Sentenze recenti lesioni personali

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  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. GIORDANO Emilia Anna - Consigliere Dott. ROSATI Martino - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - Consigliere - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Ig.Gi. , nato a R il (Omissis); avverso l'ordinanza del 13/09/2023 emessa dal Tribunale di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Fabrizio D'Arcangelo; udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Silvia Salvadori, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso; udito il difensore, avvocato Vi.Ca., che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza impugnata, il Tribunale di Roma ha rigettato l'appello cautelare proposto avverso il provvedimento del 19 gennaio 2023 con il quale la Corte di Appello di Roma ha rigettato la richiesta di revoca dell'ordinanza di ripristino della misura cautelare della custodia in carcere disposta nei confronti di Ig.Gi. Il ricorrente è stato condannato, all'esito del giudizio di primo grado, alla pena di due anni e sei mesi di reclusione per il delitto di maltrattamenti in famiglia ai danni di Ki.He. , di lesioni personali ai danni della stessa e di resistenza a pubblico ufficiale. 2. L'avvocato Vi.Ca., nell'interesse dell'Ig.Gi. , ricorre avverso tale ordinanza e ne chiede l'annullamento. Con un unico motivo, il difensore censura la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari e all'adeguatezza della misura cautelare della custodia in carcere. Rileva il difensore che il Tribunale di Roma non avrebbe considerato che l'imputato, dopo la sentenza di condanna di primo grado, non ha tenuto condotte violente ai danni delle persone offese. Precisa, inoltre, il difensore che la persona offesa, nelle sommarie informazioni rese in data 26 novembre 2022, ha escluso che, in occasione dell'ultima violazione contestata del divieto di avvicinamento, l'imputato avesse usato violenza nei suoi confronti e ha precisato che era stata lei stessa a chiedergli di incontrarsi, per trascorre del tempo insieme e fargli conoscere il loro figlio, nato pochi mesi prima; la persona offesa, peraltro, avrebbe espresso "parere favorevole alla scarcerazione" del ricorrente, depositato personalmente in data 16 gennaio 2023 presso la cancelleria della Corte di appello di Roma. Ad avviso del difensore, dunque, anche in ragione dei sette mesi già trascorsi dall'imputato in carcere, non sussisterebbe più alcuna esigenza cautelare e, comunque, la misura della custodia cautelare in carcere si rivelerebbe, ormai, sproporzionata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto in quanto i motivi proposti sono manifestamente infondati e, comunque, diversi da quelli consentiti dalla legge. 2. Con un unico motivo, il difensore censura congiuntamente la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari e all'adeguatezza della misura cautelare della custodia in carcere. 3. Il motivo è, tuttavia, inammissibile, in quanto si risolve nella confutazione in fatto delle argomentazioni espresse dal Tribunale di Roma, senza dimostrarne la manifesta illogicità, e, dunque, in una sollecitazione a pervenire a nuovo esame in ordine alle esigenze cautelari ravvisabile nel caso di specie. Occorre, tuttavia, rilevare che esula dalle funzioni della Corte di cassazione la valutazione della sussistenza o meno dei gravi indizi e delle esigenze cautelari, essendo questo compito primario ed esclusivo dei giudici di merito. Il ricorso per cassazione che deduca l'assenza esigenze cautelari è, dunque, ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (ex plurimis: Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi, Rv. 269884 - 01). Muovendo da tali premesse, deve rilevarsi che il Tribunale di Roma ha argomentato congruamente la permanente attualità delle esigenze cautelari in ragione della propensione a delinquere del ricorrente e della sua acclarata e costante inaffidabilità, in ragione delle plurime violazioni accertate alla misura coercitiva del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa. Il Tribunale ha rilevato, infatti, che l'imputato ha maltrattato la persona offesa e cagionato lesioni alla stessa nelle date del 15 settembre 2021, del 27 ottobre 2021, del 28 novembre 2021, del 15 dicembre 2021 e del 10 marzo 2022, quando, in occasione dell'arresto, ha commesso anche il reato di resistenza a pubblico ufficiale; ulteriori episodi di aggressività e di violenza nei confronti anche dei familiari della persona offesa erano stati denunciati dalla stessa in data 27 dicembre 2021 e in data 8 gennaio 2022. In data 24 novembre 2022, inoltre, l'imputato ha violato il divieto di avvicinamento impostogli dall'autorità giudiziaria, accettando di incontrare la persona offesa e trascorrendo con lei un giorno e una notte. Il Tribunale ha, inoltre, congruamente ritenuto che tali elementi siano così significativi da rendere subvalente il consenso della persona offesa all'ultimo incontro e l'assenza di violenza e di maltrattamenti da parte dell'imputato nel corso dello stesso. D'altra parte, il consenso della persona offesa all'incontro con l'imputato, sottoposto al divieto di avvicinamento di cui all'art. 282 - ter cod. proc. pen. , non elide la volontarietà della violazione accertata, né la giustifica, in quanto non può derogare alla misura coercitiva imposta dall'autorità giudiziaria. Nella valutazione, non certo illogica, del Tribunale, dunque, le reiterate condotte violente poste in essere dall'imputato, anche quando la persona offesa era in stato di gravidanza e nei confronti dei suoi famigliari, rendono necessario il ricorso ad un presidio cautelare non rimesso all'autodisciplina dell'imputato e l'unica misura coercitiva adeguata e proporzionata all'intensità delle esigenze cautelari ravvisate nel caso di specie è la custodia cautelare in carcere. 4. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. , al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata invia equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1 - ter, disp. att. cod. proc. pen. Così deciso il 7 febbraio 2024. Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. COSTANZO Angelo - Presidente Dott. RICCIARDELLI Massimo - Consigliere-Rel. Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - Consigliere Dott. DI GIOVINE Ombretta - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso presentato da Di.Ma., nato il (Omissis) a C avverso l'ordinanza in data 7 dicembre 2023 del Tribunale di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Ricciarelli Massimo; lette le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Piccirillo Raffaele, che ha concluso per l'inammissibilità o per il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 7 dicembre 2023 il Tribunale di Roma ha confermato in sede di riesame quella del G.i.p. del Tribunale di Velletri in data 30 novembre 2023, con cui è stata applicata a Di.Ma. la misura cautelare della custodia in carcere per i delitti di cui agli artt, 572, 605, 582, 585 cod. pen. in danno di Se.Cl. 2. Ha proposto ricorso Di.Ma. tramite il suo difensore. Deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all'art. 275, comma 3-bis cod. proc. pen. Il Tribunale aveva fondato il proprio giudizio sull'efferatezza della condotta ritendo inidonea la condizione di incensuratezza ad attenuare il rischio di recidiva. Ma in tal modo aveva valorizzato contraddittoriamente tale profilo senza dar conto della tendenza del ricorrente a ripetere condotte simili. Inoltre, risultava che la stessa persona offesa aveva deciso di continuare ad avere rapporti con Di.Ma. in funzione dei suoi compiti genitoriali, risultando il ricorrente descritto come soggetto dipendente da alcool e droga. Ma in realtà non era il ricorrente a cercare la vittima, per cui non era logico ipotizzare un rischio di recidiva. Ed ancora, il Tribunale aveva omesso di precisare le ragioni per cui non era praticabile l'adozione di una misura cautelare diversa, rafforzata dall'utilizzo di strumento elettronico di controllo, essendo stato fatto riferimento all'impossibilità di fare affidamento sulla capacità di auto-controllo del ricorrente, che fa uso di sostanza stupefacente ed è soggetto ad improvvisi scatti d'ira, avendo il giorno dell'arresto manifestato violenza anche nei confronti del titolare dell'autofficina, che si era limitato a prestare soccorso alla vittima. Si trattava di rilievo non conferente, al fine di attestare l'idoneità della custodia in carcere a scongiurare il rischio di reiterazione, e incentrato in realtà su affermazione estemporanea e dai contorni moraleggianti. 3. Il Procuratore generale ha inviato la requisitoria, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o per il rigetto del ricorso. 4. Il ricorso è stato trattato senza l'intervento delle parti, ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. n. 137 del 2020, in base alla proroga disposta dall'art. 94, comma 2, D.Lgs. 150 del 2022, come via via modificato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Va, invero, rimarcato come il Tribunale abbia dato conto della pluralità di condotte vessatone e maltrattanti, progressivamente aggressive e violente, tenute dal ricorrente nei confronti della persona offesa, vittima anche di non lievi lesioni personali. Il Tribunale ha in particolare segnalato che, pur a fronte dell'interruzione della convivenza, il rapporto tra la persona offesa e il ricorrente, connotato da un evidente squilibrio tra le rispettive capacità di azione e reazione, era destinato a proseguire ed era in concreto proseguito in ragione della presenza di una figlia minore, avendo costituito ogni occasione di incontro la fonte di litigi, sfociati nelle condotte aggressive e violente del ricorrente, come avvenuto da ultimo in data 26 novembre 2023, allorché il ricorrente, secondo la ricostruzione del Tribunale, aveva nuovamente colpito la persona offesa, danneggiato oggetti, chiuso in casa la donna e la bimba, al mattino essendosi allontanato con il cellulare della predetta. D'altro canto, è stato sottolineato come la ricostruzione dei fatti sia stata suffragata anche dalle dichiarazioni rese dalla datrice di lavoro della persona offesa e dal titolare di un'officina presso la quale la mattina del 27 novembre la donna aveva cercato riparo. 3. In tale prospettiva è stata tutt'altro che illogicamente rilevata la sussistenza del concreto e attuale pericolo di reiterazione di condotte analoghe, correlate alle occasioni di incontro, comunque prevedibili, ed è stata altresì rimarcata la necessità di una misura custodiale, tale da prevenire in radice quella reiterazione, non essendo bastevoli misure meno afflittive, in ragione della mancanza di autocontrollo del ricorrente, dedito all'uso di droghe e di alcool e soggetto a scatti di rabbia. Si tratta di un quadro che il motivo di ricorso ha contestato, adombrando ipotesi ricostruttive alternative e l'inattendibilità della persona offesa e prospettando l'insussistenza del pericolo di reiterazione, a fronte della pregressa incensuratezza del ricorrente e dell'insufficienza del riferimento alla gravità dei fatti, in assenza di elementi tali da attestare l'incapacità di autocontrollo. Ma, a ben guardare, si tratta di deduzioni assertive e aspecifiche, del tutto inidonee a vulnerare il giudizio formulato dal Tribunale con riguardo sia alla sussistenza del pericolo di reiterazione, correlato anche alla gravità delle condotte, sia all'adeguatezza della custodia in carcere, non arbitrariamente essendo stata reputata irrilevante la pregressa incensuratezza ed essendo stata invece valorizzata, anche al fine di escludere la possibilità di applicare una restrizione domiciliare, presidiata da strumento elettronico di controllo, la circostanza che il ricorrente risulti soggetto inaffidabile, in quanto dedito all'uso di sostanze e incline alla rabbia. 4. Di qui l'inammissibilità del ricorso cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa sottesi alla causa dell'inammissibilità, a quello della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Cosi deciso in Roma, l'8 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. MASINI Tiziano - Consigliere Dott. SESSA Renata - Relatore Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere Dott. MELE Maria Elena - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Di.El. nato a R il (Omissis) avverso la sentenza del 12/10/2023 della CORTE APPELLO di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUIGI GIORDANO che ha concluso chiedendo udito il difensore RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 123,10,2023 la Corte dì Appello di Roma ha confermato la pronuncia emessa in primo grado nei confronti di Di.El., che lo aveva dichiarato colpevole del reato di lesione volontaria. 2. Avverso la suindicata sentenza, ricorre per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.. 2.1. Col primo motivo deduce la nullità della sentenza impugnata per mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in riferimento alla ritenuta colpevolezza dell'imputato. Si rappresenta, dopo un breve excursus sul tenore delle dichiarazioni rese dai testi e dalla persona offesa, ritenute non esaustive ai fini della certa identificazione dell'imputato nell'autore dell'aggressione, che all'esito dell'articolata istruttoria sarebbe emerso unicamente che un soggetto sconosciuto sia alla persona offesa che ai suoi amici, all'esterno della discoteca e successivamente all'aggressione, aveva dichiarato di chiamarsi Di.El.. 2.2.Col secondo motivo deduce la nullità della sentenza impugnata per mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in riferimento alla eccessiva quantificazione della pena detentiva e pecuniaria inflitta. 3. Il ricorso è stato trattato - ai sensi dell'art. 23, comma 8, del d. l. n. 137 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, che continua ad applicarsi, in virtù del comma secondo dell'art. 94 del D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall'art. 11, comma 7, d.l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito con modificazioni dalla l. del 23.2.2024 n. 18, per le impugnazioni proposte sino al 30.6.2024 - senza l'intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto: il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso; il difensore della parte civile ha chiesto rigettarsi il ricorso, allegando nota spese; CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato limitatamente al trattamento sanzionatorio, esso è inammissibile nel resto. 1.1. Il primo motivo è aspecifico e meramente reiterativo della questione della identificazione dell'imputato come autore dell'aggressione posta in essere ai danni della persona offesa, che è stata già ampiamente valutata dalla Corte d'appello nella sentenza impugnata. Il collegio di merito, in particolare, ha indicato gli elementi di prova che hanno permesso tale identificazione, precisando, tra l'altro, che lo stesso imputato si era presentato a uno dei testimoni, e ai suoi amici, il quale, per questa ragione, aveva potuto riferirne il nome alla vittima. 1.2. Quanto al trattamento sanzionatorio deve rilevarsi la illegalità della pena - di mesi quattro di reclusione - irrogata con riferimento al reato di lesione personale, ritenuta di tipo lieve - superiore ai venti giorni ma inferiore ai 41 - e non grave dai giudici di merito, rispetto alla quale devono essere applicate le più miti sanzioni previste dal D.Lgs. n. 274 del 2000. Ed invero, come ha avuto modo di affermare - tra le altre - Sez. 5, n. 41372 del 05/07/2023, Rv. 285876 - 01; Sez. 5, Sentenza n. 10669 del 31/01/2023, Rv. 284371 - 01, in tema di lesioni personali lievi, divenute procedibili a querela per effetto dell'art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, rientrando il delitto nella competenza per materia del giudice di pace, è illegale l'inflizione della pena della reclusione, anche nel caso in cui esso sia stato commesso prima dell'entrata in vigore della suddetta disposizione normativa o sia stato giudicato da un giudice diverso (in motivazione, questa Corte ha evidenziato un difetto di coordinamento tra l'art. 4, comma 1, lett. a), D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 e l'art. 582, comma secondo, cod. pen., in quanto il primo, che non è stato modificato, continua a riferirsi al secondo che, invece, non individua più ipotesi procedibili a querela). Al riguardo sì sono di recente pronunciate, in data 14.12.2023, anche le Sezioni Unite di questa Corte che hanno affermato che appartiene al giudice di pace, dopo l'entrata in vigore delle modifiche introdotte dall'art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, la competenza per materia ex art. 4, comma 1, lett. a), D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 in ordine al delitto di lesione personale di cui all'art. 582 cod. pen., nei casi procedibili a querela, anche quando comporti una malattia di durata superiore a venti giorni e fino a quaranta giorni, fatte salve le ipotesi espressamente escluse dall'ordinamento (in motivazione si è precisato che il mancato coordinamento di tale disposizione con quella di cui all'art. 4 comma 1 lett. a) del decreto legislativo 74/2000, deve essere risolto attraverso l'interpretazione estensiva di tale ultima disposizione conformemente alla volontà del legislatore riformatore di ampliare la competenza della predetta autorità giudiziaria a tutti i casi di lesione procedibile a querela). In motivazione le Sezioni Unite hanno altresì precisato che la soluzione non è però automaticamente quella dell'applicazione delle sanzioni previste per i reati di competenza del giudice di pace relativamente ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022, potendo risultare in concreto più favorevole il trattamento sanzionatorio comminato per i reati di competenza del tribunale in caso di concedibilità della sospensione condizionale della pena e secondo una valutazione da compiere di volta in volta alla luce della singola vicenda processuale; sospensione condizionale della pena che nel caso di specie risulta essere stata riconosciuta dai giudici di merito, con la conseguenza che il giudice del rinvio dovrà procedere alle valutazioni del caso secondo i suindicati dettami delle Sezioni Unite. Sicché, trattandosi di reato punito con la sola pena della reclusione, ai sensi dell'art. 52, comma 2, lett. b), sarà applicabile la pena pecuniaria della specie corrispondente da Euro 516,00 ad Euro 2582,00 o la pena della permanenza domiciliare da quindici a quarantacinque giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità da venti giorni a sei mesi, e, stante l'alternativa riguardo alla pena applicabile, e a monte la necessità di valutare in merito alla opportunità della modifica della pena inflitta tenendo conto delle circostanze del caso concreto, s'impone l'annullamento con rinvio affinché alla - eventuale - rideterminazione della stessa - vi proceda il giudice di merito a cui compete ogni valutazione al riguardo. 2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva che la sentenza impugnata dev'essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma; che nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Consegue altresì che l'imputato deve essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile liquidate in complessivi Euro 3.500, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento devono essere omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Inammissibile il ricorso nel resto. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3.500, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge. Così deciso il 3 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. CUOCO Michele - Relatore Dott. RENOLDI Carlo - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Al.Ra. nato a T il (Omissis); avverso la sentenza del 16 ottobre 2023 della Corte d'appello di Trieste; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Michele Cuoco; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Tomaso Epidendio, che ha concluso per l'annullamento, con rinvio, del provvedimento impugnato, limitatamente al trattamento sanzionatolo; udito l'avv. Vi.Vi., difensore di fiducia dell'imputato, che si associa alle richieste del Procuratore generale e insiste per l'accoglimento del ricorso; RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Oggetto dell'impugnazione è la sentenza con la quale la Corte d'appello di Trieste, confermando la condanna pronunciata in primo grado (riformata solo quanto al trattamento sanzionatorio), ha ritenuto Al.Ra. responsabile del reato di lesioni personali commesse ai danni di Ma.Gu.. 2. Il ricorso si compone di un unico motivo d'impugnazione a mezzo del quale si deduce la sopravvenuta illegalità della pena irrogata (la reclusione), atteso che, a seguito del D.Lgs. N. 150 del 2022, il reato è divenuto procedibile a querela e, quindi, rientrando nella competenza del giudice di pace, doveva essere sanzionato con le pene previste dall'art. 52, comma 2, lett. b) del D.Lgs. N. 274 del 2000. 