei fratelli (OMISSIS) nell'ambito dell'associazione e' stato del tutto subalterno, avendo entrambi svolto la funzione di pusher. 7. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Primo motivo: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'omessa notifica all'imputato della citazione in appello. Secondo motivo: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla valutazione della capacita' e dell'attitudine a delinquere, al denegato riconoscimento della minima partecipazione e delle attenuanti generiche nonche' alla mancata concessione del minimo edittale con effettuazione di diverso calcolo ai fini della continuazione e alla mancata estensione del motivo di ricorso della coimputata (OMISSIS) in relazione al riconoscimento dell'ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. In particolare, non si era tenuto conto che il Cappiello e' incensurato e privo di carichi pendenti, componente di una famiglia numerosa, lavoratore, persona molto religiosa, di umile estrazione sociale e di modeste condizioni economiche, in possesso di contratto di lavoro; ed inoltre, che lo stesso ha svolto un ruolo di minima importanza, ha tenuto un buon comportamento processuale ed e' stato ingiustamente discriminato nel mancato riconoscimento delle attenuanti generiche rispetto ad altri coimputati che, nelle medesime condizioni, ne hanno beneficiato. 8. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Motivo unico: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Si censura la decisione impugnata che ha omesso di considerare il profilo soggettivo dell'imputata, assolutamente incensurata, finendo per compiere una valutazione collegiale ed indistinta delle posizioni di tutti gli imputati, senza tener conto delle grandi difformita' in relazione al coefficiente di pericolosita'. 9. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Primo motivo: violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio nonche' mancanza e contraddittorieta' della motivazione in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza. La mera indicazione degli indici contenuti nell'articolo 133 c.p. non e' sufficiente a dare spiegazione dell'esercizio del potere discrezionale del giudice nella determinazione della pena, ma e' necessario che, tramite lo strumento della motivazione si articolino, in modo puntuale - cosa non avvenuta nella fattispecie - le ragioni per le quali si scelga un trattamento sanzionatorio rispetto ad un altro. Secondo motivo: omessa, insufficiente o carente motivazione. 10. Ricorsi nell'interesse di (OMISSIS). 10-bis Primo ricorso. 10-bis. 1 Primo motivo: violazione di legge in relazione all'articolo 178 c.p.p., lettera b) e c), articolo 187 c.p., articoli 24 e 111 Cost., articolo 6 CEDU. La mancata indicazione del dies ad quem (oltre che del dies a quo) del reato associativo determina violazione del diritto di difesa e del contraddittorio rispetto all'accusa, del tutto indeterminata rispetto al profilo temporale di aver diretto ed organizzato l'associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. 10-bis. 2 Secondo motivo: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, articolo 110 c.p., articolo 192 c.p.p.. Il giudice di primo grado non aveva potuto esprimere un compiuto giudizio di attendibilita' soggettiva dei tre collaboratori di giustizia ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) per carenza di atti e documenti idonei a far conoscere il percorso collaborativo degli stessi stante l'assenza del verbale che viene redatto alla fine del percorso e che contiene le complessive rivelazioni effettuate dal pentito nel semestre collaborativo. Del tutto congetturale e', poi, la valutazione in ordine alla provenienza da clan camorristici dei tre collaboratori di giustizia, la cui asserita intraneita' non equivale affatto al conseguimento della patente di attendibilita' soggettiva. In ogni caso, trattandosi di chiamate di sola reita' e de relato, si rendeva necessario l'accertamento della presenza di robusti riscontri alle stesse. Inoltre, in nessun passaggio della sentenza, viene affermata la specificita' delle dichiarazioni dei propalanti. Avrebbe meritato diversa valutazione lo scarto temporale tra le condotte materiali attribuite al (OMISSIS) dai collaboratori di giustizia, collocabili nell'anno 2006, rispetto alle condotte tenute dal ricorrente quali emergenti dalle intercettazioni telefoniche, collocabili temporalmente negli anni 2011 e 2012. Dichiarate inutilizzabili le dichiarazioni dei tre collaboratori di giustizia e venuto cosi' meno il riscontro con le prove captative, queste ultime, da sole considerate, appaiono del tutto inidonee a provare la responsabilita' del ricorrente al di la' del ragionevole dubbio. 10-ter Secondo ricorso. 10-ter. 1 Motivo unico: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, articolo 110 c.p., articolo 192 c.p.p.; contraddittorieta' interna e esterna della motivazione, omessa motivazione rispetto al devoluto, motivazione apparente/carente. La Corte territoriale non indica in concreto in quali occasioni, ne' in quante occasioni, il ricorrente avrebbe dato ordini in merito all'associazione, ne' quale oggetto avrebbero avuto gli asseriti ordini da lui partiti, ne' quando sarebbero partiti. La pluralita' delle intercettazioni trascritte in sentenza fotografano al piu' l'esistenza dell'associazione, mentre solo una piccola parte sarebbero spendibili onde saggiare la partecipazione del ricorrente, a prescindere dal ruolo. E comunque, quelle in cui si fa riferimento al ricorrente non sono affatto esplicative degli ordini concreti impartiti dallo stesso, non consentendo l'individuazione della direzione e della organizzazione del gruppo da parte del (OMISSIS). 11. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Motivo unico: violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell'ipotesi di reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, in relazione al capo 73), commesso nel periodo compreso tra il (OMISSIS). Ignorando le indicazioni della sentenza di annullamento, la Corte territoriale ha ritenuto di non riqualificare il titolo di reato di cui al capo 73), in considerazione dell'articolata attivita' di spaccio di stupefacenti posta a carico degli altri coimputati, nell'ambito della quale si inseriva l'unico fatto di detenzione a fini di spaccio commesso dalla (OMISSIS), omettendo una valutazione "personalizzata" della condotta e finendo cosi' per ripetere i medesimi errori motivazionali stigmatizzati con la sentenza rescindente. 12. Ricorsi nell'interesse di (OMISSIS), di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS). Motivo unico: difetto ed illogicita' di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e rispetto all'entita' degli aumenti di pena inflitti a titolo di continuazione. In particolare: - in ordine alla posizione di (OMISSIS), si evidenzia come la Corte territoriale avrebbe dovuto analiticamente confutare le doglianze difensive in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e non limitarsi ad un generico richiamo al presunto ruolo di vertice ricoperto dal ricorrente. Per altro verso anche l'aumento a titolo di continuazione, tutt'altro che contenuto, non e' sorretto da alcuna motivazione; solo garantendo la conoscibilita' dei criteri utilizzati e dell'iter seguito per determinare gli aumenti per ciascun reato satellite e', infatti, possibile rendere effettivi la successiva verifica in merito alla congruita' della pena da parte del giudice del gravame nonche' l'eventuale controllo di legittimita' circa la non arbitrarieta' o manifesta irragionevolezza della pena inflitta; - in ordine alla posizione di (OMISSIS), si evidenzia come anche la sentenza gravata presenti le medesime lacune motivazionali gia' stigmatizzate in sede di annullamento; invero, la Corte territoriale non solo non si raffronta con i motivi di appello ma anche con il monito della Suprema Corte a valutare "ogni singola specifica doglianza in riferimento ad ogni singolo, specifico appellante"; - in ordine alle posizioni di (OMISSIS) e di (OMISSIS), si evidenzia come sia stata completamente omessa ogni considerazione in ordine ai sunnominati ricorrenti, con conseguente inesistenza dell'apparato motivazionale. 13. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Motivo unico: vizio motivazionale in relazione agli articoli 132 e 133 c.p.. La sentenza impugnata non offre alcuna approfondita valutazione circa la personalita' dell'imputato, ignorando la sua incensuratezza nonche' la sua lontananza da qualsivoglia contesto criminale: in tal modo, completamente obliterando le ragioni giuridiche ostative al riconoscimento del minimo della pena e dei benefici di legge. 14. Ricorsi nell'interesse di (OMISSIS) e di (OMISSIS). Motivo unico: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 62-bis e 133 c.p.. La Corte territoriale, nonostante la pronuncia della Suprema Corte che, nell'annullare la precedente sentenza di secondo grado del 17/03/2016, aveva chiesto di evitare una valutazione generalizzata delle posizioni dei singoli imputati, ha riproposto, in parte, il medesimo iter motivazionale, trincerandosi, soprattutto per la posizione di (OMISSIS), dietro una lapidaria gravita' dei fatti ed omettendo di valutare elementi assolutamente pregnanti quali ad esempio la rinuncia ai motivi di merito, che costituisce un elemento indicativo della presa di coscienza degli errori commessi e segnale di un avvio di un percorso di rivalutazione delle proprie condotte. Per quanto attiene, poi, alla posizione di (OMISSIS), cui sono state concesse le circostanze attenuanti generiche ma in misura decisamente inferiore ad un terzo, la Corte territoriale, nell'iter motivazionale, avrebbe dovuto lasciarsi guidare dal concetto di "personalizzazione della pena" attraverso il quale avrebbe evitato di parificare situazioni processuali differenti nell'ambito di una medesima condotta delittuosa. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il solo ricorso di (OMISSIS) appare fondato ed il relativo accoglimento comporta la rilevazione dell'intervenuta estinzione del reato per prescrizione. Tutti gli altri ricorsi si profilano, di contro, inammissibili. 2. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Manifestamente infondato e' l'unico motivo di ricorso proposto. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimita', il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare d'ufficio una o piu' circostanze attenuanti, non accompagnato da alcuna motivazione, non puo' costituire motivo di ricorso in cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, qualora l'imputato, nell'atto di appello o almeno in sede di conclusioni del giudizio di appello, non abbia formulato una richiesta specifica, con preciso riferimento a dati di fatto astrattamente idonei all'accoglimento della stessa, rispetto alla quale il giudice debba confrontarsi con la redazione di una puntuale motivazione (cfr., Sez. 3, n. 10085 del 21/11/2019, dep. 2020, G., Rv. 279063-02; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, B., Rv. 271869-02). L'omessa formalizzazione della richiesta da parte della difesa del (OMISSIS), che si e' limitata a chiedere l'applicazione di una pena piu' mite e maggiormente aderente ai fatti senza argomentare sul punto, ha giustificato il provvedimento reiettivo della Corte territoriale. 3. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Manifestamente infondato e' il profilo del dedotto diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in assenza di ragioni di meritevolezza e ritenute implicitamente come recessive le prospettazioni difensive in tal senso, risultando del tutto irrilevanti gli ulteriori elementi della scelta del rito ovvero del contesto sociale e culturale di appartenenza. Si afferma in giurisprudenza che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche puo' essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'articolo 62-bis c.p., disposta con il Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non e' piu' sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (cfr., Sez. 4, n. 23872 del 08/06/2022, Guarnieri, Rv. 283489-01). Di non consentito scrutinio e' l'ulteriore profilo di censura sollevato in relazione al dedotto aumento di pena a titolo di continuazione, atteso il delimitato ambito di cognizione e pronuncia devoluto al giudice del rinvio. 4. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Al ricorrente sono state riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza, essendosi valorizzato il suo comportamento processuale (rinuncia ai motivi di gravame) a fronte di altri elementi di segno negativo rappresentati dalla negativa personalita' a delinquere, dalla pervicacia criminale testimoniata dai precedenti specifici a suo carico e dalle modalita' della condotta. Trattasi di un giudizio congruo ed ampiamente motivato che sfugge al sindacato di legittimita'. Invero, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita' qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la piu' idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931-01). 5. Ricorsi nell'interesse di (OMISSIS), (OMISSIS). Gli omologhi ricorsi sono manifestamente infondati. Le circostanze attenuanti generiche sono state ad entrambi negate in ragione dei gravi precedenti penali, anche per fatti successivi, ascritti a loro carico. La motivazione appare ampiamente giustificata. In tal senso, e' necessario ricordare che "la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell'articolo 62-bis c.p. e' oggetto di un giudizio di fatto e puo' essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimita', purche' non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato" (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv. 242419-01). Si e' anche affermato che "ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice puo' limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche' anche un solo elemento attinente alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato ed alle modalita' di esecuzione di esso puo' essere sufficiente in tal senso" (cfr., Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163-01; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269-01). 6. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). 6.1. Del tutto aspecifico e' il primo motivo che deduce l'omessa notifica all'imputato per il giudizio di appello effettuata ex articolo 157-bis c.p.p. e non al domicilio dichiarato agli atti. Invero, la Corte territoriale, ha correttamente rilevato come il disposto avviso al Cappiello, effettuato a norma dell'articolo 157-bis c.p.p., per l'udienza del 15/07/2020, trovava giustificazione sulla base della disposizione "del Presidente della Corte di Appello di Napoli a seguito della ripresa della attivita' giudiziaria successiva alla sospensione dovuta alla pandemia da Covid 19, in base alla quale andavano effettuati gli avvisi ai soli difensori, trattandosi di imputato che era stato ritualmente citato a mani proprie per la prima udienza del 26/06/2018": instaurato cosi' regolarmente il contraddittorio nei confronti dell'imputato (circostanza di cui specificamente si duole il difensore), i successivi avvisi per gli ulteriori disposti differimenti d'udienza (25/11/2020, 18/02/2021, 13/05/2021, 08/09/2021 e 11/11/2021), imposti da omessi avvisi ad altre parti processuali, avevano visto come estranea la posizione del Cappiello, il cui difensore, all'ultima udienza del 09/02/2022, aveva discusso la propria posizione, previo rigetto della sollevata eccezione difensiva. Con queste argomentate conclusioni, il ricorrente, di fatto, omette di confrontarsi, preferendo la "strada", conducente all'inammissibilita', della sostanziale reiterazione del motivo di gravame. 6.2. Manifestamente infondato e' il secondo motivo. Il tema devoluto al giudice del rinvio, come si e' detto, e' solo quello della verifica dei presupposti per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Il giudice del rinvio ha disatteso la richiesta in assenza di ragioni di meritevolezza, ritenendo come implicitamente recessive le prospettazioni difensive in tal senso. Si rimanda alle considerazioni esposte nel precedente paragrafo 3. del considerato in diritto. 7. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Manifestamente infondato e' l'unico motivo di ricorso proposto. Alla ricorrente sono negate le circostanze attenuanti generiche sulla base del ruolo apicale svolto in seno alla compagine associativa. Si rimanda alle valutazioni esposte nella seconda parte del paragrafo 5. del considerato in diritto che precede. 8. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). 8.1. Al ricorrente sono state riconosciute le circostanze attenuanti generiche - sia pure in giudizio di equivalenza rispetto alle aggravanti contestate, in ragione della gravita' dei fatti accertati - al fine di adeguare il trattamento sanzionatorio alla condotta criminosa, tenuto conto della marginalita' della posizione nel contesto associativo. Trattasi di motivazione del tutto congrua che appare esente da vizi logico-giuridici: circostanza che impedisce il richiesto sindacato di legittimita'. Si rimanda sul punto alle considerazioni esposte nell'ultima parte del precedente paragrafo 4.1. del considerato in diritto. 8.2. Del tutto generico e' il secondo motivo. Invero, tra i requisiti del ricorso per cassazione vi e' anche quello, sancito a pena di inammissibilita', della specificita' dei motivi: il ricorrente ha non soltanto l'onere di dedurre le censure su uno o piu' punti determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare gli elementi che sono alla base delle sue lagnanze. Nel caso di specie, il motivo e' manifestamente infondato perche' privo dei requisiti prescritti dall'articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c) in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata ampia e logicamente corretta, non indica gli elementi che sono alla base della censura formulata, non consentendo al giudice dell'impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato. 9. Ricorsi nell'interesse di (OMISSIS). 9.1. Aspecifico e comunque manifestamente infondato e' il primo motivo del primo ricorso. Gia' la sentenza rescindente aveva evidenziato, trattando la posizione del concorrente (OMISSIS), che "il tema della collocazione temporale della associazione in questione... e' stato adeguatamente trattato dalla Corte che ha osservato, per un verso, che il termine finale della consumazione doveva collocarsi, secondo quanto indicato nella stessa imputazione (che parla di "condotta perdurante") alla pronuncia della sentenza di primo grado mentre il termine iniziale doveva essere fatto retroagire ad un periodo anteriore al dicembre 2010, retroazione rispetto alla quale le Difese avevano avuto ogni fruttuosa occasione di conoscenza e di confutazione". La questione veniva ripresa dal giudice del rinvio che confermava le medesime conclusioni anche in relazione alla posizione di (OMISSIS) (v. pagg. 11 e 12 della sentenza impugnata, in cui si afferma testualmente che "... proprio con riferimento alla posizione di (OMISSIS) nel capo di imputazione e' espressamente descritta una attivita' di organizzazione e direzione del traffico di droga da parte di costui in epoca anteriore all'arresto avvenuto il 18.12.2010...; pertanto la contestazione per come formulata certamente legittima l'estensione dell'accertamento in punto di esistenza dell'associazione criminosa ad un periodo anteriore al dicembre 2010; tale dato temporale risulta conforme anche al materiale probatorio ritualmente acquisito agli atti, costituito in particolare dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia... i quali avevano riferito sulle epoche antecedenti a quelle documentate dai servizi di intercettazione svolti nell'indagine da cui e' originato il presente procedimento, riferendo essi concordemente che (OMISSIS) quanto meno dall'anno 2006 aveva diretto il gruppo a prevalente composizione famigliare impegnato nel traffico di cocaina operante nella zona di (OMISSIS); tale materiale probatorio garantisce, nel caso in esame, l'individuazione, con sufficiente grado di certezza, del periodo di tempo oggetto di contestazione, facendolo risalire all'anno 2006. Tali chiari riferimenti temporali, che consentono di individuare con certezza il tempo di consumazione del reato in contestazione, rispetto al quale quindi l'imputato e' stato posto in grado di difendersi e di conoscere i termini della contestazione mossagli, non consentono di ravvisare alcun profilo di violazione dell'esercizio del diritto di difesa e del principio di correlazione tra accusa contestata e decisione adottata"). 9.2. Manifestamente infondato e' il secondo motivo del primo ricorso. Il motivo e' incentrato sulla lamentata carenza di prova della sussistenza della fattispecie associativa contestata ed anche del ruolo di capo o promotore ascritto all'imputato: le doglianze sulla prova involgono sia le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) che il materiale intercettivo. Gia' il giudice del rinvio, trattando della posizione del coimputato (OMISSIS), in merito alle critiche svolte circa la affidabilita' e la credibilita' riconosciuta ai tre succitati collaboratori di giustizia, aveva osservato come "... a fronte delle generiche censure gia' sollevate negli stessi termini con i motivi di appello... la Corte ha ampiamente dato ragione del condiviso (con il Giudice di primo grado) giudizio di attendibilita' dei collaboratori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) esaminando partitamente le dichiarazioni di ognuno, escludendo ragioni di inimicizia che potessero aver suggerito le dichiarazioni volutamente calunniose e sottoponendo queste ultime all'esame dei riscontri oggettivi, debitamente richiamati a ff. 116 e segg. della motivazione...". Dette conclusioni hanno trovato pieno conforto nella sentenza rescindente ove la Suprema Corte (pagg. 35 e 36) riconosce, negli stessi sostanziali termini, che: "... in merito alle critiche svolte circa la affidabilita' e credibilita' riconosciuta ai tre collaboratori di giustizia, va osservato, a fronte delle generiche censure gia' sollevate negli stessi termini con i motivi di appello, che la Corte ha ampiamente dato ragione del condiviso... giudizio di attendibilita' dei collaboratori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) esaminando partitamente le dichiarazioni di ognuno, escludendo ragioni di inimicizia che potessero aver suggerito dichiarazioni volutamente calunniose e sottoponendo queste ultime all'esame dei riscontri oggettivi". 9.2.1. La difesa ha eccepito la mancanza del verbale che si redige alla fine del percorso collaborativo di ciascun collaboratore di giustizia contenente le complessive rivelazioni effettuate nel semestre collaborativo: detta mancanza si riverberebbe sulla attendibilita' del narrato e, prima ancora, sulla possibilita' di riscontrare lo stesso, con conseguente inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese. Il rilevo e' del tutto infondato. Invero, la giurisprudenza di legittimita' ha chiarito come la deposizione resa in dibattimento dal collaboratore di giustizia non e' affetta da inutilizzabilita' nel caso in cui non sia stato possibile acquisire il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione Decreto Legge 15 gennaio 1991, n. 8, ex articolo 16-sexies, convertito in L. 15 marzo 1991, n. 82, in quanto la citata disposizione non collega alcun effetto patologico alla mancata od intempestiva acquisizione di tale atto, pur prevista come obbligatoria (Sez. 2, n. 39774 del 07/05/2022, Aiello, Rv. 283989-04, in cui la Suprema Corte ha precisato che l'esame in contraddittorio del soggetto garantisce adeguatamente i diritti difensivi, consentendo di vagliare l'attendibilita' del narrato, in canoni di coerenza, costanza e precisione). 9.2.2. La difesa, inoltre, ha ritenuto del tutto congetturale la valutazione operata dalla Corte territoriale in ordine alla provenienza da clan camorristici dei tre collaboratori di giustizia. L'assunto, evocativo di una non consentita censura in fatto, si scontra con la piana ed indiscutibile affermazione da parte dei giudici di merito circa il riscontrato passato criminale dei collaboratori di giustizia rinvenibile in clan camorristici operanti nella zona di (OMISSIS). In particolare, si afferma che "... il periodo di co-detenzione nel carcere di (OMISSIS), durante il quale il (OMISSIS) ha detto di avere conosciuto il (OMISSIS), trova positivo riscontro nella biografia criminale dell'imputato... anche sotto il profilo cronologico. Inoltre il dichiarato del (OMISSIS) trova riscontro nelle convergenti dichiarazioni degli altri due menzionati collaboratori di giustizia, (OMISSIS) e (OMISSIS), avendo tutti concordemente riferito che (OMISSIS) e suo fratello (OMISSIS), quanto meno dall'anno 2006, avevano diretto un gruppo a prevalente composizione familiare impegnato nel traffico di cocaina, operante nella zona di (OMISSIS), con la partecipazione dell'allora convivente di (OMISSIS) che si identificava in (OMISSIS). Del pari deve esprimersi un giudizio di piena attendibilita' dei citati (OMISSIS) e (OMISSIS) per quanto ben piu' contenuto sia il loro apporto conoscitivo ma tuttavia rilevante avendo il (OMISSIS) indicato in (OMISSIS) il gestore di "un imponente traffico di droga nella zona di (OMISSIS)" unitamente al fratello (OMISSIS)... ed il (OMISSIS) indicato l'imputato appellante ed il fratello (OMISSIS) come "grossi trafficanti di cocaina" che "operavano nella zona di (OMISSIS)...". In particolare, si aggiunge altresi' che "... (OMISSIS) Antonio ha operato nel gruppo dei "(OMISSIS)" che - secondo un dato appartenente al notorio giudiziario - nasce e si attesta storicamente come sodalizio che faceva capo, per il territorio di (OMISSIS); (OMISSIS), gia' appartenente al clan (OMISSIS) e noto con il soprannome di "(OMISSIS)", risulta accreditato negli ambienti della locale criminalita' oggetto di indagine nel presente procedimento come conoscitore delle dinamiche interne ai gruppi operanti nel territorio... Dunque la provenienza dei citati dichiaranti da organizzazioni e contesti criminali diversi garantiscono i presupposti di autonomia, indipendenza ed assenza di condizionamenti esterni delle rispettive chiamate in reita'. Cio' induce a ritenere che il rispettivo narrato sia il frutto di personale esperienza e percio' genuino, stante anche la mancanza di elemento alcuno che faccia ipotizzare possibili intenti calunniosi. Le dichiarazioni del (OMISSIS) trovano ulteriore riscontro nel dato concernente la comune detenzione presso il carcere di (OMISSIS)... ed in quello della patologia fisica dalla quale il (OMISSIS) era affetto, indicata appunto dal (OMISSIS) (che nel verbale di interrogatorio del 19.10.2010 descriveva (OMISSIS) come "zoppo"). Corrobora il giudizio di attendibilita' dei citati (OMISSIS) e (OMISSIS) la circostanza... che costoro hanno beneficiato dell'attenuante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 8 nell'ambito di altri procedimenti a loro carico, nei quali quindi gia' e' stato positivamente formulato il giudizio di attendibilita'". 9.2.3. Come e' noto, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, una volta verificatane l'attendibilita' ai sensi dell'articolo 192 c.p.p., comma 3, dispiegano piena efficacia probatoria alla sola condizione che se ne apprezzi la sincerita' e la spontaneita', in modo da potersene escludere la riconducibilita' a costrizioni esterne o a possibili intenti autocalunniatori (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 27918 del 25/05/2021, Grande Aracri, Rv. 281603-02): invero, l'articolo 192 c.p.p., comma 3 non pone alcuna limitazione per quanto riguarda l'individuazione dei riscontri, che possono consistere in elementi di qualsivoglia natura purche', pur non avendo autonoma forza probante, siano in grado di corroborare la chiamata in correita', conferendole la credibilita' piena di qualsiasi elemento di prova. In presenza di chiamate in reita', quali le presenti, de relato e di analogo tenore, verifica il Collegio come i giudici di merito, indipendentemente dagli ulteriori riscontri acquisiti, hanno proceduto ad effettuare: la valutazione di credibilita' soggettiva di ciascun dichiarante e di attendibilita' intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificita', della coerenza, della costanza e della spontaneita'; la verifica della convergenza delle varie chiamate, riscontrate reciprocamente in maniera individualizzante in relazione al thema probandum costituito dall'esistenza dell'associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico ed al ruolo direttivo rivestito al suo interno da (OMISSIS) nonche' dell'indipendenza delle stesse chiamate, essendosi verificata la loro autonomia genetica, anche alla luce dei diversi contesti di provenienza e l'assenza di cause di conflitto e di possibili intese fraudolente (cfr., Sez. 6, n. 40899 del 14/06/2018, C., Rv. 274149-02). Verifica che ben puo' involgere le dichiarazioni di piu' di un collaboratore i cui reciproci (o piu') narrati possono riscontrarsi vicendevolmente (Sez. 1, n. 46954 del 04/11/2004, Palmisani, Rv. 230592-01, in cui si precisa, peraltro, la necessita' che dette dichiarazioni siano valutate unitamente ad altri elementi di prova che ne confermino l'attendibilita', in maniera tale che sia verificata la concordanza sul nucleo essenziale del narrato, rimanendo quindi indifferenti eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto, a meno che tali discordanze non siano sintomatiche di una insufficiente attendibilita' dei chiamanti stessi; nello stesso senso, Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014, dep. 2015, Villacaro, Rv. 262309-01). 9.2.4. Del resto, la medesima giurisprudenza di legittimita' riconosce che anche un solo collaboratore di giustizia, che pure non sia coimputato nello stesso procedimento, puo' essere credibile quando ha acquisito le notizie propalate nell'ambito della sfera di criminalita' organizzata in cui sia inserito, purche' venga accertata l'intrinseca attendibilita' delle sue dichiarazioni, nonche' la sussistenza di riscontri esterni, i quali, in caso di piu' chiamate convergenti, possono anche consistere nella circostanza che le dichiarazioni riconducano, anche se in modo non sovrapponibile, il fatto all'imputato, essendo sufficiente la confluenza su comportamenti riferiti alla sua persona e alle imputazioni a lui attribuite, cioe' l'idoneita' delle dichiarazioni a riscontrarsi reciprocamente nell'ambito della cosiddetta "convergenza del molteplice" (Sez. 1, n. 31695 del 23/06/2010, Calabresi, Rv. 248013-01). 9.2.5. Ricordato che il riscontro idoneo a confermare l'attendibilita' del collaboratore puo' essere costituito da qualsiasi elemento di natura diretta o logica e, quindi, anche da altra dichiarazione accusatoria convergente, resa in piena autonomia rispetto alla precedente, tanto da escludere il sospetto di reciproche influenze (Sez. 1, n. 1495 del 02/12/1998, dep. 1999, Archina', Rv. 212275-01), si evidenzia come nella fattispecie, la presenza di riscontri reciproci nel narrato dei tre collaboratori di giustizia per tutto l'arco temporale della contestazione trova ampia conferma nelle emergenze dell'attivita' intercettiva compiuta nel presente procedimento negli anni 2011-2012. Peraltro, gia' il primo giudice aveva ritenuto (pagg. 682 e ss. della sentenza di primo grado) che il dichiarato dei tre collaboratori trovava piena conferma nelle indagini compiute nel procedimento dalle quali era emerso che, a distanza di qualche anno dal momento in cui quelle dichiarazioni erano state rese, la situazione risultava immutata, e cio' almeno fino all'aprile del 2011, ossia al momento della rottura del rapporto sentimentale fra (OMISSIS) e (OMISSIS), allorquando il gruppo, originariamente unitario, si scindeva e la piazza di spaccio, anch'essa fino a quel momento unitaria su tutto il territorio del Comune di (OMISSIS) e zone limitrofe, si divideva in quanto il territorio di (OMISSIS) restava sotto il controllo della famiglia (OMISSIS), che aveva la base logistica nella frazione di (OMISSIS), mentre la frazione di (OMISSIS) diventava il quartier generale di (OMISSIS) e dei suoi fratelli. L'ampio compendio intercettivo, solo in parte riportato nelle pagg. 16 e ss. della sentenza impugnata (che, tuttavia, rimanda alla pronuncia di primo grado), rivelava indubitabilmente l'esistenza di un imponente traffico di droga gestito dal gruppo (OMISSIS) tramite la contestata associazione dedita al narcotraffico, struttura ben organizzata che si avvaleva della collaborazione di una pluralita' di uomini con specifiche competenze e ripartizione di ruoli, con volume di affari di decine di migliaia di Euro al mese. A loro volta, l'interpretazione delle conversazioni intercettate - che danno conto dell'esistenza di questa articolata struttura organizzativa con piazza di spaccio della cocaina sul territorio sotto la direzione di (OMISSIS) che agiva quale alter ego del fratello (OMISSIS) (detenuto) e, in posizione immediatamente subordinata, di (OMISSIS) (figlio di (OMISSIS)) trova ulteriore conferma negli esiti degli arresti e delle numerose perquisizioni effettuate. In particolare - scrivono i giudici della sentenza impugnata - "la corposa mole di conversazioni telefoniche ed ambientali denota: la frequenza dei contratti tra i sodali... dato (che) trova riscontro nei frequenti controlli di polizia giudiziaria effettuati su strada...; la interrelazione tra gli anzidetti soggetti nel contesto di una struttura organizzata con suddivisione di ruoli tra essi...; la individuazione di luoghi abituali di spaccio...;... la predisposizione di luoghi abituali di custodia della droga...;... l'esistenza di una "cassa comune" in cui confluiva il denaro provento delle attivita' illecite, poi distribuito tra gli associati e funzionale al pagamento di una paga settimanale fissa ai pusher nonche' alla assistenza economica in favore dei sodali detenuti...". 9.3. Manifestamente infondato e' l'unico motivo del secondo ricorso. Ferme le considerazioni esposte nei precedenti paragrafi 9.1. e 9.2. (e relativi sottoparagrafi) del considerato in diritto che precedono, ricapitolando, evidenzia il Collegio come la sentenza impugnata abbia chiaramente messo in luce come le dichiarazioni dei tre collaboratori di giustizia, rapportate all'innumerevole mole di intercettazioni, fornisca la prova della preesistenza del gruppo (OMISSIS) all'arresto di (OMISSIS) (avvenuto nel dicembre 2010), quanto meno a partire dagli anni 2006-2007, e della sua perdurante operativita' ancora all'epoca in cui si e' svolto il servizio di intercettazioni (anni 2011-2012) sotto la direzione di (OMISSIS), subentrato al fratello (OMISSIS) a causa della sopravvenuta detenzione di costui, ma pur sempre sotto il controllo di quest'ultimo al quale avrebbe dovuto rendere conto della propria gestione, e nella aspettativa dichiarata che, alla sua scarcerazione, (OMISSIS) avrebbe ripreso il suo posto di comando assoluto, attraverso il quale i sodali si aspettavano di riconquistare la floridita' finanziaria antecedente al suo arresto. Scrivono i giudici di appello: "... la ineludibile presenza e direzione di (OMISSIS) in tale contesto associativo, anche durante il periodo della detenzione, (si rivela)... anche da numerose conversazioni da cui emerge una consistente attivita' di recupero crediti, per ingenti importi, che veniva compiuta sulla base delle direttive impartite da (OMISSIS) ai figli (OMISSIS) e (OMISSIS) in occasione dei colloqui in carcere... (...) emerge anche il dato altrettanto inequivoco... del conferimento di ingenti capitali da parte di (OMISSIS) a terzi compiacenti fiduciari per sottrarli al pericolo di sequestri da parte delle Forze dell'Ordine, risalente alla precedente gestione degli affari illeciti e perpetuatosi sino al suo arresto... (...) tale attivita' di recupero crediti atteneva al recupero di somme di denaro che costituivano il provento dell'attivita' che (OMISSIS) aveva svolto fino a quando non era stato arrestato, ovvero il traffico di cocaina, ed era funzionale non solo al mantenimento dei familiari ma anche al finanziamento delle attivita' illecite del gruppo, cosi' egli contribuendo ulteriormente alla vita ed alla organizzazione del gruppo in quella difficile fase corrispondente alla detenzione del capo. E' ancora una volta il tenore inequivoco della conversazioni a smentire gli assunti difensivi secondo cui male sarebbero state interpretate le conversazioni relative all'anzidetta attivita' di recupero di somme di denaro, che non sarebbero collegate all'attivita' di traffico di sostanze stupefacenti ma piuttosto a generose elargizioni da parte di (OMISSIS) ad amici, familiari e conoscente ed all'attivita' commerciale di cui era titolare la famiglia (OMISSIS)...". In presenza di un simile compendio probatorio di univoca lettura, chiedere al giudice di legittimita' di ricercare altri elementi che possano dimostrare ruolo ed azioni compiute in concreto dal ricorrente in seno all'associazione criminale a dimostrazione della sua perdurante affectio, costituisce attivita' superflua prima ancora che impedita. 10. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). La ricorrente e' stata condannata in appello (sentenza Corte di appello di Napoli n. 2911/16 del 17/03/2016) per il solo capo 73 (articoli 81, 110 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 commesso, secondo l'editto accusatorio, nel periodo compreso tra il 14 ed il 18 gennaio 2011), essendo stata assolta per l'omologo reato di cui al capo 74. La Corte di Cassazione ha disposto rinvio per nuovo giudizio relativamente alla posizione della stessa "limitatamente al mancato riconoscimento dell'ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5". L'unico motivo di ricorso proposto appare fondato. 10.1. Invero, come evidenziato dalla ricorrente, la Suprema Corte ha ritenuto non estendibile alla posizione della (OMISSIS) l'assunto della prima Corte territoriale, con riferimento agli altri coimputati, per i quali non veniva riconosciuta la lieve entita' di cui all'articolo 73, comma 5, sulla base delle circostanze e delle modalita' dell'azione, ossia la stabilita' dei rapporti con i fornitori, la frequenza degli approvvigionamenti, l'entita' ponderale della sostanza trattata e del considerevole flusso del denaro movimentato: tutti elementi estranei all'unica condotta di detenzione ai fini di spaccio per la quale la (OMISSIS) veniva condannata. La riconosciuta carenza di motivazione non viene tuttavia colmata dal giudice del rinvio che ripropone la carente struttura motivazionale della prima sentenza di secondo grado, ripetendo i medesimi errori stigmatizzati con la sentenza rescindente. Ignorando le indicazioni del giudice di legittimita', la Corte territoriale ha ritenuto di non dover riqualificare il titolo di reato di cui al capo 73), in considerazione dell'articolata attivita' di spaccio posta in essere dai coimputati, nell'ambito della quale doveva inserirsi l'unico fatto di detenzione ai fini di spaccio commesso dalla (OMISSIS). Ed in tal senso, la Corte territoriale spiega che "la professionalita' delle condotte dei coimputati in un certo qual modo si riverbera anche sulla posizione della (OMISSIS) che consapevolmente partecipava all'attivita' dei coimputati". 10.2. Proprio sul punto si manifesta l'evidente ripetizione dell'errore motivazionale stigmatizzato dalla Suprema Corte che aveva invitato il giudice del rinvio a rivedere e motivare la specifica posizione della (OMISSIS), singolarmente considerata, proprio in considerazione del fatto che la valutazione di professionalita' ed abitualita' delle condotte dei coimputati certamente non poteva essere estesa anche alla ricorrente condannata - come detto - per un unico ed isolato episodio. Viceversa, la Corte territoriale non fornisce alcun elemento in grado di escludere l'applicabilita' di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, secondo una valutazione "personalizzata", non rinvenendosi in sentenza riferimento alcuno agli indici sintomatici della tenuita' del fatto stabilito dalla legge, tali da escludere la minima offensivita' della condotta, cosi' incorrendo nel censurato vizio di motivazione ed erronea applicazione della legge penale. In tal modo, il giudice del rinvio ha nuovamente trasferito sulla (OMISSIS) le responsabilita' degli altri coimputati, oggettivamente piu' gravi, senza compiere alcuna valutazione sugli elementi sintomatici della tenuita' del fatto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. 10.3. Invero, ritiene il Collegio che, in riferimento alle condizioni per l'applicabilita' dell'ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, il giudice e' tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l'azione (mezzi, modalita' e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all'oggetto materiale del reato (quantita' e qualita' delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), se pure puo' escludersi la sussistenza della fattispecie quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere in modo preponderante che la lesione del bene giuridico protetto sia di "lieve entita'" (cfr., Sez. 4, n. 4948 del 22/01/2010, dep. 04/02/2010, Porcheddu, Rv. 246649-01; Sez. 4, n. 11103 del 11/03/2021, Gjonaj, non mass.). La Corte regolatrice ha, in particolare, considerato che in tema di stupefacenti, il riconoscimento del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, richiede una adeguata valutazione complessiva del fatto, in relazione a mezzi, modalita' e circostanze dell'azione, qualita' e quantita' della sostanza con riferimento al grado di purezza, in modo da pervenire all'affermazione di lieve entita' in conformita' ai principi costituzionali di offensivita' e proporzionalita' della pena. Nel caso, la Corte ha affermato che la configurabilita' dell'ipotesi lieve, non puo' essere esclusa sulla base di singoli parametri, quali la diversa tipologia delle sostanze cedute o lo svolgimento non occasionale dell'attivita' di spaccio, astraendo tali elementi dalla ricostruzione fattuale nella sua interezza, fondata su una razionale analisi riguardante la combinazione di tutte le specifiche circostanze (Sez. 6, n. 1428 del 19/12/2017, dep. 2018, Ferretti, Rv. 271959-01). E, in argomento, si registra anche l'intervento delle Sezioni Unite, le quali hanno affermato che l'accertamento della lieve entita' del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione (v. Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076-02). 10.4. Preme, inoltre, rilevare che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 40 del 2019, nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, nella parte in cui prevede la pena minima edittale nella misura di otto anni di reclusione anziche' di anni sei, si e' soffermata sulla fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, sviluppando considerazioni di certa conducenza ai fini di interesse. Nell'evidenziare la divaricazione di ben quattro anni venutasi a creare tra il minimo edittale di pena previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1 e il massimo edittale della pena comminata dal comma 5 dello stesso articolo, il Giudice delle leggi ha rilevato che "il costante orientamento della Corte di cassazione e' nel senso che la fattispecie di lieve entita' di cui all'articolo 73, comma 5, puo' essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensivita' penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione". 10.5. Alla luce di quanto precede, ritiene il Collegio come l'omissione valutativa della Corte territoriale non possa riverberarsi a danno dell'imputata nei cui confronti, in applicazione del principio del favor rei, in assenza di elementi dimostrativi di segno contrario, deve ritenersi riqualificabile il fatto nella figura di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, comma 5. 10.6. L'accoglimento del motivo consente di ritenere gia' maturata la prescrizione del reato ritenuto. Va innanzitutto premesso che, sulla base della condivisibile giurisprudenza di legittimita', dalla riformulazione dell'"ipotesi lieve" di condotta illecita in tema di sostanze stupefacenti, determinata dal Decreto Legge n. 146 del 2013, discende, con il superamento della pregressa configurazione circostanziale, un piu' favorevole regime del termine di prescrizione che, in base alla regola stabilita dall'articolo 157 c.p., comma 1, dovra' ora computarsi sulla base della pena edittale stabilita per la nuova fattispecie autonoma di reato, attestandosi sulla breve misura di sei anni, prorogabile fino alla durata di sette anni e mezzo in caso di atti interruttivi (Sez. 6, n. 14288 del 08/101/2014, Cassanelli, Rv. 259059-01). Cio' considerato, preso atto del tempus delicti commissi e dell'assenza di cause di sospensione della prescrizione, il reato, cosi' come ritenuto, risulta essersi prescritto al piu' tardi alla data del 18/07/2018: ne consegue l'obbligatorieta' di una pronuncia di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti della predetta ricorrente per tale causa. 11. Ricorsi nell'interesse di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS). Anche i sunnominati ricorrenti lamentano con un unico motivo il diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La Corte territoriale nega il beneficio a (OMISSIS) e a (OMISSIS) per il decisivo elemento costituito dal ruolo rivestito in sede all'associazione; nega altresi' il beneficio a (OMISSIS) per assenza di elementi di valutazione favorevoli e a (OMISSIS) per il precedente specifico, valutato anche ai fini del giudizio sulla ricorrenza della contestata e ritenuta recidiva, in presenza di una valutata progressione criminosa di cui risulta essere manifestazione la fattispecie associativa per cui lo stesso ha riportato la presente condanna. Il "tema" della misura della pena inflitta in continuazione e' estraneo al devoluto in sede di rinvio. Si e' in presenza, anche in questo caso, di motivazioni del tutto congrue e giustificate che tengono conto delle valutate diversita' delle posizioni processuali, con i riflessi valutati gia' svolti per posizioni simili. Invero, con riferimento alla posizione di (OMISSIS) si riprendono le considerazioni svolte nel precedente paragrafo 3. del considerato in diritto; nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS) si riprendono quelle svolte nell'ultima parte del paragrafo 5. e nel paragrafo 7. del considerato in diritto; infine, nei confronti di (OMISSIS) si riprendono le considerazioni svolte nella prima parte del paragrafo 5. del considerato in diritto. 12. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Le circostanze attenuanti generiche sono state riconosciute, sebbene non nella misura massima, al fine di adeguare la pena alla reale gravita' della condotta, considerato anche il tempo decorso e l'assenza di successive condotte di reato. Si censura l'entita' della pena ed il diniego dei benefici di legge. Invero, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, che la esercita, cosi' come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142-01), cio' che - nel caso di specie - non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantita' di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, e' necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (situazione, anche questa, qui non ricorrente). 13. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS). A (OMISSIS) le circostanze attenuanti generiche sono state negate sulla base dei precedenti anche successivi ai fatti per cui si procede; a (OMISSIS), le stesse sono invece state riconosciute per le medesime ragioni indicate nei confronti di (OMISSIS). Rimandandosi, quanto alla posizione di (OMISSIS), alla posizione dell' (OMISSIS), teste' descritta al paragrafo 12. del considerato in diritto che precede, in relazione alla posizione di (OMISSIS) non possono che ripetersi le medesime considerazioni svolte al precedente paragrafo 5. del considerato in diritto in relazione alle omologhe posizioni dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS). 14. Da qui: - l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), perche' il reato e' estinto per prescrizione; - la declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); - la condanna, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), perche' il reato e' estinto per prescrizione. Dichiara inammissibili i ricorsi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. CAPPELLO Gabriella - rel. Consigliere Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere Dott. DAWAN Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 10/12/2021 della CORTE APPELLO di BRESCIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; svolta la relazione dal Consigliere Dr. CAPPELLO GABRIELLA; lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto Dr. COSTANTINI FRANCESCA, la quale ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'appello di Brescia ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Bergamo aveva condannato (OMISSIS), nella qualita' di datore di lavoro e amministratore unico della (OMISSIS) s.r.l., ditta alla quale erano stati affidati dalla (OMISSIS) s.r.l. i lavori di rifacimento della copertura di un capannone industriale, per l'omicidio colposo del lavoratore (OMISSIS), occorso il (OMISSIS), in conseguenza di una caduta da circa otto metri di altezza, durante lo svolgimento dei lavori di rimozione della vecchia e posa della nuova copertura del citato capannone. In particolare, si e' contestato al (OMISSIS) di non aver provveduto a installare idonee misure di protezione collettive (rete anticaduta, impalcati); di non avere, pur nell'assenza dei presidi di cui sopra, disposto presidi individuali idonei (assorbitori di energia, connettori, dispositivi di ancoraggio, cordini, guide linea vita flessibili o rigide, imbracature); di avere infine redatto un POS non contestualizzato alla specifica realta' del cantiere. Nell'occorso, il lavoratore, mentre era impegnato, insieme a un collega, nei lavori sopra descritti, trovandosi in piedi al centro della nuova copertura, era scivolato all'interno della struttura, sfondando la contro soffittatura e riportando un trauma cranico dal quale era derivato il suo decesso. 2. La difesa dell'imputato ha proposto ricorso, formulando un unico motivo, con il quale ha dedotto violazione di legge con riferimento alla applicazione del principio di generale "priorita'" delle opere provvisionali di sicurezza collettiva, stabilite dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 111. Nella specie, era stato affermato dallo stesso Tribunale che il (OMISSIS) aveva fornito ai propri dipendenti tutti i dispositivi di sicurezza individuali necessari e a norma per svolgere il lavoro loro affidato. Tuttavia, la Corte d'appello ha ritenuto di poter ritenere addebitabile l'evento all'imputato per avere costui omesso colpevolmente di installare anche misure di protezione collettiva (impalcato pedonabile all'interno del capannone, sotto la copertura). Rileva la difesa che la problematica della priorita' delle misure di sicurezza collettiva rispetto a quelle individuali rappresenterebbe una vexata quaestio, in parte risolta dal parere reso dalla Commissione interpelli del Ministero del Lavoro, avendo quest'organo chiarito che l'articolo 111 citato non si porrebbe in termini di contrasto rispetto all'articolo 148 stesso Testo Unico n. 81 del 2008, atteso che quest'ultimo e' norma speciale applicabile solo a una certa tipologia di lavori (quelli, cioe', effettuati su lucernari, tetti, coperture e simili), allorquando le citate superfici non siano in grado di garantire una resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali o ne sia dubbia la resistenza. Cio' che nella specie non ricorreva, atteso che gli addetti dovevano operare su porzioni della copertura idonee a sostenerne il peso e ben identificabili "a vista", stante la tipologia delle lastre da sostituire. Infatti, nessuna violazione dell'articolo 148 citato era stata formulata con l'imputazione, occorrendo solo verificare l'esatta portata del precetto di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 111, comma 1, lettera a), vale a dire se, come ritenuto dal Tribunale, il legislatore abbia inteso stabilire che le misure collettive debbano essere sempre e comunque predisposte prioritariamente rispetto alle individuali. La Corte del gravame ha optato per la prima soluzione, rinviando pero' a norme la cui violazione non e' stata oggetto di contestazione (il riferimento e' all'articolo 122 del T.U.), norma che, peraltro, riguarderebbe i lavori edili e non la tipologia di quelli nei quali era impegnata la vittima. Sotto altro profilo, si contesta che, nella specie, si potesse parlare di "lavoro in quota", trattandosi di lavori che avevano riguardato una copertura protetta ai lati, e che alcun senso avrebbe il rinvio all'articolo 115 stesso testo normativo, per il quale nel caso di lavori in quota, se non siano attuate le misure collettive, allora e' necessario approntare idonei sistemi di protezione composti da diversi elementi non necessariamente presenti contemporaneamente. Da tale dato testuale, la difesa inferisce che vi sarebbe la possibilita' legittima di operare in quota anche in assenza di misure di protezione collettiva, sempre che vi siano idonei presidi individuali. Pertanto, in assenza di un obbligo di adozione delle misure collettive, il cui carattere necessitato conseguirebbe solo alla ipotesi in cui quelle individuali risultino inadeguate, la sentenza risulterebbe manifestamente illogica nella parte in cui, da un lato, si e' ammessa l'esistenza di dispositivi di sicurezza. individuali idonei a evitare il sinistro; dall'altro, si e' pretesa la previsione e predisposizione di protezioni collettive, reputandole necessarie. 3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Dr. Francesca COSTANTINI, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso va rigettato. 2. La Corte territoriale ha richiamato la sentenza appellata e la ricostruzione dei fatti ivi contenuta, operata alla stregua delle prove dichiarative e documentali acquisite. Il Tribunale aveva ritenuto sussistente, tra quelle contestate, la violazione della regola cautelare che impone al datore di lavoro di adottare, per i lavori da svolgersi in quota, le misure di salvaguardia di tipo collettivo, nella specie mancanti, essendo state predisposte solo misure di tipo individuale, pur riconosciute idonee a scongiurare l'evento ove correttamente utilizzate. Era stato escluso anche l'obbligo di fornire dei dispositivi retrattili, essendo emerso che, nella specie, corrispondeva ai criteri di perizia e prudenza l'aver abbinato l'uso della linea vita provvisoria a un cordino di sicurezza a lunghezza fissa. Ma era anche emerso che il predisposto POS non era contestualizzato alla realta' lavorativa specifica del cantiere, sia con riferimento alla descrizione dei dispositivi forniti (nel documento indicandosi un sistema - c.d. stop max - non fornito ai lavoratori), che alla specificazione delle modalita' di utilizzo della linea vita durante l'avanzamento della lavorazione; ma soprattutto era stata accertata la violazione della regola cautelare, positivizzata dal legislatore, dell'adozione dei dispositivi di sicurezza collettivi (reti anticaduta o realizzazione di un controsoffitto calpestabile), della quale erano presenti tutti i presupposti. Il datore di lavoro era ben edotto del fatto che il lavoratore avrebbe operato su copertura non calpestabile e, in ogni caso, non era stato previsto alcun presidio atto a scongiurare il rischio di caduta da sfondamento; l'imputato non aveva mai prospettato di aver predisposto tali cautele; e, sul piano della esigibilita' dell'adozione del presidio collettivo, era rimasto mero asserto difensivo che la ditta committente non intendesse spostare alcunche' dal capannone, ricorrendo di contro elementi a conferma che il problema non si era neppure posto (tre anni prima, in occasione di analogo intervento in un capannone vicino, si era proceduto con le stesse modalita'; nessuno aveva confermato che l'imputato avesse verificato con la committenza la possibilita' di realizzare una controsoffittatura all'interno del capannone e, quindi, la necessita' del suo sgombero; non era emersa alcuna richiesta nel senso di procedere allo sgombero della struttura onde poter realizzare il presidio di sicurezza collettivo). Quanto, poi, alla verifica della circostanza che la violazione della regola cautelare contestata concretizzasse proprio il rischio che la stessa era intesa a scongiurare, il Tribunale ha escluso che le prime manchevolezze del POS avessero inciso sulla realizzazione dell'evento: i lavoratori non avevano usato la linea vita predisposta perche' la stessa rendeva piu' complicato il lavoro in tandem, nella piena consapevolezza, da parte degli stessi, delle modalita' di utilizzo del presidio fornito. Cosicche', la scorretta formulazione del piano operativo sul punto non avrebbe avuto rilievo causale sulla produzione dell'evento. A risultato diametralmente opposto, invece, doveva giungersi con riferimento alla mancata predisposizione delle misure di sicurezza collettive, la cui esistenza avrebbe evitato il decesso della vittima, anche a fronte del suo accertato comportamento imprudente (mancato utilizzo dei presidi individuali forniti). Era pacifico, infatti, che la vittima stesse lavorando senza aver agganciato il cordino ad alcunche', tanto che lo stesso era stato rinvenuto agganciato alla stessa imbracatura dalla quale partiva. Tale condotta era di per se' idonea a vanificare qualsiasi cautela da parte del datore di lavoro sotto il profilo individuale; ma essa non poteva considerarsi imprevedibile o abnorme, nei termini precisati dalla giurisprudenza di legittimita', rispetto alle misure di tipo collettivo, non a caso prescritte dal legislatore con "priorita'", siccome uniche atte a prevenire anche il comportamento imprudente o negligente dello stesso lavoratore, prescindendo cioe' dalla sua collaborazione. Nella specie, lo sfondamento della copertura rappresentava proprio il rischio che l'edificazione di una contro soffittatura era intesa a scongiurare ed avrebbe efficacemente impedito l'evento, in difetto di ragioni che rendessero non percorribile la realizzazione di tale presidio (inserito nel piano operativo ed implementato nel cantiere dopo l'accaduto). La Corte del merito ha rigettato l'appello, con il quale si erano introdotti i temi dell'abnormita' interruttiva del comportamento del lavoratore e della priorita' o meno delle misure di sicurezza collettive rispetto a quelle di tipo individuale, operando in premessa una precisazione: ne' i giudici di primo grado, ne' la difesa dell'appellante avevano tenuto conto del fatto che la normativa, gia' vigente all'epoca dei fatti (recepita nel Testo Unico di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008), e' improntata al principio per il quale, in caso di lavori in quota, l'adozione di misure collettive di contenimento e' obbligatoria e non surrogabile mediante l'impiego di presidi individuali, quali cinture di sicurezza, previsti solo in via sussidiaria o complementare. A tal fine, ha richiamato, oltre al citato articolo 111, comma 1, lettera a), anche il successivo articolo 115, stesso T.U., precisando che tali disposizioni, pur significative, non sono tuttavia esaustive nel loro portato precettivo, dovendo rinviarsi anche all'articolo 122, per il quale, nei lavori in quota, devono essere adottate le misure di sicurezza collettive. Da tale ricognizione, il giudice ha tratto la conclusione che non sussistono margini di facoltativita' nell'adozione delle misure di sicurezza collettive, la norma da ultimo richiamata ponendo un obbligo inderogabile, ricavabile anche dal dato testuale ("devono essere adottate"). Pertanto, quando e' possibile, tali opere devono essere predisposte e, nel caso di specie, nulla aveva dimostrato che ne fosse impossibile l'allestimento: anche il prospettato rifiuto da parte del committente non era stato confermato e, comunque, anche ove lo fosse stato, non avrebbe legittimato soluzioni liberatorie, non essendo neppure emerso che il mancato sgombero del capannone avrebbe impedito la realizzazione del presidio di sicurezza, realizzazione che avrebbe dovuto esser perseguita anche mediante il superamento di eventuali ostacoli. Quanto, infine, all'asserita abnormita' del comportamento della vittima, la Corte ha precisato che la stessa non coincideva con la sua imprudenza, la massimizzazione delle misure di sicurezza da parte datoriale essendo correlata all'obiettivo di proteggere il lavoratore anche e proprio dalle sue imprudenze. 