Sentenze recenti luci e vedute

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1353 del 2019, proposto da Pa. Ma., rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. Ma. ed Er. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Er. Be. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda n. 1689/2018. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 15 maggio 2023 il Cons. Giordano Lamberti e udito per le parti l'avvocato Pa. Ma. in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma "Mi. Te."; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - L'appellante ha impugnato avanti il TAR per la Lombardia il provvedimento n. 1024 del 13 febbraio 2008, con il quale il Comune di (omissis) ha respinto l'istanza di condono ex d.l. n. 269/03 presentata in data 7 dicembre 2004 in relazione ai lavori di recupero a fini abitativi del sottotetto dell'immobile sito in via (omissis), frazione (omissis) (foglio (omissis), mappale (omissis), sub (omissis)). 1.1 - Il sottotetto è stato recuperato mediante la realizzazione di due camere e di un bagno, a cui si accede tramite una scala interna all'appartamento esistente al primo piano. 1.2 - Il provvedimento di diniego si fonda sul ritenuto non completamento funzionale delle opere alla data del 31 marzo 2003 ("dalla documentazione fotografica allegata all'istanza emerge che l'immobile a quella data è allo stato di grezzo senza intonaco, senza pavimenti, senza impianti, salvo condutture sottotraccia per gli impianti e senza impianti interni, con la conseguenza di non poter ritenere ultimata la trasformazione di destinazione d'uso entro il 31 marzo 2003"). 2 - Con un unico articolato motivo di censura, l'appellante ha dedotto l'illegittimità del diniego per violazione della normativa di settore ed eccesso di potere "per contrasto con direttive ministeriali (Circolare Ministero Infrastrutture e Trasporti 7 dicembre 2005 n. 2699), difetto ed illogicità di motivazione". 2.1 - Nello specifico, ha prospettato che il Comune avrebbe errato nel ritenere necessaria l'ultimazione di tutte le finiture civili, essendo sufficiente che, alla data del 31 marzo 2003, le opere realizzate siano tali da identificare la possibilità di uso in relazione alle funzioni cui sono destinate. Nel caso di specie, tale possibilità d'uso doveva ritenersi identificata, atteso che le fotografie allegate all'istanza di condono evidenziano la realizzazione delle seguenti opere: suddivisione, mediante la costruzione di tramezzi, dell'unico originario vano in tre vani, di cui due destinati a camera da letto, illuminati da preesistenti finestre poste ai due lati opposti del sottotetto, ed il terzo destinato a bagno, illuminato dall'apertura nel tetto di un lucernaio di mq. 1 x 0,80 posto in corrispondenza dello stesso con posizionamento del piatto doccia; nei tre vani risultavano dislocate decine di punti luce con le relative canalizzazioni nei muri; infine, era già stato realizzato il collegamento tra l'appartamento sottostante e il sottotetto, attraverso la realizzazione di una vera e propria scala interna in sostituzione della originaria botola. 3 - Con la sentenza indicata in epigrafe il TAR adito ha respinto il ricorso. 4 - L'originario ricorrente ha impugnato tale pronuncia, deducendone l'erroneità e contraddittorietà in relazione al mancato riconoscimento dell'intervenuto completamento funzionale dei lavori. Nello specifico, parte appellante censura il passaggio motivazionale in cui il Giudice di primo grado ha ritenuto che le opere oggetto di domanda non siano funzionalmente complete, al fine della fruizione del condono, in quanto "mancavano ancora gli impianti idraulico, termico ed elettrico (essendo state eseguite, quanto a quest'ultimo, solo le canalizzazioni nella muratura per l'alloggiamento della rete elettrica)... risulta la parziale esistenza dei soli accessori (punti luce e piatto doccia) ma non degli impianti". 4.1 - Secondo parte appellante, il TAR avrebbe omesso di considerare, da un lato, la ratio dei principi che governano la materia, dall'altro di considerare la concreta situazione esistente. Quanto al primo profilo, rileva che la circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 2699/2005 richiede per l'ammissione al condono che le opere interne di edifici esistenti siano "tali da identificare la possibilità di uso in relazione alle funzioni cui sono destinate". Al riguardo, l'appellante prospetta che il principio di completamento funzionale deve essere letto in armonia con quello di completamento strutturale prescritto per le nuove edificazioni, rispetto al quale è necessario e sufficiente lo stato "al rustico", precisando che "come per le nuove opere è sufficiente che i volumi sia individuabili e calcolabili, per le opere interne, insistendo esse su edifici già esistenti, deve essere sufficiente, per non comportare una disparità di trattamento a sfavore di chi non realizza alcuna nuova opera ma si limita a recuperare uno spazio proprio ed interno, l'idoneità alla destinazione cui sono preordinate". 4.2 - Quanto al secondo aspetto, rappresenta che, alla data utile per il condono: - era stato aperto un lucernaio di mq. 1 X 0,80, in corrispondenza del terzo vano in aggiunta alla finestratura esistente; - era iniziata la posa dei servizi igienici con l'installazione del piatto doccia, che presuppone la già avvenuta realizzazione degli scarichi per lo scolo dell'acqua; - non solo vi erano le condutture sottotraccia, ma anche decine di punti luce; - le opere compiute successivamente sono consistite solo nella perlinatura delle pareti, posa delle piastrelle, del parquet e degli interruttori, ovvero lavori di finitura civile che hanno inciso solo sull'estetica dei locali e non certo sulla loro destinazione. Contrariamente a quanto affermato dal TAR, l'avvenuta installazione del piatto doccia all'interno del vano bagno (con finestratura) confermerebbe che l'impianto idraulico di portata e scarico acque (e fognario) era stato realizzato, così come l'avvenuta creazione dei punti luce nei vani realizzati nel sottotetto conferma che anche l'impianto elettrico era stato realizzato, mancando solo le prese e gli interruttori. 5 - L'appello è infondato. La controversia ruota intorno al concetto di opera completata. Al riguardo, ben può soccorrere l'art. 31, comma 3, l. n. 47/1985, i cui principi debbono ritenersi valevoli anche per la disciplina dei condoni successivi, in base al quale, per quel che rileva in questa sede: "si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e ultimata la copertura, ovvero quanto alle opere interne agli edifici già esistenti...quando esse siano state completate funzionalmente". La norma opera un distinguo tra nuovi edifici residenziali, per i quali si richiede l'esecuzione del rustico e il completamento della copertura, ed opere interne di edifici già esistenti per le quali si richiede il completamento funzionale. Occorre dunque interrogarsi sulla portata del concetto di completamento funzionale. In generale, lo stesso deve riferirsi alla realizzazione di un intervento di cui sia possibile riconoscere le caratteristiche tipologiche, in quanto siano presenti gli aspetti essenziali che ne individuano la funzione e ne consentono l'utilizzo. Più precisamente, ai fini del presente giudizio, tale concetto serve ad identificare il momento in cui il manufatto ha acquisito caratteristiche oggettivamente ed univocamente idonee alla nuova destinazione, anche se gli interventi di finitura non risultano ancora completati (cfr. Cons. St, sez. IV, 26/01/2009, n. 393). Ai fini del presente giudizio, la nozione di completamento funzionale implica, infatti, uno stato di avanzamento nella realizzazione tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione dell'immobile come residenza; in altri termini, l'organismo edilizio, non soltanto deve aver assunto una sua forma stabile nella consistenza planivolumetrica (come per gli edifici, per i quali è richiesta la c.d. ultimazione "al rustico", ossia intelaiatura, copertura e muri di tamponamento), ma anche una sua riconoscibile e inequivoca identità funzionale che ne connoti con assoluta chiarezza la destinazione d'uso (cfr. Cons. St., Sez. VI, 20/02/2019, n. 1190). 5.1 - Tanto premesso, deve in primo luogo rilevarsi che l'appellante non prova l'effettivo stato dell'immobile alla data del 31 marzo 2003, restando per l'effetto destituita di ogni riscontro la sua ricostruzione dei fatti, per cui il sottotetto sarebbe stato dotato anche di impianto idrico ed elettrico. Circa il regime dell'onere della prova relativamente all'ultimazione dei lavori entro il termine previsto dalla legge per accedere al condono, la giurisprudenza, alla quale si intende aderire, è orientata nel senso che incombe su chi richiede di beneficiare di un condono edilizio l'onere di provare che l'opera è stata realizzata in epoca utile per fruire del beneficio (cfr. Cons. St., sez. IV, 22/05/2012, n. 2949; Cons. St., sez. IV, 12/02/2010 n. 772), in quanto, mentre l'amministrazione comunale non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul condono, colui che lo richiede può, di regola, procurarsi la documentazione da cui si possa desumere che l'abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data prevista (cfr. Cons. St., sez. VI, 5/08/2013, n. 4075). Al riguardo, deve precisarsi che la ravvisata carenza probatoria non è superabile attraverso un'attività del giudicante, posto che ai sensi del comma 1, art. 64, c.p.a. "spetta alle parti l'onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni". Per giurisprudenza costante, è a carico del privato l'onere della prova in ordine alla data di realizzazione delle opere edilizie, onere discendente dal principio di vicinanza della prova, come riconosciuto anche dagli articoli 63, comma 1, e 64, comma 1, c.p.a., in forza dei quali spetta al ricorrente l'onere della prova in ordine a circostanze che rientrano nella sua disponibilità (cfr. Cons. St., sez. VI, 10/03/2023, n. 2524; Cons. St., sez. II, 05/02/2021, n. 1109). Nel caso di specie era pertanto onere dell'appellante produrre, sin dal giudizio di primo grado, la documentazione idonea a provare la propria prospettazione, come ad esempio il materiale fotografico dal quale poter desumere lo stato del fabbricato. 5.2 - Senza voler invertire l'onere della prova, in base agli atti del procedimento risulta che dalla documentazione fotografica allegata all'istanza emerge che l'immobile a quella data è allo stato grezzo, senza intonaco, senza pavimenti, senza impianti, salvo condutture sottotraccia per gli impianti e senza impianti interni, con la conseguenza di non poter ritenere ultimata la trasformazione di destinazione d'uso entro il 31.03.2003. A fronte di tale rilievo, l'appellante nelle proprie osservazione non ha contestato tale situazione di fatto, limitandosi a rappresentare all'amministrazione una diversa prospettazione giuridica a sé favorevole. Alla luce di tali circostanze, la conclusione del TAR che ha valorizzato la mancanza degli impianti idraulico, termico ed elettrico (essendo state eseguite, quanto a quest'ultimo, solo le canalizzazioni nella muratura per l'alloggiamento della rete elettrica) deve trovare conferma. Invero, l'assenza di tali impianti rende completamente inidonei i vani in questione alla loro fruizione abitativa, dovendosi ritenere la loro presenza essenziale al fine di imprimere la nuova destinazione al sottotetto, salve le successive opere di completamento estetico. Al riguardo, la giurisprudenza ha chiarito che "La nozione di completamento funzionale è ormai acquisita nella giurisprudenza amministrativa, che ha evidenziato come è necessario che siano state realizzate le...opere indispensabili a renderne effettivamente possibile un uso diverso da quello a suo tempo assentito, come nel caso in cui un sottotetto, trasformato in abitazione, venga dotato di luci e vedute e degli impianti di servizio (gas, luce, acqua, telefono, impianti fognari, ecc.), cioè di opere del tutto incompatibili con l'originaria destinazione d'uso" (Cons. St., Sez. V, 14 luglio 1995, n. 1071), ossia quelle opere che qualifichino in modo inequivoco la nuova e diversa destinazione (cfr. Cons. St., Sez. V, 4 luglio 2002, n. 3679, che ha considerato inverato il completamento funzionale nel caso in cui era stata effettuata "...la divisione dei locali, gli impianti elettrici ed idraulici..."; cfr. anche Cons. St., sez. IV, 08/11/2013, n. 5336). 6. - Per le ragioni esposte l'appello va respinto. 7. - Non è necessario provvedere sulle spese, stante la mancata costituzione in giudizio del comune appellato. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, respinge l'appello. Nulla sulle spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Luigi Massimiliano Tarantino - Presidente FF Oreste Mario Caputo - Consigliere Giordano Lamberti - Consigliere, Estensore Giovanni Sabbato - Consigliere Davide Ponte - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni - Presidente Dott. MOCCI Mauro - Consigliere Dott. CARRATO Aldo - rel. Consigliere Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere Dott. FORTUNATO Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso (iscritto al N. R.G. 11314/2018) proposto da: (OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)) e (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e difesi in virtu' di distinte procure speciali apposte in calce al ricorso, dagli Avv.ti (OMISSIS) ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest'ultimo, in (OMISSIS); - ricorrenti - contro (OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)) e (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e difesi, in virtu' di distinte procure speciali apposte in calce controricorso, dall'Avv. (OMISSIS) ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell'Avv. (OMISSIS), in (OMISSIS); - controricorrenti - avverso la sentenza della Corte di appello di Genova n. 1645/2017 (pubblicata il 20 dicembre 2017); udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23 febbraio 2023 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato; lette le conclusioni scritte del P.G., in persona del Sostituto procuratore generale Dell'Erba Rosa Maria, con le quali e' stato chiesto l'accoglimento del primo motivo di ricorso, con assorbimento dei restanti; letta, altresi', la memoria della difesa dei ricorrenti depositata ai sensi dell'articolo 378 c.p.c.. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Sanremo - Sezione distaccata di Ventimiglia, con sentenza n. 66/2013, respingeva le domande proposte da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nei confronti dei convenuti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), dirette all'accertamento dei loro reclamati diritti a sopraelevare ed aprire vedute (finestre) e luci sul terreno e cortile comuni (con gli stessi convenuti), relativamente al fabbricato sito in (OMISSIS), con conseguente condanna degli attori al pagamento delle spese giudiziali. Decidendo sull'appello formulato dai citati attori soccombenti e nella costituzione dei soli appellati (OMISSIS) e (OMISSIS), la Corte di appello di Genova, con sentenza n. 1645/2017 (pubblicata il 20 dicembre 2017), in totale riforma dell'impugnata sentenza, accoglieva il gravame e, per l'effetto, dichiarava che gli attori (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), quali aventi causa degli aventi causa di (OMISSIS), erano proprietari del sottotetto (e del tetto) del citato fabbricato ubicato in (OMISSIS), nonche' titolari del diritto di sopraelevare lo stesso fabbricato e di aprire e lasciare finestre e luci sul terreno e cortile rimasti comuni anche ai restanti proprietari di unita' immobiliari poste ai piani terreno e sotterraneo del medesimo edificio; condannava i due appellati, in solido, alla rifusione delle spese di entrambi i gradi. A fondamento dell'adottata pronuncia, la Corte ligure respingeva, in via pregiudiziale, l'eccezione di improcedibilita' dell'appello per omesso deposito dell'originale dell'atto di appello notificato (al momento della costituzione da parte degli appellanti) sollevata dagli appellati sul presupposto che si fosse provveduto a tale adempimento soltanto alla seconda udienza collegiale su sollecitazione della stessa Corte, rilevandone la tardivita' e, in ogni caso, l'infondatezza, considerando una mera irregolarita' l'avvenuta costituzione (comunque tempestiva) in appello, ad opera degli appellanti, mediante il solo deposito della copia dell'atto di citazione, alla quale si era prontamente rimediato con il deposito dell'originale. Passando all'esame dei motivi di merito dell'appello, la Corte territoriale si occupava, in primo luogo, della situazione petitoria che interessava il controverso sottotetto, di cui era stato riconosciuto il diritto di proprieta', con la sentenza di prime cure, in via esclusiva in capo agli originari attori. Il giudice di secondo grado riteneva di non condividere il percorso logico-argomentativo compiuto dal Tribunale sanremese, poiche' - dall'esame degli atti di divisione immobiliare del 30 ottobre 1915 e de 21 ottobre 1937, ovvero sulla scorta della valutazione del loro contenuto e delle vicende traslative in essi previste - essi non potevano ritenersi "res inter alios acta" rispetto ai convenuti, dal momento che, se gli originari attori risultavano essere successori dei successori di (OMISSIS) e gli originari convenuti successori dei successori di (OMISSIS), detto contenuto si sarebbe dovuto considerare opponibile a tutte le parti in contesa, ragion per cui occorreva interrogarsi sul se il citato sottotetto potesse o dovesse qualificarsi come pertinenza - ai sensi dell'articolo 818 c.c., comma 1, - del primo piano del fabbricato, essendo indubbio, alla stregua del tenore dei titoli esaminati, che il sottotetto era stato inteso dai condividenti (sulla scorta di entrambi i menzionati atti divisori) al pari di un tetto, ovvero come porzione immobiliare ricompresa nei lotti formati dai locali al piano primo e non destinata a restare comune tra tutti i condividenti. Al riguardo, la Corte ligure osservava che, in effetti, la proprieta' esclusiva del citato sottotetto/tetto, inizialmente concentrata in capo a (OMISSIS), si era via via trasferita "pro quota" agli eredi di (OMISSIS) e, poi, agli eredi degli eredi di (OMISSIS), indipendentemente dal fatto che uno degli eredi, (OMISSIS), in sede di divisione dell'eredita' paterna con la sorella (OMISSIS) fosse divenuta assegnataria non di un alloggio al primo piano (come quest'ultima), ma di una cantina al piano seminterrato, trattandosi di beni gia' tutti appartenenti in proprieta' esclusiva a (OMISSIS) e, quindi, devolutisi parziariamente pure con la corrispondente quota di proprieta' (anche del sottotetto e del tetto) delle parti dell'edificio gia' in proprieta' del "capostipite" (OMISSIS), che non aveva fatto parte dello scioglimento della comunione con gli atti divisori tra le due menzionate sorelle (e con gli altri atti sempre riguardanti le successioni, prima, di (OMISSIS) e, poi, dei suoi figli). Rilevava, poi, la Corte di appello che dovevano considerarsi del tutto fuorvianti le valutazioni del primo giudice, secondo cui, da un lato, il diritto di sopraelevazione avrebbe dovuto essere riqualificato come diritto di superficie ai sensi dell'articolo 952 c.c. e, dall'altro, che tale diritto si sarebbe dovuto ritenere prescritto in applicazione dell'articolo 954 c.c., comma 2, per non uso protrattosi da venti anni e cio' perche': - i predetti titoli contrattuali manifestavano in modo evidente che la facolta' di sopraelevazione attribuita al condividente (OMISSIS) costituiva una conseguenza dell'attribuzione nella sua proprieta' esclusiva dell'intera porzione superiore al fabbricato compresa tra l'incluso primo piano e l'aria soprastante alla copertura del fabbricato e non, invece, una concessione che avevano fatto a suo favore degli inesistenti comproprietari di tale copertura, scindendo, impropriamente, la proprieta' della copertura dal diritto di realizzare al di sopra della stessa un'elevazione del fabbricato; - mancava, quindi, nel caso concreto il primo presupposto - ovvero che il diritto di eseguire la sopraelevazione riguardasse suolo altrui - per ravvisare il corso della prescrizione ai sensi del citato articolo 954 c.c., comma 4. Alla stregua di tali raggiunte conclusioni, la Corte di appello riteneva irrilevante esaminare l'ulteriore motivo di gravame diretto all'accertamento dell'acquisto della proprieta' del sottotetto in favore degli attori-appellanti pure a titolo di usucapione. 2. Avverso la citata sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), cui hanno resistito, con un congiunto controricorso, gli intimati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre (OMISSIS) non ha svolto attivita' difensiva in questa sede. La difesa dei ricorrenti ha anche depositato memoria ai sensi dell'articolo 378 c.p.c.. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Con il primo motivo, i ricorrenti hanno denunciato - ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 - la nullita' della impugnata sentenza e del giudizio di appello per violazione o falsa applicazione degli articoli 156, 165, 347, 348 e 350 c.p.c., sostenendo che la Corte ligure avrebbe dovuto dichiarare l'improcedibilita' dell'appello ex adverso proposto (con conseguente consolidamento e passaggio in giudicato della sentenza di primo grado), per non essere stato il relativo atto di citazione tempestivamente depositato in originale al momento della costituzione degli appellanti, ne' nei dieci giorni di cui al citato articolo 165 c.p.c., comma 2, ne' alla prima udienza. 2. Con la seconda censura, i ricorrenti hanno dedotto - in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - la violazione degli articoli 1362, 1363, 1368 e 1369 c.c., avuto riguardo alle parti della motivazione dell'impugnata sentenza di cui alle lettera a) e b) del paragr. 2, rappresentando che, se la Corte di appello avesse rispettato i canoni ermeneutici di cui alle richiamate norme, avrebbe dovuto necessariamente riconoscere che, con l'atto di divisione del 1915, sull'immobile oggetto di controversia era stato costituito un condominio tra i due germani (OMISSIS) ed (OMISSIS) e che, non essendo stato stabilito chiaramente nulla di diverso in detto titolo, il tetto ed il piano sottotetto dell'edificio, non espressamente attribuiti in proprieta' esclusiva, si sarebbero dovuti ritenere rimasti comuni tra i due condomini. 3. Con la terza doglianza, i ricorrenti hanno prospettato - avuto riguardo all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1362 e 1363 c.c., con riferimento ai passaggi motivazionali dell'impugnata sentenza di cui alle lettera c), d) ed e) del paragr. 2, sostenendosi che, se la Corte di appello avesse applicato correttamente i criteri interpretativi di cui alle suddette norme, non avrebbe potuto trarre dall'atto di divisione del 1937 alcuna giustificazione della presunta divisione "verticale" dell'immobile controverso nel 1915, dovendosi, al contrario, trarre ulteriore conferma del fatto che, con l'atto del 1915, era stato costituito un condominio tra i due germani (OMISSIS) ed (OMISSIS) e che, non essendo stato stabilito univocamente nulla di diverso in detto titolo, il tetto ed il piano sottotetto dell'edificio, non espressamente attribuiti in proprieta' esclusiva ne' nell'atto del 1915 ne' in quello del 1937, si sarebbero dovuti ritenere rimasti comuni tra i due condomini. 4. Con il quarto motivo, i ricorrenti hanno denunciato - in ordine all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1362, 1363, 1365, 1367 e 1368 c.c., anche in relazione agli articoli 1117 e 1350 c.c., articoli 1314 e 1865 e R.Decreto Legge n. 56 del 1934, articolo 3 con riferimento agli sviluppi motivazionali dell'impugnata sentenza contenuti nelle lettera f) e g) (prima parte) del paragr. 2, deducendo che, in base alla esatta applicazione dei parametri ermeneutici previste dalle norme per prima citate, la Corte di appello non avrebbe potuto interpretare il rogito del 1937, che nulla disponeva a proposito del tetto e del piano sottotetto del controverso immobile, nel senso di ritenere queste parti tacitamente attribuite in proprieta' esclusiva al (OMISSIS), poiche' - in difetto di specifiche disposizioni e dell'indivisibilita' del tetto comune secondo il diritto allora vigente (nonche' "ad abundantiam" delle regole di forma scritta "ad substantiam" gia' in quel tempo prescritte per i trasferimenti immobiliari) - la stessa Corte avrebbe dovuto concludere - in conformita' a quanto gia' ritenuto dal Tribunale - nel senso che il tetto ed il piano sottotetto, in ordine ai quali nulla era stato espressamente previsto, non potevano che essere rimasti indivisi e, quindi, costituenti parti comuni dell'edificio. 5. Con la quinta ed ultima censura, i ricorrenti hanno lamentato - sempre con riferimento all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - la violazione dell'articolo 1367 c.c., in relazione all'articolo 952 c.c., comma 1, articolo 1127 c.c., R.Decreto Legge n. 56 del 1934, articolo 12, comma 1, nonche' degli articoli 1362, 1363 e 1368 c.c., con riguardo alle lettera g) (seconda parte), h), i), j) e k) del paragr. 2 della motivazione dell'impugnata sentenza, sul presupposto che la Corte di appello non avrebbe potuto trarre, dalla clausola del rogito del 1937 di espressa attribuzione al (OMISSIS) del diritto di sopraelevare l'edificio, una conferma dell'implicita attribuzione allo stesso (OMISSIS) del diritto di proprieta' esclusiva del tetto e del piano sottotetto, su cui l'atto invece nulla prevedeva, dovendosi intendere la clausola relativa all'attribuzione del suddetto diritto come una disposizione di riconoscimento di un diritto di superficie, in tal modo traendosi conferma della proprieta' comune del piano sottotetto, perche' solo in quest'ultima prospettiva la clausola medesima avrebbe avuto un chiaro, univoco e non superfluo significato. 6. Rileva il collegio che il primo motivo deve essere dichiarato inammissibile, in applicazione dell'articolo 360-bis c.p.c., n. 1), poiche' la questione processuale che ne costituisce oggetto e' stata decisa dalla Corte di appello di Genova giungendo - in conformita' all'orientamento giurisprudenziale di questa Corte culminato nella sentenza delle SU n. 16598/2016 (interpretata nei suoi corretti termini) e senza che siano stati prospettati elementi idonei per superarlo - a ritenere infondata l'eccezione di improcedibilita' dell'appello per omesso deposito dell'originale dell'atto di appello sollevata dagli appellati alla seconda udienza del 10.2.2015 dopo che il collegio, alla prima udienza di comparizione del 25.11.2014, aveva segnalato la mancata produzione - al momento della costituzione degli appellanti - dell'originale dell'atto di citazione in appello notificato, il cui esame solo avrebbe consentito di verificarne la regolare notificazione (anche) all'appellato non costituito (OMISSIS). Occorre, al riguardo, rilevare che, alla prima udienza dinanzi alla Corte di appello, quest'ultima aveva proceduto ad una verifica della ritualita' dell'instaurazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli appellati, pur prendendo atto che i due appellati (OMISSIS) e (OMISSIS) - malgrado la mancata produzione dell'atto di citazione in originale con la prova della ritualita' della sua notificazione nei loro confronti - si erano comunque costituiti (nonostante, cioe', il mero deposito della velina dell'atto di citazione in appello ad opera degli appellanti al momento della loro, comunque, tempestiva costituzione), senza eccepire alcun vizio e difendendosi nel merito rispetto alle censure formulate dagli appellanti (salvo, poi, a formulare l'eccezione di improcedibilita' solo nella seconda udienza temporalmente intesa). Ora, avendo esercitato tale potere, una volta prodotto nel termine stabilito dalla Corte di appello l'atto di citazione in originale con la prova della ritualita' della tempestiva notificazione anche nei confronti dell'altro appellato (OMISSIS) (non costituitosi in precedenza), rimasto contumace, lo stesso giudice di secondo grado non avrebbe potuto - sol per la mancata produzione dell'originale dell'atto di citazione entro la prima udienza con le inerenti relate di notifica e nonostante la rituale e tempestiva costituzione dei suddetti due appellati (che avevano, con tale condotta, riconosciuto la regolarita' della loro "vocatio in ius") ai sensi dell'articolo 347 c.p.c. (ancorche' fosse stata depositata in cancelleria, all'atto dell'iscrizione tempestiva a ruolo, solo la velina dell'atto di citazione) e l'accertata regolarita' della notificazione dell'atto di appello anche nei riguardi dell'appellato non costituitosi - dichiarare l'improcedibilita' dell'appello. In altri termini, la Corte di appello non avrebbe potuto dichiarare l'improcedibilita' dell'appello soltanto perche', nonostante l'avvenuta costituzione degli altri due appellati (con l'effetto di sanatoria nei loro confronti) e malgrado la sola produzione della velina dell'atto di citazione in appello al momento della costituzione - pacificamente tempestiva - in giudizio da parte degli appellanti, era mancante, alla prima udienza, la prova della regolarita' della notificazione nei riguardi dell'altro appellato non costituitosi (e, quindi, senza la produzione di un'efficacia sanante anche relativamente alla sua posizione processuale). Prova, questa, poi acquisita alla successiva udienza in cui venne completata l'attivita' di "verifica della regolare costituzione del giudizio" e dichiarata, legittimamente, la contumacia dell'appellato non costituitosi (e nei cui confronti era stata, per l'appunto, accertata la regolarita' della notificazione dell'atto di appello), cosi' esaurendosi le complessive verifiche della prima udienza di trattazione (anche in relazione a quanto disposto dal citato articolo 350 c.p.c., comma 3). In tal senso, quindi, deve escludersi che si sia venuta a configurare l'ipotesi (tipica) di improcedibilita' prevista dall'articolo 348 c.p.c., comma 1 (v. Cass. nn. 25437/2014, 15130/2015 e 4525/2016), il quale commina tale sanzione solo per l'inosservanza del termine di costituzione dell'appellante, non anche per il mancato rispetto delle forme di costituzione, sicche', essendo il regime dell'improcedibilita' di stretta interpretazione in quanto derogatorio al sistema generale della nullita', il vizio della costituzione tempestiva ma inosservante delle forme di legge soggiace al regime della nullita' e, quindi, anche al principio del raggiungimento dello scopo (gia', in questi termini, v. Cass. n. 6912/2012). Cio' vale a dire che, nel caso di specie, essendosi le parti appellanti tempestivamente costituite con il deposito della copia dell'atto di citazione - la c.d. velina - in luogo dell'originale, questa modalita' avrebbe potuto comportare (come stabilito dalla citata sentenza delle Sezioni unite n. 16598/2016, seguita da altre pronunce conformi, come Cass. n. 1063/2018 e Cass. n. 7679/2019) soltanto la nullita' della loro costituzione, ma non l'improcedibilita' dell'appello, nullita', peraltro, sanata dalla costituzione dei due appellati (che si erano difesi anche nel merito) e con l'assolvimento del dovere, da parte del giudice di appello, di concedere apposito termine per verificare l'avvenuta rituale notificazione anche nei confronti dell'altro appellato, accertamento positivamente compiuto all'udienza immediatamente successiva fissata per la trattazione, con la derivante dichiarazione di contumacia del (OMISSIS) (non costituitosi, malgrado la sua valida evocazione in causa) e la conseguente legittimita' della prosecuzione del giudizio di secondo grado. 7. Rileva, poi, il collegio che i motivi dal secondo al quinto sono esaminabili congiuntamente perche' con essi, sotto plurimi profili, vengono denunciate censure che attengono al percorso logico-giuridico compiuto sul piano ermeneutico nell'impugnata sentenza per addivenire alla soluzione dell'esclusione - sulla base, per l'appunto, dell'interpretazione dei titoli divisori presupposti del 1915 e del 1937 - di una condizione di comproprieta' del sottotetto e del tetto del fabbricato oggetto di controversia, rivendicati, invero, in proprieta' esclusiva da parte degli originari attori, poi appellanti. In primo luogo, bisogna dare atto che detti motivi sono stati dedotti in modo adeguatamente specifico, riproducendo gli stessi il contenuto - per quanto rilevante - dei due atti divisori di riferimento sui quali sono stati basati. Occorre, poi, evidenziare come, sul piano generale, sia risaputo che l'interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volonta' dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per inadeguatezza della motivazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione antecedente alla novella di cui al Decreto Legge n. 83 del 2012, oppure - nel vigore del novellato testo di detta norma - nel caso di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, sempre che non si ricada nella possibile ipotesi piu' radicale del vizio di motivazione mancante od apparente (denunciabile ai sensi del n. 4) dello stesso articolo 360 del codice di rito, ma, nella vicenda in esame, non prospettato ne' prospettabile, alla stregua del piu' che adeguato svolgimento dell'iter motivazionale). E' altrettanto indubbio che non si puo' artatamente contestare il risultato dell'attivita' interpretativa del giudice di merito attraverso l'asserita - ma insussistente - prospettazione della violazione di uno o piu' criteri ermeneutici. Cio' premesso, il collegio ritiene che la ricostruzione dei titoli divisori del 1915 e del 1937 operata dalla Corte di appello, sia in base al contenuto letterale che all'intenzione dei contraenti, oltre che sulla scorta della loro interconnessione, debba considerarsi corretta e legittima, siccome rispettosa dei principali e prioritari canoni ermeneutici previsti dagli articoli 1362 e 1363 c.c. (v., in proposito, da ultimo, Cass. n. 21576/2019 e Cass. n. 13595/2020), come tali risolutivi nell'approdare al risultato interpretativo raggiunto con l'impugnata sentenza, nel senso di riconoscere - in virtu' di tali titoli ritenuti, a ragione, idonei a superare la presunzione di condominialita' di cui all'articolo 1117 c.c. dei controversi tetto e sottotetto, che, invece, gli odierni ricorrenti vorrebbero che fosse da considerare ancora operante - la proprieta' esclusiva di tali parti agli appellanti, con la correlata attribuzione del diritto di sopraelevazione del fabbricato in questione e di aprire e lasciare finestre e luci sul terreno e sul cortile - questi si' - rimasti comuni anche ai restanti proprietari delle unita' immobiliari ubicate ai piani terreno e interrato del medesimo fabbricato. In effetti, i ricorrenti hanno - con le doglianze in esame - inteso sollecitare una diversa ricostruzione, sul piano ermeneutico, del contenuto dei due atti divisori in relazione ai quali la Corte di appello ha esercitato un apprezzamento di fatto, compiutamente motivato e conforme - in sede applicativa - ai suddetti parametri interpretativi, cosi' rimanendo insindacabile nella presente sede di legittimita' (cfr. Cass. n. 2943/2004 e Cass. n. 11195/2010). Infatti, nella sviluppata ricostruzione di cui alle pagg. 4-8 della motivazione, la Corte di appello, partendo innanzitutto dall'esame delle previsioni contenute primariamente nell'atto divisorio del 1915, ha rilevato che lo scioglimento della comunione era stato - in senso dimensionale - concordato con "modalita' verticale", con assegnazione della complessiva porzione a nord, da terra a cielo, del fabbricato ed area annessa - individuata come lotto A - al condividente (OMISSIS), mentre la porzione "restante", individuata come lotto B, era stata attribuita all'altro condividente (OMISSIS), con relativa rappresentazione delle risultanze fattuali discendenti dall'accordo in apposita planimetria allegata allo stesso atto, laddove - sottolinea la Corte di appello - il confine superiore delle due porzioni divise era specificato con le parole "sopra arie", senza alcuna menzione delle parole "tetto" e "sottotetto", con la conseguenza che - nella loro intenzione - le parti non avevano inteso mantenere comune la copertura del fabbricato ma che la stessa dovesse, invece, rimanere divisa in corrispondenza delle due porzioni distintamente dalla stessa coperte (ovvero la parte del fabbricato individuato come lotto A e la parte di fabbricato identificantesi con il lotto B). Inoltre, la Corte di appello, posta tale premessa, ha adeguatamente rilevato che, con la successiva divisione del 1937 (mediante l'apprezzamento del tenore letterale dello stesso e del complessivo contenuto delle clausole, cosi' conformandosi al dettato dei citati articoli 1362 e 1363 c.c., senza la necessita', percio', di dover ricorrere ad altri canoni ermeneutici, invero operanti eventualmente - come e' noto - solo in via sussidiaria: cfr. Cass. n. 26990/2006 e Cass. n. 18180/2007), le parti, previo ricorso ad un criterio divisorio in senso orizzontale (in sostituzione di quello originario di tipo verticale), avevano inteso attribuire tutto il primo piano di quello che era stato identificato come lotto B al (OMISSIS), mentre all'altro condividente (OMISSIS) era stato assegnato tutto il pianterreno dello stesso lotto B, specificandosi, altresi', testualmente, che ad (OMISSIS) veniva riconosciuta la facolta' di sopraelevare il fabbricato (con la opportuna valorizzazione - a tal proposito - da parte della Corte ligure della collocazione in significativa "sintonia" logica di tale previsione con i principi dettati dall'articolo 1127 c.c., comma 1, come interpretati dalla giurisprudenza di legittimita'), di aprire e lasciare finestre e luci sul terreno e cortile rimasti comuni ai condividenti: questo era proprio l'oggetto della domanda degli originari attori-poi appellanti, riconosciuta fondata dalla Corte di appello, la quale e' legittimamente pervenuta - sulla scorta del conferente ed adeguato rispetto dei suddetti criteri interpretativi - a ritenere che, in effetti, la copertura (formata proprio dal sottotetto e dal tetto) era rimasta strutturalmente "inglobata" nel piano primo e, quindi, appartenente in via esclusiva al (OMISSIS). Si osserva, inoltre, che la questione relativa alla supposta indivisibilita' del tetto asseritamente imposta dal R.Decreto Legge n. 56 del 1934, articolo 3 e' nuova (e, in quanto tale, la sua prospettazione deve essere considerata inammissibile), non risultando dedotta nei gradi di merito, non avendo i ricorrenti indicato come, quando e dove l'avessero fatta valere, non discorrendosene, peraltro, nemmeno nella sentenza qui impugnata. Per effetto della completa e giuridicamente corretta ricostruzione ermeneutica operata dalla Corte di appello e del conseguente esito finale raggiunto, la stessa ha, di conseguenza, legittimamente escluso che il diritto di sopraelevazione potesse ricondursi ad un diritto di superficie e che potesse applicarsi il regime della prescrizione di cui all'articolo 954 c.c., difettando il necessario presupposto dell'esercizio di tale diritto "su suolo altrui". 