Sentenze recenti mancata contestazione immediata

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO L A C O R T E S U P R E M A D I C A S S A Z I O N E SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Milena FALASCHI - Presidente Aldo CARRATO - Consigliere Rel. Antonio SCARPA - Consigliere Chiara BESSO MARCHEIS - Consigliere Remo CAPONI - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso (iscritto al N.R.G. 31743/2018) proposto da: BANFI LORENZO MAURO e REALI DAVID, rappresentati e difesi, in virtù di distinte procure speciali allegate al ricorso, dagli Avv.ti Claudio Bonora, Roberto Ferretti e Federico Sorrentino, elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, Lungotevere delle Navi, n. 30; - ricorrenti - contro BANCA D’ITALIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura rilasciata su separato foglio allegato materialmente al controricorso, dagli Avv.ti Stefani Ceci, Monica Marcucci e Nicola De Giorgi, elettivamente domiciliata presso i medesimi, in Roma, v. Nazionale, n. 91; - controricorrente - avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 4459/2018 (pubblicata il 2 luglio 2018); udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11 aprile 2024 dal Consigliere relatore Aldo Carrato; R.G.N. 31743/2018 P.U. 11/04/2024 SANZIONI AMMINISTRATIVE udito il P.M., in persona del Sostituto P.G. Alberto Cardino, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso; udito l’Avv. Claudio Bonora, per i ricorrenti, e l’Avv. Nicola De Giorgi, per la controricorrente. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con provvedimento del 23 ottobre 2012 n. 890349, approvato con deliberazione del Direttorio n. 689/2012, la Banca d’Italia definitiva il procedimento sanzionatorio instaurato, tra gli altri, contro Lorenzo Mauro Banfi e David Reali, quali componenti del collegio sindacale della Banca Network Investimenti spa, a seguito degli accertamenti ispettivi di vigilanza eseguiti dal 30 maggio al 30 settembre 2012, all’esito dei quali veniva irrogata, nei riguardi di ciascuno degli stessi, la sanzione pecuniaria di euro 15.000,00. Ai citati sanzionati era stato contestato l’illecito riconducibile alle carenze nei controlli imposti dall’art. 53, comma 1, lett. b) e d) del d. lgs. n. 385/1993, nonché delle norme contenute nel tit. IV cap. 11 delle Istruzioni di vigilanza delle banche – circ. 229/1999, nonché nel tit. I cap. I, parte IV, delle nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, circ. 263/2006 – disposizioni di vigilanza del 4 marzo 2008 in materia di organizzazione e governo societario delle banche. Il Banfi e il Reali proponevano opposizione avverso la suddetta delibera sanzionatoria dinanzi al TAR Lazio, il quale – con sentenza del 25 febbraio 2015 – dichiarava il proprio difetto di giurisdizione. A seguito della riassunzione avanti alla Corte di appello di Roma, nella resistenza della Banca d’Italia e con l’intervento del PG presso la stessa Corte laziale, le opposizioni venivano integralmente respinte con sentenza n. 4459/2018, ravvisandosi l’insussistenza: a) della dedotta violazione dell’art. 14 della legge n. 689/1981, avuto riguardo all’asserita tardività della contestazione dell’addebito, avvenuta oltre il novantesimo giorno dall’accertamento del 30 settembre 2011; b) della denunciata violazione della mancata corrispondenza tra contestazione e condotta sanzionata; c) della prospettata carenza, erroneità e motivazione dell’impugnata delibera sanzionatoria; d) dell’erroneità dell’accertamento di condotte illecite ascrivibili a componenti del collegio sindacale della Banca Network Investimenti; e) della sproporzione ed incongruità della misura delle sanzioni irrogate. 2. Contro la suddetta sentenza di rigetto della Corte di appello di Roma hanno formulato un congiunto ricorso per cassazione Banfi Lorenzo Mauro e Reali David, affidato a otto motivi (di cui il primo riferibile, in via esclusiva, al solo Reali). Ha resistito con controricorso la Banca d’Italia. Il PG e i difensori di entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo David Reali denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 140 c.p.c., per aver la Corte di appello ritenuto – con la sentenza impugnata - tempestiva la notifica del verbale di avvio del procedimento sanzionatorio, da considerarsi, invece, affetta da nullità. In particolare, il Reali lamenta che la procedura notificatoria di cui all’art. 140 c.p.c. non era stata correttamente eseguita, in quanto esso ricorrente non aveva reperito l’avviso del deposito presso la Casa comunale, che avrebbe dovuto essere affisso sulla porta della sua casa di abitazione. Per contro, si evidenzia che la Corte di appello aveva preso in esame la questione della scissione degli effetti della notificazione fra mittente e destinatario, la quale, tuttavia, non era stata dallo stesso sollevata in giudizio con l’atto di opposizione. 1.1. Il motivo non coglie nel segno e va disatteso. Diversamente da quanto con esso prospettato, la Corte di appello non è incorsa nella dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., dal momento che ha posto riferimento alla richiamata rilevata distinzione relativa alla scissione degli effetti della notificazione fra notificante e notificatario proprio per desumerne che, nella fattispecie, non si era venuta a verificare la supposta violazione dell’art. 140 c.p.c. La Corte laziale, proprio sulla base di questo ormai pacifico presupposto giuridico (che trova applicazione anche nell’ambito dei procedimenti sanzionatori amministrativi: cfr. Cass. SU n. 12332/2017, Cass. n. 28388/2017 e Cass. n. 20515/2020), ha ritenuto legittima e tempestiva la notificazione dell’atto di contestazione dell’addebito nei confronti del Reali, rilevando che, a fronte della definizione dell’accertamento avvenuto il 30 settembre 2011, si era provveduto all’invio del suddetto atto di contestazione, da parte della Banca d’Italia, con la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario il 21 dicembre 2011 e, quindi, entro il termine decadenziale di legge. A tal proposito la Corte di appello ha opportunamente richiamato, considerandolo applicabile, quanto statuito dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 12332/2017, con cui è stato affermato che il principio della scissione degli effetti della notificazione tra il notificante ed il destinatario dell'atto trova applicazione anche per gli atti del procedimento amministrativo sanzionatorio - non ostandovi la loro natura recettizia – tutte le volte in cui dalla conoscenza dell'atto stesso decorrano i termini per l'esercizio del diritto di difesa dell'incolpato e, ad un tempo, si verifichi la decadenza dalla facoltà di proseguire nel procedimento sanzionatorio in caso di omessa comunicazione delle condotte censurate entro un certo termine, dovendo bilanciarsi l'interesse del notificante a non vedersi imputare conseguenze negative per il mancato perfezionamento della fattispecie "comunicativa" a causa del fatto di terzi che intervengano nella fase di trasmissione del contenuto dell'atto e quello del destinatario a non essere impedito nell'esercizio di propri diritti, compiutamente esercitabili solo a seguito dell'acquisita conoscenza del contenuto dell'atto medesimo. Pertanto, a questi fini, non rileva che l’esecuzione della notificazione sia avvenuta ai sensi dell’art. 140 c.p.c., senza trascurare il dato che lo stesso ricorrente ha attestato di aver ricevuto il plico, con effetto perciò sanante e tale da consentirgli il pieno dispiegamento delle sue attività difensive (cfr. Cass. n. 11713/2011 e Cass. n. 19522/2016). Oltretutto, per quanto evincibile dagli atti acquisiti in causa (esaminabili anche nella presente sede, vertendosi in un caso di denuncia di un vizio processuale), è emerso che il timbro apposto dall’ufficiale giudiziario che aveva proceduto alla notificazione dell’atto di contestazione degli addebiti ai sensi dell’art. 140 c.p.c. reca la data del 28 dicembre 2011 e nella stessa data il medesimo aveva compiuto le attestazioni relative all’affissione dell’avviso di deposito alla porta del destinatario e all’invio di altro avviso R.R. con spedizione presso il domicilio dello stesso Reali comunicandogli l’avvenuto deposito, così risultando completata la procedura notificatoria prevista dal citato art. 140 del codice di rito (peraltro, per vincere tali attestazioni effettuate dall’ufficiale giudiziario, occorreva proporre – rimedio che non risulta, invece, essere stato esperito dal Reali - querela di falso, stante la natura fidefaciente della relazione di notificazione: v., ad es., Cass. n. 1699/2019 e, già, Cass. n. 1125/1998). Pertanto, deve ritenersi che, ai fini del rispetto del termine di cui all’art. 14 della legge n. 689/1981, non costituisce elemento integrante della notificazione l’effettiva conoscenza acquisita dal destinatario in una data successiva, la quale – semmai – esercita la sua efficacia sulle attività di cui costui ha diritto di avvalersi, quali la presentazione delle proprie controdeduzioni, il cui termine di 30 giorni previsto dal TUB viene a decorrere dalla data di ricezione del plico, avvenuta, nel caso di specie, il 10 gennaio 2012 (come dallo stesso ricorrente ammesso: cfr. pag. 8 del ricorso). 2. Con il secondo motivo di ricorso sia il Banfi che il Reali deducono la violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990 e dell'art. 97 Cost., sul presupposto che la Corte di appello avrebbe, erroneamente, ritenuto corretta la motivazione del provvedimento sanzionatorio. La censura è priva di pregio. A tale proposito, occorre rilevare che l’atto sanzionatorio, pur se sostanzialmente riproduttivo degli esiti delle operazioni ispettive, non può certo, per tale motivo soltanto, essere considerato insufficientemente motivato (v., ad es., Cass. n. 10745/2015), rispondendo, pertanto, per quanto in modo essenziale, alle doglianze mosse dai ricorrenti, non risultando, perciò, integrata la violazione del diritto di difesa ed al contraddittorio degli stessi. Va, oltretutto, ricordato che – sul piano generale – il provvedimento sanzionatorio con cui la P.A., disattendendone le deduzioni difensive, irroga al trasgressore una sanzione amministrativa è censurabile dal giudice dell'opposizione, sotto il profilo del vizio motivazionale, unicamente nel caso in cui sia del tutto privo di motivazione (ovvero quando questa sia solo apparente) e non anche se la stessa risulti insufficiente, atteso che l'eventuale giudizio di inadeguatezza motivazionale involge una valutazione di merito che non compete al giudice ordinario, concernendo il giudizio di opposizione non l'atto della P.A., ma il rapporto sottostante (Cass. SU n. 1786/2010, Cass. n. 2959/2016 e Cass. n. 12503/2018). Nel caso di specie, oltretutto, vengono in rilievo sanzioni amministrative irrogate ex art. 144 TUB, le quali non sono comparabili a quelle di cui all’art. 187-ter TUB, e quindi non possono considerarsi del tutto soggette al regime di garanzie proprio del processo penale (Cass. n. 3656/2016 e Cass. n. 16517/2020). 3. Con il terzo motivo i due ricorrenti denunciano la nullità della sentenza o del procedimento per omessa pronuncia sull’eccezione di violazione dei principi di colpevolezza e personalità, previsti dagli artt. 3 e 6 della legge n. 689/1981, stante l’uniformità degli addebiti mossi indistintamente a tutti i membri degli organi amministrativi e di controllo della BANCA NETWORK INVESTIMENTI – BNI S.p.a. Diversamente da quanto denunciato, il Collegio rileva che – per come chiaramente emergente dallo sviluppo motivazionale contenuto nelle pagg. 10-11 della sentenza impugnata - risultano essere stati evidenziati i puntuali doveri incombenti sugli organi di controllo societari e, in particolare, le carenze concretamente rilevate nello svolgimento di tale specifica attività rispetto agli organi di amministrazione. Da ciò consegue l’insussistenza del dedotto vizio di omessa pronuncia. 4. Con il quarto motivo i ricorrenti prospettano la violazione e falsa applicazione dell'art. 2403 c.c., dell'art. 53, comma 1, lett. b) e d), TUB, nonché delle norme contenute nel Titolo IV, Capitolo 1 delle Istruzioni di vigilanza per le Banche di cui alla Circolare n. 229/99 della Banca d'Italia; nel Titolo I, Capitolo 1, parte quarta delle Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le Banche, di cui alla circolare n. 263/06 della Banca d'Italia e, infine, nelle Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche, adottate dalla Banca d'Italia con provvedimento del 4 marzo 2008, in ordine al contenuto degli obblighi di controllo del Collegio sindacale. In sostanza, con tale censura, i ricorrenti denunciano, nel ripercorrere le motivazioni del provvedimento sanzionatorio, che la Corte di appello avrebbe avvalorato l’attribuzione ai sindaci della citata banca (qualità rivestita dal Banfi e dal Reali) della funzione di valutare nel merito la convenienza ed opportunità delle scelte gestorie societarie, obliterando, però, di considerare che al collegio sindacale non compete l’organizzazione delle funzioni di controllo interno, spettanti alla governance bancaria. La censura è priva di fondamento. La sentenza impugnata si è, infatti, uniformata alla giurisprudenza – ormai costante – di questa Corte, alla stregua della quale sono stati enunciati i seguenti principi: - in tema di sanzioni amministrative pecuniarie applicabili ai sensi degli artt. 144 e 145 TUB, il componente del collegio sindacale è imputabile a titolo di dolo o di colpa per l'omesso o il difettoso compimento, cosciente e volontario, dei doveri di controllo e di ispezione di cui all'art. 2403, terzo comma, c.c., non diversamente da quanto previsto dalla disciplina generale dell'illecito amministrativo di cui alla legge n. 689 del 1981 che esclude forme di responsabilità oggettiva; - in materia di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia bancaria, i componenti del collegio sindacale, i quali, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo "quoad functione", gravando sui sindaci, da un lato, l'obbligo di vigilanza in funzione non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti nei confronti di atti di abuso di gestione da parte degli amministratori, ma anche della verifica dell'adeguatezza delle metodologie finalizzate al controllo interno della società, secondo i parametri procedimentali dettati dalla normativa regolamentare di vigilanza e, dall'altro lato, l'obbligo legale di denuncia immediata alla Banca d'Italia. In altri termini, diversamente da quanto prospettato con il motivo in esame, non si tratta di imputare ai sindaci una responsabilità per il compimento di operazioni irregolari o illecite da parte di altri, né di sottoporre gli organi amministrativi ad un controllo sul merito delle scelte gestionali, ma di esigere l’esercizio tempestivo dei poteri ispettivi che la legge pone a carico dei sindaci, esercizio che, nella specie, la Corte di appello di Roma ha accertato essere mancato con una motivazione del tutto logica e sufficiente, perciò insindacabile nella presente sede di legittimità. Al riguardo, la citata Corte (v., soprattutto, pagg. 13-14 della motivazione della sentenza qui impugnata) ha adeguatamente evidenziato l’assenza di iniziative volte a far emergere e a rimuovere le anomalie e le irregolarità rilevate (sul punto, v. Cass. SU n. 20934/2009 e, già con specifico riferimento alle sanzioni ex art. 144 TUB, Cass. n. 5239/2008), non essendosi i medesimi attivati per far emergere gli indici di criticità correlati all’attività gestoria bancaria (tra i quali la larga diffusione di condotte scorrette dei promotori, la vendita di prodotti rischiosi senza adeguate cautele, il ritardo nella segnalazione dell’applicazione della normativa antiriciclaggio). 5. Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione della disciplina normativa regolatrice del riparto dell’onere probatorio, di cui all’art. 2697 c.c. ed all'art. 3 della legge n. 689/1981 (in rapporto all’art. 115 c.p.c.), sostenendosi che la Corte di appello avrebbe conferito rilevanza unicamente alle risultanze degli accertamenti ispettivi, senza considerare le controdeduzioni documentali degli stessi ricorrenti, fra le quali il rapporto della BANCA D’ITALIA 18.10.2012 prot. 0873007/12, che aveva escluso qualsivoglia responsabilità, e degli organi gestori e degli organi di controllo, per le perdite patrimoniali subite da BNI. Contrariamente a quanto sostenuto con la formulata censura, deve evidenziarsi che la Corte di appello non si è limitata a recepire acriticamente e pedissequamente le risultanze degli accertamenti ispettivi, ma ha provveduto a vagliare autonomamente e in modo tra loro coordinato varie circostanze fattuali, fra cui: il significativo contenzioso sviluppatosi a seguito della offerta di prodotti finanziari non adeguati, nel periodo di operatività dell’organo sindacale di controllo; il non aver impedito, quindi, un’estesa diffusione di vendita incauta di prodotti ad elevata rischiosità per la clientela (oltretutto riferita ad una banca di piccole dimensioni) e – come già evidenziato - il ritardo nell’adozione della normativa antiriciclaggio. Peraltro, è appena il caso di aggiungere che il riferimento al su citato rapporto della Banca d’Italia concerne unicamente lo specifico problema della diminuzione della patrimonialità della BNI, ma non esclude in alcun modo che all’organo di controllo fossero addebitabili specifiche omissioni nelle loro funzioni. 6. Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, con riferimento all’arco temporale degli accertamenti ispettivi. Si deduce che tali accertamenti avrebbero posto riferimento unicamente a fatti occorsi fra il maggio 2010 e il settembre 2011, senza considerare quelli anteriori, sui quali la stessa Banca d’Italia aveva condotto un accertamento ispettivo diverso da quello oggetto della presente causa, riferibile sino alla data del 17.10.2008, conclusosi senza la contestazione di addebiti. Diversamente da quanto opinato dai ricorrenti, la Corte di appello ha adeguatamente chiarito che l’esclusione della responsabilità del sindaco Favalesi era giustificata dal fatto che egli aveva cominciato a svolgere il suo incarico dal 27 aprile 2010, nel mentre il Banfi e il Reali lo avevano assunto a far data dal 26.9.2007 e che le loro omissioni di vigilanza - nel corso del periodo in cui essi avevano rivestito tale qualità - erano state verificate con gli accertamenti ispettivi che erano stati poi posti a fondamento della impugnata delibera sanzionatoria. La circostanza della contestata “perimetrazione temporale” risulta, dunque, essere stata esaminata. 7. Con il settimo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 53, 144 e 145 TUB in relazione al rilievo ispettivo n. 11), con il quale si contestava la mancata osservanza delle prescrizioni antiriciclaggio, di cui all’art. 7, d.lgs. 231/2007, fattispecie estranea al potere di controllo degli Istituti di credito e di normazione secondaria della Banca d’Italia, di cui al citato art. 53 TUB. A tal proposito va rilevato che l’area applicativa dell’art. 53 TUB concerne il controllo interno (comma 1, lett. d) e il contenimento del rischio (comma 1, lett. b) e la violazione della relativa normativa secondaria trova la disciplina sanzionatoria nell’art. 144 TUB. Nel caso, non risulta essere stato applicato il procedimento sanzionatorio previsto dall’art. 56 del d.lgs. 231/2007, che pertanto non viene in rilievo nella vicenda dedotta in causa. 8. Con l’ottavo ed ultimo motivo i ricorrenti denunciano l’omessa pronuncia sulla dedotta incompetenza della Banca d’Italia all’irrogazione di sanzioni concernenti la prestazione di servizi di investimento, da intendersi, invece, devoluta alla competenza CONSOB dal TUF. La doglianza è priva di fondamento, dal momento che la Corte di appello ha preso specifica posizione sulla questione (v. ultima parte di pag. 11 e la prima della successiva pag. 12), rilevando che le sanzioni irrogate al Banfi e al Reali attenevano alla violazione della disciplina dell’attività di controllo interno e non invadevano, pertanto, la sfera di attribuzioni propria della CONSOB. Più specificamente nella sentenza impugnata è stato correttamente posto in risalto che non aveva rilievo che la contestata carenza nei controlli interni concernesse anche l’attività di collocamento tra i clienti della banca di prodotti finanziari soggetta a vigilanza della CONSOB, poiché la contestazione e la conseguente sanzione applicata avevano riguardato i controlli interni della banca e l’adeguatezza dell’attività di controllo da esercitarsi sulle funzioni societarie e non esorbitavano, quindi, dai compiti di vigilanza sulle banche assegnati alla Banca d’Italia. È da escludersi, quindi, la sussistenza della dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c. 9. In definitiva, il ricorso va integralmente respinto, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo. Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 3.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte di cassazione, in data 11 aprile 2024. Il Consigliere estensore La Presidente Aldo Carrato Milena Falaschi

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE II SEZIONE CIVILE in composizione monocratica e nella persona del dott.ssa Martina Fusco, in funzione di giudice unico, pronuncia ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella controversia civile iscritta al n. 2926 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2015, vertente TRA (...), elett.te dom. presso lo studio dell'avv. (...), dal quale è rapp.to e difeso, giusta procura in atti ATTORE E (...), in persona del legale rapp.tep.t., elett.te dom.to presso lo studio dell'avv. (...), dalla quale è rapp.to e difeso, giusta procura in atti CONVENUTO Oggetto: impugnativa delibera assembleare RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La presente decisione è adottata ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. e, quindi, è possibile prescindere dalle indicazioni contenute nell'art. 132 c.p.c. Infatti, l'art. 281-sexies c.p.c., consente al giudice di pronunciare la sentenza in udienza al termine della discussione dando lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, senza dover premettere le indicazioni richieste dal secondo comma dell'art. 132 c.p.c., perché esse si ricavano dal verbale dell'udienza di discussione sottoscritto dal giudice stesso. Pertanto, non è affetta da nullità la sentenza, resa nella forma predetta, che non contenga le indicazioni riguardanti il giudice e le parti, le eventuali conclusioni del P.M. e la concisa esposizione dei fatti e dei motivi della decisione (Cass. civ., Sez. III, 19 ottobre 2006, n. 22409). Ancora, in tale sentenza è superflua l'esposizione dello svolgimento del processo e delle conclusioni delle parti, quando questi siano ricostruibili dal verbale dell'udienza di discussione e da quelli che lo precedono (Cass. civ., Sez. III, 11 maggio 2012, n. 7268; Cass. civ., Sez. III, 15 dicembre 2011, n. 27002). Con atto di citazione regolarmente notificato, (...) impugnava la delibera assembleare del 13/02/2015 approvata dall'assemblea del (...), cui l'attore non aveva partecipato. A sostegno della propria domanda, in particolare, deduceva quale primo motivo di impugnazione, l'inadempimento dell'amministratore di condominio alla richiesta di consegna della documentazione richiesta; quale secondo motivo di impugnazione, allegava numerosi vizi della delibera impugnata - di approvazione del bilancio consuntivo. In particolare: - erronea applicazione dell'aliquota per la determinazione della rivalsa da addebitare, a titolo di contributo iscrizione Gestione Separata - Inps, per il compenso dell'amministratore; - erronea determinazione del compenso amministratore; - erronea rendicontazione della quota per la manutenzione ascensore Scala A; - erronea rendicontazione della quota per la pulizia Scala A e per la pulizia Piazzale; - erronea rendicontazione della quota dovuta per la verifica biennale dell'ascensore Scala A. Concludeva, quindi, chiedendo la declaratoria di nullità della delibera impugnata, con vittoria di spese. Si costituiva in giudizio il (...) convenuto, il quale, in persona del proprio amministratore e l.r.p.t, contestava tutto quanto ex adverso dedotto ed eccepito, ed in particolare rimarcava la legittimità di tutto gli addebiti rendicontati in bilancio; specificava, inoltre, che tutta la documentazione richiesta era stata in effetti consegnata all'attore. Concludeva, pertanto, per il rigetto della domanda, con vittoria di spese. Veniva espletata l'istruttoria ritenuta rilevante, ed in particolare veniva disposta CTU volta alla verifica della regolarità delle rendicontazioni effettuate in sede di bilancio approvato. Depositata la perizia, la causa veniva ritenuta matura per la decisione. L'udienza del 23/05/2024, disposta per la discussione ex art 281 sexies c.p.c., veniva sostituita dal deposito di note di trattazione scritta; nessuna delle parti costituite proponeva opposizione alla suddetta modalità di trattazione nel termine stabilito dalla legge e, anzi, entrambe depositavano note, in cui concludevano riportandosi a tutte le difese in atti. Il giudizio viene pertanto deciso con la presente pronuncia, allegata al provvedimento ex art 127 ter c.p.c.. Preliminarmente, non può dubitarsi della legittimazione attiva dell'attore; ed infatti, l'art. 63 co 4 delle disp. att. del codice civile stabilisce, nel caso di vendita di un immobile facente parte di condominio, la solidarietà dell'alienante e dell'acquirente rispetto ai debiti di natura condominiale relativi all'annualità in corso e a quella precedente alla data della vendita. Permane, pertanto, l'interesse dell'attore alla pronuncia in esame. Nel merito, la domanda va rigettata per le ragioni che qui si diranno. Quanto alla mancata consegna di documenti, va rilevato in primo luogo che per la costante giurisprudenza di legittimità "se ciascun comproprietario ha la facoltà di richiedere e di ottenere dall'amministratore del condominio l'esibizione dei documenti contabili in qualsiasi tempo e senza avere neppure l'onere di specificare le ragioni della richiesta finalizzata a prendere visione o estrarre copia dai documenti, è altresì certo che l'esercizio di tale facoltà non deve risultare di ostacolo all'attività di amministrazione, nè rivelarsi contraria ai principi di correttezza" (tra le altre, in questi termini, Cass. Civ. Sez. VI-2, 28/07/2020, n. 15996; Cass. Civ. Sez. 2, 21/09/2011 n. 19210; Cass. civ. Sez. 2, 29/11/2001, n. 15159). In sostanza, se è vero che in capo all'amministratore grava l'onere di esibizione dei documenti contabili, è anche vero che le richieste del singolo condomino non posso costituire violazione del principio di leale collaborazione tra le parti, rappresentando un ostacolo per lo svolgimento dell'attività dell'amministratore. Ebbene nel caso in esame, deve rilevarsi che l'amministratore, tenuto conto della puntuale richiesta da parte del (...) ha prontamente provveduto a rilasciare allo stesso copia della documentazione richiesta, necessaria alla verifica di quanto oggetto del bilancio consuntivo ad approvarsi. Irrilevanti, e contrarie al principio di buona fede, appaiono le ulteriori doglianze mosse dalla parte attrice, a fronte della consegna della documentazione. Quanto, infatti, al registro dell'anagrafe condominiale, l'amministratore ha prontamente provveduto alla consegna dell'elenco dei nominativi dei condomini e a fronte di ciò, l'attore non ha esplicitato le ragioni per cui la documentazione in effetti consegnata, non sarebbe stata idonea. Parimenti è a dirsi quanto al contratto di manutenzione ascensore: la documentazione consegnata, appare idonea, prima facie, alla verifica della rispondenza dei costi con la contabilizzazione operata in consuntivo, ragion per cui non si ravvisa l'incidenza della mancata consegna del contratto sulla validità della delibera assembleare. Ancora, infine, medesimo ragionamento è possibile operare in ordine alla mancata consegna della movimentazione del conto corrente condominiale in quanto dalla documentazione consegnata dall'amministratore è possibile rinvenire il complesso di rapporti dare-avere di cui il condominio era titolare all'epoca. Per altro, tutte le suddette conclusioni sono consolidate proprio dal comportamento dell'attore che, nell'avviare il presente procedimento, ha pedissequamente sottoposto a critica l'operato dell'amministratore proprio sulla base della documentazione dallo stesso pervenuta. Alla luce di ciò, deve senza dubbio ritenersi che la perduranza della richiesta da parte del (...), anche a seguito della consegna da parte dell'amministratore della documentazione, da cui emergono i dati necessari per una consapevole partecipazione all'assemblea di approvazione del consuntivo, rappresenti un ostacolo all'attività dell'amministratore, e una violazione del principio di correttezza, anche alla luce del rapporto di collaborazione verosimilmente richiesto nell'ambito dei rapporti condominiali. Venendo al merito, la questione è stata correttamente rimessa all'accertamento del consulente tecnico d'ufficio, cui è stato, in particolare, demandato, di verificare la rispondenza tra la documentazione contabile in atti e le risultanze del bilancio consuntivo approvato e oggetto di impugnativa. Quanto al primo punto contestato, è stato chiesto al consulente di accertare la regolarità della rivalsa esposta nel compenso amministratore rispetto alla deliberazione assembleare di conferimento dell'incarico. Il CTU sul punto ha in primo luogo premesso che "i professionisti che esercitano un'attività per la quale non è prevista un'apposita cassa di previdenza sono tenuti all'iscrizione alla gestione separata dell'Inps. La gestione separata è un regime contributivo che prevede il pagamento di un contributo annuo, calcolato in percentuale sul reddito imponibile del professionista (...) i soggetti tenuti all'iscrizione alla gestione separata, hanno la facoltà di addebitare in fattura al proprio committente una maggiorazione del 4% del compenso concordato, fermo restando che resta a suo carico l'obbligo del pagamento dei contributi Inps. Addebitando la rivalsa il professionista, in pratica, fa concorrere alla propria contribuzione previdenziale il soggetto committente, chiamato a versare il 4% del compenso, a titolo di rivalsa del contributo previdenziale Inps." Venendo al caso in esame, la consulente ha chiarito che dal consuntivo comparato dal 01/01/2014 al 31/12/2014, risulta un compenso all'amministratore del (...) per complessivi Euro 2.017,39 calcolando la rivalsa al 6% (Euro114,19) e quindi in violazione dell'indicazione normativa del 4%, articolo 1, comma 212, della Legge n. 622/1996: ne discende che il compenso base, senza rivalsa, è pari ad Euro 1.903,20. Calcolando, al contrario, la rivalsa al 4%, la stessa sarebbe pari Euro 76,13: la differenza totale ammonta, quindi, ad Euro38,06, di cui, a credito del condominio (...), Euro 1,48 (Millesimi 34,70 su 997,739). In ordine a tale conclusione, deve in primo luogo anticiparsi, come più in avanti si avrà modo di argomentare approfonditamente, che trattasi dell'unico punto rispetto al quale la CTU ha, in effetti, rilevato una incongruenza. Può, però, ritenersi, che tale incongruenza, per la sua entità minima, non può in alcun modo incidere sulla validità della delibera assembleare impugnata. Sul punto vale specificare che secondo la maggioritaria giurisprudenza di legittimità, "il condomino che intenda impugnare una delibera dell'assemblea, per l'assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, il quale presuppone la derivazione dalla detta deliberazione di un apprezzabile pregiudizio personale, in termini di mutamento della sua posizione patrimoniale." Cass. civ. ordinanza n. 6128 del 09/03/2017. Per la scarsa entità della differenza sostanziale riscontrata (pari ad Euro 1.48), deve escludersi che il credito derivante possa comportare un apprezzabile mutamento della posizione patrimoniale dell'attore, con conseguente rigetto del relativo punto. Come anticipato, tutti gli altri punti della delibera impugnati, sono stati considerati validi dall'analisi del CTU. Quanto al secondo punto oggetto di contestazione, l'incongruenza degli importi fatturati nel registro di contabilità e nel consuntivo in ordine al compenso dell'amministratore, il CTU ha chiarito che "che il principio di competenza economica