3. Il ricorso è fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata. Per effetto dell'entrata in vigore del D.Lgs. 150/2022, risulta oggi mutato il quadro del regime di procedibilità e conseguentemente del trattamento sanzionatorio del reato di lesioni personali dolose, laddove queste arrechino una malattia di durata superiore a venti giorni ed inferiore a quaranta giorni. L'art. 2 comma 1 lett. b) del decreto in questione, infatti, ha novellato il comma 1 che il comma 2 dell'art. 582 cod. pen., così ingenerando, da un lato, la generale procedibilità a querela delle lesioni che hanno cagionato malattie con durate inferiori ai 40 giorni (salve le ipotesi aggravate esplicitate dal nuovo capoverso dell'art. 582), e dall'altro, in combinato disposto con l'art. 4 comma 1 D.Lgs. 274/2000, la competenza per materia del giudice di pace, posto che quest'ultima norma radica la competenza del giudice di pace sulle ipotesi di lesioni procedibili a querela di parte (Sez. U. del 14 dicembre 2023, inf. provv.). Ciò considerato, l'art. 52 comma 2 lett. b) del D.Lgs. 274/2000 chiarisce che per i reati di competenza del giudice di pace "quando il reato è punito con la sola pena della reclusione o dell'arresto, si applica la pena pecuniaria della specie corrispondente da lire un milione a cinque milioni o la pena della permanenza domiciliare da quindici giorni a quarantacinque giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità da venti giorni a sei mesi". Sicché, per effetto della modifica del regime di procedibilità del reato di lesioni personali dolose - e sempre tenendo a mente il principio della retroattività della legge penale favorevole di cui all'art. 2 cod. pen. - l'eventuale pena detentiva irrogata per reato che oggi sarebbe di competenza del giudice di pace non è più conforme al tipo legale, che, allo stato, contempla, per quella violazione, solo la sanzione pecuniaria e quella della permanenza domiciliare. Ebbene, in concreto, dato atto della presentazione di una valida querela da parte della persona offesa (per come chiaramente rappresentato nella sentenza impugnata), la pena alla reclusione inflitta risulta illegale, in quanto irrogata rispetto ad un reato, le lesioni che arrecano malattia di durata superiore a venti giorni (ma inferiore a quaranta giorni), che oggi rientrerebbe nella fattispecie dell'art. 582 cod. pen. comma 1, mentre prima del 30 dicembre 2022 andava perimetrato nel comma 2 della medesima disposizione, per cui era prevista la procedibilità d'ufficio (e dunque la competenza del Tribunale e la pena detentiva). In conclusione, la sentenza deve essere annullata in relazione al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Trieste. In ragione della natura dei reati contestati e del rapporto esistente tra le parti deve essere disposto l'oscuramento del presente provvedimento. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d'appello di Trieste. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge. Così deciso il 23 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da: Dott. DE MARZO Giuseppe - Presidente Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. SESSA Renata - Relatore Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere Dott. RENOLDI Carlo - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Tr.Cr. nato a G il (Omissis) avverso la sentenza del 09/10/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA; RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 21.12.2023 la Corte di Appello di Ancona ha confermato la pronuncia emessa in primo grado nei confronti di Tr.Cr., che, all'esito di giudizio abbreviato, lo aveva dichiarato colpevole dei reati di lesione, esclusa l'aggravante della durata superiore a 40 giorni, e di danneggiamento, posti in continuazione con determinazione della pena finale in mesi otto e giorni venti di reclusione. 2. Avverso la suindicata sentenza, ricorre per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo, con l'unico motivo articolato, di seguito enunciato nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., l'erronea applicazione della legge penale in relazione alla determinazione della pena ex art. 582 e 81 cpv. cod. pen., alla stregua di quanto affermato da questa Corte di Cassazione, anche con la sentenza a Sezioni Unite del 14/12/2023, in ordine al trattamento sanzionatorio applicabile in caso di durata della lesione inferiore a giorni a 40 giorni, a seguito della c.d. riforma Cartabia. Indi, si conclude che deve ritenersi errata la statuizione che ha ritenuto più grave il reato di lesione personale giudicata guaribili in misura inferiore a 40 giorni operando su questo la continuazione col reato di danneggiamento, e si insta per l'annullamento della sentenza impugnata per l'illegalità della pena inflitta. 3. Il ricorso è stato trattato - ai sensi dell'art. 23, comma 8, del d.l. n. 137 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n.1 76, che continua ad applicarsi, in virtù del comma secondo dell'art. 94 del D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall'art. 11, comma 7, d.l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito con modificazioni dalla l. del 23.2.2024 n. 18, per le impugnazioni proposte sino al 30.6.2024 - senza l'intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto: il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso; il difensore dell'imputato ha insistito nell'accoglimento del ricorso, evidenziando altresì l'ulteriore profilo di illegittimità del trattamento sanzionatorio per essere stato individuato quale reato più grave ai fini della continuazione quello di lesione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Premesso che risulta in atti la denuncia - querela in ordine al fatto in argomento, si osserva che il ricorso è fondato relativamente al trattamento sanzionatorio risultando illegale la pena applicata. Deve, invero, rilevarsi la illegalità della pena irrogata con riferimento al reato di lesione personale, ritenuta di tipo lieve - superiore ai venti giorni ma inferiore ai 41 - e non grave dai giudici di merito, rispetto alla quale devono essere applicate le più miti sanzioni previste dal D.Lgs. n. 274 del 2000. Ed invero, come ha avuto modo di affermare - tra le altre - Sez. 5, n. 41372 del 05/07/2023, Rv. 285876 - 01; Sez. 5, n. 10669 del 31/01/2023, Rv. 284371 - 01, in tema di lesioni personali lievi, divenute procedibili a querela per effetto dell'art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, rientrando il delitto nella competenza per materia del giudice dì pace, è illegale l'inflizione della pena della reclusione, anche nel caso in cui esso sia stato commesso prima dell'entrata in vigore della suddetta disposizione normativa o sia stato giudicato da un giudice diverso (in motivazione, questa Corte ha evidenziato un difetto di coordinamento tra l'art. 4, comma 1, lett. a), D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 e l'art. 582, comma secondo, cod. pen., in quanto il primo, che non è stato modificato, continua a riferirsi al secondo che, invece, non individua più ipotesi procedibili a querela). Al riguardo si sono di recente pronunciate, in data 14.12.2023, anche le Sezioni Unite di questa Corte che hanno affermato, come risulta dall'informazione provvisoria, ed ora anche dal corpo della motivazione della sentenza - non ancora massimata - n. 12759/23, depositata il 28.3.2024, che la competenza per materia per il delitto di lesione personale, nei casi procedibili a querela, anche quando comporti una malattia di durata superiore a venti giorni e non eccedente i quaranta, dopo le modifiche introdotte dall'art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, è stata attribuita al giudice di pace (fatti salvi i casi espressamente esclusi dall'ordinamento) perché il mancato coordinamento di tale disposizione con quella di cui all'art. 4, comma 1, lett. a) del decreto legislativo 74/2000, deve essere risolto attraverso l'interpretazione estensiva di tale ultima disposizione conformemente alla volontà del legislatore riformatore di ampliare la competenza della predetta autorità giudiziaria a tutti i casi di lesione procedibile a querela. Sicché, trattandosi di reato punito con la sola pena della reclusione, ai sensi dell'art. 52, comma 2, lett. b), D.Lgs. n. 274/2000, deve applicarsi la pena pecuniaria della specie corrispondente da Euro 516,00 ad Euro 2582,00 o la pena della permanenza domiciliare da quindici a quarantacinque giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità da venti giorni a sei mesi; e, stante l'alternativa riguardo alla pena applicabile, s'impone l'annullamento con rinvio affinché alla rideterminazione della stessa - anche con riferimento all'individuazione del reato più grave - vi proceda il giudice di merito a cui compete la valutazione al riguardo. 2. Dalie ragioni sin qui esposte deriva che, ferma restando l'irrevocabilità della dichiarazione di responsabilità penale del ricorrente, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al punto del trattamento sanzionatorio, con rinvio al giudice di merito, che va individuato nella Corte di Appello di Perugia a norma dell'art. 623, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.. In caso di diffusione del presente provvedimento devono essere omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Perugia. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge. Così deciso il 10 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da: Dott. MICCOLI Grazia Rosa Anna - Presidente Dott. MASINI Tiziano - Consigliere Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Pa.Si. nato a C il Omissis avverso la sentenza del 05/07/2023 del TRIBUNALE di BOLOGNA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere PIERANGELO CIRILLO; letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore generale ALDO CENICCOLA, che ha chiesto di annullare con rinvio la sentenza. RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Con sentenza del 5 luglio 2023, il Giudice di pace di Porretta Terme aveva assolto Pa.Si. dal reato di lesioni personali, che, secondo l'ipotesi accusatoria, avrebbe commesso in danno di Di.Ve. A seguito dell'appello proposto dal pubblico ministero e dalla parte civile, il Tribunale di Bologna, in riforma della sentenza di primo grado, ha riconosciuto l'imputato colpevole del reato e l'ha condannato alla pena di mesi due di reclusione nonché al risarcimento dei danni. 2. Contro la sentenza del Tribunale di Bologna, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore di fiducia. 2.1 Con un primo motivo, deduce i vizi di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 533 e 603 cod. proc. pen. Rappresenta che, mentre il giudice di primo grado aveva assolto l'imputato, ritenendo non attendibili le dichiarazioni rese dalla persona offesa e dal teste Di.Co., il giudice d'appello aveva deciso in senso diametralmente opposto, basandosi su quelle stesse testimonianze, da lui ritenute attendibili. Il Tribunale di Bologna avrebbe "ribaltato" il giudizio di assoluzione, mediante una diversa valutazione delle medesime prove dichiarative, senza preventivamente rinnovarne l'assunzione in dibattimento. Palese, pertanto, a parere del ricorrente, sarebbe la violazione dei principi affermati in materia dalla costante giurisprudenza e riconosciuti dall'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. 2.2 Con un secondo motivo, deduce i vizi di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 572 e 581 cod. proc. pen. Sostiene che l'atto di appello presentato dal pubblico ministero sarebbe stato inammissibile, in quanto "consistente in un acritico accoglimento dell'istanza proposta ex art. 572 cod. proc. pen. dalla parte civile". 2.3. Con un terzo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione all'art. 582 cod. pen. Contesta la sentenza impugnata, sostenendo che il Tribunale avrebbe ritenuto sussistente il reato di lesioni, nonostante l'assenza della prova di un'effettiva alterazione anatomica o funzionale dell'organismo, quale conseguenza della condotta dell'imputato. 2.4. Con un quarto motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 52, 59 e 582 cod. pen. Sostiene che il Tribunale non avrebbe valutato la possibilità di ritenere applicabile la scriminante della legittima difesa putativa. 2.5. Con un quinto motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione all'art. 52 D.Lgs. n. 274 del 2000. Sostiene che la pena inflitta all'imputato sarebbe illegale, in quanto il Tribunale, in palese violazione dell'art. 52 D.Lgs. n. 274 del 2000, avrebbe applicato una pena detentiva (mesi quattro di reclusione) per un reato di competenza del giudice di pace. 3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di annullare con rinvio la sentenza. 4. L'avv. Al.St., per la parte civile, ha presentato conclusioni scritte con le quali ha chiesto di rigettare il ricorso. 5. L'avv. An.Vo., per l'imputato, ha presentato conclusioni scritte con le quali ha chiesto di accogliere il ricorso. 6. Il ricorso deve essere accolto. 6.1. Il primo motivo di ricorso è fondato. Il Tribunale di Bologna, invero, ha "ribaltato" la sentenza di assoluzione pronunciata dal Giudice di pace, senza procedere alla rinnovazione dell'istruttoria. Al riguardo, deve essere ricordato che "il giudice di appello che riformi ... la sentenza assolutoria di primo grado, sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è tenuto, anche d'ufficio, a rinnovare l'istruzione dibattimentale anche successivamente all'introduzione del comma 3-bis dell'art. 603 cod. proc. pen., ad opera dalla legge 23 giugno 2017, n. 103" (Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, Cremonini, Rv. 281228). La prova dichiarativa deve avere le seguenti caratteristiche: a) può trattarsi di prova che abbia a oggetto sia dichiarazioni percettive che valutative; b) dev'essere espletata a mezzo del linguaggio orale (testimonianza; esame delle parti; confronti; ricognizioni); c) dev'essere decisiva essendo stata posta dal giudice di primo grado a fondamento dell'assoluzione; d) di essa il giudice di appello deve dare una diversa valutazione. Solo ove sussistano, congiuntamente, tutte le suddette condizioni, il giudice di appello ha l'obbligo di rinnovare l'istruttoria e se non adempie all'obbligo incorre in una "violazione di legge". Ebbene, nel caso in esame, le prove dichiarative (le testimonianze della persona offesa e del teste Di.Co.) hanno tutte le evidenziate caratteristiche, posto che: si tratta di dichiarazioni percettive; sono state raccolte a mezzo di testimonianza; sono decisive, in quanto su di esse si fondano sia la sentenza di assoluzione di primo grado che quella di condanna in appello; di esse, il Tribunale ha dato una diversa valutazione. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Bologna. 6.2. Il secondo motivo è inammissibile, atteso che, con esso, il ricorrente si limita a dedurre l'inammissibilità dell'appello del pubblico ministero, sulla base di generiche asserzioni. I restanti motivi risultano assorbiti dall'accoglimento del primo motivo di ricorso. 6.3. La natura dei rapporti oggetto della vicenda impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Bologna. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge. Così deciso, il 6 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati Dott. DE AMICIS Gaetano - Presidente Dott. APRILE Ercole - Consigliere Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere Dott. PACILLI Giuseppina Anna Rosaria - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Ma.An. , nato a R il (Omissis) avverso la sentenza del 17/11/2023 emessa dal Tribunale di Velletri visti gli atti, la sentenza e il ricorso; udita la relazione del consigliere Paolo Di Geronimo; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi Giordano, che ha chiesto l'annullamento della sentenza; RITENUTO IN FATTO 1. Il giudice per le indagini preliminari applicava all'imputato la pena concordata con il pubblico ministero, relativamente ai reati di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali, condannando altresì il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore della parte civile. 2. Avverso tale sentenza, il ricorrente ha formulato tre motivi di impugnazione. 2.1. Con il primo motivo, deduce la violazione degli artt. 78, 29, 447 e 448 cod. proc. pen. in relazione alla condanna alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, evidenziando come l'accordo sulla pena si era formato prima ancora dell'esercizio dell'azione penale e la sentenza era stata emessa nell'udienza appositamente fissata, alla quale non doveva essere neppure consentita la costituzione della parte civile. 2.2. Con il secondo motivo, deduce la violazione degli artt. 446 e 448 cod. proc. pen. , assumendo che il giudice per le indagini preliminari aveva erroneamente ritenuto che il ricorrente, all'udienza del 17 novembre 2023, avesse revocato la richiesta di applicazione della pena. Invero, la volontà espressa era diretta a mantenere fermo l'accordo sulla pena che, tuttavia, doveva essere sostituita con i lavori di pubblica utilità, in base alla nuova disciplina delle sanzioni sostitutive. Il giudice, invece, era incorso in un vero e proprio travisamento della volontà dell'imputato, posto che, se questi avesse inteso revocare la precedente richiesta di patteggiamento, non avrebbe avuto alcun senso logico il deposito della procura speciale con la quale si affermava la volontà di addivenire alla sostituzione della pena già concordata. Alla luce di tali elementi, il giudice avrebbe dovuto accertare la reale volontà del ricorrente e non procedere all'applicazione della pena, anche in considerazione del diniego immotivato espresso dal pubblico ministero. In ogni caso, pur interpretando la volontà dell'imputato come una mera revoca del consenso precedentemente espresso, si sarebbe dovuto dare applicazione all'orientamento giurisprudenziale, contrario rispetto a quello indicato in sentenza, che consente la revoca fin quando l'accordo non è ratificato dal giudice. 2.3. Con il terzo motivo, infine, il ricorrente rappresenta che, il 5 dicembre 2023, la persona offesa ha rimesso la querela con conseguente accettazione, sicché il reato di lesioni personali deve ritenersi non più procedibile, il che imporrebbe in ogni caso l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. 3. Il ricorso è stato trattato con rito cartolare. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito specificati. 2. Il primo motivo, concernente l'illegittima condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di difesa in favore della parte civile, è fondato. Occorre premettere che, nel caso in esame, l'accordo sulla pena è stato raggiunto dopo la notifica dell'avviso ex art. 415 - bis cod. proc. pen. e prima ancora che il pubblico ministero esercitasse l'azione penale. Si tratta, pertanto, di un'ipotesi di patteggiamento nel corso delle indagini preliminari, a fronte della quale il giudice ha correttamente fissato apposita udienza in camera di consiglio, finalizzata esclusivamente al vaglio della richiesta di applicazione della pena. Per consolidata giurisprudenza, nell'udienza fissata a seguito della richiesta di applicazione della pena presentata nel corso delle indagini preliminari non è consentita la costituzione di parte civile ed è pertanto illegittima la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dal danneggiato dal reato la cui costituzione sia stata ammessa dal giudice nonostante tale divieto (Sez.U, n. 47803 del 27/11/2008, D'Avino, Rv. 241356). 3. Il secondo motivo, concernente il rigetto della richiesta di sostituzione della pena detentiva, pur essendo infondato, risulta assorbito dall'accoglimento del terzo motivo. 3.1 Per mera completezza espositiva, è opportuno esaminare ugualmente la questione, ricostruendo nel dettaglio i singoli passaggi processuali rilevanti dai quali emerge che: - a seguito di richiesta dell'indagato, il pubblico ministero prestava il consenso all'applicazione della pena in data 31 agosto 2023; - l'accordo prevedeva esclusivamente l'applicazione della pena detentiva, non facendo in alcun modo riferimento alla sostituzione della stessa; - all'udienza del 17 novembre 2023, il difensore dell'indagato concludeva depositando "revoca al consenso del patteggiamento" sulla base di una procura speciale, del 16 novembre 2023, con la quale si conferiva al difensore il potere di "prestare il consenso all'applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. unicamente se subordinato all'accesso al beneficio della pena sostitutiva"; - il pubblico ministero non prestava il suo consenso alla revoca del patteggiamento; - il giudice rigettava la richiesta di revoca e decideva in conformità all'accordo sulla pena formulato dalle parti. Orbene, sulla base di tali dati di fatto - risultanti dall'esame degli atti e, in particolare, del verbale di udienza - deve escludersi che il giudice abbia mal interpretato la volontà del ricorrente, posto che la richiesta formulata a verbale era espressamente nel senso di revocare il consenso già prestato. Si ritiene, pertanto, che il giudice abbia correttamente escluso la legittimità della revoca, applicando il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la richiesta di applicazione della pena non è più revocabile una volta che su di essa sia espresso il consenso della parte, in quanto la formazione dell'accordo determina effetti irreversibili ed è sottoposto solo al controllo giudiziale (Sez.4, n. 38051 del 3/7/2012, Rv. 254367). 3.2 Tanto premesso, deve ritenersi che il ricorrente, stante l'accordo raggiunto con la parte pubblica, non poteva invocare l'applicazione della disciplina delle pene sostitutive a fronte di un accordo che non le prevedeva in alcun modo. A tal proposito, infatti, deve sottolinearsi come le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 150 del 2022 impongono alle parti di indicare ab origine se l'accordo prevede o meno la sostituzione, tant'è che il novellato art. 444, comma 1, cod. proc. pen. stabilisce espressamente che "l'imputato e il pubblico ministero possono chiede l'applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una pena sostitutiva o di una pena pecuniaria" ovvero della pena detentiva. Il tenore letterale della norma impone, senza possibilità di interpretazioni difformi, che l'accordo sottoposto al giudice contempli già l'esatta individuazione della pena detentiva, pecuniaria o sostitutiva, non essendo consentito - come invece avviene nel rito ordinario - la scissione della fase di determinazione della pena, con la determinazione della sanzione ordinaria cui far seguire, eventualmente, la sostituzione della stessa (a supporto di tale soluzione si veda Sez.6, n. 30767 del 28/4/2023, Lombardo, Rv. 284978; Sez.2, n. 50010 del 10/10/2023, Melluso, Rv. 285690). 4 Risulta fondato e assorbente il terzo motivo con il quale si rappresenta la sopravvenuta remissione della querela in ordine al reato di lesioni personali. Occorre preliminarmente dare atto che, dalla lettura dell'imputazione, non risulta contestata alcuna delle aggravanti che, in base ai novellati artt. 582 e 585 cod. pen. , renderebbe il reato procedibile d'ufficio. Ne consegue che, stante l'accettazione della remissione della querela, deve dichiararsi l'estinzione del reato, in applicazione del consolidato principio secondo cui la remissione di querela, intervenuta in pendenza del ricorso per cassazione e ritualmente accettata, determina l'estinzione del reato che prevale anche su eventuali cause di inammissibilità e va rilevata e dichiarata dal giudice di legittimità, purché il ricorso sia stato tempestivamente proposto (Sez.U, n, 24246 del 25/2/2004, Chiasserini, Rv. 227681). 