8. In definitiva, il ricorso va integralmente respinto, con la derivante condanna dei ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate nei sensi di cui in dispositivo. Infine, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte degli stessi ricorrenti, sempre con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e c.p.a., nella misura e sulle voci come per legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da' atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE QUARTA CIVILE composta dai magistrati Dott. Alberto Massimo Vigorelli - Presidente Dott. Francesco Distefano - Consigliere Dott. Maria Teresa Brena - Consigliere rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa d'appello promossa avverso la sentenza di primo grado n. 6490/2020 del Tribunale di Milano pubblicata in data 19/10/2020, posta in decisione nella camera di consiglio dell'1.03.2023 DA (...) (C.F. (...) ), nato a (...) di P. (...) (R,) il (...) e residente in (...), Via G. B. P. n. 25, rappresentato e difeso dall'Avv. Ma.Nu. del Foro di Milano (C.F. (...) ) elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo in Milano, Via (...) APPELLANTE CONTRO (...) (C.F. (...) ) nato a (...) il (...), residente in L.C. (Co) Via U., 2, rappresentato e difeso dall'avv. Ro.Ia., di Monza via (...), presso il cui studio si domicilia giusta delega in calce all'atto di appello APPELLATO/APPELLANTE IN VIA INCIDENTALE MOTIVI DELLA DECISIONE IN FATTO E DIRITTO Con atto d'appello notificato in data 16.04.2021 ad (...), (...) impugnava la sentenza del Tribunale di Milano n. 6490/2020 pubblicata in data 19.10.2020, con la quale il primo giudice aveva: a) rigettato la domanda di nullità del contratto di compravendita del 13 ottobre 2006 proposta da (...); b) dichiarato la prescrizione dell'azione di annullamento del contratto di compravendita proposta da (...); c) rigettato la domanda di risoluzione del contratto proposta da (...); d) in accoglimento della domanda di accertamento dell'inadempimento di (...), condannato lo stesso a al risarcimento del danno subito da (...) liquidato in Euro14.000,00; e) rigettato le domande riconvenzionali proposte da (...); f) condannato (...) alla refusione del 50% delle spese di lite sostenute da (...) liquidate in Euro 1.072,00 per anticipazioni non imponibili, Euro 5.770,00 per compensi, oltre spese generali al 15%, I.(...), se dovuta, e C.P.A., compensando fra le parti le residue; g) posto definitivamente a carico di (...) le spese della CTU nel procedimento per ATP R.G. 3303/2017; h) posto definitivamente a carico di (...) le spese della CTU nel procedimento per ATP R.G. 43409/2015. Si costituiva con comparsa del 26.10.2021 (...) che, dopo aver contestato in fatto e diritto le argomentazioni avanzate da parte appellante al fine di ottenere il rigetto del gravame, proponeva a sua volta appello incidentale. All'udienza di prima comparizione del 18.11.2021, le parti si riportavano ai rispettivi atti e la Corte, su concorde istanza, rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni all'udienza dell'1.12.2022. La stessa si svolgeva mediante trattazione scritta e i difensori provvedevano, quindi, a precisare le conclusioni. Il Collegio tratteneva la causa in decisione assegnando i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e le memorie di replica; depositati gli scritti difensivi finali la causa veniva poi discussa e decisa nella camera di consiglio del 1.03.2023. Brevemente quanto ai fatti di causa di rilievo in questa sede, come si legge nella sentenza impugnata: "(...) ha convenuto in giudizio (...) per sentir accogliere le seguenti conclusioni: nel merito, in via principale: accertare e dichiarare, per i motivi di cui alla narrativa del presente atto e con ogni miglior motivazione, la nullità del contratto di compravendita stipulato tra le parti in data 13.10.2006 a rogito Notaio dottor (...) di (...) - Rep. n. (...), Racc. n. (...); per l'effetto, condannare il signor (...) al pagamento dell'importo di Euro 99.951,60 - o di quel diverso importo, maggiore o minore, che verrà accertato in corso di causa e/o ritenuto di giustizia - a titolo restitutorio e/o di risarcimento danni per le causali ed i titoli indicati in atti; in via subordinata: nella denegata ipotesi di mancato accoglimento della domanda formulata dall'attore in via principale, accertare e pronunciare - per i motivi di cui alla narrativa del presente atto e con ogni miglior motivazione - l'annullamento del contratto stipulato tra le parti in data 13.10.2006 a rogito Notaio dottor (...) di (...) - Rep. n. (...), Racc. n. (...); per l'effetto, condannare il signor (...) al pagamento dell'importo di Euro 99.951,60 - o di quel diverso importo, maggiore o minore, che verrà accertato in corso di causa e/o ritenuto di giustizia - a titolo restitutorio e di risarcimento danni per le causali ed i titoli indicati in atti; in via ulteriormente subordinata: accertare e dichiarare, per i motivi di cui al presente atto e conogni miglior motivazione, la risoluzione ex art. 1453 c.c. del contratto di compravendita inter partes stipulato in data 13.10.2006 a rogito Notaio dottor (...) di (...) - Rep. n. (...), Racc. n. (...); per l'effetto, condannare il signor (...) al pagamento dell'importo di Euro 99.951,60 - o di quel diverso importo, maggiore o minore, che verrà accertato in corso di causa e/o ritenuto di giustizia - a titolo restitutorio e di risarcimento danni per le causali ed i titoli indicati in atti. Si è costituito con comparsa di risposta telematica del 16 luglio 2018 (...) instando per: nel merito: per tutte le ragioni sueposte, rigettarsi ogni domanda di parte attrice perché infondata in fatto ed in diritto e/o prescritta, e con condanna ex art. 96 c.p.c.. In ogni caso, con vittoria di spese di lite. in via subordinata: ai soli fini della risoluzione della controversia e con compensazione delle spese di lite, il convenuto si dichiara pro bono pacis disponibile a cedere gratuitamente a parte attrice (escluso il costo per spese notarili, catastali, edilizie e di sanatoria) la volumetria di sua proprietà nel lotto di riferimento pari a mq 1,69 inedificati per consentire la traslazione in compensazione della SLP necessaria alla sanatoria prospetta dal Ctu arch. Marzano e secondo il progetto tecnico che si produce (cfr. doc. 8); in via riconvenzionale: condannarsi parte attrice al pagamento in favore del convenuto dell'importo di 17.041,29 nel caso in cui non dovesse rimuovere la finestra non consentita di cui al precedente paragrafo 6.4, ovvero al pagamento di Euro 3.917,86 qualora si disponesse alla sua demolizione con il ripristino quo ante. In ogni caso, con vittoria di spese di lite". Come anticipato, il Tribunale rigettava innanzitutto la domanda di nullità del contratto di compravendita proposta dall'appellante, avendo ritenuto, conformemente ai dettami della sentenza n. 8230/2019 delle Sezioni Unite con riguardo alla natura delle nullità comminate dall'art. 46 D.P.R. n. 380 del 2001 e dagli art. 17 e 40 della L. n. 47 del 1985, che la dichiarazione risultata veritiera secondo cui il fabbricato era stato realizzato per mezzo di lavori iniziati precedentemente all'1 settembre 1967 fosse sufficiente ad assolvere al fine previsto dalla norma, ossia stabilire l'esistenza di un titolo edilizio sulla cui scorta era stato esercitato lo ius ad aedificandum. Ancora, il Tribunale rigettava la domanda di annullamento del contratto in questione, avendo ritenuto prescritta l'azione, essendo intervenuta la conoscenza da parte dell'appellante del supposto dolo del (...) in una forbice temporale compresa tra l'inizio del 2007 ed il 13 luglio 2009 (discorso analogo da svolgersi con riguardo all'errore essenziale sempre invocato dall'appellante); alcuna azione di annullamento era stata tuttavia esperita dal (...) tra luglio 2009 e luglio 2014, dovendosi pertanto dichiarare maturata l'avvenuta prescrizione quinquennale. Anche la domanda di risoluzione del contratto di compravendita veniva poi respinta dal giudice di prime cure, il quale, riconducendo la fattispecie all'art. 1489 c.c., ha ritenuto che l'abuso concernente la "trasformazione del corridoio/disimpegno volume in ampliamento del vano latrina comune configura un aumento di SLP ...", per quanto attribuibile al venditore, fosse da considerarsi un inadempimento non grave, anche alla luce dell'interesse del creditore. Alla stregua di siffatta valutazione, il Tribunale ha giudicato esiguo non solo l'abuso rispetto all'insieme dell'immobile acquistato, ma anche rispetto le somme necessarie ai fini del rispristino dello status quo precedente, non rinvenendo dunque alcuna grave lesione dell'interesse del creditore tale da giustificare la risoluzione del contratto. Alla luce di tali riflessioni, il Tribunale dichiarava fondata la sola domanda di risarcimento del danno da parte del (...), con conseguente condanna del (...) al pagamento di Euro14.000,00, aderendo così anche sul punto alle prospettazioni della CTU (...) (doc. 11 fascicolo primo grado appellante). Il risarcimento veniva dunque ritenuto l'unico mezzo idoneo a compensare in favore dell'appellante la situazione di abuso venutasi a creare a causa del venditore al quale, a seguito della valutazione delle prove documentali e testimoniali, veniva imputata la responsabilità per la fusione del vano bagno ottenuto con l'unità abitativa. Infine, per quanto riguarda le domande riconvenzionali, il giudice di primo grado le respingeva entrambe non accogliendo la richiesta del (...) di condanna del (...) al pagamento di importi differenti, da riconoscersi l'uno pari ad Euro 17.041,29 in caso di non rimozione della finestra costruita dal compratore senza autorizzazione alcuna sul cortile che assumeva essere di sua proprietà esclusiva, l'altro pari ad Euro 3.917,86 nel caso in cui, al contrario, fosse stata disposta la demolizione della stessa. Il Tribunale infatti, rinvenendo un rapporto di accessorietà tra le varie unità immobiliari (compresa quella del 8...)) ed il cortile da ritenersi condominiale e quindi comune, riteneva insussistente la servitù dedotta dal (...) e valorizzava l'art. 1102 c.c. secondo cui l'apertura di finestre e la trasformazione di luci in vedute rientrano nei poteri dei singoli condomini. Tanto premesso, ritiene la Corte di non poter accogliere l'appello principale né tantomeno l'appello incidentale proposti rispettivamente da (...) e (...). Con la prima doglianza l'appellante lamenta un'errata applicazione da parte del Tribunale dei principi di diritto disciplinanti la nullità dei contratti di compravendita per vizio formale e, nello specifico, una errata interpretazione ed applicazione del combinato disposto degli art. 40 L. n. 74 del 1985, art. 46 D.P.R. n. 380 del 2001 e art. 1418 c.c., con conseguente contraddittorietà della motivazione. Il giudice di prime cure, infatti, pur muovendo dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 8230/2019 ha, comunque, rigettato la domanda di nullità del contratto di compravendita avanzata dal (...), il quale deduce al contrario la sussistenza di un mendacio nelle dichiarazioni urbanistiche presentate dal (...). Un mendacio riconosciuto dallo stesso Tribunale con riguardo nello specifico alle dichiarazioni contenute nel rogito per cui "successivamente alla fine dei lavori di costruzione dellaporzione immobiliare in contratto non vennero apportate alla stessa modifiche per le quali si sarebbero dovuti richiedere provvedimenti autorizzativi ad eccezione di opere per le quali è stata presentata in termine completa ed esatta domanda in sanatoria ai sensi della L. n. 57 del 1985 essendo la sanatoria ammissibile secondo la medesima Legge" ed ancora "la domanda in sanatoria non ha ancora ottenuto definizione, ma ai sensi dell'art. 35 L. n. 47 del 1985, essendo trascorsi più di trentasei mesi dalla presentazione della domanda (1 aprile 1986 n. 131874 di Protocollo Generale), essendo state pagate le relative oblazioni per l'importo di L. 250.000 (duecentocinquantamila) e L. 250.000 (duecentocinquantamila) non ricorrendo i casi di cui all'art. 40, primo comma ed art. 33 della Legge, la domanda in sanatoria deve intendersi accolta, confermando parte venditrice di avere versato tutte le somme dovute". Nonostante il riconoscimento di tale falsità, dettata dalla non pertinenza delle suddette dichiarazioni all'immobile compravenduto, il giudice di primo grado ha comunque ritenuto il contratto di compravendita non viziato da nullità e da qui scaturisce il suo errore. L'appellante sostiene altresì che, a differenza di quanto giudicato dal Tribunale, la sola dichiarazione contenuta nel contratto secondo cui i lavori sarebbero iniziati prima del 1 settembre 1967 ("le opere di costruzione della porzione di immobile in contratto, nonché le opere di costruzione della casa di cui la stessa fa parte, vennero iniziate anteriormente al primo settembre 1967") non è sufficiente a salvare il negozio dalla nullità. E ciò sia perché i lavori in discorso sarebbero stati effettuati successivamente a tale data, sia perché il citato titolo urbanistico nel rogito non atterrebbe all'immobile acquistato dal S.. Quest'ultimo, inoltre, contesta ancora la tesi del Tribunale laddove ha ritenuto che il contratto, in virtù della dichiarazione di edificazione ante 1 settembre 1967, non possa essere dichiarato nullo anche di fronte a modifiche e ristrutturazioni non conformi alle previsioni urbanistiche, fatto che al più condurrebbe a sanzioni esclusivamente di carattere amministrativo e penale. Tale censura non può essere accolta. La Corte ritiene, al contrario di quanto sostenuto da parte appellante, che il giudice di primo grado abbia correttamente interpretato e applicato i principi emergenti dalla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 8230/2019. Infatti, è da ritenersi effettivamente sufficiente il primo titolo edilizio e cioè la dichiarazione di inizio costruzione in data antecedente all'1 settembre 1967, alla quale si è accompagnato un secondo titolo edilizio relativo all'intervenuta sanatoria del 1986 che, tuttavia, come emerso dalla concessione in sanatoria del 1998 e dalla CTU Marzano (doc. 8 fascicolo primo grado appellante e doc. 11 all. 7) non riguarda l'immobile oggetto di compravendita, bensì "l'aumento di SLP per costruzione box, locale magazzino, tettoia e formazione nuovi terrazzi". Nonostante ciò, si deve rilevare che, in ossequio alla necessità prospettata dalle Sezioni Unite di svolgere un esame sulla tenuta del contratto di carattere formale e non sostanziale, l'atto è salvato dalla sola menzione degli estremi del titolo in virtù del quale è sorta la costruzione o, come nel caso di specie, dalla dichiarazione di esercizio dello ius ad aedificandum ante al 1967; e tutto ciò è ampiamente desumibile anche dalla lettura del dettato normativo dell'art. 40 comma 2 L. n. 47 del 1985 in combinato disposto con l'art. 46 D.P.R. n. 380 del 2001. Pertanto, non rileva in alcun modo l'estraneità rispetto all'oggetto del contratto, della dichiarazione relativa alla sanatoria, né rilevano le modifiche successive apportate all'immobile (anche se irregolari), la cui conformità al titolo edilizio e alle norme urbanistiche non può essere fatta rientrare nell'analisi concernente la sfera civilistica, rientrando eventualmente in valutazioni sostanziali e sanzionatorie di ambito amministrativo o penale. Ciò che conta ai fini di escludere la nullità del contratto è che la dichiarazione urbanistica, oltre a rispettare i requisiti formali dell'atto, sia veritiera, non mendace. Nel caso di specie, come dimostrato dai documenti prodotti e dalle CTU svolte, essa è reale e pacificamente riferibile all'immobile che è stato costruito prima del1967, pertanto, alcun mendacio può essere ritenuto sussistente, al contrario delle prospettazioni di parte appellante non supportate da adeguato materiale probatorio. Condividendo la motivazione del giudice di prime cure e l'impostazione formalistica scaturente dalla sentenza delle Sezioni Unite sul tema, la Corte ritiene assolto da parte del venditore l'onere dichiarativo previsto dagli articoli 40 L. n. 74 del 1985 e 46 D.P.R. n. 380 del 2001 non potendosi, dunque, dichiarare la nullità del contratto ex art. 1418 c.c., la quale non può in alcun modo derivare da ulteriori non conformità sostanziali, che esulano totalmente dalla causa della compravendita di rilievo in questa sede. Con la seconda doglianza l'appellante censura la sentenza del Tribunale, laddove, ha respinto la sua domanda di annullamento ex art. 1442 c.c. del contratto di compravendita del 13.10.2006, avendo ritenuto l'azione prescritta, errando in riferimento al dies a quo da cui far decorrere il termine in questione. Secondo il (...), infatti, la sua piena e certa conoscenza dell'abuso edilizio, ad opera del venditore riguardante l'immobile compravenduto, sarebbe avvenuta solo nel 2016, ossia quando il proprio tecnico di fiducia lo rilevava esaminando gli atti depositati in Comune, con successiva conferma della CTU svolta dal Tribunale; solo da tale momento, dunque, è iniziato a decorrere il dies a quo, risultando così l'azione non prescritta, contrariamente a quanto affermato dal giudice di prime cure. Quest'ultimo, infatti, avrebbe errato in primo luogo, nel ritenere presuntivamente che il deposito nel luglio 2009 della DIA, riguardante i lavori di ristrutturazione dell'immobile eseguiti nel 2007 dall'appellante, fosse una circostanza di per sé sufficiente ad integrare la conoscenza del dolo del venditore al fine di determinare il dies a quo da cui far decorrere il termine di prescrizione previsto dall'art. 1442 c.c. In secondo luogo, il giudice sarebbe incorso anche nell'errore di presumere che, nel momento del deposito della DIA, il (...) avesse avuto l'accesso agli atti, dalla visione dei quali avrebbe conseguentemente desunto l'esistenza di un abuso viziante l'immobile da lui acquistato. Con riferimento a questi due errori del Tribunale, il (...) lamenta in sostanza una valutazione svolta solo in termini probabilistici e presuntivi del momento in cui sarebbe intervenuta la sua conoscenza del dolo del venditore quando, al contrario, sarebbe necessaria una assoluta certezza con riguardo al ravvedimento del contraente pregiudicato, la cui conoscenza deve essere effettiva e compiuta. Anche questo secondo motivo non può essere accolto. Come anche affermato dal giudice di prime cure, alcun annullamento del contratto di compravendita del 13.10.2006 può essere dichiarato per decorso del termine di prescrizione ex art. 1442 c.c.. Il termine previsto dalla norma è di 5 anni e, nel caso di specie, esso deve decorrere a partire dall'effettiva percezione dell'appellante dei mezzi fraudolenti utilizzati dal (...) al fine di carpirne il consenso. Ebbene, tale conoscenza è da rinvenirsi nel periodo intercorso tra l'inizio del 2007, anno di inizio dei lavori di ristrutturazione del (...) del proprio immobile, ed il 13 luglio 2009, ossia la data di presentazione della DIA all'ufficio competente. Per mezzo di quest'ultima l'appellante specificava che i lavori di ristrutturazione da lui eseguiti non avevano per oggetto parti sulle quali era intervenuto il condono dichiarato nel contratto di compravendita. Da ciò si desume la piena consapevolezza da parte del (...) dell'assoluta inconferenza della sanatoria in questione relativamente all'oggetto della compravendita, con conseguente possibilità di intravedere una condotta dolosa del (...) che, stando alla ricostruzione proposta da parte appellante, avrebbe dato consapevolmente rilievo proprio al condono, nonostante, la sua inconferenza, al fine di dare al compratore uno stimolo in più a concludere il contratto. Inoltre, nell'eseguire siffatti lavori di ristrutturazione e nella necessaria presentazione della DIA all'ufficio competente, non si può che assumere un avvenuto accesso agli atti da parte del (...) che l'ha, dunque, inevitabilmente posto a conoscenza dell'irrilevanza della sanatoria indicata nel contratto di compravendita dal (...); e ciò non può che rafforzare ragionevolmente la certezza che già da tale momento parte appellante fosse consapevole del dolo di controparte. Al di là di ciò, l'inequivocabile dato di fatto è la menzionata dichiarazione effettuata nella DIA dall'appellante, dalla quale emerge con chiarezza la sua conoscenza almeno dal 2009 della asserita condotta fraudolenta tenuta dall'appellato. Nonostante, la siffatta avvenuta percezione, tuttavia, il (...) non ha richiesto tempestivamente l'annullamento del contratto, lasciando decorrere il termine quinquennale di prescrizione e sollecitando un intervento giudiziale solo nel 2017. Pertanto, alcun annullamento del contratto può essere pronunciato, a conferma di quanto dichiarato dal primo giudice. Con la terza doglianza l'appellante lamenta una errata/omessa interpretazione e applicazione delle norme relative ai presupposti necessari per la risoluzione del contratto da parte del giudice di primo grado, in particolare con riguardo al requisito della gravità dell'inadempimento e della lesione dell'interesse del creditore. Il (...) sostiene che il Tribunale ha erroneamente considerato minimo l'abuso concernente l'antibagno rispetto all'intera superficie dell'immobile, in virtù del fatto che le somme necessarie per il ripristino della situazione ex ante e la creazione di un nuovo bagno sono esigue, secondo il calcolo operato dal CTU. Al contrario, parte appellante deduce che, posta l'insanabilità dell'abuso, il ripristino del volume della latrina comporta una riduzione della superficie dell'unità immobiliare e un'importante riduzione del valore commerciale stesso. Pertanto, censura la sentenza del Tribunale per aver ritenuto l'inadempimento di scarsa importanza, non valutando correttamente secondo indici oggettivi e soggettivi l'effettiva lesione dell'interesse creditorio, alla quale non potrebbe che ricondursi una chiara gravità nell'inadempimento del (...), con conseguente risoluzione del contratto. Anche tale censura deve essere respinta. Il Tribunale, infatti, ha correttamente applicato i principi giuridici che regolano la fattispecie. Occorre, in primo luogo rilevare che la difformità edilizia da rispristinare non configura un vizio della cosa non vertendosi in tema di anomalie strutturali del bene e, quindi, trova applicazione l'art. 1489 c.c. in materia di oneri e diritti altrui gravanti sulla cosa compravenduta. In secondo luogo, Il peso cioè l'abuso realizzato consiste nella "trasformazione del corridoio volume in ampliamento del vano latrina che configura un aumento di SLP", producendo così una fusione tra il vano del bagno e l'unità abitativa. Nonostante, siffatta trasformazione abusiva sia imputabile direttamente al venditore per le ragioni che verranno esposte con riferimento al primo motivo dell'appello incidentale, si deve rilevare non solo l'esiguità della superficie di tale abuso (1,69 mq) rispetto a quella totale dell'immobile, ma anche l'esiguità delle somme necessarie per opere di ripristino, quantificate dalla stessa CTU per un totale di Euro16.000,00. Non solo, l'immobile è stato venduto a corpo e non a misura come riportato nel rogito, l'appellante non ha dimostrato l'asserita riduzione del valore commerciale rispetto al prezzo di vendita, né è stata data prova dell'alterazione del sinallagma contrattuale alla luce delle intese economiche pattuite tra le parti. In virtù di queste considerazioni, la lesione dell'interesse del creditore non risulta essere particolarmente grave ed irrimediabile e, comunque, non pare idonea a determinare la risoluzione del contratto di compravendita per grave inadempimento del (...) o, più correttamente, ex art. 1489 c.c. Pertanto, come anche rilevato dal Tribunale, un siffatto abuso può essere compensato soddisfacentemente per mezzo del solo risarcimento del danno, così come liquidato in sede di primo giudizio. Con la quarta doglianza l'appellante lamenta una errata e insufficiente quantificazione dei danni indiretti e mediati da lui sofferti come effetto dell'inadempimento, in particolare, con riguardo ad un'omessa quantificazione del danno relativo alla riduzione di valore commerciale dell'immobile. Il Tribunale avrebbe dunque errato, pur elencando le varie opere necessarie per il ripristino dello stato dei luoghi, nel non considerare, nell'effettuare la quantificazione del danno, la notevole diminuzione di superficie dell'unità immobiliare, la quale inevitabilmente ridurrebbe anche il valore commerciale dell'immobile. Tale ultima censura di parte appellante non merita di essere accolta. Nel quantificare il danno derivante da un inadempimento, come ben motivato dal giudice di prime cure, si deve avere riguardo alla condotta del debitore, in questo caso del (...), considerando tutto quanto sia da reputarsi un effetto normale e ordinario riconducibile alla condotta inadempiente. Dal danno risarcibile devono essere esclusi tutti gli eventi eccezionali, ricomprendendo tuttavia anche i danni indiretti e mediati che siano effetto normale proprio dell'inadempimento in questione. Pertanto, anche alla luce dei calcoli svolti dalla CTU Marzano, tenendo conto di tutte le voci necessarie ad integrare la quantificazione del danno suddetto, è da ritenersi dovuto solo quanto effettivamente necessario al fine di ripristinare lo status quo di ante, per mezzo di una demolizione del bagno e della parete lato corte. E tale quantificazione è stata effettuata in modo corretto dal Tribunale, in accordo con la richiamata CTU, valutando Euro 10.000,00 per i lavori di demolizione e ripristino ed Euro 4.000,00 quali costi necessari di sanatoria amministrativa, per un totale complessivo di Euro 14.000,00 a titolo di risarcimento del danno. Passando ora a trattare l'appello incidentale proposto dal (...), la Corte ritiene di confermare la sentenza del Tribunale, con conseguente rigetto integrale dei motivi avanzati dall'appellato. Con la sua prima doglianza il (...) censura l'erronea interpretazione del Tribunale ex art. 116 c.p.c. delle risultanze istruttorie testimoniali e documentali in riferimento all'art. 1480 c.c., anche per omessa valutazione, lamentando un difetto di motivazione e la violazione dell'art. 132 co 4 c.p.c.. Il giudice di prime cure, infatti, ha ritenuto non ascrivibile alla condotta dell'appellante la realizzazione dell'abuso edilizio di cui si discute per difetto di prova, attribuendone invece la responsabilità al venditore, laddove, al contrario il (...) sostiene di aver soddisfatto pienamente l'onere probatorio su di lui gravante ex art. 2697 c.c., tenuto conto delle risultanze istruttorie del giudizio. Nello specifico, lamenta l'errata valutazione e considerazione da parte del Tribunale delle dichiarazioni rese dai testi (...), R.D. e (...). Dal complesso di tali testimonianze emerge sia la conformità edilizia del bene ceduto, sia il fatto che il compratore fosse assolutamente a conoscenza dello stato di fatto e di diritto dell'immobile sia la circostanza che il (...) stesso sia stato l'autore di siffatte difformità e, pertanto, alcuna responsabilità in merito all'abuso edilizio concernente il vano antibagno sarebbe imputabile al (...). Solo in sede di comparsa conclusionale viene, poi, censurata per vizio logico, anche la valutazione della testimonianza resa dal teste citato dall'appellante, (...), che dichiarato "di aver realizzato sul lato nord del bagno una finestra in vetro cemento" così implicitamente affermando che il muro di tamponamento di chiusura fosse già stato eretto perché appare ininfluente, oltre che contraddittoria nel suo contenuto non avendo il predetto saputo collocare temporalmente il suo accesso all'immobile. Tale censura deve essere respinta. Preliminarmente, è da rilevarsi che quanto emerge dalla rappresentazione grafica della planimetria allegata al rogito confligge apertamente con quanto affermato dal (...). Infatti, la planimetria contenuta nel contratto di compravendita rappresenta lo stato dei luoghi promesso nell'atto in questione dal venditore ed essa è conforme e corrisponde a quanto rilevato dalla CTU (...) con riferimento alle irregolarità urbanistiche qui oggetto di discussione. La raffigurazione planimetrica, con riguardo alla quale non si rinvengono particolari imposizioni nei confronti del venditore da parte del (...), prevede chiaramente l'antibagno e la finestra sul cortile comune e funge da garanzia su quello che era lo stato di fatto al momento della compravendita, non essendo ipotizzabile che le parti volessero rappresentare quello che sarebbe stato il futuro stato di fatto. In presenza, dunque, dell'abuso edilizio in questione, il quale per l'appunto già esisteva per mezzo di inequivocabile indicazione nella planimetria del contratto, la responsabilità è da attribuirsi esclusivamente al venditore, non essendo ascrivibile al (...). La Corte, confermando quanto accertato dal Tribunale, rileva con riguardo a ciò un evidente difetto di prova in capo al venditore al fine di dimostrare il contrario, ossia la commissione dell'abuso da parte del (...), a maggior ragione considerando che le testimonianze valorizzate dal (...) non risultano convincenti. La testimonianza offerta dal (...), infatti, contrasta completamente con quanto raffigurato sulla planimetria e perde ulteriormente di valore e attendibilità se si considera che egli è genero del (...), pertanto, non può essere considerato un teste pienamente affidabile. Anche le altre dichiarazioni testimoniali appaiono piuttosto inconferenti ed evidenziano, a contrario, la mancanza di prove sufficientemente solide da parte dell'appellato atte a dimostrare l'imputabilità dell'abuso esclusivamente al (...), con conseguente esonero di responsabilità del venditore. Per le suesposte ragioni alcun errore può essere rinvenuto nella motivazione del Tribunale che ha conferito il giusto e adeguato valore alle risultanze istruttorie, ponendo in risalto in particolare la raffigurazione grafica che già nel contratto di compravendita del 2006 dava atto della realizzazione dell'abuso edilizio di cui si discute. Con la seconda doglianza il (...) lamenta" un'erronea interpretazione ex art. 116 c.p.c. da parte del Tribunale delle risultanze istruttorie documentali, nonché, un'errata interpretazione normativa degli art. 900, 905, 1102 c.c. con conseguente difetto di motivazione e violazione dell'art. 132 comma 4 c.p.c." per non avere il Tribunale accolto la sua domanda riconvenzionale di condanna dello (...) al pagamento dell'importo di Euro 10.000,00, calcolato in via equitativa, a titolo di indennizzo per la costituzione indebita di servitù conseguente all'apertura di una finestra abusiva, affacciantesi sulla corte di sua proprietà esclusiva e per la violazione delle distanze legali e di veduta. Ovvero al pagamento di Euro 3.917,86 quale costo stimato per la sua demolizione secondo il computo di cui all'(...), nel caso in cui lo (...) avesse ripristinato lo status quo. Secondo l'appellato, tale finestra sarebbe stata costruita abusivamente dal (...), senza alcuna autorizzazione del (...), costituendo così una servitù indebita, violando altresì le distanze legali e di veduta. Elemento decisivo per l'accoglimento della propria domanda sarebbe, a detta dell'appellato, il fatto che il cortile sul quale si affaccia la finestra non è comune, bensì di sua proprietà esclusiva. Non potrebbe, dunque, trovare applicazione l'art. 1102 c.c., non vertendosi in un'ipotesi di condominio, e per di più tale finestra non autorizzata dal (...) violerebbe le distanze legali ex art. 905 c.c., costituendo così anche una violazione del pieno godimento della proprietà dell'appellato. Anche tale seconda censura non può essere accolta. La Corte, condividendo tutto quanto affermato sul punto dal Tribunale, ritiene innanzitutto che l'apertura della finestra in questione non pregiudichi in alcun modo i diritti degli altri proprietari, consentendo ad essi di continuare a goderne e farne uso liberamente, e non alteri neppure la destinazione del cortile comune. Oltre a ciò, elemento dirimente al fine di negare il pagamento di qualsiasi somma in favore dell'appellato a causa della costruzione della finestra in discorso risulta essere la non esclusività della proprietà del cortile da parte del (...). Cortile che, contrariamente a quanto da quest'ultimo sostenuto, si trova in un rapporto di accessorietà con l'immobile di proprietà del (...) e quelli di proprietà del (...) e, soprattutto, è comune tra loro. Risulta pacifico, infatti, che nel contratto di compravendita sia il venditore stesso a definire il cortile quale "comune" (doc. 1, pag. 1, fascicolo primo grado appellante). Non residua pertanto alcun dubbio in merito alla comunanza della corte, la quale era anche già specificata per di più nell'atto di divisione (doc. 3 fascicolo primo grado appellante), e dunque alcuna violazione della proprietà del (...) può essere dichiarata né la necessità di una sua autorizzazione preventiva può da lui essere pretesa. Qualsiasi altro abuso di carattere urbanistico ed edificatorio commesso nella costruzione della finestra da parte del (...) rileva al più soltanto in sede amministrativa e penale, ma non giustifica in questa sede una condanna al pagamento di somme a titolo di indennizzo o di costo di demolizione a carico dell'appellante in favore dell'appellato. Sulla base delle considerazioni tutte sopra espresse, deve trovare piena conferma la decisione del Tribunale con conseguente rigetto sia dell'appello principale che di quello incidentale. Quanto alle spese di lite del grado, in applicazione del principio della soccombenza e della causalità, essendovi stata reciproca soccombenza possono essere parzialmente compensate tra le parti nella misura del 50%, dovendosi porre il restante 50%, comunque, a carico dell'appellato siccome maggiormente soccombente. La liquidazione viene fatta in dispositivo ex D.M. n. 147 del 2022, tenuto conto dell'attività difensiva svolta e della non particolare difficoltà delle questioni trattate applicando i parametri medi previsti per le cause di valore compreso nello scaglione compreso da Euro 52.001,00 a Euro 260.000,00 per le sole fasi studio, introduttiva e decisionale, non essendovi stata quella istruttoria. Segue, inoltre, la declaratoria della sussistenza dei presupposti per il versamento di ciascuna parte dell'ulteriore importo pari al contributo unificato, ex art. 13 comma 1 quater D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 così come modificato, trattandosi di controversia promossa dopo l'entrata in vigore (il 31.01.2013) della modifica introdotta con l'art. 1 comma 17, L. n. 228 del 2012. P.Q.M. La Corte d'Appello di Milano definitivamente pronunciando sull'appello principale proposto da (...) e sull'appello incidentale proposto da (...) avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 6490/2020 pubblicata in data 19.10.2020 così provvede: -1) rigetta sia l'appello principale che quello incidentale con conseguente conferma della sentenza impugnata; -2) condanna (...) alla refusione del 50% delle spese di lite del grado in favore di (...), liquidate già in tale misura in: Euro1.488,50 per la fase studio, Euro955,50 per la fase introduttiva, Euro2.551,50 per la fase decisionale oltre iva, cpa e rimborso forfetario spese generali al 15%, compensando tra le parti il residuo 50%; -3) dà atto che sussistono i presupposti di legge per il versamento a carico di ciascuna parte, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello versato; -4) rigetta ogni altra domanda o istanza. Così deciso in Milano l'1 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 23 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BENEVENTO Il Giudice dott. Rocco Abbondandolo, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 4595 del 2016 reg, gen. affari civili contenziosi Vertente tra (...) C.F.:(...) nato a G. (A.) il (...), rappresentato e difeso dall'Avv. (...) C.F. congiuntamente e disgiuntamente all'Avv. (...) (...), ed elettivamente domiciliati presso il loro studio sito in Ariano Irpino (AV), alla giusta procura ad litem in atti. - attore E (...) rappresentato e difeso (...) dall'Avv. (...) unitamente e disgiuntamente all'Avv. (...) elettivamente domiciliato presso il loro studio in Grottaminarda (AV) al C.so (...) giusta procura ad litem in atti. - convenuto Avente ad Oggetto: actio negatoria servitutis MOTIVI DELLA DECISIONE L'azione diretta al rispetto delle distanze legali è modellata sullo schema dell'"actio negatoria servitutis", essendo rivolta non già all'accertamento del diritto di proprietà dell'attore, bensì a respingere l'imposizione di limitazioni a carico della proprietà, suscettibili di dar luogo a servitù; essa, pertanto, non esige la rigorosa dimostrazione della proprietà dell'immobile a cui favore l'azione viene esperita, essendo sufficiente che l'attore dimostri con qualsiasi mezzo, incluse le presunzioni, di possedere il fondo in base ad un valido titolo di acquisto. Al convenuto incombe, invece, l'onere di provare l'esistenza di un diritto a lui spettante, in virtù di un rapporto di natura obbligatoria o reale, di compiere l'attività lamentata come lesiva dall'attore (Cass. nn. 2838/1999, 13212/2013). In materia di luci e vedute infatti, la titolarità del diritto reale di veduta costituisce una condizione dell'azione al fine di esigere l'osservanza, ad opera del vicino, delle distanze di cui all'art. 907 c.c., sicché la parte convenuta per l'eliminazione di vedute poste a distanza inferiore a quella prescritta dall'art. 905 c.c., ha l'onere, ove affermi il proprio diritto a mantenerle, di provare l'avvenuto acquisto, a titolo negoziale od originario, della relativa servitù, non rilevando la mera preesistenza, di fatto, di tali aperture, il cui possesso, di risalenza anche ultraventennale, non ne implica necessariamente l'appartenenza originaria a detto convenuto. (Cass. civ. Sez. Il Sent., 12/12/2016, n. 25342). Tanto premesso e partendo dalle opere insistenti sul fabbricato(...) che l'attore assume essere lesive del proprio diritto di proprietà, perché idonee a realizzare servitù di veduta dirette sul proprio fondo limitative del diritto dominicale pro quota acquisito per successione testamentaria di (...) (testamento pubblicato presso Notaio (...) il 1.02.2003 registrato il 7.02.2003), la domanda appare fondata e come tale va accolta. Anzitutto deve dichiararsi la corretta introduzione della domanda da parte (...) nudo proprietario pro quota del fondo e dell'immobile di cui è causa. Il comproprietario infatti può agire a tutela della proprietà comune al fine di far valere l'osservanza delle distanze legali, senza che sia necessario integrare il contraddittorio nei confronti degli altri comproprietari (Cass. civ. Sez. VI - 2 Ord., 23/06/2020, n. 12325). Tanto premesso, è risultato accertato che sia il balcone al primo piano che quello al secondo piano dell'edificio (...) sono stati realizzati in violazione delle distanze legali prescritte dalla legge. Il CTU geom. (...) ha infatti rilevato che il balcone al primo piano è posizionato a cm 8o dal confine con la proprietà (...)e quindi in violazione delle distanze legali. Per quanto concerne l'altra veduta, il CTU ha rilevato che "sul terrazzino al piano secondo posto al confine con la proprietà (...) è stata realizzata una intelaiatura in alluminio preverniciato con vetro opaco che prosegue ad angolo retto sullo sbalzo per 75 cm eliminando di fatto la servitù di veduta verso il fondo dominante"; per cui l'indagine dovrà concentrarsi solo sulla prima delle due opere indicate dovendosi per questa seconda veduta, come richiesto dalle parti, dichiararsi cessata la materia del contendere. Il (...) non ha fornito la prova dell'acquisto della relativa servitù di veduta, né a titolo originario né a titolo negoziale, essendo emerso piuttosto che già nel 1975 veniva contestata dal dante causa dell'odierno attore l'apertura di tale veduta perché realizzata in violazione delle distanze legali prescritte dalla legge. La scrittura privata innanzi richiamata lungi dall'imporre degli obblighi giuridicamente vincolanti in capo all'odierno convenuto, dimostra però che quando venne realizzata l'apertura, per ammissione di parte convenuta nel 1974 e quindi solo in un momento successivo alla costruzione del fabbricato, realizzato in data anteriore al 01.09.1967, fu contestata perché realizzata in violazione delle distanze di legge. A nulla rileva la circostanza che il fabbricato (...) sia stato costruito in epoca successiva a quella di proprietà del convenuto in virtù del principio di diritto sopra richiamato, dovendo piuttosto questi dimostrare il titolo di acquisto di tale servitù di veduta. E nel caso di specie (...) non ha fornito la prova di un valido rapporto di natura obbligatoria o reale in virtù del quale avrebbe potuto esercitare l'attività di veduta lamentata come lesiva dall'attore. Ne deriva pertanto che l'actio negatoria servitutis vada accolta e con essa anche la domanda di riduzione in pristino con condanna del (...) al ripristino dello stato dei luoghi ed alla cessazione di ogni turbativa, con i rimedi indicati dal CTL). Va invece rigettata la domanda risarcitoria, non essendo stata fornita la prova e, prima ancora, l'allegazione del presumibile danno derivato dalla condotta altrui. Passando all'esame della domanda riconvenzionale spiegata dal(...)ed avente in parte contenuto analogo e speculare alla domanda principale promossa dall'attore essa è diretta, oltre al l'accertamento della violazione delle distanze legali de? balconi e di altri manufatti anche ad ottenerne la demolizione e la riduzione in pristino, deve osservarsi quanto segue. In via preliminare va rigettata l'eccezione di prescrizione sollevata poteri inerenti al diritto di proprietà, tra i quali rientra quello di esigere il rispetto delle distanze, non si estinguono per il decorso del tempo, salvi gli effetti dell'usucapione del diritto a mantenere la costruzione a distanza inferiore a quella legale. Ne deriva che l'azione per ottenere il rispetto delle distanze legali è imprescrittibile, trattandosi di azione reale modellata sullo schema dell'actio negatoria servitutis, rivolta non ad accertare il diritto di proprietà dell'attore, bensì a respingere l'imposizione di limitazioni a carico della proprietà suscettibili di dar luogo a servitù (Cass. n. 871/2012; Cass. n. 19289/2009). Quanto al merito della domanda, il CTU ha accertato che entrambi i balconi dell'immobile(...)sono ubicati a distanza illegale a cm. 40 dal confine con la ex proprietà(...) (attuale ha eccepito la "prescrizione acquisitiva", id est usucapione, ma la domanda non può trovare accoglimento per le ragioni che seguono. É preciso onere di chi intende far valere la fattispecie acquisitiva originaria dimostrarla, non potendo detto onere ritenersi assolto attraverso il ricorso a semplici deduzioni, supposizioni o presunzioni. E nel caso di specie, l'attore - convenuto in riconvenzionale non ha fornito la prova rigorosa dell'esistenza dei balconi per il periodo necessario all'usucapione della servitù di veduta, non ha dimostrato e neppure dedotto l'inizio del possesso della servitù di veduta, anche mediante accessione del possesso proprio a quello del proprio dante causa, dell'esercizio dello stesso e del decorso del tempo idoneo ad usucapirlo. Va pertanto accolta la domanda di (...) e va condannato l'attore al ripristino della situazione legale, con i rimedi indicati dal geom. (...) nella CTU. Quanto ai due manufatti insistenti nella proprietà che il(...) con venuto-attore in riconvenzionale lamenta essere stati realizzati in violazione dell'art. 873 c.c., il CTU ha rilevato che: "Uno è adibito a deposito legna ed è stato realizzato con struttura in legno e copertura in lamiera di ferro zincato avente dimensioni 3.60 x 2.10 ed altezza media pari a mt. 1,70, detto manufatto è ubicato a ridosso del muro di proprietà (...). Per detto immobile presso l'UTC del Comune di Grottaminarda non risulta nessuna autorizzazione edilizia e non è stato possibile risalire alla data di realizzazione. Sempre nel giardino (...) esiste un altro manufatto costituito dalla sola struttura con modesti profilati in ferro e privo di copertura, lo stesso ha dimensioni mt. 3,12 x 3,14 ed altezza media mt. 2,70 ed è ubicato a ridosso del muretto di recinzione tra le due proprietà ed il muro di sostegno a valle. Anche per quest' opera presso I' UTC del Comune di Grottaminarda non è stato rinvenuto alcun titolo edilizio e non è stato possibile risalire all' epoca della sua realizzazione". Alla luce di quanto innanzi rilevato e delle foto allegate alla consulenza riproducenti lo stato dei luoghi, deve ritenersi integrata la nozione di "costruzione" di cui al l'art. 873 c.c. che, nell'interpretazione che ne fornisce la Corte di Cassazione, comprende qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal materiale impiegato per la sua realizzazione (ex multis, Cass. civ. Sez. II Sent., 19/10/2009, n. 22127, nella specie, ha ritenuto che integrasse la nozione di costruzione ai predetti fini, una baracca di zinco costituita solo da pilastri sorreggenti lamiere, priva di mura perimetrali ma dotata di copertura). E tenuto conto che il CTU ha rilevato ed accertato che tali corpi di fabbrica sono posizionati in violazione delle distanze di legge se ne deve ordinare la demolizione. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale di Benevento definitivamente pronunciando sulla domanda promossa da (...) nei di (...) ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattese così provvede: accoglie la domanda principale, dichiara inesistente la servitù di veduta dal balcone posto al primo piano del fabbricato di (...) a carico del fondo (...) ed ordina a di cessare ogni turbativa e di ripristinare la situazione legale con i rimedi indicati dal CTU geom. (...) accoglie la domanda riconvenzionale, dichiara che i balconi del fabbricato (...) e i due manufatti insistenti sul fondo violano le distanze legali e per l'effetto ordina ad (...) di cessare ogni turbativa e di ripristinare la situazione legale con i rimedi indicati dal CTU geom. (...) compensa integralmente le spese di lite. Così deciso in Benevento, il 24 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 1 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8075 del 2010, proposto dai signori Vi. Gr. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Si. Bo. e An. Ia., elettivamente domiciliati presso lo studio Re. e Associati in Roma alla via corso (...); contro - la Regione Lazio, in persona del Presidente in carica pro tempore, non costituitosi in giudizio; - il Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Ci., elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via di (...); nei confronti della Società Re. il Ca. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituitasi in giudizio; per la riforma della sentenza del T.a.r. per il Lazio, Sezione II bis, n. 7370 del 22 luglio 2009, resa inter partes, concernente l'annullamento di un piano integrato d'intervento per la riqualificazione urbanistica di un'area del centro urbano, nonché la successiva variante in corso d'opera, e la domanda di risarcimento del danno conseguente. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 dicembre 2022 il consigliere Giovanni Sabbato e uditi per le parti gli avvocati An. Ia. e Gi. Ci.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso n. 11684 del 2005, proposto innanzi al T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, i signori Vi. Gr. ed altri avevano chiesto: - l'annullamento dei seguenti atti: a) del Decreto del Presidente della Regione Lazio dell'8 settembre 2005, recante "Adozione e approvazione dell'Accordo di programma ex art. 34 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, relativamente all'intervento denominato "Pi. in. Re. TI Ca. s.r.l. - intervento di riqualificazione urbanistica area centro urbano", in località viale (omissis), in variante allo strumento urbanistico vigente nel Comune di (omissis); b) del provvedimento del Responsabile dell'Area 3^ del Comune di (omissis), prot. 2670/06 dell'8 maggio 2006, con il quale è stata autorizzata la variante in corso d'opera relativamente all'intervento di cui al punto a) (atto impugnato con motivi aggiunti); - il risarcimento del danno patito. 2. A sostegno dell'azione così intrapresa i ricorrenti avevano sollevato, sotto distinti e concorrenti profili, i vizi della violazione di legge e dell'eccesso di potere, lamentando che la società controinteressata avrebbe illegittimamente edificato sul muro di confine ed avrebbe invaso una particella (n. (omissis) del foglio (omissis)) di loro proprietà già dal 1974 così da violare le norme che attengono alla legittimazione al rilascio di titoli edilizi e agli indici di fabbricabilità, trattandosi di un'area già asservita all'immobile denominato Al. La So. di proprietà dei medesimi ricorrenti. 3. Costituitisi al fine di resistere la Regione Lazio, il Comune di (omissis) e la Società Re. il Ca. S.r.l., quest'ultima nella veste di controinteressata, il Tribunale adì to Sezione II bis ha così deciso il gravame al suo esame: - ha respinto le eccezioni di tardività sollevate dalla difesa comunale e dalla controinteressata; - ha respinto il ricorso; - ha compensato le spese di lite. 4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che: - "Nella specie, quindi, l'Amministrazione si è ragionevolmente attenuta alla dichiarazione della società Re. il Ca. s.r.l. relativa alla proprietà dell'area (ivi inclusa la particella in questione), con la connessa documentazione (decreto di trasferimento di immobile del Tribunale Ordinario di Roma - Sezione Fallimentare n. 65894; rogito notaio Sb. rep. 79810/17642)". - i ricorrenti non hanno adeguatamente provato il "possesso attuale" essendosi limitati ad esibire l'ordinanza del 20 marzo 2006 del Tribunale civile di Tivoli - sezione di Palestrina con la quale sono stati sì reintegrati nel possesso della particella in questione ma nell'ambito di un giudizio ancora pendente "volto a definire la questione del cd. "merito possessorio"; - "Né tantomeno i ricorrenti hanno articolato richieste di mezzi probatori da esperire tn questa sede per l'accertamento, pur in via incidentale, di questa situazione possessoria"; - "Per la medesima ragione va disattesa la censura sulla violazione delle distanze, di cui al punto 2, lettera c), formulata sul presupposto che l'ubicazione del confine medesimo vada individuata tenendo presente la postulata appartenenza della particella controversa agli odierni ricorrenti"; - "Deve infine essere disattesa anche la censura di cui al punto 2, lettera d), in quanto la partecipazione degli interessati alla procedura di variante in corso d'opera non avrebbe apportato alcuna supplementare utilità agli stessi, avuto riguardo alla natura delle illegittimità prospettate, nonché, in particolare, al fatto che comunque il Comune di (omissis) aveva dato riscontro in data 19 dicembre all'esposto dei ricorrenti 2005, confermando la propria valutazione documentale circa la proprietà della particella in questione". 5. Avverso tale pronuncia i signori Vi. Gr. ed altri hanno interposto appello, notificato il 6 settembre 2010 e depositato il 29 settembre 2010, lamentando, attraverso quattro motivi di gravame (pagine 10-41) coi quali si ripropongono criticamente le censure di primo grado siccome ritenute non adeguatamente vagliate, quanto di seguito sintetizzato: I) avrebbe errato il Tribunale nel non aver considerato che il Comune doveva procedere quantomeno ad una nuova e più approfondita istruttoria circa la situazione proprietaria del richiedente il titolo edilizio così potendo accertare che una parte del terreno non è di sua proprietà come richiesto dall'art. 11 comma 1 del T.u. n. 380/2001, tanto più che gli stessi appellanti, già con lettera raccomandata del 26 luglio 2005, chiedevano di accedere agli atti amministrativi relativi alle opere edilizie avviate dalla Re. il Ca. e, dopo aver notificato a questa un atto di diffida, attivavano un giudizio possessorio innanzi al Tribunale civile di Tivoli che sfociava in un'ordinanza cautelare di accoglimento cosicché venivano reintegrati nel possesso del terreno; II) contrariamente a quanto sostenuto dal T.a.r., la cognizione incidentale rileva solo "ai limitati fini della soluzione della vertenza ad essa demandata in via principale...", ma non può "sconfinare nella tutela dei diritti riservati all'A.G.O." cosicché non può estendersi alla sostanza del rapporto e non è soggetta agli oneri probatori della cognizione piena propria del giudizio civile; la documentazione agli atti di causa sarebbe tale da dimostrare la spettanza del diritto in capo agli appellanti, avuto riguardo sia al fatto che sino ad oggi non risulta alcuna trascrizione contro gli appellanti sia al possesso attuale ripristinato per effetto della su citata ordinanza cautelare del giudice civile che, se ritenuta non decisiva, giustifica la richiesta di sospensione del presente giudizio d'appello in attesa della definizione del giudizio possessorio; contrariamente a quanto opinato dal giudice di prime cure, i provvedimenti impugnati in primo grado devono considerarsi illegittimi in quanto, una volta espunta l'area in contestazione (peraltro non in grado di generare volumetria essendo asservita al manufatto degli appellanti come giardino), consentono la realizzazione di un volume complessivo maggiore rispetto a quello consentito per legge; III) il Tribunale non avrebbe esaminato le censure afferenti alla denunciata violazione della disciplina sulle distanze ed in materia di luci e vedute; IV) il Tribunale non avrebbe considerato la necessità che la variante fosse preceduta dalla comunicazione dell'avviso di avvio procedimentale avendo gli appellanti evidenziato la loro qualità di proprietari della particella in questione assumendo così la veste di controinteressati e comunque non sarebbe rilevante la risposta fornita al citato esposto dal Comune, che per giunta non avrebbe sanzionato la esecuzione delle opere edilizie in progetto prima ancora della loro formale autorizzazione; V) si reitera, infine, l'istanza di risarcimento del danno (da quantificare in corso di causa) già proposta in prime cure. 6. L'appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell'impugnata sentenza, l'accoglimento del ricorso di primo grado e quindi l'annullamento degli atti con lo stesso impugnati. 7. In data 9 gennaio 2014, il Comune di (omissis) si è costituito con memoria, chiedendo il rigetto del ricorso. 8. In data 6 luglio 2020, parte appellante ha depositato memoria di replica evidenziando la tempestività del ricorso in appello. 9. In data 6 luglio 2020, parte appellante ha depositato note d'udienza chiedendo il passaggio in decisione allo stato degli atti ai sensi dell'art. 4 del d.l. n. 28/20. 10. In data 8 luglio 2020, parte appellata ha depositato memoria di replica con richiesta di discussione in pubblica udienza. 11. Con ordinanza n. 5179 del 24 agosto 2020 il Collegio ha disposto l'acquisizione di "dettagliata e documentata relazione dell'Ufficio tecnico del Comune di (omissis) in ordine ai seguenti profili della vicenda di causa: - l'esatta successione dei titoli edilizi (d.i.a., permessi di costruire e quant'altro) richiesti, rilasciati e comunque conseguiti in ordine all'intervento edilizio per cui è causa, allegandone copia; - tempi e modalità di ripristino del possesso dell'area in contestazione in favore degli odierni appellanti; - l'incidenza dell'area in contestazione ai fini del computo della volumetria realizzabile e se essa, al momento del rilascio dei titoli edilizi impugnati in prime cure, era asservita al manufatto degli odierni appellanti". 12. Con ordinanza n. 8192 del 21 dicembre 2020, il Collegio ha disposto il rinvio della trattazione della causa all'udienza del 2 febbraio 2021 al fine di consentire il completamento dell'attività istruttoria. 13. Con ordinanza n. 2552 del 26 marzo 2021 il Collegio, ha ritenuto "opportuno disporre un ulteriore approfondimento istruttorio mediante verificazione tecnica al fine di rispondere ai quesiti di cui all'ordinanza del 24 agosto 2020" dando mandato al Direttore regionale per le politiche abitative e la pianificazione territoriale, paesistica e urbanistica del Genio Civile di Roma Città Metropolitana, con facoltà di delegare un funzionario del medesimo Ufficio in possesso delle necessarie competenze tecniche. 14. In data 20 giugno 2022 l'Arch. Al. Sa., all'uopo nominato quale verificatore secondo le modalità stabilite con la precedente ordinanza, ha depositato agli atti del giudizio la relazione di verificazione alla quale ha fatto seguito lo scambio di memorie delle parti contrapposte. 15. Con ordinanza n. 7160 del 17 agosto 2022 il Collegio, dopo avere concesso al verificatore Arch. Sa. (con le ordinanze n. 1362 del 28 febbraio 2022 e n. 4762 del 7 giugno 2022) la proroga dei termini per il deposito della relazione di verificazione per la necessità, rappresentata dal verificatore, di provvedere ad un ulteriore acquisizione documentale, ha richiesto al medesimo tecnico il deposito di una relazione di chiarimenti. 15.1 In particolare, il Collegio ha disposto quanto segue: "Vista la relazione di verificazione ed il tenore delle risposte ai quesiti forniti con l'ordinanza n. 5179/2020; Preso atto dei seguenti stralci della relazione di verificazione, ove sono compendiate le risposte ai quesiti posti dal Collegio: - in ordine al quesito n. 1, il verificatore ha testualmente rilevato che: "... il titolo edilizio che ha permesso l'esecuzione del progetto in variante non è mai stato rilasciato né formato ai sensi del citato comma 4 art. 34 D.Lgs. 267/2000"; "La società il Ca. poteva certamente provvedere alla demolizione del fabbricato in forza della D.I.A. prot. n. 2575 del 21.05.2004 ma non provvedere alla successiva realizzazione in quanto ne avrebbe avuto la possibilità solo dopo la pubblicazione sul B.U.R. del decreto; avvenuta il 30 settembre del 2005. Invero, attraverso l'acquisizione di foto aeree necessarie al sottoscritto a comprendere, tra l'altro, l'evoluzione storica degli edifici oggetto dei su indicati titoli edilizi, emerge che la società Il Ca. avrebbe iniziato la "ricostruzione" del progetto di cui all'Accordo di Programma prima che lo stesso assumesse efficacia con la sua pubblicazione sul B.U.R."; "ad aprile 2005 i lavori di costruzione dell'edificio previsto nell'Accordo di Programma erano già iniziati"; - in ordine al quesito n. 2, il verificatore ha testualmente rilevato che "...deve essere riconosciuto il possesso della particella agli odierni appellanti, fatta eccezione per il periodo di spossessamento ottobre 2005 - marzo 2006"; - in ordine al quesito n. 3, il verificatore ha rilevato che "la particella n. (omissis) censita al catasto terreni del Comune di (omissis) al foglio (omissis), peraltro destinata a "verde privato", non produce alcuna incidenza al fine del computo della volumetria assentita con l'accordo di programma, non sussistendo in tale ipotesi una correlazione tra lotti e sviluppo delle relative capacità edificatorie"; Rilevato che, dal tenore complessivo delle risposte ai quesiti, non è dato comprendere con esattezza se l'intervento in questione sia stato assentito ai sensi del comma 4 dell'art. 34 d.lgs. n. 267/2000 ovvero se si ponga soltanto un problema di inizio dei lavori prima del completamento del suo iter formativo; Rilevato altresì che non è dato comprendere come il quesito n. 3 possa essere sciolto alla luce della ridetta previsione di cui all'art. 34 ritenuto invece inapplicabile in risposta al quesito n. 1; Ritenuto che sia necessario acquisire dal verificatore Arch. Sa. i necessari chiarimenti". 16. In data 12 settembre 2022 il verificatore ha depositato agli atti del giudizio la relazione di chiarimenti come richiesto dal Collegio. 17. In prosieguo di giudizio entrambe le parti hanno depositato rispettivi atti difensivi, anche in replica, insistendo per le contrapposte conclusioni. 18. La causa, chiamata per la discussione all'udienza del 6 dicembre 2022, è stata trattenuta in decisione. 19. L'appello è infondato. 19.1 Occorre preliminarmente dar conto dell'esito dell'ulteriore approfondimento istruttorio e delle rispettive difese delle parti. 19.1.1 In ordine al primo dei richiesti chiarimenti, il verificatore si è espresso nei termini che seguono: "l'intervento oggetto dell'accordo di programma è formalmente sprovvisto di titolo edilizio, in quanto questo non è rinvenibile nell'accordo di programma (mancando l'assenso in tal senso del comune) e non è stato autonomamente rilasciato. In tal senso si precisa che il rilascio di due successive varianti non determina una sanatoria di quanto sopra rilevato". 19.1.2 In ordine al secondo dei richiesti chiarimenti, il verificatore ha evidenziato che: "ai fini della volumetria che viene complessivamente assentita per mezzo di un accordo di programma, non esiste una correlazione (in termini di computo matematico) tra particelle (e relativa estensione) e quantità edilizie di progetto, in quanto è l'intervento nel suo complesso che è oggetto di valutazione e approvazione in variante urbanistica. Dal che consegue che, astrattamente, la mancata proprietà, in capo ai proponenti di un accordo di programma, di una singola particella può condurre all'approvazione del medesimo progetto sulle rimanenti aree". 19.2 A fronte di tali risultanze istruttorie diverse sono le conclusioni alle quali accedono le parti, in quanto, da un lato, l'appellante ha insistito per l'accoglimento del gravame alla luce del fatto che lo stesso verificatore evidenzia che i lavori sono iniziati prima dell'intervento dell'accordo di programma mentre il Comune appellato chiede da parte sua il rigetto del ricorso in appello, atteso che quanto rilevato dal verificatore in ordine all'accordo di programma rispetto all'antecedente esecuzione dei lavori non rileva perché non denunciato dalla società . Altresì documenta che, contrariamente a quanto rilevato dal verificatore, il Comune aveva effettivamente prestato il proprio consenso all'accordo di programma. 20. Ritiene il Collegio, dandosi preliminarmente atto della formale rinuncia alla domanda risarcitoria da parte appellante, che la domanda impugnatoria per la quale l'appellante insiste in questa sede è infondata. 20.1 Invero le risultanze istruttorie non possono non essere calate nella presente controversia alla luce delle doglianze sollevate in primo grado e riproposte in appello. Ne deriva che l'accordo di programma non è interessato dalla questione proprietaria o procedimentale avendo il verificatore attestato (ut supra § 19.1.2) che l'area in questione non ha assunto alcun rilievo ai fini della sua approvazione. Quindi per la parte in cui si insiste per l'impugnativa del previo accordo di programma l'appello deve essere respinto. 20.2 Pari esito deve essere riservato all'impugnativa della successiva variante in corso d'opera, pur dovendosi rilevare che, come ammette lo stesso Comune, essa si fonda anche sulla proprietà dell'area in questione così da assentire una volumetria che ricomprende anche quella generata da tale porzione di suolo. 20.2.1 Invero, la vicenda di causa nel suo complesso, alla luce delle risultanze documentali e della relazione di verificazione acquisite agli atti del giudizio, consente di inferire che: - tra le parti private contrapposte si registra l'esito di un giudizio (sfociato nella sentenza del Tribunale di Tivoli, sezione Palestrina, n. 218/2012) sì favorevole alla parte appellante, ma di natura possessoria invece che petitoria cosicché risulta tuttora non provata ex judicio la effettiva situazione dominicale dell'area in contestazione; - emerge dalla documentazione di causa che parte appellata aveva suffragato la domanda edificatoria attraverso la produzione di atti (Decreto di trasferimento n. 65894 e l'atto notarile rep. 79810 regolarmente registrati e trascritti presso la conservatoria dei registri immobiliari in data 26 aprile 2005 al 10578 all'Ufficio del Registro immobiliare di Roma 2) che dimostravano in maniera sufficientemente eloquente la proprietà dell'area in contestazione in capo alla stessa; - d'altra parte non incombe sull'Amministrazione comunale, in sede di disamina di una istanza edificatoria, una approfondita analisi della situazione proprietaria prospettata dal richiedente il titolo edilizio; - questo Consiglio ha, infatti, di recente ribadito il consolidato orientamento secondo cui "in occasione del controllo sui titoli edilizi il comune non può sostituirsi al giudice civile; l'art. 11 t.u. edilizia prevede che il permesso di costruire sia rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo e la P.A. ha il dovere di accertare tale presupposto e che esso sia sufficiente per eseguire l'attività edificatoria; il potere di controllo in sede di rilascio dei titoli edilizi (al pari di quello esercitato in sede inibitoria), quindi, deve sempre collegarsi al riscontro di profili d'illegittimità dell'attività per contrasto con leggi, regolamenti, piani, programmi e regolamenti edilizi, mentre non può essere esercitato a tutela di diritti di terzi non riconducibili a quelli connessi con interessi di natura pubblicistica, quali ad esempio il rispetto delle distanze dai confini di proprietà o del distacco dagli edifici; fatto salvo il caso in cui de plano risulti l'inesistenza di un titolo giuridico che fondi la legittimazione attiva del richiedente il titolo edilizio" (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24 febbraio 2022, n. 1302); - del resto ciò che rileva ai fini della soluzione della presente controversia non postula l'accertamento dell'effettivo assetto dominicale dell'area in contestazione quanto la astratta idoneità della documentazione a suo tempo prodotta dal richiedente il titolo edilizio a suffragare la proprietà della particella contestata e che, contrariamente a quanto si deduce da parte appellante, è da riscontrare positivamente; - sottolinea l'appellante che già in epoca antecedente al rilascio del titolo "con lettera raccomandata del 26 luglio 2005, i signori Gr. chiedevano di accedere agli atti amministrativi relativi alle opere edilizie avviate dalla Re. il Ca., specificando la loro qualità di proprietari della porzione di terreno corrispondente alla ex particella (omissis) attualmente ricompresa nella nota particella (omissis) Foglio (omissis) Catasto Fabbricati del Comune di (omissis)"; - trattasi però di una circostanza dalla quale non si ricavano quelle vere e proprie "contestazioni sul diritto di richiedere il titolo abilitativo" (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 marzo 2022, n. 1827) che impongono all'Amministrazione di compiere le necessarie indagini istruttorie, in quanto la parte si era limitata a formulare un'istanza di accesso documentale in sé neutra rispetto alla vicenda edilizia in questione e peraltro in epoca non proprio collimante con il rilascio del titolo edilizio dell'8 maggio 2006; - con tale istanza del 26 luglio 2005, infatti, la signora Roberta Gr. "n. q. di proprietaria dell'immobile denominato Al. La So.", senza quindi specificare alcunché in ordine alla particella in contestazione, chiedeva di accedere "agli atti amministrativi relativi alla delibera comunale n. 3 del 4.2.2005 concessa sul fondo limitrofo al fine di verificare la rispondenza delle distanze civilistiche dei fondi e convenzione con il Comune"; - da tale iniziativa conoscitiva non era dato desumere alcuna precisa contestazione sulla proprietà dell'area interessata dall'intervento ivi compresa la ex particella n. (omissis); - per quanto riguarda la possibile rilevanza da attribuire alla nota del 6 ottobre 2005 ai fini dell'espletamento della potestà di autotutela, la relativa censura è da considerare assorbita dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo della lite avverso il decreto presidenziale dell'8 settembre 2005 (di cui al § 1, sub a) fermo restando la sua infondatezza nel merito per l'assenza dell'obbligo in capo all'Amministrazione di attivare il potere di autotutela, che, come ribadito di recente da questo Consiglio (sez. VI, 6 aprile 2022, n. 2564), ha generalmente carattere facoltativo; - in ordine alla lamentata violazione dell'indice di fabbricabilità, per essere la particella in questione già impegnata sul piano volumetrico, vale osservare che anch'essa non traspariva al momento del rilascio del titolo nulla ostando a che venisse computata ai fini della volumetria assentibile anche quella ritraibile dalla particella in questione, di cui era documentata la proprietà in capo alla società richiedente; - per quanto riguarda la prospettata questione afferente al rispetto della normativa sulle distanze (art. 905 c.c.) per l'apertura di luci e vedute sulla proprietà limitrofa, censura che l'appellante lamenta non essere stata esaminata dal T.a.r., parte appellante insiste in questa sede nel ritenere che l'ubicazione del confine tra le due proprietà andava "individuata con il muro di confine tra l'edificio demolito dalla Re. il Ca. s.r.l. e la particella (omissis)" (cfr. pagina 32 dell'appello) come accertato dall'ordinanza del Tribunale civile di Tivoli, sezione staccata di Palestrina, del 20 marzo 2006; - ancora una volta parte appellante evoca atti processuali che esulano dalla sfera di conoscenza dell'Amministrazione comunale e la cui rilevanza postula il raggiungimento di una soglia di approfondimento dei relativi presupposti che esula, come detto, dal suo operato; - dalla documentazione rinvenibile nella pratica edilizia non era dato infatti rilevare un possibile contrasto con la disciplina in materia di distanze tra costruzioni ovvero per l'apertura di luci e vedute. - nemmeno può reputarsi fondato quanto dedotto in sede di riproposizione del quarto dei motivi aggiunti, circa la mancata partecipazione degli appellanti al procedimento che è sfociato nel rilascio del permesso di costruire in variante proprio perché non è dato ritenere che se il Comune avesse consentito la partecipazione procedimentale si sarebbe avveduto non solo della circostanza che attiene alla proprietà del sito, ma anche della conseguente insussistenza della volumetria ad essa associata, siccome già impegnata, e della violazione delle distanze stante il diverso confine tra i fondi; - in realtà, non solo l'Amministrazione avrebbe dovuto impegnarsi nella disamina di una questione dominicale che parte appellante non si è peritato di sollevare nella sede appropriata innanzi al giudice civile, ma sulla problematica si era anche già espressa con la nota del 19 dicembre 2005 dando riscontro alle contestazioni degli appellanti nel senso della sufficienza degli elementi acquisiti attraverso la produzione documentale a corredo della domanda edificatoria; - del resto, per ius receptum, il proprietario di un immobile confinante con quello oggetto del permesso di costruire, anche in sanatoria, pur se in precedenza oppostosi all'altrui attività edilizia, ha, bensì, interesse a impugnare il rilasciato titolo abilitativo edilizio (anche in sanatoria) e può, altresì, intervenire nel relativo procedimento amministrativo ai sensi dell'art. 9 della l. n. 241/1990, ma non è da considerarsi a guisa di soggetto destinatario del provvedimento o interessato allo stesso, se non in via riflessa, così da fondare, nei suoi confronti, un obbligo di comunicazione ex art. 7 della citata l. n. 241/1990, pena, altrimenti, la creazione di un aggravio procedimentale in contrasto con i principi di economicità e di efficienza dell'azione amministrativa. 21. In conclusione, l'appello è infondato e deve essere respinto. 22. Le spese del presente grado di giudizio, stante l'assoluta peculiarità della vicenda di causa, vanno compensate mentre le spese di verificazione, da liquidarsi con separato decreto, sono da porre per intero a carico della parte appellante, ricorrendo giusti motivi. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto (n. r.g. 8075/2010), lo respinge. Spese del presente grado di giudizio compensate, ad eccezione di quelle di verificazione, poste integralmente a carico della parte appellante. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Giulio Castriota Scanderbeg - Presidente Giovanni Sabbato - Consigliere, Estensore Carla Ciuffetti - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere Maria Stella Boscarino - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1433 del 2016, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ia. e Al. Il., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Al. Il. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Tu., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Pa. Pa. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione Terza, -OMISSIS- Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria del giorno 16 novembre 2022 il Cons. Raffaello Sestini e udito per l'appellato Comune di (omissis) l'avvocato Gi. Tu.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Con ricorso al TAR per la Toscana i sig.ri -OMISSIS-impugnavano il provvedimento comunale n. 64/28 del 10.11.2010, recante annullamento del permesso di costruire n. 227/2008 ad essi rilasciato per l'esecuzione di opere di "ristrutturazione con parziale sopraelevazione di fabbricato per civile abitazione monofamiliare". Successivamente con motivi aggiunti veniva impugnata la conseguente ordinanza di demolizione e riduzione in pristino. 2 - L'annullamento del titolo edilizio era motivato dal Comune con l'avvenuto riscontro, in seguito all'esposto dei confinanti e ai sopralluoghi della Polizia Municipale, di rilevanti difformità - accertate e documentate dai verbali - tra lo stato dei luoghi e quanto rappresentato dai ricorrenti negli elaborati allegati alla domanda di permesso di costruire, riguardanti principalmente la violazione della distanza inderogabile tra pareti finestrate. 3 - La C.T.U. disposta dal TAR per la Toscana confermava che i lavori di ampliamento e sopraelevazione eseguiti dai ricorrenti avevano effettivamente violato la distanza minima tra pareti finestrate, di cui all'art. 9 del d.m. n. 1444/1968, rispetto agli immobili confinanti. 4 - Il TAR per la Toscana con la sentenza in epigrafe rigettava pertanto il ricorso principale, confermando la legittimità del provvedimento che aveva annullato il permesso di costruire. 5 - Veniva tuttavia accolto il primo motivo aggiunto, annullando l'ordinanza di demolizione in quanto il Comune non aveva valutato l'eventualità di poter applicare la sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 38 del T.U. n. 380/2001. Il Comune procedeva quindi ad una nuova valutazione delle difformità riscontrate rispetto al titolo edilizio, pervenendo tuttavia all'emanazione di una nuova ordinanza di demolizione. 6 - Veniva dunque impugnata davanti al TAR per la Toscana anche la nuova ordinanza di demolizione, ma il ricorso è stato respinto con la sentenza -OMISSIS-, dando atto che il Comune aveva adottato il provvedimento sanzionatorio all'esito di specifici accertamenti tecnici. 7 - Con l'appello in trattazione viene impugnata la sentenza segnta in epigrafe nrlla parte in cui ha rigettato il ricorso principale statuendo la legittimità del provvedimento di annullamento del permesso di costruire. 8 - Vengono dedotti più motivi di impugnazione che peraltro si rivelano non fondati. 8.1 - Con il primo motivo si contesta il passaggio motivazionale della sentenza impugnata, basato sui rilievi della disposta C.T.U., concernente la qualificazione delle aperture presenti sui fabbricati della proprietà confinante con quella dell'appellante come luci ovvero come vedute. La censura risulta tuttavia non dirimente ai fini della decisione del presente giudizio di appello, considerata la circostanza (ben evidenziata dalla sentenza di primo grado e non contestata dall'appellante) che le finestre si trovano (anche) sulla sopraelevazione realizzata dalla parte appellante, essendo pacifico in giurisprudenza che la distanza di 10 metri deve essere rispettata anche quando una sola delle pareti sia finestrata. 7.2 - Con il secondo motivo d'appello si deduce l'erroneità della motivazione del TAR riguardo all'obbligo di mantenere il distacco assoluto di 10 m. "nella concreta fattispecie". In particolare, secondo l'appellante, tale obbligo non sarebbe configurabile nel caso considerato in quanto, a prescindere dalla presenza di finestre sulle pareti che si fronteggiano a meno di 10 m., i fabbricati insistono in zona A e pertanto sarebbero esentati dall'applicazione dell'art. 9 del d.m. n. 1444/1968. Anche tale doglianza è infondata. L'esenzione dal rispetto dell'art. 9 cit. vale infatti per i soli interventi di straordinaria manutenzione, restauro conservativo e ristrutturazione edilizia senza modifiche planivolumetriche e non nei casi di nuova costruzione, o comunque di modifiche planivolumetriche, qual è quella in esame. 7.3 - Con il terzo motivo l'appellante contesta la carenza e l'erroneità della motivazione in punto di valutazione dell'affidamento del privato in correlazione col solo interesse pubblico al ripristino della legalità . Anche la censura in esame si rivela infondata alla luce della pacifica giurisprudenza citata dalla sentenza impugnata (Cons. Stato, IV, n. 39/2013) secondo cui la infedele rappresentazione dello stato dei luoghi nelle tavole progettuali, accertata dalla C.T.U. e non contestata dal ricorrente, impedisce il sorgere del legittimo affidamento circa la bontà del titolo edilizio ottenuto. 7.4 - Con il quarto motivo si contesta che il Comune, annullando il p.d.c. rilasciato circa due anni prima, avrebbe in realtà voluto indebitamente e quindi illegittimamente risolvere solo una questione tra privati coinvolgente l'interpretazione dell'art. 9, punti 1 e 2, del d.M. n. 1444/1968. Sennonché la giurisprudenza non solo amministrativa, ma anche della Corte di Cassazione, è viceversa univoca nell'attribuire alle norme ritenute violate dal Comune un carattere cogente ed inderogabile, anche nei confronti di eventuali previsioni difformi degli strumenti urbanistici, essendo preordinate alla tutela di interessi pubblici quale quello alla salubrità e all'igiene degli abitati. 8 - Alla stregua delle pregresse considerazioni l'appello deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante al pagamento in favore del Comune di (omissis) delle spese del presente grado di giudizio, liquidate in Euro 5.000,00 (cinquemila) oltre ad IVA, CPA ed ulteriori accessori di legge se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità dell'appellante. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2022, tenuta da remoto ai sensi dell'art. 87, comma 4 bis, c.p.a., con l'intervento dei magistrati: Carlo Saltelli - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Alessandro Verrico - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Ugo De Carlo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MANNA Felice - Presidente Dott. SCARPA Antonio - rel. Consigliere Dott. GIANNACCARI Rossana - Consigliere Dott. ROLFI Federico V.A. - Consigliere Dott. BESSO MARCHEIS Chiara - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 10703/2017 proposto da: (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall'avvocato (OMISSIS); - ricorrenti - contro (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS); - controricorrenti - avverso la sentenza n. 1976/2016 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 26/10/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/10/2022 dal Consigliere ANTONIO SCARPA; viste le conclusioni motivate, ai sensi del Decreto Legge N. 137 DEL 28 ottobre 2020, articolo 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, formulate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale ALESSANDRO PEPE, il quale ha chiesto l'accoglimento del primo motivo di ricorso ed il rigetto dei restanti motivi. FATTI DI CAUSA (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 1976/2016 della Corte d'appello di Palermo, pubblicata il 26 ottobre 2016. Resistono con controricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). La Corte d'appello di Palermo ha respinto l'appello avanzato da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) contro la sentenza resa in data 14 agosto 2010 dal Tribunale di Palermo, cosi' confermando il rigetto delle domande proposte dagli stessi nei confronti di (OMISSIS) (cui erano succeduti in corso di causa gli eredi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)). Gli attori, partecipanti del Condominio di (OMISSIS), avevano domandato l'accertamento della proprieta' condominiale, quale spazio da destinarsi a parcheggio ex articolo 1117 c.c., dell'area circostante l'unita' immobiliare posta al piano rialzato di proprieta' esclusiva di (OMISSIS) (costruttrice del fabbricato), nonche' l'eliminazione di una finestra e di altri manufatti realizzati dalla (OMISSIS), proprietaria altresi' di distinto immobile non compreso nel condominio ma confinante con l'area in contesa. La Corte d'appello ha ritenuto che non avrebbe avuto senso alcuno l'inserimento nei titoli di proprieta' degli appellanti di una riserva d'uso in favore della (OMISSIS), proprio perche' ne era proprietaria esclusiva. La circostanza che negli stessi contratti di acquisto le unita' immobiliari degli appellanti erano identificate come confinanti con la proprieta' (OMISSIS) e' apparsa decisiva ai giudici di appello al fine di individuare il regime dominicale dell'area circostante l'immobile gia' " (OMISSIS) oggi (OMISSIS)". Tale conclusione e' sembrata alla Corte di Palermo non contrastata ne' dai dati catastali, ne' dalla individuazione dell'area destinata a parcheggio contenuta nelle concessioni rilasciate. La sentenza impugnata ha poi negato la natura di veduta, ai fini dell'applicazione della disciplina sulle distanze, all'apertura realizzata sul muro dell'edificio a confine con l'area destinata a parcheggio, stante la presenza di una grata che impediva la inspectio, rilevando che gli attori avevano domandato la sola chiusura di essa, e non gia' la sua "regolarizzazione". Ancora, la Corte d'appello ha ritenuto legittime la tettoia e la grondaia realizzate nella proprieta' (OMISSIS) (OMISSIS) con funzione di riparazione dall'acqua. Il ricorso e' stato deciso in camera di consiglio procedendo nelle forme di cui al Decreto Legge N. 137 DEL 28 ottobre 2020, articolo 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 176 del 18 dicembre 2020. I ricorrenti hanno presentato memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE 1.Il primo motivo del ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) deduce la violazione degli articoli 2697, 1117 e 840 c.c. quanto all'accertamento della proprieta' della corte circostante la proprieta' (OMISSIS) (OMISSIS), bene che si presume condominiale salvo prova di titolo contrario. Si allegano anche le risultanze della concessione edilizia e del certificato di abitabilita'. Sul punto, i controricorrenti deducono che si tratta di "doglianza di merito", e che comunque l'area in questione non puo' essere considerata condominiale ne' in base ai titoli di proprieta' depositati ne' in base alle risultanze della CTU espletata. 