Sentenze recenti maltrattamento

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. VIGNA Maria Sabina - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - rel. Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - Consigliere Dott. DI GIOVINE Ombretta - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Perugia il 03/12/2021; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere, Pietro Silvestri; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Ettore Pedicini, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Perugia ha confermato la sentenza con cui (OMISSIS) e' stato condannato per il reato di maltrattamenti in famiglia in danno della moglie. Il Tribunale aveva assolto l'imputato dal reato di lesioni personali volontarie, compreso nel fatto di maltrattamenti. 2. Ha proposto ricorso l'imputato articolando sei motivi. 2.1. Con il primo si lamenta violazione di legge processuale; il tema attiene alla mancata indicazione del fatto in forma chiara e corretta della imputazione e alla difformita' tra il fatto, come modificato in giudizio, e quello oggetto della sentenza di condanna. Il Tribunale, a seguito dell'eccezione difensiva relativa alla omessa indicazione dei singoli episodi di maltrattamenti e alla data di consumazione del reato, aveva invitato il Pubblico Ministero a precisare l'imputazione e a individuare il tempus commissi delicti genericamente indicato "in (OMISSIS)". Il Pubblico Ministero, si argomenta, avrebbe modificato l'imputazione "in sede di prima udienza dibattimentale (dopo l'udienza del 16.5.2016)" ma la modifica "non veniva mai contestata al prevenuto, ne' notificato il verbale di udienza" (cosi' il ricorso). Si aggiunge che il capo di imputazione modificato non sarebbe mai stato valutato dal Tribunale, avendo questi riportato in sentenza il "vecchio capo di imputazione" con l'indicazione del luogo di commissione del reato in (OMISSIS) "dal (OMISSIS)", dove, in realta', non sarebbe accaduto alcunche', essendo stati i fatti commessi a (OMISSIS). Anche la Corte di appello avrebbe fatto riferimento all'imputazione oggetto del decreto che dispone il giudizio, omettendo di valutare il fatto modificato in dibattimento. 2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge processuale per non avere la Corte di appello valutato l'eccezione ad essa devoluta relativa alla nullita' della sentenza per duplicazione del giudizio per il fatto accaduto il 3.5.(OMISSIS) per il quale vi era stata remissione di querela. La difesa avrebbe in piu' occasioni chiesto la riformulazione del capo di imputazione in tal senso, con la conseguente rideterminazione del periodo oggetto di contestazione, atteso che i residui fatti sarebbero stati solo quelli verificatisi in data 15.6.(OMISSIS), 23.6.(OMISSIS) e 14.7.(OMISSIS), cioe' dopo quattro anni rispetto a quello del (OMISSIS) per il quale, come detto, vi era stata remissione di querela. Dunque la condotta sarebbe stata commessa al piu' dal (OMISSIS) e non dal (OMISSIS). 2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge processuale; il presupposto dell'assunto difensivo e' che anche i fatti di cui al 3.5.(OMISSIS) siano oggetto della contestazione. Sulla base di tale presupposto il tema attiene alla incompetenza territoriale, essendo stato commesso detto fatto a (OMISSIS) sicche' sarebbe quello il luogo in cui il contestato reato di maltrattamenti sarebbe stato conoscibile e qualificabile. 2.4. Con il quarto motivo si lamenta vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilita', affermato sulla base delle sole dichiarazioni della parte civile, la cui attendibilita' sarebbe stata smentita dalle prove a discarico, documentali e dichiarative; l'unico teste oculare, cioe' il figlio della coppia, che sarebbe stato presente a tutti gli episodi, avrebbe in dibattimento negato di avere assistito personalmente ai fatti, riferendo invece di un clima di offese reciproche. Ne' sarebbe stato considerato che, a fronte do comportamenti violenti contestati, non vi sarebbe nessun riscontro documentale (foto, referti, testimonianze, precedenti querele). Le uniche prove confermative delle affermazioni della persona offesa sarebbero costituite dalle dichiarazioni dei genitori della stessa; tuttavia, si argomenta, il padre della donna, (OMISSIS), sarebbe stato animato da grande astio nei confronti dell'imputato, con il quale vi sarebbero state reciproche querele. Le dichiarazioni dei genitori della persona offesa, cosi' come quelle di questa, sarebbero "ciclostilate, vaghe, ripetitive nella descrizione di comportamenti indistinguibili ancorati a solo due o tre episodi dettagliati nell'arco di circa quattro anni". Tutti i testimoni indicati dalla persona offesa, in quanto presenti agli episodi descritti con maggiore precisione, avrebbero smentito gli assunti accusatori. Secondo l'imputato, i fatti per cui si procede sarebbero rivelatori solo di un clima di reciproca conflittualita', peraltro, acuito dalla presenza del padre della donna. La denuncia sarebbe stata solo strumentale al ricorso per separazione; il ricorrente avrebbe avuto in casa una presenza sporadica e, dunque, incompatibile con l'assunto secondo cui i fatti maltrattanti avrebbero avuto cadenza quotidiana; l'affidamento del figlio, dopo la separazione, sarebbe stato condiviso e, diversamente dagli assunti accusatori, non vi sarebbe prova dell'uso da parte dell'imputato di sostanze alcoliche o stupefacenti. La sentenza sarebbe viziata sul piano della valutazione delle prove e del ragionamento probatorio. 2.5. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla contesta aggravante di cui all'articolo 61, n. 1, c.p., rispetto alla quale la motivazione sarebbe omessa. L'aggravante sarebbe stata ritenuta sub valente rispetto alle generiche, e, tuttavia, cio' non assumerebbe decisiva valenza, tenuto conto che nel procedimento di determinazione della pena la motivazione sarebbe silente. 2.6. Con il sesto motivo si lamenta violazione di legge penale: il tema attiene alla individuazione del tempus commissi delicti ed alla successione di leggi penali. Si fa riferimento alla sentenza delle Sezioni unite "Pittala'" che, in tema di successione di leggi e reato abituale e piu' in generale, reati di durata, secondo cui l'applicabilita' dello jus superveniens piu' sfavorevole sarebbe subordinata alla condizione per cui, dopo la modifica normativa peggiorativa, siano stati comunque realizzati tutti gli elementi costitutivi del reato. La Corte non avrebbe inoltre affrontato la questione di se la norma sfavorevole sopravvenuta si applichi solo alle condotte realizzate dopo la sua entrata in vigore ovvero anche a quelle pregresse; ne' sarebbe stato chiarito se il reato debba essere in tali casi considerato unitario oppure scisso in due segmenti fattuali autonomi, ciascun assoggettato alla norma vigente al momento. Sulla base di tali premesse si evidenzia come nel caso di specie una parte della condotta sarebbe stata commessa dopo la modifica peggiorativa dell'articolo 572 c.p. intervenuta con la L. 17 ottobre 2012, n. 1;72. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato nei limiti di cui in motivazione. 2. E' inammissibile, perche' generico, il primo motivo. Ne' con l'atto di appello, ne' con il ricorso per cassazione l'imputato ha indicato: a) in quale udienza specifica l'imputazione sarebbe stata modificata; b) in cosa in concreto sarebbe consistita la modifica; c) se all'udienza in cui l'imputazione fu modificata l'imputato era presente; d) se, in presenza della ipotizzata omessa notifica del verbale contenente l'imputazione, la nullita' fu dedotta tempestivamente;: e) cosa accadde nelle udienze successive; f) quale sarebbe il pregiudizio in concreto subito. Un motivo del tutto aspecifico e dunque strutturalmente inammissibile 3. Non diversamente, e' inammissibile perche' manifestamente infondato, il secondo motivo di ricorso. La remissione della querela e' funzionale alla estinzione del reato avente ad oggetto il fatto specifico verificatosi il 3.5.2019, ma non produce effetti ulteriori anche rispetto al diverso reato di maltrattamenti in famiglia che contiene il fatto relativo all'episodio in questione ma rispetto ad esso e' autonomo e distinto. Il reato di maltrattamenti in famiglia integra una ipotesi di reato necessariamente abituale che si caratterizza per la sussistenza d: una serie di fatti, per lo piu' commissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili (atti di infedelta', di umiliazione generica, etc.) ovvero, come nel caso di specie, non perseguibili d'ufficio (ingiurie, percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela), ma che, tuttavia, acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo. Fatti e condotte che, insieme tra loro, costituiscono I maltrattamenti e che possono singolarmente avere anche autonoma rilevanza penale, costituendo cosi' ipotesi di reati concorrenti. Quando tali condotte, di autonoma concorrente rilevanza penale, cessano di avere rilevanza, esse non sono cancellate o dissolte nella loro storicita' e mantengono piena valenza rispetto al diverso ed autonomo titolo costituito dal delitto di maltrattamenti (sul tema, Sez. 6, n. 39228, del 23/09/2011, S., Rv. 251050, ma anche Sez. 5, n. 3776 del 24/11/2020, G, Rv. 280416 secondo cui ai fini della configurabilita' del delitto di atti persecutori, che ha natura di reato abituale di danno, non rileva la non punibilita' o perseguibilita' per difetto di querela dei singoli fatti-reato previsti dalla fattispecie incriminatrice e costituenti l'unitaria sequenza criminosa determinativa di uno degli eventi previsti dall'articolo 612-bis cod. pen). 3. E' inammissibile anche il terzo motivo di ricorso. Sia che si faccia riferimento all'indirizzo secondo cui in tema di maltrattamenti in famiglia, la competenza per territorio, stante la natura di reato abituale, si radica innanzi al giudice del luogo in cui l'azione diviene complessivamente riconoscibile e qualificabile come maltrattamento e, quindi, nel luogo in culi la condotta venga consumata all'atto di presentazione della denuncia (Sez. F, n. 36132 del 13/08/2019, G, Rv. 276785), sia che invece si voglia aderire al diverso orientamento secondo cui il delitto di maltrattamenti, in quanto reato abituale, si consuma nel momento in cui ha luogo la cessazione della condotta (Sez. 6, n. 2979 del 03/12/2020, dep. 2021, C, Rv. 280590), non assume rilievo che il singolo episodio di cui al 3.5.(OMISSIS) sia avvenuto a (OMISSIS). Sul punto il motivo e' manifestamente infondato e generico. 4. E' inammissibile il quarto motivo relativo alla responsabilita'. La Corte di appello, con una motivazione puntuale, ha valutato le prove e ricostruito i fatti; si e' spiegato perche': a) le dichiarazioni della persona offesa debbano considerarsi attendibili; b) diversamente dagli assunti difensivi, le dichiarazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS), fratello e cognata dell'imputato, pur non espressamente confermative di quelle della persona offesa, assumano nondimeno una indiretta valenza accusatoria; c) anche le dichiarazioni del figlio della coppia, che pure non ha confermato di avere assistito a specifici episodi, non abbiano affatto negato i fatti posti a fondamento del reato per cui si procede; d) le dichiarazioni dei genitori della persona offesa assumano una valenza oggettivamente confermativa delle dichiarazioni di questa, atteso che l'essere portatori di un sentimento ostile non consente di ritenere di per se' il dichiarante portatore di un interesse inquinato, ben potendo un soggetto rivelare fatti veri che, senza quel sentimento ostile, avrebbe potuto non riferire; e) anche le dichiarazioni del maresciallo (OMISSIS) indirettamente assumano va lenza confermativa del quadro accusatorio. In tale contesto, il motivo di ricorso rivela la sua inammissibilita', essendosi limitato l'imputato e sollecitare una diversa valutazione del quadro probatorio e, sostanzialmente, una diversa ricostruzione fattuale. Secondo i principi consolidati dalla Corte di cassazione la sentenza non puo' essere annullata sulla base di mere prospettazioni alternative che si risolvano in una rilettura orientata degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferire rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perche' considerati maggiormente plausibili, o perche' assertivamente ritenuti dotati cli una migliore capacita' esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si e' in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, rv. 234148). L'odierno ricorrente ha riproposto con il ricorso per cassazione la versione dei fatti dedotta in primo e secondo grado e disattesa dai Giudici del merito; compito del giudice di legittimita' nel sindacato sui vizi della motivazione non e' tuttavia quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. E' possibile che nella valutazione sulla "tenuta" del ragionamento probatorio, la struttura motivazionale della sentenza di appello si saldi con quella precedente per formare un unico corpo argomentativo, atteso che le due decisioni di merito possono concordare nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, (cfr., in tal senso, tra le altre, Sez. 3, n. 44418 del 16/07/(OMISSIS), Argentieri, rv. 2574595; Sez. 2, n. 5606 dell'8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez. 1, n. 8868 dell'8/8/2000, Sangiorgi, rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, rv. 209145). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorche' i giudici di secondo grado, come nel caso in esame, esaminino le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con riferimenti alle determinazioni ed ai passaggi logico-giuridici della decisione di primo grado e, a maggior ragione, cio' e' legittimo quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze gia' esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione del primo giudice (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116). Nel caso di specie, i giudici di appello hanno fornito una valutazione analitica ed autonoma sui punti specificamente indicati nell'impugnazione di appello, di talche' la motivazione risulta esaustiva ed immune dalle censure proposte. 5. E' invece fondato il sesto motivo di ricorso. 5.1. Dalla sentenza impugnata emerge che i fatti per cui si procede sono stati commessi dal (OMISSIS) fino al luglio del (OMISSIS). Dunque, una condotta che si e' protratta anche dopo l'entrata in vigore della L. 1 ottobre 2012, n. 172, che, come e' noto, ha modificato in senso peggiorativo la fattispecie incriminatrice. Il tema attiene alla individuazione del tempus commissi delicti nei reati abituali, come appunto quello di maltrattamenti in famiglia, al fine di determinare la legge applicabile nel caso di successione di leggi modificative. Non e' in contestazione, con specifico riguardo al reato necessariamente abituale (proprio), che questo puo' dirsi perfezionato quando si assista al compimento di quell'atto che, unendosi ai precedenti, sia in grado di superare una determinata soglia di intensita' di disvalore di azione e di evento, integrando quel minimum essenziale ai fini della realizzazione dell'offesa all'interesse giuridicamente protetto. Nel reato abituale, il tempo di commissione del delitto e' individuato nel momento in cui si pone in essere l'atto che, insieme al precedente, attribuisce agli episodi la soglia di rilevanza; rispetto a tale dato, tuttavia, assume rilievo il caso in cui la consumazione del reato si protragga nel tempo. Ci si riferisce ai casi in cui, nonostante si sia gia' realizzato il minimo rilevante livello di offesa dell'interesse tutelato, nuove azioni od omissioni vengano successivamente commesse; in tal caso, si afferma, il reato si consuma in via definitiva in un momento successivo, quando cioe' gli atti integrativi della condotta sono terminati. La questione, dunque, attiene alle ipotesi in cui succeda una legge creatrice, abrogatrice o meramente modificativa, rispettivamente di un nuovo reato abituale, di un reato abituale preesistente e di un reato abituale persistente (cosi', lucidamente, in dottrina). Ove si tratti di una legge creatrice di un nuovo reato abituale, le condotte compiute prima della introduzione della nuova fattispecie non possono essere considerate cumulativamente con le successive, cioe' quelle poste in essere nella vigenza della fattispecie incriminatrice di ultima introduzione, le quali, pertanto, nel rispetto del principio di irretroattivita', saranno punibili soltanto qualora da sole risultino sufficienti a costituire la serie minima richiesta dal nuovo reato. Non diversamente, in presenza di uri aboliti() criminis, la nuova legge abrogatrice di un reato abituale avra' efficacia retroattiva in relazione ai comportamenti commessi prima della sua pubblicazione e disciplinera' invece quelli posti in essere successivamente alla sua entrata in vigore. In questo quadro di riferimento, si pone la questione, obiettivamente intricata, riguardante i casi in cui, in presenza di una successione di leggi soltanto modificativa, si deve individuare la frazione di condotta rilevante al fine del tempus commissi delicti. In presenza di reati strutturalmente caratterizzati dalla proiezione temporale della condotta, la questione della individuazione del segmento di azione rilevante ai fini della regolazione degli effetti del fenomeno successorio della legge penale assume decisivo rilievo perche' da essa dipende l'applicazione del principio di irretroattivita'. Il riferimento e' non solo ai reati permanenti, per la cui sussistenza e' richiesto il protrarsi costante nel tempo della condotta e dell'offesa al bene giuridico tutelato (il sequestro di persona), ma, come nel caso di specie, anche ai reati abituali, per la cui sussistenza e' necessaria la reiterazione nel tempo di condotte della stessa specie (ad esempio, gli atti persecutori e i maltrattamenti in famiglia). Cio' che caratterizza io' casi in questione e' il fatto che la condotta e' ancora in corso quando sopravviene la nuova legge piu' sfavorevole. 5.2. Secondo l'orientamento del tutto maggioritario in dottrina e in giurisprudenza occorre fare riferimento al momento in cui la condotta si esaurisce, cioe' all'ultimo atto che protrae la situazione antigiuridica. Si tratta di un indirizzo fondato su due assunti costitutivi. Il primo, affermato in ogni occasione, e' che il reato abituale e' un reato unitario e dunque inscindibile, non scomponibile, strutturalmente non frazionabile. Il secondo e' che, rispetto all'unitarieta' del reato, la legge sopravvenuta piu' severa e' "la legge del tempo"; dunque, non vi sarebbe ne' una questione di successione di legge penale e neppure il rischio di violazione del principio di irretroattivita'. Sarebbe applicabile solo la disposizione vigente alla data della consumazione e la materia sarebbe esterna rispetto alla disciplina dell'articolo 2 c.p. (tra le molte, Sez. 5, n. 8026 del 14/12/2016, dep. 2017, Manzini, Rv. 269451 e, in tema di maltrattamenti in famiglia, Sez. 6, n. 2979 del 03/12/2020, del 2021, C., Rv. 280590). In dottrina, al fine di avallare la tesi indicata, si aggiunge che nei reati di durata, il soggetto agente che sta realizzando il reato si trova nelle condizioni di interrompere la condotta a fronte dell'intervento della legge piu' sfavorevole; la modifica sfavorevole, si evidenzia, porta con se' la possibilita' di un ripensamento dell'agente durante il periodo di vacatio legis, nel quale dunque il soggetto puo' autodeterminarsi nuovamente e decidere di persistere nella condotta, andando per tale ragione incontro alle piu' gravi conseguenze sanzionatorie introdotte dal legislatore. Coloro che persistono nella condotta, nel vigore della nuova disciplina, sarebbero "sordi all'ammonimento del legislatore". In tale contesto si colloca Sez. 6, n. 19832 del 06/04/2022, S, Rv. 283162 intervenuta in ordine all'introduzione dell'aggravante speciale della violenza assistita per i maltrattamenti in famiglia di cui all'articolo 572, comma 2, c.p., in luogo della circostanza aggravante comune che aveva un impatto sanzionatorio meno gravoso. Si e' chiarito nell'occasione che la "nuova" circostanza aggravante ex articolo 572, comma 2, c.p., trova applicazione anche nei casi in cui solo una condotta sia realizzata alla presenza di un minore dopo l'entrata in vigore della L. n. 69 del 2019. La motivazione della sentenza in esame chiarisce in modo condivisibile che la ratio dell'applicabilita' dell'aggravante non e' il carattere abituale del reato, ma il carattere non abituale dell'aggravante. Non si tratta, infatti, di un'aggravante strutturalmente abituale, che richiede la realiz zione di piu' atti di maltrattamento di fronte ad un minore, in quanto affinche' scatti trattamento sanzionatorio piu' grave, e' sufficiente che ci sia un solo episodio di maltrattamenti alla presenza di un minore. 5.3. L'orientamento esaminato, pur consolidato e autorevole, lascia tuttavia sullo sfondo rilevanti questioni. Si tratta di un indirizzo che ritiene applicabile la legge sopravvenuta sfavorevole anche nel caso in cui sotto la vigenza della nuova norma si sia compiuto un solo fatto maltrattante. In particolare, la legge sopravvenuta sfavorevole troverebbe applicazione anche nel caso in cui sotto la sua vigenza sia compiuto un solo atto della serie abituale, anche se di per se' non penalmente illecito. Il soggetto agente e', cioe', sottoposto alla nuova legge penale nonostante, sotto la sua vigenza, non abbia commesso nessun atto di per se' penalmente rilevante. 5.4. Una parte della dottrina da tempo sostiene che, al fine della individuazione del tempus commissi delicti nei reati abituali, occorra fare riferimento al momento in cui la condotta assume carattere di tipicita', ossia appena inizia la permanenza o l'abitualita' del reato: il tempus commissi delicti coincide dunque con il primo atto ripetitivo che segna il perfezionamento del reato e l'inizio della consumazione. Ne deriva, secondo l'impostazione in parola, che la legge piu' sfavorevole sopravvenuta regola e trova applicazione soltanto in relazione al nuovo "segmento di condotta", cioe' alla nuova parte di reato commessa successivamente alla entrata in vigore della modifica normativa. Il tema non e' nuovo. Gia' all'articolo 5, punto 9, dello Schema di disegno di legge-delega al Governo per l'emanazione di nuovo codice penale, redatto dalla Commissione ministeriale presieduta dal Prof. (OMISSIS) (1992), si leggeva che: "nei reati a condotta frazionata, permanenti o abituali, ove parte della condotta sia stata realizzata prima dell'entrata in vigore della legge piu' sfavorevole, questa si applica solo dopo decorsi quindici giorni dalla sua entrata in vigore". Nella Relazione alla bozza di articolato si precisava che tale previsione aveva lo scopo di sospendere temporaneamente l'applicazione "per dare al soggetto la possibilita' di cessare la condotta prima di sottoporlo ad un regime complessivo che investira' necessariamente anche la parte della condotta posta in essere in precedenza". Il termine indicato, corrispondente al periodo della c.d. vacatio legis, avrebbe cioe' dovuto soddisfare l'esigenza, in precedenza rappresentata, di consentire all'agente di riconoscere la modifica peggiorativa e, quindi, di porsi nella condizione di valutare se persistere nel reato o se arrestarsi allo scopo di evitare di essere sottoposto ad una sanzione maggiormente afflittiva rispetto a quella che avrebbe subito sotto il regime precedente. Si aggiunge, da una parte, che la prospettiva in esame non e' mai stata recepita normativamente, e, dall'altra, che, pur volendo ritenere la soluzione in questione ricavabile alla luce dei principi generali, nondimeno potrebbero esserci casi in cui l'autore del reato potrebbe non essere veramente libero di interrompere la condotta, poiche' cio' lo esporrebbe a conseguenze pregiudizievoli. 5.5. In tale articolato quadro di riferimento assumono rilievo le considerazioni compiute dalle Sezioni unite con la sentenza n. 40986 del 19/07/2018, P., secondo cui in tema di successione di leggi penali, nel caso in cui l'evento del reato intervenga nella vigenza di una legge penale piu' sfavorevole rispetto a quella in vigore al momento in cui e' stata posta in essere la condotta, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta. Al di la' della questione specifica su cui le Sezioni unite sono intervenute, nell'occasione si e' chiarito come il tema della individuazione del tempus commissi delicti e quello della successione delle legge penale siano ancorati al "criterio della condotta" e agli articoli 25, comma 2, e 27, commi 1 e 3, della Costituzione, e all'articolo 7 Cedu., in ragione della necessita' di assicurare effettivita' ai principi di legalita', colpevolezza e finalita' rieducativa della pena che si compendiano nella formula della calcolabilita' delle conseguenze giuridico - penali delle proprie condotte (cosi' in dottrina). Una sentenza, quella delle Sezioni unite, che afferma il carattere polifunzionale della nozione di tempo del commesso reato; un concetto che assume una propria dimensione a seconda della funzione che l'istituto al quale va ad applicarsi e' chiamato a svolgere, e dunque da conformare sulla scorta degli stessi principi che governano il funzionamento degli istituti di volta in volta rilevanti. Se, dunque, si e' lucidamente affermato, ai fini della prescrizione del reato puo' essere ragionevole la previsione di cui all'articolo 158, comma 1, c.p., che fa coincidere il tempus commissi delicti con il momento consumativo del reato, atteso che e' da quest'ultimo momento che vengono in rilievo quelle valutazioni attinenti al tempo dell'oblio ed alle crescenti difficolta' probatorie sulle quali si fonda l'istituto della prescrizione, viceversa l'applicazione della stessa logica alla disciplina della successioni di norme penali rischia di svuotare la funzione di garanzia del principio di irretroattivita' sfavorevole. Nell'ultima parte della motivazione le Sezioni unite per "esigenze di completezza" hanno affrontato un tema connesso a quello principale oggetto di rimessione, quello cioe' della individuazione del "tempo del commesso reato" - in presenza di un avvicendamento di leggi penali- con riguardo a "modelli di incriminazione" connotati dal protrarsi nel tempo della condotta, in cui cioe' e' la previsione legale a descrivere la condotta in termini di durata. E' utile riportare il testo della motivazione della sentenza delle Sezioni Unite: "esigenze di completezza, peraltro, impongono di esaminare, alla luce delle ragioni poste a fondamento dell'adesione al criterio della condotta, la questione dell'individuazione del tempus ai fini della successione di leggi penali con riguardo ad alcune figure di reato caratterizzate (non gia' dalla "distanza" tra condotta ed evento, bensi') dal protrarsi nel tempo della stessa condotta tipica. Una protrazione della condotta suscettibile di conoscere, nel suo svolgimento, il sopravvenire di una legge penale piu' sfavorevole si registra nel reato permanente, rispetto al quale la giurisprudenza di legittimita' individua il tempus commissi delicti, ai fini della successione di leggi penali, nella cessazione della permanenza posto che, qualora la condotta antigiuridica si protragga nel vigore della nuova legge, e' quest'ultima che deve trovare applicazione (ex plurinnis, Sez. 3, n. 43597 del 09/09/2015, Fiorentino, Rv. 265261; Sez. 5, n. 45860 del 10/10/2012, Abbatiello, Rv. 254458; Sez. 3, n. 13225 del 05/02/2008, Spera, Rv. 239847; Sez. 1, n. 20334 del 11/05/2006, Caffo, Rv. 234284; Sez. 1, n. 3376 del 21/02/1995, Gullo, Rv. 200697): il protrarsi della condotta sotto la vigenza della nuova, piu' sfavorevole, legge penale assicura la calcolabilita' delle conseguenze della condotta stessa che, come si e' visto, da' corpo alla ratio garantistica del principio di irretroattivita'. E' dunque la legge piu' sfavorevole vigente al momento della cessazione della permanenza che deve trovare applicazione, ferma restando la necessita' che sotto la vigenza della legge piu' severa si siano realizzati tutti gli elementi del fatto-reato (e, quindi, per il sequestro di persona, ad esempio, un'apprezzabile durata della limitazione della liberta' personale della vittima). Naturalmente, l'applicazione della legge piu' sfavorevole introdotta quando la permanenza del fatto delittuoso era gia' in atto presuppone, come ha rimarcato la dottrina, la colpevole violazione della nuova legge e, dunque, la possibilita' - di regola assicurata dalla vacatio legis - di conoscerla e, "calcolandone" le conseguenze penali, di adeguare la condotta dell'agente. I medesimi rilievi valgono anche per il reato abituale, in relazione al quale il tempus commissi delitti, ai fini della successione di leggi penali, coincide con la realizzazione dell'ultima condotta tipica integrante il fatto di reato. Il tema e' stato affrontato dalla piu' recente giurisprudenza di legittimita' soprattutto a proposito dell'introduzione del reato di atti persecutori e, dunque, in presenza - non gia' di uno ius superveniens portatore di un trattamento sanzionatorio piu' severo, bensi' - di una nuova incriminazione, la cui applicabilita' presuppone la realizzazione, dopo l'introduzione della nuova fattispecie incriminatrice, di tutti gli elementi costitutivi del reato di cui all'articolo 612-bis c.p. (e non solo, ad esempio, di un'ultima condotta persecutoria preceduta da altre intervenute prima della novella legislativa che ha previsto il reato): "per l'applicabilita' della nuova norma non e' quindi sufficiente che sia stato compiuto l'ultimo atto dopo la sua entrata in vigore, ma occorre che tale atto sia stato preceduto da altri comportamenti tipici ugualmente compiuti sotto la vigenza della nuova norma incriminatrice" (Sez. 5, n. 54308 del 25/09/2017), mentre atti posti in essere prima dell'introduzione del Decreto Legge 23 febbraio (OMISSIS), n. 11, convertito, con modificazioni, con la L. 23 aprile (OMISSIS), n. 38, "non possono rientrare nella condotta prevista e punita dall'articolo 612-bis c.p. ", ma neppure "possono proiettare la loro irrilevanza penale su atti successivi - degradandoli a post factum non punibile" (Sez. 5, n. 10388 del 06/11/2012 - dep. (OMISSIS), Rv. 255330; conf. Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, Rv. 260410; Sez. 5, n. 48268 del 27/05/2016, Rv. 268162)". 5.6. Secondo le Sezioni unite della Corte, dunque, la individuazione nei reati di durata del tempus commissi delicti non e', diversamente da quanto ritenuto dall'orientamento maggioritario della giurisprudenza, questione esterna rispetto all'articolo 2 c.p., che non riguarda cioe' il fenomeno della successione della legge penale nel tempo. Prescindendo dal tema della vincolativita' delle affermazioni compiute nell'occasione dalle Sezioni unite e, in particolare, del se i principi in questione costituiscano un obiter dictum ovvero assumano rilievo ai sensi dell'articolo 618, comma 1 bis, c.p.p., il tema si pone. Si tratta di una questione che deve essere verificata avendo come punti di riferimento due elementi fondanti. Il primo e' costituito dalla ratio di garanzia del principio di irretroattivita' sfavorevole, che, secondo il consolidato insegnamento della Corte Costituzionale e della Corte di Strasburgo, si esprime in "un'istanza di preventiva valutabilita' da parte dell'individuo delle conseguenze penali della propria condotta, istanza, a sua volta, funzionale a preservare la libera autodeterminazione della persona". E' necessariamente la condotta - cosi' come chiarito dalle Sezioni unite della Corte - "il punto di riferimento temporale essenziale a garantire la "calcolabilita'" delle conseguenze penali e, con essa, l'autodeterminazione della persona". Dunque, occorre fare riferimento alla condotta e al tempo in cui essa si realizza. Il secondo elemento e' che la individuazione del tempus commissi delicti al momento della condotta deve essere ancorata alle funzioni della pena, segnata mente quella generai-preventiva, che, evidentemente, puo' esplicarsi soltanto nel momento in cui il soggetto agisce o omette di compiere l'azione doverosa, e quella rieducativa, la cui centralita' nella definizione del volto costituzionale del sistema penale e' stata di recente efficacemente rimarcata nella sentenza della Corte costituzionale n. 148 del 2018 (cosi' in dottrina, cfr. anche Corte Cost. n. 364/1988, Corte Cost. n. 306/1993, Corte Cost. n. 236/2011 e Corte cosi:. n. 230/2012). E' dunque fondato ritenere che sola la preesistenza rispetto alla condotta della norma incriminatrice, completa del suo compendio punitivo, puo' assicurare l'esplicazione della funzione di prevenzione generale e di quella rieducativa. Se, dunque, la individuazione del tempus commissi delicti assume particolare rilievo nei c.d. reati di durata e si collega strettamente con la necessita' di fare riferimento alla condotta e alla funzione della pena, il principio costituzionale di irretroattivita' impone di scongiurare il rischio di realizzare, attraverso il fenomeno successorio, una retroattivita' occulta della norma sopravvenuta sfavorevole in quanto sganciata dal criterio della condotta. Cio' che deve essere scongiurato e' cioe' il rischio che l'agente sia sottoposto alla norma penale piu' sfavorevole per una condotta commessa prima della sua entrata in vigore, cioe' che l'agente, per un reato sostanzialmente commesso in precedenza, venga punito da una norma successiva piu' sfavorevole, applicata senza essere saldamente ancorata al criterio della condotta. Il tema non attiene solo al rischio di retroattivita' occulta, ma anche al principio di colpevolezza e di prevedibilita'. La questione riguarda tutti i casi in cui la situazione preesistente alla modifica normativa produca gia' un effetto giuridico stabile che lo ius novurn rimuove o smentisce in senso peggiorativo, seppure in modo trasversale o indiretto. Se l'effetto per il reo e' gia' sorto, la rivalutazione in peius e' vietata. In ognuna di queste situazioni gli articoli 25, comma 2, - 27 Cost. impongono di far prevalere il "diritto" dei soggetti agenti all'applicazione del trattamento giuridico piu' favorevole gia' conseguito, il quale non puo' essere soppiantato da una legge posteriore, se sganciata dalla condotta, nemmeno se conosciuta dall'agente. Non assume decisivo rilievo il caso in cui il soggetto compia segmenti di condotta abituale autosufficienti prima e dopo la norma modificativa sfavorevole sopravvenuta, atteso che in tale situazione proprio l'unitarieta' del reato condurra' all'applicazione solo della norma sotto la cui vigenza il reato si sia consumato, cioe' di quella piu' sfavorevole sopravvenuta. Assumono invece rilievo le ipotesi in cui, ad esempio, sotto la vigenza della nuova legge si realizzi un segmento insignificante di "abitualita'", un singolo episodio, magari, come gia' detto, penalmente neutro,. che non aggiunge alcunche' e che ha tuttavia l'effetto di trascinare con se' e verso un trattamento punitivo piu' severo l'intera condotta abituale compiuta in precedenza, rispetto alla quale, essendosi il reato gia' perfezionato, era gia' sorto il diritto ad essere giudicato applicando la pregressa norma piu' favorevole. Si tratta di ipotesi in cui la condotta e' gia' pienamente sussumibile nella fattispecie di cui all'articolo 572 c.p., e dunque alla norma penale piu' favorevole, ma che, tuttavia, rischia di essere sanzionata dalla norma penale sfavorevole sopravvenuta, in ragione del fatto che un solo atto maltrattante, anche se penalmente irrilevante, sia commesso sotto la vigenza della nuova legge, che, in tal modo, finisce di fatto per operare retroattivamente. La Corte Europea dei diritti dell'uomo ha affrontato il tema del divieto di irretroattivita' sfavorevole nel caso di nuova incriminazione di un reato di durata e per stabilire se vi e' stata violazione dell'articolo 7 Cedu sembra fare riferimento ad una duplice verifica. Si richiede di verificare, da una parte, se quella condotta fosse gia' punibile prima dell'entrata in vigore della norma incriminatrice applicata nello Stato sulla base di altre norme penali e, dall'altra, se l'applicazione della norma abbia o meno determinato in concreto un trattamento sanzionatorio piu' gravoso rispetto a quello che sarebbe stato applicabile sanzionando ciascuna porzione di condotta sulla base della disciplina vigente al momento in cui e' stata realizzata. (Grande Camera, 27/01/2015, Rholena c. Repubblica Ceca) Si tratta di un accertamento finalizzato a preservare la prevedibilita' e l'affidamento riposto dal soggetto agente quantomeno in relazione al profilo sanzionatorio che gli potrebbe essere applicato. 5.7. Su tale delicate questioni, la sentenza e' silente e deve pertanto essere annullata. La Corte, applicati i principi indicati, verifichera' se e in che limiti nella fattispecie in esame la condotta in concreto tenuta dall'imputato, commessa in parte anche prima della entrata in vigore della L. 1 ottobre 2012, n. 172, debba essere sottoposta alla piu' grave e sfavorevole disciplina da questa introdotta. 6. Il quinto motivo di ricorso e' assorbito. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata per con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. MICCOLI Grazia R. A. - Consigliere Dott. CATENA Rossell - rel. Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere Dott. CARUSILLO Elena - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 26/10/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa CATENA ROSSELLA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa LORI PERLA, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; l'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia e procuratore speciale della parte civile, si associa alle richieste del Proc. Gen. e conclude per l'inammissibilita' dei ricorsi. Deposita conclusioni scritte e nota spese; l'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), insiste per l'accoglimento dei motivi di ricorso; l'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), insiste per l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di Assise di Appello di Napoli, per quanto di rilievo, in riforma della sentenza emessa dalla Corte di Assise di Napoli in data 17/11/2020 - con cui (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati condannati a pena di giustizia, oltre che al risarcimento dei danni nei confronti delle parte civile, in relazione al reato di cui all'articolo 110 c.p., articolo 591 c.p., commi 1 e 3, il primo quale legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., societa' di riferimento della struttura residenziale per anziani "(OMISSIS)", il secondo quale figlio di (OMISSIS), che era stata affidata alla predetta struttura dal 08/06/2016, luogo ritenuto non idoneo in riferimento alle condizioni di salute della predetta, poi deceduta in data 28/06/2016 - rideterminava la pena inflitta al (OMISSIS) in anni tre di reclusione e la pena inflitta al (OMISSIS) in anni due mesi sei di reclusione, confermando, nel resto, la sentenza impugnata. 2. (OMISSIS) ricorre a mezzo del difensore di fiducia avv.to (OMISSIS), deducendo otto motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1: 2.1 violazione di legge, in riferimento all'articolo 591 c.p., comma 1, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in quanto il (OMISSIS), legale rappresentante della societa' cui afferiva la struttura residenziale per anziani, non aveva alcuna relazione di custodia, ne' diretta ne' indiretta, con la (OMISSIS), posto che egli rivestiva unicamente un ruolo di gestione ed amministrazione della societa', non avendo, quindi, svolto alcun ruolo di sorveglianza diretta e/o indiretta della anziana ricoverata; cio' rileva anche alla luce della struttura del reato, di pericolo concreto per la vita o l'incolumita', che deve derivare dalla condotta di abbandono, rispetto alla quale non tutte le relazioni di custodia possono essere considerate rilevanti, ma solo quelle che si estrinsecano in una posizione di sorveglianza diretta ed immediata nei confronti del soggetto incapace; nel caso di specie, all'assistenza dell'anziana era preposta la coimputata (OMISSIS), persona del tutto qualificata, mentre il (OMISSIS) si recava saltuariamente presso la struttura, in ragione del suo ruolo; da cio' discende, anche alla luce delle giurisprudenza di legittimita', la insussistenza dell'abbandono, in riferimento al ricorrente, che aveva comunque predisposto l'affidamento dell'ospite della struttura a persone capaci e abili, come riconosciuto dalla sentenza impugnata; anche in riferimento alla "teoria della garanzia" seguita dalla giurisprudenza di legittimita', infatti, e' stato evidenziato come vengano in rilievo le funzioni in concreto esercitate dal soggetto agente, non avendo la sentenza impugnata specificato in quali termini sarebbe stato violato l'obbligo di custodia gravante sul (OMISSIS), il quale si era limitato ad accettare il ricovero della (OMISSIS) su richiesta del figlio della stessa, avendo egli predisposto le misure necessarie, ossia una struttura idonea e personale qualificato, misure altresi' idonee come dimostrato dalla carenza di precedenti vicende, indicative di una insufficienza e/o inadeguatezza del contesto di accoglienza; 2.2 violazione di legge, in riferimento all'articolo 591 c.p., comma 1, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), quanto alla sussistenza dell'elemento psicologico, escluso, a ben vedere, proprio dalle motivazioni della sentenza impugnata che, al piu', configura, a carico dell'imputato, la colpa cosciente, posto che il dolo richiesto dall'articolo 591 c.p. implica l'accertamento della conoscenza, da parte dell'agente, delle specifiche condizioni del soggetto passivo, unitamente alla coscienza e volonta' di abbandonarlo e, alla luce delle relazione di cura e custodia, la previsione e la volonta' del pericolo per la vita e l'incolumita' del soggetto passivo; in sostanza, la sentenza formula nei confronti dell'imputato un giudizio di rimprovero per la ritenuta inadeguatezza della struttura, facendo discendere da tale presunta condizione la sussistenza dell'elemento psicologico, il che richiama i casi in cui la condotta sia connotata da spiccata irragionevolezza, disinteresse o altro atteggiamento consimile, con evidente integrazione della colpa cosciente, restando irrilevante il profilo del fine di lucro che avrebbe potuto spingere il (OMISSIS) a sottodimensionare l'organizzazione della struttura. In sostanza, il giudizio di inadeguatezza della struttura si risolve nel rimprovero al (OMISSIS) di aver mal governato i rischi connessi alla sua funzione, proprio in riferimento ai criteri ermeneutici indicati dalla giurisprudenza di legittimita' nel caso ThyssenKrupp, in quanto la coscienza e volonta' della condizione di abbandono deve essere esclusa, essendo stato provato che il (OMISSIS) aveva comunque adibito alla cura degli anziani un'infermiera professionista, laddove nella struttura vi erano anche altre persone adibite alle ulteriori incombenze, venivano svolte visite da parte dei medici della ASL, la struttura era dotata di letti e di sedie a rotelle adeguati agli ospiti, ne' mai, negli anni precedenti, all'interno della struttura si erano verificati eventi critici, per cui, al piu', il (OMISSIS) avrebbe potuto essere considerato gravemente negligente; quanto alle condizioni della (OMISSIS), pur dando per scontato che il (OMISSIS) ne fosse consapevole, le stesse non richiedevano cure mediche specialistiche di particolare impegno, ma solo un trattamento farmacologico, per il quale le condizioni assistenziali predisposte dal (OMISSIS) appaiono del tutto confliggenti con la coscienza e volonta' dell'abbandono; sotto altro aspetto, infine, anche l'applicazione degli elementi indicatori citati dalla sentenza ThyssenKrupp, in riferimento al dolo eventuale, escludono tale elemento soggettivo nel caso in esame, posto che non si e' in presenza di una totale carenza della struttura, ma solo di un'inadeguatezza della stessa, ne' la sentenza di merito indica, in riferimento alla posizione del (OMISSIS), l'esito di un eventuale giudizio controfattuale, secondo la cosi' detta formula di Frank, non essendo stati indicati gli elementi indicatori del dolo eventuale; 2.3 violazione di legge, in riferimento all'articolo 591 c.p., comma 1, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in quanto, ai fini dell'integrazione dell'elemento oggettivo del reato, la posizione del ricorrente, opportunamente valutata in funzione dei criteri della pericolosita' del fatto e del contenuto dell'obbligo violato, non puo' che condurre ad escludere tale elemento materiale, atteso che la stessa sentenza evidenzia come, nel caso in esame, la struttura di accoglienza fosse idonea sotto molteplici aspetti (igienico-sanitario, strutturale, assistenziale, medico) e, cio' nonostante, la stessa sentenza ha ritenuto "ragionevolmente inidonea" la detta struttura. Sotto il profilo della pericolosita' del fatto, quindi, le condizioni positivamente individuate dalla stessa sentenza, unitamente all'assenza di pregressi episodi avversi, dimostrano l'inconfigurabilita' del pericolo concreto, mentre, quanto al contenuto dell'obbligo violato, non puo' che ribadirsi come il (OMISSIS) non fosse tenuto a provvedere, in via diretta, all'assistenza e cura degli ospiti, bensi' al solo obbligo di custodia, evidentemente adempiuto; cio' emerge ancor piu' evidente alla luce della giurisprudenza di legittimita' circa la concretezza della condizione di pericolo, laddove la sentenza impugnata ha introdotto un concetto di relativizzazione dello stato di abbandono che riconduce il reato alla struttura del pericolo presunto; 2.4 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), alla luce della contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, considerate le argomentazioni e le circostanze esposte con il precedente motivo di ricorso, posto che non sono stati neanche illustrati i criteri logici alla stregua dei quali, pur in presenza delle premesse richiamate, si potesse giungere alla conclusione di sussistenza di una condizione di abbandono; 2.5 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), sotto l'aspetto della illogicita' del ragionamento seguito dalla Corte di merito, le cui affermazioni risultano meramente assertive, oltre che derivanti da applicazione di massime di esperienza generiche e non afferenti al caso di specie: in riferimento all'organizzazione dei mezzi e del personale, infatti, la sentenza impugnata ha operato una valutazione condizionata dal decesso della (OMISSIS), con evidente sillogismo valutativo non sorretto da adeguato criterio logico, non essendo sorretto da elementi ulteriori; a ben vedere, quindi, la Corte di merito conclude per la inidoneita' della struttura in base alla circostanza che l'unica infermiera non fosse "ragionevolmente" in condizione di prendersi cura, contemporaneamente ed adeguatamente, di ben sei ospiti in gravi condizioni, attraverso una massima di esperienza ne' verificata ne' verificabile, sprovvista di verosimiglianza, meramente ipotetica e, quindi, espressione di un giudizio arbitrario, posto che alla valutazione meramente ipotetica formulata potrebbe essere opposta una valutazione meramente ipotetica di segno opposto, ossia che l'unica infermiera fosse in grado di assistere tutti gli ospiti della struttura, dato che ella era risultata persona dedita e capace, come affermato nella stessa sentenza impugnata. La motivazione della Corte territoriale, inoltre, e' connotata da una evidente circolarita' del ragionamento probatorio, posto che si assume come il decesso della (OMISSIS) avrebbe provato la inadeguatezza della struttura, laddove tale condizione avrebbe dovuto essere oggetto dell'accertamento; la valutazione della Corte di merito, inoltre, risulta frutto di valutazione ex post, in base all'evento verificatosi, senza considerare la radicale carenza di ulteriori elementi, quali precedenti eventi avversi; 2.6 violazione di legge, in riferimento all'articolo 40 c.p., articolo 41 c.p., comma 2, articolo 591 c.p., comma 3, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), quanto alla sussistenza del nesso causale tra la condotta di abbandono e l'evento, con particolare riferimento alla persona del (OMISSIS), cio' per la specifica causa del decesso della (OMISSIS), individuato dalla Corte di merito in una condizione di forte disidratazione, intervenuta in un arco minimo di due giorni, a far data dal ricovero della paziente presso la struttura "(OMISSIS)"; cio', evidentemente, esclude che la concausa del decesso possa essere ascritta al (OMISSIS), a cui non puo' essere attribuita ne' l'omissione rilevante ne' la prevedibilita' e, quindi, l'evitabilita' dell'evento, posto che risulta indimostrato che il ricorrente potesse sapere o prevedere che alla (OMISSIS) non fosse stata, inopinatamente, somministrata acqua per circa due giorni, anche alla luce dell'operazione elementare e quotidiana della somministrazione di acqua, per cui, attesa la prevedibilita' logica, da parte dell'amministratore della struttura, che l'infermiera (OMISSIS) somministrasse l'acqua con regolarita' agli ospiti, alcuna cautela avrebbe potuto essere adottata dal (OMISSIS) ai fini della evitabilita' dell'evento ovvero della omissione della condotta; cio' senza considerare che tale omissione si sarebbe verificata nell'arco di un tempo minimo di due giorni dal ricovero della (OMISSIS) presso la "(OMISSIS)", arco temporale che ben avrebbe potuto sfuggire anche alla vigilanza del (OMISSIS), che, per le funzioni svolte, certamente non si recava presso la struttura quotidianamente; in altri termini, la decisione adottata risulta assunta in violazione dei parametri normativi di cui agli articoli 40 e 41 c.p. ed in virtu' di una responsabilita' di mera posizione, senza contare che cio' e' avvalorato anche dal fatto che alla (OMISSIS) e' stata ascritta una condotta consistita nel non essersi tempestivamente attivata per provvedere al rapido deterioramento delle condizioni della (OMISSIS), il che dimostra ancor piu' manifestamente come il (OMISSIS) non avrebbe potuto in alcun modo attivarsi per impedire l'evento; 2.7 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), in relazione alla sussistenza del nesso di causalita' tra la condotta di abbandono e l'evento morte, certamente non ascrivibile al (OMISSIS) a titolo di colpa, posto che la condizione di disidratazione e' stata individuata come mera concausa del decesso, a fronte delle condizioni complessivamente scadute della (OMISSIS), ampiamente descritte in sentenza; cio' nonostante la Corte di merito ha del tutto omesso di valutare se nell'anamnesi remota della (OMISSIS) fossero presenti sintomi di insufficienza renale cronica, il che sarebbe stato indispensabile per la verifica della genesi dell'insufficienza renale acuta intervenuta, cosi' come nessuna incidenza e' stata data al "marasma senile" pur diagnosticato; complessivamente, quindi, il determinismo causale della morte e' stato individuato nella sola disidratazione della paziente, senza alcuna valutazione delle pregresse e specifiche patologie della stessa, nonostante la consulente della difesa della coimputata (OMISSIS), Dott.ssa (OMISSIS), avesse fatto riferimento alle analisi svolte all'atto del ricovero della (OMISSIS) presso l'ospedale (OMISSIS); cio' emerge di palmare evidenza laddove la sentenza impugnata assume che da almeno quarantotto ore la (OMISSIS) non fosse idratata, salvo poi riconoscere la validita' delle dichiarazioni dibattimentali della (OMISSIS), la quale aveva riferito di aver somministrato acqua alla paziente la sera precedente il ricovero della stessa presso la "(OMISSIS)"; 2.8 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), quanto alla rideterminazione della pena inflitta al (OMISSIS), illogicamente quantificata in relazione alla coimputata (OMISSIS), anch'essa socia della " (OMISSIS) s.r.l.", essendo del tutto assertivo e privo di giustificazione logica la differente gravita' delle condotte a causa di una posizione di maggiore debolezza della (OMISSIS), del tutto indimostrata, alla luce degli accordi intervenuti tra i due soci. 3. (OMISSIS) ricorre, a mezzo del difensore di fiducia avv.to (OMISSIS), deducendo cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1: 3.1 violazione di legge, in riferimento agli articoli 110 e 591 c.p., vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), avendo la Corte di merito ritenuto sussistente l'elemento psicologico del dolo eventuale del reato di abbandono di incapaci, attribuendo a titolo di responsabilita' oggettiva l'evento morte, attraverso l'elaborazione della categoria della "inidoneita' oggettiva" della struttura, svincolata dai parametri formali della normativa regionale, laddove tutti i dati emersi dall'istruttoria dibattimentale escludono che "(OMISSIS)" fosse manchevole dal punto di vista strutturale ed organizzativo, con conseguente irrilevanza della mancanza di autorizzazioni; in tal senso vanno considerate le deposizioni delle testi (OMISSIS) e (OMISSIS), assistenti sociali, nonche' dei medici (OMISSIS) e (OMISSIS), che periodicamente si recavano nella struttura, le cui deposizioni sono riportate per stralci in ricorso ed integralmente allegate allo stesso; la circostanza che detti soggetti, dotati di specifiche competenze, non avessero mai rilevato alcunche', anche in costanza del ricovero della (OMISSIS), dimostra l'insussistenza di qualsiasi pericolo per l'incolumita' della predetta, che, quindi, il (OMISSIS) non avrebbe potuto rappresentarsi. La difesa, inoltre, deduce il travisamento della prova testimoniale della Dott.ssa (OMISSIS), assistente sociale che effettuo' la visita ispettiva all'esito del decesso della (OMISSIS), individuando l'idoneita' della stessa ad accogliere pazienti non autosufficienti. Quanto alla (OMISSIS), madre della (OMISSIS), la stessa si recava ad aiutare la figlia per tutta la giornata, diversamente da come rilevato in sentenza, spesso trattenendosi anche per la