è una prassi amministrativa che consiste nel considerare, nel conto economico di un bilancio d'esercizio, solo i costi e i ricavi che si riferiscono e hanno effetto in quel periodo di tempo, a prescindere dalle manifestazioni finanziarie già avvenute o che devono ancora avvenire". Ciò posto, dal bilancio comparato dal 01/01/2014 al 31/12/2014 emerge un costo per compenso amministratore per Euro 2.017,39, che fa correttamente riferimento alle spese di competenza dell'esercizio: la somma non indicata nel registro di contabilità (in cui si fa riferimento solo alla somma di Euro 1.849,27) non è ivi annotata poiché nella compilazione del registro, si fa riferimento al principio di cassa, per cui mancano gli esborsi in effetti non ancora perfezionatisi. "Nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale, invece, sono stati correttamente inseriti i costi di competenza dell'esercizio ma che alla data del riepilogo non risultano ancora pagati nella voce debiti v/fornitori. È corretto, pertanto, riportare tra i debiti verso fornitori l'importo di Euro 168,12 (ovvero Euro 2.017,39 - Euro 1.849,77). Gli importi sono stati correttamente ripartiti." Con riferimento al terzo punto oggetto di contestazione, la consulente ha chiarito che dalla documentazione in atti risultano tutti i giustificativi relativi alla voce "Manutenzione ordinaria Scala A" - per la cui indicazione specifica si rimanda al corpo della relazione peritale. Pertanto, l'importo di Euro 446,20 risulta correttamente giustificato e correttamente imputato. Parimenti, con riferimento al quarto punto oggetto di contestazione, inerente la spesa di pulizia della scala "A" e del piazzale, la consulente ha chiarito che dalla documentazione in atti risultano le seguenti fatture: - fattura n. 391 del 05/12/2014 relativa al servizio di pulizia per Euro 317,20; - fattura n. 25 del 02/01/2015 relativa al servizio di pulizia del mese di dicembre 2014 per Euro 317,20. Anche nel caso di specie l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità le voci di costo contestate in ragione dell'applicazione del principio di cassa, in quanto tali uscite non erano state ancora effettuate; le voci sono però presenti nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale. Pertanto, anche tale importo risulta correttamente ripartito tra i condomini. Infine, con riferimento al quinto punto oggetto di contestazione, con riferimento alle spese di verifica biennale ascensore scala "A", il consulente ha chiarito che nella documentazione in atti risulta la fattura n. 5221 del 07/10/2014 della (...) s.p.a. di complessivi Euro 294,91 e relativa alla verifica periodica dell'impianto ascensore Scala A e (...). Dal bilancio comparato risulta che l'amministratore ha imputato tale costo di competenza dell'anno 2014 per il 50% alla: tabella B "Scala e Ascensore Scala A per Euro 152,25 e alla tabella B "Scala e Ascensore Scala B per Euro 152,25. Anche in questo caso, l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità la voce di costo contestata in ragione dell'applicazione del principio di cassa. Pertanto, anche il suddetto importo, è stato correttamente ripartito. Delle conclusioni cui è giunto il CTU nella propria relazione peritale non si ha alcun motivo di dubitare. Ed infatti, ferma la coerenza tra le premesse metodologiche e le conclusioni stesse, non può non sottolinearsi il chiaro riferimento a tutta la documentazione depositata in atti e, soprattutto, ai principi generali in materia di tenuta della contabilità applicabili al caso in esame. In particolare, in risposta alle contestazioni sollevate da parte attrice in sede di osservazioni, la dott. (...) ha rilevato che "l'art. 1130 bis c.c. dispone anche che nel registro di contabilità devono essere annotate le voci di entrate e di uscita (principio di cassa), per cui se ne deduce che al rendiconto condominiale si applica il criterio misto di cassa (per la tenuta del registro di contabilità) e di competenza (per la redazione del riepilogo finanziario). In tal senso Trib. Roma sentenze nn. 246/2019 e 1918/2019. Nel caso di specie l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità le voci di costo contestate poiché per il principio di cassa tali uscite non sono state ancora effettuate. Nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale sono stati correttamente inseriti i costi di competenza dell'esercizio ma che alla data del riepilogo non risultano ancora pagati nella voce debiti v/fornitori." Proprio in applicazione dell'art. 1130 bis del Codice civile - a norma del quale "Il rendiconto condominiale contiene le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve che devono essere espressi in modo da consentire l'immediata verifica. Si compone di un registro di contabilità, di un riepilogo finanziario, nonché di una nota sintetica esplicativa della gestione con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti" -, pertanto, si impone, nell'ambito dei rapporti condominiali, l'utilizzo del criterio di cassa per la compilazione del registro di contabilità, senza, però, che l'applicazione del suddetto principio, possa incidere sulla ripartizione di tutte le spese di competenza dell'annualità in corso, laddove di tali spese vi sia idoneo giustificativo, pur non essendo stato già operato l'esborso pecuniario relativo. La domanda va, per tutte le ragioni anzidette, integralmente rigettata. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo ai sensi del DM 147/2022, secondo il valore della controversia, prendendo come riferimento i parametri minimi, stante l'assenza di questioni in fatto e in diritto di particolare complessità. Parimenti in capo all'attore soccombente vengono definitivamente poste le spese di CTU, come liquidate in separato decreto del 14/01/2021. P.Q.M. Il Tribunale di Nocera Inferiore, seconda sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sulla domanda promossa come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: a) rigetta la domanda; b) condanna parte attrice al pagamento, in favore di parte convenuta delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 1.278,00 oltre Iva e Cpa, come per legge, e rimb. spese forf. (nella misura del 15% del compenso); c) pone definitivamente in capo a parte attrice le spese di CTU, come liquidate in separato decreto. Depositato telematicamente in data 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3652 del 2020, proposto da R. Ca. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Fr. Lo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Me., In. Pu., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via (...); nei confronti Sindaco del Comune di (omissis) in Qualità di Ufficiale di Governo, non costituito in giudizio; Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima n. 451/2019 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis) e di Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 8 maggio 2024 il Cons. Davide Ponte e nessuno è comparso per le parti costituite in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma "Mi. Te.". Viste le conclusioni delle parti come da verbale.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. R. Ca. S.r.l. appella la sentenza del Tar per il Friuli Venezia Giulia n. 451 del 2019, recante il rigetto del suo ricorso per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'adozione dell'ordinanza sindacale contingibile e urgente n. 73/2017, annullata dallo stesso TAR con sentenza n. 26/2018, con la quale è stato ordinato, da un lato, l'immediata adozione degli accorgimenti utili a limitare le emissioni sonore inquinanti rilevate dall'ARPA FVG e, dall'altro, la predisposizione di un piano di bonifica finalizzato al contenimento e abbattimenti delle emissioni sonore. 2. Parte appellante formulava i seguenti motivi di appello: - Violazione di legge per violazione e falsa applicazione degli artt. 30, c.p.a., 1223, 2043 c.c. e 40 e 41 c.p. per l'erronea ritenuta insussistenza del nesso causale - Travisamento di fatto; - Violazione di legge per violazione e falsa applicazione dell'art. 63, commi 3 e 4 c.p.a. Mancata assunzione delle prove richieste - Omissione di pronuncia e difetto di motivazione; - Violazione di legge per violazione e falsa applicazione dell'art. 1227, comma 2, c.c. e dell'art. 30, comma 3, c.p.a. - Travisamento di fatto - Carente e contraddittoria motivazione. 3. Si è costituito in resistenza all'appello il Comune di (omissis). 4. All'udienza di smaltimento dell'8 maggio 2024 la causa passava in decisione. 5. Il ricorso non è fondato nei termini che seguono. Preliminarmente occorre osservare che gli elementi costitutivi della fattispecie aquiliana sono così individuabili: a) il fatto illecito; b) l'evento dannoso ingiusto ed il danno patrimoniale conseguente; c) il nesso di causalità tra il fatto illecito ed il danno subito; d) la colpa dell'apparato amministrativo. Nel caso di specie nulla quaestio con riferimento al piano soggettivo. 5.1 Con riferimento al nesso di causalità, per mezzo della prima censura parte appellante deduce che il TAR si sarebbe affidato agli atti della difesa comunale che non ha offerto alcun riscontro tecnico idoneo a dimostrare l'inefficacia delle misure assunte dall'azienda in ottemperanza dell'ordinanza sindacale, né ha chiesto di darne dimostrazione, nel corso del giudizio, offrendo mezzi di prova. 5.2 Sotto tale profilo si deve rilevare che correttamente parte appellante dimostra il nesso di causalità alla luce dell'ordinanza che riconduce i livelli di inquinamento acustico precipuamente allo scarico dei materiali e alla movimentazione degli stessi sullo spazio esterno posto sul retro della proprietà, su via (omissis). Ritiene infatti parte appellante che l'unica misura che avrebbe potuto e dovuto adottare l'azienda in recepimento dell'ordinanza sindacale era solamente la cessazione completa dell'attività nell'area nord e la sua allocazione, in quell'area disponibile più lontana dal lamentato punto di impatto, nell'area sud. Né il Tar né la difesa comunale di contro hanno offerto alcun riscontro tecnico idoneo a dimostrare l'inefficacia delle misure assunte. 6. Guardando al piano del danno subito, con il secondo motivo di appello parte appellante ritiene la sentenza erronea per non aver accolto l'istanza di istruttoria volta a dimostrare le spese e i costi sostenuto per dar luogo all'esecuzione dell'ordinanza. 6.1 Il motivo non è fondato. Preliminarmente occorre ricordare come è noto il principio per cui l'onere della prova dei presupposti del risarcimento del danno (salve talune ipotesi speciali di responsabilità ) incombe sul danneggiato e non sul supposto danneggiante. L'azione risarcitoria innanzi al giudice amministrativo, infatti, non è retta dal principio dispositivo con metodo acquisitivo, tipico del processo impugnatorio, bensì dal generale principio dell'onere della prova ex artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., per cui sul ricorrente grava l'onere di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti della domanda al fine di ottenere il riconoscimento di una responsabilità dell'amministrazione per danni derivanti dall'illegittimo od omesso svolgimento dell'attività amministrativa, da ricondurre al modello della responsabilità per fatto illecito delineata dall'art. 2043 c.c. (Consiglio di Stato, Sez. IV, 08/02/2016, n. 486; Consiglio di Stato, Sez. IV, 28/01/2016, n. 327). 6.1 Nel caso di specie, parte appellante non assolve tale onere probatorio con riferimento al danno patrimoniale subito e oggetto di richiesta di risarcimento. Sotto un primo profilo, si deve rilevare che la stessa produce voci di spesa sostenute che tuttavia non hanno una valenza probatoria sufficiente in quanto dalla stessa parte predisposte. Sotto ulteriore profilo, la difesa comunale contesta puntualmente la rilevanza probatoria dei documenti su cui si basa la richiesta in quanto facenti capo a spese non riferibili all'esecuzione dell'ordinanza. A dimostrazione di quanto oggetto di contestazione vi è la reiterata istanza istruttoria volta a colmare l'onere probatorio incombente sulla parte appellante. Al riguardo assume rilievo preminente il principio per cui non si può liquidare il danno con una valutazione equitativa, poiché l'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c. non può essere assolto mediante consulenza tecnica d'ufficio, che non è un mezzo di prova, ma uno strumento di valutazione delle prove già fornite dalle parti (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. III, 15/10/2021, n. 6949). 7. Parimenti infondato è il terzo motivo di appello. La sentenza impugnata ha fatto buon governo dei principi in termini di imputabilità del danno al presunto danneggiato. In generale, l'art. 30, comma 3, c.p.a., che prevede la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l'impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall'ordinamento, è ricognitivo di principi già evincibili alla stregua di un'interpretazione del comma 2 dell'art. 1227 c.c.: detto articolo, infatti, operando sui criteri di determinazione del danno conseguenza ex art. 1223 c.c., regola la c.d. causalità giuridica, relativa al nesso tra danno evento e conseguenze dannose da esso derivanti ed introduce un giudizio basato sulla cd. causalità ipotetica, in base al quale non deve essere risarcito il danno che il creditore non avrebbe subito se avesse tenuto il comportamento collaborativo cui deve attenersi. Nel caso di specie il Tar ha evidenziato la carenza nella diligente e tempestiva tutela dei propri interessi, in termini coerenti ai principi predetti. 8. Per le ragioni esposte, deve rigettarsi l'appello. Sussistono giusti motivi per compensare le spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024, svoltasi in collegamento da remoto, con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere, Estensore Sergio Zeuli - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ERCOLE Aprile - Presidente Dott. AMOROSO Riccardo - rel. Consigliere Dott. ROSATI Martino - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 13/04/2022 della Corte di Appello di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Riccardo Amoroso; letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Vincenzo Senatore, che ha concluso per l'annullamento dell'im-pugnata sentenza con declaratoria di non punibilita' ex articolo 13-bis c.p.; lette le conclusioni scritte dell'avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento dei motivi. RITENUTO IN FATTO 1. Con il provvedimento indicato in epigrafe, la Corte di Appello di Palermo, in riforma della sentenza emessa 20 luglio 2021 dal Tribunale di Palermo, ha rideterminato la pena inflitta al ricorrente eliminando la pena detentiva e confermando la pena della multa di Euro 200,00, previa diversa qualificazione nel reato di cui all'articolo 570-bis c.p., rispetto all'originaria imputazione formulata dal pubblico ministero e relativa al piu' grave reato previsto dall'articolo 570, comma 2, n. 2 c.p.. Con l'anzidetta sentenza e' stato ritenuto accertato che l'imputato non ha provveduto al pagamento delle somme stabilite dal giudice civile per il mantenimento dei due figli minori, avendo corrisposto somme mensili dell'importo di 400 Euro a fronte dell'importo di 800 Euro stabilito in sede di accordo omologato nel maggio del 2013, nei soli mesi di novembre e dicembre 2014 e di febbraio 2015. La Corte ha escluso che detti limitati inadempimenti parziali abbiano comportato l'omesso versamento dei mezzi di sussistenza necessari per i due figli, ma non avendo ritenuto giustificati tali inadempimenti da una situazione di oggettiva impossibilita' di adempiere, pur prendendo atto della contrazione dei profitti dell'attivita' economica dell'imputato, ha ritenuto integrato il meno grave reato previsto dall'articolo 570-bis c.p. che sanziona l'inadempimento degli obblighi di contribuzione economica in materia di affidamento dei figli, a prescindere dalla prova dello stato di bisogno. 2. Tramite il proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso (OMISSIS) articolando i motivi di seguito indicati. 2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge e vizio della motivazione per illogicita' e contraddittorieta', perche', pur essendo stato dato atto della situazione di difficolta' economica del ricorrente e' stato escluso che il predetto si sia trovato nell'impossibilita' di adempiere, in considerazione della istruttoria svolta in rapporto alla diversa piu' grave imputazione ascritta, non essendo stata la linea di difesa del (OMISSIS) orientata dalla necessita' di escludere la sussistenza di tale meno grave imputazione. La prova dell'assoluta impossibilita' di adempiere e' stata comunque resa dall'imputato rispetto alla piu' grave imputazione, avendo dimostrato una contrazione dei guadagni rispetto alla piu' grave accusa mossagli. 2.2. Con il secondo motivo deduce l'omessa motivazione sulla mancata applicazione della causa di non punibilita' prevista dall'articolo 131-bis c.p. che pure era stata sollecitata nelle conclusioni scritte dalla difesa, ma non anche nei motivi di appello. 3. Il ricorso e' stato trattato, ai sensi dell'articolo 23, commi 8 e 9, Decreto Legge n. 137 del 2020, convertito nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, senza l'intervento delle parti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso e' manifestamente infondato. In tema di correlazione tra accusa e sentenza, costituisce principio consolidato che il rispetto della regola del contraddittorio - che deve essere assicurato all'imputato, anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto, conformemente all'articolo 111, comma 2, Cost., integrato dall'articolo 6 Convenzione Europea, come interpretato dalla Corte EDU - impone esclusivamente che detta diversa qualificazione giuridica non avvenga "a sorpresa" e cioe' nei confronti dell'imputato che, per la prima volta e, quindi, senza mai avere la possibilita' di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali rispetto all'originaria imputazione, di cui rappresenti uno sviluppo inaspettato. Ne consegue che non sussiste la violazione dell'articolo 521 c.p.p. qualora la diversa qualificazione giuridica del fatto appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile e l'imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilita' di interloquire in ordine al contenuto dell'imputazione, anche attraverso l'ordinario rimedio dell'impugnazione. Nel caso di specie la contestazione del reato piu' grave della violazione degli obblighi di mantenimento dei figli minori conteneva in se' anche quella della violazione meno grave degli obblighi di versamento degli assegni mensili dovuti per l'assistenza dei figli, stabiliti con provvedimento del Giudice civile in sede di separazione o divorzio. La derubricazione del reato non ha leso affatto i diritti di difesa dell'imputato, perche' la diversa qualificazione non ha inficiato neppure la sua linea di difesa. Invero, l'argomento centrale dell'impossibilita' di adempiere e' stato escluso concordemente dai giudici dei due gradi merito ed e' stato un tema di prova affrontato per l'imputazione piu' grave, che prevedeva degli importi maggiori come parametro di ragguaglio della verifica negativa operata, quindi, altrettanto valida per escludere l'incapacita' di affrontare delle spese addirittura minori rispetto a quelle oggetto dell'inadempimento contestato, essendo sostanzialmente identico il tema di prova. L'allegata contrazione dei suoi guadagni e' stata valutata nel corso del giudizio di merito irrilevante quale valida giustificazione anche rispetto al parziale inadempimento delle uniche tre mensilita' che sono state ritenute accertate all'esito del giudizio di appello. Pertanto, la diversa qualificazione del reato operata all'esito del giudizio di appello non puo' ritenersi inaspettata come addotto dall'imputato perche' si tratta di imputazioni contigue di cui quella meno grave puo' essere considerata un prevedibile sviluppo dell'altra. 2. Risulta invece fondato il secondo motivo di ricorso. La Corte di appello ha omesso di motivare del tutto sulle ragioni della mancata applicazione della causa di non punibilita' prevista dall'arti. 131-bis c.p. che pure era stata richiesta nel corso del giudizio di appello in sede di conclusioni. La causa di non punibilita' di cui all'articolo 131-bis, c.p., infatti, puo' essere rilevata di ufficio dal giudice d'appello, in quanto, per assimilazione alle altre cause di proscioglimento per le quali vi e' l'obbligo di immediata declaratoria in ogni sta-torado del processo, la stessa puo' farsi rientrare nella previsione di cui all'articolo 129, c.p.p. (Sez. 6, n. 2175 del 25/11/2020, dep. 2021, Ugboh, Rv. 280707: principio affermato proprio in un'ipotesi in cui la richiesta di applicazione della causa di non punibilita' era stata avanzata per la prima volta nella fase delle conclusioni orali del giudizio di appello). Dalla stessa ricostruzione dei fatti operata nella sentenza di appello, valorizzata ai fini della determinazione della pena, emerge l'occasionalita' dell'inadempimento, limitato ai soli mesi di dicembre 2014, gennaio e febbraio 2015, e la parzialita' di quest'ultimo essendo stato versato l'importo di Euro 400 a fronte di quello stabilito di Euro 800. Assume anche rilievo, poi, l'ulteriore accertamento svolto dalla Corte di Appello, secondo cui lo stesso ricorrente aveva versato importi straordinari ed aggiuntivi non esigui nei mesi di giugno, settembre, ottobre, novembre 2013 e giugno 2014. Si e' trattato, quindi, di un notevolissimo ridimensionamento del fatto, che avrebbe imposto alla Corte di appello di vagliare la sussistenza della causa di non punibilita' prevista dall'articolo 131-bis c.p., considerato che, in linea con gli orientamenti espressi sul punto dalla giurisprudenza di legittimita', anche la violazione ripetuta ma occasionale - come nella specie - ne puo' giustificare l'applicabilita' (vedi, Sez. 6 n. 16847 del 09/01/2019, F., Rv. 275547). S'impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata sul punto, che deve essere disposto senza rinvio ai sensi dell'articolo 620, lettera I) c.p.p., tenuto conto degli stessi elementi di fatto richiamati in motivazione che consentono di ravvisare la sussistenza di detta causa di non punibilita', poiche', in ragione della occasionalita' degli inadempimenti puo' escludersi l'abitualita' della condotta, non risultando a carico del predetto imputato neppure precedenti penali, avendo la Corte di appello fatto riferimento anche al suo stato di incensuratezza in sede di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Considerato che il procedimento riguarda reati commessi in danno di un minore si deve disporre nel caso di diffusione del presente provvedimento l'oscuramento delle generalita' e degli altri dati identificativi delle parti private a norma dell'articolo 52 Decreto Legislativo n. 196 del 2003. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perche' l'imputato non e' punibile ai sensi dell'articolo 131 bis c.p..

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. D'ANDREA Alessand - rel. Consigliere Dott. CIRESE Marina - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 13/10/2022 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di RIMINI; udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO D'ANDREA; lette/sentite le conclusioni del PG. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 13 ottobre 2022 il G.U.P. del Tribunale di Rimini, su accordo delle parti ex articolo 444 c.p.p., ha applicato a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), concesse le circostanze attenuanti generiche, la pena di anni uno e mesi otto di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa ciascuno in ordine al delitto di cui all'articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73 tra l'altro disponendo la confisca della somma di denaro in sequestro. 2. Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo del loro difensore, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), deducendo, con tre distinti atti, i motivi di doglianza di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1. (OMISSIS) ha proposto due motivi di censura, con il primo dei quali ha eccepito vizio di motivazione in relazione all'articolo 129 c.p.p., comma 1, per avere il G.U.P. non adeguatamente argomentato in ordine alla possibilita' di pronunciare sentenza di immediata declaratoria di proscioglimento nel merito dell'imputato. Con la seconda censura il ricorrente ha lamentato vizio di motivazione e violazione di legge, deducendo carenza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei presupposti giustificativi della disposta confisca della somma di denaro sequestratagli. 2.2. (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno dedotto, nei rispettivi ricorsi, un'unica identica censura, con cui hanno lamentato - al pari dell' (OMISSIS) - vizio di motivazione in relazione all'articolo 129 c.p.p., comma 1, per non essere stata espressa adeguata argomentazione circa la possibilita' di pronunciare sentenza di loro immediato proscioglimento nel merito. 3. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla statuizione relativa alla disposta confisca del denaro in sequestro. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' parzialmente fondato, dovendo trovare accoglimento il secondo motivo di censura dedotto da (OMISSIS), nel resto essendo inammissibili le censure eccepite. 2. La prima doglianza, infatti, comune ai ricorsi di tutti e tre gli imputati, non puo' essere accolta, in quanto dedotta con motivo non prospettabile con ricorso per cassazione, non essendo esso previsto tra quelli consentiti dall'articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, (come introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103). Non e' denunciabile, infatti, in sede di legittimita', rispetto alla sentenza di patteggiamento, l'omessa o insufficiente valutazione, da parte del giudice che ha pronunciato la sentenza, delle condizioni che, in tesi, avrebbero consentito di addivenire al proscioglimento in fatto ex articolo 129 c.p.p., comma 1, (Sez. F, n. 28742 del 25/08/2020, Messnaoui, Rv. 279761- 01; Sez. 6, n. 1032 del 07/11/2019, dep. 2020, Pierri, Rv. 278337-01; Sez. 2, n. 4727 del 11/01/2018, Oboroceanu, Rv. 272014-01). Cio', invero, appare del tutto logico e congruo, avendo l'imputato, con l'accesso al rito speciale, rinunciato a contestare le premesse storiche dell'accusa mossa nei suoi confronti (cfr., in termini, Sez. 2, n. 41785 del 06/10/2015, Ayari, Rv. 264595-01; per la quale, in tema di patteggiamento, la motivazione della sentenza in relazione alla mancanza dei presupposti per l'applicazione dell'articolo 129 c.p.p., comma 1, puo' anche essere meramente enunciativa, poiche' la richiesta di applicazione della pena deve essere considerata come ammissione del fatto ed il giudice deve pronunciare sentenza di proscioglimento solo qualora dagli atti risultino elementi tali da imporre di superare la presunzione di colpevolezza che il legislatore ricollega proprio alla formulazione della richiesta di applicazione della pena). 3. Come detto fondato, invece, e' il secondo motivo di ricorso dedotto da (OMISSIS), con cui l'imputato ha lamentato l'illegittimita', per carenza di motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti giustificativi, della disposta confisca della somma di denaro (Euro 1.075,00) sequestratagli. 3.1. Preliminarmente deve essere osservato, in ordine all'ammissibilita' di tale motivo di ricorso, che la sentenza di patteggiamento che abbia applicato una misura di sicurezza e' ricorribile per cassazione nei soli limiti di cui all'articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, ove la misura sia stata oggetto dell'accordo tra le parti - come non accaduto nel caso di specie - diversamente essendo ricorribile per vizio di motivazione ai sensi della disciplina generale prevista dall'articolo 606 c.p.p. (Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, Savin Gianina Alina, Rv. 279348-01). In tema di patteggiamento, infatti, anche dopo l'introduzione dell'articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, ad opera della L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, comma 50, e' ammissibile il ricorso per cassazione avente ad oggetto la mancata, o meramente apparente, motivazione circa l'applicazione della confisca, essendo la stessa un'ipotesi di "illegalita' della misura di sicurezza", rilevante come "violazione di legge" ai sensi dell'articolo 111 Cost., comma 7, (Sez. 3, n. 15525 del 15/02/2019, Bozzi, Rv. 275862-01). 3.2. Orbene, ritenuta l'ammissibilita' della dedotta impugnazione, e' necessario, tuttavia, ribadire come l'articolo 240 c.p. preveda, al comma 1, la possibilita' per il giudice di ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto, individuando tale ultimo nel lucro, e cioe' nel vantaggio economico che si ricava, direttamente o indirettamente, dalla commissione del reato (Sez. U, n. 9149 del 03/07/1996, Chabni, Rv. 205707-01). Alla stregua dell'indicato assunto, allora, e' da ritenere certamente ammissibile la confisca del denaro costituente il provento del reato laddove si proceda, come nel caso in esame, per l'ipotesi della detenzione a fini di cessione di sostanza stupefacente. 3.3. Chiariti i superiori aspetti, il Collegio rileva, tuttavia, come nella sentenza impugnata non sia stata data giustificazione alcuna della disposta confisca della somma di danaro, avendo il G.U.P. solo indicato la generica necessita' di procedere alla confisca del denaro in sequestro. All'evidenza, pertanto, non e' stata espressa - se non in maniera generica nel capo di imputazione - nessuna diretta riferibilita' di siffatta somma alla specifica contestazione oggetto di addebito, mentre, come in precedenza accennato, ai fini dell'adozione del provvedimento ablativo e' necessario provare la sussistenza di un nesso di pertinenzialita' della res con l'illecito, in termini di strumentalita' ovvero di derivazione (prodotto, profitto o prezzo) (cfr. Sez. 6, n. 55852 del 17/10/2017, Lanzi, Rv. 272204-01; Sez. 4, n. 40912 del 19/09/2016, Ka, Rv. 267900-01). In tal maniera, quindi, il decidente non ha neanche espressamente chiarito in virtu' di quale strumento giuridico tale confisca sia stata disposta, ed in particolare se ai sensi dell'articolo 240 c.p., ovvero applicando la c.d. confisca "allargata" di cui all'articolo 240-bis c.p. - per lungo tempo disciplinata dal Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-sexies conv., con modificazioni, nella L. n. 356 del 1992 - richiamato, in relazione al delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, dall'articolo 85-bis dello stesso D.P.R.. E' necessario ricordare, inoltre, come in ipotesi analoghe a quella in esame sia possibile sottoporre il denaro a confisca obbligatoria "per equivalente", ai sensi di quanto previsto dall'ultima parte della norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 7-bis. 4. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata limitatamente alla statuizione relativa alla confisca del denaro in sequestro, con rinvio al Tribunale di Rimini, cui pertiene il compito di verificare, dandone adeguata motivazione, l'eventuale ricorrenza delle condizioni applicative della misura di sicurezza e dello specifico strumento giuridico con cui applicarla. Nel resto, invece, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla confisca del denaro e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Rimini, altro giudice. Dichiara inammissibili i ricorsi nel resto. Motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. CANANZI Frances - rel. Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere Dott. CARUSILLO Elena - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 17/12/2021 della CORTE APPELLO di TRENTO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO CANANZI; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale ODELLO LUCIA, che ha chiesto rigettarsi i ricorsi; udite le conclusioni dell'avvocato (OMISSIS), anche in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS), nella qualita' di difensore e procuratore delle parti civili (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS) udito l'avvocato (OMISSIS) nell'interesse dei ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), che ha illustrato i motivi dei ricorsi e ne ha chiesto l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Trento, con la sentenza emessa il:17 dicembre 2021, confermava la condanna di (OMISSIS), mentre riformava la sentenza mandando assolta (OMISSIS), entrambi condannati in primo grado dal Tribunale di Trento per il reato di violenza privata (capo a - articolo 610 c.p.), turbativa violenta del possesso di cose immobili (capo b - articolo 634 c.p.), nonche' per mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (capo c - articolo 388 c.p.), condotte tutte relative alla condotta di aver parcheggiato l'autovettura lungo la strada di accesso al condominio cosi' da "impedire il passaggio degli altri autoveicoli" e da costringere "i residenti a tollerare l'impossibilita' di raggiungere la loro abitazione con i veicoli di proprieta'", con la predetta violenza turbando il pacifico possesso del diritto di passo sulla predetta strada, nonche' sottraendosi all'esecuzione degli obblighi conseguenti al provvedimento inibitorio della autorita' giudiziaria civile del Tribunale di Trento del 5 febbraio 2019, proseguendo nella condotta di parcheggio predetta. 2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di (OMISSIS) consta di sette motivi, quello proposto nell'interesse di (OMISSIS) di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 3. Il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) deduce violazione dell'articolo 610 c.p., avendo la Corte di merito ritenuto configurabile il delitto di violenza privata pur avendo affermato non l'impossibilita', bensi' la prova del disagevole o malagevole passaggio a seguito della riduzione della ampiezza della carreggiata conseguente al parcheggio dell'auto del ricorrente nella stradina di accesso al condominio, per un ampio arco di tempo. Lamenta il ricorrente che il delitto di violenza privata richieda un evento ulteriore, rispetto a quello in esame, da rinvenirsi nella limitazione della liberta' di movimento del soggetto passivo che deve condurre alla impossibilita' dell'accesso o del recesso e non solo alla natura disagevole degli stessi, con una difficolta' di manovra che la giurisprudenza di legittimita' escludeva integrasse il delitto contestato. Pertanto, tenendo in conto che cio' che era contestata nell'imputazione era l'impossibilita' di accesso, non rileverebbe la natura disagevole dello stesso ne' l'impossibilita' circoscritta ai soli "mezzi piu' grandi", come indicato nella impugnata sentenza. 4. Il secondo motivo deduce violazione dell'articolo 15 c.p.. La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere configurabile il delitto di violenza privata a fronte della contestazione, al capo b), del reato di turbativa violenta di possesso, risultando dall'imputazione le due condotte assolutamente sovrapponibili, anche per il rinvio fattuale della seconda alla prima quanto alla violenza in concreto esercitata. Dovrebbe, pertanto, prevalere la specialita' del delitto previsto dall'articolo 634 c.p. in quanto, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte territoriale e secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimita', possono concorrere i reati solo se la violenza privata sia funzionale a una limitazione diversa da quella prevista dalla turbativa di possesso, il che nel caso in esame non e', cosicche', in forza dell'articolo 15 c.p., e' configurabile il solo delitto di turbativa violenta di possesso, sussistendo un caso di concorso apparente di norme. 5. Il terzo motivo deduce violazione dell'articolo 388 c.p., comma 2, in quanto la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto configurata la condotta che implica l'elusione del provvedimento del giudice civile, non la inosservanza dello stesso. In vero il Giudice civile del Tribunale di Trento aveva disposto l'immediata rimozione dell'autovettura, nonche' il divieto per il futuro del parcheggio. La norma incriminatrice richiederebbe la natura simulata o fraudolenta e non sarebbe sufficiente il mero inadempimento, tranne che nel caso in cui il provvedimento sia ineseguibile senza la collaborazione dell'obbligato. Nel caso in esame il ricorrente evidenzia come la Corte di appello abbia incentrato la sussistenza della condotta - ai sensi dell'articolo 388 c.p. - esclusivamente nell'omessa rimozione dell'autovettura, non anche per le condotte future, cosicche', essendo la condotta esclusivamente inerte e l'autovettura suscettibile di rimozione coattiva, senza la necessita' della collaborazione dell'obbligato, non risulterebbe configurabile il reato in esame. 6. Il quarto motivo deduce violazione dell'articolo 388 c.p., comma 2, per aver ritenuto sussistente il delitto prima della comunicazione formale all'obbligato del provvedimento del giudice civile e dell'intimazione a adempiere. Tanto il querelante (OMISSIS), quanto i Giudici di merito, hanno ritenuto la condotta sussistente per la sola violazione del provvedimento del giudice del 5 febbraio 2019, consumatasi lo stesso giorno e il giorno seguente, 6 febbraio 2019, come attestato dalle fotografie dell'autovettura parcheggiata ancora alle ore 7.23, mentre invece (OMISSIS) inoltrava a (OMISSIS) a mezzo whatsapp l'intimazione ad adempiere alle ore 10.00, dopo averlo avvisato dell'esito del giudizio possessorio il giorno precedente in via informale. Erra la Corte di appello allorche' ritiene non necessaria la comunicazione formale del provvedimento del giudice civile secondo le regole del relativo rito, per poter poi ritenere integrata la condotta (successiva) di cui all'articolo 388 c.p.. La Corte di merito non ha valutato che difetta la "messa in esecuzione" del provvedimento del giudice civile, non risultando sufficiente la comunicazione informale. 7. Il quinto motivo lamenta vizio di motivazione in ordine al reato dell'articolo 388 c.p. indicato al capo c), in quanto la Corte territoriale avrebbe in modo manifestamente illogico tratto la piena conoscenza del provvedimento del giudice civile da parte di (OMISSIS) gia' a seguito della comunicazione informale ricevuta dal difensore, limitata al solo esito del procedimento, mentre del contenuto specifico (OMISSIS) non ebbe contezza se non alle ore 10.00 del 6 febbraio 2019, con la trasmissione della ordinanza di rimozione dell'auto. In sostanza la Corte di appello incorrerebbe in un salto logico, oltre che in un travisamento per contraddizione con gli atti del processo, che negano la sicura e piena conoscenza del provvedimento del giudice civile se non all'atto della comunicazione formale della ordinanza. 8. Il sesto motivo lamenta la violazione dell'articolo 131-bis c.p. in quanto la Corte non avrebbe riconosciuto la tenuita' della condotta in ordine al capo c), pur avendo (OMISSIS) rimosso l'autovettura subito dopo la comunicazione formale del provvedimento. Errata sarebbe la motivazione impugnata in quanto la Corte avrebbe riconosciuto l'abitualita' della condotta riferendosi alla unica finalita', alla pluralita' di illeciti e dell'arco temporale degli stessi, confondendo la nozione di abitualita' con quella di continuazione, ben potendo coesistere il vincolo dell'articolo 81 c.p., comma 2, con l'applicazione dell'articolo 131-bis c.p., a fronte per altro di una condotta consumata in un solo giorno. 9. Il settimo motivo lamenta vizio di motivazione quanto all'an e al quantum della condanna al risarcimento dei danni. La Corte di appello aveva confermato la sentenza di primo grado che condannava l'imputato al risarcimento del danno da liquidarsi in sede civile, oltre che al versamento di Euro 6000,00 (pari a Euro 2000,00 per ogni reato) a titolo di provvisionale per il danno morale, in favore di ciascuna delle quattro parti civili. Lamenta il ricorrente che non era stata offerta alcuna motivazione quanto alla ragione del risarcimento ne' alla quantificazione della provvisionale, non potendo bastare per il primo che il danno sia in re ipsa, risultando necessaria una motivazione adeguata da parte del giudice di merito secondo l'orientamento di legittimita'. 10. Quanto al ricorso nell'interesse di (OMISSIS), il primo motivo lamenta la violazione degli articoli 240, 388, 634 e 612 c.p. in quanto la ricorrente, assolta in secondo grado per non aver commesso il fatto, subiva la conferma della confisca dell'autovettura a lei intestata. Premette (OMISSIS) la propria legittimazione a ricorrere in quanto non estranea al processo, ma estranea al reato, sussistendo uno specifico interesse a ricorrere per ottenere la restituzione dell'autovettura, avendola affidata al compagno (OMISSIS) solo per il parcheggio. In sostanza, (OMISSIS) risulterebbe estranea al reato e titolare sostanziale e formale dell'autovettura, della quale avrebbe la piena disponibilita', dal che la violazione dell'articolo 240 c.p.. 11. Il secondo motivo di ricorso lamenta omessa motivazione in ordine alla confisca dell'autovettura, che e' stata confermata pur a fronte della assoluzione della (OMISSIS), senza aver ritenuto ne' la fittizieta' della intestazione dell'autovettura, ne' la mala fede della (OMISSIS), ne' valutando la occasionale strumentalita' del bene al reato, che invece si presta a un uso lecito, con improbabilita' del ripetersi della condotta illecita in caso di disponibilita' riacquistata. 12 L'avvocato (OMISSIS), nella qualita' di difensore e procuratore delle parti civili (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS) 13. Il ricorso e' stato poi trattato con l'intervento delle parti, a seguito di tempestiva richiesta da parte dell'avvocato (OMISSIS), ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto del Decreto Legge n. 105 del 2021, articolo 7, comma 1, la cui vigenza e' stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dal Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, articolo 94 come modificato dal Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, articolo 5-duodecies convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199. 14. Le parti hanno concluso come indicato in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile, quello per (OMISSIS) parzialmente fondato. 2. Il primo e il secondo motivo del ricorso nell'interesse di (OMISSIS), strettamente connessi, vanno trattati unitariamente. 2.1 Quanto al primo motivo, deve rilevarsi come la sentenza impugnata per un verso accolga la censura della difesa, che aveva evidenziato come la condotta di violenza privata fosse stata indebitamente estesa, al di la' della contestazione, dal primo giudice anche alla rimozione del corrimano che impediva ai pedoni di poter muoversi lungo la strada in condizione di innevamento. D'altro canto, pero' la Corte di appello conferma la sentenza impugnata in ordine al delitto di violenza privata essendo stato accertato che la permanenza della vettura sulla stradina di accesso al condominio rendeva disagevole il passaggio veicolare per le autovetture utilitarie, impossibile per autovetture di dimensione maggiore, o anche per automezzi di piu' ampia dimensione di terzi che dovessero avere necessita' di accedere nell'interesse dei condomini. Nonche' altrettanto impossibile risultava la percorrenza per i mezzi spazzaneve, al verificarsi di precipitazioni nevose, cosi' come l'accumulo di neve ai lati della strada, con al presenza della autovettura parcheggiata da parte del (OMISSIS), rendeva ancora piu' ridotta la sede stradale percorribile, di fatto rendendo impossibile il passaggio. La Corte rilevava poi come la situazione descritta ebbe a permanere dal 2018 sino all'ordinanza emessa dal giudice civile all'esito del giudizio possessorio, cosicche' il disagio e l'impossibilita' di accesso, nei termini descritti, risultavano patiti dai residenti del condominio senza soluzione di continuita' con conseguente protrazione della limitazione della liberta' di movimento. 2.2 Le censure difensive si appuntano sul tema della necessita' che la condotta contestata implichi l'impossibilita' di accesso e non solo il disagio, ma non si confrontano con quella parte della motivazione che descrive appunto l'impossibilita' per l'accesso al condominio per ogni mezzo di dimensione superiore a quello di una utilitaria. A ben vedere il motivo, da questo punto di vista, risulta aspecifico. Difatti e' inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni gia' esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849), al piu' con l'aggiunta di espressioni che contestino, in termini meramente assertivi ed apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino di una critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtu' delle quali i motivi di appello non sono stati accolti (Sez. 6 n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521). 2.3 Ad ogni buon conto, il richiamo del ricorrente alla circostanza che l'evento del delitto di violenza privata, nel caso in esame, sarebbe da identificarsi esclusivamente nella impossibilita' all'accesso e al recesso, risulta infondato. A ben vedere la giurisprudenza richiamata in ricorso ha a che fare con ipotesi di impossibilita' di accesso, il che non vuol dire che il delitto non sia integrato da ogni altra e piu' tenue limitazione della liberta' di autodeterminazione della persona offesa. Si e' infatti evidenziato come per la configurazione del reato di violenza privata debba essere influenzato in modo significativo il processo di libera determinazione della volonta' della persona offesa, tanto da indurla a un comportamento diverso da quello che altrimenti avrebbe tenuto in piena liberta': pertanto si e' affermato che integra il delitto di violenza privata la condotta di colui che parcheggi la propria autovettura dinanzi a un fabbricato in modo tale da bloccare il passaggio impedendo l'accesso alla parte lesa, o comunque il movimento, considerato che, ai fini della configurabilita' del reato in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della liberta' di determinazione e di azione (cosi' Sez. 5, n. 1913 del 16/10/2017, dep. 2018, Andriulo, Rv. 272322 - 01, che richiama: Sez. 5, n. 8425 del 20/11/2013 - dep. 2014, Iovino, Rv. 259052; Sez. 5, n. 21779 del 17/05/2006, P.G. in proc. Brugger, Rv. 234712; Sez. 5, n. 40983 del 18/10/2005, Siracusa, Rv. 232459; Sez. 5, n. 603 del 18/11/2011, dep. 2012, Lombardo, Rv. 252668). Orbene, non vi e' dubbio che l'accesso disagevole costituisca una limitazione alla liberta' del condomino che voglia percorrere la strada con la propria autovettura, che deve essere solo utilitaria, il che costituisce una ulteriore limitazione alla libera volonta', come anche che non puo' fare accedere mezzi di dimensione maggiore per ragioni di servizio per la propria abitazione. D'altro canto, la norma incriminatrice non richiede che vi sia, in conseguenza della violenza, l'impossibilita' assoluta da parte della persona offesa di esercitare la propria liberta' di autodeterminazione, tanto che e' stato ritenuto configurabile il reato di cui all'articolo 610 c.p. per la condotta di colui che, azionando a distanza il meccanismo di blocco di un cancello elettrico, impedisce alla persona offesa di uscire con la propria autovettura dalla zona garage del condominio, costringendola a scendere dal veicolo e a staccare la corrente elettrica per neutralizzare la chiusura a distanza del cancello al fine di varcare l'accesso carraio dello stabile (Sez. 2, n. 46786 del 24/10/2014, Borile, Rv. 261051 - 01); o anche per l'agente che con la violenza tipica delle manovre spericolate impedisca alla parte offesa di proseguire regolarmente la sua marcia (Sez. 5, n. 44016 del 17/11/2010, Gullo, Rv. 249146 - 01, in riferimento alla condotta di chi si affianchi ad altra vettura, sorpassandola e sterzando bruscamente, costringendo l'altro automobilista a cambiare direzione di marcia al fine di impedire una collisione, che certamente non impedisce il proseguire la marcia ma ne condiziona la liberta' di movimento; la predetta sentenza richiama Sez. 1, 26/09/2002, n. 32001; Sez. 5, 09/01/1985, n. 2545). Per altro, e' stato anche affermato come integri il delitto di violenza privata la condotta preordinata a rendere anche solo disagevole una lecita modalita' di esplicazione del diritto della persona offesa, quale e' nel caso in esame il diritto di passaggio verso il condominio (Sez. 5, n. 1053 del 06/10/2021, dep. 13/01/2022, Rv. 282467 - 01, nella fattispecie relativa alla sostituzione, da parte degli imputati, contro la volonta' del proprietario e dell'affittuario, della serratura di una delle due porte di accesso alle scuderie di un'azienda agricola). Se il bene tutelato dalla norma incriminatrice e' la liberta' morale, intesa come possibilita' di autodeterminarsi spontaneamente, senza essere costretti a "fare, tollerare o omettere qualche cosa", ne consegue che non solo la perdita ma anche la riduzione significativa della capacita' di determinarsi e agire secondo la propria volonta' integra il delitto di violenza privata. 2.4 Pertanto, il motivo e' infondato, integra il delitto di violenza privata la condotta di colui che parcheggi la propria autovettura sulla strada di accesso a un fabbricato in modo da rendere non impossibile, ma anche solo significativamente disagevole l'accesso alla persona offesa, considerato che, ai fini della configurabilita' del reato in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente della liberta' di determinazione e di azione la persona offesa nell'esercizio del proprio diritto di passaggio. 2.5 Quanto al secondo motivo di ricorso, lo stesso e' precluso. Infatti, il sesto motivo di appello, unico dedicato al capo b), non ha posto previamente la censura ora in esame, in violazione di quanto e' prescritto a pena di inammissibilita' dall'articolo 606 c.p.p., comma 3, bensi' ha ritenuto che non fosse sussistente il delitto contestato in quanto difetterebbe la violenza alla persona. Si tratta di censura assolutamente diversa da quella ora proposta. Va, pertanto, rilevato come secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, deve ritenersi sistematicamente non consentita la proponibilita' per la prima volta in sede di legittimita' oltre che per le violazioni di legge (per le quali cfr. espressamente articolo 606 c.p.p., comma 3) anche di uno dei possibili vizi della motivazione con riferimento ad elementi fattuali richiamabili, ma non richiamati, nell'atto di appello, con riferimento ad un capo e ad un punto della decisione gia' oggetto di appello (cosi' Sez. 2, n. 32780 del 13/07/2021, De Matteis, Rv. 281813; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062, in motivazione; in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Tocco, Rv. 280306; Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, Martorana, Rv. 279903; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, B., Rv. 271869; Sez. 2 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, Li Vigni, Rv. 269368). 3. Quanto al terzo, quarto e quinto motivo, da trattarsi congiuntamente in quanto relativi a violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al capo c), la Corte di appello ha ritenuto che (OMISSIS) avesse avuto contezza del contenuto dell'ordinanza il giorno 5 settembre 2019 tramite il proprio difensore (OMISSIS) e la prova fotografica allegata dalle parti civili comprovasse che il giorno successivo l'autovettura non fosse stata ancora rimossa. 3.1 A ben vedere i motivi terzo e quarto sono preclusi, per le ragioni indicate al par. 2.5 che precede, in quanto l'atto di appello censurava, con il motivo settimo, solo il difetto dell'elemento soggettivo, rispondente al tema posto dall'attuale quinto motivo. In particolare, va premesso che a fronte della contestazione nella quale si fa riferimento all'articolo 388 c.p. genericamente, senza indicare se si verta in tema di comma 1 o comma 2, i giudici del merito optano per la condotta di elusione del comma 2, in quanto nessun riferimento sussiste nella imputazione in ordine alle condotte fraudolente o simulate, trattandosi di provvedimento cautelare in tema di proprieta' e possesso, come previsto dal comma 2. D'altro canto, a fronte dell'attuale riferimento alle condotte elusive, i motivi di appello non censuravano sul punto l'opzione operata dal Giudice di primo grado, ne' tanto meno lamentavano, come fa oggi in modo precluso per le menzionate ragioni il ricorrente, l'assenza di prova quanto alla natura fraudolenta o simulata delle condotte, richiesta invece dal comma 1. 3.2 Il quinto motivo e' invece fondato. La Corte di appello non rende conto della circostanza che (OMISSIS) avesse saputo del provvedimento nella sua interezza, con piena conoscenza del correlato obbligo di rimozione immediata dell'autovettura e delle penali previste per ogni giorno di ritardo, riferendo solo che il ricorrente avesse avuto conoscenza - per averlo egli stesso riferito in sede di interrogatorio - dell'esito "negativo" del procedimento possessorio. La difesa ha allegato, in ossequio al principio di autosufficienza, il messaggio del 6 febbraio 2019 ore 9.25 inviato dall'avvocato (OMISSIS) al suo assistito (OMISSIS), nel quale il legale comunica a mezzo whatsapp che il difensore di controparte aveva mandato una intimazione ad adempiere al provvedimento possessorio "ovvero che tu non parcheggi piu' la vettura all'interno della linea gialla oltre naturalmente al pagamento delle spese legali", allegando poi il provvedimento del giudice civile. Pertanto, da tale documentazione emerge che solo in quel momento (OMISSIS) avrebbe avuto contezza degli obblighi conseguenti. 3.3 E bene, in relazione all'articolo 388 c.p., comma 2, accede questo Collegio all'orientamento per cui ai fini della configurabilita' del reato di mancata esecuzione dolosa di provvedimento cautelare del giudice civile non si presuppone, "come condizione di punibilita', la previa notifica del medesimo provvedimento alla persona che deve osservarlo, nel senso che non ne e' richiesta la conoscenza legale ma quella (...) di fatto piena" (Sez. 6, n. 36010 del 29/02/2012, Cimo', Rv. 253370 - 01; contra Sez. 6, n. 314 del 07/11/2003, dep. 2004, Borghi, Rv. 229940 - 01), dovendo ritenersi sufficiente che vi sia stata una richiesta di adempimento (o una messa in mora) anche informale, purche' si tratti di intimazione che sia precisa e non equivoca, rigorosamente provata e non semplicemente supposta (Sez. 6, n. 51218 del 01/07/2014, Carletti, Rv. 261665 - 01; Sez. 6, n. 5129 del 11/03/1999, Nossing, Rv. 213678 - 01; Sez. 6, sent. 2559 del 27.10.93, Masi; Sez. 6, sent. 6042 del 13.6.96, Sapienza; Cass. VI, sent. 9441 del 20.10.97, Perri). 3.4 Nel caso in esame la motivazione si palesa manifestamente illogica, perche' per un verso afferma la conoscenza del contenuto del provvedimento da parte di (OMISSIS) dal giorno 5 settembre, per altro verso riferisce che (OMISSIS) avesse avuto solo contezza "dell'esito" del procedimento possessorio, potendo cosi' intendersi solo che avesse avuto contezza che la propria tesi era stata disattesa, senza che cio' volesse significare che avesse avuto conoscenza completa del contenuto del provvedimento, consistente nell'obbligo di rimozione e del pagamento delle penali in caso di trasgressione. A ben vedere la valorizzazione operata dalla Corte di merito della falsita' delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) in ordine alla rimozione intervenuta il giorno 5 (e non il giorno 6, come ha accertato la Corte di appello), collide con il principio dello ius defendendi, a meno di comprovarsi che si verta in tema di alibi fallito, perche' maliziosamente preordinato e smentito. In vero (OMISSIS) riferisce di avere ricevuto notizia solo "dell'esito negativo del giudizio possessorio" e di essere rimasto in attesa dell'invio del provvedimento, che effettivamente risulta inviato il giorno seguente, come comprovato dalla difesa: in tal senso spettera' alla Corte di appello valutare con motivazione congrua se (OMISSIS) con la prima comunicazione del giorno 5 settembre avesse avuto contezza anche dell'obbligo di rimozione dell'auto e della penale prevista, perche' solo in tal caso poteva essere ritenuto obbligato a provvedere a un immediato adempimento. Pertanto, va disposto l'annullamento della sentenza sul punto in ordine al capo c) e la Corte di merito provvedera' in ossequio ai principi di diritto enunciati. 4. In ordine al sesto motivo, sempre relativo al capo c), risulta assorbito da quello che precede, riguardando comunque il reato previsto dall'articolo 388 c.p.. 5. In ordine al settimo motivo, la Corte di appello ha confermato la condanna generica al risarcimento del danno e quella al pagamento della provvisionale. Il motivo e' in parte precluso e per altro manifestamente infondato. Quanto alla condanna generica, nessuna doglianza in sede di appello era stata formulata in quanto il motivo n. 11 riguardava solo la provvisionale. Ne consegue la natura preclusa dell'odierno motivo sul punto, oltre che la sua manifesta infondatezza in quanto aderisce questo Collegio all'orientamento prevalente per cui per la condanna generica non e' necessaria la prova della concreta esistenza di danni risarcibili, essendo sufficiente l'accertamento della potenziale capacita' lesiva del fatto dannoso e dell'esistenza di un nesso di causalita' tra questo e il pregiudizio lamentato, desumibile anche presuntivamente (Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Castaldo Rv. 281997 - 21; conf. N. 28216 del 2020 Rv. 279625 - 01, N. 4761 del 2020 Rv. 278306; contra N. 16765 del 2020 Rv. 279418 - 14). In merito alla condanna alla provvisionale, corretta e' la motivazione della Corte territoriale, al fol. 24 e s. della sentenza, in sintonia con il consolidato insegnamento di questa Corte per cui non e' impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (ex multis Sez. 2, Sentenza n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773; Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D. G., Rv. 263486). Ne consegue la natura preclusa e manifestamente infondata del motivo. 6. I due motivi del ricorso nell'interesse di (OMISSIS) vanno trattati congiuntamente. La ricorrente e' stata assolta in secondo grado, mentre dell'autovettura a lei intestata e' stata confermata la confisca. Il Giudice di primo grado aveva ritenuto confiscarsi l'autoveicolo, con la condanna anche della (OMISSIS). Cio' in sintonia con il principio per cui ai fini dell'applicazione della confisca facoltativa di cui all'articolo 240 c.p., comma 1, e' necessario l'accertamento di un nesso di strumentalita' in concreto tra la cosa ed il commesso reato, in ragione delle specifiche caratteristiche della prima e delle modalita' e circostanze di commissione del secondo, senza che siano richiesti requisiti di "indispensabilita'", volti a configurare un rapporto causale diretto ed immediato tra l'una e l'altro, tale per cui la prima debba apparire come indispensabile per l'esecuzione del secondo (Sez. 2, n. 10619 del 24/11/2020 dep. 18/03/2021, Fortuna, Rv. 280991 - 01). L'elemento di novita' e' l'assoluzione per non aver commesso il fatto della (OMISSIS), rispetto alla quale la Corte di appello fa conseguire solo la revoca delle statuizioni civili in suo danno, ma nulla argomenta in ordine alla conferma della confisca. Ebbene, va qui richiamato il principio per cui in tema di misure cautelari reali, il terzo rimasto estraneo al processo, formalmente proprietario del bene gia' in sequestro, di cui sia stata disposta con sentenza la confisca, puo' chiedere al giudice della cognizione, prima che la pronuncia sia divenuta irrevocabile, la restituzione del bene e, in caso di diniego, proporre appello dinanzi al tribunale del riesame (Sez. U, n. 48126 del 20/07/2017, Muscari, Rv. 270938 - 01: in motivazione la Corte ha affermato che, qualora venga erroneamente proposta opposizione mediante incidente di esecuzione, questa va qualificata come appello e trasmessa al tribunale del riesame). In vero il sistema di controlli tassativamente previsto con i mezzi di impugnazione tipici per le misure cautelari, infatti, considerati i termini di impugnazione e le cadenze temporali ivi stabilite, e' teso a stabilire una tutela idonea, effettiva ed efficace, anche quanto a tempestivita', per la parte nei confronti il sequestro e' stato disposto ed a scongiurare il pericolo che la decisione divenga nel frattempo irrevocabile. Pertanto, deve rilevare questa Corte come, depositata la sentenza di secondo grado in data 9 febbraio 2022, i motivi di impugnazione proposti sul punto non possono ora essere convertiti, ai sensi dell'articolo 568 c.p.p., comma 5, in richieste di riesame, essendo il ricorso per cassazione depositato oltre il termine per la proposizione del riesame, ai sensi dell'articolo 324 c.p.p., comma 1. Ovviamente, nella qualita' di terzo, la (OMISSIS) potra' esperire i rimedi previsti in sede di esecuzione, a seguito della irrevocabilita' della confisca. 7. Nulla va disposto allo stato per le spese processuali richieste dalle parti civili, dovendo provvedersi al definitivo, non avendo le stesse concluso in relazione alla (OMISSIS) ma solo al (OMISSIS), per il quale vi e' stato parziale accoglimento del ricorso nei termini indicati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente al capo c) dell'imputazione, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Bolzano. Rigetta il ricorso del (OMISSIS) nel resto. Spese nei confronti delle parti civili al definitivo. Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) Giovanna (OMISSIS)