3. Il motivo e' infondato. L'unico punto devoluto alla cognizione di questo giudice di legittimita' inerisce alla correttezza della interpretazione dei giudici d'appello sulla relazione esistente tra gli obblighi di adottare le misure di sicurezza collettive e i presidi di tipo individuale. Sul punto, non e' ultroneo ricordare, quanto alla cornice normativa di riferimento (peraltro correttamente richiamata nella sentenza censurata) che, secondo il Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 111, comma 1, lettera a, "Il datore di lavoro, nei casi in cui i lavori temporanei in quota non possono essere eseguiti in condizioni di sicurezza e in condizioni ergonomiche adeguate a partire da un luogo adatto allo scopo, sceglie le attrezzature di lavoro piu' idonee a garantire e mantenere condizioni di lavoro sicure, in conformita' ai seguenti criteri: a) priorita' alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;"); il successivo articolo 115, poi, stabilisce che "Nei lavori in quota qualora non siano state attuate misure di protezione collettiva come previsto all'articolo 111, comma 1, lett.a), e' necessario che i lavoratori utilizzino idonei sistemi di protezione (idonei per l'uso specifico) composti da diversi elementi, non necessariamente presenti contemporaneamente,..."); infine, l'articolo 122 prevede che, nei lavori in quota, "...devono essere adottate, seguendo lo sviluppo dei lavori stessi, adeguate impalcature o ponteggi o idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone e di cose conformemente ai punti 2, 3.1, 3.2 e 3.3 dell'allegato XVIII". Cio' posto, deve preliminarmente sgombrarsi il campo da ogni sospetto, invero solo suggerito e neppure compiutamente illustrato in ricorso, di violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui all'articolo 521 c.p.p., avuto riguardo a(rinvio all'articolo 122 da ultimo citato da parte dei giudici d'appello: infatti, perche' possa dirsi integrata una violazione di esso, non e' sufficiente qualsiasi modificazione dell'accusa originaria, ma e' necessaria una modifica che pregiudichi la possibilita' di difesa dell'imputato. Ne consegue che detta violazione non sussiste quando, nel capo di imputazione, siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l'imputato in condizioni di difendersi dal fatto successivamente ritenuto in sentenza, da intendersi come accadimento storico oggetto di qualificazione giuridica da parte della legge penale, che spetta a(giudice individuare nei suoi esatti contorni (sez. 5 n. 7984 del 24/9/2012, dep. 2013, Jovanovic, Rv. 254648). Tali principi sono coerenti con quelli costituzionali racchiusi nella norma di cui al novellato articolo 111 Cost., ma anche con l'articolo 6 della Convenzione E.D.U., siccome interpretato, in base alla sua competenza esclusiva, dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, a partire dalla nota pronuncia Drassich c. Italia (CEDU 2 sez. 11 dicembre 2007); ma anche, piu' di recente, con la pronuncia del 22 febbraio 2018, Drassich c. Italia (n. 2), con la quale la Corte di Strasburgo ha escluso la violazione dell'articolo 6 cit. nel caso in cui l'interessato abbia avuto una possibilita' di preparare adeguatamente la propria difesa e di discutere in contraddittorio sull'accusa alla fine formulata nei suoi confronti. Nel caso in esame, difetta per l'appunto una lesione del diritto di difesa alla cui salvaguardia il principio di correlazione e' direttamente funzionale, non apprezzandosi un rapporto di eterogeneita' del fatto ritenuto rispetto a quello contestato (sez. 6, n. 10140 del 18/2/2015, Bossi, Rv. 262802): il richiamo alla norma infatti e' stato operato all'interno della ricostruzione del quadro normativo di riferimento che disciplina il rapporto tra le diverse misure di salvaguardia e al fine di rinvenire il sostegno normativo al principio di priorita' delle misure collettive rispetto a quelle individuali. Peraltro, tali principi sono stati ulteriormente calibrati in tema di reati colposi, affermandosi che non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (sez. 4, n. 35943 del 7/3/2014, Denaro, Rv. 260161; n. 7940 del 25/11/2020, dep. 2021, Chiappalone, Rv. 280950; n. 53455 del 15/11/2018, Galdini, RV. 274500). 4. Quanto, poi, al tema specifico devoluto, la ricostruzione dell'addebito riconosciuto in capo al soggetto chiamato a gestire lo specifico rischio e' del tutto corretta in diritto (non essendo state formulate doglianze che aggrediscano la coerenza del ragionamento probatorio con i dati fattuali esposti anche mediante il rinvio alla conforme sentenza appellata e neppure la sua logicita' o ne suggeriscano la contraddittorieta', vizi peraltro non riscontrabili). E' principio generale, da lungo tempo reiterato, quello per il quale, in tema di infortuni sul lavoro, l'uso del presidio individuale e' imposto, quale misura di carattere generale e imperativo, in tutti i casi in cui il lavoratore sia esposto al rischio di caduta dall'alto, con la sola esclusione della ipotesi di presenza di impalcati di protezione e di parapetti idonei a scongiurare del tutto il rischio di caduta (sez. 4, n. 10213 del 13/1/2005, Vecchiato, Rv. 231249). Tale obbligo, dunque, sempre che sia possibile, nel caso di lavorazioni eseguite ad altezza superiore a due metri, non puo' essere sostituito dall'uso delle cinture di sicurezza, previsto solo sussidiariamente o in via complementare (sez. 4, n. 25134 del 19/4/2013, Urso, Rv. 256525, richiamata anche dalla Corte territoriale, in cui il giudice di legittimita', in applicazione del principio, proprio in un caso analogo a quello in esame, ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha confermato la responsabilita' dell'imputato, nella sua qualita' di datore di lavoro, in ordine al reato di omicidio colposo, nei confronti di un lavoratore edile per non avere predisposto - con riguardo a lavorazioni consistenti nella rimozione di lastre di eternit poste a copertura di un tetto ad un'altezza di circa otto metri da terra - idonee opere provvisionali o precauzionali di cui non era stata comprovata alcuna impossibilita' in ordine alla concreta realizzabilita' ma un mero difetto di convenienza al riguardo; sez. 3, n. 23140 del 26/3/2019, Visconti, Rv. 276755). Quanto, poi, alla valutazione sulla realizzabilita' del presidio omesso, essa di traduce in un giudizio di merito, congruamente giustificato dai giudici territoriali, sul quale non residuano margini di apprezzamento da parte del giudice di legittimita'. La ricostruzione in diritto, peraltro, e' del tutto coerente con l'orientamento andatosi consolidando nella giurisprudenza di legittimita', in ordine all'efficacia interruttiva del comportamento del lavoratore e sugli obblighi di collaborazione gravanti sul medesimo. Infatti, e' certamente vero che - in materia di prevenzione antinfortunistica - si e' passati da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facciano un corretto uso, imponendosi contro la loro volonta'), a un modello "collaborativo", in cui gli obblighi sono ripartiti tra piu' soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 20), il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia (sul punto, sez. 4 n. 8883 del 10/2/2016, Santini, Rv. 266073). In altri termini, si e' passati, a seguito dell'introduzione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994 e, poi, del Testo Unico 81/2008, dal principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" al concetto di "area di rischio" (sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro e' chiamato a valutare in via preventiva. Tuttavia, e cio' va fermamente ribadito in questa sede, e' sempre valido il principio secondo il quale non puo' esservi alcun esonero di responsabilita' all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, cit.). All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore puo' ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalita' tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo ove sia tale da attivarne uno eccentrico o esorbitante dalla sfera governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (sez. 4 n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603; n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017); oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilita' da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (sez. 4 n. 7188 del 10/1/2018, Bozzi, Rv. 272222). La risposta approntata dalla Corte d'appello alle doglianze formulate con il gravame di merito in ordine all'efficacia interruttiva dell'azione del lavoratore rispetto al nesso causale tra la condotta addebitata e l'evento e' del tutto allineata con i principi teste' richiamati: nella specie, il lavoratore ha agito nel contesto delle lavorazioni espressamente assegnategli, delle quali il datore di lavoro era pertanto edotto e aveva disatteso, per imprudenza e negligenza, le istruzioni sul corretto utilizzo del presidio individuale, cio' che rappresentava evenienza del tutto prevedibile da parte datoriale, in assenza, tuttavia, di un presidio collettivo, inteso a prevenire proprio tale imprudenza. 5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. PARDO Ignazio - rel. Consigliere Dott. ARIOLLI Giovanni - Consigliere Dott. PERROTTI Massimo - Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 09/07/2020 della CORTE di APPELLO di FIRENZE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PARDO IGNAZIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa GIORGIO LIDIA che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e l'inammissibilita' dei restanti ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); Uditi i difensori: avv.to (OMISSIS) per (OMISSIS) chiede l'annullamento della sentenza impugnata; avv.to (OMISSIS) per (OMISSIS) e (OMISSIS) chiede l'accoglimento del ricorso; avv.to (OMISSIS) che si riporta ai motivi per (OMISSIS) e per (OMISSIS) e (OMISSIS) chiede l'accoglimento dei motivi di ricorso e la declaratoria di prescrizione. L'avv.to (OMISSIS) per (OMISSIS) insiste per l'accoglimento dei motivi di ricorso; avv.to (OMISSIS) per (OMISSIS) e (OMISSIS) insiste per l'accoglimento del ricorso; avv.to (OMISSIS) per (OMISSIS) chiede l'accoglimento del ricorso; avv.to (OMISSIS) che si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1.1 Con sentenza in data 9 luglio 2020, la Corte di Appello di Firenze confermava la pronuncia del G.U.P del Tribunale di Arezzo datata 9 novembre 2017 che aveva condannato (OMISSIS) ad anni 2 di reclusione ed Euro 8,000 di multa, (OMISSIS) ad anni 2 di reclusione ed Euro 8,000 di multa, (OMISSIS) ad anni 1 mesi 6 di reclusione ed Euro 8,000 di multa, (OMISSIS) ad anni 1 mesi 2 di reclusione ed Euro 6,000 di multa, (OMISSIS) ad anni 1 mesi 4 di reclusione ed Euro 7,000 di multa. Con la stessa sentenza il giudice di appello riduceva la pena inflitta a (OMISSIS) ad anni 1 mesi 8 di reclusione ed Euro 7,000 di multa, a (OMISSIS) ad anni 1 mesi 8 di reclusione ed Euro 7,000 di multa, a (OMISSIS) anni 1 mesi 8 di reclusione ed Euro 7,000 di multa, a (OMISSIS) ad anni 1 mesi 8 di reclusione ed Euro 7,000 di multa; il giudice d'appello, infine, assolveva (OMISSIS) dal reato a lui ascritto al capo a) per non avere commesso il fatto e rideterminava la pena a lui irrogata per la residua imputazione di cui al capo c) in anni 1 mesi 6 di reclusione ed Euro 6,000 di multa da anni 1 mesi 8 ed Euro 8,000 di multa. Nelle pronunce di merito i giudici di primo e secondo grado ricostruivano l'esistenza di un mercato d'oro, parallelo a quello legale, realizzato mediante la raccolta del metallo da piccoli e medi esercizi, per poi avviarlo verso il mercato estero, attraverso soggetti che fungevano da intermediari e "collettori", che aveva determinato la contestazione delle imputazioni di associazione per delinquere, ricettazione ed esercizio abusivo del commercio di oro. Le fonti di prova valorizzate erano costituite da intercettazioni telefoniche, dai sequestri di valori e documenti presso una societa' estera relativa ai rapporti commerciali con i "collettori" operanti in Italia, dalle dichiarazioni di alcuni dei soggetti coinvolti. 1.2 Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione gli imputati; (OMISSIS), con ricorso dell'avv. (OMISSIS), deduceva: violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) in relazione agli articoli 8, 12, 16 c.p.p. avendo il giudice d'appello ritenuto radicata per connessione ex articolo 16 c.p.p., comma 2 la competenza del Tribunale di Arezzo e valutandola, pero', a posteriori ossia a seguito della riqualificazione del reato di cui al capo e) da articolo 648 bis c.p. a articolo 648 c.p. anziche' applicare l'articolo 16 c.p.p., comma 1 che prevede la competenza per territorio del luogo dove era stato commesso il reato piu' grave originariamente contestato di riciclaggio da individuarsi nel Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (primo motivo); violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera c) e b) in relazione alla riqualificazione giuridica del reato di cui al capo e) da articolo 648 bis c.p. a articolo 648 c.p. che determinava lesione del diritto alla difesa dell'imputato non essendo stata data a quest'ultimo alcuna possibilita' di avere una chiara e precisa indicazione del fatto addebitato; al proposito si sosteneva che il ricorrente aveva chiesto il giudizio abbreviato ex articolo 438 c.p.p., comma 5 e aveva formulato richieste istruttorie limitate e orientate agli atti del fascicolo del P.M (che qualificava la condotta come riciclaggio), seguendo una linea difensiva orientata a dimostrare l'estraneita' dal fatto contestato ma inutile rispetto a quello giudicato (secondo motivo). 1.3 (OMISSIS), con ricorso dell'avv. (OMISSIS), deduceva: - violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) quanto all'affermazione di responsabilita' di cui al capo c) per tutti gli episodi di ricettazione e commercio d'oro avvenuti nel periodo marzo-novembre 2012; il giudice d'appello infatti, dalla sussistenza di elementi indiziari comprovanti il ruolo di partecipe all'associazione in qualita' di "corriere", aveva dedotto automaticamente il concorso in tutti gli episodi di ricettazione compiuti dagli altri appartenenti al sodalizio senza alcuna indicazione di elementi di prova atti a dimostrare il contributo specifico ai singoli reati fine da parte del ricorrente (primo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) quanto all'affermazione di responsabilita' per il capo a) dell'imputazione riguardante la partecipazione all'associazione per delinquere dovendosi invece fare applicazione del criterio distintivo tra stabilita' del vincolo associativo e occasionalita' che caratterizza quello concorsuale; la stabilita' del vincolo associativo del (OMISSIS) veniva dedotta unicamente dalla qualifica di corriere dello stesso, qualifica che emergeva da uno scarno quadro indiziario (il possesso di schede telefoniche intestate a prestanome, la circostanza che il figlio era impegnato nel traffico transfrontaliero di valuta, un pedinamento dell'auto di sua proprieta') mancando il susseguirsi ininterrotto delle condotte integranti reati-fine ad opera di soggetti stabilmente collegati tra loro (secondo motivo). 1.4 (OMISSIS) deduceva con ricorso dell'avv. (OMISSIS): - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) quanto all'affermazione di responsabilita' per il capo a) dell'imputazione; il (OMISSIS) veniva ritenuto partecipe del sodalizio criminoso sulla base di un'unica conversazione in cui suo fratello, (OMISSIS), aveva riferito a tale (OMISSIS) che la consegna dell'oro sarebbe stata effettuata dal (OMISSIS), tuttavia, in ordine a tale consegna non emergeva alcuna prova che poi fosse realmente avvenuta (primo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) con riguardo all'affermazione di responsabilita' per il delitto di ricettazione mancando l'individuazione del reato presupposto; l'oro che il (OMISSIS) aveva acquistato dai compro-oro non poteva ritenersi di per se' di provenienza delittuosa solo perche' privo di documentazione fiscale ed in ragione delle modalita' di custodia utilizzate (uso di autovetture con doppiofondo) e dell'utilizzo di schede telefoniche ad hoc da parte dei soggetti coinvolti nel trasporto; il ricorrente segnalava, al proposito, alcuni provvedimenti, tra cui due sentenze irrevocabili, in cui i fornitori ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) dello stesso erano stati assolti dal reato di ricettazione e di commercio abusivo di oro. Tali sentenze irrevocabili, in violazione dell'articolo 238 bis c.p.p., non erano state acquisite ai fini della prova del fatto in esse accertato ossia che i suddetti compro-oro non avevano ricevuto oro di provenienza illecita (secondo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) con riguardo all'affermazione di responsabilita' in base alla L. n. 7 del 2000, articolo 4; il ricorrente era titolare della necessaria autorizzazione richiesta dalla legge per il commercio di oro, non potendosi, dunque, considerare il commercio abusivo. La violazione del solo articolo 4, comma 2 della suddetta legge, circa l'obbligo di comunicazione all'Ufficio Cambi delle transazioni superiori ad un certo valore, comportava esclusivamente l'applicazione di una sanzione amministrativa (terzo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) con riguardo all'applicazione della misura della confisca per equivalente L. n. 146 del 2006, ex articolo 11; si deduceva al proposito l'assenza del carattere transnazionale del reato per cui puo' applicarsi la misura, difettando i requisiti che l'articolo 3 della stessa legge richiede. Il requisito principale richiesto, costituito dalla "territorialita' del reato" (reato commesso in piu' di uno stato), non risultava integrato essendo l'Italia il luogo del commesso reato sia per l'associazione per delinquere (pianificata, diretta e controllata solo in Italia) sia per la ricettazione (reato a consumazione istantanea, i vari acquisti erano avvenuti in Italia); anche volendo ritenere legittima la confisca per equivalente, occorreva detrarre i quantitativi di valore dell'oro ritenuto di legittima provenienza da diverse sentenze assolutorie (per ricettazione e commercio abusivo) dei titolari dei compro-oro (quarto motivo). 1.5 (OMISSIS), con ricorso del proprio difensore (OMISSIS), deduceva: - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) quanto all'affermazione di responsabilita' per il delitto di ricettazione; si deduceva l'omessa motivazione circa l'individuazione del delitto presupposto attraverso l'utilizzo dell'imputazione alternativa "delitto di commercio abusivo di oro e di delitti contro il patrimonio". La condanna per commercio abusivo di oro non poteva costituire la piattaforma probatoria della sentenza di condanna del delitto di ricettazione, essendo lo stesso soggetto responsabile del reato-presupposto; cosi' il giudice d'appello aveva individuato a carico del medesimo soggetto il concorso nel delitto di commercio abusivo di oro e poi, in carenza di altri elementi di fatto, il presupposto del delitto di ricettazione. Con riguardo alla provenienza dell'oro da delitti contro il patrimonio (non menzionati nemmeno dalla rubrica), essa veniva desunta dal giudice d'appello dalla sola tipologia della merce trattata, circostanza pero' rimasta isolata sul piano probatorio (primo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione alla mancata declaratoria della prescrizione, ai sensi degli articoli 157 e 159 c.p., del reato di cui alla L. n. 7 del 2000, articolo 4 decorsa prima della sentenza di appello. Il giudice d'appello, in ragione della significativa conversazione del 21/06/2012, dava atto che il delitto di commercio abusivo con (OMISSIS) era cessato nel mese di giugno 2012, precisamente giorno 21, senza applicare conseguentemente la richiamata causa estintiva. Volendo seguire la ricostruzione della corte di appello il reato, tenendo conto del periodo di sospensione stabilito in sentenza (complessivamente 130 giorni), risultava prescritto il 29/04/2020. In ogni caso il reato risultava prescritto al 21/07/2020 in relazione a tutte le operazioni imputabili al ricorrente; - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione all'applicazione dell'aggravante della transnazionalita' L. n. 146 del 2006, ex articolo 4 (oggi articolo 61 bis c.p.). Si deduceva come l'applicazione della suddetta aggravante da un lato contrastasse con l'articolo 59 c.p., data l'assenza di consapevolezza in capo al ricorrente dell'espansione del commercio anche in territorio elvetico, dall'altro risultasse incompatibile con il principio del ne bis in idem sostanziale, allorche' si recuperavano gli elementi fattuali valorizzati per assolvere il ricorrente dalla partecipazione al gruppo criminale. Inoltre, in caso di immedesimazione tra l'associazione e il gruppo criminale organizzato transnazionale, avrebbe dovuto conseguirne l'esclusione dell'applicabilita' della circostanza (terzo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) con riguardo all'applicazione della pena accessoria della confisca per equivalente disposta L. n. 146 del 2006, ex articolo 11; si deduceva il difetto del carattere transnazionale - necessario ai fini dell'applicabilita' della confisca di cui al citato articolo 11 - in ragione della coincidenza tra l'associazione criminale e il gruppo impegnato in attivita' criminali in piu' di uno Stato. Risultava assente la necessaria autonomia tra la condotta integrante il reato comune ed il contributo prestato al gruppo transnazionale. Inoltre, la confisca non si limitava al margine di guadagno fissato nell'imputazione bensi' si estendeva all'intero valore dell'operazione (quarto motivo). Con motivi nuovi (OMISSIS) deduceva: - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in ordine all'oggetto della confisca non avendo il giudice d'appello distinto il valore del bene ricettato dal profitto effettivamente conseguito; si addebitava al ricorrente la sommatoria di tutti i valori ricavabili dai frammenti delle azioni pregresse e successive a prescindere dalla condotta concretamente tenuta, attribuendogli per intero il valore dell'oro commercializzato, anche di quello compravenduto prima che lo stesso entrasse in contatto con i collettori. 1.6 Con ricorso dell'avv. (OMISSIS) nell'interesse di (OMISSIS) si deduceva relativamente al capo a): - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per manifesta illogicita' della motivazione; la sussistenza di condotte analoghe (utilizzo di utenze telefoniche dedicate e di autovetture con doppio fondo) nella commissione di reati della stessa specie non poteva considerarsi indice rivelatore dell'esistenza di un'associazione per delinquere finalizzata alla commissione degli stessi reati essendo condotte comuni sia a coloro che ricettavano sia a coloro che commercializzavano metalli preziosi "a nero" in assenza di un vincolo associativo che li accomunava (primo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per motivazione contraddittoria nella parte in cui il giudice d'appello riteneva indice della partecipazione al sodalizio l'utilizzo di schede telefoniche "dedicate" da parte del (OMISSIS) mentre per altro imputato ( (OMISSIS)) la stessa condotta non veniva considerata avente il medesimo significato (secondo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per manifesta illogicita'; la sentenza di appello descriveva una struttura associativa in cui non solo il vertice organizzativo ( (OMISSIS)) era allo stesso tempo acquirente e venditore di se stesso ma, in piu', i singoli gruppi si trovavano in aperta concorrenza tra di loro, anziche' in collaborazione, poiche' del guadagno della compravendita beneficiavano solo quelli che avevano provveduto al reperimento del metallo (terzo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) non essendo gli elementi indiziari da cui si desumeva l'associazione per delinquere ne' gravi ne' concordanti ma compatibili anche con l'istituto del concorso di persone (quarto motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dei caratteri di stabilita' ed indeterminatezza dell'accordo criminoso (quinto motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per mancanza di motivazione in relazione agli elementi probatori da cui veniva desunto l'utilizzo delle utenze telefoniche "dedicate" (sesto motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) quanto alla deduzione da comunicazioni telefoniche criptiche della partecipazione del (OMISSIS) con ruolo organizzativo all'interno dell'associazione (settimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per motivazione contraddittoria e travisamento della trascrizione della conversazione telefonica progr. 8552 e 141 del 7/8/2012 che, se inserita nel percorso logico-argomentativo seguito dal giudice di appello, avrebbe condotto a considerazioni opposte rispetto al ruolo organizzativo del (OMISSIS) (ottavo e nono motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per travisamento dell'interrogatorio reso da (OMISSIS) al P.M. da cui si desumeva esclusivamente la partecipazione del (OMISSIS) a due-tre incontri finalizzati a chiarire tensioni verificatesi con il (OMISSIS) e connessi ad un finanziamento per affari del (OMISSIS) estranei all'associazione e non anche il ruolo organizzativo del (OMISSIS) (decimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per manifesta illogicita' della motivazione; il giudice d'appello attribuiva importante valore probatorio al contatto che il (OMISSIS) avrebbe avuto con l' (OMISSIS) (riferendo a quest'ultimo di una "cimice" rinvenuta nell'auto del (OMISSIS) e della (OMISSIS)) salvo poi rilevare nelle dichiarazioni dell' (OMISSIS) che tale informazione non era stata ricevuta dal (OMISSIS) bensi' dal (OMISSIS) (undicesimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) nella parte in cui veniva applicata la disciplina dell'articolo 416 c.p. a condotte proprie del concorso di reato di cui all'articolo 110 c.p.; il giudice d'appello ricorreva all'individuazione di singoli gruppi operanti nel piu' ampio sodalizio criminoso desumendo che la partecipazione al singolo gruppo costituisse prova dell'appartenenza all'associazione finale (dodicesimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) relativamente alla distinzione tra ricettazione per acquisto e ricettazione per intromissione; il giudice affermava l'esistenza di entrambe le forme di ricettazione come derivanti da un medesimo fatto storico, potendo le stesse derivare esclusivamente da condotte diverse e alternative cioe' incompatibili tra loro (tredicesimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per assenza di motivazione in ordine alla ricostruzione del volume complessivo del metallo trattato e delle sue caratteristiche (quattordicesimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione nella parte in cui si desumeva la provenienza delittuosa dell'oro sia dal prezzo inferiore al fixing ufficiale sia dall'attivita' di acquisto a nero dei compro-oro dai privati circostanza da cui non poteva desumersi il carattere delittuoso della provenienza dell'oro; inoltre il reato-presupposto era stato anche individuato nel commercio abusivo di oro richiamando risultati di prove mai assunte (quindicesimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per contraddittorieta' della motivazione in relazione agli interrogatori di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e alle sommarie informazioni rilasciate da Frasconi dalle quali non risultava alcuna menzione di condotte attive e/o omissive del (OMISSIS) (sedicesimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per assenza di motivazione in ordine al dolo di ricettazione non essendoci alcun elemento probatorio da cui desumere che il (OMISSIS) fosse a conoscenza dell'eventuale provenienza delittuosa del metallo oggetto di ricettazione (diciassettesimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in ordine alla configurazione del delitto di ricettazione quando il soggetto agente abbia concorso, in qualsiasi forma, alla realizzazione del delitto presupposto, in questo caso il reato associativo (diciottesimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) relativamente alla configurazione del delitto di ricettazione in quanto il ricorrente veniva condannato per il reato presupposto di cui alla L. n. 7 del 2000, articolo 4 cosi' che operava la clausola di riserva dell'articolo 648 c.p. (diciannovesimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) per inosservanza e/o erronea applicazione della L. n. 7 del 2000, articoli 1 e 4; la normativa di cui alla L. n. 7 del 2000, articolo 1, comma 3 non richiede che tutti coloro che agiscono a vario titolo per conto di una societa' avente personalita' giuridica (come la (OMISSIS) spa) munita dell'abilitazione di cui al suddetto articolo a loro volta siano operatori professionali abilitati. In. ogni caso, eventuali acquisti "a nero" non comportavano il venir meno dell'abilitazione professionale posseduta dalla societa' ma semplicemente costituivano violazioni della normativa fiscale (ventesimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) per assenza di motivazione in ordine all'esistenza del concorso dei reati di cui all'articolo 648 c.p. e L. n. 7 del 2000, articolo 4; risultava mancante l'argomentazione circa le eccezioni aventi ad oggetto l'assenza dell'accordo criminoso e del contributo causale del (OMISSIS) ai reati di cui al capo c) nonche' il dolo di concorso (ventunesimo motivo); Con ulteriori doglianze relative alla circostanza aggravante della transnazionalita' di cui alla L. n. 146 del 2000, articolo 4 si lamentava: - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e) quanto all'assenza della descrizione chiara e precisa del fatto integrante l'aggravante (ventiduesimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) per inosservanza e/o erronea applicazione della L. n. 146 del 2000, articolo 4 avendo il giudice d'appello ritenuto il mero rapporto tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) (vertice svizzero dell'organizzazione) come circostanza riconducibile alla previsione normativa della L. n. 146 del 2000, articolo 4 anziche' individuare gli elementi probatori del contributo di un gruppo criminale organizzato impegnato in attivita' criminali in piu' di uno stato (ventitreesimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) in ordine all'applicazione della confisca per equivalente normativamente applicabile ai reati transnazionali di cui alla L. n. 146 del 2000, articolo 3 e non anche ai reati aggravati dalla transnazionalita' di cui all'articolo 4 della medesima legge (ventiquattresimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) in ordine al profitto confiscabile avendo il giudice d'appello disposto la confisca dell'intero vantaggio patrimoniale anziche' del prodotto, del profitto o del prezzo dei reati di cui al capo c) (venticinquesimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in ordine al quantum confiscabile a carico dei singoli raccoglitori non limitato ai quantitativi concretamente trattati (ventiseiesimo motivo); Si deduceva, infine, in ordine all'estinzione dei reati di cui all'articolo 416 c.p. e L. n. 7 del 2000, articolo 4 violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e); il giudice d'appello non aveva dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione individuando erroneamente il dies a quo nell'1/11/2012 anziche' nel 20/7/2012 data in cui avveniva una conversazione telefonica tra (OMISSIS) e (OMISSIS) da cui emergeva la cessazione di ogni attivita' del "gruppo (OMISSIS)" di cui faceva parte il (OMISSIS) stesso (ventisettesimo motivo). 1.7 (OMISSIS) e (OMISSIS), con ricorso dell'avv. (OMISSIS), deducevano: - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) per erronea applicazione della legge penale in relazione agli articoli 157 e 158 c.p.; le condotte imputate ai ricorrenti risultavano circoscritte al periodo ricompreso tra maggio 2012 e luglio 2012, circostanza acquisita pacificamente nella sentenza d'appello la quale, pur individuando e descrivendo le condotte ascritte ai ricorrenti come commesse prima del 20 luglio 2012, affermava che la piu' remota condotta tra le date di consumazione dei reati ascrivibili agli imputati stessi fosse da individuarsi come commessa il 1 novembre 2012 dovendosi, invece, alla data della sentenza d'appello, necessariamente ritenere prescritti i reati di cui all'articolo 416 c.p. e L. n. 7 del 2000, articolo 4 (primo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione agli articoli 110, 416 c.p. e articolo 192 c.p.p. per aver ritenuto provata l'appartenenza all'associazione dei ricorrenti sulla base del solo ruolo di "corriere", ritenuto quale unico apporto al sodalizio, dal quale si faceva derivare la conoscenza della struttura associativa in virtu' del vincolo di coniugio con i fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS) (secondo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) in relazione alla L. n. 7 del 2000, articoli 1 e 4 non potendosi ritenere che la condotta addebitata ai ricorrenti, consistita esclusivamente nell'aver trasportato in alcune occasioni il metallo prezioso da (OMISSIS) alla provincia di (OMISSIS), fosse connotata del carattere della professionalita' richiesto dalla norma di cui alla L. n. 7 del 2000, articolo 1, comma 3 trattandosi al piu' di mero trasferimento di oro nel territorio nazionale in assenza della prescritta dichiarazione all'Ufficio italiano dei Cambi, fattispecie prevista dall'articolo 1 comma 2 della suddetta legge e punita con la sola sanzione amministrativa (terzo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) per insussistenza del reato presupposto della ricettazione, individuato dal giudice d'appello nella L. n. 7 del 2000, articolo 4, avendo la societa' in questione (n (OMISSIS) spa) i titoli legittimi per il commercio dell'oro in ogni sua forma (quarto motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione alla affermata sussistenza della circostanza aggravante della transnazionalita' di cui alla L. n. 146 del 2006, articolo 4 sul presupposto della piena prova del fatto che il (OMISSIS) e la (OMISSIS) da partecipanti all'associazione erano consapevoli che questa agisse anche all'estero e che il metallo fosse tendenzialmente destinato al mercato estero; tuttavia sebbene l'aggravante era contestata in relazione ai soli reati fine (le cui condotte si erano consumate per i ricorrenti esclusivamente in suolo italiano), nella motivazione della sentenza d'appello la suddetta aggravante veniva collegata al reato associativo che risultava l'unico connotato da carattere della transnazionalita' (quinto motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in ordine alla determinazione del quantum confiscabile corrispondente al totale del metallo raccolto e non al quantitativo concretamente trattato dal gruppo di appartenenza, prescindendo anche dalla considerazione della dimensione temporale dell'apporto di ciascun imputato (sesto motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in ordine all'adozione della misura della confisca nei confronti dei ricorrenti in misura eccedente l'ammontare dell'intero profitto correlabile alle attivita' del cosiddetto gruppo " (OMISSIS)", al quale poteva essere ricondotta esclusivamente la partecipazione dei ricorrenti nella forma del concorso di persone nel reato ex articolo 110 c.p. (settimo motivo). 1.8 Con ricorso dell'avv. (OMISSIS) nell'interesse di (OMISSIS) si deduceva: - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) quanto all'affermazione di responsabilita' per il capo a) dell'imputazione riguardante la partecipazione all'associazione per delinquere non sussistendo la evidenza, diretta o indiretta, della volonta' di partecipare al comune disegno criminoso e di dare un contributo causale all'associazione, dovendosi, invece, ricondurre le condotte del (OMISSIS) nell'alveo del concorso ex articolo 110 c.p.. Costui aveva intrattenuto rapporti occasionali unicamente con (OMISSIS) e non aveva mai avuto contezza degli altri sodali e del presunto vincolo associativo. La conoscenza del ricorrente circa le modalita' organizzative del commercio di oro (esistenza del server su cui veniva tenuta la contabilita', utilizzo di SIM telefoniche dedicate, uso di autovetture con doppifondi) non era idonea a dimostrare la sua appartenenza all'organizzazione, quand'anche essa fosse esistita, ed al massimo avrebbe potuto integrare una condotta valutabile ex articolo 110 c.p.; la ritenuta esistenza del vincolo associativo tra gli imputati contrastava con la successiva valutazione dei sequestri ove, invece, la posizione dell'imputato si legava al gruppo di appartenenza, riconoscendo l'autonomia strutturale ed organizzativa dei singoli gruppi (primo motivo). - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) quanto all'affermazione di responsabilita' per il capo b) avente ad oggetto il delitto di ricettazione risultando assente l'identificazione del reato presupposto rispetto alle condotte di compravendita di oro realizzate, posto che, per la configurabilita' astratta di tale ipotesi, il reato presupposto deve essere effettivamente avvenuto e la sua sussistenza risultare al giudice, mentre, nel caso in esame, il giudice di appello aveva ricavato la provenienza illecita dalla mancata indicazione dei nominativi dei soggetti che avevano ceduto l'oro, desumendone la prova certa che l'approvvigionamento dell'oro fosse avvenuto da fornitori illegali senza alcun accertamento specifico; peraltro l'impugnata sentenza si era contraddetta in un passaggio successivo in cui il profilo del reato presupposto della ricettazione veniva ricollegato al tema del commercio abusivo senza che peraltro risultasse la contestazione della violazione della L. n. 7 del 2000 quale reato presupposto; di contro, il (OMISSIS) aveva reso dettagliate dichiarazioni circa la provenienza dell'oro ceduto all' (OMISSIS), allegando documenti (consulenza, registri contabili, fatture) che davano la prova della veridicita' del suo racconto (secondo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) quanto alla ritenuta esistenza dell'aggravante della transnazionalita' di cui all'articolo 61 bis c.p. rispetto ai reati fine consumati dall'associazione per delinquere che non poteva essere considerata assimilabile al "gruppo criminale organizzato" di cui al 61 bis c.p.; non risultavano, infatti, coinvolti gruppi criminali autonomi di diversa nazionalita' ma semplicemente la successione degli eventi caratterizzanti il fatto di reato sfociava nella consumazione dello stesso in territorio extranazionale; inoltre, nessuna attivita' criminale risultava consumata in territorio svizzero (in cui operava non un gruppo criminale ma il singolo (OMISSIS)) e, dunque, considerando unitariamente i singoli reati di ricettazione contestati al (OMISSIS) in concorso con le condotte dell' (OMISSIS) e del (OMISSIS), essi si erano verificati in (OMISSIS), trattandosi di fattispecie a consumazione istantanea (terzo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) per omessa motivazione nonche' violazione di legge con riguardo alla disciplina di cui alla L. n. 7 del 2000, articolo 4 e articolo 1, comma 3 non configurandosi alcun commercio professionale "abusivo" di oro, esercitando il (OMISSIS) l'attivita' in maniera legittima, in presenza di tutti i requisiti previsti dalla legge, salvo violare l'obbligo di dichiarazione dell'operazione effettuata all'Ufficio Italiano Cambi di cui alla L. n. 7 del 2000, articolo 1, comma 2, punito con la sola sanzione amministrativa (quarto motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) con riguardo all'omessa motivazione circa il motivo di gravame attinente all'illegittimita' della confisca ne' calcolata in maniera individuale ne' commisurata in relazione al vantaggio patrimoniale effettivo costituito dall'importo corrispondente alle imposte evase (quinto motivo). Con motivi aggiunti ex articolo 585 c.p.p., comma 4 (OMISSIS), ad integrazione del quinto motivo di ricorso, deduceva violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in ordine alla determinazione del quantum confiscabile individuato nel corrispettivo della vendita dell'oro non essendosi tenuto conto dell'effettivo vantaggio economico derivante dalla condotta illecita; posto che nel reato di ricettazione occorre distinguere il reato presupposto commesso da chi si avvantaggia dell'acquisizione illecita del bene dalla condotta materiale di ricettazione ove il vantaggio e' costituito dal cedere un bene al di fuori del canale ufficiale, nel caso di specie (OMISSIS) non aveva partecipato all'azione di apprensione del bene ne' tratto alcun vantaggio dal valore intrinseco del bene stesso; inoltre la vendita dell'oro costituiva un illecito solo nella parte in cui avveniva al di fuori del canale ufficiale e integrava il reato di ricettazione per il solo fatto di essere effettuata su un mercato nero in cui l'unico vantaggio concreto risultava essere il mancato versamento delle imposte sulla plusvalenza guadagnata. Ne conseguiva che l'individuazione del quantum confiscabile doveva essere fissato nel profitto del reato come risultante dal ricavo della vendita detratto pero' il costo di acquisto del metallo prezioso. 1.9 (OMISSIS) con ricorso dell'avv. (OMISSIS) deduceva: - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) relativamente alla sussistenza del delitto di ricettazione non essendo il materiale prezioso acquistato dai compro-oro di provenienza delittuosa; i compro-oro da cui avrebbe acquistato (OMISSIS) venivano assolti dai reati di ricettazione e commercio abusivo di oro con sentenze irrevocabili (Tribunale di Lecce 4/7/2018 nei confronti di (OMISSIS); Tribunale di Foggia 3/6/2019 nei confronti di (OMISSIS)) a cui il giudice d'appello non aveva attribuito il corretto valore probatorio a confutazione di elementi indiziari ricadenti sulla sussistenza del reato presupposto (primo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) relativamente all'affermazione di responsabilita' L. n. 7 del 2000, ex articolo 4 essendo la (OMISSIS) srl, di cui il ricorrente era titolare, dotata della prescritta autorizzazione della Banca d'Italia (secondo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) relativamente all'applicazione dell'aggravante della transnazionalita' di cui alla L. n. 146 del 2006, articolo 4 per assenza della prova dell'esistenza di un gruppo criminale organizzato operante in piu' stati (terzo motivo); illegittimita' costituzionale dell'articolo 4 cit. per violazione del principio di legalita' ove il gruppo criminale organizzato viene identificato con i suoi componenti; - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in ordine all'applicazione della confisca per equivalente di cui alla L. n. 146 del 2006, articolo 11 non essendo attribuibile la qualifica di transnazionalita' ai reati contestati; tale qualifica richiedeva la commissione del reato in piu' di uno stato dovendosi considerare il luogo di commissione del reato e non gia' la "multi territorialita'" dell'accordo criminoso e dell'eventuale organizzazione multinazionale, con necessaria reciprocita' delle norme incriminatrici nei vari Stati in cui si svolge l'attivita' criminosa; nel caso di specie il delitto di ricettazione veniva commesso in Italia dove erano avvenuti gli acquisti e risultava assente il requisito della reciprocita' delle norme incriminatrici tra Svizzera ed Italia posto che all'epoca dei fatti il commercio abusivo dei metalli preziosi costituiva un mero illecito doganale, punito con la sola sanzione amministrativa (quarto motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) relativamente alla L. n. 146 del 2006, articoli 3 e 11; il ricorrente acquistava dai compro-oro ad un prezzo inferiore del 1,60% al prezzo fluttuante fissato dalla borsa di Londra, di conseguenza con il pagamento del prezzo il ricorrente restituiva parte del valore dell'oro al venditore integrando un illecito penale solo rispetto alla differenza tra il valore di mercato dell'oro e il prezzo inferiore pagato; pertanto solo rispetto a tale differenza risultava applicabile la confisca che invece era stata estesa a tutti i quantitativi di oro acquistati e regolarmente pagati (quinto motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) relativamente all'affermazione di responsabilita' al delitto di cui all'articolo 416 c.p. per aver ritenuto il giudice d'appello l'unicita' dell'acquirente del metallo (Kamata) sufficiente a delineare il rapporto associativo; nel caso di specie ciascuno degli imputati svolgeva la propria attivita' in piena autonomia e indipendenza e, addirittura, in posizione di antagonismo rispetto agli altri al fine di lucrare per se' e non per altri il prezzo della vendita dell'oro con la conseguenza che non poteva essere configurata l'identita' del programma delittuoso (sesto motivo); Con motivi nuovi dell'avv. (OMISSIS), (OMISSIS) si deduceva ancora: - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) relativamente all'applicazione dell'aggravante di cui alla L. n. 146 del 2006, articolo 4 il cui presupposto indefettibile e' la mancanza di immedesimazione tra associazione per delinquere e gruppo criminale organizzato mancando, pero', nella sentenza impugnata l'individuazione del gruppo criminale organizzato operante in piu' stati e l'eventuale apporto all'associazione criminosa contestata al capo a) e ai reati-fine; inoltre, l'erronea applicazione dell'aggravante risultava anche in considerazione della circostanza che i reati-fine (ricettazione e commercio abusivo) erano stati tutti commessi nel territorio dello Stato e non potevano essere qualificati come transnazionali L. n. 146 del 2006, ex articolo 3 con conseguente erronea applicazione della misura della confisca di cui all'articolo 11 della medesima legge (primo motivo aggiunto); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) per aver il giudice d'appello ritenuto che la configurabilita' dell'aggravante della transnazionalita' (L. n. 146 del 2006, articolo 4) comportasse automaticamente la sussistenza di un reato transnazionale (L. n. 146 del 2006, articolo 3) con conseguenze sul piano dell'applicabilita' della confisca (applicabile solo ai reati transnazionali di cui all'articolo 3 e non anche ai reati aggravati di cui all'articolo 4) (secondo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in ordine all'estensione della misura ablatoria della confisca anche a profitti leciti non assoggettabili a confisca L. n. 146 del 2006, ex articolo 11 indistintamente ricondotti al complessivo valore del metallo oggetto dei plurimi episodi di ricettazione oggetto di contestazione (terzo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) relativamente all'applicazione della confisca in assenza di una differenziazione delle singole posizioni degli imputati e del vantaggio da essi tratto e senza alcun distinguo tra prodotto di provenienza illecita e prodotto acquistato "a nero" (quarto motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) quanto all'affermazione di responsabilita' per il delitto di cui all'articolo 416 c.p. risultando completamente assente il vincolo associativo stabile (l'attivita' di indagine non aveva rivelato una conoscenza effettiva da parte di alcuni imputati dei presunti illeciti posti in essere dagli altri), un comune obiettivo illecito, una struttura gerarchicamente organizzata essendo autonome le condotte dei presunti associati; il generico riferimento al linguaggio criptico utilizzato ed alla predisposizione di cautele da parte dei correi non permetteva di ritenere adempiuto l'onere motivazionale; circa la specifica posizione del (OMISSIS) non veniva indicato il contributo da lui fornito all'associazione ne' se la condotta dello stesso fosse finalizzata alla realizzazione di un obiettivo comune piuttosto che di un obiettivo personale ne' se fosse a conoscenza delle presunte condotte illecite poste in essere dai presunti sodali (quinto motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in ordine alla contestazione del delitto di ricettazione in quanto il reato presupposto era stato individuato nel commercio abusivo di oro rispetto al quale i compro-oro venivano assolti con sentenze irrevocabili; inoltre sussisteva la violazione della clausola di riserva dell'articolo 648 c.p. posto che il ricorrente veniva condannato come autore anche del commercio abusivo (sesto motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) stante il concorso apparente di norme tra la ricettazione ed il commercio abusivo di oro trattandosi di fattispecie che disciplinano la medesima condotta ed invero la condotta di commercio abusivo conteneva in se' l'elemento della ricezione dell'oggetto (settimo motivo). (OMISSIS), con ricorso dell'avv. (OMISSIS), deduceva motivi nuovi dal contenuto sostanzialmente analogo. 1.10 Con ricorso dell'avv. (OMISSIS), il ricorrente (OMISSIS) deduceva: - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) quanto all'attribuzione di valore indiziario all'impiego di un'utenza telefonica intestata alla societa' ( (OMISSIS) spa) presso cui il ricorrente era dipendente; il giudice riteneva apoditticamente l'utilizzo dell'utenza da parte del (OMISSIS) per il solo fatto di essere dipendente della societa', ben potendo l'utenza essere utilizzata da altri dipendenti della stessa societa' (primo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in ordine all'attribuzione dell'impiego di un'utenza mobile al ricorrente essendo travisato il contenuto dei brogliacci d'ascolto dai quali non emergeva in modo inequivoco l'identita' dell'interlocutore (secondo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) non essendo superato il ragionevole dubbio in ordine all'identita' dell'interlocutore del (OMISSIS) nelle conversazioni intercettate (terzo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) in ordine alla preclusione, nell'ambito del giudizio abbreviato, della contestazione circa l'identificazione dell'interlocutore con limitazione del diritto di difesa (quarto motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in ordine all'affermazione di responsabilita' pur in presenza di elementi tali a dovere fare ritenere il ragionevole dubbio esposti con l'atto di appello (quinto motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per contraddittorieta' della motivazione nella parte in cui il giudice d'appello aveva ritenuto sufficiente il riferimento nelle conversazioni intercettate - al nome " (OMISSIS)" per attribuire l'impiego dell'utenza telefonica al ricorrente, mentre aveva assolto (OMISSIS) pur in presenza di analoghi elementi probatori (sesto motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in ordine alla ricostruzione in 123 kg di oro oggetto delle cessioni tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) risultante dal confronto dei brogliacci delle nove telefonate richiamate in sentenza con il report riepilogativo e l'annotazione finale della Guardia di Finanza (settimo motivo); Con ulteriori doglianze in ordine al contenuto delle conversazioni intercettate si deduceva: violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per contraddittorieta' della motivazione nella parte in cui il giudice affermava l'assenza di contestazione in ordine all'interpretazione delle conversazioni rilevanti, mentre l'atto di appello aveva contestato l'assenza della parola "oro" nelle telefonate utilizzate dal giudice ai fini della dichiarazione di colpevolezza del (OMISSIS) (ottavo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in ordine alla mancanza di motivazione circa la ricostruzione in 123 kg dell'oro oggetto delle cessioni rispetto alle eccezioni sollevate dagli appellanti (nono motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in quanto dalle conversazioni intercettate non si poteva ritenere in modo indiscutibile il riferimento a transazioni di "oro" potendosi, invece, riferire ad altri metalli cui non risultava applicabile la L. n. 7 del 2000; in aggiunta, la quantificazione dell'oro compravenduto era contenuta nel report riepilogativo della Guardia di Finanza il quale costituiva una semplice ipotesi investigativa non idonea ad assurgere a valore di prova ne' tantomeno di prova indiziaria (decimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per travisamento della prova ed in particolare delle dichiarazioni dell' (OMISSIS), riferibili anche alla partecipazione ad una associazione per delinquere, che non potevano essere utilizzate indistintamente per provare la responsabilita' di cui al capo K); inoltre, il giudice d'appello desumeva l'esistenza del reato presupposto della ricettazione dalle caratteristiche del bene ricettato senza che esso fosse stato rinvenuto realmente (undicesimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per travisamento della prova costituita dalle dichiarazioni del (OMISSIS), riferibili anche alla partecipazione ad una associazione per delinquere e alla provenienza dell'oro dal reato di commercio abusivo, che non potevano essere utilizzate indistintamente per provare la responsabilita' di cui al capo K) e, dalle quali in ogni caso, si era escluso qualsiasi elemento a carico del (OMISSIS) rispetto al quale il dichiarante si avvaleva della facolta' di non rispondere (dodicesimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) relativamente alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo per il reato di cui all'articolo 648 c.p. (tredicesimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) relativamente all'affermazione di responsabilita' per il delitto di ricettazione non essendo stato acquisito alcun elemento probatorio da cui poter desumere l'esistenza del reato presupposto (quattordicesimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) circa l'accertamento del carattere di professionalita' dell'attivita' di commercializzazione imputata al (OMISSIS) desunta da transazioni avvenute nell'arco di un solo giorno; in aggiunta, il reato di cui alla L. n. 7 del 2000, articolo 4 doveva ritenersi assorbito nel delitto di cui all'articolo 648 c.p. non essendo possibile esercitare il commercio d'oro senza acquistare e/o ricevere e/o occultare lo stesso oro oggetto del presunto commercio (quindicesimo motivo); - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e) in quanto l'imputazione si riferiva alla "ricettazione per adesione" mentre il giudice d'appello, confermando la sentenza del GUP, condannava per "ricettazione per acquisto"; il giudice di secondo grado, inoltre, nella motivazione della decisione si riferiva talvolta alla ricettazione per acquisto, talvolta alla ricettazione per intermediazione (sedicesimo motivo). CONSIDERATO IN DIRITTO 2.1 Devono innanzi tutto essere esaminate alcune questioni comuni a piu' impugnazioni. I ricorsi degli imputati (OMISSIS) (motivo. n. 14), (OMISSIS) (motivo n. 2), (OMISSIS) (motivo n. 1), (OMISSIS) (primo motivo), (OMISSIS) (motivi 15 e segg.), (OMISSIS) (motivo n. 2), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno tutti contestato la possibilita' di ritenere integrato il reato di ricettazione sotto diversi profili costituiti: dalla mancata esatta individuazione del reato presupposto, dall'essere lo stesso rimasto escluso all'esito di separati giudizi definiti con pronunce di assoluzione, e dalla violazione della clausola di riserva che impedisce di punire per ricettazione il concorrente nel reato presupposto. I motivi sono tutti manifestamente infondati oltre che reiterativi di questioni gia' devolute all'analisi della corte di appello e dalla stessa adeguatamente risolti; con le ampie osservazioni svolte alle pagine 32 e seguenti la corte di merito ha gia' spiegato come, la ritenuta responsabilita' per il delitto di ricettazione, si fondi sulla origine illecita dell'oro commerciato dai soggetti che lo cedevano a tutti gli imputati nei loro distinti ruoli oltre che nella presumibile provenienza del metallo prezioso da precedenti reati contro il patrimonio. Tali conclusioni devono ritenersi corrette posto che i giudici di merito, accertato che gli imputati si trovavano a trasportare, acquistare o trasferire a terzi oro di origine ignota perche' non tracciato, hanno ritenuto che la condotta di ricezione precedente il successivo trasporto e commercio integrasse a sua volta una fattispecie delittuosa. Al proposito va ricordato come a norma della L. 17 gennaio 2000, n. 7, articolo 1, comma 2, "Chiunque dispone o effettua il trasferimento di oro da o verso l'estero, ovvero il commercio di oro nel territorio nazionale ovvero altra operazione in oro anche a titolo gratuito, ha l'obbligo di dichiarare l'operazione all'Ufficio italiano dei cambi, qualora il valore della stessa risulti di importo pari o superiore a 12.500 Euro. All'obbligo di dichiarazione sono tenuti anche gli operatori professionali di cui al comma 3, sia che operino per conto proprio, sia che operino per conto di terzi. Dalla presente disposizione sono escluse le operazioni effettuate dalla Banca d'Italia". Il successivo comma 3 cosi' recita: "L'esercizio in via professionale del commercio di oro, per conto proprio o per conto di terzi, puo' essere svolto da banche e, previa comunicazione all'Ufficio italiano dei cambi, da soggetti in possesso dei seguenti requisiti: a) forma giuridica di societa' per azioni, o di societa' in accomandita per azioni, o di societa' a responsabilita' limitata, o di societa' cooperativa, aventi in ogni caso capitale sociale interamente versato non inferiore a quello minimo previsto per le societa' per azioni; b) oggetto sociale che comporti il commercio di oro; c) possesso, da parte dei partecipanti al capitale, degli amministratori e dei dipendenti investiti di funzioni di direzione tecnica e commerciale, dei requisiti di onorabilita' previsti dal Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, emanato con Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 38, articoli 108 e 109 e articolo 161, comma 2. Infine l'articolo 4 della stessa legge prevede poi la disciplina sanzionatoria stabilendo che: "Chiunque svolge l'attivita' di cui all'articolo 1, comma 3, senza averne dato comunicazione all'Ufficio italiano dei cambi, ovvero in assenza dei requisiti richiesti, e' punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da Lire quattro milioni a Lire venti milioni. Alla stessa pena soggiace chiunque svolga l'attivita' prevista dall'articolo 2, comma 1, senza esservi legittimato". Tale essendo la disciplina di riferimento dettata in tema di commercio abusivo di oro, secondo cui l'attivita' professionale di commercio del metallo prezioso configura un fatto illecito penalmente rilevante, le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito appaiono non censurabili nella parte in cui hanno ritenuto la sussistenza, quale reato presupposto della ricettazione, dell'attivita' di commercio abusivo di oro, comprovata dalla modalita' di trasferimento del metallo prezioso, dalla sua destinazione finale, dal prezzo inferiore a quello di mercato, dagli accorgimenti presi nella fase delle trattative, dall'assenza della obbligatoria documentazione di accompagnamento di ogni partita, dall'assenza della identificazione dei venditori. Trattasi di molteplici circostanze di fatto, valutate in sede di giudizio abbreviato, che appaiono interpetrate in assenza di qualsiasi illogicita' tanto piu' manifesta quanto al commercio abusivo che precedeva proprio la ricezione delle partite di oro e, quindi, l'integrazione della fattispecie contestata e ritenuta di cui all'articolo 648 c.p.. Peraltro, la sentenza di appello, accenna anche alla ben concreta possibilita' che i quantitativi di oro negoziati fuori da qualsiasi canale ufficiale provenissero anche da reati contro il patrimonio dal quale l'oro medesimo era stato ricavato. E tale ricostruzione esclude anche la clausola di riserva della fattispecie di ricettazione richiamata perche' il commercio abusivo e' la condotta illecita posta in essere dopo la ricezione dell'oro da parte dei soggetti incaricati di trasportarlo all'estero cosi' che non sussiste il concorso nel reato presupposto avendo i soggetti coinvolti prima ricevuto l'oro di origine illecita consumando il delitto di ricettazione e poi posto in essere il commercio abusivo mediante il trasporto all'estero. Ne' sussiste il lamentato assorbimento di una condotta illecita nell'altra e cioe' del commercio nella ricettazione o viceversa, posto che al commercio abusivo posto in essere da altri soggetti (i venditori in nero) seguiva poi la ricezione e quindi la ricettazione dell'oro da parte degli imputati che a loro volta operavano per il trasferimento all'estero del metallo prezioso in concorso con altri soggetti. In sostanza puo' quindi ritenersi che i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione del principio ripetutamente stabilito dalla corte di legittimita' secondo cui l'affermazione della responsabilita' per il delitto di ricettazione non richiede l'accertamento giudiziale della commissione del delitto presupposto, ne' dei suoi autori, ne' dell'esatta tipologia del reato, potendo il giudice affermarne l'esistenza attraverso prove logiche (Sez. 2, n. 29685 del 05/07/2011, Rv. 251028 - 01). Correttamente quindi in applicazione del sopra esposto principio i giudici di merito ritenevano che le particolari circostanze di trasferimento e cessione dell'oro facessero emergere la prova di delitti contro il patrimonio e del delitto di commercio abusivo di cui alla L. n. 7 del 2000, articoli 1 e 4, quali reati presupposto della ricettazione, successivamente integrata al momento della ricezione del metallo prezioso da parte degli imputati. 