1.1 II primo motivo di ricorso e' manifestamente fondato, avendo la Corte d'appello di Palermo fatto cattiva applicazione sia dell'articolo 1117 c.c. che dell'articolo 2697 c.c. 1.2. La causa verte, per quanto accertato in fatto, su di un cortile posto all'interno del condominio di (OMISSIS), ed in particolare sulla porzione di tale cortile circostante l'unita' immobiliare, posta al piano rialzato del fabbricato, di proprieta' esclusiva di (OMISSIS) (costruttrice del complesso), la quale e' proprietaria altresi' di distinto immobile non compreso nel condominio ma confinante con esso. 1.3. Per consolidata interpretazione giurisprudenziale, viene intesa come cortile, ai fini dell'inclusione nelle parti comuni dell'edificio elencate dall'articolo 1117 c.c., qualsiasi area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di piu' edifici, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti, o che abbia anche la sola funzione di consentirne l'accesso, o sia destinata a spazi verdi, zone di rispetto, parcheggio di autovetture (Cass. Sez. 2, 08/09/2021, n. 24189; Cass. Sez. 2, 17/02/2020, n. 3852; Cass. Sez. 2, 15/02/2018, n. 3739; Cass. Sez. 2, 02/08/2010, n. 17993; Cass. Sez. 2, 30/07/2004, n. 14559; Cass. Sez. 2, 29/10/2003, n. 16241). In particolare, pure le aree da destinare obbligatoriamente ad appositi spazi a parcheggi, ai sensi della speciale normativa urbanistica dettata dal L. n. 1150 del 1942 articolo 41-sexies, introdotto dall'articolo 18 della L. n. 765 del 1967, globalmente considerate, devono essere ritenute parti comuni dell'edificio condominiale ai sensi dell'articolo 1117 c.c., come peraltro risulta testualmente dallo stesso articolo successivamente all'entrata in vigore della L. n. 220 del 2012 (Cass. Sez. 6 - 2, 10/09/2020, n. 18796; Cass. Sez. 2, 14/06/2019, n. 16070). La presunzione legale di comunione, stabilita dall'articolo 1117 c.c., si reputa inoltre operante anche nel caso di cortile strutturalmente e funzionalmente destinato al servizio di piu' edifici limitrofi ed autonomi, tra loro non collegati da unitarieta' condominiale (cosi', ad esempio, Cass. Sez. 2, 30/07/2004, n. 14559; Cass. Sez. 2, 24/05/1972, n. 1619). 1.4. Come visto, la Corte d'appello di Palermo ha affermato che non avrebbe avuto senso alcuno l'inserimento nei titoli di proprieta' degli appellanti di una riserva d'uso in favore della (OMISSIS), proprio perche' ne era proprietaria esclusiva. E' poi apparsa decisiva ai giudici di appello la circostanza che negli stessi contratti di acquisto le unita' immobiliari degli appellanti erano definite come confinanti con la proprieta' (OMISSIS). 1.5. Questa conclusione si rivela erronea. L'individuazione delle parti comuni di un condominio edificio, come appunto i cortili, risultanti dall'articolo 1117 c.c., non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o piu' unita' immobiliari (cfr. Cass. Sez. Unite, 07/07/1993, n. 7449). Era decisivo accertare, mediante apposito apprezzamento di fatto, l'eventuale obiettiva destinazione primaria del cortile di causa a dare aria, luce ed accesso al servizio esclusivo della unita' immobiliare di proprieta' (OMISSIS). La prima verifica che i giudici del merito avrebbero percio' dovuto compiere, per dire applicabile, o meno, la disciplina del condominio degli edifici, di cui agli articoli 1117 c.c. e ss., concerneva la relazione di accessorieta' necessaria che, al momento della formazione del condominio, legava il bene in contesa (inserito tra le parti comuni - se il contrario non risulta dal titolo - dall'articolo 1117 c.c.) alla individuata porzione di proprieta' singola. Ove poi debba applicarsi l'articolo 1117 c.c., bisogna considerare che tale norma non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria, potendo essere superata soltanto dalle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell'edificio in piu' proprieta' individuali. La situazione di condominio, regolata dagli articoli 1117 e seguenti del Codice civile, si attua, infatti, sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprieta' di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unita' immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall'originario unico proprietario ad altro soggetto. La "presunzione legale" di proprieta' comune di parti del complesso immobiliare in condominio, che si sostanzia sia nella destinazione all'uso comune della res, sia nell'attitudine oggettiva al godimento collettivo (sulla base di una valutazione da compiere nel momento in cui ha luogo la formazione del condominio per effetto del frazionamento dell'edificio in piu' proprieta' individuali), dispensa, quindi, il condominio dalla prova del suo diritto, ed in particolare dalla cosiddetta probatio diabolica. Ai condomini che agiscono in rivendica di parti comuni riconducibili all'articolo 1117 c.c. basta dimostrare la rispettiva proprieta' esclusiva nell'ambito del condominio per provare anche la comproprieta' di quei beni che tale norma contempla. Ne deriva che quando un condomino pretenda l'appartenenza esclusiva di uno dei beni indicati nell'articolo 1117 c.c., e' onere dello stesso condomino, onde vincere detta presunzione, dare la prova della sua asserita proprieta' esclusiva, senza che a tal fine sia rilevante il proprio titolo di acquisto, o quello del relativo proprio dante causa, ove non si tratti dell'atto costitutivo del condominio, ma di alienazione compiuta dall'iniziale unico proprietario che non si fosse riservato l'esclusiva titolarita' dell'area (Cass. Sez. 2, 17/02/2020, n. 3852). 1.6. La Corte d'appello di Palermo doveva percio' dirimere la lite non facendo affidamento sui titoli di acquisto dei condomini (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ma individuando l'atto di frazionamento dell'iniziale unica proprieta', da cui si genero' la situazione di condominio edilizio, con correlata operativita' della presunzione ex articolo 1117 c.c. di comunione "pro indiviso" di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, fossero in tale momento costitutivo del condominio - destinate all'uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio, e non invece oggettivamente al servizio esclusivo di una o piu' unita' immobiliari. Sarebbe quindi occorso verificare se nel titolo originario sussistesse una chiara ed univoca volonta' di riservare esclusivamente all'unita' immobiliare (OMISSIS) la proprieta' del cortile ad essa circostante. Altrimenti, una volta sorta la comproprieta' delle parti comuni dell'edificio indicate nell'articolo 1117 c.c., per effetto della trascrizione dei singoli atti di acquisto di proprieta' esclusiva - i quali comprendono pro quota, senza bisogno di specifica indicazione, le parti comuni - la situazione condominiale e' opponibile ai terzi (Cass. Sez. 2, 17/02/2020, n. 3852; Cass. Sez. 2, 09/12/1974, n. 4119). Tanto meno risultano dirimenti per la soluzione della questione dedotta i dati catastali o le risultanze delle concessioni edilizie rilasciate. Una volta eventualmente accertato con le specificate modalita' di indagine il nesso di condominialita', l'uso di tali beni da parte della (OMISSIS) e dei suoi aventi causa (OMISSIS) dovrebbe trovare regolamentazione nella disciplina del condominio di edifici, la quale e' costruita sulla base di un insieme di diritti e obblighi, armonicamente coordinati, contrassegnati dal carattere della reciprocita', che escludono la possibilita' di fare ricorso alla disciplina in tema di servitu', presupponente, invece, fondi appartenenti a proprietari diversi, nettamente separati, uno al servizio dell'altro. In particolare, i condomini hanno diritto a servirsi del cortile anche per il maggior vantaggio delle rispettive unita' immobiliari di proprieta' individuale, ma con le limitazioni poste dall'articolo 1102 c.c., ovvero il divieto di alterarne la destinazione e l'obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri condomini. 1.7. Va da ultimo considerato che l'accoglimento del primo motivo di ricorso (e dunque la ravvisata necessita' di riesaminare se sussista o meno il diritto di condominio sulla porzione di cortile circostante l'unita' immobiliare (OMISSIS)- (OMISSIS)) non comporta ex se l'assorbimento delle restanti censure, le quali attengono ad opere realizzate sulla proprieta' esclusiva posta a confine con il parcheggio. I giudici di rinvio procederanno, pertanto, dapprima a determinare gli esatti confini della proprieta' condominiale e della proprieta' (OMISSIS)- (OMISSIS), alla luce dei principi enunciati, e poi, sulla base di tale acclarato presupposto di fatto, verificheranno l'applicabilita' delle ulteriori regole giuridiche enunciate in questa sentenza. 2. Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione degli articoli 887, 902 e 903 c.c., nonche' dell'articolo 113 c.c., quanto al rigetto della domanda di eliminazione della veduta realizzata sull'edificio di proprieta' (OMISSIS) a confine con il parcheggio condominiale. La sentenza impugnata ha tratto dalla fotografia "A" allegata alla CTU il convincimento che non si trattasse di una veduta, ai sensi dell'articolo 900 c.c., ma di una luce, per la presenza di una grata che impedisce la inspectio, "nonostante l'altezza di tale apertura rispetto al pavimento interno", trovando percio' applicazione l'articolo 901 c.c. Ad avviso della Corte d'appello, di tale luce sarebbe stato possibile chiedere la "regolarizzazione", ma non la chiusura, come fatto dagli attori, la cui domanda doveva percio' essere respinta. I ricorrenti riportano lo stralcio dell'elaborato peritale che descrive la finestra "con inferriata e priva di grata", il cui davanzale e' all'altezza di m. 1,70 dal piano dell'area di parcheggio e di m. 1,37 dal pavimento dell'appartamento. Viene quindi invocata l'applicazione dell'articolo 903, comma 2, c.c. per l'apertura di luci nel muro comune. 2.1. Il secondo motivo di ricorso e' infondato. Stabilire se un'apertura abbia i requisiti necessari per consentire un comodo e normale affaccio sul fondo del vicino, e se in particolare, l'inferriata apposta per garantire la sicurezza e la grata di cui essa sia eventualmente munita, nonche' l'altezza del lato inferiore, ai sensi dell'articolo 901 c.c., escludano, per la collocazione, per l'ampiezza delle maglie e per ogni altra caratteristica, tale possibilita', si risolve in un apprezzamento di fatto che sfugge al sindacato di legittimita' per violazione di norme di diritto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (Cass. Sez. 2, 27/06/1974, n. 1922; Cass. Sez. 2, 25/07/1964, n. 2045). Nella specie, la Corte d'appello ha valutato che l'apertura oggetto di lite impedisce la inspectio per la presenza di una grata (ovvero, come correggono i ricorrenti, sulla base della denominazione adoperata dal CTU, di una "inferriata"), pur considerando che, in relazione alla "altezza di tale apertura rispetto al pavimento interno", non sono state osservate le prescrizioni dell'articolo 901 c.c. L'articolo 901 c.c. prevede, invero, che le luci devono avere, quanto all'altezza, un doppio requisito: a) un'altezza minima interna (con riferimento al posizionamento del lato inferiore della luce) non minore di due metri e mezzo dal pavimento o dal suolo del luogo al quale si vuole dare aria e luce, se esse sono al piano terra, e non minore di due metri, se sono ai piani superiori; per stabilire, peraltro, se il lato inferiore di una luce prospiciente su fondo altrui rispetta l'altezza minima normativamente prevista - prima o seconda ipotesi dell'articolo 901 n. 2 c.c. -, occorre accertare se tale luce si trova al piano terreno o al piano superiore rispetto al fondo suddetto, e non gia' rispetto al locale in cui essa si trova; b) un'altezza esterna non minore di due metri e mezzo dal suolo del vicino, a meno che si tratti di un locale che sia in tutto o in parte a livello inferiore al suolo del vicino e la condizione dei luoghi non consenta di osservare l'altezza stessa; pertanto, la riduzione a due metri e' limitata all'ipotesi di luce aperta in un locale situato a un livello di altezza superiore, che sia pari ad un intero piano abitativo e non possa essere estesa a qualunque altra ipotesi di dislivello (cosi' Cass. Sez. 2, 21/07/2005, n. 15292; Cass. Sez. 2, 10/03/1997, n. 2127). E' qui dirimente osservare, tuttavia, come la Corte d'appello di Palermo abbia, nella sostanza, preso atto che l'apertura realizzata sull'edificio di proprieta' (OMISSIS) fosse priva dei requisiti prescritti per le luci ("nonostante l'altezza di tale apertura rispetto al pavimento interno..."), affermando che era pero' necessario chiederne la "regolarizzazione" e "non la chiusura" in quanto veduta diretta, come prospettato dagli attori. Appartiene alla giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui viola il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato il giudice che, adito allo scopo di sentir dichiarare l'illegittimita' di alcune vedute, ne abbia imposto la regolarizzazione invece come luci, diversi essendo i presupposti ed i rimedi per l'una e l'altra disciplina (ad esempio, Cass. Sez. 2, 02/02/2009, n. 2558; Cass. Sez. 2, 05/01/2011, n. 233; Cass. Sez. 2, 21/02/2006, n. 3724). Questa ratio decidendi sulla diversita' tra la proposta domanda di chiusura della veduta e la eventuale pronuncia di regolarizzazione della luce non e' stata specificamente censurata dai ricorrenti. La circostanza che si tratti di luce aperta in muro divisorio tra proprieta' confinanti, da considerarsi comune ai sensi dell'articolo 880 c.c., con conseguente applicabilita' del disposto dell'articolo 903 c.c. (il quale, oltre a consentire, al comma 1, l'apertura al proprietario di luci nel muro proprio che sia contiguo al fondo altrui, stabilisce, al comma 2, come regola di ordine generale, che "se il muro e' comune, nessuno dei proprietari puo' aprire luci senza il consenso dell'altro", restando percio' salvo il diritto a mantenere le luci in tale ipotesi soltanto ove acquisito "iure ser-vitutis") da' luogo a questione non esaminata nella sentenza impugnata. Il secondo motivo di ricorso, agli effetti dell'articolo 366, comma 1, n. 6, c.c., specifica che tale questione venne espressamente esplicitata nella pagina 11 della comparsa conclusionale d'appello. Nel giudizio di appello, come in quello di primo grado, la comparsa conclusionale ha, pero', la sola funzione di illustrare le domande e le eccezioni gia' ritualmente proposte, sicche', ove con tale atto sia prospettata per la prima volta una questione nuova, il giudice del gravame non puo', e non deve, pronunciarsi al riguardo (tra le tante, Cass. Sez. 1, 23/06/2022, n. 20232). Tanto meno essa e' ora proponibile come motivo di ricorso per cassazione, implicando accertamenti di fatto che non possono svolgersi per la prima volta nel giudizio di legittimita'. 3. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione dell'articolo 115 c.p.c. in ordine al rigetto della domanda di arretramento della tettoia e della pensilina invadenti lo spazio sovrastante il parcheggio condominiale per una estensione di cm. 50. Si tratta, come riferisce la richiamata CTU, di tettoia su cui cadono le acque piovane. 4. Il quarto motivo di ricorso deduce la violazione degli articoli 949, comma 2, 840, comma 2, e 1065 c.c., nonche' dell'articolo 113 c.p.c., sempre con riguardo al rigetto della domanda di arretramento della tettoia asservita alla terrazza del primo piano della proprieta' (OMISSIS)- (OMISSIS) e di eliminazione della tettoia ancorata alla sottostante veduta. 4.1. Terzo e quarto motivo di ricorso possono esaminarsi congiuntamente, per la loro evidente connessione, e sono fondati nei sensi di seguito precisati. 4.2. La Corte d'appello di Palermo ha affermato che la tettoia e la piccola grondaia realizzate nella proprieta' (OMISSIS) (OMISSIS) si limitano a svolgere una funzione di riparazione dall'acqua piovana che altrimenti cadrebbe verso il suolo e non sono in grado di "creare alcun asservimento del fondo sottostante". 4.3. Questa Corte, nell'esercizio del potere di qualificazione in diritto della domanda definita e dei fatti comunque accertati nelle fasi di merito, per come esposti nel ricorso per cassazione e nella stessa sentenza impugnata, ritiene fondata la questione sollevata nel terzo e nel quarto motivo con riferimento alla disciplina posta dall'articolo 908 c.c., norma diversa da quelle specificamente indicate dai ricorrenti. 4.4. La Corte d'appello di Palermo ha violato il disposto dell'articolo 908 c.c., il quale impone al proprietario dell'edificio l'obbligo di costruire i tetti in maniera tale che le acque pluviali scolino nel suo terreno e non nei fondi finitimi, escludendo la configurabilita' di un limite legale della proprieta' analogo a quello previsto dal successivo articolo 913, che disciplina il deflusso delle acque che scolano naturalmente. Pertanto, una deroga alla disciplina contenuta nell'articolo 908 c.c., come quella che nel caso di specie si ha per realizzata a mezzo dello scolo di acqua piovana nel fondo di proprieta' condominiale conseguente alla costruzione di una tettoia sporgente sullo spazio aereo di quest'ultimo, puo' trovare il suo fondamento unicamente nella costituzione di una servitu' di stillicidio e di sporto, la quale, facendo venire meno il limite legale della proprieta' imposto dalla norma in oggetto, consenta tale scolo e l'immissione nel fondo confinante (Cass. Sez. 2, 07/12/1977, n. 5298; Cass. Sez. 2, 29/10/1976, n. 3982), legittimando altrimenti la proposizione di una azione negatoria volta altresi' alla rimozione delle opere abusivamente realizzate. 5. Conseguono l'accoglimento del primo, del terzo e del quarto motivo del ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), il rigetto del secondo motivo, nonche' la cassazione della sentenza impugnata in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte d'appello di Palermo in diversa composizione, la quale riesaminera' la causa tenendo conto dei rilievi svolti ed uniformandosi agli enunciati principi, e provvedera' anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, rigetta il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Palermo in diversa composizione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2751 del 2015, proposto dal signor Gi. Pa. e dalla società Pa. Gr. Pr. s.r.l., rappresentati e difesi dall'avvocato An. Di Nu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, con domicilio eletto presso lo studio del dottor Gi. Pl. in Roma, via (…); contro i signori Gi. An., ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Lu. d'A. e Ri. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Gu. Le., via (...); i signori Ma. Au., ed altri, non costituiti in giudizio; nei confronti del Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, e della Autorità di bacino del Sarno, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Salerno, sezione seconda, n. 1457 del 31 luglio 2014, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto costituzione in giudizio dei signori Gi. An., ed altri, del 15 maggio 2015; Viste le memorie difensive degli appellanti del 16 maggio 2022 (ore 15.38), del 26 maggio 2022 (ore 11.27); degli appellati del 14 maggio 2022 (ore 10.29), del 26 maggio 2022 (ore 11.10); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 giugno 2022 il consigliere Claudio Tucciarelli e uditi per le parti gli avvocati An. Di Nu. e Lu. d'A.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO L'oggetto del presente giudizio è costituito: a) dal permesso di costruire n. 02/2012, prat. edilizia n. 108/2002, prot. n. 1255 del 23 gennaio 2012, rilasciato dal Comune di (omissis) alla società Pa. Gr. Pr. s.r.l., per l'edificazione di un immobile a destinazione non residenziale, in corso (omissis) nel medesimo Comune di (omissis), su area distinta in catasto al foglio n. (omissis), p.(omissis); b) dal parere favorevole dell'Autorità di bacino del Sarno, prot. n. 1089 del 15 luglio 2011; c) dal permesso di costruire in sanatoria inerente al piano seminterrato, prot. n. 1073 del 9 maggio 2011; d) dalla relazione istruttoria del 24 luglio 2008, a firma del responsabile area assetto territorio del Comune nonché da tutti gli ulteriori atti e pareri resi nel corso del procedimento. I signori Gi. An., ed altri, ed altri, proprietari di varie unità abitative facenti parte di uno stabile denominato condominio "Bo.", hanno contestato il permesso di costruire assentito dal Comune, risalente a un'istanza del 2002, in favore della s.r.l Pa. Gr. Pr. (proprietaria confinante), per un intervento edilizio in aderenza alle loro abitazioni con occlusione delle vedute in corrispondenza dei servizi igienici. Hanno pertanto proposto ricorso al T.a.r. per la Campania, sede di Salerno, nel 2012 (n.r.g. 595/2012), contro il Comune di (omissis) e nei confronti della società, per l'annullamento, previa sospensiva, dei citati provvedimenti. Il ricorso in primo grado era affidato ai seguenti motivi (estesi da pag. 4 a pag. 9 del ricorso). 2.1. Violazione di legge (art. 9, d.m. 2 aprile 1968, n.1444 in relazione alle n.t.a. del p.r.g. del. Comune di Nocera superiore), eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto di istruttoria, erroneità, sviamento, arbitrarietà). I ricorrenti hanno contestato la violazione della disciplina sui distacchi, senza che sia stato tenuto conto delle aperture poste sulla parete del preesistente fabbricato, in corrispondenza dei servizi igienici alloggiati negli appartamenti di proprietà dei ricorrenti che costituirebbero vedute. Inoltre, sul lato ovest del costruendo fabbricato, l'ufficio si troverebbe a una distanza inferiore a m. 10 dalla parete finestrata del fabbricato dei ricorrenti. 2.2. Violazione di legge (art. 9 del d.m. 2 aprile1968, n. 1444 in relazione alle n.t.a. concernenti le costruzioni in aderenza). Non sarebbero rispettate le n.t.a. per la zona B1, che consentono la fabbricazione in aderenza su due lati, mentre l'edificando manufatto sarebbe per un solo lato aderente al preesistente immobile dei ricorrenti e vi sarebbe un arretramento dell'edificio del controinteressato. Inoltre non sarebbe rispettato il requisito della "continuità", pacificamente richiesto per le costruzioni "in aderenza". 2.3. Violazione di legge (art. 3 ss., della legge n. 241/1990), eccesso di potere (difetto d'istruttoria e di motivazione). La p.a. avrebbe dovuto accertare in capo al richiedente la legittimazione a edificare in aderenza a preesistenti vedute sull'immobile confinante, al fine del rilascio del titolo edilizio, tenendo conto delle controdeduzioni dei ricorrenti (oltre che del fatto che era pendente un giudizio dinanzi al g.o. promosso dal controinteressato per l'accertamento della presenza di luci e/o vedute sull'immobile confinante nonché del diritto di chiuderle in previsione dell'edificanda costruzione). 2.4. Violazione di legge (art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 in relazione alle n.t.a. del p.r.g. del comune di (omissis)), eccesso di potere (difetto assoluto di istruttoria, arbitrarietà, travisamento, sviamento). Il progetto non rispetterebbe il distacco minimo dai confini di 5 m. previsto dal d.m. n. 1444/1968 e dalle n.t.a., con illegittimità del permesso in sanatoria n. 1073 del 9 maggio 2011, richiamato nel permesso di costruire gravato. 2.5. Violazione di legge (artt. 50-107 del d. lgs. n.267/2000), incompetenza, eccesso di potere (arbitrarietà e illogicità). E' dedotta l'incompetenza del responsabile dell'Area assetto e territorio del Comune ad adottare l'atto impugnato, in quanto privo di qualifica dirigenziale richiesta per legge. Si sono costituiti nel giudizio di primo grado Pa. Gr. Pr. s.r.l., l'Autorità di bacino regionale della Campania centrale, il Comune di (omissis). Il signor Bartolomeo Pa. ha poi rinunciato al ricorso in primo grado. Con atto di motivi aggiunti, i ricorrenti hanno poi dedotto, sulla base di documenti acquisiti per effetto di istanza di accesso, le seguenti ulteriori censure (da pag. 3 a pag. 12 del ricorso per motivi aggiunti). 5.1. L'incompetenza del geometra che ha redatto il progetto, trattandosi di una struttura in cemento armato. 5.2. Il mancato rispetto della distanza di m. 8, rapportata all'altezza dell'edificio. 5.3. La mancata corretta rappresentazione dello stato dei luoghi negli elaborati grafici, rispetto alle distanze tra gli edifici. 5.4. La mancata considerazione della sagoma del fabbricato dei ricorrenti che si sporge "a sbalzo". 5.5. L'illegittimità del parere favorevole espresso dall'Autorità di bacino. 5.6. L'illegittimità del permesso in sanatoria per il seminterrato, in assenza del parere della predetta Autorità. 5.7. L'incompetenza del geometra comunale in relazione alle dimensioni del Comune. Il T.a.r. per la Campania, sede di Salerno, sezione seconda, ha prima disposto c.t.u. con ordinanza n. 1594/2013, per conoscere dal consulente tecnico, previo esame dei luoghi e verifica di ogni documentazione utile, se, secondo quanto denunciato nel ricorso introduttivo e nei motivi aggiunti, il manufatto in progetto sia rispettoso della normativa in materia di distanze, sia corretta la rappresentazione grafica dei luoghi, sia stata considerata, ai fini del rilascio del titolo impugnato, la particolare sagoma del fabbricato di proprietà dei ricorrenti. Il medesimo T.a.r. per la Campania, sede di Salerno, sezione seconda, con la sentenza n. 1457 del 31 luglio 2014: - ha rigettato le eccezioni in rito delle parti resistenti relative al difetto di giurisdizione del g.a. ed alla mancata impugnazione della sentenza del medesimo T.a.r. n. 1108/2006 (con la quale era stato annullato il diniego precedentemente opposto dal Comune di (omissis) al rilascio del permesso di costruire; in particolare, la sentenza ha posto in evidenza la diversità delle questioni trattate, essendosi ritenuto fondato, assorbita ogni altra censura, il solo motivo di gravame con il quale il ricorrente aveva dedotto la violazione dell'art. 17 della legge n. 1150/1942) tali capi non sono stati impugnati; - alla stregua delle risultanze della c.t.u., ha accolto il ricorso principale, insieme ai motivi aggiunti, con riguardo alla violazione della normativa sulle distanze, sia per la diversità tra quanto rappresentato nell'istanza del permesso di costruire e la situazione effettiva dell'edificio dei ricorrenti sia con riguardo alle distanze correlate all'altezza del fabbricato, indipendentemente dal fatto che nell'area in cui i controinteressati intendono realizzare il fabbricato si debbano applicare le prescrizioni previste dal vigente p.r.g. del Comune di (omissis) o quelle del piano particolareggiato di S. Clemente - S. Maria Maggiore del p.r.g., approvato dal Presidente della giunta della Regione Campania con decreto n. 3172 del 19 luglio 1976, ad oggi scaduto; - ha quindi ritenuto assorbita ogni altra censura; - ha conseguentemente annullato gli atti impugnati; - ha liquidato gli onorari e le spese per il consulente tecnico d'ufficio, poste a carico, in parti uguali, del Comune di (omissis) e della parte contro interessata; - ha condannato, in parti uguali, il Comune di (omissis) e la parte contro interessata al rimborso delle spese di giudizio in favore dei ricorrenti - in solido - per il complessivo importo di euro duemila, oltre accessori di legge, nonché al rimborso del contributo unificato ad esclusivo carico del predetto Comune. Gi. Pa. e Pa. Gr. Pr. s.r.l. hanno interposto appello. 7.1. L'appello è affidato ai seguenti motivi (da pag. 6 a pag. 13 del ricorso). 7.1.1. Violazione di legge (art. 88 c.p.a.), difetto di motivazione, carenza di istruttoria, travisamento dei fatti, errore nella percezione dei fatti, violazione e falsa applicazione di legge (art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, in relazione alle n.t.a. del p.r.g. del Comune di (omissis) e in relazione all'art. 904 c.c.). L'appello contesta il capo della sentenza con cui il giudice di primo grado ha ritenuto che il privato non possa costruire in aderenza, se non attraverso la demolizione di parte del fabbricato in cui sono situati gli immobili di proprietà dei ricorrenti in primo grado. Ad avviso della società, essa avrebbe diritto a costruire in aderenza:  perché il confinante per primo ha costruito, a sua volta, sul confine; inoltre, il diritto a costruire in aderenza sarebbe espressamente previsto dalla vigente normativa urbanistica del Comune. Inoltre, in base all'intervento progettuale, la costruzione in aderenza sul lato del fabbricato condominiale dove sono presenti gli sbalzi non comporterebbe alcuna demolizione ma sarebbe realizzata attraverso il sistema ad incastro. Per di più, gli sbalzi sarebbero stati fedelmente riportati nel progetto. 7.1.2. Violazione di legge (art. 88 c.p.a.), difetto assoluto di motivazione, travisamento dei fatti, carenza istruttoria, violazione e falsa applicazione di legge (art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, in relazione alle n.t.a. del p.r.g. del Comune di (omissis)). Non sussisterebbe violazione delle distanze e le relative conclusioni poggerebbero su errori di calcolo nè terrebbero conto della normativa di riferimento, atteso che, trattandosi di pareti cieche di edifici frontisti non troverebbero applicazione le norme sui distacchi tra edifici ex d.m. n. 1444/1968. La c.t.u. avrebbe omesso di rilevare che l'edificando immobile non fronteggia pareti finestrate, ma solo un corpo a sbalzo di 1 m., cieco, a partire dal primo piano e a 5 m. dal piano terra. 7.1.3. Violazione di legge (art. 88 c.p.a. - art.79 c.p.a. in relazione all'art. 295 c.p.c.), difetto assoluto di motivazione, travisamento dei fatti, carenza istruttoria, violazione e falsa applicazione di legge (art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, in relazione alle n.t.a. del p.r.g. del Comune di (omissis) e in relazione all'art. 904 c.c.). L'appello - dopo avere ribadito che la natura delle aperture (luci e non vedute) sarebbe oggetto di accertamento davanti al g.o. - censura ulteriormente il diniego del diritto di costruire in ragione della presenza di aperture sul lato del fabbricato su cui l'appellante intende realizzare in aderenza, atteso che la società appellante, confinante con il condominio, avrebbe diritto a costruire in aderenza, proprio perché il confinante per primo ha costruito, a sua volta, sul confine. 7.2. L'appello chiede infine che venga disposta c.t.u. per accertare le caratteristiche delle pareti che si fronteggiano, nonché la natura delle aperture. Si sono costituiti nel giudizio di appello quattro degli originari ricorrenti in primo grado - i signori Gi. An., ed altri - riproponendo con la memoria di costituzione i motivi dichiarati assorbiti dalla sentenza del T.a.r. e chiedendo la distrazione delle spese di giudizio direttamente in favore dei difensori. Gli appellanti e gli intimati hanno prodotto note spese. All'udienza pubblica del 16 giugno 2022, la causa è stata trattenuta in decisione. Preliminarmente, il collegio evidenzia quanto segue. Si dà atto che l'appello è stato tuzioristicamente notificato al signor Bartolomeo Pa. nonostante quest'ultimo, dopo avere proposto ricorso al T.a.r., vi abbia successivamente rinunciato (sebbene la sentenza impugnata non abbia dichiarato l'estinzione del giudizio nei suoi confronti ma non sia stata censurata per tale aspetto da alcuna delle parti). Va disattesa l'eccezione di improcedibilità dell'appello (sollevata dalla difesa degli appellati con memoria del 14 maggio 2022, pag. 4), sotto il profilo della sopravvenuta modifica della disciplina urbanistica del Comune. E' sufficiente al riguardo annotare che l'appello è proposto non dai ricorrenti in primo grado avverso il diniego di costruire ma dai controinteressati titolari del permesso di costruire impugnato che aspirano al riconoscimento della legittimità della edificazione in quanto lecita ab origine. Va invece accolta l'eccezione sollevata dagli appellati con la memoria di replica del 26 maggio 2022 e, pertanto, deve essere dichiarata inammissibile la memoria depositata dall'appellante in data 16 maggio 2022 ore 15,38, che non è rispettosa del termine di trenta giorni liberi prima dell'udienza di discussione, fissata per il 16 giugno 2022, previsto per il deposito di memorie dall'art. 73, comma 1, c.p.a. Infatti, per i termini c.d. liberi non deve computarsi né il giorno iniziale né quello finale; ne consegue che il deposito della memoria, essendo avvenuto l'ultimo giorno utile ma dopo le ore 12, è tardivo ex art. 4, comma 4, secondo periodo, delle norme di attuazione del c.p.a., e va disposto lo stralcio della stessa dagli atti del giudizio (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, n. 5767 del 2021; sez. IV, n. 1732 del 2022). Ad avviso del Collegio deve essere preliminarmente considerata l'ammissibilità del ricorso collettivo proposto in primo in grado dagli odierni appellati. Si tratta di profilo rilevabile di ufficio ex art. 35 c.p.a. (v. sez. IV n. 5560 del 2021 ivi plenaria n. 4 del 2018) che è stato comunque illustrato nella memoria di replica degli appellanti del 26 maggio 2022. L'eventuale insussistenza ab initio delle condizioni di ammissibilità dell'azione presenta carattere prioritario e assorbente rispetto a ogni ulteriore valutazione. 15.1. Merita ribadire che nel processo amministrativo il ricorso collettivo, presentato da una pluralità di soggetti con unico atto, è ammissibile solo nel caso in cui sussistano congiuntamente i requisiti dell'identità delle situazioni sostanziali e processuali (ossia che le domande giudiziali siano identiche nell'oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e vengano censurati per gli stessi motivi) e dell'assenza di un conflitto di interessi tra le parti. "Invero, anche nell'attuale cornice codicistica, la proposizione del ricorso collettivo rappresenta una deroga al principio generale secondo il quale ogni domanda, in quanto tesa a tutelare un interesse meritevole di tutela, deve essere proposta dal relativo titolare con separata azione. Ciò, del resto, è il precipitato tecnico della natura soggettiva della giurisdizione amministrativa, deputata ad erogare tutela giurisdizionale ad una posizione soggettiva lesa dall'azione amministrativa, non a veicolare un controllo oggettivo della legittimità dell'azione amministrativa stessa, scisso da una concreta lesione arrecata agli specifici interessi di un determinato consociato. In altra prospettiva, il controllo della legittimità dell'azione amministrativa non è l'obiettivo ultimo del processo amministrativo, ma configura, invece, un (sia pur ineludibile) strumento funzionale alla tutela della situazione azionata in giudizio, che costituisce l'oggetto, lo scopo ed il limite della giurisdizione amministrativa (cfr. art. 1 c.p.a.). Pertanto, la proposizione contestuale di un'impugnativa da parte di più soggetti, sia essa rivolta contro uno stesso atto o contro più atti tra loro connessi, è soggetta al rispetto di stringenti requisiti, sia di segno negativo che di segno positivo: i primi sono rappresentati dall'assenza di una situazione di conflittualità di interessi, anche solo potenziale, per effetto della quale l'accoglimento della domanda di alcuni dei ricorrenti sarebbe logicamente incompatibile con l'accoglimento delle istanze degli altri; i secondi consistono, invece, nell'identità delle posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti, essendo necessario che le domande giurisdizionali siano identiche nell'oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che vengano censurati per gli stessi motivi (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. II, 18 maggio 2020, n. 3155; id., sez. IV, 27 gennaio 2015, n. 363; id., sez. III, 20 maggio 2014, n. 2581)" (Cons. Stato, sez. III, n. 8488 del 2021; sez. IV, n. 2341 del 2021; in precedenza, v. Cons. Stato, Ad. plen. n. 5 del 2015). "In coerenza con il carattere soggettivo della giustizia amministrativa, in base alla disciplina dettata dal c.p.a. (art. 40) il paradigma legale del processo impugnatorio prevede, anche al fine di prevenire l'abuso del processo, l'impugnazione da parte di un solo soggetto di un uno solo provvedimento (Ad. plen. nn. 4 e 5 del 2015). Conseguentemente, il ricorso collettivo e cumulativo sono eccezioni alla regola da interpretarsi restrittivamente. Quanto al ricorso collettivo in particolare, esso si ammette solo ed esclusivamente se è fornita la prova ex ante e in astratto, trattandosi di uno scrutinio sulla causa petendi della domanda ai fini dell'accertamento di una condizione dell'azione, dell'identità della situazione sostanziale e processuale (identità petitum, causa petendi, oggetto impugnativa, motivi) e dell'assenza di un conflitto di interesse anche solo potenziale (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 4363 del 2019; sez. IV, n. 2700 del 2017)" (Cons. Stato, sez. IV, n. 6520 del 2020). Due, pertanto, sono i requisiti di ammissibilità del ricorso: uno positivo, costituito dalla identità di posizioni sostanziali e processuali in rapporto a domande giudiziali fondate sulle stesse ragioni difensive; l'altro negativo, costituito dall'assenza di un conflitto di interessi, anche solo potenziale, tra le parti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 19 gennaio 2021, n. 573; sez. V, 15 gennaio 2021, n. 478; sez. VI, 14 giugno 2017, n. 2921; sez. I, n. 768 del 2021; sez. I, n. 1793 del 2021). Anche da ultimo il Consiglio di Stato (sez. V, n. 573 del 2021) ha sottolineato che nel processo amministrativo, per stabilire l'ammissibilità del ricorso collettivo, è necessario verificare l'identità delle situazioni sostanziali e processuali, ossia, in altri termini, accertare che le domande giudiziali siano identiche nell'oggetto e che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e vengano censurati per gli stessi motivi (ex multis, v. anche Cons. St., Sez. III, 1° giugno 2020, n. 3449). Nel caso in cui il ricorso collettivo nulla specifichi in ordine alle specifiche condizioni di legittimazione e di interesse di ciascuno dei ricorrenti, ciò impedisce al giudice di controllare il concreto e personale interesse di ciascuno di loro, l'omogeneità delle loro posizioni, la non confliggenza degli interessi dei singoli e la concreta fondatezza della domanda. In definitiva, chi agisce in giudizio a tutela di un proprio diritto anche in un ricorso collettivo deve indicare e allegare tutti gli elementi, i dati e i documenti idonei a sostenere la sua pretesa, domandando al giudice di accertare in concreto la sussistenza dei fatti dedotti; mentre deve ritenersi inammissibile il ricorso collettivo che nulla dice in ordine alle specifiche condizioni di legittimazione e di interesse di ciascun singolo ricorrente, in quanto ciò impedisce al giudice di controllare il concreto e personale interesse di ciascuno di loro, l'omogeneità delle loro posizioni e la concreta fondatezza della domanda (cfr. ad es. Cons. Stato, sez. VI, n. 4266 del 2020; sez. III, n. 4363 del 2019; sez. VI, n. 478 del 2021; sez. I, n.1793 del 2021). 