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GALTERIO Donatella - Presidente Dott. CERRONI Claudio - Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio - rel. Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), CUI (OMISSIS) nato in (OMISSIS); (OMISSIS), CUI (OMISSIS) nato in (OMISSIS); (OMISSIS), nato in (OMISSIS); (OMISSIS), CUI (OMISSIS) nata in (OMISSIS); avverso la sentenza del 07/06/2022 della CORTE APPELLO di BRESCIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALESSIO SCARCELLA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CUOMO LUIGI, che, riportandosi alla requisitoria depositata, ha concluso per l'annullamento con rinvio del capo della sentenza impugnata relativo alla revoca della sospensione condizionale della pena nei confronti di (OMISSIS) e per l'inammissibilita' dei restanti ricorsi; udito il difensore presente, Avv. (OMISSIS), che, al termine del suo intervento, nell'interesse di (OMISSIS), ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza 7.06.2022, la Corte d'appello di Brescia confermava, per quanto qui di interesse, la sentenza GUP/Tribunale di Brescia 14.10.2021, revocando ex articolo 168 c.p. il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso ad (OMISSIS) con la sentenza di primo grado (laddove la parziale riforma della sentenza 14.10.2021 del GUP/tribunale Brescia appellata da tutti gli imputati riguardava il solo (OMISSIS), non ricorrente in Cassazione, che in accoglimento della sua proposta di concordato in appello si vedeva ridotta la pena inflitta inflittagli). Diversamente, gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) sono stati condannati per il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74) nonche' per gli altri reati satellite contestati ai capi c), per (OMISSIS), e) per (OMISSIS), g) per (OMISSIS) ed (OMISSIS), h) per (OMISSIS) e (OMISSIS), i) per (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), j) per (OMISSIS) ed (OMISSIS), k) I) n) per (OMISSIS), m) o) per (OMISSIS) e (OMISSIS), p) q) per (OMISSIS). Infine, il ricorrente (OMISSIS) e' stato condannato solo per il delitto di cui al capo f), ed assolto dal delitto associativo con la formula "non aver commesso il fatto". 2. Contro la sentenza propongono separati ricorsi per cassazione (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)4ENE IONELA (OMISSIS) e (OMISSIS), a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, deducendo plurimi motivi, tutti di seguito sinteticamente illustrati. 3. Ricorrente (OMISSIS), otto identici motivi, affidati in due distinti ricorsi all'Avv. (OMISSIS) ed all'Avv. (OMISSIS). 3.1. Deduce il ricorrente, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74. In estrema sintesi, atteso che al ricorrente sarebbe stato riconosciuto il ruolo di promotore, organizzatore e capo del sodalizio dedito al narcotraffico, richiamati i principi espressi dal Giudice di legittimita' sul confine tra associazione e concorso, la difesa ne rileva una errata applicazione. In particolare, dal combinato motivazionale delle pronunce di merito non sarebbe emersa la permanenza del vincolo associativo: quanto all'elemento organizzativo, gli elementi addotti dai giudici, di cui si richiamano ampi passaggi nel ricorso, non sarebbero sufficienti a individuare il quid pluris che si sostanzia nella predisposizione di mezzi concretamente finalizzati alla commissione di delitti e in un contributo effettivo da parte dei singoli per il raggiungimento dello scopo illecito. A dimostrazione di quanto dedotto, la difesa ripercorre tutte le dichiarazioni utilizzate dai giudicanti per dimostrare la permanenza del vincolo associativo contestandone in concreto la potenzialita' dimostrativa della sussistenza e stabilita' dell'associazione. Ancora continua la difesa, rilevando come mancherebbe un vincolo stabile tale da desumere l'esistenza della dell'associazione finalizzata al traffico stupefacenti, infatti, le sentenze di merito non dimostrerebbero la volonta' dei contraenti di superare la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale. Sul punto, poi, la motivazione sarebbe contraddittoria laddove riconosce la sussistenza di una struttura piuttosto essenziale per poi ammettere l'inesistenza di continuativi stabili contatti tra i vari presunti sodali. Invero, affinche' si possa affermare l'esistenza del sodalizio criminoso, e' necessario che il numero di partecipanti superi i contatti bilaterali intercorrenti tra un medesimo soggetto del presunto gruppo con ciascun supposto sodale requisito che non sarebbe soddisfatto secondo gli argomenti spesi dai giudici di merito poiche' e' stata data per assodata la partecipazione di (OMISSIS) e di (OMISSIS) limitatamente ai soli ultimi due anni di vita della supposta associazione, esclusa la partecipazione di (OMISSIS) e dovendo escludere, secondo la difesa, l'apporto di (OMISSIS). Il numero degli associati verrebbe cosi' ridotto a soli due partecipanti, (OMISSIS) e (OMISSIS), legati in realta' da un legame di parentela e amicizia. Inoltre, l'insussistenza di una natura stabile e duratura emergerebbe dalla incompatibilita' delle tempistiche tra i fatti contestati e alcune vicende personali degli imputati. In particolare, per quanto riguarda (OMISSIS) dall'(OMISSIS) si sarebbe trovato all'estero e quindi vi sarebbe incompatibilita' temporale con le tempistiche indicati ai capi di imputazione A), C), G), 3), K), L), M), N), O); dall'(OMISSIS) sarebbe poi stato ai domiciliari e quindi vi sarebbe incompatibilita' con le condotte di cui ai capi A), I), L), O) e nel (OMISSIS) sarebbe invece stato in carcere e quindi l'incompatibilita' riguarderebbero i capi a A), J), K), L) e O). Sarebbe peraltro apodittica l'affermazione per cui l'attivita' della moglie del ricorrente fosse uno schermo dell'impresa criminosa del marito considerato che nessun accertamento per dimostrarne la fondatezza sarebbe stato svolto. Ne' sarebbe stato provato sia che le autovetture in uso agli associati costituiscano mezzi destinati alla realizzazione del programma criminoso sia che i contratti di locazione di tutti gli appartamenti nella disponibilita' di (OMISSIS) avrebbero costituito apporto logistico perche' intestati alla moglie, la quale in realta' avrebbe preso in affitto due case per rispondere ad un bisogno personale. Ad ogni modo, anche a voler ritenere sussistente l'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti nel biennio (OMISSIS), difetterebbe la ricorrenza degli elementi essenziali di carattere oggettivo e soggettivo, per quanto sopra dimostrato (immobili, autovetture, telefoni cellulari, assenza di prova dei canali di fornitura). Quanto ai reati fine, sostiene la difesa la mancanza di prove certe che possano dimostrare un collegamento con l'associazione trattandosi di reati-fine storicamente determinati di volta in volta che denoterebbero una mancanza di preventiva e preesistente struttura organizzativa idonea al quale il soggetto agente potesse fare affidamento per l'attuazione di un programma criminoso definito. Infine, quanto alla peculiarita' del ruolo attribuito a (OMISSIS) quale capo, promotore e organizzatore, la sua condotta avrebbe dovuto essere qualificata tuttalpiu' quale concorso in reati di spaccio secondo quanto emergerebbe dai dati fattuali. 3.2. Deduce il ricorrente, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74, comma 2 in punto di mancata riqualificazione della condotta apicale in quella di mero partecipe all'associazione. In sintesi, la difesa censura la sentenza impugnata per aver riconosciuto il ruolo apicale al ricorrente incorrendo cosi' in error in judicando. Invero, gli elementi probatori su cui si fonda la contestazione di "promotore, organizzatore e capo dell'associazione" andrebbero rinvenuti nelle sommarie informazioni testimoniali rese dagli utilizzatori della sostanza stupefacente, dichiarazioni che consisterebbero, secondo la difesa, in mere impressioni, illazioni personali generiche e astratte non connotate dei caratteri della chiarezza e decifrabilita' mancando, quindi, nel compendio probatorio prove certe circa l'effettiva gestione dei soldi da parte del ricorrente (OMISSIS), ne' tantomeno si potrebbe desumere la sussistenza del ruolo apicale in capo al medesimo dai lati caratteriali, sia pure sgarbati e burberi. Non vi sarebbe poi una prova certa e incontrovertibile sia che il ricorrente fosse in stabile contatto con gli altri sodali atteso che non emergerebbe dal compendio probatorio la certezza di un collegamento tra le tra le utenze l'attivita' di spaccio e che quindi costituiscano mezzi destinati alla realizzazione del programma criminoso. I giudici di merito, inoltre, non avrebbero rispettato i principi di legittimita' espressi affinche' ricorra e si possa affermare la qualita' di promotore, organizzatore in capo ad un soggetto non distinguendo tra la figura del capo e dell'organizzatore, che invece sarebbero tra loro ruoli distinti. Pertanto, non avrebbero posto in evidenza elementi oggettivi dai quali poter derivare persuasivi elementi di colpevolezza: non e' possibile attribuire al ricorrente la qualifica di capo-promotore non essendovi alcuna prova del suo impegno nel provocare adesioni e consensi e non emergendo in alcun modo che l' (OMISSIS) sia stato l'iniziatore dell'associazione, e nemmeno e' riconducibile alla sua figura ruolo di organizzatore non bastando a tal fine l'operativita' affermata nella sentenza impugnata. Quindi, alla luce di quanto rilevato, la condotta del ricorrente avrebbe potuto al piu' integrare il ruolo di mero partecipe all'associazione. 3.3. Deduce il ricorrente, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74 in punto di insussistenza della condotta di mero partecipe all'associazione. Premessa una ricognizione sul concetto di condotta di partecipazione e quindi di partecipe e richiamata copiosa giurisprudenza in materia, la difesa censura la sentenza impugnata laddove ha riconosciuto la partecipazione del ricorrente alla compagine associativa. Infatti, la condotta tenuta da (OMISSIS) non integra gli estremi della fattispecie di partecipe alla ritenuta associazione di narcotraffico per difetto degli elementi costituenti la figura giuridica contestata, tanto per l'elemento oggettivo che soggettivo che si esteriorizza nella c.d. affectio societatis. Con specifico riguardo a quest'ultima, non sarebbe configurabile atteso il preesistente legame familiare e amicale tra i soggetti ritenuti partecipi al vincolo associativo che escluderebbe la consapevolezza o una volontaria adesione alla una compagine associativa. Sulla base delle emergenze processuali a carico dell'imputato, tale elemento non risulta infatti comprovato e sarebbe sufficiente una analisi dei capi di imputazione per evincere la estraneita' dello stesso al contesto associativo in termini di contributo stabile e permanente. In ultimo, anche qualora sotto il profilo oggettivo possa ritenersi che il ricorrente abbia contribuito collateralmente allo sviluppo dell'associazione, il contributo fattivo dato dallo stesso si sintetizza in una condotta sostanzialmente egoistica volta al perseguimento di obiettivi e vantaggi personali non superando la soglia del rapporto sinallagmatico-contrattuale e non realizzando in concreto un legame partecipativo al progetto associativo. In altri termini, le prestazioni svolte a favore della ipotetica societa' sarebbero state prestazioni ad hoc prive del carattere di stabilita' e affidamento da parte dell'associazione considerata nella sua globalita'. 3.4. Deduce il ricorrente, con il quarto ed il quinto motivo di ricorso, meritevoli di congiunta trattazione attesa l'intima connessione dei profili di doglianza mossi, il vizio di violazione di legge in relazione all'articolo 62-bis c.p. ed il correlato vizio di manifesta illogicita' della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. In sintesi, richiamate le pronunce di merito, si contesta l'operato di entrambi i giudici, atteso che si tratta di doppia conforme, per non aver tenuto conto del comportamento processuale del ricorrente e della sua spontanea consegna per l'esecuzione della pena. Inoltre, la sentenza di primo grado sarebbe contraddittoria, contraddittorieta' a cui non avrebbe sopperito nemmeno il giudice del gravame, in ordine all'attivita' di compravendita di autovetture, intestata alla moglie di (OMISSIS), (OMISSIS) perche' in alcuni tratti ritenuta assolutamente illecita, in altri punti, invece, lecita. Secondo la tesi della difesa, le circostanze attenuanti generiche dovevano essere riconosciute in considerazione dell'attivita' lecita lavorativa, dei precedenti penali e della spontanea consegna per l'esecuzione della pena. 3.5. Deduce il ricorrente, con il sesto motivo di ricorso, il vizio di violazione di legge in relazione all'articolo 99 c.p. In estrema sintesi, i giudici di merito avrebbero violato la disposizione richiamata nonche' i principi in materia di recidiva reiterata specifica, facendo esclusivo riferimento ai certificati del casellario, da cui si annovererebbero solo due condotte lievi per violazione degli stupefacenti e il resto attiene a norme sull'immigrazione, e non operando un reale concreto accertamento dell'episodio criminoso, ne' verificato se la reiterazione dell'illecito sia sintomo di maggiore pericolosita' causando una disparita' di trattamento sanzionatorio che sia la giurisprudenza di legittimita' (Sez. Un., n. 20789 del 24.02.2011) sia la Corte Costituzionale (n. 185/2015) hanno condannato, onde evitare che il giudicante venga spogliato della discrezione ex articolo 133 c.p. Inoltre, nel caso di specie, mancherebbero i presupposti per l'applicazione della recidiva reiterata, in quanto le condotte oggetto di imputazione nel presente procedimento sarebbero state commesse in epoca antecedente (i singoli reati, alcuni nel (OMISSIS) altri nel (OMISSIS), il reato associativo nel (OMISSIS)) rispetto all'irrevocabilita' della sentenza, risalente al 21 febbraio 2021, relativa ai reati sui quali si fonderebbe la sussistenza della contestata recidiva. Nemmeno potrebbe ritenersi che una parte, ancorche' minima, del nuovo reato sia stato eseguito dopo l'irrevocabilita' della precedente condanna. 3.6. Deduce il ricorrente, con il settimo motivo di ricorso, il vizio di violazione di legge in relazione all'articolo 133 c.p. In particolare, il discostamento eccessivo dal minimo edittale non sarebbe in alcun modo giustificato dalla motivazione resa sul punto poiche' apodittica e pregiudizievole non essendo sufficiente il solo riferimento alla durata temporale dell'attivita' di spaccio e al guadagno pari ed oltre 300.000 Euro, in realta' mai provato con certezza. Di conseguenza, il giudice territoriale avrebbe violato l'obbligo motivazionale gravante su di lui ricorrendo a generiche formule di stile e adoperando formule laconiche e stereotipate. 3.7. Deduce il ricorrente, con l'ottavo e ultimo motivo di ricorso, il vizio di violazione della legge processuale, in relazione all'articolo 603 c.p.p., comma 3, nonche' il correlato vizio motivazionale quanto al diniego della Corte territoriale di disporre la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. In sintesi, richiamati i principi di legittimita' ai fini della deduzione del suddetto vizio dinanzi a questa Corte, la difesa contesta le ragioni per cui il giudice territoriale ha negato la rinnovazione istruttoria richiesta dall'imputato al fine di integrare la base cognitiva del giudizio abbreviato con la documentazione attestante l'attivita' lavorativa di (OMISSIS) e due ordinanze del Tribunale di Trento relative a fatti accaduti precedentemente alle condotte in esame e poi messe in continuazione in sentenza. Si rileva dapprima che, trattandosi di documenti riguardanti sia l'accertamento di responsabilita' sia i presupposti e condizioni di applicabilita' delle attenuanti, sarebbero potuti rientrare nel perimetro cartolare del giudizio abbreviato e, inoltre, si evidenzia la potenziale decisivita' della richiesta al fine di risolvere le lacune delle sentenze denunciate in precedenza con i motivi del presente ricorso. In particolare, i documenti attestanti la compravendita di vetture ulteriori ritrovati dall'imputato avrebbero potuto dimostrare l'operativita' dell'attivita' di vendita di auto usate di cui era titolare la moglie del ricorrente. La liceita' dell'attivita' imprenditoriale da cui sarebbe potuto discendere anche il riconoscimento delle attenuanti generiche. 4. Ricorsi (OMISSIS) e (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), tre motivi. 4.1. Deducono, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74 e correlato vizio motivazionale. Con riferimento alla posizione dell'imputato (OMISSIS), la difesa lamenta l'illegittimita' della riconosciuta colpevolezza in ordine alla fattispecie associativa di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74, in ragione dell'assenza di uno degli elementi costitutivi del reato associativo rappresentato dall'a ffectio societatis. Infatti, non puo' dirsi provata in capo all'imputato la consapevolezza di appartenere al sodalizio criminale, alla luce di plurimi elementi che i giudici di merito non hanno adeguatamente valorizzato. In particolare, l'estraneita' al sodalizio criminale verrebbe confermata dalla circostanza che l'imputato ha fatto rientro in Italia soltanto nel (OMISSIS), avendo vissuto in Germania per motivi lavorativi. Orbene, secondo le risultanze investigative l'associazione avrebbe operato per un arco temporale particolarmente esteso, e cioe' dal (OMISSIS) al (OMISSIS). Appare chiaro, allora, come l'associazione sopravvivesse prima dell'ingresso in Italia dell'imputato e abbia vissuto anche oltre il contributo di quest'ultimo. Peraltro, rilevante e' l'assenza di relazioni tra l'imputato e persone diverse da (OMISSIS), con il quale aveva avuto comunque incontri sporadici. Infine, non risulta provata la circostanza asserita dalla Corte per cui l'imputato avrebbe locato un'abitazione per adibirla a nuova sede logistica del sodalizio. Ancora, le dichiarazioni assunte in sede di sommarie informazioni testimoniali, citate della sentenza impugnata, sarebbero del tutto generiche e non consentirebbero ne' di individuare con esattezza i fornitori, ne' di circoscrivere le cessioni in archi temporali determinati. Alla luce di quanto premesso, pertanto, non puo' affermarsi alcun collegamento tra l'imputato e la compagine associativa, dovendosi considerare l'attivita' illecita posta dall'imputato assolutamente autonoma. 4.2. Deducono, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all'articolo 62-bis c.p. e correlato vizio motivazionale. In sostanza, con riferimento all'imputato (OMISSIS), la difesa denuncia la carenza motivazionale in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche, in quanto i giudici di merito avrebbero impropriamente valutato solo elementi attinenti alla personalita' del reo senza considerare la gravita' del fatto, pur a fronte di un ridimensionamento dell'arco temporale di azione del prevenuto e del ruolo marginale dallo stesso ricoperto. Parimenti, quanto a (OMISSIS), la difesa rileva che la Corte non avrebbe tenuto conto dell'esclusione del reato associativo in capo all'imputato, circostanza rilevante ai fini della concessione delle invocate attenuanti, unitamente alla giovane eta' dello stesso e allo stato di incensuratezza. 4.3. Deducono, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge con riferimento all'articolo 133 c.p. e correlato vizio di motivazione. Secondo la difesa, la Corte non avrebbe adeguato la pena alla reale gravita' dei fatti, cosi' violando l'articolo 133 c.p. Infatti, con riferimento all'imputato (OMISSIS), avrebbe erroneamente giustificato il consistente discostamento dalla pena base per il reato associativo e gli aumenti per la continuazione, reputando l'apporto dello stesso tutt'altro che modesto, in quanto avrebbe contribuito alla sopravvivenza del sodalizio proprio nelle fasi critiche con l'intestazione di un appartamento da mettere a disposizione degli affari dell'organizzazione e riattivando alcune utenze telefoniche sequestrate. Quanto a (OMISSIS), la difesa rileva che la Corte di Appello ha specificato il calcolo per gli aumenti per la continuazione, omesso dal giudice di prime cure, senza pero' motivare il discostamento dal minimo edittale. Al contrario, proprio in considerazione dell'assoluzione dell'imputato dal reato associativo, avrebbe dovuto comminare la pena nel minimo edittale. 5. Ricorso (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), tre motivi. 5.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge processuale in relazione agli articoli 178 c.p.p., comma 1, lettera b) e articolo 597 c.p.p., per violazione del divieto di reformatio in peius con riferimento all'applicazione, per i reati satellite avvinti da continuazione, di una pena maggiore rispetto a quella irorgata dal primo giudice. In sostanza, la difesa rileva che la Corte Territoriale avrebbe erroneamente invocato il principio della prevalenza della parte decisionale della sentenza, rispetto alla sua motivazione, cosi' violando il divieto di "reformatio in peius" per il caso in cui sia solo l'imputato a proporre appello. Infatti, richiamando la giurisprudenza di legittimita', la ricorrente osserva che la prevalenza del dispositivo debba essere esclusa nel caso in cui vi sia la possibilita' di ricostruzione certa del procedimento seguito dal giudice per la determinazione della pena. Nel caso di specie, dalla motivazione si evince chiaramente che il giudice di prime cure aveva indicato in anni due di reclusione la pena base per il reato piu' grave ed in mesi due di reclusione l'aumento per ciascuno dei tre reati satellite, per un aumento totale di mesi sei, specificando, altresi', che la pena sulla quale veniva operata la riduzione di un terzo per il rito era quella di anni due mesi sei di reclusione. 5.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge con riferimento agli articoli 62-bis, 81, cpv e 133 c.p. e correlato vizio motivazionale. In sostanza, la ricorrente si duole del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nonche' del mancato accoglimento della richiesta di mitigazione del trattamento sanzionatorio da parte dei giudici di merito. La difesa, infatti, osserva che i giudici di seconde cure avrebbero erroneamente omesso di valutare la circostanza che l'imputata si e' spontaneamente consegnata agli inquirenti non appena saputo dell'adozione a proprio carico dell'ordinanza custodiale, facendo rientro dalla Romania. 5.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli articolo 163 c.p., comma 1 e articolo 168 c.p., comma 1, n. 2, nonche' L. n. 689 del 1981, articolo 57, comma 2, con riferimento all'articolo 459 c.p.p., per la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena in ragione del ritenuto superamento dei limiti stabiliti dall'articolo 163 c.p. a fronte della esecutivita' di decreto penale di condanna a pena pecuniaria, inflitta in sostituzione di pena detentiva. In sintesi, la difesa denuncia l'illegittimita' della revoca della sospensione condizionale della pena, in quanto con il decreto penale di condanna emesso dal GIP presso il Tribunale di Brescia il 13.7.2020 veniva irrogata una pena pecuniaria in sostituzione della pena detentiva di mesi due di reclusione ex articolo 459 c.p.p. La ricorrente osserva che la pena pecuniaria sostitutiva di quella detentiva non costituisce valido titolo di revoca della pena sospesa. In tal senso, infatti, non risulta superato il limite stabilito dall'articolo 163 c.p. 6. Con requisitoria scritta del 14.03.2023, il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto a questa Corte l'annullamento con rinvio del capo della sentenza relativo alla revoca della sospensione condizionale della pena nei confronti di (OMISSIS), dichiarando nel resto inammissibili i ricorsi. Quanto alle separate impugnazioni di (OMISSIS), nel chiederne la declaratoria di inammissibilita', quanto al primo motivo, premessi i principi di diritto relativi alla configurabilita' dell'associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74, di cui la Corte di appello di Brescia avrebbe fatto buon uso, la Procura Generale elenca le circostanze per cui non sarebbe possibile relegare il fenomeno a una semplice serie di concorsi di persone nei reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73: a) la struttura organizzata dell'attivita' secondo ruoli ben definiti e un modus operandi collaudato, consistente nella ricezione da parte della figura apicale ( (OMISSIS)) degli ordini dei clienti su utenze sempre diverse, periodicamente comunicate dal primo ai secondi, seguita dalla distribuzione sul territorio della sostanza per mezzo di una vera e propria rete di spaccio gestita tramite i sodali (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) incaricati di effettuare le consegne; b) la struttura gerarchica del gruppo che vedeva (OMISSIS) al vertice, quale figura di riferimento per tutti i sodali, con il compito di gestire e dirigere l'attivita' dei collaboratori, impartendo loro precise direttive circa il cliente a cui consegnare la droga, il luogo dell'incontro e il prezzo di vendita; c) la natura stabile e duratura del sodalizio, atteso che dalle dichiarazioni degli assuntori ( (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS) Quanto al ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS), il PG ritiene il primo motivo manifestamente infondato, atteso che, come correttamente rilevato dai giudici di merito, la prova dell'affectio societatis di (OMISSIS) e' desumibile dai contatti con il vertice dell'associazione e dalle dichiarazioni degli acquirenti delle sostanze stupefacenti, dal rinvenimento in sede di perquisizione di un apprezzabile quantitativo di cocaina, di materiale per il confezionamento delle dosi, di rilevanti somme di denaro e di ben nove apparecchi di telefonia mobile, nonche' dalla stipulazione di un contratto di locazione di un immobile destinato a fungere da ulteriore base logistica per lo smercio della droga. Con riferimento al secondo motivo, con il quale i ricorrenti invocano le circostanze attenuanti generiche, deve rilevarsi la correttezza dell'iter argomentativo seguito dai giudici di merito. In particolare, con riferimento alla posizione di (OMISSIS), la Corte di appello ha posto in rilievo che l'imputato e' gravato da precedenti penali ed ha svolto un ruolo tutt'altro che modesto, mentre invece per (OMISSIS) e' stata stigmatizzata l'assenza di elementi positivi e la contiguita' con ambienti criminali di rilevante spessore, come del resto e' dimostrato dai contatti monitorati con (OMISSIS) e la capacita' di approvvigionamento delle sostanze stupefacenti da cedere sul territorio di incidenza. Nulla deduce il PG invece sul terzo motivo. Quanto, infine, al ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), il PG ritiene che il primo motivo e' manifestamente infondato in quanto la Corte di Appello ha correttamente applicato il principio, che deve essere qui confermato, secondo cui il divieto della "reformatio in peius" (articolo 597 c.p.p., comma 3) concerne il dispositivo e non la motivazione. Con riferimento al secondo motivo, con il quale sono invocate le circostanze attenuanti generiche, si rileva che la Corte di appello ha valutato in modo appropriato gli elementi negativi ritenuti ostativi alla mitigazione della pena, tra cui la gravita' dei fatti anche sotto il profilo delle modalita' esecutive, la particolare organizzazione delle condotte, i precedenti penali a carico e l'ostinato atteggiamento negatorio. Fondato, invece, e' ritenuto il terzo motivo, con il quale si eccepisce l'illegittima revoca della sospensione condizionale della pena, che riguardava una precedente condanna a pena pecuniaria sostitutiva di quella detentiva di mesi due di reclusione. Per costante insegnamento giurisprudenziale, la condanna a pena detentiva sostituita con pena pecuniaria non puo' costituire titolo per la revoca della sospensione condizionale della pena in precedenza concessa. 7. In data 7.4.2022, l'Avv. (OMISSIS), nell'interesse della ricorrente (OMISSIS) depositava memorie scritte insistendo per l'accoglimento di tutti i motivi di ricorso per le ragioni ivi illustrate. 8. Sono, infine, pervenute separate istanze di trattazione orale in data 28.02.2023 dell'Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) e (OMISSIS) nonche' dell'Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS). Quest'ultimo, in data 10.01.2023, ha fatto pervenire dal carcere, ove risultava a tale data detenuto, la revoca della sola nomina dell'Avv. (OMISSIS), con contestuale nomina dell'Avv. (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi, trattati in presenza a seguito dell'accoglimento delle istanze di trattazione orale avanzate dalle predette difese, sono in parte fondati (quanto alla ricorrente (OMISSIS), nei limiti di cui si dira' oltre), mentre si espongono ad un giudizio di infondatezza (quanto al ricorrente (OMISSIS)) o di inammissibilita' (quanto ai ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS)). 2. Al fine di meglio chiarire le ragioni dell'approdo cui e' pervenuta questa Corte e' utile, sia pur sinteticamente, soprattutto tenuto conto delle plurime censure di vizio motivazionale sollevate dalle difese dei ricorrenti, operare una breve ricognizione della vicenda processuale. 2.1. Il presente procedimento trae origine da un controllo effettuato in data (OMISSIS) dalla Polizia Locale di Rovato presso l'abitazione di (OMISSIS), sita in (OMISSIS). Presso l'abitazione veniva rinvenuto sul tavolo della cucina un involucro contenente mezzo grammo di cocaina, cinquanta bustine trasparenti di cellophane, Euro 615 in contanti ed un telefono cellulare associato all'utenza telefonica n. (OMISSIS). A seguito dell'acquisizione dei tabulati telefonici, venivano sentiti a sommarie informazioni testimoniali i contatti piu' frequenti, i quali riferivano di contattare la suddetta utenza per rifornirsi di sostanza stupefacente di tipo cocaina. Gli assuntori escussi a sommarie informazioni riferivano che i contatti per l'acquisto degli stupefacenti avvenivano tramite diverse utenze telefoniche, tra cui (OMISSIS) e (OMISSIS), ma anche attraverso le utenze (OMISSIS), (OMISSIS) (sequestrate a (OMISSIS)), (OMISSIS) e (OMISSIS) (sequestrate a (OMISSIS)), in quanto era abitudine degli indagati cambiare spesso il numero di telefono e comunicare loro, di volta in volta, il nuovo contatto. In particolare, l'utenza telefonica n. (OMISSIS) veniva sequestrata il (OMISSIS) presso l'appartamento sito in (OMISSIS), nell'ambito di una separata attivita' di indagine. In quell'occasione, veniva eseguita una perquisizione domiciliare presso l'abitazione, in uso a (OMISSIS). Al momento dell'accesso nell'immobile era presente (OMISSIS), il quale contattava telefonicamente (OMISSIS) per presenziare alla perquisizione. Quest'ultimo, arrivato poco dopo presso l'abitazione, rifiutava di sottoporsi a perquisizione personale, minacciando l'appuntato S. (OMISSIS), spingendolo energicamente ed afferrandolo per il bavero della divisa e stringendogli le mani al collo. La perquisizione dava esito positivo, atteso che all'interno dell'appartamento venivano rinvenuti 23 grammi di cocaina, materiale plastico destinato al confezionamento della droga, Euro 2.770,00 in contanti e ben nove telefoni cellulare, tra cui proprio quello associato all'utenza (OMISSIS). Dal traffico telefonico di quest'ultima emergevano frequenti contatti con l'utenza (OMISSIS) e con le utenze in uso a tutti gli assuntori gia' precedentemente escussi a sommarie informazioni. Peraltro, gli assuntori stessi precisavano che alle utenze telefoniche contattate rispondeva sempre (OMISSIS), ma che le consegne venivano effettuate anche da altri soggetti, che contestualmente riconoscevano in sede di individuazione fotografica, all'esito della consultazione di apposito album. In particolare, emergeva che le consegne venivano effettuate anche da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Tuttavia, (OMISSIS) veniva identificato quale capo del gruppo, in quanto appunto era lui a rispondere alle telefonate, a stabilire ora e luogo della consegna, a gestire i soldi e ad impartire gli ordini agli altri soggetti. 2.2. In data 14.10.2021, il GUP presso il Tribunale di Brescia, a seguito di rito abbreviato, dichiarava (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) colpevoli dei reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articoli 74, 73, comma 5, loro rispettivamente ascritti e, ritenuta la continuazione condannava (OMISSIS) alla pena di anni due mesi undici giorni dieci di reclusione; (OMISSIS) alla pena di anni due di reclusione; (OMISSIS) alla pena di anni sei giorni venti di reclusione e, riconosciuta la continuazione con i fatti di cui alla sentenza GUP Tribunale di Trento del 28.5.2020, ritenuti piu' gravi gli odierni fatti e rideterminata la pena per i reati satellite, lo condanna alla pena complessiva di anni sette mesi due di reclusione. Dichiarava (OMISSIS) colpevole dei reati a lui ascritti al capo F dell'imputazione e, riconosciuta la continuazione interna, lo condannava alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 1.200 di multa. Condannava gli imputati al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare. Applicava a (OMISSIS) la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Applicava a (OMISSIS) e (OMISSIS) la misura di sicurezza dell'espulsione dal territorio dello Stato, a pena espiata. Pena sospesa per (OMISSIS) e (OMISSIS). Assolveva (OMISSIS) dal reato a lui ascritto al capo A dell'imputazione, per non aver commesso il fatto. 2.3. In data 7.6.2022, la Corte di Appello di Brescia, per quanto rileva in questa sede, revocava il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso a (OMISSIS), confermando nel resto la sentenza impugnata. 3. Tanto premesso, seguendo l'ordine dell'illustrazione dei motivi di ricorso, puo' muoversi dall'esame di quelle proposti da (OMISSIS) che, come anticipato, pur essendo sviluppati in due separate impugnazioni, possono essere unitariamente trattati considerata la loro coincidenza, differenziandosi solo per la proposizione, il primo, da parte del solo Avv. L. (OMISSIS) e, il secondo, da parte di quest'ultimo difensore unitamente all'Avv. P. (OMISSIS), nelle more dell'udienza dinanzi a questa Corte revocata dal ricorrente detenuto. 