notte, per cui la (OMISSIS) non era la sola persona presente nella struttura, circostanza da cui, erroneamente, e' stata desunta la consapevolezza del (OMISSIS) di mettere in pericolo la propria madre. Peraltro, emerge dal "Catalogo dei sevizi residenziali, semiresidenziali, territoriali e domiciliari", di cui al Regolamento di attuazione della legge regionale 11/2007, che il servizio nelle strutture per persone non autosufficienti prevede l'assistenza di due operatori di primo livello ogni sedici persone non autosufficienti durante il giorno e di un operatore per il servizio notturno. La motivazione della Corte di merito risulta, quindi, carente sotto l'aspetto della dimostrazione dell'inidoneita' organizzativa in concreto, il che incide viepiu' sulla sussistenza dell'elemento psicologico del (OMISSIS), essendo, in ogni caso, indimostrato che egli fosse a conoscenza della presenza della sola (OMISSIS) quale soggetto deputato all'assistenza alle ospiti della struttura; peraltro, il perito prof. (OMISSIS) ha indicato la (OMISSIS) come autonoma o semiautonoma, anche alla luce del livello di assistenza fornitole in precedenza dalla badante, a dimostrazione della compatibilita' tra le condizioni della predetta ed il modulo organizzativo della struttura, non esistendo alcuna documentazione formale che attesti la non autosufficienza della (OMISSIS); in ogni caso, il meccanismo di cui all'articolo 507 c.p.p., attraverso il quale si e' pervenuti all'incarico al prof. (OMISSIS), esclude che si possa prescindere dalle sue conclusioni. Anche la circostanza del licenziamento della badante, (OMISSIS), e' stata valutata senza considerare la documentazione INPS, dimostrativa del fatto che la risoluzione del rapporto di lavoro si fosse verificato solo dopo il decesso della (OMISSIS), essendo stata la predetta (OMISSIS) semplicemente allontanata dall'appartamento, in precedenza, per il pericolo derivante dalle condizioni dell'immobile, che necessitava di urgenti lavori; ancora, e' stato evidenziato come dal testimoniale, con particolare riferimento alla Dott.ssa (OMISSIS), che aveva svolto l'ispezione della struttura dopo il decesso della (OMISSIS), era emerso come, tra la documentazione sanitaria inviata dal (OMISSIS), era presente anche un'attestazione risalente, relativa alla (OMISSIS), che altro non e' se non la cartella clinica del (OMISSIS) del 2008, da cui emergevano le specifiche condizioni della (OMISSIS), a dimostrazione del fatto che effettivamente il (OMISSIS) ebbe a consegnare al (OMISSIS) la documentazione sanitaria relativa alla madre all'atto del ricovero della stessa presso la "(OMISSIS)"; che, poi, il (OMISSIS) conoscesse le condizioni della paziente, affetta da Alzheimer, e' dimostrato da quanto dallo stesso affermato nel corso del suo esame, essendogli stata tale notizia fornita dal (OMISSIS) anche verbalmente, cio' a dimostrazione della perfetta consapevolezza, da parte dei soci della struttura, delle condizioni della (OMISSIS) al momento del ricovero, senza che fosse stata evidenziata alcuna incompatibilita' da parte degli stessi, nonostante la precisa sussistenza di obblighi in tal senso, da parte del responsabile della struttura, come indicato anche dal perito (OMISSIS); il tutto a dimostrazione della radicale insussistenza di elementi a sostegno dell'elemento psicologico del reato, su cui la Corte di merito ha omesso ogni motivazione, nonostante le sollecitazioni difensive, ivi inclusa la mancata opposizione al trasferimento della (OMISSIS) da parte del Giudice tutelare e del fratello del (OMISSIS), nonostante le comunicazioni ricevute. Quanto all'elemento soggettivo, nonostante una memoria difensiva sul punto - il cui contenuto viene illustrato in ricorso in relazione alla linearita' della condotta del (OMISSIS), alla luce delle indicate emergenze dibattimentali - la sentenza non ha affatto affrontato il discrimine tra il dolo eventuale e la colpa cosciente, alla luce dell'insegnamento della Cassazione nel caso ThyssenKrupp, i cui criteri valutativi la difesa illustra in riferimento alla specifica vicenda, al fine di dimostrare come appaia evidente che il (OMISSIS) non avrebbe mai collocato la madre presso la "(OMISSIS)" se fosse stato certo della verificazione della messa in pericolo della stessa; 3.2 violazione di legge, in riferimento all'articolo 41 c.p., comma 2, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), avendo la Corte di merito del tutto travisato i dati probatori in riferimento al nesso di causalita', avendo ritenuto errata la diagnosi definitiva di marasma senile, individuata dai medici dell'ospedale (OMISSIS), quanto al decesso della (OMISSIS); la difesa ricostruisce le iniziali emergenze investigative, illustrando come il (OMISSIS) avesse, sin dall'inizio, confutato la tesi dell'abbandono della propria madre presso la struttura, essendo egli immediatamente intervenuto appena saputo delle sue condizioni, ed essendosi recato dapprima alla "(OMISSIS)" e quindi all'ospedale (OMISSIS), senza alcun indugio, come poi ampiamente dimostrato dall'istruttoria dibattimentale illustrata in ricorso; cio' dimostra come i sanitari del (OMISSIS) fossero pienamente a conoscenza delle condizioni della (OMISSIS), anche in quanto riferite dal figlio, per cui mai la loro diagnosi avrebbe potuto essere frutto di fretta e di mancata conoscenza di dati specifici. In ogni caso, come emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, la causa della morte e' stata ravvisata unicamente nell'avere la (OMISSIS) omesso di somministrare acqua alla (OMISSIS), salvo poi, pochi righi dopo, aver escluso che la mancata somministrazione di acqua potesse rappresentare una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento letale, in tal modo incorrendo in una palese contraddittorieta'. Seppure si considera la disidratazione l'unica causa del decesso, trattandosi di causa sopravvenuta, non si comprende come potrebbe sussistere il nesso di causalita' con la condotta ascritta al (OMISSIS), trattandosi, tra l'altro, di un evento del tutto non prevedibile o, almeno, sulla cui prevedibilita' la sentenza impugnata e' rimasta del tutto silente; le prove acquisite escludono di ritenere la (OMISSIS) una persona poco attenta alle esigenze delle ospiti della struttura, per cui non si comprende come il (OMISSIS) avrebbe potuto prevedere la dimenticanza della (OMISSIS), risultando, anche alla luce della giurisprudenza di legittimita', la condotta a lui contestata priva di qualsivoglia incidenza sulla produzione dell'evento letale, cio' a prescindere dalla mancata indagine su altre cause della morte, come indicato nei motivi di appello; 3.3 violazione di legge, in riferimento all'articolo 47 c.p., comma 3, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), avendo la Corte di merito erroneamente escluso che la condotta del ricorrente fosse scriminata per essere egli incorso in errore incolpevole sulla legge extra-penale e, segnatamente, in riferimento alle norme di cui al Regolamento n. 4 del 7 aprile 2014 della Regione Campania e del Catalogo dei servizio residenziali, semiresidenziali, territoriali e domiciliari di cui al regolamento di attuazione della legge regionale n. 11 del 2017, nonche' della delibera della Giunta regionale n. 107 del 2014, pur avendo la Corte territoriale riconosciuto la condivisibilita' dell'impostazione difensiva; cio' nonostante, la sentenza impugnata ha ritenuto che l'addebito a carico del (OMISSIS) non fosse quello di aver collocato la madre in una struttura priva delle prescritte autorizzazioni, ma in una struttura oggettivamente inidonea, al di la' dei requisiti formali, introducendo l'inedita categoria della "inidoneita' oggettiva", peraltro senza chiarire cosa cio' significasse nel caso in esame, dato che e' stata esclusa qualsiasi condizione di degrado della struttura; in realta', l'unico elemento e' costituito dalla circostanza che la (OMISSIS) fosse l'unico soggetto preposto alla cura delle anziane ospiti della struttura, circostanza non solo non vera, ma soprattutto non nota al (OMISSIS), non essendo stata in alcun modo dimostrata tale sua consapevolezza, essendo, al contrario, emerse dal dibattimento circostanze di segno opposto; in ogni caso, se la carenza di personale fosse stato il vulnus della struttura, cio' integrerebbe una carenza normativa che consentirebbe l'applicazione dell'articolo 47 c.p., comma 3; infine, non va dimenticato che la normativa regionale richiamata, nella parte dedicata alle comunita' di persone non autosufficienti, preveda l'assistenza di due operatori di primo livello ogni sedici assistiti durante il giorno e di un solo operatore ogni sedici assistiti durante il turno notturno, il che rende evidente come la presenza della sola (OMISSIS) non fosse affatto al di fuori della regola di settore; peraltro, l'istruttoria dibattimentale ha ampiamente dimostrato come il (OMISSIS) ignorasse i precetti normativi in tema di autonomia e semiautonomia e la disciplina di settore in tema di autorizzazione delle strutture di accoglienza di tali soggetti, essendo, quindi, evidente l'errore scusabile sulla norma extra-penale, come dimostrato dalle stesse deposizioni del prof. (OMISSIS) e del Dott. (OMISSIS) sul punto; 3.4 inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullita', inammissibilita', inutilizzabilita', decadenza, in riferimento alla L. n. 24 del 2017, articolo 15, articolo 507 c.p.p., ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), avendo la difesa avuto modo con i motivi di appello di rappresentare come, nel caso di specie, la richiamata disposizione del 2017 imponesse la nomina di un collegio peritale e non di un solo perito, circostanza su cui il fugace passaggio motivazionale della sentenza contrasta con quanto affermato dall'ordinanza n. 12593 della Terza Sezione Civile della Cassazione, con conseguente nullita' della perizia, apparendo evidente dalla stessa formulazione del quesito come, nel caso in esame, si versasse proprio in un caso di responsabilita' sanitaria; tanto premesso, il meccanismo di conferimento dell'incarico, ai sensi dell'articolo 507 c.p.p., rende evidente l'indispensabilita' dell'apporto del perito, sicche' la nullita' della perizia non puo' che coinvolgere l'accertamento nel suo complesso; 3.5 mancata assunzione di una prova decisiva, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera d), in riferimento al quarto motivo di gravame, in quanto la difesa aveva, nella propria lista testi, indicato coloro i quali avrebbero deposto sui lavori da effettuarsi all'interno dell'appartamento della (OMISSIS), che ne avevano reso indispensabile il trasferimento altrove; a tali testi la difesa aveva rinunciato, all'udienza del 19/02/2019, su invito del Presidente del Collegio di primo grado, ritenendo la circostanza gia' sufficientemente provata; alla luce delle motivazioni della sentenza di primo grado sul punto, la difesa aveva, quindi, richiesto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per produrre documentazione pertinente alla dimostrazione della indicata circostanza, richiedendo, altresi', l'esame dei testi; l'ordinanza di rigetto da parte della Corte di merito si basa sulla circostanza che la rinuncia difensiva non sarebbe stata motivata dalle ragioni indicate dalla difesa medesima, alla luce del verbale stenotipico dell'udienza del 07/05/2019, avendo, quindi, la Corte territoriale erroneamente individuato l'udienza di primo grado alla luce della quale avrebbero dovuto essere verificate le deduzioni difensive; cio' senza contare che la Corte di merito, del tutto contraddittoriamente, ha motivato la carenza di prove circa l'indifferibilita' e l'urgenza dei lavori da eseguirsi nell'appartamento abitato dalla (OMISSIS), da cio' desumendo la non temporaneita' di tale trasferimento, ulteriore elemento su cui risulta fondato il convincimento che il (OMISSIS) volesse definitivamente liberarsi della presenza dell'anziana madre. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) sono fondati e vanno, pertanto, accolti. 1. Come evidenziato dalla sentenza impugnata, la vicenda processuale e' stata originata dal decesso presso l'ospedale (OMISSIS), in data (OMISSIS), della (OMISSIS) (OMISSIS), che dal precedente (OMISSIS) era alloggiata presso la struttura residenziale per anziani "(OMISSIS)", di cui era legale rappresentante (OMISSIS); la (OMISSIS), affetta da sindrome di Alzheimer ed incapace di attendere alle ordinarie occupazioni della vita, aveva sino al trasferimento, vissuto presso la sua abitazione, dove era assistita da una badante rumena, (OMISSIS), ed era, quindi, stata collocata presso la struttura per anziani su iniziativa del figlio, (OMISSIS). Presso la "(OMISSIS)" l'anziana era stata affidata alle cure di (OMISSIS), infermiera e socia della struttura; in data (OMISSIS) proprio la (OMISSIS) aveva effettuato una segnalazione al 118, a seguito della quale l'anziana donna era stata trasportata dapprima presso la clinica (OMISSIS), e da qui trasferita subito dopo all'ospedale (OMISSIS), dove era deceduta. Appare opportuno premettere, altresi', che la sentenza impugnata ha ricordato come, nel caso in esame, non ci si trovasse in presenza di una situazione, non infrequente nella casistica giudiziaria, di un'anziana lasciata in totale balia di se' stessa, in condizioni igieniche o sanitarie pessime, se non addirittura sottoposta a maltrattamenti; al contrario, la struttura coinvolta, come emerso dall'istruttoria dibattimentale, era accogliente, connotata da livelli assistenziali ed igienici del tutto adeguati, le ospiti erano circondate da un clima conviviale ed affettuoso, grazie proprio all'attivita' di (OMISSIS). Tale struttura, tuttavia, era risultata priva delle necessarie autorizzazioni, essendo stato accertato che il (OMISSIS), nel 2014, aveva richiesto l'autorizzazione ad operare come "Gruppo appartamento" - ossia, secondo la normativa regionale di riferimento, come servizio residenziale per soggetti autonomi e semiautonomi che non necessitano di assistenza sanitaria continuativa ed optano per una forma di convivenza -, laddove le ospiti della struttura erano tutte non autonome, tanto e' vero che, dopo le verifiche disposte da parte delle competenti autorita' nel gennaio 2017, era intervenuta un'ordinanza sindacale con cui si disponeva l'immediata cessazione dell'attivita'. La sentenza impugnata, pur dando atto delle soddisfacenti condizioni igieniche ed assistenziali della struttura, ha, tuttavia, individuato un contesto di grave carenza organizzativa nel funzionamento della struttura, in quanto (OMISSIS), pur vivendo nell'appartamento, era preposta da sola all'assistenza delle ospiti, non essendo presente nessun altro dipendente, tranne la madre, (OMISSIS), che era stata puericultrice prima del pensionamento, la quale saltuariamente collaborava con la figlia nelle pulizie della struttura e nella cucina, senza prestare alcuna assistenza alle anziane ospiti. La Corte di merito ha quindi ritenuto che, sebbene la (OMISSIS) avesse esperienza nell'assistenza agli invalidi e fosse indubbiamente animata da spirito di sacrificio e dedizione al lavoro, non potesse garantire da sola un adeguato livello assistenziale alla (OMISSIS) ed alle altre cinque anziane non autosufficienti. Quanto alla causa della morte della (OMISSIS), la Corte di merito ha individuato un arresto cardiaco da insufficienza renale acuta, conseguente a sindrome da disidratazione e sofferenza multiorgano terminale in soggetto affetto da morbo di Alzheimer e vasculopatia cerebrale; proprio il forte stato di disidratazione da cui l'anziana era risultata affetta, avevano indotto i sanitari della clinica "(OMISSIS)", dove ella era stata condotta, a trasferirla dopo poche ore all'ospedale (OMISSIS), dove era deceduta. Secondo la sentenza impugnata, tale grave stato di disidratazione era insorto nel periodo minimo di quarantotto ore trascorso presso la "(OMISSIS)", dove, evidentemente, la (OMISSIS) non era stata adeguatamente e sufficientemente idratata, cio' in conseguenza della deficitaria organizzazione della struttura stessa, ossia dell'affannoso e pesante contesto in cui operava la (OMISSIS) che, pressata dalle continue esigenze anche delle altre pazienti, in una situazione climatica caratterizzata da elevate temperature, aveva omesso di dare da bere all'anziana con la dovuta frequenza. Cio' era stato, peraltro, ammesso dalla stessa (OMISSIS), la quale aveva ricordato di aver dato da bere alla (OMISSIS) la sera precedente, ma non anche la mattina in cui, poi, le condizioni della donna si erano aggravate, al punto da richieder l'intervento del 118. Cio' premesso, e rilevato che (OMISSIS) risulta condannata con pronuncia irrevocabile, non avendo formulato ricorso per cassazione avverso la sentenza in esame, vanno esaminate le posizioni degli attuali ricorrenti. Per (OMISSIS), la Corte di merito ha ritenuto che egli avesse consapevolmente accettato di accogliere presso la struttura, di cui era socio e legale rappresentante, la (OMISSIS), madre di un suo amico, essendo conscio delle condizioni di non autosufficienza dell'anziana e del modulo organizzativo non adeguato della "(OMISSIS)", laddove (OMISSIS), figlio della persona offesa, aveva sradicato la madre dalla casa in cui viveva, recidendo drasticamente il legame con la badante che l'aveva accudita per anni, per collocarla in una struttura della cui inidoneita', alla luce delle indicate circostanze, egli era ben consapevole. 2. Tanto premesso quanto alla ricostruzione della vicenda, occorre anzitutto sottolineare come non vi e' dubbio che i beni giuridici protetti dalla disposizione di cui all'articolo 591 c.p. siano la vita e l'incolumita' individuale, e che scopo dell'incriminazione sia quello di proteggere particolari categorie di soggetti che, per eta' o per altre cause individuate dal legislatore siano esposte ai pericoli, contro l'abbandono da parte di chi e' tenuto ad averne cura. La giurisprudenza di legittimita' ha piu' volte affermato che ai fini della configurabilita' del reato in esame, la condotta di "abbandono" e' integrata da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumita' del soggetto passivo (tra le piu' recenti: Sez. 1, n. 5 del 11/05/2021, dep. 03/01/2022, S., Rv. 282481). In sostanza, quindi, la tutela della vita e dell'incolumita' personale, nell'ambito della struttura del reato, passa attraverso la violazione di un obbligo assistenziale o di custodia; infatti, in tutte le ipotesi di abbandono previste dalla norma in esame la condotta non deve essere diretta a ledere l'incolumita' personale o la vita del soggetto passivo, in quanto, se tale volonta' sussistesse, sia pure nella forma del dolo eventuale, e l'abbandono costituisse niente altro che un mezzo per realizzarla, si ricadrebbe nelle fattispecie delle lesioni personali volontarie o dell'omicidio. Puo', quindi, convenirsi sul fatto che l'essenza del delitto consista nell'abbandono del minore o del soggetto altrimenti incapace, caratterizzato dalla volonta' di sottrarsi esclusivamente ad un obbligo di cura o di custodia derivante dalla legge o da un particolare rapporto giuridico, essendo, quindi, necessario che il soggetto attivo del reato si trovi in un rapporto col soggetto passivo dal quale derivi un tale obbligo. Il concetto di "abbandono", quindi, presuppone il cessare di una relazione di cura o di assistenza tra l'agente ed il soggetto passivo. Tale precisazione appare necessaria, in quanto la condotta di abbandono non ha, nel diritto penale, la stessa valenza che essa riveste nel linguaggio comune, in cui implica un distacco, una separazione materiale tra due soggetti, mentre la condotta penalmente rilevante non e' integrata da ogni distacco: il concetto di abbandono implica, come evidenziato dalla dottrina, un giudizio di valore, "una valutazione della condotta con cui ci si distacca, anzi una valutazione che investe il fine e la pericolosita' della condotta". La giurisprudenza di legittimita', non a caso, ha concentrato la propria attenzione sulla pericolosita' che deve connotare la semplice separazione materiale, per cui l'abbandono penalmente rilevante e' quello pericoloso, idoneo, cioe', a porre il minore o l'incapace in una situazione di pericolo per la sua incolumita'. Pertanto, il pericolo, pur se non richiamato espressamente dalla norma, deve essere considerato requisito della fattispecie senza che, invece, sia richiesta la sussistenza di alcun particolare malanimo da parte del soggetto agente (tra le altre, Sez. 5, n. 27705 del 29/05/2018, Rv. 273479; Sez. 2, n. 10994 del 06/12/2012, dep. 08/03/2013, T. e altro, Rv. 255173; Sez. 5, n. 19476 del 25/02/2010, Verdano e altro, Rv. 247305; Sez. 5, n. 337 del 24/10/1980, dep. 22/01/1981, Saccone, Rv. 147371; Sez. 5, n. 12941 del 04/07/1978, Silecchia, Rv. 140268; Sez. 5, n. 8180 del 05/04/1974, Giannini, Rv. 128371). Tale opzione ermeneutica, peraltro, non solo trova fondamento nella previsione di aggravamenti di pena in caso di morte o di lesione della vittima, ma, richiedendo la pericolosita' della condotta, ai fini della configurabilita' del delitto di cui all'articolo 591 c.p., consente di orientare la fattispecie in coerenza con il principio di offensivita'. Ne consegue, pertanto, che il dolo debba avere ad oggetto, oltre che l'eta' minore o lo stato di incapacita' del soggetto passivo e l'obbligo giuridico di cura ed assistenza verso il medesimo, anche lo stato di pericolo a cui viene esposto tale soggetto in conseguenza dell'abbandono. Il dolo, quindi, corrisponde alla volonta' libera e cosciente non solo di abbandonare la persona incapace di provvedere a se' stessa e nei confronti della quale si abbia uno specifico obbligo di assistenza o di cura, ma altresi' nella coscienza del pericolo, ovvero nella previsione che la condotta dell'agente determini una possibilita' di danno per la vita o per l'incolumita' della persona abbandonata. Ovviamente la declinazione dell'elemento soggettivo puo' essere inquadrata anche nel dolo eventuale, quando si accerti che l'agente, pur essendosi rappresentato, come conseguenza del proprio comportamento inerte, la concreta possibilita' del verificarsi di uno stato di abbandono del soggetto passivo, in grado di determinare un pericolo anche solo potenziale per la vita e l'incolumita' fisica di quest'ultimo, persista nella sua condotta omissiva, accettando il rischio che l'evento si verifichi (Sez. 5, n. 44013 del 11/05/2017, Hmaidan e altri, Rv. 271431). 3. Nel caso di (OMISSIS), quindi, il dovere di custodia di cui egli era titolare, scaturente dal suo ruolo di socio e legale rappresentate della struttura e dall'avervi accolto l'anziana, deve essere specificamente considerato, in relazione alla condotta a lui ascritta. Senza alcun dubbio, nel caso in esame, tale dovere aveva fonte contrattuale, in coerenza con quanto piu' volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (per tutte: Sez. 5, n. 18448 del 12/01/2016, Corbascio, Rv. 267126, che, in motivazione ha specificato: "Del resto, anche semanticamente occorre puntualizzare che con il termine "custodia" - riferibile prevalentemente a soggetti minori d'eta' ovvero agli anziani non autosufficienti - si deve intendere una sorveglianza diretta ed immediata, mentre la nozione di "cura" si riferisce invece a soggetti adulti di regola capaci di provvedere a loro stessi ma che versano in concreto, per ragioni contingenti, in situazioni di debolezza o di pericolo (ad esempio un alpinista inesperto affidato alla cura di una guida alpina) e che pertanto necessitano di prestazioni e di cautele protettive. Deve pertanto ritenersi che la relazione di custodia potra' sorgere non solo per l'adempimento di un obbligo giuridico formale, ma anche per spontanea assunzione da parte del soggetto agente o per effetto di una mera situazione di fatto tale per cui il soggetto passivo sia entrato nella sfera di controllo e di disponibilita' del soggetto attivo. Peraltro, accedendo ad una esegesi sistematica delle norme in esame, puo' anche ritenersi che il soggetto attivo del delitto di abbandono ex articolo 591 c.p. possa essere accostato al soggetto attivo dei reati omissivi impropri di cui all'articolo 40 c.p., comma 2, con la possibilita' di richiamare anche qui quella interpretazione giurisprudenziale sulla nozione di "posizione di garanzia" formatasi negli ultimi anni e che individua tra le fonti della detta posizione anche il cd. "contatto sociale" (Cass., Sez. 4, 22 maggio 2007, n. 25527, Conzatti; Cass., Sez. 4, 5 aprile 2013, n. 50606, Manca)."). Cio' che, per la verita', la sentenza impugnata non ha chiarito in maniera adeguata ed esaustiva e' l'individuazione del contenuto del dovere di custodia in capo al (OMISSIS), non risultando affatto chiarito quale norma cautelare specifica riferita alla posizione di garanzia rivestita - egli abbia violato, ed in quali termini da tale violazione sia derivata una condizione di abbandono dell'anziana. Tale questione appare di rilievo decisivo, posto che nella presente sede non si discute della responsabilita' civile, ma della responsabilita' penale per un delitto punto a titolo di dolo. In ambito civile, infatti, le Sezioni Unite hanno chiarito come il complesso ed atipico rapporto che si instaura tra la casa di cura ed il paziente non si esaurisce nella mera fornitura di prestazioni di natura alberghiera, ma consiste nella messa a disposizione del personale medico ausiliario e di quello paramedico, nonche' nell'apprestamento dei medicinali e di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicanze, con conseguente, autonoma e diretta responsabilita' della casa di cura ove il danno subito dal paziente risulti causalmente riconducibile ad una inadempienza alle obbligazioni ad essa facenti carico (Sez. U, n. 9556 del 01/07/2002, Rv. 555494; in tal senso anche Sez. 3, n. 13066 del 14/07/2004, Rv. 574562, in cui si e' chiarito come il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura privata ha fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo, che puo' essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente, insorgono a carico della casa di cura, obblighi di vario tipo, come individuati dalle Sezioni Unite). In altri termini, la responsabilita' della casa di cura nei confronti del paziente ha natura contrattuale, e puo' conseguire, ai sensi dell'articolo 1218 c.c., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonche', ai sensi dell'articolo 1228 c.c., all'inadempimento della prestazione professionale svolta direttamente dal personale sanitario, quale ausiliario necessario, pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, sussistendo comunque un collegamento tra la prestazione effettuata e l'organizzazione aziendale. Inoltre, va ricordato che, del tutto pacificamente, in tema di accertamento del nesso causale nella responsabilita' civile, qualora l'evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile a una pluralita' di cause, i criteri che si applicano sono quelli della "probabilita' prevalente" e del "piu' probabile che non", sicche' il giudice di merito e' tenuto, dapprima, ad eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili, quindi analizzare le rimanenti ipotesi ritenute piu' probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo cosi' la veste di probabilita' prevalente (tra le piu' recenti: Cass. civ., Sez. 3, n. 25884 del 02/09/2022, Rv. 665948; Sez. 1, ordinanza n. 18584 del 30/06/2021, Rv. 661816). In sede penale, invece, si tratta di accertare la sussistenza di un reato e l'individuazione del suo autore, il che - ed appare veramente superfluo sottolinearlo - involge un accertamento che si fonda sul raggiungimento di una prova che consenta una condanna al di la' di ogni ragionevole dubbio. Nel caso in esame non vi e' dubbio che la sentenza impugnata abbia pacificamente dato atto delle soddisfacenti condizioni della struttura (pag. 15 della motivazione), alla luce del testimoniale, affermando, pero', che "l'abbandono in contestazione non inerisce alla trascuratezza igienica dei locali ne' si ipotizzano contestualmente ad esso maltrattamenti di alcun tipo. Del garbo e della disponibilita' nei confronti delle ospiti palesato dalla (OMISSIS) non vi e' motivo di dubitare ma tale atteggiamento non vale ad escludere il complessivo contesto di grave carenza organizzativa nel funzionamento della casa...", consistente nel fatto che la (OMISSIS) fosse l'unica persona a prendersi cura della sei anziane ricoverate, onere lavorativo gravosissimo, svolto senza alcuna interruzione. In sostanza, la Corte di merito ha posto a carico del (OMISSIS) la violazione di un obbligo di protezione di natura contrattuale, concretatosi nel mancato rispetto di una massima di esperienza, ossia quella secondo la quale l'assistenza fornita dalla sola (OMISSIS), nonostante la sua indiscussa professionalita', fosse insufficiente ed inadeguata. Quindi, al (OMISSIS) sarebbe ascrivibile non solo una condotta attiva - consistita nell'aver aderito alla richiesta di ricovero dell'anziana presso una struttura che egli sapeva carente - ma anche una condotta omissiva - consistente nel non aver posto rimedio a tali carenze. Specularmente, al figlio della anziana, (OMISSIS), sarebbe ascrivibile una condotta attiva - consistita nell'aver trasferito la madre in detta struttura, sottraendola al contesto cui ella era abituata - ed una condotta omissiva consistita nel non essersi preventivamente accertato delle condizioni assistenziali della struttura stessa. Anche a carico del (OMISSIS), quindi, la responsabilita' discenderebbe dalla violazione di un obbligo di assistenza e di cura discendente dal rapporto di filiazione, riconducibile, in concreto, alla medesima massima di esperienza applicata anche in riferimento al (OMISSIS). Cosi' inquadrata la questione che costituisce lo snodo centrale della contestazione, su tale aspetto occorre ricordare come, metodologicamente, il controllo della Cassazione sui vizi di motivazione della sentenza impugnata se non puo' estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza, puo', tuttavia, avere ad oggetto la verifica sul se la decisione abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sull'id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulta priva di una pur minima plausibilita' (Sez. 1, n. 16523 del 04/12/2020, dep. 30/04/2021, P.G. c. Romano Eric, Rv. 281385). Trattasi di un approdo ermeneutico risalente e consolidato, che trova, tra le altre, un autorevole precedente in Sez. 6, n. 31706 del 07/03/2003, P.G. in proc. Abbate ed altri, Rv. 228401, secondo cui "Il controllo della Corte di cassazione sui vizi di motivazione della sentenza di merito, sotto il profilo della manifesta illogicita', non puo' estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza del quale il giudice abbia fatto uso nella ricostruzione del fatto, purche' la valutazione delle risultanze processuali sia stata compiuta secondo corretti criteri di metodo e con l'osservanza dei canoni logici che presiedono alla forma del ragionamento, e la motivazione fornisca una spiegazione plausibile e logicamente corretta delle scelte operate. Ne consegue che la doglianza di illogicita' puo' essere proposta quando il ragionamento non si fondi realmente su una massima di esperienza (cioe' su un giudizio ipotetico a contenuto generale, indipendente dal caso concreto, fondato su ripetute esperienze ma autonomo da esse, e valevole per nuovi casi), e valorizzi piuttosto una congettura (cioe' una ipotesi non fondata sullo "id quod plerumque accidit", insuscettibile di verifica empirica), od anche una pretesa regola generale che risulti priva, pero', di qualunque e pur minima plausibilita'." (in senso conforme: Sez. 4, n. 8825 del 27/05/1993, P.M. in proc. Rech, Rv. 196428; Sez. 1, n. 329 del 22/10/1990, Grilli ed altri, Rv. 186149; Sez. 1, n. 9242 del 04/02/1988, Barbella, Rv. 179165). Il citato orientamento, quindi, non solo ascrive le massime di esperienza alle regulae juris che preesistono al giudizio, ma consente di differenziare tra massima di esperienza e mera congettura: nel primo caso il dato e' stato gia', o viene comunque, sottoposto a verifica empirica - il che consente il ricorso alla formula dell'id quod plerumque accidit -, mentre nel secondo caso tale verifica non vi e' stata, ed essa resta affidata ad un nuovo calcolo di possibilita', sicche' la congettura rimane insuscettibile di verifica empirica e quindi di dimostrazione. Tale impostazione, ovviamente, deve essere inquadrata nella struttura del giudizio che viene formulato a conclusione del processo penale, che non puo' mai essere di probabilita', ma di certezza. Nella vicenda in esame risulta del tutto pacifico che fino al momento del decesso della (OMISSIS) nessuna situazione critica si fosse verificata in relazione alle modalita' di assistenza alle altre anziane ricoverate, le cui condizioni di accudimento, al contrario, risultavano del tutto adeguate al loro rispettivo stato di salute, come dimostrato dall'istruttoria dibattimentale che, sul punto, ha escusso non solo i familiari delle altre ospiti, ma anche i medici e le assistenti sociali, non dipendenti della struttura, che ivi si recavano ad effettuare i controlli. Da cio' deriva un primo errore metodologico da parte della Corte di merito, consistente nell'aver ritenuto l'inadeguatezza della struttura unicamente sulla base dell'evento verificatosi, con evidente valutazione ex post, laddove, al contrario, tale valutazione avrebbe dovuto essere operata ex ante. La Corte di merito, in altri termini, avrebbe dovuto evidenziare specifiche circostanze, preesistenti all'aggravarsi delle condizioni della (OMISSIS), in se' idonee a delineare, con giudizio ex ante, carenze strutturali e/o assistenziali note al (OMISSIS) o, comunque, rientranti nella sua sfera di controllo e valutabili alla luce di una o piu' verificate massime di esperienza. In particolare, sarebbe stato necessario che la valutazione delle risultanze processuali fosse stata svolta in base ad un giudizio ipotetico a contenuto generale, indipendente dal caso concreto, fondato su ripetute esperienze autonome da esso e valevole per nuovi casi. Cio' a maggior ragione se - come dimostrato dalla difesa attraverso la produzione delle disposizioni normative vigenti presso la Regione Campania in tema di strutture assistenziali per persone non autosufficienti - il servizio presso tali strutture prevede l'assistenza di due operatori di primo livello ogni sedici persone non autosufficienti durante il giorno e di un operatore per il servizio notturno, risultando, quindi, evidente, come, in base ai criteri elaborati nello specifico settore, sulla scorta delle esperienze maturate, un'infermiera professionale ben poteva adeguatamente assistere sei persone anziane non autosufficienti, pur non disponendo, durante l'arco temporale di riferimento, di un assiduo aiuto. In tal senso, quindi, appare evidente come la Corte di merito abbia operato una confusione rilevante, in termini di inquadramento normativo e di conseguente svolgimento argomentativo, tra la nozione di massima di esperienza e quella di congettura, omettendo di chiarire sulla scorta di quale inferenza epistemologica si fosse pervenuti alla individuazione della massima di esperienza applicata nella specie. Perche' il giudizio di verosimiglianza conferisca al dato preso in esame il valore di prova, e', quindi, necessario che si possa escludere plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l'ipotesi all'apparenza piu' verosimile, laddove, in caso contrario, il dato rappresenta solo un criterio di plausibile valutazione, ma non un elemento di prova autosufficiente, risultando necessario che si possa escludere plausibilmente ogni alternativa spiegazione che invalidi l'ipotesi all'apparenza piu' verosimile; cio' in quanto il concetto di "probabilita' logica" esprime il concetto secondo cui la constatazione del regolare ripetersi di un fenomeno non ha significato solo sul terreno statistico, ma contribuisce ad alimentare l'affidamento sulla plausibilita' della generalizzazione desunta dalla osservazione dei casi passati (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261103; Sez. 6, n. 16532 del 13/02/2007, Cassandro, Rv. 237145; Sez. 1, n. 4652 del 21/10/2004, dep. 08/02/2005, P.G. in proc. Sala e altri, Rv. 230873; Sez. 6, n. 4668 del 28/03/1995 Layne ed altri, Rv. 201152). Non si comprende, quindi, sulla scorta di quale criterio di inferenza scientifica la sentenza impugnata abbia considerato massima di esperienza l'affermazione secondo cui una sola infermiera, di indiscusse capacita' professionali, non possa adeguatamente occuparsi, anche da sola e continuativamente, di un numero limitato di pazienti non autosufficienti e non richiedenti cure mediche specifiche e/o specialistiche, posto che sino al momento del decesso della (OMISSIS) non si era emersa alcuna problematica riferibile a tale modulo assistenziale. Sotto tale aspetto, infatti, non puo' non considerarsi come la (OMISSIS) fosse stata assistita, anche presso la propria abitazione, da una sola persona, (OMISSIS), che, peraltro, non aveva competenze specifiche. Presso la "(OMISSIS)", inoltre, non risultano emerse condizioni di degrado fisico cui era stata sottoposta la (OMISSIS), che, invece, era stata adeguatamente assistita in riferimento alle sue specifiche condizioni, fino al momento in cui si era verificata la mancata somministrazione di sufficienti liquidi, vicenda cronologicamente limitata ad un arco temporale di quarantotto ore precedenti al ricovero. In tal senso, quindi, si palesa anche il vizio di illogicita' della motivazione sotteso al ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, che, alla luce della emergenze probatorie evidenziate - con particolare riferimento sia alla mancanza di fatti pregressi che avessero evidenziato una inidoneita' e/o una carenza della scelta assistenziale praticata, sia quanto alla coerenza del modulo adottato ai parametri della normativa regionale di settore - non ha fornito una spiegazione plausibile e logicamente corretta delle scelte operate. La concreta condotta di abbandono di cui e' stata ritenuta responsabile (OMISSIS), in altri termini, non implica alcun automatismo in termini di disfunzioni organizzative ascrivibili al (OMISSIS) e, tantomeno, al (OMISSIS). In tal senso, infatti, la sentenza impugnata confonde, palesemente, il dato rappresentato dalla carenza di autorizzazione amministrativa della struttura, nonche' quello relativo alla situazione di non autosufficienza della (OMISSIS), con il diverso piano inerente alla indimostrata carenza strutturale ed organizzativa su cui avrebbe dovuto fondarsi la condotta consapevole e volontaria di abbandono penalmente rilevante. Cio', peraltro, senza porsi minimamente il dubbio un possibile inquadramento della vicenda in un'ottica colposa. 4. A tali considerazioni, inoltre, va aggiunto il rilievo concernente la totale carenza - non a caso - di un'adeguata motivazione circa l'indagine concernente il nesso di causalita' tra le condotte ascritte agli imputati e l'abbandono verificatosi, oltre che in relazione all'elemento soggettivo del reato, ossia al dolo. Prima ancora di analizzare le cause del decesso dell'anziana, la sentenza avrebbe dovuto chiaramente individuare la condotta di abbandono, causalmente rilevante, ascrivibile al (OMISSIS) ed al (OMISSIS), senza alcuna sovrapposizione della posizione di costoro con il profilo concernente la condotta di (OMISSIS). Nell'ottica di un delitto punibile a titolo di dolo, quale la fattispecie di cui all'articolo 591 c.p., l'evento deve essere preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione. La condizione di abbandono, quindi, prima ancora dell'evento morte, non puo' costituire un accadimento accidentale, ma una conseguenza che dipende dal consapevole attivarsi od omettere. Si deve, quindi, ribadire come il dolo del delitto in esame e' generico, potendo assumere la forma del dolo eventuale quando si accerti che l'agente, pur essendosi rappresentato, come conseguenza del proprio comportamento inerte, la concreta possibilita' del verificarsi di uno stato di abbandono del soggetto passivo, in grado di determinare un pericolo anche solo potenziale per la vita e l'incolumita' fisica di quest'ultimo, persista nella sua condotta omissiva, accettando il rischio che l'evento si verifichi (Sez. 5, n. 44657 del 21/10/2021, L., Rv. 282173; Sez. 5, n. 44013 del 11/05/2017, Hmaidan e altri, Rv. 271431). Nel delitto doloso cio' che va specificamente valorizzato e' l'aspetto della volonta', il che consente di ricomprendere in tale cornice ricostruttiva anche le situazioni in cui l'evento, senza essere intenzionalmente perseguito, venga posto in correlazione causale con la propria azione e, proprio per questa ragione, voluto - come conseguenza nel momento stesso in cui l'agente decide di porla in essere, conscio del risultato che ne puo' derivare. In tal modo appare possibile consentire, anche in riferimento al dolo eventuale, di cogliere in esso un atteggiamento psichico assimilabile a quello propriamente volontaristico. Inoltre, posto che la rilevanza penale della condotta attiva o omissiva discende dal costituire una condizione necessaria nella sequenza degli antecedenti che hanno determinato la produzione del risultato, senza la quale l'evento del reato non si sarebbe verificato, la sentenza impugnata appare manifestamente carente anche in relazione all'efficacia causale delle condotte ascritte agli imputati, dato che, seppure la massima di esperienza utilizzata fosse condivisibile - cosa che non e' -, cio' non avrebbe comunque consentito di dedurre automaticamente l'esistenza del nesso causale, poiche' il giudice di merito deve verificare la validita' della regola in riferimento al caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e delle evidenze disponibili, in modo che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresi' escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta degli imputati sia stata condizione necessaria dell'abbandono con alto o elevato grado di credibilita' razionale o probabilita' logica. L'insufficienza, la contraddittorieta' o l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio sulla reale efficacia condizionante della condotta, rispetto ad altri fattori interagenti, comportano, in definitiva, la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa, in quanto lo standard probatorio richiesto in riferimento alla sussistenza del nesso causale non segue un regime differente rispetto agli altri elementi costitutivi del reato. Sotto tale aspetto, quindi, appare il caso di richiamare quanto gia' affermato da questa Corte in tema di differenza tra il reato di maltrattamento e quello di abbandono di incapaci, laddove e' stato ricordato come le reiterate e gravi carenze di cure ed assistenza a persone anziane non autosufficienti, pur potendo configurare il reato di maltrattamenti, non integra di per se' il diverso reato di abbandono di incapaci, per la cui configurabilita' e' necessario l'accertamento di una condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia) da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumita' del soggetto passivo (Sez. 6, n. 12866 del 25/01/2018, M., Rv. 27273). Nell'esaminare tale specifica vicenda appare evidente, peraltro, come la Corte di merito abbia del tutto pretermesso di valutare il possibile inquadramento delle condotte in fattispecie colpose. Quanto al (OMISSIS), la motivazione della sentenza impugnata - e ancor piu' di quella di primo grado - appaiono evidentemente incentrate sulla negativa valutazione della condotta del predetto, che "non ebbe alcuna remora non solo a sradicare l'anziana dall'ambiente in cui viveva da sempre, ma a recidere drasticamente il suo consolidato rapporto con la badante che da tanti anni l'accudiva, non premurandosi neanche di avvertire quest'ultima che da un momento all'altro avrebbe perso il lavoro, facendole trovare al ritorno dalla spesa sinanche rimossi il letto ed il materasso su cui la madre dormiva e imponendole la pronta restituzione delle chiavi di casa. Neanche si premuro' di assicurare, per attutire il distacco che andava operando, che almeno per qualche giorno la (OMISSIS) continuasse ad incontrare la signora, tacendole sinanche l'indirizzo della casa di riposo ove veniva trasportata, alla quale la donna riusci' ad arrivare solo tramite le indicazioni telefoniche del figlio di (OMISSIS) per venirne poi praticamente cacciata visto che l'imputato aveva disposto che non fossero consentite visite di soggetti diversi dai parenti." Appare appena il caso di ricordare come ogni valutazione concernente la condotta umana da punto di vista etico non spetta ne' a questa Corte ne' ai giudici di merito che, al di la' delle affermazioni pur effettuate (pag. 26 della sentenza impugnata), non sembrano aver non solo adeguatamente affrontato le problematiche giuridiche sin qui esposte, ma non hanno neanche ritenuto di dare spazio alle argomentazioni difensive. In tal senso del tutto immotivato appare il diniego di acquisizione della documentazione richiesta dalla difesa del (OMISSIS); seppure, infatti, non appare illogico il rigetto, da parte della Corte territoriale, di rinnovare l'esame dei testi a cui la difesa aveva rinunciato in primo grado, del tutto privo di ogni aggancio motivazionale appare il diniego di acquisire la documentazione avente ad oggetto i lavori da eseguire all'interno dell'appartamento della (OMISSIS). Premesso, infatti, che trattasi di documenti, come tali acquisibili ai sensi dell'articolo 234 c.p.p. senza alcuna limitazione, la Corte di merito sicuramente avrebbe potuto approfondire la sussistenza di circostanze alla stregua delle quali considerare l'elemento soggettivo dell'imputato, salva, in concreto, ogni valutazione della irrilevanza della documentazione acquisita. Ed infatti, la decisione di (OMISSIS) di sistemare la madre presso una struttura, per quanto possa apparire umanamente non condivisibile o, addirittura riprovevole, alla luce delle condizioni di assistenza di cui godeva la (OMISSIS) presso la propria abitazione, non consente automaticamente di configurare a fattispecie di abbandono di incapaci, posto che nessun rilievo e' stato dato, ad esempio, all'eventuale aggravamento delle condizioni di salute della (OMISSIS) come conseguenza del trasferimento, circostanza che non appare affatto approfondita dall'istruttoria dibattimentale; ne', per la verita', appare presa in considerazione la possibilita' che il (OMISSIS) abbia agito in maniera imprudente o superficiale. In realta', dal punto di vista logico, prima ancora che giuridico, le sentenze di merito avrebbero dovuto individuare la condizione di abbandono specificamente verificatasi, ancor prima di approfondire la causa del decesso della (OMISSIS), posto che tale evento era, in ipotesi, scaturito dall'abbandono. Una volta individuata, con giudizio ex ante, la condizione di abbandono, sarebbe stato necessario verificare se ed in che misura la stessa fosse causalmente collegata alle condotte - attive e/o omissive - ascritte al (OMISSIS) ed al (OMISSIS), nelle loro rispettive posizioni di garanzia scaturenti dagli obblighi di custodia di cui erano titolari, passando, poi, a scandagliare in maniera adeguata la sussistenza dell'elemento soggettivo anche sotto l'aspetto di un rimprovero da inquadrare nella categoria della colpa. Al contrario, la Corte di merito, sulla base di un percorso metodologico del tutto carente ed illogico - basato su una indimostrata massima di esperienza - ha asserito la sussistenza di non meglio specificate violazioni di doveri di custodia, senza approfondire, se non attraverso affermazioni apodittiche, l'elemento soggettivo del delitto di abbandono di incapaci e la sussistenza del nesso di causalita' tra le condotte ascritte ad (OMISSIS) ed a (OMISSIS) e la verificazione della condizione di abbandono. In tal senso, quindi, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli che, nella piena liberta' della valutazione delle risultanze processuali, si atterra', nondimeno, ai principi di diritto sin qui illustrati. In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. CALASELICE Barbara - rel. Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere Dott. TOSCANI Eva - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI MILANO; dalle parti civili: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); nonche' da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); nel procedimento a carico di quest'ultimo; avverso la sentenza del 09/03/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere BARBARA CALASELICE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCA ZACCO, che ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alle statuizioni civili e alle relative spese con rinvio al giudice civile in grado di appello, per la parte civile (OMISSIS); dichiarare inammissibile nel resto il ricorso, nonche' rigettare i ricorsi del Procuratore generale e di (OMISSIS) e dichiarare inammissibili i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS). uditi i difensori, avv. (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno chiesto l'accoglimento delle conclusioni scritte depositate unitamente alle note spese; udito il difensore, avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso e l'inammissibilita' di quelli degli altri ricorrenti. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata la Corte di assise d'appello di Milano ha riformato la condanna, emessa dalla Corte di assise in sede, in data (OMISSIS), nei confronti di (OMISSIS), riqualificando i reati ascrittigli in quelli di cui all'articolo 572 c.p., u.c., aggravato dalle circostanze di cui all' articolo 61, n. 4 e articolo 5 c.p., consumato nei confronti del solo figlio minore Mehmet, quanto al capo A), ritenute le condotte sub B) circostanze della fattispecie come riqualificata, ai sensi dell'articolo 84 c.p., escluse le residue circostanze aggravanti (di cui all' articolo 61, n. 1 e articolo 94 c.p., articolo 576 n. 2 e articolo 577 n. 1, 61 c.p., n. 11 quinquies) rideterminando la pena irrogata in quella di anni ventotto di reclusione, nonche' pronunciando l'assoluzione perche' il fatto non sussiste, in relazione ai reati consumati ai danni della moglie, (OMISSIS), con revoca della condanna al risarcimento del danno disposta dal primo giudice in favore di quest'ultima. 1.1. Si tratta della originaria contestazione dei reati di omicidio pluriaggravato (capo A) ai danni del minore (OMISSIS), figlio dell'imputato, del reato di tortura (capo B), aggravato dall'aver provocato lesioni alla vittima per motivi futili, dall'uso abituale di stupefacenti, nonche' di maltrattamenti (capo C) ai danni di minori e della moglie, in stato di gravidanza almeno di quattro mesi, fatto contestato come aggravato dall'aver adoperato sevizie e per aver agito con crudelta' nei confronti del figlio minore di circa due anni. 1.2.11 primo giudice aveva condannato l'imputato alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno per mesi nove, in relazione a tutti i reati ascrittigli come contestati, ad esclusione di quello di cui al capo C), nei confronti delle sole figlie (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' aveva pronunciato condanna al risarcimento del danno in favore delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), quantificato in Euro centomila ciascuna (nella parte motiva a titolo di provvisionale, nel dispositivo senza precisazione dell'assegnazione delle somme in via provvisionale). La condanna di primo grado fonda sulle dichiarazioni parzialmente confessorie dell'imputato, quelle rese de relato dai suoi prossimi congiunti e dalle psicologhe presso l'istituto penitenziario ove l'imputato era ristretto, nonche' sulle intercettazioni telefoniche ed ambientali, oltre che in base alle dichiarazioni, raccolte in sede dibattimentale, tra cui quella della persona offesa, madre della piccola vittima del reato di cui al capo A). 1.3.La Corte territoriale ha riformato la condanna riscontrando, quanto al delitto di omicidio sub A), che questo doveva essere riqualificato nel reato di cui all'articolo 572 c.p., u.c, non potendosi ravvisare la sussistenza del dolo (eventuale) e non ravvisandosi alcuna cesura tra i maltrattamenti, attuati ai danni della vittima e l'evento morte, condotte che si sarebbero susseguite, per la Corte di secondo grado, senza soluzione di continuita', richiamando il precedente di questa Corte, Sez. 6, n. 46848 del 20 novembre 2012 (cfr. pag. 51 e ss.), indicato come in termini. La Corte territoriale (cfr. pag. 71 e ss.) rimarca le ragioni per le quali ha reputato la sussistenza di talune circostanze aggravanti, escludendone altre, nonche' ha esposto, quanto al capo B) (cfr. pag. 76 e ss.), le ragioni per le quali le condotte contestate come tortura, ai sensi dell'articolo 613-bis c.p., dovessero essere, invece, reputate soltanto circostanze aggravanti del reato di cui all'articolo 572 c.p., cosi' riqualificata la condotta di cui al capo A). Infine, la pronuncia impugnata specifica le ragioni dell'assoluzione dell'imputato in relazione al reato di cui al capo C) limitatamente alle condotte contestate come poste in essere ai danni della moglie, nonche', a pag. 87 e ss., rende conto della riforma operata, quanto alle statuizioni risarcitorie, revocate in toto, per quanto concerne la parte civile (OMISSIS). 