5 Ritiene la Corte, tuttavia, che non si possa procedere alla mera rideterminazione della pena concordata tra le parti, posto che l'eliminazione di uno dei reati oggetto dell'accordo comporta il venir meno dello stesso, non essendo consentito al giudice - come invece avviene nel caso di ordinaria sentenza di condanna - di rimodulare la sanzione inflitta. La natura dell'applicazione della pena su accordo delle parti comporta, infatti, che il contenuto dello stesso e, quindi, la determinazione finale della pena da applicare, è rimessa unicamente all'atto negoziale, rispetto al quale il giudice è privo di un autonomo potere di rimodulazione della pena. Applicando tale principio, ne consegue che la sentenza di applicazione della pena deve essere annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti al Pubblico ministero, posto che la sentenza è stata emessa in fase di indagini preliminari e prima ancora che fosse fissata l'udienza preliminare. Il ricorrente, per effetto dell'annullamento, potrà procedere a formulare una nuova richiesta di applicazione della pena, eventualmente concordando anche la pena sostitutiva, ovvero, si potrà procedere nelle forme ordinarie. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al P.M. presso il Tribunale di Velietri. Così deciso il 17 aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quinta Bis ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5296 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi.Sa., Ka.Ta., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi.Sa. in Parma, (...); contro Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per l'annullamento del decreto emesso dal Ministero dell'Interno relativo all'istanza -OMISSIS- datato 17.01.2019 e notificato alla ricorrente in data 13.02.2019 mediante il quale veniva respinta l'istanza di concessione della cittadinanza italiana richiesta ai sensi dell'art. 9, comma 1, lettera f) della Legge 5 febbraio 1991 n. 92 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 febbraio 2024 la dott.ssa Antonietta Giudice e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO I. - La ricorrente ha presentato istanza intesa ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, in data 3 febbraio 2014. II. - Esperita l’istruttoria di rito, l’Amministrazione con DM 17 gennaio 2019 ha respinto la domanda, previa comunicazione ex art. 10-bis della legge n. 241/1990 e a seguito del contraddittorio con l’interessata, essendo risultati a carico del figlio convivente i seguenti elementi di controindicazione: - in data 2.7.2005: indagato in stato di libertà dalla stazione CC di Omissisdalla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni di Bologna, per il reato di cui all’art. 110,624,625 n. 2, 61 n. 7 c.p. (furto aggravato in concorso); - in data 15.3.2008: notifica decreto divieto di ritorno nel Comune di Piacenza per anni tre, datato 27.2.2008 adottato dal Questore di Piacenza; - in data 25.2.2008: contestata violazione amministrativa dalla Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico di Piacenza, per violazione dell’art. 688 c.p. (manifesta ubriachezza); - in data 25.02.2008: notizie di reato all’A.G. dalla Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico di Piacenza per violazione dell’art. 582 e 588 c.p. (lesioni personali e rissa); - in data 11.11.2009: decreto penale del G.I.P. presso il Tribunale di Parma, divenuto esecutivo in data 18.12.2009, per il reato di cui all’art. 659, 175 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone). III. - Avverso il suddetto provvedimento di diniego la ricorrente insorge con l’odierno gravame, chiedendone l’annullamento, in quanto asseritamente affetto dai vizi di: 1. Eccesso di potere per incongrua e carente motivazione, travisamento dei fatti posti alla base del provvedimento di diniego; 2. Violazione dell’art. 3 della legge 7.8.1990, n. 241, provvedimento non sufficientemente motivato. La parte censura il provvedimento in quanto non adottato a seguito di una compiuta valutazione della posizione della richiedente che afferma di essere socialmente integrata nel tessuto sociale italiano di non aver subìto condanne penali e di non aver avuto alcun coinvolgimento nelle vicende penali dl figlio, il quale è in ogni caso in possesso di una carta di soggiorno di lungo periodo. IV. - Il Ministero dell’interno, costituito in giudizio per resistere al ricorso, ha depositato documenti del fascicolo del procedimento e una relazione difensiva, contestando nel merito le censure ex adverso svolte e concludendo per il rigetto della domanda di annullamento del diniego impugnato. V. - All’udienza pubblica del 28 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO I. - Il ricorso è infondato. II. - Il Collegio reputa utile una premessa di carattere teorico in ordine al potere attribuito all’amministrazione in materia, all’interesse pubblico protetto e alla natura del relativo provvedimento (vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945, 3018 e 3471/2022). L'acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone l'esplicarsi di un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione. Ciò si desume ictu oculi, dalla norma attributiva del potere, l’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, a tenore del quale la cittadinanza "può" - e non "deve" - essere concessa. La dilatata discrezionalità in questo procedimento si estrinseca attraverso l’esercizio di un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti - consistenti, sostanzialmente, oltre nel diritto di incolato, nei "diritti politici" di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) - ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità - consistente nel dovere di difenderla anche a costo della propria vita in caso di guerra ("il sacro dovere di difendere la Patria" sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52 della Costituzione), nonché, in tempo di pace, nell'adempimento dei "doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale", consistenti nell’apportare il proprio attivo contributo alla Comunità di cui entra a far parte (art. 2 e 53 Cost.). A differenza dei normali procedimenti concessori, che esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto Amministrazione/Amministrato, l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (Popolo), incide sul rapporto individuo/Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo; si tratta, pertanto, di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104; cfr. Cons. Stato, AG, n. 9/1999; sez. IV n. 798/1999; n. 4460/2000; n. 195/2005; sez, I, n. 1796/2008; sez. VI, n. 3006/2011; Sez. III, n. 6374/2018; n. 1390/2019, n. 4121/2021; TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012; n. 3920/2013; 4199/2013). È stato, in proposito, anche osservato che il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, che sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l'interesse dell'istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale. E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura "composita", in quanto coevamente teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agere del soggetto alla cui cura lo stesso è affidato. In questo quadro, pertanto, l’amministrazione ha il compito di verificare che nel soggetto istante risiedano e si concentrino le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprime integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile. La concessione della cittadinanza deve rappresentare il suggello sul piano giuridico di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di "cittadinanza sostanziale" che giustifica l’attribuzione dello status giuridico (in proposito, Tar Lazio, Sez. II quater, sent. n. 621/2016: "concessione che costituisce l’effetto della compiuta appartenenza alla comunità nazionale e non causa della stessa"). In altre parole, si tratta di valutare il possesso di ogni requisito atto ad assicurare l’inserimento in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato, gravare sulla finanza pubblica (cfr. ex multis, Tar Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227 e n. 12006 del 2021 e sez. II quater, n. 12568/ 2009; Cons. Stato, sez. III, n. 104/2022; n. 4121/2021; n. 7036 e n. 8233 del 2020; n. 1930, n. 7122 e n. 2131 del 2019; n. 657/2017; n. 2601/2015; sez. VI, n. 3103/2006; n. 798/1999). III. - Se, dunque, il potere dell’Amministrazione ha natura discrezionale, il sindacato giurisdizionale sulla valutazione dell’effettiva e compiuta integrazione nella comunità nazionale deve essere contenuto entro i ristretti argini del controllo estrinseco e formale, esaurendosi nello scrutinio del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, con preclusione di un’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto oggetto del giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cui è causa; il vaglio giurisdizionale non deve sconfinare nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione (ex multis, Cons. Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104; Sez. IV, n. 6473/2021; Sez. VI, n. 5913/2011; n. 4862/2010; n. 3456/2006; Tar Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012). IV. - Alla luce del quadro ricostruito, questo Collegio ritiene che l’operato della p.a. sia immune dai vizi dedotti dalla parte che, in quanto strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente. Dalla lettura del provvedimento, il Collegio ritiene che sia possibile ricostruire, contrariamente a quanto dedotto nell’atto introduttivo del ricorso, il percorso logico-giuridico che ha condotto l’amministrazione - sulla base delle risultanze istruttorie raccolte, tenuto conto in particolare del rapporto informativo della Legione Carabinieri Emilia Romagna del 15 febbraio 2017 nonché del certificato del casellario giudiziale n. 2588349/2018/R - all’adozione di una determinazione sfavorevole per la richiedente, essendo stata profilata una situazione critica nell’ambito familiare. La determinazione avversata è fondata sulla rilevanza attribuita dall’amministrazione al rapporto di parentela stabile e al legame affettivo della richiedente con il figlio risultato incline a violare le regole di civile convivenza, in quanto suscettibile di suggerire scelte emotive volte ad agevolare, per mere ragioni di coinvolgimento affettivo-emotivo, comportamenti non aderenti ai valori della Repubblica. Ebbene in proposito, il Collegio ritiene utile evidenziare che all’autorità procedente nei procedimenti di concessione della cittadinanza si richiede di estendere la valutazione circa l'avvenuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale sotto i molteplici profili della sua condizione lavorativa, economica, familiare e di irreprensibilità della condotta anche al nucleo familiare (cfr. Cons. Stato, sez. I, n. 2674/2018; Id., sez. I, n. 2660/2017, secondo cui la concessione della particolare capacità connessa allo status di cittadino impone che "si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del paese ospitante, sotto il profilo dell’apporto lavorativo e del rispetto delle regole del paese stesso. E in tale ottica, non può ritenersi censurabile l’estensione della valutazione anzidetta al nucleo familiare"). D'altronde, come condivisibilmente rilevato da questo Tribunale (cfr. Sez. I ter n. 13300 del 10 dicembre 2020; Sez. II quater n. 1840 del 2 febbraio 2015), la natura altamente discrezionale del provvedimento di concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione, infatti, fa sì che possano essere presi in considerazione dall’amministrazione per le proprie determinazioni tutti gli aspetti, riguardanti l’istante, ritenuti indicativi della sua effettiva e piena integrazione (sull’estensione del giudizio di opportunità del rilascio dello status alla condotta del nucleo familiare dell’aspirante cittadino, Tar Lazio, Sez. V bis, n. 3673 del 6 marzo 2023, ha chiarito: "in tal modo evidenziando l’ambito soggettivo di tale valutazione, che non si limita alla sola persona del richiedente, ma investe la cerchia dei familiari, in quanto nucleo elementare in cui si forma, si sviluppa e si manifesta la personalità individuale e che, pertanto, costituisce "l’ambiente" in cui va particolarmente studiato il comportamento dei soggetti"). I comportamenti penalmente rilevanti anche dei familiari di primo grado, quando si tratta di familiari conviventi, dunque possono essere considerati al fine di motivare il diniego della cittadinanza italiana del padre, in quanto sono sintomatici della integrazione del nucleo familiare nel quale l’istante vive. I due aspetti della convivenza e dello stretto grado di parentela costituiscono, infatti, elementi significativi della sicura influenza svolta dal familiare, che abbia commesso reati, sull’istante o viceversa e dunque sono stati legittimamente valorizzati dalla amministrazione ai fini di una motivazione di rigetto della cittadinanza italiana. In particolare, nel caso di specie è venuta in emersione la riconducibilità al figlio di una pluralità di illeciti - furto aggravato in concorso di cui agli artt. 110, 624, 625 n. 2, 61 n. 7 c.p.; manifesta ubriachezza per violazione dell’art. 688 c.p.; lesioni personali e rissa per violazione dell’art. 582 e 588 c.p.; disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone per il reato di cui all’art. 659, 175 c.p. - commessi in un caso anche durante la minore età dello stesso e in ogni caso tutti verificatesi nel c.d. "periodo di osservazione", il decennio antecedente la domanda, in relazione al quale deve essere raccolto da parte della p.a. ogni elemento utile sul conto del richiedente lo status al fine della formulazione del giudizio prognostico di ottimale inserimento in maniera stabile nella comunità nazionale. Dette condotte contestate al figlio convivente, che sono anche sfociate in un provvedimento di condanna e in un provvedimento di divieto di ritorno nel Comune di Piacenza, sono da considerare, da un lato, violative di beni-interessi fondamentali per l’ordinamento - tra i quali l’integrità fisica e il patrimonio della persona, la tranquillità pubblica - tutelati in tutte le manifestazioni e in ogni momento della vita associativa dall’ordinamento italiano, dentro e fuori la famiglia, dall’altro, indicative - in ragione di una valutazione non atomistica delle stesse - di un cattivo rapporto ovvero mancato rispetto delle istituzioni dell’ordinamento in cui il nucleo familiare intende radicarsi; pertanto sono state, ad avviso del Collegio, non irragionevolmente ritenute rilevanti al fine della valutazione del livello di integrazione complessivo dei componenti della famiglia, nonché in generale ai fini della formulazione del giudizio di idoneità dell’aspirante cittadino, senza contare la possibilità dei benefici previsti dal legislatore in favore dei familiari conviventi del cittadino. V. - In altre parole, il diniego avversato - lungi peraltro dal violare il principio della personalità della responsabilità penale, vista la limitazione dei relativi effetti al piano amministrativo (cfr. Cons. Stato, sez. I, parere n. 316/2023: "Con il diniego della cittadinanza l’amministrazione non ha esteso al richiedente le conseguenze penali dei reati commessi da un membro del nucleo familiare, ma ha ritenuto di non potere escludere che i significativi precedenti penali dei figli siano indicativi di una situazione di insufficiente integrazione del nucleo familiare nella collettività nazionale e di una situazione di probabile rischio di conseguenze dannose per la stessa collettività ") - si innesta sul pericolo di danno alla comunità nazionale in conseguenza dell’applicazione dei benefici ai parenti del cittadino [cfr. Tar Lazio, sez. V bis, n. 3673/2023 citata: "il richiamo al principio della "responsabilità personale" risulta inconferente in quanto nel contenzioso sulla cittadinanza non viene in considerazione solo la condotta del richiedente, ma anche quella dell’intero nucleo familiare, apprezzato in un’ottica oggettiva, tenendo conto delle conseguenze negative che dalla "infelice" concessione della cittadinanza deriverebbero per l’intera collettività (la cui salvaguardia costituisce una finalità di valore preminente rispetto all’aspirazione dell’istante a prendere parte alla vita politica nazionale dato che questo è, in sostanza, il quid pluris conferito con il provvedimento di naturalizzazione)"]. I molteplici elementi di controindicazione emersi sul conto del figlio convivente della ricorrente, ricadenti nel c.d. "periodo di osservazione" (vale a dire all’interno dell’arco temporale, che coincide con il decennio antecedente la domanda, assunto dalla giurisprudenza prevalente quale frangente di riferimento per valutare l’effettiva integrazione in ragione dell’acquisizione e conservazione dei requisiti all’uopo richiesti: cfr. ex plurimis, Parere del Consiglio di Stato, sez. I, n. 635/2022; Tar Lazio, sez,. V bis, sentenza n. 9494/2023) si caratterizzano dunque nel loro complesso per il forte disvalore sociale, tanto da aver non irragionevolmente spinto la p.a. a determinarsi negativamente nella formulazione del giudizio prognostico di meritevolezza della cittadinanza della madre, avendo escluso l’opportunità rebus sic stantibus di concedere uno status giuridico irreversibile quale la cittadinanza, che postula non soltanto l’interesse da parte del richiedente e il suo inserimento nella collettività che lo ospita ma anche un interesse da parte di quest’ultima ad accogliere lo stesso. VI. - È opinione del Collegio, peraltro, che dette conclusioni sulla correttezza dell’operato della p.a. - che, previo contraddittorio con l’istante, non ha escluso il rischio di un danno alla collettività in conseguenza del rilascio del richiesto status a causa di quanto emerso sul conto del figlio della richiedente - non possono essere scalfite neppure alla luce dell’allegata stabile situazione economico-lavorativa dell’interessata. Sul punto questa Sezione, peraltro, ha più volte chiarito che lo stabile inserimento socio-economico non rappresenta un elemento degno di speciale merito, in grado di far venir meno i constatati motivi ostativi alla concessione dello status anelato, esso è solo il prerequisito della richiesta di cittadinanza, in quanto presupposto minimo per conservare il titolo di soggiorno, che autorizza la permanenza dello straniero sul territorio nazionale (ex multis, Tar Lazio, Sez. V bis, nn. 2945 e 4295 del 2022). L’inserimento sociale e professionale del richiedente rappresenta un elemento sintomatico di una raggiunta situazione di normalità che consente la permanenza dello straniero in Italia, ma non consiste in una particolare benemerenza tale da indurre la Pubblica Amministrazione a ritenere l’interesse pubblico ad integrare nella comunità nazionale un elemento anche ove residuino dubbi sull’effettiva condivisione dei valori fondamentali dell'ordinamento di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza. Neppure colgono nel segno le argomentazioni che fanno leva sull’avvenuto rilascio del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo CE al figlio, in quanto il cittadino straniero lungosoggiornante nello Stato può essere comunque espulso ove ne ricorrano i presupposti e in questa prospettiva le vicende penali del figlio della richiedente possono assumere ulteriore rilevanza nell’ambito della valutazione del rilascio dello status in considerazione del combinato disposto degli artt. 19, comma 2, lett. c) e 30, comma 1, lett. c) del d.lgs. 25.07.1998, n. 286 e successive modificazioni ed integrazioni, secondo cui gli stranieri conviventi con parenti di nazionalità italiana non sono soggetti ad espulsione e possono ottenere un permesso di soggiorno per motivi familiari. VII. - In ogni caso, si tenga conto che il diniego della cittadinanza non preclude all’interessato di ripresentare l’istanza nel futuro (già dopo un anno dal primo rifiuto), per cui le conseguenze discendenti dal provvedimento negativo sono solo temporanee e non comportano alcuna "interferenza nella vita privata e familiare del ricorrente" (art. 8 CEDU, art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici) - dato che l’interessato può continuare a rimanere in Italia ed a condurvi la propria esistenza alle medesime condizioni di prima. Quindi, per il provvedimento impugnato, con cui, nel bilanciamento degli interessi pubblici e privati in gioco, si è ritenuto recessivo l'interesse del privato ad essere ammesso come componente aggiuntivo del Popolo italiano, l’irragionevolezza è altresì esclusa alla luce della circostanza che il diniego di cittadinanza provoca il solo svantaggio temporale sopraindicato, il quale risulta "giustificato" ove si consideri la rilevanza degli interessi in gioco e l’irreversibilità degli effetti connessi alla concessione dello status di cittadino. Da tale punto di vista, infatti, risulta inopportuno ampliare la platea dei cittadini mediante l'inserimento di un nuovo componente ove sussistano dubbi sulla sua attitudine a rispettare i valori fondamentali per la comunità di cui diviene parte essenziale con piena partecipazione all’autodeterminazione delle scelte di natura politica. VIII. - Il Collegio, pertanto, ritiene, sulla scorta dei postulati enucleati, che le conclusioni a cui è giunta l’Amministrazione siano immuni dai vizi dedotti con i motivi di ricorso. IX. - In conclusione, per quanto osservato, il ricorso deve essere respinto perché infondato. X. - Sussistono giustificati motivi, tenuto conto della specificità della fattispecie trattata, per disporre la compensazione delle spese. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quinta Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Floriana Rizzetto - Presidente Enrico Mattei - Consigliere Antonietta Giudice, Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. BELMONTE Maria T. - rel. Consigliere Dott. CANANZI Francesco - Consigliere Dott. MOROSINI Elisabetta M. - Consigliere Dott. SGUBBI Vincenzo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 04/05/2022 della CORTE APPELLO di CATANZARO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MARIA TERESA BELMONTE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCIA ODELLO; che ha concluso per Ilinamnnissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la decisione del Tribunale di Paola - che aveva dichiarato (OMISSIS) colpevole di lesioni aggravate ai sensi degli articoli 582, 585 in relazione all'articolo 577 n. 4 c.p., per avere cagionato, alla persona offesa, lesioni personali giudicate guaribili in giorni trenta, con l'aggravante dei futili motivi, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia nonche' al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'avvocato (OMISSIS), nell'interesse dell'imputato, svolgendo quattro motivi. 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 582 c.p. e 129 c.p.p., nonche' all'articolo 516 c.p.p. quanto alla procedibilita' del reato. Sostiene il difensore ricorrente che, a fronte di una iniziale contestazione, che riportava lesioni con prognosi di 15 giorni aggravate ai sensi dell'articolo 577 n. 4 c.p., procedibili a querela della p.o. (mancante, nel caso di specie, essendo stata sporta solo una denuncia orale), ai sensi dell'allora vigente articolo 582 c.p., reato per il quale si era proceduto a seguito di citazione diretta a giudizio, il Tribunale aveva modificato in sentenza, su richiesta del P.M., il capo di imputazione, facendo riferimento a una malattia guaribile in giorni 30, procedibile di ufficio, e per cui avrebbe dovuto essere celebrata l'udienza preliminare. Irrituale, dunque, la modifica dell'imputazione senza contraddittorio da parte del Tribunale, cosi' come il rigetto, da parte della Corte di appello, dell'analoga eccezione, non consentendo alla difesa dell'imputato di sollecitare la trasmissione degli atti al P.M., affinche' incardinasse il processo richiedendo l'udienza preliminare. 2.2. Violazione dell'articolo 61 n. 1 c.p. in merito alla ritenuta sussistenza dell'aggravante dei motivi abbietti e futili, con riguardo a una reazione di gelosia dell'imputato, dettata dagli apprezzamenti della persona offesa nei confronti della moglie del (OMISSIS). 2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione, assente, in relazione al diniego della causa di non punibilita' di cui all'articolo 131 bis comma 2 c.p.., stante l'insussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 61 n. 1 c.p.. 2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'erronea quantificazione della pena, essendo pervenuta la sentenza impugnata a una modificazione in pejus del trattamento sanzionatorio. La Corte di appello, nell'emendare il contrasto tra motivazione e dispositivo della sentenza di primo grado, quanto alla concessione delle circostanze attenuanti generiche (negate nella motivazione e riconosciute, con giudizio di equivalenza, nel dispositivo), ha considerato quale pena base quella di anni uno di reclusione, laddove, invece, per il Tribunale, la pena base era quella mesi di nove, con la conseguenza che, operata la riduzione per il rito abbreviato, la pena finale avrebbe dovuto essere quella di mesi sei di reclusione e non di mesi otto. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 1.Manifestamente infondato il primo motivo, in relazione al quale la Corte di appello ha correttamente posto in rilievo due dati: il richiamo, gia' nell'imputazione originaria, al certificato medico rilasciato alla persona offesa, conosciuto all'imputato, nel quale, appunto, si riportava una prognosi di 30 giorni; la richiesta di rito abbreviato formulata dal Difensore munito di procura speciale solo successivamente all'intervenuta modificazione dell'imputazione, mediante emenda di un evidente errore materiale, a cui la Corte di appello ha proceduto, su sollecitazione del P.M., all'udienza dell'8 gennaio 2019. 1.1. Il primo profilo evidenziato dalla Corte di appello rende evidente l'errore materiale, pienamente riconoscibile dall'imputato; il secondo aspetto sottolineato dalla sentenza impugnata, e' correlato alla mancanza di eccezioni della parte, che, anzi, ha optato per il rito abbreviato, opzione che sana ogni eccezione di nullita', non assoluta, e di inutilizzabilita' non patologica, nonche' le questioni sulla competenza, ai sensi dell'articolo 438 bis c.p.p. (Sez. 3, n. 23182 del 21/03/2018 Rv. 273345, Sez. 3, n. 882 del 09/06/2017 (dep. 2018) Rv. 272258). 2. Quanto alla predetta circostanza, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione del canone ermeneutico secondo cui "In tema di circostanze, la gelosia puo' integrare l'aggravante dei motivi abietti o futili, quando sia connotata non solo dall'abnormita' dello stimolo possessivo verso la vittima od un terzo che appaia ad essa legata, ma anche nei casi in cui sia espressione di spirito punitivo, innescato da reazioni emotive aberranti a comportamenti della vittima percepiti dall'agente come atti di insubordinazione" (Sez. 1, n. 49673 del 01/10/2019, Rv. 278082).Anche il secondo motivo risulta, dunque, manifestamente infondato. 3. Analoghe considerazioni valgono per il terzo motivo, atteso che la, pur sintetica, motivazione da' conto della aggravante applicata, che non consente l'applicazione dell'articolo 131 bis c.p., non sussistendone i presupposti. 4. Anche la censura afferente al trattamento sanzionatorio risulta infondata. Il primo giudice infatti perviene alla pena di mesi 8 partendo da una pena base di mesi 9 aumentata a mesi 12 per effetto dell'aggravante, sicche' nessuna discrasia e' sussistente, dal momento che la Corte di appello ha considerato la medesima la pena base di anni uno, su cui e' stata operata la diminuzione per la sca/elta del rito, che ha portato, in entrambe le sentenze di merito, alla pena finale di mesi otto.; d'altro canto, la Corte di appello ha concordato sulla quantificazione della pena individuata dal tribunale, ben giustificando il proprio convincimento, sicche' il giudizio sul punto risulta frutto di legittimo esercizio di potere discrezionale di merito, non sindacabile nella presente sede. S.Va infine aggiunto che, a seguito della introduzione delle modifiche di cui al Decreto Legislativo n. 150/2022, come e' noto, il delitto contestato all'imputato e' procedibile a querela, la quale risulta presentata, essendovi stata anche costituzione di parte civile della persona offesa. 6. Alla declaratoria di inammissibilita' 41e1 ricorso consegue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali eozli una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo liquidare in Euro tremila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. PEZZULLO Rosa - Consigliere Dott. DE GREGORIO Eduardo - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 03/11/2020 della CORTE APPELLO di PALERMO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa BIFULCO DANIELA; lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa PASSAFIUME Sabrina, la quale ha chiesto pronunciarsi l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Palermo ha confermato la decisione con cui il Tribunale di Termini Imerese ha ritenuto (OMISSIS) responsabile del reato di cui agli articoli 582, 583 e 585 c.p., in riferimento all'articolo 576 c.p., articolo 61 c.p., n. 2, per aver cagionato a (OMISSIS) lesioni personali giudicate guaribili in giorni 45, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento dei danni a favore della parte civile (OMISSIS). 2. Nell'interesse dell'imputato e' stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai cinque motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo, si lamenta, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), erronea applicazione della legge in relazione alla mancata esclusione dell'aggravante di cui all'articolo 583 c.p.. Con motivazione del tutto inadeguata rispetto allo specifico motivo d'appello, la Corte d'appello avrebbe omesso di considerare sia la documentazione medica, acquisita agli atti, resa dai medici dell'Ospedale (OMISSIS) sia la relazione del consulente medico di parte, Dott. (OMISSIS). In entrambi i casi, il periodo di malattia era stato indicato in giorni 30. Con valutazione contraddittoria rispetto a tali risultanze, la Corte d'appello ha invece ritenuto che la durata della malattia si sarebbe dilatata a giorni 45 a causa delle condizioni fisiche complessive del paziente, cosi' escludendo, irragionevolmente, il parere del consulente medico di parte, secondo il quale il prolungarsi della malattia sarebbe stato dovuto a cause sopravvenute e a "preesistenze di cui il soggetto era affetto" (p. 11 del ricorso). 2.2 Con il secondo motivo, si eccepisce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), nullita' della sentenza per violazione dell'articolo 603 c.p.p. Nel rigettare la richiesta di rinnovazione dibattimentale, avente a oggetto l'audizione del medico responsabile dell'intervento chirurgico presso l'ospedale (OMISSIS), la Corte avrebbe privato la difesa di una prova decisiva ai fini dell'accertamento di quanto occorso in fase di degenza della parte offesa. In particolare, la difesa non avrebbe potuto provare la mancanza di nesso di causalita' tra le condotte in contestazione e le lesioni asseritamente patite dalla p.o.. 2.3 Con il terzo motivo, si contesta la mancata concessione della circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 2. Anche rispetto a tale profilo, la motivazione sarebbe affetta da carenza, dato che la Corte non avrebbe tenuto in conto gli argomenti, gia' prospettati dalla difesa con atto d'appello, relativi alla veemenza della reazione della p.o. all'invito del (OMISSIS) di sgomberare i luoghi dell'azienda agricola da quest'ultimo legittimamente occupati per l'attivita' lavorativa. Tale veemenza avrebbe indotto il ricorrente ad agire in stato d'ira, indotto dal fatto ingiusto altrui (articolo 62 c.p., n. 2). Benche' non citato in rubrica, il ricorrente evidenzia, nella parte finale del presente motivo, anche l'illegittima mancata concessione dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 5, e vizio di motivazione sul punto. 2.4 Col quarto motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata derubricazione del reato ascritto all'imputato nella fattispecie di cui agli articoli 83, 590 c.p. o (in via subordinata) all'articolo 586 c.p.. Dalle risultanze istruttorie (e, segnatamente dalle dichiarazioni rese dalla p.o. e dal teste (OMISSIS)), non sarebbe emersa la prova della sussistenza della condotta materiale del reato contestato. Le lesioni arrecate alla persona offesa, secondo la difesa, non sarebbero state prevedibili, ne' volute, ne' provato e' stato un contatto fisico tra p.o. e il (OMISSIS). La motivazione dell'impugnata sentenza sarebbe contraddittoria e carente nella valutazione degli elementi del compendio probatorio che hanno determinato la decisione di condanna, con conseguente violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e) e del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio. 2.5 Col quinto motivo, si deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge in riferimento agli articoli 62-bis e 133 c.p.. La mancata concessione delle attenuanti generiche sarebbe stata motivata in modo del tutto inadeguato, tramite mere formule di stile con rinvii ai precedenti penali dell'imputato che attengono, peraltro, a fatti non omogenei rispetto al fatto in esame con presente ricorso. 3. Sono state trasmesse, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, conv. con L. 18 dicembre 2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Passafiume Sabrina, la quale ha chiesto pronunciarsi l'inammissibilita' del ricorso. La difesa dell'imputato ha depositato conclusioni scritte con cui si replica alle conclusioni del P.G. e si insiste per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. L'esame della impugnata sentenza consente, infatti, di constatare come le censure in questa sede proposte nella gran parte ripropongano le medesime doglianze dedotte nel giudizio di appello, rispetto alle quali non puo' che ribadirsi quanto gia', piu' volte, chiarito da parte di questa Corte di legittimita', per cui e' inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l'atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicita' della motivazione (cosi', tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 24383801). A prescindere dalla decisivita' della superiore argomentazione, il Collegio rileva, in primo luogo, come risulti palesemente infondata l'introduttiva doglianza, con cui la difesa ripropone un insostenibile ribaltamento logico - gia' disatteso dai Giudici del merito con argomenti logicamente e giuridicamente incensurabili -affermando che la prognosi - in origine di 30 giorni, poi definita in 45 giorni - si sarebbe dilatata nel tempo a causa di pregresse condizioni cagionevoli della p.o. Invero, e' stato correttamente osservato dai Giudici del merito come, proprio in ragione dell'eta' avanzata della parte lesa (di vent'anni piu' anziana dell'imputato) le complicanze che hanno determinato il momento della guarigione (prolungandolo, rispetto alla prima prognosi, oltre i 45 giorni) fossero del tutto prevedibili ex ante e, comunque, non certo tali da spezzare il nesso di causalita', trattandosi di un'evoluzione naturale degli effetti lesivi ascrivibili all'imputato per la sua azione aggressiva e violenta. Le notevoli conseguenze lesive della violenta spinta, inferta all'improvviso sul torace di un uomo anziano, sono state ragionevolmente considerate prevedibili secondo il criterio del id quod plerumque accidit. 2. La manifesta infondatezza del secondo motivo discende logicamente da quanto appena esposto. Avendo la Corte territoriale aderito, con congrua motivazione, alle articolate ragioni esposte dal Giudice del primo grado circa la completezza dell'indagine dibattimentale, e all'attendibilita' dei risultati della stessa quanto alla dinamica degli eventi, risulta incensurabile la scelta di denegare la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, attesa la genericita' dell'istanza esplorativa richiesta dall'imputato. (cfr., tra le tante, Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, G., Rv. 274230 - 01: "nel giudizio d'appello, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, prevista dall'articolo 603 c.p.p., comma 1, e' subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento e' rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimita' se correttamente motivata"). 3. Il terzo motivo e' inammissibile, dal momento che denuncia il mancato riconoscimento di circostanze attenuanti che riposano, nella prospettazione del ricorrente, su una ricostruzione dei fatti meramente assertiva, che non si confronta in alcun modo con le argomentate conclusioni della sentenza impugnata, quanto alla assoluta carenza di un fatto ingiusto della p.o.. D'altra parte (e con specifico riguardo alla circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 5), va ribadito - cio' che connota la doglianza in termini di manifesta infondatezza - che, ai fini della sua configurabilita', e' necessario che la persona offesa concorra volontariamente a determinare l'evento del reato e non e' invece sufficiente che il suo comportamento abbia costituito semplicemente il movente della condotta dell'imputato (Sez. 5, n. 35560 del 07/06/2012, Porta, Rv. 253203 - 01). 4. Il quarto motivo e', del pari, inammissibile per manifesta infondatezza. Destituita d'ogni fondamento e', infatti, la censura alla lesione del canone di giudizio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, inutilmente invocato in un caso in cui la dinamica degli eventi non ha lasciato alcuno spazio a remore decisionali di sorta. Questo Collegio ritiene, anzi, che la motivazione dell'impugnata sentenza sia conforme al fondamentale criterio per il quale "la scelta che conduce alla condanna dell'imputato deve essere fondata in ogni caso su un dato probatorio "al di la' di ogni ragionevole dubbio", caratterizzato da un alto grado di credibilita' razionale, con esclusione soltanto delle eventualita' piu' remote" (Sez. 6, n. 27434 del 14/02/2017, Albano, Rv. 270299 - 01). Le assertive prospettazioni del ricorrente non scalfiscono il dato fattuale di riferimento e precludono le invocate riqualificazioni del fatto. 5. Il quinto motivo e' manifestamente infondato, avendo i Giudici d'appello rimarcato l'assenza di elementi positivi a supporto della concessione delle invocate circostanze attenuanti generiche: anzi, e' stato razionalmente valorizzato il comportamento poco commendevole dell'imputato, dileguatosi dopo l'inferta lesione senza curarsi delle condizioni della p.o., rimasto col femore fratturato, in luogo remoto e lontano dai soccorsi. La motivazione non e' dunque scalfita da profili di censurabilita', atteso che la Corte territoriale ha indicato gli elementi ritenuti rilevanti e, infine, decisivi ai fini del detto diniego, in tal modo operando buon governo dei criteri che devono ispirare il potere discrezionale del giudice nella valutazione di eventuali circostanze attenuanti (Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, dep. 2022, Bianchi, Rv. 282693 - 01). 6. Alla pronuncia di inammissibilita' consegue, ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche' al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. PEZZULLO Rosa - Consigliere Dott. DE GREGORIO Eduardo - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 12/04/2022 della CORTE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa BIFULCO DANIELA; lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa PASSAFIUME Sabrina, la quale ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Napoli ha parzialmente riformato la decisione di primo grado con cui (OMISSIS) era stato condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione e al risarcimento del danno in favore della parte civile, (OMISSIS), per il reato di arbitrario esercizio delle proprie ragioni e per il reato di cui agli articoli 582 e 585 c.p.. Il capo a) della rubrica (l'unico a rilevare in questa sede) ascriveva all'imputato il reato di cui all'articolo 393, perche' "al fine di esercitare il proprio preteso diritto di proprieta' esclusivo" su un terreno, "pur potendo ricorrere al giudice, si faceva arbitrariamente ragione" da se', "con minaccia... e con violenza alle persone consistite nel profferire all'indirizzo di (OMISSIS) -proprietario di un terreno confinante con quello dell'indagato - le parole: "cosa stai facendo qui- lo vuoi capire che non devi venire piu'...da qui te ne devi andare altrimenti ti uccido" e nel lanciare contro la predetta persona offesa delle pietre colpendola poi al naso con un pezzo di metallo, per tal via causandogli lesioni personali meglio descritte capo b)". Riqualificato il fatto contestato al capo a) della rubrica nel delitto di violenza privata, esclusa la contestata recidiva ed esclusa la parte civile per tardivita' dell'atto di costituzione della stessa, la Corte territoriale ha rideterminato la pena in mesi dieci di reclusione. 2. Nell'interesse dell'imputato e' stato proposto ricorso per cassazione, per il tramite dell'Avv. (OMISSIS), affidato a tre motivi. 2.1. Con il primo motivo, si deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), d) ed e), violazione di legge in riferimento all'articolo 603 c.p.p., comma 3, nonche' vizio di motivazione. Nel rigettare implicitamente la richiesta di rinnovazione dibattimentale relativa all'escussione del teste (OMISSIS), il quale avrebbe potuto fornire una versione diametralmente opposta a quella fornita dalla persona offesa, la Corte avrebbe mancato di dare il giusto rilievo all'evidente contraddittorieta' delle dichiarazioni di quest'ultima. Ai fini della propria decisione, la Corte avrebbe quindi valorizzato un quadro probatorio caratterizzato da assoluta incertezza, travisando le risultanze processuali e rendendo, in tal modo, una motivazione contraddittoria. La palese conferma del vizio di motivazione sarebbe data, a parere della difesa, dai dubbi espressi dalla Corte d'appello a proposito della qualificazione del reato indicata dal Giudice di primo grado (articolo 393 c.p.), non a caso riqualificato dalla Corte territoriale in reato di violenza privata. 2.2 Col secondo motivo, si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza. Nel riqualificare il fatto nei margini della fattispecie prevista dall'articolo 610 c.p., la Corte territoriale avrebbe violato il diritto di difesa dell'imputato, nonche' il diritto al contraddittorio sul contenuto dell'accusa, emettendo una decisione non prevedibile, vista la mancata, preventiva sollecitazione, da parte del Giudice, del contraddittorio tra le parti sulla specifica questione. Dopo aver richiesto giudizio abbreviato ex articolo 438 c.p.p., comma 1, (e non comma 2, come affermato dal Giudice di primo grado), la difesa aveva evidentemente optato per un rito a forma contratta, accettando che la vicenda processuale del (OMISSIS) fosse definita alla stregua degli atti d'indagine gia' acquisiti. Riqualificando in violenza privata il fatto originariamente qualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la Corte territoriale avrebbe violato non soltanto norme processuali e principi costituzionali interni, ma anche i principi posti dalla Corte edu con sentenza Drassich c. Italia del 2007. 