2.2 Con altri motivi alcuni imputati tramite i rispettivi difensori hanno lamentato ( (OMISSIS) secondo motivo - (OMISSIS) primo motivo - (OMISSIS) motivi nn. 1, 3, 4, 5 - (OMISSIS) e (OMISSIS) secondo motivo - (OMISSIS) primo motivo - (OMISSIS) sesto motivo del ricorso principale e quinto dei motivi aggiunti) la ritenuta sussistenza dei presupposti per potere identificare un'associazione a delinquere; anche tale doglianza appare manifestamente infondata posto che, come noto, il criterio distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato continuato va individuato nel carattere dell'accordo criminoso, che nell'indicata ipotesi di concorso si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o piu' reati determinati - anche nell'ambito del medesimo disegno criminoso - con la realizzazione dei quali si esaurisce l'accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all'attuazione di un piu' vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente ed al di fuori dell'effettiva commissione dei singoli reati programmati (Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, Rv. 258009 - 01). Nel caso di specie, i giudici di merito e la corte di appello in particolare, hanno ricostruito i caratteri distintivi dell'associazione punibile sulla base di una serie di precise circostanze di fatto che hanno esposto alle pagine 29 e seguenti ove vengono proprio segnalati dati particolarmente significativi costituiti dall'esistenza di uno stabile accordo, dalla reiterazione di plurime condotte illecite, dalle modalita' reiterate di trasporto dell'oro in Svizzera, dalla utilizzazione di appositi mezzi, dal ruolo di vertice assunto dal (OMISSIS) che fissava i prezzi e stabiliva le modalita' delle consegne. Puo' pertanto ritenersi che la valutazione della sussistenza dell'associazione punibile sia stata correttamente valutata dalla corte di appello in forza dell'accertata predisposizione di un gruppo criminale con distinzione di ruoli ed assegnazione di precisi compiti dotato anche di strutture operative e luoghi di incontro. Cosi' che va fatta applicazione del principio secondo cui in tema di associazione per delinquere, la ripetuta commissione, in concorso con i partecipi al sodalizio criminoso, di reati-fine integra, per cio' stesso, gravi, precisi e concordanti indizi in ordine alla partecipazione al reato associativo, superabili solo con la prova contraria che il contributo fornito non e' dovuto ad alcun vincolo preesistente con i correi e fermo restando che detta prova, stante la natura permanente del reato "de quo", non puo' consistere nell'allegazione della limitata durata dei rapporti intercorsi (Sez. 2, n. 5424 del 22/01/2010, Rv. 246441 - 01). Anche tale doglianza e' pertanto del tutto priva di fondamento alcuno. 2.3 Quanto ai motivi con i quali i ricorrenti hanno dedotto violazione di legge e difetto di motivazione in punto riconoscimento dell'aggravante della transnazionalita' per i reati di ricettazione ( (OMISSIS) 3 motivo, (OMISSIS) motivi 22-23, (OMISSIS)- (OMISSIS) 5 motivo, (OMISSIS) 3 motivo, (OMISSIS) 3 motivo ricorso principale e 2 dei motivi aggiunti) molteplici doglianze presuppongono un'errata valutazione dei principi stabiliti dalle Sezioni Unite Adami desumendone una incompatibilita' tra aggravante e fattispecie associativa di cui all'articolo 416 c.p. mai in realta' affermata e, comunque, del tutto irrilevante per il caso in esame. Invero, la suddetta pronuncia, afferma proprio il distinto principio secondo cui la speciale aggravante della transnazionalita', prevista dalla L. n. 146 del 2006, articolo 4, e' applicabile al reato associativo, sempreche' il gruppo criminale organizzato transnazionale non coincida con l'associazione a delinquere (Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Rv. 255035 - 01). Con tale affermazione si e' pertanto voluto stabilire che l'aggravante dell'articolo 61 bis c.p. puo' anche essere applicata in relazione al reato associativo quando non vi sia coincidenza tra i due gruppi e cio' per impedire la violazione del principio del divieto di doppia incriminazione per gli stessi fatti; tuttavia, l'affermazione suddetta, riferita quindi ai rapporti tra aggravante dell'articolo 61 bis c.p. e reato associativo non impedisce ne' pone alcun ostacolo alla contestazione dell'aggravante in relazione ai reati fine dell'associazione. Ed invero il principio della sussistenza della transnazionalita' in relazione ai reati fine di un'associazione a delinquere risulta ribadito da altre successive pronunce secondo cui la speciale circostanza aggravante della transnazionalita', prevista dalla L. 16 marzo 2006, n. 146, articolo 4, puo' applicarsi ai reati-fine consumati dai membri di un'associazione per delinquere anche in caso di immedesimazione tra tale associazione e il gruppo criminale organizzato transnazionale (Sez. 3 -, n. 38009 del 10/05/2019, Rv. 278166 - 07; Sez. 3, n. 10116 del 24/11/2020, Rv. 281481 - 01) e cio' evidentemente perche' rispetto ai delitti fine alcuna violazione del divieto di doppia incriminazione puo' porsi. L'applicazione dei sopra esposti principi al caso di specie comporta la declaratoria di manifesta infondatezza delle doglianze con le quali e' stata prospettata una supposta incompatibilita' tra aggravante e reato di cui al capo a) poiche' l'aggravante della transnazionalita', nel procedimento in esame, viene contestata in relazione ai reati fine e non anche per la fattispecie associativa di cui al capo a) cosi' che alcuna violazione di legge appare essere stata compiuta dai giudici di merito. In tal senso questa Corte di cassazione risulta avere gia' affermato la compatibilita' tra i delitti fine contestati agli imputati di questo procedimento e l'aggravante specifica della transnazionalita' nel separato procedimento definito a carico dei coimputati con principio che costituisce certamente un precedente di riferimento (Sez. 2, n. 16100 del 27/02/2019 Rv. 276051 - 01, in motivazione) ed al quale occorre rifarsi in senso pienamente adesivo. 2.4 Le osservazioni svolte dalla corte di appello alle pagine 40-42 fondano poi il riconoscimento anche in fatto della aggravante, che pure tutti i ricorsi precedentemente indicati contestano sotto diversi profili, e cio' con preciso riferimento alle modalita' operative delle attivita' delittuose emerse nel caso di specie; va premesso come il gruppo criminale organizzato, cui fanno riferimento la L. n. 146 del 2006, articoli 3 e 4, e' configurabile, secondo le indicazioni contenute nell'articolo 2, punti a) e c) della Convenzione delle Nazioni unite contro il crimine organizzato del 15 novembre 2000 (cosiddetta convenzione di Palermo), in presenza dei seguenti elementi: a) stabilita' di rapporti fra gli adepti; b) minimo di organizzazione senza formale definizione di ruoli; c) non occasionalita' o estemporaneita' della stessa; d) costituzione in vista anche di un solo reato e per il conseguimento di un vantaggio finanziario o di altro vantaggio materiale (Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013 cit.). Secondo le Sezioni Unite Adami, quindi, il gruppo criminale organizzato e' una struttura costituita da piu' soggetti che, pur non integrando gli estremi dell'associazione punibile ex articolo 416 c.p., opera per la realizzazione di vantaggi agendo in diversi stati nazionali; e proprio la maggiore pericolosita' determinata dall'aggressione di diversi ordinamenti giuridici nazionali giustifica l'aggravamento del reato e la maggiore pena. Cio' posto per aversi gruppo criminale organizzato punito dalla aggravante di cui all'articolo 61 bis c.p. non e' necessario ed indispensabile che piu' soggetti risultino operare in territorio estero ed altri in quello italiano essendo sufficiente che le attivita' illecite siano realizzate in diversi stati e che all'estero possa trovarsi anche uno solo dei componenti il gruppo il quale viene chiamato a svolgere un'attivita' essenziale per la perpetrazione degli illeciti. Tale conclusione si fonda sull'esame letterale della citata norma di cui all'articolo 61 bis c.p. secondo cui sono le attivita' criminali consumate in piu' di uno Stato a qualificare le attivita' del gruppo criminale organizzato come transnazionale. Nel caso in esame correttamente la corte di appello sottolinea come le attivita' illecite venivano poste in essere sia in Italia che in Svizzera dove avveniva la commercializzazione finale dell'oro di provenienza illecita ricevuto e che in tale stato estero risiedeva proprio il vertice del gruppo criminale, quel (OMISSIS) che effettuava gli ordini, stabiliva i prezzi di acquisto, sollecitava i trasporti. Ne deriva che correttamente la corte di appello ha ritenuto la sussistenza dell'aggravante che si comunica anche ai concorrenti posto che la circostanza aggravante della transnazionalita', prevista dalla L. 16 marzo 2006, n. 146, articolo 4, ha natura oggettiva ed e' estensibile ai concorrenti nel reato sulla base degli ordinari criteri di valutazione previsti dall'articolo 59 c.p., comma 2, ovvero se conosciuta, ignorata per colpa o ritenuta inesistente per errore determinato da colpa (Sez. 2, n. 5241 del 15/10/2020, Rv. 280645 - 02). Sicche' la notoria destinazione dell'oro all'estero e' stata correttamente ritenuta giustificare il riconoscimento dell'aggravante per tutti i concorrenti nei reati fine. Difatti si e' anche affermato che ai fini della qualificazione del reato come transazionale, e' necessario il coinvolgimento di un gruppo organizzato ma non anche l'appartenenza a detto gruppo dell'autore del reato, perche' a quest'ultimo il predicato della transnazionalita' si estende per il solo fatto che alla commissione del reato abbia contribuito qualcuno degli appartenenti al sodalizio (Sez. 4, n. 45571 del 15/10/2021, Rv. 282344 - 01). Peraltro e' anche il caso di notare che le doglianze con le quali si contesta l'operativita' del gruppo criminale in diversi stati nazionali appare pure sconfessata in fatto dalla ricostruzione delle condotte poste in essere dagli imputati e dai concorrenti separatamente giudicati, alcuni dei quali operavano personalmente il trasferimento dell'oro in Svizzera per la consegna al (OMISSIS) cosi' sussistendo proprio una pluralita' di soggetti operanti in territorio nazionale ed estero. Ed anche in relazione a tali doglianze occorre richiamare il precedente specifico (Sez. 2, Sentenza n. 16100 del 27/02/2019 cit. in motivazione) che ha ritenuto correttamente configurata l'aggravante della transnazionalita' evidenziando come: "Il giudice, infatti, ha motivato sul punto (pag. 40), collegando la L. n. 146 del 2006, articolo 3, lettera c) (reato transnazionale e' anche quello ove si coinvolto "un gruppo criminale organizzato impegnato in attivita' criminali in piu' di uno Stato") all'articolo 4 della stessa legge (l'aggravante fa riferimento ai reati nella commissione dei quali abbia dato il suo contributo "un gruppo criminale organizzato impegnato in attivita' criminali in piu' di uno Stato"). Le due locuzioni sono identiche e sovrapponibili; pertanto, la natura di reato transazionale dei delitti di ricettazione e commercio abusivo di oro e' ben desumibile dal fatto che per gli stessi e' stata riconosciuta l'aggravante della transnazionalita'. Le doglianze sono, pertanto, manifestamente infondate. 2.5 Alcuni ricorsi hanno poi avanzato varie doglianze in relazione alla condanna per il delitto di commercio abusivo di oro ( (OMISSIS) 3 motivo, (OMISSIS) 20 motivo, (OMISSIS)- (OMISSIS) 3 motivo, (OMISSIS) 4 motivo, (OMISSIS) 2 motivo). Al proposito si ricorda che soggetto attivo del reato di commercio abusivo di oro previsto dalla L. n. 7 del 2000, articolo 4 e' chi opera professionalmente in assenza della comunicazione all'U.I.C. e senza avere i requisiti previsti dall'articolo 1, comma 3, della medesima legge (Sez. 3, n. 6733 del 09/01/2019, Rv. 275838 - 01). Con altra pronuncia si e' affermato che in tema di attivita' commerciali inerenti al trasferimento di oro da o verso l'estero, integra il reato di cui alla L. 17 gennaio 2000, n. 7, articolo 4, comma 1, anche una sola operazione di compravendita, quando la stessa sia riconducibile ad un'attivita' svolta in forma professionale, senza averne dato comunicazione all'Ufficio Italiano dei Cambi, ovvero in assenza dei requisiti richiesti dall'articolo 1, comma 3, della legge cit., oppure ancora se l'attivita' sia esercitata in violazione delle vigenti disposizioni di pubblica sicurezza in materia (Sez. 3, n. 39455 del 14/05/2014, Rv. 261361 - 01). Orbene, l'applicazione dei sopra esposti principi, comporta la manifesta infondatezza delle doglianze avanzate nei sopra indicati ricorsi posto che, l'avvenuta commercializzazione di ingenti partite di oro di provenienza ignota ed il trasporto e cessione all'estero mai comunicati all'U.I.C., hanno comportato proprio un'ipotesi di commercio abusivo di oro e l'integrazione della fattispecie delittuosa anche ad opera di chi, pur essendo titolare di licenza, si prestava al commercio illecito ed irregolare attraverso l'esportazione in nero all'estero. Difatti chiara e' sul punto la previsione normativa dettata dal citato articolo 4 secondo cui: "Chiunque svolge l'attivita' di cui all'articolo 1, comma 3, senza averne dato comunicazione all'Ufficio italiano dei cambi, ovvero in assenza dei requisiti richiesti, e' punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da Lire quattro milioni a Lire venti milioni"; appare pertanto evidente che soggetto alla sanzione penale e' anche il titolare dell'autorizzazione che svolga attivita' specifica di commercio senza averne dato comunicazione all'Ufficio italiano cambi. Quanto al concorso della sanzione amministrativa la tesi difensiva deve essere ritenuta anch'essa manifestamente infondata essendosi stabilito che in tema di attivita' commerciali inerenti al trasferimento di oro da o verso l'estero, integra il reato di cui alla L. 17 gennaio 2000, n. 7, articolo 4, comma 1, anche una sola operazione di compravendita, quando la stessa sia riconducibile ad un'attivita' svolta in forma professionale, senza averne dato comunicazione all'Ufficio Italiano dei Cambi, ovvero in assenza dei requisiti richiesti dall'articolo 1, comma 3, della legge cit. (Sez. 3, n. 32187 del 08/06/2007, Rv. 237483 - 01). Non sussiste quindi il lamentato concorso apparente di norme tra il delitto di cui all'articolo 4, comma 1 e l'illecito punito con la sanzione amministrativa pecuniaria di cui al comma 2 posto che detta fattispecie punisce in via meno grave soltanto l'obbligo di omessa dichiarazione di singole operazioni; difatti ai sensi della succitata norma:" Le violazioni dell'obbligo di dichiarazione di cui all'articolo 1, comma 2, sono punite con la sanzione amministrativa da un minimo del 10 per cento ad un massimo del 40 per cento del valore negoziato". Ma nel caso in esame non si verte in tema di violazione dell'obbligo di dichiarazione bensi' in ipotesi di organizzato e professionale commercio di oro in nero con esportazione all'estero e, quindi, corretta appare la decisione dei giudici di merito che hanno ritenuto integrata anche la fattispecie prevista e punita dalla legge speciale. 2.6 In relazione alle doglianze con le quali sono stati lamentati violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alle disposizioni sulle confische (avanzate da tutti i ricorrenti ad eccezione dei soli (OMISSIS) e (OMISSIS) sia con motivi principali che aggiunti), corrette appaiono al proposito le osservazioni svolte dalla corte di merito alle pagine 41-42; difatti, va ricordato che, ai sensi della L. n. 146 del 2006, articolo 11 "Per i reati di cui all'articolo 3 della presente legge, qualora la confisca delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato non sia possibile, il giudice ordina la confisca di somme di denaro, beni od altre utilita' di cui il reo ha la disponibilita', anche per interposta persona fisica o giuridica, per un valore corrispondente a tale prodotto, profitto o prezzo......In tali casi, il giudice, con la sentenza di condanna, determina le somme di danaro o individua i beni o le utilita' assoggettati a confisca di valore corrispondente al prodotto, al profitto o al prezzo del reato". Orbene, nel caso in esame, il giudice di primo grado ha proprio proceduto all'individuazione per ciascuno dei gruppi di imputati coinvolti nelle operazioni di commercio illecito di oro ad individuare il prodotto o il profitto dei reati in concorso commessi senza che sussista la lamentata violazione. Sul tema va ricordato come sia stato affermato che ai fini della applicazione del sequestro funzionale alla confisca per equivalente, previsto dalla L. 16 marzo 2006, n. 146, articolo 11, nell'ipotesi di associazione per delinquere, la determinazione del profitto confiscabile corrisponde alla sommatoria dei profitti conseguiti dall'associazione nel suo complesso per effetto della consumazione dei singoli reati fine, che vanno attribuiti, ad uno o piu' associati, anche se ignoti, e di tale profitto, ogni associato e' chiamato a rispondere dal momento in cui ha aderito al sodalizio, senza che cio' possa comportare una duplicazione del profitto confiscabile (Sez. 3, Sentenza n. 14044 del 12/12/2017 Cc. (dep. 27/03/2018) Rv. 272548 - 01). Inoltre, anche in relazione all'aspetto della quantificazione complessiva della confisca per equivalente, va fatto riferimento al precedente specifico della Corte (Sez. 2, n. 16100 del 27/02/2019 cit. 01, in motivazione) che ha preso posizione affermando la legittimita' del calcolo operato dai giudici di merito; in particolare si e' precisato che: "la ricettazione integra pacificamente una ipotesi di reato contratto, dato che la sanzione colpisce direttamente la statuizione contrattuale in se' e per se' considerata e non la condotta di una delle parti della contrattazione; conseguentemente, il G.u.p. ha ritenuto che il profitto assoggettabile a confisca sia rappresentato dall'intero valore del negozio, vale a dire dal "complessivo valore del metallo oggetto dei plurimi episodi di ricettazione oggetto di contestazione", conclusione alla quale si perviene anche se si considera che l'oro e' "prodotto...acquisito mediante il reato". Il giudice ha adottato come "riferimento un valore dell'oro stimato al prezzo medio di Euro 40,00 al grammo, da ritenersi congruo valore medio di riferimento in relazione all'arco di tempo considerato nei fatti di cui all'imputazione, sulla scorta delle risultanze istruttorie disponibili ed in particolare delle indicazioni provenienti dalle informative in atti" redatte dalla Guardia di Finanza. Applicando poi il principio solidaristico, il G.u.p. ha considerato "il valore complessivo indicato in ciascuno dei capi d'imputazione specificamente contestati" e determinato il quantum della somma da confiscare agli imputati, seguendo il "criterio della confiscabilita' dell'importo dell'intero profitto (inteso nel senso in precedenza descritto) riferito a tutte le attivita' illecite ascritte al complessivo gruppo dei concorrenti in volta per volta preso in considerazione nei capi di imputazione medesimi...a prescindere dal profitto materialmente percepito da ciascuno dei concorrenti". Ne consegue, pertanto, la legittimita' dell'operazione di confisca dell'intero valore dell'operazione svolta quando la stessa assuma, come nel caso in esame, il carattere della ricettazione dovendosi fare riferimento proprio al valore complessivo dei beni ricettati. Inoltre, proprio con riferimento alle doglianze in tema di applicabilita' anche alla confisca per equivalente del principio solidaristico, va ricordato come il principio dell'applicazione al singolo concorrente nel reato della confisca per l'intero profitto sia stato ripetutamente ribadito; si ricorda al proposito come sia stato affermato che in caso di concorso di persone nel medesimo reato, e' legittima la confisca per equivalente, di cui all'articolo 648-quater c.p., disposta per l'intera entita' del prezzo o profitto accertato nei confronti anche di un solo concorrente, indipendentemente dalla quota personalmente percepita, in quanto il principio solidaristico, che informa la disciplina del concorso di persone nel reato, implica l'imputazione dell'intera azione delittuosa in capo a ciascun concorrente e, quindi, solidarieta' nella pena e nelle misure a carattere sanzionatorio, quale la confisca per equivalente (Sez. 2, n. 9102 del 24/11/2020, Rv. 280886 - 01). Principio ribadito anche da coeve pronunce secondo cui in tema di confisca per equivalente, l'esecuzione della misura per l'intera entita' del profitto accertato nei confronti del concorrente che materialmente ha ricavato una minore utilita' dal reato o non ne abbia ricavato alcuna non si pone in contrasto con il principio di proporzionalita' di cui all'articolo 1, prot. 1, CEDU, posto a presidio del diritto di proprieta', dovendo questo essere parametrato alla produzione del profitto illecito e non alla sua effettiva disponibilita', sicche', nel caso di impossibilita' di un suo recupero, tutti coloro che abbiano concorso a realizzarlo risponderanno con i propri beni (Sez. 5, n. 36069 del 20/10/2020, Rv. 280322 - 01). Il principio suddetto risulta ribadito anche nella pronuncia avente ad oggetto analoghe questioni proposte dai coimputati ricorrenti avverso la sentenza di patteggiamento (Sez. 2, n. 16100 del 27/02/2019 cit. in motivazione) ove espressamente si affermava che: "La sentenza impugnata ha anche fatto corretta applicazione del principio solidaristico, che implica l'imputazione dell'intera azione e dell'effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e pertanto, una volta perduta l'individualita' storica del profitto illecito, la sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entita' del profitto accertato, ma l'espropriazione non puo' essere duplicata o comunque eccedere nel quantum l'ammontare complessivo dello stesso, verifica questa demandata alla fase esecutiva; e' dunque irrilevante quale sia la quota di profitto eventualmente incamerata dall'imputato o anche solo se egli abbia effettivamente ricavato una parte dello stesso a seguito della consumazione in concorso con altri (Sez. 6, n. 26621 del 10/04/2018, Ahmed, Rv. 273256; Sez. 3, n. 56451 del 05/12/2017, dep. 2018, Maiorana, Rv. 273604)". Ne consegue che i ricorsi appaiono manifestamente infondati anche nelle parti in cui lamentano l'avvenuta applicazione della confisca per il valore complessivo del profitto o prodotto illecito nei riguardi di tutti gli imputati, trattandosi di applicazione del principio solidaristico in tema di misure di sicurezza patrimoniali. 2.7 Cio' posto puo' ora procedersi all'analisi delle singole posizioni dei ricorrenti. Manifestamente infondati appaiono i motivi del ricorso di (OMISSIS). Ed invero, quanto al primo motivo, con il quale si lamenta violazione di legge in merito alla ritenuta competenza del tribunale di Arezzo, la corte di merito appare avere gia' espresso piu' che adeguata motivazione alla pagina 28 della sentenza impugnata cosi' che la doglianza appare meramente reiterativa; il giudice di appello ha gia' segnalato come a fronte del sequestro di 15 Kg. di oro avvenuto il 7 agosto del 2012 ad Arezzo proprio a carico del ricorrente, del tutto priva di qualsiasi dimostrazione concreta e specifica e' la deduzione secondo cui i fatti di riciclaggio originariamente contestati sarebbero avvenuti in altre parti del territorio nazionale. Del resto va ricordato come la questione della competenza per territorio va risolta dal giudice che procede sulla base delle prospettazioni contenute nell'imputazione e, nel caso in esame, correttamente si individuava quindi proprio Arezzo come uno dei sicuri luoghi di consumazione dei reati; invero l'avvenuta ricezione dell'oro in (OMISSIS), prospettata come decisiva dal ricorso, non determina la consumazione del delitto di cui all'articolo 648 bis c.p. originariamente contestato che invece si perfeziona soltanto nel momento del compimento delle attivita' di trasformazione o sostituzione del bene di origine illecita. Alcuna violazione di legge o difetto di motivazione appare poi ravvisabile in relazione alla riqualificazione della condotta di riciclaggio in ricettazione in relazione al capo e) contestato con il secondo motivo; al proposito basta evidenziare che trattasi di qualificazione favorevole all'imputato perche' condannato per fatto meno grave e che la condotta di ricettazione costituisce un prius logico e temporale del riciclaggio punendo la semplice ricezione prima della successiva attivita' di trasformazione o sostituzione in cui e' pure ricompresa. Del resto la garanzia del contraddittorio in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto deve ritenersi assicurata anche quando venga operata dal giudice di primo grado nella sentenza pronunziata all'esito del giudizio abbreviato, in quanto con i motivi d'appello l'imputato e' posto nelle condizioni di interloquire sulla stessa, richiedendo una sua rivalutazione e l'acquisizione di integrazioni probatorie utili a smentirne il fondamento. (Sez. 6, n. 10093 del 14/02/2012, Rv. 251961 - 01). Come gia' segnalato acutamente dalla impugnata sentenza proprio in tema di rapporto tra ricettazione e riciclaggio questa corte di legittimita' ha affermato che non si verifica violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza nella ipotesi in cui il reato in relazione al quale e' stata emessa condanna sia in rapporto di genere a specie con quello di cui al capo d'imputazione, atteso che l'imputato ha avuto possibilita' di svolgere adeguata difesa anche in relazione al fatto diversamente qualificato (Sez. 5, n. 17048 del 21/02/2001, Rv. 219667 - 01). Pertanto l'impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 3; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche' al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 3.000,00. 2.8 Ad analoghe considerazioni deve pervenirsi anche in relazione al ricorso di (OMISSIS), pure nel complesso inammissibile. Il primo motivo, con il quale si deducono vizi in relazione all'affermazione di responsabilita' ex articolo 110 c.p. per tutti gli episodi di cui al capo c), deduce questioni in fatto non specificamente avanzate nell'atto di appello con il quale era stata soltanto contestata la ricostruzione della condotta delittuosa in relazione allo scambio di oro con la coimputata (OMISSIS). In ogni caso, quanto alla ricostruzione della condotta, il giudice di appello, con le ampie argomentazioni svolte alle pagine 81 e seguenti, ha esposto gli elementi probatori sulla base dei quali ritenere che il ricorrente avesse svolto, in distinte occasioni, l'attivita' di corriere dell'oro come dimostrato dall'incontro con la (OMISSIS) e dal sequestro di una grossa somma contante a carico del figlio di rientro dalla Svizzera, avvenuto proprio dopo un incontro con il padre in Como. Sulla base di tali precise circostanze l'impugnata pronuncia, con motivazione logica e conducente, riteneva anche il coinvolgimento di (OMISSIS) nell'associazione a delinquere, che il secondo motivo contesta, avendo i giudici di merito stigmatizzato, con valutazione priva di illogicita', l'essenzialita' del ruolo di corriere da parte di un soggetto residente in area frontaliera. Del resto, va ricordato come, l'appartenenza di un soggetto a un sodalizio criminale puo' essere ritenuta anche in base alla partecipazione a un solo reato-fine, laddove il ruolo svolto e le modalita' dell'azione siano tali da evidenziare la sussistenza del vincolo, condizione che puo' verificarsi solo quando tale ruolo non avrebbe potuto essere affidato a soggetti estranei, oppure quando l'autore del singolo reato impieghi mezzi e sistemi propri del sodalizio in modo da evidenziare la sua possibilita' di utilizzarli autonomamente, come membro e non gia' come persona alla quale il gruppo li ha posti occasionalmente a disposizione (Sez. 1, n. 29093 del 24/05/2022, Rv. 283311 - 01). E nel caso in esame i giudici di merito con valutazione conforme hanno proprio fatto applicazione del suddetto principio ricavando l'inserimento del ricorrente nella associazione a delinquere sulla base del ruolo dallo stesso svolto. Pertanto l'impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 3; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche' al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 3.000,00. 2.9 Il primo motivo del ricorso avanzato nell'interesse di (OMISSIS) propone una lettura alternativa del significato di conversazioni intercettate non deducibile nella presente sede di legittimita'. Al proposito, va ricordato come, secondo l'insegnamento di questa Corte in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (Sez. U, n. 22471 del 26/2/2015, Rv. 263715). Ancora si e' affermato che in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita' se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 2, n. 35181, del 22/5/2013, Rv. 257784). L'applicazione del suddetto principio deve portare ad escludere che nella presente sede il contenuto di conversazioni, conformemente interpretato dai giudici di merito, possa essere sottoposto al sindacato di questa Corte nella prospettiva dedotta della insussistenza di adeguati elementi di prova per affermare il coinvolgimento del (OMISSIS) nell'organizzazione criminale; ed invero, le conversazioni rilevanti cui fa riferimento il giudice di appello, sono in numero certamente superiore alla singola che il primo motivo contesta e vengono riassunte alle pagine 75 e seguenti della pronuncia, sottolineandosi anche come dalle stesse si ricavi la stabilita' del ruolo di corriere svolto da (OMISSIS) per conto del fratello (OMISSIS), soggetto di vertice dell'associazione. Le conclusioni circa la responsabilita' del ricorrente risultano quindi adeguatamente giustificate dai giudici di merito attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimita' diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile. Quanto al motivo con il quale si contesta la sussistenza del reato presupposto della ricettazione, valgono le argomentazioni esposte al punto 2.1 della presente motivazione nella quale vengono richiamati i principi giurisprudenziali circa la possibilita' per il giudice di merito di ritenere la sussistenza di un precedente fatto illecito con argomenti logici; e nel caso in esame i giudici di merito con valutazione conforme hanno esattamente ritenuto che l'oro trasportato con modalita' assolutamente indicative della volonta' di occultamento del traffico avesse provenienza delittuosa e che tale attivita' dopo la consumazione della ricettazione costituisse proprio un ulteriore episodio di commercio abusivo. Ne' rilievo decisivo possono poi avere le assoluzioni di altri soggetti rimasti coinvolti nelle indagini all'esito di separati procedimenti con differente piattaforma probatoria, che pure il secondo motivo sottolinea, poiche' il proscioglimento di alcuni dei compro-oro coinvolti non dimostra certamente l'origine lecita dell'oro trasportato dal ricorrente (OMISSIS) ne' la liceita' delle attivita' di trasporto in nero in Svizzera chiaramente emerse nel presente giudizio e cio' tanto piu' che non e' stato certamente acclarato che le intervenute assoluzioni all'esito dei separati giudizi abbiano avuto ad oggetto proprio il commercio abusivo posto in essere dai compro-oro prima della consumazione della ricettazione da parte del ricorrente. Al proposito, poi, va anche ricordato come sia stato affermato che l'acquisizione della sentenza irrevocabile di assoluzione del coimputato del medesimo reato non vincola il giudice, che, fermo il principio del "ne bis in idem", puo' rivalutare anche il comportamento dell'assolto, al fine di accertare la sussistenza ed il grado di responsabilita' dell'imputato da giudicare (Sez. 5, n. 15 del 21/11/2019, Rv. 278389 - 01); conseguentemente del tutto priva di vizi appare la decisione dei giudici di merito pur a fronte di altri giudizi definiti con pronunce di assoluzione. Quanto al terzo motivo si richiamano le argomentazioni esposte al punto 2.5 della presente motivazione, ove si e' osservato che la violazione amministrativa riguarda soltanto l'omessa comunicazione delle attivita' da parte di soggetto autorizzato e non anche l'irregolare ed illecito commercio di centinaia di chili di metallo prezioso trasportati all'estero. Infine il quarto motivo trova risposta al paragrafo 2.6 cui si rinvia. Pertanto l'impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 3; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche' al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 3.000,00. 2.10 Il primo motivo del ricorso avanzato da (OMISSIS) avente ad oggetto la contestazione dell'individuazione del reato presupposto del 648 c.p. nel delitto di commercio abusivo di oro, trova adeguata risposta al punto 2.1 della presente motivazione cui si rinvia. In ogni caso va osservato come non possa ritenersi operare la clausola di riserva della fattispecie di ricettazione richiamata perche' il commercio abusivo e' la condotta illecita posta in essere dopo la ricezione dell'oro da parte dei soggetti incaricati di trasportarlo all'estero cosi' che non sussiste il concorso nel reato presupposto avendo (OMISSIS) e gli altri soggetti coinvolti prima ricevuto l'oro di origine illecita consumando il delitto di ricettazione e poi posto in essere il commercio abusivo mediante il trasporto all'estero. Il terzo e quarto motivo del ricorso principale ed il motivo aggiunto trovano risposta ai punti 2.3, 2.4 e 2.6 della presente motivazione ove sono state analizzate le doglianze avanzate in relazione alla aggravante transnazionale ed alla confisca anche in relazione all'importo della stessa a fronte di delitti associativi e reati fine commessi da piu' soggetti in concorso tra loro sicche' alcuno dei lamentati vizi appare sussistere. Anche il secondo motivo con il quale si lamenta l'omessa declaratoria di prescrizione per il reato di commercio abusivo appare manifestamente infondato; con emendabile tecnica espositiva il pubblico ministero ha contestato nell'unico capo di imputazione di cui alla lettera c) i reati di ricettazione e commercio abusivo di oro di cui alla L. n. 7 del 2000, articolo 4 come commessi tra marzo e novembre del 2012. A fronte di tale contestazione, ed in presenza di una doppia conforme di responsabilita' affermata in entrambi i gradi di merito in relazione a tale preciso capo di imputazione, il ricorso deduce che i fatti si sarebbero consumati in data antecedente e precisamente nel mese di giugno del 2012 quando pero', la stessa sentenza di appello, smentisce tale dato richiamando, a pagina 68 della motivazione, il riferimento ad attivita' illecite poste in essere proprio da (OMISSIS) a partire da luglio 2012 in poi. Al proposito deve essere rammentato come il ricorrente che invochi nel giudizio di cassazione la prescrizione del reato, assumendo per la prima volta in questa sede che la data di consumazione e' antecedente rispetto a quella contestata, ha l'onere di riscontrare le sue affermazioni fornendo elementi incontrovertibili, idonei da soli a confermare che il reato e' stato consumato in data anteriore a quella contestata, e non smentiti ne' smentibili da altri elementi di prova acquisiti al processo (Sez. 4, n. 47744 del 10/09/2015, Rv. 265330 - 01). L'applicazione del suddetto principio comporta proprio affermare la manifesta infondatezza del motivo stante l'assenza di elementi incontrovertibili dai quali ricavare l'avvenuta cessazione della consumazione dei fatti in data antecedente rispetto a quella contestata. Alla declaratoria di inammissibilita' consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche' al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 3.000,00. 2.11 I primi sei motivi del ricorso avanzato nell'interesse di (OMISSIS) avanzano tutti doglianze in tema di violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della fattispecie associativa proponendo una lettura frazionata dei molteplici elementi di prova valorizzati dai giudici di merito. In risposta a tali doglianze vanno richiamate le argomentazioni svolte al punto 2.2 della presente motivazione circa la conformita' alle previsioni normative delle valutazioni operate in tema di associazione punibile dai giudici di merito con la precisazione che, la reiterazione delle condotte e l'esistenza di piu' gruppi dediti al commercio in nero di oro con esportazione illegale, e' stata correttamente valutata quale indice probatorio della sussistenza di un'unica associazione a delinquere nella quale il (OMISSIS) ed altri soggetti avevano assunto un ben preciso ruolo. Non sussiste poi la lamentata contrapposizione inconciliabile posto che, per costante interpretazione di questa corte di legittimita', il vincolo associativo e' configurabile anche in relazione ad attivita' stabili e reiterate poste da soggetti acquirenti e venditori di sostanze illecite o commerciate illecitamente; al proposito va infatti ricordato come sia stato affermato che un'associazione punibile sussiste non solo nel caso di condotte parallele di persone accomunate dall'identico interesse di realizzazione del profitto societario mediante il commercio di sostanze illecite, ma anche nell'ipotesi del vincolo che accomuna, in maniera durevole, un fornitore, ad esempio di droga agli acquirenti, che in via continuativa, la ricevono. La diversita' di scopo personale non e' ostativa, infatti, alla realizzazione del fine comune, che e' quello di sviluppare il commercio illecito per conseguire sempre maggiori profitti. Ne' l'associazione criminosa e' esclusa dalla diversita' dell'utile che i singoli partecipi si propongono di ricavare, o da un contrasto degli interessi economici di essi, posto che ne' l'una, ne' l'altro sono di ostacolo alla costituzione ed alla persistenza del vincolo associativo, sol che colui che opera come acquirente sia stabilmente disponibile a ricevere i beni, assumendo, cosi', una funzione continuativa, che trascende il significato negoziale delle singole operazioni, per costituire un elemento della complessa struttura che facilita lo svolgimento dell'intera attivita' criminale (Sez. 5, Sentenza n. 10077 del 23/09/1997 Ud. (dep. 10/11/1997) Rv. 208822 - 01). Il principio dettato con riferimento all'ipotesi dell'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti va ribadito anche con riguardo al commercio illecito di oro ove un soggetto acquirente, come (OMISSIS), abbia intrapreso relazioni e rapporti stabili con altri soggetti operanti in Italia in virtu' dei quali lo stesso acquistava plurime partite di oro illecitamente commerciato e gia' oggetto di precedenti operazioni di ricettazione. I motivi da n. 7 al n. 12 reiterano integralmente doglianze gia' avanzate in sede di appello e rispetto alle quali il giudice di secondo grado appare avere fornito adeguata risposta con le ampie osservazioni svolte alle pagine 43 e seguenti; i giudici di merito, con valutazione conforme fondata sull'analisi del materiale probatorio utilizzabile nel giudizio abbreviato, hanno individuato il concorso del ricorrente nell'associazione con ruolo organizzativo in forza delle dichiarazioni rese dal coimputato (OMISSIS) oltre che con riferimento all'accertata partecipazione del (OMISSIS) a conversazioni intercettate ed incontri nei quali venivano pattuite consegne di oro in nero. Le censure riproposte con il presente ricorso, pertanto, vanno ritenute null'altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimita', una nuova valutazione di quegli elementi fattuali gia' ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva. E non avendo il ricorrente evidenziato incongruita', carenze o contraddittorieta' motivazionali, la censura, essendo incentrata tutta su una nuova ed alternativa rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, va dichiarata inammissibile. Quanto al tredicesimo motivo, come gia' esposto al punto 2.1 della motivazione, i giudici di merito hanno accertato che la condotta di ricettazione avveniva al momento della ricezione dell'oro di provenienza illecita perche' commerciato in nero ed a tale attivita' seguiva, poi, l'ulteriore fase del commercio illecito con il trasporto e la vendita all'estero. Se si considera che gli imputati si attivavano sia nella prima che nella seconda fase risulta pertanto che in distinte occasioni ricevevano materiale di provenienza illecita. Tali considerazioni assorbono anche il motivo n. 15. Il motivo n. 14 e lo stesso motivo n. 15 propongono doglianze di fatto con le quali si espongono questioni relative alla assenza di prova della illecita origine dell'oro adeguatamente confutate dai giudici di merito sulla base di una serie di considerazioni riguardanti le modalita' di ricezione, trasporto e commercio del metallo prezioso tutte indicative della sua palese illecita origine. Circostanze queste che del tutto logicamente portavano il giudice di appello a ritenere la piena consapevolezza dell'origine delittuosa dell'oro contestata con il motivo n. 17. Il motivo n. 16 procede ad una rilettura alternativa di elementi di prova ed in particolare del contenuto degli interrogatori di alcuni coimputati che non assume alcuna decisiva rilevanza in relazione all'ampio e composito materiale valutato a carico del (OMISSIS) ed esposto senza alcuna illogicita' manifesta alle pagine 43 e seguenti della motivazione. I motivi nn. 18 e 19 propongono una errata esposizione di elementi di fatto posto che il reato presupposto della ricettazione non e' individuabile nella fattispecie associativa di cui al cap. a) bensi' nei delitti contro il patrimonio da cui scaturiva l'oro al nero e dal reato di commercio abusivo effettuato da altri prima della ricezione da parte degli imputati; le doglianze, pertanto, propongono una diversa lettura delle condotte degli imputati non ammissibile ed anche smentita dalla ricostruzione dei giudici di merito. Il motivo n. 20 trova risposta nel punto 2.5 in tema di commercio abusivo della presente motivazione cui si rinvia. Le doglianze esposte con il motivo n. 21 e con le quali si contesta il concorso punibile nelle condotte illecite di ricettazione e commercio abusivo trovano poi risposta nelle argomentazioni gia' esposte dalla corte di appello in particolare alle pagine 43-46 circa il coinvolgimento del (OMISSIS) negli illeciti traffici con ruolo primario. Tutti i motivi dal n. 22 al n. 24 in tema di aggravante ex articolo 61 bis c.p. hanno trovato risposta nelle argomentazioni esposte ai punti 2.3 e 2.4 della presente motivazione cui si rinvia; in ogni caso deve essere escluso che la circostanza aggravante sia stata irritualmente contestata, come pure lamenta il motivo n. 22, come inequivocabilmente risultante dalla lettura del capo c) dell'imputazione nella parte finale ove viene chiaramente indicata l'operativita' di un gruppo criminale organizzato impegnato in attivita' criminali in piu' stati. Per la trattazione dei motivi da 24 a 26 si rinvia al punto 2.6 della motivazione in tema di confisca anche in relazione ai reati associativi ed aggravati dalla transnazionalita'. Quanto all'ultimo motivo in tema di prescrizione, vanno richiamate le osservazioni svolte con riguardo alla posizione (OMISSIS); anche in questo caso il ricorrente invoca un'anticipazione della data del commesso reato che non risulta da elementi incontrovertibili non emergendo la definitiva cessazione di ogni attivita' da parte del ricorrente al luglio del 2012 e non potendo una tale questione di fatto essere proposta in sede di legittimita'. Ne consegue l'inammissibilita' del ricorso, la condanna al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 3000 alla Cassa delle Ammende. 2.12 Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi quanto ai ricorsi (OMISSIS) e (OMISSIS); il primo motivo propone una arbitraria anticipazione della data del commesso reato a luglio del 2012 pur in assenza di elementi non controvertibili. Al proposito vanno richiamate le osservazioni ed i principi giurisprudenziali esposti nella posizione (OMISSIS) cui si rinvia sottolineandosi come alcun elemento di fatto sia stato fornito per dimostrare che la condotta si arresto' in data anteriore a quella oggetto di contestazione. In ogni caso, trattasi di accertamento in fatto precluso a questa corte di legittimita' nella parte in cui non viene demandato ai giudici di merito nelle fasi precedenti. Il secondo motivo contesta l'affermazione di responsabilita' per il delitto associativo con aspetti in parte gia' esaminati al punto 2.2 della presente motivazione ed in ogni caso involgenti una lettura alternativa di elementi di prova. Il giudice di appello ha ricavato la piena adesione dei ricorrenti al contesto associativo non soltanto in forza del legame parentale degli stessi con i (OMISSIS) bensi' in relazione alla verificata partecipazione a plurimi episodi di trasporto del metallo prezioso, la cui particolare rilevanza assumeva significativita' anche in relazione al delitto associativo sulla base di una precisa motivazione esposta alle pagine 58-60 priva di illogicita'. Quanto al terzo motivo, che contesta l'attivita' professionale di commercio abusivo, si richiamano le osservazioni svolte al punto 2.5 della motivazione circa la sussistenza nelle condotte contestate anche della fattispecie prevista e punita dalla L. 7 del 2000, articolo 4 avuto riguardo alle modalita' delle attivita' di commercio abusivo, al rilevante quantitativo esportato illecitamente, alla pluralita' dei trasporti ed all'accertata sussistenza di un'accurata compagine nel contesto della quale operava anche un soggetto stabilmente residente all'estero e destinatario della merce. Il quarto motivo reitera doglianze in punto individuazione del reato presupposto della ricettazione per l'analisi delle quali si rinvia ai punti 2.1 e 2.5 della presente motivazione; l'oro trasportato, come esposto alle pagine 60-61 della motivazione di appello, proveniva da commercio illecito o da reati contro il patrimonio precedentemente commessi e nessun rilievo assume pertanto l'autorizzazione amministrativa concessa. Il quinto, sesto e settimo motivo in tema di aggravante ex articolo 61 bis c.p. e confisca trovano risposta ai punti 2.3. 2.4 e 2.6 cui si rinvia. 2.13 Il primo motivo del ricorso avanzato nell'interesse dell'imputato (OMISSIS), con il quale si contesta l'affermazione di responsabilita' per il delitto associativo di cui al capo a), reitera puramente doglianze gia' avanzate alla corte di merito e sulle quali la stessa ha fornito piu' che adeguata motivazione alle pagine 77-79 della sentenza impugnata; la Corte di Appello di Firenze ha confermato l'affermazione di responsabilita' evidenziando i plurimi elementi per affermare che proprio (OMISSIS) avesse assunto un ben preciso ruolo nel gruppo (OMISSIS), indicandone con precisione il ruolo e sottolineando gli strumenti operativi messi a disposizione del gruppo criminale del quale il ricorrente faceva utilizzo. A fronte di tali molteplici considerazioni prive di illogicita', il ricorso insiste nello svalutarne la valenza dimostrativa senza pero' evidenziarne alcuna illogicita'. In tema di sindacato del vizio della motivazione, il compito del giudice di legittimita' non e' quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilita' delle fonti di prova, bensi' di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, Rv. 203428); esame nel caso di specie esattamente compiuto dai giudici di merito con valutazioni complete e del tutto prive delle lamentate illogicita' ed a fronte delle quali il ricorrente insiste in una interpretazione alternativa dei fatti non deducibile nella presente sede di legittimita'. Quanto al secondo motivo in tema di ricettazione e reato presupposto, vanno richiamate le osservazioni svolte al punto 2.1 della presente motivazione. I giudici di merito, facendo corretta applicazione dei principi stabiliti in materia, hanno ritenuto incidentalmente la sussistenza del reato presupposto di commercio abusivo quale fattispecie che ha preceduto la ricezione illecita dell'oro da parte del (OMISSIS) e degli altri imputati che, a loro volta, lo trasferivano poi attraverso complesse operazioni all'estero e precisamente in Svizzera. Le considerazioni svolte dalla corte di appello a pagina 80 della pronuncia appaiono quindi non censurabili posto che, per costante interpretazione di questa corte di legittimita', il reato presupposto della ricettazione puo' essere anche ritenuto sussistente sulla base di considerazioni logiche, nel caso di specie fondate sull'accertata assenza di qualsiasi documentazione regolare di accompagnamento dell'oro negoziato che doveva fare ritenere il metallo prezioso illegalmente commerciato anche proveniente da reati contro il patrimonio precedentemente commessi. Anche il secondo motivo e' pertanto manifestamente infondato in quanto reiterativo. Quanto al terzo motivo in tema di circostanza aggravante di cui all'articolo 61 bis c.p. si rinvia ai punti 2.3 e 2.4 della presente motivazione; e' appena il caso di sottolineare come a seguito della ricezione dell'oro di provenienza illecita si attuavano nuove fattispecie di commercio abusivo con il trasporto che si concludevano proprio in territorio estero ove avvenivano le transazioni finali. Il quarto motivo, che contesta l'affermazione di responsabilita' per il delitto di cui alla L. n. 7 del 2000, articolo 4, trova risposta al punto 2.5 della presente motivazione cui si rinvia mentre, in relazione al quinto motivo del ricorso principale ed ai motivi aggiunti proposti in relazione alla confisca, si rinvia ai punti 2.4 e 2.6 della presente motivazione. Va comunque sottolineato che i giudici di merito hanno applicato la confisca in relazione all'importo complessivo dell'oro illecitamente negoziato e tale valutazione appare corretta posto che il commercio abusivo di oro risulta aggravato dalla circostanza della transnazionalita' e la L. n. 146 del 2006, articolo 11 dispone proprio che: "qualora la confisca delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato non sia possibile, il giudice ordina la confisca di somme di denaro, beni od altre utilita' di cui il reo ha la disponibilita', anche per interposta persona fisica o giuridica, per un valore corrispondente a tale prodotto, profitto o prezzo". E proprio l'intero ammontare determinato dal giudice di merito costituisce il prodotto del commercio abusivo cosi' come gia' ritenuto dalla corte di legittimita' nel procedimento a carico dei coimputati (Sez. 2, n. 16100 del 27/02/2019 cit.). Alla inammissibilita' del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese ed al versamento di una somma di Euro 3.000,00 alla Cassa delle Ammende in ragione dei profili di colpa nella predisposizione del ricorso. 2.14 Con riguardo al primo motivo del ricorso avanzato nell'interesse di (OMISSIS) in relazione al delitto di ricettazione, vanno richiamate le osservazioni in punto delitto presupposto gia' svolte al paragrafo 2.1 della presente motivazione; i giudici di merito tenuto conto della quantita' del materiale commerciato, dell'assoluta mancanza di documenti giustificativi le transazioni, delle particolari modalita' di traporto dell'oro attraverso auto con doppi fondi assicurate proprio dal ricorrente, sono pervenuti ad un giudizio di illiceita' dell'origine del metallo prezioso (vedi sentenza di appello pagg. 71-74) che il ricorso contesta proponendo l'efficacia decisiva di alcune assoluzioni per fatti separatamente giudicati e comunque non assorbenti l'intero commercio organizzato dal ricorrente. Inoltre al proposito si richiamano le argomentazioni espresse nella trattazione della posizione (OMISSIS) circa la possibilita' per il giudice che procede di valutare anche le sentenze assolutorie emesse all'esito di separato giudizio. In relazione al secondo motivo si richiamano le osservazioni svolte al punto 2.5 ove si e' sottolineato che l'organizzazione professionale di un vasto commercio d'oro in nero rende superflua la presenza della licenza amministrativa. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale ed il primo motivo aggiunto in tema di aggravante e confisca, trovano risposta ai punti 2.3, 2.4 e 2.6 della presente motivazione cui si rinvia. I giudici di merito hanno ritenuto provata la transnazionalita' in forza di argomenti incensurabili fondati sull'avvenuta consumazione dei delitti in territorio nazionale ed estero e sulla specifica programmazione dell'esportazione all'estero dell'oro quale motivo a delinquere cosi' che la consumazione anche nel territorio straniero appare ragione stessa delle azioni delittuose. Il reato di commercio abusivo, poi, come gia' ripetutamente affermato risulta consumato anche all'estero ove avveniva anche la ricezione di beni di origine illecita. Inoltre, per quanto l'eccezione di legittimita' costituzionale della L. n. 146 del 2006, articolo 4 oggi articolo 61 bis c.p. la stessa appare manifestamente infondata poiche' non sussiste alcuna violazione del principio di legalita' nella previsione normativa posto che con la stessa, come gia' osservato al punto 2.3 cui si rinvia, il legislatore nell'ambito della propria discrezionalita' ed in applicazione di convenzioni internazionali ha introdotto una circostanza aggravante a carico dei concorrenti nel reato che agiscano in diversi stati nazionali in quanto attivita' indicativa di maggiore professionalita' a delinquere oltre che aggredente diversi ordinamenti giuridici. Il quinto motivo, che avanza doglianze sempre sulla confisca, propone una arbitraria frammentazione della condotta delittuosa che non trova fondamento alcuno posto che essendo avvenuto il commercio dell'oro totalmente in nero alcun rilievo assume la circostanza che una frazione veniva venduta al prezzo di mercato e la confisca di valore appare quindi correttamente determinata. Il sesto motivo reitera doglianze in punto riconoscimento della fattispecie associativa gia' adeguatamente analizzate e respinte dalla corte di appello con approfondite valutazioni e per le quali valgono anche i riferimenti contenuti al punto 2.2 della presente motivazione. Si e' gia' esposto (vedi posizione (OMISSIS) p. 29) come la giurisprudenza della corte di legittimita' ha ampiamente riconosciuto il vincolo associativo nelle ipotesi di relazioni stabili tra acquirenti e venditori di sostanze illecite o beni di provenienza delittuosa. Il secondo, terzo e quarto motivo aggiunto reiterano doglianze in punto confisca gia' ampiamente analizzate al punto 2.6 della motivazione e nella trattazione delle rimanenti posizioni processuali cui si rinvia. Il quinto motivo aggiunto in tema di sussistenza dell'associazione punibile trova risposta nel punto 2.2 della presente motivazione cui si rinvia; i giudici di merito, con motivazione conforme, hanno ricavato la sussistenza ed operativita' in un arco temporale ampio, di un'associazione finalizzata al traffico illecito di oro proveniente da attivita' illecita valutando quali elementi significativi diversi elementi di prova che hanno dimostrato proprio la stabilita' del vincolo e la differenziazione dei ruoli oltre che la sussistenza di un preciso programma delittuoso per l'attuazione del quale erano utilizzati anche appositi mezzi. Il sesto motivo aggiunto propone doglianze analoghe a quelle gia' confutate in relazione alla posizione del (OMISSIS) ed in relazione alle quali occorre ribadire che le pronunce assolutorie di alcuni soggetti agenti quali compro oro non hanno certamente escluso la sussistenza dei reati presupposto in relazione alla molteplicita' delle attivita' illecite emerse nel corso del procedimento. Peraltro trattasi di giudizi definiti con piattaforme probatorie diverse. Per quanto gia' in precedenza esposto non sussiste concorso apparente di norme tra l'articolo 648 c.p. e L. n. 7 del 2000, articolo 4 poiche' al momento della ricezione dell'oro di provenienza illecita veniva consumata la condotta di ricettazione cui seguiva poi la consumazione di altra fattispecie di commercio abusivo con l'organizzazione e l'esecuzione del trasporto all'estero. Le norme, quindi, puniscono frazioni temporali di condotte differenti cosi' che correttamente le stesse sono state ritenute configurabili anche a carico del medesimo soggetto. Alla inammissibilita' del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese ed al versamento di una somma di Euro 3.000,00 alla Cassa delle Ammende in ragione dei profili di colpa nella predisposizione del ricorso. 