2.Ricorre, avverso la descritta sentenza, l'imputato, per il tramite del difensore, avv. (OMISSIS), la parte civile, avv. (OMISSIS), quale curatore speciale delle minori, (OMISSIS) e (OMISSIS), (parte civile ammessa al gratuito patrocinio), la parte civile (OMISSIS) (ammessa al patrocinio a spese dello Stato), il Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano, devolvendo vizi di seguito riassunti, nei limiti necessari per la motivazione, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1.11 Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano ha dedotto due vizi. 2.1.1.Con il primo motivo si denuncia erronea applicazione degli articoli 572 e 613-bis c.p.. La Corte territoriale avrebbe errato nell'individuazione dell'elemento soggettivo del reato in relazione alla morte della piccola vittima. La pronuncia si richiama alla decisione delle Sezioni Unite di questa Corte, Thyssen, che ha definito la nozione di dolo eventuale (cfr. pag. 60 della sentenza impugnata). Questo precedente, per l'impugnante, riguarda solo i casi di distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente, quindi, connessa a casi in cui si versi in ipotesi di attivita' lecita rischiosa. Diverso sarebbe, per il ricorrente, il caso di specie in cui il primo giudice individua la sussistenza delle plurime percosse e l'esistenza del dolo eventuale, quanto alla consapevolezza delle conseguenze che poteva provocare la condotta. Peraltro, si sottolinea che, nel caso al vaglio, la conseguenza dell'azione era piu' che probabile e, anzi, il suo autore aveva proprio voluto l'evento non soltanto accettandone il rischio, trattandosi di dolo diretto. Inoltre, in relazione all'effettiva adesione psichica dell'agente alla morte della piccola vittima, si osserva che, pur seguendo gli indicatori della sentenza delle Sezioni Unite citata, questa si dovrebbe ricavare: -dalla condotta che caratterizza l'illecito, determinante negli illeciti di sangue, nella specie espressa attraverso una sequela di atrocita' attuate su un infante; - dalla storia e dalle precedenti esperienze dell'agente, assuntore abituale di stupefacenti; - dalla durata e ripetizione delle condotte, qui attuate nelle forme di torture abituali, crudeli ove la violenza e' dimostrata dal numero di colpi e dalle zone vitali attinte; - dalla probabilita' di verificazione dell'evento, che qui era elevata tenuto conto che si tratta di infante, incapace di difendersi; - dal fine della condotta che, nella specie, e' stato la mera crudelta'. Si sottolinea, poi, che la motivazione richiama un precedente della sezione Sesta penale di questa Corte, ritenuto sovrapponibile che, pero', risale al 2012, anno in cui non era entrato in vigore l'articolo 613-bis c.p. relativo al reato di tortura contestato al capo B), condotta, dunque, da non potersi reputare assorbita in quella di cui all'articolo 572 c.p.. Si richiama il precedente di legittimita' (Sez. 3, n. 32380 del 25 maggio 2021), secondo il quale bene giuridico tutelato dall'articolo 613-bis c.p. e' la dignita' umana, lesa da condotte che infliggono alla vittima sofferenze fisiche o psichiche tali da determinare un assoggettamento totale all'agente, divenendo la vittima una res. Di qui la richiesta di riconoscimento del concorso materiale, considerando che la tortura durava da pochi giorni, a differenza delle altre condotte maltrattanti, durate mesi, che si e' attuato un comportamento disumano e crudele, come dimostrato dalle risultanze dell'esame del corpicino martoriato della vittima, riportato dalla stessa Corte territoriale. Sicche' la condotta non deve essere qualificata ai sensi dell'articolo 572 c.p., u.c., come aggravata dall'articolo 613-bis c.p., ma rientra nella previsione di cui all'articolo 613-bis, comma 5, secondo periodo, per il quale la pena da irrogare e' quella dell'ergastolo. Infine, anche a voler reputare che la morte fosse stata conseguenza di condotta non voluta, andava applicato l'articolo 613-bis, comma 5, primo periodo, per il quale la pena da considerare e' quella di anni trenta di reclusione. 2.1.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione con riferimento alla testimonianza di (OMISSIS). La Corte territoriale avrebbe errato nel reputare la testimonianza della donna, coniuge dell'imputato e madre della piccola vittima, non attendibile e, a tratti, non credibile/ tanto da aver pronunciato l'assoluzione dell'imputato, in ordine al capo C), limitatamente ai maltrattamenti ai danni della stessa. Si reputa, infatti, contrastante rispetto agli esiti dell'istruttoria quanto affermato dalla Corte d'assise di appello (cfr. pag. 39-44 della sentenza) secondo la quale la donna avrebbe reso una deposizione reticente e mendace, in relazione ai maltrattamenti subiti, perche' mossa dalla finalita' di precostituirsi una giustificazione rispetto ad una sua corresponsabilita' per la morte del figlioletto. Si richiamano le testimonianze della psicologa e assistente sociale, le intercettazioni, le dichiarazioni dei parenti della vittima, per assumere che sarebbe emerso, dall'istruttoria svolta, che la donna era, invece, traumatizzata e si sottolinea che la Corte territoriale avrebbe reso, sul punto, un ragionamento contraddittorio. Non si sarebbe tenuto conto, infatti, in alcun modo del contesto sociale nel quale avvenivano i fatti, anche descritto dalla stessa Corte di assise di secondo grado, laddove indica la giovane donna di etnia rom come totalmente sottomessa al clan del marito e che, pur in stato di gravidanza, era sistematicamente utilizzata, in modo strumentale, per la commissione di reati di furto, priva di scolarizzazione e definita madre-bambina. Si sottolineano, infine, gli esiti delle conversazioni captate tra la persona offesa, i suoi familiari e anche la suocera (cfr. pag. 8 e ss del ricorso) dai quali emergerebbe che la donna non poteva ribellarsi al marito e alle sue condotte violente, che la giovane vittima era sempre incinta e sottomessa, anche psicologicamente, al marito. Anzi, si evidenzia, quanto alle captazioni valorizzate dal giudice di secondo grado, che queste sono lontane dai fatti e avvenute in carcere, durante i colloqui dell'imputato detenuto con la madre, indicate dal ricorrente come di contenuto manipolatorio per essersi, quest'ultima, resa conto delle conseguenze alle quali sarebbe andato incontro il figlio, peraltro sottolineando che le conversazioni avevano come unico oggetto le condotte ai danni dei bambini e non della moglie. Si sottolinea, infine, che la Corte di assise di appello non ha trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica perche' si procedesse a carico della donna ai sensi dell'articolo 40 c.p., comma 2. Anzi il primo giudice aveva espressamente escluso tale evenienza per non essere emersa prova che la donna fosse nelle condizioni oggettive di impedire l'evento. 2.2.La parte civile, avv. (OMISSIS), quale curatore speciale delle minori (OMISSIS), (OMISSIS), figlie dell'imputato, denuncia tre vizi. 2.2.1. Con il primo motivo si deduce vizio di motivazione e inosservanza degli articoli 43, 572, 575, 576 c.p.. Quanto al punto 2 della sentenza (pag. da 50 a 75) relativo al capo A) della rubrica, si osserva che, secondo la stessa motivazione della Corte di assise di appello, la morte del bambino sarebbe stata cagionata dalle percosse ricevute dal padre quella notte, mentre risalivano ad alcuni giorni prima le bruciature alle piante dei piedi e le varie ecchimosi e contusioni, queste ultime, anzi, datate dai giudici dell'appello come risalenti a diversi giorni prima. Secondo la parte ricorrente non sarebbe corrispondente al vero che le varie ecchimosi e contusioni, trovate sul corpo della vittima, fossero risalenti a diversi giorni prima, ma le cinquantuno lesioni riscontrate, in sede di autopsia, sarebbero risultate, all'esito dell'istruttoria svolta, coeve all'evento morte, con eccezione per sole tre di esse. La Corte territoriale, poi, esclude la sussistenza del dolo anche nella forma eventuale, valorizzando la circostanza che sarebbe stato proprio l'imputato a chiedere aiuto, senza tenere conto dell'immediata fuga dal luogo dei fatti, della mancata spontanea consegna alle Forze dell'ordine, da queste reperito successivamente, presso l'abitazione di uno zio. Quanto agli indicatori che la stessa pronuncia delle Sezione Unite cui si richiama il giudice di secondo grado, si sottolinea che, ai fini della sussistenza del dolo anche nella forma eventuale, rileva la condotta che caratterizza l'illecito e che questa, nella specie, e' stata attuata attraverso la produzione di ben quarantotto lesioni provocate alla vittima, la sera stessa del decesso, come affermato dalla stessa Corte territoriale a pag. 76 della sentenza. Si evidenzia, poi, che secondo gli stessi giudici di secondo grado, la condotta si era ripetuta con elevato numero di colpi, con intensita' e tipologia tali, unitamente alla gravita' delle lesioni inferte, da ritenere senz'altro sussistente il dolo, quanto meno nella forma di quello eventuale. Si valorizza, all'uopo, la violenza e il numero dei colpi, le zone vitali attinte, l'eta' della vittima, incapace di difendersi, tutti elementi che emergono dalla stessa motivazione censurata che, dunque, sarebbe viziata nella conclusione cui e' giunta quanto all'operata riqualificazione del fatto. Infine, si sottolinea che il precedente di legittimita' della sezione Sesta penale di questa Corte, richiamato dalla Corte di merito, non sarebbe del tutto sovrapponibile al caso in esame. In quello, la morte della vittima era avvenuta per effetto di un potente colpo (un calcio) sferrato dal basso verso l'alto, non diverso da quelli ripetuti come percosse, che avevano lasciato segni sul cadavere ed avvenute in precedenza, durante i maltrattamenti attuati. Nel caso in esame, invece, vi sarebbe una cesura rispetto alle condotte di maltrattamenti accertate (due lesioni per bruciatura della pianta dei piedi) e le lesioni riscontrate, tutte avvenute quella notte, in data 22 maggio 2019. Sicche' queste non erano state un evento aggravante del delitto di maltrattamenti, ma avevano provocato, autonomamente, il decesso della vittima con una condotta che, quindi, non e' stata lo sviluppo dell'unitaria ed abituale condotta di maltrattamenti. Si richiama, quale precedente conforme, pronuncia di legittimita' (Sez. 6 n. 16548 del 23 febbraio 2021). 2.2.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione, inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 572 e articolo 613-bis, articolo 84 c.p., articolo 3 CEDU. Si impugna, specificamente il punto 3 della sentenza (pag. 76). Per la Corte territoriale esistono acute sofferenze fisiche, patite dal minore, che pero' sono qualificate come evento aggravante il delitto di maltrattamenti. Si richiama precedente di legittimita' (Sez. 3, n. 32380 del 25 maggio 2021) e si afferma che, come in quel precedente, risultano acclarate, oltre alle sofferenze, anche altri comportamenti, minacce, percosse, tutti atti di offesa alla dignita' personale della vittima, come evinto, peraltro, dalla stessa Corte territoriale nel descrivere, nella motivazione, il corpo martoriato del bambino coperto di lividi, lesioni lievi e gravi. Inoltre, si deduce che l'esclusione del reato autonomo di cui all'articolo 613-bis c.p. viola l'articolo 3 CEDU. Si contesta che la Corte territoriale abbia ricondotto le lesioni da calore sulla pianta dei piedi del bambino alla presenza nell'abitazione, di piastre da cucina e si sottolinea che, invece, gli esiti della consulenza medico-legale svolta, avrebbero escluso la certa riconducibilita' delle lesioni alle piastre elettriche (cfr. consulenza del Pubblico ministero Zoja, su cui ha deposto il teste, che ha affermato che la compatibilita' tra le lesioni refertate alle piante dei piedi e una piastra surriscaldata potrebbe sussistere solo se si trattasse di piastra con un'area centrale inerte). 2.2.3. Con il terzo motivo si denuncia vizio di motivazione ed inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 43, 572, 575, 576 c.p.. Si contesta, specificamente, il punto 4 della sentenza (pag. 79) quanto alla pronuncia relativa al capo C), in relazione alla piccola vittima. La parte ricorrente si riporta alle considerazioni svolte con il primo motivo di ricorso e con riferimento al secondo motivo di ricorso. In conclusione, quanto alle statuizioni civilistiche adottate dalla Corte di assise di appello e alla legittimazione ad impugnare, si afferma che (punto 6 della sentenza pag. 87) senz'altro le parti civili assistite dal curatore speciale sarebbero legittimate in quanto minori danneggiate dal reato, iure proprio e iure successionis, anche se l'imputato e' stato assolto dal delitto di cui al capo C), limitatamente agli episodi di violenza nei loro confronti, segnalando l'intervenuta condanna da parte del primo giudice alla somma complessiva di Euro centomila. Si contesta, quindi, la violazione dell'articolo 185 c.p. e articolo 74 c.p.p., in relazione alla pronunciata esclusione di qualsiasi danno derivante da reato. 2.3. La parte civile (OMISSIS), denuncia sei vizi. 2.3.1. Il primo motivo denuncia erronea applicazione dell' articolo 530, articolo 533, articolo 546 lettera e), articolo 192 c.p.p. e vizio di motivazione, in relazione all'articolo 572 c.p., di cui al capo C). La motivazione fonderebbe su un giudizio (morale) negativo della parte civile perche' ritenuta portatrice di un retropensiero autoassolutorio, rispetto al suo ruolo (omissivo e che avrebbe cagionato la morte del piccolo), nonche' per aver riferito le violenze dell'imputato in modo strumentale, peraltro interpretando il contenuto delle conversazioni intercettate, tra la ricorrente e la madre, quale invito a mentire per precostituirsi un alibi, indicando, inoltre, la donna come portatrice di ostilita' e disaffezione verso il figlio, morto nelle circostanze contestate, giudizio non motivato in base agli atti processuali e comunque reputato irrazionale. Si richiamano gli elementi essenziali secondo il primo giudice, che hanno fondato il giudizio di attendibilita' della persona offesa, madre del minore, riportando anche stralci della motivazione (cfr. pag. 10 e ss. del ricorso) indicando quella offerta dalla Corte di assise, come giustificazione diffusa, cui oppone quella di secondo grado che la ricorrente indica come fondata su ipotesi e sensazioni, su colloqui tra l'imputato e suoi parenti in carcere, che pero', si collocherebbero in un momento in cui questi erano venuti a conoscenza delle accuse mosse dalla parte civile all'imputato. Rispetto a tali colloqui si precisa che si ignorano le captazioni, poste a base del giudizio di primo grado, non si terrebbe conto dell'elemento materiale della segregazione, posta in essere ai danni della parte civile, ribaltando, cosi', completamente il giudizio di attendibilita' del primo giudice anche quanto ai contenuti di telefonate e conversazioni captate, senza confrontarsi con i dati significativi, valorizzati dal primo giudice. La Corte territoriale, poi, in relazione alla veste di coimputata ai sensi dell'articolo 40 c.p., comma 2, della ricorrente giunge a conclusioni opposte rispetto al primo giudice, che ne aveva escluso ogni evenienza in tal senso (cfr. pag. 17 e ss. del ricorso). Si evidenzia, da parte della Corte territoriale, che la dichiarante avrebbe dovuto essere esaminata come coimputata, gia' alla stregua delle lesioni accertate al momento del decesso della piccola vittima, evidentemente riferibili all'opera irresponsabile di adulti e che la Corte di assise avrebbe dovuto trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica. Comunque, evidenzia la ricorrente che all'esito del secondo grado di giudizio, la Corte di assise di appello nonostante il tenore della motivazione circa il ruolo assunto dalla madre nel decesso del piccolo, non ha trasmesso gli atti a suo carico alla Procura competente, rendendo pertanto dal contenuto illogico la parte della motivazione che riguarda la scarsa affidabilita' delle dichiarazioni eteroaccustorie. Si sostiene, poi, che la Corte territoriale avrebbe negato significato alle dichiarazioni dell'imputato, alla loro evoluzione e alla circostanza, riportata nella sentenza di primo grado, secondo la quale le intercettazioni acclarerebbero che era stata la sorella a consigliare all'imputato (per non "pigliare" l'ergastolo) di accusare la moglie. La Corte d'assise di appello, invece, in violazione dell'articolo 192 c.p.p. e dell'articolo 546 c.p.p., secondo la ricorrente, valorizzerebbe soltanto la circostanza che, nelle conversazioni con i familiari, non si farebbe alcun accenno alle violenze fisiche ai danni della moglie e che questa avrebbe anch'ella picchiato il bambino, come riferito dall'imputato. Tanto, senza dare alcun risalto alla circostanza che tali accuse erano emerse solo al dibattimento e dopo che si era conosciuto il contenuto delle accuse che la persona offesa aveva mosso al coniuge. 2.3.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell' articolo 575, 572 u.c., articolo 576 n. 5 e articolo 43 c.p., con riferimento al capo A). La prima sentenza ha valorizzato gli esiti della consulenza tecnica del Pubblico ministero, attestante la presenza di cinquantuno lesioni, tra cui plurime fratture, intervenute la notte della morte del piccolo. Solo due delle tre lesioni da calore riscontrate sul corpicino del bambino, erano state reputate risalire a due - quattro giorni prima dell'accaduto. La Corte di assise di appello esclude la sussistenza del dolo eventuale, per il comportamento dell'imputato, successivo all'ultimo calcio inferto, che era consistito nell'accorata richiesta di soccorso, nonche' nel rammarico, provato successivamente, citando un precedente secondo il quale, in assenza di cesura temporale tra maltrattamenti ed evento morte, la corretta applicazione della legge penale prevede come necessaria la riqualificazione della condotta di cui all'articolo 575 c.p. in quella di cui all'articolo 572 c.p., u.c.. La difesa, invece, evidenzia che l'eta' della vittima, la qualita' e il numero delle lesioni, la gravita' dei colpi, come descritti nella stessa sentenza della Corte d'assise di appello, non potevano che far concludere per la sussistenza del dolo eventuale del reato di omicidio. Nessuno, poi, degli indici richiesti dalla sentenza delle Sezioni Unite, Thyssen risultano verificati da parte della Corte territoriale. Si sarebbe, peraltro, trascurato che l'imputato, dopo il fatto, si era dato alla fuga, aveva violato i suoi obblighi impostigli dall'articolo 147 c.c., aveva agito nonostante le condizioni di fragilita' del piccolo, di eta' poco superiore a due anni, aveva attinto zone del corpo sensibili e delicate, in quanto relative ad un infante, aveva cagionato lesioni con morsi, calci, schiaffi, pugni che non potevano che condurre alla morte, stante l'estrema vulnerabilita' della vittima, in considerazione della sua eta', nonche' per il numero, la reiterazione, l'intensita' dei colpi e le zone del corpo attinte. Si richiamano precedenti di legittimita' (Sez. 1, Rv. 240084; Sez. 1, Rv. 276395; Sez. 6, Rv. 282185), relativi a casi di vessazioni abituali e maltrattamenti seguiti da morte della vittima. Si sottolinea, da ultimo, che in caso di annullamento con rinvio quanto all'operata riqualificazione del fatto, rivivono le circostanze aggravanti escluse dalla Corte territoriale, perche' inerenti esclusivamente al delitto di cui all'articolo 575 c.p. (articolo 576 n. 2 e articolo 577 c.p., n. 1). 2.3.3. Con il terzo motivo si denuncia erronea applicazione dell'articolo 61 n. 1 e articolo 61 n. 11-quinquies c.p. in relazione alle circostanze aggravanti escluse in ordine al reato sub A) come riqualificato e vizio di motivazione. Non risulta provato il movente e, secondo la Corte territoriale, dunque, non vi e' prova della circostanza aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 1. Tale conclusione confliggerebbe con altra parte della motivazione dove per la Corte di assise di appello, movente dovrebbe ravvisarsi nell'ostilita' e disaffezione dell'imputato verso il figlioletto. Quanto alla circostanza di cui all'articolo 61 c.p., n. 11-quinquies, si evidenzia che e' vero che il delitto di cui all'articolo 572 c.p. non rientra tra quelli contro la vita e l'incolumita' personale, ma invece, si sostiene che il reato di maltrattamenti senz'altro lede l'incolumita' personale o la liberta' dell'individuo, concetti da intendere in senso lato, soprattutto quando ai maltrattamenti segua la morte della vittima. Si richiama precedente di questa Corte che reputa, per la fase dell'esecuzione, compatibile la configurabilita' del reato di cui all'articolo 572 c.p. con la circostanza aggravante indicata (Rv. n. 282320). 2.3.4. Con il quarto motivo si denuncia violazione dell' articolo 613-bis c.p., articoli 572 e 84 c.p. e vizio di motivazione. La Corte territoriale reputa il reato di tortura assorbito in quello, ritenuto piu' grave, di maltrattamenti per la sovrapponibilita' del fatto, applicando l'articolo 84 c.p. come evento che aggrava il delitto di cui all'articolo 572 c.p.. Secondo la ricorrente si tratterebbe di due condotte che tutelano beni giuridici distinti (maltrattamenti l'assistenza familiare, la tortura la liberta' morale), che hanno struttura diversa (maltrattamenti, reato abituale, l'altro eventualmente abituale) nei confronti delle quali vi e' come elemento discriminante la crudelta' e per le quali, pertanto, non opera ne' l'assorbimento ne' la specialita', richiamando precedenti di legittimita' indicati come in termini (Rv. 273846; Sez. 3, n. 32380 del 25 maggio 2021). Inoltre, il ragionamento svolto dalla Corte di assise di appello non terrebbe conto delle lesioni alle piante dei piedi del bambino che hanno cagionato, non solo acute sofferenze fisiche, ma anche un trauma psichico. Peraltro, le quarantotto lesioni riscontrate nelle ore immediatamente precedenti la morte del piccolo, sono espressione di condotta reiterata, foriera di sofferenze fisiche di particolare crudelta', eccedente la normalita' causale, atte a cagionare nella vittima sofferenze aggiuntive, richiamando precedente in termini (Rv. 277841). La condotta contestata, peraltro, secondo la ricorrente era soltanto quella di cui all'articolo 613-bis c.p., comma 4, relativa alle lesioni piu' gravi, concretizzata, quindi, in singoli episodi di lesioni non abituali e, in ogni caso, non si comprende perche' sia stato assorbito il delitto di tortura in quello di maltrattamenti e non viceversa, stando alla pena edittale che e' piu' grave, ex articolo 613-bis c.p.. 2.3.5. Con il quinto motivo si denuncia violazione dell'articolo 597, comma 1, articolo 574 c.p.p., comma 4, in ordine alla liquidazione del danno in favore della parte civile e mancanza di motivazione. La Corte territoriale, in mancanza di espressa impugnazione sul punto, revoca le statuizioni risarcitorie a favore della parte civile, sia come conseguenza della pronunciata assoluzione dal delitto di maltrattamenti sub C), sia per la qualita' di madre del minore, vittima del delitto sub A). L'imputato ha impugnato solo i capi della sentenza relativi alla responsabilita', quindi, in caso di accoglimento, senz'altro viene meno anche la pronuncia risarcitoria, anche se non oggetto di specifica richiesta. Pero' si osserva che le statuizioni non attinte da motivo di appello e che non sono collegate alla pronunciata assoluzione, come quella della riqualificazione della condotta sub A), comporta che non possa essere, da parte della Corte di assise di appello, attinta la decisione su tale punto. La Corte territoriale, in caso contrario, violerebbe il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e, comunque, si segnala che la revoca e' del tutto priva di motivazione. 2.3.6. Con il sesto motivo si denuncia erronea applicazione dell'articolo 541 c.p.p., comma 2, e illogicita' della motivazione. Si contesta l'operata compensazione parziale delle spese liquidate in favore della parte civile. Si tratta di compensazione effettuata senza richiesta da parte dell'imputato e senza che siano indicate le gravi ed eccezionali ragioni che la giustificano. La motivazione giustifica detta pronuncia sulla base della parziale soccombenza, ma la parte civile, nel caso di specie, non sarebbe soccombente nel giudizio di appello perche' non e' attore del procedimento, ma si e' limitata ad esercitare l'azione civile rispetto alle prospettazioni accusatorie del Pubblico ministero. 2.4. L'imputato denuncia due vizi. 2.4.1. Con il primo motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 521 c.p.p., articolo 3 Cost., articolo 27 Cost., comma 2, articolo 111 Cost. Una volta operata la riqualificazione del delitto di cui al capo A) in quello di maltrattamenti seguiti da morte della persona offesa e dopo aver operato l'assorbimento ex articolo 84 c.p., in relazione al capo B), come riqualificato, la Corte territoriale ha condannato l'imputato alla pena di anni 28 di reclusione. Ciononostante, si sottolinea la circostanza che, in sede di udienza preliminare, era stata avanzata istanza di rito abbreviato cd. secco o in subordine condizionato, sollevando, in caso di rigetto, questione di illegittimita' costituzionale dell'articolo 438 c.p.p., comma 1-bis. Analoga eccezione era stata riproposta alla prima udienza, dinanzi alla Corte di assise di Milano, da questa respinta con ordinanza del giudice di merito. Si sostiene che, pero', all'esito della riqualificazione operata dalla Corte territoriale, non sarebbe applicabile alla fattispecie in esame lo sbarramento di cui all'articolo 438 c.p.p., comma 1-bis, perche' si tratta di fattispecie di reato che, come riqualificate all'esito del giudizio di appello, non e' punibile con l'ergastolo. Di qui la richiesta dello sconto di pena che sarebbe stato riconosciuto all'imputato ove questi fosse stato giudicato, come tempestivamente richiesto, con il rito abbreviato. Si tratta, per il ricorrente, di richiesta ammissibile in quanto possibile soltanto in sede di legittimita' a seguito dell'operata riqualificazione cui e' pervenuto il giudice di secondo grado e che, ove negata, sarebbe non in linea con il principio di uguaglianza, per disparita' di trattamento, rispetto agli imputati che, per gli stessi reati ritenuti nella sentenza di secondo grado, hanno chiesto ed ottenuto di procedere nei propri confronti con il rito abbreviato. Inoltre, si rileva la violazione delle norme sul giusto processo e la violazione del combinato disposto di cui all' articolo 438, comma 1, e articolo 438 c.p., comma 1-bis. 2.3.2. Con il secondo motivo si denuncia errata interpretazione dell' articolo 69, articolo 62-bis e articolo 133 c.p.. Si sarebbero trascurate ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, anche prevalenti e della entita' del trattamento sanzionatorio, ex articolo 133 c.p. le dichiarazioni autoaccusatorie dell'imputato, quanto alle violenze poste in essere ai danni del figlioletto, l'esistenza di un quadro psicologico compromesso, documentato da cartelle cliniche rilasciate dall'istituto ove il detenuto e' ristretto, oltre che da una consulenza psichiatrica di parte. Si sottolineano, poi, elementi oggettivi e soggettivi (cfr. pag. 9) che la Corte di secondo grado avrebbe trascurato ai fini che interessano. 3.La difesa ha fatto pervenire tempestiva richiesta di trattazione in presenza, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, come prorogato, applicabile a impugnazioni proposte, entro il 30 giugno 2023, ai sensi del Decreto Legislativo n. 150 del 10 ottobre 2022, articolo 94, comma 2, come modificato dal Decreto Legge n. 162 del 31 ottobre 2022, articolo 5-duodecies quale risulta a seguito della conversione avvenuta con L. n. 199 del 30 dicembre 2022. All'odierna udienza le parti presenti hanno rassegnato le conclusioni nel senso precisato in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.II primo motivo di ricorso del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano, i motivi proposti, agli effetti civili, dal curatore speciale delle minori (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' i motivi secondo, quarto e quinto proposti dalla parte civile (OMISSIS), devono essere accolti, limitatamente all'operata riqualificazione giuridica dei fatti di cui ai capi A), B) e C), commessi in danno di (OMISSIS) e alle relative statuizioni civili, con declaratoria di inammissibilita', nel resto, dei ricorsi del Procuratore generale e della persona offesa (OMISSIS). In tale pronuncia restano, pertanto, assorbiti i motivi di ricorso dell'imputato. 2. Il primo motivo di ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano e' fondato per le ragioni di seguito indicate. 2.1. Rileva il Collegio, con riferimento al reato di maltrattamenti in famiglia, che, secondo l'indirizzo interpretativo cui il Collegio intende dare continuita', integra la circostanza aggravante derivante dalla morte della vittima, ritenuta nella fattispecie dalla Corte territoriale in relazione ai capi A) e C) della rubrica come riqualificati, la condotta di colui che pone in essere fatti di maltrattamento nel cui ambito si inscriva un'azione "finale", la quale provochi direttamente il decesso della persona offesa, quando i maltrattamenti, globalmente considerati, pure in considerazione dell'ultimo episodio di violenza, abbiano idoneita' concreta ad offendere il bene della vita, sicche' il decesso finisce per costituire il naturale sviluppo della unitaria abituale condotta di maltrattamenti (tra le altre, Sez. 6, n. 41744 del 11/05/2021, S., Rv. 282185 Sez. 6, n. 16548 del 23/02/2021, S., Rv. 280944; Sez. 6, n. 46848 del 20/11/2012, A., Rv. 254275). Con riferimento, poi, al dolo del reato di omicidio volontario escluso dalla Corte territoriale in relazione al capo A), anche nella forma di quello eventuale, si osserva che e' noto che questa Corte, nella sua massima espressione (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv, 261105) ha affermato che, per la configurabilita' del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione che l'agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si e' verificata nella fattispecie concreta, aderendo psicologicamente ad essa e che, a tal fine l'indagine giudiziaria, volta a ricostruire l'iter del processo decisionale, puo' fondarsi su una serie di indicatori. Questi sono, secondo le Sezioni Unite: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalita' e le pregresse esperienze dell'agente; c) la durata e la ripetizione dell'azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilita' con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilita' di verificazione dell'evento; g) le conseguenze negative anche per l'autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si e' svolta l'azione nonche' la possibilita' di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l'agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita, neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell'evento (cosiddetta prima formula di Frank). Dunque, quando l'agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilita' di verificazione dell'evento concreto e, cio' nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l'eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l'evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi detto evento, ricorre senz'altro il dolo eventuale. 2.1.1. Con riferimento al reato di tortura contestato al capo B), ritenuto ai sensi dell'articolo 84 c.p., circostanza aggravante del reato di maltrattamenti aggravato da morte, come riqualificata la condotta da parte della Corte territoriale, si osserva che, secondo la giurisprudenza di legittimita', cui il Collegio aderisce (cfr. Sez. 5, n. 50208 del 11/10/2019, Rv. 277841; Sez. 5, n. 47079 del 08/07/2019, R. Rv. 277544), il requisito della crudelta' della condotta di cui all'articolo 613-bis c.p., si concretizza in presenza di un comportamento eccedente rispetto alla normalita' causale che determina nella vittima sofferenze aggiuntive ed esprime un atteggiamento interiore, particolarmente riprovevole dell'autore del fatto. Si tratta di delitto configurato dal legislatore come reato eventualmente abituale, potendo essere integrato da piu' condotte violente, gravemente minatorie o crudeli, reiterate nel tempo, oppure da un atto lesivo dell'incolumita' o della liberta' individuale e morale della vittima, che pero' comporti un trattamento inumano e degradante per la dignita' della persona, essendo sufficienti condotte reiterate anche in un minimo lasso temporale. La tortura e', dunque, un reato a condotta reiterata, solo eventualmente abituale, che puo' essere integrato anche da una sola condotta che, pero', in tal caso deve integrare un trattamento inumano e degradante per la dignita' della persona. In questo senso va, infatti, intesa la proposizione normativa di cui all'articolo 613-bis c.p., comma 1, che, oltre a descrivere la condotta criminosa sulla base di note modali non necessariamente abituali (con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudelta') e a concentrare il disvalore sull'evento alternativo (cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico), prevede che il fatto possa essere commesso mediante piu' condotte ovvero anche con una condotta che determina un trattamento inumano e degradante per la dignita' della persona. Gli obblighi di incriminazione che sono derivati, per il legislatore nazionale, anche dalle carte internazionali, con particolare riferimento al divieto di tortura previsto dall'articolo 3 CEDU e dall'articolo 7 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, sono stati, dunque, ottemperati con la L. 14 luglio 2017 n. 110, che ha introdotto dagli articoli 613-bis e 613-ter c.p.p. In particolare, con l'articolo 613-bis c.p., e' stato tipizzato il reato di tortura strutturato come delitto a "geometria variabile" potendo l'ambito di operativita' della norma ricomprendere sia la tortura privata, cd. comune, orizzontale o impropria, di cui all'articolo 613-bis c.p., comma 1, sia la tortura pubblica cioe' cd. di Stato, verticale o propria, di cui all'articolo 613-bis, comma 2. Sono stati, quindi, configurati due titoli autonomi di reato e due diverse autonome fattispecie incriminatrici, a disvalore progressivo, secondo la qualifica del soggetto attivo del reato. La norma penale e' stata collocata tra i delitti contro la persona, tra i delitti contro la liberta' individuale, in particolare alla fine della sezione relativa ai delitti contro la liberta' morale. Tale collocazione induce la giurisprudenza di legittimita' a ritenere che l'oggettivita' giuridica generica debba individuarsi nella tutela della cd. liberta' morale o psichica della persona, intesa come diritto dell'individuo di autodeterminarsi liberamente, in assenza di coercizioni fisiche e psichiche che ne limitino la liberta' di movimento, liberta' pregiudicata da condotte costrittive che cagionano acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a persona affidata alla custodia, alla vigilanza e al controllo, cura o assistenza dell'agente, o che versi in una situazione di assoluta vulnerabilita'. Con la conseguenza che la forza di resistenza del soggetto passivo risulta, in quest'ultimo caso, ostacolata da particolari condizioni personali e ambientali che facilitano l'azione del colpevole e che rendono effettiva la signoria o il controllo dell'agente sulla vittima, agevolando il depotenziamento se non l'annullamento della capacita' di reazione di quest'ultima. E tutto cio' quando il fatto sia commesso con piu' condotte o, in mancanza di condotte plurime, comporti un trattamento umano e degradante per la dignita' della persona (Sez. 5, n. 50208 del 11/10/2019, S. Rv. cit.). Consistendo la tortura nell'inflizione di sofferenze corporali, questa determina un grave e prolungato patimento fisico e morale dell'essere umano che la patisce, cosicche' la sua particolarita' risiede nella conclamata e terribile attitudine che la stessa possiede, cioe' quella di assoggettare completamente la persona la quale, in balia dell'arbitrio altrui, e' trasformata da essere umano in una cosa ossia in una res oggetto di accanimento. Tale sofferenza corporale e' solo una componente della fattispecie incriminatrice il cui contenuto si arricchisce con la lesione della dignita' umana che costituisce la cifra comune della lesivita' specifica, tanto del reato di tortura privata quanto di quello di tortura pubblica e che consiste nell'asservimento della persona e, di conseguenza, dell'arbitraria negazione dei suoi diritti fondamentali inviolabili. Nel caso della tortura introdotto nell'articolo 613-bis c.p., quindi, si e' voluto ampliare il raggio di incriminazione rispetto alla soglia minima richiesta dal diritto internazionale. Si e' riconosciuta, infatti, la configurabilita' del reato anche nelle relazioni private, fermo restando il reato di tortura pubblica il quale non puo' assumere la forma circostanziale rispetto a quella privata ma costituisce istituto autonomo. Si tratta, dunque, di reato comune potendo essere realizzato da chiunque, a forma vincolata, essendo anche richiesto un requisito modale della condotta. La tortura e', poi, reato di evento, dovendo essere cagionate acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico, nonche' un reato eventualmente abituale improprio a dolo generico. Peraltro, anche in relazione alla dimensione eventualmente abituale del reato, va precisato che non e' richiesto un dolo unitario, rappresentazione, deliberazione iniziali anticipate del complesso di condotte da realizzare, calibrato su un'inesistente unita' ontologica del reato abituale, essendo, invece, sufficiente la coscienza e volonta' di volta in volta delle singole condotte (tra le altre, in tema di maltrattamenti, quale reato necessariamente abituale, Sez. 6, n. 25183 del 19/06/2012, R., RV. 253042). Va, infine, richiamato l'indirizzo di questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U, n. 38402 del 15/07/2021, Magistri, Rv. 281973) in tema di reato complesso, che ha sottolineato che e' necessario, per la configurabilita' dell'istituto, il presupposto sostanziale dell'unitarieta' del fatto - in aggiunta alle condizioni strutturali previste dall'articolo 84 c.p. - presupposto articolato non solo nella contestualita' dei singoli fatti criminosi sussunti della fattispecie assorbente, ma anche nella loro collocazione in una comune prospettiva finalistica, in quanto fondamento del reato complesso deve ravvisarsi nella convergenza dei fatti che lo compongono in direzione di un unico risultato finale. 2.1.2.Tali essendo i principi giurisprudenziali interpretativi cui il Collegio intende uniformarsi, si osserva che la sentenza di secondo grado, con riferimento al reato di omicidio volontario aggravato (ai sensi dell' articolo 576 n. 2, in relazione all'articolo 61 n. 1, 4 e 5, articolo 577, n. 1, articolo 61 n. 1, 4, articolo 11-quinquies, articolo 94 c.p.), commesso ai danni del minore, contestato al capo A) e quello di maltrattamenti di cui al capo C), ne ha ritenuto la diversa qualificazione, quale maltrattamenti aggravati da morte, in virtu' della riscontrata abitualita' delle condotte poste in essere ai danni del minore, considerando, quale dies a quo, il momento in cui il bambino, dopo essere stato affidato a terzi, era rientrato in famiglia, comportamenti ritenuti perpetrati, in modo omogeneo, per alcuni mesi, fino alla sua morte, avvenuta il 22 maggio 2019, senza soluzione di continuita' (cfr. pag. 54 e ss.). In data (OMISSIS) vi sono stati, secondo il giudice di appello, i primi episodi di maltrattamenti che avrebbero reso necessario l'intervento medico per le condizioni del piccolo. In quest'ultima data, peraltro, si colloca il brevissimo contatto con l'autorita' di polizia, circostanza documentata, nella quale la madre del piccolo aveva provato a chiamare il 112 (telefonata delle ore (OMISSIS), durata appena quattro secondi) perche', come la donna avrebbe, poi, spiegato nel corso della sua testimonianza, il bambino era stato picchiato tantissimo nella notte dal suo compagno. In quell'occasione, secondo la ricostruzione della donna riportata dalla sentenza di appello, il ricorrente aveva picchiato il bambino con una cintura e la sera, nell'imboccare con forza il figlio, lo aveva fatto vomitare. La sentenza espone che, a quel punto, la donna aveva chiamato il n. 112 ma che era intervenuto il compagno ad interrompere la telefonata e che l'oggetto, da quel giorno, non le era stato piu' restituito (circostanza, narrata dalla madre del piccolo, ma considerata non credibile da parte della Corte territoriale, cfr. pag. 55). In ogni caso, sulla scorta della deposizione della donna, ma anche delle intercettazioni successive, il giudice di appello giunge a collocare temporalmente le condotte maltrattanti, nei confronti della piccola vittima, a partire dal (OMISSIS) (cfr. pag. 54), prima occasione in cui il padre aveva picchiato l'infante e, nella reiterazione di dette condotte ai danni del bambino, si giunge, secondo la Corte territoriale, alla sera del (OMISSIS) quando, nella notte, la madre descrive il rinvenimento sul pavimento, da parte sua, del corpo del bambino ancora vivo, nonche' il calcio al petto, sferrato dal compagno, momento a partire dal quale il bambino non respirava piu' ("non respirava piu', non c'era piu'"). La Corte territoriale esclude la sussistenza dell'autonoma fattispecie di omicidio volontario pluriaggravato, ritenendo l'assenza di dolo (anche eventuale) del reato contestato al capo A), per essere stato lo stesso imputato a chiedere i soccorsi, per il suo pentimento dopo il fatto e non ravvisando alcuna cesura tra le descritte condotte maltrattanti e l'evento morte, verificatosi senza alcuna interruzione cronologica, richiamando come in termini la pronuncia di legittimita', Sez. 6, n. 46848 del 20/11/2012; sicche' ha riqualificato i fatti sub A) e C) quale reato di maltrattamenti aggravato perche' dal fatto e' derivata la morte della vittima. Tuttavia, sul punto, osserva il Collegio che proprio dalla motivazione della Corte territoriale - che, dunque, non segue un ragionamento lineare e immune da illogicita' manifesta ma che, anzi, fonda su argomenti, in parte, contraddittori e viziati da violazione di legge - si ricava l'esistenza di un momento temporale in cui le condotte maltrattanti hanno subito una considerevole esdation, integrando autonome e distinte condotte, alla stregua della stessa ricostruzione che si ricava dalla sentenza di appello, per le quali, dunque, e' necessario verificare, in sede di merito, la loro idoneita' a configurare l'autonoma fattispecie di cui all'articolo 613-bis c.p., come contestata al capo B). L'esame autoptico di cui rende conto la sentenza impugnata, infatti, ha dato modo di acclarare che moltissime lesioni - tra cui quella mortale - riscontrate sul corpo martoriato della giovane vittima erano risalenti a qualche ora prima del decesso, mentre diverse di queste risalivano a giorni precedenti (vedi pag. 59). Si fa riferimento alle lesioni che, secondo gli accertamenti medico legali, risalivano dai due ai quattro giorni prima della morte, quali le bruciature alle piante dei piedi, le varie ecchimosi e contusioni esogene, tutte descritte come non accidentali e cagionate da terzi, nonche' inferte con la precisa volonta' di ledere o ferire, in maniera importante, in tempi diversi di cui la stessa sentenza di appello rende conto per ricostruire gli esiti traumatici riscontrati sulla vittima. Anche parte delle lesioni descritte come attuate qualche ora prima del decesso, sono indicate come determinate da calci e pugni ripetuti, anche sulla testa, con lacerazione del frenulo labiale superiore, da morsicature, da bruciature, integranti un vero e proprio pestaggio attuato, quella notte, ai danni del bambino. A fronte di tale motivazione, dunque, deve rilevarsi la denunciata violazione di legge penale e il vizio di cui all'articolo 606 c.p.p., lettera e), denunciato, quanto alla pronunciata riqualificazione della condotta contestata ai capi A) e C), in quella di cui all'articolo 572 c.p., aggravato dalla morte della vittima e nel pronunciato assorbimento del reato di tortura sub B), quale circostanza aggravante della fattispecie come riqualificata, ai sensi dell'articolo 84 c.p.. In primo luogo, osserva il Collegio che emerge una cesura temporale e logica, secondo la stessa motivazione d'appello, tra le prime condotte abituali di maltrattamenti, attuate nei confronti della piccola vittima e l'evento morte, verificatosi in data 22 maggio 2019, perche' in tale condotta si innesta una seconda fase, caratterizzata da lesivita' ulteriore, descritta quale considerevole e2lation violenta che ha provocato nella giovane vittima acute sofferenze. Si evince, dunque, dalla motivazione di appello che la morte del bambino non si verifica direttamente, quale naturale sviluppo dei maltrattamenti globalmente considerati, ma in tale iter abituale, si innesta un inasprimento della condotta violenta ai danni della vittima, a partire dai due ai quattro giorni precedenti il decesso, nonche' attuata anche la sera stessa, provocando numerosissime lesioni, che aveva condotto alla morte del piccolo, con esecuzione di plurime condotte, brutali e violente, che la stessa sentenza di appello indica come esogene, non accidentali ma cagionate dall'imputato, con la precisa volonta' di ledere e ferire. Cosi' finendo per descrivere tre distinte porzioni di condotte, sia dal punto di vista ontologico che cronologico. Tanto, in ossequio all'indirizzo interpretativo che piu' si attaglia al caso di specie secondo il quale risponde della fattispecie di maltrattamenti aggravati dalla morte della persona offesa, solo chi pone in essere fatti di cui all'articolo 572 c.p., nel cui ambito si inscriva un'azione finale che provochi, direttamente, il decesso della persona offesa, quale naturale sviluppo dell'unitaria ed abituale condotta stessa (Sez. 6, n. 41744 del 11/05/2021, Rv. cit.; Sez. 6, n. 16548 del 23/02/2021, Rv. cit.). Si tratta di conclusione cui si deve giungere tenendo conto degli accadimenti di cui da' atto il giudice di appello, diversi rispetto a quelli presi in esame nella fattispecie evocata dalla Corte territoriale (Sez. 6, n. 46848 del 20/11/2012, cit.). Quest'ultima, infatti, e' pronuncia riferita ad un caso in cui il colpo mortale non era stato diverso da quelli inferti dall'agente, nel corso di altri episodi di violenza, commessi ai danni del minore, ma praticamente contestuale, visto che l'ultima percossa, per le sue intrinseche caratteristiche e la successiva morte del bambino, non costituivano rispettivamente un fatto e un evento imprevedibile rispetto all'unitaria e abituale condotta di maltrattamenti accertata, ma il loro naturale sviluppo. Nel caso in esame, invece, per quanto risulta dalla sentenza di appello, vi e' una cesura tra la condotta di maltrattamenti (a partire dalle due lesioni per bruciatura della pianta dei piedi e alle contusioni ed ecchimosi che si collocano nei giorni immediatamente precedenti al decesso) e l'evento morte verificatosi quella notte, provocato da lesioni e percosse brutali, messe a segno come un vero e proprio pestaggio, condotte autonome, rispetto alle quali va verificata l'intrinseca idoneita' ad integrare il delitto di tortura. Queste, invero, sono descritte come condotte che hanno provocato il decesso della vittima attraverso un comportamento dotato di un allarmante e violento quid pluris, che, quindi, non e' affatto indicato dalla stessa Corte territoriale come sviluppo naturale dell'unitaria ed abituale condotta di maltrattamenti, fino a quel momento attuata nei confronti del bambino. Inoltre, ai fini della configurabilita' del reato di omicidio volontario, il Collegio rileva che la Corte territoriale esclude che le lesioni inferte quella notte fossero sorrette da dolo diretto o, quanto meno, eventuale, rispetto alla morte dell'infante, gia' oggetto di altre condotte violente e lesive, prima di quella sera. Detta volonta' omicidiaria viene esclusa sulla base di un ragionamento manifestamente illogico che valorizza esclusivamente, la chiamata di soccorso che proviene dallo stesso imputato, attuata, pero', sempre secondo quanto descrivono i giudici di secondo grado, quando ormai il bambino non respirava piu', come affermato dalla madre e come comunicato dalla donna, al telefono, parlando con la sua genitrice. Quindi la motivazione appare viziata, quanto meno perche' contraddittoria e manifestamente illogica, in relazione all'esclusione del dolo, nella forma di quello eventuale, in relazione al reato di omicidio volontario, di cui all'articolo 575 c.p.. Sul punto si rimarca, poi, come valorizzato anche dalle ricorrenti parti civili, che secondo i giudici di appello, 1"imputato, dopo il fatto, si e' dato alla fuga, ha senz'altro violato gli obblighi impostigli nei confronti del figlio minore dall'articolo 147 c.c., ha agito con un vero e proprio sistematico pestaggio, nonostante le condizioni di fragilita' e minorata difesa del piccolo, di eta' poco superiore a due anni, ha attinto, in tale azione reiterata, zone del corpo sensibili e delicate (la testa e il torace), a maggior ragione perche' relative ad un infante, ha cagionato lesioni con morsi, calci, schiaffi, pugni che non potevano che condurre alla morte, stante l'estrema vulnerabilita' della vittima, in considerazione della sua eta', nonche' per il numero, la reiterazione, l'intensita' dei colpi (tanto che sono state riscontrate plurime fratture) e le zone del corpo attinte. Peraltro, i soccorsi non risultano, dai provvedimenti di merito, chiamati ad intervenire immediatamente dopo le percosse ma dopo qualche tempo, rispetto al momento in cui il bambino non respirava piu'. Infatti, secondo l'esame autoptico come riportato dai giudici di appello, diverse delle lesioni riscontrate sul corpo della vittima avevano preceduto il decesso di almeno qualche ora. In secondo luogo, il Collegio osserva che le condotte di tortura, contestate al capo B), per quello che concerne quelle poste in essere la notte del (OMISSIS) (attraverso, ad esempio, le riscontrate bruciature, morsicature, lacerazione del frenulo, colpi al capo e al torace) e quelle attuate nei giorni immediatamente precedenti la morte, come descritte dalla sentenza di appello, risultano comportamenti platealmente eccedenti rispetto alla normalita' causale, che hanno determinato nella vittima sofferenze corporali aggiuntive, con grave e prolungato patimento fisico e morale. Si ravvisano, secondo la sentenza di appello, infatti, piu' condotte violente, reiterate nel tempo e tali da sottoporre la vittima anche ad un trattamento degradante per la dignita' del bambino, pur se attuate in un minimo lasso temporale, ma, comunque, atte a cagionare acute sofferenze, fisiche e psichiche della vittima, peraltro affidata alla cura e alla potesta' dello stesso agente, suo genitore. Dunque, si ravvisa vizio di motivazione e violazione di legge anche quanto al pronunciato assorbimento del reato di tortura in quello di maltrattamenti seguito da morte della vittima, tenuto conto che e' carente, nella motivazione censurata, il presupposto sostanziale dell'unitarieta' del fatto - in aggiunta alla carenza delle condizioni strutturali previste dall'articolo 84 c.p. - presupposto che richiede non solo la contestualita' dei singoli fatti criminosi sussunti della fattispecie assorbente, ma anche la loro collocazione in una comune prospettiva finalistica, in quanto fondamento del reato complesso deve ravvisarsi nella convergenza dei fatti che lo compongono in direzione di un unico risultato finale, non ravvisabile nella specie, alla stregua dei dati di fatto di cui rende conto la stessa sentenza di appello. Dunque, viziata da violazione di legge penale e da manifesta illogicita' della motivazione e' l'operata riqualificazione dei reati di cui ai capi A) e C) in quello di maltrattamenti aggravato da morte e ai sensi dell'articolo 61 n. 4 e articolo 5 c.p., nonche' il pronunciato assorbimento, in tale fattispecie, del reato di tortura di cui al capo B). Deve rilevarsi, da ultimo, ove il giudice del rinvio, nel giudizio di merito diretto alla corretta qualificazione delle condotte ascritte all'imputato ai capi A), B) e C), secondo i principi fissati da questa Corte nella presente sede, ravvisi la sussistenza del reato di omicidio volontario aggravato, gli estremi dell'assorbimento, eventualmente, potranno reputarsi sussistenti tra il reato di tortura sub B) e quello di omicidio volontario di cui al capo A), come rimarcato dalla parte pubblica ricorrente, ove la morte sia ritenuta dal giudice del rinvio conseguenza voluta dall'agente, cosi' procedendo alla riqualificazione del fatto ai sensi dell'articolo 613-bis c.p., comma 5, seconda parte, fattispecie di reato punito con la pena dell'ergastolo. Si impone, pertanto, il pronunciato annullamento nei limiti indicati nel dispositivo, perche' il giudice del rinvio proceda alla corretta qualificazione delle condotte contestate ai capi A), B) e C) quest'ultimo commesso ai danni del minore, secondo i principi interpretativi sin qui esposti e precisi: - se vi e' configurabilita' dei maltrattamenti per la prima parte della condotta ai danni del minore (attuata a partire dal mese di marzo 2019); - se e' ravvisabile, per la condotta attuata da due a quattro giorni prima della morte e fino al (OMISSIS), il delitto di tortura; - se e' configurabile il delitto di omicidio volontario pluriaggravato come contestato e se vi e' eventuale assorbimento della condotta di cui al capo A), in quella di tortura seguita da morte (voluta), punita con la pena dell'ergastolo: - se sussiste, in relazione alla fattispecie sub A), il dolo (eventuale) tenendo presenti, in tale scrutinio, tutti i criteri indicatori di cui alla sentenza delle Sezioni Unite, ric. Espenhahn citata. 2.2.11 secondo motivo del ricorso della parte pubblica e' inammissibile. Invero, il motivo attinge il giudizio di attendibilita' e credibilita' della persona offesa reso dalla Corte territoriale, con riferimento alla condotta di maltrattamenti commessi ai danni della compagna, contestati al capo C). Si osserva, conformemente al pacifico e costante orientamento ermeneutico formatosi in seno a questa Corte regolatrice che, in tema di valutazione della prova dichiarativa, l'attendibilita' della persona offesa dal reato e' una questione di fatto che ha la sua chiave di lettura nell'insieme di una motivazione logica, rispetto alla quale e' inibita ogni rivalutazione in sede di legittimita', salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362). Tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., non rientrano, infatti, quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l'indagine sull'attendibilita' dei testimoni e parti lese, salvo il controllo estrinseco della congruita' e logicita' della motivazione. Peraltro, la censura sollecita poteri rivalutativi in ordine a fonti di prova dichiarativa e documentale, non attribuiti al giudice di legittimita', per il quale il controllo consentito concerne esclusivamente il rapporto tra motivazione e decisione, non quello tra prova e decisione; sicche' il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non gia' nei confronti della valutazione probatoria che, in quanto riservata al giudizio di merito, e' estranea al perimetro cognitivo del giudice di legittimita' (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. 