3.1. Quanto al primo motivo, relativo al capo A) di imputazione, e' inammissibile. Giova premettere che le deduzioni difensive in esame, ancorche' rubricate come violazioni di legge, sollecitano una tipologia di vaglio precluso ai Giudici di legittimita' perche' si sostanziano in una ricostruzione alternativa dei fatti, come tale non valutabile in Corte di Cassazione poiche' resta esclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 5465 dell'11/02/2021, Rv. 280601 - 01; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Rv. 280747 - 01). Le censure, inoltre, esulano dal percorso di una ragionata censura del complessivo apparato motivazionale della sentenza impugnata, con la quale obiettivamente non si confrontano, risolvendosi in un'indistinta critica difettiva. Ed invero, la frammentazione del ragionamento, la moltiplicazione di rivoli argomentativi neutri o, comunque, non decisivi, la scomposizione indistinta di fatti e di piani di indagine non ancorata al ragionamento probatorio complessivo della sentenza impugnata, la valorizzazione di singoli elementi il cui significato viene scisso ed esaminato atomisticamente rispetto all'intero contesto, violano il necessario onere di specificazione delle critiche mosse al provvedimento (Sez. 2, n. 29607 del 14/05/2019, Rv. 276748 - 01; Sez. 2, n. 57737 del 20/09/2018, Rv. 274471). Sul punto, occorre rievocare l'orientamento consolidatosi in sede di legittimita' secondo cui, nell'ambito del ricorso per Cassazione, sono inammissibili i motivi che riproducono pedissequamente le censure dedotte in appello, con l'aggiunta di espressioni che contestino, in termini meramente assertivi ed apodittici, la correttezza della sentenza impugnata. In tali evenienze, risulta evidente la carenza di una critica puntuale al provvedimento, nonche' di un confronto con le argomentazioni in virtu' delle quali i motivi di appello non sono stati accolti (Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, Rv. 281521 - 01). In tale prospettiva ermeneutica, il Giudice di legittimita' non puo' che limitarsi a rilevare il corretto operato dei precedenti giudicanti alla luce dei plurimi elementi probatori valorizzati in entrambi i gradi di merito da cui emerge il soddisfacimento del quid pluris, quale elemento differenziale tra il reato associativo e il concorso di persone, che si sostanzia nella predisposizione di una struttura organizzata stabile che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (Sez. 6, n. 27433 del 10/01/2017, Rv. 270396 - 01). 3.2. Proprio tale elemento organizzativo nella vicenda in esame emerge con palmare evidenza in considerazione: a) della struttura organizzata dell'attivita' secondo ruoli ben definiti e un modus operandi collaudato, consistente nella ricezione da parte della figura apicale ( (OMISSIS)) degli ordini dei clienti su utenze sempre diverse, periodicamente comunicate dal primo ai secondi, seguita dalla distribuzione sul territorio della sostanza per mezzo di una vera e propria rete di spaccio gestita tramite i sodali (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) incaricati di effettuare le consegne (cio' che consente di superare agevolmente anche la censura relativa alla presunta inesistenza del sodalizio per il mancato raggiungimento della soglia numerica prevista dalla legge, essendo evidente la presenza, oltre che di (OMISSIS), della moglie (OMISSIS) e del (OMISSIS), anche, nel periodo precedente, della figura del (OMISSIS)); b) della struttura gerarchica del gruppo che vedeva (OMISSIS) al vertice, quale figura di riferimento per tutti i sodali, con il compito di gestire e dirigere l'attivita' dei collaboratori, impartendo loro precise direttive circa il cliente a cui consegnare la droga, il luogo dell'incontro e il prezzo di vendita; c) della natura stabile e duratura del sodalizio, atteso che dalle dichiarazioni degli assuntori ( (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS) 3.3. La difesa, riproponendo le medesime questioni dedotte con l'atto di appello, evidentemente non si e' confrontata con gli argomenti utilizzati dal giudice del gravame per contestare le censure prospettate. In maniera del tutto logica e condivisibile, la Corte territoriale ha avallato quanto concluso dal GUP in ordine alla sussistenza di una rudimentale ma stabile struttura organizzativa in grado di andare oltre la commissione dei singoli reati attesa la rilevante durata dell'attivita' di spaccio monitorata, le stereotipate modalita' di gestione della stessa, attraverso una raccolta unitaria degli ordini su una medesima utenza, periodicamente cambiata per depistare eventuali indagini e la consegna delle dosi da parte sempre dei medesimi soggetti che si alternavano in modo interscambiabile tra loro, secondo le indicazioni impartite proprio da (OMISSIS), il ricorso a una serie di basi logistiche per l'occultamento della provvista e la preparazione e il confezionamento della sostanza stupefacente. Infine, il superamento di situazioni difficili, quali l'arresto del (OMISSIS) e conseguente venir meno del suo appartamento come base logistica o la prosecuzione dell'attivita' di spaccio dopo gli arresti domiciliari dell'(OMISSIS), e' sintomatico della stabilita' del pactum sceleris (pag. 37 sentenza impugnata) 3.4. Da ultimo, quanto alla presunta incompatibilita' tra le vicende personali del ricorrente e le condotte contestategli, gia' il GUP ne aveva sottolineato l'"infondatezza perche' le tempistiche indicate appaiono perfettamente compatibili con il periodo di consumazione dei reati (l'associazione criminosa sino ad (OMISSIS); le cessioni dal (OMISSIS) al (OMISSIS) e l'arresto risale all'autunno del (OMISSIS)). Inoltre, nel periodo di restrizione ai domiciliari, una delle acquirenti ( (OMISSIS)), ha dichiarato che l'(OMISSIS) dirigeva ugualmente l'attivita' dei sodali, contattando la clientela e dando disposizione operative sulle consegne (pag. 13 sentenza GUP). 3.5. Alla luce delle motivazioni riportate, il motivo dunque si palesa non solo generico ma anche manifestamente infondato, poiche' in tema di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, la prova del vincolo permanente, nascente dall'accordo associativo, puo' essere data anche mediante l'accertamento di "facta concludentia", quali i contatti continui tra gli spacciatori, i frequenti viaggi per i rifornimenti della droga, le basi logistiche, i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative utilizzate, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro specifiche modalita' esecutive (Sez. 3, n. 47291 del 11/06/2021, Rv. 282610 - 01; Sez. 6, n. 9061 del 25/02/2013, Rv. 255312 - 01). 4. Ad analoghe conclusioni si giunge per il secondo e terzo motivo di ricorso che, attesa l'omogeneita' dei profili di doglianza esposti, possono essere oggetto di trattazione congiunta. 4.1. In diritto, va innanzitutto richiamato il consolidato orientamento di questa Corte - affermato anche con riguardo all'associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti - secondo cui nel sodalizio criminoso riveste il ruolo di promotore non solo chi sia stato l'iniziatore dell'associazione, coagulando attorno a se' le prime adesioni ed i consensi partecipativi, ma anche colui che, rispetto ad un gruppo gia' costituito, provochi ulteriori adesioni, sovraintenda alla complessiva attivita' di gestione di esso, assuma funzioni decisionali (Sez. 3, n. 45536 del 15/09/2022, Rv. 284199 - 01; Sez. 6, n. 45168 del 29/10/2015, Rv. 265524-01). Quanto alla qualifica di organizzatore in un'associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, va ribadito che essa spetta a chi assume poteri di gestione, quand'anche non pienamente autonomi, in uno specifico e rilevante settore operativo del gruppo (Sez. 2, n. 20098 del 03/06/2020, Rv. 279476 - 02; Sez. 4, n. 53568 del 05/10/2017, Rv. 271707) e a chi coordina l'attivita' degli associati ed assicura la funzionalita' delle strutture del sodalizio, non essendo peraltro necessario che tale ruolo sia svolto con riferimento all'associazione nella sua interezza (Sez. 3, n. 40348 del 06/07/2016, Rv. 267761). 4.2. Cio' precisato, le doglianze relative all'attivita' di promozione e organizzazione contestata al ricorrente sono assolutamente generiche e nuovamente non si confrontano con la motivazione addotta nella sentenza impugnata (pag. 38) che ha confermato la posizione apicale del prevenuto evidenziando anche la sua parallela esperienza criminale in relazione ai fatti di cui alla sentenza del GUP del Tribunale di Trento al fine di dimostrarne la sua abilita'. A cio', devono essere aggiunte, al fine di un completo esame delle censure proposte - atteso che ricorre la c.d. doppia conforme (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 - 01) -, le evenienze processuali richiamate dal giudice di primo grado e condivise dalla Corte di Appello di Brescia per cui il copioso materiale raccolto (dichiarazioni dei clienti, contatti rivenuti nelle utenze telefoniche) dimostra che le dinamiche interne alla organizzazione bresciana vedevano il ricorrente ricoprire la posizione di leadership all'interno del gruppo (pag. 13 sentenza GUP). 4.3. Tanto basta a questa Corte per ritenere entrambe le censure proposte prive di pregio atteso che la doglianza relativa alla violazione del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74 in punto di insussistenza della condotta di mero partecipe (terzo motivo) e' in sostanziale contraddizione con la stessa richiesta svolta nel secondo motivo con cui il ricorrente si lamentava della mancata riqualificazione del fatto nel Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74, comma 2. Una volta provato il ruolo apicale del ricorrente, il giudice di merito non aveva infatti ragione di motivare ne' di soffermarsi sull'astratta (e subordinata) censura di insussistenza della condotta di partecipazione all'associazione, in quanto il riconoscimento del ruolo apicale all'interno di quel sodalizio, escludeva in nuce che egli potesse rivestire la mera qualifica di partecipe. L'ipotesi delittuosa del semplice partecipante (contemplata dal Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74, comma 2) si distingue, infatti, dall'altra ipotesi, anch'essa contenuta nell'articolo 74, ma al comma 1, del promotore, del costitutore, dell'organizzatore, del dirigente o del finanziatore del sodalizio. Posto che il semplice partecipante svolge soltanto attivita' fungibili tipicamente esecutive, il ruolo apicale riconosciuto al ricorrente e' stato desunto dall'autonomia e discrezionalita' decisionale, la cui figura per come tratteggiata dagli atti processuali, esclude che lo stesso potesse qualificarsi come semplice partecipe. Delle due l'una, dunque: nel medesimo sodalizio o si e' partecipi o si assume un ruolo apicale, tertium non datur. Ed e' indubbio che l' (OMISSIS) rivestisse un ruolo apicale all'interno del predetto sodalizio, ne' peraltro essendo emersa nel corso della vita del sodalizio alcuna dismissione del ruolo apicale da parte del ricorrente per assumere quello di partecipe. 5. Parimenti inammissibili sono il quarto e quinto motivo di ricorso perche' manifestamente infondati e generici. 5.1. Invero, quanto alle circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime al proposito un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899). Del resto, premesso che in tema di attenuanti generiche, la meritevolezza dell'adeguamento della pena, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni del fatto o del soggetto, non puo' mai essere data per presunta, ma necessita di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Rv. 271315), quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimita' dell'istanza, l'onere di motivazione del diniego dell'attenuante e' soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 54179 del 17/07/2018, Rv. 275440; Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, (dep. 09/03/2016), Rv. 266460). 5.2. Alla luce dei richiamati principi, la sentenza impugnata non puo' essere in questa sede censurata. Infatti, con motivazione non manifestamente illogica la sentenza ha ritenuto che "non vi fossero elementi apprezzabili per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto dei precedenti penali del prevenuto nonche' della gravita' dei fatti, relativamente alla sua dimensione soggettiva conseguente al ruolo di assoluto protagonista dell'attivita' illecita monitorata" (pag. 38 sentenza impugnata). Seppur sinteticamente, dunque, il giudice dell'appello ha condiviso il ragionamento del GUP che aveva, in particolare, posto l'accento sull'ampiezza dell'arco temporale in cui si sono svolte le attivita' del sodalizio ((OMISSIS)-(OMISSIS)), sulla struttura e organizzazione della compagine sociale, sulla dipendenza degli acquirenti, alcuni dei quali consumatori da anni e, quindi, in condizione di particolare vulnerabilita'. Ad ulteriore corredo, escludeva particolari condizioni di bisogno o comportamenti collaborativi (anche la spontanea consegna dei coniugi (OMISSIS) e' avvenuta ad una significativa distanza temporale dall'emissione e prima della misura cautelare e comunque dopo il deposito dei decreti di latitanza). Si tratta di motivazione assolutamente adeguata, tenendo conto del numero, della gravita' e delle modalita' esecutive dei diversi reati ritenuti nei confronti dei ricorrenti, in alcun modo scalfita dalla doglianza sulla mancata considerazione degli elementi, peraltro piuttosto generici, indicati in ricorso e comunque frutto di una valutazione di merito qui non altrimenti rivisitabile. 6. Il sesto motivo proposto in riferimento alla contestata e ritenuta recidiva aggravata e' invece infondato. 6.1. Sottolinea infatti il ricorrente che il precedente penale sulla cui base e' stata contestata e ritenuta la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale, si riferisce ad una sentenza di condanna passata in giudicato nel 2021, vale a dire in epoca successiva a quella cui si riferisce sia la condotta associativa oggetto del presente procedimento, contestata come commessa dal (OMISSIS) fino al mese di ottobre (OMISSIS). Anzi, sullo specifico versante dell'epoca di operativita' del sodalizio, la stessa sentenza impugnata ne circoscrive la durata, affermando che l'associazione in parola, facente capo ad (OMISSIS), avrebbe operato in (OMISSIS) e zone limitrofe, dal (OMISSIS) fino al mese di ottobre (OMISSIS). 6.2. Ai fini della configurabilita' della recidiva reiterata, e' necessario che il nuovo reato sia commesso dopo che le precedenti condanne siano divenute irrevocabili, in quanto l'autore del nuovo crimine deve essere in condizione di conoscere tutte le conseguenze penali che ne derivano e, quindi, anche quelle derivanti dal proprio "status" di recidivo reiterato (Sez. 3, n. 10219 del 15/01/2021, Rv. 281381 - 01; Sez. 3, n. 57983 del 25/09/2018, Rv. 274692 - 01). Ed invero, risultano a carico dell' (OMISSIS), non solo dall'atto di appello dell'Avv. (OMISSIS) ma anche dal provvedimento di esecuzione di pene concorrenti emesso dal Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Brescia in data 15.11.2021, esaminato da questa Corte tramite interrogazione telematica al database del DAP, che il ricorrente, oltre ai precedenti richiamati dal giudice di primo grado (sentenza 5 aprile 2018 Corte App. Brescia; sentenza 134/20 Trib. Trento; provvedimenti in effetti divenuti irrevocabili entrambi in epoca successiva sia al reato associativo ((OMISSIS)) sia ai singoli reati contestati nel giudizio che occupa ((OMISSIS)/(OMISSIS)), rispettivamente il (OMISSIS) e il (OMISSIS), quindi in epoca in cui le condotte erano gia' consumate, ragion per cui non sarebbe stata possibile l'applicazione della recidiva reiterata contestata perche' neanche una parte minima della condotta relativa al nuovo reato risulterebbe essere stata eseguita dopo la sentenza irrevocabile di condanna (Sez. 3, n. 7302 del 17/05/1994, Rv. 198204 01) - annovera ulteriori due precedenti penali, divenuti irrevocabili in data antecedente sia al reato associativo sia ai singoli reati contestati nel giudizio in esame. Si tratta, in particolare: 1) della sentenza 23.09.2008 del tribunale di Brescia, irrevocabile in data 24.10.2008, per analogo reato in materia di stupefacenti commesso in data (OMISSIS); 2) della sentenza 12.11.2009 del tribunale di Brescia, irrevocabile in data 27.04.2010, anche questa relativa ad analoga violazione della disciplina in materia di stupefacenti commessa in data (OMISSIS). 6.3. A tale dato inconfutabile, peraltro, va aggiunta l'assoluta aspecificita' della relativa doglianza mossa nell'atto di appello proposto in data 7.02.2022 dall'Avv. (OMISSIS), con cui veniva richiesta, in maniera evidentemente generica, l'esclusione della recidiva in quanto fondantesi su due condanne (ossia le "condotte lievi per violazione degli stupefacenti" in precedenza richiamate, attenendo il resto a violazione di norme sull'immigrazione), non rilevando per la difesa il riferimento alla "condanna di Trento" in quanto unita a quella oggetto del presente giudizio sotto il vincolo della continuazione, non potendo la stessa considerarsi come una diversa violazione, computabile ai fini della recidiva. Detta aspecificita' emerge all'evidenza, soprattutto, se rapportata non tanto alla motivazione della Corte territoriale sul punto, quanto alla motivazione della sentenza di primo grado (che, attesa la natura di doppia conforme sulla responsabilita' penale, ne consente l'integrazione reciproca: Sez. 3, n. 44418 del 4/11/2013, Rv. 257595), che, motivando seppur cumulativamente sulle condotte poste in essere dal ricorrente, dal (OMISSIS) e dall'Aliju, sottolineava come le stesse (includendovi dunque anche quella dell' (OMISSIS)), ne disvelassero la profonda pericolosita' sociale, trattandosi di soggetti che per anni si erano incessantemente dedicati all'attivita' di spaccio, sino ad arrivare a costituire e prendere parte ad un ente illecito destinato a commettere reati di cui all'articolo 73, comma 5 TU Stup., con i cui proventi gli stessi si mantenevano ed arricchivano, dovendosi per (OMISSIS) - si aggiunge in sentenza -, valutare la recidiva, conseguendone, quindi, per gli stessi anche l'applicazione della misura di sicurezza di cui all'articolo 86 TU Stup. Detta motivazione "implicita" soddisfa, dunque, le condizioni per giustificare l'applicazione della recidiva, essendo infatti pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che l'applicazione della recidiva facoltativa contestata richiede uno specifico onere motivazionale da parte del giudice, che, tuttavia, puo' essere adempiuto anche implicitamente, ove si dia conto della ricorrenza dei requisiti di riprovevolezza della condotta e di pericolosita' del suo autore (tra le tante: Sez. 6, n. 20271 del 16/05/2016, Rv. 267130 - 01; Sez. 6, n. 14937 del 4/04/2018, Rv. 272803 - 01). 7. Quanto al settimo motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione dell'articolo 133 c.p. in relazione all'eccessivo trattamento sanzionatorio, occorre premettere, in diritto che, sebbene si ritenga adempiuto l'obbligo della motivazione in ordine alla misura della pena allorche' sia indicato l'elemento, tra quelli di cui all'articolo 133 c.p., ritenuto prevalente e di dominante rilievo, non essendo tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarita' del caso, e' sufficiente che dia l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi (Sez. 3, n. 6877 del 14/02/2017, Rv. 269196 - 01), quanto piu' il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto piu' ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente quali, tra i criteri, oggettivi o soggettivi, enunciati dall'articolo 133 c.p., siano stati ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio, dovendosi percio' escludere che sia sufficiente il ricorso a mere clausole di stile, quali il generico richiamo alla "entita' del fatto" e alla "personalita' dell'imputato (Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, Rv. 255825 - 01; Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, Rv. 241189 - 01; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, Rv. 258356 - 01). 7.1. Principi, quelli appena richiamati, che non sono stati disattesi nella stesura delle pronunce proprie dei precedenti gradi giudizio. Sul punto controverso, come in maniera del tutto condivisibile ha rilevato la Procura Generale, i giudici di merito hanno espresso un apprezzamento fattuale in ordine alla valenza negativa dei precedenti penali dell'imputato, ponendo in rilievo come le precedenti condanne e l'obiettiva gravita' dei fatti fossero rappresentative di maggiore pericolosita' sociale idonea a giustificare l'inasprimento del trattamento sanzionatorio. Il giudice di primo grado ha, invero, ritenuto congrua la pena come determinata tenuto conto della considerevole durata nel tempo della condotta, della diffusione - si e' detto capillare- sul territorio dei reati fine programmati ed eseguiti, della salda guida del gruppo, la cui attivita' perdurava per anni proprio grazie al cruciale apporto dell'imputato (pag. 20 sentenza GUP). Analogamente, la Corte di appello, anche ai fini della dosimetria della pena, ha individualizzato il trattamento sanzionatorio e adeguatamente formulato l'accertamento sulla concreta significativita' del nuovo episodio in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti, avuto altresi' riguardo ai parametri di cui all'articolo 133 c.p., sotto il profilo della piu' accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosita' del reo, giustificando il discostamento della pena base dal minimo edittale con "la rilevante durata temporale dell'attivita' di spaccio monitorata e con il rilevante guadagno che ha fruttato al sodalizio nel tempo oltre 300.000 Euro secondo i calcoli effettuati dalla polizia giudiziaria" (cfr. pag. 38 sentenza impugnata). 7.2. Si tratta, pertanto, di giudizio insindacabile in sede di legittimita'. Ne consegue che il motivo e' manifestamente infondato (quanto al dedotto vizio di mancanza di motivazione) e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge (quanto al sindacato dell'uso dei criteri di commisurazione della pena di cui all'articolo 133 c.p.) e, pertanto, va dichiarato inammissibile. 8. Infine, per cio' che concerne l'ultimo motivo di ricorso afferente alla violazione di legge in relazione all'articolo 603, comma 3, c.p.p. e correlato vizio di illogicita' della motivazione quanto al diniego della rinnovazione dibattimentale, occorre premettere che, trattandosi di giudizio abbreviato condizionato, trova applicazione il risalente e mai superato orientamento per cui, e' possibile, anche nell'ambito del rito abbreviato, entro certi limiti - e cioe' quando il giudice di appello lo ritiene assolutamente necessario ai fini della decisione - procedere all'assunzione, di ufficio, di nuove prove o alla riassunzione delle prove gia' acquisite agli atti. Quando si tratti, poi, di una produzione di documenti, potendosi applicare in grado di appello, anche in camera di consiglio, le disposizioni relative al giudizio di primo grado (cfr. articolo 598 c.p.p.), la detta produzione puo' essere ammessa prima dell'inizio della discussione e senza necessita' di ordinare, a mente dell'articolo 603, la rinnovazione parziale del dibattimento, in virtu' dello stesso potere concesso in primo grado nel giudizio abbreviato al giudice dell'udienza preliminare dall'articolo 421, comma 3, cui rinvia l'articolo 441 c.p.p., comma 1 (Sez. 6, n. 1944 del 17/02/1994, Rv. 197263 - 01). Peraltro, questa Corte e' ferma nel ritenere che la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello per assumere d'ufficio, anche se su sollecitazione di parte, prove sopravvenute che non siano vietate dalla legge o non siano motivatamente ritenute manifestamente superflue o irrilevanti, puo' essere sindacata, in sede di legittimita', ex articolo 603 c.p.p., comma 3, soltanto qualora sussistano, nell'apparato motivazionale posto a base della conclusiva decisione impugnata, lacune, manifeste illogicita' o contraddizioni, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza (Sez. 2, n. 40855 del 19/04/2017, Rv. 271163 - 01; Sez. 2, n. 48630 del 15/09/2015, Rv. 265323 - 01). Argomentando piu' in generale, ovvero prescindendo dalla configurabilita', o meno, dello specifico vizio di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), un orientamento (Sez. 1, n. 35846 del 23/05/2012, Rv. 253729) ha ritenuto che, nel giudizio di appello conseguente allo svolgimento del giudizio di primo grado nelle forme del rito abbreviato, le parti - ivi compreso il pubblico ministero, nonostante non abbia piu' il potere di dissenso sulla richiesta del rito speciale - non possano far valere un diritto alla rinnovazione dell'istruzione per l'assunzione di prove nuove sopravvenute o scoperte successivamente, poiche' spetta in ogni caso al giudice, d'ufficio, la valutazione sulla assoluta necessita' o meno della loro acquisizione. 8.1. Ed e' proprio tale assoluta necessita' che e' stata prontamente smentita dalla Corte territoriale sulla considerazione per cui gia' gli atti di causa, ivi compresa la sentenza del GUP del Tribunale, consentivano di avere un'adeguata idea dei fatti e della loro proporzione, nonche' del ruolo assunto dell'imputato, come poi adeguatamente argomentato e dimostrato nella pronuncia letta nella sua globalita' non ravvisandovi, occorre ribadire, alcuna delle presunte lacune indicate dal ricorrente. E' quindi evidente che la difesa, attraverso la doglianza in esame, lungi da individuare manifeste illogicita' che giustificherebbero il sindacato di questa Corte, sollecita una rivalutazione di quanto oggetto di valutazione da parte del giudice del gravame attraverso una diversa lettura delle circostanze, prestando quindi le censure dell'ottavo e ultimo motivo di ricorso il fianco ad un giudizio di inammissibilita'. 9. Ricorsi proposti nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), tre motivi. 9.1. Quanto al ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS), il primo motivo, concernente la partecipazione all'associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, e' anzitutto affetto da genericita' per aspecificita', in quanto non si confronta con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata che confutano in maniera puntuale e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi motivazionali le identiche doglianze difensive (che, vengono, per cosi' dire "replicate" in questa sede di legittimita' senza alcun apprezzabile elemento di novita' critica), esponendosi quindi al giudizio di inammissibilita'. Ed invero, e' pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che e' inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni gia' esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849). Il ricorrente, peraltro, propone doglianze sostanzialmente in fatto, che sollecitano, in realta', una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimita', sulla base di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944). Infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., sono in realta' dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dal Tribunale (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). Il controllo di legittimita', tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non gia' il rapporto tra prova e decisione; sicche' il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione poste a fondamento della decisione, non gia' nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, e' estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione. 9.2. In particolare, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), - ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente non corretta in merito al ruolo di partecipe del sodalizio criminale. Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione e' giudice della motivazione, non gia' della decisione, ed esclusa l'ammissibilita' di una rivalutazione del compendio probatorio, deve al contrario essere evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicita' (tantomeno manifeste) e di contraddittorieta'. 9.3. Cio' posto, merita di essere ribadito che figura speciale di reato associativo e' quella regolata dal Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74 la quale si distingue rispetto alla figura generale prevista all'articolo 416 c.p. per la tipicita' dei reati-scopo, i quali sono esclusivamente quelli riconducibili al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73. Perche' sia dimostrata la esistenza di tale tipologia di associazione e' necessaria la presenza di tre elementi fondamentali: 1) vincolo associativo tendenzialmente permanente, o comunque stabile, destinato a durare oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati; sul punto si e' precisato che non e' necessario che il vinculum assuma carattere di assoluta stabilita', essendo sufficiente che a priori non sia programmaticamente circoscritto alla perpetrazione di uno o piu' reati predeterminati; 2) l'indeterminatezza del programma criminoso, che distingue il reato associativo dall'accordo che sorregge il concorso di persone nel reato ex articolo 110 c.p.; 3) l'esistenza di una organizzazione, di persone e di mezzi, anche minima, ma idonea ed adeguata alla realizzazione degli obbiettivi criminosi. Indefettibile, sul piano soggettivo, e' la permanente consapevolezza di ciascun associato di fare parte del sodalizio e di apportare un contributo apprezzabile, non episodico, ed idoneo a garantire la stabilita' dell'unione illecita (affectio societatis). L'elemento dirimente ai fini della distinzione di tale fattispecie da quella descritta dall'articolo 110 c.p. (eventualmente anche se applicato congiuntamente all'articolo 81 c.p.) e' individuato principalmente nel carattere dell'accordo criminoso, il quale nella seconda ipotesi si sostanzia in una collaborazione occasionale ed accidentale, diretta alla commissione di illeciti determinati, anche nell'ambito del medesimo disegno criminoso, la cui realizzazione esaurisce l'accordo stesso, cessando ogni allarme sociale. Di converso, nel reato associativo i sodali mirano a commettere una serie indeterminata di reati, anche se eventualmente gia' ideati e preordinati (fatta eccezione per eventuali accordi presi di volta in volta), alla cui consumazione effettiva non e' subordinato il vincolo associativo. In merito alla condotta di partecipazione, essa e' pacificamente ritenuta "a forma libera", richiedendosi che il contributo, anche se non indispensabile, sia apprezzabile sul piano causale, concorrendo alla esistenza, conservazione e rafforzamento dell'associazione, qualunque sia il ruolo o il compito svolto nell'ambito del sodalizio (Cass., Sez. U., 30 ottobre 2002, n. 22327). E' partecipe, quindi, anche chi svolga un'attivita' di importanza secondaria sia al momento della costituzione/organizzazione che in occasione dell'esecuzione dei vari reati-scopo, potendosi anche limitare ad assicurare la propria disponibilita' (Cass., Sez. III, 25 gennaio 2012, n. 8024). Evidenziata e' stata la differenza tra la figura del partecipe e del concorrente esterno al sodalizio, in quanto la condotta del primo e' connotata dall'esistenza del pactum sceleris e dell'affectio societatis, risultando punibile a titolo di partecipazione e non ex articolo 110 c.p. anche colui il quale abbia aderito e prestato il proprio contributo ab origine per una fase temporalmente limitata (Cass., Sez. II, 29 novembre 2012, n. 47602). La consapevolezza dell'associato non puo' che essere provata attraverso comportamenti significativi, concretizzantisi in un'attiva e stabile partecipazione, mentre il semplice fornire, in diverse occasioni, il proprio contributo alla realizzazione di alcuni reati-fine del sodalizio non comporta, di per se' solo, l'appartenenza allo stesso a meno che non venga provato che la collaborazione era finalizzata anche al raggiungimento degli scopi dell'associazione. Interessante e' anche considerare come per la giurisprudenza, ai fini della configurabilita' del reato associativo, non e' richiesta la conoscenza reciproca fra tutti gli associati, essendo invece sufficiente la consapevolezza e la volonta' di partecipare, assieme ad almeno altre due persone nella medesima posizione psicologia, ad una societa' criminosa (Cass., Sez., VI, 10 gennaio 2018, n. 18055; Cass., Sez. VI, 10 gennaio 2017, n. 27433; Cass., Sez.VI, 16 febbraio 2012, n. 11733). 