2.3 Col terzo motivo, si lamenta omessa motivazione in ordine al diniego della sospensione condizionale della pena. 3. Sono state trasmesse, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, conv. con L. 18 dicembre 2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Passafiume Sabrina, la quale ha chiesto il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo e' manifestamente infondato sia con riguardo alla lamentata censura di violazione di legge sia rispetto alle censure di vizio motivazionale e travisamento di prova. Con riguardo al primo profilo della dedotta censura, occorre premettere che, in primo grado, il processo si e' svolto con la forma del giudizio abbreviato. Paradossalmente, e' il ricorrente stesso a ricordare che l'imputato "chiese di accedere a un rito a "prova contratta" accettando che la sua vicenda processuale fosse definita alla stregua degli atti d'indagine gia' acquisiti e rinunciando a chiedere ulteriori mezzi di prova" (p. 20 del ricorso). Per pacifico orientamento giurisprudenziale, le parti, nel "giudizio abbreviato d'appello, sono titolari di una mera facolta' di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile dal giudice "ex officio" nei limiti della assoluta necessita' ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 3, atteso che in sede di appello non puo' riconoscersi alle parti la titolarita' di un diritto alla raccolta della prova in termini diversi e piu' ampi rispetto a quelli che incidono su tale facolta' nel giudizio di primo grado". (Sez. 2, n. 5629 del 30/11/2021, dep. 2022, Granato, Rv. 282585 - 01. Tale consolidato orientamento costituisce, del resto, logica applicazione al giudizio abbreviato d'appello del piu' generale principio sulla eccezionalita' della rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello (attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado), cui puo' farsi ricorso esclusivamente allorche' il giudice ritenga, nella sua discrezionalita', di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820 - 01). Posta tale premessa, e posto anche che alcuna prova nuova risulta essere sopravvenuta al giudizio abbreviato, trova perfetta giustificazione l'implicito diniego di rinnovazione dibattimentale, mirata all'escussione del teste (OMISSIS). In ogni caso, la Corte ha ampiamente motivato in merito alla scarsa credibilita' delle dichiarazioni rese, in sede di indagini difensive, da quest'ultimo, sicche' la parte motiva risulta immune da ogni censura sia dal punto di vista della tenuta logica sia da quello giuridico. 2. Il secondo motivo e, del pari, manifestamente infondato. Secondo l'autorevole insegnamento di questa Corte, espresso nella sua piu' alta composizione nomofilattica (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 26443801) l'attribuzione all'esito del giudizio di appello, pur in assenza di una richiesta del pubblico ministero, al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, non determina la violazione dell'articolo 521 c.p.p., neanche per effetto di una lettura della disposizione alla luce dell'articolo 111 Cost., comma 2, e dell'articolo 6 della Convenzione EDU, come interpretato dalla Corte Europea, qualora la nuova definizione del reato sia nota o comunque prevedibile per l'imputato e non determini, in concreto, una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novita' che da quel mutamento scaturiscono (Sez. 5, n. 11235 del 27/02/2019, G., Rv. 276125 - 01). In altri termini, il giudice di appello, anche in presenza della sola impugnazione dell'imputato, puo' procedere ad una nuova e piu' grave qualificazione giuridica del fatto nel rispetto del principio del giusto processo previsto dall'articolo 6 Cedu, come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, anche senza disporre una rinnovazione totale o parziale dell'istruttoria dibattimentale, sempre che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell'accusa inizialmente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e rimanga ferma la pena irrogata (Sez. 2, n. 39961 del 19/07/2018, Tuccillo, Rv. 273922, N. 3246 del 2008 Rv. 242953, N. 27460 del 2014 Rv. 259567, N. 38049 del 2014 Rv. 260585, N. 2884 del 2015 Rv.262285, N. 23186 del 2016 Rv. 2689). Invero, anche alla luce della regola di sistema espressa dalla giurisprudenza di Strasburgo, la diversa qualificazione del fatto effettuata dal giudice di appello non determina alcuna compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, consentendo all'imputato di contestarla nel merito con il ricorso per cassazione (Sez. 5, n. 19380 del 12/02/2018 - dep. 04/05/2018, Adinolfi, Rv. 27320401: fattispecie nella quale il giudice di appello ha riqualificato il delitto di cui all'abrogato articolo 485 c.p., nel piu' grave titolo di reato di cui all'articolo 491 c.p.). Tanto premesso, ritiene il Collegio che l'eccezione difensiva vada disattesa, in vista della prevedibilita' della diversa qualificazione giuridica indicata dal Giudice d'appello; invero, il presupposto del reato in origine contestato e' la preesistenza di una pretesa giuridicamente azionabile. Cio' che non ricorreva nel caso di specie, come osservato dalla Corte territoriale (v. p. 7) parte motiva dell'impugnata sentenza). In difetto di quel presupposto, era nel novero delle concrete possibilita' che i Giudici d'appello riqualificassero il fatto storico nella fattispecie di violenza privata, atteso che - come illustrato dagli stessi - le plateali minacce profferite dall'imputato, con seguente lancio di un pezzo di ferro all'indirizzo della p.o., erano finalizzate a ottenere che quest'ultima si astenesse, per il futuro, di recarsi nuovamente sul fondo. Pertanto, correttamente esclusa l'ipotesi normativa di cui all'articolo 393 c.p., la Corte territoriale ha legittimamente ritenuto che il caso di specie andasse ricondotto nell'ambito normativo dell'articolo 610 c.p., viste il palese eccesso caratterizzante la condotta dell'imputato, che si e' tradotta in un comportamento costrittivo dell'altrui liberta' di determinazione, in termini di particolare gravita' (Sez. 5, n. 7468 del 28/11/2013, dep. 2014, Pisano, Rv. 258985 - 01; cfr. anche Sez. 5, n. 38820 del 26/10/2006, Barattelli, Rv. 235765 - 01: "in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (articolo 393 c.p.), la pretesa arbitrariamente attuata dall'agente deve corrispondere perfettamente all'oggetto della tutela apprestata in concreto dall'ordinamento giuridico di guisa che cio' che caratterizza il reato in questione e' la sostituzione, operata dall'agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato; e', inoltre, necessario che la condotta illegittima non ecceda macroscopicamente i limiti insiti nel fine di esercitare, anche arbitrariamente, un proprio diritto, ponendo in essere un comportamento costrittivo dell'altrui liberta' di determinazione, giacche', in tal caso, ricorrono gli estremi della diversa ipotesi criminosa di cui all'articolo 610 c.p. (violenza privata)"). Infine, anche dal punto di vista del regime di procedibilita', alcun rilievo guadagna la pretesa violazione del divieto di "reformatio in peius", data la sussistenza dell'atto di querela ("in assenza di impugnazione da parte del pubblico ministero, viola il divieto di "reformatio in peius" la diversa qualificazione giuridica del fatto da parte del giudice del gravame, qualora a cio' consegua la configurazione di un delitto procedibile di ufficio, escluso dal primo giudice, in luogo di uno procedibile a querela": fattispecie in cui il giudice di appello aveva ritenuto configurabile il reato di violenza privata in luogo di quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni per il quale difettava la querela": Sez. 5, n. 42577 del 20/07/2016, Anetrini, Rv. 267782 - 01). 3. Il terzo motivo, con cui si lamenta omessa motivazione in ordine al diniego della sospensione condizionale della pena, e' manifestamente infondato, risultando il diniego dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza e, segnatamente, dalla parte motiva relativa alla determinazione della pena (in cui si ricordano due precedenti condanne per delitti). Come statuito dalla giurisprudenza di legittimita', "non e' censurabile, in sede di legittimita', la sentenza che non motivi espressamente in relazione a una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza" (fattispecie in cui il giudice di appello, pur non avendo espressamente argomentato in ordine alla denegata applicazione dell'esimente di cui all'articolo 131-bis c.p., aveva posto in rilievo, tra l'altro, la mancanza di elementi favorevoli al riconoscimento delle attenuanti generiche e la sussistenza di precedenti penali dell'imputato ostativi alla concessione della sospensione condizionale della pena: Sez. 4, Lakrafy, n. 5396 del 15/11/2022,Rv. 284096 - 01; Sez. 3, n. 26191 del 28/03/2019, Lemay, Rv. 276041 - 01). 4. Questo Collegio dichiara pertanto inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. CAPPUCCIO Daniele - Consigliere Dott. MONACO Marco Mar - rel. Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 27/09/2022 del TRIB. SORVEGLIANZA di BRESCIA; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MONACO MARCO MARIA; lette le conclusioni del Procuratore Generale, Sost. Proc. Gen. Dott.ssa GUERRA MARIAELENA, per il rigetto; lette le conclusioni dell'avv. (OMISSIS) che insiste per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Sorveglianza di Brescia, con ordinanza in data 27/9/2022, depositata l'11/10/2022, ha rigettato l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale proposta da (OMISSIS). 2. Il Tribunale ha dato atto che il condannato in data 14 agosto 2022 e' stato arrestato in flagranza dai Carabinieri di Jesolo per i reati di resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali e furto aggravato e che in data 15 agosto 2022 l'arresto e' stato convalidato ed e' stata disposta la misura della custodia cautelare in carcere. A fronte di tale elemento sopravvenuto il Tribunale ha ritenuto che la misura richiesta fosse incompatibile con il regime di detenzione in atto e, sotto altro e generale profilo, ha comunque evidenziato come il condannato non sia meritevole del beneficio invocato in considerazione del fatto che la recente commissione di delitti depone per l'assoluta inaffidabilita' dello stesso ed evidenzia il rischio di recidivanza. 3. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso il condannato che, a mezzo del difensore ha dedotto i seguenti motivi. 3.1. Violazione di legge in relazione all'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), articoli 179 e 678 c.p.p. e articoli 45 bis e 146 bis disp. att. c.p.p. e alla normativa comunitaria con riferimento alla mancata partecipazione del condannato all'udienza. 4. In data 9 dicembre 2022 sono pervenute in cancelleria le conclusioni con le quali il Procuratore Generale, Sost. Proc. Gen. Guerra Mariaelena, ha chiesto che il ricorso sia rigettato. 5. In data 8 febbraio 2023 e' pervenuta una memoria con la quale l'avv. (OMISSIS) insiste per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' infondato. 1. Nell'unico motivo la difesa deduce la violazione di legge in relazione all'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), articoli 179 e 678 c.p.p. e articoli 45 bis e 146 bis disp. att. c.p.p. e alla normativa comunitaria con riferimento alla mancata partecipazione del condannato all'udienza evidenziando che il difensore, con due distinte comunicazioni, aveva fatto presente che il proprio assistito, ristretto durante il procedimento di sorveglianza, aveva richiesto di partecipare all'udienza. Come risulterebbe dagli atti, infatti, il difensore aveva, dapprima, con comunicazione del 23 settembre 2022 inviata alla casa circondariale e, poi, con richiesta del 26 settembre 2022, manifestato la volonta' del ricorrente di partecipare all'udienza, anche a mezzo di collegamento da remoto. La doglianza e' infondata. Nel procedimento di sorveglianza, disciplinato dall'articolo 666 c.p.p. in virtu' del richiamo contenuto nell'articolo 678 c.p.p., come evidenziato dal Procuratore generale richiamando i consolidati principi enucleati da questa Corte, mentre la partecipazione del difensore e del pubblico ministero all'udienza camerale fissata per la trattazione e' prevista come necessaria, quella dell'interessato e', invece, subordinata alla richiesta dello stesso d'essere sentito personalmente. Se questi e' detenuto o internato in un istituto fuori dalla circoscrizione del giudice, tra l'altro, lo stesso - salvo che il giudice ritenga di doverlo sentire personalmente e ne disponga la traduzione - e' ascoltato dal magistrato di sorveglianza del luogo, prima del giorno dell'udienza. In conseguenza la mancata traduzione ed audizione dell'interessato che non ha fatto espressa richiesta di essere sentito non e' causa di nullita' del procedimento camerale (cfr. Sez. 1, n. 37232 del 9/5/2014, Minasi, n. m.; Sez. 1, n. 2905de1 24/09/1990, Curti, Rv. 185449 -01) ne' rileva il suo legittimo impedimento a comparire, a meno che egli abbia preventivamente richiesto di essere sentito personalmente (Sez. 1, n. 1913 del 23/10/2020, dep. 2021, Di Bari, Rv. 280299 -01). A fronte di quanto previsto dal combinato disposto dell'articolo 678 c.p.p., comma 3.2. e articolo 123 c.p.p., comma 1 la richiesta di volersi avvalere della facolta' partecipare all'udienza deve essere presentata dal condannato attraverso il direttore del carcere (cfr. Sez. 6, n. 56453 del 21/11/2018, Yarish, Rv. 274688 01; Sez. 1, Sentenza n. 50456 del 16/05/2017, Parashiv, Rv, 271479 - 01) e, comunque, anche se diversamente proposta o manifestata, deve pervenire in tempo utile (cfr. Sez. U, n. 35399 del 24/06/2010, F., Rv. 247836 - 01). 2. Nel caso di specie, come anche evidenziato dal difensore nell'atto di ricorso e per quanto risulta dagli atti: - in data 23 settembre 2022 il difensore ha inviato una mail alla Casa Circondariale di (OMISSIS) con la quale ha chiesto alla direzione del carcere di informare il sig. (OMISSIS) della fissazione dell'udienza del 27/9/2022 e di "presentare richiesta per partecipare all'udienza personalmente o tramite collegamento audiovisivo", mail questa trasmessa solo per conoscenza anche al Tribunale di Sorveglianza; -in data 26 settembre 2022 la difesa, in assenza di risposta, ha inviato una comunicazione, a mezzo pec, con la quale ha formalmente richiesto che il proprio assistito venisse tradotto ovvero che venisse predisposto il collegamento audiovisivo con il detenuto; - in data 27 settembre 2022 il difensore, presente in udienza, ha richiesto un differimento dell'udienza al fine di far partecipare il proprio assistito all'udienza; - il Tribunale di Sorveglianza, a scioglimento della riserva, ha rigettato la richiesta di concessione della misura alternativa alla decisione. 2.1. La mail inviata il 23 settembre 2022 dal difensore alla direzione del carcere non conteneva la richiesta di partecipare all'udienza. La stessa, infatti, era formulata esclusivamente quale richiesta di informare il proprio assistito della prossima celebrazione dell'udienza e di presentare la richiesta di partecipare personalmente. 2.2. La richiesta fatta pervenire in data 26 settembre 2022 dal difensore, cosi' come anche la successiva richiesta di differimento proposta in udienza, pure volendo prescindere dal fatto che non sono state presentate personalmente dal condannato, sono tardive. Il giorno immediatamente precedente e quello in cui e' stata celebrata l'udienza, senza che sia stata peraltro illustrata alcuna ragione che possa avere impedito al condannato di presentare personalmente la richiesta, infatti, non risulta essere stata proposta in tempo utile per disporre la traduzione o anche soltanto la partecipazione a distanza del detenuto. 3. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CASA Filippo - Presidente Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere Dott. FILOCAMO Fulvio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1) (OMISSIS), nato il (OMISSIS); Avverso la sentenza emessa il 24/03/2022 dalla Corte di assise di appello di Roma; Sentita la relazione del Consigliere Alessandro Centonze; Sentite le conclusioni del Sostituto procuratore generale Giulio Romano, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio; il rigetto, nel resto, del ricorso; Sentite, nell'interesse delle parti civili (OMISSIS) ed (OMISSIS), le conclusioni dell'avvocato (OMISSIS), che ha concluso come da comparsa conclusionale e nota spese; Sentite, nell'interesse del ricorrente, le conclusioni degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno chiesto l'accoglimento del ricorso. RILEVATO IN FATTO 1. Con sentenza emessa il 23 febbraio 2021 la Corte di assise di Roma giudicava (OMISSIS), colpevole dei reati ascrittigli ai capi A e B, unificati dal vincolo della continuazione, condannando l'imputato, riconosciuto il vizio parziale di mente e concesse le circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle contestate aggravanti, alla pena di ventiquattro anni di reclusione. L'imputato (OMISSIS), inoltre, veniva condannato alle pene accessorie di legge, al pagamento delle spese processuali e al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, (OMISSIS) ed (OMISSIS), da liquidarsi in separata sede processuale. Si disponeva, infine, a pena espiata, l'applicazione della misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa di cura e custodia, da eseguirsi presso una residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza (R:E.M.S.), per un periodo di tre anni. 2. Con sentenza emessa il 24 marzo 2022 la Corte di assise di appello di Roma, pronunciandosi sull'impugnazione proposta da (OMISSIS), in riforma della decisione impugnata, rideterminava il trattamento sanzionatorio irrogato all'imputato in diciannove anni di reclusione. La sentenza di primo grado, nel resto, veniva confermata. 3. Da entrambe le sentenze di merito, che divergevano nei termini sanzionatori di cui si e' detto, emergeva che (OMISSIS), nel corso di una rapina commessa il (OMISSIS), all'interno dell'abitazione di (OMISSIS), ubicata a Tolfa, in Viale d'Italia n. 35, causava la morte della persona offesa, dopo averla sottoposta a una brutale aggressione. L'imputato, in particolare, aggrediva violentemente la vittima, provocandole fratture multiple al corpo, un'emorragia biparietale alla testa e un diffuso edema cerebrale, che, nell'immediatezza dei fatti, venivano accertate dal consulente tecnico del Pubblico ministero, il dottore (OMISSIS), che eseguiva l'esame cadaverico presso l'abitazione della persona offesa. La ricostruzione degli accadimenti criminosi, innanzitutto, si fondava sull'esame delle immagini estrapolate dalle telecamere di videosorveglianza installate nei luoghi frequentati da (OMISSIS), nelle ore che precedevano e seguivano l'omicidio di (OMISSIS), commesso il (OMISSIS), che consentivano di monitorare gli spostamenti dell'imputato e di individuarlo, fin dalla prima fase delle indagini preliminari, quale autore dei fatti di reato di cui ai capi A e B. Tale monitoraggio investigativo veniva eseguito, con il coordinamento della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Civitavecchia, dai militari della Compagnia dei Carabinieri di Civitavecchia, che, fin dal ritrovamento del cadavere di (OMISSIS), conducevano le indagini che portavano all'individuazione di (OMISSIS), quale autore dell'assassinio. Su queste attivita' investigative, nei giudizi di merito, venivano compiuta un'accurata istruttoria, che prendeva le mosse dall'escussione dei testi che avevano seguito le indagini, individuati in (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Questi elementi probatori, a loro volta, si ritenevano corroborati dalle testimonianze rese dai soggetti che conoscevano (OMISSIS) o lo avevano incontrato nelle ore che precedevano e seguivano l'omicidio di (OMISSIS). Tra queste testimonianze, nei giudizi di merito, si attribuiva peculiare rilievo probatorio alle dichiarazioni rese dai familiari della vittima - (OMISSIS) ed (OMISSIS), e dagli altri soggetti che avevano incontrato l'imputato nella giornata del (OMISSIS), individuati in (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Il compendio probatorio si riteneva ulteriormente corroborato dalle attivita' di captazione svolte nel corso delle indagini preliminari, che coinvolgevano i nuclei familiari dell'imputato e della persona offesa, che fornivano la conferma decisiva del coinvolgimento personale dell'imputato nell'omicidio di (OMISSIS). In questo, univoco, contesto probatorio, si riteneva che (OMISSIS), si era introdotto nell'abitazione di (OMISSIS) allo scopo di impadronirsi del denaro e degli oggetti preziosi custoditi dalla persona offesa. L'introduzione nell'abitazione della vittima avveniva grazie al fatto che i due soggetti si conoscevano, atteso che la madre dell'imputato, (OMISSIS), frequentava abitualmente la casa della persona offesa, con cui collaborava nello svolgimento delle faccende domestiche. Dopo essersi introdotto nell'abitazione della vittima, a causa della sua reazione inaspettata, l'imputato aggrediva la persona offesa, colpendola violentemente e provocandole le numerose lesioni personali che ne causavano il decesso. Nei giudizi di merito, inoltre, venivano svolte approfondite verifiche sulle condizioni di salute psichica di (OMISSIS), condotte, tra l'altro, dai consulenti tecnici di parte - il dottore (OMISSIS) e il professore (OMISSIS), che giungevano a conclusioni contrastanti - e dal perito nominato dalla Corte di assise di appello di Roma - il professore (OMISSIS) -, attraverso le quali si accertavano le condizioni di disagio psichico del ricorrente, ritenute rilevanti quale vizio parziale di mente, ai sensi dell'articolo 89 c.p. Attraverso tali verifiche psichiatriche e soprattutto di quella condotta nel processo di secondo grado dal professore (OMISSIS), che veniva integralmente condivisa dal Giudice di appello romano, si accertava che l'imputato era affetto da "un disturbo evitante di personalita' e da un disturbo paranoide di personalita'", aggravati dall'abuso di sostanze alcoliche e stupefacenti. I giudici di merito ritenevano, ulteriormente, che le condotte illecite di (OMISSIS), integravano una rapina aggravata dalla relazione di ospitalita' e dalla minorata difesa della vittima, dalla quale era derivata la commissione dell'omicidio, eseguito dall'imputato per assicurarsi l'impunita' dei suoi comportamenti locupletativi. Venivano, infine, esclusi gli elementi costitutivi dell'aggravante della premeditazione, mancando nel ricorrente la determinazione derivante da un progetto criminoso sedimentato nel tempo, finalizzato ad assassinare la vittima, essendo emerso che la persona offesa era stata uccisa sulla base di una decisione di natura estemporanea e non programmata preventivamente. Sulla scorta di questa ricostruzione degli accadimenti criminosi l'imputato (OMISSIS), veniva condannato alle pene di cui in premessa. 