6, n. 456 del 21/09/2012, dep. 2013, Cena, Rv. 254226; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, Rv. 235507). 3.11 ricorso della parte civile, avv. (OMISSIS), quale curatore speciale delle minori (OMISSIS), (OMISSIS), e' ammissibile. Va premesso, invero, che le parti civili assistite dal curatore speciale sono costituite in quanto parti lese del reato di cui al capo C) commesso ai loro danni, per il quale e' stata pronunciata l'assoluzione dell'imputato, ma anche quali minori danneggiate dai reati commessi nei confronti del fratello minore, iure proprio e iure successionis. Evidentemente a tale titolo e' gia' intervenuta condanna dell'imputato, da parte del primo giudice, alla somma di Euro centomila, quale risarcimento dei danni da loro patiti. Cio', nonostante la pronunciata assoluzione dal reato di cui al capo C) (ormai divenuta definitiva) commesso ai loro danni. Inoltre, deve rilevarsi che la corretta qualificazione delle condotte, ascritte all'imputato in relazione ai capi A), B) e C), incide sull'entita' del risarcimento in favore delle parti civili, posto che questo e' stato determinato dal primo giudice in un importo unitario, per tutte le condotte e, peraltro, di pari entita' per tutte le parti civili. 3.1. Cio' posto, si osserva che i motivi di ricorso primo, secondo e terzo sono fondati e si richiama, sul punto, quanto esposto al § 2. con riferimento all'impugnazione della parte pubblica. 3.2. Con particolare riferimento al secondo motivo di ricorso, si ribadisce che, in relazione alla dedotta erronea applicazione degli articoli 572 e 613-bis, 84 c.p. va condiviso il richiamato indirizzo di legittimita' secondo il quale nel caso in cui risultano acclarate, oltre alle sofferenze, anche altri comportamenti, minacce, percosse, tutti atti di offesa alla dignita' personale della vittima, come indicato, peraltro, dalla stessa Corte territoriale nel descrivere, nella motivazione, il corpo martoriato del bambino, coperto di lividi, lesioni lievi e gravi, il rapporto tra le due condotte non puo' giungere all'assorbimento del delitto di tortura in quello di maltrattamenti. In relazione ai rapporti tra il delitto di tortura e quello di maltrattamenti va rilevato che entrambi i reati rientrano nello schema dei reati di durata, eventualmente abituale, il reato di tortura, necessariamente abituale quello di maltrattamenti. Avuto riguardo ai principi che regolano il concorso di reati, va ricordato che, ai fini della individuazione della disposizione prevalente, il presupposto della convergenza di norme puo' ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le norme stesse, alla cui verifica deve procedersi mediante il confronto strutturale tra fattispecie astratte, con la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248864). Sicche' il confronto strutturale delle fattispecie depone, nel caso in esame, per la configurabilita' del concorso materiale tra reati posto che in linea astratta, per l'integrazione del reato di maltrattamenti possono assumere rilievo anche fatti non penalmente rilevanti o, comunque, non gravi, mentre ai fini della configurabilita' del reato di tortura, dovranno essere considerati necessariamente solo fatti (a seconda dei casi minaccia, percosse, lesioni, violenza privata) che si caratterizzano per la loro gravita' e per la loro idoneita' a produrre acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico, con la conseguenza che ciascuno dei singoli atti che concorrono ad integrare la fattispecie di tortura deve necessariamente superare la soglia minima di gravita', requisito non richiesto invece per i maltrattamenti. Si impone, pertanto, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata in relazione alle statuizioni civilistiche dipendenti dalla qualificazione dei reati di cui ai capi A), B), C) (quest'ultimo commesso ai danni del minore) che sara' operata dal giudice del rinvio, in ordine alle persone offese costituite parti civili, rappresentate dal curatore. 4. Il ricorso della parte civile (OMISSIS) e' fondato limitatamente al secondo, quarto e quinto motivo, per le ragioni che sono state sin qui esposte quanto alla necessita' che sia rivista, in sede di merito, la qualificazione giuridica dei reati sub A), B) e C), quest'ultimo limitatamente ai maltrattamenti eseguiti ai danni del bambino deceduto. 4.1. Il primo motivo e' inammissibile. Il motivo svolto sull'attendibilita' della persona offesa e' versato in fatto e sollecita una diversa ricostruzione delle fonti di prova, inibita al giudice di legittimita', proponendo un'alternativa lettura delle dichiarazioni, delle captazioni tra l'imputato e i suoi familiari, durante la detenzione del primo, nonche' delle telefonate registrate, non consentita in questa sede. Indubbio, risulta lo sforzo motivazionale della pronuncia impugnata e tale da integrare i caratteri della motivazione rafforzata, richiesta da consolidata giurisprudenza di questa Corte nel caso in cui la sentenza di appello riformi, in senso assolutorio, quella di primo grado e vi sia una netta disparita' di valutazioni e di conclusioni tra i giudici dei due gradi di merito, come avvenuto nella specie, con riferimento al capo C) contestato all'imputato come commesso ai danni della compagna. La Corte di appello delinea le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio con riferimento al delitto di cui al capo C), commesso ai danni della parte civile (cfr. pag. 79 e ss.) e si diffonde nel confutare specificamente i piu' rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato in senso assolutorio, limitatamente alla condotta di maltrattamenti ai danni della compagna (tra le altre, Sez. U, n. 33478 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. 2 n. 746 del 11/11/2005, dep. 2006, Vagge, Rv. 232986). 4.2. Il secondo, quarto e quinto motivo sono fondati. Sul punto si richiamano le osservazioni svolte con riferimento al ricorso della parte pubblica, al § 2. Va, qui, precisato che, come rimarcato dalla parte civile, avendo questa Corte pronunciato l'annullamento con rinvio anche quanto all'operata riqualificazione del fatto sub A), la contestazione con la quale il giudice del rinvio dovra' confrontarsi onde esaminarne l'eventuale sussistenza e' quella originariamente mossa all'imputato di omicidio volontario pluriaggravato, con riferimento anche alle circostanze aggravanti inerenti al delitto di cui all'articolo 575 c.p. (articolo 576 n. 2 e articolo 577 c.p., n. 1) originariamente contestate e non espressamente escluse dal giudice di appello. 4.3. Il terzo motivo e' inammissibile, posto che non risulta oggetto di impugnazione della parte pubblica, l'intervenuta esclusione delle circostanze aggravanti di cui all' articolo 61 n. 1 e articolo 61 n. 11-quinquies c.p., in ordine al reato sub A) come riqualificato, pronuncia rispetto alla quale, peraltro, la parte civile non illustra, compiutamente, l'interesse alla censura prospettata sotto il profilo dell'incidenza di dette specifiche circostanze rispetto all'entita' del risarcimento. In ogni caso, si osserva che gli argomenti proposti, in relazione alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 61 n. 1 c.p. sono genericamente prospettati e quelli relativi alla circostanza di cui all'articolo 61 c.p., n. 11-quinquies, sono articolati tenendo conto dell'intervenuta riqualificazione della condotta sub A) nel reato di maltrattamenti aggravato, statuizione oggetto di annullamento con rinvio pronunciato in questa sede. 4.4. Il quinto motivo e' fondato. La Corte territoriale ha revocato tutte le statuizioni risarcitorie a favore della parte civile. Cio', non soltanto in relazione alla pronunciata assoluzione dal delitto di maltrattamenti sub C) commesso ai suoi danni, ma anche nella qualita' di madre del minore, vittima dei reati sub A), B) e C), senza alcuna motivazione. Ne deriva che, in sede di merito, a fronte della riscontrata responsabilita' dell'imputato, all'esito della demandata esatta qualificazione delle condotte andra' rivista anche la disposta revoca tout court della pronuncia risarcitoria in favore della parte civile, compagna dell'imputato. 4.5. Il sesto motivo e' inammissibile. La censura attinge la compensazione delle spese processuali, liquidate in favore della parte civile, statuizione che non puo' essere rivisitata in sede di legittimita'. In tema di pagamento delle spese processuali in favore della parte civile costituita la decisione del giudice del merito di compensare le medesime, essendo l'espressione di un potere discrezionale attribuito dalla legge, e' incensurabile in cassazione, a meno che essa non sia basata su ragioni palesemente illogiche, tali da inficiare, stante la loro inconsistenza, lo stesso processo formativo della volonta' decisionale espressa sul punto (Sez. 3, n. 9344 del 15/07/1994, Bertino, Rv. 198802). 5.11 ricorso dell'imputato devolve censure il cui esame non puo' essere svolto se non all'esito del nuovo giudizio di merito, dunque, da considerare assorbite dal pronunciato annullamento con rinvio. 5.1.Si deve infatti rimettere, all'esito del giudizio di rinvio, la questione dell'operativita' o meno alla fattispecie in esame, dello sbarramento di cui all'articolo 438 c.p.p., comma 1-bis, nel testo introdotto dalla L. n. 33 del 2019, articolo 1, comma 1, lettera a), il quale prevede che non e' ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo. Secondo la pronuncia Corte Cost. n. 207 del 2022 tale disposizione e' intervenuta a sancire una preclusione all'accesso al giudizio abbreviato per questa categoria di delitti, dopo che tale facolta' era stata implicitamente riconosciuta dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice di procedura penale e all'ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennita' spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense), il cui articolo 30 aveva inserito nell'articolo 442 c.p.p. un secondo periodo al comma 2, secondo il quale alla pena dell'ergastolo e' sostituita quella della reclusione di anni trenta. Di li' a poco, dal Decreto Legge 23 novembre 2000, n. 341 articolo 7 (Interpretazione autentica dell'articolo 442 c.p.p., comma 2, e disposizioni in materia di giudizio abbreviato nei processi per reati puniti con l'ergastolo), convertito, con modificazioni, nella L. 10 gennaio 2001, n. 4, aveva inoltre stabilito che nell'articolo 442 c.p.p., comma 2, ultimo periodo, l'espressione "pena dell'ergastolo" deve intendersi riferita alli ergastolo senza isolamento diurno e aveva conseguentemente aggiunto allo stesso articolo 442 c.p.p., comma 2, un terzo periodo, secondo il quale "alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, e' sostituita quella dell'ergastolo". Nel quadro di tale intervento assumono rilievo ulteriori disposizioni contenute nella richiamata L. n. 33 del 2019. Deve essere segnalato, tra gli altri, dall'articolo 438 c.p.p., comma 6-ter, introdotto dall'articolo 1, comma 1, lettera c), della L. n. 33 del 2019, secondo cui "qualora la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell'udienza preliminare sia stata dichiarata inammissibile ai sensi del comma 1-bis, il giudice, se all'esito del dibattimento ritiene che per il fatto accertato sia ammissibile il giudizio abbreviato, applica la riduzione della pena ai sensi dell'articolo 442, comma 2". Specularmente, il nuovo articolo 441-bis c.p.p., comma 1-bis, introdotto dalla medesima L. n. 33 del 2019, articolo 2 stabilisce che "se, a seguito delle contestazioni, si procede per delitti puniti con la pena dell'ergastolo, il giudice revoca, anche d'ufficio, l'ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato e fissa l'udienza preliminare o la sua eventuale prosecuzione". Orbene, si osserva che il disposto annullamento con rinvio inibisce di valutare la fondatezza o meno della censura prospettata, avendo questo ad oggetto proprio la qualificazione della condotta anche quale titolo di reato punito con la pena dell'ergastolo. Tanto, peraltro senza considerare che, secondo la Corte territoriale, la preclusione fonderebbe sulla circostanza che la richiesta di rito abbreviato non e' stata rinnovata, formalmente, nei termini e nei modi di cui all'articolo 438 c.p.p., come interpretato dalla Corte Cost. con sentenza n. 169 del 19 maggio 2003, alla prima udienza dibattimentale, non anche perche' il reato per il quale si procede a carico dell'imputato e' punito con la pena dell'ergastolo. 5.2. Del pari risulta assorbito nel pronunciato annullamento con rinvio l'esame del secondo motivo di ricorso relativo al trattamento sanzionatorio. Da ultimo, e' appena il caso di osservare che, in quanto tardiva, non puo' essere esaminata la memoria difensiva, ai sensi dell'articolo 121 c.p.p., cui la difesa si e' riportata in sede di precisazione delle conclusioni. Invero, i termini per il deposito delle memorie difensive anche di replica, previsti dall'articolo 611, c.p.p. relativamente al procedimento in camera di consiglio, secondo la giurisprudenza, condivisa dal Collegio, di questa Corte di egittimita', sono applicabili anche ai procedimenti in udienza pubblica e la loro inosservanza esime la Corte di cassazione dall'obbligo di prendere in esame le stesse (Sez. 3, n. 48584 del 20/09/2016, Cacciatore, Rv. 268192; Sez. 1, n. 19925 del 04/04/2014, Cutri', Rv. 259618). Consegue a quanto sin qui esposto l'assorbimento, allo stato, dei due motivi di ricorso proposti da (OMISSIS), il cui esame implica la corretta qualificazione dei fatti di cui ai capi A), B) e C), commessi ai danni del figlio minore, che sara' adottata all'esito del giudizio di rinvio. 6. Alla pronuncia stante la mancanza, allo stato, di totale soccombenza agli effetti penali, non consegue la condanna dell'imputato alle spese processuali. Consegue, invece, la condanna dell'imputato, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa, sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara' liquidata dalla Corte di assise di appello di Milano, con separato decreto di pagamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82 e 83, disponendo il pagamento a favore dello Stato, ai sensi dell'articolo 110, comma 3, TU cit. e demandandone la liquidazione alla Corte di assise di appello (Sez. U, n. 5464 del 12/02/2020, ric. De Falco). Invero, deve ritenersi applicabile la pacifica giurisprudenza secondo la quale soltanto la parte interamente vittoriosa non puo' essere condannata, neanche in minima quota, al pagamento delle spese processuali sostenute dalle parti civili (Sez. civ. n. 4201 del 2002; Sez. civ. N. 406 del 2008; Sez. n. 31744 del 2003, Rv. 225928) mentre e' legittima la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile quando la responsabilita' sia stata confermata (tra le altre, pur in presenza di un accoglimento dell'impugnazione sotto altri profili, Sez. 5. n. 6419 del 19/11/2014, dep. 2015, Arrigone, Rv. 262685). In considerazione del titolo di reati per i quali si procede e considerata l'eta' delle vittime e persone offese dei delitti contestati, va disposto che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla qualificazione giuridica dei fatti di cui ai capi A), B) e C) commessi in danno di (OMISSIS) e alle relative statuizioni civili e rinvia per nuovo giudizio su tali punti ad altra sezione della Corte di assise di appello di Milano. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano e della parte civile (OMISSIS). Dichiara allo stato assorbito nel disposto annullamento il ricorso di (OMISSIS). Condanna l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara' liquidata dalla Corte di assise di appello di Milano con separato decreto di pagamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82 e 83 disponendo il pagamento in favore dello Stato. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. VERGA Giovanna - Consigliere Dott. MESSINI Piero - rel. Consigliere Dott. BORSELLINO Daniela - Consigliere Dott. CERSOSIMO Emanuele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); e dal PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI nel procedimento a carico di (OMISSIS); avverso la sentenza del 17/03/2022 della CORTE DI APPELLO DI NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Piero MESSINI D'AGOSTINI; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Lidia GIORGIO, che ha chiesto alla Corte di dichiarare inammissibile il ricorso dell'imputato e, in accoglimento del ricorso della Procura Generale, di annullare la sentenza impugnata con rinvio limitatamente alla statuizione della prescrizione del delitto di maltrattamenti. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa il 17 marzo 2022 la Corte di appello di Napoli confermava la decisione con la quale il primo giudice, ad esito del giudizio ordinario, aveva ritenuto (OMISSIS) colpevole del reato di estorsione pluriaggravata continuata in danno della propria zia e nel contempo dichiarava estinto per prescrizione il reato di maltrattamenti commesso in danno della stessa persona offesa, rideterminando la pena in due anni, tre mesi di reclusione e 800 Euro di multa. 2. Ha proposto ricorso l'imputato, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l'annullamento della sentenza per violazione della legge penale (combinato disposto degli articoli 133 e 62-bis c.p.) e manifesta illogicita' della motivazione quanto al diniego delle attenuanti generiche, giustificato solo con l'assenza di elementi positivi da valorizzare, quando invece il ricorrente e' un soggetto non inserito nella criminalita' organizzata, non utilizza l'attivita' delittuosa quale normale fonte di reddito e ha tenuto una leale condotta processuale, accettando di essere giudicato allo stato degli atti. Ha presentato ricorso anche il Procuratore generale presso la Corte di appello di Napoli, chiedendo l'annullamento della sentenza, quanto alla declaratoria di estinzione del reato ex articolo 572 c.p., commesso fino al 13 dicembre 2013, per il quale la L. 1 ottobre 2012, n. 172, modificando l'articolo 157 c.p., ha previsto il raddoppio degli ordinari termini di prescrizione, con una previsione obliterata nella sentenza. 3. Disposta la trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, convertito nella L. 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, articolo 94, comma 2, come modificato dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199, nella quale e' stato convertito il Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162), in mancanza di alcuna richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso dell'imputato e' inammissibile perche' proposto con una palese carenza di interesse. La difesa ha inspiegabilmente lamentato l'omessa concessione delle attenuanti generiche, quando invece la Corte di appello, come gia' il primo giudice, quantificata la pena base nel minimo edittale di cui all'articolo 629, comma 2, c.p. (in presenza della circostanza aggravante non "bilanciabile" di cui all'articolo 628, comma 3, n. 3-bis c.p.), ha riconosciuto dette attenuanti, ritenute prevalenti sulle altre aggravanti, diminuendo la pena nella massima estensione di un terzo, prima della ulteriore riduzione massima per la circostanza attenuante ex articolo 62, comma 1, n. 4, c.p. e dell'aumento per la continuazione interna. 2. E' fondato, invece, il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello. La sentenza impugnata ha calcolato la prescrizione obliterando la modifica operata dalla L. 1 ottobre 2012, n. 172, entrata in vigore il 23 ottobre 2012, che, nel comma 6 dell'articolo 157 c.p., ha aggiunto il seguente periodo: "I termini di cui ai commi che precedono sono altresi' raddoppiati per il reato di cui all'articolo 572 e per i reati di cui alla sezione I del capo III del titolo XII del libro II e di cui agli articoli 609-bis, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies, salvo che risulti la sussistenza delle circostanze attenuanti contemplate dal comma 3 dell'articolo 609-bis ovvero dal comma 4 dell'articolo 609 quater". La modifica deve trovare applicazione in quanto il reato di maltrattamenti in famiglia e' stato contestato "fino al (OMISSIS) (data di esecuzione della misura cautelare)" e i giudici di merito non hanno individuato un diverso e anticipato termine di cessazione della condotta. Il reato di maltrattamenti in famiglia, configurando un'ipotesi di reato abituale, si consuma nel momento e nel luogo in cui le condotte poste in essere divengono complessivamente riconoscibili e qualificabili come maltrattamenti, fermo restando che, attesa la struttura persistente e continuativa del reato, ogni successiva condotta di maltrattamento compiuta si riallaccia a quelle in precedenza realizzate, saldandosi con esse e dando vita ad un illecito strutturalmente unitario. Ne deriva che il termine di prescrizione decorre dal giorno dell'ultima condotta tenuta (Sez. 6, n. 52900 del 04/11/2016, P., Rv. 268559-01; da ultimo v. Sez. 1, n. 12970 del 03/02/2023, Garlant, non mass.) e che, nel caso di mutamento del regime sanzionatorio intervenuto dopo il perfezionamento del reato ma prima della cessazione dell'abitualita', si dovra' applicare il trattamento punitivo sopravvenuto, anche se di maggior rigore (Sez. 6, n. 24710 del 31/03/2021, Di Leo, Rv. 281528-01; Sez. 6, n. 2979 del 03/12/2020, dep. 2021, Perelli, Rv. 280590-01). Pertanto, ai fini della prescrizione, deve tenersi conto delle modifiche normative, anche in peius, nelle more intervenute (con riferimento al reato abituale ex articolo 452-quaterdecies c.p. cfr., di recente, Sez. 3, n. 42631 del 15/09/2021, Banti, Rv. 282632-01). Ne consegue che il termine ordinario di prescrizione e' di dodici anni e quello massimo e' di quindici anni, decorrente dal 13 dicembre 2013. 3. All'inammissibilita' della impugnazione proposta dall'imputato segue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento nonche', ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita', al pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro tremila, cosi' equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato ex articolo 572 c.p. con rinvio per nuovo giudizio sul capo ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli. Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere Dott. RENOLDI Carlo - rel. Consigliere Dott. MELE M.Elena - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: nel conflitto di competenza tra il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia, e il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna, nel procedimento nei confronti di (OMISSIS), nato in (OMISSIS); proposto con ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia in data 8/10/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi; letta la requisitoria scritta presentata ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, con cui il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Elisabetta Ceniccola, ha concluso chiedendo che si dichiari la competenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza in data 27/09/2022, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di (OMISSIS), gravemente indiziato dei reati di maltrattamenti in famiglia e di lesioni personali, commessi nei comuni di (OMISSIS) all'attualita' (quanto ai maltrattamenti) e il (OMISSIS) (quanto alle lesioni). Contestualmente all'applicazione della misura cautelare, il Giudice procedente si e' dichiarato incompetente in favore dell'Autorita' giudiziaria di Brescia, ritenendo che il fatto fosse stato consumato a (OMISSIS) e, dunque, nel territorio bresciano (prima dimora della famiglia dell'indagato e della persona offesa), dal momento che, cola', "le condotte violente hanno cominciato ad acquisire quella consistenza da integrare la natura abituale del reato in contestazione". Cio' alla luce dell'orientamento di legittimita' secondo cui la competenza per territorio del reato abituale di maltrattamenti in famiglia si radica dinnanzi al giudice del luogo in cui l'azione diviene complessivamente riconoscibile e qualificabile come maltrattamento e, quindi, nel luogo in cui la condotta venga consumata all'atto di presentazione della denuncia. 1.1. Il Pubblico Ministero, in data (OMISSIS), ha chiesto la rinnovazione della misura cautelare personale al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia, sollecitando, tuttavia, che la questione relativa alla competenza territoriale venisse rimessa alla Corte di cassazione. 1.2. Con ordinanza in data (OMISSIS), il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia ha, indi, proposto il conflitto negativo di competenza. Secondo il Giudice rimettente, invero, la competenza per territorio deve essere individuata con riguardo al luogo in cui il reato - di natura abituale - sia stato consumato, ovvero al luogo in cui gli ultimi atti tipici abbiano trovato la loro esplicazione, ossia in (OMISSIS). Nel frangente, lo stesso Giudice ha ritenuto di non rinnovare la misura cautelare, sul presupposto che, diversamente, egli avrebbe adottato un provvedimento rispetto al quale si stava dichiarando incompetente e che la proposizione del conflitto abbia determinato una prosecuzione della validita' e dell'efficacia dell'ordinanza genetica anche oltre i venti giorni previsti dall'articolo 27 c.p.p.. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Preliminarmente, va dichiarata l'ammissibilita', in rito, del conflitto di competenza proposto, in quanto l'indubbia esistenza di una situazione di stasi processuale, derivata dal rifiuto, formalmente manifestato, di due giudici a conoscere dello stesso procedimento, appare insuperabile senza l'intervento della Corte di cassazione. 2. Sempre in premessa, va evidenziato che con l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna e' stata applicata la misura cautelare nei confronti di (OMISSIS), nei cui confronti il provvedimento genetico ha dato esaustivamente conto dell'esistenza di gravi indizi di colpevolezza in relazione al delitto di cui all'articolo 572 c.p., comma 1, commesso tra il gennaio 2022 e l'estate dello stesso anno, con condotta perdurante al momento della contestazione, tra il comune di (OMISSIS) e quello di (OMISSIS) (contestato al capo A) e al delitto di cui agli articoli 582, 585, articolo 576, n. 5 e articolo 577 c.p., comma 1, n. 1, commesso il (OMISSIS) (contestato al capo B). Pacificamente, dunque, secondo quanto e' riportato nella contestazione a partire dalla denuncia della persona offesa, (OMISSIS), le prime condotte del delitto di maltrattamenti in famiglia (consistenti in calci, pugni, ingiurie e minacce anche di morte) sono state commesse a (OMISSIS) e, dunque, in un luogo rientrante nella competenza del Tribunale di Brescia; mentre le ultime condotte del delitto in parola (consistenti in percosse e ingiurie) sono state commesse in provincia di Bologna e, dunque, in un luogo rientrante nella competenza territoriale del Tribunale felsineo. 3. Tanto premesso, occorre evidenziare che il delitto contestato al capo A) costituisce violazione piu' grave rispetto al connesso delitto di lesioni contestato al capo B) e che, pertanto, esso rappresenta la fattispecie di riferimento ai fini della determinazione della competenza per territorio, secondo le regole stabilite dall'articolo 16, c.p.p. comma 1. Il delitto previsto dall'articolo 572 c.p. ha natura necessariamente abituale, nel senso che esso viene integrato da una pluralita' di condotte, commissive od omissive, ciascuna delle quale priva di autonoma rilevanza penale o sussumibile in altra fattispecie incriminatrice (Sez. 6, n. 4636 del 28/02/1995, Cassani, Rv. 201148 - 01), ma destinata ad essere configurata come segmento della condotta di maltrattamenti quando concorra a realizzare una persistente azione vessatoria idonea a ledere la personalita' della vittima (Sez. 6, n. 6126 del 9/10/2018, dep. 2019, C., Rv. 275033 - 01). Ne consegue che se, per un verso, e' corretto affermare che il delitto de quo puo' ritenersi integrato quando le singole condotte che lo compongono assumano un significato penalisticamente unitario ai sensi dell'articolo 572 c.p., mantenendo, prima di allora, una valenza neutra o qualificata ai sensi di altro reato (Sez. F, n. 36131 del 13/08/2019, G., Rv. 276785 - 01; Sez. 6, n. 43221 del 25/09/2013, B., Rv. 257461 - 01), nondimeno, quando le condotte proseguano anche dopo l'avvenuta integrazione della fattispecie in parola, la consumazione del delitto sara', del pari, dilatata sul piano spazio-temporale, a ricomprendere le ulteriori manifestazioni di rilevanza penale. Cio' che significa, concretamente, che sia il tempus, sia il locus commissi delicti andranno collocati nel tempo e nello spazio dell'ultima condotta idonea a integrare la fattispecie de qua (Sez. 6, n. 2979 del 3/12/2020, dep. 2021, C., Rv. 280590 - 01; cosi anche Sez. 6, n. 52900 del 4/11/2016, P., Rv. 268559 - 01, relativa alla materia del termine prescrizionale). Sulla base di tali premesse deve, pertanto, condividersi l'indirizzo della giurisprudenza di legittimita' secondo il quale in tema di maltrattamenti in famiglia, stante la natura di reato abituale, la competenza per territorio si radica dinnanzi al giudice del luogo di realizzazione dell'ultimo dei molteplici fatti caratterizzanti il reato (Sez. 6, n. 24206 del 26/03/2019, L., Rv. 276752 - 01). 4. Ne consegue che, nel caso in esame, essendosi le condotte di maltrattamenti protratte siano al momento della denuncia o, meglio, sino a quello dell'applicazione della misura cautelare (ovvero il 27/09/2022) e nel luogo in cui l'indagato e la persona offesa si erano ritrasferiti, ovvero (OMISSIS), la consumazione del delitto si considerera' realizzata in quello stesso momento e in quel medesimo luogo, ovvero appunto in (OMISSIS), rientrante nel territorio di competenza del Tribunale di Bologna. 5. Da quanto fin qui esposto discende, quindi, che il conflitto negativo di competenza deve essere risolto nel senso di affermare la competenza territoriale del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna, al quale vanno, dunque, trasmessi i relativi atti, con le comunicazioni di cui all'articolo 32 c.p.p., comma 2. 5.1. Ai sensi del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in caso di diffusione del presente provvedimento sara' necessario omettere le generalita' e gli altri dati identificativi delle parti, secondo quanto imposto dalla legge in relazione alla natura dei reati ascritti all'imputato. P.Q.M. Decidendo sul conflitto, dichiara la competenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna, cui dispone trasmettersi gli atti. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere Dott. DI GIOVINE Ombretta - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 14/10/2022 della Corte di appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Ombretta Di Giovine; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Perla Lori, ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile; udito l'avvocato (OMISSIS) che, in difesa della parte civile (OMISSIS), insiste per la conferma della sentenza di condanna, depositando conclusioni e nota spese; udito l'avvocato (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), il quale chiede l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza sopra indicata, la Corte di appello di Roma confermava la condanna di (OMISSIS) a due anni e due mesi di reclusione per maltrattamenti (articolo 572 c.p.) (capo a) e lesioni aggravate (articoli 582, 585, 576, n. 5 c.p.) (capo b) ai danni della convivente, nonche' per il delitto di violenza o minaccia per costringere a commettere un reato (articoli 611 e 339 c.p.) (capo c), per aver costretto la medesima a rendere mendaci dichiarazioni ai Carabinieri di Roma, agendo con minaccia e violenza, consistita nel minacciarla di morte e colpendola reiteratamente con schiaffi e calci. 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'imputato, per il tramite del suo difensore, avvocato (OMISSIS), deducendo i seguenti cinque motivi di ricorso. 2.1. Erronea applicazione della legge penale per mancata declaratoria di estinzione del reato di cui al capo c) (violenza o minaccia per costringere a commettere un reato), commesso il (OMISSIS), a seguito dell'intervenuta prescrizione del reato maturata prima dell'udienza di discussione in appello. 2.2. Erronea applicazione della legge penale per mancata declaratoria di estinzione del reato di cui al capo b) (lesioni aggravate), commesso il (OMISSIS)), a seguito dell'intervenuta prescrizione del reato maturata prima dell'udienza di discussione in appello. La declaratoria di prescrizione presuppone che, ai fini dell'applicazione dell'aggravante speciale ad effetto speciale, sia valutato l'articolo 99 c.p., comma 1, e non l'articolo 99 c.p., comma 4, pur contestato nel capo di imputazione. Ma che il giudice di primo grado si fosse riferito all'articolo 99 c.p., comma 1, e' desumibile da due elementi: avendo egli svolto un giudizio di bilanciamento che altrimenti sarebbe stato precluso dall'articolo 69 c.p.; avendo egli scritto "recidiva" senza qualificarla come "reiterata". 2.3. Omessa motivazione in ordine alla richiesta di escludere la recidiva in relazione al reato di cui al capo b) (lesioni aggravate). Il giudice dell'appello ha applicato la circostanza speciale ad effetto speciale della recidiva in violazione dei criteri di applicazione della stessa. Nella specie, ha argomentato genericamente dall'accresciuta pericolosita' dell'imputato successiva ai fatti contestati nell'imputazione, nonostante tale elemento non rilevi ai fini della recidiva. Ne' e' sufficiente una precedente condanna, soprattutto ove - come nel caso di specie - questa sia risalente nel tempo, occorrendo, piuttosto, una specifica motivazione con riferimento all'idoneita' della nuova condotta a rivelare la maggiore capacita' delinquere. 2.4. Illogicita' della motivazione in rapporto alla responsabilita' per il capo a) di imputazione (maltrattamenti in famiglia), quanto al periodo contestato "dal 2018 con consumazione in atto", con conseguente illogicita' della commisurazione della pena. Dalla sentenza di primo grado si evince che i fatti relativi al maltrattamento in famiglia sono terminati dopo l'episodio del settembre 2013. In particolare, nella sentenza si legge (a p. 7) che la persona offesa ha precisato che per i fatti occorsi tra il (OMISSIS) pendeva presso la Corte di appello di Roma un altro procedimento penale, nel quale era stata emessa a carico dell'imputato la misura del divieto di avvicinamento alla sua persona, e successivamente (p. 9), compie, a conferma, un riferimento alla "frequenza delle aggressioni verbali e fisiche, ripetutesi costantemente per gli anni (dal 2008 al 2013)". Di conseguenza, la condotta contestata non puo' andare oltre il (OMISSIS), considerato altresi' che dopo quella data l'imputato e' stato assoggettato alla misura del divieto di avvicinamento. L'erroneo computo di una condotta perdurante dal 2.008 al 2021 si e' ovviamente riflesso sulla commisurazione della pena, che avrebbe, pertanto, dovuto essere irrogata in misura piu' contenuta. 2.5. Vizio di motivazione quanto alla determinazione degli aumenti della pena a seguito di continuazione. Conformemente all'insegnamento di Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269, i giudici di merito avrebbero dovuto motivare l'aumento della pena per ognuno dei reati satellite cio' che, nel caso di specie, non e' accaduto. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. Invertendo l'ordine impresso alla trattazione dal ricorso, si muove dal terzo motivo, relativo alla mancata esclusione della recidiva per il delitto di lesioni. Il motivo e' inammissibile, avendo la sentenza impugnata, ad analoghe deduzioni in appello, replicato - con motivazione completa e non illogica (pertanto, non sindacabile da questa Corte) - che "la recidiva (relativa reati commessi, per la maggior parte con violenza e minaccia alla persona e con violenza alle cose) (...) non puo' essere esclusa perche' indicativa dell'accresciuta pericolosita' del prevenuto, tanto e' vero che, al tempo del dibattimento, la vittima dichiarava di vivere in ambiente protetto, per tutelare la propria incolumita', del quale non aveva rivelato l'indirizzo nemmeno sua madre". 3. Non valutabili, perche' non dedotti in appello, sono il quarto e il quinto motivo di ricorso, rispettivamente concernenti il momento di perfezionamento dei maltrattamenti e l'omessa motivazione sul punto degli aumenti di pena per lao' continuazione: eccezione, quest'ultima, oltretutto manifestamente infondata, dal momento che la sentenza di primo grado - richiamata da quella d'appello precisava che per i maltrattamenti e' stata irrogata una pena base di due anni, aumentata di un mese per ciascuno degli ulteriori reati contestati, sicche' risulta rispettato l'insegnamento di Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269, nella parte in cui, dopo aver chiarito le modalita' con cui deve essere effettuato il calcolo ai fini della continuazione, chiosa tuttavia che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena e' correlato all'entita' degli stessi. 4. Venendo, dunque, ai primi due motivi di ricorso, relativi all'estinzione dei reati di cui all'articolo 611 c.p., (violenza o minaccia a commettere un reato) e articoli 582, 585 c.p., articolo 576 c.p., n. 5, (lesioni), a causa del decorso dei termini di prescrizione, maturata gia' al momento della pronuncia della sentenza di appello, secondo l'insegnamento di questa Corte, l'inammissibilita' del ricorso per cassazione (nella specie, per assoluta genericita' delle doglianze) preclude ogni possibilita' sia di far valere sia di rilevare di ufficio, ai sensi dell'articolo 129 c.p.p., l'estinzione del reato per prescrizione, pur maturata in data anteriore alla pronunzia della sentenza di appello, ma non dedotta ne' rilevata da quel giudice (Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164). Nel caso di specie, il ricorso e', come si e' detto, inammissibile e la prescrizione dei reati non era stata dedotta nel precedente grado di giudizio, sicche' essa non puo' essere fatta valere nemmeno nella presente sede. 5. Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a quella di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 3.500,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere Dott. DI GIOVINE Ombret - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 06/02/2023 del Tribunale di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Ombretta di Giovine; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Perla Lori, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza sopra indicata, il Tribunale di Roma,, in veste di giudice del riesame, accoglieva l'appello proposto del Pubblico Ministero, applicando a (OMISSIS), in relazione al delitto di maltrattamenti in famiglia (articolo 572 c.p.) a lui ascritto, le misure cautelari dell'allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento alla persona offesa alle persone offese (OMISSIS) e (OMISSIS), con dispositivo elettronico di controllo ex articolo 275-bis cod. proc. pen., prescrivendogli di mantenere dai predetti una distanza non inferiore a 200 metri e di ripristinarla immediatamente in caso di incontro casuale, e vietando al medesimo di comunicare con qualsiasi mezzo, anche telefonico, con gli stessi. 2. Avverso l'ordinanza ha presentato ricorso l'imputato, per il tramite del suo difensore, avvocato (OMISSIS), deducendo i seguenti motivi di ricorso. 2.1. Vizio della motivazione. Il quadro indiziario e' erroneamente fondato su dichiarazioni de relato, essendosi esclusa la presenza di testimoni diretti di un episodio di maltrattamenti che la persona offesa assume essere occorso durante una festa di matrimonio e che ha dato luogo alla querela, nonostante nella medesima querela la persona offesa avesse riferito di aver ricevuto dal marito due calci quando gli si era avvicinata per sedare la discussione insorta con altro invitato, in presenza anche di altre persone. L'inattendibilita' della persona offesa si desume anche dal fatto che la stessa, all'atto della remissione della querela, ammetteva come, al momento dei fatti, si trovasse in stato di ebbrezza e che l'increscioso episodio era isolato, al punto che il Giudice per le indagini preliminari, investito in data (OMISSIS), della richiesta di applicazione della misura cautelare, la respingeva proprio sulla base di tali dichiarazioni, avendo la donna non soltanto negato pregressi episodi di violenza ma anche confermato il clima sereno dei rapporti familiari. In maniera illogica, dunque, la Corte d'appello ritiene che la remissione della querela era stata indotta dalle minacce ricevute dal compagno. D'altronde, tali minacce sarebbero state proferite, a detta della persona offesa, nella stessa identica - e, dunque, sospetta - formulazione testuale anche prima che fosse presentata la querela, senza tuttavia, in tal caso, sortire effetti. Si aggiunge che in data (OMISSIS) e (OMISSIS), erano acquisite ulteriori sommarie informazioni dalla parte offesa la quale, nello spiegare che aveva ritirato la querela per il timore di eventuali ripercussioni, specificava le modalita' con cui si sarebbero verificati i maltrattamenti sulla sua persona sempre, pero', con riferimento agli anni passati, senza nulla aggiungere in merito a fatti nuovi. Ne' soccorrono, in tal senso, le dichiarazioni rese - ancora de relato - il (OMISSIS) dall'ex compagno della parte offesa, il quale ha usato parole testualmente sovrapponibili a quelle della persona offesa (il che destituisce di genuinita' il suo racconto), o le dichiarazioni rese dall'amica della persona offesa, la quale, sempre de relato, riferiva di sporadiche violenze verbali e non fisiche, tanto che, anche sulla base di tali informazioni, il Giudice per le indagini preliminari, il (OMISSIS), rigettava la richiesta di applicazione della misura cautelare. Nemmeno valgono quale riscontro alla dichiarazione della parte offesa le fotocopie annerite delle fotografie prodotte in originale al Tribunale di Rieti, che non recano data certa. Il provvedimento ritiene poi la detenzione di coltelli presso la casa familiare sintomatica della instaurazione di un regime di terrore da parl:e dell'indagato, ma non considera che i coltelli sono stati ritrovati dalla persona offesa in o' modo affatto casuale e che erano collocati in luogo sicuro, difficilmente raggiungibile, nonche' riposti in un fodero, anche al fine di evitare il pericolo per i minori presenti nell'abitazione. Quanto poi alle vessazioni che la persona offesa ha riferito avesse subito il figlio (OMISSIS), il riscontro e' individuato dall'ordinanza in una telefonata peraltro trascritta senza le dovute formalita' dai Carabinieri - ira il bambino e suo padre, ex compagno della persona offesa (nel corso della quale il primo lamentava di aver ricevuto un calcio dal ricorrente), senza valutare che un unico episodio non puo' essere ritenuto significativo della pericolosita' dell'indagato. Ancora, il provvedimento impugnato fa riferimento alle minacce che avrebbe subito il padre e la madre della persona offesa dell'indagato. Si tratta, tuttavia, di elementi emersi successivamente, che comunque nulla aggiungono al pregresso quadro istruttorio e che, come notato nella seconda ordinanza di rigetto dal Giudice per le indagini preliminari, nulla avevano a che fare con l'ipotesi di delitto per cui si procede. 2.2. Vizio di motivazione in relazione alle esigenze cautelari. Il Collegio ha ritenuto sussistente il pericolo concreto di inquinamento probatorio nonostante l'indagato non avesse coartato la persona offesa a ritrattare le proprie dichiarazioni, come anche dimostrato dal fatto che la remissione e' stata presentata per il tramite di un legale; ha, per contro, considerato la remissione significativa della coartazione subita. Il ricorrente rileva, inoltre: per un verso, che dubbia e indefinita e' la collocazione dei fatti riferiti dalla (sola) persona offesa; per altro verso, che quest'ultima, nonostante sia stata sentita in sommarie informazioni nei mesi di ottobre e novembre, nulla riferiva dei presunti maltrattamenti successivi alla querela, il che nega l'attualita' del pericolo,, dal momento che il trascorrere del tempo dalla commissione del reato rappresenta un elemento che concorre a fondare la concretezza del pericolo. Ed aggiunge che il provvedimento non motiva sul punto. Infine, e premesso che il pericolo di reiterazione del reato puo' essere desunto anche dai precedenti penali dell'indagato, nel ricorso si esclude sia sufficiente a fondare le esigenze cautelari evidenziate l'unica pregressa condanna, nel 2008, per reati della medesima specie, alla luce di un quadro indiziario fondato sul solo elemento oggettivo del rinvenimento di coltelli nella comune abitazione. 3. Il ricorrente presenta altresi' conclusioni in cui, in replica alla requisitoria scritta del Procuratore Generale, insiste per l'accoglimento del ricorso, ribadendo lao'scarsa credibilita' della persona offesa, ritenuta inattendibile in piu' occasioni dal giudice per le indagini preliminari e il cui narrato non ha trovato conforto in testimonianze oculari, e' stato dalla stessa smentito al momento della rimessione della querela e che, nonostante la persona offesa sia stata successivamente sentita a sommarie informazioni, non si e' arricchito di elementi ulteriori. 4. Il procedimento e' stato trattato nell'odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalita' di cui al del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, commi 8 e 9, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati da numerose successive disposizioni, da ultimo dal Decreto Legislativo n. 10 ottobre 2022, n. 150, articolo 94, comma 2, come introdotto dall'articolo 5-duodecies del Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile, in quanto teso a sollecitare un apprezzamento del quadro indiziario e delle esigenze cautelari in senso diverso da quanto giudicato, con valutazione non sindacabile, dal Tribunale del riesame. Nel merito, appare anche manifestamente infondato. 2.1. Il ricorrente, infatti, enfatizza le ragioni per cui il Giudice per le indagini preliminari aveva respinto (da ultimo, il (OMISSIS)), la richiesta del pubblico ministero di applicare una misura cautelare, argomentando dalla ritenuta scarsa credibilita' della persona offesa, desunta, a sua volta, essenzialmente dal fatto che quest'ultima aveva sporto querela nei confronti del compagno il 28/08/2022, per poi rimetterla a distanza di soli tre giorni. Ed aggiunge che il Tribunale avrebbe basato il suo diverso giudizio soltanto su dichiarazioni "de relato", alcune all'evidenza previamente concordate, e su un unico dato oggettivo, rappresentato dalla detenzione di coltelli che, si assume, proprio per evitare usi impropri, venivano pero' conservati in apposito fodero e a tal fine nascosti. 2.1. Precisato che tale elemento sopravviene al compendio indiziario valutato dal Giudice per le indagini preliminari, essendo stato rappresentato dalla persona offesa il (OMISSIS), ed e' addotto, nell'economia dell'argomentazione, a supporto della sussistenza delle esigenze cautelari, invero, il Tribunale conformemente al consolidato insegnamento di legittimita' (Sez. U, n. 41461 del 19/7/2012, Bell'Arte, Rv. 253214) - fonda il suo convincimento sulla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, che reputa coerenti e concordanti, con motivazione completa, puntuale e coerente che, come tale, si sottrae al sindacato di questa Corte. Nella specie, i giudici ritengono coincidenti le dichiarazioni contenute nella querela e quelle rese dalla persona offesa in sommarie informazioni. Motivano in modo compiuto riguardo alla decisione della donna di rimettere la querela, chiarendo come la successiva ritrattazione, lungi dall'inficiarla, rafforzi la credibilita' della persona offesa, e ricostruisce, a tal fine, la scansione temporale delle dichiarazioni da questa rese. In particolare, i giudici rilevano che gia' nella querela - presentata agli agenti che erano intervenuti il giorno dei festeggiamenti per un matrimonio - la donna aveva precisato di essere stata vittima di episodi analoghi e che l'indagato maltrattava altresi' il figlio (anni 9), nato da una relazione precedente e che viveva con loro. Proseguono spiegando come sia vero che, tre giorni dopo, la persona offesa aveva presentato, tramite legale, remissione di querela, rappresentando nel contempo la presenza di sereni rapporti familiari. Ma aggiungono anche che, il (OMISSIS), sentita a sommarie informazioni testimoniali, la persona offesa ribadiva le iniziali dichiarazioni accusatorie, precisando che, qualche mese dopo l'inizio della convivenza, l'indagato aveva iniziato a picchiarla con schiaffi in volto e calci sul sedere alla presenza del figlio di nove anni e che tale situazione era peggiorata dopo la nascita della figlia; tornava in quella sede sulle offese rivolte usualmente dall'indagato nei confronti suoi e del figlio, spiegando che per questo il bambino era in cura dalla psicologa; aggiungeva di non aver mai denunciato il compagno per paura, sperando che le cose potessero cambiare. Nell'ordinanza si spiega inoltre che il (OMISSIS) la persona offesa veniva nuovamente sentita e che, in tale sede, "diversamente da quanto scritto dal gip": riferiva che, allorquando aveva presentato la querela, era presente anche l'indagato; affermava di aver ricevuto pressioni dal compagno perche' ritirasse la querela ripetendo i termini esatti della minaccia; ribadiva ancora una volta le accuse rivolte al compagno contestualizzando e specificando le condotte di maltrattamento subite nell'arco di tre anni (calci, schiaffi, insulti offensivi, danneggiamento della mobilia). Sempre in quell'occasione, la persona offesa aggiungeva che l'indagato, nel febbraio 2020, era sottoposto alla misura degli arresti domiciliari nella sua abitazione e in che in quel periodo era diventato ancor piu' violento. Descriveva, infine, in modo analitico le condotte violente, realizzate anche alla presenza del figlio, quando era al nono mese di gravidanza e quando la bambina aveva appena tre mesi 2.2. Il giudice del riesame non fonda peraltro la sua valutazione soltanto dalla credibilita' della persona offesa, come pure sarebbe stato sufficiente, ma richiama riscontri esterni alle dichiarazioni della stessa. Nella specie, precisa che dall'annotazione di polizia giudiziaria in data (OMISSIS) risulta che la persona offesa, ricevuta la convocazione della polizia giudiziaria, aveva dovuto concordare con i militari un orario ed inventare con l'indagato una scusa, aggiungendo che la donna aveva dovuto interrompere piu' volte l'audizione per tornare a casa per paura di una reazione da parte di lui; specifica come siano state acquisite foto a colori delle lesioni subite e foto che ritraevano la stanza dopo un litigio (con la mobilia danneggiata), e come sia irrilevante il fatto che tali foto non rechino data certa, dal momento che i maltrattamenti erano cominciati subito dopo l'inizio della relazione (2019) e si erano prolungati per tre anni; cita le dichiarazioni dell'amica della persona offesa e dell'ex compagno di lei, nonche' padre del bambino anch'egli maltrattato, il quale riferisce del calcio inferto al bambino dall'indagato. 2.3. Quanto poi all'episodio della festa di matrimonio, su cui molto insiste il ricorso, nel provvedimento impugnato si rappresenta che i militari del Nucleo radiomobile carabinieri di Roma, apprendevano, oltre che dalla persona offesa anche dagli astanti che la donna era stata aggredita dall'indagato. 2.4. Infine, l'ordinanza riferisce le dichiarazioni rese dal padre della persona offesa, riportate nel decreto del Tribunale civile di Rieti che - in data (OMISSIS) - ha adottato nei confronti del prevenuto ordini di protezione ai sensi degli articoli 342-bis e 342-ter c.c., avendo l'indagato minacciato lui e la moglie. In particolare, il padre della persona offesa ha anche detto che il bambino, anch'egli maltrattato, gli aveva parlato delle violenze subite dalla madre, per la cui l'incolumita' era preoccupato. 2.5. Il giudice del riesame prospettai, in definitiva, ampia e coerente giustificazione del superamento della diversa valutazione del Giudice per le indagini preliminari in ordine alla gravita' del quadro indiziario. 3. Considerazioni analoghe valgono quanto alle esigenze cautelari, il pericolo attuale e concreto di reiterazione del reato essendo stato dai giudici desunto dalla gravita' e dalle modalita' del fatto per cui si procede oltre che dalla personalita' dell'indagato, gia' condannato in via definitiva per maltrattamenti in famiglia e lesioni (per fatti dal 2005 al 2008) e che ha manifestato una personalita' incline alla violenza, come dimostrato, tra l'altro, dalla rissa in occasione dei festeggiamenti per il matrimonio e dal possesso dei coltelli. Al pericolo di reiterazione del reato e' accostato, peraltro, quello di inquinamento probatorio, per il rischio che, come gia' avvenuto in passato, l'indagato possa indurre la persona offesa a ritrattare o a ridimensionare le sue dichiarazioni. Sicche', anche sul punto delle esigenze cautelari, la motivazione risulta completa e tutt'altro che illogica. 4. All'inammissibilita' del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a quella di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 28 reg. esec. disp. att. c.p.p..