9.4. Orbene, risulta evidente che la Corte Territoriale con motivazione logica e puntuale, ha adeguatamente confutato tutte le doglianze difensive. In particolare, non ha ritenuto di condividere il primo profilo di censura con riferimento alla asserita incompatibilita' temporale tra l'addebito e la dedotta permanenza all'estero sino alla fine del (OMISSIS), in Germania, per ragioni lavorative. Sul punto, infatti, i giudici di appello richiamavano la motivazione resa dal GUP presso il Tribunale di Brescia, il quale sottolineava l'inaffidabilita' della documentazione prodotta per dimostrare una continuativa e significativa lontananza dall'Italia. Peraltro, come evidenziato dalla stessa Corte d'appello, tale assunto difensivo veniva sconfessato proprio dalle numerose "dichiarazioni dei destinatari delle cessioni di sostanza stupefacente, che giustappunto danno conto del coinvolgimento del (OMISSIS) sin dal (OMISSIS)" (pag. 39 sentenza di appello). A conferma della piena adesione alla societas sceleris vi era poi un ulteriore argomento, ossia la stipulazione da parte dell'imputato del contratto di locazione dell'abitazione di (OMISSIS), "funzionale ad aprire un'ulteriore e nuova base logistica per l'attivita' del sodalizio, posto che quella facente capo a (OMISSIS), ove gia' era stata effettuata una perquisizione in data (OMISSIS), non era piu' disponibile a seguito dell'arresto del predetto in data 28.9.2018" (pag. 39 sentenza di appello). Ulteriore e rilevante argomento a sostegno della ritenuta intraneita' dell'imputato alla compagine criminale si ravvisava nel fatto che nel corso della perquisizione effettuata in data (OMISSIS) presso l'abitazione del (OMISSIS), venivano rinvenuti ben nove telefoni cellulari dotati di relative SIM. Invero, "per non disperdere il patrimonio rappresentato dai contatti telefonici con la clientela e per evitare che gli acquirenti perdessero gli abituali rifornimenti per l'approvvigionamento, gia' all'indomani del sequestro, tanto il (OMISSIS), quanto l'(OMISSIS) riattivavano, sinergicamente, alcune delle nuove utenze individuate dalla P.G." (pag. 40 sentenza di appello). Ancora, si evidenziava come detta attivita' illecita fosse proseguita anche nel periodo in cui l'(OMISSIS) si trovava agli arresti domiciliari, a riprova della stabilita' e solidita' del sodalizio stesso. Infine, non puo' condividersi per la Corte di appello neppure l'ulteriore profilo di censura facente leva sull'assenza di contatti documentati tra il (OMISSIS) e gli altri sodali, se non con l'(OMISSIS). Ebbene, anche sotto tale profilo, la Corte Territoriale giustamente evidenziava che "il modus operandi del sodalizio era tale da non richiedere necessariamente una particolare interazione tra i singoli associati, posto che gli ordinativi della clientela di giornata venivano raccolti dall'(OMISSIS), che poi a seconda della disponibilita' del momento o della zona territoriale attribuiva il compito della consegna al singolo partecipe" (pag. 39 sentenza di appello). Invero, la sentenza impugnata si e' adeguata al costante indirizzo giurisprudenziale espresso sullo specifico punto in esame da questa Corte (sez. 6 n. 11733 del 16/2/2012, Rv. 252232), in base al quale per la configurabilita' dell'associazione dedita al narcotraffico non e' richiesta la conoscenza reciproca fra tutti gli associati, essendo sufficiente la consapevolezza e la volonta' di partecipare, assieme ad almeno altre due persone aventi la stessa consapevolezza e volonta', ad una societa' criminosa strutturata e finalizzata secondo lo schema legale. Conclusivamente, le doglianze del ricorrente non hanno pregio anche perche' manifestamente infondate, in quanto si risolvono nel "dissenso" sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimita'. Al cospetto di tale apparato argomentativo, pertanto, il motivo si appalesa inammissibile. 9.5. Il secondo motivo, inerente al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche di cui all'articolo 62-bis c.p., e' parimenti generico. Sul punto occorre richiamare il costante insegnamento di questa Corte, secondo il quale la concessione o meno delle attenuanti generiche costituisce un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalita' del giudice, sottratto al controllo di legittimita', tanto che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice puo' limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche' anche un solo elemento attinente alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato ed alle modalita' di esecuzione di esso puo' essere sufficiente in tal senso (ex plurimis: Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163). Il loro diniego puo' ben essere legittimamente giustificato con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell'articolo 62-bis, c.p., disposta con il Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non e' piu' sufficiente lo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610; Sez. 1, n. 3529 del 22/09/2013, Stelitano, Rv. 195339). Peraltro, gia' prima della suddetta modifica normativa, questa Corte, in tema di attenuanti generiche, aveva affermato il principio di diritto secondo il quale, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa e' quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso piu' favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si e' reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non puo' mai essere data per scontata o per presunta, si' da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza. Al contrario, e' la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell'imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che cio' comporti tuttavia la stretta necessita' della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381; nello stesso senso, piu' recentemente Sez. 3, n. 11539 del 08/01/2014, Mammola, Rv. 258696, che ha ribadito il principio secondo cui il giudice di merito non e' tenuto a riconoscere le circostanze attenuanti generiche, ne' e' obbligato a motivarne il diniego, qualora in sede di conclusioni non sia stata formulata specifica istanza; conf., Sez. 3, n. 2233 del 20/01/2022, Rv. 282693 - 01). 9.6. Tanto premesso, prive di pregio risultano le censure difensive in ordine alla mancata valutazione da parte dei giudici di merito di elementi che, a dire dei ricorrenti, sarebbero stati determinanti ai fini del riconoscimento delle invocate attenuanti. Al contrario, esaustiva e puntuale risulta la motivazione resa dalla Corte territoriale, la quale si e' adeguatamente confrontata con i relativi motivi di doglianza. Invero, con particolare riferimento alla posizione di (OMISSIS), la Corte di Appello di Brescia, evidenziava come gli argomenti invocati dalla difesa, tra cui la giovane eta' dell'imputato all'epoca del fatto, nonche' la sua incensuratezza non sarebbero valorizzabili ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti. Di contro, infatti, rilevava che "il dato anagrafico non ha impedito al (OMISSIS), di essere contiguo ad ambiente criminali di certo spessore, per come dimostrano i contatti monitorati con (OMISSIS) e la capacita' di approvvigionamento di sostanza stupefacente da spacciare. Ne' certo appare apprezzabile sul punto che egli sia stato ritenuto estraneo al sodalizio criminale orchestrato dall'Ene". Peraltro, rilevava l'assenza di ulteriori elementi positivi al riconoscimento delle attenuanti, atteso che l'imputato non ha mai reso alcuna dichiarazione. Con riferimento, invece, alla posizione di (OMISSIS), la Corte di appello a sostegno del diniego evidenziava come l'imputato non fosse soggetto incensurato, ne' avesse mostrato segni di resipiscenza. 9.7. Infine, con riferimento all'ultimo profilo oggetto di ricorso, relativo alla determinazione complessiva della pena, deve rilevarsi che il ricorrente, omettendo di confrontarsi con la sentenza di appello, asserisce apoditticamente l'inadeguatezza del trattamento sanzionatorio, il quale a suo dire avrebbe dovuto essere contenuto entro i minimi edittali, senza prospettare alcun argomento a sostegno della doglianza difensiva. Sul punto preme evidenziare come secondo il costante insegnamento di questa Corte, la graduazione della pena rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (ex plurimis: Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario, Rv. 259142). Orbene nel caso di specie, la Corte di Appello di Brescia, con motivazione esente dai denunciati vizi, con riferimento alla posizione del (OMISSIS) ha adeguatamente valorizzato gli argomenti posti a sostegno del consistente discostamento dalla pena base per il reato associativo. Invero, cosi' si legge nella sentenza: "Per quanto la figura dell'appellante emerga solo nel (OMISSIS), inserendosi in un meccanismo criminale gia' rodato, non puo' non evidenziarsi come, oltre all'attivita' ordinaria di gestione del proprio ruolo di galoppino, egli abbia contribuito alla sopravvivenza del sodalizio proprio nelle fasi critiche, che hanno colpito l'associazione, provvedendo ad intestarsi un appartamento da mettere a disposizione degli affari del sodalizio in luogo della precedente, riattivando, in accordo con l'(OMISSIS), alcune delle utenze sequestrate dalla P.G. il 9.1.(OMISSIS) per non disperdere il "pacco" clienti rappresentato dalla rete di contatti telefonici e continuando a spacciare, secondo le direttive dell'(OMISSIS), anche dopo che questi era collocato agli arresti domiciliari" (pag. 41 sentenza di appello). Quanto agli aumenti per la continuazione, la Corte Territoriale riteneva gli stessi contenuti e proporzionati alla gravita' dei fatti contestati, confermando sostanzialmente le valutazioni operate dal giudice di prime cure. Parimenti, con riferimento alla posizione dell'imputato (OMISSIS), la sentenza impugnata rende conto dell'adeguatezza della pena irrogata, salvo la specificazione dell'entita' dell'aumento per i singoli reati satellite, omesso dal giudice di prime cure. Puntuale, pertanto, risulta la motivazione resa dalla Corte territoriale, la quale ha anche evidenziato che "non vi sarebbe ragione di addivenire ad una riduzione del trattamento che, quanto alla pena base, e' stato gia' determinato nel minimo edittale, cosi' come il contenuto aumento per continuazione appare del tutto proporzionato alla gravita' dei fatti desumibile dalla ripetitivita' degli episodi e dal coinvolgimento di un complice con posizione interscambiabile" (pag. 42 sentenza di appello). Conclusivamente, le doglianze del ricorrente non hanno pregio anche perche' manifestamente infondate, in quanto si risolvono nel mero "dissenso" sulla ricostruzione operata dai giudici di merito. 10. Ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), tre motivi. 10.1. Con il primo motivo viene dedotta la violazione del divieto di "reformatio in peius", per avere la Corte di appello di Brescia rettificato in aumento gli incrementi a titolo di continuazione per i reati satellite pur lasciando inalterato il trattamento sanzionatorio indicato nel dispositivo, invocando il principio di prevalenza della parte decisionale della sentenza rispetto alla sua motivazione. Giova premettere che, secondo un orientamento della giurisprudenza di legittimita' il divieto di "reformatio in peius" concerne il dispositivo e non la motivazione, la quale puo' ben essere meno favorevole per l'imputato. Invero, il divieto de quo riguarda esclusivamente il dispositivo della sentenza ed il suo concreto contenuto afflittivo, ma non anche la motivazione, che puo' contenere una valutazione piu' grave della violazione commessa, sia in termini di fatto che di diritto (Sez. 4, Sentenza n. 3447 del 23/01/2008, Rv. 238738). E' legittima, pertanto, la decisione con la quale il giudice di appello critichi la decisione del giudice di primo grado, lasciando, tuttavia, inalterato il dispositivo (Sez. 5, n. 4011 del 1/02/2006, Rv. 233593; Sez. 3, n. 3070 del 23/01/2017, Rv. 268893 - 01). Tuttavia, deve segnalarsi anche il principio di diritto secondo il quale nel giudizio di appello instaurato a seguito di impugnazione del solo imputato, viola il divieto di "reformatio in peius" il giudice che, dopo aver riqualificato in termini di minore gravita' il fatto sul quale e' commisurata la pena base, e pur irrogando una sanzione complessivamente inferiore di quella inflitta in primo grado, applica per i reati satellite - gia' unificati per continuazione - un aumento di pena maggiore rispetto a quello praticato dal giudice della sentenza riformata, in quanto la posizione di questi ultimi non muta nonostante la variazione della definizione giuridica data dalla violazione piu' grave (Sez. 5, n. 41188 del 3/10/2014, Rv. 261035 - 01). Invero, i reati "satellite" unificati conservano la loro autonomia indipendentemente dal reato cui - sotto l'aspetto sanzionatorio - accedono, per cui non muta la loro "posizione" se viene mutata, nel giudizio di appello, la qualificazione giuridica del reato su cui e' stata commisurata la pena base. Ne consegue che il giudice dell'appello, investito dell'impugnazione del solo imputato, non puo' - senza incorrere nel divieto di reformatio in peius - applicare, per i reati satellite, una pena maggiore rispetto al giudice della sentenza impugnata, giacche', in caso contrario, finirebbe per rivalutare, in danno dell'imputato, un fatto che - stante l'effetto devolutivo dell'appello - ha gia' ricevuto la sua definitiva qualificazione e la sua sanzione. Cio' premesso, deve rilevarsi che la questione dei rapporti tra dispositivo e motivazione ha dato luogo ad una copiosa elaborazione giurisprudenziale. In generale, si afferma che il contrasto tra dispositivo e motivazione si risolve con la logica prevalenza dell'elemento decisionale su quello giustificativo (cfr. Sez. 6, n 7980 del 01/02/2017, Esposito, Rv. 269375-01, Sez. 6, n 19851 del 13/04/2016, Mucci, Rv. 267177-01), salvo specificita' del caso di specie, quale ad esempio la presenza di un errore materiale nel dispositivo (v., tra le altre, Sez. 2, n. 13904 del 9/03/2016, Paliumbo, Rv. 266660-01; Sez. F, n. 47576 del 9/09/2014, Savini, Rv. 261402-01). In altre decisioni, peraltro, si osserva che, in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, la regola della prevalenza del dispositivo, in quanto immediata espressione della volonta' decisoria del giudice, non e' assoluta, ma va contemperata, tenendo conto del caso specifico, con la valutazione degli elementi tratti dalla motivazione, che conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni della decisione e che, pertanto, ben puo' contenere elementi certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso (cfr., per tutte: Sez. 3, n. 3969 del 25/09/2018, dep. 2019, B., Rv. 275690-01, relativa ad una fattispecie in cui nel dispositivo era stata omessa la statuizione di concessione della sospensione condizionale della pena, i presupposti della quale, invece, erano stati riconosciuti in motivazione). Invero, in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione non contestuali, il carattere unitario della sentenza, in conformita' al quale l'uno e l'altra, quali sue parti, si integrano naturalmente a vicenda, non sempre determina l'applicazione del principio generale della prevalenza del primo in funzione della sua natura di immediata espressione della volonta' decisoria del giudice; laddove nel dispositivo ricorra un errore materiale obiettivamente riconoscibile, il contrasto con la motivazione e' meramente apparente, con la conseguenza che e' consentito fare riferimento a quest'ultima per determinare l'effettiva portata del dispositivo, individuare l'errore che lo affligge ed eliminarne gli effetti, giacche' essa, permettendo di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente la volonta' del giudice, conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni fondanti la decisione (Cass. sez. F. n. 47576 del 18/11/2014, Rv. 261402). 10.2. Orbene, nel caso di specie a giudizio del Collegio e' applicabile il principio di diritto secondo cui "nell'ipotesi in cui la discrasia tra dispositivo e motivazione della sentenza dipenda da un errore materiale relativo all'indicazione della pena nel dispositivo e dall'esame della motivazione sia chiaramente ricostruibile il procedimento seguito dal giudice per pervenire alla sua determinazione, la motivazione prevale sul dispositivo, con conseguente possibilita' di rettificare l'errore secondo la procedura prevista dall'articolo 619 c.p.p. (Sez. 2, n. 35424 del 22/09/2022, Rv. 283516 - 01). Infatti, a ben vedere, il primo giudice ha rappresentato chiaramente il procedimento seguito ai fini della determinazione della pena, indicando dapprima la pena base pari ad anni due di reclusione (capo A), e quantificando gli aumenti a titolo di continuazione per i tre reati satellite (capi E, G ed I) in due mesi di reclusione ciascuno. Ha parimenti determinato la pena complessiva in anni due mesi sei di reclusione. L'iter argomentativo tracciato dal giudice suggerisce dunque che, effettivamente, la pena complessiva su cui operare la diminuente per il rito prescelto debba individuarsi nella pena indicata in motivazione, e cioe' anni due e mesi sei di reclusione. Cio' premesso, ne consegue che la pena finale indicata tanto in dispositivo quanto in motivazione debba ritenersi frutto di un errore di calcolo. Puo' quindi procedersi alla rettificazione del calcolo della pena, come consentito dall'articolo 619 c.p.p., comma 2, senza necessita' di disporre l'annullamento della sentenza sul punto, riducendo di un terzo la pena finale di anni 2 e mesi sei di reclusione, in quella di anni uno e mesi otto di reclusione. 10.3. Il secondo motivo e' affetto da genericita' per aspecificita', in quanto non si confronta con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata che confutano in maniera puntuale e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi motivazionali le identiche doglianze difensive (che, vengono, per cosi' dire "replicate" in questa sede di legittimita' senza alcun apprezzabile elemento di novita' critica), esponendosi quindi al giudizio di inammissibilita'. Ed invero, e' pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che e' inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni gia' esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849). Lo stesso e', inoltre, da ritenersi manifestamente infondato, atteso che la Corte territoriale ha spiegato, con motivazione adeguata le ragioni per le quali ha ritenuto del tutto infondate le doglianze difensive. Orbene, in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, deve essere richiamata l'esegesi giurisprudenziale di questa Corte sul tema della discrezionalita' del giudice di merito nell'applicazione dell'articolo 62-bis c.p. in riferimento ai parametri indicati dall'articolo 133 c.p. Si osserva a tal fine che il giudizio scaturente dall'applicazione dell'articolo 62-bis c.p. ha come proprio fondamento quello di consentire una valutazione onnicomprensiva della fattispecie concreta cosi' da modellare il trattamento sanzionatorio alle peculiarita' del caso esaminato. In tale operazione il giudice gode di una certa discrezionalita' la quale viene a muoversi all'interno dei criteri indicati dall'articolo 133 c.p., con necessita' di porre attenzione sia agli elementi oggettivi del fatto che a quelli attinenti alla sfera soggettiva. Tuttavia, la giurisprudenza e' granitica circa la possibilita' per l'organo giudicante di negare legittimamente la concessione delle attenuanti generiche marcando un aspetto ritenuto connotato da una gravita' tale da non consentire una riduzione della pena in applicazione dell'articolo 62-bis c.p. (Cass., Sez. III, 9 marzo 2016, n. 9839), ammettendo inoltre la cosiddetta motivazione implicita (Cass., Sez. 6, 4 luglio 2003, n. 36382) o con formule sintetiche (tipo "si ritiene congrua", Cass.,Sez. 4, 23 aprile 2013, n. 23679; Sez. 6, n. 9120). Si afferma anche che la ratio della disposizione di cui all'articolo 62-bis c.p. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo invece sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti. La motivazione sul riconoscimento/diniego acquista infatti un valore centrale sulla questione in quanto, qualora essa si presenti congrua e non contraddittoria, non potra' essere oggetto di sindacato alcuno in sede di legittimita', escludendosi che il giudice debba motivare in merito a ciascun singolo criterio indicato nell'articolo 133 c.p. Si considera sufficiente, infatti, la dimostrazione di aver valutato le varie componenti, oggettive e soggettive, dal caso, indicando quelli decisivi ai fini della decisione sul punto (Cass., Sez. III, 21 giugno 2018, n. 43627). 10.4. Tanto premesso, il motivo e' quindi inammissibile, atteso che la Corte di Appello ha motivato la propria decisione circa il diniego delle circostanze attenuanti generiche facendo leva sulla particolarmente negativa personalita' dell'imputata, "per come desumibile dal suo atteggiamento negatorio circa il coinvolgimento nell'attivita' di spaccio in contestazione, per come clamorosamente smentito dalle dichiarazioni di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)" (pag. 36 sentenza di appello). Peraltro, i giudici di appello rilevavano che l'imputata non era incensurata, bensi' aveva riportato una condanna per falsita' materiale nel 2020. Priva di pregio, pertanto, e' la censura difensiva in ordine alla mancata valorizzazione da parte dei giudici di merito della consegna spontanea della ricorrente. 10.5. Quanto al trattamento sanzionatorio, si richiama integralmente quanto evidenziato in relazione al primo motivo di ricorso ribadendosi peraltro che, in tema di determinazione della misura della pena, il giudice di merito, con la enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno o piu' dei criteri indicati nell'articolo 133 c.p., assolve adeguatamente l'obbligo motivazionale; infatti, tale valutazione rientra nella sua discrezionalita' e non postula un'analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto (Sez. 2, n. 12749 del 26/03/2008, Rv. 239754 - 01). Nel caso di specie, la Corte Territoriale ha ritenuto insussistenti elementi tali da mitigare "un trattamento sanzionatorio che appare gia' essere particolarmente contenuto, quanto al discostamento dalla pena base di cui al capo A), rispetto all'apporto concorsuale assicurato dalla donna alla stabilita' del sodalizio" (pag. 35 sentenza di appello). Infatti, il primo giudice aveva determinato la sanzione per il capo A) in misura ridotta rispetto agli altri partecipi, valorizzando il "ruolo subalterno (ella partecipava materialmente ad un numero limitato di cessioni di sostanza) ricoperto all'interno del sodalizio, motivato dalla volonta' di agevolare il compagno di vita; va poi tenuto conto che, seppure con consapevolezza e volonta' di realizzare il risultato delittuoso, ella svolgeva sostanzialmente il ruolo di "prestanome" rispetto ad attivita' schermo dell'impresa criminosa, saldamente gestita dal marito" (pag. 20 sentenza di primo grado). 10.6. Il terzo motivo e' fondato e, pertanto, merita di essere accolto. Invero, deve essere rilevato come i giudici di appello hanno disposto la revoca della sospensione condizionale della pena, in ragione di un decreto penale di condanna emesso dal GIP presso il Tribunale di Brescia il 13.7.2020 con il quale veniva irrogata una pena pecuniaria in sostituzione della pena detentiva di mesi due di reclusione. Tuttavia, deve rilevarsi che secondo l'orientamento oramai prevalente in seno alla giurisprudenza di legittimita', la condanna a pena detentiva sostituita con pena pecuniaria non puo' costituire titolo per la revoca della sospensione condizionale della pena in precedenza concessa. A sostegno, si osserva che la L. n. 689 del 1981, articolo 57, comma 2, prevede che "per ogni effetto giuridico", la pena pecuniaria si considera sempre tale, "anche se sostitutiva della pena detentiva", sicche' deve concludersi che la revoca del beneficio non e' ammessa quando per un altro delitto commesso dall'imputato, venga inflitta la sola pena pecuniaria, pur se sostitutiva di quella detentiva (Sez. 1, n. 41216 del 5/11/2008, Rv. 242249 - 01; Sez. 5, n. 15785 del 20/04/2011, Rv. 250162 01). Applicando, pertanto, al caso di specie il richiamato principio di diritto, deve disporsi l'annullamento della revoca della sospensione condizionale della pena di cui alla sentenza della Corte di appello di Brescia, beneficio che deve quindi essere ripristinato. 11. Conclusivamente, il parziale accoglimento del ricorso proposto da (OMISSIS), preclude la condanna alle spese ed al pagamento alla Cassa delle ammende; il rigetto del ricorso di (OMISSIS), comporta ex articolo 616 c.p.p. la sola condanna al pagamento delle spese processuali; diversamente, i ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS) devono essere dichiarati inammissibili, con condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione dei ricorsi. P.Q.M. Visto l'articolo 619 c.p.p., comma 2 rettifica la pena inflitta a (OMISSIS) in anni uno e mesi otto di reclusione. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alla revoca della sospensione condizionale della pena, statuizione che ripristina e dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Rigetta il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SARNO Giulio - Presidente Dott. GALTIERO Donatella - Consigliere Dott. CERRONI Claudio - Consigliere Dott. GALANTI Alberto - rel. Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza di Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Udine del 23/12/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Alberto Galanti; lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Gianluigi Pratola, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 23/12/2022 del Giudice per le indagini preliminari di Udine convalidava il provvedimento imposto a (OMISSIS) dal questore di Udine in data 16 dicembre 2022 n. 778/2022, notificato il 21 luglio 2022, con il quale, nell'inibire per anni 6 la partecipazione del ricorrente a tutte le competizioni sportive (c.d. "DASPO"), prescriveva altresi' allo stesso di comparire personalmente presso la stazione carabinieri di (OMISSIS) ((OMISSIS)) dalla data di notifica del provvedimento, all'ora ci inizio di ogni incontro ufficiale che la squadra dell'Atalanta Bergamasca Calcio disputera' nelle manifestazioni in cui il provvedimento inibiva l'accesso. 2. Avverso tale ordinanza l'imputato propone, tramite il difensore di fiducia, ricorso per cassazione. Lamenta in particolare: 2.1. Con il primo motivo, la violaziqne dell'articolo 606, comma 1, lettere b), c) ed e) c.p.p., in riferimento agli articoli 6, comma 2, 2-bis, 3 e 5 della L. n. 401 del 1989; si duole in particolare il ricorrente che l'impugnata ordinanza non ha tenuto in nessun conto i contenuti della memoria difensiva depositata, cosi' violando l'obbligo di assicurare un contraddittorio che, sia pur cartolare, deve essere effettivo, e non meramente formale, incorrendo cosi' in un vizio di motivazione ed in nullita' per violazione del diritto di difesa; 2.2. Con il secondo motivo, la violazione dell'articolo 606, comma 1, lettere b), c) ed e) c.p.p., in riferimento agli articoli 6, comma 2, 2-bis, 3 e 5 della L. n. 401 del 1989, 13 e 24 Cost.; si duole in particolare il ricorrente del fatto che, nonostante ne avesse fatto richiesta sia alla Questura che al Tribunale, non aveva potuto estrapolare copia degli atti su cui il provvedimento si fondava, con palese violazione del diritto di difesa non potendo partecipare "efficacemente" al contraddittorio. 2.3. con il terzo motivo, la violazione dell'articolo 606, comma 1, lettere b) ed e) c.p.p., in riferimento agli articoli 6, comma 2, 2-bis, e 5, 6-bis e 6-ter della L. n. 401 del 1989. Si duole il ricorrente del fatto che l'accensione di una "torcia illuminante" e' un atto che non e' connotato da alcuna valenza di pericolosita'; inoltre, i lamentati "precedenti" di cui il ricorrente sarebbe gravato non aggiungono nuAa in termini di pericolosita' in concreto; di conseguenza, venendo meno il requisito della pericolosita' specifica, non puo' trovare applicazione la misura di prevenzione del DASPO. 2.4. con il quarto motivo, la violazione dell'articolo 606, comma 1, lettere b) ed e) c.p.p., in riferimento agli articoli 6, commi 2 e 5, della L. n. 401 del 1989/manifesta illogicita' della motivazione. 2.4.1. Si duole il ricorrente del fatto che la durata della misura e' stata inflitta in misura superiore al minimo previsto dalla legge senza motivazione alcuna, dovendosi ritenere errata la contestazione di reati relativi alla medesima L. n. 401 del 1989 e il precedente DASPO, cessato da tempo all'epoca dei fatti. 2.4.2. Il provvedimento, inoltre, non chiarisce cosa debba intendersi con "incontro ufficiale", non consentendo al sottoposto di comprendere bene il significato del divieto. 3. Con conclusioni scritte del 30 maggio 2023, la difesa del ricorrente eccepiva il mancato deposito delle conclusioni scritte da parte del Procuratore generale ovvero la mancata trasmissione delle stesse alla difesa, insistendo per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Preliminarmente, il Collegio evidenzia come le conclusioni del Procuratore generale siano state depositate telematicamente presso la Corte nei termini di legge. In proposito, il Collegio sottolinea come l'articolo 23 del Decreto Legge 28/10/2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla L. 18/12/2020, n. 176 (tuttora vigente per i ricorsi presentati entro il 30/06/2023, giusto il disposto dell'articolo 94, comma 2, Decreto Legislativo n. 10/10/2022, n. 150), al comma 8 stabilisce che "per la decisione sui ricorsi proposti per la trattazione a norma degli articoli 127 e 614 del codice di procedura penale la Corte di cassazione procede in Camera di consiglio senza l'intervento del procuratore generale e dei difensori delle altre parti, salvo che una delle parti private o il procuratore generale faccia richiesta di discussione orale. Entro il quindicesimo giorno precedente l'udienza, il procuratore generale formula le sue richieste con atto spedito alla cancelleria della Corte a mezzo di posta elettronica certificata. La cancelleria provvede immediatamente a inviare, con lo stesso mezzo, l'atto contenente le richieste ai difensori delle altre parti che, entro il quinto giorno antecedente l'udienza, possono presentare con atto scritto, inviato alla cancelleria della corte a mezzo di posta elettronica certificata, le conclusioni. Al contrario, l'articolo 611, comma 1, c.p.p., nel disciplinare il procedimento in camera di consiglio dinanzi alla corte di cassazione, stabilisce che "se non e' diversamente stabilito e in deroga a quanto previsto dall'articolo 127, la corte giudica sui motivi, sulle richieste del procuratore generale e sulle memorie senza la partecipazione del procuratore generale e dei difensori. Fino a quindici giorni prima dell'udienza il procuratore generale presenta le sue richieste e tutte le parti possono presentare motivi nuovi, memorie e, fino a cinque giorni prima, memorie di replica". Pertanto, per i procedimenti trattati in camera di consiglio senza presenza delle parti (quale quello in esame) non e' prevista la trasmissione alle parti delle conclusioni del P.G. e non e' quindi ravvisabile alcun profilo di nullita'. 