15.2. Nel caso di specie, le posizioni dei singoli ricorrenti non sono individualmente precisate ma senz'altro sono distinte, se solo si pone mente - oltre che all'insieme degli atti di causa - alla posizione del condomino Gaetano Ciancio, destinatario, insieme ad altri due soggetti, di un autonomo provvedimento di demolizione n. 20 del 5 ottobre 2016, in atti. Non sono evidentemente soddisfatti i requisiti citati, sia perché il ricorso è carente della precisazione delle rispettive posizioni individuali di ciascuno dei ricorrenti sia perché, in positivo, è comprovata la distinta qualificazione dell'interesse di almeno uno dei ricorrenti. Non si è quindi perfezionata la prova dell'identità delle situazioni sostanziali, non essendo in concreto possibile, alla stregua degli elementi in atti, verificare la specifica situazione legittimante di ciascun ricorrente. Inoltre, sono presenti indici della distinta posizione individuale di uno dei ricorrenti. Tale prova risultava altresì indispensabile alla stregua della ricostruzione delle posizioni dei ricorrenti genericamente operata in ricorso. Né nel ricorso viene affermato - ove mai possibile, a supporto della identità delle posizioni dei diversi ricorrenti - che tutti i ricorrenti le possedevano tutte contemporaneamente. La sussistenza in concreto di posizioni legittimanti differenziate non può quindi affatto essere esclusa allo stato degli atti, mentre sarebbe stato onere dei ricorrenti fornire la prova dell'identità di posizioni e dell'assenza di posizioni confliggenti (cfr. Cons. Stato, sez. I, n. 1793 del 2021). Di conseguenza, ricorrono i presupposti per dichiarare l'inammissibilità del ricorso di primo grado per violazione dei requisiti sopra indicati con riguardo al ricorso collettivo. In conclusione, per le ragioni esposte, l'appello va accolto, con dichiarazione di inammissibilità del ricorso di primo grado (n.r.g. 595 del 2012). Il collegio ravvisa eccezionali ragioni, in base al combinato disposto degli artt. 26, comma 1, c.p.a. e 92, comma 2, c.p.c., per la compensazione fra tutte le parti delle spese del doppio grado di giudizio, oltre agli onorari e alle spese per il consulente tecnico di ufficio in primo grado, in considerazione della complessità e novità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello n.r.g. 2751/2015, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma dell'impugnata sentenza, dichiara inammissibile il ricorso n.r.g. 595/2012 (e i correlati motivi aggiunti) proposto in primo grado. Dichiara compensate per intero tra le parti le spese del doppio grado di giudizio, ivi compresi gli onorari e le spese per il consulente tecnico d'ufficio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 giugno 2022 con l'intervento dei magistrati: Vito Poli - Presidente Alessandro Verrico - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Michele Conforti - Consigliere Claudio Tucciarelli - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni - Presidente Dott. COSENTINO Antonello - Consigliere Dott. CARRATO Aldo - Consigliere Dott. VARRONE Luca - Consigliere Dott. OLIVA Stefano - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 11061/2017 proposto da: (OMISSIS), e (OMISSIS), rappresentati e difesi dall'avv. (OMISSIS), e domiciliati presso la cancelleria della Corte di Cassazione; - ricorrenti - contro (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell'avv. (OMISSIS), rappresentati e difesi dall'avv. (OMISSIS); - controricorrenti - avverso la sentenza n. 1131/2017 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 16/03/2017; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/06/2022 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA; letta la conclusione scritta del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso. FATTI DI CAUSA Con atto di citazione notificato il 16.6.2014 (OMISSIS) e (OMISSIS) evocavano in giudizio (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) innanzi il Tribunale di Lecco, invocando l'inibizione della facolta' dei convenuti di utilizzare una corte per parcheggio o sosta temporanea dei loro veicoli. A sostegno della domanda, gli attori allegavano di aver trasferito a (OMISSIS) e (OMISSIS), al quale ultimo erano poi succedute le figlie (OMISSIS) ed (OMISSIS), il solo diritto di passo sulla corte, senza possibilita' di parcheggio o sosta temporanea. Si costituivano i convenuti, resistendo alla domanda e rivendicando la comunione della corte oggetto di causa, in ragione della norma di cui all'articolo 1117 c.c.. Eccepivano inoltre la nullita' della clausula convenzionale sulla cui base gli attori avevano proposto la domanda, per violazione dell'articolo 1100 c.c., articolo 1102 c.c., comma 2, e articolo 1117 c.c.. Con sentenza n. 195/2016 il Tribunale di Lecco accoglieva la domanda. A seguito di appello interposto dai convenuti in prime cure, la Corte di Appello di Milano, con la sentenza impugnata, n. 1131/2017, riformava la decisione di primo grado, rigettando la domanda proposta da (OMISSIS) e (OMISSIS). Questi ultimi propongono ricorso per la cassazione della ridetta decisione, affidandosi a quattro motivi. Resistono con controricorso (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Il ricorso e' stato chiamato all'adunanza camerale del 16.02.2022, in prossimita' della quale ambo le parti hanno depositato memoria. In esito alla camera di consiglio, e' stato rinviato a nuovo ruolo affinche' fosse trattato in udienza pubblica. In prossimita' dell'udienza pubblica, ambo le parti hanno depositato memoria. Il P.G., nella persona del Sostituto Dott. Tommaso Basile, ha depositato conclusioni scritte con le quali ha invocato il rigetto del ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli articoli 1117 e 1322 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche' la Corte di Appello avrebbe affermato che la corte oggetto di causa (distinta dal mappale 586) apparteneva, pro quota, a tutti gli acquirenti delle unita' immobiliari derivate dall'originaria unica cascina, senza considerare che per espressa clausula contrattuale, contenuta nella compravendita con la quale i danti causa degli odierni controricorrenti avevano acquistato la loro porzione immobiliare, era stato loro trasferito il solo diritto di uso, e non anche la comproprieta', della corte di cui si discute. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione degli articoli 1362 e 1322 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche' il Giudice di merito avrebbe dovuto escludere la corte dalle parti comuni di cui all'articolo 1117 c.c., desumendo l'esistenza di un titolo contrario dalla clausola convenzionale con la quale era stato trasferito ai danti causa dagli odierni controricorrenti il solo diritto di uso, e non anche la comproprieta', dell'area in discussione. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione dell'articolo 1362 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche' la Corte di Appello non avrebbe adeguatamente considerato l'effettiva volonta' delle parti, che - con la clausola convenzionale di cui anzidetto - avevano espressamente voluto escludere il trasferimento, in capo ai danti causa degli odierni controricorrenti, del diritto di comproprieta' sulla corte controversa. Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano infine l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, perche' la Corte distrettuale non avrebbe operato una disamina compiuta del contratto di compravendita del 1992, nel quale era stata inserita la clausula convenzionale di cui alle precedenti censure. Il primo, secondo e terzo motivo, suscettibili di esame congiunto, sono in parte inammissibili ed in parte infondati. In particolare, sono inammissibili nella parte in cui prospettano un vizio incidente sull'interpretazione del contratto, senza indicare quale sarebbe, in concreto, il criterio interpretativo che il giudice di merito avrebbe violato. In proposito, occorre ribadire che "La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell'interpretazione di una clausola contrattuale, non puo' limitarsi a richiamare le regole di cui all'articolo 1362 c.c. e ss., avendo invece l'onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l'interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiche' quest'ultima non deve essere l'unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicche', quando di una clausola contrattuale sono possibili due o piu' interpretazioni, non e' consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimita' del fatto che fosse stata privilegiata l'altra" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018, Rv. 649677; in precedenza, nello stesso senso, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 25728 del 15/11/2013, Rv. 628585). Nel caso di specie, i ricorrenti non soddisfano le richiamate condizioni, ma si limitano a contrapporre alla non implausibile ricostruzione della volonta' delle parti condotta dal giudice di merito una differente ed alternativa lettura del dato negoziale. I primi tre motivi sono, invece, infondati nella parte in cui propongono la tesi secondo cui la previsione, nel contratto di compravendita del 1992 dal quale gli odierni controricorrenti traggono il loro titolo, del trasferimento a questi ultimi del diritto di usare la corte di cui si discute escluderebbe il loro diritto di comproprieta' sulla stessa. I concetti di proprieta' ed uso, in realta', sono diversi e non confondibili tra loro: la prima va accertata in base alla natura del bene ed ai relativi titoli di provenienza, mentre il secondo va apprezzato in relazione all'effettiva utilizzazione che del bene stesso viene fatta. Nel caso di specie, la Corte di Appello ha accertato la proprieta' comune dell'area oggetto di causa innanzitutto base alla natura del bene, rilevando che esso, in quanto corte, rientra nell'elenco di cui all'articolo 1117 c.c.. La statuizione e' corretta, dovendosi dare continuita' al principio secondo cui "In tema di condominio negli edifici, l'individuazione delle parti comuni, come le terrazze di copertura, risultante dall'articolo 1117 c.c. - il quale non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria - puo' essere superata soltanto dalle opposte risultanze di un determinato titolo e non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o piu' unita' immobiliari" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 7449 del 07/07/1993, Rv. 483033; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24189 del 08/09/2021, Rv. 662169). L'articolo 1117 c.c., in altri termini, non introduce una presunzione di appartenenza comune di determinati beni a tutti i condomini, ma fissa un criterio di attribuzione della proprieta' del bene, che e' suscettibile di essere superato mediante la produzione di un titolo che dimostri la proprieta' esclusiva di quel bene in capo ad un condomino, o a terzi, ovvero attraverso la dimostrazione che la res, per le sue caratteristiche strutturali, sia materialmente asservita a beneficio esclusivo di una o piu' unita' immobiliari comprese nel condominio. In relazione ai cortili, in particolare, si e' affermato che "I cortili (e, successivamente all'entrata in vigore della L. n. 220 del 2012, le aree destinate a parcheggio) rientrano, salvo una espressa riserva di proprieta' nel titolo originario di costituzione del condominio, tra le parti comuni dell'edificio e la loro trasformazione in un'area edificabile destinata alla installazione, con stabili opere edilizie, di autorimesse a beneficio soltanto di alcuni condomini, sebbene possa incidere sulla regolamentazione del loro uso, non ne comporta, sotto il profilo dominicale, una sottrazione al regime della condominialita'" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16070 del 14/06/2019, Rv. 654086; nel caso specifico, questa Corte aveva evidenziato come la realizzazione delle autorimesse nel cortile condominiale, sia pure in base ad una concessione rilasciata su richiesta di alcuni condomini, ne aveva determinato, in assenza di accordo rivestente la forma scritta, l'acquisto, per accessione e pro indiviso, in favore di tutti i condomini). Ed ancora, che "In tema di condominio, l'apertura di finestre ovvero la trasformazione di luci in vedute su un cortile comune rientra nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell'articolo 1102 c.c., considerato che i cortili comuni, assolvendo alla precipua finalita' di dare aria e luce agli immobili circostanti, sono utilmente fruibili a tale scopo dai condomini stessi, cui spetta la facolta' di praticare aperture che consentano di ricevere, appunto, aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte, in materia di luci e vedute, a tutela dei proprietari degli immobili di proprieta' esclusiva. In proposito, l'indagine del giudice di merito deve essere indirizzata a verificare esclusivamente se l'uso della cosa comune sia avvenuto nel rispetto dei limiti stabiliti dal citato articolo 1102, e, quindi, se non ne sia stata alterata la destinazione e sia stato consentito agli altri condomini di farne parimenti uso secondo i loro diritti: una volta accertato che l'uso del bene comune sia risultato conforme a tali parametri deve, percio', escludersi che si sia potuta configurare un'innovazione vietata" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13874 del 09/06/2010, Rv. 613241). Il cortile del fabbricato, dunque, assolve alla primaria funzione di fornire aria e luce alle varie unita' immobiliari che presentano aperture su di esso, e per questo motive esso rientra nell'ambito delle parti comuni dell'edificio. Nel caso di specie, la Corte di Appello ha ritenuto, all'esito di un accertamento in punto di fatto, non implausibile e non utilmente censurabile in sede di legittimita', che lo spazio oggetto di causa avesse, per sua natura, proprio la funzione di essere "... posto a servizio degli edifici che su di esso si affacciavano, quale loro accessorio, destinato all'utilizzo comune, non potendosi riconoscere in favore dell'uno ovvero dell'altro proprietario dei mappati confinanti un titolo di comproprieta' idoneo ad escludere dal relativo godimento e dalla relativa destinazione comune il cortile medesimo, posto a servizio di determinate porzioni di fabbricato affacciate su di esso piuttosto che di altre" (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata). La Corte di merito ha poi proseguito, affermando che "In tale contesto, una volta individuata la destinazione comune del mappale in oggetto, non pare condivisibile l'obiezione sollevata dalla difesa di parte appellata che, al contrario, ha desunto il diritto dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) di non alienare in favore degli appellanti neppure una quota ideale della corte comune in considerazione del dato letterale, riportato nel rogito del 1992, secondo il quale il diritto alla corte comune sarebbe stato mantenuto dai venditori sul mappale 591/1 rimasto di loro proprieta' e non gia' sul mappale 591/2 venduto alle appellanti senza tale riferimento, attesa l'omissione della dicitura "con diritto alla corte n. 586". Ed invero, premesso che tale omissione, qualora derivata da un errore di accatastamento, non puo' in alcun modo incidere sulla titolarita' del bene, attesa la rilevanza puramente amministrativa di tale atto, unilaterale, inidoneo a sottrarre il bene alla comunione (in termini, Cass. sez. II, 28 luglio 2015, n. 15929; Cass. sez. II, 7 maggio 2010, n. 11195) si deve ritenere che, una volta accertata la destinazione a servizio comune di un immobile, come nell'ipotesi di una corte, operando la presunzione di cui all'articolo 1117 c.c., non possa il singolo comproprietario alienare una parte della sua proprieta' senza il relativo accessorio che ne e' a servizio, determinando l'atto dispositivo la privazione in capo all'acquirente della quota del bene comune posto a servizio di esso" (cfr. sempre pag. 7). In tal modo, la Corte di Appello ha in sostanza affermato che, una volta accertato che un determinato bene, per la sua funzione, rientra nelle parti comuni dell'edificio, si configura un vincolo di accessorieta' necessaria tra esso e le singole porzioni dell'edificio oggetto di proprieta' individuale, tale che il trasferimento di una delle seconde implica ope legis la cessione anche di tutti i correlati diritti sulle parti comuni dello stabile. Il principio e' in linea con l'insegnamento di questa Corte, secondo cui, in linea di principio "... le vicende traslative riguardanti i piani o le porzioni di piano di proprieta' individuale estendono i loro effetti, secondo il principio accessorium sequitur principale, alle parti comuni necessarie per la struttura o destinate per la funzione al servizio degli immobili di proprieta' solitaria" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4931 del 27/04/1993, Rv. 482080; conf. Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 22361 del 26/10/2011, Rv. 619480). Il principio subisce una eccezione soltanto in relazione alle "... cose legate all'edificio da mera relazione spaziale, costituenti beni ontologicamente diversi suscettibili di godimento separato rispetto al fabbricato condominiale": ipotesi, quest'ultima, per la cui configurazione occorre tuttavia un accertamento in punto di fatto che, nella specie, il Giudice di appello ha escluso. La Corte distrettuale, inoltre, ha ricostruito la storia dell'immobile, affermando che esso apparteneva in origine ad un unico proprietario ed era stato poi, nelle sue porzioni corrispondenti alle attuali proprieta' delle parti in causa, oggetto di successivi atti di disposizione (cfr. pag. 6 della sentenza); ed ha evidenziato che gli odierni ricorrenti non avevano allegato l'esistenza di un titolo contrario, idoneo a dimostrare la loro proprieta' esclusiva dell'area scoperta. In tal senso va letta l'affermazione contenuta a pag. 9 della sentenza impugnata, secondo cui "Si deve rilevare, sotto il profilo letterale, come la clausola non appaia espressione di un accordo, non appena si consideri come in essa le parti del rogito si siano, infatti, limitate semplicemente ad una sorta di ricognizione (relatio) di una situazione pregressa, risalente nel tempo l'origine e il titolo della quale peraltro non sono stati individuati, attestata dall'utilizzo dell'espressione "la parte acquirente prende atto che sulla corte al mappale 586 avranno diritto di esercitare solo il diritto di passo senza possibilita' neppure temporanea di sosta di automezzi". Il giudice di merito, dunque, ha escluso entrambe le condizioni che, ai sensi dell'articolo 1117 c.c., consentono il superamento della regola di attribuzione della proprieta' dei beni elencati dalla norma: da un lato, infatti, ha rilevato che la corte oggetto di causa rientra, in ragione della sua funzione, nell'ambito delle parti comuni dell'edificio; e, dall'altro lato, ha ritenuto che gli odierni ricorrenti non avessero fornito la prova di un titolo idoneo a superare la regola di attribuzione della proprieta' delle porzioni comuni dell'edificio fissata dal gia' richiamato articolo 1117 c.c.. Con riferimento, inoltre, alla clausola - contenuta nel contratto di acquisto dei danti causa degli odierni controricorrenti - secondo cui a questi ultimi era stato trasferito il solo diritto di passaggio sulla corte comune, la Corte lombarda ha evidenziato che qualora con essa "... le parti del rogito avessero voluto costituire una servitu' sul cortile comune, di solo passaggio con esclusione del diritto di sosta e parcheggio, certamente tale costituzione avrebbe richiesto la partecipazione di tutti gli altri comproprietari della corte gravata in tali termini, ipotesi nel caso di specie non verificatasi, non avendo gli altri comproprietari partecipato all'atto" (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata). Tale passaggio della motivazione, che esprime una ulteriore ratio della decisione, non e' stato specificamente attinto dalle censure in esame: con esso, il giudice di merito ha escluso che la clausola in esame possa essere ritenuta valida, sub specie di convenzione istitutiva di un diritto di servitu' sulla cosa di proprieta' comune, in difetto di partecipazione all'atto di tutti i comproprietari del fondo servente. Alle considerazioni sin qui riferite occorre aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente affermato che "La pattuizione avente ad oggetto l'attribuzione del cd. "diritto reale di uso esclusivo" su una porzione di cortile condominiale, costituente, come tale, parte comune dell'edificio, mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, idoneo ad incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune, sancito dall'articolo 1102 c.c., e' preclusa dal principio, insito nel sistema codicistico, del numerus clausus dei diritti reali e della tipicita' di essi. Ne consegue che il titolo negoziale che siffatta attribuzione abbia contemplato implica di verificare, nel rispetto dei criteri di ermeneutica applicabili, se, al momento di costituzione del condominio, le parti non abbiano voluto trasferire la proprieta' ovvero, sussistendone i presupposti normativi previsti e, se del caso, attraverso l'applicazione dell'articolo 1419 c.c., costituire un diritto reale d'uso ex articolo 1021 c.c., ovvero, ancora se sussistano i presupposti, ex articolo 1424 c.c., per la conversione del contratto volto alla creazione del diritto reale di uso esclusivo in contratto avente ad oggetto la concessione di un uso esclusivo e perpetuo (ovviamente inter partes) di natura obbligatoria" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 28972 del 17/12/2020, Rv. 659712). In tal modo da un lato si e' ribadito che il cortile dell'edificio rientra, in linea di principio, nel novero delle parti comuni soggette alla regola di attribuzione della proprieta' di cui all'articolo 1117 c.c., e che spetta al giudice di merito indagare se la clausola convenzionale attributiva, ad un solo condomino, di un diritto reale di uso esclusivo su una parte del cortile predetto possa essere interpretata, alla luce dei criteri fissati dall'articolo 1362 c.c. e ss. c.c., come pattuizione idonea a trasferire la proprieta' del cespite, ovvero a costituire un diritto d'uso, di natura reale (ex articolo 1021 c.c.) ovvero obbligatoria (con efficacia limitata, in tale seconda ipotesi, alle sole parti stipulanti). E, dall'altro lato, si e' precisato che, in ogni caso, non e' consentito istituire, per via convenzionale, un "diritto reale di uso esclusivo" su una parte comune dell'edificio, estraneo al numerus clausus dei diritti reali, poiche' in tal modo si violerebbe il principio di tipicita' dei diritti reali e si priverebbe di concreto contenuto il diritto dei condomini all'uso paritario della cosa comune, sancito dall'articolo 1102 c.c.. La Corte di Appello ha fatto corretta applicazione dei vari principi sin qui richiamati. Ha infatti, in primo luogo, esaminato la natura e la funzione del bene oggetto di causa, ravvisando la sua inclusione nell'ambito delle parti comuni dell'edificio ed applicando, di conseguenza, il criterio attribuitivo della proprieta' di cui all'articolo 1117 c.c. In secondo luogo, ha indagato sull'esistenza di un titolo convenzionale idoneo a superare il predetto criterio generale di attribuzione della proprieta', interpretando la clausola che attribuiva ai danti causa degli odierni controricorrenti il "diritto di passo senza possibilita' neppure temporanea di sosta di automezzi" ed escludendo che essa fosse espressione di un accordo sulla riserva di proprieta' del cortile in capo alla parte cedente; di conseguenza, ha ritenuto che gli odierni ricorrenti non avessero fornito idonea prova circa la proprieta' esclusiva della corte oggetto di causa. Infine, ha considerato la possibilita' di attribuire alla clausola convenzionale di cui anzidetto una efficacia in termini di istituzione di un diritto reale sulla corte, escludendo anche tale eventualita', in assenza di partecipazione al rogito di tutti i comproprietari dell'ipotetico fondo servente. Il quarto motivo e' invece inammissibile. La censura di insufficiente e contraddittoria motivazione non appartiene piu' al perimetro dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, a seguito della novella operata con il Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, convertito in L. n. 134 del 2012. Quanto invece al profilo dell'omissione della valutazione del contenuto del rogito del 1992, esso non sussiste, posto che la Corte di Appello ha esaminato detto contratto, e la clausula convenzionale in esso contenuta, interpretandola alla luce dei principi affermati da questa Corte, sulla base di un apprezzamento in fatto, circa la funzione assolta dalla corte oggetto di causa, non implausibile e non censurabile in questa sede. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio di legittimita', liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto - ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater - della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell'impugnazione, se dovuto. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimita', che liquida in Euro 3.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da' atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente Dott. CARRATO Aldo - Consigliere Dott. GRASSO Giuseppe - rel. Consigliere Dott. DONGIACOMO Giuseppe - Consigliere Dott. AMATO Cristina - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 477/2017 R.G. proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), e rappresentata e difesa dall'avvocato (OMISSIS); - ricorrente - contro (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS), E (OMISSIS), che la rappresentano e difendono; - c.ricorrente r.incidentale - avverso la sentenza n. 481/2016 della CORTE D'APPELLO di PERUGIA, depositata il 19/10/2016; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/05/2022 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO. FATTI DI CAUSA 1. La vicenda processuale, per qual che qui rileva, puo' sintetizzarsi nei termini che seguono. 1.1. (OMISSIS) cito' in giudizio (OMISSIS), erede universale di (OMISSIS), chiedendo che la convenuta fosse condannata a chiudere talune vedute dirette aperte sul fondo attoreo in violazione dell'articolo 905 c.c., e a risarcire il danno. La convenuta si difese assumendo che il terreno circostante, sul quale veniva praticato l'affaccio, era di sua esclusiva proprieta' e, in via di subordine, che il predetto fondo costituiva parte comune indivisa delle unita' immobiliari che su di esso si affacciavano. 1.1.1. Il Tribunale, accolta la domanda principale e rigettata quella riconvenzionale, condanno' la convenuta a eliminare le vedute. 1.1.2. La Corte d'appello di Perugia, rigettata l'impugnazione della (OMISSIS), confermo' la decisione di primo grado. 2. (OMISSIS) proponeva ricorso avverso quest'ultima sentenza sulla base di tre motivi e l'intimata resisteva con controricorso, in seno al quale avanzava ricorso incidentale tardivo condizionato, articolato su un solo motivo. Entrambe le parti indi depositavano memorie illustrative. 3. Venuto il processo in trattazione all'adunanza camerale del 10/9/2021, il Collegio disponeva la trattazione in pubblica udienza. Fissata pubblica udienza, non essendo pervenuta dalle parti e dal P.G. richiesta di discussione orale, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8 bis, convertito nella L. n. 176 del 2000, si e' proceduto in Camera di consiglio. All'approssimarsi della pubblica udienza (OMISSIS) depositava ulteriore memoria. Il P.G. ha fatto pervenire le sue conclusioni scritte, con le quali ha concluso "per l'accoglimento del terzo motivo del ricorso principale per la declaratoria di inammissibilita' degli altri motivi del ricorso principale e di quello incidentale". RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo e il secondo motivo, tra loro correlati, la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., omesso esame di un fatto controverso e decisivo, nonche' violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c.. Assume la (OMISSIS) che la sentenza impugnata aveva reso motivazione contraddittoria in ordine alla proprieta' del terreno sul quale le vedute si affacciavano, specie confrontando la relazione del ctu con le affermazioni della Corte d'appello, la quale, dopo aver sostenuto non essersi potuto appurare a chi si appartenesse il terreno, senza rendere spiegazione confermava la statuizione di primo grado. 1.1. L'insieme censuratorio non supera lo scrutinio d'ammissibilita'. 1.1.1. In primo e assorbente luogo la critica non coglie, nel suo complesso, la "ratio decidendi". La sentenza, dopo avere affermato che "in piu' parti dell'appello si sostiene che, nella incertezza di univoca indicazione degli atti notarili si possa fare riferimento alle risultanze catastali e questa e' espressamente qualificata come corte comune (cfr. pag. 18 dell'atto d'appello)", conclude in punto di diritto, con manifestata adesione alla sentenza di questa Corte n. 12989/2008, nel senso che "in tema di rispetto delle distanze legali per l'apertura di luci e vedute, le prescrizioni contenute nell'articolo 905, si applicano anche quando lo spazio su cui si apre la veduta sia comune, in quanto in comproprieta' tra le parti in causa, poiche' la qualita' comune del bene su cui ricade la veduta non esclude il rispetto delle distanze predette" (603543). Una tale "ratio decidendi", che rende vana l'eccezione riconvenzionale (cosi' espressamente qualificata anche con l'atto d'appello) di proprieta' esclusiva dell'area, non risulta precipuamente attinta dalle critiche di cui sopra. 1.1.2. In disparte e' appena il caso di soggiungere che l'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato del Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell'articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisivita'", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se', il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche' la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (S.U. n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629831). 1.1.3. Sotto altro profilo, la doglianza investe inammissibilmente l'apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso l'escamotage dell'evocazione dell'articolo 116, c.p.c., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., non puo' porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299). Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite in epoca recente (sent. n. 20867, 30/09/2020, conf. Cass. n. 16016/2021), essendosi affermato che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell'articolo 116 c.p.c., e' ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo "prudente apprezzamento", pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura e' ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimita' sui vizi di motivazione (Rv. 659037). E inoltre che per dedurre la violazione dell'articolo 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita' di ricorrere al notorio), mentre e' inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita' valutativa consentita dall'articolo 116 c.p.c. (Rv. 659037). 1.1.4. Infine va osservato che si avrebbe violazione dell'articolo 2697 c.c., nel caso in cui il giudice ponesse a carico della parte non onerata dalla legge il carico probatorio, non gia' allorquando, rispettato il riparto dell'onere, sulla base delle emergenze istruttorie, ricostruisca la vicenda fattuale, diversamente da come pretenda il ricorrente (cfr., ex multis, Cass. n. 17313/2020). 2. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 905 c.c., in relazione all'articolo 1102 c.c., nonche' l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo. Sostiene la (OMISSIS) che, in aderenza alle indicazioni di legittimita', poiche' "nemini res sua servit", sui cortili condominiali o comunque comuni ognuno dei proprietari degli immobili che su di essi si affacci puo' aprire luci e vedute senza rispettare le distanze. 2.1. Il motivo deve essere rigettato. Secondo un primo orientamento (quello a cui fa riferimento la ricorrente) questa Corte aveva manifestato l'avviso che l'apertura di finestre su area di proprieta' comune ed indivisa tra le parti costituisce opera inidonea all'esercizio di un diritto di servitu' di veduta, sia per il principio "nemini res sua servit", che per la considerazione che i cortili comuni, assolvendo alla precipua finalita' di dare aria e luce agli immobili circostanti, sono ben fruibili a tale scopo dai condomini, cui spetta, pertanto, anche la facolta' di praticare aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte, in tema di luci e vedute, a tutela dei proprietari dei fondi confinanti di proprieta' esclusiva, con il solo limite, posto dall'articolo 1102 c.c., di non alterare la destinazione del bene comune o di non impedirne l'uso da parte degli altri comproprietari (Sez. 2, n. 20200, 19/10/2005, Rv. 584211; conf., ex multis, Cass. n. 4386/2007, Cass. n. 13874/2010). Successivamente, dando continuita' all'indirizzo un tempo minoritario (si veda, ad es., Cass. n. 12989/2008 cit.), questa Corte si e' discostata radicalmente da quell'orientamento con giurisprudenza piu' volte reiterata, anche assai di recente, che il Collegio pienamente condivide, statuendo che nel caso di comunione di un cortile sito fra edifici appartenenti a proprietari diversi, l'apertura di una veduta da una parete di proprieta' individuale verso lo spazio comune rimane soggetta alle prescrizioni contenute nell'articolo 905 c.c., finendo altrimenti per imporre di fatto una servitu' a carico della cosa comune, senza che operi, al riguardo, il principio di cui all'articolo 1102 c.c., in quanto i rapporti tra proprieta' individuali e beni comuni finitimi sono disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprieta' contigue o asservite; ne' puo' invocarsi, al fine di escludere la configurabilita' di una servitu' di veduta sul cortile di proprieta' comune, il principio "nemini res sua servit", il quale trova applicazione soltanto quando un unico soggetto e' titolare del fondo servente e di quello dominante e non anche quando il proprietario di uno di essi sia anche comproprietario dell'altro (Sez. 2, n. 7971, 11/03/2022, Rv. 664315; conf. Sez. 2, n. 26807, 21/10/2019, Rv. 655658; Sez. 2, n. 26807/2019). 3. In considerazione dell'epilogo il ricorso incidentale condizionato resta assorbito. 4. Il mutamento di giurisprudenza giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimita'. 5. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si da' atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto. P.Q.M. rigetta il ricorso, dichiara assorbito quello incidentale condizionato e compensa le spese. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17), si da' atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni - Presidente Dott. CARRATO Aldo - Consigliere Dott. GRASSO Giuseppe - rel. Consigliere Dott. VARRONE Luca - Consigliere Dott. OLIVA Stefano - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 1956/2017 R.G. proposto da: (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi dall'avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti; - ricorrenti - contro (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti; - controricorrente e ricorrente incidentale - avverso la sentenza n. 2521/2016 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 09/11/2016; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/03/2022 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENNICOLA Aldo, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi; udito l'avvocato (OMISSIS), difensore dei ricorrenti, che si riporta agli atti difensivi e chiede l'accoglimento dei quattro motivi di ricorso e l'inammissibilita' del controricorso con ricorso incidentale; udito l'avvocato (OMISSIS), difensore del controricorrente incidentale, che si riporta agli atti difensivi depositati e chiede il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento del ricorso incidentale. FATTI DI CAUSA La vicenda al vaglio, per quel che qui rileva, venne sintetizzata da questa Corte, con la sentenza n. 20815/2015: "1) (OMISSIS) ha agito contro il fratello (OMISSIS), citandolo avanti al tribunale di Padova per chiedere il rispetto delle distanze legali del fabbricato sito in (OMISSIS) (particolo (OMISSIS)), la dismissione dell'uso commerciale della terrazza in ossequio alla servitu' accordata nell'atto divisionale intervenuto nel 1971 e l'accertamento della linea di confine tra la proprieta' contemplata nel detto atto (pag. 90 del ricorso). Come riferisce la sentenza di appello, il convenuto ha eccepito "l'intervenuta usucapione della porzione di immobile dell'attore asseritamente occupata" e del diritto di servitu' di mantenere opere a distanza inferiore a quella legale. Il tribunale nel dicembre 2005 ha in buona parte accolto le domande. La Corte appello di Venezia con sentenza 11 gennaio 2010 ha invece accolto l'eccezione di usucapione relativa a tutte le opere "poste in essere", completate da (OMISSIS) nell'anno 1972, essendo stata la domanda proposta il 1 dicembre 1992, dopo la maturazione del termine utile". A questo punto occorre soggiungere che con la anzidetta sentenza n. 20815/2015 questa Corte, alla quale (OMISSIS) si era rivolto con rituale ricorso, accolse il quarto motivo, rigetto' il primo, il secondo e il terzo, dichiaro' assorbiti gli altri e casso' la decisione impugnata con rinvio. Con il quarto motivo il ricorrente si era doluto del fatto che la Corte d'appello avesse assegnato valore di piena prova alla dichiarazione resa dal fratello (OMISSIS) al Comune di (OMISSIS), il 16/4/1986, al fine di ottenere concessione in sanatoria, con la quale il predetto aveva affermato che i lavori avevano avuto inizio e fine nell'anno 1972. La sentenza di legittimita' ribadi' il principio secondo il quale "la parte non puo' derivare elementi di prova a proprio favore, ai fini del soddisfacimento dell'onere di cui all'articolo 2697 c.c., da proprie dichiarazioni non asseverate da terzi (Cass. 5321/06)", avendo l'atto di notorieta' e l'autocertificazione in genere "attitudine certificativa e probatoria nei rapporti con la pubblica amministrazione, essendo viceversa priva di efficacia in sede giurisdizionale nelle liti tra privati (Cass. 18856/04; 4556/14)". Di conseguenza il Giudice del merito avrebbe dovuto "utilizzare con massima cautela, e senza conferirle decisivo valore, la dichiarazione sostitutiva dell'atto notorio proveniente dalla parte interessata". Da cio', prosegue la sentenza, "A ben vedere invece lo stesso giudizio d'inammissibilita' della prova testimoniale dedotta dal ricorrente e' stato reso muovendo dal presupposto del valore di quanto desumibile dalla dichiarazione sostitutiva. Ha quindi motivo parte ricorrente a dolersi di questa mancata ammissione nell'ambito della censura relativa alla violazione dell'articolo 2697 c.c., svolta con il quarto motivo". (OMISSIS) riassumeva la causa davanti al Giudice del rinvio nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), tutti eredi di (OMISSIS). La Corte d'appello di Venezia, con la sentenza di cui in epigrafe, per quel che qui rileva, accolto l'appello principale e rigettato quello incidentale, accerto' il confine e confermo' la statuizione di condanna all'arretramento e alla demolizione di cui alla sentenza di primo grado, tenendo conto della linea di confine. Avverso quest'ultima decisione propone ricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla base di quattro motivi. (OMISSIS) resiste con controricorso, in seno al quale avanza ricorso incidentale sulla base di due motivi. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative. Con ordinanza emessa all'epilogo dell'adunanza camerale del 28/10/2021 la causa venne rimessa alla pubblica udienza, all'approssimarsi della quale i ricorrenti hanno depositato memoria. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 1158 c.c.. La sentenza impugnata aveva escluso il compimento del ventennio affermando che (OMISSIS) non aveva dimostrato che "i lavori fossero finiti entro (OMISSIS)", invece avrebbe dovuto valutare se le emergenze probatorie "consentissero ritenere che alla data del (OMISSIS), esistessero elementi strutturali idonei a rivelare un ampliamento non conforme agli accordi divisionali e alle norme sulle distanze". 