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. GALTERIO Donatella - rel. Consigliere Dott. CERRONI Claudio - Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. REYNAUD Gianni Filippo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza in data 24.1.2022 della Corte di Appello di Lecce; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Donatella Galterio; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Seccia Domenico, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio nei confronti dell' (OMISSIS) con riferimento al motivo di cui all'articolo 185 c.p. ed inammissibilita' nel resto; nei confronti dell' (OMISSIS) per l'annullamento con rinvio limitatamente all'applicabilita' delle circostanze attenuanti generiche, per l'annullamento senza rinvio limitatamente ai reati-satellite e per l'inammissibilita' nel resto; per tutti gli altri ricorrenti per l'annullamento senza rinvio per i reati-satellite che si sono estinti per prescrizione e per l'inammissibilita' del resto; udito l'Avv. Generale dello Stato (OMISSIS) per il Ministero della Salute, parte civile, che ha concluso per la conferma delle statuizioni civili, depositando conclusioni scritte e nota spese; uditi i difensori, avv. (OMISSIS), per (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), avv. (OMISSIS), per (OMISSIS), avv. (OMISSIS), per (OMISSIS), avv. (OMISSIS), per (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), avv. (OMISSIS), per (OMISSIS), che hanno concluso per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi, riportandosi l'avv. (OMISSIS) ai motivi di ricorso per (OMISSIS) e (OMISSIS) in sostituzione dei rispettivi difensori avv.ti (OMISSIS), e (OMISSIS). RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 24.1.2022 della Corte di Appello di Lecce, a parziale conferma della pronuncia resa all'esito del primo grado di giudizio della stessa citta', ha dichiarato la penale responsabilita' degli odierni ricorrenti, ad eccezione di (OMISSIS), per il reato di cui all'articolo 416 c.p. nella veste di partecipi di una compagine associativa, al cui vertice operava come dominus (OMISSIS), operante nei territori del Salento, dedita all'organizzazione di corse clandestine di cavalli realizzate mediante il maltrattamento degli animali, costretti a gareggiare su circuiti non autorizzati e previa somministrazione di farmaci volti a potenziarne le prestazioni, nonche' per taluni di essi dei reati fine di cui agli articoli 544-ter, 544 quater e 544 quinquies c.p.. 2. Avverso il suddetto provvedimento gli imputati hanno proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione il cui contenuto viene di seguito riprodotti nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2. (OMISSIS) ha articolato due motivi. 2.1. Con il primo motivo lamenta, invocando il vizio motivazionale, che nulla fosse emerso dall'istruttoria dibattimentale da cui desumere la partecipazione dell'imputato all'associazione a delinquere, non essendo proprietario di cavalli, non essendo stato destinatario di alcun sequestro, non avendo montato ne' fornito alcun animale per essersi limitato ad assistere alle gare come spettatore. Sostiene che l'affermazione della Corte di appello che lo indica come possessore di un cavallo destinato alle competizioni sia il frutto di un travisamento della prova riferito alla conversazione n. 1500 dell'1.4.2012 avendo in quel contesto il prevenuto manifestato, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici distrettuali, la sua estraneita' alle vicende in contestazione. 2.2. Con il secondo motivo eccepisce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli articoli 129, 157 e 161 c.p. e al vizio motivazionale, la prescrizione dei reati intervenuta in data antecedente alla sentenza impugnata. 3. (OMISSIS) ha articolato due motivi. 3.1. Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'articolo 416 c.p. e al vizio motivazionale, l'inconfigurabilita' del reato associativo in mancanza di un vincolo stabile o comunque destinato a durare oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati, di un programma criminoso caratterizzato dall'indeterminatezza cosi' da distinguersi dall'accordo che sorregge il concorso di persone nel reato ed infine della dotazione di mezzi concretamente predisposti alla commissione dei delitti. Contesta, inoltre, la condotta di partecipe dell'imputato alla consorteria criminosa, non evincibile dal fatto di aver fatto correre in pista i suoi cavalli o dall'aver egli stesso episodicamente preso parte alle gare o dall'aver intrattenuto rapporti con persone cui era legato da ragioni di parentela o amicizia se non di semplice conoscenza, al piu' sussumibile, in mancanza di un pactum sceleris cosi' come di un suo fattivo e stabile contributo volto al perseguimento degli obiettivi dell'associazione, nell'ambito del concorso esterno. 3.2. Con il secondo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'articolo 62 bis c.p. e al vizio motivazionale, che i suoi precedenti penali potessero giustificare il diniego delle attenuanti generiche trattandosi di condanne estremamente risalenti nel tempo, cosi' come confuta la mancanza di elementi di segno positivo a fronte di una condotta resipiscente e collaborativa, quale quella tenuta nel corso del processo 4. (OMISSIS) ha articolato due motivi di ricorso. 4.1. Con il primo motivo contesta, invocando il vizio motivazionale, la sussistenza del reato associativo vertendosi nella ben diversa fattispecie di condotte episodiche poste in essere da soggetti fra loro accomunati dalla passione per i cavalli, consistenti in occasioni di allenamento ludico che al piu' avrebbero potuto essere ricondotte al concorso di persone nel reato continuato per essersi l'accordo criminoso concretizzatosi di volta in volta con l'allestimento delle singole gare. Sostiene che, nel conformarsi supinamente alla decisione di primo grado, i giudici di appello abbiano del tutto tralasciato le specifiche doglianze articolate dalla difesa dirette a sovvertire la logicita' del costrutto accusatorio con particolare riferimento a due conversazioni, la n. 2816 del 12.3.2012 e la n. 132 del decreto 361/12 R.I., che mettevano ampiamente in luce la mancanza di unita' di intenti tra gli assunti partecipi del sodalizio e la finalita' ludica perseguita con l'organizzazione delle competizioni, avendo omesso di dare ad esse qualsivoglia risposta. 4.2. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge e al vizio motivazionale, la mancanza della prova della commissione di condotte di maltrattamenti integranti il reato di cui all'articolo 544 ter c.p. in ragione non soltanto delle conclusioni dei consulenti tecnici che avevano escluso sofferenze degli animali e ritenuto che la somministrazione dei farmaci non fosse preordinata al miglioramento delle loro prestazioni, ma ancor prima della inutilizzabilita' per i reati fine delle intercettazioni. Conseguentemente non risultando che l'imputato avesse partecipato ad alcuna gara se non nella veste di spettatore ne' avesse predisposto alcuna attivita' organizzativa delle scommesse, doveva escludersene la responsabilita' per i reati ascrittigli, comunque estinti per prescrizione antecedentemente alla pronuncia impugnata. 5. (OMISSIS) ha articolato sette motivi. 5.1. Con il primo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'articolo 416 c.p. e al vizio motivazionale, la sussistenza del vincolo associativo in ragione che il "considerevole lasso temporale" in cui si erano secondo la Corte di appello svolti i fatti si esaurisce in neppure cinque mesi, che l'obiettivo perseguito dal sodalizio era quello, secondo la stessa impugnata, non di commettere una serie indeterminata di reati, bensi' di organizzare gare di corsa con i cavalli al trotto, del tutto debordante dall'area penalmente rilevante, e che infine anche l'elemento della stabilita' del pactum sceleris, contraddistinto dall'indeterminatezza del programma criminoso, e dunque dall'eterogeneita' dei delitti che gli associati si prefiggono di realizzare, era contraddetto dall'omogeneita' dei reati eventualmente programmati stante l'assoluzione di tutti gli imputati dal reato di cui al capo c). 5.2. Con il secondo motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli articoli 416, 81 e 110 c.p., l'incompatibilita' tra la contestazione del delitto associativo e quella, contestualmente rivolta a taluni imputati aventi il ruolo di associati, di concorrenti nella commissione degli stessi reati scopo individuati al capo a), rilevando che il concorso di persone nel delitto di cui all'articolo 416 c.p. puo' riguardare solo soggetti estranei al sodalizio criminoso, i quali ben possono concorrere occasionalmente con gli intranei, mentre questi ultimi, tra i quali e' ricompreso l'odierno ricorrente, non possono mai concorrere ex articolo 110 c.p. nella realizzazione degli stessi reati fine che l'associazione di prefigge di realizzare. Ne consegue secondo la difesa che non sia configurabile alcuna continuazione tra il reato sub a) e quello sub b) essendo la Corte di appello incorsa nello stesso errore commesso dal Tribunale. 5.3. Con il terzo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge e al vizio motivazionale, il ruolo di promotore e quello di organizzatore congiuntamente attribuitigli che attesa la loro completa divergenza avrebbero richiesto entrambi una rigorosa dimostrazione. In relazione alla figura dell'organizzatore rileva come la circostanza che l'imputato avesse svolto funzioni di intermediario con altri sodali, che si fosse attivato per reperire l'occorrente per consentire ai cavalli di correre e che fosse stretto collaboratore del (OMISSIS) non siano elementi sufficienti ad integrare l'infungibilita' che caratterizza il ruolo in questione nel senso che senza il suo apporto direttivo la societas sceleris non sarebbe in grado di operare. In relazione al ruolo di promotore evidenzia la mancanza assoluta di prova, cosi' come di motivazione, in ordine al fatto che fosse stato l'imputato a costituire in un determinato momento storico l'associazione. 5.4. Con il quarto motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'articolo 544 ter c.p., comma 2 e al vizio motivazionale, che nessuna traccia di medicinale sia stata rinvenuta nei campioni di siero ed urina prelevati dal cavallo di proprieta' dell'imputato subito dopo una corsa e dunque che una qualche sostanza dopante fosse stata somministrata senza motivo all'animale, circostanza questa fermamente esclusa anche dal consulente del PM, come quella relativa alla sussistenza di alcun nocumento procurato alla salute fisica dei quadrupedi impiegati per le corse. Rileva altresi' la mancanza di elementi in forza dei quali era stato tratto il convincimento che il prevenuto fosse consapevole della somministrazione di medicinali ad opera degli altri partecipanti ai propri cavalli. 5.5. Con il quinto motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'articolo 544 quater c.p., comma 2 e al vizio motivazionale, che il buono stato di salute dei cavalli accertato dai consulenti a seguito del sequestro escludeva che gli stessi fossero stati sottoposti a strazio o a sevizie o che fossero stati costretti a subire comportamenti e fatiche insopportabili, tanto piu' che le loro caratteristiche etologiche non consentiva di prescindere dal fatto che si trattava di cavalli da trotto, attivita' per la quale erano stati all'evidenza impiegati. Lamenta conseguentemente che nessuna spiegazione fosse stata data sugli elementi costitutivi del reato contestato. 5.6. Con il sesto motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'articolo 544 quinquies c.p. e al vizio motivazionale, che la somministrazione di farmaci, peraltro contestatagli a diverso titolo ovverosia in relazione al reato ex articolo 544 ter c.p., la mancanza di omologazione delle piste e le modalita' delle corse svoltesi in maniera sfrenata con incitazioni e frastuono possano integrare il reato in esame al perfezionamento del quale devono concorrere due elementi, ovverosia quello formale della mancanza di autorizzazione alla competizione e quello sostanziale del pericolo per l'integrita' fisica dell'animale. Rileva come invece nel caso di specie sussistesse solo il primo elemento, mentre nessun accertamento era stato compiuto sulla base della normativa di settore, integralmente tralasciata dai giudici di merito, sulla condizione di pericolosita' cui sarebbero stati esposti i destrieri, di certo non integrata dal fatto che a volte corressero al galoppo e non al trotto. 5.7. Con il settimo motivo si duole della mancanza di motivazione in ordine al risarcimento del danno liquidato in favore delle parti civili quantunque fosse stato espressamente contestato con i motivi di appello. 6. (OMISSIS) ha articolato sei motivi. 6.1. Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'articolo 416 c.p. e al vizio motivazionale, che nessuna risposta era stata resa dalla sentenza impugnata, limitatasi a riproporre l'elenco delle fonti di prova indicate nella decisione di primo grado, per il resto richiamata per relationem, sulle specifiche e puntuali doglianze articolate con l'atto di appello. Rileva in ogni caso la mancanza dell'accordo criminoso volto alla programmazione di un numero indeterminato di reati, di una struttura organizzativa dotata di regole comuni con suddivisione dei ruoli e figure verticistiche, di una cassa comune e di dotazioni utilizzabili dai partecipi, essendo emerso al contrario dall'espletata istruttoria che si trattava di un gruppo di appassionati di cavalli che occasionalmente si incontravano per soddisfare la passione comune, con variazione ogni volta dei partecipanti cosi' come di colui che raccoglieva le quote per gareggiare, senza che neppure fosse stata raggiunta alcuna prova sulla contestuale organizzazione di scommesse. Contesta altresi' di aver avuto alcun ruolo al suo interno in veste di promotore ed organizzatore, in relazione alla quale la Corte di appello era incorsa in un evidente travisamento delle intercettazioni captate che dimostravano l'esatto contrario, ovverosia che il (OMISSIS) fosse solo un appassionato di cavalli che nulla sapeva in ordine ai luoghi e alle modalita' di svolgimento dei raduni, che non aveva mai provveduto al reclutamento dei partecipanti o alla raccolta del danaro necessario, ne' aveva mai organizzato scommesse essendosi soltanto limitato a dispensare consigli ai conoscenti che gliene facevano richiesta e che in una sola circostanza aveva su richiesta messo a disposizione la sua auto, sulla quale erano state montate le ali da starter, per aprire la pista. 6.2. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli articoli 544 quater e 544 quinquies c.p., che le condotte punite da entrambe le norme sono costituite dall'attivita' di organizzazione, direzione e promozione e non quella della mera partecipazione, come erroneamente ritenuto dal Tribunale e confermato dalla Corte di appello che, nel considerare quali soggetti attivi tutti coloro che abbiano a qualsiasi titolo fornito il proprio contributo alla realizzazione della competizione fra animali, vuoi per averli radunati, vuoi per averli preparati, vuoi per averli condotti, hanno compiuto un'interpretazione analogica in malam partem in spregio alla littera legis che non menziona affatto la partecipazione. 6.3. Con il terzo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'articolo 544 quater c.p., che nessuna sevizia o sottoposizione a strazio o a trattamento degradante era stata posta in essere dall'imputato nei confronti dei cavalli, non essendo emerso che gli stessi fossero stati fatti correre su strade asfaltate o su piste non regolari ne' che fossero stati dopati, con conseguente insussistenza degli elementi costitutivi del reato in contestazione. 6.4. Con il quarto motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'articolo 544 ter c.p. e al vizio motivazionale, che avendo i consulenti accertato il buono stato di salute dei cavalli e che la somministrazione di farmaci dopanti, rinvenuta dall'esame del crine, non potesse essere ricondotta alle competizioni nell'impossibilita' di verificare la data in cui era stata attuata e il conseguente condizionamento sulle prestazioni degli animali specifico del doping. Lamenta la mancanza di motivazione sulle ragioni per le quali i giudici di merito si erano discostati dalle conclusioni dei periti nominati. 6.5. Con il quinto motivo si duole del trattamento sanzionatorio rideterminato dalla Corte di appello che, a fronte della richiesta di contenere gli aumenti di pena fissati in misura sproporzionata dal Tribunale, si era limitata a fissare ex novo la pena, senza nulla argomentare in ordine all'aumento di nove mesi applicato. 6.6. Con il sesto motivo eccepisce in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'articolo 157 c.p. l'intervenuta prescrizione sia dei reati fine che del reato associativo in data antecedente alla sentenza impugnata rilevando, quanto al processo di primo grado, che all'udienza del 4.4.2018 non vi era stata alcuna istanza di rinvio da parte dei difensori degli imputati i quali avevano semplicemente aderito alla richiesta del Presidente giustificata dall'ora tarda e dalla fissazione di altri processi nelle ore successive e che le udienze successive erano state calendarizzate dallo stesso Collegio, di talche' l'unico periodo in cui era intervenuta la sospensione dei termini era quello dal 10.1.2018 al 7.3.2018. Sostiene la difesa che il rispetto del principio di legalita' comporta che in tanto possa essere sospesa la decorrenza della prescrizione in quanto la sospensione del procedimento sia imposta da una particolare disposizione di legge, il che si traduce sul versante applicativo che debba essere il giudice a valutare preventivamente la sussistenza di cause di sospensione del corso della prescrizione in conformita' alle previsioni di legge non potendosi fare ricorso all'interpretazione analogica, fermo restando che a tutto voler concedere i suddetti rinvii dovevano ritenersi destinati ad assecondare la funzione cognitiva del processo, trattandosi di un procedimento complesso, con numerosi imputati, la cui istruttoria si era chiusa solo all'udienza del 4.4.2018, con conseguente esclusione della loro addebitabilita' agli imputati. Conclude rilevando come i reati fine si fossero prescritti in data (OMISSIS), e il reato associativo, per il quale va calcolata la pena edittale massima di sette anni, al (OMISSIS) e quand'anche si volesse computare il rinvio dal 4.4.2018 al 9.9.2018, in data (OMISSIS), ovverosia ben prima della sentenza impugnata. 7. (OMISSIS) ha articolato cinque motivi. 7.1. Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli articoli 266 e 270 c.p.p. e articoli 544-ter, 544-quater e 544 quinquies c.p. e al vizio motivazionale, che la premessa metodologica da cui muove la Corte di appello affermando sulla falsariga della pronuncia a Sezioni Unite Cavallo l'inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche per il capo b), dovendo per esso farsi ricorso alla cd. prova di resistenza consistente nella sussistenza di differenti risultanze istruttorie, si sgretola difronte all'illogicita' del ragionamento seguito dagli stessi giudici che si focalizza sugli esiti positivi delle analisi eseguite sul cavallo in ordine all'assunzione di teofillina, caffeina e Fenilbultazone, nonche' sul rinvenimento all'interno della stalla dell'imputato di farmaci e strumenti per la loro somministrazione. Osserva al riguardo che non soltanto le suddette sostanze non costituiscano farmaci, non occorrendo prescrizione medica per il loro acquisto e assunzione, ma che in ogni caso non poteva affatto desumersi dalla loro detenzione che il prevenuto ne avesse fatto alcun uso, ben potendo ritenersi che, nell'impossibilita' di accertare l'epoca dell'eseguita somministrazione certificata dal perito di ufficio, fossero state somministrate chissa' quanto tempo addietro in forza di una prescrizione del veterinario, o su iniziativa del precedente proprietario, senza che neppure potesse essere verificato il quantitativo, come affermato anche dal perito. Contesta pertanto l'abduzione tra le premesse e le conclusioni del ragionamento, ritenendo che non possa desumersi dalle suddette risultanze che fosse stato l'imputato ad iniettare le sostanze al cavallo, ne' che cio' fosse avvenuto in prossimita' di una gara, con conseguente insussistenza in concreto del corredo probatorio posto a fondamento della responsabilita' per i reati-fine. Viene pertanto censurata l'inferenza logica dalla condizione di organizzatore delle gare, peraltro arbitrariamente desunta dalle risultanze captative, cui secondo la stessa Corte di appello non si sarebbe potuto fare riferimento, ad autore della condotta di maltrattamento di animali, mancando in tal caso proprio la prova di resistenza astrattamente enunciata nelle premesse della sentenza impugnata. Sostiene conclusivamente che il rilevato vuoto motivazionale comporti ex professo l'annullamento della pronuncia gravata. 7.2. Anche con il secondo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'articolo 416 c.p. e al vizio motivazionale, la manifesta illogicita' del ragionamento dei giudici distrettuali, fondato su un diverso ma altrettanto inaccettabile sillogismo, in ordine alla partecipazione dell'imputato alla consorteria criminosa, rilevando come a tale conclusione non potesse pervenirsi per il solo fatto che egli avesse assistito alle competizioni fra i cavalli, mancando la prova dell'elemento soggettivo. Deduce, inoltre, che essendosi trattato della partecipazione a sole quattro gare, mancavano le premesse in forza di una condotta che denotava al piu' la volonta' del prevenuto di gareggiare con il suo cavallo, di fornire alcun contributo causale all'attivita' del sodalizio per il quale si era adoperato esclusivamente in un'occasione per raccogliere le quote a carico dei singoli partecipanti alla competizione, quando tuttavia la gara era in procinto di iniziare ed era stata percio' gia' integralmente organizzata, mentre con riferimento alla contestata gestione della pista di (OMISSIS) nessun contributo all'organizzazione era ascrivibile al prevenuto, limitatosi solo a versare la sua quota per prendere parte alla corsa. 7.3. Con il terzo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'articolo 416 c.p., comma 1 al vizio motivazionale, il ruolo attribuitogli quale organizzatore delle gare clandestine, rilevando che l'aver preso parte a talune competizioni con il suo cavallo senza aver contribuito in alcun modo alla realizzazione dell'evento ne escludeva il suo coinvolgimento, con conseguente travisamento della prova in cui era gia' incorso il Tribunale che aveva desunto tale qualifica da ordinarie attivita' svolte nel ruolo di mero partecipante alla gara. 7.4. Con il quarto motivo censura, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'articolo 62 bis c.p. e al vizio motivazionale, il diniego delle attenuanti generiche senza che si fosse tenuto conto della condizione di incensuratezza dell'imputato e della modesta entita' del dolo, potendogli essere attribuita al piu' la condotta di partecipazione all'associazione criminosa, contestualmente contestando quale elemento ostativo la mancanza di collaborazione che, invece, quand'anche vi fosse stata sarebbe stata inutile stanti le copiose risultanze istruttorie che rappresentavano dettagliatamente tutti gli accadimenti fattuali. 7.5. Con il quinto motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'articolo 157 c.p. e al vizio motivazionale, l'intervenuta prescrizione dei reati di cui al capo b) antecedentemente alla pronuncia della sentenza impugnata, dovendosi computare a decorrere dalla data dell'1.4.2012, oltre al termine di sette anni e mezzo, le sospensioni intervenute nel giudizio di primo grado pari ad un anno, tre mesi e 24 giorni e quelle verificatesi nel giudizio di appello corrispondenti a 10 mesi e 21 giorni. 8. Anche il ricorso (OMISSIS) consta di cinque motivi. 8.1. Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge e al vizio motivazionale, che la sentenza di appello, pur avendo nell'incipit affermato, nella corretta applicazione dei principi tratti dalla pronuncia a Sezioni Unite n. 51/2020, l'inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche per i reati diversi da quello associativo, per i quali avrebbe dovuto trovare esclusiva applicazione la cd. prova di resistenza, era tuttavia successivamente incorsa in corto circuito motivazionale avendo ritenuto con riferimento all'imputato che in forza dell'accertato ruolo all'interno del sodalizio e degli esiti del sequestro cosi' come dei servizi di osservazione avesse concorso all'organizzazione delle competizioni clandestine in cui venivano inferte gravi sofferenze ai cavalli, con cio' discostandosi dalla sentenza di primo grado che aveva fondato l'affermazione di responsabilita' esclusivamente sul compendio captato. Contesta pertanto, con censure sostanzialmente sovrapponibili a quelle articolate con il primo motivo di ricorso da (OMISSIS), l'inferenza logica dalla condizione di organizzatore delle gare, peraltro arbitrariamente desunta dalle risultanze captative, cui secondo la stessa Corte di appello non si sarebbe potuto fare riferimento, ad autore della condotta di maltrattamento di animali. 8.2 Con il secondo motivo contesta la sua partecipazione all'associazione criminosa arbitrariamente desunta dall'aver egli preso parte con suo cavallo a quattro competizioni e dall'aver in un'unica occasione organizzato una batteria, incombente cui si era prestato al solo fine di dare una mano agli organizzatori, rilevando come tali condotte non implicassero alcuna consapevolezza dell'esistenza di un sodalizio criminoso. 8.3. Mentre anche il terzo e il quinto motivi relativi, al ruolo di promotore ed organizzatore delle gare e all'intervenuta prescrizione dei reati sub b) si sviluppano in termini sostanzialmente identici agli analoghi motivi articolati da (OMISSIS), con il quarto motivo si duole del diniego delle attenuanti generiche lamentando che la doglianza non sia stata proprio presa in esame dalla Corte territoriale. 9. (OMISSIS) ha articolato due motivi. 9.1. Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'articolo 416 c.p. e al vizio motivazionale, l'incongruenza tra l'assoluzione dell'imputato dai reati di cui al capo b) e la condanna del medesimo per il delitto associativo, rilevando come la disposta assoluzione al reato di maltrattamenti degli animali imponesse di restringere l'editto accusatorio, che descriveva la condotta penalmente rilevante nell'essere proprietario di cavalli e fantino durante le competizioni clandestine e nell'aver somministrato ai cavalli sostanze per la preparazione alle gare, al solo fatto di avere la proprieta' di cavalli e di averli montati come fantini durante le gare, peraltro avvalorata dalla circostanza che nessun sequestro di farmaci fosse stato effettuato nei suoi confronti e che nessuno dei cavalli di sua proprieta' fosse stato sottoposto ad analisi. Evidenzia come sulla base della condotta accertata l'imputato avrebbe potuto al piu' rispondere come concorrente alle gare ai sensi dell'articolo 110 c.p., ma non certo di associazione a delinquere in assenza di qualunque contributo casualmente apportato al sodalizio criminoso. 9.2. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge e al vizio di illogicita' motivazionale, che il termine di prescrizione per il reato di cui al capo a) era spirato secondo la disciplina antecedente alla L. n. 3 del 2019, nell'ottobre 2020 e dunque ben prima della pronuncia della sentenza impugnata che aveva invece, nell'escludere la prescrizione, fatto indebita applicazione della nuova normativa ritenendo definitivamente sospeso il decorso della prescrizione a seguito della sentenza di primo grado. Rileva conseguentemente la violazione del principio di irretroattivita' delle norme penali atteso che per quanto concerne l'istituto della prescrizione la L. n. 3 del 2019, come ribadito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 140/2021, puo' trovare applicazione solo per i reati commessi dopo l'entrata in vigore della medesima legge. 10. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno con ricorso congiunto articolato tre motivi. 2.1. Con il primo motivo contestano, in relazione al vizio di violazione di legge e al vizio motivazionale, la loro partecipazione alla consorteria criminosa fondata secondo la Corte di appello per il (OMISSIS) sulla sua partecipazione nella veste di fantino alle competizioni somministrando ai cavalli farmaci dannosi e per lo (OMISSIS) nell'aver preso parte attivamente alle gare essendo a conoscenza del trattamento riservato ai cavalli e scommettendo sulle corse. Lamentano che non si fosse tenuto conto del fatto che il primo aveva partecipato a due sole competizioni e il secondo ad una sola competizione come spettatore e ad un'altra come fantino, senza che risulti alcun contributo dei medesimi alla relativa attivita' organizzativa, ed avendo in ogni caso i giudici del gravame richiamato, in violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, una pluralita' di altre competizioni mai contestate. 10.2. Con il secondo motivo contestano, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'articolo 544 ter c.p. e al vizio motivazionale, l'affermazione di responsabilita' in ordine alla somministrazione di sostanze eccitanti con effetto dopante ai cavalli stante la consulenza del Dott. (OMISSIS) che, sentito anche come testimone, ha escluso che tra gli animali che erano stati riscontrati positivi ai farmaci vi fossero quelli degli odierni ricorrenti e senza che la sentenza impugnata abbia menzionato le fonti probatorie dalle quali ha tratto le proprie conclusioni. 10.3. Con il terzo motivo viene contestato il diniego della causa di non punibilita' di cui all'articolo 131 bis c.p. in favore di (OMISSIS) in ragione della sua sostanziale estraneita' alla vicenda ad eccezione della casuale presenza la mattina del blitz e delle assoluzioni gia' pronunciate nei suoi confronti in relazione tanto al reato associativo quanto agli altri due reati. 11. Con memoria trasmessa via Pec in data 24.4.2023 l' (OMISSIS) ha ulteriormente sviluppato i motivi di ricorso, concludendo per il suo accoglimento. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. In via preliminare occorre esaminare l'eccezione di prescrizione che, secondo quanto assunto da una pluralita' di ricorsi (sesto motivo del ricorso del (OMISSIS), quinto motivo del ricorso di (OMISSIS), quinto motivo del ricorso dell' (OMISSIS) e secondo motivo del ricorso di (OMISSIS)), investirebbe i reati in contestazione per essere il termine di cui agli articoli 157 c.p. e ss. spirato in data antecedente alla sentenza impugnata, pronunciata in data (OMISSIS). La censura e' manifestamente infondata. In relazione tanto ai reati-fine quanto al delitto associativo contestato in forma di partecipazione, per il quale e' prevista, a differenza della fattispecie piu' grave di cui all'articolo 416 c.p., comma 1 una pena edittale inferiore nel massimo ai sei anni di reclusione, occorre calcolare ai sensi dell'articolo 157 c.p. dalla data dell'1.4.2012, indicata quale termine finale dei delitti in contestazione, il termine di sei anni, nonche' quello di un anno e sei mesi corrispondente all'aumento di un quarto previsto dall'articolo 161 c.p. per effetto dell'interruzione: alla data dell'1.10.2019 devono tuttavia aggiungersi i periodi di sospensione che per il giudizio di primo grado sono pari ad un anno, sette mesi e tre giorni, come puntualizzato dalla stessa sentenza del giudice di prime cure (cfr. pag. 1 della sentenza 2632/2019) per effetto dei rinvii espressamente disposti con sospensione dei termini di prescrizione successivamente all'istruttoria dibattimentale, ovverosia dal 4.4.2018 al 19.9.2018 (168 giorni), dal 19.9.2018 al 20.2.20219 (154 giorni), dal 20.2.2019 al 19.6.2019 (119 giorni), dal 19.6.2019 al 16.10.2019 (119 giorni), dal 16.10.2019 al 6.11.2019 data della pronuncia della sentenza (21 giorni) e per il giudizio di secondo grado ammontano a 315 giorni, conseguenti al rinvio dal 22.2.2021 al 13.9.2021 (203 giorni) e al rinvio dal 14.10.2021 al 24.1.2022 data della pronuncia della sentenza (112 giorni), cosi' pervenendosi alla data del 15.3.2022 ampiamente successiva alla pronuncia della decisione impugnata. In ordine alle piu' specifiche doglianze articolate dalle difese va chiarito, quanto alle contestazioni rivolte alla natura dei rinvii disposti in primo grado, che, come risulta dai verbali del processo, all'udienza del 4.4.2018, in cui e' stata dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale, il differimento e' stato accordato su richiesta dei difensori che hanno, sia pur raccogliendo l'apertura manifestata dal Presidente del Collegio, risposto affermativamente alla domanda se intendessero chiedere un rinvio per la discussione. Ugualmente alle successive udienze susseguitesi fino alla pronuncia della sentenza il rinvio e' stato disposto su richiesta dell'avv. (OMISSIS) con l'accordo di tutte le parti, onde avere maggior agio per la predisposizione degli interventi conclusivi. Del tutto inconsistente si rivela l'assunto secondo il quale in tali casi la sospensione dei termini non puo' essere addebitata agli imputati. Ed invero, com'ebbero ad affermare le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza Cremonese (n. 1021 del 28.11.2001 - dep. 2002, Rv. 220509), anticipatrice delle modifiche apportate al testo del piu' volte citato articolo 159 con la L. n. 251 del 2005, il processo vigente "vive prevalentemente delle iniziative non solo istruttorie delle parti anche private, che hanno il potere di contribuire autonomamente a determinare tempi, modalita' e contenuti delle attivita' processuali", onde le parti medesime "non hanno piu' solo poteri limitativi dell'autorita' del giudice, ma condividono con il giudice la responsabilita' dell'andamento del processo, dovendo conseguentemente assumersi gli oneri connessi all'esercizio dei loro poteri": del tutto irragionevole sarebbe percio' il solo ipotizzare che una parte che abbia sollecitato il differimento del processo possa poi dolersi del rinvio da essa stessa richiesto, al fine di escluderne la rilevanza nel computo dei termini di prescrizione. Essendosi qui al cospetto di rinvii del processo su istanza congiunta di tutte le difese delle parti - ipotesi spesso ricorrente, indipendentemente dalle motivazioni, svariate, che ne sono alla base - e' stato ritenuto dall'interpretazione giurisprudenziale, di seguito consolidatasi, che anche nel caso in cui l'accoglimento della richiesta di rinvio proveniente dalle parti non sia imposto da una particolare disposizione di legge, opera la sospensione del termine di prescrizione, ai sensi dell'articolo 159 c.p.p., comma 1, n. 3), sul rilievo che il differimento in tali casi accordato non sia un atto ne' contra legem ne' praeter legem proprio perche' espressamente previsto dalla citata disposizione codicistica (ex multis (Sez. 4, Sentenza n. 20395 del 27/04/2021, Ingrollo, Rv. 281243; Sez. 6, Sentenza n. 51912 del 17/10/2017, Pizzolante Rv. 271561). Gli stessi rilievi valgono anche per i due rinvii disposti in secondo grado anch'essi su istanza dell'avv. (OMISSIS) a nome anche di tutti gli altri difensori. Ne consegue anche la manifesta infondatezza dell'ulteriore doglianza secondo cui i reati-fine si sarebbero gia' prescritti in data (OMISSIS) prima della pronuncia della sentenza di secondo grado, dovendosi puntualizzare che il giudizio innanzi alla Corte di appello risulta essere stato incardinato ben prima di tale data e che gia' alla prima udienza svoltasi il 22.2.2021 i termini di prescrizione sono stati sospesi per effetto del rinvio accordato su richiesta dei difensori. Se dunque i reati fine e il reato associativo in ordine alle condotte di partecipazione (articolo 416 c.p., comma 2) risultano essersi prescritti in data ampiamente successiva alla pronuncia impugnata, ma certamente decorsa al momento della presente pronuncia, diverso e' il calcolo per il reato ex articolo 416 c.p., comma 1 riferito alle piu' gravi condotte di promozione, costituzione ed organizzazione del sodalizio criminoso cui e' parificata la posizione del dominus della stessa associazione ai sensi del comma 3 che, prevedendo quale massimo edittale la pena di sette anni, non consente di ritenere la prescrizione ancora maturata, dovendosi aggiungere al termine dell'1.1.2021 (corrispondente al decorso di sette anni ex articolo 157 c.p. e di un anno e nove mesi ex articolo 161 c.p.) i periodi di sospensione gia' sopra indicati. Computo questo che riguarda tuttavia il solo imputato (OMISSIS) che nulla ha eccepito al riguardo. Discende dall'accertata data di maturazione della prescrizione dei reati fine e del reato associativo riferito alle condotte di partecipazione che ad essa possa darsi rilievo esclusivamente a seguito della formazione, per effetto delle singole impugnazioni, di un valido rapporto processuale. Diversamente da quanto ritenuto dal Procuratore Generale, l'inammissibilita' del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi ovvero per difetto dei requisiti previsti dall'articolo 591 c.p.p. non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilita' di dichiarare le cause di non punibilita' di cui all'articolo 129 c.p.p., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimita' (Sez. 2, Sentenza n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463). 2. Sempre muovendo dalle doglianze comuni ai vari ricorsi si impone un ulteriore preliminare chiarimento reso necessario dalla confusione artatamente fatta dalle difese in ordine al ruolo di promotore e di organizzatore menzionato nel capo a) dell'imputazione, che non e' affatto riferito alla compagine associativa, all'interno della quale il ruolo apicale era ricoperto dal solo (OMISSIS), bensi' alle competizioni clandestine in cui si articolava il programma criminoso perseguito dall'intero consesso, ovverosia dal (OMISSIS) nella veste di capo e dagli altri quali partecipi. Il ruolo di organizzatore e' stato riconosciuto a chi, tra i vari accoliti, fosse stato specificamente incaricato, ed avesse di fatto espletato, i compiti necessari alla preparazione e all'allestimento delle competizioni secondo le peculiari modalita' che caratterizzavano lo stesso programma criminoso, ovverosia utilizzando cavalli appositamente dopati al fine di potenziarne le prestazioni naturali e ricorrendo a piste occasionali o su strade asfaltate o su percorsi comunque improvvisati, e dunque in condizioni non compatibili con le caratteristiche fisiologiche degli animali cosi' da causare loro gravi sofferenze. Da tale necessaria premessa in punto di fatto deriva la manifesta infondatezza della questione di natura squisitamente processuale sollevata da alcuni ricorrenti in ordine all'eccepita inosservanza della demarcazione tra le fonti probatorie, asserita nell'incipit della stessa sentenza impugnata, per essere stato utilizzato, a detta delle difese, anche a dimostrazione dei reati-fine il compendio intercettato, in violazione dei limiti previsti ex lege. Effettivamente la Corte salentina ha ritenuto di effettuare in ordine alle fonti di prova, prendendo le distanze dalla pronuncia di primo grado, una distinzione tra quelle afferenti al reato associativo e quelle concernenti i reati-fine (capi b e c), reputando quanto a questi ultimi inutilizzabili le intercettazioni acquisite in ragione del fatto che si sarebbe trattato, riallacciandosi alla recente interpretazione chiarificatrice patrocinata da questa Corte nel suo supremo consesso, di reati diversi da quello associativo per il quale soltanto era stata autorizzata l'attivita' captativa (Sez. U, Sentenza n. 51 del 28/11/2019, Cavallo, Rv. 277395). In tale pronuncia, infatti, le Sezioni Unite, seppure chiamate ex professo a pronunciarsi sulla questione dell'utilizzabilita' delle intercettazioni disposte nell'ambito di un procedimento diverso, hanno altresi' puntualizzato che l'utilizzabilita' dei risultati di intercettazioni disposte nell'ambito di un medesimo procedimento presuppone che i reati diversi da quelli per i quali il mezzo di ricerca della prova e' stato autorizzato, legati al primo da una connessione sostanziale rilevante ai sensi dell'articolo 12 c.p.p., rientrino nei limiti di ammissibilita' previsti dall'articolo 266 c.p.p., limiti che in quanto espressione della riserva di legge posta a garanzia del diritto alle liberta' e segretezza delle comunicazioni di cui all'articolo 15 Cost., non sono travalicabili in ragione dei principi di "non dispersione della prova" (cosi' anche Sez. 5, Sentenza n. 1757 del 17/12/2020, Lombardo, Rv. 280326). A tale premessa metodologica, tuttavia, la Corte distrettuale e' rimasta, nella disamina delle posizioni dei singoli imputati in relazione all'ascrivibilita' ai medesimi dei reati-fine, sempre fedele, avendo ritenuto che il ruolo di organizzatore o di promotore delle competizioni equestri riconosciuto a taluni di essi (e segnatamente all' (OMISSIS), al (OMISSIS), all' (OMISSIS), all' (OMISSIS) e a (OMISSIS), oltre che al (OMISSIS) che era al vertice dell'intero consesso) facesse parte, come del resto risulta gia' dallo stesso editto accusatorio, del reato associativo in relazione al quale la funzione svolta all'interno del sodalizio costituiva il contenuto delle prestazioni rese dagli stessi imputati in veste di partecipi, facendo cio' nondimeno ricorso ai fini dell'affermazione di responsabilita' per le restanti fattispecie delittuose ad elementi di prova differenti dalle conversazioni intercettate. Che poi il ruolo di organizzatore o promotore di manifestazioni o di competizioni aventi ad oggetto interazioni fra animali con modalita' illecite coincida con la qualifica soggettiva richiesta per il perfezionamento dei reati fine, che nel caso del delitto ex articolo 544 quater c.p. richiede altresi' che agli animali sia stata causata una concreta sofferenza e che per integrare il delitto ex articolo 544 quinquies c.p. e' sufficiente, trattandosi in tal caso di reato di pericolo, che sia foriera di rischi per la loro incolumita' fisica, non ne esclude comunque la valenza rivestita all'interno del sodalizio criminoso che, proprio in virtu' delle specifiche mansioni espletate, funzionali al perseguimento dello stesso programma associativo, ha determinato l'affermazione di colpevolezza per il reato ex articolo 416 c.p.. Del resto, muovendo dal principio correttamente declinato in punto di rapporti tra il reato associativo ed i reati-satelliti, secondo il quale, al fine della dimostrazione della partecipazione del singolo imputato all'associazione, non e' necessaria la commissione da parte di costui dei singoli delitti, i giudici di appello hanno nettamente distinto le fattispecie delittuose in contestazione adottando per i reati diversi da quello associativo, proprio nell'impossibilita' di far ricorso al compendio intercettato, la cd. prova di resistenza, in mancanza della quale hanno coerentemente ritenuto di pronunciare l'assoluzione. Tanto chiarito, occorre procedere alla disamina delle singole impugnative secondo l'ordine crescente di colpevolezza delle singole posizioni. 3. Il ricorso di (OMISSIS), condannato per il solo reato associativo nella veste di partecipe, deve essere dichiarato inammissibile. 3.1. Tale conclusione, mentre discende automaticamente dalle sovra esposte argomentazioni per quanto concerne il secondo motivo, afferente alla prescrizione, si trae per il primo motivo dalle censure del tutto generiche che il ricorrente rivolge alla sentenza impugnata in ordine alla sussistenza del reato associativo, rispetto al quale si limita a riprodurre consolidati orientamenti giurisprudenziali senza individuare alcun nodo argomentativo nella puntuale ricostruzione effettuata, in conformita' a quella della sentenza di primo grado, dai giudici di appello. Quanto alla contestazione della sua partecipazione alla consorteria criminosa le dispiegate doglianze si incentrano sull'asserito travisamento della prova, concernente una telefonata, erroneamente interpretata, a detta della difesa, nel senso che possedeva un cavallo esperto nel trotto e dunque idoneo alle competizioni, laddove egli si era limitato a manifestare la sua estraneita' alle competizioni. Osta all'ingresso della dispiegata eccezione non solo la duplice valutazione conforme da parte di entrambi i giudici di merito della conversazione del 1 aprile 2012, ma ancor prima la circostanza che nessun travisamento sia stato eccepito con l'atto di appello dove il ricorrente si e' limitato a negare, con censura meramente contestativa, di essere proprietario di cavalli, a fronte della minuziosa analisi del suo contenuto da parte del giudice di primo grado che non solo ne ha riportato in sentenza il testo integrale, ma si e' anche soffermato sulle singole frasi pronunciate in quel contesto evidenziando come da esse emergesse esplicitamente il possesso del quadrupede "trottatore" ammesso dallo stesso (OMISSIS) (cfr. pag. 279 sentenza del tribunale di Lecce). Ad ulteriore fondamento dell'inammissibilita' della censura articolata con il presente ricorso milita l'insussistenza del carattere di decisivita' della conversazione asseritamente travisata, trattandosi di una soltanto delle plurime e concorrenti risultanze in forza delle quali viene ricostruita l'affectio societatis dell'imputato, venendo altresi' evidenziata la sua continuativa presenza alle gare equestri, la sia pur episodica partecipazione ad esse nel ruolo di fantino, ruolo che ne attesta, al pari delle informazioni che forniva ai vari interessati in ordine agli esiti delle gare gia' svoltesi e alle indicazioni di quelle programmate al contempo ammonendoli sulla segretezza delle notizie loro date, il coinvolgimento diretto nell'esecuzione del progetto criminoso volto all'organizzazione di corse clandestine su piste non autorizzate con il maltrattamento degli animali ad esse associato, il fatto che avesse la detenzione dei farmaci dopanti da somministrare ai quadrupedi, nonche' come emerge dalla pronuncia di primo grado che si fonde in un unicum argomentativo con quella impugnata, la capillare conoscenza dei soggetti che avrebbero disputato le prossime gare, dei luoghi in cui si sarebbero svolte e delle modalita' organizzative dei quali informava chi gliene facesse richiesta, tutti indici palesi della sua intraneita' al sodalizio criminoso. 4. Posizione identica e' quella di (OMISSIS), anch'egli condannato per il solo reato associativo, che contesta la sua partecipazione al sodalizio facendo leva sulla assoluzione pronunciata nei suoi confronti dalla Corte di appello dal reato di cui all'articolo 544 ter c.p.. Va in primo luogo chiarito che nessuna incongruenza e' dato ravvisare tra l'affermazione di responsabilita' e la pronuncia assolutoria posto che in materia di reati associativi la commissione dei "reati-fine" dell'associazione, di qualunque tipo essa sia, non e' necessaria ne' ai fini della configurabilita' della sussistenza della condotta di partecipazione, ne' ai fini della sua dimostrazione (cfr. ex multis Sez. 4, Sentenza n. 11470 del 09/03/2021, Scarcello, Rv. 280703; Sez. 3, n. 9459 del 06/11/2015 dep.2016, Venere, Rv. 266710; Sez. 3, n. 40749 del 5/3/2015, Sabella, Rv. 264826). Essendo invero la condotta di partecipazione a "forma libera", integrabile cioe' da un qualunque comportamento non tipizzato nel modo, purche' causale rispetto all'evento tipico, e che quindi apporti un contributo, ancorche' minimo, ma significativo in relazione alla vita della struttura ed in vista del perseguimento del suo scopo, ne consegue l'irrilevanza, a fini dimostrativi della partecipazione ad un sodalizio criminale, della mancanza di prova della consumazione del partecipe dei reati-fine, e, per converso, il carattere non transitivo della prova della consumazione di piu' reati-fine a scopi immediatamente dimostrativi dell'appartenenza alla consorteria. Cosi' come e' stata esclusa dal consolidato orientamento giurisprudenziale, ai fini della configurabilita' del reato associativo, la necessita' dell'effettiva commissione dei reati-scopo, essendo sufficiente l'esistenza della struttura organizzativa e l'adesione alla realizzazione dello scopo criminoso che richiede una comune predisposizione di mezzi ed implica la consapevolezza in ciascuno degli associati di concorrere a detta predisposizione (Sez. 2, Sentenza n. 19702 del 23/04/2010, Cipolla, Rv. 247105; Sez. 2, Sentenza n. 32901 del 09/05/2007, Batacchi, Rv. 237490), deve del pari ritenersi che la condotta di "partecipazione", in quanto configurante un reato a se' stante che prescinde dalla commissione degli illeciti oggetto del programma criminoso, sia strutturalmente impermeabile alla consumazione del "reato-fine", rispetto alla quale, seppur eventualmente connessa, e' ontologicamente autonoma. Cio' premesso, la doglianza articolata dal ricorrente, che non contesta il contenuto delle intercettazioni a lui riferite, si risolve esclusivamente nel dissenso sull'attitudine degli elementi di prova esaminati dai giudici distrettuali a dimostrare la sua appartenenza al sodalizio e dunque in un'inammissibile valutazione alternativa delle risultanze istruttorie. Sostenere, come fa la difesa, che il coinvolgimento del (OMISSIS) si sostanzi nella sola partecipazione a titolo di concorrente ex articolo 110 c.p. nelle competizioni non autorizzate equivale a una contestazione non solo generica in difetto delle ragioni di fatto o degli elementi di diritto che supportino la dispiegata doglianza, ma altresi' del tutto avulsa dal vizio motivazionale lamentato, non venendo individuato alcun vulnus logico argomentativo che vada ad incrinare il ragionamento probatorio su cui si fonda l'affermazione di colpevolezza. La circostanza che non sia stato effettuato nei confronti del prevenuto alcun sequestro di farmaci o di sostanze dopanti e che nessun cavallo di sua proprieta' sia risultato positivo alle analisi veterinarie non vale a scalfire la condotta che la Corte salentina tratteggia in termini di costante partecipazione alle gare clandestine, di continuativo interessamento al loro futuro svolgimento concordando con l' (OMISSIS) la qualita' e la quantita' dei medicinali da somministrare agli animali a seconda delle caratteristiche della pista cosi' da potenziarne al meglio le prestazioni, nonche' delle reiterate comunicazioni della sua partecipazione alle gare al (OMISSIS) che sapeva conseguentemente di poter contare sul suo apporto per la riuscita della competizione. Elementi questi che delineano, all'interno di una motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto - e che, pertanto, si sottrae ai denunciati vizi di legittimita' - l'intraneita' del prevenuto al sodalizio stante il suo fattivo contributo alla riuscita delle sfide equestri, la cui continuativa organizzazione costituiva l'oggetto stesso del programma criminoso, e al contempo la piena consapevolezza delle modalita' di svolgimento delle stesse competizioni e dei trattamenti farmacologici cui venivano sottoposti i cavalli individuati per le singole corse, del tutto significativa risultando l'espressione da lui utilizzata in una conversazione con il fratello cui rimproverava di somministrare agli animali dosi eccessive di "veleno" (cfr. conversazione del 5.2.2012). Di nessun pregio e' la circostanza che egli non fosse il diretto somministratore delle sostanze dopanti o che non fosse tra i promotori e gli organizzatori ufficialmente investiti per l'allestimento delle gare ove si consideri che cio' che caratterizza l'associazione criminosa e' la fusione delle singole volonta' e degli interessi personali dei suoi componenti che, perdendo la loro individualita', unifica le singole condotte proiettandole verso un obiettivo superiore, trasversale per tutti, di talche' ognuno risponde in ragione della stessa affectio societatis delle condotte comuni attraverso le quali si concretizza e si attua il programma delittuoso. Rinviandosi a quanto gia' esposto al punto 1) del presente provvedimento quanto al secondo motivo ed alla conseguente manifesta infondatezza dell'eccepita prescrizione in data antecedente alla sentenza impugnata, il ricorso in esame deve essere dichiarato inammissibile. 5. Proseguendo nella disamina dei ricorsi secondo le crescenti posizioni di colpevolezza anche quello di (OMISSIS), dichiarato colpevole, come (OMISSIS) e (OMISSIS), per il delitto associativo e per il solo reato tra quelli compresi nel capo b) ex articolo 544 ter c.p., deve essere dichiarato inammissibile. 5.1. Anche in questo caso la difesa rivolge alla sentenza impugnata con il primo motivo censure del tutto astratte, costituite dalla riproduzione di principi giurisprudenziali, sulla sussistenza del reato associativo, di cui contesta piu' specificamente la sussistenza del programma criminoso sostenendo, sia pure rimanendo nell'orbita dell'astrattezza, che la realizzazione dei singoli delitti avrebbe fatto seguito ad accordi presi di volta in volta in assenza di un predefinito pactum sceleris: rilievo questo che tuttavia confonde la fase esecutiva, che certamente postula specifiche intese per la scelta dei luoghi, per la convocazione dei partecipanti e per l'allestimento della singola gara, con il programma criminoso di fondo, volto all'organizzazione di competizioni clandestine con cavalli costretti a gareggiare in condizioni che ne compromettevano l'integrita' fisica e sottoposti a trattamenti farmacologici eccitanti cosi' da danneggiarne lo stato di salute, a sostegno del quale milita in primis l'adozione dello stesso collaudato schema organizzativo in cui preliminarmente i partecipanti procedevano alla preparazione dei cavalli mediante la bardatura e l'iniettamento delle sostanze dopanti, cui faceva seguito la designazione delle batterie e l'effettuazione delle scommesse e infine lo svolgimento della corsa dove i cavalli venivano frustati energicamente dai fantini, accompagnati a latere da auto che suonavano incessantemente il clacson e da cui provenivano le urla a squarciagola dei passeggeri. All'interno di tale modulo organizzativo operavano i vari sodali che, pur non essendo assegnatari di mansioni predeterminate per ognuno di essi, si avvicendavano tra loro con sistematicita' e sinergia di intenti nell'esecuzione dei compiti di volta in volta necessari alla riuscita della competizione in corso, occupandosi chi di ferrare i cavalli, chi di raccogliere le quote, chi di bloccare la strada cosi' da impedire l'accesso di estranei, chi di pagare le scommesse, chi di sistemare la pista, e via dicendo. Sul punto e' particolarmente incisivo il rilievo speso nella sentenza di primo grado, che si fonde con quella impugnata in un unico corpo argomentativo, dove si osserva che un cosi' cospicuo impiego di uomini e mezzi non avrebbe potuto nascere da un semplice patto occasionale, poiche' il corrispondente impegno non sarebbe stato ragionevolmente ripagato da un'eventuale singola competizione e neanche da una serie limitata di gare. Accanto a tale elemento di inequivoca valenza probatoria, avvalorato dalla rapidissima successione cronologica delle gare, organizzate con regolare cadenza settimanale, si accompagna altresi' una nutrita serie di ulteriori risultanze dalle quali e' stata tratta con ineccepibile logica deduttiva l'esistenza di una organizzazione stabile, avuto riguardo alla disponibilita' di locali in cui venivano detenuti i farmaci e le sostanze dopanti unitamente agli strumenti necessari alla loro somministrazione, alla dotazione delle apparecchiature utilizzate per trasformare le automobili comuni in "apripista" al fine di preparare il percorso su cui si sarebbe svolta la gara, alla condivisione di gerarchie e ruoli ancorche', quanto a quelli esecutivi, fra loro fungibili, alla predeterminazione delle quote di partecipazione e dei criteri di assegnazione dei premi, all'esistenza di una cassa comune, sia pur limitata allo svolgimento della singola gara, venendo ogni volta introitate le quote di partecipazione ed i proventi delle scommesse, tutti elementi con i quali la difesa neppure si confronta. Quanto alle contestazioni afferenti alla partecipazione dell'imputato all'associazione, le doglianze, ove non squisitamente teoriche in forza della riproduzione di tralatizi principi giurisprudenziali, scivolano sul piano della valutazione delle risultanze istruttorie come accade in relazione alla conversazione dell'1.4.2012 rispetto alla quale, al di la' della non chiarita decisivita' del suo contenuto, neppure vengono individuate carenze o fratture argomentative nelle quali possa compendiarsi il devoluto vizio motivazionale, limitandosi la difesa a fornire mere spiegazioni alternative alla coerente ricostruzione delle condotte effettuata dai giudici di merito. Al contrario, la Corte distrettuale delinea con copiosita' di argomentazioni, riscontrate dalle fonti probatorie di volta in volta indicate, anche per l' (OMISSIS) la sua costante partecipazione alle competizione non solo in veste di spettatore ma anche di fantino, la fornitura di cavalli messi a disposizione di altri partecipanti, i continuativi contatti con il (OMISSIS) che ricorreva alla sua competenza in materia per l'organizzazione delle corse e la formazione delle batterie, la detenzione nella propria stalla dei farmaci dopanti che si era apprestato immediatamente a rimuovere non appena preavvertito da uno dei sodali dell'ispezione che le Forze dell'Ordine si apprestavano a fare, segno quest'ultimo del suo pieno coinvolgimento nel contesto associativo. 