2. Scendendo all'esame dei motivi di ricorso, il primo motivo e' manifestamente infondato. La Corte ha stabilito che e' affetta da nullita', per violazione del diritto di difesa, l'ordinanza di convalida del provvedimento del Questore impositivo dell'obbligo di presentazione priva di qualsivoglia riferimento alle deduzioni oggetto della memoria difensiva depositata nei termini (Sez. 3, n. 20143 del 27/05/2010, Vezzoli, Rv. 247174 - 01); tale principio, come chiarito nella menzionata pronuncia, trae origine dall'esigenza di intendere la garanzia offerta al diffidato non in senso meramente formale, come possibilita' di interlocuzione attraverso la presentazione di memorie, ma come garanzia effettiva che impone al giudice una valutazione delle deduzioni difensive. Tuttavia, la Corte ha anche precisato che "l'obbligo del giudice di motivare in ordine al contenuto delle memorie o deduzioni, tempestivamente presentate dall'interessato in vista della convalida del provvedimento del Questore impositivo dell'obbligo di presentazione ad un ufficio o comando di polizia (articolo 6, L. 13 dicembre 1989, n. 401), si intende assolto anche nel caso in cui ne risulti testualmente avvenuto l'esame e sia desumibile, dal complessivo tenore del provvedimento, l'implicita esclusione della loro fondatezza. (Sez. 3, n. 3740 del 10/12/2020, dep. 2021, Lupo, Rv. 281321; Sez. 3, n. 14832 del 13/12/2017, dep. 2018, Bertozzi, n. m.; Sez. 3, n. 2862 del 13/11/2014, dep. 2015, Luraschi, Rv. 262900 - 01; Sez. 3, n. 46223 del 16/11/2011, Di Lonardo, Rv. 251330)". Nel caso di specie, il provvedimento impugnato il giudice da' atto di avere letto la memoria difensiva presentata nell'interesse del (OMISSIS), i cui contenuti sono sostanzialmente sovrapponibili agli odierni motivi di ricorso. Seppure in forma sintetica, le motivazioni dell'ordinanza del G.I.P., lette in connessione con il provvedimento del questore, consentono di ritenere implicitamente valutate e disattese le allegazioni difensive, potendosi risalire agevolmente alle ragioni che hanno determinato la misura all'obbligo di presentazione in Questura (la presenza di un precedente DASPO, la condotta del (OMISSIS) in occasione dell'incontro di calcio (OMISSIS), i precedenti penali del proposto), all'opportunita' delle modalita' di presentazione ed alle ragioni di necessita' ed urgenza della adozione della misura stessa, cosi' superando le censure proposte dal sottoposto alla misura, e ribadite all'interno della memoria depositata al GIP. 3. Il secondo motivo di ricorso e' del pari manifestamente infondato. Il comma 2-bis dell'articolo 6 della L. n. 401 del 1989, nello stabilire una precisa sequenza temporale, prevede la possibilita' di attivare il contraddittorio cartolare nei ristretti termini previsti per la convalida delle prescrizioni imposte dal questore, mediante deposito di memorie. Tale rigido sistema, finalizzato proprio a contenere nei tempi stabiliti dall'articolo 13 Cost. la limitazione della liberta' personale del proposto prima dell'intervento dell'autorita' giudiziaria, determina necessariamente la compressione della possibilita' per il proposto di ottenere copia degli atti. La Corte ha di recente osservato (Sez. 3, n. 11797 del 24/02/2023, Ferrari, n. m.) che nella presente materia intervengono due diritti fondamentali dell'individuo, che possono trovarsi in concreto tra loro in frizione: l'articolo 13 Cost., secondo il quale (comma 3) i provvedimenti emanati dall'autorita' amministrativa che limitano la liberta' personale "devono essere comunicati entro quarantotto ore all'Autorita' giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto"; e l'articolo 24 Cost., a norma del quale all'interessato deve essere comunque assegnato un termine congruo entro cui poter esercitare fattivamente il diritto di difesa. Come e' evidente, dal primo principio deriva la previsione di un termine "massimo", decorso inutilmente il quale il provvedimento questorile viene caducato e ne cessano gli effetti, mentre dal secondo principio deriva la necessita' di prevedere un termine "minimo", o almeno dilatorio, che consenta all'interessato dl instaurare il contraddittorio, in questo caso cartolare. Non e' dubbio che i termini previsti dall'articolo 6, comma 3, della L. n. 401 del 1989 si riferiscono al primo dei due aspetti, come del resto espressamente evidenziato dalle Sezioni Unite della Corte nella citata sentenza n. 44273/2004, Labbia ("che la misura prevista dal 2 comma dell'articolo 6 rientri nella garanzia giurisdizionale dell'articolo 13 e' riconosciuto - oltre che da dottrina e giurisprudenza del tutto uniformi su questo problema - dallo stesso legislatore che ha previsto una disciplina della convalida modulata sui tempi e sugli interventi previsti da questa norma"). Si rammenta in proposito che la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito come "le prescrizioni imposte dal Questore cessano di avere efficacia soltanto nell'ipotesi in cui il giudice, provvedendo sulla richiesta del pubblico ministero, non disponga la convalida entro le novantasei ore dalla notifica del provvedimento all'interessato. Non e' prevista, infatti, un'autonoma sanzione per la mancata formulazione, da parte del pubblico ministero, delle istanze al g.i.p. nel rispetto delle quarantotto ore decorrenti dalla notifica del provvedimento all'interessato o l'inefficacia del provvedimento del giudice per la mancata convalida nel termine di 48 ore dalla richiesta del pubblico ministero" (Sez. 3, r. 44431 del 09/11/2011, Tomasi, RV. 251598). Il diritto di difesa e', al contrario, correlato all'obbligo di immediata notificazione all'interessato del provvedimento che impone le prescrizioni. Non a caso la Corte Costituzionale (sentenza n. 144/1997) ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 6, comma 3, della L. 13 dicembre 1989, n. 401, "nella parte in cui non prevede che la notifica del provvedimento del questore contenga l'avviso che l'interessato ha facolta' di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, memorie o deduzioni al giudice per le indagini preliminari", sentenza cui ha fatto seguito la modifica della norma nel senso sopra indicato per effetto dell'inserimento nell'articolo 6 in parola del comma 2-bis (articolo 1, comma 1, lettera b), Decreto Legge 20/08/2001, n. 336, convertito, con modificazioni, dalla L. 19/10/2001, n. 377). Il momento della notifica del provvedimento all'interessato costituisce quindi il dies a quo per l'instaurazione del contraddittorio cartolare, che si sostanzia nell'obbligo del giudice di procedere ad un controllo "sostanziale", e non meramente formale, dei presupposti per l'emanazione del provvedimento (v., ex plurimis, Sez.U. Labbia, citata; Sez. 3, n. 22266 del 03/02/2016, Cassanelli, Rv. 267146 - 01; Sez. 3, n. 37728 del 7/07/2022, Perazzi, non massimata: "il controllo di legalita' del giudice deve riguardare l'esistenza di tutti i presupposti legittimanti l'adozione dell'atto da parte dell'Autorita' amministrativa"). In assenza della espressa previsione di un dies ad quem, la giurisprudenza della Corte, nell'evidenziare la difficile conciliazione tra i principi costituzionali coinvolti (la citata pronuncia delle Sez.U. Labbia evidenzia come "ben possa la limitazione della liberta' personale conseguente alle misure in questione coniugarsi "con la celerita' nell'applicazione della misura, condizione necessaria perche';a stessa possa rivelarsi efficace, si' da giustificare, in un equilibrato rapporto fra le esigenze in giuoco, l'adozione di forme semplificate attraverso le quali possa esplicarsi il contraddittorio"") ha ritenuto, che "il termine entro cui il destinatario del provvedimento del Questore ha diritto di esaminare gli atti e di presentare memorie e deduzioni al giudice della convalida, e' di 48 ore decorrenti dalla sua notifica all'interessato, analogamente a quello entro cui il P.M. puo' richiedere al G.I.P. la relativa convalida, per cui la predetta convalida del provvedimento del Questore impositivo dell'obbligo di presentazione all'Autorita' di polizia non puo' intervenire prima che sia decorso il termine di 48 ore dalla sua notifica all'interessato" (v., ex plurimis, Sez. 3, n. 6440 del 27/01/2016, Michelotto, RV. 266223; n. 18886 del 23/02/2022, Girolamo, non massimata). La Corte pertanto ha colmato una lacuna normativa facendo ricorso ad una interpretazione analogica basata sul giudizio di convalida del provvedimento precautelare, facendo perno sulla evidente presenza di eadem ratio. Come appare evidente dalla ricostruzione teste' evidenziata, pur in assenza di una espressa previsione normativa, la giurisprudenza della Corte ha progressivamente enucleato una serie di principi in grado di contemperare i precetti costituzionali coinvolti: da un lato considerando il termine massimo di 96 ore per la convalida, dall'altro indicando in 48 ore dalla notifica del provvedimento il termine minimo per garantire il contraddittorio cartolare. Non a caso, non e' prevista a pena di nullita' l'omessa disponibilita' in capo al proposto della documentazione depositata dal pubblico ministero presso la cancelleria del GIP. La Corte, sul punto, ha di recente affermato (Sez. 3, n. 12355 del 14/02/2023, Pisarelli) che nessun termine e' previsto dada legge in relazione all'esercizio, da parte della difesa, del diritto di accesso agli atti del procedimento di convalida di cui all'articolo 6 L. n. 401 del 1989. Ne' dal sistema emergono utili indicazioni in proposito, anche solo in prospettiva analogica (v., in materia di convalida del provvedimento di fermo di indiziato di reato o dell'arresto in flagranza di reato, Sez. U, n. 36212 del 30/09/2010, G., Rv. 247939-01; con riguardo alla richiesta di copia delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate ed utilizzate ai fini dell'adozione di una misura cautelare, Sez. U, n. 20300 del 22/04/2010, Lasala, Rv. 246908-01, in motivazione, § 7.6). In realta', dai complesse del sistema normativo si evince che alla difesa deve essere assicurato il diritto di accedere agli atti per poter meglio esercitare le sue ragioni in un tempo utile, ma senza che siano configurabiii rigidi termini dilatori. Occorre poi considerare che, nel procedimento relativo alla convalida del provvedimento del Questore di cui all'articolo 6 della L. n. 401 del 1989, gli atti sono reperibili sia presso la Questura che ha adottato il provvedimento, sia presso il pubblico ministero competente a richiedere la convalida, sia presso il G.i.p., preposto alla decisione sulla convalida. Nel caso di specie, risulta come il ricorrente abbia richiesto copia degli atti presso la Questura e il G.i.p., ma non presso la locale Procura della Repubblica, dove pure avrebbe potuto estrarre copia o, almeno, consultare gli atti. Non appare quindi ravvisabile alcuna violazione ne' della normativa relativa al DASPO, che non prevede alcuna sanzione per l'omessa estrazione di copia degli atti, ne' del precetto costituzionale, al cui rispetto, al contrario di quanto lamentato dal ricorrente, il complesso nella normativa e' ispirato. 4. Il terzo motivo di ricorso e' manifestamente infondato. Il provvedimento del Questore indica nel (OMISSIS) colui che in occasione di una competizione sportiva ufficiale ha acceso una "torcia illuminante", ricevuta da altro tifoso. L'articolo 6-ter L. 402/1989 indica, a mero titolo esemplificativo, "razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l'emissione di fumo o di gas visibile", locuzione con cui devono intendersi "fuochi artificiali o oggetti analoghi" (Sez. 3, n. 1988 dell'08/10/2014, Pinto, n. m.). La "torcia illuminante" (o "fumogeno") costituisce quindi uno degli "artifizi pirotecnici" chiaramente utilizzabili, ai sensi degli articoli 6-bis e 6-ter della L. n. 401 del 1989, per il compimento di atti di violenza in occasione di competizioni sportive. Una risalente pronuncia (Sez. 3, n. 29078 del 04/04/2002, Cini, Rv. 222037 - 01), aveva stabilito che "la semplice denuncia per il reato di cui all'articolo 650 c.p., per essere stato trovato in possesso di un "fumogeno", non puo' giustificare l'emissione del provvedimento del questore a norma dell'articolo 6 L. 13 dicembre 1989, n. 401, in quanto il reato previsto dall'articolo 6-bis della medesima legge, la cui commissione rappresenta uno dei presupposti per l'applicazione della misura interdittiva del divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, punisce solo il lancio di corpi contundenti o di altri oggetti, compresi gli artifizi pirotecnici, che possono creare un pericolo per le persone, non anche il porto di tali oggetti". Tuttavia, se e' vero che l'articolo 6-bis prevede quale condotta punibile quella di chi "lancia o utilizza, in mode da creare un concreto pericolo per le persone" gli oggetti di cui sopra, i'l successivo 6-ter (introdotto dalla I.n. 88 del 24/04/2003, conversione del Decreto Legge n. 28 del 24/02/2003, quindi in epoca successiva alla pronuncia teste' riportata) sanziona quella di chi di tali oggetti "e' trovato in possesso". Non vi e' dubbio pertanto che, almeno ai sensi dell'articolo 6-ter, la condotta contestata al (OMISSIS) risulti tra quelle vietate in occasione di competizioni sportive. Sussistevano quindi pienamente i presupposti per l'emissione del provvedimento questorile del divieto di accesso i luoghi ove si tengono manifestazioni sportive. 5. Il quarto motivo di ricorso e' in parte manifestamente infondato (punto 2.4.1) e in parte infondato (2.4.2). Il provvedimento, infatti, prescrive l'obbligo di presentazione in occasione di "ogni incontro ufficiale che la squadra dell'(OMISSIS) Bergamasca Calcio disputera' nelle predette manifestazioni per le quali gli e' stato inibito l'accesso". Tale divieto concerne espressamente "l'accesso su tutto il territorio nazionale ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive di calcio valevoli per i campionati nazionali di serie A, B Lega Pro, nonche' le altre manifestazioni nazionali ed Europee, quali Champions League, Europa League, Conference League, Coppa Italia, Campionato e Coppa nazionale Primavera e gli incontri della Nazionale italiana compresa l'Under 21, nonche' i luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive di pallacanestro valevoli per i campionati nazionali di serie Al e A2, ovvero tornei nazionali con presenza di societa' di serie Al od A2 tornei internazionali di pallacanestro". Non vi e' quindi alcuna mancanza di chiarezza nel provvedimento, essendo indicato in modo analitico a quali competizioni si riferisca il provvedimento interdittivo. Quanto al profilo di censura relativo alla durata del provvedimento, la Corte ritiene che se e' evidente che incombe sul giudice la necessita' di una motivazione sul punto, tale onere dovra' essere assolto in maniera tanto piu' puntuale quanto piu' la durata della misura sia fissata in misura superiore alla media tra minimo e massimo previsti dalla legge (Sez. 3, n. 32739 del 06/10/2020, Scarafiotti, n. m.). Nel caso di specie, la misura e' stata stabilita in anni 6. Il GIP stabilisce sul punto che "considerata dunque la forbice edittale compresa tra 5 e 10 anni prevista per chi sia gia' destinatario di precedente divieto e valutato che rispetto alla gravita' dei fatti rapportati al pericolo per la pubblica incolumita' ed alla pericolosita' del prevenuto, gia' destinatario di precedente DASPO e per quanto gia' sopra argomentato, sia congrua la durata della prescrizione di cui al comma 2 dell'articolo 6 come stabilita' dal Questore". Nella parte precedente della motivazione, cui rinvia il provvedimento, il GIP aveva sottolineato l'esistenza di precedenti per stupefacenti e guida in stato di ebbrezza quali elementi di conferma della pericolosita' del (OMISSIS). Ritiene la Corte che, soprattutto alla luce del modesto scostamento rispetto al minimo edittale, il Giudice abbia assolto all'onere motivazionale in maniera sufficiente, non potendosi la motivazione - per quanto sopra detto- ritenere meramente "apparente". 6. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e' ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile ii ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. MICCOLI Grazia R. A. - Consigliere Dott. CATENA Rossell - rel. Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere Dott. CARUSILLO Elena - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 26/10/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa CATENA ROSSELLA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa LORI PERLA, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; l'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia e procuratore speciale della parte civile, si associa alle richieste del Proc. Gen. e conclude per l'inammissibilita' dei ricorsi. Deposita conclusioni scritte e nota spese; l'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), insiste per l'accoglimento dei motivi di ricorso; l'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), insiste per l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di Assise di Appello di Napoli, per quanto di rilievo, in riforma della sentenza emessa dalla Corte di Assise di Napoli in data 17/11/2020 - con cui (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati condannati a pena di giustizia, oltre che al risarcimento dei danni nei confronti delle parte civile, in relazione al reato di cui all'articolo 110 c.p., articolo 591 c.p., commi 1 e 3, il primo quale legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., societa' di riferimento della struttura residenziale per anziani "(OMISSIS)", il secondo quale figlio di (OMISSIS), che era stata affidata alla predetta struttura dal 08/06/2016, luogo ritenuto non idoneo in riferimento alle condizioni di salute della predetta, poi deceduta in data 28/06/2016 - rideterminava la pena inflitta al (OMISSIS) in anni tre di reclusione e la pena inflitta al (OMISSIS) in anni due mesi sei di reclusione, confermando, nel resto, la sentenza impugnata. 2. (OMISSIS) ricorre a mezzo del difensore di fiducia avv.to (OMISSIS), deducendo otto motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1: 2.1 violazione di legge, in riferimento all'articolo 591 c.p., comma 1, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in quanto il (OMISSIS), legale rappresentante della societa' cui afferiva la struttura residenziale per anziani, non aveva alcuna relazione di custodia, ne' diretta ne' indiretta, con la (OMISSIS), posto che egli rivestiva unicamente un ruolo di gestione ed amministrazione della societa', non avendo, quindi, svolto alcun ruolo di sorveglianza diretta e/o indiretta della anziana ricoverata; cio' rileva anche alla luce della struttura del reato, di pericolo concreto per la vita o l'incolumita', che deve derivare dalla condotta di abbandono, rispetto alla quale non tutte le relazioni di custodia possono essere considerate rilevanti, ma solo quelle che si estrinsecano in una posizione di sorveglianza diretta ed immediata nei confronti del soggetto incapace; nel caso di specie, all'assistenza dell'anziana era preposta la coimputata (OMISSIS), persona del tutto qualificata, mentre il (OMISSIS) si recava saltuariamente presso la struttura, in ragione del suo ruolo; da cio' discende, anche alla luce delle giurisprudenza di legittimita', la insussistenza dell'abbandono, in riferimento al ricorrente, che aveva comunque predisposto l'affidamento dell'ospite della struttura a persone capaci e abili, come riconosciuto dalla sentenza impugnata; anche in riferimento alla "teoria della garanzia" seguita dalla giurisprudenza di legittimita', infatti, e' stato evidenziato come vengano in rilievo le funzioni in concreto esercitate dal soggetto agente, non avendo la sentenza impugnata specificato in quali termini sarebbe stato violato l'obbligo di custodia gravante sul (OMISSIS), il quale si era limitato ad accettare il ricovero della (OMISSIS) su richiesta del figlio della stessa, avendo egli predisposto le misure necessarie, ossia una struttura idonea e personale qualificato, misure altresi' idonee come dimostrato dalla carenza di precedenti vicende, indicative di una insufficienza e/o inadeguatezza del contesto di accoglienza; 2.2 violazione di legge, in riferimento all'articolo 591 c.p., comma 1, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), quanto alla sussistenza dell'elemento psicologico, escluso, a ben vedere, proprio dalle motivazioni della sentenza impugnata che, al piu', configura, a carico dell'imputato, la colpa cosciente, posto che il dolo richiesto dall'articolo 591 c.p. implica l'accertamento della conoscenza, da parte dell'agente, delle specifiche condizioni del soggetto passivo, unitamente alla coscienza e volonta' di abbandonarlo e, alla luce delle relazione di cura e custodia, la previsione e la volonta' del pericolo per la vita e l'incolumita' del soggetto passivo; in sostanza, la sentenza formula nei confronti dell'imputato un giudizio di rimprovero per la ritenuta inadeguatezza della struttura, facendo discendere da tale presunta condizione la sussistenza dell'elemento psicologico, il che richiama i casi in cui la condotta sia connotata da spiccata irragionevolezza, disinteresse o altro atteggiamento consimile, con evidente integrazione della colpa cosciente, restando irrilevante il profilo del fine di lucro che avrebbe potuto spingere il (OMISSIS) a sottodimensionare l'organizzazione della struttura. In sostanza, il giudizio di inadeguatezza della struttura si risolve nel rimprovero al (OMISSIS) di aver mal governato i rischi connessi alla sua funzione, proprio in riferimento ai criteri ermeneutici indicati dalla giurisprudenza di legittimita' nel caso ThyssenKrupp, in quanto la coscienza e volonta' della condizione di abbandono deve essere esclusa, essendo stato provato che il (OMISSIS) aveva comunque adibito alla cura degli anziani un'infermiera professionista, laddove nella struttura vi erano anche altre persone adibite alle ulteriori incombenze, venivano svolte visite da parte dei medici della ASL, la struttura era dotata di letti e di sedie a rotelle adeguati agli ospiti, ne' mai, negli anni precedenti, all'interno della struttura si erano verificati eventi critici, per cui, al piu', il (OMISSIS) avrebbe potuto essere considerato gravemente negligente; quanto alle condizioni della (OMISSIS), pur dando per scontato che il (OMISSIS) ne fosse consapevole, le stesse non richiedevano cure mediche specialistiche di particolare impegno, ma solo un trattamento farmacologico, per il quale le condizioni assistenziali predisposte dal (OMISSIS) appaiono del tutto confliggenti con la coscienza e volonta' dell'abbandono; sotto altro aspetto, infine, anche l'applicazione degli elementi indicatori citati dalla sentenza ThyssenKrupp, in riferimento al dolo eventuale, escludono tale elemento soggettivo nel caso in esame, posto che non si e' in presenza di una totale carenza della struttura, ma solo di un'inadeguatezza della stessa, ne' la sentenza di merito indica, in riferimento alla posizione del (OMISSIS), l'esito di un eventuale giudizio controfattuale, secondo la cosi' detta formula di Frank, non essendo stati indicati gli elementi indicatori del dolo eventuale; 2.3 violazione di legge, in riferimento all'articolo 591 c.p., comma 1, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in quanto, ai fini dell'integrazione dell'elemento oggettivo del reato, la posizione del ricorrente, opportunamente valutata in funzione dei criteri della pericolosita' del fatto e del contenuto dell'obbligo violato, non puo' che condurre ad escludere tale elemento materiale, atteso che la stessa sentenza evidenzia come, nel caso in esame, la struttura di accoglienza fosse idonea sotto molteplici aspetti (igienico-sanitario, strutturale, assistenziale, medico) e, cio' nonostante, la stessa sentenza ha ritenuto "ragionevolmente inidonea" la detta struttura. Sotto il profilo della pericolosita' del fatto, quindi, le condizioni positivamente individuate dalla stessa sentenza, unitamente all'assenza di pregressi episodi avversi, dimostrano l'inconfigurabilita' del pericolo concreto, mentre, quanto al contenuto dell'obbligo violato, non puo' che ribadirsi come il (OMISSIS) non fosse tenuto a provvedere, in via diretta, all'assistenza e cura degli ospiti, bensi' al solo obbligo di custodia, evidentemente adempiuto; cio' emerge ancor piu' evidente alla luce della giurisprudenza di legittimita' circa la concretezza della condizione di pericolo, laddove la sentenza impugnata ha introdotto un concetto di relativizzazione dello stato di abbandono che riconduce il reato alla struttura del pericolo presunto; 2.4 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), alla luce della contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, considerate le argomentazioni e le circostanze esposte con il precedente motivo di ricorso, posto che non sono stati neanche illustrati i criteri logici alla stregua dei quali, pur in presenza delle premesse richiamate, si potesse giungere alla conclusione di sussistenza di una condizione di abbandono; 2.5 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), sotto l'aspetto della illogicita' del ragionamento seguito dalla Corte di merito, le cui affermazioni risultano meramente assertive, oltre che derivanti da applicazione di massime di esperienza generiche e non afferenti al caso di specie: in riferimento all'organizzazione dei mezzi e del personale, infatti, la sentenza impugnata ha operato una valutazione condizionata dal decesso della (OMISSIS), con evidente sillogismo valutativo non sorretto da adeguato criterio logico, non essendo sorretto da elementi ulteriori; a ben vedere, quindi, la Corte di merito conclude per la inidoneita' della struttura in base alla circostanza che l'unica infermiera non fosse "ragionevolmente" in condizione di prendersi cura, contemporaneamente ed adeguatamente, di ben sei ospiti in gravi condizioni, attraverso una massima di esperienza ne' verificata ne' verificabile, sprovvista di verosimiglianza, meramente ipotetica e, quindi, espressione di un giudizio arbitrario, posto che alla valutazione meramente ipotetica formulata potrebbe essere opposta una valutazione meramente ipotetica di segno opposto, ossia che l'unica infermiera fosse in grado di assistere tutti gli ospiti della struttura, dato che ella era risultata persona dedita e capace, come affermato nella stessa sentenza impugnata. La motivazione della Corte territoriale, inoltre, e' connotata da una evidente circolarita' del ragionamento probatorio, posto che si assume come il decesso della (OMISSIS) avrebbe provato la inadeguatezza della struttura, laddove tale condizione avrebbe dovuto essere oggetto dell'accertamento; la valutazione della Corte di merito, inoltre, risulta frutto di valutazione ex post, in base all'evento verificatosi, senza considerare la radicale carenza di ulteriori elementi, quali precedenti eventi avversi; 2.6 violazione di legge, in riferimento all'articolo 40 c.p., articolo 41 c.p., comma 2, articolo 591 c.p., comma 3, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), quanto alla sussistenza del nesso causale tra la condotta di abbandono e l'evento, con particolare riferimento alla persona del (OMISSIS), cio' per la specifica causa del decesso della (OMISSIS), individuato dalla Corte di merito in una condizione di forte disidratazione, intervenuta in un arco minimo di due giorni, a far data dal ricovero della paziente presso la struttura "(OMISSIS)"; cio', evidentemente, esclude che la concausa del decesso possa essere ascritta al (OMISSIS), a cui non puo' essere attribuita ne' l'omissione rilevante ne' la prevedibilita' e, quindi, l'evitabilita' dell'evento, posto che risulta indimostrato che il ricorrente potesse sapere o prevedere che alla (OMISSIS) non fosse stata, inopinatamente, somministrata acqua per circa due giorni, anche alla luce dell'operazione elementare e quotidiana della somministrazione di acqua, per cui, attesa la prevedibilita' logica, da parte dell'amministratore della struttura, che l'infermiera (OMISSIS) somministrasse l'acqua con regolarita' agli ospiti, alcuna cautela avrebbe potuto essere adottata dal (OMISSIS) ai fini della evitabilita' dell'evento ovvero della omissione della condotta; cio' senza considerare che tale omissione si sarebbe verificata nell'arco di un tempo minimo di due giorni dal ricovero della (OMISSIS) presso la "(OMISSIS)", arco temporale che ben avrebbe potuto sfuggire anche alla vigilanza del (OMISSIS), che, per le funzioni svolte, certamente non si recava presso la struttura quotidianamente; in altri termini, la decisione adottata risulta assunta in violazione dei parametri normativi di cui agli articoli 40 e 41 c.p. ed in virtu' di una responsabilita' di mera posizione, senza contare che cio' e' avvalorato anche dal fatto che alla (OMISSIS) e' stata ascritta una condotta consistita nel non essersi tempestivamente attivata per provvedere al rapido deterioramento delle condizioni della (OMISSIS), il che dimostra ancor piu' manifestamente come il (OMISSIS) non avrebbe potuto in alcun modo attivarsi per impedire l'evento; 2.7 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), in relazione alla sussistenza del nesso di causalita' tra la condotta di abbandono e l'evento morte, certamente non ascrivibile al (OMISSIS) a titolo di colpa, posto che la condizione di disidratazione e' stata individuata come mera concausa del decesso, a fronte delle condizioni complessivamente scadute della (OMISSIS), ampiamente descritte in sentenza; cio' nonostante la Corte di merito ha del tutto omesso di valutare se nell'anamnesi remota della (OMISSIS) fossero presenti sintomi di insufficienza renale cronica, il che sarebbe stato indispensabile per la verifica della genesi dell'insufficienza renale acuta intervenuta, cosi' come nessuna incidenza e' stata data al "marasma senile" pur diagnosticato; complessivamente, quindi, il determinismo causale della morte e' stato individuato nella sola disidratazione della paziente, senza alcuna valutazione delle pregresse e specifiche patologie della stessa, nonostante la consulente della difesa della coimputata (OMISSIS), Dott.ssa (OMISSIS), avesse fatto riferimento alle analisi svolte all'atto del ricovero della (OMISSIS) presso l'ospedale (OMISSIS); cio' emerge di palmare evidenza laddove la sentenza impugnata assume che da almeno quarantotto ore la (OMISSIS) non fosse idratata, salvo poi riconoscere la validita' delle dichiarazioni dibattimentali della (OMISSIS), la quale aveva riferito di aver somministrato acqua alla paziente la sera precedente il ricovero della stessa presso la "(OMISSIS)"; 2.8 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), quanto alla rideterminazione della pena inflitta al (OMISSIS), illogicamente quantificata in relazione alla coimputata (OMISSIS), anch'essa socia della " (OMISSIS) s.r.l.", essendo del tutto assertivo e privo di giustificazione logica la differente gravita' delle condotte a causa di una posizione di maggiore debolezza della (OMISSIS), del tutto indimostrata, alla luce degli accordi intervenuti tra i due soci. 3. (OMISSIS) ricorre, a mezzo del difensore di fiducia avv.to (OMISSIS), deducendo cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1: 3.1 violazione di legge, in riferimento agli articoli 110 e 591 c.p., vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), avendo la Corte di merito ritenuto sussistente l'elemento psicologico del dolo eventuale del reato di abbandono di incapaci, attribuendo a titolo di responsabilita' oggettiva l'evento morte, attraverso l'elaborazione della categoria della "inidoneita' oggettiva" della struttura, svincolata dai parametri formali della normativa regionale, laddove tutti i dati emersi dall'istruttoria dibattimentale escludono che "(OMISSIS)" fosse manchevole dal punto di vista strutturale ed organizzativo, con conseguente irrilevanza della mancanza di autorizzazioni; in tal senso vanno considerate le deposizioni delle testi (OMISSIS) e (OMISSIS), assistenti sociali, nonche' dei medici (OMISSIS) e (OMISSIS), che periodicamente si recavano nella struttura, le cui deposizioni sono riportate per stralci in ricorso ed integralmente allegate allo stesso; la circostanza che detti soggetti, dotati di specifiche competenze, non avessero mai rilevato alcunche', anche in costanza del ricovero della (OMISSIS), dimostra l'insussistenza di qualsiasi pericolo per l'incolumita' della predetta, che, quindi, il (OMISSIS) non avrebbe potuto rappresentarsi. La difesa, inoltre, deduce il travisamento della prova testimoniale della Dott.ssa (OMISSIS), assistente sociale che effettuo' la visita ispettiva all'esito del decesso della (OMISSIS), individuando l'idoneita' della stessa ad accogliere pazienti non autosufficienti. Quanto alla (OMISSIS), madre della (OMISSIS), la stessa si recava ad aiutare la figlia per tutta la giornata, diversamente da come rilevato in sentenza, spesso trattenendosi anche per la notte, per cui la (OMISSIS) non era la sola persona presente nella struttura, circostanza da cui, erroneamente, e' stata desunta la consapevolezza del (OMISSIS) di mettere in pericolo la propria madre. Peraltro, emerge dal "Catalogo dei sevizi residenziali, semiresidenziali, territoriali e domiciliari", di cui al Regolamento di attuazione della legge regionale 11/2007, che il servizio nelle strutture per persone non autosufficienti prevede l'assistenza di due operatori di primo livello ogni sedici persone non autosufficienti durante il giorno e di un operatore per il servizio notturno. La motivazione della Corte di merito risulta, quindi, carente sotto l'aspetto della dimostrazione dell'inidoneita' organizzativa in concreto, il che incide viepiu' sulla sussistenza dell'elemento psicologico del (OMISSIS), essendo, in ogni caso, indimostrato che egli fosse a conoscenza della presenza della sola (OMISSIS) quale soggetto deputato all'assistenza alle ospiti della struttura; peraltro, il perito prof. (OMISSIS) ha indicato la (OMISSIS) come autonoma o semiautonoma, anche alla luce del livello di assistenza fornitole in precedenza dalla badante, a dimostrazione della compatibilita' tra le condizioni della predetta ed il modulo organizzativo della struttura, non esistendo alcuna documentazione formale che attesti la non autosufficienza della (OMISSIS); in ogni caso, il meccanismo di cui all'articolo 507 c.p.p., attraverso il quale si e' pervenuti all'incarico al prof. (OMISSIS), esclude che si possa prescindere dalle sue conclusioni. Anche la circostanza del licenziamento della badante, (OMISSIS), e' stata valutata senza considerare la documentazione INPS, dimostrativa del fatto che la risoluzione del rapporto di lavoro si fosse verificato solo dopo il decesso della (OMISSIS), essendo stata la predetta (OMISSIS) semplicemente allontanata