1.1. Il motivo e' infondato. I ricorrenti richiamano il principio di cui alla sentenza n. 11052/2016 (Rv. Rv. 639938), con il quale si e' ribadito che al fine della determinazione del "dies a quo" per l'usucapione del diritto di servitu' costituito dal mantenimento di una determinata opera a distanza illegale deve farsi riferimento non al momento di inizio della costruzione bensi' a quello nel quale questa sia venuta ad esistenza, merce' la realizzazione di elementi strutturali ed essenziali, idonei a rivelare anche al titolare del fondo servente l'esistenza di uno stato di fatto coincidente con l'esercizio di un diritto reale di servitu'. Difatti, condiviso il principio evocato, tuttavia, non e' dubbio essere onere di colui che pretenda di avere usucapito provare di aver posto in esistenza gli elementi strutturali ed essenziali di cui sopra. Ovviamente il vaglio di una tale prova, facente parte del complessivo accertamento di merito, non puo' essere sindacato in questa sede. E' del tutto evidente che attraverso la denunzia di violazione di legge (nella specie l'articolo 1158 c.c.) i ricorrenti sollecitano - non determinando essa, nel giudizio di legittimita' lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l'accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all'evidenza, occorrente che l'accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente - un improprio riesame di merito (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459). 2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione degli articoli 115 e 244 c.p.c.. Secondo l'assunto impugnatorio la Corte veneta aveva errato a escludere ogni valore probatorio alla dichiarazione resa dal convenuto alla p.a., che, invece, secondo le indicazioni della sentenza di legittimita', andava apprezzata alla luce degli altri elementi di prova. Altro errore era stato commesso a giudicare inammissibile la prova orale (teste (OMISSIS)) richiesta dall'esponente in sede d'appello e riproposta davanti al giudice del rinvio. 2.1. Il motivo non supera lo scrutinio d'ammissibilita', in quanto diretto, piuttosto palesemente, a censurare le decisioni istruttorie di merito. La Corte d'appello ha giudicato inammissibili le prove richieste da (OMISSIS) a condizione che fossero state ammesse quelle richieste da (OMISSIS); poiche' quest'ultime non furono ammesse le istanze in parola non avrebbero potuto comunque essere esaminate. Il capitolo di prova, al quale avrebbe dovuto essere sottoposto (OMISSIS) e' stato valutato generico, sia dal punto di vista temporale che delle circostanze, oltre che in contrasto con le stesse dichiarazioni di (OMISSIS). Pur potendosi condividere il criterio di non formalistico rigore con il quale deve vagliarsi la specificita' del motivo in ordine ai fatti, deve rilevarsi che, qui la precisa indicazioni delle opere compiute "invito domino", risultava decisiva e la ponderazione della decisivita' probatoria resta insindacabilmente assegnata alla motivata statuizione del giudice del merito (cfr. Cass. nn. 10371/1995, 8385/1997 e di recente Cass. n. 2149/2021, pur chiarendo che la valutazione deve essere effettuata non solo alla stregua della formulazione letterale, ma ponendo il loro contenuto in relazione agli altri atti di causa e alle deduzioni delle altre parti). Invero, il principio invocato dal ricorrente, riprendendo anche un richiamo ai precedenti operato da questa Corte, con la sentenza n. 25958/2015, trova giustificazione e spiegazione in relazione all'oggetto della prova, cosicche', qualora questa riguardi un comportamento o un'attivita' che si frazioni in circostanze molteplici, e' sufficiente la precisazione della natura di detto comportamento o di detta attivita', in modo da permettere alla controparte di contrastarne la prova attraverso la deduzione e l'accertamento di attivita' o comportamenti di carattere diverso, spettando peraltro al difensore e al giudice, durante l'esperimento del mezzo istruttorio, una volta che i fatti siano stati indicati nei loro estremi essenziali, l'eventuale individuazione dei dettagli (Sez. 1, n. 11844, 19/5/2006, Rv. 589395). Nel caso di cui alla massima richiamata, si trattava, appunto, nell'ambito di obbligazioni nascenti dal matrimonio, di provare fatti e circostanze afferenti ontologicamente ai comportamenti, spesso minuti e scarsamente riportabili in un perimetro fissamente definibile apriori. Qui, per contro, risultava indispensabile individuare con puntualita' le opere e il tempo della loro realizzazione, opera d'individuazione, questa, pienamente esigibile trattandosi, appunto di fatti materiali distintamente apprezzabili, che andava sottoposta al giudice del merito. 3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 112 c.p.c.. Afferma i ricorrenti che la Corte d'appello si era pronunciato oltre la domanda, poiche' la controparte aveva chiesto demolizione e rimessione in pristino dei soli lavori abusivi, difformi rispetto al progetto del 1971. 3.1. La doglianza e' inammissibile. La censura difetta di specificita': i ricorrenti omettono di precisare, con la necessaria puntualita', quali fossero i manufatti in relazione ai quali si sarebbe consumato il vizio denunciato e rimettono, del tutto impropriamente, al giudizio di legittimita' un'articolata indagine di fatto, implicante la verifica dei luoghi e l'esame del progetto del 1971. 4. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione degli articoli 873 e 875 c.p.c., per essere stata giudicata illegittima "l'applicazione dell'istituto della costruzione in prevenzione al caso di specie". I ricorrenti riportano il contenuto della variante parziale al piano regolatore generale del Comune di (OMISSIS) (D.G.R.V. 806/08-D.G.R.V. 2699/09 norme tecniche di attuazione articolo 11, lett B - Distanza dai confini di proprieta'), secondo il quale "La distanza e' fissata dalle norme relative Z.T.O. quando sul lotto limitrofo esista costruzione a confine, e' consentita la costruzione o ricostruzione di altri edifici in aderenza, salvo i diritti precostituiti (per luci, vedute, impianti tecnologici esistenti, etc.) con la possibilita' del loro sviluppo in altezza fino al limite previsto dalle norme di zona; valgono, inoltre, le disposizioni indicate negli articoli 875 e 877 c.c., nel qual caso si applicano". Riportano, altresi', il seguente stralcio delle norme tecniche di attuazione approvato nel febbraio del 2014: "Per gli edifici esistenti sono sempre ammessi interventi di modifica delle facciate (luci, vedute, ecc.) e degli aggetti (cornici, pensiline, poggioli, terrazze ecc.), nei limiti fissati dalle N.T.A. e dal R.E., nel rispetto degli articoli 873 e 875 del c.c. e del D.I. n. 1444 del 1968, in ordine alla distanza dei fabbricati dai confini". Concludono affermando che, in contrasto con quanto statuito dalla sentenza impugnata, le attuali norme tecniche di attuazione annesse al piano regolatore generale attribuivano al ricorrente il diritto di costruire in aderenza. 4.1. Il motivo e' inammissibile. Volendo superare la formulazione dello stesso, a tratti inestricabilmente confusa, il vaglio e' precluso dal concorrere delle seguenti considerazioni. Viene posta una questione nuova: nel giudizio d'appello (OMISSIS) aveva invocato l'applicazione dell'articolo 9 delle N.T.A., ora, per contro, viene evocato l'articolo 11 N.T.A., che consentirebbe la costruzione in aderenza. L'applicazione del predetto articolo 11, presuppone un accertamento in fatto inammissibile in sede di legittimita', occorrendo verificare l'esistenza di una costruzione al di la' del confine cui "aderire" (circostanza questa decisamente negata dalla controparte). La prospettazione difetta di specificita' quanto alla indicazione del manufatto cui intende riferirsi e alla sua collocazione rispetto al confine. Inoltre deve soggiungersi che: - con la sentenza di primo grado del 2005 venne affermato che la costruzione di (OMISSIS) violava la distanza legale minima dal confine di m. 5, oltre a costituire illegittimo aggravamento della servitu' di veduta; - con la sentenza d'appello le opere vennero giudicate legittime per avere l'appellante acquisito il diritto a mantenerle per usucapione; - con la sentenza di legittimita' la sentenza d'appello venne cassata proprio in merito alla declaratoria d'usucapione; - la tematica sviluppata ora dal ricorrente, il quale neppure ci dice di averla coltivata prima e dove, risulta nuova anche sotto questo profilo. 5. Con il primo motivo del ricorso incidentale viene denunciato l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo. 5.1. All'evidenza, trattasi d'anelito a un improprio riesame di merito, il cui scrutinio e' inammissibile. (OMISSIS) sottopone a critica la sentenza addebitandole di avere "accettato come verita' le errate affermazioni del CTU". Impiegando largo sforzo, che investe oltre undici pagine, il ricorrente s'impegna a contestare le risultanze della consulenza in ordine alla determinazione del confine, alla quale addebita plurimi errori (e, di conseguenza alla sentenza impugnata), il cui scrutinio implicherebbe, a dire dello stesso ricorrente, il complessivo riesame istruttorio (titoli, frazionamenti, planimetrie, atti di divisione, schede catastali). L'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell'articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisivita'", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se', il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche' la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (S.U. n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629831). 6. il secondo motivo, poiche' subordinato all'accoglimento del secondo motivo del ricorso principale, resta assorbito. 7. Le spese del presente giudizio debbono compensarsi in ragione della soccombenza reciproca. 8. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si da' atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e del ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e, rispettivamente, per quello incidentale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto. P.Q.M. rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17), si da' atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, rispettivamente, previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. LOMBARDO Giovanni - Presidente Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere Dott. SCARPA Antonio - Consigliere Dott. GIANNACCARI Rossana - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 4686/2017 proposto da: (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS); - ricorrenti - e contro (OMISSIS), (OMISSIS); - intimati - avverso la sentenza n. 139/2016 della CORTE D'APPELLO di CATANZARO, depositata il 01/02/2016; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/12/2021 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI; viste le conclusioni del Pubblico Ministero Dott. PEPE Alessandro, ha chiesto il rigetto del ricorso. FATTI DI CAUSA Il giudizio trae origine dalla domanda proposta da (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali convennero in giudizio (OMISSIS) e (OMISSIS), proprietari dell'immobile confinante per chiedere accertarsi la violazione delle distanze legali, con condanna dei convenuti all'arretramento ed al regolamento dei confini. Si costituirono (OMISSIS) e (OMISSIS) per contestare la fondatezza della domanda, assumendo che il fabbricato di loro proprieta' era stato realizzato in epoca antecedente alla costruzione degli attori, in violazione delle distanze tra fabbricati e dalle vedute; in via riconvenzionale, i, convenuti chiesero la condanna degli attori all'arretramento del fabbricato e delle vedute nel rispetto delle distanze legali, oltre al risarcimento dei danni. Il Tribunale di Castrovillari condanno' gli attori ad arretrare il proprio fabbricato a piano terra nei limiti delle distanze legali e condanno' entrambe le parti alla chiusura delle vedute illegittime. Proposero appello (OMISSIS) e (OMISSIS), cui resistettero (OMISSIS) e (OMISSIS). I quali proposero appello incidentale. La Corte d'appello di Catanzaro, con sentenza dell'1.2.2016, accolse parzialmente l'appello principale in relazione alla regolamentazione delle luci e delle vedute e, in parziale accoglimento dell'appello incidentale, condanno' (OMISSIS) e (OMISSIS) ad arretrare il proprio fabbricato, incluso il primo piano ed il piano sottotetto. Per quel che ancora rileva in sede di legittimita', la Corte distrettuale rigetto' l'eccezione di indeterminatezza della domanda e di violazione dell'articolo 36 c.p.c., ritenendo sussistente il rapporto di dipendenza dal titolo dedotto con la domanda principale rispetto a quello prospettato come mezzo di eccezione. Secondo la Corte di merito, sussisteva una evidente connessione tra le reciproche domande proposte dalle parti, che avevano ad oggetto reciproche violazioni in materia di distanze legali. La Corte affermo' che l'eventuale carattere abusivo delle opere realizzate dai convenuti non incideva sul profilo delle distanze legali. Nel merito, il giudice d'appello aderi' alle risultanze del CTU, che aveva individuato il confine facendo riferimento all'atto di frazionamento e, sulla base dei titoli di proprieta' e delle altre risultanze probatorie, concluse nel senso che il fabbricato dei convenuti fosse preesistente rispetto a quello degli attori, che, pertanto, erano tenuti al rispetto delle distanze. Per la cassazione della sentenza d'appello hanno proposto ricorso (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla base di quattro motivi. Hanno resistito con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS). Il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Alessandro Pepe, ha chiesto il rigetto del ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE Con il primo motivo di ricorso, si deduce il "difetto, insufficiente ed illogicita' di motivazione, falsa applicazione dell'articolo 36 c.p.c." in quanto la Corte d'appello avrebbe dichiarato ammissibile la domanda riconvenzionale dei convenuti nonostante non fosse connessa con il titolo dedotto in giudizio dagli attori. Assumono i ricorrenti che la domanda riconvenzionale avrebbe avuto ad oggetto il pagamento dell'indennita' ex articolo 874 c.c., per la sopraelevazione, oltre al risarcimento del danno. Il motivo e' inammissibile. Sussiste la connessione per il titolo tra la domanda principale e la domanda riconvenzionale poiche' entrambe avevano ad oggetto reciproche violazioni delle distanze legali e la chiusura di vedute, anch'esse poste a distanza inferiore a quella prevista dalla legge. Alla domanda attorea di violazione, da parte dei convenuti delle distanze, ex articolo 873 c.c. e articolo 905 c.c., era stata infatti contrapposta, dai convenuti in riconvenzionale, la medesima domanda, strettamente connessa e speculare a quella principale. Sussisteva quindi l'unicita' della situazione giuridica da cui traevano origine le contrapposte pretese delle parti (Cass. 9656/99; Cass. 6250/2007; Cass. 7070/2016) che, secondo la valutazione discrezionale del giudice di merito, rendeva opportune il simultaneus processus. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce il "difetto, insufficiente ed illogicita' di motivazione, falsa applicazione di norme ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e' stato oggetto di discussione tra le parti relativamente all'operativita' del principio di prevenzione derogatorio del regime delle istanze legali in presenza di un immobile abusivo"; i ricorrenti censurano la sentenza d'appello perche' avrebbe applicato il principio della prevenzione nonostante l'immobile dei convenuti fosse stato realizzato in violazione delle norme urbanistiche. Il motivo e' inammissibile. In primo luogo, il vizio di illogicita' ed insufficienza della motivazione non e' censurabile con l'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ratione temporis applicabile, che ha limitato la deduzione del vizio di motivazione ai soli casi di omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio; nel caso di specie, la Corte di merito ha esaminato il carattere abusivo delle opere realizzate dagli attori ed ha ritenuto che esso non incideva in alcun modo sul profilo delle distanze legali, che attiene ad una sfera autonoma e diversa di carattere privatistico. La decisione e', inoltre, conforme ai principi stabiliti in modo univoco dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la natura abusiva della costruzione (preventivamente realizzata) rileva unicamente nei rapporti con l'amministrazione pubblica e non anche ai fini del rispetto delle distanze legali (cfr., sul punto, Cass. 21354/2017). In effetti, le norme di cui all'articolo 872 c.c., comma 2, in tema di distanze tra costruzioni nonche' quelle che in tale materia sono integrative del codice civile sono le uniche che consentano, in caso di loro violazione nell'ambito dei rapporti interprivatistici, la richiesta, oltre che del risarcimento del danno, anche della riduzione in pristino, a nulla rilevando, per converso, il preteso carattere abusivo della costruzione finitima. (Cass. SU n. 5143 del 1998). La rilevanza giuridica della licenza o concessione edilizia si esaurisce nell'ambito del rapporto pubblicistico tra P.A. e privato, senza estendersi ai rapporti tra privati. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce il difetto, insufficiente ed illogicita' di motivazione, falsa applicazione di norme ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e' stato oggetto di discussione tra le parti relativamente all'individuazione della linea di confine, con particolare riferimento alle risultanze della CTU ed alla valutazione dei titoli di proprieta'. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce il difetto, insufficiente ed illogicita' di motivazione, falsa applicazione di norme ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e' stato oggetto di discussione tra le parti relativamente all'individuazione della linea di confine, con particolare riferimento alla valutazione della preesistenza delle costruzioni. I motivi, da trattare congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili perche' deducono vizi della motivazione incensurabili in sede di legittimita' in quanto non attinenti all'esistenza della motivazione ma alla sua sufficienza o logicita', oltre a censurare la valutazione delle risultanze istruttorie, anch'essa inammissibile in sede di legittimita' (Cass. Civ. Sez. Unite 8054/2014). Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Non deve provvedersi sulle spese non avendo le parti intimate svolto attivita' difensiva. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da' atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. LOMBARDO Luigi G. - Presidente Dott. ORILIA Lorenzo - rel. Consigliere Dott. BELLINI Ubaldo - Consigliere Dott. VARRONE Luca - Consigliere Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso n. 25280/2016 R.G. proposto da: (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che disgiuntamente e congiuntamente all'avvocato (OMISSIS), li rappresenta e difende in virtu' di procura speciale a margine del ricorso; - ricorrenti - contro (OMISSIS), e (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende in virtu' di procura speciale in calce al controricorso; - controricorrenti - avverso la sentenza n. 1103/2015 della Corte d'Appello di Brescia; Udita la relazione della causa svolta dal consigliere Dott. Lorenzo Orilia; Uditi il Procuratore Generale e i Difensori delle parti. RITENUTO IN FATTO Con atto notificato in data 24.3.2006 (OMISSIS), proprietaria di un edificio in (OMISSIS), citava a comparire dinanzi al Tribunale di Brescia (OMISSIS) e (OMISSIS), proprietari di un edificio adiacente e prospiciente un comune cortile (in catasto mappale (OMISSIS)). Esponeva, tra l'altro, che i convenuti, negli anni (OMISSIS), nel corso dei lavori di ristrutturazione del loro edificio, avevano trasformato le due feritoie prima esistenti in due finestre prospicenti il cortile comune, cosi' aggravando la servitu' di veduta; avevano aperto un nuovo accesso carrabile alla loro autorimessa, con aggravio della servitu' di passaggio; avevano chiuso con una cancellata ed un cancelletto una porzione del portico comune e se ne erano cosi' appropriati. Chiedeva, tra l'altro, condannarsi i convenuti alla riduzione in ripristino. I convenuti, costituitisi, si opponevano alle domande chiedendone il rigetto. Dopo aver disposto una consulenza tecnica di ufficio, l'adito tribunale, con sentenza n. 2086/2011, respinta ogni ulteriore istanza, condannava i convenuti a ripristinare le feritoie in origine esistenti ed a rimuovere la cancellata ed il cancelletto atti ad intercludere porzione del comune portico. I soccombenti (OMISSIS) e (OMISSIS) proponevano appello a cui resisteva la (OMISSIS), spiegando, a sua volta, appello incidentale avverso, tra l'altro, il rigetto dell'invocata chiusura dell'accesso carrabile. Con sentenza n. 1103/2015 la Corte di Brescia in parziale accoglimento dell'appello dei convenuti, ha respinto la domanda di eliminazione delle due finestre aperte da costoro sul cortile comune in luogo delle preesistenti feritoie, mentre ha confermato la condanna dei convenuti a rimuovere la cancellata e il cancelletto di cui a pagg. 4 della CTU. Secondo la Corte di merito, la trasformazione in finestre delle due feritoie dapprima esistenti doveva reputarsi legittima siccome aperte su cortile di proprieta' comune. Si trattava quindi di un uso piu' intenso del bene comune, ma pur sempre lecito ai sensi dell'articolo 1102 c.c.. Quanto alle altre opere, secondo la Corte territoriale occorreva previamente distinguere la porzione di portico asseritamente interclusa in modo indebito dagli appellanti principali con la realizzazione di una cancellata e di un cancelletto dal cortile comune, indicato anche come passaggio comune. Reputava, quindi, che la porzione di portico, cosi' come aveva chiarito il c.t.u., era di proprieta' esclusiva degli appellanti principali alla stregua delle risultanze delle schede catastali allegate al titolo di provenienza, il rogito in data 10.3.1940, dei loro danti causa. Riteneva infine che la trasformazione del passaggio pedonale in passaggio carraio (in dipendenza della destinazione ad autorimessa del locale dapprima destinato a laboratorio) non costituisse aggravamento di servitu' di passaggio, anche perche' il cortile era di ampiezza tale da consentire l'ingresso delle autovetture. (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) (eredi della originaria attrice, deceduta nelle more del giudizio di merito) hanno proposto ricorso per la cassazione della predetta sentenza, sulla base di sei motivi, illustrati da memoria e contrastati dai (OMISSIS)- (OMISSIS) con controricorso. Con ordinanza interlocutoria emessa nell'adunanza del 15.7.2021 il Collegio ha rimesso la trattazione del ricorso alla pubblica udienza ai sensi dell'articolo 375 c.p.c., u.c.. Il Procuratore Generale ha concluso per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1 Preliminarmente, va fugato ogni dubbio posto a pag. 6 del controricorso sugli "aspetti formali del ricorso" (sottoscrizione del ricorso dal solo avv. (OMISSIS), benche' il mandato fosse stato conferito con una medesima procura anche all'avv. (OMISSIS); notifica avvenuta solo su richiesta del signor (OMISSIS), e non di tutti e tre i ricorrenti; sostanziale duplicazione di alcuni motivi: cfr.): essendo stato conferito mandato di agire in via "separata e disgiunta" (cfr. procura speciale rilasciata a margine del ricorso per cassazione), ciascuno dei difensori poteva regolarmente sottoscrivere il ricorso e chiedere la notifica, come avvenuto nel caso in esame; l'incompleta menzione di tutti e tre i ricorrenti nella richiesta di notifica e' un mero refuso, privo di rilievo, posto che comunque l'attivita' e' stata posta in essere dal difensore in virtu' di di procura rilasciata dai tre ricorrenti. De tutto privo di specificita' e' poi il rilievo in ordine alla duplicazione di alcuni motivi senza altra specificazione. Passando all'esame dei motivi, col primo di essi i ricorrenti denunciano ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell'articolo 905 c.c., comma 1 e articolo 1102 c.c., comma 1, per avere la Corte d'appello errato a ritenere, nel quadro dell'articolo 1102 c.c., che la trasformazione delle originarie feritoie in due finestre sia una forma di piu' intenso godimento del cortile comune sul quale le finestre prospettano. Secondo i ricorrenti, nel caso di specie si e' in presenza di edifici autonomi ed il cortile e' un autonomo bene in comproprieta' destinato al solo passaggio. 2 Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione degli articoli 101, 112 e 342 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, e la conseguente nullita' del procedimento e della sentenza impugnata. Deducono che le controparti non avevano mai dedotto in grado d'appello la mancata applicazione dell'articolo 1102 c.c., quale previsione idonea a legittimare la trasformazione in finestre delle originarie feritoie. Rilevano che l'oggetto del contendere, quale segnato dall'effetto devolutivo dell'appello, era rappresentato dall'illegittimo aggravamento, recte dall'illegittima costituzione di una servitu' di veduta in luogo delle preesistenti semplici luci. Deducono altresi' che l'applicabilita' dell'articolo 1102 c.c. e' stata rilevata di ufficio, sicche' la Corte di Brescia epoca antecedente all'introduzione, sottoporla previamente al contraddittorio delle parti. 3.1 con ragioni di priorita' logica va esaminato innanzitutto il secondo motivo, che pone una questione procedurale di carattere assorbente. Questo motivo e' infondato. Il giudice d'appello puo' qualificare il rapporto dedotto in giudizio in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti o ritenuto dal giudice di primo grado, purche' non introduca nel tema controverso nuovi elementi di fatto, lasci inalterati il "petitum" e la "causa petendi" ed eserciti tale potere-dovere nell'ambito delle questioni, riproposte con il gravame, rispetto alle quali la qualificazione giuridica costituisca la necessaria premessa logico-giuridica, dovendo, altrimenti, tale questione preliminare formare oggetto di esplicita impugnazione ad opera della parte che risulti, rispetto ad essa, soccombente (cfr. Sez. 3 -, Ordinanza n. 12875 del 15/05/2019, Rv. 653896). Inoltre, l'effetto devolutivo dell'appello entro i limiti dei motivi d'impugnazione preclude al giudice del gravame esclusivamente di estendere le sue statuizioni a punti che non siano compresi, neanche implicitamente, nel tema del dibattito esposto nei motivi d'impugnazione, mentre non viola il principio del "tantum devolutum quantum appellatum" il giudice di appello che fondi la decisione su ragioni che, pur non specificamente fatte valere dall'appellante, tuttavia appaiano, nell'ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, costituendone necessario antecedente logico e giuridico. Nel giudizio d'appello, infatti, il giudice puo' riesaminare l'intera vicenda nel complesso dei suoi aspetti, purche' tale indagine non travalichi i margini della richiesta, coinvolgendo punti decisivi della statuizione impugnata suscettibili di acquisire forza di giudicato interno in assenza di contestazione, e decidere, con pronunzia che ha natura ed effetto sostitutivo di quella gravata, anche sulla base di ragioni diverse da quelle svolte nei motivi d'impugnazione (cfr. Sez. 3 -, Ordinanza n. 9202 del 13/04/2018 Rv. 648592). E ancora, il giudice ha l'obbligo di rilevare d'ufficio l'esistenza di una norma di legge idonea ad escludere, alla stregua delle circostanze di fatto gia' allegate ed acquisite agli atti di causa, il diritto vantato dalla parte, e cio' anche in grado di appello, senza che su tale obbligo possa esplicare rilievo la circostanza che, in primo grado, le questioni controverse abbiano investito altri e diversi profili di possibile infondatezza della pretesa in contestazione e che la statuizione conclusiva di detto grado si sia limitata solo a tali diversi profili, atteso che la disciplina legale inerente al fatto giuridico costitutivo del diritto e' di per se' sottoposta al giudice di grado superiore, senza che vi ostino i limiti dell'effetto devolutivo dell'appello (cfr. Sez. 2 -, Sentenza n. 11287 del 10/05/2018 Rv. 648501). Sulla scorta di tali principi di diritto - a cui va data continuita' - deve escludersi che la sentenza impugnata sia incorsa nel vizio denunziato laddove, in una controversia in cui si discuteva della legittimita' di aperture realizzate su un bene comune (il cortile appunto), ha ritenuto applicabili le norme sulla comunione senza sollecitare il preventivo contraddittorio sullo specifico principio dell'articolo 1102 c.c.. 3.2 Occorre adesso soffermarsi sul primo motivo, che e' fondato. La questione di diritto che il Collegio e' chiamato a risolvere (e che ha determinato la trattazione del ricorso alla pubblica udienza) riguarda la legittimita' o meno della apertura di vedute (o della trasformazione di preesistenti luci in vedute) su un cortile comune da parte del proprietario esclusivo di un edificio che sia anche comproprietario del cortile, con la peculiarita' che tra il cortile comune (sul quale prospetta la veduta) e l'edificio nel quale e' stata creata non esista nessun rapporto di accessorieta'. Nella giurisprudenza di legittimita' si registrano due posizioni: alcune pronunce hanno affermato che, quando un cortile e' comune a distinti corpi di fabbrica e manca una disciplina contrattuale vincolante per i comproprietari al riguardo, il relativo uso e' assoggettato alle norme sulla comunione in generale, e in particolare alla disciplina di cui all'articolo 1102 c.c., comma 1, in base al quale ciascun partecipante alla comunione puo' servirsi della cosa comune, sempre che non ne alteri la destinazione e non ne impedisca il pari uso agli altri comunisti. In tal senso, l'apertura di vedute su area di proprieta' comune ed indivisa tra le parti costituirebbe opera sempre inidonea all'esercizio di un diritto di servitu' di veduta, sia per il principio "nemini res sua servir, che per la considerazione che i cortili comuni, assolvendo alla precipua finalita' di dare aria e luce agli immobili circostanti, sono ben fruibili a tale scopo dai condomini, cui spetta, pertanto, anche la facolta' di praticare aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte, in tema di luci e vedute, a tutela dei proprietari dei fondi confinanti di proprieta' esclusiva, con il solo limite, posto dall'articolo 1102 c.c., di non alterare la destinazione del bene comune o di non impedirne l'uso da parte degli altri comproprietari (Cass. Sez. 2, 14/06/2019, n. 16069; Cass. Sez. 2, 26/02/2007, n. 4386; Cass. Sez. 2, 19/10/2005, n. 20200). Accanto a tale impostazione se ne pone un'altra, che, a ben vedere, si collega all'originario orientamento di questa Corte, secondo cui, ove sia accertata la comunione di un cortile sito fra edifici appartenenti a proprietari diversi ed allorche' fra il cortile e le singole unita' immobiliari di proprieta' esclusiva non sussista quel collegamento strutturale, materiale o funzionale, ovvero quella relazione di accessorio a principale, che costituisce il fondamento della condominialita' dell'area scoperta, ai sensi dell'articolo 1117 c.c.), l'apertura di una veduta da una parete di proprieta' individuale verso lo spazio comune rimane soggetta alle prescrizioni contenute nell'articolo 905 c.c. Il partecipante alla comunione del cortile non puo', in sostanza, aprire una veduta verso la cosa comune a vantaggio dell'immobile di sua esclusiva proprieta', finendo altrimenti per imporre di fatto una servitu' a carico della cosa comune, senza che operi, al riguardo, il principio di cui all'articolo 1102 c.c., il quale non e' applicabile ai rapporti tra proprieta' individuali e beni comuni finitimi, che sono piuttosto disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprieta' contigue od asservite (Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 26807 del 21/10/2019 Rv. 655658; Cass. Sez. 2, 04/07/2018, n. 17480; Cass. Sez. 2, 21/05/2008, n. 12989; Cass. Sez. 2, 20/06/2000, n. 8397; Cass. Sez. 2, 25/08/1994, n. 7511; Cass. Sez. 2, 28/05/1979, n. 3092). Il Collegio ritiene di dare continuita' a quest'ultimo orientamento per le seguenti ragioni: -innanzitutto, perche' valorizza un dato di fatto ineludibile, cioe' il collegamento strutturale, materiale o funzionale, ovvero quella relazione di accessorio a principale, che costituisce il fondamento della condominialita' dell'area scoperta, ai sensi dell'articolo 1117; -in secondo luogo, perche' si fa carico di una corretta ricostruzione del principio "nemini res sua servir, il quale, secondo la costante giurisprudenza, trova applicazione soltanto quando un unico soggetto e' titolare del fondo servente e di quello dominante, e non anche quando il proprietario di uno di essi sia anche comproprietario dell'altro, giacche' in tal caso l'intersoggettivita' del rapporto e' data dal concorso di altri titolari del bene comune (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26807 /2019 cit; Sez. 2 -, Ordinanza n. 21020 del 06/08/2019 Rv. 655193; Cass. Sez. 2, 03/10/2000, n. 13106; Cass. Sez. 2, 02/06/1999, n. 5390; Cass. Sez. 2, 18/02/1987, n. 1755). Nel caso in esame, il giudice di merito ha applicato seccamente le norme sulla comunione (articolo 1102 c.c.) senza prima accertare in fatto se la situazione obbiettiva desse luogo alla presenza di piu' unita' immobiliari o piu' edifici aventi parti comuni, ai sensi dell'articolo 1117 e dell'articolo 1117 bis c.c. (se, cioe', sussistesse la relazione di accessorieta' strumentale e funzionale che collega le unita' immobiliari di proprieta' esclusiva a talune cose, impianti e servizi comuni, i quali siano contestualmente legati, attraverso la relazione di accessorio a principale, con piu' edifici o immobili, in modo che l'uso del bene comune non sia suscettibile di autonoma utilita', ma solo correlato al godimento del bene individuale); trattasi di accertamento necessario per poter eventualmente escludere, alla luce del citato principio di diritto affermato dal Collegio, l'applicazione delle norme che regolano i rapporti tra proprieta' contigue od asservite per far posto a quello sull'utilizzo del bene comune. Si rende necessario nuovo esame. 3 Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l'omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti e l'insufficienza della motivazione: la Corte d'Appello ha omesso di considerare l'avvenuto l'aggravamento di servitu' in dipendenza della trasformazione del passaggio pedonale in passaggio carraio, trasformazione correlata alla destinazione ad autorimessa del locale dapprima destinato a laboratorio. A dire dei ricorrenti, la servitu' di passaggio carraio costituisce di per se' aggravio della precedente servitu' pedonale; del resto l'accesso carraio postula uno spazio di manovra ed importa per gli altri comproprietari l'impossibilita' di utilizzo di una porzione significativa del cortile comune. Deducono che d'altra parte l'arretramento della basculante e' avvenuto in misura pari a cm. 50 non gia' in misura pari a cm. 120. 4 Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli articoli 1063, 1064, 1065 e 1067 c.c.. Deducono sub specie di error in iudicando le medesime censure addotte con il terzo motivo. Deducono che nella circostanza non vi e' un titolo costitutivo della servitu', nondimeno e' fuor di contestazione che la servitu' fosse unicamente di passaggio pedonale e non carraio, cosicche' la trasformazione della servitu' in pedonale e carraio ne importa di per se' l'aggravamento. 4.1 Ragioni di priorita' logica consigliano di partire dall'esame del quarto motivo, che e' fondato, anche se occorre correggere alcune imprecisioni sul rapporto tra servitu' pedonale e servitu' di passo carrabile. La servitu' di passo carrabile si differenzia da quella di passaggio pedonale per la maggiore ampiezza del suo contenuto, perche', condividendo con quest'ultima la funzione di consentire il transito delle persone, soddisfa l'ulteriore esigenza di trasporto con veicoli di persone e merci da e verso il fondo dominante; ne consegue che dall'esistenza della servitu' di passaggio pedonale non puo' desumersi l'esistenza di quella di passo carrabile, ne' il passaggio a piedi costituisce atto idoneo a conservare il possesso della servitu' di passaggio con automezzi (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 19483 del 23/07/2018 Rv. 649992; Sez. 2, Sentenza n. 3906 del 30/03/2000 Rv. 535216; Sez. 2, Sentenza n. 1906 del 05/07/1973 Rv. 364967). Nel caso in esame, la Corte d'Appello ha affermato che "non costituisce aggravio della servitu' di passaggio il fatto che l'edificio prima adibito a laboratorio sia stato poi destinato ad autorimessa, essendo, da una lato, implicito che il cortile fosse di ampiezza tale da consentire l'ingresso delle auto dal momento che si e' contestato il diritto di parcheggiare le auto e, dall'altro, che l'edificio prima utilizzato quale laboratorio potesse, una volta che fossero mutate le esigenze della proprieta', essere adibito ad autorimessa. L'aggravio della servitu' di passaggio non sussiste, inoltre, potendo l'autorimessa in questione contenere una sola autovettura (vedi fotografie)" (cfr. sentenza pagg. 17 e 18). Prima di giungere ad una tale conclusione, la Corte d'Appello avrebbe dovuto pero' dapprima individuare esattamente il tipo di servitu' di passaggio esercitato sul cortile, sulla scorta di quanto tempestivamente dedotto dalle parti nel giudizio di merito ed accertato: avrebbe dovuto stabilire, cioe', se la originaria attrice avesse tempestivamente dedotto una servitu' di passaggio pedonale poi trasformata in carrabile con un nuovo accesso, oppure se avesse dedotto la preesistenza di un passaggio carrabile successivamente modificato e, a seconda della qualificazione data al rapporto originario, avrebbe dovuto poi trarre le debite conseguenze per effetto delle modifiche apportate. La sentenza non ha invece preso posizione sul tipo di servitu' esercitata precedentemente sul cortile, ma si e' concentrata unicamente sulle dimensioni del cortile e su una serie di presunzioni. Si rende pertanto necessario un nuovo esame e quindi la sentenza va cassata anche in relazione a tale motivo, con logico assorbimento del terzo. 5 Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l'omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti l'insufficienza della motivazione. Sostengono i ricorrenti che ha errato la corte territoriale allorche' ha ritenuto che la porzione di portico piu' interna, delimitata dalla cancellata e dal cancelletto, dovesse reputarsi di proprieta' esclusiva degli appellanti principali. Deducono che ne' il CTU ne' i giudici di merito hanno considerato che il portico non ha mai avuto un suo autonomo numero di mappale ed e' sempre stato parte integrante del mappale n. (OMISSIS), poi divenuto n. (OMISSIS). Deducono quindi che il portico ed il cortile comune sono catastalmente un tutt'uno e non possono quindi avere destinazioni differenti. Deducono altresi' che la corte lombarda, allorche' ha ritenuto che anche la loro dante causa aveva inglobato nella sua proprieta' esclusiva porzione del portico asseritamente comune, non ha tenuto conto delle schede catastali prodotte dal loro precedente difensore. Deducono inoltre che la corte bresciana non ha tenuto conto della convenzione siglata in data 18.3.1993 da (OMISSIS) con i danti causa delle controparti. Il motivo e' in parte inammissibile (laddove denunzia la motivazione insufficiente, cioe' un vizio della sentenza ormai espunto dal catalogo di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 5) ed in parte infondato. L'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell'articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisivita'", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se', il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche' la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629831). Nel caso in esame, il fatto che si assume decisivo, l'appartenenza del cd. "portico comune" e' stato esaminato dalla Corte d'Appello (cfr. sentenza pagg. 16 e 17), anche se con esito non conforme alle aspettative degli attori-appellati. Il problema si sposta allora sulla motivazione, ma il vizio, come si e' detto, non e' piu' denunziabile in sede di legittimita', cosi' come non e' denunziabile l'apprezzamento dei fatti di causa e degli elementi istruttori (ed in particolare le schede catastali), che, pero', e' tipica prerogativa del giudice di merito. 