5.2. Per cio' che riguarda la censura relativa al diniego delle attenuanti generiche oggetto del secondo motivo, la Corte di appello ha puntualmente motivato la propria decisione, valorizzando la peculiare inclinazione a delinquere dell'imputato desunta dalla sua corposa e variegata bibliografia penale: non soltanto si tratta di una motivazione ampiamente idonea alla luce del consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte secondo il quale al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice puo' limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche' anche un solo elemento attinente alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato ed alle modalita' di esecuzione di esso puo' risultare all'uopo sufficiente (Sez. 2, Sentenza n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549), ma che comunque neppure viene adeguatamente contestata non essendo addotto alcun elemento di segno positivo che possa essere stato tralasciato o indebitamente disatteso dai giudici distrettuali, a fondamento della richiesta del beneficio. 6. Alla stessa sorte non si sottraggono le impugnative congiuntamente articolate da (OMISSIS) e (OMISSIS), anch'essi condannati per gli stessi reati ascritti all' (OMISSIS). 6.1. Quanto al primo motivo, deve rilevarsi che non e' sulla menzione delle date delle singole gare a cui gli imputati avrebbero preso parte secondo l'editto accusatorio rispetto a quelle accertate gia' dalla pronuncia del giudice di prime cure che puo' essere misurata la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, bensi' su una modificazione dell'imputazione che pregiudichi le possibilita' di difesa dell'imputato, dovendo la nozione strutturale di "fatto", contenuta negli articoli 521 e 522 c.p.p. essere coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa. Al riguardo, occorre richiamare l'orientamento espresso dal supremo Consesso di questa Corte, in forza del quale per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perche', vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione e' del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (tra le molte, Sez. U., n. 36551 del 15/7/2010, Carelli, Rv. 248051). In altri termini, sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di incompatibilita' ed eterogeneita', verificandosi un vero e proprio stravolgimento dei termini dell'accusa, a fronte dei quali l'imputato e' impossibilitato a difendersi (Sez. 1, n. 28877 del 4/6/2013, Colletti, Rv. 256785): rapporto che dovra' esser verificato alla luce non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione e, quindi, di decisione, cosi' come e' avvenuto nel caso di specie dove le singole gare cui secondo entrambe le sentenze di merito avevano preso parte l'due ricorrenti erano state oggetto o dei servizi di osservazione da parte della PG o dei dialoghi intercettati, senza che nulla venga contestato in ordine al concreto impedimento del diritto di difesa (Sez. 3, n. 15655 del 27/2/2008, Fontanesi, Rv. 239866). Cio' chiarito, del tutto inconsistente deve ritenersi l'eccepita insussistenza di alcun ruolo come organizzatori delle competizioni, condotta questa mai contestata ai prevenuti, risolvendosi invece il loro contributo alle gare nella partecipazione alle gare in veste di fantini, nonche' fornendo, come nel caso del (OMISSIS), il proprio ausilio alla riuscita della competizione alla guida del suo furgone con il quale impediva l'accesso agli estranei cosi' da lasciare libera la pista, ovvero collaborando, come nel caso dello (OMISSIS), al reperimento dei partecipanti necessari alla formazione delle batterie. Condotta cui si aggiunge, per entrambi, quella della detenzione dei farmaci e delle sostanze dopanti all'interno delle proprie stalle, e per il (OMISSIS) l'esito positivo alle analisi del crine per due dei suoi cavalli, segno inequivoco della loro adesione al sodalizio e del coinvolgimento nel programma criminoso. Ne' rileva il fatto che si trattasse, a detta della difesa, di fantini professionisti, condizione che non elimina la clandestinita' delle manifestazioni cui gli imputati prendevano parte e, conseguentemente, le insopportabili sofferenze procurate ai cavalli chiamati a gareggiare. 6.2. Il secondo motivo, concernente il travisamento delle risultanze della CTU eseguita sui cavalli che, a detta della difesa, avrebbe categoricamente escluso che i cavalli degli imputati avessero assunto farmaci, a dispetto di quanto affermato dalla sentenza impugnata, deve essere dichiarato inammissibile sotto un duplice profilo. Trattasi invero di contestazione che non solo risulta preclusa dal limite del devolutum in presenza di cosiddetta "doppia conforme" (Sez. 4, Sentenza n. 19710 del 03/02/2009 - dep. 08/05/2009, PG in proc. Buraschi, Rv. 243636; Sez. 2, Sentenza n. 7986 del 18/11/2016 - dep. 20/02/2017, La Gumina, Rv. 269217) - non rientrandosi certamente nell'ipotesi di dati probatori non analizzati dal primo giudice, che ha espressamente riportato gli esiti positivi emersi dall'analisi del crine di due dei cavalli del (OMISSIS) in ordine all'assunzione di farmaci -, ma che comunque non e' accompagnata da alcuna documentazione afferente alla prova che si assume travisata: sotto tale profilo il ricorso sconta la violazione del principio di autosufficienza che impone ogni qualvolta venga dedotto il vizio di manifesta illogicita' della motivazione in relazione a specifici atti l'onere di provvedere, a pena di inammissibilita', alla loro integrale trascrizione ovvero all'allegazione all'impugnativa stessa (ex multis Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015 - dep. 26/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. 5, n. 11910 del 22.1.2010, Casucci, Rv.246552), essendo altrimenti preclusa alla radice la valutazione cui questa Corte viene solo in astratto sollecitata, ne' potendosi richiedere al giudice di legittimita' la rilettura complessiva del materiale probatorio che sconfinerebbe in una nuova valutazione di merito. 6.3. Quanto al diniego della causa di non punibilita' di cui all'articolo 131 bis c.p. trattasi di censura soltanto accennata in relazione ai due prevenuti dalla difesa che si sofferma esclusivamente sulla sola posizione del (OMISSIS), con il quale lo (OMISSIS) e il (OMISSIS) hanno proposto ricorso congiunto, e che percio' risulta priva della necessaria specificita' censorea, non venendo sorretta dall'indicazione di alcun elemento di fatto o ragione di diritto che ne consentano la disamina. 7. Passando in rassegna le successive impugnative proposte da imputati condannati per il delitto associativo e per tutti e tre i reati fine compresi nel capo b), deve ritenersi, quanto al ricorso di (OMISSIS), la non manifesta infondatezza del quarto motivo. Va al riguardo rilevato che la richiesta delle attenuanti generiche, sebbene fosse stata articolata con l'atto di appello, come del resto si evince dal riepilogo dei motivi riprodotto dalla stessa sentenza impugnata, non e' stata proprio esaminata dai giudici distrettuali, rimasti silenti sul punto. Pur dovendosi dare atto della riduzione della pena base che, rispetto a quella di quattro anni fissata dal giudice di primo grado e' stata rideterminata con maggior clemenza dalla Corte di appello in tre anni e sei mesi di reclusione in ragione "della modesta gravita' dei suoi precedenti penali e per la loro risalenza nel tempo", sembra tuttavia che, in difetto della menzione di circostanze di particolare meritevolezza o comunque di elementi ostativi al loro riconoscimento, si tratti semplicemente di una valutazione ancorata ai criteri di cui all'articolo 133 c.p. nell'esercizio del potere discrezionale naturalmente rimesso al giudice di merito nella quantificazione del trattamento sanzionatorio all'interno dell'arco edittale. La corretta instaurazione del rapporto processuale per effetto della non manifesta infondatezza del motivo in esame, restando tutti gli altri assorbiti, impone conseguentemente, in difetto delle condizioni per l'adozione di una formula assolutoria nel merito laddove si consideri la doppia conforme valutazione di responsabilita' all'esito dei due precedenti gradi di giudizio, tale da escludere l'evidenza dell'innocenza dell'imputato, l'annullamento senza rinvio della decisione impugnata per essere i reati estinti per prescrizione. 8. Anche il ricorso di (OMISSIS) deve ritenersi quanto al settimo motivo fondato. Effettivamente, malgrado l'espressa contestazione, sollevata con l'atto di appello, circostanza di cui da' atto la stessa Corte distrettuale nel riepilogo dei motivi articolati dall'imputato, della condanna al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili, la sentenza impugnata omette integralmente di prendere in esame la dispiegata doglianza, limitandosi a confermare nel dispositivo, per la parte non riformata a seguito del parziale accoglimento dell'impugnativa, la pronuncia del Tribunale leccese. Nulla peraltro risulta neppure da quest'ultima in ordine all'an debeatur, avendo il giudice di prime cure accolto sic et simpliciter la domanda delle costituite parti civili senza spendere alcuna argomentazione al riguardo. L'assoluta carenza di motivazione su un punto essenziale della decisione, innestandosi l'azione risarcitoria svolta dalla parte civile, cosi' come previsto dall'articolo 74 c.p.p. nel procedimento penale, quale conseguenza di natura patrimoniale o non patrimoniale, del reato sub judice impone l'annullamento della sentenza gravata. Essendosi tuttavia i reati estinti per prescrizione in data antecedente alla presente pronuncia l'annullamento deve essere pronunciato ai soli effetti civili, con conseguente rinvio al giudice civile competente per valore, chiamato a valutare la sussistenza della responsabilita' dell'imputato secondo i parametri del diritto penale e non facendo applicazione delle regole proprie del giudizio civile, essendo in questione, ai sensi dell'articolo 185 c.p., il danno da reato e non mutando la natura risarcitoria della domanda proposta, ai sensi dell'articolo 74 c.p.p., innanzi al giudice penale (Sez. 4, Sentenza n. 5898 del 17/01/2019, Borsi, Rv. 275266 - 03). 9. Il ricorso di (OMISSIS) si compone di motivi tutti inidonei a superare il vaglio di ammissibilita'. 9.1. Il primo motivo, afferente al reato di cui al capo a), si compendia in censure sostanzialmente sovrapponibili ai corrispondenti motivi dei ricorsi gia' esaminati. Anche in tal caso il ricorso si sviluppa in assenza del necessario confronto argomentativo con la sentenza impugnata che non si limita affatto a riproporre le fonti di prova indicate nella pronuncia di primo grado, ma delinea ampiamente gli elementi salienti in forza dei quali e' stata ritenuta la sussistenza di un vincolo associativo e non gia' di un mero concorso di persone, accomunate da un'indomita passione per i cavalli, nella realizzazione di reati avvinti dal vincolo della continuazione, cosi' come assume la difesa. La Corte distrettuale affronta appieno la doglianza, in questa sede dalla difesa nuovamente riproposta senza cogliere il nucleo centrale dei rilievi spesi dalla sentenza, evidenziando come la puntuale reiterazione delle gare, allestite con cadenza settimanale, come accertato dalle indagini protrattesi per almeno cinque mesi e dunque in un considerevole lasso temporale, sulla falsariga del medesimo schema organizzativo all'interno del quale si muovevano in veste di organizzatori sempre gli stessi soggetti, sia pure avvicendandosi fra loro nelle varie mansioni esecutive, laddove erano invece soltanto alcuni dei partecipanti eventualmente a variare, e la sostanziale omogeneita' delle condotte la realizzazione delle quali era consentita dalla disponibilita' di dotazioni comuni, escludesse per cio' stesso l'accidentalita' dell'accordo. Va infatti ribadito che il criterio distintivo tra il delitto di associazione a delinquere e il concorso di persone nel reato risiede proprio nel carattere dell'accordo criminoso, che nell'indicata ipotesi di concorso si concretizza in via meramente occasionale, essendo diretto alla commissione di uno o piu' reati determinati - anche nell'ambito del medesimo disegno criminoso - con la realizzazione dei quali si esaurisce l'accordo, mentre nel reato associativo risulta diretto all'attuazione di un piu' vasto programma per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente ed al di fuori dell'effettiva commissione dei singoli reati programmati (Sez. 2, Sentenza n. 933 del 11/10/2013, Debbiche Helmi, Rv. 258009; Sez. 5, Sentenza n. 1964 del 07/12/2018, Magnani, Rv. 274442). Si rinvia in ogni caso in ordine alle doglianze concernenti la configurabilita' del reato associativo, contestato anche dal (OMISSIS) in punto di continuita' del ruolo dei coimputati all'interno del sodalizio, di una struttura comune e di una pianificazione organizzativa, a quanto gia' chiarito al punto 5.1) del presente provvedimento. Quanto alla sua partecipazione, la diversa lettura delle conversazioni intercettate offerta dal ricorrente si traduce in un'inammissibile richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie, sollecitandosi questa Corte ad un sindacato del tutto debordante dal perimetro del vizio motivazionale deducibile in sede di legittimita'. Di nessuna manifesta illogicita' o carenza argomentativa puo' essere tacciata la sentenza impugnata la quale, fondendosi con quella di primo grado che analizza compiutamente il compendio intercettato attraverso la dettagliata riproduzione delle conversazioni di interesse, individua la stabilita' del ruolo rivestito dall'imputato nel sodalizio criminoso e al contempo il fattivo contributo causale apportato al suo mantenimento in vita, concorrenti entrambi a delineare il pactum sceleris, nei plurimi interventi vuoi come giudice di gara, vuoi quale fornitore dell'occorrente per ferrare i cavalli, vuoi nel mettere a disposizione la propria autovettura per aprire, una volta applicato il montante nella parte posteriore, la pista, vuoi quale detentore dei farmaci dopanti, rinvenuti insieme ad una siringa vuota all'interno della propria auto, e tenuto altresi' conto degli esiti positivi delle analisi cui era stato sottoposto il suo stesso cavallo, segno del suo diretto coinvolgimento nei maltrattamenti nell'accezione esplicitata dall'articolo 544 ter c.p. inferti agli animali, nonche' dell'assiduita' dei contatti intrattenuti con il (OMISSIS) e con numerosi altri sodali emersi dal compendio intercettato. 9.2. Neppure le doglianze articolate con il secondo motivo con cui si contesta la idoneita' della condotta di partecipe alle gare clandestine ad integrare il reato ex articolo 544 quinquies c.p., colgono nel segno. Al di la' della interpretazione patrocinata dal giudice di primo grado che sottolinea le implicazioni penalmente rilevanti nella condotta di chi prepari l'animale che verra' impegnato nella corsa non autorizzata esponendolo ai rischi e ai pericoli derivanti proprio dall'illecita manifestazione e parificando percio' la condotta di partecipazione con quella di organizzatore in quanto avente efficacia causale determinante nelle indebite sofferenze inferte ai quadrupedi, non si puo' prescindere dal rilievo, per vero dirimente, del ruolo, attribuito al (OMISSIS) sin dall'editto accusatorio e confermato da entrambe le sentenze pronunciate nei due gradi di giudizio in doppia conforme, di organizzatore delle competizioni equestri. Il suo pieno coinvolgimento nella pianificazione e nell'allestimento delle corse, nel coordinamento delle mansioni dei concorrenti in gara e la stessa fungibilita' dei ruoli di volta in volta rivestiti, non consentono in ogni caso di ridurre la condotta in contestazione a quella di un mero partecipe, ovverosia di un ordinario competitore quale potrebbe un fantino che scenda in gara in sella al suo cavallo. 9.3. Di natura meramente contestativa e percio' generica si rivela il terzo motivo a fronte della compiuta motivazione posta a fondamento della colpevolezza del prevenuto in relazione al reato ex articolo 544 quater c.p., il perfezionamento del quale e' integrato dallo strazio cui erano sottoposti gli animali per fatto di essere stati non solo dopati, fatto questo ampiamente dimostrato dai risultati positivi alle analisi compiute sui cavalli, ivi compreso quello del (OMISSIS), ma altresi' costretti a gareggiare in condizioni incompatibili con le loro caratteristiche fisiologiche ed etologiche. La Corte salentina evidenzia con dovizia di argomentazioni come fossero le modalita' esecutive delle competizioni - organizzate su terreni incompatibili con l'andatura dei cavalli, quand'anche condotti al trotto, costituiti o da strade asfaltate o comunque da piste non autorizzate, ma predisposte occasionalmente con una rudimentale apertura di pista volta soltanto a delimitare il campo di gara, ma non certo a rendere il terreno adatto alle caratteristiche etologiche degli animali cosi' da attutire l'impatto degli zoccoli ed evitare scivolamenti, e caratterizzate nel loro svolgimento dalle grida a squarciagola degli astanti, molti dei quali interessati all'esito delle scommesse giocate, che seguivano la corsa a bordo delle proprie auto suonando incessantemente il clacson contribuendo con il frastuono cosi' provocato a stordire ulteriormente i cavalli impegnati nella gara - a determinare le condizioni di sofferenza delle bestie. E che in esse l'imputato fosse implicato in prima persona nella veste di organizzatore discende, in coerenza con la premessa metodologica sulle fonti di prova utilizzabili per i reati-fine esplicitata dalla stessa sentenza impugnata, dall'esito delle analisi cui era stato sottoposto il cavallo di sua proprieta' risultato positivo alla teofillina e dal possesso da parte dello stesso imputato dei farmaci e della strumentazione per la loro somministrazione. 9.4. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche per il quarto motivo, diretto a contestare, sulla base di una lettura parziale e frammentaria del compendio istruttorio, le risultanze peritali relative all'accertamento del nocumento derivato ai cavalli per effetto delle eseguite somministrazioni di farmaci. La circostanza che non sia stato possibile appurare attraverso le indagini del crine o del siero l'epoca della somministrazione non ne intacca gli effetti dannosi sulla loro salute conclamati dalle perizie veterinarie che, valutati unitamente alle condizioni di pericolosita', svolgendosi le competizioni sull'asfalto o comunque su piste non autorizzate e dunque non previamente vagliate in ordine alle dimensioni, al raggio di curvatura e allo stato del terreno in relazione alle capacita' fisiche dei quadrupedi, integrano la fattispecie delittuosa di cui all'articolo 544 ter c.p.. Ed essendo l'imputato fra gli organizzatori di tali competizioni, e dunque pienamente consapevole delle condizioni insopportabili con cui costringeva gli animali a gareggiare, di nessuna censura e' passibile l'affermazione di responsabilita' per il reato in esame. 9.5. Neppure possono trovare ingresso le censure sollevate in ordine all'assunta carenza motivazionale sulla dosimetria del trattamento sanzionatorio. La Corte di appello ha reso non illogica motivazione in ordine al discostamento della pena base dal minimo edittale, mentre le ragioni dell'aumento applicato ai fini della continuazione, pari a nove mesi di reclusione, mantenuto fermo dai giudici del gravame, si rinvengono nella sentenza di primo grado che ha compiutamente messo in evidenza la gravita' delle condotte in quanto coinvolgenti una pluralita' di animali indifesi, aggrediti in molteplici modi, la loro durata e le conseguenti protratte sofferenze provocate agli esemplari coinvolti, nonche' il disprezzo mostrato dai suoi autori nei confronti delle autorita' pubbliche e dei canoni della civile convivenza per avere arbitrariamente sottratto delle aree pubbliche alla fruizione della collettivita' (cfr. pag. 408 della sentenza del Tribunale di Lecce). In difetto di specifiche censure articolate con l'atto di appello, da nessuna ulteriore motivazione poteva ritenersi gravata la Corte distrettuale che, nel mantenere fermo l'aumento applicato dal Tribunale, ne ha condiviso le ragioni. 9.6. In ordine al sesto motivo relativo all'eccepita prescrizione deve rilevarsene la manifesta infondatezza, rinviandosi al punto 1 del presente provvedimento. 10. Il ricorso di (OMISSIS) e' anch'esso inammissibile. 10.1. Seguendo l'ordine logico e sistematico derivante dalla struttura dell'impugnazione in sede di legittimita', devono essere prioritariamente esaminati il secondo e il terzo motivo, che, afferendo entrambi alla partecipazione dell'imputato all'associazione criminosa, sono suscettibili di trattazione congiunta. Ove si muova dalla premessa, assolutamente pacifica in punto di fatto, che lo scopo del sodalizio era quello di organizzare gare di cavalli, con cadenza settimanale, su circuiti non autorizzati cosi' bypassando il necessario vaglio della pubblica autorita', previa somministrazione agli stessi animali di sostanze atte a potenziarne le prestazioni naturali, il ruolo di organizzatore e promotore delle suddette competizioni accertato nei confronti del ricorrente svuota le doglianze difensive, volte a sostenere, peraltro con deduzioni meramente fattuali, l'episodicita' della sua partecipazione, di ogni contenuto. La sentenza impugnata trae infatti la dimostrazione della sua intraneita' alla consorteria criminosa dalla sua assidua presenza alle manifestazioni sportive, essendo stato presente ad almeno quattro delle competizioni monitorate dalla PG, alle quali non si limitava ad assistere, ma si occupava di organizzare le batterie dei cavalli, ovvero di raccogliere le quote dei partecipanti e finanche di impedire con la sua auto l'accesso di altre autovetture al circuito, mansioni ampiamente rivelatrici di un ruolo attivo diretto ad assicurare la riuscita delle competizioni e dunque sintomatiche della sua adesione al pactum sceleris, cui si accompagnavano quelle prodromiche di allestimento delle gare come si ricava da una conversazione con il (OMISSIS) in cui lo informa delle eseguite operazioni di preparazione del terreno della pista di (OMISSIS). Tali risultanze, valutate unitamente alla detenzione di sostanze e medicinali da somministrare ai cavalli ed alle numerose conversazioni telefoniche intrattenute con il dominus cosi' come con gli altri sodali non vengono sostanzialmente confutate dalla difesa che si limita a fornire di esse una diversa lettura, cosi' spostando il focus del devoluto vizio motivazionale sulla valutazione della prova, del tutto debordante dal perimetro cui e' confinato il sindacato esercitabile da questa Corte di legittimita'. 10.2. Con il primo motivo il ricorrente invece contesta l'affermazione di responsabilita' in ordine ai reati-fine sostenendo che la prova della sua colpevolezza non potesse essere tratta dal sequestro di medicinali e degli strumenti per la loro somministrazione rinvenuti nella sua stalla, ne' dagli esiti delle analisi eseguite sul suo cavallo, sostenendo che non solo la teofillina e la caffeina a cui l'animale era risultato positivo non sono farmaci mentre il Fenibultazone e' un medicinale antifiammatorio, ordinariamente prescrivibile, ma che in ogni caso non vi era alcuna prova che fosse stato lui a somministrarglieli. Richiamandosi quanto gia' chiarito al punto 1) del presente provvedimento deve essere rilevata la manifesta infondatezza della dispiegata doglianza. Ove infatti si consideri che il fatto che egli fosse un organizzatore delle competizioni clandestine risulta essere stato gia' accertato con l'affermazione di responsabilita' riferita al reato associativo, tale essendo il ruolo rivestito dal (OMISSIS) all'interno della compagine criminosa, ne deriva che la prova di resistenza adottata per la dimostrazione dei reati di fine risulti scevra da illogicita' di sorta: e' infatti dai concreti elementi probatori evidenzianti il concreto utilizzo di farmaci dannosi per la salute dei cavalli, nonche' la partecipazione di questi ultimi alle competizioni svoltesi con le modalita' sopra evidenziate dirette a provocarne sofferenze non sopportabili (rinviandosi anche a quanto evidenziato al punto 9.3. del presente provvedimento) che viene coerentemente tratta l'affermazione di responsabilita' per il reato ex articolo 544 c.p. integrato dalla condotta di chi "organizza o promuove manifestazioni che comportino sevizie o strazio per gli animali" e al contempo quella per il reato di cui all'articolo 544 quinquies c.p. perfezionatosi per effetto tanto del requisito formale, ovverosia dalla mancanza di autorizzazione alla competizione equestre quanto dalle oggettive condizioni di pericolosita' per l'integrita' fisica dei cavalli, messa a repentaglio dalle modalita' di svolgimento delle corse avuto riguardo tanto alla morfologia dei terreni e alle anomale conformazioni dei circuiti sui quali avevano luogo, quanto alle condizioni di sovraeccitazione in cui venivano costretti a gareggiare. Non entra in gioco se non nella soggettiva valutazione che il ricorrente oppone a quella effettuata dai giudici di appello sollecitando questa Corte ad un'inammissibile rivisitazione del compendio probatorio, la circostanza che non sia stato possibile appurare attraverso le indagini del crine o del siero l'epoca della somministrazione che si traduce in un'indebita frantumazione delle risultanze peritali, dalle quali era compiutamente emersa l'alterazione delle condizioni normofisiologiche degli animali, di per se' integrante le condizioni di strazio ad essi provocate previste dall'articolo 544 quater c.p.. 10.3. In relazione al diniego delle attenuanti generiche, oggetto del quarto motivo, le censure difensive si risolvono nella mera contestazione di una motivazione che da' pienamente conto degli elementi fondanti il mancato riconoscimento del beneficio e che pertanto costituisce di per se' la compiuta rappresentazione del corretto esercizio del potere discrezionale da parte dei giudici del gravame. Non vale reiterare in questa sede i pretesi elementi di segno positivo che, quand'anche fossero stati fatti valere innanzi alla Corte distrettuale, fatto del quale manca anche a livello deduttivo qualunque evidenza, non rivestono alcuna valenza in senso favorevole all'imputato, non valendo a tal fine ne' la condizione di incensuratezza cui osta il divieto fissato dall'articolo 62 bis c.p., comma 3 ne' opinabili valutazioni sull'intensita' del dolo che stridono in ogni caso con gli apprezzamenti gia' svolti dal giudice di primo grado sulla gravita' delle condotte in ragione della protratta reiterazione nel tempo e del disprezzo mostrato nei confronti delle prescrizioni delle autorita' competenti, cosi' come delle regole della civile convivenza per effetto dell'arbitraria occupazione delle aree pubbliche su cui venivano svolte le gare clandestine. 10.4. L'eccezione di prescrizione in data antecedente alla sentenza impugnata e' manifestamente infondata come chiarito al punto 2 della presente pronuncia. 11. Inammissibile deve ritenersi anche il ricorso di (OMISSIS), dominus dell'associazione, del quale e' stata affermata la colpevolezza in ordine al capo a) e al capo b). 11.1. In ordine al primo motivo con cui contesta la configurabilita' del reato associativo, la circostanza che la Corte di appello non abbia esaminato la conversazione intercorsa il 12.3.2012 con l' (OMISSIS) la quale, a detta della difesa, avallerebbe la mancanza di comunita' di intenti tra l'imputato e gli altri sodali ostili all'investimento di danaro da destinare alla manutenzione della pista di (OMISSIS), non vale a scardinare l'ampio corredo probatorio passato in rassegna dalla Corte salentina dal quale viene tratta la sussistenza di un accurato modulo organizzativo, di volta in volta replicato, che consentiva il finanziamento delle singole gare attraverso il versamento di quote di partecipazione e la promozione di scommesse, la disponibilita' delle strutture necessarie alla conservazione dei farmaci e della strumentazione per la loro somministrazione ai cavalli, nonche' delle autovetture appositamente trasformate da utilizzare con modalita' di "apripista" e la dotazione di uomini e mezzi per il perseguimento del programma criminoso. Va infatti ribadito che il giudice d'appello non e' tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni svolte nell'impugnazione quando queste risultino disattese per evidente incompatibilita', sul piano logico, con la ricostruzione effettuata (per tutte, cfr. Sez. 6, Sentenza n. 34532 del 22/06/2021, Depretis, Rv. 281935; Sez. 5, Sentenza n. 6746 del 13/12/2018, Curro', Rv. 275500). E' infatti sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, dovendosi in tal caso ritenersi implicitamente rigettate le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, senza che ne' la denunzia di minime incongruenze argomentative, ne' l'omessa esposizione di argomenti di valutazione che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che invece non siano inequivocabilmente muniti di portata dirimente ai fini della decisivita', possano dar luogo all'annullamento della sentenza. Richiamando il consolidato orientamento formatosi in tema di articolo articolo 606 c.p.p., lettera e), deve essere stigmatizzato che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, essendo, al contrario, solo l'esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisivita' degli elementi medesimi, cosi' come la loro ininfluenza rispetto alla tenuta logica dell'impianto argomentativo della pronuncia impugnata. Di nessuna omissione motivazionale puo' percio' essere tacciata la sentenza impugnata, tanto piu' che la pronuncia di prime cure, richiamata per relationem, aveva gia' passato diffusamente in rassegna quelle stesse conversazioni nuovamente fatte valere con il presente ricorso ritenendo, quanto a quella del 12.3.2012, che le lamentele del (OMISSIS) sulla mancanza di cooperazione degli altri adepti fosse sintomatica della sussistenza del sodalizio e del ruolo di gestore della pista rivestito dal (OMISSIS), e quanto a quella del 21.3.2012, che anche da essa venisse chiaramente messa in luce la posizione apicale dell'imputato. Posizione questa che viene puntualmente confermata dai giudici del gravame in ragione del fatto che fosse il ricorrente a gestire in prima persona il danaro, a curarne la raccolta anche intervenendo personalmente per sollecitare gli inadempienti, ad organizzare le gare, ad avere assunto su di se' la direzione dell'ippodromo di (OMISSIS) cosi' come prima gestiva la ben piu' rudimentale pista di (OMISSIS), senza che rilevi la mancata indicazione delle fonti probatorie cui soccorre ampiamente la richiamata pronuncia di primo grado con la dettagliata riproduzione e catalogazione delle conversazioni intercettate, neppure specificamente contestate con l'atto di appello. 11.2. Quanto alla mancanza di prove in ordine all'affermazione di responsabilita' per i reati di cui al capo b) conseguente all'inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche per reati diversi da quello associativo, della quale il ricorrente si duole con il secondo motivo, e' sufficiente rinviare ai rilievi esposti ai punti 2) e 10.2) della presente pronuncia ed alla conseguente manifesta infondatezza delle doglianze, fermo restando che la posizione apicale rivestita dal prevenuto ne comporta automaticamente l'affermazione di responsabilita' per i reati fine quand'anche materialmente commessi dai suoi adepti, non potendosi che ricondurre alla sua regia le competizioni equestri svoltesi con le modalita' descritte nella sentenza impugnata e le impietose condizioni di sofferenza provocate ai cavalli. Quanto, infine all'eccezione di prescrizione dei reati-fine sollevata anch'essa con il secondo motivo, si rinvia al punto 1) del presente provvedimento, concludendosi per la declaratoria di inammissibilita' anche della suddetta doglianza. 12. Diversa da quella di tutti gli altri imputati e' la posizione di (OMISSIS), condannato per il solo reato ex articolo 544 ter c.p. di cui al capo b). L'unico motivo di ricorso da costui articolato concerne il diniego della causa di non punibilita' di cui all'articolo 131 bis c.p., motivato dalla Corte distrettuale che accomuna la sua posizione a quella del (OMISSIS) e dello (OMISSIS), congiuntamente ai quali aveva proposto l'atto di appello, sulla reiterazione delle condotte, accertata nel corso dei vari servizi di osservazione, e sulla gravita' dei fatti. Considerato tuttavia che la condotta ascrittagli consta di un unico episodio e che la gravita' della condotta apoditticamente affermata stride con una pena quantificata al di sotto del minimo edittale (essendo prevista per il reato in esame la reclusione da tre a diciotto mesi ovvero la multa da 5.000 a 30.000 Euro), la censura proposta che si appunta sul vizio di contraddittorieta' motivazionale non puo' ritenersi manifestamente infondata. Conseguentemente, essendo il reato estinto per prescrizione, la sentenza in esame deve essere nei suoi confronti annullata senza rinvio ai sensi dell'articolo 129 c.p.p.. 13. In conclusione la pronuncia de qua deve essere annullata agli effetti civili nei confronti dell' (OMISSIS) con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, al quale viene altresi' rimessa la liquidazione delle spese tra le parti nel presente giudizio e senza rinvio nei confronti dell' (OMISSIS) e del (OMISSIS) stante l'intervenuta prescrizione dei reati loro contestati. Deve invece essere dichiarata l'inammissibilita' dei ricorsi del (OMISSIS), dell' (OMISSIS), del (OMISSIS), del (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS), del (OMISSIS) e dello (OMISSIS) che vengono condannati a norma dell'articolo 616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali, nonche' al versamento, in difetto di elementi per ritenere che la presente impugnativa sia stata proposta senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita', di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili nei confronti di (OMISSIS) in ordine al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili e rinvia per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda anche la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimita'. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS) perche' i reati sono estinti per prescrizione. Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO P. - Presidente Dott. COSTANZO Angelo - Consigliere Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere Dott. COSTANTINI A - rel. Consigliere Dott. PATERNO' RADDUSA Benede - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tivoli; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato in (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 15/02/2023 del Tribunale del riesame di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Antonio Costantini; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, Sostituto Procuratore generale Francesca Ceroni, che ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata; letta la memoria conclusiva della difesa dell'indagato, avvocato (OMISSIS), che ha richiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso del Pubblico Ministero. RITENUTO IN FATTO 1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tivoli impugna l'ordinanza del Tribunale del riesame di Roma del 15 febbraio 2023 che ha respinto l'appello del Pubblico Ministero avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di allontanamento della casa familiare e dl divieto di avvicinamento dei luoghi attualmente frequentati dalla parte offesa del Giudice delle indagini preliminari di Tivoli che aveva ritenuto insussistenti i gravi indizi di colpevolezza e carenti le esigenze cautelari a carico di (OMISSIS) in ordine al delitto di maltrattamenti e lesioni aggravate. Secondo la contestazione provvisoria (OMISSIS) si sarebbe reso responsabile (capo 1) del reato di cui all'articolo 572 c.p. per aver reiteratamente posto in essere condotte maltrattanti ai danni della moglie convivente (OMISSIS), che subiva abituali aggressioni verbali e fisiche tali da ledere l'integrita' psicologica e morale della persona offesa cosi rendendo impossibile la convivenza; fatti commessi in Tivoli Terme dall'agosto 2020 con condotta perdurante; (capo 2) del reato di cui agli articoli 582, 585, in relazione all'articolo 577 c.p., comma 1, n. 1, per aver cagionato alla moglie convivente lesioni personali consistite in un'escoriazione alla gamba destra e un taglio sul labbro superiore causate da pugni indirizzati al volto e per mezzo di un guinzaglio per cani utilizzato quale frusta; fatto commesso in (OMISSIS). Il Tribunale adito ex articolo 310 c.p.p. da parte del Procuratore della Repubblica di Tivoli ha escluso la sussistenza delle esigenze cautelari riconducendo le condotte dell'indagato a dissidi familiari connessi alla relazione extraconiugale di costui mal sopportata dalla moglie e preso atto dell'adeguata risposta comunque fornita dalla vittima che aveva acconsentito al rientro in casa del marito e dimostrato che la prova "manterrebbe la sua solidita'", ha ritenuto di escludere l'applicazione della misura cautelare richiesta che si porrebbe quale elemento ab externo in contrasto con la volonta' di riappacificazione intervenuta nella coppia tale da scongiurare il pericolo di reiterazione della condotta. 2. Il Procuratore ricorrente evidenzia due motivi di ricorso. 2.1. Con il primo motivo rileva la mancanza assoluta di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza avendo il Tribunale analizzato esclusivamente il profilo connesso alle esigenze cautelari senza pronunciarsi in ordine all'accusa di maltrattamenti su cui era fondato il gravame. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deducono vizi di motivazione e violazione di legge in ordine alle ragioni per cui sono state escluse le esigenze cautelari che il Tribunale ha fondata sulla decisione della donna, dopo la presentazione della querela e la escussione a sommarie informazioni, di riaccogliere il marito in casa dopo che costui si era allontanato volontariamente dall'abitazione familiare. Alla valorizzata condotta della donna non e' seguita una valutazione della condotta dell'autore del reato tanto che l'esclusione del rischio di reiterazione del reato non e' derivata da una analisi delle circostanze del fatto di reato o della personalita' dell'indagato ex articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera c). Si censura la parte della motivazione che implicitamente assegna rilevanza alla volonta' della vittima di continuare la relazione sentimentale e la convivenza senza invece apprezzare il rischio di reiterazione del reato. Il reato di maltrattamenti in famiglia tutela il bene giuridico dell'integrita' psicofisica del soggetto inserito nel contesto familiare; la tutela di detto bene si sottrae alla disponibilita' della persona offesa, circostanza che trova conferma nella perseguibilita' d'ufficio del reato proprio in ragione della vulnerabilita' della vittime. La necessita' della salvaguardia della vittima trova espressa menzione nella Convenzione del Consiglio di Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (c.d. Convenzione di Istanbul) che ai sensi dell'articolo 55 impone la continuazione delle indagini anche quando la vittima dovesse ritrattare l'accusa o ritirare la denuncia. La pronuncia si rivela contraddittoria nella parte in cui, pur inizialmente affermando di non voler approfondire il profilo connesso alla sussistenza del delitto di maltrattamenti, in ordine al quale il Giudice delle indagini preliminari aveva ritenuto carente il requisito della abitualita' e su cui era stato prevalentemente fondato il gravame, comunque affronta il problema al fine di escludere le esigenze cautelari sulla base della ritenuta carenza del requisito della sopraffazione in ragione dell'apprezzata reazione della vittima ricondotta alla scoperta da parte della moglie della relazione extraconiugale del marito. Cosi' facendo ha omesso di apprezzare la sussistenza degli elementi costitutivi del maltrattamento che non richiede la completa sopraffazione della vittima. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile in quanto generico. 2. Deve evidenziarsi che il Tribunale del riesame ha rigettato il gravame del Pubblico Ministero avverso il provvedimento reiettivo del Giudice delle indagini preliminari, sul presupposto che non fossero comunque esistenti le esigenze cautelari e, seppure abbia solo astrattamente manifestato il disinteresse nell'affrontare il profilo oggetto di specifica impugnazione del Pubblico Ministero teso a confutare la motivazione del provvedimento del Giudice delle indagini preliminari che aveva ritenuto insussistenti i gravi indizi di colpevolezza per assenza di condotta reiterata ed abituale, ha invero analizzato ed apprezzato i profili utili alla decisione cautelare il cui esito gli era stato demandato. 3. Deve essere richiamato il principio di diritto ormai pacifico espresso reiteratamente da questa Corte, secondo cui, allorche' sia denunciato con ricorso per cassazione il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare se la decisione impugnata abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno indotto il collegio ad affermare la gravita' del quadro indiziario a carico dell'indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460), dovendo qualificarsi inammissibile il motivo che si risolva nella censura di non aver preso in esame alcuni o tutti i singoli elementi risultanti in atti. Cio' costituisce una censura del merito della decisione, in quanto tende, implicitamente, a far valere una differente interpretazione del quadro indiziario, sulla base di una diversa valorizzazione di alcuni elementi rispetto ad altri (Sez. 5, n. 2459 del 17/04/2000, Garasto L, Rv. 216367) o una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi, Rv. 269884). 4. Cio' premesso, nonostante il Tribunale della cautela abbia rivolto l'attenzione al ritenuto piu' pertinente profilo cautelare, cio' non gli ha impedito di apprezzare l'insussistenza di elementi di gravita' indiziaria la' dove ha evidenziato come i tre episodi di violenza fossero inseriti in un contesto di continui litigi settimanali o bisettimanali che avevano caratterizzato gli ultimi due anni di vita della coppia a causa della relazione extraconiugale del marito; il Tribunale ha spiegato tali reciproche condotte anche attraverso l'esame delle dichiarazioni rese dalla parte offesa che ha contestualizzato detti episodi valorizzando le frustrazioni del marito per un non satisfattivo riscatto sociale e lavorativo che aveva visto, in precedenza, le aspettative ed i desideri dell'uomo essere sacrificati e considerati sub-valenti rispetto a quelli della donna professionalmente affermata - che avvertiva di aver, senza alcun riconoscimento, sempre supportato. Proprio tale aspetto, gia' oggetto di vaglio da parte del Giudice delle indagini preliminari e' stato apprezzato da parte del Tribunale che ha - in concreto escluso il requisito della sopraffazione descritta nell'impugnazione del Pubblico Ministero (Sez. 6, n. 27048 del 18/03/2008, D.S., Rv. 240879). 5. A fronte di motivazione che, con decisione conforme rispetto a quella resa dal Giudice delle indagini preliminari, ha dato conto - seppur sinteticamente delle ragioni alla base della esclusione dei gravi indizi di colpevolezza, inammissibile risulta la parte del ricorso che di fatto si limita a criticarne le conclusioni. Il motivo sotto detto aspetto, risulta inammissibile in quanto, da un canto, alla lineare motivazione dell'ordinanza il ricorrente si limita a contrapporre la presenza di ulteriori elementi asseritamente non valorizzati senza pero' riuscire a confutare le chiare affermazioni sul punto del Tribunale, dall'altro si risolve in una mera critica lessicale allorche' assegna un significato differente alla motivazione dell'ordinanza travalicando i limiti imposti da costante giurisprudenza ai fini della impugnazione delle ordinanza emesse in materia cautelare (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino cit.). Visto il netto giudizio espresso in merito all'assenza dei gravi indizi di colpevolezza (indifferente che il Tribunale abbia lasciato intendere di non volerne apprezzare i requisiti), trova logica spiegazione il punto della decisione che ha escluso (anche) la sussistenza delle esigenze cautelari valorizzando proprio la parte delle dichiarazioni della persona offesa che ha insistito affinche' il marito, allontanatosi volontariamente da casa, ritornasse a convivere. Tale elemento, contrariamente a quanto affermato dal Procuratore ricorrente che ha dedotto la violazione dell'articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera c), non risulta illegittimamente valorizzato se solo si osserva come sia stato posto alla base dell'escluso rischio di reiterazione di condotte violente in quanto significativo della capacita' di reazione della donna e della dimostrata volontaria cessazione di condotte violente da parte dell'uomo che aveva in precedenza deciso autonomamente di allontanarsi dalla casa coniugale. 6. Le considerazioni sopra espresse impongono la declaratoria di inammissibilita' del ricorso. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SARNO Giulio - Presidente Dott. CERRONI Claudio - Consigliere Dott. LIBERATI Giovanni - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - rel. Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 04/05/2022 della corte di appello di Messina; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Noviello; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Di Nardo Marilia che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso; udite le conclusioni del difensore di parte civile avv.to (OMISSIS) che ha insistito per la conferma della sentenza impugnata; udite le conclusioni del difensore dell'imputato, avv.to (OMISSIS) che ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La corte di appello di Messina, con sentenza del 4 maggio 2022 confermava la sentenza del 22 aprile 2021 del tribunale di Patti, di condanna di (OMISSIS) e relativa ai reati di cui agli articoli 572 e 609 bis c.p., articolo 609 ter c.p., n. 5, articolo 610 c.p.. 2. Avverso la suindicata sentenza (OMISSIS) tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per Cassazione deducendo tre motivi di impugnazione. 3.Rappresenta, con il primo, il vizio ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b). con riferimento al reato ex articolo 572 c.p., oltre al vizio di mancanza di motivazione con riferimento al primo motivo di gravame dedotto in ordine ai profili della abitualita' del reato e dell'elemento soggettivo del medesimo. La corte non avrebbe spiegato le ragioni per cui - dovendosi circoscrivere la condotta di maltrattamento al gennaio 2019 - le due sole frizioni intercorse tra le parti in quel solo mese e compatibili con la cessazione della convivenza, sarebbero state idonee a integrare il reato di cui ai capi di imputazione. La corte, inoltre, avrebbe effettuato una gratuita estensione del reato di maltrattamenti attraverso la riqualificazione del reato di cui al capo b) nel delitto ex articolo 572 c.p., dando consistenza al solo episodio del maggio 2019. 3. Con il secondo motivo rappresenta la mancata assunzione di prova decisiva richiesta ex articolo 603 c.p., comma 1 e il vizio di mancanza di motivazione rispetto al secondo motivo di gravame proposto con riguardo al capo c). La corte non avrebbe risposto a talune deduzioni inerenti circostanze riguardanti l'episodio di contestata violenza sessuale del 8 luglio 2019, dedotte con il secondo motivo di gravame e riassunte in ricorso, e riferite a dichiarazioni rese dai testi (OMISSIS) ed (OMISSIS) e si dissente dal giudizio di minore credibilita' attribuita alle due predette donne, rispetto al racconto della persona offesa. La corte, neppure avrebbe motivato sull'anomalo "riserbo" tenuto dalla persona offesa in ordine ai fatti del luglio 2019. In tale contesto si afferma, quanto alla rinnovazione probatoria richiesta, la decisivita' del contenuto di messaggi intercorsi tra l'imputato e la persona offesa, dal tenore normale, incompatibile con l'evento del luglio 2019 oltre che comprensivi di una comunicazione della donna, del 4 settembre 2019, sulla necessita' di controlli, derivante dall'avere avuto rapporti di natura sessuale. Si aggiunge, quanto alla ritenuta tardivita' della prova prospettata, che la stessa sarebbe stata rinvenuta solo successivamente al primo grado di giudizio. 4. Con il terzo motivo, rappresenta la mancanza di motivazione rispetto al motivo di gravame inerente il capo riguardante il delitto ex articolo 610 c.p. e la mancata assunzione di prova decisiva circa l'assunzione della testimonianza di (OMISSIS) o del relativo verbale di dichiarazioni raccolte ai sensi dell'articolo 391 nonies c.p.p. La decisivita' delle dichiarazioni del predetto (OMISSIS) sarebbe ricavabile dalla descrizione, con le stesse, della casa ove avvennero i fatti, conformata in maniera tale da consentire comunque, anche chiudendo la porta di ingresso a chiave, di uscire da essa. 5. Con memoria, la difesa dell'imputato ha insistito per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo e' manifestamente infondato. La corte di appello ha ricostruito la vicenda come emersa dal racconto, motivatamente ritenuto attendibile, della persona offesa, oltre che della madre della stessa, articolato nella descrizione di una pluralita' di aggressioni offensive e violente e di comportamenti asfissianti e intrusivi, dell'imputato, nella vita della persona offesa, susseguitisi dai momenti successivi alla nascita del figlio, nel 2018, e anche in epoca seguente all'allontanamento della persona offesa dalla casa familiare (nel gennaio 2019). Ha altresi' valorizzato, quale riscontro alla complessiva vicenda, sia taluni files audio registrati dopo i fatti del luglio 2019 e relativi a colloqui intercorsi tra l'imputato e la ritenuta vittima, tra l'altro dimostrativi di minacce e gravi insulti rivolti dal ricorrente all'indirizzo della persona offesa e della di lei madre e comprensivi, secondo il primo giudice, di chiari riferimenti a condotte maltrattanti successive alla nascita del figlio, sia taluni dati dei tabulati telefonici, ritenuti dimostrativi dei ripetuti contatti o tentativi di contatto telefonico avviati dall'uomo nei confronti della donna, in date antecedenti all'episodio di violenza del luglio 2018. Ha quindi espressamente confutato la tesi difensiva per cui la contestata condotta dell'imputato sarebbe stata circoscritta al solo mese di gennaio 2019, evidenziando come il racconto della vittima, prima sintetizzato, e in parte ripreso nel prosieguio della sentenza per respingere la citata tesi difensiva, desse conto, in realta', di numerosi e ripetuti atteggiamenti prevaricatori, minatori, denigratori nonche' violenti dell'uomo, continuati anche dopo la cessazione della relazione sentimentale. Ha sottolineato i plurimi elementi di prova confermativi della contestazione di maltrattamenti. E nel contempo ha escluso intenti calunniatori della vittima, altresi' evidenziando sia che la tesi difensiva dell'imputato, per cui la donna avrebbe cercato di impedirgli di vedere il figlio, quale circostanza rilevante dei contrasti intercorsi, non sarebbe emersa nel corso del dibattimento, sia che non vi sarebbero stati fini economici a corredo della narrazione contestata dalla difesa, data la sostanziale impossidenza dell'imputato. Inverosimile sarebbe anche la tesi per cui l'uomo non avrebbe mai reagito, a fronte dei ritenuti tradimenti della donna, risultando, piuttosto, dai files audio acquisiti, che lo stesso manifestava la sua gelosia con fare aggressivo nei confronti della moglie e anche dopo l'interruzione della relazione. Le stesse condotte minatorie e offensive sarebbero state confermate dall'imputato, secondo i giudici, sebbene ascritte a personali motivazioni volte ad escludere un clima di prevaricazione. Si tratta di una motivazione coerente, fondata sulla valorizzazione di plurimi quanto coincidenti elementi di prova, e perfettamente in linea con la struttura del reato di maltrattamenti e la sua essenza di reato abituale oltre che indicativa, attraverso la descrizione di continuati quanto consapevoli comportamenti, della sussistenza dell'elemento psicologico del reato. Rispetto ad essa, non emergono deficit in termini di mancate risposte, e comunque, stante l'adeguatezza della motivazione, viene in rilievo il noto principio per cui, con specifico riguardo ai vizi di mancanza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione, essi devono essere di spessore tale da risultare percepibili ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimita' vertere su difetti di macroscopica evidenza, mentre rimangono ininfluenti le minime incongruenze e si devono considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche' siano spiegate in modo logico ed adeguato - come nel caso di specie - le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (cfr., Sez. un., n. 24 del 24 novembre 1999, Rv. n. 214794; Sez. un., n. 12 del 31 maggio 2000, Rv. n. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24 settembre 2003, Rv. n. 226074). In tale quadro, puo' solo aggiungersi che non appare legittimo il riferimento, in ricorso, alla denunzia-querela della donna, in assenza della dimostrazione della intervenuta acquisizione della stessa, con il consenso delle parti, agli atti dibattimentali. 