4. Avverso la sentenza di appello (OMISSIS), ricorreva per cassazione attraverso due distinti atti di impugnazione. 4.1. Con il primo atto di impugnazione, proposto dall'avvocato (OMISSIS), venivano articolati sei motivi di ricorso. Con il primo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che non consentivano di ricondurre l'assassinio di (OMISSIS) alla fattispecie dell'omicidio preterintenzionale ex articolo 584 c.p., la cui configurazione si imponeva alla luce della ricostruzione della sequenza degli accadimenti criminosi posta a fondamento delle decisioni di merito, che individuava, quale causa del decesso, l'aggressione perpetrata da (OMISSIS), nel corso della rapina commessa nell'abitazione della vittima. Con il secondo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, conseguenti al fatto che la decisione in esame, a fronte delle specifiche censure difensive, aveva applicato erroneamente il disposto dell'articolo 438 c.p.p., comma 6-ter, omettendo di considerare il vizio parziale di mente riconosciuto a (OMISSIS) ex articolo 89 c.p., che imponeva di tenere conto delle sue gravi condizioni di salute e di concedere la riduzione di pena invocata nel suo interesse. Con il terzo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame non dava esaustivo conto del trattamento sanzionatorio irrogato a (OMISSIS), che veniva censurato per la sua eccessivita' dosimetrica, che appariva disarmonica rispetto alle circostanze di tempo e di luogo in cui erano maturati gli accadimenti criminosi e alla condizione di disagio psichico dell'imputato, resa incontroversa dal riconoscimento del vizio parziale di mente ex articolo 89 c.p.; condizioni, queste, che imponevano la concessione delle attenuanti generiche in regime di prevalenza anziche' di equivalenza. Con il quarto motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano di ritenere (OMISSIS), parzialmente capace di intendere e di volere al momento dell'aggressione di (OMISSIS), a fronte delle emergenze processuali, corroborate dalle verifiche psichiatriche eseguite nei giudizi di merito, che avevano accertato il grave disagio psichico dell'imputato, legittimando il riconoscimento del vizio totale di mente. Con il quinto motivo, prospettato in stretta correlazione con la doglianza precedente, si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame non dava esaustivo conto delle ragioni che non consentivano di ritenere (OMISSIS), totalmente incapace di intendere e di volere al momento dell'uccisione di (OMISSIS), pur essendo incontroverso il suo stato di intossicazione cronica da sostanze alcoliche, stupefacenti e farmacologiche, dovuto allo stato di grave disagio psichico patito dall'imputato, per effetto del quale gli doveva essere riconosciuto il vizio totale di mente ex articolo 88 c.p.. Con il sesto motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto dell'applicazione a (OMISSIS), della misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa di cura e custodia, da eseguirsi presso una R.E.M.S., per un periodo di tre anni, la cui irrogazione appariva in contrasto con gli esiti delle verifiche psichiatriche eseguite nei suoi confronti - con particolare riferimento agli accertamenti condotti dal professore (OMISSIS) e dal professore (OMISSIS) -, che avevano evidenziato la sottoposizione del ricorrente a un lungo periodo di recupero trattamentale, trascurato dalla Corte di assise di appello di Roma. Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata. 4.2. Con il secondo atto di impugnazione, proposto dall'avvocato (OMISSIS), veniva articolato un unico motivo di ricorso. Con questa doglianza, prospettata in termini sovrapponibili al primo motivo del ricorso dell'avvocato (OMISSIS), si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che non consentivano di ricondurre l'assassinio di (OMISSIS) all'omicidio preterintenzionale, la cui configurazione si imponeva alla luce della sequenza dell'aggressione, cosi' come ricostruita dalle stesse decisioni di merito, che individuavano, quale causa del decesso, l'azione estemporanea e non premeditata che si verificava nel corso della rapina di cui al capo B. Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso proposto da (OMISSIS) veniva articolato in due distinti atti di impugnazione, che devono ritenersi infondati. 2. Occorre, innanzitutto, esaminare l'atto di impugnazione proposto dall'avvocato (OMISSIS), che veniva articolato in sei motivi di ricorso. 2.1. Deve ritenersi infondato il primo motivo, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che non consentivano di ricondurre l'assassinio di (OMISSIS) alla fattispecie dell'omicidio preterintenzionale, la cui configurazione si imponeva alla luce della ricostruzione della sequenza degli accadimenti criminosi posta a fondamento delle stesse decisioni di merito, che individuava, quale causa del decesso, l'aggressione perpetrata da (OMISSIS), nel corso della rapina commessa nell'abitazione della vittima. Osserva il Collegio che l'assunto processuale da cui muove la difesa del ricorrente - secondo cui le modalita' estemporanee e non premeditate con cui si era concretizzata l'aggressione mortale di (OMISSIS) in danno di (OMISSIS) non dimostravano l'esistenza di una volonta' omicida in capo all'imputato - e' smentito dalle emergenze probatorie, che, al contrario, impongono di ritenere pienamente condivisibile il percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello nell'escludere la configurazione dell'omicidio preterintenzionale invocato. Deve, invero, rilevarsi che l'assenza di univocita' dell'intento omicidiario perseguito dal ricorrente e dell'animus necandi indispensabile alla riqualificazione del reato di cui al capo A della rubrica ex articolo 584 c.p., risulta categoricamente smentita dagli esiti delle verifiche medico-legali condotte nel corso delle indagini preliminari dal dottore (OMISSIS), che, quale consulente tecnico del pubblico ministero, eseguiva l'ispezione cadaverica e l'autopsia sul corpo della persona offesa, ricostruendo la brutale sequenza omicida all'esito della quale veniva assassinata (OMISSIS), all'interno della sua abitazione, in termini tali da non consentire di ipotizzare l'accidentalita' del suo decesso. Si consideri, in proposito, che gli esiti delle verifiche tanatologiche condotte dal dottore (OMISSIS), consentivano di affermare che la sequenza criminosa, oggettivamente cruenta, all'esito della quale la vittima veniva uccisa, non permettevano di ipotizzare una mera accidentalita' dei numerosi colpi che le venivano sferrati da (OMISSIS). La furia omicida che aveva caratterizzato l'aggressione dell'imputato, del resto, e' dimostrata dal fatto che la forza aggressiva esercitata all'indirizzo della persona offesa le aveva causato fratture multiple al corpo, un'emorragia biparietale alla testa e un diffuso edema cerebrale, che ne avevano provocato il decesso immediato. Le conclusioni medico-legali alle quali giungeva il dottore (OMISSIS), dunque, consentivano alla Corte di assise di appello di Roma di trarre conferma delle modalita', come detto cruente, con cui si era sviluppata l'azione che aveva portato all'uccisione di (OMISSIS), che apparivano avvalorate dalle circostanze di tempo e di luogo che avevano dato origine alla sua aggressione da parte dell'imputato, nel corso della rapina commessa nell'abitazione della vittima. Da questo punto di vista, la diffusione delle aree corporee investite dall'azione di (OMISSIS), unitamente alla pluralita' delle fratture ossee e delle lesioni interne provocate alla vittima, costituiscono elementi sintomatici dell'univoca determinazione criminosa dell'imputato, che non consente di escludere l'animus necandi della sua condotta e che appare obiettivamente incompatibile con la possibilita' di un'aggressione estemporanea e occasionale, indispensabile per la configurazione dell'omicidio preterintenzionale, invocato dalla difesa del ricorrente ex articolo 584 c.p.. Occorre, dunque, ribadire che la ricostruzione della dinamica degli accadimenti omicidiari effettuata dalla Corte di assise di appello di Roma, in linea con le conclusioni alle quali era giunto il Giudice di primo grado, e' fondata su una valutazione ineccepibile del compendio probatorio, che la rendeva incompatibile con l'accidentalita' dell'azione mortale invocata dalla difesa di (OMISSIS) in funzione dell'applicazione della fattispecie dell'omicidio preterintenzionale di cui all'articolo 584 c.p.. Le emergenze probatorie, pertanto, impongono di escludere la possibilita' di ricondurre l'uccisione di (OMISSIS), alla fattispecie dell'omicidio preterintenzionale, invocata in contrasto con le risultanze processuali, che devono essere vagliate alla luce della giurisprudenza consolidata di questa Corte, che si conferma,. secondo cui: "L'elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale non e' costituito da dolo e responsabilita' oggettiva ne' dal dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all'articolo 43 c.p. assorbe la prevedibilita' di evento piu' grave nell'intenzione di risultato. Pertanto, la valutazione relativa alla prevedibilita' dell'evento da cui dipende l'esistenza del delitto "de quo" e' nella stessa legge, essendo assolutamente probabile che da una azione violenta contro una persona possa derivare la morte della stessa" (Sez. 5, n. 791 del 18/10/2012, dep. 2013, Palazzolo, Rv. 254386-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 5, n. 44986 del 21/09/2016, Mule', Rv. 268299-01; Sez. 5, n. 40389 del 17/05/2012, Perini, Rv. 253357-01). Queste conclusioni, del resto, si rendono necessarie alla luce della giurisprudenza di questa Corte, che, nel distinguere l'omicidio volontario dall'omicidio preterintenzionale, invocato dalla difesa del ricorrente, afferma: "Il criterio distintivo tra l'omicidio volontario e l'omicidio preterintenzionale risiede nell'elemento psicologico, nel senso che nell'ipotesi della preterintenzione la volonta' dell'agente e' diretta a percuotere o a ferire la vittima, con esclusione assoluta di ogni previsione dell'evento morte, mentre nell'omicidio volontario la volonta' dell'agente e' costituita dall-animus necandi", ossia dal dolo intenzionale, nelle gradazioni del dolo diretto o eventuale, il cui accertamento e' rimesso alla valutazione rigorosa di elementi oggettivi desunti dalle concrete modalita' della condotta" (Sez. 1, n. 35369 del 04/07/2007, Zheng, Rv. 237685-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 4425 del 05/12/2013, dep. 2014, Cutrufello, Rv. 259014-01; Sez. 1, n. 25239 del 20/05/2001, Milici, Rv. 219434-01). Queste ragioni impongono di ritenere inammissibile il primo motivo di ricorso. 2.2. Deve ritenersi infondato il secondo motivo di ricorso, con cui si si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, conseguenti al fatto che la decisione in esame, a fronte delle specifiche censure difensive, aveva applicato erroneamente il disposto dell'articolo 438 c.p.p., comma 6-ter, omettendo di considerare il vizio parziale di mente riconosciuto a Serdal (OMISSIS) ex articolo 89 c.p., che imponeva di tenere conto delle sue gravi condizioni di salute e di concedere la riduzione di pena invocata. Osserva il Collegio che l'assunto difensivo e' smentito dalle emergenze processuali, atteso che la Corte di assise di appello di Roma non concedeva a (OMISSIS) la diminuente di cui all'articolo 442 c.p.p., comma 2, sull'assunto processuale, ineccepibile, che il riconoscimento del vizio parziale di mente in favore dell'imputato, ai sensi dell'articolo 89 c.p., non comportava l'esclusione della condizione ostativa prevista dall'articolo 438, comma 1-bis, c.p.p.. Ne discende che, ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio irrogato a (OMISSIS), quantificato in diciannove anni di reclusione, non rilevava il riconoscimento del vizio parziale di mente in suo favore, che non faceva venire meno la condizione ostativa prevista dall'articolo 438, comma 1-bis, c.p.p., introdotto dall'articolo 1, comma 1, lettera a), L. n. 33 del 2019, che stabilisce: "Non e' ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo". Queste conclusioni, del resto, sono in linea con la recente sentenza della Corte costituzionale 6 ottobre 2022, n. 207, che dichiarava "non fondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'articolo 438, comma 1-bis c.p.p., come inserito dalla L. 12 aprile 2019, n. 33 articolo 1, comma 1, lettera a), (...), sollevate, in riferimento agli articoli 3, 27 e 32 Cost. (...)". Pertanto, l'esclusione della riduzione di pena richiesta in favore di (OMISSIS) appare pienamente rispettosa del combinato disposto articolo 89 c.p., articolo 438, comma 1-bis, 442 c.p.p., comma 2, che non consentiva la mitigazione sanzionatoria invocata. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'infondatezza del secondo motivo di ricorso. 2.3. Deve ritenersi inammissibile il terzo motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto del trattamento sanzionatorio irrogato a (OMISSIS), che veniva censurato per la sua eccessivita' dosimetrica, che appariva disarmonica rispetto alle circostanze di tempo e di luogo nelle quali erano maturati gli accadimenti criminosi e alla condizione di disagio psichico dell'imputato, resa evidente dal riconoscimento del vizio parziale di mente ex articolo 89 c.p. Ne conseguiva che la peculiarita' delle condizioni di salute dell'imputato imponeva la concessione delle circostanze attenuanti generiche, pur riconosciute in favore dell'imputato, in regime di prevalenza anziche' di equivalenza. Osserva il Collegio che il trattamento sanzionatorio irrogato a (OMISSIS) risulta suffragato dalla ricostruzione compiuta dalla Corte di assise di appello di Roma, che si soffermava correttamente sulle connotazioni, oggettive e soggettive, dei reati contestati al ricorrente ai capi A e B, escludendo, sulla base di un giudizio dosimetrico ineccepibile, che fosse possibile attenuare la pena nella direzione invocata, tenuto conto della brutalita' dell'aggressione posta in essere in danno di (OMISSIS), con le modalita' su cui ci si e' soffermati nel paragrafo 2, cui si deve rinviare. Queste conclusioni, dunque, traevano origine da una verifica ineccepibile degli accadimenti criminosi, che teneva conto dell'elevato disvalore della vicenda criminosa e delle modalita', obiettivamente cruente, con cui le condotte illecite contestate ai capi A e B venivano commesse da (OMISSIS) in danno della persona offesa. Non e', pertanto, possibile censurare il percorso dosimetrico compiuto nella sentenza impugnata, tenuto conto dei parametri previsti dall'articolo 133 c.p., anche alla luce del fatto che la pena irrogata all'imputata era sensibilmente ridotto, nel giudizio di appello - venendo rideterminata in diciannove di reclusione -, sulla scorta di una rivalutazione complessiva del disvalore delle condotte illecite di (OMISSIS), rispettosa dei criteri di proporzionalita' e di adeguatezza del trattamento sanzionatorio. In questa, incontroversa, cornice, si consideri ulteriormente che il giudizio di comparazione circostanziale e' censurabile in sede di legittimita' solo laddove costituisca il risultato di un arbitrio dosimetrico o di un ragionamento illogico e non anche quando la soluzione adottata rappresenti l'espressione del potere discrezionale del giudice di merito, atteso che, come da ultimo ribadito da questa Corte, le statuizioni "relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita' qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione (...)" (Sez. 2, n. 31543 dell'08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450-01). Questo orientamento ermeneutico, del resto, si inserisce nel solco di un filone giurisprudenziale consolidato e risalente nel tempo, che e' possibile esplicitare richiamando l'arresto delle Sezioni Unite secondo cui: "Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita' qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la piu' idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto" (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931-01). Queste ragioni impongono di ribadire l'inammissibilita' del terzo motivo di ricorso. 2.4. Deve ritenersi infondato il quarto motivo di ricorso, con cui si si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano di ritenere Serdal (OMISSIS) parzialmente capace di intendere e di volere al momento dell'uccisione di (OMISSIS), a fronte delle emergenze processuali, corroborate dalle verifiche psichiatriche eseguite nei giudizi di merito, che avevano accertato il grave disagio psichico dell'imputato, legittimando il riconoscimento del vizio totale di mente. Osserva il Collegio che l'inquadramento delle questioni ermeneutiche sottese a questa doglianza impone il richiamo preliminare dell'orientamento ermeneutico affermatosi in seno alle Sezioni Unite nell'ultimo ventennio, che non ritiene l'imputabilita' una mera condizione psichica indispensabile per attribuire un reato all'agente, ma l'espressione della capacita' penale dell'imputato complessivamente valutabile alla luce del suo comportamento, nella convinzione che non puo' esservi colpevolezza senza piena consapevolezza delle proprie azioni delittuose. L'imputabilita', infatti, come evidenziato dalle Sezioni Unite, e' la condizione soggettiva indispensabile per affermare la responsabilita' penale dell'agente e presuppone l'accertamento di una condizione di rimproverabilita' verificabile processualmente, in relazione alla quale il percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello di Roma per giungere al riconoscimento del vizio parziale di mente in favore di (OMISSIS), ai sensi dell'articolo 89 c.p., deve ritenersi ineccepibile (Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, Rv. 230317-01). Attraverso questo percorso ermeneutico, che affonda le sue radici nella giurisprudenza di legittimita' affermatasi negli anni Ottanta del secolo precedente (Sez. 1, n. 4103 del 24/02/1986, Ragno, Rv. 172790-01), le Sezioni Unite ritenevano definitivamente superata la nozione tradizionale di infermita' mentale, reputandola una situazione di grave disagio psichico, che induce il soggetto in una condizione di alterazione di intensita' tale da fare escludere la sua capacita' di intendere e di volere o da farla scemare grandemente (Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, cit.). In questa prospettiva, non e' tanto la condizione di infermita' del soggetto attivo del reato a rilevare sul piano dell'accertamento giurisdizionale, quanto, piuttosto, lo stato di disagio mentale dell'individuo singolarmente inteso, che deve essere tale da incidere negativamente sulla capacita' di intendere e di volere dell'imputato (Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, cit.), la quale, a sua volta, deve essere intesa come la liberta' di autodeterminazione dell'agente, collegata eziologicamente alla condotta delittuosa oggetto di vaglio (Sez. 1, n. 35842 del 16/04/2019, Mazzeo, Rv. 276616-01; Sez. 1, n. 17853 del 17/02/2009, Broccatelli, Rv. 244538-01; Sez. 5, n. 8282 del 09/02/2006, Scarpinato, Rv. 233228-01). Ne discende che, prima di valutare la condizione di imputabilita' del soggetto attivo del reato, occorre individuare preliminarmente i "requisiti bio-psicologici che facciano ritenere che il soggetto sia in grado di comprendere e recepire il contenuto del messaggio normativo connesso alla previsione della sanzione punitiva"; ed e' solo sulla base di questa preliminare e indispensabile ricognizione nosografica che il giudice potra' provvedere all'individuazione delle "condizioni di rilevanza giuridica dei dati forniti dalle scienze empirico-sociali" sulle quali fondare le sue determinazioni processuali (Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, cit.). Tali conclusioni valgono a maggior ragione nelle ipotesi in cui viene riconosciuto il vizio parziale di mente dell'imputato, come nel caso di (OMISSIS), in ragione del fatto che, in questi casi, l'esistenza di una capacita' penale, sia pure residuale, rende indispensabile l'accertamento della ricorrenza degli elementi essenziali e circostanziali della fattispecie contestata, eseguito attraverso la verifica delle modalita' concrete di estrinsecazione del reato, valutate in correlazione alla condizione di disagio psichico dell'agente. 