2.15 Manifestamente infondati in fatto ed anche reiterativi appaiono i motivi del ricorso (OMISSIS); i primi sei motivi con i quali si propongono una serie di doglianze in ordine alla valutazione delle prove si scontrano con una doppia conforme di responsabilita'; al proposito va ricordato come il vizio di travisamento della prova puo' essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", e cioe' di condanna in primo e secondo grado, sia nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Rv 256837). Inoltre ai fini del controllo di legittimita' sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello di conferma si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595). Nel caso in esame non si ravvisa ne' il presupposto della valutazione da parte del giudice di appello di un differente materiale probatorio utilizzato per rispondere alle doglianze proposte avverso la sentenza di primo grado ne', tantomeno, il dedotto macroscopico travisamento dei fatti denunciabile con il ricorso per cassazione; in particolare, il giudice di merito, ha gia' risposto con adeguata motivazione a tutte le osservazioni della difesa dell'imputato che in sostanza ripropongono motivi di fatto osservando che il compendio probatorio a carico del (OMISSIS) e' costituito dal contenuto di alcune conversazioni, dalle dichiarazioni del (OMISSIS), dal rinvenimento di una delle utenze telefoniche utilizzata per i traffici illeciti che denotano la responsabilita' dell'imputato per un commercio abusivo di 123 kg. di oro. Le conclusioni circa la responsabilita' del ricorrente risultano quindi adeguatamente giustificate dai giudici di merito attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimita' diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile. Il settimo motivo propone una ricostruzione alternativa circa il quantitativo di oro illecitamente commerciato gia' smentito con precisi argomenti dalla corte di appello che ha richiamato una nota della Guardia di Finanza in atti ed utilizzabile nel giudizio abbreviato sicche' la tesi alternativa appare una mera possibilita' non riscontrata. I motivi nn. 8, 9 e 10 deducono letture alternative di conversazioni intercettate; al proposito va ricordato come secondo l'insegnamento di questa Corte in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (Sez. U, n. 22471 del 26/2/2015, Rv.263715). Ancora si e' affermato che in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita' se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 2, n. 35181, del 22/5/2013, Rv. 257784). L'applicazione dei suddetti principi deve portare ad escludere che nella presente sede il contenuto di quelle conversazioni, conformemente interpretato dai giudici di merito, possa essere sottoposto al sindacato di questa Corte nella prospettiva dedotta. L'undicesimo motivo e' manifestamente infondato poiche' nella parte motiva della sentenza di appello esposta alle pagine 52-57 non si rinvengono le dichiarazioni dell' (OMISSIS) che sarebbero state decisive ai fini dell'affermazione di responsabilita'; il dodicesimo motivo contesta il contenuto di altra prova, le dichiarazioni del (OMISSIS), che il giudice di appello non risulta avere posto a fondamento dell'identificazione di (OMISSIS) fondata invece sull'uso di quelle utenze telefoniche risultate in contatto proprio con il (OMISSIS). Inconferente e' poi il richiamo contenuto in entrambi detti motivi all'associazione a delinquere che non e' reato ritenuto a carico del (OMISSIS). Quanto alle doglianze in relazione all'affermazione di responsabilita' per il delitto di ricettazione, contenute nei motivi nn. 13 e 14, la corte di appello, con le ampie osservazioni svolte alle pagine 54-56, ha spiegato come il ricorrente, soggetto addetto al settore, fosse certamente consapevole della natura illecita dell'oro commerciato in nero e tale valutazione in fatto appare incensurabile. Il tema del reato presupposto del delitto di cui all'articolo 648 c.p. (motivo n. 14) e' stato trattato al punto 2.1 cui si rinvia sottolineando come, anche per tale posizione, vale la preesistenza del commercio abusivo rispetto alla ricezione del bene illecito che configura la ricettazione. Cio' esclude altresi' il lamentato concorso apparente di norme con assorbimento posto che le condotte riguardano frazioni temporali differenti ed appaiono pertanto pienamente autonome oltre che aggressive di beni giuridici diversi. Infine l'ultimo motivo appare manifestamente infondato nella parte in cui non tiene conto della ricostruzione dei fatti operata dai giudici di primo e secondo grado che hanno dato atto della consumazione della ricettazione al momento del ricevimento da parte degli addetti al commercio abusivo quale (OMISSIS), di oro precedentemente negoziato in nero. Sul punto valgono le precise osservazioni svolte a pagina 56 della sentenza impugnata che il ricorso contesta senza alcuna specificita'. Alla inammissibilita' del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese ed al versamento di una somma di Euro 3.000,00 alla Cassa delle Ammende in ragione dei profili di colpa nella predisposizione del ricorso. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CATENA Rossella - Presidente Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. SESSA Renata - rel. Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 17/03/2021 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa SESSA RENATA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. BIRRITTERI LUIGI; Il Proc. Gen. conclude per l'inammissibilita' di tutti i ricorsi; udito il difensore: L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; L'avvocato (OMISSIS) si associa alle richieste del codifensore avv. (OMISSIS) riportandosi ai motivi di ricorso e insistendo per l'accoglimento dello stesso. RITENUTO IN FATTO 1. La vicenda oggetto di imputazione riguarda un complesso meccanismo doloso posto in essere in seno alla societa' cooperativa per azioni (OMISSIS) Soc. Coop. p.a. (da ora (OMISSIS)), dichiarata fallita il (OMISSIS), iscritta nell'elenco previsto dall'articolo 106 T.U.B., nell'apposita sezione di cui all'articolo 155, comma 4, del T.U.B., giacche' avente struttura giuridica e patrimoniale di (OMISSIS), c.d. (OMISSIS) minori (dunque scarsamente capitalizzata) che, secondo l'oggetto sociale e ai sensi del Decreto Legge n. 269 del 2003, articolo 13, comma 1, conv. L. n. 326 del 2003, era preposta allo svolgimento delle attivita' di garanzia collettiva dei fidi e servizi a essa connessi o strumentali, in via esclusiva e nel rispetto delle riserve di attivita' previste dalla legge, in particolare al prestito in via mutualistica e imprenditoriale di garanzie di primo grado, volte a favorire il finanziamento dei soci, piccole e medie imprese, da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario. La societa' poteva altresi' svolgere nei confronti delle imprese socie, le attivita' indicate nell'articolo 155, comma 4-quater T.U.B.. La societa', costituita il 25.2.2003 con la denominazione (OMISSIS) cooperativa, avente sede in (OMISSIS), con oggetto sociale lo svolgimento dell'attivita' di garanzia collettiva dei fidi, era stata trasformata in Soc. Coop. societa' per azioni il 21.10.2009, con contestuale trasferimento della sede in (OMISSIS), e l'assunzione della denominazione (OMISSIS). Dall'ottobre 2009 al novembre 2011 l'amministrazione era stata affidata a un CdA composto da (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che (OMISSIS). Il 9.11.2010 aveva assunto la carica (OMISSIS), il quale si era dimesso in data 25.7.2012. Dal 2009 la societa' si era dotata di un collegio sindacale rimasto in carica fino al fallimento. Il 21.4.2011 la sede era stata trasferita a (OMISSIS). Il fallimento e' stato dichiarato il (OMISSIS) dal Tribunale di Milano. Al momento del fallimento la societa' era inattiva da circa un anno, a causa della esecuzione di ordinanza di custodia cautelare in carcere in data 19.7.2012 per fatti similari oggetto di un processo parallelo avviato a (OMISSIS), che aveva visto il coinvolgimento dei medesimi imputati amministratori, evento a seguito del quale (OMISSIS) aveva rassegnato le dimissioni. Il procedimento in questione ha origine a seguito di una serie di accertamenti condotti dalla G.d.F. in merito all'attivita' svolta dalle societa' (OMISSIS) e (OMISSIS), societa' precedenti a (OMISSIS), alle quali sono state ascritte, in altro procedimento pendente presso gli uffici giudiziari romani, attivita' analoghe, e coi medesimi soggetti, di illecito rilascio di polizze fideiussorie. L'attivita' di (OMISSIS) era, secondo l'impostazione accusatoria, svolta innanzitutto in violazione di legge, in assenza dei requisiti normativamente previsti: ampiamente superata era la soglia di legge riguardo al volume di attivita' finanziaria di 75 milioni annui, di cui al Decreto Ministeriale n. 29 del 2009, articolo 15, a fronte di non idonea capacita' patrimoniale, superamento che avrebbe comportato l'iscrizione all'elenco speciale ex articolo 107 T. U. B. e l'assoggettamento della societa' ai controlli previsti; per di piu' le polizze erano emesse in favore di soggetti diversi dai soci e con riferimento a crediti vantati principalmente da enti pubblici, quali Equitalia, Agenzia delle Entrate ed enti ecclesiastici (mai banche), sicche' esercitando abusivamente attivita' finanziaria nei confronti del pubblico, si inducevano in errore i debitori garantiti e i creditori in favore dei quali le garanzie erano state emesse, i quali stipulavano le polizze nell'erronea convinzione della validita' e, soprattutto, della copertura delle stesse. Tale meccanismo illecito (di cui al capo A dell'imputazione) consiste nell'emissione di polizze fideiussorie per un ammontare complessivo superiore a 350 milioni di Euro di capitale garantito (circa 230 milioni per l'anno 2010 e 120 milioni per il 2011) stipulate nei confronti di terzi, anziche' in aiuto dei soci, atteso che i soggetti garantiti divenivano solo "formalmente" consociati al momento della stipula della fideiussione alla quale era allegato l'atto di adesione che prevedeva il pagamento di una quota associativa di Euro 250,00, che, peraltro, non necessariamente era versata. Esso era portato avanti attraverso due societa'/broker, (OMISSIS) e (OMISSIS) (societa' di capitali rispettivamente riconducibili a (OMISSIS), la prima, e a (OMISSIS), la seconda, in quanto il primo amministratore di fatto in luogo di quello formale, il cui ruolo era rivestito dalla figlia e il secondo amministratore unico e socio all'80% di (OMISSIS)) che fingevano da intermediarie rispetto a (OMISSIS) (formalmente amministrata, come detto, dapprima da (OMISSIS) e (OMISSIS) e poi da (OMISSIS)). Tali societa' avevano il compito di procacciare il cliente, tramite i broker locali distribuiti sul territorio nazionale, e di emettere la polizza a nome di (OMISSIS) e, per tale intermediazione percepivano provvigioni per un importo nettamente superiore a quello pattuito (superiore al 50% del valore dei premi) o comunque ritenuto del tutto incongruente con le cifre di mercato. Le provvigioni erano incassate con due differenti meccanismi: (OMISSIS) otteneva il pagamento della polizza e trasferiva l'intero importo a (OMISSIS) che poi "girava" al broker la commissione/provvigione; (OMISSIS), alla quale da contratto spettava il 30%, tratteneva, invece, l'intero ammontare del premio e trasferiva a (OMISSIS) solo la quota-parte al netto della provvigione; in entrambi i casi le somme ottenute dai broker erano nettamente superiori al dovuto. Tale, complessivo, sistematico modus operandi, unitamente ad altri comportamenti, quali il mancato versamento delle ritenute di sostituto d'imposta per l'anno 2010, secondo l'imputazione, convalidata nelle pronunce di merito, aveva dato vita a una serie di operazioni strettamente correlate tra loro che avevano condotto la societa' al fallimento. 1.1. Capi d'imputazione ascritti ai ricorrenti, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nelle rispettive qualita', (OMISSIS) e (OMISSIS) anche quali amministratori di fatto di (OMISSIS): - (OMISSIS) - uno degli ideatori del meccanismo fraudolento - in qualita' di membro del consiglio di amministrazione dal 6.10.2009 al 9.11.2010 e in qualita' di amministratore di fatto ex articolo 2639 c.c. dal 9.11.2010 alla data del fallimento (qualita' desumibile dall'aver continuato a ingerirsi sistematicamente nella gestione della societa' fallita, dall'operare sui conti correnti della medesima e, in particolare, dal disporre di carta di debito/credito intestata alla societa' con la quale da aprile a novembre 2011 ancora effettuava operazioni e prelevamenti a carico della societa'); - (OMISSIS) in qualita' di consulente della societa' a partire dal 2010 e di amministratore unico ed effettivo dal 9.11.2010 al 25.07.2012 (data in cui rassegnava le dimissioni). (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita' di componenti del Comitato tecnico e del Comitato esecutivo di (OMISSIS), nonche' di collaboratori esterni della societa' mediante contratti di mandato con le societa' di brokeraggio agli stessi rispettivamente riconducibili, (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) in realta' agendo come amministratori di fatto della societa' (qualita' desumibile dalla loro ingerenza nella scelta di contraenti, dalla loro stabile e continuativa presenza negli uffici della societa', nonche' dal fatto che erano loro a decidere l'opportunita' e convenienza di stipulare le polizze e a dettarne contenuto e condizioni contrattuali), avendo ideato, realizzato e gestito il meccanismo illecito di rilascio delle fideiussioni oggetto di contestazione; A) bancarotta impropria, ai sensi dell'articolo 110 c.p., L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2 e articolo 219, per avere attraverso il meccanismo suindicato causato il fallimento della societa' (OMISSIS); B) bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, ai sensi dell'articolo 110 c.p., L. Fall., articolo 223, comma 1 in relazione alla L. Fall., articolo 216, comma 1 e articolo 219 perche', gli imputati, in concorso fra loro, operando coi ruoli ricoperti nelle societa', distraevano e comunque dissipavano il patrimonio di (OMISSIS) con le condotte di seguito indicate: - a favore di (OMISSIS), nel periodo di gennaio/agosto 2011, venivano distratte risorse finanziarie per il complessivo importo di Euro 531.390,00; - a favore di (OMISSIS), nel periodo gennaio/agosto 2011, venivano distratte risorse finanziarie per il complessivo importo di Euro 167.500,00; - a favore di (OMISSIS) e (OMISSIS) venivano distratte per mezzo della (OMISSIS) s.r.l., agli stessi riconducibile, gli importi incassati quale premio sulle polizze fideiussorie stipulate per conto di (OMISSIS), che avrebbero dovuto essere retrocesse alla fallita, per un importo complessivo di Euro 2.440.237,00; - a favore di (OMISSIS) venivano distratte, per mezzo della (OMISSIS) S.r.l. allo stesso riconducibile, provvigioni sulle polizze fideiussorie stipulate per conto di (OMISSIS) pari almeno al 50% dei premi versati dai contraenti, a fronte del 25% pattuito. In (OMISSIS), il (OMISSIS) (luogo e data di dichiarazione del fallimento); C) bancarotta fraudolenta documentale, articolo 110 c.p., L. Fall., articolo 223, comma 1, in relazione al Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, articolo 216, comma 1, n. 2), perche', in concorso fra loro, operando con le suindicate qualita', con lo scopo di procurare a se' un ingiusto profitto falsificavano in tutto o in parte i libri e le altee scritture contabili, e comunque le tenevano in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio della societa' e del movimento degli affari, e in particolare: 1. rettificavano continuamente e sistematicamente i rendiconti relativi alle polizze stipulate per conto di (OMISSIS) dai broker (OMISSIS) e (OMISSIS) e le correlate poste debitorie e creditizie, cosi' impedendo la tenuta di una completa ed aggiornata contabilita' sui movimenti dare/avere; 2. realizzavano un'operazione commerciale grazie alla quale il socio sovventore (OMISSIS) Ltd apportava un patrimonio costituito da titoli non quotati per un importo nominale di 10.000.000, 00 USD, laddove il valore dei suddetti titoli - inseriti nella contabilita' aziendale e rientranti nel patrimonio sociale - era inesistente; 3. ponevano in essere un meccanismo di creazione di fittizie poste debitorie della (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), tale da giustificare rimesse economiche nei confronti dei predetti e/o prelievi degli stessi; in particolare, a fronte di un credito della societa' verso i predetti al 30.12.2009 per Euro 170.000,00, nel corso del 2010 venivano contabilizzati diversi pagamenti con causale "Crediti prestito amministratore", per un ammontare complessivo di Euro 356.648,25, chiusi al 31.12.2010 con "giroconti compensazione" ed un debito verso i medesimi di Euro 121.521,76; inoltre, in data 20.12.2010, creavano artatamente la partita passiva definita "nota di rimessa per conto cliente" emessa dall'avv. (OMISSIS) in pari data a titolo di "somme ricevute per conto cliente (OMISSIS) dai sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS), finalizzate alla transazione extragiudiziale della garanzia in escussione n. 5081/2010" per l'importo di Euro 600.000,00 simulando cosi' artatamente che i predetti avessero anticipato la somma dovuta da (OMISSIS) al creditore (OMISSIS) S.p.A. a seguito della escussione di tale polizza, garanzia in realta' non escussa; portando quindi in compensazione tace fittizio debito con i crediti vantati dalla societa' nei confronti dei predetti. 2. Con sentenza deliberata il 13.12.2018, il Tribunale di Milano, a seguito di giudizio ordinario, per quanto e' qui di interesse, riteneva responsabili per i reati loro ascritti e indicati gli odierni ricorrenti, che venivano condannati, negate le attenuanti generiche a tutti, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) alla pena principale di anni sei di reclusione, nonche' al risarcimento dei danni patrimoniali in favore della costituita parte civile "Fallimento (OMISSIS) s.c.p.a." da liquidarsi in separata sede, assegnando una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 3.000.000,00, e (OMISSIS) alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione. 3. Investita delle impugnazioni degli imputati suindicati, la Corte di appello di Milano, con sentenza del 21/09/2015, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha rideterminato la pena inflitta a (OMISSIS), previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle contestati aggravanti, in anni cinque di reclusione; ha confermato nel resto il provvedimento impugnato. 4. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Milano propongono ricorso per cassazione gli imputati sopra indicati a mezzo dei propri difensori di fiducia. 5. Il ricorso proposto a firma dell'Avv. Prof. (OMISSIS) e dell'Avv. (OMISSIS) nell'interesse di (OMISSIS) prospetta otto motivi. 5.1. Con il primo motivo si deducono violazione di legge e vizio di motivazione per carenza e/o illogicita', nonche' travisamento probatorio, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione all'articolo 2639 c.c., articolo 110 c.p., L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2), articolo 223, comma 1, articolo 216, comma 1, n. 1), articolo 223, comma 1, articolo 216, comma 1, n. 2), per avere, la sentenza impugnata, affermato la responsabilita' del ricorrente per concorso nei reati di bancarotta impropria, bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, bancarotta fraudolenta documentale, sulla base della qualifica di amministratore di fatto. Pur dichiarando - a pag. 26 - l'erroneita' della premessa di un concorso in qualita' di extraneus contenuta nell'atto di appello, la pronuncia impugnata non chiarisce esplicitamente su quali indici sintomatici si fondi l'affermazione di responsabilita' del ricorrente a titolo di amministratore di fatto. Ed invero, la Corte sembra pervenire a tale risultato sulla base degli accertamenti e degli esiti delle indagini riportati a dibattimento dai testi (OMISSIS) e (OMISSIS) (i quali avrebbero confermato il ruolo attivo e non marginale del ricorrente nella gestione societaria), limitandosi a richiamare sommariamente il capo A dell'imputazione (che collega la qualifica di amministratore di fatto a: l'ingerenza nella scelta dei contraenti; la stabile e continuativa presenza di (OMISSIS) negli uffici della societa'; il ruolo decisionale in ordine all'opportunita' e alla convenienza delle polizze). Evidenziato l'imprescindibile criterio di selezione per l'attribuibilita' della qualifica di amministratore di fatto posto dall'articolo 2639 c.c. consistente nell'individuazione di indici sintomatici di esercizio dei poteri gestori in modo continuativo e significativo, si ritiene che la sentenza impugnata, pretermesse le specifiche doglianze d'appello sul punto, abbia recepito le erronee deduzioni del Tribunale che ravvisava tali indici (oggetto di confutazione nei paragrafi successivi del presente motivo): nella condotta pretesamente distrattiva contestata dapprima come operazione dolosa al capo A e successivamente, in via autonoma, a capo 13; nell'asserita presenza dei broker presso gli uffici di (OMISSIS); nell'indimostrata partecipazione al Comitato tecnico; nell'intervento ai colloqui per l'assunzione di alcuni membri del personale amministrativo della fallita. Quanto al primo indice, si rileva che la presunta organizzazione di un meccanismo volto a drenare le risorse provenienti dalle polizze fideiussorie stipulate tramite il broker (OMISSIS) possa integrare una condotta distrattiva idonea a favorire un determinato soggetto, ma non un atto "ontologicamente" gestorio, dato che il meccanismo in questione si risolveva nella stipula di polizze attraverso broker che percepivano, secondo l'accusa, provvigioni insufficienti a consentire la prestazione di garanzia collettiva dei fidi. Evidente e' il vizio di motivazione e travisamento sul punto: i caratteri dell'attivita' di consulenza e brokeraggio non comportano i connotati tipici dell'attivita' di gestione e nemmeno la scelta del contraente, la conclusione delle polizze eia valutazione dei contenuti delle stesse. Una siffatta ricostruzione risulta smentita da una serie di prove orali acquisite a dibattimento; indi si richiamano le dichiarazioni dei testi ritenute univoche in ricorso nell'affermare l'estraneita' dell'attivita' dei broker, meri mandatari, e l'approvazione da parte degli amministratori di (OMISSIS) delle polizze (segnatamente quelle del Maresciallo (OMISSIS) (trascr. ud. 20.11.2017); delle dipendenti di (OMISSIS) (OMISSIS) (pag. 15 trascr. ud. 11.12.2017) e (OMISSIS) (pag. 20-21 trascr. ud. 11.12.2017); (OMISSIS) (pag. 11 trascr. ud. 28.03.2018); (OMISSIS) (pag. 13, 14 trascr. ud. 28.03.2018). Dalle evidenze richiamate emerge che: il ricorrente svolgeva esclusivamente l'attivita' di broker per il tramite della (OMISSIS) S.r.l. (societa' regolarmente iscritta all'albo dei mediatori creditizi), in, forza di regolare contratto di mandato sottoscritto con la fallita e attraverso la propria diffusa e articolare rete di agenti/brokers locali, procurava clientela alla (OMISSIS); le attivita' svolte dal (OMISSIS) mediante (OMISSIS) S.r.l. consistevano nel ricevere dai propri brokers/agenti, unitamente alla richiesta di fideiussione, tutti i documenti necessari all'istruttoria della pratica da presentare alla direzione (OMISSIS), nell'analizzare i bilanci delle aziende e la loro solvibilita' patrimoniale, individuare la tipologia della garanzia richiesta. Riguardo alla presenza del ricorrente negli uffici di (OMISSIS), si ritiene che questa sia stata valorizzata in sentenza - a pag. 27 - attraverso una singolare inversione dell'onere della prova, laddove la Corte, in violazione di legge e con motivazione illogica, desume l'indice sintomatico in questione dalla mancata spiegazione fornita dal ricorrente sul motivo della sua presenza in (OMISSIS). Si rileva che il dato in oggetto (l'unico tra quelli citati in sentenza astrattamente idoneo a identificare un indice di svolgimento di poteri gestori) si ponga in aperta frizione con la previsione di cui all'articolo 2639 c.c., che richiede la continuita' nell'esercizio di poteri tipici: in tale prospettiva la ritenuta "seppure occasionale presenza" negli uffici della fallita esclude che la circostanza possa validamente rilevare ai fini dell'amministrazione di fatto. A cio' si aggiunge come la sporadica frequentazione della societa' fosse giustificata in ragione del ruolo e dell'attivita' di broker svolta dal ricorrente che, come risulta dai documenti depositati, la svolgeva presso gli uffici di (OMISSIS) s.r.l. e non disponeva di alcun ufficio all'interno di (OMISSIS), potendo solo avvalersi eventualmente e occasionalmente, come tutti i brokers, di una stanza dove "appoggiarsi" (come si evince dalla testimonianza della Sig.ra (OMISSIS) a pag. 22 trascr. ud. 11.12.2017). Quanto al riferimento alla partecipazione al Comitato tecnico ed esecutivo organo la cui esistenza e' "incontestata" secondo la pronuncia impugnata ("come riferito da (OMISSIS) e (OMISSIS), riscontrato dalla curatela con il rinvenimento di libri, dato che assume rilievo fattuale utile a dare conto della creazione di un'articolazione amministrativa facente capo ai broker, destinata ad operare all'interno di (OMISSIS), pagina 27 sentenze impugnata) - si rileva la contraddittorieta' di tale argomentazione, posto che i libri asseritamente rinvenuti dal curatore non sono stati allegati alla relazione L. Fall., ex articolo 33 e non sono stati acquisiti analogamente ai relativi verbali (al fine di verificare la reale operativita' del supposto comitato); in realta', la Corte non si avvede della circostanza che i libri menzionati nella relazione, di fatto, afferiscono rispettivamente a un Comitato tecnico e a un Comitato esecutivo; sia la Corte che il Tribunale, tralasciano poi di considerare che la richiamata relazione L. Fall., ex articolo 33, riporta un organigramma che non contiene alcun riferimento ai citati Comitati. Con riferimento all'indice sintomatico dell'intervento del ricorrente in ordine ad alcune assunzioni di personale all'interno della fallita, si rileva che la Corte incorre in un evidente vizio motivazionale laddove lo ritiene sussistente illogicamente sulla base di una serie di elementi contradditori (la teste (OMISSIS) ha riferito sulla partecipazione del ricorrente al colloquio per l'assunzione in (OMISSIS) e non in (OMISSIS); e' lo stesso p.m. a dubitare dell'attendibilita' della dichiarante sul punto, avendo rilevato tramite contestazione, una divergenza rispetto a quanto affermato in sede di sommarie informazioni; la teste (OMISSIS) affermava di aver sostenuto un colloquio con vari soggetti, tra cui il ricorrente, in quanto si sarebbe occupata dell'emissione di polizze assicurative, dunque della fase istruttoria per la quale (OMISSIS), in qualita' di broker, forniva consulenza sicche' del tutto giustificata era la sua presenza al colloquio), pretermettendo una serie di testimonianze (tra cui quella del teste (OMISSIS)) che confermavano la mera presentazione da parte del (OMISSIS), mentre l'assunzione era rimessa agli effettivi amministratori. Dalla rassegna delle ragioni di incongruenza degli indici sintomatici individuati dalla Corte, deriva per la difesa, la conclusione che la qualifica di amministratore di fatto attribuita al (OMISSIS) e' meramente congetturale e vi si perviene, per un verso, in violazione di legge, laddove si pretende di identificare un atto di amministrazione nella conclusione di polizze asseritamente illegittime e di qualificare come gestoria una condotta ontologicamente ed obiettivamente diversa; e, per altro verso, travisando e comunque omettendo di motivare circa quelle testimonianze che hanno escluso la sussistenza di atti di esercizio della funzione di amministratore in capo al (OMISSIS). Pertanto e' da ritenere non emerso, ne' validamente motivato, lo svolgimento da parte di (OMISSIS), in modo continuativo, e per un apprezzabile periodo temporale, di atti di gestione suscettibili di essere considerati espressione dei poteri e delle funzioni tipicamente riservate all'amministratore di societa'. Sul punto, in assenza di adeguata motivazione ed essendo i criteri di ascrizione della responsabilita' ex articolo 2639 c.c. tipici dell'intraneus, non e' nemmeno possibile la riqualificazione della posizione del ricorrente in quella di concorrente extraneus nel delitto di bancarotta, sovrapponendo, confondendoli, il piano della gestione di fatto con quello del concorso di persone, poiche' l'affermazione di responsabilita' del concorrente estraneo postula l'esistenza di un accordo criminoso con il soggetto qualificato, di un contributo causale e della volonta' di concorrere alla realizzazione del fatto. Il discrimine tra le condotte, invero, poggia anche sull'elemento materiale del reato: il reato di bancarotta si caratterizza per il fatto che gli obblighi incombenti sui soggetti qualificati sono a tal punto collegati alla posizione ricoperta che la prova della responsabilita' si fonda anche sul mancato adempimento dei doveri, mentre il concorrente estraneo risponde a titolo di concorso nel reato proprio, secondo il generale modello di incriminazione delineato dall'articolo 110 c.p. e, pertanto, lo statuto probatorio richiede la puntuale dimostrazione dell'apporto morale e materiale, laddove, nel caso di specie, gli insufficienti elementi di prova per radicare la qualita' di amministratore in capo al (OMISSIS) non possono essere nemmeno utilizzati come prova della sua responsabilita' a titolo di concorso. 5.2. Con il secondo motivo, si deducono, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) violazione di legge penale e processuale in relazione all'articolo 2639 c.c., articolo 110 c.p., L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2), articoli 191, 234, 238 bis e 533 c.p.p., nonche' vizio di motivazione, travisamento probatorio e violazione del canone dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", per avere, la sentenza impugnata, affermato la responsabilita' del ricorrente per il delitto di bancarotta impropria da operazioni dolose limitandosi a insufficienti considerazioni. Si contesta in particolare, la decisione della Corte - resa alle pag. da 26 a 28 - laddove, nel dichiarare "generica" la deduzione posta in appello in ordine alla mancanza di prova dell'esercizio di un'abusiva attivita' finanziaria, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, a fronte della corretta ricostruzione operata in primo grado, e' giunta a un risultato non corrispondente al compendio probatorio, senza adeguatamente motivare sull'esclusione della diversa soluzione difensiva prospettata, cosi' inficiando in modo determinante la tenuta logica e l'intera coerenza dell'apparato argomentativo. Riguardo all'esercizio abusivo dell'attivita' di prestazione di garanzia collettiva dei fidi, si evidenzia che, con l'atto di impugnazione, la difesa rimarcava l'origine e la tripartizione dei (OMISSIS) a seconda dell'attivita' concretamente svolta dall'intermediario, in banche di garanzia collettiva, (OMISSIS) iscritti nell'elenco speciale ex articolo 107 T.U.B. e i c.d. (OMISSIS) "minori", iscritti nella sezione dell'elenco generale di cui all'articolo 155, comma 4, del previgente T.U.B., nonche' l'obiettiva oscurita' dei testi normativi e la relativa stratificazione legislativa; scarsa chiarezza presumibile anche alla luce dell'intervento della Banca d'Italia atto a chiarire gli ambiti operativi dei (OMISSIS) minori, e della stessa disciplina introdotta successivamente con il Decreto Legislativo n. 141 del 2010, che ha previsto la possibilita' per i confidi, anche per quelli minori, di continuare a operare per un periodo transitorio in attesa dell'emanazione delle disposizioni attuative del titolo quinto del T.u.b. Tale obiettiva oscurita' avrebbe imposto alla sentenza gravata di motivare sui profili soggettivi di conoscenza della normativa, al di la' di ogni ragionevole dubbio, per poter qualificare l'attivita' svolta da (OMISSIS) in termini di operazione dolosa. Ne' la pronuncia impugnata e' stata in grado di motivare in termini logici in ordine all'efficienza causale del preteso esercizio abusivo rispetto al fallimento della societa', laddove, come attestato dalla pronuncia di primo grado a pag. 31, il dissesto della fallita non e' intervenuto a causa del tentativo di escutere le garanzie prestate (tanto piu' che il reato di bancarotta contestato e' reato di evento e non di mero pericolo, il che impone la dimostrazione del nesso di causalita'). In riferimento alla costituzione di un meccanismo societario e negoziale volto a drenare il denaro di (OMISSIS), poi, si evidenzia preliminarmente che dall'istruttoria dibattimentale e' emersa un'operativita' del ricorrente del tutto difforme da quella ipotizzata nella sentenza impugnata, in quanto le attivita' svolte da (OMISSIS) mediante (OMISSIS) S.r.l. (che consistevano - come indicato nel precedente motivo - nel ricevere dai propri brokers/agenti, unitamente alla richiesta di fideiussione, tutti i documenti necessari all'istruttoria della pratica, da presentare alla direzione di (OMISSIS); nell'analizzare i bilanci delle aziende e la loro solvibilita' e individuare la tipologia di fideiussione) comportavano la seguente procedura: la trasmissione' alla direzione di (OMISSIS) della richiesta di fideiussione per l'eventuale approvazione ed emissione della polizza e, in tal caso, sempre la medesima direzione inoltrava la bozza del contratto di fideiussione, per l'approvazione delle parti (cliente ed ente beneficiario) a (OMISSIS) che, a sua volta, nel caso di polizze intermediate, inviava il documento al broker richiedente. Se le parti accettavano la fideiussione, il broker/agente la indirizzava nuovamente a (OMISSIS) con l'ordine di emissione in originale sottoscritto dall'amministratore pro-tempore di (OMISSIS) per il suo perfezionamento. Tutte queste circostanze emergono dalle testimonianze di una serie di testi assunti in sede di istruttoria dibattimentale: il broker (OMISSIS) (pag. 10 trascr. ud. 29.03.2018); il dipendente di (OMISSIS) (OMISSIS) (pag. 14 trascr. ud. 29.03.2018); la dipendente di (OMISSIS) e poi collaboratrice di (OMISSIS) (OMISSIS) (pag. 6-8 trascr. ud. 11.12.2017); la dipendente di (OMISSIS) (OMISSIS) (pag. 25 trascr. ud. 11.12.2017). Trattasi di apporti dichiarativi del tutto pretermessi da entrambi i giudici di merito, i quali richiamano solo genericamente gli accertamenti e gli esiti delle indagini cosi' come riportati in dibattimento da (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali - secondo quanto affermato dalla sentenza impugnata a pag. 26 e s. - oltre a riferire dell'esistenza di pregressa attivita' investigativa concernente le altre sue societa' confidi, riferivano altresi' delle attivita' svolte direttamente, attraverso l'esame della documentazione. Mediante il solo riferimento alle testimonianze di (OMISSIS) e (OMISSIS), la Corte finisce per argomentare la sussistenza del pretese meccanismo criminoso attraverso gli esiti dell'attivita' di indagine connessa ad altre vicende giudiziarie, ancora pendenti e relative ad alcuni imputati, che nulla provano in ordine al delitto contestato e alla posizione del ricorrente, avvalendosi in definitiva del contributo conoscitivo di soggetti che non hanno compiuto accertamenti (cosi' il (OMISSIS), v. pag. 11 trascr. ud. 20.11.2017). Inoltre, le propalazioni rese da tali testi di accusa sono del tutto generiche nel delineare i contorni dell'indagine e la fondatezza delle accuse elevate nei confronti dei soggetti coinvolti (a sostegno, il Tribunale, a pag. 10 della pronuncia di primo grado evidenzia che il (OMISSIS) forniva indicazioni non specifiche). Si lamenta, dunque, che la torsione della descritta lecita attivita' di intermediazione a fini illeciti risulta affermata in via meramente congetturale, sulla scorta di prove orali sostanzialmente inconferenti nonche' dei contenuti dell'ordinanza di custodia cautelare adottata nell'ambito di procedimento dinanzi all'Autorita' giudiziaria romana, dalla quale si sono ricavati - come emerge a pag. 31 della sentenza impugnata - elementi conoscitivi ai fini della ricostruzione del fatto in violazione del divieto di utilizzabilita' di cui agli articoli 191, 234 e 238-bis c.p.p.. - Altresi' si contesta che ulteriori elementi dimostrativi dell'illecita attivita' ipotizzata non sono desumibili, come, invece, ritenuto in sentenza con motivazione del tutto illogica, dall'entita' dei premi trattenuti, dato che la documentazione depositata in sede dibattimentale (p.es. l'incarico di collaborazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS) s.a.s che prevedeva che a compenso dell'attivita' sarebbe stata corrisposta dalla societa' mandante provvigione calcolata in parte sui premi lordi e in parte sui premi retti) conferma la piena liceita' del rapporto negoziale tra il ricorrente e la fallita e con altri consorzi: gli accordi prevedevano, infatti, il trattenimento della percentuale da parte del broker, per riversare al netto della provvigione il premio alla (OMISSIS) che, a sua volta, tratteneva il netto della provvigione e riversava il residuo a (OMISSIS). Ad ulteriore conferma della trasparenza dei rapporti commerciali intercorsi e della correttezza del ricorrente, si e' anche fornita documentazione comprovante il mancato perfezionamento di richieste di fideiussione per Euro 203.513,00 e la relativa detrazione. A cio' si aggiunga che dall'istruttoria dibattimentale sono emerse differenze in dare e avere di modesta entita' rispetto a quelle congetturalmente e induttivamente indicate dalla G.d.f. e dalla curatela: dalla contabilita' di (OMISSIS), depositata in atti, si evince la natura della rete di broker e collaboratori di cui la stessa si avvaleva, l'entita' degli importi corrisposti, nonche' il regolare assolvimento delle obbligazioni connesse all'attivita' di intermediazione dei brokers, sottoposti al pagamento di tutte le provvigioni, e degli oneri fiscali e contributivi relativi alla propria attivita' d'impresa. Pertanto, in tale contesto, in cui non e' emersa prova di alcun accordo criminoso, alcun rilievo poteva essere mosso alla libera contrattazione delle provvigioni avvenuta tra (OMISSIS) e la societa' di brokeraggio, in quanto si e' trattato di normali rapporti commerciali e partite contabili tra le due societa'. Tuttavia, anche riguardo alla regolarita' contabile di (OMISSIS), si evidenzia una motivazione parzialmente omessa e illogica, non aderente alle emergenze dibattimentali, laddove la Corte - a pag. 27 e s. - si limita a rilevare degli scostamenti comprovanti la patologica stratificazione del debito e l'assenza di qualsivoglia iniziativa volta a dare corpo alla prospettiva di un inadempimento dovuto a ritardo nella esecuzione delle rimesse, e cio' senza neppure considerare la restituzione operata degli atti di fideiussione non accettati dai beneficiari. Riguardo, poi, all'entita' delle percentuali percepite da (OMISSIS) e dagli agenti segnalatori, emerge vizio motivazionale laddove la Corte contraddice il dato emerso dalla documentazione versata in atti e afferma - a pag. 28 - che la percentuale riconosciuta ai broker da (OMISSIS) era da calcolarsi sull'importo incassato da (OMISSIS), senza che potessero addossarsi oneri e spese proprie della societa' di brokeraggio con duplicazione delle poste passive, affermazione diversa - e dunque passibile di ingenerare un dubbio ragionevole - da quella indicata dal Tribunale che a pag. 64 della pronuncia di primo grado - riteneva che l'ammontare della provvigione fosse calcolato, in alcuni casi, sul valore nazionale, dunque sull'importo nominale complessivo, e non sul premio, della singola operazione. La Corte, inoltre, omette di motivare in ordine alla spiegazione alternativa fornita con note difensive depositate all'udienza dell'11.12.2018, secondo la quale il ricorrente ha apportato al patrimonio della fallita ingenti risorse anche al netto delle provvigioni incassate, determinando un vantaggio competitivo per (OMISSIS)" derivante dalla collaborazione con un broker che vantava un'articolata rete di collaboratori come (OMISSIS); e fornisce motivazione illogica, finendo con l'assumere l'assenza di fondamenta economico di tutte quelle operazioni incentrate sul guadagno promanante dal maggior numero di vendite, a fronte di una consistente riduzione dei prezzi, come nel caso di specie, in cui l'intervento del ricorrente consentiva di accedere a piu' operazioni al netto di provvigioni piu' consistenti. Alla luce di tutti i vizi motivazionali richiamati, si rileva la violazione del canone previsto ai sensi dell'articolo 533 c.p.p., comma 2, poiche', come gia' segnalato in precedenza, manca, nella pronuncia impugnata, il benche' minimo riscontro in motivazione in ordine alle prospettazioni alternative che, fondate sulla documentazione depositata, attestano spiegazioni diverse del meccanismo asseritamente illecito che il giudice di merito doveva sottoporre a vaglio non solo logico, ma anche sotto il profilo della ragionevolezza del dubbio, anziche' giungere a un riscontro dell'ipotesi accusatoria basato su inferenze collegate a generiche massime di esperienza che portano a una conclusione completamente disancorata dal dato probatorio. Infine, in riferimento al segmento di condotta relativo all'asserita creazione di polizze invalide e all'omesso versamento delle ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituti per il periodo di imposta 2010, si riscontra un deficit motivazionale, segnatamente, riguardo all'omessa spiegazione dell'efficienza eziologica di tali comportamenti rispetto alla determinazione del fallimento. Quanto alla stipula di polizze invalide, la Corte non motiva neanche implicitamente sull'idoneita' della condotta a cagionare l'evento, nonostante la conclusione di polizze asseritamente invalide abbia comunque comportato l'acquisizione di risorse in capo a (OMISSIS) e, pertanto, era necessario determinare la prevedibilita' dell'evento circa l'attitudine di tale segmento della condotta a cagionare il fallimento del consorzio. In termini del tutto analoghi; si evidenzia la carenza argomentativa riguardo all'omesso versamento delle ritenute che la Corte - a pag. 23 - ritiene sia da valutare in funzione coordinata con le altre attivita' che contribuiscono a delineare la complessita' della condotta rilevante ai sensi della L. Fall., articolo 223: ove si consideri che, di per se', la condotta in esame non risulta depauperativa del patrimonio sociale, la sentenza impugnata avrebbe dovuto indicare le ragioni della pretesa efficienza causale rispetto alla determinazione del fallimento, posto che, riguardo alla fattispecie di cui alla L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2), il fallimento della societa' assume il ruolo di evento che deve conseguire causalmente alla condotta tipica, consistente nell'operazione dolosa del soggetto attivo. Alle medesime conclusioni, la difesa perviene quanto alla riconducibilita' delle operazioni in esame al ricorrente poiche' la pronuncia impugnata non chiarisce quale sia l'apporto causale del (OMISSIS) rispetto a tali segmenti dell'addebito, non indicando in virtu' di quali prove e di quali divisamenti con i concorrenti sarebbe a lui ascrivibile l'omesso versamento delle ritenute. Si rileva complessivamente un irrimediabile deficit motivazionale in ordine alla sussistenza del peculiare modulo di aggressione del bene giuridico che caratterizza la fattispecie di cui alla L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2) in quanto, nel caso di specie, si e' al cospetto di un'unica asserita condotta distrattiva astrattamente idonea a cagionare il dissesto dell'impresa e, rispetto alle altre ulteriori condotte contestate, la Corte non assolve al proprio onere motivazionale, non esplicitando ne' l'apporto della singola operazione rispetto alta determinazione dell'evento, ne' la sua riconducibilita' al (OMISSIS). 5.3. Con il terzo motivo si deducono violazione di legge, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) in relazione all'articolo 2639 c.c., articolo 110 c.p., L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2), articolo 223, comma 1, articolo 216, comma 1, n. 1), per avere, la sentenza impugnata, affermato la responsabilita' dell'imputato per il delitto di bancarotta impropria da operazioni dolose e di bancarotta per distrazione in violazione della legge penale, con conseguente duplicazione degli addebiti in ordine alla medesima condotta. Si rileva, ulteriormente, rispetto al motivo precedente, l'erronea applicazione della legge penale laddove, la pronuncia impugnata, - a pag. 23 e s. - afferma che nel caso di specie ricorra il concorso materiale tra i due reati in argomento. In assenza di prova e motivazione adeguata in ordine a un'articolazione di operazioni dolose, nel caso di specie, si e' al cospetto di un astratto concorso formale tra delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta fraudolenta impropria, che l'organo nomofilattico ritiene non configurabile, posto che il delitto di cui alla L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2 deve considerarsi assorbito nel primo quando l'azione diretta a causare il fallimento sia la stessa sussunta nel modello descrittivo della bancarotta fraudolenta. A tal proposito, si evidenzia che, peraltro, la giurisprudenza ha ulteriormente precisato che detto assorbimento sia collegato alla contestazione dei due reati "in relazione alla medesima procedura fallimentare" in quanto, per acquisire autonoma rilevanza penale ai fini della configurabilita' del reato di bancarotta impropria, le operazioni dolose devono consistere in fatti diversi da quelli contestati nell'imputazione di bancarotta fraudolenta, indagine non compiuta dal giudice di merito, quale ha verificato separatamente la sussumibilita' della fattispecie nelle due diverse ipotesi delittuose, senza compiutamente interrogarsi e adeguatamente motivare sull'effettiva autonomia delle condotte. 5.4. Con il quarto motivo si deducono violazione di legge e vizio di omessa e illogica motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione all'articolo 2639 c.c., articolo 110 c.p., L. Fall., articolo 223, comma 1, articolo 216, comma 1, n. 1) per avere, la sentenza impugnata, affermato la responsabilita' dell'imputato per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione delle somme corrisposte a titolo di premio. Si censura la sentenza impugnata per i medesimi vizi motivazionali rilevati nel secondo motivo di ricorso; in particolare laddove la Corte - a pag. 29 - ritiene, immotivatamente, "risibile" l'allegazione della percentuale delle provvigioni che tenesse conto anche delle provvigioni e oneri fiscali connessi all'attivita' d'impresa e - a pag. 28 - "pretestuoso" il rilievo che le condotte distrattive siano state accertate sulla scorta di una ricostruzione effettuata dalla curatela non attendibile sulla scorta della contabilita'. Si osserva che, come eccepito in appello, contrariamente a quanto affermato in sentenza, il ricorrente ha dimostrato, mediante i deposito dei contratti di collaborazione intercorsi con altri consorzi (doc. n. 8, nota produzione del 22.09.2018), che le provvigioni maturate nell'ambito della relazione con (OMISSIS) fossero in linea con quelle degli ordinari rapporti commerciali nel settore di riferimento; nonche' come, a fronte dell'oggettiva difficolta' di ricavare l'esatto importo dalla contabilita' della fallita, la vicenda si ridurrebbe alla semplice verifica dei rapporti di dare e avere di carattere meramente civilistico, in quanto la (OMISSIS) ha sempre agito regolarmente (come risulta dalla correttezza dei suoi pagamenti e dalla sua contabilita'). Inoltre, si rileva che quand'anche il ricorrente-avesse avuto il proposito di distrarre a proprio vantaggio i premi spettanti alla fallita, si sarebbe dotato di struttura in grado di "schermare" i ricavi, omettendo di indicarli in maniera trasparente nella propria contabilita'. Inoltre, si rileva che la pronuncia impugnata omette di considerare la natura e la durata del rapporto commerciale intercorso tra la societa' di brokeraggio e la fallita, nel corso del quale ciclicamente potevano verificarsi degli scostamenti di dare e avere, pervenendo alla conclusioni raggiunta mediante un'analisi parziale della - peraltro inattendibile - contabilita' della fallita, ossia quella relativa al 2010 mancando quella del 2011, senza considerare che gli importi contestati sono stati desunti in via assolutamente presuntiva, indeterminata e indimostrata e, pertanto, in assenza di qualunque riscontro con la contabilita' correttamente tenuta da (OMISSIS). Quanto alle ulteriori condotte distrattive contestate al capo B), si registra un'omessa motivazione in ordine ai criteri di ascrivibilita' all'odierno ricorrente in quanto la sentenza si e' limitata a un generico richiamo alla fattispecie concorsuale anche laddove alle pag. 32 e 34 - ha ritenuto di argomentare nei confronti dei coimputati. Tali affermazioni della decisioni gravata, che muovo da inammissibili tendenze onnicomprensive tese a svuotare di significato la fattispecie concorsuale, si pongono in contrasto con la pronuncia a Sezioni Unite "Mannino". Posto che, riguardo al profilo dell'elemento soggettivo, i c.d. "contributi concorsuali" possono assumere connotati materiali (se si partecipa alla preparazione o esecuzione del reato) o morali (se si partecipa alla fase dell'ideazione del reato), distinzione che ruota attorno all'oggetto sul quale ha effetto la condotta partecipativi, si contesta l'omessa motivazione sul punto, in quanto l'imputazione a titolo di amministratore di fatto in concorso con altri soggetti non puo' avere l'effetto di deresponsabilizzare completamente il decidente dall'indicazione del concreto ruolo svolto dall'imputato nell'ambito della fattispecie ipotizzata. 5.5. Con il quinto motivo si deducono violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) relazione all'articolo 2639 c.c., articolo 110 c.p., L. Fall., articolo 223, comma 1, articolo 216, comma 1, n. 2) per avere, a sentenza impugnata, affermato la responsabilita' dell'imputato per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale in violazione della legge penale, previa motivazione omessa e illogica su punti decisivi della controversia, in particolare con riferimento al contributo causale apportato da ogni singolo compartecipe nel reato. La corte territoriale si limita, in buona sostanza, anche in tal caso ad ancorare la responsabilita' del ricorrente alla qualifica di amministratore di fatto, senza fornire il benche' minimo iter argomentativo riguardo alla posizione del ricorrente. Censurabile e' anche la richiamata motivazione resa dal Tribunale: si registrano una pluralita' di vizi che infirmano entrambe le pronunce di merito, ritenute - a pag. 16 della sentenza impugnata - un "unicum" organico e inscindibile dovuto alla loro reciproca integrazione. Anzitutto, non risulta chiarito se la condotta posta a base dell'affermazione di responsabilita' sia costituita dalla sottrazione distruzione o falsificazione dei libri e delle altre scritture contabili ovvero dalla tenuta irregolare della contabilita' tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e il movimento degli affari. Inoltre, dato che la sentenza del Tribunale - a pag. 35 ss. - ha ritenuto efficacemente dimostrata la falsificazione dei rendiconti relativi alle polizze stipulate per conto di (OMISSIS) dai broker, la falsificazione dell'apporto di 10 milioni di dollari mediante titoli non quotati da parte di (OMISSIS) e la falsificazione realizzata mediante la creazione fittizia di poste debitorie di (OMISSIS) nei confronti dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), e la pronuncia in grado di appello ha, invece, rilevato la mancata tenuta della ordinata rendicontazione, la non corretta tenuta della contabilita', si rileva una frontale contrapposizione tra le due pronunce di condanna che, seppur si saldino tra loro in ragione dell'asserita - a pag. 15 e s. - "doppia conforme", risultano contraddittorie sul punto e non consentono di comprendere se, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, il giudizio di responsabilita' si fondi sull'una o sull'altra fattispecie di cui alla L. Fall., articolo 216, comma 1. In sostanza, si censura la sentenza laddove sembra ritenere che l'omissione delle scritture contabili e l'irregolare tenuta siano condotte equipollenti, senza considerare che la disposizione citata contempla due fattispecie alternative e non sovrapponibili. Quanto alla rettificazione dei rendiconti relativi alle polizze stipulate da (OMISSIS) S.r.l. (segmento di condotta piu' apparentemente riferibile al ricorrente), si osserva l'illogicita' intrinseca della conclusione cui e' pervenuta la Corte di appello: la contabilita' del ricorrente, come noto (dalla produzione del documento all'ud. del 27.09.2018), non e' stata oggetto di rilievi di carattere tributario o penale. Tale circostanza si pone in frizione sia con addebito' relativo alla falsificazione delle scritture contabili della fallita, sia con la contestazione relativa all'irregolare tenuta della contabilita', in quanto risulta illogico che la Corte tragga la prova della condotta distrattiva dalla contabilita' di (OMISSIS), poiche' se 1i ricorrente avesse condiviso l'ipotizzato meccanismo fraudolento, avrebbe adeguato la propria contabilita' in modo tale da evitare scostamenti e divergenze tra la fallita eia propria societa' di brokeraggio. Del pari, si contesta che non e' stato spiegato con quali modalita' si sarebbe realizzato il concorso del ricorrente nella condotta in oggetto. Quanto all'attribuibilita' della presunta falsa patrimonializzazione, mediante l'appostazione del titolo apportato dal socio sovventore (OMISSIS), nonostante la stessa pronuncia gravata riconosca espressamente la paternita' dell'operazione ad altro imputato, seppur specificando che cio' non implichi l'estraneita' degli altri compartecipi, essa non spiega, pero', con evidente travisamento del risultato probatorio, le ragioni a fondamento dell'attribuzione di tale condotta al ricorrente, il quale non e' mai, neanche implicitamente, citato con riferimento alla vicenda dell'appostamento a bilancio del titolo (OMISSIS). Alle medesime conclusioni deve pervenirsi con riferimento alla creazione di fittizie poste debitorie di (OMISSIS) a beneficio dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), non risultando alcuna motivazione in ordine al contributo del ricorrente. 5.6. Con il sesto motivo (ricapitolativo) si deducono violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione all'articolo 2639 c.c., articolo 110 c.p., L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2), articolo 223, comma 1, articolo 216, comma 1, n. 1), per avere, la sentenza impugnata, affermato la sussistenza dell'elemento psicologico dei reati contestati previa motivazione omessa, illogica e/o contraddittoria su punti decisivi della controversia. La decisione ha ritenuto provata la colpevolezza e la volontarieta' della condotta del ricorrente, a fronte di indizi tutt'altro che gravi, precisi e concordanti, attraverso percorsi implicitamente fondati su mere presunzioni e dati congetturali, senza tenere in considerazione la ricostruzione dei fatti offerta da (OMISSIS), logica, piu' verosimile e persuasiva, nonche' comprovata da documenti e testimonianze (nemmeno citati in sentenza). Quanto al delitto sub A), si richiamano le argomentazioni relative al presunto esercizio abusivo dell'attivita' di prestazione di garanzia collettiva dei fidi data l'obiettiva oscurita' dei testi normativi, la stratificazione legislativa e l'intervento chiarificatore di Banca d'Italia in proposito, dato che anche gli enti beneficiari coinvolti nell'attivita' di rilascio delle fideiussioni dubitavano che i (OMISSIS) minori potessero operare senza limiti. Si censura la contestazione a titolo di dolo riguardo al capo A) e si ritiene che, nel silenzio della pronuncia, deve presumersi che l'affermata, ma indimostrata, qualifica di amministratore di fatto abbia indotto il decidente a ritenere superato l'obbligo di motivare in ordine alla sussistenza del dolo. Tuttavia, tale dato assume particolare rilevanza nella misura in cui il delitto contestato e' reato di evento nel quale il dissesto e' determinato da un articolato insieme di condotte connotate dalla consapevolezza circa la natura dolosa dell'operazione e dall'astratta prevedibilita' del dissesto, elementi non provati nel caso di specie, poiche' da fondarsi su una cognizione di dati obiettivi e certi circa le condizioni della societa', sui quali fondare poi la prognosi (quantomeno) del depauperamento sociale, elemento su cui i giudici di merito non prendono alcuna posizione. Diversamente opinando, si perverrebbe a forme di responsabilita' colposa per reati colposi posto che non vi e' equiparazione tra la conoscibilita' e l'effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli. Quanto alla bancarotta per distrazione di cui al capo B), si ritiene che l'affermazione di responsabilita' risulta sostenuta da una motivazione meramente apparente: e' inconducente ai fini della prova del dolo il rilievo - a pag. 29 - per cui le condotte ascritte al ricorrente abbiano contribuito a erodere la garanzia patrimoniale della societa', in quanto non e' stato provato che, conoscendo le condizioni patrimoniali del consorzio, (OMISSIS) avrebbe potuto quantomeno rappresentarsi, con elevato grado di probabilita', il depauperamento dell'ente. A medesime conclusioni si deve pervenire censurando la motivazione, inidonea a sostenere il nesso di riferibilita' psicologica delle condotte con riferimento al delitto contestato al capo C), in quanto, avuto riguardo alla. falsificazione dell'apporto di 10 milioni di dollari mediante titoli non quotati da parte di (OMISSIS), anche a voler ritenere che (OMISSIS) vi avesse preso parte o ne fosse a conoscenza, sussisteva un sicuro elemento per ritenere che l'appostazione di bilancio fosse stata realizzata correttamente: risulta agli atti una certificazione del (OMISSIS) sul valore del titolo in questione (come riferito sul punto da Consulente Tecnico (OMISSIS), a pag. 10 del verbale trascr. Dell'udienza 12.04.2018), documento, la cui efficacia dimostrativa e' stata smentita in sentenza sulla scorta delle semplici dichiarazioni dell'Ufficiale di p.g. (OMISSIS), dalle quali si evince che, al di la' delle congetture degli inquirenti, e' mancato un contributo tecnico in ordine al valore del titolo in questione. Si aggiunge, inoltre, che, a fronte della segnalata alternativita' delle condotte che connotano la bancarotta documentale, a sentenza non chiarisce in quale forma si sia manifestato il dolo del ricorrente. Si evidenzia, infatti, che dalla lettura congiunta delle sentenza di merito emerge un certo disorientamento argomentativo in ordine alla condotta contestata nell'ambito del capo C), laddove le pronunce indicano a fondamento della penale responsabilita' fatti di falsificazione e fatti d'irregolare od omessa tenuta della contabilita' in modo del tutto indifferente. 