2. Quanto al secondo motivo, relativo alla mancata assunzione di prova decisiva richiesta ex articolo 603 c.p., comma 1 e al vizio di mancanza di motivazione rispetto al secondo motivo di gravame sollevato con riguardo al capo c), riguardante la contestata violenza sessuale, e' anche esso manifestamente infondato. I giudici di secondo grado hanno dato conto della piena validita' del racconto della vittima in ordine alla violenza patita, non solo in ragione della motivata, complessiva attendibilita' della medesima, ma anche alla luce di altri dati: quali le dichiarazioni del teste (OMISSIS), che ha comunque confermato di avere sentito, in occasione dell'episodio contestato, urla della donna, (salvo poi aggiungere, rispetto alle originarie affermazioni rese in fase di indagine, anche di avere ascoltato urla dell'imputato), il certificato inerente la lesione alla caviglia subita dal (OMISSIS) nel corso della vicenda denunziata dalla donna, i contenuti di alcuni files audio, motivatamente collocati in sentenza quale conferme di taluni aspetti del racconto, fino a includere il file in cui l'uomo avrebbe, in sostanza, ammesso i fatti. Inoltre, appare frutto di considerazioni piu' che ragionevoli la valutazione della scarsa attendibilita' delle dichiarazioni di taluni parenti dell'imputato in ordine allo svolgimento di alcune vicende afferenti la vicenda del luglio 2018; valutazione in tal modo formulata anche rispondendo, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, alle rilevazioni critiche sul punto mosse con atto di appello. La motivazione inerente il reato in esame si completa anche con la coerente spiegazione della mancata, immediata denunzia, da parte della donna, della vicenda contestata oltre che con la puntuale disarticolazione delle dichiarazioni difensive dell'imputato. Rispetto a cosi' lineare motivazione, appare coerente l'esclusione della richiesta avanzata ex articolo 603 c.p.p. in termini di non necessita' delle prove proposte. In linea con l'indirizzo di legittimita' per cui l'articolo 603 c.p.p., in ordine alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in grado di appello, prevede tre ipotesi: - la riassunzione di prove gia' acquisite nel dibattimento di primo grado o l'assunzione di nuove prove: tale fattispecie, prevista nel comma 1, e' subordinata alla circostanza che il giudice ritenga "di non essere in grado di decidere allo stato degli atti", ovvero attiene al caso in cui i dati probatori gia' acquisiti siano incerti o l'incombente richiesto rivesta carattere di decisivita', nel senso che e' idoneo ad eliminare le eventuali incertezze ovvero ad inficiare ogni altra risultanza. Il comma 1, poi, riguarda prove preesistenti o prove gia' note alla parte (ex plurimis Cass. 3348/2003 riv 227494); - l'assunzione di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado: tale fattispecie, prevista dal comma 2, va disposta nei limiti previsti dall'articolo 495 c.p.p., comma 1; norma che, a sua volta, richiama l'articolo 190 c.p.p., comma 1 e l'articolo 190 bis c.p.p. relativi, rispettivamente, al diritto alla prova ed ai requisiti della prova nei procedimenti per taluno dei delitti indicati nell'articolo 51 c.p., comma 3 bis. Consegue che nel caso previsto dall'articolo 603 c.p.p., comma 2, il Giudice e' tenuto a disporre la rinnovazione del dibattimento, ma con il limite costituito dalle richieste concernenti prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti (ex plurimis Cass. 8382/2008 riv 239341); - l'assunzione disposta d'ufficio: prevista dall'articolo 603 c.p.p., comma 3, tale fattispecie ricorre solo se se il giudice "la ritiene assolutamente necessaria", quale e' il caso in cui egli ritenga che non gli sia possibile decidere se non dopo l'assunzione di una determinata prova. La diversita' delle tipologie previste in ordine alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in sede di appello, si rinviene anche sul piano della motivazione. Infatti, avendo la rinnovazione, ancorche' parziale, del dibattimento, carattere eccezionale rispetto al principio di presunzione di completezza dell'istruttoria gia' espletata, deriva che mentre la rinnovazione dev'essere specificamente motivata, occorrendo dare conto dell'uso del potere discrezionale derivante dall'acquisita consapevolezza di non potere decidere allo stato degli atti, nel caso, viceversa, di rigetto, la relativa motivazione puo' essere anche implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilita', con la conseguente mancanza di necessita' di rinnovare il dibattimento (Cass. 15320/2009 riv 246859 - Cass. 47095/2009 riv 245996). In caso, invece, di rinnovazione richiesta ex articolo 603 c.p.p., comma 2, la giustificazione del rigetto deve risultare in modo espresso (Sez. 3, n. 47963 del 13/09/2016 Rv. 268657 - 01 F). Nel caso in esame, posto che risulta opinabile e assertiva la tesi difensiva della sopravvenienza delle prove proposte, l'istanza appare riconducibile all'ipotesi di cui all'articolo 603 c.p.p., comma 1 e la Corte ha adeguatamente motivato la scelta di non provvedere, con ampia e completa spiegazione, corroborata, come detto, dalla congrua motivazione della complessiva decisione. Cosicche', secondo la corte di appello, ragionevolmente deve ritenersi non necessaria l'ulteriore richiesta istruttoria. Ad ogni modo, anche a volere tenere conto del riferimento nella rubrica del motivo qui in esame, ad un profilo, peculiare nell'ambito dell'articolo 603 c.p.p., comma 1, di mancata assunzione di prova decisiva, va osservato che manca al riguardo ogni presupposto: l'ipotesi di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d) (mancata assunzione di una prova decisiva quando la parte ne ha fatto richiesta a norma dell'articolo 495 c.p.p., comma 2) puo' essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l'ammissione a norma dell'articolo 495 c.p.p., comma 2, (o articolo 603 c.p.p. in appello) (cfr. Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016 Ud. (dep. 31/01/2017) Rv. 269270 - 01 Fiaschetti) e consiste in una sorta di error in procedendo, ravvisabile solamente quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le argomentazioni formulate in motivazione a sostegno ed illustrazione della decisione, risulti tale che, se esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia: perche' si configuri deve cioe' necessariamente sussistere la certezza della decisivita' della prova ai fini del giudizio e dell'idoneita' dei fatti che ne sono oggetto ad inficiare le ragioni poste a base del convincimento manifestato dal giudice (cfr. in motivazione, Sez. 6, n. 14916 del 25/03/2010 Rv. 246667 - 01 Brustenghi; sez. 2, 16354/2006, rv. 234752, Maio; 2380/1995 rv. 200980). Si e' anche precisato che e' decisiva la prova che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante. (Sez. 4, Sentenza n. 6783 del 23/01/2014 Rv. 259323 - 01 Di Meglio). La valutazione di siffatta decisivita' deve, quindi, essere compiuta accertando se i fatti indicati dal ricorrente nella relativa richiesta siano tali da potere inficiare tutte le argomentazioni poste a fondamento del convincimento del Giudice, per cui "il diritto della parte a vedersi ammettere prove contrastanti con l'accusa, la cui mancata assunzione e' denunciabile con ricorso per Cassazione ex articolo 606 c.p.p., lettera d) in relazione all'articolo 495 c.p.p., comma 2 (o articolo 603 c.p.p. in appello), va rapportato, per verificarne il fondamento, alla concreta motivazione della sentenza impugnata" (cfr. in motivazione Sez. 6, n. 14916 Rv. 246667 cit.). Ebbene, nessun esame comparato tra le motivazioni della sentenza - che invero affrontano anche il tema della irrilevanza di eventuali nuovi rapporti, anche sessuali, intercorsi tra le parti dopo la violenza del luglio 2019 - e il contenuto delle prove proposte, viene formulato dal ricorrente, cosi' che anche la pretesa decisivita' della prova non emerge da tale comparazione ma da mere, assertive, proposizioni difensive. 3. Il terzo motivo appare manifestamente infondato. Con atto di appello la difesa aveva sollevato il tema della non configurabilita' del reato di cui all'articolo 610 c.p. rispetto al quale, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, emerge una puntuale e specifica risposta, atteso che in sentenza si evidenzia, sul rilievo della motivata credibilita' della persona offesa, che il racconto della stessa e' attendibile anche in ordine alla riferita impossibilita' di allontanarsi, se non approfittando delle circostanze che ne favorirono la temporanea fuga. Il quadro fattuale del reato, connotato dalla costrizione della donna a non allontanarsi anche per non lasciare il bambino solo con il padre, quand'anche in presenza di eventuali possibili vie di fuga, e' coerente, del resto, con la peculiarita' della contestazione, che non attiene ad una limitazione di liberta' di azione tipica di un sequestro di persona, quanto ad una condotta diretta ad innescare una lesione alla liberta' psichica di autodeterminazione del soggetto passivo (cfr. Sez. 5 n. 44548 del 08/05/2015 rv. 264685 - 01), di per se' anche compatibile con possibili percorsi di allontanamento. Tale ultima distinzione, ben si concilia in altri termini, con la dinamica del racconto della persona offesa e spiega di per se', alla luce della complessiva sentenza, l'inutilita' di ulteriori prove. 4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e' ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Si condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara' liquidata dalla corte di appello di Messina con separato decreto di pagamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82 e 83 disponendo il pagamento in favore dello Stato. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara' liquidata dalla corte di appello di Messina con separato decreto di pagamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82 e 83 disponendo il pagamento in favore dello Stato.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. CIANFROCCA Pierluigi - Consigliere Dott. TUTINELLI Vincenzo - Consigliere Dott. NICASTRO Giuseppe - Consigliere Dott. CERSOSIMO Emanuele - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 21/02/2022 della Corte di Appello di Milano Visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso e le conclusioni scritte depositate dalla difesa del ricorrente; Udita la relazione svolta dal Consigliere Emanuele CERSOSIMO; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi CUOMO, che ha chiesto dichiararsi l'inammissAbilita' del ricorso; udite le conclusioni del difensore dell'imputato, Avv. (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS), a mezzo del suo difensore, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del 21 febbraio 2022 con la quale la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Milano il 5 luglio 2021, lo ha condannato alla pena di anni 13 di reclusione ed Euro 6.800,00 di multa. 2. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo di impugnazione, la mancata assunzione delle prove decisive indicate nell'atto di appello. La motivazione in ordine alla mancata ammissione della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale sarebbe del tutto apparente, i giudici di appello si sarebbero, infatti, limitati ad affermare la mancanza dei presupposti previsti dell'articolo 603 c.p.p.. La mancata assunzione di tali prove decisive (esame dei testi della difesa revocati dal primo giudice, esame della persona offesa, acquisizione tabulati telefonici, perizia sul coltello in sequestro) avrebbe limitato il diritto di difesa dell'imputato con conseguente nullita' della sentenza impugnata. In particolare, l'effettuazione di perizia per accertare la presenza di tracce ematiche sul coltello in sequestro avrebbe permesso di superare ogni dubbio in merito all'eventuale uso dello stesso. Le prove indicate dal ricorrente, inficiando l'efficacia dimostrativa delle dichiarazioni di (OMISSIS), avrebbero dimostrato (‘‘inattendibilita' della persona offesa. 3. Il ricorrente lamenta, con il secondo motivo di impugnazione, la carenza di motivazione in ordine ai motivi di appello con i quali il ricorrente eccepiva la falsita' delle dichiarazioni rese dalla persona offesa. 3.1. La (OMISSIS), avrebbe reso false dichiarazioni in ordine ai fatti avvenuti in data (OMISSIS) e descritti nel capo I dell'imputazione; la persona offesa, nel corso della sua deposizione dibattimentale, avrebbe falsamente affermato che l'imputato, dopo essersi presentato a casa sua, si sarebbe impossessato della somma di 500,00 Euro con violenza consistita nel percuoterla e puntarle un coltello al collo cosi' procurandole una piccola ferita. Tali dichiarazioni sarebbero difformi da quanto affermato dalla (OMISSIS), nelle ore immediatamente successive ai fatti; secondo la difesa la donna avrebbe riferito agli operanti che il (OMISSIS) le avrebbe graffiato il collo, senza fare alcun riferimento all'utilizzo di un'arma bianca da parte dell'imputato. La versione della (OMISSIS) sarebbe smentita da quanto riferito dal testimone oculare (OMISSIS) e dal (OMISSIS) nel corso dei rispettivi esami; i due avrebbero, in particolare, riferito che la (OMISSIS), dopo aver telefonato al (OMISSIS) per chiedergli di raggiungerla a casa, avrebbe spontaneamente consegnato al ricorrente una somma di denaro per pagare il carrozziere che le aveva riparato l'autovettura. 3.2. La persona offesa avrebbe ulteriormente mentito dichiarando di non aver mai fatto uso di sostanze stupefacenti, affermazione che avrebbe trovato smentita nel sequestro della cocaina rinvenuta in data (OMISSIS) all'interno dell'abitazione della persona offesa e, quindi, in data successiva all'arresto del (OMISSIS). 3.3. I giudici di appello avrebbero travisato le dichiarazioni del teste (OMISSIS), medico di base della (OMISSIS), il quale, a differenza di quanto affermato in sentenza, non avrebbe mai circoscritto l'uso di droghe da parte della (OMISSIS) ad un periodo antecedente l'inizio della relazione sentimentale con il (OMISSIS). 3.4. La Corte di merito avrebbe, infine, ignorato i documenti prodotti dalla difesa senza motivare alcunche' in ordine ai motivi di tale determinazione. 4. Il ricorrente lamenta, con il terzo motivo di impugnazione, la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine all'omesso accertamento dell'idoneita' a testimoniare della persona offesa. La mancata verifica della credibilita' della (OMISSIS) e dell'attendibilita' intrinseca del suo racconto e delle sue abitudini sessuali inficerebbero in modo decisivo la logicita' della sentenza, fondata esclusivamente sulle menzognere dichiarazioni di una tossicodipendente portatrice di un interesse personale all'accusa. 5. Il ricorrente lamenta, con il quarto motivo di impugnazione, la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine all'omesso accertamento dell'attendibilita' oggettiva della persona offesa. Secondo la difesa, la (OMISSIS) si sarebbe precostituita un "supporto di attendibilita'", confidandosi con i soggetti che sono stati successivamente escussi a riscontro delle sue dichiarazioni, al solo fine di "inchiodare l'imputato" (vedi pag. 29 del ricorso). La Corte territoriale non avrebbe adeguatamente considerato l'inverosimiglianza del racconto della (OMISSIS), caratterizzato da mutevolezza, contraddittorieta' e progressivo ingigantimento degli accadimenti nel corso del tempo, elementi che dimostrerebbero la personalita' disarmonica della persona offesa ed il profondo stato di disagio e depressione in cui verserebbe la donna a seguito della conclusione del rapporto sentimentale con il (OMISSIS). La motivazione sarebbe, inoltre, del tutto apodittica in ordine alla ritenuta inattendibilita' dell'imputato e dei testi di difesa, avendo i giudici di appello omesso di confrontarsi con la realta' degli atti processuali. 6. Il (OMISSIS) lamenta, con il quinto motivo di ricorso, la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine all'omesso accertamento dell'attendibilita' soggettiva della persona offesa. 6.1. L'utilizzo di sostanze stupefacenti e farmaci antidepressivi, secondo la ricostruzione difensiva, avrebbe indotto la (OMISSIS) a comportamenti bizzarri ed aggressivi, spesso accompagnati da un linguaggio triviale ed offensivo; i testi escussi avrebbero descritto l'attitudine alla menzogna ed il distacco dalla realta' della persona offesa la quale, confondendo fantasia e realta', sarebbe portata a sentirsi perseguitata e ad accusare gli altri di condotte a lei addebitabili. I giudici di appello non avrebbero adeguatamente affrontato tali tematiche limitandosi a dubitare della credibilita' delle dichiarazioni dei testi della difesa con argomentazioni generiche ed apodittiche. 6.2. La Corte territoriale avrebbe, inoltre, riportato in modo parziale le dichiarazioni del teste (OMISSIS) e sminuito il comportamento aggressivo della (OMISSIS) desumibile dal contenuto dei messaggi vocali inviati al ricorrente. 7. Il ricorrente lamenta, con il sesto motivo di impugnazione, l'inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., il travisamento della prova e la contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione con riferimento a tutti i reati di cui al capo di imputazione. 7.1 In relazione al reato contestato al capo I) dell'imputazione il ricorrente eccepisce l'inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 628 c.p. nonche' la contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla sussistenza del reato di rapina. A giudizio della difesa, le dichiarazioni convergenti del teste (OMISSIS) e dell'imputato dimostrerebbero che il (OMISSIS) ha agito per tutelare un diritto da lui vantato nei confronti della (OMISSIS) (pagamento della somma spettante al carrozziere che aveva riparato la vettura della donna) e, quindi, esercitando in modo arbitrario le ragioni di credito vantate dal predetto carrozziere. La stessa persona offesa ha, infatti, ammesso che tale debito e' stato saldato successivamente all'episodio del (OMISSIS). Non sussisterebbe, inoltre, l'aggravante dell'utilizzo dell'arma in considerazione dell'inattendibilita' delle dichiarazioni rese sul punto dalla persona offesa la quale non avrebbe fatto menzione del coltello in occasione del primo contatto con le forze dell'ordine. 7.2. Il ricorrente, in relazione ai reati di violenza sessuale di cui ai capi C), D) ed E), lamenta l'inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 609-bis, 609-ter e 609-quater c.p., la contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla sussistenza dei reati di violenza sessuale ed il travisamento dei tabulati telefonici in atti. Le dichiarazioni della persona offesa sarebbero prive di riscontri, in particolare nessun teste avrebbe riferito di aver visto lividi sul corpo della (OMISSIS) il giorno (OMISSIS) ed ili tenore dei messaggi vocali acquisiti escluderebbe che la donna nutrisse paura o timore riverenziale nei confronti del ricorrente. Le intercettazioni telefoniche ed I tabulati telefonici acquisiti dimostrerebbero che il (OMISSIS) non si trovava a casa della (OMISSIS) nel periodo compreso tra le (OMISSIS) e la sera del (OMISSIS), dato che comproverebbe la falsita' delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in ordine allo stupro asseritamente subito in tale data presso la sua abitazione. 7.3. In relazione al reato di lesione di cui al capo L), il ricorrente eccepisce il travisamento del referto di pronto soccorso dell'(OMISSIS), certificato che non fornirebbe, alcun riscontro alle dichiarazioni della (OMISSIS). Dalla lettura del referto non emergerebbe, infatti, che i dolori alla schiena lamentati dalla persona offesa sarebbero stati causati da condotte violente poste in essere dall'imputato. 7.4. In relazione al reato di cui al capo G), il ricorrente lamenta l'inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 612 c.p., la contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla sussistenza del reato di minaccia ed il travisamento dei files audio contenenti i messaggi vocali inviati dall'imputato alla (OMISSIS). A differenza di quanto erroneamente affermato dai giudici di appello, i predetti messaggi non conterrebbero plurime minacce ed anzi dimostrerebbero il tenore provocatorio ed ingiurioso delle frasi pronunciate dalla (OMISSIS). 7.5. In relazione ai reati di cui ai capi A) e B), il ricorrente lamenta l'inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 572 e 61.2-bis c.p., la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine ai motivi di appello ed il travisamento della prova. 7.5.1. Le dichiarazioni rese dalla (OMISSIS), generiche e prive di riscontro, non sarebbero idonee a dimostrare la sistematicita' dei comportamenti volgari, irriguardosi ed umilianti riferiti dalla persona offesa con conseguente insussistenza di un programma criminoso volto a ledere l'integrita' morale della donna. 7.5.2. Le dichiarazioni con le quali la (OMISSIS) riferisce di esser stata minacciata con una pistola in data (OMISSIS) ed aggredita in data (OMISSIS) sarebbero prive di alcun riscontro in considerazione della genericita' del referto di pronto soccorso acquisito e della mancata indicazione di condotte violente da parte della (OMISSIS) nel corso della procedura di accettazione presso il nosocomio. 7.5.3. Le ulteriori condotte di maltrattamento sarebbero smentite dalla lettura dei tabulati telefonici che escluderebbe la presenza del (OMISSIS), presso l'abitazione della (OMISSIS) in data (OMISSIS). 7.5.4. Le condotte poste in essere in data (OMISSIS) sarebbero inidonee a perfezionare alcuna fattispecie criminosa in quanto il danneggiamento del cancello dell'abitazione della persona offesa sarebbe frutto di un errore di manovra da parte dell'imputato. 7.5.5. Le dichiarazioni della (OMISSIS) in ordine alla presunta aggressione del (OMISSIS), oltre ad esser state smentite dal teste (OMISSIS) e dall'imputato, non appaiono credibili in quanto la donna, in un primo momento, avrebbe riferito all'operante (OMISSIS), di non aver subito una vera e propria aggressione e che il (OMISSIS) le aveva solo procurato un graffio nel tentativo di sottrarre il telefono per poi cambiare versione affermando di esser stata aggredita e ferita al collo con un coltello. 7.5.6. Il danneggiamento del (OMISSIS) sarebbe una mera reazione al pregresso danneggiamento della vettura in uso al (OMISSIS) posto in essere dalla (OMISSIS), come dimostrato dalla volonta' manifestata dall'imputato di risarcire il danno, proposta rifiutata dalla persona offesa che si sarebbe determinata a sporgere denuncia per ottenere il ristoro dei danni da parte della compagnia assicuratrice. 7.5.7. Il danneggiamento del 8 febbraio 2020 sarebbe privo di adeguata dimostrazione in considerazione dell'assenza di riscontri alle inattendibili dichiarazioni della persona offesa e della maggior credibilita' di quanto affermato sul punto dall'imputato (il vetro sarebbe stato infranto da un oggetto lanciato dalla (OMISSIS)). 7.5.8. Il danneggiamento dell'11 febbraio 2020 sarebbe fondato esclusivamente sulle inattendibili affermazioni della (OMISSIS) che sono state smentite da quanto dichiarato sul punto dal (OMISSIS). 7.5.9. La difesa ha evidenziato che appare illogico che l'imputato in data 18 febbraio 2020 abbia inviato alla (OMISSIS) messaggi via whatsapp di contenuto offensivo e minatorio, avendo il (OMISSIS) gia' iniziato una nuova relazione sentimentale e non avendo, pertanto, alcun motivo di ulteriore astio nei confronti della donna. 7.5.10. Le dichiarazioni della (OMISSIS) sarebbero del tutto inattendibili e prive i riscontri in ordine al reato di staiking; le condotte persecutorie, peraltro, sarebbero state poste in essere prima del febbraio del 2020 e', quindi, in data anteriore alla cessazione del rapporto di convivenza tra le parti, mentre le residue condotte poste in essere dal ricorrente (invio di messaggi a mezzo telefono) non sarebbero idonee a perfezionare l'elemento materiale del reato di cui all'articolo 612-bis c.p.. 8. Il ricorrente lamenta, con il settimo motivo di impugnazione, l'inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 62-bis c.p. e la mancanza ed illogicita' della motivazione in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La motivazione sarebbe carente in ordine alla mancata considerazione degli elementi favorevoli alla concessione delle attenuanti generiche espressamente indicati nell'atto di appello (comportamento processuale corretto e collaborativo e confessione del reato di cui al capo H) dell'imputazione). La pena sarebbe stata determina in misura superiore al minimo edittale in assenza di adeguata motivazione in ordine alle ragioni di tale scelta. 9. In data (OMISSIS) il difensore del ricorrente ha depositato conclusioni scritte con le quali ha insistito nell'accoglimento dei motivi di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile per le ragioni di seguito esposte. 1. Deve premettersi che la sentenza di appello oggetto di ricorso e quella di primo grado sono, quanto alle statuizioni oggetto di ricorso, conformi, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente, costituendo un unico corpo decisionale ed essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza di appello a quella del Tribunale, sia l'ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595, Sez 2, n. 6560 del 08/10/2020, Capozio, Rv. 280654 - 01). E', infatti, giurisprudenza pacifica di questa Corte che la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi sia difformita' sui punti denunciati, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entita' logico- giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruita' della motivazione, integrando e completando cori quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella di appello (Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062, in motivazione; Sez, 2, n. 29007 del 09/10/2020, Casamonica, non massimata). 2. Tenuto conto della peculiare modalita' di redazione del ricorso, che ha sostanzialmente riprodotto il contenuto dei motivi di appello, si rende opportuno premettere, inoltre, che la funzione tipica dell'impugnazione e' quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce; tale revisione critica si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilita', debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale del ricorso in cassazione e', pertanto, il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento oggetto di impugnazione: il motivo di ricorso in cassazione e', infatti, caratterizzato da una duplice specificita', dovendo contenere l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell'impugnazione e contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, deducendo, in modo analitico, le ragioni della sua decisivita' rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, si' da condurre a decisione differente (per tutte, Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521 - 01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 - 01). La mancanza di specificita' del motivo va conseguentemente valutata e ritenuta non solo per la sua indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non puo' ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificita' (in tal senso Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425; da ultimo Sez. 2, n. 45958 del 21/10/2022, Bocchino, non massimata). Risulta, pertanto, di chiara evidenza che se il ricorso si limita a riprodurre il motivo di appello, per cio' solo si destina all'inammissibilita', venendo meno in radice l'unica funzione per la quale e' previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento impugnato, lungi dall'essere destinatario di specifica critica argomentata, e' di fatto del tutto ignorato. 3. Cio' premesso, e' possibile passare all'esame dei singoli motivi di ricorso. 4. Il primo motivo di ricorso e' manifestamente infondato. 4.1. La Corte di appello ha adeguatamente illustrato le ragioni della superfluita' delle prove di cui il ricorrente chiede l'assunzione alla luce della chiarezza del quadro probatorio gia' formatosi e della ritenuta attendibilita' della persona offesa (vedi pagg. 17 e 24 della sentenza di appello); tale decisione non e' sindacabile in sede di legittimita' in quanto fondata su motivazione coerente con le risultanze processuali, priva di illogicita' manifeste e valutazioni incongrue in ordine alla ricostruzione della vicenda in esame. 4.2. Cio' posto, va ricordato che, secondo la costante elaborazione della giurisprudenza di legittimita', anche a Sezioni Unite, la rinnovazione nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, e' un istituto di carattere eccezionale al quale puo' farsi ricorso esclusivamente allorche' il giudice ritenga, nella sua discrezionalita', di non poter decidere allo stato degli atti (vedi Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820 - 01; Sez. 3, n. 34626 del 15/07/2022, Grosso, Rv. 283522 01). Di conseguenza, va ribadito che il sindacato che il giudice di legittimita' puo' esercitare in relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato dal giudice d'appello sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento non puo' mai essere svolto sulla concreta rilevanza dell'atto o della testimonianza da acquisire, ma deve esaurirsi nell'ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (Sez. 3, n. 7680 del 13/01/2017, Loda, Rv. 269373-01, Sez. 5, n. 46074 del 15/11/2022, Natale, non massimata). 5. Il terzo motivo di ricorso e' manifestamente infondato. I giudici di merito hanno fatto corretto uso del principio di diritto secondo cui l'obbligo di accertamento dell'idoneita' a testimoniare non scaturisce da qualsivoglia comportamento contraddittorio, inattendibile o immemore del teste, ma sussiste soltanto in presenza di una situazione di abnorme incapacita' di comprensione delle domande e di adeguamento delle risposte ovvero di una patologica carenza della memoria autobiografica che impedisca al teste di riferire eventi passati di riferirne con verita' e completezza. (vedi Sez. 1, n. 6969 del 12/09/2017, S. Rv. 272605 - 01; Sez. 2, n. 3161 del 11/12/2012, dep. 2013, F., Rv. 254537). I giudici di appello hanno correttamente ritenuto l'insussistenza di tali anomalie cognitive e la piena attendibilita' della persona offesa con un percorso argomentativo coerente con le risultanze processuali e privo di illogicita' della motivazione, percorso che non puo' certo essere disarticolato dalla affermazione difensiva secondo cui l'idoneita' a testimoniare della (OMISSIS) sarebbe minata dall'uso di psicofarmaci e sostanze stupefacenti, in considerazione della natura meramente congetturale e apodittica dell'ipotesi difensiva. 6. Il secondo, quarto e quinto motivo di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente in quanto inerenti alla valutazione dell'attendibilita' della persona offesa, sono aspecifici e non consentiti in sede di legittimita' in quanto meramente reiterativi di censure fattuali, gia' adeguatamente vagliate e disattese dalla Corte territoriale con argomentazioni esaustive ed articolate. 6.1. La versione dei fatti offerta dalla (OMISSIS), risulta essere stata valutata dai giudici di merito in maniera logica, congrua e lineare, anche in considerazione della portata dei rimanenti elementi di prova che non hanno evidenziato alcun profilo di contrasto significativo con le dichiarazioni rese dalla persona offesa ne' alcun interesse all'accusa da parte della querelante (vedi pagine da 31 a 34 della sentenza di primo grado e pagina 17 a pagina 21 della sentenza impugnata). L'iter argomentativo appare esente da vizi logici, fondandosi su di una compiuta e logica analisi critica delle dichiarazioni della (OMISSIS) in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilita' logica e giuridica l'attribuzione a detti elementi del requisito della gravita', univocita' e coerenza, in quanto conducenti all'affermazione di piena credibilita' delle asserzioni della persona offesa. 6.2. Peraltro, i giudici di merito, quanto alla genuinita' del racconto, hanno affermato che le modalita' di emersione dei fatti non sono certamente riconducibili a intenti calunniatori o di etero-induzione, in considerazione della carenza di elementi da cui desumere che la persona offesa abbia alterato il narrato al fine di sostenere un'accusa di natura calunniatoria. Sul punto, inoltre, i giudici di merito hanno precisato c:ome le dichiarazioni della persona offesa sano apparse pienamente attendibili valorizzando la spontaneita' del racconto all'esito di un lungo periodo di sofferenze, il progressivo disvelamento dei fatti avvenuto al culmine della sopportazione di un rapporto di grave prevaricazione, il persistente timore per le condotte del (OMISSIS) e la mancata espressione di intenti vendicativi o sentimenti di rivalsa, circostanze fortemente indiziarie della veridicita' de fatti (pagg. 33 e 34 della sentenza di primo grado e pag. 17 della sentenza impugnata). Il ricorrente oblitera le argomentazioni dei giudici di merito in ordine alla completezza ed attendibilita' delle propalazioni accusatorie della persona offesa, senza confrontarsi adeguatamente con il percorso argomentativo seguito nelle due sentenze in proposito conformi e proponendo una versione alternativa dei fatti non perseguibile in sede di legittimita'. 6.3. La doglianza con la quale la difesa eccepisce la mutevolezza ed il progressivo ingigantimento degli accadimenti nel corso del tempo, non tiene conto dei canoni logici da tempo riconosciuti dalla giurisprudenza di legittimita' inerenti al funzionamento della memoria autobiografica e della conseguente rivelazione dei fatti da parte della vittima di crimini violenti; e' stato, in particolare, affermato che con il processo di maturazione legato alla distanza temporale progressivamente acquisita dagli eventi traumatici, il riaffiorare di ricordi diventa piu' dettagliato e circostanziato; il tratto specifico del dato dichiarativo proveniente dalla persona offesa traumatizzata e' proprio la dichiarazione per stadi successivi, che ripercorre e visualizza anche il percorso interiore di affidamento della vittima alla giurisdizione (Sez. 3, n. 6710 del 18/12/2020, F., Rv. 281005 - 02). Di conseguenza, il solo fatto che le successive dichiarazioni rese dalla persona offesa presentino fra loro divergenze e discrasie (la difesa ha, in particolare, evidenziato che la (OMISSIS) avrebbe dapprima riferito agli operanti intervenuti il (OMISSIS) che i tagli al collo riscontrati dai militari erano conseguenza dei graffi del (OMISSIS), per poi precisare che l'imputato l'aveva graffiata con un coltello) non e' elemento di per se' idoneo a mettere in dubbio l'attendibilita' intrinseca della persona offesa, quando queste attengano ad elementi di natura circostanziale e venga adeguatamente verificata la concordanza sul nucleo essenziale del narrato. 6.4. Nel caso di specie i giudici di appello hanno coerentemente ritenuto la piena attendibilita' delle dichiarazioni della (OMISSIS), in ordine al nucleo essenziale del thema probandum, non assumendo alcuna decisivita' le parziali omissioni o contraddizioni lamentate dalla difesa. La Corte territoriale, con percorso argomentativo privo di illogicita', ha ritenuto che il silenzio tenuto dalla donna in ordine all'utilizzo di psicofarmaci e sostanze stupefacenti, oltre ad essere irrilevante al fine dell'accertamento della veridicita' delle accuse avanzate nei confronti del ricorrente, appare frutto della comprensibile "ritrosia a svelare situazioni che si reputano strettamente personali" (vedi pag. 18 della sentenza impugnata), affermazione che appare coerente con le risultanze processuali ed, in particolare, con il vissuto traumatico emersa nel corso delle escussioni della (OMISSIS), nonche' logica espressione di una condivisibile massima di esperienza. 6.5. Deve essere, inoltre, ribadito che le Sezioni Unite hanno affermato che "la valutazione della credibilita' della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non puo' essere rivalutata in sede di legittimita', salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni" (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214; Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609-01), circostanza, quest'ultima, non ravvisabile nel caso di specie in quanto il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale non presenta contraddizioni manifeste ed e' stato effettuato con argomentazioni coerenti e prive di vizi logico-giuridici. La testimonianza della persona offesa, al pari di qualsiasi altra testimonianza, e' sorretta da una presunzione di veridicita' secondo la quale il giudice, pur essendo tenuto a valutarne criticamente il contenuto, verificandone l'attendibilita', non puo' assumere come base del proprio convincimento l'ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso, salvo che sussistano specifici elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere, in assenza dei quali egli deve presumere che il dichiarante, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza (vedi Sez. 6, n. 3041 del 03/10/2017, Giro, Rv. 272152 - 01). Nel caso di specie il ricorrente si e' limitato ad affermare,, in proposito, che la (OMISSIS), sarebbe portata, a causa dei suoi problemi psicologici, a sentirsi perseguitata e ad accusare gli altri di condotte inesistenti e che le rivelazioni fatte dalla persona offesa ai soggetti che sono stati escussi come testi a riscontro sarebbero frutto di una strategia della (OMISSIS) volta a precostituirsi un "supporto di attendibilita'"7 affermazioni del tutto apodittiche e prive di alcun supporto logico-indiziario e, pertanto, del tutto inidonee a disarticolare il percorso argomentativo seguito dai giudici di merito per affermare l'attendibilita' della dichiarante. 6.6. L'impostazione della motivazione e' rispettosa della giurisprudenza di questa Corte secondo cui le dichiarazioni della parte offesa possono essere legittimamente poste da sole a base dell'affermazione di penale responsabilita', previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita' soggettiva e dell'attendibilita' intrinseca del racconto, con un vaglio dell'attendibilita' del dichiarante piu' penetrante e rigoroso rispetto a quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, di talche' tale deposizione puo' essere assunta da sola come fonte di prova unicamente se venga sottoposta a detto riscontro di credibilita' oggettiva e soggettiva (Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312-01; Sez. 2, n. 41751 del 04/07/2018, Capraro, Rv. 274489-01). 6.7. Tuttavia -ed e' proprio quello che i giudici di merito hanno fatto, a differenza di quanto apoditticamente affermato dalla difesa - puo' essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, percio', portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilita' dell'imputato (Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, Ciotti, Rv. 279070 - 01; Sez. 2, n. 43552 del 14/09/2022, Manduzio, non massimata). I giudici di merito, con motivazione esaustiva, articolata e fondata in modo logico sulle risultanze istruttorie, hanno indicato e adeguatamente valutato le ulteriori e plurime prove dichiarative e documentali (dichiarazioni rese dai testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la documentazione sanitaria relativa alle lesioni subite dalla persona offesa, i tabulati telefonici, le ritrazioni fotografiche, i verbali di sequestro, le trascrizioni dei messaggi vocali e scritti intercorsi tra l'imputato e la persona offesa) che hanno fornito pieno riscontro alle dichiarazioni accusatorie della (OMISSIS) (vedi pagine da 34 a 40 della sentenza di primo grado e pagine 4 e 5 della sentenza di appello). 6.8. Va, in proposito, ricordato che non e' compito del, giudice di legittimita' stabilire se la decisione di merito proponga o meno la migliore ricostruzione dei fatti ne' condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia, come nel caso di specie, compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilita' di apprezzamento. La Corte di Cassazione, che e' giudice della motivazione e dell'osservanza della legge, non puo', infatti, divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio, riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l'apprezzamento della logicita' della motivazione (vedi Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, Perelli, dep. 2021, Rv. 280601 - 01; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747 - 01). 6.9. Destituita di fondamento e' anche la censura secondo cui la motivazione sarebbe apodittica in ordine alla ritenuta inattendibilita' dell'imputato e dei testi di difesa. I giudici di appello, con motivazione non connotata da illogicita' manifeste, hanno ritenuto che le dichiarazioni rese dai testi della difesa non hanno scalfito l'attendibilita' della persona offesa in considerazione della genericita' ed irrilevanza delle deposizioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS) e della sostanziale inattendibilita' delle propalazioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS) e dell'imputato. In particolare, le dichiarazioni del (OMISSIS) e del (OMISSIS), secondo la ricostruzione dei giudici di merito, hanno trovato smentita nelle altre fonti di prova raccolte nel corso dell'istruttoria e non sono nemmeno del tutto convergenti tra loro (vedi pagg. 19 e 20 della sentenza di primo grado e pagg. 30, 31, 39 e 40 della sentenza impugnata). La complessiva ricostruzione del materiale probatorio esposta in motivazione e la conseguente valutazione di inattendibilita' dei testi di difesa cui sono pervenuti i giudici di appello, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalita', e' fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorieta' o di manifesta illogicita' e percio' insindacabili in questa sede. Il ricorrente, limitandosi ad affermare la carenza della motivazione sul punto, non si e' confrontato con le argomentazioni della Corte di merito con conseguente aspecificita' della censura. 6.10. Le doglianze con le quali il ricorrente afferma che la Corte territoriale avrebbe ignorato, senza indicarne le ragioni, la documentazione prodotta dalla difesa, travisato le dichiarazioni del teste (OMISSIS) e riportato in modo parziale le dichiarazioni del teste REPICI appaiono generiche e manifestamente infondate. Questo Collegio condivide il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita' secondo cui, ai fini della deducibilita' in cassazione del vizio di travisamento della prova che si risolve nella omessa valutazione di una prova esistente agli atti, e' necessario che il ricorrente prospetti la decisivita' dell'omissione nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica in modo da evidenziare come la prova ritenuta contraria avrebbe scardinato ed inficiato il ragionamento del giudice (Sez. 6, n. 36512 del 16/10/2020, Villari, Rv. 280117 - 01, Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085 - 01). Il ricorrente non puo' limitarsi, pertanto, ad addurre l'esistenza di prove non esplicitamente prese in considerazione ovvero non adegual:amente interpretate dal giudicante ma deve, invece, indicare le ragioni per cui l'atto compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilita' all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato, onere di specificazione che e' stato del tutto ignorato dal ricorrente. 7. Il sesto motivo di ricorso e' aspecifico ed articolato esclusivamente in fatto e, quindi, proposto al di fuori dei limiti del giudizio di legittimita', restando estranei ai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti. 7.1. Va sottolineato, in proposito, che secondo la costante giurisprudenza di legittimita', le doglianze relative alla valutazione delle risultanze probatorie, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge e che le stesse possono essere esaminate sotto il profilo del vizio motivazionale esclusivamente quando il vizio dedotto rientri nella carenza assoluta di motivazione (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-04, in motivazione); sostanziale inesistenza non riscontrabile n& caso di specie, alla luce delle esaustive argomentazioni dei giudici di appello (vedi pagg. da ad della sentenza impugnata), in larga parte obliterate dalla difesa, che in sostanza ha reiterato doglianze di puro merito, sollecitanclo un sindacato sulle valutazioni effettuate ed invocando di fatto una inammissibile rilettura atomistica e frazionata delle prove poste a fondamento della decisione impugnata. 7.2. La doglianza con la quale il ricorrente lamenta la mancata riqualificazione del fatto di cui al capo I) e' manifestamente infondata. I giudici di merito hanno ritenuto la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di rapina in considerazione delle attendibili dichiarazioni della persona offesa la quale ha riferito che il (OMISSIS), si e' impossessato della somma di Euro 500,00 che era contenuta nel suo portafoglio, dapprima puntandole un coltello alla gola ed in seguito graffiandole il collo con l'arma e scaraventandola in terra; dichiarazioni che hanno trovato riscontro nel certificato di pronto soccorso attestante la presenza di tre tagli superficiali sulla parte sinistra del collo, nel rinvenimento e sequestro di un coltello nel camion in uso all'imputato, nella documentazione bancaria attestante il prelievo della somma d Euro 500,00 nei giorni immediatamente precedenti all'aggressione, in quanto accertato dall'operante (OMISSIS), al momento dell'arrivo presso l'abitazione della donna (presenza di cocci di piatti e bicchieri in terra e di un evidente graffio sul collo della vittima) ed in quanto riferito dai testimoni oculari (OMISSIS) e (OMISSIS). La Corte territoriale, con percorso sintetico ma privo di illogicita' manifeste, ha ritenuto non credibile la versione dei fatti prospettata dal (OMISSIS) e confermata dal (OMISSIS) secondo cui la donna avrebbe chiesto all'imputato di recarsi a casa sua perche' intimorita dalla possibile presenza di uno sconosciuto per poi consegnargli spontaneamente il denaro necessario per pagare il carrozziere che le aveva riparato la vettura. I giudici di appello hanno, in particolare, rimarcato che non appare comprensibile, per quale motivo la (OMISSIS) avrebbe dovuto chiedere aiuto al ricorrente e non alle forze dell'ordine, aggiungendo che le dichiarazioni del (OMISSIS) e del (OMISSIS) sarebbero del tutto incompatibili con quanto narrato in modo attendibile e coerente dalla persona offesa e prive di fondamento logico (pagg. da 18 a 20 della sentenza di appello). La replica contenuta nel ricorso si limita a negare tali circostanze, contro l'evidenza della loro sussistenza, per come emerge dalle risultanze processuali. La sentenza impugnata ha, in conclusione, correttamente dato seguito al principio di diritto elaborato dalla giurisprudenza di legittimita' che esclude la sussistenza del reato di esercizio delle proprie ragioni laddove non sia dimostrato che la condotta non sia fondata su una legittima pretesa creditoria (cfr. Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, F717.Ch con conseguente manifesta infondatezza della doglianza. L'affermazione difensiva secondo cui non sussisterebbe l'aggravante dell'uso dell'arma in considerazione del fatto che la (OMISSIS) non avrebbe parlato dell'arma nei frangenti immediatamente successivi all'arrivo delle forze dell'ordine si fonda su una ricostruzione fattuale alternativa del tutto apodittica e congetturale, ricostruzione peraltro che non tiene conto di quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimita' in ordine al fenomeno della progressione dichiarativa di cui si e' gia' trattato al paragrafo 6.3. che si intende qui integralmente richiamato. 7.3. In relazione alle doglianze con le quali il ricorrente lamenta il vizio di legge e di motivazione in ordine ai reati di cui ai capi C), D) ed E) e' sufficiente richiamare quanto argomentato nel paragrafo 6 in ordine all'accertata attendibilita' intrinseca ed estrinseca della persona offesa ed alla conseguente idoneita' delle sole dichiarazioni della (OMISSIS) a dimostrare la sussistenza dei reati di violenza sessuale anche in mancanza di riscontri esterni. 7.3.1. L'ulteriore censura con la quale il ricorrente eccepisce il travisamento dei tabulati telefonici e la conseguente insussistenza del reato di cui al capo E) e' aspecifica e manifestamente infondata. La Corte territoriale, con motivazione sintetica ma coerente alle risultanze probatorie, ha ritenuto corretto quanto affermato dal primo giudice in ordine alla compatibilita' tra i dati desumibili dai tabulati telefonici acquisiti e la presenza del (OMISSIS) presso l'abitazione della persona offesa nella notte fra il (OMISSIS). I giudici di merito hanno, in particolare, rilevato che lo stesso imputato nel corso del suo esame ha ammesso che "il 25 ed il 26 dicembre si trovava nell'abitazione della (OMISSIS)", che la stessa persona offesa ha ammesso di non ricordare con precisione se la violenza sessuale sia avvenuta il (OMISSIS) e che in ogni caso, gia' nella notte tra (OMISSIS), l'utenza in uso al ricorrente ha agganciato la cella del Comune di Senago nei pressi del luogo di residenza della (OMISSIS) (vedi pagg 20 e 21 della sentenza impugnata e pag. 25 della sentenza di primo grado). 7.3.2. Il ricorrente limitandosi ad affermare, in modo generico e non autosufficiente il travisamento dei tabulati telefonici, non si e' confrontato con le argomentazioni dei giudici di merito con conseguente aspecificita' della censura. 7.4. L'ulteriore doglianza con la quale il ricorrente afferma che la documentazione sanitaria relativa all'episodio dell'0(OMISSIS) e' inidonea a riscontrare le dichiarazioni della (OMISSIS) e' aspecifica. La difesa non si e' confrontata con quanto affermato dalla Corte di merito per confutare l'identico motivo di appello, in particolare i giudici di appello hanno giustificato la mancata indicazione da parte della persona offesa della causa dei forti dolori alla schiena riportati ai medici del Pronto Soccorso in considerazione del fatto che il (OMISSIS), era presente presso il nosocomio ed era, quindi, in grado di condizionare la volonta' della sua vittima (vedi pag. 21 della sentenza impugnata). Il ricorrente, peraltro, non tiene conto del principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione secondo cui il reato di lesioni personali puo' essere dimostrato, per il principio del libero convincimento del giudice, sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa, di cui sia stata positivamente valutata l'attendibilita', anche in mancanza di un referto medico che riscontri le affermazioni della vittima del reato (vedi Sez. 3, n. 43614 del 19/10/2021, F., Rv. 282088 - 01: Sez. 2, n. 3501 del 15/12/2022, Soukratte, non massimata). 7.5. La censura con la quale il ricorrente lamenta il travisamento dei files audio contenenti i messaggi inviati dall'imputato alla (OMISSIS) e' generica e non consentita in quanto ha ad oggetto un vizio non censurato in sede di appello. Come desumibile dalla lettura dell'atto di impugnazione avverso la sentenza di primo grado, il (OMISSIS), si era limitato ad affermare che i messaggi inviati dal ricorrente dovevano "essere contestualizzati nella circostanza fattuale" e che gli stessi non erano di per se' sufficienti a dimostrare la sussistenza del reato di minaccia di cui al capo L) dell'imputazione (vedi pag. 53 dell'atto di appello). Deve esser ribadito il costante indirizzo della giurisprudenza di legittimita' secondo cui non sono proponibili in cassazione motivi con i quali vengono sollevate per la prima volta questioni che, per non essere state dedotte nei motivi di appello, non potevano essere rilevate dai giudici di secondo grado, per non essere riconducibili nei limiti degli effetti devolutivi prodotti dall'impugnazione (vedi Sez. 1, n. 2378 del 14/11/1983, Guner Cuma, Rv. 163151; Sez. 4, n. 17891 del 30/03/2022, Dattola, non massimata). 7.6. Le censure aventi ad oggetto la violazione degli articoli 572 e 612-bis c.p. ed il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei reati di maltrattamenti e staiking, sono aspecifiche e non consentite in quanto articolate esclusivamente in fatto. 7.6.1. Le doglianze formulate dal ricorrente sono dirette a contestare la ricostruzione del fatto operata dal tessuto motivazionale della sentenza impugnata in termini sovrapponibili a quelli effettuati nella sentenza di primo grado; cio' senza considerare che non appartengono al controllo di legittimita' sulla motivazione la rilettura degli elementi fattuali posti a fondamento della decisione impugnata, il giudizio sulla rilevanza e attendibili1:a' delle fonti di prova e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quellh adottati dal giudice del merito, essendo invece tale controllo circoscritto alla verifica che il provvedimento impugnato contenga l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo sorreggono, che il discorso giustificativo sia effettivo ed idoneo a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata e, infine, che nella motivazione non siano riscontrabili contraddizioni, ne' illogicita' evidenti (vedi Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623-01; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, Perelli, dep. 2021, Rv. 280601 - 01). Il ricorrente chiede di entrare nella valutazione dei fatti e di privilegiare, tra le diverse possibili ricostruzioni, quella a lui piu' favorevole, improntando la propria valutazione del materiale probatorio ad una logica parcellizzata, caratterizzata dall'analisi dei singoli elementi in maniera del tutto avulsa dal contesto, prescindendo dagli evidenti elementi di coerenza palesati e valorizzati nelle sentenze di merito. La difesa, lungi dal proporre un travisamento delle prove, vale a dire una incompatibilita' tra l'apparato motivazionalle del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell'intera motivazione, sostengono in realta' una ipotesi di "travisamento dei fatti" oggetto di analisi, sollecitando un'inammissibile rivalutazione dell'intero materiale istruttorio, rispetto al quale e' stata proposta dalla difesa una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale. 7.6.2. La Corte territoriale, con motivazione priva di illogicita' manifeste e congrua rispetto alle risultanze processuali, che riprende le argomentazioni dal Giudice di primo grado, come e' fisiologico in presenza di una doppia conforme, ha correttamente indicato ed analizzato gli elementi probatori idonei a ritenere provata la penale responsabilita' del (OMISSIS), in ordine a reati di cui agli articoli 572 e 612-bis c.p.. 7.6.3. La Corte territoriale, con motivazione logica e coerente con le risultanze istruttorie, ha affermato che le condotte violente e minatorie poste in essere dal maggio al dicembre 2019 sono idonee a perfezionare il reato di maltrattamenti in famiglia in quanto commesse nel periodo di convivenza tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS) mentre le ulteriore condotte realizzate nel gennaio e febbraio 2020 a seguito dell'interruzione del rapporto di convivenza sono state correttamente fatte rientrare nella fattispecie di cui all'articolo 612-bis c.p. (vedi pagg. da 21 a 24 della sentenza impugnata). Il giudizio di colpevolezza, espresso nella doppia decisione conforme contiene una valutazione globale e completa in ordine a tutti gli elementi rilevanti acquisiti e s'appalesa esente da errori nell'applicazione delle regole della logica come pure da contraddizioni interne tra ii diversi momenti di articolazione del giudizio, sottraendosi di conseguenza a rilievi in questa sede. La replica contenuta nel ricorso si limita a lamentare l'inidoneita' delle condotte descritte dalla persona offesa a perfezionare i reati rubricati senza fornire elementi a sostegno di tale apodittica affermazione con conseguente aspecificita' del motivo di ricorso. 8. Questo Collegio intende, peraltro, dare seguito all'univoco orientamento ermeneutico secondo cui il giudice di appello non e' tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di tutte le risultanze processuali, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata; in sede di legittimita' non e', di conseguenza, censurabile la sentenza, per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame, quando questa risulta disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio previsto dall'articolo 606 c.p.p.,, comma 1, lettera e), che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della prospettazione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (Sez. 2, n. 35817 del:1.0/07/2019, Sirica, Rv. 276741; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, Curro', Rv. 275500). 9. Il settimo motivo di ricorso e' aspecifico e non consentito in quanto mira ad una nuova valutazione della congruita' del trattamento sanzionatorio la cui determinazione, sorretta da sufficiente motivazione, non e' stata frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (vedi Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro ed altro, Rv. 271243 Sez. 2, n. 47512 del 03/11/2022, Mannarino, non massimata). 