6 Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli articoli 950 e 2697 c.c. Premettono che allorquando e' contestato il confine tra proprieta' aliene in mancanza di altri elementi la linea confinaria va acclarata alla stregua delle mappe catastali. Indi deducono che la corte d'appello non ha tenuto conto delle risultanze effettive delle mappe catastali alla cui stregua il passaggio comune ed il portico hanno sempre fatto parte del medesimo mappale. Il motivo, cosi' come articolato, e' inammissibile. Secondo il costante orientamento di questa Corte, ove una determinata questione giuridica - che implichi un accertamento di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimita' ha l'onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita' per novita' della censura, non solo di allegarne l'avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare "ex actis" la veridicita' di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (cfr. tra le tante, Sez. 2 -, Ordinanza n. 2038 del 24/01/2019 Rv. 652251; Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018 Rv. 649332; Sez. 3 -, Ordinanza n. 27568 del 21/11/2017 Rv. 646645). Nel caso in esame l'accertamento della proprieta' esclusiva dei convenuti sul cd. "portico in comune" era stato gia' compiuto dal primo giudice proprio sulla scorta degli accertamenti svolti dal consulente tecnico di ufficio, a loro volta basati sull'esame delle schede catastali richiamate nell'atto di provenienza dei convenuti (ne da' atto la Corte d'Appello a pag. 6) e la sentenza impugnata ha sostanzialmente recepito tale argomentazione laddove a pagg. 16 e 17 ha richiamato anch'essa gli accertamenti peritali, il titolo di provenienza dei convenuti e le schede catastali. Sarebbe quindi stato specifico onere per i ricorrenti di sottoporre con l'impugnazione incidentale alla Corte d'Appello la questione di diritto sulla gerarchia delle prove nell'azione di regolamento di confini (articolo 950 c.c.) e sul riparto dell'onere della prova (articolo 2697 c.c.), ma il ricorso e' completamente silente (cfr. pag. 5, 27 e ss.). In conclusione, accolti il primo e quarto motivo, assorbito il terzo e respinti gli altri, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d'Appello di Brescia in diversa composizione che si pronuncera' anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. la Corte accoglie il primo e il quarto motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo e rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d'Appello di Brescia in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente Dott. GORJAN Sergio - Consigliere Dott. COSENTINO Antonello - Consigliere Dott. GIANNACCARI Rossana - Consigliere Dott. DONGIACOMO Giuseppe - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 20034/2019 proposto da: COMUNE DI SPERLONGA, rappresentato e difeso dall'Avvocato (OMISSIS), per procura speciale in calce al ricorso; - ricorrente - contro (OMISSIS), E (OMISSIS), rappresentati e difesi dall'Avvocato (OMISSIS), e dall'Avvocato (OMISSIS), per procure speciali in calce ai controricorsi; - controricorrenti e ricorrenti incidentali - nonche' (OMISSIS) E (OMISSIS), rappresentati e difesi dapprima dall'Avvocato (OMISSIS), per procura speciale a margine del controricorso, e poi, il primo, dall'Avvocato (OMISSIS), per procura speciale del 30/6/2021; - controricorrenti e ricorrenti incidentali - e (OMISSIS) E (OMISSIS) S.D.F.; - intimata - avverso la sentenza n. 2490/2019 della CORTE D'APPELLO DI ROMA, depositata il 12/4/2019; udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 7/7/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO; sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale della Repubblica, Dott. MISTRI Corrado, il quale ha concluso per l'accoglimento per quanto di ragione del ricorso principale, l'accoglimento per quanto di ragione del primo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS) e (OMISSIS), il rigetto del secondo motivo, assorbiti gli altri, l'accoglimento per quanto di ragione del terzo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS) e di (OMISSIS), il rigetto del primo e del secondo motivo, assorbiti gli altri; sentito, per il ricorrente, l'Avvocato (OMISSIS); sentiti, per i controricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), l'Avvocato (OMISSIS); sentiti, per i controricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), l'Avvocato (OMISSIS). FATTI DI CAUSA La corte d'appello, con la sentenza in epigrafe, dopo aver ribadito che il rapporto processuale con il Comune di Sperlonga aveva "per lo piu'" formato oggetto del provvedimento di separazione adottato all'udienza del 13/11/2009, quando il tribunale aveva disposto la prosecuzione innanzi a se' della (sola) "controversia attinente alla asserita violazione delle distanze legali ed il risarcimento del danno e le altre domande connesse", e che, a seguito della sentenza non definitiva n. 395/2016, la causa - introdotta a suo tempo con atto di citazione notificato in data 21/12/2006 e definita in primo grado con sentenza del tribunale in data 18/6/2013 - era stata rimessa sul ruolo per l'istruzione della domande residue, ha esaminato: 1) innanzitutto, le domande di cui ai punti 2 e 7 delle conclusioni contenute nell'atto d'appello, vale a dire, rispettivamente: - la domanda con la quale gli appellanti avevano chiesto di accertare e dichiarare che (OMISSIS) e (OMISSIS), nella qualita' di proprietari e soci della s.d.f. (OMISSIS) e (OMISSIS), avevano demolito e ricostruito immobili a distanza illegale rispetto alla proprieta' degli attori, e che gli stessi avevano accorpato alla loro proprieta' porzioni espropriate dal Comune di Sperlonga in assenza di titolo ed hanno costruito un muraglione abusivo con volumetrie annesse, anch'esse abusive, poste al servizio della piscina abusiva, in violazione delle distanze legali dai terreni acquisiti al patrimonio comunale in zona agricola ed in violazione delle norme del PTP vigente; - la domanda con la quale gli appellanti hanno chiesto di condannare (OMISSIS) e (OMISSIS), nella qualita' di proprietari e soci della s.d.f. (OMISSIS) e (OMISSIS), a demolire il muraglione abusivo descritto dal consulente tecnico d'ufficio e realizzato al confine con la proprieta' degli attori e tutti i fabbricati realizzati a distanza illegale, rispetto al fabbricato degli attori, in modo da garantire la distanza minima inderogabile per legge di dieci metri dal fabbricato antistante, per cio' che attiene alla violazione delle distanze tra due fabbricati, e di cinque metri dal confine, per cio' che attiene ai corpi di fabbrica costruiti in aderenza al muraglione; e le ha ritenute, almeno in parte, fondate. La corte, in particolare, sulla base della consulenza tecnica d'ufficio espletata in grado d'appello e "meritevole di pieno consenso", ha rilevato la sussistenza della violazione del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, punto 2, con riferimento alla distanza di dieci metri tra i fabbricati, con la conseguente necessita' di arretramento dell'attuale fronte est dell'Hotel (OMISSIS) rispetto alla frontistante parete ovest del fabbricato di proprieta' (OMISSIS) - (OMISSIS) in misura pari a 2,25 m. "con riferimento alle par(e)ti finestrate", avendo, pero', esclusivo riguardo al "corpo di fabbrica (OMISSIS) - (OMISSIS), oggetto della prima domanda di condono", "preventivamente edificato", e non anche dell'ampliamento oggetto della seconda domanda; 2) in secondo luogo, la domanda di cui al punto 3 delle conclusioni contenute nell'atto d'appello, vale a dire di accertare e dichiarare che i convenuti, in concorso tra loro, hanno installato, nel mese di agosto del 2006, un cancello su parte di un terreno di proprieta' del Comune in modo da turbare l'esercizio del possesso degli attori: e l'ha ritenuta infondata sul rilievo che, come osservato dal ctu, non risulta alcun riscontro documentale circa i responsabili dell'installazione del cancello a presidio del percorso che lambisce ad est la proprieta' (OMISSIS) - (OMISSIS), aggiungendo che il manufatto appare situato sulla proprieta' comunale; 3) in terzo luogo, la domanda di cui ai punti 4 delle conclusioni contenute nell'atto d'appello, e cioe' di accertare e dichiarare che (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quali soci della s.d.f. (OMISSIS) e (OMISSIS), avevano realizzato un muro alto quattro metri al confine con la proprieta' degli attori, in violazione delle distanze legali, in modo da limitare l'aria e la luce ed il godimento del pieno possesso del villino da parte degli attori: e l'ha ritenuta, almeno in parte, fondata. La corte, in particolare, alla luce della relazione del consulente tecnico d'ufficio, ha rilevato che il muro non misura, in realta', quattro metri, avendo, piuttosto, in corrispondenza della proprieta' (OMISSIS) - (OMISSIS), caratterizzata da un piano di calpestio degradante in direzione sud, una misura variabile, compresa tra un minimo di 3,05 metri ed un massimo di circa 3,55 metri; l'innalzamento del muro divisorio, in quanto in ogni sua parte di altezza superiore a tre metri, non e', dunque, conforme alla norma dell'articolo 878 c.c., e dev'essere, pertanto, "nella parte a confine con la proprieta' (OMISSIS) - (OMISSIS)", "abbassato in modo tale da non superare l'altezza di m 3"; la corte, invece, ha rigettato la domanda concernente l'illegittimo accorpamento delle aree espropriate dal Comune, in ragione del difetto di legittimazione attiva degli appellanti; 4) infine, la domanda di cui ai punti 8 delle conclusioni contenute nell'atto d'appello, e cioe' di condannare i convenuti, una volta accertato l'effettivo deprezzamento della proprieta' degli attori a seguito dell'attivita' commissiva ed omissiva posta in essere dagli stessi in concorso tra loro, al risarcimento del danno, in solido tra loro, pari alla somma di Euro 200.000,00, oltre interessi: e l'ha ritenuta parzialmente fondata. La corte, sul punto, dopo aver affermato che, in tema di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell'illecito, sia quella risarcitoria, e il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento) deve ritenersi in re ipsa, senza necessita' di una specifica attivita' probatoria, ha osservato che, in ragione della "natura non eclatante delle violazioni accertate rispetto alla godibilita' dell'immobile (muro di confine piu' elevato di pochi centimetri, violazione di m. 2,25 rispetto ai 10 m. previsti delle pareti finestrate dell'albergo per un fronte di circa 10 m...)" e della "perdurante situazione di illegittimita' che si protae dal 2006", i danni, in difetto di una piu' specifica allegazione degli appellanti rapportabile alla sola violazione delle distanze, dovessero essere liquidati equitativamente in Euro 30.000,00 "all'attualita'", oltre al lucro cessante che ha del pari determinato in via equitativa. La corte, infine, ha condannato (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quali soci della s.d.f. (OMISSIS) e (OMISSIS), al pagamento delle spese di lite in favore degli appellanti, in ragione della "prevalente soccombenza" degli stessi, ed ha, invece, disposto, per la sussistenza di "giusti motivi", la compensazione delle spese relativamente al "rapporto processuale con il Comune di Sperlonga". La corte d'appello, in definitiva, ha condannato (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quali soci della s.d.f. (OMISSIS) e (OMISSIS), ad arretrare l'attuale fronte est dell'Hotel (OMISSIS) rispetto alla frontistante parete ovest del fabbricato di proprieta' (OMISSIS) - (OMISSIS), in misura pari a m. 2,25 con riferimento alle "parti fenestrate", rispetto al corpo di fabbrica (OMISSIS) - (OMISSIS) oggetto della prima domanda di condono e non anche dell'ampliamento oggetto della seconda domanda di condono, ad abbassare il muro divisorio, nella parte a confine con la proprieta' (OMISSIS) - (OMISSIS), in modo tale da non superare l'altezza di tre metri, nonche' al pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, compensando, invece, le spese processuali relativamente al Comune di Sperlonga. Il Comune di Sperlonga, con ricorso notificato in data 14/6/2019, ha chiesto, per quattro motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente notificata il 15/4/2019. Hanno resistito (OMISSIS) e (OMISSIS), con controricorso notificato in data 23/7/2019, con il quale, per cinque motivi, hanno proposto ricorso incidentale. La s.d.f. (OMISSIS) e (OMISSIS) e' rimasta intimata. (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito: - con controricorso notificato in data 24/7/2019, al ricorso del Comune, del quale hanno eccepito l'inammissibilita' per difetto di rappresentanza processuale ex articolo 75 c.p.c., deducendo che la procura difensiva era stata rilasciata dal Vice-Sindaco, che non ha la rappresentanza dell'ente; - con controricorso notificato in data 2/10/2019, al ricorso incidentale di (OMISSIS) e (OMISSIS), deducendone il difetto di legittimazione attiva relativamente ai beni immobili che non sono di loro proprieta' perche' rientranti nel patrimonio della s.d.f. (OMISSIS) e (OMISSIS), poi trasformatasi nella societa' (OMISSIS) s.a.s., e proponendo, a loro volta, per tre motivi, ricorso incidentale. Il Pubblico Ministero, con conclusioni depositate in data 22/6/2021, ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale, l'accoglimento del terzo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS) e (OMISSIS) e del secondo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' il rigetto e l'assorbimento degli altri. Il Comune ha depositato memoria. Anche (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno depositato memoria. (OMISSIS) ha depositato memoria. RAGIONI DELLA DECISIONE 1.1. Con il primo motivo, il ricorrente principale, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell'articolo 91 c.p.c., comma 1, e dei principi in tema di regolamentazione delle spese di lite, l'erronea applicazione degli articoli 91 c.p.c. e segg. e delle norme in tema di regolamentazione delle spese di lite cagionata dall'omesso rilievo della vittoriosita' totale dell'appellato Comune e della totale soccombenza degli appellanti (OMISSIS) e (OMISSIS), in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha disposto la compensazione delle spese nel rapporto processuale tra gli attori ed il Comune di Sperlonga, senza, tuttavia, considerare che nessuna delle domande che gli stessi avevano proposto nei confronti del Comune sono state accolte. Non si comprende, quindi, per quale ragione la corte d'appello non abbia fatto applicazione dell'articolo 91 c.p.c., a norma del quale il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte. 1.2. Con il secondo motivo, il ricorrente principale, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell'articolo 91 c.p.c., comma 2, prima parte, l'omesso rilievo della vittoriosita' totale dell'appellato Comune e della totale soccombenza degli appellanti (OMISSIS) e (OMISSIS), emergente dal raffronto tra le domande precisate nelle conclusioni dell'atto di citazione in appello e la sentenza n. 2490 del 2019, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha disposto la compensazione delle spese nel rapporto processuale tra gli attori ed il Comune di Sperlonga senza, tuttavia, considerare l'insussistenza dei presupposti per disporre, a norma dell'articolo 92 c.p.c., la compensazione delle spese di lite. Tale norma, infatti, nel testo applicabile al caso in esame, prevede che la compensazione delle spese tra le parti puo' essere disposta solo se vi e' soccombenza reciproca e la concorrenza di altri giusti motivi, esplicitamente indicate nella motivazione, laddove, nel caso di specie, non risulta alcuna soccombenza reciproca poiche' nessuna delle domande spiegate dagli attori nei confronti del Comune e' stata accolta. 1.3. Con il terzo motivo, il ricorrente principale, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell'articolo 91 c.p.c., comma 2, seconda parte, e l'omessa esplicitazione dei giusti motivi a supporto della compensazione delle spese di lite ed, in ogni caso, la violazione e/o la falsa applicazione dell'articolo 111 Cost., comma 6 e articolo 111 c.p.c., comma 2, n. 4, nonche' dei principi e delle norme in tema di obbligatorieta' della motivazione e la motivazione meramente apparente, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha disposto la compensazione delle spese nel rapporto processuale tra gli attori ed il Comune di Sperlonga senza, tuttavia, procedere ad alcuna intellegibile e specifica indicazione dei motivi che potessero supportare tale decisione, limitandosi, senza alcuna motivazione, ad affermarne la sussistenza. 1.4. Con il quarto motivo, il ricorrente principale, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell'articolo 91 c.p.c., comma 2, seconda parte, ed, in ogni caso, la radicale insussistenza dei giusti motivi richiesti dalla richiamata disposizione, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha disposto la compensazione delle spese nel rapporto processuale tra gli attori ed il Comune senza, tuttavia, considerare che il Comune era palesemente estraneo alle pretese azionate e non si comprende, dunque, come possa considerarsi giusta la compensazione delle relative spese. 2.1. Il ricorso principale, intanto, e' ammissibile. 2.2. In tema di ricorso per cassazione, in effetti, la procura speciale al difensore, prescritta a pena di nullita' dall'articolo 365 c.p.c., puo' essere conferita al difensore esclusivamente dal soggetto legittimato a stare in giudizio ai sensi dell'articolo 75 c.p.c., il quale, per il Comune, ai sensi del Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 50, e' solo il sindaco (Cass. n. 18062 del 2010) ed, in caso di impedimento dello stesso, il vice sindaco (Cass. n. 1949 del 2003; Cass. n. 17360 del 2003). Ed invero, nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, in difetto di una specifica previsione statutaria o regolamentare, la rappresentanza processuale del Comune spetta, in via esclusiva, al sindaco (Cass. SU n. 12868 del 2005; Cass. n. 4556 del 2012; Cass. n. 7402 del 2014) cui compete il potere, altrettanto esclusivo, di conferire la procura alle liti al difensore designato (Cass. n. 34599 del 2019; Cass. n. 4583 del 2019; Cass. n. 16459 del 2018; Cass. n. 5802 del 2016; Cass. n. 13968 del 2010). 2.3. Nel caso in esame, dagli atti del giudizio emerge, per un verso, che la procura speciale conferita dal Comune in data 14/6/2019 e' stata rilasciata, in virtu' del provvedimento n. 12108 del 10/6/2019, da (OMISSIS), nella dichiarata qualita' di "Vice Sindaco" del Comune di Sperlonga, e, per altro verso, che, a mezzo di tale provvedimento, lo stesso Vice Sindaco, ritenuta la necessita' di salvaguardare gli interessi dell'ente, ha conferito l'incarico all'Avvocato (OMISSIS) di proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte d'appello di Roma n. 2490 del 12/4/2019. 2.4. I controricorrenti (OMISSIS) ed (OMISSIS), a fronte di tali atti, hanno documentato che, il giorno 13/6/2019, il Sindaco del Comune di Sperlonga aveva sottoscritto, per conto dell'ente, un protocollo d'intesa con il Prefetto di Latina, eccependo, pertanto, che lo stesso non era impedito in ordine all'esercizio delle sue funzioni. 2.5. In effetti, a norma del Decreto Legislativo n. 267 cit., articolo 53, commi 1 e 2, cui l'articolo 28, comma 2, dello statuto del Comune di Sperlonga ha fatto implicitamente riferimento ("il Vice Sindaco sostituisce il Sindaco in via generale,..., nei casi previsti dalla legge"), il Vice Sindaco sostituisce il Sindaco, rispettivamente, nei casi di "impedimento permanente, rimozione, decadenza o decesso" del Sindaco ovvero nei casi di "assenza", "impedimento temporaneo" e nei casi di "sospensione dall'esercizio dalla funzione" previsti dall'articolo 59, come poi stabiliti del Decreto Legislativo n. 235 del 2012, articoli 10 e 11. 2.6. Ritiene, tuttavia, la Corte che l'eccezione sollevata dai controricorrenti non sia fondata: la mera sottoscrizione del protocollo d'intesa, in data 13/6/2019, infatti, non dimostra di per se' ne' che il Sindaco del Comune di Sperlonga fosse impedito il giorno 10/6/2019, quando il Vice Sindaco ha deliberato la proposizione del ricorso per cassazione, ne' che lo fosse il 14/6/2019, quando e' stata sottoscritta la relativa procura difensiva. 2.7. Del resto, secondo un consolidato orientamento interpretativo di questa Corte, in tema di rappresentanza processuale del Comune, la causa di impedimento del sindaco a firmare direttamente la procura alle liti si presume esistente in virtu' della presunzione di legittimita' degli atti amministrativi, restando a carico dell'interessato l'onere, nella specie rimasto inadempiuto, di dedurre e di provare l'insussistenza dei presupposti per l'esercizio dei poteri sostitutivi, sicche' e' valida, in mancanza di prove che depongano in senso chiaramente contrario, la procura conferita dal vice sindaco ancorche' sia stata omessa, come nella specie, l'indicazione delle ragioni di assenza o impedimento del sindaco (Cass. n. 11962 del 2016; Cass. n. 23261 del 2010). 3.1. I motivi del ricorso principale, da trattare congiuntamente, sono fondati, nei limiti che seguono. 3.2. In tema di compensazione delle spese processuali, infatti, ai sensi dell'articolo 92 c.p.c. (nella formulazione, applicabile ratione temporis, cosi' come modificata dalla L. n. 263 del 2005, articolo 2, comma 1, lettera a), il giudice e' tenuto ad indicare, ove non sussista soccombenza reciproca, i giusti motivi posti a fondamento della stessa che non possono risolversi nell'uso di motivazioni illogiche o meramente apparenti (Cass. n. 25594 del 2018). In effetti, nei giudizi soggetti alla disciplina dell'articolo 92 c.p.c., comma 2, come modificato dalla L. n. 263 del 2005, articolo 2, comma 1, lettera a), ove non sussista reciproca soccombenza, e' legittima la compensazione delle spese processuali solo se concorrono "giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione", in modo logico e coerente (Cass. n. 20617 del 2018), dovendosi, pertanto, ritenere che tale esigenza non sia soddisfatta quando, com'e' accaduto nel caso in esame, il giudice abbia compensato le spese processuali (tra gli attori/appellanti ed il Comune) in ragione, appunto, della sussistenza di "giusti motivi" senza, tuttavia, procedure ad alcuna esplicita indicazione degli stessi. 4.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale, (OMISSIS) e (OMISSIS), lamentando la violazione e/o la falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di distacchi nonche' degli articoli 873 c.c. e segg., e del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, anche in rapporto al principio di prevenzione, la violazione e/o la falsa applicazione dell'articolo 111 Cost., comma 6 e articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonche' dei principi e delle norme in tema di obbligatorieta' della motivazione, la motivazione apodittica, non esaustiva e meramente apparente in ordine al rilievo della costruzione del manufatto (OMISSIS) - (OMISSIS), nella porzione a confine con l'albergo, in data antecedente all'edificazione dell'organismo edilizio confinante, l'omessa considerazione dello stato dei luoghi negli anni âEuroËœ80, ritratto nella documentazione acquisita dal perito, che dimostra l'edificazione della porzione a confine dell'organismo edilizio (OMISSIS) - (OMISSIS) in data successiva al 1/9/1967, con sua conseguente non condonabilita' ai sensi della L. n. 47 del 1985, ed abusivita', in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha accertato la violazione del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, con riferimento alla distanza di dieci metri tra i fabbricati, ed ha, in conseguenza, ritenuto che, sia pur con esclusivo riguardo al corpo di fabbrica (OMISSIS) - (OMISSIS) oggetto della prima domanda di condono edilizio, "preventivamente edificato", sussistesse l'obbligo dei convenuti di procedere all'arretramento dell'attuale fronte est dell'Hotel (OMISSIS) rispetto alla frontistante parete ovest del fabbricato di proprieta' (OMISSIS) - (OMISSIS), in misura pari a m. 2,25, con riferimento alle pareti finestrate. 4.2. Cosi' facendo, pero', hanno osservato i ricorrenti incidentali, la corte d'appello non ha considerato che la realizzazione dell'Hotel e' risultata rispettosa della distanza di ml. 5 dal confine, laddove, al contrario, come accertato dal consulente tecnico d'ufficio, l'immobile di proprieta' (OMISSIS) - (OMISSIS) non lo e', con la conseguenza che la violazione della distanza di ml. 10 e' integralmente ascrivibile agli attori, i quali, infatti, hanno realizzato la costruzione a distanza dal confine inferiore a quella prescritta di 5 metri, allocandola alla distanza media di ml. 2,75 dal corpo di fabbrica dell'albergo. 4.3. La sentenza impugnata, invece, ha omesso di accordare il necessario rilievo a tale circostanza, limitandosi ad affermare, con motivazione apodittica, che l'immobile di proprieta' di (OMISSIS) - (OMISSIS), quale oggetto della prima domanda di condono edilizio, era stato preventivamente edificato, senza, tuttavia, considerare che la preventiva edificazione dell'organismo edilizio del (OMISSIS) e della (OMISSIS) era stata reiteratamente contestata nel corso del giudizio. 4.4. La corte d'appello, inoltre, hanno aggiunto i ricorrenti incidentali, non ha considerato che l'organismo edilizio (OMISSIS) - (OMISSIS), come emerge dalla planimetria del consulente del Comune e dalle fotografie depositate, presenta una porzione, non edificata entro il 1/9/1967 e, pertanto, pur inserita nella prima istanza di condono edilizia, e' abusiva in quanto non sanata ne' sanabile, e che tale porzione e' prospiciente alla parete finestrata della proprieta' (OMISSIS) - (OMISSIS), vale a dire l'unico tratto di parete da prendere in considerazione ai fini del computo delle distanza di legge, sicche', se si tiene conto della distanza tra le pareti legittime, e cioe' al netto delle opere da demolire, il limite minimo di 10 metri risulta rispettato. 5.1. Il motivo, nei limiti che seguono, e' fondato. 5.2. Intanto, il ricorso incidentale e' ammissibile. L'articolo 334 c.p.c., in effetti, consente alla parte, contro cui e' stata proposta impugnazione principale, di esperire impugnazione incidentale tardiva senza subire gli effetti dello spirare del termine ordinario o della propria acquiescenza. La norma e' volta a rendere possibile l'accettazione della sentenza, in situazione di reciproca soccombenza, solo quando anche l'avversario tenga analogo comportamento, per cui, in difetto di limitazioni oggettive, trova applicazione con riguardo a qualsiasi capo della sentenza medesima, ancorche' autonomo rispetto a quello investito dall'impugnazione principale. In base al combinato disposto di cui agli articoli 334, 343 e 371 c.p.c., quindi, e' ammessa l'impugnazione incidentale tardiva (da proporsi con l'atto di costituzione dell'appellato o con il controricorso nel giudizio di cassazione) anche quando sia scaduto il termine per l'impugnazione principale, e persino se la parte abbia prestato acquiescenza alla sentenza, indipendentemente dal fatto che si tratti di un capo autonomo della sentenza stessa e che, quindi, l'interesse ad impugnare fosse preesistente, dato che nessuna distinzione in proposito e' contenuta nelle citate disposizioni, dovendosi individuare, quale unica conseguenza sfavorevole dell'impugnazione cosiddetta tardiva, che essa perde efficacia se l'impugnazione principale e' dichiarata inammissibile (Cass. n. 29593 del 2018; Cass. n. 14609 del 2014; Cass. n. 15483 del 2008; Cass. n. 7827 del 1990). D'altro canto, il principio dell'unicita' del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e percio', nel caso di ricorso per cassazione, con l'atto contenente il controricorso, la cui ammissibilita' e' condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti piu' venti) risultante dal combinato disposto degli articoli 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dai termini (l'abbreviato e l'annuale) di impugnazione in astratto operativi (Cass. n. 5695 del 2015). Nel caso in esame, pertanto, il ricorso incidentale di (OMISSIS) e (OMISSIS), in quanto proposto con controricorso notificato il 23/7/2019, e cioe' nel termine di quaranta giorni dalla notifica, in data 14/6/2019, del ricorso principale, e' senz'altro ammissibile pur se tardivo in quanto notificato oltre il termine di sessanta giorni dalla notifica (avvenuta il 15/4/2019) della sentenza impugnata. 5.3. Ne', del resto, si pongono problemi d'integrazione del contraddittorio con la s.d.f. (OMISSIS) e (OMISSIS) la quale e' rimasta intimata pur a fronte dell'intervenuta notifica del ricorso principale presso l'Avvocato (OMISSIS), che l'ha difesa nel giudizio d'appello, in persona dei relativi soci (OMISSIS) e (OMISSIS) (a nulla, sul punto, rilevando la dicitura del notificante per cui il relativo status sarebbe "al momento odierno non piu' attuale") che, anche in tale qualita' (e nella conseguente rappresentanza della societa', in difetto di emergenze diverse), l'hanno ricevuto. D'altra parte, l'incontestata notificazione del ricorso ad (OMISSIS), che i controricorrenti hanno indicato quale socio accomandatario della (OMISSIS) s.a.s., in cui la s.d.f. (OMISSIS) e (OMISSIS) si sarebbe trasformata (v. il controricorso del 2/10/2019, p. 13 ss.), esclude ogni rilievo, ai fini dell'integrazione del contraddittorio, alla dedotta trasformazione societaria: posto che, in tema di giudizio per cassazione, non assume rilievo, ai fini dell'inammissibilita' del ricorso, la circostanza che questo sia stato notificato ad una societa' in base alla ragione sociale diversa da quella adottata in seguito ad una trasformazione di tipo sociale, risultando comunque la stessa societa' intimata correttamente identificata, senza alcuna incertezza, come controparte del rapporto processuale, a prescindere dalla vicenda meramente modificativa consistente nel passaggio da un tipo ad un altro previsto dalla legge, la quale non incide sui rapporti sostanziali e processuali facenti ad essa capo (Cass. n. 7253 del 2013). 5.4. Quanto al merito delle censure svolte dai ricorrenti incidentali (che, in quanto condannati anche in proprio ad eseguire il disposto arretramento, sono senz'altro legittimati alla relativa proposizione), va, innanzitutto, ribadito che, come questa Corte ha avuto piu' volte modo di affermare, la natura abusiva della costruzione (preventivamente realizzata) rileva unicamente nei rapporti con l'amministrazione pubblica e non anche ai fini del rispetto delle distanze legali (cfr., sul punto, Cass. n. 21354 del 2017, in motiv.). In effetti, le norme di cui all'articolo 872 c.c., comma 2, in tema di distanze tra costruzioni nonche' quelle che in tale materia sono integrative del codice civile sono le uniche che consentano, in caso di loro violazione nell'ambito dei rapporti interprivatistici, la richiesta, oltre che del risarcimento del danno, anche della riduzione in pristino, a nulla rilevando, per converso, il preteso carattere abusivo della costruzione finitima, il suo insediamento in zona non consentita, la disomogeneita' della sua destinazione rispetto a quella (legittimamente) conferita al fabbricato del privato istante in conformita' con le disposizioni amministrative in materia e la sua insuscettibilita' di sanatoria amministrativa, trattandosi di circostanze che, pur legittimando provvedimenti demolitori o ablativi da parte della pubblica amministrazione e pur essendo astrattamente idonee a fondare una pretesa risarcitoria in capo al presunto danneggiato, non integrano, in alcun modo, gli (indispensabili) estremi della violazione delle norme di cui agli articoli 873 c.c. e segg. (Cass. SU n. 5143 del 1998). Nello stesso modo, le disposizioni dettate del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, trovano applicazione in relazione alla situazione concreta, a prescindere dalla distanza delle abitazioni gia' esistenti, dalla loro eventuale abusivita' o da altre disposizioni in senso contrario contenute negli strumenti urbanistici (C.d.S. n. 2086 del 2017, in motiv.). In effetti, in tema di distanze nelle costruzioni, il principio secondo cui la rilevanza giuridica della licenza o concessione edilizia si esaurisce nell'ambito del rapporto pubblicistico tra P.A. e privato, senza estendersi ai rapporti tra privati, deve essere inteso nel senso che il conflitto tra proprietari interessati in senso opposto alla costruzione deve essere risolto in base al diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell'opera e le norme edilizie che disciplinano le distanze legali, tra le quali non possono comprendersi anche quelle concernenti la licenza e la concessione edilizia, perche' queste riguardano solo l'aspetto formale dell'attivita' costruttiva, con la conseguenza che, cosi' come e' irrilevante la mancanza di licenza o concessione edilizia allorquando la costruzione risponda oggettivamente a tutte le prescrizioni del codice civile e delle norme speciali senza ledere alcun diritto del vicino, cosi' l'aver eseguito la costruzione in conformita' della ottenuta licenza o concessione non esclude di per se' la violazione di dette prescrizioni e quindi il diritto del vicino, a seconda dei casi, alla riduzione in pristino o al risarcimento dei danni (Cass. n. 7563 dei 2006, la quale ha confermato la sentenza di merito che aveva accertato la violazione delle distanze da parte del fabbricato del ricorrente: questi aveva censurato la decisione sostenendo che i resistenti avevano costruito in assenza di concessione ma la S.C. ha affermato, conclusivamente, che, una volta che il fabbricato sia stato costruito, anche in assenza di concessione, il secondo frontista, in osservanza del principio della prevenzione, e' tenuto a rispettare la distanza legale tra gli edifici, a meno che non abbia acquistato in base ad un titolo valido il corrispondente diritto di servitu'; conf., per l'affermazione dello stesso principio, Cass. n. 10173 del 1998; Cass. n. 10875 del 1997; Cass. n. 4372 del 2002; in seguito, Cass. n. 17286 del 2011; Cass. n. 4833 del 2019). Deve escludersi, pertanto, ogni rilievo alla porzione asseritamente abusiva dell'immobile degli attori. 5.5. E', invece, fondata la censura che i ricorrenti incidentali hanno proposto nei confronti della sentenza impugnata li' dove la corte d'appello ha "apoditticamente" ritenuto che il "corpo di fabbrica (OMISSIS) - (OMISSIS), oggetto della prima domanda di condono" era stato "preventivamente edificato". E', in effetti, noto come, secondo le Sezioni Unite di questa Corte (n. 8053 del 2014), l'articolo 360 c.p.c., n. 5 (che i ricorrenti incidentali, pur senza citarlo, hanno, in sostanza, invocato) consente, tra l'altro, di denunciare in cassazione - oltre al vizio dell'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo - anche l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, quando tale anomalia si esaurisca, a seconda dei casi, nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", dovendosi, pertanto, escludere qualunque rilevanza solo al semplice difetto di "sufficienza" della motivazione. Al di fuori dell'omesso esame di fatto storico controverso e decisivo, il controllo del vizio rimane, pertanto, circoscritto alla sola verifica dell'esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto "minimo costituzionale" richiesto dall'articolo 111 Cost., ed individuato "in negativo" dalla consolidata giurisprudenza della Corte, formatasi in materia di ricorso straordinario, in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorieta'; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell'articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e che determinano la nullita' della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validita'. In effetti, anche a seguito alla riformulazione dell'articolo 360 c.p.c., n. 5, disposta del Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, se non e' piu' deducibile quale vizio di legittimita' il semplice difetto di sufficienza della motivazione, resta fermo il principio per cui i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all'obbligo di motivazione previsto in via generale dall'articolo 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall'articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4: obbligo che e' violato tanto nel caso in cui la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, tanto nel caso in cui essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perche' perplessa ed obiettivamente incomprensibile), concretando, in tali ipotesi, una nullita' processuale deducibile, in sede di legittimita', com'e' accaduto nel caso di specie, quale error in procedendo ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 4 (cfr. Cass. n. 22598 del 2018). La "motivazione apparente", in effetti, si configura quando la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perche' consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l'iter logico seguito per la formazione del convincimento di talche' essa non consente, com'e' accaduto nel caso in esame, alcun effettivo controllo sull'esattezza e sulla logicita' del ragionamento del giudice (Cass. SU n. 22231 del 2016). La corte d'appello, infatti, ha ritenuto la sussistenza della violazione del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, punto 2, con riferimento alla distanza di dieci metri tra i fabbricati, ed ha, di conseguenza, affermato la necessita' di arretramento dell'attuale fronte est dell'Hotel (OMISSIS) rispetto alla frontistante parete ovest del fabbricato di proprieta' (OMISSIS) - (OMISSIS) in misura pari a 2,25 m, sulla base del mero rilievo in fatto, non altrimenti motivato, pur trattandosi di questione (che, alla luce della riproduzione in ricorso dei relativi passi difensivi, e' risultata, peraltro incontestatamente) controversa tra le parti, che il "corpo di fabbrica (OMISSIS) - (OMISSIS), oggetto della prima domanda di condono" era stato "preventivamente edificato". Ed e', invece, noto che del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, n. 2, pur non imponendo di rispettare in ogni caso una distanza minima dal confine, dev'essere interpretato, in applicazione del principio di prevenzione, nel senso che tra una parete finestrata e l'edificio antistante va rispettata la distanza di mt. 10, con obbligo del prevenuto di arretrare la propria costruzione fino ad una distanza di mt. 5 dal confine, se il preveniente, nel realizzare tale parete finestrata, ha rispettato una distanza di almeno mt. 5 dal confine: ove, al contrario, il preveniente abbia realizzato una parete finestrata ad una distanza dal confine inferiore a mt. 5, come risulta nel caso in esame, il vicino non sara' tenuto ad arretrare la propria costruzione fino a rispettare la distanza di mt. 10 da tale parete ma potra' imporre al preveniente di chiudere le aperture e costruire (con parete non finestrata) rispettando la meta' della distanza legale dal confine ed eventualmente procedere all'interpello di cui all'articolo 875 c.c., comma 2, ove ne ricorrano le condizioni (Cass. n. 3340 del 2002; conf., di recente, Cass. n. 4848 del 2019). 6.1. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, (OMISSIS) e (OMISSIS), lamentando: - la violazione e/o la falsa applicazione dell'articolo 900 c.c., nonche' delle norme e dei principi in tema di classificazione delle pareti finestrate e relativo rapporto con la normativa sulle distanze; - la violazione e/o la falsa applicazione dell'articolo 111 Cost., comma 6 e articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonche' dei principi e delle norme in tema di obbligatorieta' della motivazione; - la motivazione apodittica, non esaustiva e meramente apparente in ordine all'applicazione del distacco minimo di m. 10,00, valevole solo per pareti dotate di vedute; - l'omessa considerazione della natura di mera luce della finestra posta sulla parete dell'albergo, emergente dalla documentazione acquisita dal perito e dagli elaborati tecnici di primo e secondo grado, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello, ritenendo violate le norme sulle distanze, non ha, pero', considerato che, come emerge dalla planimetria catastale e dai reperti fotografici depositati in giudizio, la finestra dell'hotel, posta sulla parete est all'altezza della pavimentazione cortilizia, fronteggiante la parete ovest dell'organismo edilizio (OMISSIS) - (OMISSIS), che e' priva di finestre, non costituisce, secondo i parametri previsti dall'articolo 900 c.c., una veduta ma un mera luce poiche' non consente di affacciarsi sul fondo dei vicini, laddove, al contrario, del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, stabilisce la distanza minima che deve intercorrere tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, dovendosi intendere per pareti finestrate le pareti munite di finestre qualificabili come vedute e non anche a quelle sulle quali si aprono luci. 6.2. La corte d'appello, invece, senza porsi alcun problema della natura della veduta e senza svolgere, anche alle luce dei rilievi svolti dalle parti nel corso del giudizio, i necessari accertamenti, ha dato per scontato che l'apertura sul muro perimetrale dovesse essere qualificata come una veduta, trattandosi, al contrario, di una luce. 7.1. Il motivo e' fondato. 7.2. Questa Corte, invero, ha ripetutamente affermato il principio per cui, affinche' sussista una veduta, a norma dell'articolo 900 c.c., e' necessario, oltre al requisito della inspectio, anche quello della prospectio sul fondo del vicino, dovendo detta apertura non soltanto consentire di vedere e guardare frontalmente ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte ma anche obliquamente e lateralmente, cosi' assoggettando il fondo alieno ad una visione mobile e globale (Cass. n. 8009 del 2012; conf., Cass. SU 10615 del 1996; Cass. n. 15371 del 2000; Cass. n. 480 del 2002; Cass. n. 22844 del 2006; Cass. n. 23952 del 2020). L'elemento caratterizzante la veduta, infatti, e' la possibilita' di avere, attraverso di essa, una visuale agevole, cioe' senza l'utilizzo di mezzi artificiali e affinche' cio' avvenga, a norma dell'articolo 900 c.c., e' necessario, oltre al requisito della inspectio, anche quello della prospectio nel fondo del vicino, dovendo detta apertura non solo consentire di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, in modo che il fondo alieno risulti soggetto, senza ricorrere all'impiego di mezzi artificiali, ad una visione mobile e globale (Cass. n. 11319 del 2018, in motiv.; Cass. n. 346 del 2017, la quale, proprio in forza di tale principio, ha escluso che possa avere carattere di veduta un'apertura munita di una struttura metallica, incorporata nel muro di confine). 7.3. L'accertamento di tali circostanze di fatto, peraltro, e' rimesso all'apprezzamento del giudice di merito (incensurabile in sede di legittimita' se non per il vizio di omesso esame di fatto decisivo ovvero per difetto, nei termini esposti, di motivazione circa il relativo accertamento fattuale), il quale e' tenuto a verificare, in concreto, se l'opera, in considerazione delle caratteristiche strutturali e della posizione degli immobili rispettivamente interessati, permetta a una persona di media altezza (v. Cass. n. 5421 del 2011) di "affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente", in condizioni di sufficiente comodita' e sicurezza (v. tra le altre, Cass. n. 5904 del 1981, Cass. 3265 del 1987, Cass. 7267 del 2003). Nel caso di specie, la sentenza impugnata, pur a fronte della natura controversa del fatto, si e' sottratta all'onere di svolgere, in modo completo, tale accertamento ed ha finito, quindi, per applicare, come denunciato dai ricorrenti incidentali, la norma del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9 (che, disciplinando le distanze tra gli edifici, alla veduta fa riferimento: Cass. n. 19092 del 2012; Cass. n. 6604 del 2012; Cass. n. 26383 del 2016) senza che la fattispecie astratta, ivi descritta, sia stata concretamente e completamente riscontrata nei fatti di causa. La corte d'appello, infatti, ha ritenuto di applicare l'articolo 9 cit., sul presupposto, del cui accertamento non si e' fatta alcun carico, che la parete fosse finestrata, non avendo, in particolare, accertato se tale apertura permetteva effettivamente ad una persona di media altezza di "affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente", in condizioni di sufficiente comodita' e sicurezza. 8.1. Con il terzo motivo di ricorso incidentale, (OMISSIS) e (OMISSIS), lamentando: - la violazione e/o la falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di muro di confine e relativa altezza nonche' dell'articolo 878 c.c.; - la violazione e/o la falsa applicazione dell'articolo 111 Cost., comma 6 e articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonche' dei principi e delle norme in tema di obbligatorieta' della motivazione; - la motivazione apodittica e meramente apparente in ordine all'attuale altezza del muro, genericamente indicata, senza che sia stata considerata la naturale pendenza del terreno, in una misura compresa tra m. 3,05 e m. 3,55; - l'omessa considerazione di un fatto decisivo, emergente dalle perizie e dalle relazioni dei consulenti tecnici di parte, costituito dalle pendenza naturale della proprieta' (OMISSIS) - (OMISSIS), in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello, alla luce della relazione del consulente tecnico d'ufficio, ha ritenuto che il muro al confine realizzato dai convenuti, pur non misurando quattro metri, avesse, in corrispondenza della proprieta' (OMISSIS) - (OMISSIS), caratterizzata da un piano di calpestio degradante in direzione sud, una misura variabile, compresa tra un minimo di 3,05 metri ed un massimo di circa 3,55 metri, e che l'innalzamento del muro divisorio, in quanto in ogni sua parte di altezza superiore a tre metri, non fosse, dunque, conforme alla norma dell'articolo 878 c.c. e dovesse essere, pertanto, "nella parte a confine con la proprieta' (OMISSIS) - (OMISSIS)", "abbassato in modo tale da non superare l'altezza di m 3". 8.2. La corte d'appello, pero', hanno osservato i ricorrenti incidentali, cosi' facendo, ha omesso di considerare il fatto incontestato e decisivo costituito, come accertato dallo stesso consulente tecnico d'ufficio, dalla naturale pendenza della corte di proprieta' (OMISSIS) - (OMISSIS) verso sud, in conseguenza della quale il muro, se osservato dalla posizione di corte posta piu' in basso, sembra di altezza maggiore. In realta', trattandosi di dislivello naturale del terreno e non gia' dell'artificiale creazione di un terrapieno, e' sufficiente che l'altezza di m. 3 sia rispettata ove si osservi il muro dalla proprieta' dell'Hotel, ovvero dalla porzione dell'area cortilizia collocata piu' in alto. 9. Il motivo e' infondato. 9.1. I ricorrenti incidentali, in effetti, pur deducendo vizi di violazione di norme di legge sostanziale o processuale, hanno lamentato, in sostanza, l'erronea ricognizione dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito, li' dove, in particolare, questi, ad onta delle relative emergenze, hanno affermato che il muro al confine tra le proprieta' delle parti ha una misura variabile, compresa tra un minimo di 3,05 metri ed un massimo di circa 3,55 metri e che tale muro, in quanto in ogni sua parte di altezza superiore a tre metri, non e', dunque, conforme alla norma dell'articolo 878 c.c. e dev'essere, pertanto, "nella parte a confine con la proprieta' (OMISSIS) - (OMISSIS)", "abbassato in modo tale da non superare l'altezza di m. 3". 9.2. Sennonche', come in precedenza osservato, le Sezioni Unite di questa Corte, nella sentenza n. 8053 del 2014, hanno enunciato il principio secondo cui, per effetto della nuova formulazione dell'articolo 360 c.p.c., n. 5, come introdotta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis), oggetto del vizio di cui alla citata norma e' oggi, esclusivamente, l'omesso esame circa un "fatto decisivo per il giudizio, che e' stato oggetto di discussione tra le parti": il mancato esame, dunque, deve riguardare un vero e proprio "fatto", in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex articolo 2697 c.c., cioe' un "fatto" costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017), e non, invece, gli elementi istruttori in quanto tali, quando, com'e' accaduto nel caso in esame, il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche' questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti. La corte d'appello, infatti, ad onta di quanto affermato dai ricorrenti incidentali, ha espressamente considerato, con apprezzamento nient'affatto apparente o illogico, il fatto costituito dalla naturale pendenza della corte di proprieta' (OMISSIS) - (OMISSIS) verso sud. 9.3. La valutazione delle prove raccolte, del resto, costituisce un'attivita' riservata in via esclusiva all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione se non per il vizio consistito, come stabilito dall'articolo 360 c.p.c., n. 5, nell'avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l'esame di uno o piu' fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia. Rimane, pertanto, estranea a tale vizio qualsiasi censura volta a criticare il "convincimento" che il giudice si e' formato, a norma dell'articolo 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all'esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilita' delle fonti di prova. La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un'attivita' riservata in via esclusiva all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Nel quadro del principio, espresso nell'articolo 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), del resto, il giudice civile ben puo' apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e cosi' escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti: il relativo apprezzamento e' insindacabile in sede di legittimita', purche' risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati. (Cass. n. 11176 del 2017). La valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull'attendibilita' dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute piu' idonee a sorreggere la motivazione, involgono, in effetti, apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale e' libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga piu' attendibili, senza essere tenuto ad un'esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (v. Cass. n. 42 del 2009; Cass. n. 20802 del 2011). Del resto, il compito di questa Corte non e' quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata ne' quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual e' reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.): come, in effetti, e' accaduto nel caso in esame. 9.4. La corte d'appello, invero, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, ha ritenuto, in fatto, che il muro al confine di confine aveva una misura variabile, compresa tra un minimo di 3,05 metri ed un massimo di circa 3,55 metri, e che tale muro, in quanto in ogni sua parte di altezza superiore a tre metri, non era, dunque, conforme alla norma dell'articolo 878 c.c.. Ed una volta accertato, come la corte ha ritenuto senza che tale apprezzamento in fatto sia stato utilmente censurato (nell'unico modo possibile, e cioe', a norma dell'articolo 360 c.p.c., n. 5) per omesso esame di una o piu' circostanze decisive, che il muro di cinta avesse un'altezza superiore, in ogni suo punto, a tre metri, non si presta, evidentemente, a censure, per violazione di legge, la decisione che la stessa corte ha conseguentemente assunto, e cioe' la condanna all'abbattimento della parte eccedente. L'articolo 878 c.c., comma 1, dispone, infatti, che non e' considerato ai fini del computo delle distanza di cui all'articolo 873 c.c., solo il muro di cinta che non abbia un'altezza superiore ai tre metri. 9.5. D'altra parte, in tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non puo' considerarsi "costruzione", agli effetti della disciplina di cui all'articolo 873 c.c., solo per la parte che adempie alla sua specifica funzione e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento, mentre la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, soggiace alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico (Cass. n. 14710 del 2019). In ogni caso, in tema di muri di cinta tra fondi a dislivello, solo nel caso in cui l'andamento altimetrico del piano di campagna, originariamente livellato sul confine tra due fondi, sia stato artificialmente modificato innalzando detto piano, al fine di verificare se sia rispettata l'altezza massima del muro di cinta costruito sul confine, l'altezza dev'essere misurata computandovi il terrapieno creato ex novo dall'opera dell'uomo, ossia tenendo conto dell'originario posizionamento del terreno (Cass. n. 23934 del 2015). 10. Con il quarto motivo di ricorso incidentale, (OMISSIS) e (OMISSIS), lamentando: - la violazione e/o la falsa applicazione dell'articolo 1226 c.c. e delle norme e dei principi in tema di liquidazione equitativa del danno; - la violazione e/o la falsa applicazione dell'articolo 111 Cost., comma 6 e articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonche' dei principi e delle norme in tema di obbligatorieta' della motivazione; - la motivazione generica, apodittica e meramente apparente in ordine alla stima del danno, peraltro espressamente compiuta senza tener conto delle perizie; - la violazione e/o la falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di operazioni peritali, rinnovazione e sostituzione del consulente tecnico d'ufficio ai sensi dell'articolo 196 c.p.c.; - l'omessa considerazione della natura prevalentemente abusiva dell'immobile (OMISSIS) - (OMISSIS), da considerare legittimo per un'estensione pari al massimo a mq 60,00; - l'omessa considerazione del complessivo miglioramento delle stato dei luoghi, apportato dai lavori contestati, tale da determinare quantomeno la compensazione integrale con l'asserito danno, tenuto altresi' conto dell'insussistenza di preesistenti servitu' di transito carrabile e sosta a carico del fondo (OMISSIS) - (OMISSIS), in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha parzialmente accolto la domanda risarcitoria proposta dagli attori, liquidando i danni in via equitativa. 11. Con il quinto motivo di ricorso incidentale, (OMISSIS) e (OMISSIS), lamentando: - la violazione e/o la falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di regolamentazione delle spese di lite; - la violazione e/o la falsa applicazione degli articoli 91 c.p.c. e segg., anche in comb. disp. con l'articolo 88 c.p.c. e con il generale divieto di abuso del processo, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello li ha condannati al rimborso, in favore degli attori, delle spese di lite tanto per il primo, quanto per il secondo grado di giudizio. 12. Il quarto ed il quinto motivo sono assorbiti. 13.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale, (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno lamentato: - la violazione e la falsa applicazione delle norme sui distacchi ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli articoli 871, 872 e 873 c.c., anche in rapporto al principio di prevenzione della L. n. 1150 del 1942, articolo 10, articoli 39 e 40 delle N.T.A. del Comune di Sperlonga in relazione al Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968; - l'omessa considerazione che trattasi di demolizione e ricostruzione di ristorante abusivo in zona agricola con cambio di destinazione ad albergo con raddoppio di volumetria in area affetta da inedificabilita' assoluta sia perche' zona E2 entro la fascia di 30 mt. dalla s.r. Fiacca; - l'assenza di motivazione ai sensi dell'articolo 111 Cost., comma 6, in relazione all'articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per non aver considerato che, in forza della sentenza irrevocabile n. 845/2012 del tribunale di Latina, cosi' come confermata dalla Corte di cassazione con sentenza n. 43102 del 2015, trattasi di complesso edilizio completamente illecito tant'e' che e' sotto sequestro per lottizzazione abusiva, cosi' come documentato con la sentenza della Corte di cassazione n. 15253 del 2015. 13.2. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno lamentato: - la violazione e la falsa applicazione delle norme sui distacchi ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli articoli 871, 872 e 873 c.c., anche in rapporto al principio di prevenzione della L. n. 1150 del 1942, articolo 10, articoli 39 e 40 delle N.T.A. del Comune di Sperlonga; - l'omessa considerazione che e' stata disposta la non demolizione di un muro di confine con annesse volumetrie in area affetta da inedificabilita' assoluta; - l'assenza di motivazione ai sensi dell'articolo 111 Cost., comma 6, in relazione all'articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per non aver considerato, anche ai fini di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 5, che, in forza della sentenza irrevocabile n. 845/2012 del tribunale di Latina, cosi' come confermata dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 43102 del 2015, trattasi di complesso edilizio completamente illecito tant'e' che e' sotto sequestro per lottizzazione abusiva, cosi' come documentato con la sentenza della Corte di cassazione n. 15253 del 2015. 13.3. Con il terzo motivo di ricorso incidentale, (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno lamentato la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1226 e 2056 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, anche in rapporto ai principi in materia di liquidazione equitativa del danno, e l'assenza di motivazione ai sensi dell'articolo 111 Cost., comma 6, in relazione all'articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per non aver considerato che il consulente tecnico d'ufficio aveva quantificato il danno risarcibile in favore degli attori. 14.1. Il ricorso incidentale di (OMISSIS) e (OMISSIS) e' inammissibile. 14.2. In effetti, come questa Corte ha ripetutamente affermato, il ricorso incidentale per cassazione, ai sensi dell'articolo 371 c.p.c., comma 2, dev'essere proposto nel termine di quaranta giorni dalla notifica del ricorso principale e non dalla notifica del primo ricorso incidentale, perche' avverso quest'ultimo dell'articolo 371 cit., comma 4, prevede solo la proponibilita' del controricorso ma non anche di un ulteriore ricorso incidentale, derivandone diversamente una serie indeterminata di ricorsi incidentali tardivi, in contrasto con il principio per il quale l'impugnazione incidentale e' proponibile solo dalle parti contro cui e' stata proposta l'impugnazione principale (Cass. n. 6282 del 2004). 14.3. Il ricorso incidentale per Cassazione, in effetti, dev'essere proposto, ai sensi dell'articolo 371 c.p.c., comma 2, nel termine di quaranta giorni dalla notifica del ricorso principale e non dalla notifica di un primo ricorso incidentale, atteso che avverso il ricorso incidentale del detto articolo 371, comma 4, prevede solo la proponibilita' del controricorso non anche di un ulteriore ricorso incidentale in questo contenuto, potendo da cio' derivare una serie indeterminata di ricorsi incidentali tardivi in contrasto con i principi della proponibilita' dell'impugnazione incidentale solo dalle parti contro cui e' stata proposta l'impugnazione principale (Cass. n. 9812 del 2001) e della concentrazione delle impugnazioni contro la stessa sentenza (Cass. n. 11031 del 2003; conf. Cass. n. 23215 del 2010; Cass. n. 188 del 1996). Nel giudizio di cassazione, pertanto, il termine per la valida proposizione del ricorso incidentale tardivo ex articolo 334 c.p.c., decorre sempre dalla data in cui il controricorrente ha ricevuto la notificazione del ricorso principale e non degli eventuali successivi ricorsi incidentali, non essendo configurabili decorrenze differenziate in relazione alla posizione di ciascun controricorrente (Cass. n. 19165 del 2015). 14.4. Il principio dell'unicita' del processo di impugnazione contro una stessa sentenza, del resto, comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e percio', nel caso di ricorso per cassazione, con l'atto contenente il controricorso (Cass. n. 5695 del 2015; conf., Cass. n. 448 del 2020), che e', dunque, ammissibile solo a condizione che la notificazione del relativo atto non ecceda il termine di quaranta giorni da quello dell'impugnazione principale (cfr. Cass. n. 30775 del 2019). In definitiva, atteso il principio di unita' dell'impugnazione, sancito dall'articolo 333 c.p.c. - il quale implica che l'impugnazione proposta per prima determina la pendenza dell'unico processo nel quale sono destinate a confluire, sotto pena di decadenza, per essere decise simultaneamente, tutte le eventuali impugnazioni successive proposte avverso la stessa sentenza, le quali, in conseguenza, possono assumere soltanto carattere incidentale - nei procedimenti con pluralita' di parti, una volta avvenuta ad istanza di una di esse la notificazione del ricorso per cassazione, le altre parti, alle quali il ricorso sia stato notificato, debbono proporre, a pena di decadenza, i loro eventuali ricorsi avverso la medesima sentenza nello stesso procedimento e, percio', nella forma del ricorso incidentale, ai sensi dell'articolo 371 c.p.c., in relazione all'articolo 333 c.p.c., e cioe' entro i quaranta giorni dalla notificazione del primo ricorso principale (cfr. Cass. n. 27887 del 2009; conf., Cass. n. 20593 del 2004; Cass. SU n. 9232 del 2002; Cass. SU n. 7074 del 2017; Cass. n. 30775 del 2019). 14.5. (OMISSIS) e (OMISSIS), al contrario, a fronte di un ricorso principale notificato il 14/6/2019, hanno proposto il ricorso incidentale in esame in un atto diverso dal controricorso (al ricorso principale) gia' notificato il 24/7/2019, e, precisamente, con il controricorso (al ricorso incidentale di (OMISSIS) e di (OMISSIS)) notificato solo in data 2/10/2019, che e', quindi, tardivo, perche' successivo alla scadenza del termine di quaranta giorni dalla notifica del ricorso principale, e, dunque, inammissibile. 15. Il ricorso principale ed il ricorso incidentale di (OMISSIS) e di (OMISSIS), nei limiti in precedenza esposti, devono essere, quindi, accolti, con il rigetto, relativamente a quest'ultimo, del terzo motivo, assorbiti gli altri, e la sentenza impugnata, per l'effetto, cassata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d'appello di Roma che, in differente composizione, provvedera' anche a liquidare le spese del presente giudizio. 16. Il ricorso incidentale di (OMISSIS) e (OMISSIS) dev'essere, invece, dichiarato inammissibile. 17. La Corte da' atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali (OMISSIS) e (OMISSIS), di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto. P.Q.M. La Corte cosi' provvede: accoglie nei limiti indicati in motivazione il ricorso principale ed il ricorso incidentale di (OMISSIS) e di (OMISSIS), con il rigetto, relativamente a quest'ultimo, del terzo motivo, assorbiti gli altri; dichiara l'inammissibilita' del ricorso incidentale di (OMISSIS) e (OMISSIS); cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d'appello di Roma che, in differente composizione, provvedera' anche a liquidare le spese del presente giudizio; da' atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali (OMISSIS) e (OMISSIS), di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. D'ASCOLA Pasquale - Presidente Dott. ORILIA Lorenzo - rel. Consigliere Dott. FALASCHI Milena - Consigliere Dott. SCARPA Antonio - Consigliere Dott. BESSO MARCHEIS Chiara - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 9560-2016 proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS); - ricorrente - contro (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall'avvocato (OMISSIS); - controricorrenti - contro (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS); - intimati - avverso la sentenza n. 426/2015 della CORTE D'APPELLO di BARI, depositata il 19/03/2015; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/10/2021 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE ALESSANDRO, che chiede l'accoglimento del primo, il secondo ed il quarto motivo del ricorso, l'assorbimento del terzo. RITENUTO IN FATTO 1 Nella lite tra (OMISSIS) (proprietario di un compendio immobiliare in (OMISSIS) con annesso cortile scoperto) e i proprietari del confinante fabbricato (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la Corte d'Appello di Bari, con sentenza n. 426/2015 resa pubblica il 19.3.2015, ha rigettato l'impugnazione del (OMISSIS) contro la sentenza di primo grado (Tribunale di Trani n. 194/2012) con cui - per quanto ancora interessa - respinte le domande di eliminazione delle vedute aperte sul fondo dell'attore, nonche' della gronda con canale di scarico, era stata pronunciata condanna dei convenuti a munire le luci di inferriate e di grate fisse in metallo con maglie di misura non maggiore di tre centimetri quadrati. La Corte barese ha motivato il rigetto dell'impugnazione osservando, sempre per quanto interessa: - che la domanda volta a far dichiarare l'inesistenza di servitu' di veduta diretta era stata correttamente rigettata per difetto di prova perche' occorreva provare che sul fondo del vicino erano state aperte vedute a distanza inferiore ad un metro e mezzo dal confine; - che ugualmente, in assenza di prove e allegazioni di sorta, il Tribunale aveva rigettato la domanda relativa alla rimozione della grondaia e del tubo di scarico, rimasta allo stato di semplice enunciazione, senza trovare riscontro nell'ambito dell'istruttoria e della consulenza tecnica espletata, sostanzialmente non contestata nell'atto di appello, sicche' appariva superflua la richiesta di integrazione probatoria con una nuova consulenza; - che, con riferimento, alla relazione tecnica depositata nel corso del giudizio di appello, si trattava di una censura "per relationem" contenente inammissibili documenti nuovi in grado di appello ed inidonea a far percepire al giudice di appello il contenuto delle contestazioni. 2 Contro tale sentenza il (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi contrastati con controricorso da (OMISSIS) e (OMISSIS). Le altre parti sono rimaste intimate. Il Procuratore Generale ha fatto pervenire conclusioni scritte insistendo per l'accoglimento del primo, secondo e quarto motivo per l'assorbimento del terzo. In prossimita' dell'udienza il controricorrente ha depositato una memoria ex articolo 378 c.p.c.. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Preliminarmente va disattesa l'eccezione di inammissibilita' del ricorso sollevata nel controricorso e ribadita nella memoria. Ai fini del rispetto del canone di specificita' dei motivi, previsto dall'articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, non e' infatti necessaria l'adozione di formule sacramentali, ne' l'esatta indicazione numerica di una delle ipotesi previste dall'articolo 360, comma 1, cit., risultando sufficiente che il ricorso contenga la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza o dalla dottrina, in modo tale da porre questa Corte in condizione di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. Sez. 1 -, Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020 Rv. 658610; Cass., Sez. I, 29/11/2016, n. 24298; 19/10/2006, n. 22499; Cass., Sez. III, 25/09/2009, n. 20652). Nel caso che ci occupa, le censure sollevate, come si vedra' a breve, soddisfano il requisito di specificita' consentendo al Collegio di verificarne il fondamento. Passando adesso all'esame dei motivi, col primo di essi si denunzia violazione e falsa applicazione degli articoli 905 e 2697 c.c., in relazione all'esistenza della prova del mancato rispetto della distanza di legge per l'apertura di vedute. Il primo errore della Corte d'Appello consiste, secondo il ricorrente, nel non aver colto che con la domanda introduttiva era stata dedotta l'apertura di vedute a distanza illegale dal cortile scoperto di proprieta' dell'attore denominato "(OMISSIS)" e che pertanto le aperture, rispetto a tale cortile, costituivano vedute dirette. Di conseguenza, la distanza andava calcolata tra il muro in cui erano state aperte le vedute (posizionato sul confine) e il predetto cortile. Altro errore della Corte di merito, ad avviso del ricorrente, sta nell'aver ritenuto la domanda carente di prova senza considerare che l'attore aveva depositato con la domanda giudiziale anche una perizia di parte corredata da rilievi fotografici dello stato dei luoghi ed aveva poi richiesto in via istruttoria la nomina di un consulente tecnico. Il motivo e' fondato. Come ripetutamente affermato da questa Corte, chi agisce giudizialmente per fare dichiarare la inesistenza a carico del proprio fondo di una servitu' di veduta diretta deve limitarsi a provare che sul fondo del vicino si apre una veduta a distanza inferiore a un metro e mezzo dal confine, in quanto l'articolo 905 c.c. gli da' diritto di pretenderne l'eliminazione, mentre incombe al convenuto, ai sensi dell'articolo 2697 c.c., per evitare il riconoscimento di tale diritto, fornire la prova di un titolo che gli attribuisca la servitu' di veduta. Soltanto se affermi che la veduta sia stata aperta in sostituzione di un'altra veduta di cui ammetta o non contesti la conformita' al diritto, l'attore deve, altresi', dimostrare il presupposto su cui si basa la sua pretesa, cioe' la difformita' della nuova veduta rispetto a quella preesistente (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 20871 del 29/09/2009 Rv. 609961; Sez. 2, Sentenza n. 5734 del 13/06/1994 Rv. 487045; Sez. 2, Sentenza n. 1605 del 24/04/1975 Rv. 375196). Nel caso in esame, e' la stessa sentenza impugnata ad attestare (cfr. pagg. 2 e 3) che con l'atto introduttivo l'attore - dopo aver premesso di essere proprietario per titolo, tra l'altro, "...di annesso cortile scoperto" aveva dedotto che "i proprietari del palazzo costruito sul confine di detto cortile...avevano abusivamente...aperto vedute dirette ed oblique nella parete cieca inspiciente la proprieta' altrui...." ed aveva quindi domandato, tra l'altro, "che fosse ordinata l'eliminazione di tutte le vedute, oblique e dirette prospicienti ed inspicienti la sua proprieta' ed aperte sul muro di confine del loro fabbricato delimitante il cortile scoperto con accesso da (OMISSIS)...". Avendo poi il (OMISSIS) suffragato la domanda con una perizia di parte corredata di rilievi fotografici e chiesto - gia' con l'atto introduttivo - la nomina di un consulente tecnico di ufficio (consulente "percipiente", trattandosi di accertamento di fatti: cfr. tra le varie Sez. 3, Ordinanza n. 3717 del 08/02/2019 Rv. 652736; Sez. 3, Sentenza n. 6155 del 13/03/2009 Rv. 607649 e con cio' si risponde all'ulteriore eccezione contenuta a pagg. 10 e ss. del controricorso e 2 e ss. della memoria), non si comprende di quale altro onere avrebbe dovuto farsi carico l'odierno ricorrente al fine di veder tutelare davanti ai giudici di merito il suo diritto alla eliminazione di vedute che si assumevano aperte nel muro posto a confine col suo fondo (il "cortile scoperto", si ripete). L'errore della Corte d'Appello e' duplice e consiste sia nell'aver stravolto l'onere probatorio in tema di actio negatoria (quale e' pacificamente quella di cui si discute), sia nell'aver errato ad individuare il "presunto fondo servente" rispetto al quale calcolare la distanza per le vedute, fondo servente rappresentato - si badi bene - dal cortile scoperto denominato (OMISSIS), come espressamente dedotto in citazione. A tali errori rimediera' il giudice di rinvio sulla scorta del principio di diritto esposto, previa esatta individuazione della natura delle aperture che prospettano su tale cortile scoperto secondo la previsione degli articoli 905 e 906 c.c.. 2 Col secondo motivo il (OMISSIS) deduce la nullita' della sentenza ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e articolo 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda di regolarizzazione delle luci nonche', in subordine, violazione e falsa applicazione degli articoli 901 e 2697 c.c. in riferimento alla prova della lamentata irregolarita' delle luci. Sostiene in particolare che con l'atto di citazione aveva chiesto la regolarizzazione delle luci aperte dai vicini sul suo fondo secondo il disposto di legge e precisa che con l'atto di appello aveva denunciato una non esaustiva regolarizzazione disposta dal Tribunale, essendo stata omesso l'adeguamento nel rispetto dell'articolo 901 c.c., n. 2. Anche tale motivo e' fondato. In linea di principio va ricordato che secondo la giurisprudenza di legittimita' l'omessa pronuncia su un motivo di appello integra la violazione dell'articolo 112 c.p.c. (tra le varie, v. Sez. 2 -, Sentenza n. 1539 del 22/01/2018 Rv. 647081 Sez. 5, Sentenza n. 452 del 14/01/2015 Rv. 634428. Ebbene, come risulta dagli atti del processo (che la natura procedurale del vizio lamentato consente senz'altro di consultare), in citazione si era dedotta l'apertura di luci irregolari e se ne era chiesta la regolarizzazione. A sostegno della domanda ancora una volta era stata allegata la relazione tecnica di parte ed era stata avanzata richiesta di nomina di consulente tecnico di ufficio. Il Tribunale aveva pero' ordinato una regolarizzazione solo parziale, essendosi limitato a disporre la creazione delle inferriate e delle grate (lo riporta la stessa sentenza impugnata a pag. 4), trascurando cosi' di considerare che la regolarizzazione prevede anche l'adeguamento dell'altezza del lato inferiore dal pavimento o dal suolo del luogo al quale si vuole dare luce ed aria (due metri e mezzo o due metri a seconda che si tratti di luci aperte al piano terreno o ai piani superiori: articolo 901 n. 2) e dal suolo del fondo vicino (due metri e mezzo a meno che non si tratti di locale in tutto o in parte a livello inferiore al suolo del vicino e la condizione dei luoghi non consenta di osservare l'altezza stessa: articolo 901, n. 3). E con l'atto di appello il (OMISSIS) si era doluto proprio dell'incompletezza dell'ordine di regolarizzazione, avendo segnalato che il primo giudice non aveva disposto la regolamentazione anche rispetto al pavimento e dal suolo del fondo vicino (cfr. atto di appello). Il motivo, dunque, c'era ed era in linea con lo standard di specificita' richiesto dall'articolo 342 c.p.c..: infatti, gli articoli 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilita', una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di "revisio prioris instantiae" del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversita' rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Sez. U -, Sentenza n. 27199 del 16/11/2017 Rv. 645991). Inoltre, ai fini della specificita' dei motivi d'appello richiesta dall'articolo 342 c.p.c., l'esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, puo' sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, non essendo necessaria l'allegazione di profili fattuali e giuridici aggiuntivi, purche' cio' determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice (cfr. Sez. 2 -, Ordinanza n. 23781 del 28/10/2020 Rv. 659392); Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 3115 del 08/02/2018 Rv. 648034). Pertanto, la Corte territoriale doveva dare una risposta sulla dedotta incompleta regolarizzazione delle luci ordinata dal primo giudice, ma non l'ha fatto, incorrendo cosi' nel vizio di omessa pronunzia. Anche a tale lacuna porra' rimedio il giudice di rinvio. 3 Col terzo motivo si denunzia ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l'omesso esame circa un fatto decisivo che e' stato oggetto di discussione tra le parti, rimproverandosi alla Corte territoriale il mancato accertamento dei requisiti dimensionali delle vedute e delle luci per cui e' causa, trattandosi di fatti costitutivi delle domande e non di "prova". Il ricorrente richiama le richieste di integrazione della consulenza per rimediare alle carenze riscontrate ed evidenzia, infine, ma in via cautelativa, profili di incostituzionalita' dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in relazione all'articolo 24 Cost. nella parte in cui, in ipotesi di domande giudiziali fondate su fatti costitutivi accertabili esclusivamente per il tramite di indagini tecniche, impedisce di censurare per cassazione il vizio del mancato svolgimento di dette indagini. 4 Col quarto ed ultimo motivo, il ricorrente denunzia violazione dell'articolo 115 c.p.c. e articolo 2697 c.c. con riferimento alla prova dell'esistenza della grondaia e del tubo di scarico. Sostiene di avere dedotto in primo grado una servitu' di scolo di acque pluviali dalla gronda e dal canale di scarico e di essersi doluto in appello del rigetto della relativa domanda per difetto di allegazione e di prova. Osserva in proposito che l'esistenza di tali manufatti non solo non era stata contestata dai convenuti, ma anzi era stata confermata espressamente dagli stessi attraverso la proposizione di una domanda riconvenzionale e di accertamento della relativa servitu' per usucapione. Il giudice avrebbe dovuto pertanto fare applicazione del principio di non contestazione, gia' immanente nell'ordinamento, a prescindere dalla nuova formulazione dell'articolo 115 c.p.c.. Il quarto motivo, da trattarsi con precedenza per ragioni di priorita' logica, e' fondato. Il principio di non contestazione, pur essendo stato codificato con la modifica dell'articolo 115 c.p.c. introdotta dalla L. n. 69 del 2009, e' applicabile anche ai giudizi antecedenti alla novella, avendo questa recepito il previgente principio giurisprudenziale in forza del quale la non contestazione determina effetti vincolanti per il giudice, che deve ritenere sussistenti i fatti non contestati, astenendosi da qualsivoglia controllo probatorio in merito agli stessi (cfr. tra le varie, Sez. 3 -, Sentenza n. 5429 del 27/02/2020 Rv. 657136; Cass., 3, n. 5356 del 5/3/2009; Cass., n. 27596 del 2008, n. 7074 del 2006). Nel caso in esame i convenuti non avevano mai contestato l'esistenza di tali manufatti, ma ne avevano dedotto la legittimita' assumendo di avere usucapito la relativa servitu'. E in appello, con apposito motivo, il (OMISSIS) si era doluto proprio del rigetto, per difetto di allegazione e di prova, della relativa domanda da lui proposta, volta alla negazione della servitu' e al divieto dello scolo. Si rivela cosi' ancora una volta errata la sentenza impugnata laddove ha addebitato all'attore "l'assenza di prove e allegazioni di sorta" senza considerare che la proposizione, da parte dei convenuti, di una domanda riconvenzionale volta all'accertamento di una servitu' di scarico nel fondo altrui e' logicamente incompatibile con la negazione dell'esistenza dei relativi manufatti. A cio' aggiungasi - e il rilievo tronca ogni ulteriore discussione - che l'attore aveva allegato all'atto di citazione anche una relazione corredata da relazione fotografica sullo stato dei luoghi e in appello aveva prodotto anche una ulteriore relazione tecnica. I giudici di appello, a fronte di specifica doglianza, avrebbero dovuto dunque esaminare la violazione dedotta, ma non l'hanno fatto ravvisando, in conformita' col Tribunale, "assenza di prove e allegazioni di sorta "nuovamente violando la regola dell'onere probatorio e della non contestazione. Altro errore sta nell'avere ritenuto che la produzione di una relazione tecnica in appello rappresentasse una violazione del divieto di produzione di nuovi documenti (cfr. pag. 7 sentenza impugnata). mentre invece per giurisprudenza costante si tratta di mera difesa di parte (Cfr. Sez. U, Sentenza n. 13902 del 03/06/2013 Rv. 626469; Sez. 2 -, Ordinanza n. 20347 del 24/08/2017 Rv. 645101). La sentenza va pertanto cassata per nuovo esame in relazione ai motivi accolti sulla scorta dei citati principi di diritto, restando cosi' logicamente assorbito l'esame del terzo motivo. Il giudice di rinvio, che si individua nella Corte d'Appello di Bari in diversa composizione, provvedera' anche sulle spese del giudizio di legittimita'. P.Q.M. la Corte accoglie il primo, il secondo e il quarto motivo di ricorso; dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimita', alla Corte d'Appello di Bari in diversa composizione.

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