5.7. li settimo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione all'articolo 110 c.p. e L. Fall., articolo 219 per avere, la sentenza impugnata, affermato la sussistenza delle aggravanti ivi contemplate in violazione di legge previa motivazione omessa. Si contesta la pronuncia impugnata laddove - a pag. 34 - si limita "a rilevare la proporzionalita' alla pluralita' e gravita' dei fatti illeciti e all'ingente danno cagionato degli aumenti operati per le aggravanti; la cui contestazione e', peraltro, incerta, in quanto ai capi di imputazione A) e 6) non si precisa a cosa si riferisce il richiamo della L. Fall., articolo 219 - se alla pluralita' dei fatti o al danno di rilevante gravita' L e al capo C) a norma non e' richiamata, ma le aggravanti sono riportate mediante le rispettive descrizioni. Quanto all'ipotesi di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 2 si richiamano le argomentazioni gia' svolte in ordine alla duplicazione degli addebiti rispetto a un'unica condotta, con conseguente violazione di legge. Con riferimento al danno patrimoniale di rilevante gravita', si rileva un evidente vizio di motivazione per omissione, nella misura in cui non risulta alcuna esplicitazione del danno che i creditori avrebbero patito; esplicitazione che sarebbe stata necessaria con riferimento a ciascuna delle ipotesi contestate; danno che deve essere accertato alla stregua dei parametri giurisprudenziali piu' volte indicati da questa Corte. Ne deriva che non e' dato comprendere sulla base di quale ricostruzione del patrimonio oggetto delle condotte ascritte possa affermarsi che i fatti contestati abbiano determinato un danno di rilevante consistenza. Tali carenze motivazionali, assumono, inoltre, ulteriore rilevanza in relazione alla fattispecie della bancarotta documentale in quanto, di la' della circostanza che secondo un orientamento di legittimita' reato in questione non e' configurabile in caso di bancarotta impropria, il decidente avrebbe dovuto considerare, e di conseguenza motivare, l'eventuale differenza che la falsificazione dei libri o delle scritture contabili ovvero la tenuta irregolare della contabilita', ha determinato sulla quota complessiva dell'attivo da ripartire tra i creditori, avendo riguardo al momento della consumazione del reato. 5.8. Con l'ottavo motivo si deducono violazione di legge penale e processuale, nonche' vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e), con riferimento agli articoli 62-bis, 132 e 133 c.p. e articoli 125, 546 c.p.p. per avere, la sentenza impugnata, confermato l'applicazione di una pena incongrua e il diniego delle attenuanti generiche, previa mancanza e/o mera apparenza della motivazione. Si contesta sul punto che la pronuncia impugnata giustifica la dosimetria della pena muovendo dalla gravita' del fatto, senza pronunciarsi, a differenza di quanto statuito nei confronti di altri coimputati, sui diniego delle circostanze ex articolo 62-bis c.p.. Si rileva, pertanto, un'evidente omissione motivazionale laddove la sentenza impugnata, al pari della pronuncia del Tribunale (a pag. 79 e s.) che fonda il diniego delle attenuanti generiche non solo sulla gravita' delle condotte, ma anche sul comportamento processuale serbato dal ricorrente, non si confronta con le deduzioni poste in appello e, riguardo alle spontanee dichiarazioni con finalita' difensive rese dal (OMISSIS), si limita a rilevare - a pag. 35 - la non apprezzabilita' del contributo del ricorrente e l'assenza di un atteggiamento di rivisitazione utile a dare conto di una presa di distanza. Sul punto si eccepisce che la correttezza del comportamento processuale sia dato di per se' valutabile ai fini della concessione delle attenuanti generiche, mentre l'esercizio di un diritto difensivo, costituzionalmente garantito, quale l'affermazione della propria estraneita' ai fatti contestati, costituisce un dato al piu' neutro in relazione al giudizio ex articolo 62-bis c.p., inidoneo a fondare il diniego. Cosi' opinando, inoltre, si esclude, apoditticamente e a prescindere da ogni reale valutazione della personalita', il valore di un elemento qual e' il corretto comportamento processuale che, come sostenuto dalla giurisprudenza di legittimita', contribuisce ad adeguare in concreto la pena al contributo del reo. Quanto alla richiesta di rideterminazione della pena, il richiamo alla gravita' della condotta (individuata a pag. 34 nella pretesa commissione dei fatti con modalita' insidiose e nell'ambito di un settore specifico presidiato da una normativa stringente) e' insufficiente posto che, di contro, non e' stata fornita alcuna motivazione in ordine alla ritenuta inefficacia degli elementi che avrebbero consentito un adeguamento della pena all'entita' dei fatti. Anche qualora dovesse tenersi fermo il giudizio di responsabilita' per i fatti contestati, non potrebbe non considerarsi la peculiarita' della vicenda processuale e l'oscurita' della normativa che si e' stratificata nel tempo in ordine all'attivita' dei (OMISSIS) c.d. minori, la regolare tenuta della contabilita' da parte di (OMISSIS) s.r.l. e la sua effettivita' e capacita' di accrescere, attraverso la propria intermediazione, il patrimonio della fallita; tutti elementi questi non considerati. Inoltre, la sentenza impugnata ha disatteso tanto l'insacrificabile principio costituzionale di rieducazione quanto la finalita' della pena, posto che, secondo la giurisprudenza di legittimita', la sanzione irrogata deve essere proporzionata, deve commisurarsi ai connotati di personalita' del singolo imputato. 6. Il ricorso proposto a firma dell'Avv. (OMISSIS) nell'interesse di (OMISSIS) prospetta sei motivi. 6.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge processuale in relazione all'articolo 546 c.p.p., comma 2, nonche' la nullita' della sentenza ai sensi dell'articolo 181 c.p.p. poiche' la pronuncia impugnata depositata in data 14.06.2021 risulta sottoscritta dal consigliere estensore e dal Presidente Gamacchio Piero che, tuttavia, risulta messo in aspettativa per due mesi, dal mese di aprile 2021, per poi andare in pensione. A tal proposito, si osserva che, alla luce della previsione di cui all'articolo 546 c.p.p., comma 2, la concessione di un'aspettativa - che comporta l'esonero temporaneo delle funzioni - rientra certamente nel concetto di impedimento e, dunque, vi sarebbe una causa che non consente lo svolgimento delle funzioni e, pertanto, nel caso di specie, si sarebbe dovuto applicare il correttivo normativamente previsto dall'articolo 546 c.p.p., cosi' come intrepretato anche dalla giurisprudenza di legittimita', di dare atto dell'impedimento e far sottoscrivere la sentenza impugnata al consigliere piu' anziano. Pertanto, si eccepisce che a sentenza impugnata, sottoscritta dal giudice in aspettativa, e' da considerare priva della firma del Presidente e quindi affetta da nullita' collocabile nel novero della disciplina di cui all'articolo 181 c.p.p.. 6.2. Il secondo motivo deduce l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e/o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale i e il vizio di motivazione, in relazione alla qualificazione di amministratore di fatto e alle conseguenti responsabilita' penali attribuite al ricorrente, nonche' il travisamento probatorio e il difetto assoluto di motivazione per non essersi prese in considerazione le doglianze di appello decisive sul punto. Si contesta la carente motivazione resa dalla Corte territoriale laddove, a fronte di specifiche doglianze, soprattutto concernenti la rilevanza degli elementi probatori al fine di denotare la qualifica di amministratore di fatto, si limita a evidenziare, per punti schematici privi di un reale svolgimento - alle pag. 29-31, che il ruolo di amministratore di fatto di (OMISSIS) sia stato ricostruito dal Tribunale sulla base di elementi sintomatici quali: l'esistenza di un Comitato tecnico ed esecutivo di cui avrebbe fatto parte il ricorrente; a sua "presenza" durante un colloquio di lavoro fatto dalla testo (OMISSIS); il fatto che lo stesso avesse in uso una stanza in (OMISSIS) e che i dipendenti di (OMISSIS) facessero riferimento ai broker per la gestione delle polizze. Tali dati, meramente ripetitivi e sintetici di quanto argomentato dal Tribunale, vengono riaffermati senza tenersi conto delle deduzioni difensive e, in piu' punti, travisano le prove, e neppure si spiega la ragione per cui essi siano elementi sintomatici dell'inserimento organico dell'imputato con funzioni direttive. A tal proposito, si eccepisce che, ne' il Tribunale prima, ne' la Corte di appello poi, affrontano l'elemento centrale relativo al fatto che il ricorrente era un broker, la cui attivita' per definizione consisteva nel reperimento della clientela e nell'istruzione di pratiche da sottoporre all'amministratore del (OMISSIS), e che, alla luce dell'articolo 2639 c.c., che individua la nozione di amministratore di fatto attribuendo rilievo all'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri inerenti alla qualifica o alla funzione, quella del (OMISSIS) era attivita' diversa dalla diretta partecipazione alla gestione della societa'. La prova della posizione gestoria, implica si' l'accertamento di una serie di indici sintomatici, tipizzati dalla giurisprudenza, ma essi devono consistere in attivita' ben piu' significative rispetto a quelle ricondotte al ricorrente: nel caso di specie, vi e' solo lo svolgimento di attivita' istruttoria, anche in via continuativa, ma senza la facolta' di assumere decisioni sulle polizze (sottoposte all'amministratore di diritto). Riguardo ai singoli elementi ritenuti "sintomatici", appena richiamati e solamente accennati dalla Corte territoriale, poi, sono state disattese le seguenti critiche difensive: - quanto alla valorizzata partecipazione al comitato tecnico-esecutivo, laddove questo, secondo a stessa relazione L. Fall., ex articolo 33, aveva solo compiti operativi e non gestionali (affidabili a qualunque dipendente); - all'affermazione circa la sussistenza di "elementi utili a ritenere che la stessa emissione delle polizze non venisse gestita direttamente dagli amministratori di (OMISSIS)", che risulta completamente fuori dalle risultanze probatorie: il giudice di merito ha basato il proprio convincimento su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, in quanto tutti i testimoni ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) avevano precisato che il ricorrente, privo di autonomi poteri cli regia, si limitasse a visionare le proposte di fideiussioni che poi venivano sottoposte all'amministratore pro tempore. Inoltre, la Corte individua ulteriori elementi sintomatici nel contenuto di alcune testimonianze, operandone, pero', una lapidaria e stringata analisi che, in violazione dei criteri di valutazione di cui all'articolo 192 c.p.p., da una parte, omette totalmente gran parte del narrato e, dall'altra, estrapola parole dal contesto e, ancora, riporta circostanze completamente diverse: - la teste (OMISSIS) parlava della visione delle polizze da parte di (OMISSIS) - che si appoggiava in una stanza in (OMISSIS) - ma aggiungeva che essa veniva sottoposta al vaglio dell'amministratore; - la teste (OMISSIS), seppur dichiarando una conoscenza pregressa del ricorrente, non ha mai riferito che la fallita fosse riconducibile al ricorrente (mentre ha parlato di (OMISSIS) e (OMISSIS)), che era solo un broker che, peraltro, non operava sui conti della societa'; - la teste (OMISSIS), riferiva che (OMISSIS), in qualita' di broker, istruiva le pratiche e aveva necessita' di un ufficio di appoggio, ma l'atto veniva poi trasmesso ed emesso dall'amministratore. Oltre a non avvedersi che l'attivita' descritta e' propria di un broker, difettando la spiegazione delle ragioni per cui le concrete attivita' dispiegate siano riconducibili non a mansioni secondarie, proprie dell'attivita' di broker svolta, ma a una gestione sianificativa della societa', la sentenza impugnata risulta anche contraddittoria e manifestamente illogica laddove la Corte, a pag. 31, ritiene pacifico che l'ordinanza adottata nel processo romano non possa essere utilizzata come prova dei fatti in essa ricostruiti, ma, subito dopo, in relazione alla vicenda Geco Wolf, afferma che il riscontro alle dichiarazione dell'operante e' nelle investigazioni di cui v'e' traccia proprio in quella ordinanza di custodia cautelare. Pertanto, si contesta altresi' sul punto una palese violazione dell'articolo 234 c.p.p., e s.s. per inosservanza del canone interpretativo relativo alla inutilizzabilita' dei provvedimenti giudiziari non definitivi, cosi' come interpretato dalla pronuncia S.U. Mannino. Infine, si eccepisce che la Corte territoriale, sempre in modo alquanto laconico, inserisce alcune argomentazioni francamente incongruenti e manifestamente illogiche relative alle modalita' di incasso delle polizze e delle provvigioni, in quanto non e' dato comprendere come questi elementi probatori conducano alla attribuzione al (OMISSIS) della qualifica di, amministratore di fatto. 6.3. Con il terzo motivo si deduce l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale nonche' il vizio di motivazione sul punto dell'elemento soggettivo in relazione alla L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2). Si deduce altresi' violazione di legge processuale in relazione all'articolo 234 c.p.p. e articolo 178 c.p.p., lettera c) nonche' l'omessa considerazione delle doglianze decisive sul punto con conseguente vizio assoluto di motivazione ex articolo 125 c.p.p., comma 3. Premesso che, con il quarto motivo di appello, in contrasto con la motivazione resa dal Tribunale che prendeva in esame le singole operazioni dolose solo dal punto di vista oggettivo, la difesa aveva rappresentato che la condotta prevista dalla L. Fall., articolo 223, comma 2, ha come elemento caratteristico oggettivo il richiamo alla nozione di "operazione" che, comportando necessariamente un quid pluris rispetto a ogni singola azione, perche' postula una modalita' di pregiudizio patrimoniale discendente non direttamente dall'azione del soggetto attivo (distrazione, dissipazione ecc.) ma da una serie di fatti di maggiore complessita' strutturale, consistente in una pluralita' di atti coordinati verso l'esito, si evidenzia che tale connotazione ha necessariamente importanti conseguenze sull'elemento soggettivo; indi, si conclude che per ritenersi il dolo, deve esservi la consapevolezza e volonta' da parte del soggetto attivo delle azioni arrecanti pregiudizio nonche' l'astratta prevedibilita' dell'evento di dissesto. Si contesta, poi, che la Corte - a pag. 33 - con una precisazione completamente estranea a quanto sostenuto dalla difesa, afferma la riconducibilita' delle operazioni dolose al ricorrente e la ritiene accertata facendo riferimento alla nota n. 81 citata nell'ordinanza di custodia cautelare emessa nell'altro procedimento in corso, atto non utilizzabile come prova a norma dell'articolo 234 c.p.p. in quanto l'ordinanza in questione puo' far prova che il (OMISSIS) sia imputato per alcuni reati, ma non prova della sussistenza di quei reati. Inoltre, come in primo grado, ne seguito della parte motiva, il focus e' sulle operazioni dolose, ma non sulla sussistenza dell'elemento soggettivo in capo al ricorrente che resta non accertato in concreto. 6.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge in relazione alla L. Fall., articolo 223, comma 1 e articolo 216, comma 1, n. 1) e vizio di motivazione con riferimento alla condotta distrattiva di cui al capo 6 e riguardo all'ordinanza con cui la Corte di Appello ha respinto la richiesta difensiva di acquisizione di documenti a fronte delle specifiche e articolate richieste avanzate dalla difesa nell'ottica di un riesame piu' compiuto delle prove emerse nel primo grado di giudizio. Si deduce altresi' l'inosservanza dell'articolo 603 c.p.p.. Premesso che il nucleo essenziale della vicenda e' l'ammontare esatto della provvigione versata al (OMISSIS), si contesta la conferma della penale responsabilita' del ricorrente per il capo B dell'imputazione, poiche' frutto di un apparato argomentativo carente e manifestamente illogico, in quanto la Corte non considera, come dedotto in appello, che dall'istruttoria dibattimentale emergeva pacificamente la presenza di subagenti, i quali, a loro volta, percepivano delle provvigioni e che, pertanto, era il totale delle due fatture (quella del (OMISSIS) e quella del subagente) pari al 50%, laddove la quota riferibile al (OMISSIS) rientrava nel tetto massimo del 25% ritenuto congruo dal Tribunale. Si eccepisce che, come la difesa chiedeva ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., la Corte avrebbe dovuto disporre la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per acquisire la copia delle fatture emesse dai subagenti nel confronti della (OMISSIS), dalle quali sarebbe risultato confermato per tabulas come la provvigione effettiva nel (OMISSIS) fosse del 20-25%. Sul punto si lamenta la manifesta illogicita' dell'iter seguito dalla Corte territoriale - alle pag. 31 e ss. - perche', da un lato, da' per certo, senza che sia stata accertata, che la percentuale delle provvigioni sia pari al 50% e che l'incasso di essa fosse Illegittima distrazione e, dall'altro, quanto ella richiesta ex articolo 603 c.p.p. di acquisizione di documenti (che avrebbe potuto scardinare la pretesa veridicita' sulla consistenza delle provvigioni) la rigetta avanzando farraginose argomentazioni sulla inadeguatezza dell'importo che residuava al (OMISSIS). A tal proposito, si osserva che la vantaggiosita' o meno dell'operazione esula totalmente dalla contestazione formulata nei confronti del ricorrente: nel momento in cui viene fornita la prova che (OMISSIS) ha sempre percepito solo il 25% (perche' la restante parte era incassata dai subagenti), seppur l'operazione nel suo complesso potesse essere in astratto sconveniente per il (OMISSIS), il ricorrente non avrebbe posto in essere alcuna distrazione, poiche' egli non si sarebbe appropriato delle somme presuntivamente pagate e ritenute svantaggiose. Inoltre, non si comprende sulla base di quale dato contabile o di strategia aziendale la Corte abbia fornito tale giudizio di inadeguatezza dell'importo che percepiva il (OMISSIS) e, pertanto, si contesta che il ragionamento tradisce una confusione inaccettabile tra il concetto di distrazione (condotta per cui e' condanna) e quello di costi aziendali manifestamente imprudenti seppur resi per interessi della societa'. 6.5. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge penale in relazione alla L. Fall., articolo 223, comma 1 e articolo 216, comma 1, n. 1) nonche' vizio di motivazione con riferimento al reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo C, laddove, la Corte di appello, con argomentazioni astratte e asserzioni apodittiche e congetturali, non affronta due aspetti fondamentali sottoposti dalla difesa quali: il fatto che la condotta di rettifica dei rendiconti relativi alle polizze stipulate (l'unica direttamente coinvolgente il ricorrente, come riconosciuto anche dalla Corte territoriale) era rimasta priva di riscontro probatorio; posto che nel corso dell'istruttoria dibattimentale era emersa la carenza della documentazione e non la sua falsificazione; e il richiesto accertamento riguardo alla prova che la carenza dei rendiconti e delle scritture contabili fosse attribuibile al ricorrente, posto che il curatore, sentito a dibattimento, aveva affermato che la documentazione era tenuta malissimo, dato che la societa' aveva subito uno sfratto, tutto era stato posto in una cantina ed erano intervenuti piu' sequestri preventivi di contabilita'. Sui punto si contesta come incomprensibilmente la condotta in oggetto che per il Tribunale consisteva in una falsificazione, per la Corte diviene, con un abile sofisma, "la mancata tenuta della rendicontazione ordinata". Quanto al secondo aspetto sollevatosi eccepisce che l'impugnata sentenza avrebbe comunque dovuto spiegare e precisare le ragioni per le quali la carenza di documentazione fosse riconducibile a una condotta dolosa piuttosto che alle cause diverse aliene dagli imputati adombrate dal curatore nel corso della sua testimonianza. 6.6. Con il sesto motivo si deduce mancanza e manifesta illogicita' della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio laddove, la Corte di appello a pag. 35 - con un plesso motivazionale apodittico, di poche righe, fondato su affermazioni generiche e ridondanti oltre che disancorate da una base concreta, ha liquidato l'intera vicenda processuale del ricorrente senza nulla dire riguardo a quale sia a condotta antecedente ai fatti che depone per una caparbia prosecuzione di attivita' delinquenziali e da dove tragga a ritenuta professionalita' nell'illecito. Sul punto si evidenzia altresi' che, a parte di mere formule di stile, sia stata omessa la necessaria motivazione con specifica enunciazione dei criteri oggettivi e soggettivi di cui all'articolo 133 c.p. rilevanti, atta a giustificare una pena base per il reato ritenuto piu' grave superiore al minimo edittale. 7. Il ricorso proposto a firma dell'Avv. (OMISSIS) nell'interesse di (OMISSIS) (gia' (OMISSIS)) prospetta quattro motivi. 7.1. Con il primo motivo, dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione al combinato disposto degli articoli 12, 16 c.p.p., articolo 54 c.p.p., comma 1, deduce l'erronea applicazione di legge in ordine alla connessione tra procedimenti quanto alla individuazione del reato piu' grave, ovvero a quello commesso per primo, nonche' l'illogicita' della motivazione in ordine alla legittimita' degli effetti conseguenti all'applicazione dell'articolo 16 c.p.p. nel caso di specie. Il fatto che il capo G dell'imputazione elevata nel procedimento penale romano non indichi la contestazione in fatto e/o in dirizzo della transnazionalita' non e' dirimente ad escludere che la competenza territoriale per connessione andasse correttamente individuata nell'autorita' giudiziaria romana. Indi, si riportano i capi d'imputazione oggetto del procedimento romano e si conclude che e' pertanto evidente il vincolo della continuazione esistente tra tutte le ipotesi di reato, inclusa quella oggetto del presente procedimento e, quindi, la ricorrenza della connessione tra i due procedimenti per l'unicita' del contesto e dei soggetti interessati ex articolo 12 c.p.p.; sicche', avrebbe dovuto considerarsi anche il reato associativo. Ove il criterio da applicare e' quello che vede in maniera peritane, in considerazione della medesima pena edittale, le due bancarotte, quella del capo A e quella del capo E del procedimento romano, si sarebbe dovuto, allora, ritenere competente per tutti i reati, anche per quelli romani, il giudice di Milano in virtu' della vis actractiva della connessione. 7.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge, nonche' vizio di motivazione in relazione al combinato disposto dell'articolo 61-bis c.p. e articolo 16 c.p.p. quanto alla ritenuta Insussistenza dell'aggravante della transnazionalita' contestata in fatto al capo sub g) nel procedimento penale romano. 7.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al capo sub lettera a), quanto alla individuazione del ruolo di amministrazione di fatto in epoca successiva alle rassegnate dimissioni dalla carica gestionale formale, nonche' in ordine all'individuata rilevanza delle condotte svolte da consigliere di amministrazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato, e, in particolare, alla consapevolezza di porre in essere condotte atte a determinare la decozione. Si deduce altresi' carenza di motivazione in ordine al dolo di distrazione avuto riguardo alle condotte di prestazione di garanzia collettiva di fidi in violazione dell'articolo 107 T.U.B.. 7.4. Con il quarto motivo si deduce l'erronea applicazione di norme e la carenza di motivazione in relazione al combinato disposto dell'articolo 69 c.p. e articolo 133 c.p., commi 1 e 2, quanto al trattamento sanzionatorio, lamentando in buona sostanza che le attenuanti generiche siano state riconosciute con giudizio di mera equivalenza. 8. Il ricorso proposto a firma dell'Avv. (OMISSIS) nell'interesse di (OMISSIS) prospetta otto motivi. 8.1. Il primo motivo, al sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), deduce la violazione del disposto di cui all'articolo 525 c.p. nonche' l'illogicita' della motivazione in ordine al mancato accoglimento della questione di nullita' della sentenza di primo grado proposta ai sensi del predetto articolo del codice di rito. La Corte di appello, a pag. 15 della sentenza, ritiene "inconsistente" l'eccezione posta dalla difesa, che aveva evidenziato la nullita' della pronuncia di primo grado poiche' emessa in diversa composizione rispetto al collegio giudicante innanzi al quale era avvenuta l'intera istruttoria dibattimentale, posto che la motivazione della decisione risultava redatta da un giudice diverso e che non aveva preso parte ad alcuna udienza del dibattimento, la Dott.ssa Profumieri Federica. Per la difesa, non paiono in proposito rilevanti le affermazioni dalla Corte: ne' il fatto che il dispositivo sia stato letto alla presenza dei giudici che hanno celebrato l'istruttoria, in quanto da un punto vista puramente logico cio' non significa necessariamente che questi abbiano contribuito alla redazione della motivazione della sentenza, ne' che trattasi di errore materiale, in quanto gli errori materiali necessitano di correzione ai sensi dell'articolo 130 c.p.p., circostanza non verificatasi nel caso in esame. 8.2. Il secondo motivo deduce mancanza, illogicita' o contraddittorieta' della motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in ordine ai non considerati motivi di appello con cui si chiedeva l'assoluzione dell'imputato in ordine ai fatti di cui al capo A) dell'imputazione. I motivi di gravame avevano ad oggetto la materiale sussistenza dei fatti per cui si procede, la loro riferibilita' al ricorrente e la ricorrenza dell'elemento psicologico, e facevano, in particolare riferimento alla complessiva testimonianza "qualificata" del Dott. (OMISSIS), commercialista, la cui attendibilita' non e' stata in alcun modo messa in discussione; questi, in contrasto anche da un punto di vista puramente logico con la tesi accusatoria, all'udienza del 29.03.2018 (v. pag. 35), sottolineava, in sede di esame e controesame, come (OMISSIS) fosse sottodimensionata rispetto alla soglia del 75 milioni di Euro che determina la necessita' del passaggio al regime di cui all'articolo 107 T.U.B., passaggio per il quale egli era stato interpellato al fine di conferirgli mandato per realizzare la fusione della (OMISSIS) con altri consorzi, proprio con l'obiettivo di raggiungere il risultato dell'iscrizione nell'elenco di cui all'articolo 107. Con tale dichiarazione, si evidenzia che, di fatto, il (OMISSIS) "certifica" che gli organi della direzione della societa' non ritenevano di avere un giro di fideiussioni eccedente la soglia di legge, sicche' alla luce di essa avrebbe dovuto escludersi la fondatezza dell'impostazione accusatoria al riguardo. Sul punto si lamenta che la Corte di appello, inspiegabilmente, con una decisone superficiale e immotivata, non abbia considerato la testimonianza e si sia limitata a sottolineare l'irrilevante aspetto che il (OMISSIS) non ebbe mai conferimento di tale mandato. 8.3. Il terzo motivo deduce la mancanza, l'illogicita' o contraddittorieta' della motivazione in ordine alla richiesta posta in appello di assoluzione dell'imputato in ordine ai fatti di cui al capo A) perche' non costituenti reato, data l'oggettiva liceita' dell'attivita' prestata da (OMISSIS) e, dunque, l'assenza dell'elemento soggettivo. La difesa, come rilevato in appello, non condivide anzitutto l'affermazione del Tribunale per cui l'attivita' di, prestazione di garanzia svolta da (OMISSIS) fosse illegittima sulla base del fatto che i soggetti, fossero solo "formalmente" consociati, dato che la loro associazione interveniva, solo al momento della concessione della garanzia stessa, in quanto indifferente e' invece il momento associativo, non potendosi precludere al neo-consorziato di partecipare ad alimentare li fondo di dotazione consortile. Secondo aspetto contestato in sede di gravame e disatteso, riguardava il rilascio delle fideiussioni a soggetti "istituzionali" diversi dalle Banche, operazione preclusa a (OMISSIS) dato il mancato inserimento nell'elenco di cui all'articolo 107 T.U.B.. Sul punto, si richiamano (integralmente riportate nel ricorso) le note di udienza ritenute condivisibili, depositate in sede di chiusura del dibattimento dalla difesa di (OMISSIS), che, dopo aver ripercorso il ruolo, l'evoluzione (e stratificazione) normativa e l'operativita' dei (OMISSIS), contestano, citando anche la comunicazione di Banca d'Italia del 6.05.2009 a dimostrazione che gli stessi enti pubblici - in quel caso l'Agenzia delle Entrate di (OMISSIS) - chiedessero chiarimenti sulla possibilita' di accettare le fideiussioni da parte dei (OMISSIS) minori in seguito alle modifiche introdotte dalla legge finanziaria 244/2007, l'assente violazione dell'articolo 132 T.U.B. in quanto fondata su dichiarazioni apodittiche rese dal Curatore e dai verbalizzanti della G.d.F.. In merito, a parere della difese" data la contraddizione tra le norme del T.U.B. con le normative, successive, il Curatore non poteva dare indicazioni perentorie e definitive, a fronte peraltro di decisioni degli organi interessati dai contenziosi tutt'altro che univoche; e si cita al riguardo anche l'ulteriore normativa di cui al Decreto Legislativo n. 141 del 2010 che ha modificato la disciplina dei (OMISSIS) e ha introdotto una nuova forma di vigilanza per i (OMISSIS) minori, successivamente ulteriormente integrata anche con una disposizione transitoria. A tal proposito, si censura la motivazione resa dalla Corte sul punto, laddove, a pag. 21, supera la censura difensiva con poche righe richiamando la puntuale motivazione del giudice di primo grado che si' affronta e motiva l'incertezza normativa evidenziata, ma che non ne rileva la possibile incidenza, quanto meno, sul dolo. 8.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge processuale con riferimento alla contestazione di cui capo A pt. 3 lamentando la mancata declaratoria di nullita' in ragione della inesistente correlazione fra quanto ritenuto in sentenza e quanto contestato, nonche' la mancanza o illogicita' della motivazione in ordine alla questione di nullita' dedotta in appello. Si sottolineava come la condotta di cui al capo A pt. 3 attenesse, in contestazione, in maniera peraltro del tutto infondata, alla creazione e negoziazione di polizze invalide "perche' stipulate mediante riempimento abusivo di moduli preformati, o mediante moduli su cui era apposta una firma non identificabile, in ogni caso senza che (OMISSIS) ne incassasse il premio". Si lamenta che il Tribunale, conscio della debolezza della contestazione, ne mutava radicalmente i contorni con tale argomento, ravvisando In sentenza l'invalidita' delle polizze per motivi diversi da quelli descritti nell'imputazione: la condanna interveniva infatti perche' le polizze erano state emesse da soggetto non iscritto nel registro di cui all'articolo 107 T.U.B., non autorizzato al rilascio. Sul punto, la Corte di appello, risponde - a pag. 23 della sentenza impugnata - in termini del tutto generici, considerando come la presenza di polizze in bianco sia solo rafforzativa del quadro di illiceita' che poggia sulla circostanza che (OMISSIS) rilasciava polizze che non poteva rilasciare in base alle norme disciplinanti la materia. 8.5. Il quinto motivo deduce vizio di motivazione in ordine ai motivi di appello con cui si chiedeva l'assoluzione dell'imputato in ordine ai fatti di cui al capo 13. Si era lamentato che la condanna del ricorrente era stata fondata sul presupposto della sua carica formale, data l'assenza della prova della sua consapevolezza e del suo consenso alla fuoriuscita del denaro, posto che i pagamenti erano disposti direttamente dai coimputati e cosi' anche per le altre condotte ascritte a titolo di distrazione. La Corte di appello supera le doglianze difensive solo affermando, in maniera del tutto carente, la sussistenza della prova dei prelievi, delle dazioni di denaro o dei mancati pagamenti dei broker a vantaggio di (OMISSIS), senza nulla dire riguardo alle ragioni per cui il ricorrente avrebbe consapevolmente contribuito alla realizzazione di tali condotte antieconomiche per la societa', e cio' senza neppure considerare che nell'istruttoria e' tra l'altro emerso che (OMISSIS) si attivo' per vedere quale cifra fosse dovuta dai broker al fine di esigerne l'adempimento. 8.6. Con il sesto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al motivo di appello con cui si chiedeva l'assorbimento delle condotte contestate nel capo di imputazione A sub 2 all'interno del capo B riguardando esse il medesimo fatto storico; la Corte di appello - a pag. 24 - ha Invece erroneamente ritenuto configurabile un'ipotesi di concorso materiale in virtu' della autonomia dei comportamenti dolosi; ma cio' afferma senza indicare quali sono gli ulteriori comportamenti dolosi, rispetto alle distrazioni, che nel caso di specie avrebbero causato il fallimento. inoltre, come affermato in appello, si rileva l'insostenibilita' giuridica della decisione adottata dai giudici di merito al riguardo, in quanto trattasi di due fattispecie rispetto alle quali deve escludersi la configurabilita' del concorso formale, data la diversita' degli ambiti cui le stesse si rivolgono: la bancarotta fraudolenta patrimoniale mediante distrazioni e' reato di pericolo e prescinde dalla produzione del fallimento, diversamente dalla bancarotta impropria che configura, invece, un reato di evento e, come tale, concerne condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione, ma che devono porsi in nesso eziologico col fallimento. Pertanto, i due rati in questione, realizzano un chiaro esempio di progressione criminosa, la cui conseguenza inevitabile, in linea con il consolidato orientamento dl legittimita', e' che, ove si ritenga integrata la prima ipotesi di reato, la seconda e' da ritenersi assorbita. Ne deriva che le operazioni dolese, in quanto causa del dissesto, per acquisire autonoma rilevanza penale ai fini della configurabilita' del reato di cui alla L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2 devono consistere in fatti diversi da quelli contestati nell'imputazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in termini tali da integrare un concorso materiale con questi ultimi; ma la sentenza nulla chiarisce al riguardo. Non diversamente deve concludersi con riferimento al capo di imputazione A sub 4, relativo all'omesso versamento di contributi e oneri fiscali che, come si evince dalla lettura a pag. 23 della sentenza impugnata, non e' condotta risultata di per se' idonea a causare il fallimento e che non integra quel carattere di autonomia ed eterogeneita' rispetto alle condotte distrattive tale da poter dar vita a un concorso di reati. 8.7. Con il settimo motivo si deduce il vizio di motivazione in ordine al motivi di appello con cui si era chiesta l'assoluzione dell'imputato in ordine ai fatti di cui ai capi A, B, C dell'imputazione per non aver commesso i fatti perche' gli stessi non costituiscono reato data l'incongruenza dell'utilizzo di alcuni esiti istruttori da parte del Tribunale circa la ritenuta partecipazione del ricorrente alle vicende criminose, gravame ritenuto, ingiustamente, approssimativo da parte della Corte. Nel contestare la motivazione della Corte, ritenuta lacunosa e talvolta non posta in termini ragionevolmente, convincenti, si riportano le ragioni difensive poste a base del gravame riguardo agli incongruenti utilizzi degli esiti istruttori operati dal Tribunale con riferimento: - alta ritenuta partecipazione di (OMISSIS) al complessivo disegno criminoso al di la' e in aggiunta rispetto alla carica societaria formalmente ricoperta, per essere egli stato amministratore non solo di (OMISSIS), ma anche delle altre due societa', (OMISSIS) e (OMISSIS), laddove nel procedimento romano, peraltro ancora in corso di svolgimento, e' invece emerso che egli non aveva alcun ruolo gestorio in (OMISSIS) e non e' stato imputato del-reato associativo, e che e' divenuto amministratore di (OMISSIS) ben dopo aver assunto la carica di (OMISSIS); sicche', le vicende processuali romane non possono essere utilizzate quale sorta di conferma o riscontro della responsabilita' penale di (OMISSIS) posto che in tali contesti egli e' ritenuto estraneo al presunto sodalizio criminoso contestato agli altri imputati; - alla perizia datata maggio 2020 rinvenuta in casa del ricorrente e apparentemente allo stesso riferibile, di cui (OMISSIS) ha sempre disconosciuto la paternita' - affermazione corroborata dalle dichiarazioni del teste d'accusa (OMISSIS) (che evidenzia come i tioli accademici indicati non corrispondano a quelli posseduti dal ricorrente) e da quelle del curatore (che evidenziava la mancata corresponsione di un compenso al ricorrente per la predisposizione della perizia); circostanze che avvalorano l'estraneita' di (OMISSIS) anche rispetto a tale perizia, di cui egli e' venuto a conoscenza solo in sede di perquisizione operata il 16.11.2011 nell'ambito del procedimento romano; - alla lettura delle trascrizioni inerenti all'esame delle testi (OMISSIS) e (OMISSIS) dalle quali a differenza di quanto assumono i giudici di merito, non si puo' desumere il ruolo di amministratore di (OMISSIS) dei tre (OMISSIS), soprattutto riguardo alla terza societa' (la (OMISSIS)), rispetto alla quale nulla riferisce la teste (OMISSIS) e cio' che afferma (OMISSIS) sembra, anzi, proprio escludere (OMISSIS) da tale societa'; - alla partecipazione alla gestione di (OMISSIS) solo da novembre 2010 (e di (OMISSIS), all'interno del quale prima non operava, da maggio 2011); - al valore - gia' evidenziato - della deposizione resa dal commercialista (OMISSIS); - al dato probatorio, totalmente ignorato, secondo cui il ricorrente si e' posto in posizione critica e di frizione rispetto all'operato precedente al suo ingresso, come emerge dalle dichiarazioni rese dal teste Avv. (OMISSIS). In realta' (OMISSIS) non era a conoscenza del fatto che vi era stata la perquisizione a maggio 2010 presso le societa' riferibili a (OMISSIS) ed (OMISSIS), a seguito della quale il ruolo di amministratore di (OMISSIS) fu ceduto appunto' al ricorrente, il quale decise, quindi, di assumere l'incarico (come era solito fare dato il suo curriculum professionale) ritenendo di inserirsi in un contesto del tutto lecito ed interessante sotto il profilo del business. Come riassunto nell'esposto presentato dallo stesso (OMISSIS) in data 16 Aprile 2013, il ricorrente ha iniziato a percepire l'esistenza di qualche piccola problematica sul finire dell'estate del 2011 allorquando vi era un'iniziale tensione finanziaria in societa' ed allora egli ha iniziato a: sollecitare anche per iscritto coloro verso i quali la societa' vantava crediti, ivi compresi i broker invitati altresi' a fornire una rendicontazione precisa in modo da poter aver chiare le partite di debito e' credito. Tutti gli elementi evidenziati, fungono a parere della difesa, da' dimostrazione di come non fosse raggiunta la prova al di la' di oltre ogni ragionevole dubbio della ascrivibilita' dei fatti di cui ai capi di imputazione a), B) e C) all'imputato, anche sotto il profilo dell'elemento soggettivo. 8.8. Con l'ottavo motivo si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio laddove, la Corte di appello, con riferimento alla richiesta riduzione della pena principale, anche a mezzo del riconoscimento delle circostanze attenuatiti generiche in considerazione dell'eterogeneita' delle condotte del ricorrente rispetto a quelle dei coimputati e della sua incensuratezza, non proferisce alcuna parola in ordine a tali fattori e tratta congiuntamente tutte le posizioni, senza tenere, in particolare, in nessun conto il fatto che (OMISSIS) si sia inserito in une realta' gia' in precedenza integralmente strutturata. Si lamenta che la Corte territoriale dimostri, ignorando i parametri di cui all'articolo 133 c.p., di non aver tenuto debitamente conto di tutti i criteri di commisurazione della pena, ne' di aver effettuato un giudizio individualizzato e rapportato all'effettiva gravita' dei fatti posti in essere dal ricorrente, la cui pena veniva, in concreto equiparata a quella dei coimputati e disposta, senza fornire un'effettiva motivazione a sostegno, al di sopra del minimo edittale. In particolare, si contesta la motivazione lacunosa ed evidentemente illogica resa dalla Corte laddove, con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, da un lato non tiene conto della circostanza per cui il ricorrente, gia' del corso della celebrazione del giudizio di primo grado, sottoscriveva ed eseguiva un accordo transattivo con la parte civile - Fallimento (OMISSIS), s.c.p.a., nella persona del curatore fallimentare - a fronte del quale la curatela provvedeva a revocare la costituzione di parte civile nei confronti di (OMISSIS) e, inspiegabilmente, da altro canto, giunge a conclusione totalmente opposta nei confronti dell'imputato (OMISSIS) (ove - a pag. 35 della sentenza - ne valorizza la condotta di devoluzione ad un'associazione no profit di un importo non risibile quale segno dell'avvio di un percorso di resipiscenza). 9. Con la memoria versata in atti, la difesa di (OMISSIS) ne ulteriormente illustrato le censure poste col primo, col secondo e con l'ottavo motivo di ricorso, nei punti inerenti, rispettivamente: l'inutilizzabilita' della relazione ex articolo 33 (.)nella parte in cui contiene le dichiarazioni dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), anche alla luce dell'interpretazione resa in sede comunitaria, con devoluzione in via subordinata di questione di incostituzionalita' degli articoli 62, 63, 64, 191, 195 e 526 c.p.p. in relazione agli articoli 3, 24 e 111 Cost., nonche' in relazione all'articolo 6 CEDU, quale norma interposta, e agli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea; l'esercizio abusivo dell'attivita' di prestazione di garanzia collettiva dei fidi con riferimento al pronunciamento delle Sezioni Unite civili del 8.2.2022 n. 8472; la determinazione della pena. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi meritano tutti accoglimento, in virtu' dell'effetto estensivo di cui all'articolo 587 c.p.p., trattandosi, come si vedra' nell'esaminarli, di motivi di natura oggettiva e non esclusivamente personali, limitatamente al reato di bancarotta fraudolenta per distrazione di cui al capo b) - con riferimento alle sole condotte contestate come realizzate mediante la (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.r.l. -, nonche' in relazione alla circostanza aggravante di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 1, e, in riferimento al solo (OMISSIS), anche rispetto al trattamento sanzionatorio. Nel resto i ricorsi sono inammissibili. A fronte della sentenza impugnata, che nella sua apparente sinteticita' ha, come poi si dira', fornito, nella maggior parte dei casi, risposte esaurienti e logiche alle questioni poste in appello, e qui pedissequamente riproposte, le difese - di la' dei rilievi specifici posti in relazione a ciascuna posizione - concordano, attraverso la comune impostazione di fondo, di critica della struttura portante della motivazione, nel ravvisare i profili di illegittimita' di cui la stessa sarebbe affetta, innanzitutto, nella mancanza di completezza e nell'illogicita', vizi che sono, invece, come emergera' nel corso della trattazione, palesemente insussistenti; sicche' i ricorsi si appalesano, oltre che aspecifici, anche manifestamente infondati. E', al riguardo, opportuno sin d'ora evidenziare che la corte territoriale, nel selezionare i passaggi logico-fattuali dell'articolata vicenda sottoposta al suo esame, ritenuti indispensabili nella dinamica funzionale delle risposte da rendere in relazione ai temi posti in appello, non si e' affatto sottratta al compito proprio del giudice di secondo grado, di vagliare criticamente cio' che e' stato statuito in primo grado alla luce di quanto si e' denunciato con l'atto di appello e non e' affatto incorsa nei vizi argomentativi denunciati - se non rispetto alle questioni per le quali si e' imposto l'annullamento con rinvio. Sicche', seppur vero che la sentenza impugnata ha fatto riferimento alla ricostruzione contenuta nella sentenza di primo grado, e' altrettanto vero eh" a fronte delle doglianze difensive ne ha vagliato autonomamente le componenti rispetto a ciascuna posizione. E' necessario, altresi', ricordare che la decisione di secondo grado non puo', peraltro, essere isolatamente valutata, decisione di secondo grado non puo', ma deve essere esaminata in stretta correlazione con la sentenza di primo grado, dal momento che la motivazione di entrambe sostanzialmente si dispiega in sequenze logico-giuridiche pienamente convergenti (trattasi nel caso di specie di cd. doppia conforme). Siffatta integrazione tra le due motivazioni si verifica non solo allorche' i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice, e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, ma anche, e a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano, in tutto o in parte, riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare - come nella stragrande maggioranza dei casi nella vicenda in esame - circostanze gia' esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (cfr., tra le ultime, Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014, Bruno, Rv. 259929 - 01). Ne consegue che sono inammissibili - di qui l'altro profilo di inammissibilita', nel caso di specie, dei ricorsi in scrutinio per aspecificita' - le censure rivolte alla sentenza di secondo grado, quando le stesse denuncino una mancata risposta a questioni gia' esaurientemente risolte dalla sentenza di primo grado e rispetto alle quali i motivi di appello non avevano offerto reali argomenti confutativi. Cio' posto si passa, qui di seguito, ad analizzare nello specifico ogni singolo ricorso. 2. Il ricorso nell'interesse di (OMISSIS). 2.1. Quanto al primo motivo, si osserva che leggendo gli atti oggetto di scrutinio, balza subito evidente come esso, di la' dei singoli vizi enunciati, che verranno comunque di seguito analizzati, non mostri, nel suo complesso, di confrontarsi adeguatamente con la sentenza impugnata che affronta approfonditamente il profilo della ritenuta sussistenza della qualifica di amministratore di fatto in capo a (OMISSIS), passando in rassegna le plurime emergenze processuali esistenti a sostegno, costituite anche dalle stesse testimonianze indicate dal ricorrente; testimonianze che questi pretende, peraltro, di rivalutare fornendo una lettura di esse del tutto frazionata e soggettiva; ma, di fatto, il ricorrente, nel tentativo di operare un ridimensionamento di quanto riferito dai testi, non considera neppure quelli che sono i parametri normativi e giurisprudenziali di riferimento in tema di amministrazione di fatto; di qui la inammissibilita' del motivo in tal modo impostato, che non solo implica (ri)valutazioni non consentite in sede di legittimita' ma dimostra anche di non commisurarsi in maniera adeguata coi principi affermati da questa Corte nella materia che ha inteso affrontare. Indi, al fine di cogliersi gli esatti contorni entro i quali vanno esaminate le censure mosse nell'interesse di (OMISSIS), e' opportuno indicare innanzitutto i principi che governano l'ambito di giudizio di questa Corte come ricavabili dal sistema e dalla conseguente enucleazione dei vizi deducibili in sede di legittimita'; alla luce di essi, la valutazione dei motivi proposti ha un esito tracciato dalle stesse modalita' propositive dei rilievi e dai loro contenuti esplicativi; di talche' l'analisi si dispieghera' necessariamente su entrambi i fronti posti nella dovuta correlazione: quello dei principi e quello del rispetto dei parametri di formulazione da parte delle censure formulate in ricorso; anticipandosi, sin d'ora, che, piu' in generale, l'esito e' stato in termini di inammissibilita' proprio perche' non risultano rispettati i criteri che danno alle doglianze esperibili in sede di legittimita' l'imprinting della verificabilita'; cio' nondimeno non si manchera' di evidenziare come la pronuncia impugnata - e prima ancora di essa quella di primo grado - abbia fatto corretta applicazione dei parametri normativi e giurisprudenziali che governano la qualificazione dell'amministratore di fatto nelle sue molteplici estrinsecazioni; circostanza che rende vieppiu' aspecifiche le deduzioni svolte in ricorso che, in definitiva, agganciandosi a monte a una errata impostazione in diritto, hanno finito col proporre una rivalutazione del fatto sterile, oltre che non proponibile nella presente sede. Il primo motivo, invero, in realta' non contesta, tanto, le attivita' attribuite a (OMISSIS), quanto piuttosto la qualifica che sulla base di esse e' stata ricostruita in capo al medesimo dai giudici di merito, assumendo che esse siano riconducibili al ruolo di broker dal medesimo svolto e non siano quindi sintomatiche di amministrazione di fatto ex articolo 2639 c.c.; contesta, pero', esso, le modalita' con cui i giudici ritengono che quelle attivita' siano state esercitate. Il motivo, attraverso la deduzione del vizio di motivazione e della violazione di legge, mira, in definitiva, alla rivalutazione del compendio probatorio, fornendo una riduttiva, inammissibile, lettura alternativa delle risultanze processuali; cio' in disparte il profilo della illegittimita' della utilizzazione delle dichiarazioni contenute nella relazione L. Fall., ex articolo 33, dedotta nella memoria difensiva, che stante la sua manifesta infondatezza non necessita di trattazione preliminare e sara' quindi esaminata nel prosieguo, potendosi anticipare sin d'ora che essa non e' in ogni caso idonea a scalfire la tenuta della complessiva ricostruzione di merito. 2.1.1. In particolare, sulla base di stralci di deposizioni di testi, si assume che sia manifesto il vizio di motivazione e la violazione di legge in cui sarebbe incorso il giudice di merito - in particolare quello di primo grado per essere silente la sentenza di secondo grado sul punto - per avere lo stesso esteso i caratteri dell'attivita' di consulenza e brokeraggio fornita dal ricorrente, con evidente travisamento del risultato probatorio, fino a ricomprendervi la scelta del contraente, la conclusione delle polizze e la determinazione dei contenuti delle stesse, in evidente frizione con i dati emersi in sede di istruttoria dibattimentale. Il motivo si appalesa inammissibile in parte qua gia' per tale modalita' d'impostazione della doglianza, essendo pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che nel giudizio presso la Corte di cassazione non e' consentito invocare una valutazione o rivalutazione degli elementi probatori al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimita' un giudizio di fatto che non le compete. Sicche' sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita', la stessa illogicita' quando non manifesta, della motivazione, cosi' come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilita', della credibilita', dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento" (cfr., da ultimo, Cassazione, Sez. 2, n. 9106 del 12/2/2021, Caradonna, Rv. 280747 e Cassazione, Sez. 6, n. 13809 del 17/3/2015, O., Rv. 262965). Il ricorso evoca talora la figura del travisamento della prova ma in modo del tutto inappropriato, perche', come lo stesso svolgimento argomentativo dell'impugnazione conferma, a venire in rilievo nel discorso critico del ricorrente e' il "significato" di vari dati probatori, laddove, come e' noto, il vizio di "travisamento della prova" vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimita' alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l'eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos, Rv. 283370). Le censure del ricorrente, per un verso, investono esplicitamente il "significato" di dati probatori valorizzati dal giudice di merito, cosi' ricadendo in quell'erronea impostazione del "travisamento della prova" gia' messa in luce, mentre, per altro verso, nel soffermarsi su singole emergenze, perdono di vista il costrutto argomentativo complessivo della vicenda - in cui vanno collocate le azioni e i comportamenti dell'imputato oltre che quelle dei suoi correi - che, per la molteplicita' delle peculiarita' che lo contraddistinguono e delle concatenate e collegate implicazioni di cui e' intessuto, non consente quella valutazione atomistica e frammentaria di singoli aspetti in cui pure si e' risolta l'impostazione difensiva. E', invece, consentito dedurre il vizio di travisamento della prova, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola e altri, Rv. 238215); laddove nel caso di specie, attraverso la non consentita parcellizzazione del materiale probatorio, intervenuta addirittura mediante diffusi richiami di estratti arbitrariamente selezionati del testimoniale, si propongono, di fatto, doglianze eminentemente di merito, che sollecitano una rivalutazione probatoria preclusa in sede di legittimita', sulla base di una, parimenti, non consentita, "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibe', Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260, non potendo tra l'altro integrare il vizio di legittimita', come affermato costantemente da questa Corte, la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali). La conforme valutazione dei giudici di merito, di primo e secondo grado, rimane, in definitiva, insindacabile in questa sede, non avendo il ricorrente fornito argomenti tali da evidenziare rilevanti e decisive illogicita' e/o contraddizioni nella motivazione. Difatti - e' solo il caso di aggiungere - laddove si lamenti la mancanza di rispondenza delle valutazioni compiute dal giudice di merito alle acquisizioni processuali, siffatta doglianza puo' essere dedotta in punto di motivazione tramite il vizio di travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti - e non meri stralci di essi - e sempre che la contraddittorieta' della motivazione rispetto ad essi sia percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimita' al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006 - dep. 20/07/2006, Stojanovic, Rv. 23416701, Sez. 4, n. 20245 del 28/04/2006 - dep. 14/06/2006, Francia, Rv. 23409901); e tale operazione a maggior ragione s'impone allorquando, come nel caso di specie, il giudice di merito abbia fondato la propria valutazione anche proprio su quelle stesse prove che si assumono indicative, invece, di aspetti in contrasto con la ricostruzione recepita dal giudicante, difettando in tal caso, ab origine di decisivita' la censura che si limiti a selezionare cio' che e' rilevante secondo la propria prospettazione, trascurando non solo tutte le altre emergenze, ma innanzitutto anche gli ulteriori tasselli del complessivo contesto in cui si inseriscono le parti estrapolate ed offerte alla valutazione di legittimita' come in un mosaico diversamente ricomposto ma mancante di pezzi importanti. Non potrebbe, in altri termini, assumere di per se' rilievo la singola affermazione di un teste o di un imputato a fronte di una pluralita' di convergenti elementi che attestano un determinato svolgimento del fatto, soprattutto se avente ad oggetto unicamente un aspetto della vicenda di per se' non idoneo a stravolgere l'apparato argomentativo, ne', tanto meno, a insinuare un dubbio ragionevole sulla ricostruzione. Pertanto nel caso di specie si appalesa del tutto ultroneo il riferimento ai punti delle deposizioni dei testi citati in ricorso sulla base dei quali si assume possa ritenersi incrinata la ricostruzione accusatoria, trattandosi, all'evidenza, di singoli aspetti disgiunti non solo dai rispettivi contesti in cui risiedono ma anche dal piu' vasto panorama probatorio su cui si e' ricostruita la qualifica di amministratore di fatto del ricorrente; singoli aspetti che, estrapolati dai rispettivi contesti, vengono messi insieme e per cio' solo ritenuti idonei a suffragare l'ipotesi secondo cui il ruolo del (OMISSIS) si sarebbe esaurito nello svolgimento dell'attivita' di broker per il tramite di (OMISSIS) s.r.l. - societa' regolarmente iscritta all'albo dei mediatori creditizi - in forza di regolare contratto di mandato sottoscritto con la fallita come con altri (OMISSIS) operanti nel settore; laddove, secondo la sentenza impugnata, quel ruolo, che nel suo concreto atteggiarsi gia' lasciava trapelare ben altra estensione, correttamente inquadrate nel meccanismo delle dinamiche sviluppatesi intorno e attraverso la societa' (OMISSIS) e le correlate societa' di brokeraggio - una delle quali facente capo a (OMISSIS) - rimanda piuttosto alle sottese intese di fondo con gli altri imputati che permearono la complessiva, complessa, vicenda in scrutinio, imprimendo a questa il carattere dell'illiceita' e alla condotta del ricorrente il crisma della partecipazione ad una vera e propria gestione condivisa con gli altri imputati - della societa' (dai risvolti illeciti). I giudici di merito hanno piuttosto ricostruito che (OMISSIS), attraverso la propria diffusa e articolata rete di brokers locali procurava, si', clientela a (OMISSIS), ma nell'espletare il proprio mandato di broker, non si limitava, a differenza di quanto assume la difesa, a ricevere dai propri agenti, unitamente alla richiesta di fideiussione, tutti i documenti necessari all'istruttoria della pratica da presentare alla direzione di (OMISSIS), dal momento che si ingeriva anche nella scelta dei contraenti, valutando egli l'opportunita' e convenienza di stipulare le polizze e con quale contenuto e a quali condizioni contrattuali; e, cio' che maggiormente rileva ai fini che occupano, dalla complessiva ricostruzione dei giudici di merito emerge come soprattutto egli, d'intesa con gli altri, abbia inciso anche nelle scelte e decisioni di fondo assunte in relazione alla dinamiche societarie di (OMISSIS) che contribuirono al dissesto della societa'; costituisce invero uno dei cardini intorno al quale ruota l'impostazione accusatoria, recepita in sentenza, quello secondo cui solo formalmente la pratica veniva rimessa ai vertici societari per la valutazione di loro competenza, essendo essa di fatto demandata - sull'accordo coi correi - al vaglio dei broker, in particolare di (OMISSIS), che la valutavano sulla base di criteri che, alla verifica dei bilanci e della solvibilita' patrimoniale delle aziende richiedenti la fideiussione, anteponevano l'interesse alla massimizzazione delle pratiche perche' il loro lievitare avrebbe comportato maggiori introiti per tutti, in termini di premi e quindi anche di provvigioni. Gli evidenti limiti dell'impostazione difensiva non impediscono a questo Collegio di osservare, con angolo visuale circoscritto agli stessi argomenti esposti in ricorso, come, in realta', questo nell'indicare i comportamenti che si ascrivono pacificamente a (OMISSIS), finisca con il convenire su diversi degli aspetti che i giudici di merito pongono alla base della loro ricostruzione, la quale, in definitiva, diverge rispetto a quella della difesa solo in punto di valutazione del rilievo delle attivita' solte dall'imputato, che nell'ottica del ricorrente sarebbero pienamente lecite e nell'ottica dell'accusa non lo sono, promanando esse dalla stessa illecita organizzazione societaria a monte prestabilita. Cosi' con riferimento alle censure che attengono alla partecipazione di (OMISSIS) alla selezione del personale della fallita, avendo la stessa difesa, nel contestarne la significativita', non escluso tale circostanza sia pure riferendola al ruolo di broker del ricorrente (che avrebbe giustificato la sua presenza al colloquio con soggetto che si sarebbe occupato dell'emissione delle polizze). La stessa presenza dei broker - sia (OMISSIS) che (OMISSIS) - presso la sede sociale, non smentita dal ricorrente ma solo ridimensionata, e' pienamente compatibile non solo con il dato incontestato di uno spazio destinato ai due broker ove operare all'interno di (OMISSIS), a conforto dell'effettivo ruolo svolto come intranei alla societa' e non come meri consulenti esterni, ma anche con l'accertata esistenza del cd. comitato tecnico ed esecutivo operante presso la sede sociale; organo la cui esistenza e' provata, secondo la pronuncia impugnata, anche alla stregua delle dichiarazioni rese dagli stessi (OMISSIS) e (OMISSIS) - tacciate di inutilizzabilita' nella memoria suindicata - e di quanto descritto dal curatore nella relazione L. Fall., ex articolo 33 (il cui contenuto, in ricorso, e' messo in discussione dalla difesa sulla base del mero appunto della mancata allegazione alla relazione dei libri citati); in particolare, a pag. 27 della sentenza impugnata si da' atto della incontestata esistenza di una vera e propria articolazione amministrativa facente capo ai broker, operante all'interno di (OMISSIS). A ben vedere, dunque, la diversa lettura offerta dalla difesa si fonda in parte sulle medesime circostanze di fatto poste a base della ricostruzione accusatoria, che non sono quindi oggetto di contestazione difensiva (diversi sono gli aspetti non contestati dalle difese e di essi vi e' una puntuale evidenziazione gia' nella sentenza di primo grado) ma che vengono valutate in una prospettiva non solo diversa, ma anche parziale, oltre che infondata. Cosi', ad esempio, riguardo alla circostanza estrapolata dall'esame di (OMISSIS) che avrebbe ammesso la seppur occasionale presenza negli uffici della societa', evidenziata in ricorso al fine di eccepirsi "una singolare inversione dell'onere della prova" per avere la sentenza impugnata affermato che (OMISSIS) non avrebbe spiegato al riguardo, a che titolo cio' e' avvenuto, evidente e' la sua inconferenza se si considera la complessiva ricostruzione del ruolo di (OMISSIS) che non si fonda affatto solo su tale mancanza di giustificazione da parte dell'imputato, essendosi sulla base di ben altri elementi - emergenti anche dalle testimonianze - non sconfessati dalle parziali risultanze testimoniali ostese in ricorso, accertato che i due brokers, sia (OMISSIS) che (OMISSIS), avevano addirittura un proprio ufficio presso la sede di (OMISSIS) e che la loro presenza era tutt'altro che occasionale. Ne', a fronte del coacervo probatorio illustrato dai giudici di merito, potrebbe assumere rilievo disarticolante la divergenza evidenziata quanto al contributo che (OMISSIS) avrebbe dato rispetto all'assunzione di alcuni dipendenti, che la difesa - si ripete - sulla base di meri stralci di deposizioni testimoniale, pretende di ridimensionare degradandolo a mero input iniziale, ossia alla presentazione del lavoratore (senza peraltro considerare che anche un comportamento del genere puo' essere indicativo di un coinvolgimento nella societa', del titolo in base al quale si interloquisce in ordine a decisioni che implicano pur sempre delle scelte riflettentisi sull'organizzazione societaria). 