9.1. I giudici di appello hanno correttamente valorizzato, ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche, la gravita' dei fatti, l'intensa capacita' criminale del ricorrente desumibile dagli innumerevoli precedenti penali e la mancanza di resipiscenza (vedi pag. 25 della sentenza impugnata). Deve esser ribadito il principio affermato da questa Corte secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che, come nel caso di specie, la motivazione faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, Bianchi, Rv. 282693 - 01; Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 - 02). 9.2. In relazione alla doglianza con il quale il ricorrente lamenta la determinazione della pena base in misura superiore al minimo edittale, va osservato che la Corte territoriale ha adeguatamente individuato una pena base di poco superiore al minimo edittale in ragione della gravita' dei fatti e della capacita' a delinquere dell'imputato desumibile dai precedenti penali e dalla pervicacia dimostrata nel tempo (pag. 25), elementi con i quali il ricorso ha omesso di confrontarsi Il Collegio ribadisce, peraltro, il consolidato orientamento di questa Corte in materia di oneri motivazionali correlati alla definizione del trattamento sanzionatorio, secondo il quale la determinazione della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicche' l'obbligo di una motivazione rafforzata sussiste solo allorche' la pena si discosti significativamente dal minimo edittale, mentre, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media, e' sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'articolo 133 c.p. (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288 - 01; Sez. 5, n. 47783 del 27/10/2022, Haddi, non massimata). 10. All'inammissibilita' del ricorso segue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonche', ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita', al pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro tremila, cosi' equitativamente fissata. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VILLONI Orlando - Presidente Dott. PACILLI Giuseppina A. - Consigliere Dott. RADDUSA P. Benedetto - Consigliere Dott. DI NICOLA T. Paola - Consigliere Dott. DI GIOVINE Ombretta - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 17 giugno 2022 della Corte di appello di Bari; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; sentita la relazione svolta dalla Consigliera Paola Di Nicola Travaglini; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Raffaele Gargiulo, che ha chiesto di dichiarare il ricorso inammissibile; lette le conclusioni dell'Avvocato (OMISSIS), per la costituita parte civile (OMISSIS), che ha chiesto di dichiarare il ricorso inammissibile con condanna del ricorrente alle spese come da nota allegata; letta la memoria depositata dall'avvocato (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS), con cui ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Bari ha confermato la condanna del Tribunale di Trani nei confronti (OMISSIS) per il delitto di cui all'articolo 572 c.p. commesso ai danni della moglie, (OMISSIS), dal (OMISSIS) data dell'ultima denuncia. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso l'imputato, con atto sottoscritto dal difensore, deducendo i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge per nullita' del decreto di giudizio immediato, qualificato erroneamente come "immediato custodiale" sull'erroneo presupposto dell'avvenuta definizione del procedimento di cui all'articolo 309 c.p.p., con esplicita disapplicazione dell'evidenza probatoria. Sebbene detta nullita' sia relativa, ex articolo 183, comma 1, lettera a) c.p.p., essa aveva condizionato la strategia difensiva dell'imputato e l'esercizio compiuto del suo diritto di difesa nello svolgimento del processo, rendendo errata l'argomentazione utilizzata dalla Corte distrettuale secondo cui la richiesta del pubblico ministero fosse fondata su entrambe le ipotesi di cui all'articolo 453 c.p.p.. 2.2. Violazione di legge in relazione all'articolo 572 c.p. in quanto i giudici di merito avevano erroneamente ritenuto le condotte maltrattanti consumate sino al 10 agosto 2020, con conseguente applicazione dell'aggravamento sanzionatorio avvenuto con la L. n. 69 del 2019, sebbene andasse applicato il precedente regime, piu' favorevole, in quanto a partire dall'ottobre 2018 (OMISSIS) era stato detenuto, con interruzione della convivenza, cosicche' le lettere minatorie inviate dal carcere non potevano ritenersi la prosecuzione del maltrattamento ma autonoma fattispecie di reato. 3. Il giudizio di cassazione si e' svolto con trattazione scritta, ai sensi dell'articolo 23, comma 8, di. n. 137 del 2020, convertito dalla L. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta nei termini di discussione orale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.II ricorso e' inammissibile. 2. Il primo motivo e' reiterativo. La Corte di appello di Bari, con argomenti completi e coerenti, ha rigettato l'eccezione difensiva secondo cui il decreto citi giudizio immediato, emesso dal Giudice per le indagini preliminari in data 29 ottobre 2020, fosse nullo per avere erroneamente qualificato il giudizio come "immediato custodiale" nonostante il procedimento davanti al Tribunale del Riesame non si fosse concluso. Al contrario dagli atti, allegati dallo stesso ricorrente, risulta che il pubblico ministero aveva richiesto il giudizio immediato, sia ordinario che cautelare, e il Giudice per le indagini preliminari aveva emesso il decreto in relazione ad entrambe le ipotesi previste dall'articolo 453 c.p.p. cosicche' l'eccezione e stata correttamente rigettata dalla Corte di appello, non risultando, peraltro, in quali termini e in quale modo la diversa qualificazione del tipo di giudizio immediato avesse violato, nella specie, il diritto di difesa, richiamato in termini apodittici, e come avesse condizionato la strategia difensiva dell'imputato. 2. Il secondo motivo di ricorso e' manifestamente infondato. Le sentenze di merito hanno correttamente ritenuto che le gravi condotte maltrattanti di (OMISSIS) nei confronti della moglie, alla presenza dei figli, si fossero protratte nell'arco di 10 anni e sino al 10 agosto 2020 data dell'ultima denuncia, senza isolare ed escludere dalla loro abituale protrazione le minacce perpetrate con le lettere minatorie che il ricorrente, detenuto a partire dall'ottobre 2018, aveva inviato dal carcere alla persona offesa da cui era separato. Il ricorso non si misura con il testo dell'articolo 572 c.p. che pone la questione dell'accertamento della convivenza solo per soggetti che non siano qualificabili come familiari. In adesione alla giurisprudenza piu' recente di questa Corte, oltre che al dato normativo, si ritiene che quando le azioni vessatorie, fisiche o psicologiche, nei confronti del coniuge siano sorte nell'ambito domestico e proseguano nonostante la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare si configura il solo reato di maltrattamenti, in quanto con il matrimonio (o con l'unione civile) la persona resta comunque "familiare", presupposto applicativo dell'articolo 572 c.p.. La separazione coniugale, infatti, da un lato e' una condizione che incide soltanto sull'assetto concreto delle condizioni di vita, ma non sullo status acquisito; dall'altro dispensa dagli obblighi di convivenza e fedelta', ma lascia integri quelli discendenti dall'articolo 143, comma 2, c.c. (reciproco rispetto, assistenza morale e materiale oltre che di collaborazione) cosicche' il coniuge separato resta "persona della famiglia" come peraltro si evince anche dalla lettura dell'articolo 570 c.p. (Sez. 6, n. 45400 del 30/09/2022, R., Rv. 284020). A questo dato formale se ne aggiunge uno di comune esperienza, fatto proprio dalle Convenzioni internazionali, secondo cui la violenza domestica tra coniugi, fondata su motivi di genere, spesso continua e si aggrava proprio con la scelta della persona offesa di interromperla attraverso la separazione, che costituisce atto di affermazione di autonomia e liberta' della donna, negate nella relazione di coppia dall'uomo maltrattante (in questi termini § 42 della Relazione esplicativa della Convenzione di Istanbul, Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica dell'11 maggio 2011, ratificata con la L. 27 giugno 2013, n. 77). L'interpretazione costante di questa Corte, secondo cui le condotte violente, psicologiche e/o fisiche, consumatesi in fase di separazione tra coniugi vanno qualificate ai sensi dell'articolo 572 c.p. e' ulteriormente rafforzata quando si condivida un rapporto genitoriale poiche', in situazioni di pregressa violenza domestica, sono proprio i figli a costituire per l'agente l'occasione o lo strumento per proseguire i maltrattamenti ai danni della persona offesa. Nel caso in esame, infatti, le condotte contestate a (OMISSIS) risultano consumate, nella gran parte, davanti ai bambini che messi in vere e proprie condizioni di pericolo per la sua plateale e rivendicata tossicodipendenza che consentiva loro di venire a diretto contatto con lo stupefacente (a pag. 2 della sentenza di primo grado si legge infatti che all'intera famiglia era precluso l'utilizzo della cucina in cui l'uomo provvedeva al consumo e al confezionamento della droga anche con altri), sono stati utilizzati dal padre come mero strumento di prosecuzione delle condotte violente, minacciose e persecutorie nei confronti di (OMISSIS) a cui veniva rappresentato di continuo che se non si fosse adeguata ai suoi voleri - tra cui non separarsi - li avrebbe rapiti. 3. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo. Il ricorrente deve essere condannato anche al pagamento delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado di giudzio dalla parte civile (OMISSIS), che liquida in Euro 3686,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, il ricorrente al pagamento' delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalla parte civile a (OMISSIS), che liquida in Euro 3686,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CALVANESE Ersilia - Presidente Dott. DE AMICIS Gaetano - Consigliere Dott. DI NICOLA T. Paola - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - rel. Consigliere Dott. DI GIOVINE Ombretta - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata in (OMISSIS); avverso la sentenza emessa il 5/12/2022 dalla Corte di appello di Ancona; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa LORI Perla, che ha chiesto l'annullamento con rinvio; udito l'avvocato (OMISSIS), in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS), il quale conclude per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Ancona accoglieva la richiesta di estradizione avanzata dall'autorita' giudiziaria cinese nei confronti di (OMISSIS), in relazione al reato di "assorbimento illecito di depositi pubblici", previsto dall'articolo 176 della legge penale cinese. In particolare, alla ricorrente si contesta di aver gestito una piattaforma digitale mediante la quale veniva realizzata attivita' di raccolta del risparmio e concessione di finanziamenti, in assenza di autorizzazione, nonche' di essersi appropriata di una cospicua somma di cui era venuta in possesso per effetto dei versamenti dei finanziatori privati. 2. Avverso tale sentenza, la ricorrente ha formulato quattro motivi di ricorso. 2.1. Con il primo motivo, deduce la violazione della L. 24 settembre 2015, n. 161, articolo 2, comma 1, lettera a), con la quale e' stata data attuazione al trattato di estradizione con la Repubblica popolare cinese. La richiamata norma prevede l'estradizione verso la Cina nei casi in cui sussista il principio della doppia incriminazione, a condizione che si tratti di reati puniti con la reclusione. Si assume che il reato contestato nei confronti della ricorrente corrisponderebbe alla fattispecie prevista dal Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385, articolo 130, norma che sanziona l'abusiva attivita' di raccolta del risparmio con una contravvenzione, punita con l'arresto da sei mesi a tre anni e con l'ammenda. 2.2. Con il secondo motivo, deduce la violazione della L. n. 161 del 2015, articolo 3, comma 1, lettera g), sul presupposto che la pena in concreto irrogabile non sarebbe determinata nel massimo, il che confliggerebbe con i principi di predeterminazione della sanzione. A supporto di tale assunto, nel ricorso si richiama il parere legale reso da un avvocato cinese, il quale attesterebbe l'intervenuta modifica normativa dell'articolo 176 della legge penale estera, in base al quale, nel caso di particolare gravita' della condotta, la norma prevederebbe il solo limite del minimo edittale (pari a tre anni di reclusione), non fissando alcun limite per la pena massima. Si segnala che nella comunicazione aggiuntiva inviata dall'autorita' cinese non si riconosce, ma neppure si nega, l'esistenza della modifica normativa intervenuta nel 2021 che avrebbe determinato l'eliminazione del limite alla pena massima edittale. Peraltro, la deduzione difensiva sarebbe stata contraddittoriamente superata dalla Corte di appello, facendo affidamento sulla mera conferma dei limiti edittali comunicata dallo Stato richiedente in ordine al reato ipotizzato, senza che sia stata fornita alcuna rassicurazione circa la pena applicabile nel caso in cui si ritenga sussistente il reato di truffa o di appropriazione indebita, che la stessa Corte di appello ritiene contemplati nella descrizione della condotta. 2.3. Con il terzo motivo, si deduce violazione della L. n. 161 del 2015, articolo 3, lettera f), in relazione al mancato riconoscimento della fondatezza del rischio di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti. A supporto di tale doglianza, nel ricorso si richiamano plurime fonti internazionali, gia' portate a conoscenza della Corte di appello di Ancona e da quest'ultima ritenute inidonee a superare le generiche rassicurazioni provenienti dall'autorita' cinese. Inoltre, si richiama la sentenza resa dalla Corte EDU, sul ricorso Liu c. Polonia, del 6 ottobre 2022 che, pronunciando con riferimento alle condizioni di detenzione e, piu' in generale, al rispetto dei diritti di difesa vigenti in Cina, ha sostanzialmente affermato la perdurante sottoposizione dei detenuti a trattamenti inumani e degradanti, con il ricorso abituale a mezzi di tortura, anche finalizzati ad ottenere la confessione. La Corte EDU ha anche sindacato la scarsa affidabilita' delle informazioni provenienti dall'autorita' cinese, in assenza di effettive possibilita' di controllo circa le condizioni di detenzione e di idonei strumenti giurisdizionali volti a garantire tutela ai detenuti. 2.4. Con il quarto motivo, infine, si deduce violazione della L. n. 161 del 2015, articolo 3, comma 1, lettera b), concernente il rischio di un trattamento deteriore in considerazione delle opinioni politiche pubblicamente esposte dalla ricorrente e aventi ad oggetto le repressioni in atto nella regione di Hong Kong. Nel ricorso si richiamano plurimi commenti inviati da un account Twitter riconducibile alla ricorrente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato. 2. Il secondo motivo di ricorso e' fondato ed assorbente rispetto alle ulteriori doglianze. Il ricorso si incentra sulla ritenuta sussistenza di un rischio concreto di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti nel caso in cui la ricorrente fosse consegnata e sottoposta al regime detentivo in Cina. Le ragioni addotte dalla ricorrente si fondano anche sulle condizioni di detenzione subite dal fratello e da quest'ultimo riferite con una nota acquisita al giudizio, nella quale si riferisce di una detenzione disposta illegalmente e, in concreto, finalizzata ad indurre la sorella a far rientro in Cina. Ma gli elementi di maggior consistenza sono costituiti dalle fonti internazionali e dalla recente sentenza resa dalla Corte EDU nel procedimento Liu c. Polonia. Ritiene la Corte che le argomentazioni contenute in quest'ultima pronuncia siano pienamente valide anche nel procedimento in esame, stante la loro portata generale e non limitata all'esame dello specifico caso rimesso all'attenzione della CEDU. Occorre sottolineare, infatti, che la sentenza in esame riguardava un cittadino cinese indagato per reati ordinari e nei cui confronti non erano rappresentati specifici rischi di discriminazione conseguenti a ragioni di natura personale (motivi politici, minoranze etniche, religione). Ne consegue che le carenze evidenziate dalla Corte EDU in ordine al rispetto dei diritti umani hanno una valenza sistemica e, quindi, valevoli anche nei confronti di altri soggetti di cui si richieda l'estradizione in Cina. 2.1. Ripercorrendo, in estrema sintesi, il contenuto della pronuncia CEDU, devono essere richiamati i seguenti elementi di valutazione: nelle osservazioni conclusive del Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura sulla Cina del 12 dicembre 2008 si dava atto che, nonostante gli sforzi dello Stato parte per affrontare la pratica della tortura e i problemi correlati nel sistema giudiziario penale, il Comitato rimane profondamente preoccupato per le continue accuse, corroborate da numerose fonti legali cinesi, di un uso abituale e diffuso della tortura e dei maltrattamenti nei confronti dei sospetti in custodia di polizia, soprattutto per estorcere confessioni o informazioni da utilizzare nei procedimenti penali; inoltre, veniva riscontrata la mancata introduzione di un divieto esplicito in ordine al ricorso a mezzi di tortura ed il continuo affidamento alle confessioni come forma comune di prova per l'accusa; le osservazioni conclusive del medesimo Comitato, del 3 febbraio 2016, pur attestando alcune modifiche normative, confermavano un giudizio complessivamente negativo, richiamando i continui rapporti che indicano come la pratica della tortura e dei maltrattamenti sia ancora profondamente radicata nel sistema di giustizia penale, che si basa eccessivamente sulle confessioni come base per le condanne, peraltro in assenza di adeguati controlli da parte del potere giurisdizionale in ordine all'attivita' svolta nel corso delle indagini da parte della pubblica sicurezza; il quadro complessivo emergente dalle informazioni ricevute dalle autorita' cinese doveva ritenersi sostanzialmente inaffidabile, sia in quanto non venivano messi a disposizione una quantita' rilevante di dati richiesti, sia perche' molte delle condotte poste in essere dall'autorita' di pubblica sicurezza resterebbero coperte dal segreto di Stato; nel rapporto del Dipartimento di Stato degli Stati Unite del 2018, e' stato confermato che, pur essendo in astratto proibite le condotte di violenza e maltrattamenti ai danni di detenuti, la prevenzione di tali condotte non sarebbe adeguata e si registrerebbero numerosi casi di violazioni dei diritti umani, realizzati sia nei confronti dei detenuti comuni che politici; le condizioni negli istituti di pena risulterebbero, in maniera generalizzata, degradanti e tali da porre in pericolo di vita i detenuti, sottoposti a condizioni di sovraffollamento, scarsa igiene, mancanza di medicine ed assistenza medica; le informazioni sulle strutture di detenzione vengono considerate come coperte da segreto di Stato e non viene consentito un monitoraggio indipendente; - considerazioni sostanzialmente analoghe sono contenute nei rapporti di Amnesty International del 2015, 2016 e 2017, nonche' in quello di Human Rights Watch del 2015; - nel piu' recente rapporto di Freedom House del 2022, si conferma che in Cina continuano a registrarsi gravi violazioni dei diritti umani e che il tasso di condanne e' pari a circa il 98%, essendo tale dato da ricollegare al fatto che i procedimenti spesso si basano su confessioni estorte con la tortura e favorite dal segreto nel quale si svolgono le indagini; anche le condizioni carcerarie non sarebbero migliorate rispetto al passato. Partendo dalle richiamate fonti qualificate, provenienti da organismi internazionali (Onu), da nazionali affidabili (Stati uniti) ed organizzazioni non governative operanti nel settore della tutela dei diritti umani, la Corte EDU, formulando valutazioni che hanno portata generale, ha affermato che: la Cina, pur avendo ratificato la Convenzione contro la tortura, non ha recepito il Protocollo addizionale, sicche' i detenuti che ritengano di aver subito una violazione dei diritti umani non hanno la possibilita' di ricorrere a forme di protezione internazionale indipendente, ne' e' consentito agli organismi internazionali di svolgere un'indagine in loco; la legislazione cinese non offre forme di prevenzione adeguata e, pur registrandosi reiterate e gravi accuse circa l'uso della tortura, non e' possibile compiere alcuna verifica indipendente. In conclusione, la Corte EDU ha affermato che tenuto conto delle dichiarazi,c5ni delle parti e dei rapporti summenzionati pubblicati da vari organismi delle Nazioni Unite e da organizzazioni governative e non governative internazionali e nazionali, deve ritenersi che la misura in cui la tortura e altre forme di maltrattamento sono credibilmente e costantemente segnalate come utilizzate nelle strutture di detenzione e nei penitenziari cinesi, possa essere equiparata all'esistenza di una situazione generale di violenza. A fronte di tali premesse, il richiedente e' esonerato dal dimostrare specifici motivi personali di timore, essendo sufficiente che sia accertato che, al momento dell'estradizione, sara' collocato in un centro di detenzione o in un penitenziario. 2.2. Oltre alle fonti valorizzate nella citata sentenza della Corte EDU, e' opportuno menzionare anche alcune recenti Risoluzioni del Parlamento Europeo, dalle quali emerge come la tutela dei diritti fondamentali e il pericolo di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti nei confronti dei detenuti, continuino a presentare profili di criticita' nei rapporti con la Repubblica cinese. In linea generale, nella Risoluzione del Parlamento Europeo del 16 settembre 2021, si da' atto dell'elusione da parte della Cina degli impegni bilaterali e multilaterali assunti in relazione al rispetto dei diritti umani, sottolineando come la Cina "presenta regolarmente al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite risoluzioni volte a rendere la sovranita', la non interferenza e il rispetto reciproco principi fondamentali e non negoziabili che prevalgono sulla promozione e la tutela dei diritti umani degli individui". Ancor piu' allarmanti sono le considerazioni contenute nella Risoluzione del Parlamento Europeo del 5 maggio 2022 sulle notizie di ripetuti casi di espianto coatto di organi in Cina, nella quale si da' atto di pratiche sicuramente rientranti nel novero dei trattamenti inumani e degradanti poste in essere ai danni di detenuti. Si e' affermato, in particolare, che "la forte dipendenza dai prigionieri giustiziati e viventi come fonte di organi da trapianto comporta un'ampia gamma di inaccettabili violazioni dei diritti umani e dell'etica medica", tant'e' che il Parlamento Europeo "esprime profonda preoccupazione per le segnalazioni relative all'espianto coatto di organi effettuato in modo persistente, sistematico e disumano nonche' avallato dallo Stato ai danni di prigionieri nella Repubblica popolare cinese". In detta Risoluzione, il Parlamento "invita le autorita' cinesi a rispondere prontamente alle accuse di espianto coatto di organi e a consentire un monitoraggio indipendente da parte dei meccanismi internazionali per i diritti umani", al contempo si esprime "preoccupazione per la mancanza di un controllo indipendente in merito al fatto se i prigionieri o i detenuti forniscano un valido consenso alla donazione di organi". 2.3. Sulla base degli elementi sopra indicati, deve rilevarsi in primo luogo come la ricorrente, anche dinanzi alla Corte di appello, avesse richiamato le fonti internazionali attestanti il rischio di sottoposizione a trattamenti disumani o degradanti. Tali fonti non sono state adeguatamente valorizzate dalla Corte di appello che, in buona sostanza, ha fatto affidamento sulle generiche rassicurazioni ricevute dall'autorita' cinese. Per consolidata giurisprudenza, la procedura di consegna presuppone la valutazione della sussistenza di un generale rischio di trattamento disumano o degradante nel Paese richiedente, da compiersi utilizzando elementi oggettivi, attendibili, precisi ed opportunamente aggiornati in merito alle condizioni di detenzione vigenti nello Stato richiedente. Ove risulti verificata la sussistenza di tale rischio, occorre un'indagine mirata, anche attraverso la richiesta di informazioni complementari, al fine di accertare se, nel caso concreto, l'interessato alla consegna sara' sottoposto, o meno, ad un trattamento inumano o degradante (Sez. 6, n. 28822 del 28/6/2016, Diuligher, Rv. 268109). Invero, l'autorita' cinese si e' limitata alla dichiarata esclusione del rischio di trattamenti contrari ai principi costituzionali e convenzionali, senza, tuttavia, specificare nel dettaglio le condizioni di detenzione, ne' fornire adeguate garanzie circa il loro effettivo rispetto. La nota contenente "Materiali aggiuntivi sull'estradizione di (OMISSIS)" si sostanza in un elenco delle previsioni normative che garantiscono l'assistenza difensiva per gli indagati, i diritti riconosciuti ai detenuti, nonche' le sanzioni previste per il caso di sottoposizione a tortura o maltrattamenti, anche finalizzati ad ottenere la confessione. Tuttavia, la mera allegazione dell'esistenza di un corpus normativo astrattamente idoneo a fungere da garanzia avverso il rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti e' di per se' insufficiente in assenza, in concreto, dell'accertata effettivita' di tali forme di tutela e prevenzione. Come chiaramente evidenziato nella richiamata sentenza "Liu" della Corte EDU, cio' che rende scarsamente affidabile il trattamento dei detenuti nella Repubblica cinese non sono le carenze normative, rispetto alle quali si da' atto dei progressi compiuti, quanto l'effettiva osservanza delle stesse e la possibilita' per organi indipendenti ed esterni all'amministrazione di verificare le reali condizioni di detenzione e trattamento. In conclusione, si ritiene che, a fronte di concreti elementi a supporto della problematica condizione dei detenuti nella Repubblica cinese, la risposta dell'autorita' estera alla richiesta di informazioni aggiuntive deve essere tale da fugare qualsivoglia dubbio circa il trattamento dell'estradando, fornendo elementi quanto piu' possibili specifici e circostanziati, nonche' ogni ulteriore garanzia che consenta alla Stato richiesto di superare i dubbi legittimamente derivanti dal quadro emergente dalle richiamate fonti sovrannazionali. Nel caso di specie, l'autorita' richiedente si e' limitata a fornire informazioni generiche che, in buona sostanza, si risolvono in una mera esposizione della normativa vigente, ma che non contengono alcuna garanzia circa l'effettivo rispetto della stessa e, quindi, non costituiscono adeguata garanzia per l'estradando. 3. La giurisprudenza consolidata di questa Corte ha da tempo riconosciuto che la verifica in ordine all'esistenza di violazioni dei diritti umani nel Paese richiedente va condotta anche sulla base di documenti e rapporti elaborati da organizzazioni non governative - quali, ad es., "Amnesty International" e "Human Rights Watch" -, in quanto si tratta di organizzazioni ritenute affidabili sul piano internazionale, secondo quanto affermato anche dalla giurisprudenza della Corte EDU nella sentenza Saadi c. Italia del 28 febbraio 2008 (Sez.6, n. 54467 del 15/11/2016, Resneli, Rv. 268933; Sez.6, n. 22818 del 23/7/2020, Balcan, Rv. 279567). Nel caso di specie, e' emerso da plurime fonti, tutte affidabili e gia' valutate tali dalla Corte EDU nella sentenza Liu c. Polonia, l'esistenza di un elevato rischio di gravi violazioni dei diritti umani all'interno del circuito penitenziario cinese, sussistendo plurimi indici indicativi di un sistematico ricorso a forme di tortura, nonche' una sostanziale impossibilita' per le organizzazioni internazionali di condurre verifiche effettive ed indipendenti volte a verificare le condizioni negli istituti di detenzione. Tali criticita' costituiscono di per se' un motivo ostativo alla consegna, tanto piu' quanto - come avvenuto nel caso di specie - le informazioni integrative provenienti dall'autorita' estera richiedente la consegna sono del tutto generiche. In conclusione, deve affermarsi il principio secondo cui nel caso di estradizione verso la Repubblica Popolare Cinese, deve ritenersi sussistente il rischio concreto di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti (come affermato da Corte EDU Liu c.Polonia del 6/10/2022), in quanto plurime fonti internazionali ed affidabili danno atto di sistematiche violazioni dei diritti umani e del tollerato ricorso a forme di tortura, nonche' della sostanziale impossibilita' da parte di istituzioni e organizzazioni indipendenti di verificare le effettive condizioni nei centri di detenzione. A fronte del quadro complessivo sopra evidenziato, il rischio di sottoposizione a trattamenti incompatibili con il rispetto dei diritti fondamentali non e' escluso per effetto di generiche rassicurazioni fornite dall'Autorita' richiedente, consistenti nella mera indicazione del quadro normativo posto a tutela dei diritti dei detenuti. 4. Alla luce di tali considerazioni, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, dovendosi sottolineare come la Corte di appello - avendo gia' richiesto informazioni aggiuntive ed avendo ottenuto solo generiche rassicurazioni - non potrebbe compiere ulteriori verifiche nel merito idonee a condurre all'accoglimento della richiesta di estradizione. All'annullamento della sentenza che disponeva l'estradizione consegue la cessazione della misura cautelare in atto. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e revoca la misura cautelare in atto, disponendo l'immediata liberazione della ricorrente se non detenuta per altra causa. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 626 c.p.p. e all'articolo 203 disp. att. c.p.p..

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CRISCUOLO Anna - Presidente Dott. DE AMICIS Gaetano - Consigliere Dott. COSTANTINI Antonio - Consigliere Dott. ROSATI Martino - Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza emessa l'11 maggio 2022 dalla Corte di appello di Potenza; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Debora Tripiccione; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Giuseppe Riccardi, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; lette le richieste del difensore della parte civile, avv. (OMISSIS), che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; lette le richieste del difensore dell'imputato, avv. (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Potenza ha rideterminato in anni uno e mesi otto di reclusione la pena inflitta a (OMISSIS) con la sentenza di condanna per i reati di cui agli articoli 81 cpv., 572, 61 n. 11-quinquies c.p. (capo A) e 582, 585, in relazione agli articoli 576, n. 1 e 577 c.p. (capo B). 2. Propone ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS) deducendo due motivi di ricorso, di seguito riassunti nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 2.1 Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla mancata ammissione al rito abbreviato condizionato all'assunzione della testimonianza dei due figli minori ed all'acquisizione del referto medico del ricorrente datato (OMISSIS), nonche' conseguente vizio di illegalita' della pena. Deduce il ricorrente di avere ritualmente presentato la richiesta a seguito della notifica del decreto di giudizio immediato e che, una volta rigettata, aveva reiterato la medesima richiesta, prima, dinanzi al giudice del dibattimento, che l'aveva implicitamente rigettata, e, poi, con l'atto di appello. Nella richiesta venivano indicati come capitoli di prova la veridicita' o meno del compimento di atti di maltrattamento da parte dell'imputato alla presenza dei figli; la reciprocita' dei comportamenti aggressivi; l'episodio del (OMISSIS) in cui il ricorrente era stato aggredito dalla moglie. 2.2 Violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla configurabilita' del reato di maltrattamenti stante, da un lato, la genericita' delle accuse mosse dalla moglie, e, dall'altro, la reciprocita' dei comportamenti aggressivi desumibile, in particolare, dalle deposizioni dei figli (OMISSIS) e (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile per i motivi di seguito esposti. 2. Il primo motivo non deduce alcun vizio, tra quelli consentiti ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., limitandosi il ricorrente ad insistere sulla ammissibilita' della richiesta di giudizio abbreviato condizionato, senza, peraltro, confrontarsi criticamente con la sentenza impugnata che, con motivazione immune da vizi, ha rilevato la genericita' ed aspecificita' del motivo, non avendo il ricorrente illustrato le ragioni della necessarieta' e decisivita' delle prove richieste. 2. Il secondo motivo e' generico e meramente reiterativo delle medesime questioni gia' dedotte in appello, ritenute infondate dalla Corte territoriale con argomentazioni immuni da vizi logici o giuridici, con le quali il ricorrente omette di confrontarsi criticamente. Innanzitutto, dalla sentenza impugnata emerge che, a fronte della prova certa relativa alla reiterazione di una serie continua e ininterrotta di comportamenti vessatori posti in essere dall'imputato ai danni della moglie (desunta non solo dalle dichiarazioni della persona offesa, ma anche da quelle del figlio (OMISSIS) che ha fornito un'accurata descrizione della vita familiare e delle gravi violenze verbali e fisiche subite dalla madre negli ultimi quattro anni), e' rimasta, invece, indimostrata la asserita reciprocita' delle offese, emergendo, al piu', secondo quanto afferma la Corte territoriale, una "personalita' dipendente e immatura della persona offesa, esacerbata dal gravoso carico familiare". In ogni caso, va ribadito il principio di diritto, correttamente applicato dalla sentenza impugnata, in forza del quale la condotta di chi, sistematicamente infligga, con atteggiamenti violenti ed umilianti, vessazioni in danno di altro individuo componente della famiglia del soggetto agente ovvero nei confronti di persona con lui convivente o comunque sottoposta alla di lui autorita' o affidata alla sua cura, cosi da rendergli mortificante ed in generale insostenibile il regime di vita, configura il reato di maltrattamenti in famiglia anche nel caso in cui le condotte poste in essere non siano unilaterali, ma siano reciproche, non prevedendo la fattispecie di cui all'articolo 572 c.p. il ricorso a forme di sostanziale autotutela, mediante un regime di "compensazione" fra condotte penalmente rilevanti e reciprocamente poste in essere (cfr. Sez. 3, n. 12026 del 24/01/2020, Rv. 278968). A sostegno di tale opzione ermeneutica si e', infatti, considerato che, da un punto di vista sistematico, laddove il legislatore ha inteso riconoscere rilevanza alla reciprocita' delle offese, lo ha fatto espressamente come nel caso previsto dall'abrogato articolo 599, comma 1, c.p. in base al quale, anteriormente alla avvenuta depenalizzazione del reato di ingiurie, era in facolta' del giudice, in caso di reciproche offese all'onore o al decoro di altra persona presente o comunque nei casi indicati dall'articolo 594 c.p., dichiarare la non punibilita' del fatto ove le offese fossero state reciproche. Peraltro, quand'anche si volesse considerare l'altro orientamento ermeneutico emerso nella giurisprudenza di questa Corte che, a determinate condizioni riconosce rilevanza alla reciprocita' delle offese (cfr. Sez. 6, n. 4935 del 23/01/2019, Rv. 274617), va, comunque, tenuto conto che tale rilevanza e' stata circoscritta alla sola ipotesi, non ricorrente nel caso in esame, in cui le violenze, le offese e le umiliazioni reciproche presentano un grado di gravita' e intensita' equivalenti. In tal caso, si afferma, infatti, che ove sussista tale prerequisito della pari gravita' ed intensita' delle condotte, "non puo' dirsi che vi sia un soggetto che maltratta l'altro ed uno che e' maltrattato, ne' che l'agire dell'uno sia teso, anche dal punto di vista soggettivo, ad imporre all'altro un regime di vita persecutorio ed umiliante." 4. All'inammissibilita' del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila da versare in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. n. 186 del 2000). Il ricorrente va, infine, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara' liquidata dalla Corte di appello di Potenza con separato decreto di pagamento ai sensi degli articoli 82 e 83 Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato (Sez. U, n. 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, De Falco, Rv. 277760). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara' liquidata dalla Corte di appello di Potenza con separato decreto di pagamento ai sensi degli articoli 82 e 83 Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - rel. Consigliere Dott. TOSCANI Eva - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 22/02/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GAETANO DI GIURO; lette la requisitoria il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. ZACCO FRANCA, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita' del ricorso, la memoria difensiva dell'avv. (OMISSIS), per le parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che si e' associato a dette conclusioni, e infine la memoria difensiva dell'avv. (OMISSIS), per l'imputato, che ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. La Quinta Sezione di questa Corte, con sentenza in data 24 settembre 2013, annullava la sentenza del 3 luglio 2012 della Corte di assise di appello di Salerno, che aveva confermato la sentenza della Corte di assise di Salerno del 6/10/2010 di condanna nei confronti di (OMISSIS) in ordine al reato di riduzione o mantenimento in schiavitu' o in servitu' di cui all'articolo 600 c.p., ritenendo fondato il ricorso dell'imputato in relazione alle doglianze sull'idoneita' del contesto motivazionale a sostenere la sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato. 1.1. La sentenza di annullamento evidenziava quanto segue in punto di diritto. Nel testo dell'articolo 600 c.p., come novellato dalla dalla L. 11 agosto 2003, n. 228, articolo 1 il reato in questione integra tipica fattispecie delittuosa multipla ed a forma libera, per la cui configurazione occorre, a mente del disposto di cui al comma 1, o l'esercizio su una persona di poteri di signoria corrispondenti a quelli del diritto di proprieta', sicche' la persona sia ridotta a mera res, oggetto di scambio commerciale; ovvero la riduzione od il mantenimento di una persona in stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all'accattonaggio o, comunque, a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento. Con l'importante aggiunta, al comma 2, che la riduzione od il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta e' attuata mediante violenze, minacce, inganno, abuso di autorita' o approfittamento di una situazione di inferiorita' fisica o psichica o di una situazione di necessita', o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorita' sulla persona. Ineludibili condizioni della seconda ipotesi - ritenuta nella fattispecie in esame - sono in tutta evidenza: la riduzione od il mantenimento di uno stato di soggezione continuativa, con costrizione allo svolgimento di determinate prestazioni fisiche; ed il consequenziale sfruttamento. Con riguardo al caso in esame, la pronuncia di legittimita' evidenziava come la sentenza impugnata non desse compiuta ragione della sussistenza di siffatti presupposti, limitandosi a valorizzare le precarie condizioni igienico-sanitarie in cui le persone offese costituite dal nucleo familiare bulgaro erano state costrette a vivere, al seguito della carovana del circo; il carattere asseritamente raccapricciante di alcuni numeri circensi ai quali le due ragazze del nucleo familiare erano state obbligate; la costrizione a lavori defatiganti senza il rispetto degli ordinari tempi lavorativi. Sottolineava come tali elementi, pur essendo indubbio che potessero essere sintomatici della condizione di continuativa soggezione richiesta dalla norma, non fossero di per se' sufficienti, in mancanza di piu' adeguata giustificazione idonea a dimostrare che agli stessi avesse fatto riscontro una significativa compromissione della capacita' di autodeterminazione della persona, necessaria per la configurazione di quello stato di soggezione rilevante ai fini della sussistenza del reato in questione, anche indipendentemente da una totale privazione della liberta' personale. E come soprattutto il Giudice di appello non avesse collaudato la tenuta logica di siffatto convincimento alla luce delle deduzioni difensive con riferimento a circostanze indicative di segno opposto all'ipotesi di supino e coatto assoggettamento, emergenti dalle trascrizioni di alcune captazioni telefoniche documentanti rapporti economici tra i componenti della famiglia bulgara che sarebbe stata ridotta in schiavitu' e i titolari della struttura circense, tra cui l'odierno imputato. In relazione a tale ultimo punto la pronuncia rescindente evidenziava come non integrasse la fattispecie criminosa di riduzione in schiavitu' la condotta consistente nell'offerta di un lavoro con gravose prestazioni in condizioni ambientali disagiate verso un compenso inadeguato, qualora la persona si fosse determinata liberamente ad accettarla potendovisi sottrarre una volta rilevato il disagio concreto che ne era conseguito (Sez. 5, n. 13532 del 10/02/2011, Rv. 249970). Inoltre, sottolineava che, integrando il delitto di riduzione in schiavitu' mediante approfittamento dello stato di necessita' altrui, la condotta di chi approfittasse della mancanza di alternative esistenziali di un immigrato da un Paese povero, imponendogli condizioni di vita abnormi e sfruttandone le prestazioni lavorative al fine di conseguire il saldo del debito da questi contratto con chi ne aveva agevolato l'immigrazione clandestina (Sez. 5, n. 46128 del 13/11/2008, Rv. 241999), la sentenza annullata non aveva dato conto nella parte motiva della compiuta e puntuale verifica della reale esistenza di mancanza di alternative esistenziali da parte delle vittime, dell'imposizione di condizioni di vita abnormi e di sfruttamento delle prestazioni lavorative tali da risolversi in apprezzabile limitazione delle capacita' di autodeterminazione e di reale azzeramento di valide alternative esistenziali. 1.2. La Corte di assise di appello di Napoli, decidendo sul rinvio disposto dalla Corte di cassazione, ha confermato la condanna della Corte di assise di Salerno nei confronti di (OMISSIS) in ordine al reato di cui all'articolo 600 c.p. (sub a); dichiarando non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato sub b), previa riqualificazione dello stesso, contestato come maltrattamento di animali di cui all'articolo 544-ter, nella fattispecie di cui all'articolo 727 c.p., con rideterminazione della pena per la prima fattispecie previa esclusione dell'aumento di pena in continuazione di Euro 2.000,00 di multa). 2. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore di fiducia, (OMISSIS), deducendo violazione dell'articolo 600 c.p.. Si duole la difesa che la Corte di assise di appello di Napoli nella sua pronuncia confermativa, emessa in sede di rinvio, riproponga le argomentazioni fondanti la decisione della Corte di assise di Salerno, disattendendo i principi enucleati dalla sentenza di annullamento in ordine agli elementi costitutivi del delitto di riduzione in schiavitu'. Evidenzia che la Corte di cassazione ha piu' volte ribadito, anche nella sentenza appena richiamata, che la riduzione o il mantenimento di uno stato di soggezione continuativa con costrizione allo svolgimento di determinate prestazioni fisiche o lavori defatiganti senza il rispetto degli orari lavorativi, con conseguenziale sfruttamento mediante tali prestazioni della persona offesa o di un intero nucleo familiare, come nel caso in esame, ridotto a vivere in condizioni igienico-sanitarie precarie, non sono di per se' sufficienti ad integrare ipotesi di riduzione in schiavitu', qualora da un riscontro in concreto degli stessi non sia derivata una significativa compromissione della capacita' di autodeterminazione della vittima, anche a prescindere da una totale privazione della liberta' personale. Sottolinea che, pertanto, e' da escludersi la sussistenza di detta fattispecie delittuosa, qualora la stessa condotta abbia lasciato alla vittima un margine di determinazione tale da consentire di accettare liberamente la condizione di sfruttamento o di sottrarvisi una volta rilevato il disagio in concreto che ne consegue. Come appunto nel caso in esame, in cui la famiglia bulgara, pur versando in uno stato di soggezione continuativa, non avrebbe, secondo la difesa, subito alcuna significativa compromissione della propria capacita' di autodeterminazione nel senso chiarito dalla giurisprudenza di legittimita', ben avendo potuto i componenti della stessa sottrarsi allo sfruttamento imposto da (OMISSIS) e indirizzare la propria volonta' verso condizioni di vita diverse. Il difensore insiste, alla luce di tali censure, per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. 3. Disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23 il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, Dott. Franca Zacco, chiede, con requisitoria scritta,la declaratoria di inammissibilita' del ricorso, l'avv. (OMISSIS), per le parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), si associa, mentre il difensore dell'imputato, avv. (OMISSIS), conclude, con memoria scritta, per l'annullamento della sentenza impugnata (conclude tardivamente l'avv. (OMISSIS) per le parti civili A.N. P.A.N. A. ONLUS e L.I.D.A. ONLUS). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. La Corte di assise di appello di Napoli ha, invero, rivisitato il materiale probatorio acquisito, attraverso l'istruttoria dibattimentale espletata, in relazione alle condizioni di vita delle persone offese, costituito dalle dichiarazioni delle vittime, da quelle dei testimoni di accusa, dal contenuto delle intercettazioni e dagli atti di polizia giudiziaria, alla luce dei principi di diritto individuati dalla sentenza di annullamento e sopra riportati. Ha, quindi, evidenziato (p. 7 e 8 della sentenza impugnata) l'attendibilita' delle persone offese, nonostante le indubbie difficolta' linguistiche e culturali, non solo per essere stato il loro propalato riscontrato dagli ulteriori elementi probatori acquisiti, ma per non avere le stesse mai cercato di aggravare i fatti successi o le reali condizioni in cui si erano trovate, limitandosi a narrare il portato del proprio vissuto senza mai sostenere che gli (OMISSIS), esercenti l'attivita' circense, alle cui dipendenze le suddette avevano lavorato, li avessero picchiati. A tale riguardo ha sottolineato che: - (OMISSIS) precisava di essere stato costretto a lavorare senza sosta anche inutilmente, per mero divertimento degli uomini del circo, che gli avevano piu' volte fatto rifare lo stesso servizio in modo diverso; - che la moglie (OMISSIS), di contro, sosteneva di non avere mai avuto problemi con gli uomini, ma unicamente con (OMISSIS) (figlia dell'imputato) che le aveva gridato sempre contro arrivando una volta a spintonarla; - i componenti la famiglia (OMISSIS) descrivevano le precarie condizioni igienico-sanitarie in cui erano stati costretti a lavorare e a vivere, la scarsita' di cibo, la mancata retribuzione, e sottolineavano che le due ragazze, nonostante il rifiuto opposto dalle medesime e dai loro genitori, non solo per paura, ma anche per seri problemi di salute della figlia maggiore (che a causa di un tumore all'orecchio non si sarebbe potuta immergere in acqua), erano state forzate ad esibirsi, rispettivamente, quest'ultima in una vasca piena di piranha, e la piu' piccola, (OMISSIS), nonostante fosse ancora minorenne, in una teca con serpenti ed una tarantola; - dichiaravano, inoltre, di non essere potute andare per non avendo soldi e non conoscere la lingua italiana. Detta Corte ha, poi, rilevato che: - gli (OMISSIS) erano entrati illecitamente nel territorio italiano, grazie ad una trafficante di esseri umani, la (OMISSIS), che doveva ancora essere pagata per le spese del viaggio delle ultime due arrivate dai datori di lavoro, da decurtare dalle paghe della famiglia bulgara; - gli stessi, gia' prima di lasciare la Bulgaria, si trovavano in una situazione economica di estrema indigenza, con debiti pregressi ai quali si erano aggiunti quelli del viaggio; - essi, all'arrivo al circo (OMISSIS), gestito dalla famiglia (OMISSIS), erano stati alloggiati in condizioni deplorevoli, in strutture mobili fatiscenti e prive di servizi igienici funzionanti, di corrente elettrica e di impianto di riscaldamento (come riscontrato, altresi', dai verbali di sopralluogo e sequestro); - i medesimi correvano, peraltro, seri rischi per il mancato saldo ai trafficanti da parte di (OMISSIS), ben consapevole di detti rischi; - lo stato di soggezione economica nei confronti dell'imputato, che riduceva i componenti della famiglia bulgara ad elemosinare nei suoi confronti qualche spicciolo per mangiare nonostante il lavoro svolto e ad accettare le pessime condizioni igienico-sanitarie di cui si e' detto, veniva, altresi', rafforzato dal clima di paura e annichilimento vissuto dalle persone offese e dalla delegittimazione di cui era vittima il capofamiglia, preso di mira da tutti i componenti della famiglia (OMISSIS), costretto a lavori defatiganti solo per schernirlo, anche da ferito (come da convergenti dichiarazioni delle persone offese e plurime intercettazioni in atti); - l'intero nucleo familiare era stato molto provato dalla vicenda relativa ad altro dipendente, Stojan, il quale, ritenuto responsabile dell'esito non positivo di uno spettacolo, al termine dello stesso era stato redarguito dall'imputato per la sua incapacita' e colpito con calci e pugni al volto e alle gambe (come dal medesimo confermato a riscontro delle dichiarazioni delle persone offese). La Corte territoriale ha, quindi, riportato e logicamente analizzato i dati probatori, dando conto delle continue umiliazioni, cui erano soggette le persone offese, e delle condizioni di vita deprivanti, essendo costrette non solo a lavorare con turni particolarmente duri e a svolgere numeri da circo difficili e ripugnanti, senza un adeguato corrispettivo e anzi per una paga che consentiva a stento di mangiare, ma altresi' ad alloggiare in strutture mobili fatiscenti e prive di servizi igienici, in un clima di paura e di annichilimento. E muovendo da tale dettagliata analisi ha rilevato (p. 15 e ss.) che l'imputato non solo approfittava della posizione di vunerabilita' delle vittime, ma contribuiva anche significativamente a determinarla e, con gli altri componenti della propria famiglia, provvedeva ad acuire il senso di costrizione e ineluttabilita' patito dalle vittime, imprigionandole nella condizione servile di sfruttamento e nel loro isolamento sociale e culturale; e che faceva cio', privandole del minimo essenziale per il soddisfacimento delle esigenze primarie di vita, negando loro un'adeguata retribuzione e costringendole a vivere in condizioni miserevoli, riconoscendo alle stesse una paga da fame solo per trattenerle ulteriormente presso di se', alimentando la vana speranza che avrebbero ricevuto il resto. La sentenza in esame ha, inoltre, osservato come nella descritta situazione non possa ritenersi del tutto sterile l'invito rivolto alle persone offese da (OMISSIS) ad andare via, in quanto proveniente dalla stessa persona che non aveva adempiuto nei confronti dei trafficanti di esseri umani al pagamento del viaggio delle ultime arrivate ed era ben consapevole della situazione debitoria in cui gli (OMISSIS) versavano nei confronti di delinquenti privi di ogni scrupolo e del fatto che il ricorso da parte dei medesimi alle forze dell'ordine, anche contro di lui, avrebbe di fatto annientato tutti gli sforzi da loro svolti comportando il loro rimpatrio. Ed ha aggiunto come ancora non poco contasse l'insormontabile ostacolo della mancata conoscenza della lingua italiana. Ha, quindi, concluso per ritenere nel caso in esame, considerata l'insussistenza di alternative esistenziali da parte delle vittime e l'irrilevanza della breve durata della condizione di asservimento ovvero dei modesti spazi di autonomia concessi alle vittime (munite di documenti; e le ragazze anche autorizzate ad uscire dal circo per la distribuzione dei biglietti dello spettacolo) con la sicurezza di averle sotto controllo, una significativa compromissione della capacita' di autodeterminazione delle persone offese, idonea a configurare lo stato di soggezione rilevante ai fini dell'integrazione della norma (avendo sia (OMISSIS) che la figlia maggiorenne (OMISSIS), durante l'incidente probatorio, chiarito di non essere potuti andare via dal circo in quanto non avevano denaro, avrebbero dovuto dormire per strada e non conoscevano la lingua italiana). Tali essendo le argomentazioni della sentenza di rinvio, le stesse non solo sono scevre da vizi logici e giuridici, ma sono, altresi', conformi, diversamente da quanto lamentato dalla difesa, ai principi di diritto enucleati dalla sentenza rescindente e a quello cardine secondo cui in tema di riduzione in schiavitu', ai fini della configurabilita' del requisito dello stato di soggezione della persona offesa, rilevante per l'integrazione del reato, non e' necessaria la totale privazione della liberta' personale della medesima, ma soltanto una significativa compromissione della sua capacita' di autodeterminazione (Sez. 5, n. 15662 del 17/02/2020, U., Rv. 279156: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto la sussistenza del reato osservando come fosse irrilevante un minimo margine di autodeterminazione residuato alle vittime, cui era comunque impossibile sottrarsi al condizionamento degli imputati - in relazione alla condizione di ragazze nigeriane, anche minori d'eta', totalmente private dei guadagni derivanti dall'attivita' di prostituzione esercitata e dei documenti necessari alla permanenza nel territorio italiano, tenute in stato di totale carenza di mezzi di sussistenza, limitate nella liberta' di movimento ed intimidite da violenze e minacce). Di contro, il ricorso, che prospetta nei termini sopra riportati doglianze del tutto generiche e prive di incisivita', senza confrontarsi - con la necessaria specificita' - con gli argomenti coerenti e logici del provvedimento in verifica, incorre nell'inammissibilita' per manifesta infondatezza, genericita' e aspecificita'. 2. All'inammissibilita' del ricorso consegue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna di (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali e di una somma che si ritiene equo determinare in Euro tremila a favore della Cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni previste dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000. L'imputato va, inoltre, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS), che, in considerazione dell'impegno professionale profuso e del numero delle parti, si ritiene equo liquidare in complessivi Euro 6.200,00, oltre accessori di legge. Devono, invece, dichiararsi inammissibili le domande proposte dalle parti civili A.N. P.A.N. A. ONLUS e L.I.D.A. ONLUS, in quanto inviate - con PEC - il 9 gennaio 2023 e, quindi, oltre il termine dei cinque giorni liberi prima dell'udienza. La tipologia del reato per cui si procede impone l'oscuramento dei dati come da dispositivo, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 6.200,00, oltre accessori di legge. Dichiara inammissibili le domande proposte dalle parti civili A.N. P.A.N. A. ONLUS e L.I.D.A. ONLUS. In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

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