2.4.1. Tenuto conto di questi parametri ermeneutici, la motivazione della sentenza impugnata, in ordine alla verifica dell'imputabilita' di (OMISSIS) e all'elemento soggettivo dei reati ascrittigli ai capi A e B deve essere ritenuta congrua ed esente da discrasie motivazionali, fondandosi su una disamina ponderata degli elementi probatori acquisiti nel corso delle indagini preliminari e sull'assenza di dati nosografici dai quali desumere l'esistenza di condizioni patologiche tali prefigurare un'infermita' psichica rilevante ex articolo 88 c.p., modificando il giudizio posto a fondamento della sentenza di appello. La Corte di assise di appello di Roma, invero, escludeva correttamente che dalle verifiche peritali condotte dal professore (OMISSIS) - che era stato nominato nel giudizio di secondo grado per dirimere i contrasti maturati tra i consulenti tecnici di parte, il dottore (OMISSIS) e il professore (OMISSIS), - e dalla documentazione clinica acquisita al fascicolo del dibattimento, emergesse un disturbo della personalita' di gravita' tale da fare ritenere l'imputato totalmente incapace di intendere e di volere al momento della commissione del fatto ex articolo 88 c.p. Il percorso processuale attraverso cui si perveniva alla nomina del professor (OMISSIS), peraltro, appare esemplare, atteso che, nel giudizio di secondo grado, attesi i contrasti tra gli autorevoli consulenti tecnici di parte, induceva il Giudice di appello di Roma a compiere una verifica suppletiva sulle condizioni di salute psichicha di (OMISSIS), nominando un clinico noto nella comunita' scientifica internazionale. Si procedeva, in questo modo, nel rispetto della previsione dell'articolo 603 c.p.p., che consente al giudice, nel caso in cui la situazione processuale presenti effettivamente un significato incerto, di disporre ulteriori verifiche, sull'assunto che l'incombente espletato - probatorio o peritale - possa apportare un contributo considerevole e utile al processo, risolvendo i dubbi e consentendo una ricostruzione corretta degli accadimenti criminosi, sia sotto il profilo dell'elemento oggettivo sia il profilo dell'elemento soggettivo (Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013, dep. 09/05/2013, Ferrara, Rv. 256228-01; Sez. 3, n. 35372 del 23/05/2007, Panozzo, Rv. 237410-01; Sez. 3, n. 21687 del 07/04/2004, Novarese, Rv. 228920-01). Non puo', pertanto, non rilevarsi che sulla base delle verifiche psichiatriche condotte al professore Siani, che venivano integralmente recepite dal Giudice di appello romano, si accertava che l'imputato era affetto da "un disturbo evitante di personalita' e da un disturbo paranoide di personalita'", che non consentivano di ritenerlo pienamente capace di intendere e di volere al momento dell'uccisione di (OMISSIS). La condizione di grave disagio psichico di (OMISSIS), inoltre, era aggravata dall'abuso di sostanze alcoliche, stupefacenti e farmacologiche, reiterato nel tempo, che, pur scemando significativamente la capacita' di intendere e di volere dell'imputato, non poteva ritenersi idonea a configurare il vizio totale di mente previsto dall'articolo 88 c.p.. Veniva, quindi, esclusa la ricorrenza di una condizione di disagio psichico in capo a (OMISSIS), di intensita' e gravita' tali da elidere la sua capacita' di intendere e volere, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimita', richiamata attraverso la confutazione delle deduzioni difensive, a loro volta supportate dalle conclusioni del professore (OMISSIS), che, pur pregevoli, venivano riproposte in sede di legittimita' senza alcun confronto, scientifico e processuale, con le conclusioni peritali rassegnate dal professore (OMISSIS), su cui si fondava la ricostruzione della condizione nosografica del ricorrente effettuata dalla Corte di assise di appello di Roma, nel rispetto dei parametri ermeneutici richiamati nel paragrafo 4, cui si rinvia. Questi elementi di giudizio non lasciavano spazio a dubbi di sorta in ordine all'atteggiamento psichico assunto dall'imputato (OMISSIS) nel momento in cui aggrediva (OMISSIS), tenuto conto dei dati bio-psicologici di cui la Corte territoriale romana disponeva nel caso in esame, che nella sentenza impugnata venivano correttamente correlati alle conclusioni peritali del professore (OMISSIS), alla luce dei quali si evidenziava l'inconsistenza nosografica delle deduzioni difensive sull'assenza della capacita' di intende're e di volere dell'imputato, che imponeva di ribadire la correttezza dell'inquadramento del disturbo psichico del ricorrente ex articolo 89 c.p.. 2.4.2. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'infondatezza del quarto motivo di ricorso. 2.5. Dall'infondatezza del quarto motivo discende l'infondatezza della quinto motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame non dava esaustivo conto delle ragioni che non consentivano di ritenere (OMISSIS) totalmente incapace di intendere e di volere al momento dell'uccisione di (OMISSIS), pur essendo incontroverso il suo stato di intossicazione cronica da sostanze alcoliche, stupefacenti e farmacologiche, dovuto allo stato di grave disagio psichico dell'imputato, per effetto del quale gli doveva essere riconosciuto il vizio totale di mente ex articolo 88 c.p.. Non puo', in proposito, non ribadirsi, in linea con quanto si e' affermato nel paragrafo 2.4, cui si rinvia, che gli elementi acquisiti nei giudizi di merito, corroborati dagli esiti delle verifiche peritali condotte dal professore (OMISSIS), non lasciavano spazio a dubbi di sorta in ordine all'atteggiamento psichico assunto dall'imputato (OMISSIS) nel momento in cui aggrediva mortalmente (OMISSIS). Ne' e' possibile ritenere che le verifiche peritali compiute dal professore (OMISSIS) ex articolo 603 c.p. avessero trascurato la commistione tra i disturbi psichici dell'imputato e l'abuso di sostanze alcoliche, stupefacenti e farmacologiche, atteso che il perito affermava conclusivamente che il ricorrente era affetto da "un disturbo evitante di personalita' e da un disturbo paranoide di personalita'", aggravato dall'abuso di sostanze alcoliche e stupefacenti, che, pur reiterato nel tempo, non determinava una condizione di cronicita' dell'utilizzo di tali sostanze. Ne' sussistevano elementi da cui desumere che l'abuso di sostanze alcoliche e stupefacenti aveva determinato, in capo a (OMISSIS), una condizione irreversibile o comunque strutturale del disagio psichico, determinante per configurare una condizione di assenza di imputabilita' dell'imputato. Non v'e' dubbio, infatti, che per ritenere esclusa o anche solo diminuita l'imputabilita' dell'agente, l'intossicazione da sostanze alcoliche o stupefacenti deve essere caratterizzata da permanenza e irreversibilita', che sono da condizioni psichiche strutturali, che permangono indipendentemente dal rinnovarsi dell'assunzione delle sostanze adulteranti e che devono essere valutate con riferimento al momento in cui il fatto di reato e' stato commesso. Non si puo', in proposito, non richiamarsi la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui: "L'intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti puo' influire sulla capacita' di intendere e di volere soltanto qualora, per il suo carattere ineliminabile e per l'impossibilita' di guarigione, provochi alterazioni psicologiche permanenti configurabili quale vera e propria malattia, dovendo escludersi dal vizio di mente di cui agli articoli 88 e 89 c.p. anomalie non conseguenti ad uno stato patologico" (Sez. 6, n. 47078 del 24/10/2013, R., Rv. 257333-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 6, n. 25252 del 03/05/2018, B., Rv. 273389-01; Sez. 2, n. 44337 del 15/10/2013, C., Rv. 257521-01). Ne discende che, tenuto conto dei dati clinici acquisiti e delle conclusioni del professore (OMISSIS), la Corte di assise di appello di Roma riteneva che l'imputato, al momento del fatto, fosse solo parzialmente incapace di intendere e di volere, con la conseguente correttezza dell'inquadramento nosografico del disturbo psichico che lo affliggeva ai sensi dell'articolo 89 c.p.. Queste ragioni impongono di ritenere infondato il quinto motivo di ricorso. 2.6. Analogo giudizio di infondatezza deve essere espresso per il sesto motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame non dava esaustivo conto dell'applicazione a (OMISSIS) della misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa di cura e custodia, da eseguirsi presso una R.E.M.S., per un periodo di tre anni, la cui irrogazione appariva in contrasto con gli esiti delle verifiche psichiatriche eseguite nei suoi confronti - con particolare riferimento agli accertamenti condotti dal professore (OMISSIS) e dal professore (OMISSIS), che avevano evidenziato la sottoposizione del ricorrente a un lungo periodo di recupero trattamentale, trascurato dalla Corte di assise di appello di Roma. Non puo', in proposito, non ribadirsi, in linea con quanto si e' affermato nei paragrafi 2.4, 2.4.1 e 2.5, cui si deve rinviare, che gli elementi acquisiti nei giudizi di merito, corroborati dagli esiti delle verifiche peritali condotte dal professore (OMISSIS), non lasciavano spazio a dubbi di sorta in ordine all'atteggiamento psichico assunto da (OMISSIS) nel momento in cui aggrediva mortalmente (OMISSIS) e allo stato di disagio psichico in cui lo stesso versava; condizioni, queste, che imponevano di ritenere corretta l'applicazione della misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa di cura e custodia, da eseguirsi presso una R.E.M.S., per un periodo di tre anni. La Corte di assise di appello di Roma, invero, sulla scorta di una valutazione ineccepibile delle emergenze processuali, riteneva opportuna l'applicazione a (OMISSIS) della misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa di cura e custodia, eseguibile presso una R.E.M.S., sulla base di una verifica congrua sull'infermita' psichica del ricorrente e sulla sua pericolosita' sociale, eminentemente incentrata sugli accertamenti peritali svolti ex articolo 603 c.p.p., su cui ci si e' soffermati nel paragrafo 2.4.1, cui si deve rinviare ulteriormente. Pertanto, le emergenze processuali smentiscono le deduzioni difensive sull'incongruita' del percorso valutativo attraverso cui si era pervenuti all'applicazione della misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa di cura e custodia, dovendosi ribadire che il trattamento sanzionatorio e' pienamente rispettoso degli esiti delle verifiche psichiatriche eseguite nei confronti di (OMISSIS), che davano conto sia della sua storia clinica - esaminata alla luce della documentazione medica acquisita agli atti, attraverso i medici curanti del ricorrente -, sia delle attivita' di recupero terapeutico, effettuate dopo l'arresto dell'imputato. Queste ragioni impongono di ribadire l'infondatezza del sesto motivo di ricorso. 2.7. Le considerazioni esposte nei paragrafi precedenti impongono di ritenere infondato l'atto di impugnazione proposto dall'avvocato (OMISSIS) nell'interesse dell'imputato (OMISSIS). 3. Analogo giudizio di infondatezza deve essere espresso per l'atto di impugnazione proposto dall'avvocato (OMISSIS), articolato in un unico motivo di ricorso. Con tale doglianza, prospettata in termini sovrapponibili al primo motivo del ricorso dell'avvocato (OMISSIS), si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che non consentivano di ricondurre l'assassinio di (OMISSIS) all'omicidio preterintenzionale, la cui configurazione si imponeva alla luce della sequenza dell'aggressione, cosi' come ricostruita dalle stesse sentenze di merito, che individuavano, quale causa del decesso, l'azione estemporanea e non premeditata che si verificava nel corso della rapina di cui al capo B. Si tratta, come detto, di una doglianza che, relativamente all'impossibilita' di configurare l'assassinio di (OMISSIS) quale omicidio preterintenzionale, ex articolo 584 c.p., veniva proposta in termini assimilabili a quelli vagliati nel paragrafo 2.1, in cui si e' passato in rassegna il primo motivo del ricorso proposto dall'avvocato (OMISSIS). Occorre, pertanto, rinviare al paragrafo 2.1 di questa sentenza per la compiuta ricognizione delle doglianze che vi sono sottese, senza che occorra soffermarsi ulteriormente sulle ragioni che ne impongono il respingimento, essendo sufficiente richiamare la giurisprudenza di legittimita' citata in tale ambito, sia in relazione alla configurazione dell'omicidio preterintenzionale (Sez. 5, n. 44986 del 21/09/2016, Mule', cit.; Sez. 5, n. 791 del 18/10/2012, dep. 2013, Palazzolo, cit.; Sez. 5, n. 40389 del 17/05/2012, Perini, cit.) sia in relazione alla differenziazione tra la fattispecie in esame e l'omicidio volontario (Sez. 1, n. 4425 del 05/12/2013, dep. 2014, Cutrufello, cit.; Sez. 1, n. 25239 del 20/05/2001, Milici, cit.; Sez. 1, n. 35369 del 04/07/2007, Zheng, cit.). Queste ragioni impongono di ritenere infondato l'atto di impugnazione proposto dall'avvocato (OMISSIS) nell'interesse dell'imputato (OMISSIS). 4. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'infondatezza del ricorso proposto dall'imputato (OMISSIS), con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Consegue, infine, a tali statuizioni la condanna dell'imputato (OMISSIS) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS) ed (OMISSIS), che si liquidano in complessivi 4.000,00 Euro, oltre accessori di legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. CAPPUCCIO DANIELE - Consigliere Dott. MONACO Marco Mari - rel. Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 14/03/2022 della CORTE di APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MARCO MARIA MONACO; lette le conclusioni del Procuratore Generale, Sost. Proc. Gen. LUCA TAMPIERI, per l'inammissibilita'. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Napoli con sentenza del 14/3/2022, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Torre Annunziata il 6/7/2021 ha riconosciuto l'attenuante di cui all'articolo 116 c.p. ad (OMISSIS) e, rideterminata la pena, ha confermato la condanna nei confronti della stessa e di (OMISSIS) in relazione al reato di tentato omicidio di cui atli articoli 56 e 575 c.p.. 2. Le due imputate sono state rinviate a giudizio per il reato di tentato omicidio per avere posto in essere atti idonei e diretti a cagionare la morte di (OMISSIS), sferrandole un fendente all'addome. Nello specifico, mentre (OMISSIS), aggrediva la vittima accusandola di avere una relazione adulterina con il padre, sarebbe intervenuta la madre, (OMISSIS), sferrando una pugnalata all'addome, sul fianco sinistro, di (OMISSIS). All'esito del giudizio di primo grado le due imputate, che hanno sostanzialmente ammesso i fatti affermando che non era loro intenzione provocare la morte della persona offesa, sono state condannate. A seguito dell'impugnazione proposta la Corte territoriale ha riconosciuto a (OMISSIS) l'attenuante di cui all'articolo 116 c.p. e, rideterminata la pena per la stessa, ha confermato nel resto la condanna per entrambe in relazione al reato di tentato omicidio. 3. Avverso la sentenza d'appello hanno presentato ricorso le imputate che, a mezzo del comune difensore, in un unico atto, hanno dedotto i seguenti motivi. 3.1. Vizio di motivazione in relazione agli articoli 110, 56 e 575 c.p. Nel primo motivo la difesa rileva che la Corte territoriale non avrebbe tenuto nel dovuto conto il fatto che (OMISSIS), ha sferrato un unico e solo fendente con un attrezzo multifunzione che aveva una lama di soli 5,5 cm e che cio', proprio per le modalita' dell'azione e in considerazione del mezzo utilizzato, escluderebbe la volonta' di uccidere. Nel caso di specie, d'altro canto, come pure evidenziato dalla consulenza medico legale, la vita della persona offesa non avrebbe corso alcun pericolo cosi' che il fatto non avrebbe potuto essere qualificato come tentato omicidio ma, piuttosto come lesioni personali e questo anche tenendo conto dell'incompatibilita' tra il dolo eventuale, unico elemento psicologico in caso sussistente, e il tentativo. 3.2. Vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Nel secondo motivo la difesa evidenzia che la mancata concessione delle circostanze di cui all'articolo 62 bis c.p. sarebbe del tutto immotivata e cio' in considerazione del comportamento tenuto da entrambe le imputate che si sono scusate e hanno risarcito il danno cosi' dimostrando la propria resipiscenza. Il mancato riconoscimento delle citate attenuanti, d'altro canto, appare particolarmente ingiustificato con riferimento a (OMISSIS), per la quale la diminuzione per le attenuanti riconosciute, il risarcimento del danno e l'articolo 116 c.p., e' stata minima. 3.3. Vizio di motivazione in relazione all'articolo 133 c.p. con riferimento alla determinazione della pena. 4. In data 26 gennaio 2023 sono pervenute in cancelleria le conclusioni con le quali il Procuratore Generale, Sost. Proc. Gen. Luca Tampieri, chiede che il ricorso si dichiarato inammissibile. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi sono inammissibili. 1. Nel primo motivo la difesa deduce il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del reato di tentato omicidiorevidenziando che le modalita' dell'azione e il fatto che la persona offesa non ha corso alcun pericolo di vita escluderebbero la volonta' di uccidere e imporrebbero di qualificare il fatto come lesioni personali. Le doglianze circa la logicita' e la completezza della motivazione della sentenza pronunciata dalla Corte Territoriale, sono manifestamente infondate. La Corte, la cui motivazione si salda ed integra con quella del giudice di primo grado, ha fornito congrua risposta alle analoghe critiche contenute nell'atto di appello ed ha esposto gli argomenti per cui queste non erano coerenti con quanto emerso nel corso delle indagini. Alla Corte di cassazione, d'altro canto, e' precluso, e quindi i motivi in tal senso formulati non sono consentiti, sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito. Il controllo che la Corte e' chiamata ad operare, e le parti a richiedere ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e) infatti, e' esclusivamente quello di verificare e stabilire se i giudici di merito abbiano o meno esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (cosi' Sez. un., n. 930 del 13/12/1995, Clarke, Rv 203428; per una compiuta e completa enucleazione della deducibilita' del vizio di motivazione, da ultimo Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv 280601; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062: Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217; Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482). Sotto tale aspetto, a fronte di una motivazione coerente e logica in ordine alla qualificazione giuridica da attribuire ai fatti ogni ulteriore critica, che trova peraltro fondamento in una diversa ed alternativa lettura dell'istruttoria dibattimentale, risulta del tutto inconferente (cfr. Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217). La Corte territoriale, infatti, con il riferimento alle modalita' del fatto cosi' come riferite dalla persona offesa e dai testimoni ed emerse dalle videoriprese, ha dato coerente conto degli elementi posti a fondamento della conclusione in ordine alla qualificazione giuridica. Cio' anche tenendo conto del mezzo utilizzato, della condotta posta in essere da (OMISSIS) e da quanto dalla stessa detto alla persona offesa mentre la colpiva. La decisione e la determinazione mostrata nell'agire e la frase pronunciata, "io ti devo uccidere", come correttamente indicato nella sentenza impugnata, sono significativi della sussistenza dell'elemento psicologico qualificabile esclusivamente quale dolo diretto. Le osservazioni della difesa circa l'inidoneita' del coltello dalla lama di 5,5 centimetri, a cagionare la morte sono prive di consistenza. L'arma da taglio, come, indicato nella sentenza impugnata richiamando la consulenza medico legale, era infatti idonea a cagionare la morte della persona offesa che, solo fortuitamente, non ha corso alcun pericolo di vita in quanto, per cause accidentali, non sono stati attinti organi vitali. Ai fini della qualificazione giuridica nei termini del tentativo, d'altro canto, la circostanza che la persona non abbia corso in concreto alcun pericolo non assume rilievo in quanto la verifica deve essere effettuata facendo riferimento alla idoneita' astratta del mezzo a mettere in pericolo la vita della persona offesa, anche se cio' non e' accaduto in quanto per distinguere il reato di lesione personale da quello di tentato omicidio occorre avere riguardo sia al diverso atteggiamento psicologico dell'agente sia alla differente potenzialita' dell'azione lesiva, desumibili dalla sede corporea attinta, dall'idoneita' dell'arma impiegata, nonche' dalle modalita' dell'atto lesivo (Sez. 1, n. 24173 del 05/04/2022, Rusu, Rv. 283390 - 01) 2. Nel secondo e nel terzo motivo la difesa deduce il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e alla quantificazione della pena. Le doglianze sono manifestamente infondate. La sentenza impugnata, con riferimento alla misura della pena inflitta alle imputate, ha fatto buon governo della legge penale e ha dato conto delle ragioni che hanno guidato, nel rispetto del principio di proporzionalita', l'esercizio del potere discrezionale ex articoli 132 e 133 c.p. della Corte di merito, e cio' anche in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche a entrambe le ricorrenti. Con riferimento a (OMISSIS) i giudici dell'appello hanno evidenziato la crudelta' e la determinazione con la quale ha agito e il comportamento tenuto durante e anche successivamente ai fatti nonche' il precedente penale per lesioni personali. Con riferimento a (OMISSIS), la cui pena e' stata comunque rideterminata a seguito del riconoscimento della circostanza di cui all'articolo 116 c.p., i secondi giudici, considerata comunque la determinazione dimostrata, hanno dato atto dell'assenza di qualsivoglia elemento positivo. Le censure mosse nel ricorso a tale percorso argomentativo, assolutamente lineare, risultano assertive e, in parte, orientate anche a sollecitare, in questa sede, una nuova e non consentita valutazione della congruita' della pena (cfr. Sez. Un. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818). La sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell'articolo 62 bis c.p., d'altro canto, e' oggetto di un giudizio di fatto e puo' essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talche' la stessa motivazione, purche' congrua e non contraddittoria, non puo' essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato (cfr. Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, RV. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, RV. 248244; n. 42688 del 24/09/ 2008, Caridi, RV 242419). Il giudice, nell'esercizio del suo potere discrezionale deve quindi motivare nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena concreta alla gravita' effettiva del reato ed alla personalita' del reo. Pertanto, il diniego delle circostanze attenuanti generiche puo' essere legittimamente fondato anche sull'apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri, disattesi o superati da tale valutazione (cfr. Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, RV. 265826; n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, RV. 249163; Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Straface, RV. 248737) 3. Alla inammissibilita' dei ricorsi consegue la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonche', ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro tremila a favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. FERRANTI Donatella - rel. Consigliere Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere Dott. MARI Attilio - Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa A. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 04/05/2022 della CORTE APPELLO di POTENZA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere FERRANTI DONATELLA. RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS) ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale e' stata confermata, in punto di responsabilita', la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui all'articolo 590 c.p., articolo 583 c.p., comma 1, n. 2, perche', quale medico chirurgo dentista, in data 17.06.2013, per colpa consistita in imperizia e imprudenza durante l'intervento eseguito presso lo studio dentistico in Potenza di rimozione del 38 (ottavo dente dell'arcata inferiore sinistra), nell'effettuare l'anestesia andando troppo in profondita' con l'ago tranciava di netto il nervo linguale e cagionava lesioni colpose gravi a (OMISSIS), nella specie perdita dell'innervazione alla meta' della lingua con indebolimento permanete della funzione masticatoria della bocca. 1.1. Il ricorrente deduce: - con il primo motivo vizi della motivazione con riferimento alla prova della responsabilita' in relazione all'esecuzione della pratica di avulsione dentale e con riferimento alla valutazione delle consulenze tecniche in atti. In specie evidenzia che l'omesso ricorso alla tomografia computerizzata a fascio conico che, secondo il perito di ufficio, avrebbe consentito di valutare con accuratezza il distretto anatomico in cui intervenire non poteva evidenziare l'andamento del nervo linguale il cui decorso nel caso di specie era anomalo, cosi' come argomentato dai consulenti tecnici di parte, la cui tesi scientifica non e' stata considerata dalla Corte di appello, travisando le risultanze probatorie; - con il secondo motivo vizio di motivazione poiche' sono state individuate ed adottate nel caso concreto le linee guida; al limite, quindi, poteva configurarsi la colpa lieve determinata da imperizia in fase di esecuzione della pratica chirurgica. Sostiene che l'evento puo' riferirsi ad una errore non prevedibile in relazione alla valutazione del nervo linguale nel distretto anatomico in cui e' stato inserito l'ago con rilievo della sola imperizia medica, non punibile; - con il terzo motivo la violazione di legge in relazione alla decorrenza della prescrizione prima della sentenza di appello in data 3.12.2021, in quanto la Corte di appello ha erroneamente considerato la sospensione tra il 12.09.2017 e il 17.04.2018 pari a sette mesi in riferimento a quanto disposto all'udienza del 12.09.2017 in cui il rinvio e' stato motivato solo per mutamento del giudice e quindi non ha comportato la sospensione della prescrizione. 2. Il Procuratore generale con requisitoria scritta ha chiesto il rigetto del ricorso. 2.1. Ha presentato conclusioni scritte insistendo per l'accoglimento del ricorso l'Avvocato del ricorrente (OMISSIS). 2.2. Ha presentato note conclusive scritte l'Avvocato (OMISSIS) per il rigetto e/o inammissibilita' del ricorso per conto della parte civile costituita, con allegata nota spese. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso che possono essere esaminati congiuntamente non superano il vaglio di ammissibilita' poiche' introducono una versione alternativa di ricostruzione dei fatti, gia' prospettata dai consulenti tecnici della difesa e accuratamente vagliata dalla Corte di appello a fol. 5, che sulla base della perizia di ufficio disposta dal Tribunale ha individuato le plurime condotte omissive colpose e la conseguente condotta commissiva colposa che fu causa ultima diretta della lesione grave del nervo linguale di sinistra consistita nell'iniezione effettuata dall'imputato, per ottenere l'anestesia tronculare nel nervo aveolare inferiore, per effettuare l'asportazione dell'ottavo dente inferiore sinistro, spingendo l'ago troppo in profondita' in modo da tranciare il nervo, comportamenti valutati come gravemente difformi rispetto alle regole accreditate nella comunita' scientifica per l'esecuzione dell'intervento cui fu sottoposta la persona offesa. 2. Va premesso che l'articolo 220 c.p.p.. prevede l'espletamento della perizia ogniqualvolta sia necessario svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedano specifiche competenze di natura tecnica. La specificita' delle competenze va rapportata alle conoscenze ordinarie dell'uomo medio. La perizia va dunque disposta allorche' occorrano competenze che esulano dal patrimonio conoscitivo dell'uomo medio, in un dato momento storico e in un dato contesto sociale (Cass., Sez. 1, n. 11706 dell'11-11-1993, Rv. 196075). Lo svolgimento di indagini comprende la ricerca e l'estrapolazione di dati da una determinata realta' fenomenica nonche' la loro analisi e rielaborazione critica. L'acquisizione di dati implica la constatazione, selezione e organizzazione di dati gia' esistenti, in modo funzionale rispetto alle richieste del giudice. L'acquisizione di valutazioni comprende l'individuazione ed enunciazione di nozioni e di regole tecniche, di leggi scientifiche, di massime di esperienza e di inferenze fondate su dati gia' acquisiti mediante altri mezzi di prova o direttamente ottenuti attraverso le operazioni peritali. Dunque la perizia, pur essendo rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice (Cass., Sez. 6, n. 34089 del 7-7-2003; Sez. 5, n. 22770 del 15-4-2004), rappresenta un indispensabile strumento probatorio, allorche' si accerti il ricorrere del presupposto inerente alla specificita' delle competenze occorrenti per l'acquisizione e la valutazione di dati, perfino laddove il giudice possieda le specifiche conoscenze dell'esperto, perche' l'eventuale impiego, ad opera del giudicante, della sua scienza privata costituirebbe una violazione del principio del contraddittorio e del diritto delle parti sia di vedere applicato un metodo scientifico sia di interloquire sulla validita' dello stesso (Cass., Sez. 5, n. 9047 del 15-6-1999, Rv. 214295). L'ontologica terzieta' del sapere scientifico accreditato e' lo strumento a disposizione del giudice e delle parti per conferire oggettivita' e concretezza al precetto e al giudizio di rimprovero personale. E' ben vero infatti che al giudice e' attribuito il ruolo di peritus peritorum. Ma cio' non lo autorizza affatto ad intraprendere un percorso avulso dal sapere scientifico, avventurandosi in opinabili valutazioni personali, sostituendosi agli esperti e ignorando ogni contributo conoscitivo di matrice tecnico-scientifica. Il ruolo di peritus peritorum abilita invece il giudice a individuare, con l'aiuto dell'esperto, il sapere accreditato che puo' orientare la decisione e a farne un uso oculato, pervenendo a una spiegazione razionale dell'evento. Il perito non e' l'arbitro che decide il processo ma l'esperto che espone al giudice il quadro del sapere scientifico nell'ambito fenomenologico al quale attiene il giudizio, spiegando quale sia lo stato del dibattito, nel caso in cui vi sia incertezza sull'affidabilita' degli enunciati a cui e' possibile addivenire, sulla base delle conoscenze scientifiche e tecnologiche disponibili in un dato momento storico. Tocchera' poi al giudice tirare le fila e valutare se si sia addivenuti a una spiegazione dell'eziologia dell'evento e delle dinamiche in esso sfociate sufficientemente affidabile e in grado di fornire concrete, significative ed attendibili informazioni, che possano supportare adeguatamente l'argomentazione probatoria inerente allo specifico caso esaminato. Il sapere scientifico costituisce infatti indispensabile strumento al servizio del giudice di merito, il valutare l'autorita' scientifica dell'esperto che trasferisce nel conoscenza delle leggi scientifiche nonche' comprendere se vengono proposti trovino comune accettazione nell'ambito della comunita' scientifica (Cass., Sez. 4, n. 43796 del 17-9-2010, Rv.248943). Il giudice deve dunque esaminare le basi fattuali sulle quali le argomentazioni del perito sono state condotte; l'ampiezza, la rigorosita' e l'oggettivita' della ricerca; l'attitudine esplicativa dell'elaborazione teorica nonche' il grado di consenso che le tesi sostenute dall'esperto raccolgono nell'ambito della comunita' scientifica (Cass., Sez. 4, n. 18678 del 14-3-2012, Rv. 252621), fermo rimanendo che, ai fini della ricostruzione del nesso causale, e' utilizzabile anche una legge scientifica che non sia unanimemente riconosciuta, essendo sufficiente il ricorso alle acquisizioni maggiormente accolte o generalmente condivise, attesa la diffusa consapevolezza della relativita' e mutabilita' delle conoscenze scientifiche (Sez. U., 25-1-2005, Rv. 230317; Cass., Sez. 4, n. 36280 del 21-6-2012, Rv. 253565). Di tale indagine il giudice e' chiamato a dar conto in motivazione, esplicitando le informazioni scientifiche disponibili e utilizzate e fornendo una razionale giustificazione, in modo completo e, il piu' possibile, comprensibile a tutti, dell'apprezzamento compiuto. Si tratta di accertamenti e valutazioni di fatto, insindacabili in cassazione, ove sorretti da congrua motivazione, poiche' il giudizio di legittimita' non puo' che incentrarsi esclusivamente sulla razionalita', completezza nonche' sul rigore metodologico del predetto apprezzamento. Il giudice di legittimita', infatti, non e' giudice del sapere scientifico e non detiene proprie conoscenze privilegiate (Cass., Sez. 4, n. 1826 del 19-10-2017), di talche' esso non puo', ad esempio, essere chiamato a decidere se una legge scientifica, di cui si postuli l'utilizzabilita' nell'inferenza probatoria, sia o meno fondata (Cass., Sez. 4, n. 43786 del 17-9-2010, cit.). La Corte di cassazione ha invece il compito di valutare la correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al sapere tecnico- scientifico, il giudizio demandato alla Corte di cassazione non riguarda dunque l'attendibilita' della legge scientifica ma esclusivamente la razionalita' dell'apparato argomentativo a sostegno delle determinazioni del giudice di merito in ordine all'apprezzamento della validita' della legge scientifica e all'utilizzo di quest'ultima nell'inferenza probatoria (Cass., Sez. 4, n. 38991 del 10-6-2010, Quaglieri). 2.1. Nel caso in esame il Giudice di merito ha utilizzato correttamente l'apporto scientifico del perito di ufficio nominato dal Tribunale e nel tessuto argomentativo della pronuncia impugnata e' dato rinvenire un'adeguata spiegazione delle ragioni per le quali il giudice d'appello ha ritenuto l'esaustivita' e incontrovertibilita' dei rilievi formulati sotto il profilo della imperizia e imprudenza stante il mancato espletamento di alcuni imprescindibili esami strumentali che dovevano precedere l'intervento quali le radiografie endoriali, l'ortopanoramica, la tomografia computerizzata, la radiografia tridimensionale a fascio conico, la risonanza magnetica e l'ecografia che, con specifico riferimento all'asportazione del terzo molare in inclusione totale o parziale, se effettuati avrebbero consentito tra l'altro di definire l'esatta posizione dell'elemento dentario e i suoi rapporti di continuita' con le strutture anatomiche adiacenti nonche' di aver una visione di insieme dell'osso mascellare superiore ed inferiore di tutti gli elementi dentarie, strutture anatomiche importanti come il canale mandibolare e di aver informazioni piu' puntuali sui tessuti duri molli. La Corte di appello ha evidenziato che l'imputato disponeva solo dell'esame radiografico del 2008, che nel momento dell'intervento, avvenuto nel 2013, non poteva rendere dati e informazioni attuali ed esaustive adeguate all'intervento e sottolineava come proprio la Tac tridimensionale avrebbe consentito di valutare, trattandosi di estrazione di dente del giudizio incluso, con maggiore accuratezza le relazioni tra i denti inclusi e le strutture anatomiche vascolari e nervose. 2.2. Occorre osservare come il principio dell'al di la' di ogni ragionevole dubbio, da considerarsi un pilastro del sistema, non costituisca solo una regola di giudizio ma proietti la propria rilevanza anche sul piano della formazione della prova, imponendo l'acquisizione di materiale probatorio di fonte non unilaterale, in modo che la decisione giudiziale possa fondarsi sull'apporto dialettico di elementi dimostrativi di provenienza contrapposta o, ancor meglio, di provenienza super partes, si' da dar vita a una feconda dialettica conoscitiva e a un quadro probatorio caratterizzato da ricchezza ed affidabilita' di apporti cognitivi, nel contesto del quale il giudice possa orientare in modo adeguato le proprie determinazioni. Il giudice, infatti, puo' fare legittimamente propria l'una piuttosto che l'altra delle tesi scientifiche prospettate dai periti d'ufficio o dai consulenti di parte, nell'ambito della dialettica processuale, purche' dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha disatteso (Cass., n. 55005 del 1011-2017, Pesenti) ma deve innanzitutto promuovere questa pluralita' ed eterogeneita' di contributi cognitivi. prospettiva, tener presente, in particolare, come la deposizione della persona offesa dal reato, pur potendo certamente rientrare nello spettro cognitivo e valutativo del giudice, in sede decisoria, vada riguardata con ogni cautela, considerato che la parte lesa e' portatrice di un interesse contrapposto a quello dell'imputato (Cass., 13-5-1997, Di Candia, Rv. 208229). E le Sezioni unite, pur ribadendo che le regole dettate dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste anche da sole a fondamento della declaratoria di responsabilita' dell'imputato, hanno sottolineato la necessita' di una attenta verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita' soggettiva del dichiarante e dell'attendibilita' intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere piu' penetrante e rigorosa rispetto a quella alla quale vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. Nel caso poi in cui la persona offesa si sia costituita parte civile puo' essere opportuno procedere al riscontro delle sue dichiarazioni mediante altri elementi (Sez. U., n. 41461 del 19-7-2012, Bell'Arte; Rv. 253214), che non possono sostanziarsi esclusivamente in apporti probatori provenienti dalla stessa parte. I giudici di merito, anche sotto questo ulteriore profilo, hanno spiegato, sulla base di un adeguato supporto di carattere scientifico, quale sia stato lo snodarsi dell'iter diagnostico-terapeutico; quale sia stato l'agire del medico; quali fossero le leggi scientifiche che presiedevano alla tipologia dell'intervento da effettuarsi; se e sotto quale profilo la condotta del medico sia stata contraria alle predette leggi; se le lesioni subite siano eziologicamente da correlarsi agli eventuali errori commessi dal medico fol. 5/6/7. 3. E' manifestamente infondato anche motivo di ricorso, inerente alla ravvisabilita' o meno della colpa lieve, nell'ottica delineata dall'articolo 590 sexies c.p.. Al riguardo, va rilevato come dall'epoca in cui si e' verificato il fatto, nell'anno 2013, ad oggi si siano succedute ben tre normative. Nel 2012 entro' in vigore il Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito in L. 8 novembre 2012, n. 189, (cosiddetta legge Balduzzi), il quale all'articolo 3, comma 1, recitava: "L'esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attivita', si attiene alle linee-guida e buone pratiche accreditate dalla comunita' scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi, resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 c.c.. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo". E' poi entrata in vigore la L. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), la quale, all'articolo 6, ha abrogato il predetto Decreto Legge n. 158 del 2012, articolo 3 e ha dettato l'articolo 590 sexies c.p., attualmente vigente. Sia il decreto Balduzzi che la legge Gelli-Bianco prevedono invece delle limitazioni alla responsabilita' del medico che erano sconosciute al regime originario e costituiscono, dunque, entrambe, legge piu' favorevole, nell'ottica delineata dall'articolo 2 c.p.. Secondo i principi delineati da Sez. U., 21-12-2017, Mariotti, Decreto Legge n. 158 del 2012, articolo 3, e' piu' favorevole dell'articolo 590 sexies c.p., in relazione alle contestazioni relative a comportamenti del sanitario, commessi prima dell'entrata in vigore della legge Gelli-Bianco, connotati da negligenza o imprudenza con configurazione di colpa lieve, che solo per il decreto Balduzzi erano esenti da responsabilita', quando risultava provato il rispetto delle linee-guida o delle buone pratiche accreditate. Cio' perche' e' incontrovertibile, sulla base del tenore testuale dell'articolo 590 sexies c.p., comma 2, che quest'ultima norma sia applicabile esclusivamente ai casi di imperizia mentre, in relazione al Decreto Legge n. 158 del 2012, articolo 3, si era ritenuto, in giurisprudenza, che la limitazione della responsabilita' in caso di colpa lieve, prevista da quest'ultima norma, pur trovando il proprio terreno d'elezione nell'ambito dell'imperizia, potesse venire in rilievo anche quando il parametro valutativo della condotta dell'agente fosse quello della diligenza o della prudenza (Cass., Sez. 4, n. 45527 del 1-7-2015, Rv. 264987; Sez. 4, n. 23283 dell'11-5-2016, Rv. 266903). Secondo le Sezioni unite, anche nell'ambito della colpa da imperizia e' piu' favorevole il decreto Balduzzi, poiche' l'errore determinato da colpa lieve che sia caduto sul momento selettivo delle linee- guida, e cioe' su quello della valutazione dell'appropriatezza della linea-guida, e' coperto dall'esenzione di responsabilita' ex articolo 3 (Cass., Sez. 4, n. 47289 del 9-102014, Stefanetti) mentre non lo e' piu' in base all'articolo 590 sexies c.p. Sempre nell'ambito della colpa da imperizia, per quanto attiene invece alla fase attuativa, l'errore determinato da colpa lieve, secondo il condivisibile orientamento del supremo Collegio, andava esente da responsabilita' per il decreto Balduzzi ed e' oggetto di causa di non punibilita' in base all'articolo 590 sexies c.p., essendo, in tale prospettiva, ininfluente, in relazione alla decisione del giudice penale che si pronunci nella vigenza della nuova legge su fatti verificatisi antecedentemente alla sua entrata in vigore, la qualificazione giuridica dello strumento tecnico attraverso il quale giungere al verdetto liberatorio. Dunque, per quanto riguarda la far attuativa dei precetti delle linee-guida, legge Balduzzi e legge Gelli - Bianco si equivalgono, perche' entrambe scriminano l'errore determinato da colpa lieve. Questa configurazione concettuale dei rapporti tra il decreto Balduzzi e la legge Gelli-Bianco deriva dalla impalcatura teorica elaborata dalle Sezioni unite, nell'interpretazione della legge Gelli-Bianco, secondo cui l'esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall'esercizio dell'attivita' medico-chirurgica: a) se l'evento si e' verificato per colpa (anche lieve) da negligenza o imprudenza; b) se l'evento si e' verificato per colpa (anche lieve) da imperizia quando il caso concreto non e' regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico assistenziali; c) se l'evento si e' verificato per colpa (anche lieve) da imperizia nell'individuazione nella scelta di linee guida o di buone pratiche clinico- assistenziali non adeguate alla specificita' del caso concreto; d) se l'evento si e' verificato per colpa grave da imperizia nell'esecuzione di raccomandazioni di linee guida o buone pratiche clinico- assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficolta' dell'atto medico. 3.1. La tematizzazione dei profili appena enucleati e' affrontata dalla sentenza impugnata, in cui a fol. 5 si fa esplicito riferimento nel caso concreto al mancato rispetto delle note ministeriali e alle buone prassi applicate in merito alla pianificazione del trattamento chirurgico con adeguato imaging, l'esecuzione di linee di incisione e lo scollamento sottoperiostale che consente la prevenzione delle lesioni dei tronchi nervosi; senza l'effettuazione di una esame radiologico volumetrico attuale e di quelle procedure quali la tomografia computerizzata necessarie per avere informazioni anche tridimensionali sulla posizione del terzo molare, l'anatomia del nervo e della radice su cui si andava ad intervenire. 4. Con riferimento al terzo motivo riguardante la intervenuta prescrizione prima della pronuncia della sentenza impugnata va rilevata la manifesta infondatezza oltre che la mancanza di autosufficienza. Dall'esame del fascicolo processuale risulta un periodo di sospensione complessivo di un anno e mesi sei e giorni sedici, tra cui il periodo dal 12.09.2017 al 17.04.2018, pari a mesi 7 e giorni cinque, in contestazione. Il ricorrente adduce, senza alcuna documentazione a supporto, che il rinvio da ultimo indicato aveva la sola finalita' di consentire al giudice che aveva seguito fin dall'inizio la vicenda di poter completare la parte istruttoria (fol. 10 del ricorso) e quindi non poteva valere come sospensione della prescrizione. L'esame del verbale di udienza del 12.09.2017, consentito a questo Collegio trattandosi di questione processuale, evidenzia invece che "i difensori dell'imputato, dopo aver eccepito l'inutilizzabilita' degli atti assunti dinanzi a giudice persona fisica diversa, dell'imputato hanno chiesto rinvio congiunto in quanto erano assenti, perche' non citati i consulenti di parte, e che il PM nulla ha opposto purche' vengano sospesi i termini della prescrizione, il tribunale preso atto a rinviato il processo all'udienza del 17.04.2018 mandando le parti per la citazione dei loro consulenti non citati". Vale pertanto il principio che il provvedimento di rinvio del processo, disposto dal giudice su istanza e per esigenze della parte richiedente, da' sempre luogo alla sospensione dei termini di prescrizione per l'intera durata del rinvio ex articolo 159 c.p., a prescindere dalle ragioni che la stessa parte ha posto a fondamento della richiesta ex plurimis Sez. 5, n. 26449 del 13/04/2017). 5. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Nulla per le spese in favore della parte civile che si e' limitata in questo giudizio di legittimita' al deposito di una memoria contenente le mere conclusioni in cancelleria con l'allegazione di nota spese. (Sez. 6 - n. 28615 del 28/04/2022 Ud. (dep. 20/07/2022) Rv. 283608 - 02). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Nulla per ile spese.

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