2.1.2. Ne' potrebbe valere ad escludere la qualifica di amministratore la conclusione, cui giunge il motivo, secondo cui essa non sarebbe configurabile, non risultando dimostrata nel caso di specie la serie tipica di elementi sintomatici del ruolo gestorio di fatto, elencati nella pronuncia di questa corte, Sez. 5, n. 41793 del 17.6.2016, Rv. 26827 - quale ad esempio la delega ad operare sul conto corrente; tale asserzione non considera che gli indici rivelatori individuati in quella pronuncia non costituiscono ipotesi tipiche che devono necessariamente ricorrere tutte insieme affinche' possa desumersi il ruolo gestorio di fatto, ben potendo questo essere dimostrato anche attraverso altri aspetti ed elementi, purche' ovviamente parimenti significativi in tal senso; cio' che rileva e' piuttosto che gli elementi posti a base della affermazione di sussistenza di quel ruolo siano dotati di sintomaticita', siano cioe' sufficientemente indicativi della qualita' di fatto ricoperta; e nel caso di specie, secondo quanto ricostruiscono le conformi pronunce di merito, vi e' la pregnanza dell'ingerenza decisionale nello svolgimento dell'attivita' costituente l'oggetto societario - di prestazione di garanzie fideiussorie - che veniva distorta, anche proprio in virtu' delle scelte riconducibili all'imputato, in un'ottica meramente produttivistica ma non remunerativa per la societa' garante; nel puntare all'incremento delle partiche fideiussorie non si assicurava, infatti, un corrispondete incremento delle entrata nelle casse societarie di (OMISSIS), dal momento che il denaro ricavato dalla stipulazione dei contratti - i premi confluiva in (OMISSIS) in misura inferiore a quanto spettante, in quanto non proporzionata al rischio assunto dalla societa' con la stipulazione di quei contratti. Sicche' il motivo in scrutinio e' anche manifestamente infondato perche' sussiste ampia, congrua e logica motivazione in punto di ricostruzione degli elementi sintomatici dell'attivita' gestoria svolta dal ricorrente; ricostruzione che il giudice di merito, nelle conformi pronuncia di primo e secondo grado, ha operato in perfetta coerenza con il disposto normativo di cui all'articolo 2639 c.c. che si assume violato. In particolare, sulla base di una messe di elementi - dei quali si e' sopra offerto uno spaccato - la corte territoriale ha concluso - richiamando espressamente la pertinente giurisprudenza di questa Corte al riguardo - che e' evidente l'assunzione da parte di (OMISSIS) di poteri decisionali tali da configurare un ruolo di co-amministrazione di fatto della societa', per l'ingerenza in una rilevante parte delle scelte della societa', stanti la continuita' e significativita' dei poteri di gestione dell'impresa dal predetto assunti nel non modesto arco temporale in cui si e' dispiegata l'attivita' illecita in ordine alle soluzioni âEuroËœtecniche' da adottare che sconfinavano, piuttosto, in vere e proprie scelte e decisioni di tipo gestorio. Ne' alcun dubbio in diritto potrebbe residuare al riguardo, perche' secondo la costante giurisprudenza di questa Corte - la stessa richiamate nella pronuncia impugnata - la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall'articolo 2639 c.c., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, significativita' e continuita' non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attivita' gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive - in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attivita' della societa', quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attivita', sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare - il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimita', ove sostenuta - come nel caso di specie - da congrua e logica motivazione (Sez. 5, Sentenza n. 35346 del 20/06/2013, Rv. 256534 - 01); di talche' non necessita affatto, a differenza di quanto assume il ricorrente, che l'attivita' gestionale di fatto svolta investa la totalita' degli ambiti operativi e decisionali della societa', e cio' e' vieppiu' evidente nel caso di societa' di dimensioni medio-grandi contraddistinta da diverse figure e ruoli gestionali, laddove peraltro nel caso di specie la stipulazione delle polizze fideiussorie costituiva l'attivita' principale di (OMISSIS); sicche' indubbio e', secondo l'impostazione dei giudici di merito, il ruolo gestorio, preminente, svolto da (OMISSIS), sia sotto il profilo organizzativo che decisionale, che si inseriva nell'ambito di un vero e proprio "sistema" di stipulazione di polizze fideiussorie costituente in definitiva il core business della societa'. D'altronde in tema di reati fallimentari, la previsione di cui all'articolo 2639 c.c. non esclude che l'esercizio dei poteri o delle funzioni dell'amministratore di fatto possa verificarsi in concomitanza con l'esplicazione dell'attivita' di altri soggetti di diritto, i quali - in tempi successivi o anche contemporaneamente - esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione (Sez. 5, n. 12912 del 06/02/2020, Rv. 279040 - 01); la gestione di fatto puo' esplicarsi anche in concomitanza di una silente amministrazione formale, che, come si dira' nel prosieguo, nel caso di specie era non meramente compiacente, ma pienamente partecipe del piano criminoso. 2.1.3.a) A tal punto della disamina, dal momento che con la memoria suindicata, si e' inteso contestare il ruolo del ricorrente anche attraverso l'eccezione di inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese al curatore dai coimputati, (OMISSIS) e (OMISSIS), posta dalla difesa per essere state quelle dichiarazioni rese nell'ambito di un procedimento in cui, sebbene di natura extra-penale, poteva presagirsi, secondo l'impostazione difensiva, il possibile rilievo penale di quanto si andava dichiarando, s'impongono delle precisazioni anche al riguardo. L'eccezione di inutilizzabilita' sollevata si muove nell'ottica della pronuncia della Corte di Giustizia Europea-Grande Sezione del 2.2.2021, nella causa C-481/19, espressamente richiamata nella memoria pervenuta in atti, che ha riconosciuto l'esistenza, in capo alle persone fisiche, di un diritto al silenzio, tutelato dall'articolo 47, comma 2, e articolo 48 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (CDFUE), nell'ambito dei procedimenti innanzi alla Consob per gli illeciti amministrativi di abuso di mercato. La pronuncia deve le proprie origini a una iniziale ordinanza della Corte di cassazione (Cass. civ., Sez. 2, Ord. n. 3831/2018), relativa ad un procedimento amministrativo per l'illecito di abuso di informazioni privilegiate, in cui una persona fisica era stata sottoposta a una sanzione pecuniaria, di importo ragguardevole, per non avere risposto alle domande della CONSOB su operazioni finanziarie sospette da essa compiute (ai sensi dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F.). L'interessato aveva impugnato la sanzione, sostenendo di aver esercitato il diritto costituzionale di non rispondere a domande da cui sarebbe potuta emergere la propria responsabilita' ("nemo tenetur edere contra se", discendente dall'articolo 24 Cost. e articolo 6 CEDU). La Corte di cassazione ha - fra l'altro - rimesso alla Consulta la "questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F., nel testo originariamente introdotto dalla L. 18 aprile 2005, n. 62, articolo 9, comma 2, lettera b), - nella parte in cui detto articolo sanziona la condotta consistente nel non ottemperare tempestivamente alle richieste della CONSOB o nel ritardare l'esercizio delle sue funzioni anche nei confronti di colui al quale la medesima CONSOB, nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza, contesti un abuso di informazioni privilegiate - in relazione agli articoli 24, 111 e 117 Cost., quest'ultimo con riferimento all'articolo 6 CEDU e con riferimento all'articolo 14, comma 3, lettera g), del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966, reso esecutivo in Italia con la L. 25 ottobre 1977, n. 881, nonche' in relazione agli articoli 11 e 117 Cost., con riferimento all'articolo 47 CDFUE". Investita della questione, la Corte Costituzionale, con l'ordinanza n. 117/2019, ha a sua volta rimesso alcune questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia UE, ricordando innanzitutto come "il "diritto al silenzio" dell'imputato pur non godendo di espresso riconoscimento costituzionale - costituisca un "corollario essenziale dell'inviolabilita' del diritto di difesa", riconosciuto dall'articolo 24 Cost. (...). Tale diritto garantisce all'imputato la possibilita' di rifiutare di sottoporsi all'esame testimoniale e, piu' in generale, di avvalersi della facolta' di non rispondere alle domande del giudice o dell'autorita' competente per le indagini" (Ordinanza, p. 7.1). Come si anticipava, la Corte di Giustizia (Grande Sezione, Sent. 2.2.21) ha riconosciuto l'esistenza di un diritto al silenzio, tutelato dall'articolo 47, comma 2, e articolo 48 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (CDFUE), nell'ambito dei procedimenti pendenti a carico di persone fisiche innanzi alla Consob per illeciti amministrativi di abuso di mercato, precisando che la Direttiva 2003/6/CE e il Regolamento (UE) n. 596/2014 in tema di abusi di mercato permettono agli Stati membri di rispettare tale diritto nell'ambito di un'indagine suscettibile di portare all'accertamento della responsabilita' della persona per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale ovvero della sua responsabilita' penale. Nel motivare la propria conclusione, la Corte ha ricordato che, alla luce della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo (CEDO) relativa al diritto ad un equo processo, il diritto al silenzio, che e'. al centro della nozione di "equo processo", osta a che una persona fisica "imputata" venga sanzionata per il suo rifiuto di fornire all'autorita' competente, ai sensi della Direttiva 2003/6/CE o del Regolamento n. 596/2014, risposte che potrebbero far emergere la sua responsabilita' per un illecito passibile di sanzioni amministrative a carattere penale oppure la sua responsabilita' penale (Sentenza, parag. 37-45). La Corte ha, in definitiva, ritenuto che tanto la Direttiva 2003/6/UE quanto il Regolamento n. 596/2014 si prestano ad un'interpretazione conforme agli articoli 47 e 48 CDFUE (e dunque al diritto al silenzio), nel senso che essi non impongono che una persona fisica venga sanzionata per il suo rifiuto di fornire all'autorita' competente risposte da cui potrebbe emergere la sua responsabilita' per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilita' penale (Sentenza, par. 50-55) e ha concluso che incombe agli Stati membri garantire che una persona fisica non possa essere sanzionata per il suo rifiuto di fornire risposte siffatte all'autorita' competente (Sentenza, par. 56 e 57). 2.1.3.b). Appare evidente che quanto si e' affermato nella pronuncia della Corte di Giustizia teste' indicata - dalla quale la difesa fa discendere, interpolandone il contenuto con stralci della ordinanza della Corte Costituzionale n. 117/19 e con la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'articolo 187-quinquiesdecies t.u.f. resa dalla Consulta con la sentenza n. 84/21, l'inutilizzabilita', sia contra se che contra alios, delle dichiarazioni rese in ambito fallimentare al curatore in violazione del diritto al silenzio, ritenuto dalla difesa superabile anche in tale sede solo mediante l'osservanza degli avvisi di cui all'articolo 64 c.p.p., in particolare di quelli di cui all'articolo 64 c.p.p., comma 3, e destinate a refluire in ambito penale - non depone affatto per la inutilizzabilita' tout court delle dichiarazioni rese da una persona all'autorita' amministrativa per non essere state esse precedute dall'avvertimento della facolta' di non rispondere, essendosi piuttosto la CGE, in quella pronuncia, limitata a riconoscere il diritto al silenzio anche rispetto alle sanzioni amministrative, che sebbene non stricto sensu penali, rivestissero carattere punitivo, e a rilevare, in buona sostanza, la illegittimita' della previsione di una minaccia di sanzione per il caso di mancata cooperazione (di silenzio serbato per non far emergere la responsabilita' per un illecito passibile di sanzioni amministrative a carattere penale oppure la responsabilita' penale). La Corte costituzionale, a sua volta, riassumendo il giudizio dopo la pronuncia della Corte di giustizia in sede di rinvio pregiudiziale, ha, con la sentenza n. 84/2021, dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 187-quinquiesdecies t.u.f. "nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla Banca d'Italia o alla Consob risposte che possano far emergere la sua responsabilita' per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato"; affermando in buona sostanza che "(I)l diritto fondamentale al silenzio vale anche rispetto ai poteri d'indagine della Banca d'Italia e della Consob, quando dalle risposte alle domande possa emergere la propria responsabilita'". Nel rendere la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'articolo 18 quinquiesdecies t.u.f. nelle sue diverse declinazioni, la Corte Costituzionale non ha, tra l'altro, mancato di affermare, da un lato, che il diritto al silenzio non giustifica comportamenti ostruzionistici fonte di indebiti ritardi allo svolgimento dell'attivita' di vigilanza, come il rifiuto di presentarsi a un'audizione, ovvero manovre dilatorie finalizzate a rinviare lo svolgimento dell'audizione stessa, o ancora l'omessa consegna di dati, documenti, registrazioni preesistenti alla richiesta dell'autorita'"; dall'altro, in chiusura, che "(s)pettera' poi primariamente al legislatore la piu' precisa declinazione delle ulteriori modalita' di tutela di tale diritto - non necessariamente coincidenti con quelle che vigono nell'ambito del procedimento e del processo penale - rispetto alle attivita' istituzionali della Banca d'Italia e della CONSOB, in modo da meglio calibrare tale tutela rispetto alle specificita' dei procedimenti che di volta in volta vengono in considerazione, nel rispetto dei principi discendenti dalla Costituzione, dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e dal diritto dell'Unione Europea". Sull'argomento si e' espressa di recente anche la CORTE EDU, Quarta Sezione, De Lege' c. Olanda del 4 ottobre 2022, n. 58342/15 della quale si riporta l'abstract: "Non sussiste violazione del diritto all'equo processo, sotto il profilo della garanzia a non essere costretti a contribuire alla propria incriminazione, nel caso di coartazione di un contribuente, mediante ingiunzione giudiziale assistita da penale pecuniaria, a produrre all'autorita' tributaria gli estratti conto ed i riepiloghi di portafoglio di un conto" (nel caso specifico, le autorita' olandesi avevano ordinato al ricorrente, durante un procedimento penale a suo carico per evasione fiscale, di consegnare, sotto pena di sanzione fiscale, la documentazione in suo possesso concernente estratti conto e riepiloghi di portafoglio relativi ad un conto che il ricorrente aveva presso una banca in Lussemburgo). Preliminarmente, la Corte Europea dei diritti dell'uomo, richiamando la propria precedente giurisprudenza, ha chiarito che il diritto ad un equo processo ai sensi dell'articolo 6, p. 1 C.e.d.u. e' un diritto incondizionato e che, purtuttavia, l'analisi circa il rispetto o meno di tale principio deve essere estesa a tutto il procedimento penale, dovendosi cosi' valutare l'equita' complessiva dello stesso (p. 60). Avendo specifico riguardo ai procedimenti concernenti sanzioni fiscali, i giudici di Strasburgo hanno precisato che tali casi differiscono dal nocciolo duro del diritto penale - cosi' aprendo un varco anche nell'abito dello stesse diritto penale laddove in precedenza il discrimine rispetto al nocciolo duro del diritto penale era riservato soprattutto all'ambito del diritto punitivo non strettamente penale - ai fini della Convenzione e che, di conseguenza, le garanzie dell'articolo 6 C.e.d.u. rispetto ad essi non si applicano necessariamente con il loro pieno rigore (p. 62). Per quel che qui rileva, ha affermato la Cedu che, in linea generale, per aversi violazione delle tutele contro l'autoincriminazione ai sensi dell'articolo 6, p. 1 C.e.d.u., e' necessario che l'indagato sia stato sottoposto a una qualche forma di coercizione o costrizione da parte delle autorita' e che tale coercizione debba aver avuto luogo al fine di ottenere informazioni che potrebbero incriminare l'interessato in procedimenti penali pendenti o non ancora avviati nei suoi confronti (p. 72). Tale diritto riguarda, pertanto, il rispetto della volonta' dell'imputato di tacere, che non e' pero' illimitato. In ogni caso cio' che maggiormente rileva ai fini che occupano e' che la Cedu - di la' della specificita' del caso sottoposto al suo esame afferente dei documenti preesistenti rispetto ai quali non si e' ravvisata alcuna violazione del diritto al silenzio nonostante la minaccia della sanzione - abbia inteso in buona sostanza affermare che l'utilizzo processuale di dati acquisiti da soggetto poi imputato e' incompatibile con l'articolo 6, p. 1 CEDU soltanto laddove possa dirsi annullata la vera essenza del diritto alla non autoincriminazione consistente non gia' in ogni caso di "coartazione" della persona a fornire notizie o documenti ma solo nel caso in cui quella costrizione mini effettivamente il diritto al silenzio, trattandosi di diritto non assoluto. Trattasi, del resto, di diritto pressoche' integralmente rimesso alla prudente interpretazione giudiziale, poiche' l'articolo 6 p. 1 CEDU (cosi' come l'articolo 111 Cost.) non lo disciplina espressamente, ricavandosene la necessita' di protezione dalla considerazione, generalmente condivisa, della sua immanenza rispetto alle coordinate che debbono contraddistinguere un giusto processo; sicche' a maggior ragione la sua effettiva portata, suscettibile di lesione, va valutata a maggior ragione caso per caso allorquando si versi in procedimento non penale. Non e' dunque il possibile risvolto penale in se' che attraverso quelle dichiarazioni puo' conseguire a carico di chi le ha rese a inficiare le dichiarazioni medesime, quanto piuttosto la modalita' con cui esse sono state ottenute: solo una modalita' imperiosa che ne pretenda l'ottenimento dietro, ad esempio, la minaccia di una sanzione in caso di reticenza, e' suscettibile di intaccare l'essenza del diritto al silenzio alla stregua del quale ogni persona ha il diritto di tacere in ordine a fatti e circostanze da cui potrebbero desumersi elementi a suo carico in sede penale o comunque nell'ambito di procedimenti assistiti da sanzioni assimilabili a quelle penali per afflittivita'. 2.1.3.c) Di la' di una possibile portata espansiva, al nostro interno, dell'impostazione seguita dalla Corte costituzionale e dalle corti sovranazionali che attraverso varie fasi hanno nel tempo aggiunto sempre maggiori tasselli al processo equiparativo delle sanzioni amministrative a carattere sostanzialmente punitivo a quelle penali - appare evidente che sia l'interpretazione della Corte di giustizia che quella con essa collimante resa dalla Corte Costituzionale nella sentenza suindicata attengano alla ricostruzione della portata del diritto al silenzio nell'ambito di procedimenti amministrativi che - come quello che ha interessato il ricorrente nel giudizio a quo - siano comunque funzionali a scoprire illeciti e a individuarne i responsabili, e siano suscettibili di sfociare in sanzioni amministrative di carattere punitivo. Ora, e' altrettanto evidente che la procedura fallimentare - ma anche quella scaturente in caso di liquidazione giudiziale - non e' assimilabile od un procedimento amministrativo funzionale a scoprire illeciti e a individuarne i responsabili, essendo altre le finalita' ad essa sottese - il soddisfacimento delle ragioni creditorie attraverso la regola della par condicio - e che lo stesso cd. interrogatorio del fallito (la cui previsione e' ricavata dalla L. Fall., articolo 49 che prevede in verita' solo chiarimenti o informazioni ai fini della gestione della procedura), o dell'amministratore se si tratti di societa', e' funzionale all'accertamento di tutto quanto possa rivelarsi utile per il raggiungimento di quelle finalita' e non si muove certamente nell'ottica dell'irrogazione di una sanzione nei confronti di chi lo rende, laddove la eventuale emergenza di aspetti che possono interessare anche ai fini delle indagini preliminari in sede penale, che il curatore e' tenuto a segnalare nella relazione L. Fall., ex articolo 33, costituisce ipotesi che non trasforma il curatore in un operatore di polizia giudiziaria, ne' la sua attivita' in un'ispezione, rimanendo il suo ruolo funzionale, da un lato, all'accertamento della consistenza del patrimonio del fallito e alla sua ricostituzione e, dall'altro, alla verifica dei debiti e di tutto quanto a tali fini utile (sicche' non vi e' spazio neppure per l'applicazione dell'articolo 220 disp. att. c.p.p. che pertiene alle diverse ipotesi di attivita' ispettive e di vigilanza alle quali non sono assimilabili quelle svolte dal curatore). In tale ottica si inserisce anche l'invito previsto dalla L. Fall., articolo 87 che il curatore, in sede di inventario, rivolge al fallito o, se si tratta di societa', agli amministratori, a dichiarare se hanno notizia dell'esistenza di altre attivita' da comprendere nell'inventario; in tale ottica si inserisce anche l'obbligo del fallito di fornire l'elenco nominativo dei suoi creditori, di depositare i bilanci e le scritture contabili dopo la dichiarazione di fallimento (L. Fall., articolo 16, n. 3), di rimanere a disposizione degli organi della procedura per essere, all'occorrenza, sentito (L. Fall., articolo 49). La stessa previsione di cui alla L. Fall., articolo 220, che incrimina, tra l'altro, l'omessa dichiarazione dell'esistenza di altri beni da comprendere nell'inventario, si muove pur sempre - al pari delle altre ipotesi in essa contenute - nella medesima ottica ricostruttiva che permea la procedura fallimentare; e la stessa minaccia della sanzione penale e' in tal senso funzionale, sicche' potrebbe al piu' porsi il problema della vincolativita' dell'invito a rendere quella dichiarazione - e quindi della possibilita' di scriminare penalmente il rifiuto di renderla - nel caso in cui da esse potrebbero discendere delle conseguenze penali per il fallito che la rende. Di la' delle indicate specifiche ipotesi di rilevanza penale, rimane incondizionato il diritto al silenzio del fallito, come di chiunque e', piu' in generale, richiesto di fornire informazioni in ordine a fatti che riguardano e cio' a maggior ragione nel caso del possibile rilievo penale che queste potrebbero assumere nei propri o altrui confronti (la questione affrontata dal giudice sovranazionale e costituzionale riguardava invero l'ipotesi controversa del diritto a rimanere in silenzio, ossia di non essere costretto "sotto minaccia" di una sanzione a rendere dichiarazioni potenzialmente contra se ipsum, e dunque a rispondere a domande dalle quali possa emergere una propria responsabilita'). Ne discende che nel caso in esame non e' ravvisabile alcuna inutilizzabilita', ne' contra se ne' contra alios, delle dichiarazioni rese in ambito fallimentare al curatore dai coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) (che si sarebbero peraltro limitati ad affermare la esistenza del comitato esecutivo ossia circostanza non avente di per se' valore incriminante). Non potendo trovare applicazione in sede fallimentare, per le ragioni sopra esposte, il disposto di cui alla L. Fall., articolo 220 - costituente allo stato dell'arte l'unico strumento attraverso il quale, nei casi e alle condizioni in esso previsti, puo' trovare ingresso in ambito extra-penale lo statuto delle garanzie del codice di procedura penale, in esso compreso l'articolo 64 c.p.p. - rimane quindi palesemente infondata la questione sollevata dalla difesa circa la inutilizzabilita' di quelle dichiarazioni per non essere state assunte con le garanzie del codice di rito (dichiarazioni delle cui modalita' acquisitive non e' peraltro dato sapere, non avendo il ricorrente specificato neppure se esse - di la' della mancanza degli avvisi - fossero state in qualche modo pretese sotto la minaccia di sanzioni); garanzie del codice di rito che, a differenza di quanto assume la difesa, non sono estensibili a qualsiasi procedimento extra-penale per il solo fatto che quanto in esso si dichiara possa refluire nel processo penale, cio' nondimeno quel dichiarato potra' non essere utilizzabile ai fini punitivi ove ottenuto mediante costrizione (e cio' a prescindere dalla ricorrenza dei presupposti per la operativita' dello statuto penale delle garanzie). Alla stregua di quanto sopra osservato rimane, di la' della manifesta genericita' della sua formulazione, manifestamente infondata, e non rilevante rispetto al caso di specie, la questione di illegittimita' costituzionale dedotta con riferimento agli articoli 62, 63, 64, 191, 195 e 526 c.p.p. in relazione agli articoli 3, 24 e 111 Cost., nonche' all'articolo 6 CDEDU, quale norma interposta, e agli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'unione Europea, dal momento che attraverso, da un lato, l'interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente orientata di quelle norme - come scaturente dalla giurisprudenza suindicata - e, dall'altro, la disposizione di cui all'articolo 220 disp. att. c.p.p., deve ritenersi sufficientemente tutelato, in via generale, il diritto al silenzio della persona fisica, che scevra da costrizioni puo' sempre rifiutarsi di rendere dichiarazioni per lei dannose, in ogni sede ed ambito, e cio' a maggior ragione nel caso in cui da esse possano derivare conseguenze di tipo punitivo, laddove gli avvisi di cui allo statuto penale sono comunque previsti anche nei contesti non penali che abbiano i caratteri propri delle attivita' di ispezione e vigilanza (ossia caratteri in qualche modo assimilabili a quelli del procedimento penale), ma presuppongono in ogni caso - come nell'ambito del procedimento penale - l'emersione di indizi di reato a carico del dichiarante. 2.2. Nel passare al secondo motivo, si osserva come la sua disamina si ponga in conseguenza logico-ricostruttiva rispetto alle premesse gia' indicate nell'esaminare il primo motivo, che, nel dare atto della impostazione seguita dai giudici di merito nel tracciare il ruolo di (OMISSIS) - come dell'altro broker (OMISSIS) hanno indicato la trama portante della complessiva ricostruzione della vicenda in cui quel ruolo si inserisce; traccia portante che neppure il secondo motivo di ricorso, che ci si accinge a valutare, ha a sua volta effettivamente inciso. Si e' in particolare gia' evidenziato come la difesa si fermi a valutare comportamenti di (OMISSIS) rispetto al ruolo al medesimo riconducibile di broker, valorizzando il fatto che lo stesso esercitava per il tramite di (OMISSIS) s.r.l., ovvero di societa' regolarmente iscritta all'albo dei mediatori creditizi, attivita' di brokeraggio in favore di una pluralita' di societa' - (OMISSIS) operanti nel settore -, e come, essa, estrapolando quei comportamenti dal complessivo contesto in cui essi si inseriscono, non tenga conto della loro effettiva portata e delle ripercussioni che ebbero nella vita societaria della (OMISSIS) in argomento - (OMISSIS) - ne' dei pregiudizi conseguiti sul patrimonio della stessa; trattasi di fattori che, per un verso, contribuiscono a qualificare il ruolo di fatto svolto dal ricorrente in seno alla societa', e, per altro verso, a delineare la matrice illecita del contributo offerto; tali due piani finiscono con l'incontrarsi e sovrapporsi dal momento che il core business, se cosi' si puo' dire, di (OMISSIS), nei periodi oggetto di contestazione, secondo quanto emerso nel presente procedimento, e' rappresentato proprio da quel tipo di attivita' oggetto di incriminazione che vedeva il suo fulcro nell'opera dei broker quali procacciatori di fideiussioni. Anche il secondo motivo - con cui si deducono violazioni di legge e vizi di motivazione in relazione alla fattispecie della bancarotta impropria per operazioni dolose causative del fallimento (in particolare si deduce il travisamento del risultato probatorio e la violazione del canone di colpevolezza al di la' di ogni ragionevole dubbio) - e' inammissibile: rapportati gli argomenti in esso esposti e l'impostazione con cui si porta avanti il discorso sugli errori denunciati ai principi sopraindicati in punto di vizi deducibili in sede di legittimita' e di ambito di tale giudizio, rimane evidente che, anche in tal caso, quanto si deduce e' fuori dal tracciato sindacabile da parte di questa Corte. Neanche ha rilievo, invero, per forzare i tradizionali limiti del giudizio di legittimita', la regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio. Ed invero, tale regola dell'"al di la' di ogni ragionevole dubbio", secondo cui il giudice pronuncia sentenza di condanna solo se e' possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalita' e plausibilita', impone all'imputato che, deducendo il vizio di motivazione della decisione impugnata, intenda prospettare, in sede di legittimita', attraverso una diversa ricostruzione dei fatti, l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza, di fare riferimento ad elementi sostenibili, cioe' desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali (Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014 - dep. 08/05/2014, C e altro, Rv. 26040901). Detto principio, introdotto nell'articolo 533 c.p.p. dalla L. n. 46 del 2006, come pure ha gia' avuto modo di osservare questa Corte, non ha quindi mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza e non puo' essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicita' di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicita' sia stata oggetto come emerge nel caso di specie in cui le controdeduzioni difensive sono state oggetto di attenta riflessione gia' nella pronuncia di primo grado - di adeguata disamina da parte del giudice dell'appello; rimane il fatto che la Corte e' chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito (Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata e altro, Rv. 270519; in termini Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600; Sez. 5, n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579). 2.2.1. Lo stesso motivo di ricorso nel riportare il passaggio della sentenza impugnata in cui si descrive il meccanismo fraudolento - gia' sopra indicato nelle sue linee essenziali - nell'ottica di evidenziare la non esaustivita' della risposta che la stessa avrebbe fornito rispetto agli argomenti sollevati in appello, finisce con il toccare il punto cruciale della impostazione accusatoria, il cui nucleo essenziale, trattandosi di bancarotta impropria da operazioni dolose causative del fallimento, e' costituito dalla sistematica realizzazione di condotte che - di la' della legittimita' o meno dell'attivita' stricto sensu posta in essere dalla cofidi e della validita' delle fideiussioni dalla medesima rilasciate nell'espletamento di tale attivita' - sono state foriere di notevoli danni per la (OMISSIS) medesima, ossia per la societa' (OMISSIS), poi fallita. Cio' che e' stato ritenuto connotare di illiceita' le condotte di rilascio delle fideiussioni non e' tanto la loro mancanza di rispondenza ai dettami normativi che regolano la materia - di qui l'irrilevanza quindi di tutte le questioni sollevate con riferimento alla legittimita' dell'attivita' svolta alla luce della stratificazione normativa e interpretativa che ha interessato la materia dei cofidi cc.dd. minori e maggiori, ivi compresa quella da ultimo posta con la memoria suindicata alla stregua della pronuncia delle Sezioni Unite civili del 8.2.2022 n. 8472 - quanto piuttosto il meccanismo illecito che attraverso lo svolgimento di quell'attivita' e' stato messo in piedi e/o portato avanti dagli imputati - ciascuno in virtu' del ruolo di diritto e/o di fatto rivestito nel periodo storico di riferimento. Ed invero, osservano i giudici dell'appello che e' incontestato che (OMISSIS) trattenesse i premi e riversasse parte degli importi a (OMISSIS) e che vi siano stati scostamenti la cui entita' consente di ricostruire la patologica stratificazione del debito come una prassi consolidata; e che non si sia trattato di poste di dare risibili che hanno subito un mero ritardo nell'adempimento - si sottolinea emerge dalla condotta strumentalmente posta in essere contestata al capo C, dall'assenza di qualsivoglia iniziativa volta a dare corpo alla prospettiva di un inadempimento dovuto al ritardo nell'esecuzione delle rimesse gia' ab origine impropriamente trattenute. Si osserva altresi' come la prospettiva valorizzata in sede di dichiarazioni spontanee di fatto conferma l'anomalia di una collaborazione che trovava applicazione lasciando nelle tasche della societa' una percentuale non adeguata a consentire l'operativita' della (OMISSIS) oltre che non negoziata (cosi' testualmente in ricorso e nella sentenza impugnata a pag. 28). A fronte di tale granitica conclusione, esaurientemente ricostruita dalla corte di appello sulla scorta delle plurime emergenze processuali passate capillarmente in rassegna nella sentenza di primo grado, il ricorrente assume che la decisione e' giunta ad un risultato non corrispondente al compendio probatorio, riproponendo la diversa soluzione gia' prospettata dalla difesa che risulta di fatto superata proprio dalla ribadita evidenza del meccanismo societario e negoziale architettato volto a drenare denaro attraverso (OMISSIS) in favore delle societa' dei broker e non solo, giovandosi poi dei risultati cosi' ottenuti tutti gli imputati che, direttamente o indirettamente, tramite le societa' ad essi facenti capo ricevevano somme di denaro non dovute (cosi' anche gli altri amministratori di (OMISSIS) destinatari delle somme distratte di cui al capo B, e lo stesso (OMISSIS) come, si dira' in seguito); meccanismo che nel perpetuarsi nel tempo con i medesimi caratteri e scopi, secondo le conformi pronunce di merito, costitui' in buona sostanza il nucleo essenziale della condotta di bancarotta impropria per operazioni dolose ascritta anche - all'imputato al capo A; sicche' il contributo che (OMISSIS) offri' al funzionamento di quel "sistema" - di cui pure si contesta la sussistenza col secondo motivo in scrutinio - e', secondo il giudice di merito - per tutto quanto gia' sopra esposto nell'affrontare l'aspetto del suo ruolo nell'amministrazione di fatto - certamente rilevante e non seriamente mettibile in discussione alla stregua degli argomenti anche al riguardo riproposti che fanno pur sempre leva sulla marginalita' del ruolo di (OMISSIS) o meglio sulla sua collocazione in ambito extra-societario. A fronte della sistematica stipulazioni di fideiussioni per importi complessivi del tutto sproporzionati al patrimonio e alle capacita' economiche di (OMISSIS), in quanto finalizzati ad incrementare i premi e le relative percentuali che andavano a favore dei broker, e del sistematico drenaggio di risorse destinate alla societa' che comportava per il broker l'introito di denaro, la provvigione, oltre il limite previsto e in ogni caso in misura eccedente una ragionevole ed equa ripartizione del ricavo (che andava di fatto per circa il 70% al broker e per il restante alla cofidi) tra la societa' che stipulava la fideiussione e sulla quale ricadeva quindi l'oneroso obbligo di garanzia, (OMISSIS), e la societa' di brokeraggio - non vi e' spazio alcuno per le dissertazioni sulla scarsa chiarezza della disciplina che all'epoca dei fatti regolava il funzionamento e i limiti delle (OMISSIS) cd. minori e sulla possibilita' di configurare il dolo in capo all'imputato, Questi era invero colui il quale mandava avanti quel meccanismo; meccanismo che, come si e' piu' volte gia' detto, si connota per la sua illiceita' a prescindere dalle illegittimita' in senso stretto rilevabili in conseguenza dell'esatto inquadramento della societa' (OMISSIS) nella categoria di (OMISSIS) di riferimento e dell'esatta definizione del bacino di utenti a cui poteva rivolgersi l'attivita' di stipulazione delle fideiussioni dalla medesima svolta (essendo di fatto stata superata dalla ricostruzione del giudice di merito la iniziale prospettazione accusatoria contenuta nell'imputazione che faceva anche riferimento alla natura abusiva dell'attivita' svolta da (OMISSIS), perche' cio' e' stato ritenuto in definitiva rilevante, ed effettivamente rileva, ai fini che occupano - e che costituisce l'oggetto principale anche della stessa contestazione di accusa - e' che stipulando le fideiussioni anche con soggetti non consorziati, o comunque associati occasionalmente, e in favore anche di soggetti non bancari, si era incrementata a dismisura l'assunzione di garanzie fideiussorie da parte di (OMISSIS) e cio' senza che a un tale incremento corrispondesse una idonea contropartita per la societa' medesima, che peraltro, a monte, non disponeva neppure di adeguata capacita' patrimoniale). Le operazioni di verifica a cui avrebbe proceduto (OMISSIS), evidenziate in ricorso al fine di ricondursi e circoscriversi la sua attivita' alla normale istruttoria sulle richieste di fideiussioni da presentare poi alla direzione di (OMISSIS) S.c.p.A., non danno conto dell'effettiva portata del meccanismo fraudolento che attraverso quella procedura veniva realizzato nell'interesse precipuo, se non esclusivo, dei principali artefici di esso, di (OMISSIS) e della societa' (OMISSIS) da lui amministrata e, come si vedra', dell'altro broker (OMISSIS), da un lato, e di (OMISSIS) e (OMISSIS), dall'altro, che complici nella realizzazione di tale programma criminoso ricevevano anch'essi il loro tornaconto attraverso le distrazioni di cui si dira' in prosieguo. (OMISSIS) era, secondo la coerente ricostruzione dei giudici di merito, il dominus, supervisore, delle pratiche laddove i broker locali erano i ricettari delle richieste dei clienti. Il contenuto delle polizze era in buona sostanza deciso da (OMISSIS) tant'e' che sono state rinvenute anche stampati di polizze firmate in bianco dagli amministratori formali - che avrebbe piuttosto dovuto verificare la fattibilita' delle stesse, accertando la solvibilita' del cliente proponente, le eventuali garanzia offerte e quant'altro utile ai fini del buon esito dell'operazione; laddove il criterio di valutazione dell'istruttoria - che lo stesso ricorso imputa a (OMISSIS) assegnandogli un ruolo decisivo al riguardo non era improntato alla verifica della bonta' e convenienza dell'operazione quanto piuttosto teso alla massimizzazione delle pratiche (tant'e' che non di rado il cliente che stipulava la polizza si rivelava nei fatti insolvente, come dimostrano le consistenti ammissioni al passivo, intervenute nell'inevitabile fallimento che ne scaturi', dei creditori in favore dei quali quelle polizze vennero rilasciate). Ne' potrebbero valere a scardinare tale ricostruzione gli ulteriori argomenti posti dalla difesa secondo cui "(L)a torsione della lecita attivita' di intermediazione a fini illeciti risulta affermata in via meramente congetturale sulla scorta di prove orali sostanzialmente inconferenti nonche' dei contenuti dell'ordinanza di custodia cautelare adottata nell'ambito del procedimento dinanzi all'Autorita' romana, dalla quale si sono ricavati elementi conoscitivi ai fini della ricostruzione del fatto, in violazione del divieto di utilizzabilita' ex articoli 191, 234, e 238 bis c.p.p.", dal momento che non corrisponde a verita' che le sentenze sono pervenute alla dimostrazione di un illecito meccanismo di drenaggio delle risorse societarie solo attraverso il richiamo del citato provvedimento cautelare, e il riferimento da esse operato alle imputazioni e ai fatti storici di cui al provvedimento cautelare - inerente ad episodi riguardanti societa' diverse da (OMISSIS) - e' finalizzato unicamente a dar conto dell'esistenza di tale procedimento istaurato presso il Tribunale di Roma, all'epoca in cui le varie societa' avevano sede nella capitale, e del fatto che anche in tale procedimento erano coinvolti anche (OMISSIS) e (OMISSIS) (in relazione alle societa' (OMISSIS) e (OMISSIS); laddove costituisce peraltro un dato di fatto certo che la medesima attivita' fosse svolta dai medesimi soggetti con altre entita'). Del tutto generica e', infine, la contestazione mossa riguardo all'entita' dei premi trattenuti dalla societa'/broker, avendo la corte di appello gia' chiarito che e' incontestato che (OMISSIS) trattenesse i premi e riversasse solo alcuni importi a (OMISSIS) e che vi siano stati scostamenti la cui entita' consente di ricostruire la patologica stratificazione del debito come una prassi consolidata instaurata tra (OMISSIS) e (OMISSIS) a discapito solo di quest'ultima. E ha anche precisato la sentenza impugnata che non si e' trattato di mere poste di dare che hanno subito una mero ritardo nell'adempimento, come emerge dalla condotta di falsificazione delle scritture contabili strumentalmente posta in essere anche proprio al fine di mascherare tale realta' e dall'assenza di qualsivoglia iniziativa volta a dare corpo alla prospettiva di un inadempimento dovuto al ritardo nell'esecuzione delle rimesse, gia' all'origine impropriamente trattenute. Sicche' il motivo in scrutinio nella misura in cui vorrebbe desumere elementi di incertezza proprio dalla inattendibilita' della documentazione contabile si appalesa inammissibile anche in parte qua, non essendo sostenibile che la carenza di certezza derivante dalle false rendicontazioni debba indurre a ritenere che si tratti solo di poste di dare e di avere e di questione civilistica di inadempimento; tale ipotesi alternativa, come si e' gia' detto, e' stata invece esaurientemente esclusa dai giudici di merito alla stregua non solo della ricostruzione complessiva della vicenda ma anche delle specifiche ragioni individuate al riguardo - sopra indicate - che escludono la riconducibilita' del trattenimento dei premi a mero inadempimento di natura civilistica. La stessa prospettiva valorizzata in sede di dichiarazioni spontanee rese da (OMISSIS) - aggiunge la corte di appello - secondo cui la percentuale riconosciuta a (OMISSIS) ammontava al 30% ma ad essa doveva sommarsi altra percentuale del 35-40% riconosciuta ai brokers locali, di fatto conferma l'anomalia di una collaborazione che trovava applicazione lasciando nelle casse della societa' una percentuale non adeguata a consentire l'operativita' della (OMISSIS), oltre che non negoziata; trattasi peraltro di prospettazione esaustivamente contraddetta gia' nella sentenza di primo grado che evidenzia come la stessa documentazione versata dalla difesa deponga per il calcolo della percentuale riconosciuta ai broker sull'importo incassato dalla societa' (OMISSIS) per (OMISSIS), alla quale, come anche logica suggerisce - chiosa la corte territoriale - non avrebbero potuto essere d'altronde addossati oneri e spese proprie della societa' di broker (OMISSIS), con duplicazione di poste passive. Meramente congetturale e' poi l'ulteriore argomento speso al riguardo che sembra, a tratti, voler giustificare l'importo ritenuto eccessivo dal giudice di merito alludendo alla liberta' di contrattazione delle provvigioni e all'"importante pacchetto di clientela e di brokers riconducibile a (OMISSIS) s.r.l.", che avrebbe consentito a (OMISSIS) di incrementare il suo patrimonio al netto delle legittime provvigioni di (OMISSIS) e dei broker/agenti locali di cui la predetta (OMISSIS) disponeva; laddove l'accordo criminoso, a differenza di quanto si contesta genericamente in ricorso, e' emerso da una pluralita' di elementi, tra i quali campeggia certamente quello della non affatto equa ripartizione dei premi tra la societa' che assumeva l'obbligo derivante dalla fideiussione e quella che aveva provveduto unicamente all'intermediazione nella stipulazione del contrato (che non e' pero' l'unico posto a base della ricostruzione del giudice di merito, cfr. al riguardo la sentenza impugnata e quella di primo grado, pag. 65, in cui ancor meglio si evidenzia come, col meccanismo instaurato, (OMISSIS) fosse destinata al fallimento, atteso che i premi a lei destinati erano del tutto inadeguati alla gestione, operando la stessa senza quella capacita' patrimoniale che le avrebbe consentito di far fronte alla mole delle garanzie prestate; sicche', in definitiva, l'incremento del pacchetto di clientela scaturiva, piuttosto, dall'assenza di una effettiva verifica della solvibilita' dei clienti che andavano a stipulare le polizze, che spesso diventavano soci della (OMISSIS) solo all'atto della stipulazione della fideiussione - dato di fatto questo non contestato come sottolineano i giudici di merito soprattutto nella pronuncia di primo grado; d'altronde nel fallimento poi dichiarato il passivo fallimentare ammesso era costituito per circa dieci milioni proprio dai crediti degli enti, in prevalenza enti pubblici e agenzie delle entrate, che rimasti insoddisfatti per il mancato adempimento dei loro debitori, i clienti di (OMISSIS) che avevano stipulato le fideiussioni per ottenere i rimborsi, avevano dovuto azionare le polizze fideiussorie nei confronti di (OMISSIS). 2.2.2. L'impostazione seguita dai giudici di merito e' in linea con la giurisprudenza di questa Corte che ha gia' avuto modo di affermare che in tema di bancarotta fraudolenta societaria, integra l'ipotesi di causazione dolosa del fallimento (L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2) la prestazione di fideiussioni bancarie, pur formalmente ricompresa nell'oggetto sociale, in modo continuativo, per importi superiori al valore del proprio patrimonio e senza significativa contropartita, in favore di altra societa' in grave situazione di dissesto, amministrata dallo stesso legale rappresentante della societa' garante, con cio' determinando il fallimento di quest'ultima, trattandosi di attivita' non congruente e contraria agli interessi della fallita, oltre che dei soci e dei creditori della stessa, in quanto intrinsecamente pericolosa per la salute economico-finanziaria dell'impresa (cfr. Sez. 5, n. 9843 del 12/10/2018 Ud. (dep. 06/03/2019), Rv. 275501 - 01); con riferimento al caso di specie, mutatis mutandis, si puo' quindi affermare che integra l'ipotesi di causazione del fallimento per effetto di operazioni dolose (L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2) la prestazione di fideiussioni, pur formalmente ricompresa nell'oggetto sociale, per importi superiori al valore del proprio patrimonio e senza corrispondente adeguata contropartita, in modo. continuativo ed indiscriminato in favore di terzi, con cio' determinando il fallimento della societa' garante, trattandosi di attivita' non congruente e contraria agli interessi della fallita, oltre che dei soci e dei creditori della stessa, in quanto intrinsecamente pericolosa per la salute economico-finanziaria dell'impresa. Nel caso di specie a tale sistematica attivita' di rilascio di fideiussioni contraria agli interessi societari in quanto foriera di impegni obbligazionari per la societa' a cui la stessa non era capace di far fronte, si e' aggiunto il mancato versamento, entro il termine previsto, delle ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituti per il periodo d'imposta 2010 per l'ammontare di Euro 179.591 ed Euro 117.048, che andava a sua volta ad incidere sul fallimento. Quanto, infine, all'apporto causale della singola condotta, messo in discussione con riferimento all'omesso versamento delle ritenute di imposta, e' solo il caso di evidenziare che trattasi solo di uno dei debiti a cui non fece fronte (OMISSIS) che evidentemente ando' ad incrementare dapprima lo stato di insolvenza che porto' al fallimento - di cui erano evidentemente consapevoli gli imputati che, in attuazione del loro comune programma delittuoso, badando al proprio profitto, agirono in maniera sistematica ai danni di (OMISSIS) facendole accumulare un debito complessivo del tutto sproporzionato alle sue capacita' patrimoniali ed economiche rispetto al quale quello per l'omesso versamento delle ritenute costituisce peraltro solo un piccolo tassello - e poi lo stesso passivo fallimentare (sicche' inconferente rimane il richiamo operato in ricorso alla pronuncia di questa Corte, Sez. 5 n. 34836 del 30.5.2017). Il motivo e', pertanto, nel suo complesso anche manifestamente infondato perche', come ha piu' volte avuto modo di osservare questa Corte, la fattispecie di fallimento cagionato da operazioni dolose, prevista dalla L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2, presuppone una modalita' di pregiudizio patrimoniale discendente non gia' direttamente dall'azione dannosa del soggetto-attivo, ma da un fatto di maggiore complessita' strutturale, riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralita' di atti coordinati all'esito divisato e si distingue dalle ipotesi generali di bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui al combinato disposto della L. Fall., articolo 223, comma 1, e articolo 216, comma 1, n. 1), - in cui, invece, le disposizioni di beni societari (qualificabili in termini di distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione) sono caratterizzate, secondo una valutazione "ex ente", da manifesta ed intrinseca fraudolenza, in assenza di qualsiasi interesse per la societa' amministrata (Sez. 5, n. 12945 del 25/02/2020, Rv. 279071 - 01). 2.3. Il terzo motivo di ricorso di ricorso e' fondato con riferimento alle sole condotte di bancarotta patrimoniale di cui al capo B, contestate come realizzate mediante la societa' (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.r.l., apparendo trattarsi di condotte gia' ricomprese nella fattispecie di causazione del fallimento con operazioni dolose di cui al capo A dell'imputazione. Premesso che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, qui condivisa, non e' configurabile il concorso formale tra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e quello di operazioni dolose causative del fallimento, ma solo quello materiale nel solo caso in cui oltre allo schema tipico L. Fall., ex articolo 216 si siano verificati differenti e autonomi comportamenti dolosi che siano stati causa del fallimento, appare evidente come nel caso di specie erroneamente si sia invocato l'assorbimento delle condotte di cui al capo A nella fattispecie sub B alla stregua del principio sopra enunciato. Ed infatti, comparando le condotte concrete riconducibili alle due ipotesi criminose in argomento si scorge come le operazioni dolose causative del fallimento non si esauriscano affatto nelle condotte distrattive di cui la capo B e che l'unico punto di coincidenza e' costituito dai premi illegittimamente incassati da (OMISSIS) e (OMISSIS) attraverso le societa' (OMISSIS) e (OMISSIS), ad essi rispettivamente riconducibili; tali incassi, come si e' gia' piu' volte in precedenza sottolineato, rientrano nell'ambito del sistema illecito che condusse (OMISSIS) al fallimento sicche' rispetto alle condotte che li realizzarono imputabili come detto a tutti gli imputati - s'impone nuova disamina da parte del giudice di merito; che le ha, invece, ricondotte anche alla fattispecie della bancarotta fraudolenta patrimoniale, il quale rivalutera' quanto oggetto di specifica devoluzione alla stregua del seguente principio di diritto: non e' configurabile il concorso formale tra il reato di bancarotta impropria da operazioni dolose, di cui alla L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2 e quello di bancarotta fraudolenta patrimoniale che deve considerarsi assorbito nel primo quando la condotta distrattiva sia gia' ricompresa nell'abito della causazione dolosa del fallimento e rilevi non gia' come condotta distrattiva in se' considerata ma come parte di ben piu' complessa vicenda causativa del fallimento (cosi' argomentando anche alla stregua di Sez. 5, n. 44103 del 27/06/2016, Rv. 268207 - 01), tenendo conto che pero' nel caso di specie la valutazione deve essere circoscritta al segmento relativo ai premi incassati tramite (OMISSIS) e (OMISSIS), l'unico presente in entrambe le contestazioni; indi, se del caso, procedera' alle conseguenti rivalutazioni per le ricadute sulla determinazione della pena. Nel resto il motivo e' manifestamente infondato risultando le ulteriori condotte distrattive distinte rispetto a quelle contemplate nell'ambito della bancarotta impropria. Gia' alla stregua della stessa imputazione e' facile constatare che non vi e' affatto perfetta coincidenza - al netto di quelle afferenti i premi - tra le ipotesi distrattive di cui al capo B e quelle afferenti le operazioni dolose del capo A, che rimangono materialmente autonome e distinte tra loro. Mentre le operazioni dolose sono consistite soprattutto nel complessivo, sistematico, meccanismo che vedeva, da un lato, il drenaggio di risorse che avrebbe dovuto essere destinate a (OMISSIS) e, dall'altro, al contempo, l'assunzione indiscriminata di obblighi di garanzia da parte della medesima societa', che medio tempore l'avrebbe condotta al fallimento, le condotte distrattive - residue - si sono risolte nella spoliazione immediata del patrimonio per la parte delle somme di denaro confluite - senza giustificazione - nelle tasche di (OMISSIS) e di (OMISSIS). Secondo la giurisprudenza di questa Corte, d'altronde, i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale (L. Fall., articolo 216 e articolo 223, comma 1) e quello di bancarotta impropria di cui alla L. Fall., articolo 223 comma 2, n. 2, hanno ambiti diversi: il primo postula il compimento di atti di distrazione o dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di libri e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione delle vicende societarie, atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto; il secondo concerne, invece, condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione di attivita' - ne' si risolvono in un pregiudizio per le verifiche concernenti il patrimonio sociale da operarsi tramite le scritture contabili - ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento. Ne consegue che, in relazione ai suddetti reati, mentre e' da escludere il concorso formale e', invece, possibile il concorso materiale qualora, oltre ad azioni ricomprese nello specifico schema della bancarotta L. Fall., ex articolo 216, si siano verificati differenti ed autonomi comportamenti dolosi i quali - concretandosi in abuso o infedelta' nell'esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per l'andamento economico finanziario della societa' - siano stati causa del fallimento (cfr. per tutte, Sez. 5, n. 533 del 14/10/2016 Ud. (dep. 05/01/2017), Rv. 269019 - 01; conf. Sez. 5, Sentenza n. 24051 del 15/05/2014, Rv. 260142 - 01). 2.4. Il quarto motivo nella parte in cui afferma che non possa desumersi dalla contabilita' irregolare e carente della societa' (OMISSIS) la prova di un meccanismo di appropriazione delle altrui risorse che vada al di la' di normali e fisiologici discostamenti nei rapporti di dare e avere tra le due societa' ((OMISSIS) e (OMISSIS)), a fronte della miriade di fatture emesse nel corso degli anni, e' stato gia' oggetto di diffusa disamina nell'ambito dello scrutinio dei primi due motivi, disamina che, come visto, ha condotto alla esclusione della valenza civilistica degli inadempimenti, oltre che in occasione del terzo motivo in cui si e' anche precisato che le condotte specifiche afferenti i premi andrebbero, previe le opportune verifiche del caso da parte del giudice di merito, piu' correttamente inquadrate nella fattispecie delle operazioni dolose causative del fallimento di cui al capo A e non nella bancarotta distrattiva. Esso e' in ogni caso nel suo complesso generico e non considera che risultano specificamente e partitamente esaminate le diverse falsificazione delle scritture contabili realizzate proprio al fine di celare le condotte illecite intervenute (tra queste anche quelle in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS)). Al fine di occultare i compensi illeciti a favore degli amministratori (OMISSIS) e (OMISSIS) - ricostruiti anche sulla scorta degli estratti conto - era stata, in particolare, operata una posta fittizia di credito in bilancio trovante causa in una transazione che presupponeva la escussione di una polizza mai escussa. Quanto poi al contributo del ricorrente riguardo agli esborsi degli importi versati a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rispetto al quale si assume del tutto omessa la motivazione - ma in effetti non risulta neppure formulato uno specifico motivo di appello al riguardo secondo quanto si riporta nella incontestata sintesi della sentenza impugnata - e' solo il caso di ribadire quanto gia' ampiamente osservato nella disamina dei motivi precedenti: i fatti distrattivi non costituiscono delle monadi a se' stanti ma fanno parte di un'unica vicenda criminosa che si appalesa unitaria non solo e non tanto perche' afferente ad un unico fallimento ma soprattutto perche' le varie condotte poste in essere dagli imputati, d'accordo tra loro, sono le une strettamente collegate alle altre. E' anche il caso di rammentare che le condotte sono state ascritte al ricorrente nella sua qualita' di amministratore di fatto - qualifica rispetto alla quale valgono le osservazioni gia' sopra svolte con riferimento al primo motivo di ricorso che ne aveva precipuamente contestato a sussistenza - e che in ogni caso il sistema illecito come congegnato implicava l'accordo criminoso a monte tra gli imputati, i quali, ciascuno in funzione del ruolo formale o di fatto rivestito, davano il loro contributo alla realizzazione di quel meccanismo fraudolento, necessitando sul fronte di (OMISSIS), ossia della societa' assuntrice delle fideiussioni, il benestare di amministratori formali compiacenti e su quello di (OMISSIS) e (OMISSIS) l'attivismo di soggetti del settore come (OMISSIS) e (OMISSIS); sicche', come efficacemente si osserva nella sentenza impugnata, "la condotta concorsuale comporta che l'operativita' illecita consentisse a tutti i soggetti coinvolti di avere un ritorno, ritorno che non e' l'unico parametro sul quale si misura contributo concorsuale". Tale passaggio della motivazione - riportato in ricorso - non esaurisce, pero', la ricostruzione svolta dal giudice di merito, se si considera che cio' che afferma e descrive la corte di appello trova il suo antefatto ricostruttivo nella ben piu' ampia motivazione della pronuncia di primo grado in cui i giudici, nell'esaminare le risultanze acquisite nel dibattimento svoltosi dinanzi ad essi, avevano, anche riguardo a tale aspetto, gia' esaustivamente affrontato le questioni poi riproposte in appello e qui pedissequamente nuovamente poste senza tenersi conto che l'argomento era stato gia' ampiamente arato. La impostazione omnicomprensiva criticata in ricorso non e' dunque tesa, a differenza di quanto assume la difesa, a svuotare di significato la fattispecie concorsuale quanto piuttosto ad evidenziare come nel caso di specie la condotta illecita va considerata nella sua unitaria dimensione concorsuale e la sua valutazione non puo' prescindere dal coinvolgimento di ciascuno, ivi compreso il (OMISSIS) che in qualita' di amministratore di fatto procedeva anche alla rettifica dei rendiconti. 2.5. Il quinto motivo, con cui si contesta la sentenza impugnata in punto di conferma della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale sotto il duplice profilo della violazione di legge e del difetto di motivazione - e' anch'esso aspecifico e meramente reiteracivo di questioni gia' ampiamente affrontate e risolte dal giudice di appello (e prima ancora da quello di primo grado). Innanzitutto, deve osservarsi che alcuna contraddizione e' rinvenibile con riferimento alle condotte di bancarotta fraudolenta documentale contestate, ruotando la contestazione unicamente intorno all'ipotesi della tenuta delle scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. Ed infatti, le falsificazioni ascritte e ravvisate dai giudici di merito ineriscono alla tenuta delle scritture contabili e non costituiscono condotte successive equiparabili a quelle dell'occultamento, distruzione, di cui alla L. Fall., articolo 216, n. 2, prima parte. Ed invero, in tema di bancarotta documentale, la condotta di falsificazione delle scritture contabili prevista dalla prima parte della L. Fall., articolo 216, comma 1, n. 2, puo' avere natura tanto materiale che ideologica, consistendo comunque nella manipolazione di una realta' contabile gia' definitivamente formata; diversamente, la bancarotta documentale "generica" prevista dalla seconda parte della norma si realizza sempre con una falsita' ideologica contestuale alla tenuta della contabilita', e cioe' mediante l'annotazione originaria di dati oggettivamente falsi o l'omessa annotazione di dati veri, realizzata con le ulteriori connotazioni modali descritte dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 5081 del 13/01/2020, Rv. 278321 - 01); e nel caso di specie e' indubbio che si e' ritenuto - da parte non solo dei giudici di primo ma anche di quelli di secondo grado, come risulta facilmente se la lettura della sentenza impugnata non e' circoscritta ai soli passi estrapolati da ricorrente per far emergere l'insanabile contraddizione tra le due pronunce sul punto, assunta dalla difesa come premessa del ragionamento - che la falsita' ideologica si sia realizzata in via contestuale alla tenuta della contabilita' (laddove anche i cd. rimaneggiamenti, possibili proprio in virtu' dell'assenza di un'ordinata rendicontazione, si inserivano pur sempre nell'ambito della "tenuta" delle scritture contabili), e cioe' mediante l'annotazione originaria di dati oggettivamente falsi o l'omessa annotazione di dati veri, con le ulteriori connotazioni modali descritte dalla norma incriminatrice, ossia in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, e che nel caso di specie si tratti della fattispecie della tenuta fraudolenta delle scritture contabili di cui alla L. Fall., articolo 216, n. 2, seconda parte (cosi' come contestato). A tale condotta di falsificazione si aggiunge, poi, quella della tenuta confusa e incompleta delle scritture, ferme al 2011, come emerge anche dalla sentenza di appello, che anzi alla pagina 33 indicata in ricorso nel precisare che "pacifico che la documentazione fosse conservata in maniera incompleta e confusa, nonche' ferma al 2011, la contestazione attiene la falsificazione delle scritture o la tenuta utile a non consentire la ricostruzione del patrimonio mediante piu' articolate condotte", correttamente equipara le falsificazioni ricondotte alla L. Fall., articolo 216, n. 2, seconda parte alla tenuta irregolare e incompleta della contabilita' parimenti sussumibile, e sussunta, nella medesima seconda parte della disposizione citata. E quanto alla capitalizzazione della societa' mediante il conferimento dei titoli (OMISSIS), a differenza di quando assume il ricorrente, la corte di appello, nel richiamare la sentenza di primo grado che aveva gia' chiarito tutti i risvolti della vicenda, non manca di precisare che trattasi di condotta attraverso la quale e' stata esposta anche in bilancio "una posta fittizia con le implicazioni rilevanti quanto alla bancarotta documentale, fatto anch'esso articolantesi in una pluralita' di condotte tutte convergenti nella non corretta tenuta della contabilita' al fine di impedire la ricostruzione degli affari"; dopo di che la corte territoriale espressamente richiama il passaggio della pronuncia di primo grado che correla l'operazione de qua con la necessita' di continuare a svolgere l'attivita' in termini piu' massivi stante le perquisizioni operate nel maggio 2010. Quanto, poi, all'attribuibilita' a (OMISSIS) anche della falsa patrimonializzazione mediante l'appostazione del titolo apportato dal socio sovventore (OMISSIS) LTD, infondata e' la deduzione secondo cui la sentenza impugnata sarebbe rimasta silente sul punto; ed invero, fermo restando il richiamo per relationem, in premessa operato dal giudice di secondo grado alla sentenza di primo grado, che aveva certamente con maggiore ampiezza affrontato tutti gli aspetti della vicenda esplicitando anche quelli afferenti la posizione specifica del ricorrente, deve rilevarsi che la corte di appello ha comunque piu' volte spiegato con argomenti validi in generale per tutti gli imputati - che la complessiva vicenda dovesse essere ricostruita in termini di concorso tra essi, di condivisa realizzazione del sistema illecito che comportava l'assunzione, sempre di comune accordo, di condotte illecite su piu' fronti, ivi compreso quello afferente la tenuta delle scritture contabili, ed atti conseguenziali, e la capitalizzazione apparente, resasi necessaria anche proprio in conseguenza dell'impostazione illecita data, da tutti gli imputati, alla gestione della societa' (di cui (OMISSIS) era, peraltro, co-amministratore di fatto); sicche' irrilevante rimane la circostanza - e la corte di appello espressamente esclude che essa possa di per se' consentire di eliminare il coinvolgimento degli altri - secondo cui (OMISSIS) si sarebbe assunto la paternita' dell'operazione in questione, dal momento che essa - come precisato dalla stessa corte di appello era servita per consentire a tutti gli imputati di proseguire nella loro illecita attivita'. Del tutto congetturale e' poi quanto si prospetta in ricorso a sostegno dell'estraneita' di (OMISSIS) rispetto alla rettificazione dei rendiconti relativi alle polizze stipulate da (OMISSIS) s.r.l., basantesi su un argomento di tipo logico non dotato di stringente valenza idonea a inficiare il complessivo percorso argomentativo sviluppato dai giudici di merito anche al riguardo. Del pari privo di pregio risulta, infine, la doglianza che lamenta che si sia considerata solo la contabilita' di (OMISSIS) e non anche quella di (OMISSIS), non oggetto di rilievi di carattere tributario o penale, non considerando essa che il fallimento ha riguardato unicamente (OMISSIS) e che quindi a tale societa' andavano indirizzati gli accertamenti del caso. 2.6. Il sesto motivo nel riprodurre argomenti gia' spesi di volta in volta coi precedenti motivi si appunta sulla componente soggettiva, contestandola, relativa alle tre fattispecie ascritte al ricorrente (ai capi A, B e C). Non possono quindi che richiamarsi in premessa tutti gli argomenti gia' svolti nel passare in rassegna i primi cinque motivi del ricorso in scrutinio, la cui disamina ha gia' implicato anche valutazioni afferenti l'aspetto psichico dei reati. Rimane solo da precisare che, come ha chiarito la giurisprudenza di questa Corte, in tema di bancarotta L. Fall., ex articolo 223, comma 2, n. 2, quanto all'elemento psicologico, sostanziandosi la fattispecie in esame in una "eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale", in relazione ad essa "esaurisce l'onere probatorio dell'accusa la dimostrazione della consapevolezza e volonta' della natura "dolosa" dell'azione, costitutiva dell'operazione", a cui segue il dissesto, in una con l'astratta prevedibilita' dell'evento scaturito per effetto dell'azione antidoverosa" (Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010 - dep. 07/05/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti S.p.a. e altri, Rv. 247313 - 4 - 5). Sicche', nell'ipotesi di fallimento causato da operazioni dolose non determinanti come nel caso di specie - un immediato depauperamento della societa', la condotta di reato e' configurabile quando la realizzazione di tali operazioni si accompagni, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, alla prevedibilita' del dissesto come effetto della condotta antidoverosa (Sez. 5, n. 45672 del 1/10/2015, Lubrina, Rv. 265510 in motivazione; di recente, sulla natura preterintenzionale del reato, vedi anche Sez. 5, n. 38728 del 3/4/2014, Rampino, Rv. 262207). Ne discende che la questione della prevedibilita' del dissesto da parte degli imputati, che si assume non oggetto di approfondimento argomentativo da parte del giudice di merito, risulta invece affrontata e sufficientemente motivata, trattandosi di aspetto correlato alla dinamica insita nel meccanismo illecito concordato ed attuato dagli imputati, sopra descritto, che in maniera esponenziale sottoponeva la societa' e il suo patrimonio a crescente esposizione, che inevitabilmente avrebbe condotto al fallimento; circostanza di cui evidentemente non potevano non rendersi conto gli imputati che quel meccanismo consapevolmente e dolosamente attuarono. D'altronde, l'onere probatorio dell'accusa, rispetto a tale fattispecie, si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volonta' dell'amministratore della complessa azione arrecante pregiudizio patrimoniale nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i propri doveri a fronte degli interessi della societa', nonche' dell'astratta prevedibilita' dell'evento di dissesto quale effetto dell'azione antidoverosa, non essendo invece necessarie la rappresentazione e la volonta' dell'evento fallimentare (Sez. 5, n. 38728 del 03/04/2014, Rv. 262207). Nel fallimento conseguente ad operazioni dolose, esso e' solo l'effetto - dal punto di vista della causalita' materiale - di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell'operazione ha accettato il rischio dello stesso. Quel che la L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2 richiede ai fini del perfezionamento dell'elemento soggettivo e' la volonta' di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alla finalita' dell'impresa e di compiere atti che cagionino, o possano cagionare, danno ai creditori. E nel caso di specie, e' stato dimostrato, come detto, dai giudici di merito che la prestazione indiscriminata delle fideiussioni, e la conseguente sovraesposizione debitoria della societa', voluta dagli imputati, sia stato il fattore determinante e la causa principale del fallimento della societa'. Consegue che ogni ulteriore specificazione - riguardo ad esempio alla circostanza, pure citata in ricorso, della stratificazione della legislazione disciplinante la materia dei cofidi comunque considerata dai giudici di merito e ritenuta non decisiva ai fini che occupano - non avrebbe aggiunto alcunche' ad un quadro complessivo che gia' di per se' depone per la sussistenza anche dell'elemento soggettivo del reato in argomento. Lo stesso deve dirsi per la bancarotta distrattiva, laddove la consapevolezza della messa in pericolo del patrimonio societario derivante dalle condotte distrattive, e' anch'essa in re ipsa avendo esse avuto ad oggetto sottrazioni di somme di denaro prive di alcuna giustificazione riguardo all'interesse dell'impresa. Tutto cio' senza considerare che, peraltro, secondo la ricostruzione del giudice di merito - non oggetto, sul punto, come sopra visto di effettive critiche disarticolanti - al (OMISSIS) le condotte sono anche ascritte nella sua qualita' di amministratore di fatto della (OMISSIS), circostanza questa che non consente a monte di ritenere che l'imputato abbia agito senza rendersi conto delle condizioni patrimoniali dell'ente. Quanto, infine, alla bancarotta fraudolenta documentale ravvisata nel caso di specie, a tutto quanto gia' sopra detto in occasione dell'esame degli altri motivi, e' solo il caso di aggiungere che ai fini della sua integrazione e' richiesto il dolo generico (cfr. tra tutte Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, Rv. 271753 - 01). 2.7. Il settimo motivo nella parte in cui assume che non si comprenderebbe se sono state contestate entrambe le aggravanti della L. Fall., articolo 219 e' manifestamente infondato: e' invero solo il caso di evidenziare che quella dei piu' fatti di bancarotta, oltre ad essere specificamente indicata, si evince in maniera piana dalla stessa formulazione dell'imputazione che enuncia piu' fatti di bancarotta propria e impropria; mentre per l'aggravante del danno di rilevante gravita' parimenti non potrebbe sorgere alcun dubbio sulla sua contestazione dal momento che essa e' espressamente non solo contemplata ma anche descritta nell'imputazione; ne' potrebbe assumere rilievo per inficiare la contestazione, il fatto che entrambe le aggravanti risultano aggiunte a penna in calce alla imputazione riportata nella sentenza di secondo grado - laddove esse sono gia' presenti anche in quella di primo grado -, non essendo peraltro messa in discussione la loro contestazione da parte dell'accusa. Quanto poi alla contestazione del mancato accertamento dell'entita' del danno, svolta mediante il riferimento alla giurisprudenza di questa Corte in caso di bancarotta distrattiva, deve preliminarmente osservarsi che nel caso di specie l'aggravante in parola risulta contestata con riferimento a tutte le ipotesi criminose, non solo quindi in relazione alla bancarotta fraudolenta patrimoniale. Cio' nondimeno la censura al riguardo e' fondata nel merito. Ed invero, come ha avuto modo di affermare piu' volte questa Corte, la circostanza aggravante del "danno patrimoniale di rilevante gravita'" di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 1, si configura solo se ad un fatto di bancarotta di rilevante gravita', quanto al valore dei beni sottratti all'esecuzione concorsuale, corrisponda un danno patrimoniale per i creditori che, complessivamente considerato, sia di entita' altrettanto grave (Sez. 5, Sentenza n. 48203 del 10/07/2017, Rv. 271274 - 01), laddove nel caso di specie l'affermazione della sussistenza di tale aggravante, genericamente ed erroneamente affermata con riferimento alle ipotesi contestate sulla base dell'entita' del passivo, a fronte della contestazione sollevata gia' in appello, andava certamente preceduta da una compiuta disamina delle circostanze concrete che avevano condotto a ravvisarla. Discende che la sentenza impugnata deve essere annullata - per tutti gli imputati - con riferimento all'aggravante del danno di rilevante gravita', la cui sussistenza andra' verificata in relazione a ciascuna fattispecie criminosa alla stregua delle seguenti coordinate interpretative. Si dovra' considerare che mentre la bancarotta fraudolenta patrimoniale e' reato di pericolo e non richiede - nell'azione del fallito - la dimostrazione di un danno reale ai creditori, essendo integrata anche soltanto con la mera messa in pericolo degli interessi creditori, senza necessita' di un pregiudizio, questo - ove sussistente in termini di rilevante gravita' - puo' integrare l'aggravante in esame (Sez. 5, n. 11633 del 08/02/2012 - dep. 26/03/2012, Lombardi Stronati, Rv. 252307); e che in questa prospettiva, si e' affermato che, ai fini dell'applicazione, della L. Fall., articolo 219, "la valutazione del danno va effettuata con riferimento non all'entita' del passivo o alla differenza tra attivo e passivo, bensi' alla diminuzione patrimoniale cagionata direttamente ai creditori dal fatto di bancarotta; pertanto, il giudizio relativo alla particolare tenuita' - o gravita' - del fatto non si riferisce al singolo rapporto che passa tra fallito e creditore ammesso al concorso, ne' a singole operazioni commerciali o speculative dell'imprenditore decotto, ma va posta in relazione alla diminuzione - non percentuale ma globale - che il comportamento del fallito ha provocato nella massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto, ove non si fossero verificati gli illeciti" (Sez. 1, n. 12087 del 10/10/2000 - dep. 23/11/2000, Di Muni, Rv. 217403; conf. Sez. 5, n. 8690 del 27/04/1992 - dep. 04/08/1992, (OMISSIS), Rv. 191565). Infatti, la L. Fall., articolo 219 "in funzione aggravante o attenuante considera il danno patrimoniale, il quale, ancorche' misurato al tempo del fallimento, e' solo quello che consegue ai fatti di bancarotta" (Sez. 5, n. 15613/15 del 05/12/2014, Geronzi). Tale orientamento si e' poi consolidato ribadendo il principio di diritto in forza del quale, in tema di reati fallimentari, l'entita' del danno provocato dai fatti configuranti bancarotta patrimoniale va commisurata al valore complessivo dei beni che sono stati sottratti all'esecuzione concorsuale, piuttosto che al pregiudizio sofferto da ciascun partecipante al piano di riparto dell'attivo, ed indipendentemente dalla relazione con l'importo globale del passivo (Sez. 5, n. 49642 del 02/10/2009 - dep. 28/12/2009, Olivieri, Rv. 245822; conf. Sez. 5, n. 8037 del 03/06/1998 - dep. 07/07/1998, Urso G, Rv. 211637; Sez. 5, n. 13285 del 18/01/2013 - dep. 21/03/2013, Pastorello, Rv. 255063). Affermazione, quest'ultima relativa alla configurabilita' della circostanza aggravante sulla base dell'entita' del danno provocato dal fatto di bancarotta e indipendentemente dalla relazione con l'importo globale del passivo, che merita una puntualizzazione: essa, infatti, mette in luce come la circostanza aggravante possa essere integrata anche in presenza di un danno derivante dal fatto di bancarotta che, pur essendo, in se' considerato, di rilevante gravita', rappresenti una frazione "non rilevante" del passivo globalmente considerato. La medesima affermazione, tuttavia, non puo' essere intesa nel senso che la circostanza aggravante sia configurabile in presenza di un fatto di bancarotta pur, in se', di rilevante gravita' quanto al valore dei beni sottratti all'esecuzione' concorsuale, senza, tuttavia, che il pregiudizio in capo ai creditori, complessivamente considerato sia esso stesso di rilevante gravita': un'interpretazione del genere, invero, priverebbe la circostanza di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 1, della sua connotazione di fattispecie di danno e non di pericolo. Se, dunque, per la particolare condizione patrimoniale della fallita, da un fatto di bancarotta patrimoniale di rilevante gravita' non e' derivato un danno anch'esso - di rilevante gravita', la fattispecie circostanziale non puo' dirsi integrata. Rilevata la assoluta carenza motivazionale della sentenza impugnata al riguardo, considerato che la verifica circa la riconoscibilita' dei requisiti della circostanza aggravante de qua implica accertamenti di merito (con riguardo, in particolare, alla incidenza, singolarmente considerata rispetto a ciascuna fattispecie criminosa, rispettivamente, delle somme distratte, dei crediti connessi alle fideiussioni causative del fallimento, in relazione al pregiudizio, complessivamente considerato, in capo ai creditori) preclusi a questa Corte, s'impone l'annullamento, anche in parte qua, della sentenza impugnata, con rinvio. 2.8. L'ottavo motivo che lamenta l'applicazione di una pena eccessiva e il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e' manifestamente infondato. La sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell'articolo 62-bis c.p.. in ogni caso oggetto di un giudizio di fatto, e puo' essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talche' la stessa motivazione, purche' congrua e non contraddittoria, non puo' essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato (ex multis, Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269; Sez. 6, n. 7707 del 04/12/2003 Ud. (dep. 23/02/2004) Rv. 229768). E' jus receptum che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non e', infatti, necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899); e nel caso di specie il giudice di merito, con motivazione esente da vizi, ha ritenuto, tra l'altro, decisiva, quanto a (OMISSIS), la mancanza di segni positivi idonei a giustificare un'attenuazione della pena (oltre che la gravita' della condotta, la scaltrezza e la professionalita' nell'agire); laddove l'assenza di ammissioni rispetto ai fatti, costituente legittima esplicazione del diritto di difesa, pur non potendo essere di per se' ritenuta ostativa al riconoscimento delle attenuanti generiche, puo' nondimeno risolversi in una carenza di elementi su cui fondare la concessione delle stesse. Quanto, infine, alla censura che si appunta sul trattamento sanzionatorio, essa e' inammissibile oltre che per evidente genericita' intrinseca anche per manifesta infondatezza, limitandosi a contestare valutazione discrezionale di merito non arbitrariamente motivata - sia in primo che in secondo grado - e in quanto tale non sindacabile, stante lo specifico riferimento alle ragioni che depongono per la elevata gravita' della condotta complessivamente considerata e che hanno indotto la corte territoriale a ritenere congrua anche la pena inflitta a (OMISSIS), nell'ambito di una valutazione che, sebbene sviluppata in termini cumulativi rispetto a tutti gli imputati - con una diversificazione riservata al solo (OMISSIS) sotto il profilo del riconoscimento delle attenuanti generiche - risulta del tutto congruente con la impostazione ricostruttiva della vicenda secondo cui le condotte ascrivibili a ciascun imputato confluiscono in essa convergendo in misura sotti certi aspetti equivalente alla realizzazione della disastrosa situazione fallimentare in cui piombo' la societa' (che come sottolinea la sentenza di primo grado proprio in occasione della determinazione delle pene vide "un buco" di circa 15 milioni di Euro che avrebbe potuto essere anche molto piu' consistente se non fosse stata adottata l'interpretazione che ha escluso dall'insinuazione al passivo coloro che attivarono le fideiussioni in epoca successiva al fallimento - o meglio che al momento della dichiarazione di fallimento non avevano un titolo esecutivo autonomo; con la precisazione che il sistema (OMISSIS) ebbe effetti disastrosi anche nei confronti di enti pubblici determinando l'incapienza del soggetto che avrebbe dovuto garantire i privati che acquistarono le fideiussioni). 3. Il ricorso nell'interesse di (OMISSIS). 3.1. Il primo motivo, di la' della sua genericita' deducendo sulla base di notizie di stampa la circostanza secondo cui il Presidente del collegio, Dott. Gamacchio, che ebbe a sottoscrivere la pronuncia impugnata era in aspettativa all'atto della sottoscrizione senza neppure precisare con esattezza il periodo di aspettativa, e' manifestamente infondato. Ed invero, in tema di formazione della sentenza penale, va distinta la sentenza-decisione, la quale afferma la volonta' dello Stato in ordine alla pretesa punitiva e si perfeziona con la lettura del dispositivo in pubblica udienza, a norma dell'articolo 472 c.p.p. 1930, dalla sentenza-documento, che si realizza con la redazione della motivazione la sottoscrizione ed il successivo deposito. Pertanto, al fine di accertare i requisiti di capacita' del giudice bisogna avere riguardo alla data della sentenza-decisione, la quale segna il momento centrale dell'esercizio della funzione giudiziaria, mentre il successivo collocamento in pensione del magistrato non preclude il compimento delle altre attivita' successive, che hanno natura complementare ed accessoria ed integrano lo sviluppo di una pronunzia validamente emessa (Sez. 6, Sentenza n. 1793 del 03/06/1993 Ud. (dep. 11/02/1994), Rv. 198561 - 01, nella specie questa Corte ha rigettato il ricorso che deduceva nullita' della sentenza sottoscritta dal presidente del tribunale in data successiva al suo collocamento a riposo.); a maggior ragione tale principio va riaffermato in caso di una mera sospensione dell'attivita' lavorativa, come nell'ipotesi dell'aspettativa. D'altro canto, hanno anche gia' avuto modo di osservare le Sezioni Unite di questa Corte, in tema di sottoscrizione della sentenza, che ai fini della legittimazione alla sottoscrizione del provvedimento collegiale da parte del giudice piu' anziano del collegio, l'impedimento, diverso dalla morte, di cui fa menzione l'articolo 546 c.p.p., comma 2, deve essere effettivo, serio, grave e duraturo (Sez. U, Sentenza n. 600 del 29/10/2009 Cc. (dep. 08/01/2010), Rv. 245175 - 01, nella specie il trasferimento ad altra sede del presidente del collegio non e' stato ritenuto, di per se', ostacolo giuridico alla sottoscrizione, pur non potendosi escludere che possa esserlo di fatto, sulla base di accertamento da condurre nel singolo caso; in applicazione di tale principio la Corte, preso atto dell'intervenuta valutazione, in concreto, della sussistenza dell'impedimento da parte del componente piu' anziano del collegio, ha ritenuto inammissibile la censura proposta). E' dunque possibile concludere che nel caso in esame, evidentemente, alcun impedimento si frappose alla sottoscrizione della sentenza, ne' giuridico ne' materiale, sicche' deve ritenersi che essa fu validamente sottoscritta dal presidente in aspettativa alla stregua di quanto, in diritto, sopra osservato. 3.2. Il secondo motivo contesta la qualita' di amministratore di fatto, attribuita anche al ricorrente - l'altro broker che operava direttamente presso la sede della fallita - in termini analoghi, ma piu' circoscritti, sia per contenuto che per modalita' di impostazione della doglianza, a quelli posti nell'interesse della speculare figura di (OMISSIS), sicche' rispetto ad esso non possono che richiamarsi tutti gli argomenti gia' sopra svolti quanto al pieno coinvolgimento di entrambi i broker, in concorso con gli altri imputati, nelle dinamiche societarie, i cui risvolti illeciti sono stati parimenti gia' ampiamente tracciati; argomenti che hanno correttamente condotto a ritenere che anche (OMISSIS) non era solo un broker in quanto le sue funzioni andavano ben oltre la tipicita' delle mansioni proprie di tale figura professionale, investendo aspetti decisionali; laddove anche l'assunto, qui reiterato, secondo cui la valutazione delle pratiche sarebbe stata di pertinenza degli amministratori formali della societa', limitandosi il broker all'istruttoria e quindi al passaggio finale di esse all'amministratore formale che ne vagliava il contenuto, risulta smentito alle stregua non solo della complessiva ricostruzione della vicenda svolta nelle conformi pronunce di merito, di cui vi e', sopra, un ampio saggio, ma anche degli specifici elementi ed argomenti parimenti gia' sopra indicati (tra i quali, ad esempio, la circostanza del rinvenimento di moduli di contratti di fideiussioni sottoscritti in bianco dal legale rappresentate di (OMISSIS), segnalata dai giudici di merito a ulteriore conforto della natura meramente formale del passaggio della pratica all'amministratore formale). Quanto poi alle deduzioni che si fondano sulle deposizioni di testi, risultano parimenti calzanti i principi di questa Corte elencati in premessa che, come gia' evidenziato, nel delineare, alla stregua delle norme, l'ambito esplicativo del giudizio di legittimita', impongono di tenere fuori da esso tutto cio' che implica mera rivalutazione probatoria e verifiche in fatto; laddove nel caso di specie, a ben vedere, peraltro i contenuti dei testimoniali ostesi non sono neppure decisivi ai fini prospettati dal momento che dai giudici di merito non e' stata esclusa la sottoposizione della proposta di fideiussione all'amministratore formale, che era il solo che poteva nella qualita' formalmente rivestita firmarla, avendo essi piuttosto escluso che vi fosse stato da parte dell'amministratore formale un vaglio effettivo al riguardo; e il fatto che i dipendenti avessero affermato che i loro referenti per le pratiche fossero (OMISSIS) e (OMISSIS) non sminuisce affatto l'impostazione dell'accusa, ne' questa potrebbe dirsi contraddetta per il fatto che un teste non abbia riferito che (OMISSIS) avesse una stanza presso (OMISSIS) ma solo che "si appoggiava in una stanza" o ancora che (OMISSIS) non operava sui conti (circostanza questa che evidentemente discendeva dal fatto che non rivestiva alcun ruolo formale nella societa'). Ne', infine, potrebbe assumere valore disarticolante, quanto dedotto in termini di inutilizzabilita' con riferimento al contenuto dell'ordinanza di custodia cautelare adottata nel procedimento romano riguardante fatti ulteriori, e cio' di la' della inammissibilita' della deduzione che e' stata formulata senza effettuarsi la cd. prova di resistenza, che e', invece, pacificamente richiesta in caso di eccezione di inutilizzabilita' di un atto. 3.3. Ne' a risultati diversi potrebbe condurre la eccezione di inutilizzabilita' dell'ordinanza cautelare reiterata anche in occasione della contestazione della componente soggettiva in capo al ricorrente in relazione al reato di operazioni dolose causative del fallimento, oggetto del terzo motivo. Ed invero, come si e' gia' avuto modo di osservare in precedenza, la fattispecie in esame si risolve in una "eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale" in relazione alla quale "esaurisce l'onere probatorio dell'accusa la dimostrazione della consapevolezza e volonta' della natura "dolosa" dell'azione, costitutiva dell'"operazione", a cui segue il dissesto, in una con l'astratta prevedibilita' dell'evento scaturito per effetto dell'azione antidoverosa" (Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010 - dep. 07/05/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti S.p.a. e altri, Rv. 247313 -4 - 5). Sicche', nell'ipotesi di fallimento causato da operazioni dolose non determinanti come nel caso di specie - un immediato depauperamento della societa', la condotta di reato e' configurabile quando la realizzazione di tali operazioni si accompagni, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, alla prevedibilita' del dissesto come effetto della condotta antidoverosa (Sez. 5, n. 45672 del 1/10/2015, Lubrina, Rv. 265510 in motivazione; di recente, sulla natura preterintenzionale del reato, vedi anche Sez. 5, n. 38728 del 3/4/2014, Rampino, Rv. 262207). Ne discende che la prevedibilita' del dissesto da parte del ricorrente, che si assume non oggetto di approfondimento argomentativo da parte del giudice di merito, non solo risulta invece affrontata e sufficientemente motivata ma, trattandosi di aspetto correlato alla dinamica insita nel meccanismo illecito concordato ed attuato dagli imputati, sopra descritto - che in maniera esponenziale sottoponeva la societa' e il suo patrimonio a crescente esposizione debitoria -, di fatto essa trapela attraverso la stessa ricostruzione della complessiva vicenda che, per come concepita e strutturata, non poteva, come piu' volte detto, che portare al dissesto e al fallimento per l'accumularsi dei debiti di garanzia in capo a (OMISSIS) accumulo neppure controbilanciato dall'introito di premi adeguati. Consegue che ogni ulteriore specificazione - riguardo ad esempio alla circostanza, pure citata in ricorso, della stratificazione della legislazione disciplinante la materia dei cofidi comunque considerata dai giudici di merito e ritenuta non decisiva ai fini che occupano - non avrebbe aggiunto alcunche' ad un quadro complessivo che gia' di per se' depone per la sussistenza anche dell'elemento soggettivo del reato in argomento. Sicche', in definitiva, il riferimento ai fatti di cui all'ordinanza cautelare citata peraltro pacificamente emersi anche nel presente procedimento quanto a partecipazione degli imputati ad altre societa' svolgenti attivita' analoghe - e' destinato a rimanere sullo sfondo non costituendo certamente esso il fulcro intorno a cui, anche in parte qua, ruota la ricostruzione accusatoria, che - non va dimenticato - trae origine dalla qualifica di amministratore di fatto ritagliata in capo al ricorrente. 3.4. Il quarto motivo - che lamenta, da un lato, il vizio di motivazione in ordine alla confermata condotta distrattiva in relazione alle provvigioni percepite e, dall'altro, la mancanza di una risposta argomentata alla richiesta formulata dalla difesa ex articolo 603 c.p.p., di acquisizione di documenti tesi a dimostrare che la percentuale introitata da (OMISSIS) non fu pari al 50% dei premi bensi' al 25% per essere la restante parte destinata ai broker locali - non considera che la corte territoriale ha invece fornito risposta esauriente anche al riguardo, con argomenti analoghi a quelli spesi in relazione alla posizione di (OMISSIS) - di cui si e' gia' sopra fatto cenno - in tal modo spiegando, tra l'altro, anche il motivo della non decisivita' delle fatture dei subagenti di cui era stata chiesta l'acquisizione. In particolare, si e' in buona sostanza affermato che cio' che rileva ai fini della configurazione della condotta criminosa de qua e' che su (OMISSIS) sia ricaduto un onere eccessivo rispetto alle sue capacita' patrimoniali non giustificabile con gli eventuali importi dovuti ai sub agenti, che, ove considerati, comporterebbero una duplicazione di riconoscimento economico per un'attivita' che dal punto di vista della fallita, controparte negoziale, avrebbe dovuto essere unitaria. Sicche' il motivo, aspecifico in punto di ricostruzione della questione dei premi indebitamente incassati, in definitiva coglie nel segno - al pari di quello similare posto nell'interesse di (OMISSIS) - laddove adombra la erroneita' dell'impostazione accusatoria nel ricondurre alla fattispecie della distrazione la condotta relativa ai premi percepiti tramite (OMISSIS), ricompresa anche nella contestazione della fattispecie di cui alla L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2; sicche' anche per (OMISSIS) - come d'altronde per tutti gli imputati trattandosi di motivo non avente natura personale - s'impone l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio, per nuovo esame sul punto. 3.5. In ordine al quinto motivo sulla bancarotta documentale valgono le medesime considerazioni svolte con riferimento alla posizione di (OMISSIS) quanto alla rilevata "unitaria dimensione concorsuale" della vicenda, in essa inclusa anche la condotta fraudolenta documentale, che non puo' prescindere dal coinvolgimento di (OMISSIS) in qualita' di amministratore di fatto; valutazione che non trascura di considerare anche il contributo specifico del ricorrente, essendosi nella sentenza impugnata precisato che la condotta interessante (OMISSIS) riguarda la rettifica dei rendiconti e che "la mancata tenuta della rendicontazione ordinata si e' tradotta in una fictio utile a dare giustificazione ex post dei premi incassati: l'intento fraudolento si salda con il conseguimento di utilita' economiche che, oltre a essere frutto di un'attivita' dispiegata in un contesto di abusivismo, hanno avuto valenza distrattiva"; laddove le circostanze dei sequestri preventivi della contabilita' e delle condizioni in cui la stessa sarebbe stata tenuta a causa dello sfratto subito, pure genericamente addotta dalla difesa per escludere il dolo in capo al ricorrente, appaiono francamente del tutto inconferenti rispetto alle condotte ascritte, come ricostruite nelle sentenze di merito nei termini gia' ampiamente sopra evidenziati. 3.6. Quanto al sesto motivo, premesse le coordinate interpretative in tema di determinazione della pena e di riconoscimento delle attenuanti generiche e dei correlati spazi delibativi riservati a questa Corte, gia' tracciati in occasione dell'esame del motivo sotto certi aspetti analogo - formulato nell'interesse di (OMISSIS), non puo' che rilevarsi la sua inammissibilita'. Il giudice di merito, con motivazione esente da vizi, ha ritenuto, tra l'altro, decisiva, quanto a (OMISSIS) - con impostazione analoga a quella seguita per (OMISSIS) la mancanza di segni positivi idonei a giustificare un'attenuazione della pena (oltre che la gravita' della condotta, la scaltrezza e la professionalita' nell'agire); laddove l'assenza di ammissioni rispetto ai fatti, costituente legittima esplicazione del diritto di difesa, pur non potendo essere di per se' ritenuta ostativa al riconoscimento delle attenuanti generiche, puo' nondimeno risolversi - come in buona sostanza accaduto nel caso di specie - in una carenza di elementi su cui fondare la concessione delle stesse; il cui diniego si fonda soprattutto sulla negativa personalita' del ricorrente come delineatasi attraverso le condotte a lui ascritte e sulla elevata gravita' di queste. In definitiva la complessiva motivazione resa sia in ordine alla congruita' della pena - che comunque non supera la media edittale - che al diniego delle attenuanti generiche risulta del tutto congruente con la impostazione ricostruttiva della vicenda secondo cui le condotte ascrivibili a ciascun imputato confluiscono in essa convergendo in misura determinante e sotti certi aspetti equivalente alla realizzazione della disastrosa situazione fallimentare in cui piombo' la societa' (che, come sottolinea la sentenza di primo grado proprio in occasione della determinazione delle pene, vide "un buco" di circa 15 milioni di Euro che avrebbe potuto essere anche molto piu' consistente se non fosse stata adottata l'interpretazione che ha escluso dall'insinuazione al passivo coloro che attivarono le fideiussioni in epoca successiva al fallimento - o meglio che al momento della dichiarazione di fallimento non avevano un titolo esecutivo autonomo; con la precisazione che il sistema (OMISSIS) ebbe effetti disastrosi anche nei confronti di enti pubblici determinando l'incapienza del soggetto che avrebbe dovuto garantire i privati che acquistarono le fideiussioni). 4. Il ricorso nell'interesse di (OMISSIS). 4.1. Il primo e il secondo motivo sull'incompetenza, per connessione del presente procedimento coi fatti di cui a quello romano, e' generico, non essendosi neppure rappresentato in quale fase o grado risultasse pendente il procedimento romano all'atto del rinvio a giudizio intervenuto nel presente procedimento. Se e' vero infatti che il criterio originario e autonomo di attribuzione della competenza, costituito dalla connessione tra reati, opera indipendentemente dalla pendenza dei relativi procedimenti nello stesso stato e grado, e' altrettanto vero che esso non puo' piu' trovare applicazione allorquando il procedimento per il reato piu' grave, che esercita la "vis attrattiva", sia stato definito con sentenza passata in cosa giudicata, essendo venuta meno la coesistenza di piu' processi (Sez. 2, Sentenza n. 29110 del 03/05/2019, Rv. 277493 - 01). In motivazione, questa Corte ha altresi' precisato che il momento in cui va valutata la sussistenza della connessione non e' quello dell'esercizio dell'azione penale ma quello del rinvio a giudizio, laddove nel caso di specie non risultano neppure specificamente indicati i parametri temporali e tutti gli aspetti ai fini della verifica della sussistenza dei presupposti per la deducibilita' dell'eccezione; peraltro qui riproposta nell'ottica di ottenere l'annullamento della sentenza impugnata e non la declaratoria di nullita', innanzitutto, della pronuncia di primo grado. Tuttavia la corte di appello aveva gia' risolto correttamente ed adeguatamente la questione qui riproposta rilevando come fosse innanzitutto ostativo al suo accoglimento il fatto che, a differenza di quanto assumeva e tuttora assume il ricorrente, non possa ritenersi in alcun modo contestata, neppure in fatto, l'aggravante della transnazionalita' con riferimento alla bancarotta fraudolenta ascritta nel procedimento romano, ossia la circostanza che avrebbe consentito di qualificare piu' grave quel reato ai fini dell'operativita' della vis attrattiva; a cio' si aggiunge che non risultano neppure specificamente allegati gli elementi dai quali desumere non solo la assonanza esistente tra soggetti e fatti ascritti nel procedimento romano e quelli oggetto del presente procedimento, ma anche proprio la esistenza di un preesistente piano delittuoso a cui ricondursi tutte le ipotesi criminose, che si assumono connesse ai sensi dell'articolo 12 c.p.p., lettera b) (per il solo fatto che nel procedimento romano risultasse contestato il reato associativo). 4.3. Il terzo motivo, che contesta la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui conferma il giudizio sulla qualifica di amministratore di fatto attribuita al ricorrente in relazione all'epoca successiva alle rassegnate dimissioni dalla carica di amministratore formale, e' aspecifico. Esso, estrapolando stralci della motivazione, ne assume la illogicita' senza confrontarsi con la complessiva ricostruzione dei giudici di merito che hanno affermato nelle conformi pronunce di secondo grado e primo grado - quest'ultima richiamata per relationem avendo essa gia' esaustivamente assorbito, attraverso la puntuale ricostruzione anche di tale segmento fattuale, le questioni proposte in appello e qui pedissequamente riproposte. Osserva invero la corte di appello al riguardo come il giudice di primo grado avesse valorizzato il pregresso periodo in cui l'imputato aveva rivestito la qualifica formale di membro del c.d.a. - e cio', a differenza di quanto si assume in ricorso, non gia' per desumerne il ruolo di fatto in seguito rivestito dal ricorrente ma ai fini dell'affermazione della sua responsabilita' penale in ordine alle condotte contestate risalenti nella maggior parte dei casi al periodo in cui era amministratore formale oltre che una pluralita' di altri elementi, tra i quali la persistente operativita' sui conti correnti anche successivamente alle dimissioni. Sebbene questa fosse l'espressione piu' eclatante del ruolo di fatto rivestito, spiega la corte di appello, essa non era l'unica. In ogni caso non e' contestato che (OMISSIS) abbia disposto di carta di credito intestata alla societa' ed abbia effettuato prelievi ed altre operazioni anche dopo le dimissioni dalla carica da aprile a novembre 2011, e che sia stato altresi' l'artefice, unitamente a (OMISSIS), delle operazioni di fittizia capitalizzazione tramite i titoli (OMISSIS) (operazione del cui rilievo ai fini della prosecuzione dell'attivita' illecita si e' gia' detto in precedenza). E' in definitiva lo stesso flusso finanziario intercorso tra (OMISSIS) e (OMISSIS) a non essere giustificabili se non con un'ingerenza nella gestione della societa' - essendo peraltro rimasta priva di attendibilita', secondo la concorde ricostruzione dei giudici di merito, la giustificazione offerta al riguardo dal ricorrente che adduce l'esistenza di un contratto di consulenza stipulato nel gennaio del 2011 per la fusione della societa' con altre - ed essendo di contro emersa con nitidezza la apparenza dell'operazione transattiva servita unicamente per distrarre somme in favore di (OMISSIS) (e di (OMISSIS)). Soprattutto, avendo i giudici di merito imputato le condotte illecite a cui avrebbe partecipato (OMISSIS) al periodo in cui questi rivesti' anche formalmente la carica, dando conto delle ragioni che militano per la sua piena e consapevole partecipazione alla complessiva vicenda criminosa - e non solo alle condotte distrattive poste in essere in suo favore - rimane in definitiva decentrata la questione proposta in questa sede col terzo motivo in esame, che ruota intorno ad aspetto non ritenuto predominante da parte del giudice di merito. A tratti motivo finisce col dedurre censure non proponibili in questa sede laddove adduce I travisamento delle deposizioni di due testi, i quali avrebbero escluso la presenza di (OMISSIS) presso la societa' dopo l'assunzione della carica di amministratore unico da parte di (OMISSIS) (circostanza che, contradetta da altre emergenze, non appare peraltro rivestire valore dirimente rispetto alla ben piu' complessa ricostruzione svolta dai giudici di merito e gia' sopra piu' volte citata, nell'ambito della quale, come esaustivamente dagli stessi spiegato, trovano posto anche le condotte ascritte al ricorrente). 4.4. L'ultimo motivo, che lamenta che il riconoscimento delle attenuanti generiche in termini di equivalenza, e' manifestamente infondato perche' il vizio di motivazione dedotto al riguardo non sussiste, avendo la corte di appello, nell'esercizio del potere discrezionale che le e' in materia riservato, in maniera congrua e nient'affatto contraddittoria, osservato come il ricorrente avesse quanto meno dimostrato di avere avviato un percorso di resipiscenza provvedendo ad erogare un importo non risibile ad un'associazione no profit (non avendo potuto provvedere al versamento in favore del fallimento); e' evidente che il riferimento all'avvio del percorso di resipiscenza e alla somma non irrisoria, ossia a circostanze che sebbene valutate positivamente non sono state ritenute evidentemente del tutto soddisfacenti ai fini del riconoscimento della prevalenza, non risulta, qui, suscettibile di sindacato, risolvendosi esso in un parametro valutativo congruamente adoperato e spiegato dal giudice di merito. 5. Il ricorso nell'interesse di (OMISSIS). 5.1. Il primo motivo e' manifestamente infondato, risultando la sentenza di primo grado regolarmente pronunciata dal medesimo collegio che ebbe a seguire l'istruttoria dibattimentale laddove la comparsa del nominativo della Dott.ssa Profumeri Federica nell'intestazione della sentenza documento e' in maniera evidente dovuto a un mero errore materiale (cio' balza evidente se solo si consultano i verbali di udienza); ne' a diversa conclusione potrebbe condurre il fatto che non si sia ancora apportata alcuna correzione all'evidente errore presente sull'atto. 5.2. Il secondo motivo, che pone a sostegno del vizio di motivazione denunciato con riferimento alla mancata considerazione dei motivi di appello che avevano chiesto l'assoluzione in ordine al reato di bancarotta impropria di cui al capo A, e', per un verso, manifestamente infondato e, per altro verso, generico facendo nella sostanza, esso, leva su circostanze che, nell'ambito della complessiva ricostruzione delle dinamiche illecite che ebbero a caratterizzare l'attivita' societaria, non sono affatto dirimenti ai fini assolutori prospettati. Col motivo si assume che quanto riferito dal teste qualificato (OMISSIS), commercialista, escluderebbe in radice la possibilita' di qualificare come abusiva l'attivita' di prestazione di garanzie fideiussorie svolta da (OMISSIS), avendo egli "certificato" il sottodimensionamento della societa' rispetto alla soglia dei 75 milioni di Euro che imponeva l'iscrizione dei (OMISSIS) nell'elenco di cui all'all'articolo 107 T.U.B., affermando che gli era stato conferito l'incarico per effettuare la fusione di (OMISSIS) con altri consorzi - mai svolto - per consentirle di entrare nell'elenco citato; a ben vendere pero' lo stesso ricorso, nella sostanza, afferma che in realta' il teste avrebbe semplicemente "certificato" con le sue dichiarazioni che gli organi di direzione della societa' non ritenevano di avere un giro di fideiussioni eccedente la soglia dei 75 milioni, non avendo egli di fatto svolto alcun incarico in tal senso; sembra, cioe', desumersi da quanto prospetta la stessa difesa che il teste riferiva cio' che aveva appreso dalla dirigenza di (OMISSIS) e sulla base di cio' aveva desunto il mancato raggiungimento della soglia indicata. La difesa ritiene che tale argomento possa avallare quanto meno il dubbio che gli imputati, e in particolare (OMISSIS), non avessero la consapevolezza di avere superato quella soglia, concludendo che, quindi, difettasse il presupposto dell'impostazione accusatoria che ruota intorno alla illegittimita' dell'attivita' svolta dalla societa'. Di la' della circostanza che la corte territoriale attribuisce all'incarico assegnato a (OMISSIS) nel marzo del 2011, a prescindere dalla buona fede del professionista, "un maldestro tentativo di fare fronte alla necessita' di traghettare l'operativita' della societa' in una entita' diversa, individuando tutte le iniziative utili a circoscrivere l'indagine romana preservando la operativita' illecita gia' ben congegnata" (rammentando in nota che il 6.5.2010 vi erano state le perquisizioni a Roma, il 1.10.2020 era stato operato il sequestro dei 40 ml di (OMISSIS), il 9.11.2010 (OMISSIS) aveva assunto la carica di amministratore prefigurando il trasferimento della sede da Roma a Milano), evidente e' la fragilita' dell'impostazione del motivo in esame che si fonda in buona sostanza sulle mere affermazioni di (OMISSIS) e non su dati di fatto (che attestano invece, secondo il prospetto excell e la testimonianza di P.g. (OMISSIS), riportati dai giudici di merito, ben altri importi, di 230 milioni di Euro per il solo 2010 e di 120 milioni di Euro per il 2011, nettamente superiori alla soglia di 75 milioni); ma la sua inconferenza rimane vieppiu' evidente se si considera la complessiva ricostruzione della vicenda di cui si e' piu' volte fatto cenno, che non lascia spazio alle ricostruzioni alternative delle difese, che si basano prevalentemente su singole affermazioni di testi, peraltro estrapolate da ben piu' ampi contesti dichiarativi, o su singole circostanze di per se' non disarticolanti, ne' a brecce assolutorie in virtu' della regola dell'oltre ragionevole dubbio invocata. Anche nel caso di (OMISSIS) si invoca tale principio sulla scorta di argomenti non decisivi, non idonei per contenuto e consistenza a scardinare la complessa impostazione accusatoria; questa - si rammenta - si articola in una pluralita' di congrue e logiche valutazioni deduttive e di tasselli concatenati tra loro - in cui si inserisce a pieno titolo anche la condotta di (OMISSIS) che nel restituire un quadro coerente e completo dei fatti, supportato da precisi e specifici elementi concreti, danno conto della sussistenza anche delle specifiche condotte addebitate; laddove, come si e' gia' sopra evidenziato, del "sistema (OMISSIS)" prescinde peraltro dalla legittimita' formale, o meno, dell'attivita' di prestazione di garanzie posta in essere da (OMISSIS). Sicche' il condivisibile giudizio di genericita' - di cui si lamenta il ricorso - espresso dalla corte territoriale in relazione al motivo gia' articolato in appello nei termini suindicati, non risulta in definitiva scalfito dagli argomenti qui riproposti. 5.3. Col terzo motivo si ripropone il tema della liceita' dell'attivita' svolta da (OMISSIS) e in particolare della legittimita' dell'inserimento della societa' nell'elenco di cui all'articolo 106 T.U.B.. Si passa, quindi, in rassegna la disciplina dettata al riguardo al fine di evidenziare la complessita' e opinabilita' della materia, citando anche le note della Banca d'Italia che dimostrerebbero come gli stessi enti pubblici, in particolare la stessa Agenzia delle entrate, chiedessero chiarimenti alla Banca d'Italia sulla possibilita' di accettare le fideiussioni da parte dei (OMISSIS) minori. Il tutto nell'ottica di porsi quanto meno il dubbio sull'elemento soggettivo. Ebbene, dal quadro evidenziato - sul quale si erano in realta' gia' pronunciati i giudici di merito, primi tra tutti quelli di primo grado, che hanno, come gia' sopra piu' volte detto, spiegato in cosa consistesse l'illiceita' del meccanismo messo in pedi, a cui ebbe poi a partecipare anche (OMISSIS), ponendo l'accento non tanto sulla legittimita' formale o meno dell'attivita' svolta da (OMISSIS) quanto piuttosto sulla illiceita' del sistema creato dagli imputati (si allude, in particolare, a (OMISSIS) essendo essa l'oggetto del presente procedimento ma non mancano riferimenti anche agli altri (OMISSIS) confluiti nell'indagine romana di cui hanno parlato gli operanti della g.d.f. in sede di escussione dibattimentale, oltre che alcuni degli stessi imputati in sede di esame), sistema deputato nella sostanza a drenare denaro che refluiva non solo e non tanto nelle casse della societa' ma anche in quelle delle societa' intermediarie, facenti capo ai broker (OMISSIS) e (OMISSIS) - emerge piuttosto la gravita' di quanto accaduto, nonostante e di la' delle modifiche normative introdotte nel 2007. Molti enti pubblici, tra i quali diverse Agenzie delle entrate, nel dubbio sulla possibilita' di ricevere o meno fideiussioni dai (OMISSIS) minori, accettarono le fideiussioni da questi presentate e cio', e' ragionevole ipotizzare, perche' evidentemente confidavano nella solidita' delle societa' che le avevano stipulate, di la' della loro iscrizione formale in un elenco; d'altronde, la mancanza di sottoposizione ai controlli formali previsti solo in caso di (OMISSIS) maggiori non avrebbe certamente esentato la societa', che non rivestiva formalmente tale qualifica, dall'adozione delle cautele del caso e, soprattutto, per quel che qui rileva, dalla necessita' di avere la capacita' patrimoniale per far fronte alle garanzie assunte, pena la responsabilita' di chi agiva per suo conto, impegnandola pur in assenza di risorse adeguate. 5.3.1. Cio', quante a (OMISSIS), si e' rivelato nei fatti non corrispondente alle aspettative dei terzi, non avendo, poi,- la societa' provveduto ad onorare le garanzie illecitamente prestate (ritenute, nella sostanza, correttamente, valide in sede di ammissione al passivo, che, in virtu' della regola del titolo giudiziale preesistente al fallimento, escludeva solo quelle non assistite da tale titolo, sicche' anche tutta la questione posta, nella memoria presentata nell'interesse di (OMISSIS), sulla base della pronuncia delle Sezioni Unite civili, che avrebbe consacrato la validita' delle fideiussioni rilasciate dai (OMISSIS) minori in favore di soggetti diversi da quelli espressamente previsti, ossia quelli - come nel caso di specie - non bancari, e' destinata a rimanere priva di rilievo, rafforzando piuttosto, essa, la legittimita' dell'operato degli organi fallimentari; laddove la legittimita' quelle fideiussioni non rileva ai fini della consacrazione della liceita' del sistema, la cui illiceita' si fonda su ben altre circostanze); e cio' e' vieppiu' grave se si considera che quelle polizze erano, in gran parte, prestate per garantire i rimborsi ai contribuenti, i quali, evidentemente, una volta ottenutili in virtu' di quelle fideiussioni, essendo oramai soddisfatti, non avanzavano alcuna domanda di insinuazione al passivo del fallimento (secondo quanto si riferisce nelle sentenze di merito); rimanendo quali unici soggetti, "frodati", insoddisfatti, gli enti pubblici, che, anche sulla base della garanzia prestata, avevano concesso i rimborsi. 5.3.2. Sicche' anche gli argomenti spesi col terzo motivo, attraverso i quali la difesa vorrebbe incrinata quanto meno la prova dell'elemento soggettivo, non sono affatto dirimenti neppure a tal fine a fronte della complessiva ricostruzione della vicenda emergente dalle conformi pronunce di merito, che, come detto - di la' dell'accenno anche alla natura sostanzialmente abusiva dell'attivita' svolta da (OMISSIS), definita peraltro tale soprattutto per l'eccedenza della soglia dei 75 milioni di Euro che rimane un profilo di per se' rilevantissimo - va oltre il profilo dell'illegittimita' e delinea piuttosto l'illiceita' del sistema sulla base di ben altri elementi, che depongono per la sussistenza di un collaudato, condiviso, meccanismo criminoso che si connota per la strumentalizzazione della societa' per fini collidenti con quelli propri della societa' medesima. La pronuncia delle Sezioni Unite civili citata, secondo quanto rappresenta la stessa difesa di (OMISSIS), "legittima" si' il rilascio di fideiussioni da parte dei (OMISSIS) minori anche in favore di enti non bancari, trattandosi di attivita' non riservata a soggetti autorizzati, ma da ricondurre alla generale capacita' di agire della societa', tuttavia precisa, ovviamente, al contempo che tale rilascio non e' "preclus(o) alle societa' cooperative che operino in coerenza con l'oggetto sociale", laddove nel caso di specie, pur a voler ritenere sussistente la corrispondenza formale dell'attivita' svolta con l'oggetto sociale, rimane evidente il perseguimento, attraverso di essa, di ben altri fini contrari all'interesse societario, circostanza questa sufficiente per connotare di responsabilita' anche penale l'operato degli amministratori. Nel caso di specie, l'attivita' - e cio' rileva sul piano penale in cui si operano le valutazioni del caso di specie - si estrinseca dipanandosi attraverso la serie dei comportamenti e degli atti piu' volte descritti; questi, concatenati tra loro, hanno condotto, infine, la societa' al fallimento, avendo i loro autori trascurato la effettiva capacita' patrimoniale della societa' alla quale essi si imputavano, avendo, piuttosto, il loro agire di mira altri interessi, del tutto estranei al contesto societario; tra tali condotte si inserisce a pieno titolo quella - a cui prese parte anche (OMISSIS) - tesa a far apparire capitalizzata la societa', una volta intervenute le allarmanti perquisizioni presso gli altri (OMISSIS), per continuare a svolgere la illecita attivita' attraverso (OMISSIS) (non ancora interessata da indagini). 5.4. Il quarto motivo sulla mancanza di corrispondenza tra quanto contestato sub a3 e quanto affermato in sentenza, e' manifestamente infondato, dal momento che e' stato piu' volte ribadito dal giudice di merito che era emerso - proprio come contestato in tale punto dell'imputazione - che le polizze erano in alcuni casi rilasciate in bianco nel senso che esse risultavano sottoscritte dall'amministratore formale - tra esse quelle riportanti proprio la firma di (OMISSIS) - senza essere state compilate (per essere evidentemente poi riempite dal broker che curava non solo l'istruttoria ma aveva, come gia' sopra spiegato, vero e proprio potere decisionale rispetto alle polizze); e la circostanza che il tribunale abbia ravvisato ulteriori profili di illegittimita' rispetto a quello teste' indicato - spiega la corte territoriale rispondendo esaurientemente alla censura - non comporta alcuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, risultando peraltro la illegittimita' delle pratiche oggetto di diffusa contestazione nell'ambito del complessivo capo di imputazione; laddove - si aggiunge - non e' certo l'illegittimita' delle pratiche - quanto l'illiceita' del meccanismo instaurato relativamente ad esse - il fulcro intorno a cui ruota l'affermazione di responsabilita' degli imputati. 5.5. Quanto alla censura mossa col quinto motivo relativamente al capo dell'imputazione - in particolare alla vicenda degli esborsi intervenuti in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS) - e' solo il caso di osservare che essa lamenta che si sarebbe desunta la consapevolezza di (OMISSIS), rispetto a tali fuoriuscite di denaro - che sarebbero state realizzate direttamente dagli interessati - dal solo fatto che egli rivestisse la carica meramente formale di amministratore della societa' (e lo stesso e' ripetuto con riferimento ai premi non incassati da (OMISSIS)), laddove gia' a partire dalle prime dichiarazioni rese dallo stesso (OMISSIS) - secondo quanto si legge nelle sentenze - e' questi stesso a non qualificarsi mera testa di legno. Risulta dalla conformi pronunce di primo e secondo grado che (OMISSIS) ricopri', dopo le dimissioni solo formali di (OMISSIS), la carica di amministratore unico e non fu affatto una mera testa di legno, come denotano anche suoi specifici comportamenti (si recava presso la sede sociale, anche se non abitava a Roma, insieme ad (OMISSIS) e collaborava con questi; sul suo ruolo effettivo hanno reso testimonianza le stesse dipendenti che, secondo quanto precisa la corte di appello, avrebbero riferito che (OMISSIS) era coinvolto nella gestione delle problematiche essendo stato messo al corrente anche dei buchi presenti in contabilita'; egli fu, tra l'altro, amministratore anche di altre societa' operanti a (OMISSIS) che svolgevano attivita' analoga a quella di (OMISSIS),... sicche' i giudici di merito concludono che, sebbene non avesse partecipato ab initio al progetto criminoso, si fosse inserito a pieno titolo in esso, aderendovi ex post). La stessa perizia per la patrimonializzazione di (OMISSIS), di la' della sua paternita', e' stata trovata presso lo studio di (OMISSIS) e sulla base di essa fu comunque (OMISSIS) a comunicare in data 15.11.2010 alla Banca d'Italia l'apporto del socio (OMISSIS) LDT, mediante il deposito dei titoli obbligazionari (OMISSIS) (il cui valore era prossimo allo zero). La censura, poi, nella parte in cui assume che i mancati incassi di denaro in relazione ai premi riscossi dai broker siano da ricondurre a meri inadempimenti, trova puntuale smentita nella ricostruzione accolta dai giudici di merito, di cui si e' gia' piu' volte fatto cenno nel trattare gli altri ricorsi. 5.5.1. Piu' specificamente, quanto alla componente soggettiva, la corte territoriale ha, altresi', ben messo in evidenza come risultasse smentito dalle emergenze processuali quanto (OMISSIS) avesse tentato di accreditare in termini di buona fede, a se' riferita, quanto meno, fino all'estate del 2011. Innanzitutto, osserva il giudice dell'appello, non e' contestato il fatto materiale che anche dopo la dimissione dalle cariche formali (OMISSIS) e (OMISSIS) abbiano drenato somme a loro favore, continuando a operare sui conti e a disporre di carte di credito aziendali per fare fronte a spese, anche platealmente, non riconducibile ad un interesse sociale; di la' dell'inconsistenza degli addotti contratti di collaborazione, gli importi movimentati e le modalita' di attribuzione di utilita' tramite utilizzo di carte o prelievo in contanti danno conto di una gestione del tutto anomala che tradisce una condivisione di intenti, per essere l'emorragia delle risorse della fallita di tale portata da non potere dare luogo ad alcuna elusione a controlli (cosi' testualmente nella pronuncia impugnata che precisa in nota che dirimente al riguardo e' la relazione del curatore da cui emerge che nel solo periodo febbraio/agosto 2011 (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati beneficiari di operazioni per un totale di 147.000 Euro circa; evidenzia al riguardo, altresi', la corte di appello come gli estratti bancari dessero immediata contezza degli esborsi e delle modalita' utilizzate - home banking, bonifici - sicche', a fronte delle responsabilita' incombenti su (OMISSIS) quale amministratore, non assume rilievo che materialmente parte di tali esborsi siano stati effettuati tramite disposizioni provenienti direttamente dai coimputati risolvendosi tale circostanza in elemento di per se' non pregnante a favore dell'imputato). Nella sentenza impugnata si rappresenta anche come, sebbene l'ipotesi distrattiva di cui al capo B individui i flussi solo in favore dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), dalla nota del curatore, e relativi allegati, emerga che anche (OMISSIS), al pari dei predetti, abbia usufruito di carta di credito appoggiata su conto corrente (OMISSIS) presso il (OMISSIS), per spese diverse non immediatamente riconducibili ad alcun interesse sociale (cosi' ad esempio per svariati pagamenti per cifre non irrisorie in favore di (OMISSIS) o di (OMISSIS)), ed abbia effettuato prelievi allo sportello per importi rilevanti. Risulta, pertanto, contraddetto dagli atti - chiosa a tal punto la sentenza impugnata a conforto della piena partecipazione consapevole del ricorrente - che (OMISSIS) non abbia avuto alcun utile economico (e cio' pur a voler prescindere dal riconoscimento del compenso annuo di Euro 90.000 come risultante dal bilancio 2010 approvato il 21.4.2011). Quanto ai premi incassati dalle societa' dei due broker, la corte di appello non ha mancato di ulteriormente precisare come non fosse seriamente contestabile che quanto erogato a tali societa' non fosse per la piu' parte dovuto e che le modalita' di gestione dell'introito costituiva, in particolare per (OMISSIS), un evidente presupposto che agevolava la realizzazione dell'illecito; laddove la legittimita' in astratto del riconoscimento di provvigioni non poteva ritenersi argomento idoneo a contraddire la pregnanza probatoria connessa alle modalita' con cui operava la struttura nella sua unitarieta', ne' il confluire nelle casse delle societa' di broker di percentuali degli incassi anche superiori a quelle rimesse alla societa' emittente le polizze; sicche' le stesse modalita' del fatto non sono state dai giudici ritenute idonee a ricondurre le condotte ad un mero inadempimento, rimanendo senza causa, a monte, quanto distolto, e non affatto provato che (OMISSIS) si sia effettivamente attivato per il recupero (non essendo andata la sua condotta oltre una richiesta formale di rendicontazione dei loro operato rivolta ai due broker solo a fine agosto del 2011 e rimasta comunque senza esito quanto a iniziative concrete da intraprendere; laddove lo stesso collegio sindacale - coinvolto nel presente procedimento per il contributo omissivo reso - aveva gia' rilevato in sede di verbale del 3.4.2011 l'eccessiva esposizione debitoria dei broker - rilevazione rimasta anch'essa non seguita da specifiche iniziative concrete). 5.5.2. In definitiva, per la messe di circostanze emerse, anche ulteriori rispetto a quelle qui riportate, la corte di appello ha ritenuto che non potesse ritenersi credibile la versione dell'imputato che aveva in buona sostanza tentato di accreditare l'assunto di aver accettato la carica societaria, confidando nel "buon lavoro ereditato dai predecessori", non essendo, peraltro, apprezzabile, a fronte della confusione tra le due realta' di cui era amministratore e della prosecuzione della operativita' di (OMISSIS) e (OMISSIS) alcuna cesura con la pregressa operativita' illecita; laddove, peraltro, l'assunzione della carica di amministratore di (OMISSIS) era intervenuta allorquando erano state gia' eseguite le allarmanti perquisizioni nell'ambito del procedimento romano (dato che il ricorrente cerca di neutralizzare adducendo genericamente di avere ignorato tale circostanza). 5.6. Quanto al sesto motivo sull'assorbimento del reato di operazioni dolose di cui al capo A si rimanda a quanto gia' sopra esposto, risultando fondata la questione posta sia pure nei diversi e limitati termini suindicati. 5.7. Il settimo motivo propone il tema della mancanza di motivazione e della non adeguata valutazione da parte della corte di appello degli aspetti evidenziati con l'atto di appello, tesi a dimostrare la incongruenza dell'utilizzo di alcuni esiti istruttori ai fini della ritenuta partecipazione di (OMISSIS) alle vicende criminose. Indi, trattandosi nella prospettiva del ricorso di omessa valutazione, si ripropongono, qui, le questioni sollevate in appello inerenti alle valutazioni del tribunale. Ebbene, tale censura e' manifestamente infondata, avendo invece la corte di appello fornito adeguata risposta a quei rilievi anche mediante il rinvio, per relationem, operato in premessa, alla pronuncia di primo grado, i cui argomenti in tema di partecipazione consapevole del ricorrente agli affari illeciti di (OMISSIS) sono stati ritenuti nel loro complesso resistenti rispetto alle deduzioni difensive. Come gia' anticipato nell'illustrare i precedenti motivi del ricorso in scrutinio, parimenti involgenti il tema della partecipazione consapevole, plurimi sono gli elementi su cui i giudici di merito hanno fondato la convinzione del pieno coinvolgimento di (OMISSIS) nelle condotte contestate, che non si esauriscono affatto nei segmenti di motivazione e di passaggi argomentativi indicati dal ricorso; questo, sbrigativamente, estrapola aspetti assumendo che non siano significativi, laddove essi - cosi' ad esempio per le vicende romane o per il significato attribuito alla perizia a firma - disconosciuta - di (OMISSIS), rinvenuta proprio presso lo studio di questi - sono stati sviluppati in maniera ben piu' articolata e pregnante dal giudice di merito in quanto inseriti nel piu' ampio contesto di riferimento in cui ebbe a subentrare - consapevolmente - (OMISSIS). Del tutto congetturali gli argomenti posti a sostegno della inconferenza del dato della perizia rinvenuta presso lo studio di (OMISSIS), che investono, peraltro, a tratti, aspetti marginali, se non di segno contrario rispetto al valore che la difesa ha inteso attribuire loro (cosi' ad es. quello che fa leva sulla mancata percezione da parte di (OMISSIS) di un compenso per la perizia che si assume da lui svolta, che la corte di appello ritiene anzi, addirittura, indicativo della intraneita' al progetto criminoso ovvero della messa a servizio di (OMISSIS), e, comunque, non dirimente per escludere la riconducibilita' della perizia al ricorrente); e parimenti marginali appaiono gli ulteriori aspetti indicati, o evidenziati, peraltro, mediante un'inammissibile operazione confutativa realizzata attraverso gli ostesi contenuti di stralci di deposizioni di testi (cosi', ad esempio, quanto alla prova della partecipazione. di (OMISSIS) ai tre (OMISSIS) riferibili al gruppo degli imputati, che, sebbene emersa e ricostruita dai giudici sulla scorta di piu' fonti processuali, viene contestata sulla base della testimonianza di una dipendente - (OMISSIS) - dalla quale dovrebbe desumersi che il ricorrente non partecipo' ad (OMISSIS) per il solo fatto che la teste non ne avrebbe parlato; laddove, peraltro, secondo quanto si afferma nello stesso ricorso, la stessa teste citata avrebbe confermato la partecipazione di (OMISSIS) quanto meno a due (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), sebbene in successione temporale l'uno rispetto all'altro). Trattasi, all'evidenza, di mere inesattezze ininfluenti, essendo comunque emerso che il ricorrente fu pienamente coinvolto anche nel procedimento penale che interesso' gli altri (OMISSIS) (in cui fu alla fine anche tratto in arresto secondo quanto prospetta lo stesso ricorso a pag. 50). Quanto, poi, alla circostanza secondo cui la corte di appello non avrebbe tenuto in debito conto il fatto che (OMISSIS) era subentrato, solo nel novembre del 2010, e non prima, in (OMISSIS) su invito dei coimputati - che lo avrebbero contattato perche' avevano bisogno di inserire un volto nuovo al comando della societa', dopo che le societa' riferibili a (OMISSIS) ed (OMISSIS) avevano subito una perquisizione a maggio del 2010, della quale il ricorrente non era pero' a conoscenza - e che, quindi, lo stesso aveva deciso di assumere l'incarico ritenendo di inserirsi in un contesto del tutto lecito ed interessante sotto il profilo del business (non avendo ragione di dubitare della liteita' di quanto andava svolgendo (OMISSIS), considerando anche che la societa' era dotata di un collegio sindacale che non aveva mai espresso riserve ed era assistita da validi professionisti), trattasi, all'evidenza, di argomenti che hanno trovato, tutti, gia' adeguata risposta nella pronuncia impugnata, che, come gia' spiegato nell'esaminare il quinto motivo, ha in buona sostanza non ritenuto credibile la versione difensiva avallante un approccio ingenuo e inconsapevole da parte di (OMISSIS), non corrispondendo, tra l'altro, a verita' diverse delle circostanze addotte a suo sostegno; la conferma della piena partecipazione di (OMISSIS) alle attivita' illecite della societa', come gia' sopra detto, si fonda su plurimi convergenti elementi ben scandagliati ed adeguatamente valutati nelle conformi pronunce di primo e secondo grado, in cui si e', tra l'altro, anche evidenziato come (OMISSIS) fosse subentrato in piena attivita' di operazioni dolose di illecito rilascio di fideiussioni e avesse, solo tardivamente, nel 2013, presentato un esposto; nonostante fosse un professionista esperto del settore e le perquisizioni nel procedimento romano, evidente campanello di allarme difficilmente ignorabile, risalissero al maggio del 2010 (rispetto alle quali (OMISSIS) si limita ad affermare di averne ignorato la verificazione); d'altronde lo stesso (OMISSIS) non assume di essere stato una mera testa di legno, ne' esclude di aver preso in qualche modo parte alla gestione societaria; circostanza questa davvero, francamente, difficilmente conciliabile con una protesta di buona fede. Alla stregua di tutto quanto sinora evidenziato, appare evidente che non potrebbero parimenti assumere valore decisivo al fine di scardinare la ricostruzione accusatoria neppure gli altri aspetti, pure evidenziati in ricorso, che si appuntano sul comportamento di frizione che avrebbe assunto da un certo momento in poi (OMISSIS) (dovuto piuttosto alle contingenze createsi o a esigenze di facciata prive di effetti concreti quanto alle condotte tenute allorquando si era oramai irrimediabilmente disvelata, all'esterno, l'attivita' illecita dei (OMISSIS) che alla fine condusse anche all'arresto di (OMISSIS) nel procedimento romano). Quanto alla consapevolezza e alla, partecipazione di (OMISSIS) anche alle condotte di bancarotta fraudolenta documentale, i rilievi, reiterativamente, mossi in ricorso hanno parimenti gia' trovato risposte adeguate da parte dei giudici di merito, che hanno, infatti, ricostruito il coinvolgimento di (OMISSIS) rispetto all'intera vicenda per averne egli condiviso il meccanismo di fondo, subentrando come amministratore unico nella fase di maggiore attuazione del programma delittuoso, Sicche' la consapevolezza dell'illiceita' dell'attivita' e lo sposare l'accordo criminoso gia' esistente tra i correi hanno consentito di superare il singolo segmento imputativo a lui strettamente riconducibile, rispetto al quale, peraltro, secondo quanto si prospetta nello stesso ricorso, risultano, nondimeno, specifiche condotte ascrivibili al ricorrente, che denotano il suo pieno coinvolgimento nelle dinamiche societarie; da queste egli cerca di tirarsi fuori, adducendo, sostanzialmente, una non credibile mancanza di conoscenza dei risvolti illeciti, peraltro avallata sulla base di elementi nient'affatto dirimenti. Cosi', quanto alla falsita' dell'annotazione in contabilita' e bilancio dell'esito della transazione di Euro 600.000, giustificativa della corresponsione di denari a (OMISSIS) e (OMISSIS), ci si limita a contestare la consapevolezza della sua strumentalita', evidenziando come essa, intervenuta poco dopo il subentro nell'amministrazione della societa', non avesse apportato alcun beneficio al ricorrente, ma solo a (OMISSIS) e (OMISSIS), e come nemmeno i sindaci avessero espresso perplessita' al riguardo in sede di approvazione del bilancio, e lamentando che il tribunale avesse riconosciuto il dolo in capo a (OMISSIS) sulla sola base del ruolo formale dal medesimo rivestito; laddove i giudici di merito non hanno affatto ritenuto il ricorrente un mero amministratore formale ma con valutazione piu' ampia e complessiva - di cui si e' piu' volte detto - hanno argomentato sul suo pieno inserimento nella gestione societaria e nel contesto illecito che l'aveva investita e che continuo' ad investirla anche durante la sua amministrazione; inserimento, peraltro, non rimasto privo di tornaconti personali anche da parte di (OMISSIS), come si e' gia' avuto modo di evidenziare in occasione della trattazione dei precedenti motivi di ricorso (sicche' il motivo che fa leva anche sulla presunta assenza di benefici da parte di Starda e' aspecifico e manifestamente infondato anche in parte qua). Analoghe considerazioni possono essere svolte con riferimento all'altra operazione contabile, parimenti falsa, afferente l'annotazione dell'apporto da parte di (OMISSIS) di 10 milioni di Dollari mediante titoli dal valore inesistente - effettuata, spiegano i giudici di merito, al solo fine di far apparire capitalizzata la societa' e di proseguire nell'attivita' illecita - rispetto alla quale (OMISSIS) procedette anche alla relativa comunicazione agli organi di vigilanza (operazione, anch'essa, di una certa importanza, se non determinante per il prosieguo dell'attivita', intervenuta, anch'essa, poco dopo l'ingresso formale del ricorrente nella societa'). Anche rispetto a tale operazione, la generica giustificazione addotta dall'imputato - che anche in tal caso contesta la consapevolezza della falsita' affermando la sua buona fede nell'accettazione dell'incarico, che avrebbe intrapreso tranquillizzato, da un lato, dall'apparente serieta' degli altri soggetti e professionisti che avevano gestito la societa' prima di lui, e, dall'altro, dal fatto che nessuno gli aveva rappresentato che i titoli (OMISSIS) non avessero il valore ipotizzato - e' stata gia' considerata dai giudici di merito e ritenuta insufficiente ai fini prospettati, tenuto anche conto che (OMISSIS) era un esperto professionista del settore; il "qualcheduno" a cui si riferisce il ricorso, secondo l'apodittica impostazione difensiva, avrebbe fatto tutto - anche svolto o fatto svolgere la perizia sotto il falso nome di (OMISSIS) all'insaputa di questi, individuato come "faccia nuova" su cui cercare di dirigere ogni possibile futura responsabilita', laddove gli elementi emersi depongono per tutt'altra ricostruzione secondo la sentenza impugnata che ha piuttosto visto in (OMISSIS) la persona giusta collocata al momento giusto - e non quella, secondo l'impostazione difensiva, sbagliata collocata al momento sbagliato - per essere egli anche un esponente del mondo accademico che col suo agire si era prestato a creare all'esterno proprio quell'apparente rinnovata affidabilita' di cui la societa' aveva bisogno in quella fase storica; e l'esigenza di individuare un nuovo soggetto che figurasse nella fase piu' critica per la societa' non esclude affatto la piena, consapevole, partecipazione alla vicenda da parte del soggetto a tal fine individuato, che', anzi, sotto certi aspetti, la presuppone, trattandosi, nel caso di specie, di realizzare una pluralita' di rilevanti condotte, sinergicamente dirette a portare avanti il proposito criminoso, difficilmente giustificabili, anche in considerazione della loro entita' quantitativa e qualitativa, con il benevolo affidamento all'altrui agire; tutto cio' tenuto anche conto che in tema di bancarotta fraudolenta documentale cd "generica", anche per la sussistenza del dolo dell'amministratore solo formale non occorre che questi si sia rappresentato ed abbia voluto gli specifici interventi da altri realizzati nella contabilita' volti ad impedire o a rendere piu' difficoltosa la ricostruzione degli affari della fallita, ma e' sufficiente che l'abdicazione agli obblighi da cui e' gravato sia accompagnata dalla rappresentazione della significativa possibilita' dell'alterazione fraudolenta della contabilita' e dal mancato esercizio dei poteri-doveri di vigilanza e controllo che gli competono (Sez. 5, n. 44666 del 04/11/2021, Rv. 282280 - 01). 5.8. Fondato e', invece, l'ultimo motivo sul trattamento sanzionatorio, avendo effettivamente la difesa indicato una pluralita' di elementi in appello a sostegno della riduzione della pena, anche in funzione del riconoscimento delle invocate attenuanti generiche, alcuni dei quali - si allude in particolare a quello relativo all'intervenuta transazione tra il ricorrente e la curatela fallimentare cui e' conseguita la revoca della costituzione di parte civile del curatore nei confronti di (OMISSIS) - non risultano sufficientemente valutati nella pronuncia impugnata; e cio' soprattutto se si considera che invece ad (OMISSIS) si sono riconosciute le attenuanti generiche, sia pure con giudizio di equivalenza, per avere egli devoluto in favore di un'associazione no profit una somma di denaro, con la conseguenza che la motivazione della sentenza oggetto di ricorso risulta in parte qua anche contraddittoria. 6. Dalle ragioni sin qui esposte deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), limitatamente al reato di bancarotta fraudolenta per distrazione di cui al capo b), con riferimento alle sole condotte contestate come realizzate mediante la (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.r.l., nonche' in relazione alla circostanza aggravante di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 1, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano che procedera' a nuovo esame su tali punti alla stregua delle coordinate interpretative sopra esposte; deriva, altresi', che, in riferimento al solo (OMISSIS), la sentenza deve essere annullata anche in relazione al trattamento sanzionatorio, sempre con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Quanto al resto i ricorsi, alla luce di tutto quanto sopra esposto, devono essere dichiarati inammissibili. P.Q.M. Annulla a sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), limitatamente a reato di bancarotta fraudolenta per distrazione di cui al capo b) con riferimento alle sole condotte contestate come realizzate mediante la (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.r.l. -, nonche' in relazione alla circostanza aggravante di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 1, e, in riferimento al solo (OMISSIS), anche in relazione al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuove esame ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi,

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Scarl INI Enrico V. S. - Presidente Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. BELMONTE Maria Tere - rel. Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere Dott. BORRELLI Paola - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato (OMISSIS) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 08/04/2021 della CORTE di APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere BELMONTE Maria Teresa; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale, ODELLO Lucia, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi. Letta la memoria, e le allegate sentenze depositate dell'avvocato LASSINI Roberto, che, nell'interesse della parte civile, (OMISSIS), conclude per il rigetto dei ricorsi. Letta la memoria dell'avvocato (OMISSIS) che, replicando alle conclusioni del Procuratore Generale, insiste nei propri motivi e conclude per l'accoglimento dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Milano ha confermato la decisione del Tribunale di quella stessa citta', che aveva dichiarato (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli dei reati a ciascuno rispettivamente attribuiti, per avere: - il primo, "offeso la reputazione di (OMISSIS), pubblicando il 3 settembre 2016 un articolo a sua firma sul quotidiano online (OMISSIS) e sulla edizione online " (OMISSIS)", del quale era direttore responsabile, dal titolo: " (OMISSIS), il politico imputato per tangenti scopre il business turistico. Ma debutta con una multa per abusivismo", articolo nel quale venivano riportate le seguenti espressioni: "... (OMISSIS) s.r.l. posseduta e amministrata dai familiari dell'ex Vice Presidente PDL della Regione Lombardia, imputato a Milano per corruzione"; - il secondo, quale direttore responsabile della testata del giornale online (OMISSIS), per avere omesso di esercitare sul predetto articolo il controllo necessario a impedire che venisse offesa la reputazione di (OMISSIS). Ravvisata la circostanza aggravante di cui alla L. n. 47 del 1948, articolo 13, in ragione della specificita' dell'attribuzione, ("...scopre il business turistico. Ma debutta con una multa per abusivismo)", ed esclusa, invece, l'ipotesi di cui all'articolo 131 bis c.p., i ricorrenti sono stati condannati alla sanzione pecuniaria ritenuta di giustizia, nonche' al risarcimento del danno non patrimoniale patito dalla parte civile nella misura di Euro 6000 complessivi. 1.1. L'articolo era composto, nella prima parte, da aspetti concernenti la vita di (OMISSIS), in particolare dai riferimenti a una multa inflitta dalla Polizia locale alla societa' (OMISSIS) s.r.l. gestita dai familiari della p.o., e alle varie attivita' di cui egli si era occupato negli ultimi anni; un'altra parte trattava dele attivita' imprenditoriali del (OMISSIS) e delle inchieste giudiziarie che avevano coinvolto i membri della sua famiglia. 1.2. La Corte di appello, premesso il richiamo ai principi di diritto fissati dalle Sezioni Unite "Fazzo" (n. 31022 del 29/01/2015, Rv. 264090), circa l'assimilabilita' funzionale della testata giornalistica telematica a quella tradizionale in formato cartaceo, tale da rientrare nella nozione di "stampa" di cui alla L. 8 febbraio 1948, n. 47, articolo 1, ha ritenuto, in sintesi: a. - quanto a (OMISSIS) - che eccepiva la violazione del principio di correlazione tra accusa e condanna, giacche' egli era stato condannato per il titolo e il sommario dell'articolo pubblicato su Il Fatto quotidiano, mentre il primo era stato riportato nel capo di imputazione solo al fine di individuare l'articolo diffamatorio, e del sommario non poteva essere chiamato a rispondere in quanto attivita' di competenza redazionale - che egli fosse consapevole della "integrale stesura dell'articolo e della necessaria attenzione da prestare alla composizione comprensiva di titolo e sommario che "del resto l'imputato non risulta affatto aver rinnegato o voluto rettificare", dovendosi intendere la pubblicazione come comprensiva di ogni sua parte, attraverso la quale l'informazione raggiunge il lettore e quindi, di contenuto, sommario e titolo. La Corte di appello ha, inoltre, ritenuto diffamatoria anche la pubblicazione, sul quotidiano online diretto dal (OMISSIS), del medesimo articolo, in quanto avvenuta mediante il richiamo in calce al trafiletto di un link che indirizzava sulla testata online (OMISSIS), giacche' equiparabile alla pubblicazione dell'articolo, del quale l'imputato ha implicitamente rivendicato la paternita' proprio trascrivendone il link. - ha ritenuto che, nel titolo, la lesione alla reputazione della p.o. sia rinvenibile nella frase: "ma debutta con una multa per abusivismo", espressione che, secondo la Corte di appello, concentra il campo di attenzione su illeciti di rilevanza penale, chiaramente evocata dal termine "multa", "che e' proprio di tale ambito", e attraverso "l'immediato accostamento a un fenomeno di abusivismo", parola quest'ultima che la Corte territoriale ha ritenuto "evocatrice di una violazione rilevante sul piano penale", in specie di illeciti di natura edilizia. Invece, osserva la sentenza, la sanzione amministrativa (inflitta alla societa' gestita dai parenti della p.o., rispetto alla quale il (OMISSIS) era risultato estraneo) era stata comminata per avere la societa' consentito sine titulo il parcheggio in un campeggio, e la persona offesa "neppure era coinvolto in un procedimento per abusi edilizi, di rilevanza amministrativa e/o penale". - sotto il profilo soggettivo i Giudici distrettuali hanno ravvisato il dolo, sottolineando come "ancor piu' tendenzioso e malizioso e' il tentativo che emerge dall'impostazione generale dell'articolo, di calare questi fatti nel contesto delle inchieste giudiziarie che avevano investito la persona offesa per reati contro la Pubblica Amministrazione, come a voler sottolineare il coinvolgimento ancóra una volta in attivita' illecite di quella specie"; - e' stata esclusa la scriminante del diritto di cronaca e di critica, essendo emerso nell'istruttoria che l'articolo contenesse notizie non vere e fallaci, giacche' il (OMISSIS) era estraneo ai fatti che riguardano la societa' (OMISSIS) s.r.l., e non era coinvolto in abusi edilizi. Inoltre, la struttura dell'articolo, connotato da strumentali sottolineature ed espressioni in grassetto, non necessarie, esclude, per la Corte di appello, la possibilita' di applicare la scriminante dell'esercizio del diritto di cronaca. b. - Quanto a (OMISSIS), la Corte territoriale non ha condiviso l'obiezione dell'appellante secondo cui sarebbe particolarmente difficile e praticamente impossibile per i direttori di una rivista online vigilare costantemente sugli elaborati redatti dai giornalisti, laddove proprio la maggiore diffusivita' delle pubblicazione sul web esigono un controllo piu' capillare e serrato. c. Infine, la Corte di appello ha escluso la riconducibilita' del fatto nell'alveo della causa di non punibilita' di cui all'articolo 131 bis c.p. - invocata dalla Difesa sul rilievo che la reputazione del (OMISSIS) fosse gia' compromessa per le inchieste giudiziarie a suo carico - considerando invece la portata offensiva dello scritto, l'infondatezza dell'informazione, e la particolare capacita' diffusiva del mezzo della stampa. 2. Hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, con il ministero del medesimo difensore di fiducia, avvocato (OMISSIS), che, con un unico atto, si affida a sei motivi. 2.1. Con il primo, eccepisce la violazione dell'articolo 521 c.p.p., e correlati vizi della motivazione, in quanto manifestamente illogica e contraddittoria, se non inesistente o solo apparente, relativamente al principio di correlazione tra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza. Secondo la Difesa, (OMISSIS) era stato tratto a giudizio esclusivamente per un inciso inserito nel sommario contenente fatti risultati veri (" (OMISSIS) s.r.l. posseduta e amministrata dai famigliari dell'ex Vice Presidente PDL della Regione Lombardia, imputato a Milano per corruzione"), giacche' il titolo dell'articolo era stato riportato nell'imputazione al solo fine di consentirne l'individuazione, mentre i giudici di merito l'hanno condannato quale autore dell'articolo, e, dunque, per il suo contenuto, e, quindi, per la diffusione di fatti mai contestati, in quanto non desumibili dall'inciso riportato in imputazione. Del tutto inconferente, quindi, secondo la Difesa, il richiamo, in sentenza, all'orientamento giurisprudenziale secondo cui la natura diffamatoria di un articolo di stampa implica la valutazione dell'intero contenuto dello stesso, e quindi, titolo, occhiello, eventuali foto, e contenuto narrativo. Richiama, sul punto, il verbale di udienza in cui fu lo stesso Pubblico Ministero, su sollecitazione del giudice, a chiarire che la contestazione dovesse essere riferita "all'espressione contenuta in quell'articolo, perche' viene riportato appunto il fatto che l'impresa (OMISSIS) s.r.l. sarebbe posseduta e amministrata e quindi il collegamento che c'e' tra questo abuso edilizio e questa societa'"(dal verbale di 13/09/2019). Tale essendo il fatto determinato contestato, esso e' risultato vero e documentato e corrispondente all'inciso, riportato nel sommario, (" (OMISSIS) s.r.l. posseduta e amministrata dai famigliari dell'ex Vice Presidente PDL della Regione Lombardia, imputato a Milano per corruzione"), mentre il ricorrente e' stato condannato per parole presenti nel corpo dell'articolo, ovvero: "ma debutta con una multa per abusivismo", mai contestato. Richiama la Difesa il principio di diritto affermato proprio con specifico riferimento al delitto di diffamazione a mezzo della stampa, a tenore del quale la contestazione e' legittima laddove contenga esplicito riferimento all'interezza dell'articolo, mentre, nel caso di specie, tale richiamo non e' presente, neppure per relationem. In sintesi, (OMISSIS) deve rispondere esclusivamente del fatto inserito nel capo di imputazione, ovvero per la frase contenuta nel sommario, anche se erroneamente riferita all'articolo, solo quella essendo stata espressamente riportata, senza alcun richiamo anche al resto dell'articolo, per difetto di necessaria contestazione. Cosi' come non erano utilizzabili altri elementi, anch'essi afferenti al contenuto dell'articolo, come il corredo grafico, invece, valorizzato in violazione del diritto di difesa dalla Corte di appello. 2.2. Con il secondo motivo, viene denunciata la manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento gravato, in quanto, secondo i ricorrenti, l'accusa non avrebbe provato che il titolo, ii sommario e il corredo grafico non fossero di fattura redazionale, ne' che fossero opera dell'autore. Illogicamente, dal canto suo, la Corte di appello ha, invece, argomentato sostenendo che (OMISSIS) non avesse dimostrato di non avere redatto il titolo e il sommario, pretendendosi, inammissibilmente, dall'imputato l'impegno di fornire una prova negativa, piuttosto che prendere atto del fatto notorio che riconduce alla redazione, e non all'articolista, la compilazione di tali elementi della pubblicazione, oppure attivarsi con i poteri istruttori di cui all'articolo 507 c.p.p.. Ne' l'inserimento ipertestuale, nel sito del quotidiano diretto dal (OMISSIS), del link di collegamento con il sito (OMISSIS) equivale a volonta' adesiva o a rivendicazione della paternita' del corredo grafico, come chiaramente emerge dal commento che lo precede. Anche con riguardo a tale fatto, si sottolinea come (OMISSIS) sia stato condannato per il contenuto del titolo dell'articolo originario, in realta' mai contestatogli; in ogni caso, non si e' trattato di una nuova pubblicazione, sulla testata online diretta dal (OMISSIS), dal momento che, come si legge anche in sentenza, il link semplicemente reindirizza il lettore sul sito di altro giornale. 2.3. Con il terzo motivo, ci si duole dell'erronea applicazione dell'articolo 595 c.p.p., in ordine al carattere diffamatorio dell'inciso contestato, eccependosi la violazione del divieto di interpretazione in malam partern, laddove la Corte di appello ha ravvisato nelle parole "multa" e "abusivismo" rispettivamente, il riferimento a una sanzione penale e a un illecito edilizio. Solo forzando l'interpretazione delle parole del testo, la Corte di appello e' potuta giungere a sostenerne la carica diffamatoria, e a ravvisare l'offesa alla reputazione della persona offesa, in violazione del principio pacificamente affermato dalla giurisprudenza di legittimita' che non consente al Giudice di integrare il pensiero dell'agente ne' di ricercare conclusioni negative forzando in malam partem i limiti formali e concettuali risultanti dal testo palese e dal tenore espressivo, grammaticale e sintattico delle frasi. 2.4. Con il quarto motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano l'erronea applicazione della legge penale, segnatamente dell'articolo 21 Cost., articoli 51 e 59 c.p., e correlati vizi della motivazione, anche per travisamento della prova, quanto alla esclusione della scriminante del legittimo esercizio del diritto di cronaca e di critica, anche in forma putativa. Posto che la pubblicazione deve essere letta nel suo insieme, e quindi prendendo in considerazione titolo, sommario e contenuto dell'articolo, come farebbe il lettore medio (Rv. 278790), si osserva che il titolo, pur generico, anticipa quanto si legge nel sommario, e, poi, si commenta criticamente nel corpo dell'articolo, di guisa che, ove si fosse in tal modo correttamente proceduto, e senza travisamenti della prova, sarebbe emerso che il titolo (" (OMISSIS), il politico imputato per tangenti scopre il business turistico. Ma debutta con una multa per abusivismo"), anticipa il sommario ("Un parcheggio diventato area di sosta per i camper, con tavolini, tendalini e cavi volanti per la corrente. Per questo la polizia locale di Bellaria - (OMISSIS) ha inflitto una sanzione - ancora da quantificare in base alle violazioni accertate"), il cui contenuto e' confermato nell'articolo in cui si fa riferimento "alla (OMISSIS) s.r.l., posseduta ed amministrata dai familiari dell'ex vice Presidente Pdl della Regione Lombardia", in cui aveva una partecipazione anche la persona offesa attraverso una societa', la (OMISSIS) s.r.l., di cui era risultato titolare di fatto. Trattasi di fatti, oltre che veri, anche verificati dal giornalista, che ha dato atto dettagliatamente del rapporto tra le societa' (OMISSIS) e (OMISSIS) s.r.l. e della titolarita' di quote societarie in capo ai parenti e agli stretti collaboratori della persona offesa; ha contattato l'allora direttore amministrativo del comune di Sellarla riportandone fedelmente le dichiarazioni, ha richiamato correttamente la imputazione a carico del querelante nel processo penale in corso a Milano. Tutti elementi che fondano, secondo l'evocato orientamento di legittimita', la scriminante putativa in questione, laddove, del tutto illogicamente, la Corte di appello l'ha esclusa sulla base di una asserita "incontinenza formale" dello scritto, per "le strumentali sottolineature ed espressioni in grassetto", tuttavia, inserite dalla redazione e che, in ogni caso, riguardano non solo il querelante ma tutti i nomi dei protagonisti della vicenda. 2.5. Con il quinto motivo di ricorso, la Difesa ricorrente lamenta l'erronea applicazione degli articoli 1 e 57 c.p. e articolo 25 Cost., sostenendo che il fatto contestato, al momento della sua consumazione, non era previsto dalla legge come reato ritenendo che l'articolo 57 c.p. contestato al direttore del quotidiano online (OMISSIS), non sia applicabile al direttore di una testata online. Posto che l'orientamento giurisprudenziale evocato dalla sentenza impugnata - secondo cui ai giornali online sono applicabili le responsabilita' e le garanzie previste dal legislatore sulla stampa, inclusa la responsabilita' penale del direttore per omesso controllo (Rv. 274385) - e' stato affermato solo nel 2019 - successivamente alla pubblicazione dell'articolo incriminato 2016) - mentre, in precedenza, la giurisprudenza era costante nell'escludere la applicabilita' dell'articolo 57 c.p. anche ai direttore della testata online, e richiamati i principi costituzionali (articolo 25 Cost.) e convenzionali (articolo 7 CEDU), deve riconoscersi - sostiene la Difesa ricorrente - la violazione del principio di legalita' a fronte di un mutamento giurisprudenziale sfavorevole e imprevedibile, o meglio di una sua applicazione retroattiva contra reurn (caso Contrada; Grande Camera nel caso Del Rio Prada c. Spagna). Neppure puo' validamente richiamarsi il principio di diritto affermato, in quel caso, in bonam partem, dalle sezioni Unite "Fazzo" che hanno interpretato estensivamente la norma costituzionale che limita il sequestro dello stampato anche alle pagine web. 2.6. Con il sesto e ultimo motivo, si eccepisce la violazione dell'articolo 131 bis c.p. e la manifesta illogicita' della motivazione, per travisamento delle prove, quanto al mancato riconoscimento della causa di non punibilita' per la particolare tenuita' del fatto. Premesso che la Corte di appello ha fondato il diniego sulla gravita' dell'offesa e sulla particolare diffusivita' del mezzo che l'ha veicolata, l'illogicita' della motivazione risulta evidente laddove, seguendo l'impostazione del Giudice a quo, la predetta norma non sarebbe invocabile tutte le volte che la diffamazione sia stata commessa a mezzo web. Inoltre, non ha considerato, la Corte di appello, che la compromissione dell'onore della parte civile si era gia' manifestata a seguito del suo coinvolgimento nella indagine milanese in cui erano stati ipotizzati a suo carico gravi delitti contro la P.A. (corruzione, concussione, turbativa d'asta, abuso di ufficio), reati per i quali venne arrestato (con vasta eco nella stampa) e poi condannato in primo grado (ad eccezione di quello di cui all'articolo 317 c.p.); per questo, l'accusa al querelante di essere stato multato per avere abusivamente consentito il parcheggio in un campeggio appariva, in quel momento storico, fatto risibile, privo della potenzialita' offensiva ritenuta dalla Corte di appello. Neppure il Giudice a quo ha tenuto conto della attenuazione della portata offensiva del titolo, quale si desume dal sommario e dal tenore dell'articolo. 3. Il Procuratore Generale ha concluso, con requisitoria scritta, per il rigetto dei ricorsi. 4. Con memoria del 06 ottobre 2022 l'avvocato (OMISSIS), nell'interesse degli imputati, in replica alle conclusioni del Procuratore generale, ha insistito nei motivi di ricorso e concluso per l'accoglimento delle impugnazioni. 5. Con memoria depositata il 27/07/2022 nell'interesse della costituita parte civile, (OMISSIS), l'avvocato (OMISSIS) ha allegato anche le sentenze del Tribunale di Milano e della Corte di appello meneghina, con le quali (OMISSIS) e' stato assolto da tutti i reati per cui era stato sottoposto a procedimento penale, e ha concluso per il rigetto dei ricorsi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. E' fondato il terzo motivo, con il quale si denuncia la insussistenza dei fatti, per mancanza del carattere diffamatorio delle frasi incriminate, e la sentenza impugnata deve, conseguentemente, essere annullata, senza rinvio. 2. Occorre preliminarmente dare atto della infondatezza dei primi due motivi con i quali, nell'interesse di (OMISSIS), la Difesa ricorrente denuncia la violazione del principio di correlazione tra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza, di cui all'articolo 521 c.p.p., e la manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento gravato, in quanto - si sostiene l'Accusa non avrebbe provato che il titolo, il sommario e il corredo grafico fossero riconducibili al (OMISSIS), e non invece alla redazione del quotidiano, non essendo stato contestato al (OMISSIS) anche il contenuto dell'articolo, secondo la Difesa, evocato nell'imputazione al solo fine di individuarlo. 2.1. A sconfessare la tesi difensiva, e' sufficiente ricordare - ma lo ha gia' fatto la Corte di merito - il canone ermeneutico oramai consolidato nella giurisprudenza di legittimita', a tenore del quale: "in tema di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza, ex articolo 521 c.p.p., deve ritenersi assolto l'obbligo di contestazione, con riferimento al reato di diffamazione a mezzo della stampa, allorche' sia richiamato l'intero articolo, quando la diffamazione risulti da tutto il contesto piuttosto che da singole specifiche espressioni, con la precisa indicazione degli estremi per richiamarlo. Al fine di garantire la piu' ampia possibilita' di difesa non e' peraltro necessario che nella contestazione sia riportato integralmente il contenuto dell'articolo di stampa ritenuto diffamatorio"(Sez. 5, n. 7500, 14.04.2000, Rv. 216535; conf. Sez. 5, n. 36347 del 04/06/2001, Rv. 219634 01; Sez. 5, n. 26531 del 09/04/2009, Rv. 244093; Sez. 5 n. 19960 del 30/01/2019, Rv. 276891). Gia' Sez. 6, n. 13664 del 09/05/1980 Rv. 147131 affermava che "cronaca" non vuole dire soltanto un articolo o un testo scritto, ma immagini fotografiche, titolo e impaginazione. I reati commessi per mezzo della stampa possono configurarsi sia nel complesso del testo e delle immagini, valutati unitariamente, sia in una singola frase dell'articolo, oppure nel risalto grafico del titolo e delle immagini, valutati a parte". In tale ottica, si e' affermato che, ai fini della individuazione del soggetto passivo, non e' sufficiente avere riguardo al titolo dell'articolo diffamatorio, ma e' necessario estendere la disamina a tutto il complesso degli elementi tipografici che concorrono a comporlo e cioe': titolo, occhiello, eventuali foto, oltre al testo dell'articolo stesso, in quanto la valenza diffamatoria di una affermazione e' quella che il lettore ricava dall'intero corpo delle notizie che la compongono, indifferente essendo la contiguita' grafica delle varie componenti o la possibilita' che la lettura del titolo stampato in prima pagina e quella del testo pubblicato in altra pagina dello stesso quotidiano richiedano, in concreto, una attenzione maggiore e prolungata dell'interessato alla notizia stessa (Sez. 5, n. 16266 del 09/03/2010 Rv. 247257). Il principio trova ripetute affermazioni anche nella giurisprudenza successiva, che ha precisato come il richiamo dell'imputazione all'intero testo dello scritto o dell'intervista ritenuti diffamatori, con la precisa indicazione degli estremi per la loro identificazione, comporta che l'addebito debba intendersi esteso al complessivo contenuto comunicativo, del quale non e' richiesta l'integrale trascrizione, e non circoscritto alle espressioni riportate nella contestazione a titolo esemplificativo (cosi' Sez. 5 n. 34815 del 20/05/2019, Rv. 276776, in una fattispecie in tema di intervista radiofonica, nella quale la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione di condanna che aveva valorizzato espressioni ulteriori, rispetto a quelle estrapolate dal capo di imputazione; conf. Sez. 5, n. 55796 del 27/09/2018, Rv. 274619, che ha precisato come il richiamo contenuto - anche implicitamente - all'intero testo dello scritto attribuito all'imputato, comporta che l'addebito non debba essere circoscritto alle sole espressioni riportate nella contestazione, non essendo necessaria l'integrale trascrizione dell'articolo, dovendosi viceversa fare riferimento al complessivo contesto comunicativo elaborato dal giornalista). In linea con tale incontrastato orientamento, la Corte di appello ha ritenuto che, nel caso in scrutinio, la pubblicazione debba intendersi come comprensiva di ogni sua parte "attraverso la quale l'informazione raggiunge il lettore e, quindi, contenuto, titolo e sommario", elementi a cui deve ritenersi estesa la imputazione che, come sottolineato in sentenza, li "contempla e menziona chiaramente, facendo riferimento sia al titolo che all'articolo, pienamente integrati l'un l'altro"(pg. 6). 2.2. Del pari corretto e' il richiamo, da parte della Corte di appello, al pacifico principio di diritto che esclude la violazione del principio stabilita' dall'articolo 521 c.p.p. quando, durante l'istruttoria, l'imputato sia stato posto nelle condizioni di conoscere l'accusa e di esercitare le proprie difese, ed il fatto accertato sia omogeneo rispetto a quello contestato, ovvero ne costituisca uno sviluppo prevedibile (Sez. 2 -, n. 6560 del 08/10/2020 (dep. 2021) Rv. 280654). Si ritiene, infatti, che non sussiste violazione del principio di correlazione della sentenza all'accusa contestata quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, in quanto l'immutazione si verifica solo nel caso in cui tra i due episodi ricorra un rapporto di eterogeneita' o di incompatibilita' sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, posto, cosi', a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza avere avuto nessuna possibilita' d'effettiva difesa (Sez. 6, n. 35120 del 13/06/2003 Rv. 226654; Sez. 5, n. 7500 del 14/04/2000, Rv. 216535, in tema di diffamazione). Nel caso in esame, l'imputato ha mostrato di avere compreso i termini della contestazione gia' nel corso del giudizio di primo grado, quando, nel rendere spontanee dichiarazioni, aveva sostenuto la tesi della sua estraneita' alla stesura del titolo e del sommario, versione poi disattesa, come si e' visto, da entrambi i giudici di merito, che hanno ravvisato, invece, la piena consapevolezza del giornalista in ordine alla integrale stesura dell'articolo. 2.3. Invero - e venendo al secondo motivo - nelle conformi sentenze di merito, (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218), si e' posto in rilievo come il (OMISSIS) si sia limitato ad affermare, in sede di spontanee dichiarazioni, di avere semplicemente inviato la bozza dell'articolo alla redazione del quotidiano online (OMISSIS), senza avere avuto alcun ruolo nella stesura del titolo e del sommario. Egli, pero', non ha fornito alcun riscontro documentale - quale una e-mail o altro documento significativo - attestante l'invio dell'articolo alla redazione del giornale. I giudici di merito hanno, poi, dedotto, sulla base di un ragionamento logico del tutto condivisibile, la riconducibilita' al ricorrente anche di tali parti, dalla circostanza della pubblicazione, da parte dello stesso (OMISSIS), che ne era il direttore, sul giornale online " (OMISSIS)", del medesimo articolo, comprensivo di titolo e sommario, richiamato in un link che rinviava direttamente all'articolo pubblicato sulla testata diretta da (OMISSIS). Con tale rinvio integrale, il (OMISSIS) "ha fatto propri anche il titolo e il sommario, rivendicandone la paternita', non prendendo alcuna distanza dagli stessi"(pg. 16 della sentenza di primo grado, con valutazione condivisa dalla Corte territoriale che ha, giustamente, osservato come non venga in rilievo un'inversione dell'onere della prova quanto "nell'innegabile presupposto di una riferibilita' integrale all'autore dello scritto, la necessita' di una dimostrazione in senso contrario, che dia conto di una effettiva e ricercata presa di distanza" - pg. 6). 3. Come premesso, risulta fondato il terzo motivo, con il quale ci si duole dell'erronea applicazione dell'articolo 595 c.p. in ordine al carattere diffamatorio della pubblicazione, avendo il Collegio constatato che entrambi i giudici di merito sono incorsi in un vero e proprio travisamento del fatto, sulla base del quale sono pervenuti al conforme verdetto di condanna. 3.1. La premessa necessaria e' che, secondo incontrastato orientamento di legittimita', in materia di diffamazione, la Corte di cassazione puo' conoscere e valutare la frase che si assume lesiva della altrui reputazione, perche' e' compito del giudice di legittimita' procedere, in primo luogo, a considerare la sussistenza o meno della materialita' della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato (ex plurimis, Sez. 5, n. 832 del 21/06/2005 (dep. 2006) Rv. 233749; Sez. 5, n. 41869 del 14/02/2013, Rv. 256706; Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014 Rv. 261284; Sez. 5 n. 2473 del 10/10/2019 (dep. 2020) Rv. 278145). 3.2. Va poi richiamato quanto affermato da un recente arresto di questa Corte, che ha escluso il carattere diffamatorio di una pubblicazione quando essa sia incapace di ledere o mettere in pericolo l'altrui reputazione per la percezione che ne possa avere il lettore medio, ossia colui che non si fermi alla mera lettura del titolo e ad uno sguardo alle foto (lettore cd. "frettoloso"), ma esamini, senza particolare sforzo o arguzia, il testo dell'articolo e tutti gli altri elementi che concorrono a delineare il contesto della pubblicazione, quali l'immagine, l'occhiello, il sottotitolo e la didascalia. (Sez. 5 - n. 10967 del 14/11/2019 (dep. 2020) Rv. 278790, in una fattispecie in cui la Corte ha escluso il carattere diffamatorio di un articolo che, riferendosi ad un medico condannato per falso, riportava la foto di altro medico che aveva posato per un servizio fotografico, ritenendo che si comprendesse agevolmente sia dall'articolo, sia dai sottotitoli, sia da una intervista riportata nella stessa pagina al presidente di un ordine dei medici che la foto effigiava un medico ma non quello condannato). 3.3. Poste tali coordinate ermeneutiche, e procedendo a una lettura complessiva della pubblicazione - ma, anche a volere prendere in considerazione unicamente le espressioni che sono state riportate nell'imputazione, - si osserva come ai ricorrenti sia stato contestato, nelle rispettive qualita', di avere fatto riferimento, nell'articolo, a notizie non vere o fallaci, rinvenendosi nel titolo la lesione alla reputazione della persona offesa nella frase " ma debutta con una multa per abusivismo", laddove il (OMISSIS) non solo era estraneo ai fatti che riguardavano la (OMISSIS) s.r.l., ma neppure era coinvolto in un procedimento per abusi edilizi, di rilevanza amministrativa e/o penale. L'articolo concentra il campo di attenzione proprio su quest'ultima circostanza, chiaramente evocata attraverso la parola multa, senza alcuna specificazione, e l'immediato accostamento a un fenomeno di abusivismo" (pg 7 della sentenza impugnata). Secondo i Giudici di merito, le due espressioni " multa" e "abusivismo" rimandano all'area della illiceita' penale, in tal modo finendosi per attribuire condotte penalmente rilevanti al (OMISSIS), "esplicitamente chiamato in causa, malgrado la provata estraneita' alla societa' destinataria della sanzione, le cui quote di gestione facevano capo ai familiari". Ebbene, nel titolo dell'articolo in questione si legge: " (OMISSIS), il politico imputato per tangenti scopre il business turistico. Ma debutta con una multa per abusivismo". Nel sommario si afferma: " Un parcheggio diventato area di sosta per i camper, con tavolini, tendalini e "cavi volanti" per la corrente. Per questo la Polizia locale di Bellaria - (OMISSIS) ha inflitto la sanzione - ancora da quantificare in base alle violazioni accertate - alla (OMISSIS) srl, posseduta e amministrata dai familiari dell'ex vicepresidente Pdl della Regione Lombardia, imputato a Milano per corruzione, che attraverso le vecchie colonie sull'Adriatica tenta il salto dai tradizionali affari nella sanita' all'ospitalita' e all'intrattenimento". L'articolo, si dilunga, poi, nella illustrazione della vicenda che ha portato alla sanzione amministrativa, e ripercorre le vicende politiche ed economiche che hanno avuto come protagonista la persona offesa nell'arco della sua intera vita. 3.4. Si osserva, a questo punto, che, quanto al titolo, l'accostamento che si rinviene e' tra l'intrapresa, da parte del (OMISSIS), di un'attivita' nel settore turistico, attraverso una societa' alla quale era stata comminata una multa per abusivismo: che la multa fosse stata inflitta per una violazione amministrativa e' specificato nel sommario e nel successivo contenuto dell'articolo, in cui sono esplicitate molto chiaramente le ragioni della sanzione, anche attraverso il richiamo a un'intervista al Comandante della Polizia Locale, ovvero l'avere destinato un'area di sosta a un parcheggio per camper, senza avere preventivamente conseguito il preventivo rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative. La notizia veicolata attraverso la pubblicazione in questione afferiva, allora, con assoluta evidenza, a una sanzione inflitta alla societa' (OMISSIS) s.r.l. per l'abusiva destinazione dell'area di sosta a un'attivita' non assentita, perche' non assistita dalla necessaria preventiva autorizzazione comunale; nulla autorizzava, nel titolo, nel sommario, e neppure nel corpo dell'articolo, la diversa conclusione che fosse stata inflitta una sanzione penale per illeciti edilizi, in assenza di un qualsivoglia, anche solo implicito, riferimento a una tale eventualita'. Dissente il Collegio dalle valutazioni della Corte di appello, che attribuisce al lettore medio l'assimilazione della parola "multa" a una sanzione penale, bastando osservare che, invece, nell'esperienza di qualsiasi cittadino, il predetto vocabolo evoca, piuttosto, una contravvenzione al codice stradale. Del pari ingiustificata l'assimilazione della parola "abusivismo" agli illeciti di natura edilizia, giacche' - sempre riferendosi al lettore medio - l'abusivo, per comune cognizione, e' proprio chi svolge senza autorizzazione un'attivita' (venditori ambulanti, gestori di spiagge, e cosi' via) o accede senza titolo in un qualche luogo. I Giudici di merito, invece, hanno offerto una interpretazione che e' frutto di una non consentita forzatura in malam partem, proponendo una lettura surrettizia del testo, del tutto estranea al contesto comunicativo, al significato letterale e al senso palese delle frasi incriminate (Sez. 5, n. 11928 del 24/09/1998 Rv. 212365) che, invece, per il contenuto delimitato, non esorbitante ne' insinuante, suonano, oggettivamente - depurate da arbitrarie manomissioni - collegate all'espressa, legittima, esigenza di rappresentare la parabola imprenditoriale e politica della persona offesa, anche attraverso il riferimento a gravi delitti dei quali egli era stato gia' accusato dalla Procura di Milano, patendo anche la detenzione in carcere, salvo poi a venire assolto nei successivi gradi di giudizio. Cosicche' la lettura che i giudici di merito hanno dato delle parole incriminate e dello stesso contenuto dell'articolo risulta del tutto arbitraria, perche' l'articolo, che si presentava come un'inchiesta svolta dal (OMISSIS) - fin dal suo titolo - aveva posto in luce l'argomento trattato, ovvero il salto di qualita' compiuto, dall'imprenditore (OMISSIS) - nonche' homo publicus, per avere amministrato, quale vicegovernatore, la Regione Lombardia - passando dal tradizionale settore della sanita', a quello turistico - alberghiero e del divertimento, che e' esattamente l'ambito in relazione al quale la sanzione era stata inflitta dai vigili urbani, cosi' come riportato nell'articolo, e cioe' che la (OMISSIS) s.r.l. era stata sanzionata si' per un'attivita' abusiva, ma non di natura edilizia e neppure per un illecito avente rilievo penale. La sentenza impugnata si traduce, dunque, in un errato inquadramento della fattispecie concreta in quella legale, non ravvisandosi il contenuto offensivo che risulta attribuito dai giudici di merito, i quali, tuttavia, vi sono giunti, come si ripete, solo attraverso una mistificante lettura dello scritto. 3.5. A questo punto risulta del tutto irrilevante la questione dei rapporti del (OMISSIS) con la societa' che gestiva l'area sanzionata, ovvero la (OMISSIS) s.r.l. - per quanto debba darsi atto che, anche sotto tale profilo, l'articolo incriminato, che contiene riferimenti a tale circostanza nel sommario e poi nel corpo dell'articolo, afferma chiaramente che si tratta di una societa'" posseduta e amministrata dai familiari dell'ex vicepresidente Pdl della Regione Lombardia" - e, tale e' anche l'espressione riportata dal capo di imputazione. Su tale punto, viene poi specificato, nell'articolo, che la quota decisamente maggioritaria (85%) era nelle mani del figlio e di un nipote della persona offesa, mentre una piccola quota, pari al 5%, era intestata a una societa' (OMISSIS) s.r.l.) controllata da un uomo di fiducia e prestanome del (OMISSIS), come emerso, senza contestazione, nell'ambito della inchiesta milanese nella quale era implicato anche la persona offesa. Cosicche', anche per tale aspetto, l'articolo risulta coerente con la realta' dei fatti, giacche', dopo avere premesso, fin dal titolo, che la societa' era riferibile alla famiglia della persona offesa, specificava, poi, che una piccola quota societaria era attribuibile anche al (OMISSIS). 4. L'esito del presente scrutinio di legittimita' e' l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perche' il fatto non sussiste perche', in maniera assorbente rispetto agli altri motivi, difetta la offensivita' della condotta incriminata. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche' i fatti non sussistono.

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