dall'appartamento, in precedenza, per il pericolo derivante dalle condizioni dell'immobile, che necessitava di urgenti lavori; ancora, e' stato evidenziato come dal testimoniale, con particolare riferimento alla Dott.ssa (OMISSIS), che aveva svolto l'ispezione della struttura dopo il decesso della (OMISSIS), era emerso come, tra la documentazione sanitaria inviata dal (OMISSIS), era presente anche un'attestazione risalente, relativa alla (OMISSIS), che altro non e' se non la cartella clinica del (OMISSIS) del 2008, da cui emergevano le specifiche condizioni della (OMISSIS), a dimostrazione del fatto che effettivamente il (OMISSIS) ebbe a consegnare al (OMISSIS) la documentazione sanitaria relativa alla madre all'atto del ricovero della stessa presso la "(OMISSIS)"; che, poi, il (OMISSIS) conoscesse le condizioni della paziente, affetta da Alzheimer, e' dimostrato da quanto dallo stesso affermato nel corso del suo esame, essendogli stata tale notizia fornita dal (OMISSIS) anche verbalmente, cio' a dimostrazione della perfetta consapevolezza, da parte dei soci della struttura, delle condizioni della (OMISSIS) al momento del ricovero, senza che fosse stata evidenziata alcuna incompatibilita' da parte degli stessi, nonostante la precisa sussistenza di obblighi in tal senso, da parte del responsabile della struttura, come indicato anche dal perito (OMISSIS); il tutto a dimostrazione della radicale insussistenza di elementi a sostegno dell'elemento psicologico del reato, su cui la Corte di merito ha omesso ogni motivazione, nonostante le sollecitazioni difensive, ivi inclusa la mancata opposizione al trasferimento della (OMISSIS) da parte del Giudice tutelare e del fratello del (OMISSIS), nonostante le comunicazioni ricevute. Quanto all'elemento soggettivo, nonostante una memoria difensiva sul punto - il cui contenuto viene illustrato in ricorso in relazione alla linearita' della condotta del (OMISSIS), alla luce delle indicate emergenze dibattimentali - la sentenza non ha affatto affrontato il discrimine tra il dolo eventuale e la colpa cosciente, alla luce dell'insegnamento della Cassazione nel caso ThyssenKrupp, i cui criteri valutativi la difesa illustra in riferimento alla specifica vicenda, al fine di dimostrare come appaia evidente che il (OMISSIS) non avrebbe mai collocato la madre presso la "(OMISSIS)" se fosse stato certo della verificazione della messa in pericolo della stessa; 3.2 violazione di legge, in riferimento all'articolo 41 c.p., comma 2, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), avendo la Corte di merito del tutto travisato i dati probatori in riferimento al nesso di causalita', avendo ritenuto errata la diagnosi definitiva di marasma senile, individuata dai medici dell'ospedale (OMISSIS), quanto al decesso della (OMISSIS); la difesa ricostruisce le iniziali emergenze investigative, illustrando come il (OMISSIS) avesse, sin dall'inizio, confutato la tesi dell'abbandono della propria madre presso la struttura, essendo egli immediatamente intervenuto appena saputo delle sue condizioni, ed essendosi recato dapprima alla "(OMISSIS)" e quindi all'ospedale (OMISSIS), senza alcun indugio, come poi ampiamente dimostrato dall'istruttoria dibattimentale illustrata in ricorso; cio' dimostra come i sanitari del (OMISSIS) fossero pienamente a conoscenza delle condizioni della (OMISSIS), anche in quanto riferite dal figlio, per cui mai la loro diagnosi avrebbe potuto essere frutto di fretta e di mancata conoscenza di dati specifici. In ogni caso, come emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, la causa della morte e' stata ravvisata unicamente nell'avere la (OMISSIS) omesso di somministrare acqua alla (OMISSIS), salvo poi, pochi righi dopo, aver escluso che la mancata somministrazione di acqua potesse rappresentare una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento letale, in tal modo incorrendo in una palese contraddittorieta'. Seppure si considera la disidratazione l'unica causa del decesso, trattandosi di causa sopravvenuta, non si comprende come potrebbe sussistere il nesso di causalita' con la condotta ascritta al (OMISSIS), trattandosi, tra l'altro, di un evento del tutto non prevedibile o, almeno, sulla cui prevedibilita' la sentenza impugnata e' rimasta del tutto silente; le prove acquisite escludono di ritenere la (OMISSIS) una persona poco attenta alle esigenze delle ospiti della struttura, per cui non si comprende come il (OMISSIS) avrebbe potuto prevedere la dimenticanza della (OMISSIS), risultando, anche alla luce della giurisprudenza di legittimita', la condotta a lui contestata priva di qualsivoglia incidenza sulla produzione dell'evento letale, cio' a prescindere dalla mancata indagine su altre cause della morte, come indicato nei motivi di appello; 3.3 violazione di legge, in riferimento all'articolo 47 c.p., comma 3, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), avendo la Corte di merito erroneamente escluso che la condotta del ricorrente fosse scriminata per essere egli incorso in errore incolpevole sulla legge extra-penale e, segnatamente, in riferimento alle norme di cui al Regolamento n. 4 del 7 aprile 2014 della Regione Campania e del Catalogo dei servizio residenziali, semiresidenziali, territoriali e domiciliari di cui al regolamento di attuazione della legge regionale n. 11 del 2017, nonche' della delibera della Giunta regionale n. 107 del 2014, pur avendo la Corte territoriale riconosciuto la condivisibilita' dell'impostazione difensiva; cio' nonostante, la sentenza impugnata ha ritenuto che l'addebito a carico del (OMISSIS) non fosse quello di aver collocato la madre in una struttura priva delle prescritte autorizzazioni, ma in una struttura oggettivamente inidonea, al di la' dei requisiti formali, introducendo l'inedita categoria della "inidoneita' oggettiva", peraltro senza chiarire cosa cio' significasse nel caso in esame, dato che e' stata esclusa qualsiasi condizione di degrado della struttura; in realta', l'unico elemento e' costituito dalla circostanza che la (OMISSIS) fosse l'unico soggetto preposto alla cura delle anziane ospiti della struttura, circostanza non solo non vera, ma soprattutto non nota al (OMISSIS), non essendo stata in alcun modo dimostrata tale sua consapevolezza, essendo, al contrario, emerse dal dibattimento circostanze di segno opposto; in ogni caso, se la carenza di personale fosse stato il vulnus della struttura, cio' integrerebbe una carenza normativa che consentirebbe l'applicazione dell'articolo 47 c.p., comma 3; infine, non va dimenticato che la normativa regionale richiamata, nella parte dedicata alle comunita' di persone non autosufficienti, preveda l'assistenza di due operatori di primo livello ogni sedici assistiti durante il giorno e di un solo operatore ogni sedici assistiti durante il turno notturno, il che rende evidente come la presenza della sola (OMISSIS) non fosse affatto al di fuori della regola di settore; peraltro, l'istruttoria dibattimentale ha ampiamente dimostrato come il (OMISSIS) ignorasse i precetti normativi in tema di autonomia e semiautonomia e la disciplina di settore in tema di autorizzazione delle strutture di accoglienza di tali soggetti, essendo, quindi, evidente l'errore scusabile sulla norma extra-penale, come dimostrato dalle stesse deposizioni del prof. (OMISSIS) e del Dott. (OMISSIS) sul punto; 3.4 inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullita', inammissibilita', inutilizzabilita', decadenza, in riferimento alla L. n. 24 del 2017, articolo 15, articolo 507 c.p.p., ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), avendo la difesa avuto modo con i motivi di appello di rappresentare come, nel caso di specie, la richiamata disposizione del 2017 imponesse la nomina di un collegio peritale e non di un solo perito, circostanza su cui il fugace passaggio motivazionale della sentenza contrasta con quanto affermato dall'ordinanza n. 12593 della Terza Sezione Civile della Cassazione, con conseguente nullita' della perizia, apparendo evidente dalla stessa formulazione del quesito come, nel caso in esame, si versasse proprio in un caso di responsabilita' sanitaria; tanto premesso, il meccanismo di conferimento dell'incarico, ai sensi dell'articolo 507 c.p.p., rende evidente l'indispensabilita' dell'apporto del perito, sicche' la nullita' della perizia non puo' che coinvolgere l'accertamento nel suo complesso; 3.5 mancata assunzione di una prova decisiva, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera d), in riferimento al quarto motivo di gravame, in quanto la difesa aveva, nella propria lista testi, indicato coloro i quali avrebbero deposto sui lavori da effettuarsi all'interno dell'appartamento della (OMISSIS), che ne avevano reso indispensabile il trasferimento altrove; a tali testi la difesa aveva rinunciato, all'udienza del 19/02/2019, su invito del Presidente del Collegio di primo grado, ritenendo la circostanza gia' sufficientemente provata; alla luce delle motivazioni della sentenza di primo grado sul punto, la difesa aveva, quindi, richiesto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per produrre documentazione pertinente alla dimostrazione della indicata circostanza, richiedendo, altresi', l'esame dei testi; l'ordinanza di rigetto da parte della Corte di merito si basa sulla circostanza che la rinuncia difensiva non sarebbe stata motivata dalle ragioni indicate dalla difesa medesima, alla luce del verbale stenotipico dell'udienza del 07/05/2019, avendo, quindi, la Corte territoriale erroneamente individuato l'udienza di primo grado alla luce della quale avrebbero dovuto essere verificate le deduzioni difensive; cio' senza contare che la Corte di merito, del tutto contraddittoriamente, ha motivato la carenza di prove circa l'indifferibilita' e l'urgenza dei lavori da eseguirsi nell'appartamento abitato dalla (OMISSIS), da cio' desumendo la non temporaneita' di tale trasferimento, ulteriore elemento su cui risulta fondato il convincimento che il (OMISSIS) volesse definitivamente liberarsi della presenza dell'anziana madre. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) sono fondati e vanno, pertanto, accolti. 1. Come evidenziato dalla sentenza impugnata, la vicenda processuale e' stata originata dal decesso presso l'ospedale (OMISSIS), in data (OMISSIS), della (OMISSIS) (OMISSIS), che dal precedente (OMISSIS) era alloggiata presso la struttura residenziale per anziani "(OMISSIS)", di cui era legale rappresentante (OMISSIS); la (OMISSIS), affetta da sindrome di Alzheimer ed incapace di attendere alle ordinarie occupazioni della vita, aveva sino al trasferimento, vissuto presso la sua abitazione, dove era assistita da una badante rumena, (OMISSIS), ed era, quindi, stata collocata presso la struttura per anziani su iniziativa del figlio, (OMISSIS). Presso la "(OMISSIS)" l'anziana era stata affidata alle cure di (OMISSIS), infermiera e socia della struttura; in data (OMISSIS) proprio la (OMISSIS) aveva effettuato una segnalazione al 118, a seguito della quale l'anziana donna era stata trasportata dapprima presso la clinica (OMISSIS), e da qui trasferita subito dopo all'ospedale (OMISSIS), dove era deceduta. Appare opportuno premettere, altresi', che la sentenza impugnata ha ricordato come, nel caso in esame, non ci si trovasse in presenza di una situazione, non infrequente nella casistica giudiziaria, di un'anziana lasciata in totale balia di se' stessa, in condizioni igieniche o sanitarie pessime, se non addirittura sottoposta a maltrattamenti; al contrario, la struttura coinvolta, come emerso dall'istruttoria dibattimentale, era accogliente, connotata da livelli assistenziali ed igienici del tutto adeguati, le ospiti erano circondate da un clima conviviale ed affettuoso, grazie proprio all'attivita' di (OMISSIS). Tale struttura, tuttavia, era risultata priva delle necessarie autorizzazioni, essendo stato accertato che il (OMISSIS), nel 2014, aveva richiesto l'autorizzazione ad operare come "Gruppo appartamento" - ossia, secondo la normativa regionale di riferimento, come servizio residenziale per soggetti autonomi e semiautonomi che non necessitano di assistenza sanitaria continuativa ed optano per una forma di convivenza -, laddove le ospiti della struttura erano tutte non autonome, tanto e' vero che, dopo le verifiche disposte da parte delle competenti autorita' nel gennaio 2017, era intervenuta un'ordinanza sindacale con cui si disponeva l'immediata cessazione dell'attivita'. La sentenza impugnata, pur dando atto delle soddisfacenti condizioni igieniche ed assistenziali della struttura, ha, tuttavia, individuato un contesto di grave carenza organizzativa nel funzionamento della struttura, in quanto (OMISSIS), pur vivendo nell'appartamento, era preposta da sola all'assistenza delle ospiti, non essendo presente nessun altro dipendente, tranne la madre, (OMISSIS), che era stata puericultrice prima del pensionamento, la quale saltuariamente collaborava con la figlia nelle pulizie della struttura e nella cucina, senza prestare alcuna assistenza alle anziane ospiti. La Corte di merito ha quindi ritenuto che, sebbene la (OMISSIS) avesse esperienza nell'assistenza agli invalidi e fosse indubbiamente animata da spirito di sacrificio e dedizione al lavoro, non potesse garantire da sola un adeguato livello assistenziale alla (OMISSIS) ed alle altre cinque anziane non autosufficienti. Quanto alla causa della morte della (OMISSIS), la Corte di merito ha individuato un arresto cardiaco da insufficienza renale acuta, conseguente a sindrome da disidratazione e sofferenza multiorgano terminale in soggetto affetto da morbo di Alzheimer e vasculopatia cerebrale; proprio il forte stato di disidratazione da cui l'anziana era risultata affetta, avevano indotto i sanitari della clinica "(OMISSIS)", dove ella era stata condotta, a trasferirla dopo poche ore all'ospedale (OMISSIS), dove era deceduta. Secondo la sentenza impugnata, tale grave stato di disidratazione era insorto nel periodo minimo di quarantotto ore trascorso presso la "(OMISSIS)", dove, evidentemente, la (OMISSIS) non era stata adeguatamente e sufficientemente idratata, cio' in conseguenza della deficitaria organizzazione della struttura stessa, ossia dell'affannoso e pesante contesto in cui operava la (OMISSIS) che, pressata dalle continue esigenze anche delle altre pazienti, in una situazione climatica caratterizzata da elevate temperature, aveva omesso di dare da bere all'anziana con la dovuta frequenza. Cio' era stato, peraltro, ammesso dalla stessa (OMISSIS), la quale aveva ricordato di aver dato da bere alla (OMISSIS) la sera precedente, ma non anche la mattina in cui, poi, le condizioni della donna si erano aggravate, al punto da richieder l'intervento del 118. Cio' premesso, e rilevato che (OMISSIS) risulta condannata con pronuncia irrevocabile, non avendo formulato ricorso per cassazione avverso la sentenza in esame, vanno esaminate le posizioni degli attuali ricorrenti. Per (OMISSIS), la Corte di merito ha ritenuto che egli avesse consapevolmente accettato di accogliere presso la struttura, di cui era socio e legale rappresentante, la (OMISSIS), madre di un suo amico, essendo conscio delle condizioni di non autosufficienza dell'anziana e del modulo organizzativo non adeguato della "(OMISSIS)", laddove (OMISSIS), figlio della persona offesa, aveva sradicato la madre dalla casa in cui viveva, recidendo drasticamente il legame con la badante che l'aveva accudita per anni, per collocarla in una struttura della cui inidoneita', alla luce delle indicate circostanze, egli era ben consapevole. 2. Tanto premesso quanto alla ricostruzione della vicenda, occorre anzitutto sottolineare come non vi e' dubbio che i beni giuridici protetti dalla disposizione di cui all'articolo 591 c.p. siano la vita e l'incolumita' individuale, e che scopo dell'incriminazione sia quello di proteggere particolari categorie di soggetti che, per eta' o per altre cause individuate dal legislatore siano esposte ai pericoli, contro l'abbandono da parte di chi e' tenuto ad averne cura. La giurisprudenza di legittimita' ha piu' volte affermato che ai fini della configurabilita' del reato in esame, la condotta di "abbandono" e' integrata da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumita' del soggetto passivo (tra le piu' recenti: Sez. 1, n. 5 del 11/05/2021, dep. 03/01/2022, S., Rv. 282481). In sostanza, quindi, la tutela della vita e dell'incolumita' personale, nell'ambito della struttura del reato, passa attraverso la violazione di un obbligo assistenziale o di custodia; infatti, in tutte le ipotesi di abbandono previste dalla norma in esame la condotta non deve essere diretta a ledere l'incolumita' personale o la vita del soggetto passivo, in quanto, se tale volonta' sussistesse, sia pure nella forma del dolo eventuale, e l'abbandono costituisse niente altro che un mezzo per realizzarla, si ricadrebbe nelle fattispecie delle lesioni personali volontarie o dell'omicidio. Puo', quindi, convenirsi sul fatto che l'essenza del delitto consista nell'abbandono del minore o del soggetto altrimenti incapace, caratterizzato dalla volonta' di sottrarsi esclusivamente ad un obbligo di cura o di custodia derivante dalla legge o da un particolare rapporto giuridico, essendo, quindi, necessario che il soggetto attivo del reato si trovi in un rapporto col soggetto passivo dal quale derivi un tale obbligo. Il concetto di "abbandono", quindi, presuppone il cessare di una relazione di cura o di assistenza tra l'agente ed il soggetto passivo. Tale precisazione appare necessaria, in quanto la condotta di abbandono non ha, nel diritto penale, la stessa valenza che essa riveste nel linguaggio comune, in cui implica un distacco, una separazione materiale tra due soggetti, mentre la condotta penalmente rilevante non e' integrata da ogni distacco: il concetto di abbandono implica, come evidenziato dalla dottrina, un giudizio di valore, "una valutazione della condotta con cui ci si distacca, anzi una valutazione che investe il fine e la pericolosita' della condotta". La giurisprudenza di legittimita', non a caso, ha concentrato la propria attenzione sulla pericolosita' che deve connotare la semplice separazione materiale, per cui l'abbandono penalmente rilevante e' quello pericoloso, idoneo, cioe', a porre il minore o l'incapace in una situazione di pericolo per la sua incolumita'. Pertanto, il pericolo, pur se non richiamato espressamente dalla norma, deve essere considerato requisito della fattispecie senza che, invece, sia richiesta la sussistenza di alcun particolare malanimo da parte del soggetto agente (tra le altre, Sez. 5, n. 27705 del 29/05/2018, Rv. 273479; Sez. 2, n. 10994 del 06/12/2012, dep. 08/03/2013, T. e altro, Rv. 255173; Sez. 5, n. 19476 del 25/02/2010, Verdano e altro, Rv. 247305; Sez. 5, n. 337 del 24/10/1980, dep. 22/01/1981, Saccone, Rv. 147371; Sez. 5, n. 12941 del 04/07/1978, Silecchia, Rv. 140268; Sez. 5, n. 8180 del 05/04/1974, Giannini, Rv. 128371). Tale opzione ermeneutica, peraltro, non solo trova fondamento nella previsione di aggravamenti di pena in caso di morte o di lesione della vittima, ma, richiedendo la pericolosita' della condotta, ai fini della configurabilita' del delitto di cui all'articolo 591 c.p., consente di orientare la fattispecie in coerenza con il principio di offensivita'. Ne consegue, pertanto, che il dolo debba avere ad oggetto, oltre che l'eta' minore o lo stato di incapacita' del soggetto passivo e l'obbligo giuridico di cura ed assistenza verso il medesimo, anche lo stato di pericolo a cui viene esposto tale soggetto in conseguenza dell'abbandono. Il dolo, quindi, corrisponde alla volonta' libera e cosciente non solo di abbandonare la persona incapace di provvedere a se' stessa e nei confronti della quale si abbia uno specifico obbligo di assistenza o di cura, ma altresi' nella coscienza del pericolo, ovvero nella previsione che la condotta dell'agente determini una possibilita' di danno per la vita o per l'incolumita' della persona abbandonata. Ovviamente la declinazione dell'elemento soggettivo puo' essere inquadrata anche nel dolo eventuale, quando si accerti che l'agente, pur essendosi rappresentato, come conseguenza del proprio comportamento inerte, la concreta possibilita' del verificarsi di uno stato di abbandono del soggetto passivo, in grado di determinare un pericolo anche solo potenziale per la vita e l'incolumita' fisica di quest'ultimo, persista nella sua condotta omissiva, accettando il rischio che l'evento si verifichi (Sez. 5, n. 44013 del 11/05/2017, Hmaidan e altri, Rv. 271431). 3. Nel caso di (OMISSIS), quindi, il dovere di custodia di cui egli era titolare, scaturente dal suo ruolo di socio e legale rappresentate della struttura e dall'avervi accolto l'anziana, deve essere specificamente considerato, in relazione alla condotta a lui ascritta. Senza alcun dubbio, nel caso in esame, tale dovere aveva fonte contrattuale, in coerenza con quanto piu' volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (per tutte: Sez. 5, n. 18448 del 12/01/2016, Corbascio, Rv. 267126, che, in motivazione ha specificato: "Del resto, anche semanticamente occorre puntualizzare che con il termine "custodia" - riferibile prevalentemente a soggetti minori d'eta' ovvero agli anziani non autosufficienti - si deve intendere una sorveglianza diretta ed immediata, mentre la nozione di "cura" si riferisce invece a soggetti adulti di regola capaci di provvedere a loro stessi ma che versano in concreto, per ragioni contingenti, in situazioni di debolezza o di pericolo (ad esempio un alpinista inesperto affidato alla cura di una guida alpina) e che pertanto necessitano di prestazioni e di cautele protettive. Deve pertanto ritenersi che la relazione di custodia potra' sorgere non solo per l'adempimento di un obbligo giuridico formale, ma anche per spontanea assunzione da parte del soggetto agente o per effetto di una mera situazione di fatto tale per cui il soggetto passivo sia entrato nella sfera di controllo e di disponibilita' del soggetto attivo. Peraltro, accedendo ad una esegesi sistematica delle norme in esame, puo' anche ritenersi che il soggetto attivo del delitto di abbandono ex articolo 591 c.p. possa essere accostato al soggetto attivo dei reati omissivi impropri di cui all'articolo 40 c.p., comma 2, con la possibilita' di richiamare anche qui quella interpretazione giurisprudenziale sulla nozione di "posizione di garanzia" formatasi negli ultimi anni e che individua tra le fonti della detta posizione anche il cd. "contatto sociale" (Cass., Sez. 4, 22 maggio 2007, n. 25527, Conzatti; Cass., Sez. 4, 5 aprile 2013, n. 50606, Manca)."). Cio' che, per la verita', la sentenza impugnata non ha chiarito in maniera adeguata ed esaustiva e' l'individuazione del contenuto del dovere di custodia in capo al (OMISSIS), non risultando affatto chiarito quale norma cautelare specifica riferita alla posizione di garanzia rivestita - egli abbia violato, ed in quali termini da tale violazione sia derivata una condizione di abbandono dell'anziana. Tale questione appare di rilievo decisivo, posto che nella presente sede non si discute della responsabilita' civile, ma della responsabilita' penale per un delitto punto a titolo di dolo. In ambito civile, infatti, le Sezioni Unite hanno chiarito come il complesso ed atipico rapporto che si instaura tra la casa di cura ed il paziente non si esaurisce nella mera fornitura di prestazioni di natura alberghiera, ma consiste nella messa a disposizione del personale medico ausiliario e di quello paramedico, nonche' nell'apprestamento dei medicinali e di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicanze, con conseguente, autonoma e diretta responsabilita' della casa di cura ove il danno subito dal paziente risulti causalmente riconducibile ad una inadempienza alle obbligazioni ad essa facenti carico (Sez. U, n. 9556 del 01/07/2002, Rv. 555494; in tal senso anche Sez. 3, n. 13066 del 14/07/2004, Rv. 574562, in cui si e' chiarito come il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura privata ha fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo, che puo' essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente, insorgono a carico della casa di cura, obblighi di vario tipo, come individuati dalle Sezioni Unite). In altri termini, la responsabilita' della casa di cura nei confronti del paziente ha natura contrattuale, e puo' conseguire, ai sensi dell'articolo 1218 c.c., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonche', ai sensi dell'articolo 1228 c.c., all'inadempimento della prestazione professionale svolta direttamente dal personale sanitario, quale ausiliario necessario, pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, sussistendo comunque un collegamento tra la prestazione effettuata e l'organizzazione aziendale. Inoltre, va ricordato che, del tutto pacificamente, in tema di accertamento del nesso causale nella responsabilita' civile, qualora l'evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile a una pluralita' di cause, i criteri che si applicano sono quelli della "probabilita' prevalente" e del "piu' probabile che non", sicche' il giudice di merito e' tenuto, dapprima, ad eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili, quindi analizzare le rimanenti ipotesi ritenute piu' probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo cosi' la veste di probabilita' prevalente (tra le piu' recenti: Cass. civ., Sez. 3, n. 25884 del 02/09/2022, Rv. 665948; Sez. 1, ordinanza n. 18584 del 30/06/2021, Rv. 661816). In sede penale, invece, si tratta di accertare la sussistenza di un reato e l'individuazione del suo autore, il che - ed appare veramente superfluo sottolinearlo - involge un accertamento che si fonda sul raggiungimento di una prova che consenta una condanna al di la' di ogni ragionevole dubbio. Nel caso in esame non vi e' dubbio che la sentenza impugnata abbia pacificamente dato atto delle soddisfacenti condizioni della struttura (pag. 15 della motivazione), alla luce del testimoniale, affermando, pero', che "l'abbandono in contestazione non inerisce alla trascuratezza igienica dei locali ne' si ipotizzano contestualmente ad esso maltrattamenti di alcun tipo. Del garbo e della disponibilita' nei confronti delle ospiti palesato dalla (OMISSIS) non vi e' motivo di dubitare ma tale atteggiamento non vale ad escludere il complessivo contesto di grave carenza organizzativa nel funzionamento della casa...", consistente nel fatto che la (OMISSIS) fosse l'unica persona a prendersi cura della sei anziane ricoverate, onere lavorativo gravosissimo, svolto senza alcuna interruzione. In sostanza, la Corte di merito ha posto a carico del (OMISSIS) la violazione di un obbligo di protezione di natura contrattuale, concretatosi nel mancato rispetto di una massima di esperienza, ossia quella secondo la quale l'assistenza fornita dalla sola (OMISSIS), nonostante la sua indiscussa professionalita', fosse insufficiente ed inadeguata. Quindi, al (OMISSIS) sarebbe ascrivibile non solo una condotta attiva - consistita nell'aver aderito alla richiesta di ricovero dell'anziana presso una struttura che egli sapeva carente - ma anche una condotta omissiva - consistente nel non aver posto rimedio a tali carenze. Specularmente, al figlio della anziana, (OMISSIS), sarebbe ascrivibile una condotta attiva - consistita nell'aver trasferito la madre in detta struttura, sottraendola al contesto cui ella era abituata - ed una condotta omissiva consistita nel non essersi preventivamente accertato delle condizioni assistenziali della struttura stessa. Anche a carico del (OMISSIS), quindi, la responsabilita' discenderebbe dalla violazione di un obbligo di assistenza e di cura discendente dal rapporto di filiazione, riconducibile, in concreto, alla medesima massima di esperienza applicata anche in riferimento al (OMISSIS). Cosi' inquadrata la questione che costituisce lo snodo centrale della contestazione, su tale aspetto occorre ricordare come, metodologicamente, il controllo della Cassazione sui vizi di motivazione della sentenza impugnata se non puo' estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza, puo', tuttavia, avere ad oggetto la verifica sul se la decisione abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sull'id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulta priva di una pur minima plausibilita' (Sez. 1, n. 16523 del 04/12/2020, dep. 30/04/2021, P.G. c. Romano Eric, Rv. 281385). Trattasi di un approdo ermeneutico risalente e consolidato, che trova, tra le altre, un autorevole precedente in Sez. 6, n. 31706 del 07/03/2003, P.G. in proc. Abbate ed altri, Rv. 228401, secondo cui "Il controllo della Corte di cassazione sui vizi di motivazione della sentenza di merito, sotto il profilo della manifesta illogicita', non puo' estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza del quale il giudice abbia fatto uso nella ricostruzione del fatto, purche' la valutazione delle risultanze processuali sia stata compiuta secondo corretti criteri di metodo e con l'osservanza dei canoni logici che presiedono alla forma del ragionamento, e la motivazione fornisca una spiegazione plausibile e logicamente corretta delle scelte operate. Ne consegue che la doglianza di illogicita' puo' essere proposta quando il ragionamento non si fondi realmente su una massima di esperienza (cioe' su un giudizio ipotetico a contenuto generale, indipendente dal caso concreto, fondato su ripetute esperienze ma autonomo da esse, e valevole per nuovi casi), e valorizzi piuttosto una congettura (cioe' una ipotesi non fondata sullo "id quod plerumque accidit", insuscettibile di verifica empirica), od anche una pretesa regola generale che risulti priva, pero', di qualunque e pur minima plausibilita'." (in senso conforme: Sez. 4, n. 8825 del 27/05/1993, P.M. in proc. Rech, Rv. 196428; Sez. 1, n. 329 del 22/10/1990, Grilli ed altri, Rv. 186149; Sez. 1, n. 9242 del 04/02/1988, Barbella, Rv. 179165). Il citato orientamento, quindi, non solo ascrive le massime di esperienza alle regulae juris che preesistono al giudizio, ma consente di differenziare tra massima di esperienza e mera congettura: nel primo caso il dato e' stato gia', o viene comunque, sottoposto a verifica empirica - il che consente il ricorso alla formula dell'id quod plerumque accidit -, mentre nel secondo caso tale verifica non vi e' stata, ed essa resta affidata ad un nuovo calcolo di possibilita', sicche' la congettura rimane insuscettibile di verifica empirica e quindi di dimostrazione. Tale impostazione, ovviamente, deve essere inquadrata nella struttura del giudizio che viene formulato a conclusione del processo penale, che non puo' mai essere di probabilita', ma di certezza. Nella vicenda in esame risulta del tutto pacifico che fino al momento del decesso della (OMISSIS) nessuna situazione critica si fosse verificata in relazione alle modalita' di assistenza alle altre anziane ricoverate, le cui condizioni di accudimento, al contrario, risultavano del tutto adeguate al loro rispettivo stato di salute, come dimostrato dall'istruttoria dibattimentale che, sul punto, ha escusso non solo i familiari delle altre ospiti, ma anche i medici e le assistenti sociali, non dipendenti della struttura, che ivi si recavano ad effettuare i controlli. Da cio' deriva un primo errore metodologico da parte della Corte di merito, consistente nell'aver ritenuto l'inadeguatezza della struttura unicamente sulla base dell'evento verificatosi, con evidente valutazione ex post, laddove, al contrario, tale valutazione avrebbe dovuto essere operata ex ante. La Corte di merito, in altri termini, avrebbe dovuto evidenziare specifiche circostanze, preesistenti all'aggravarsi delle condizioni della (OMISSIS), in se' idonee a delineare, con giudizio ex ante, carenze strutturali e/o assistenziali note al (OMISSIS) o, comunque, rientranti nella sua sfera di controllo e valutabili alla luce di una o piu' verificate massime di esperienza. In particolare, sarebbe stato necessario che la valutazione delle risultanze processuali fosse stata svolta in base ad un giudizio ipotetico a contenuto generale, indipendente dal caso concreto, fondato su ripetute esperienze autonome da esso e valevole per nuovi casi. Cio' a maggior ragione se - come dimostrato dalla difesa attraverso la produzione delle disposizioni normative vigenti presso la Regione Campania in tema di strutture assistenziali per persone non autosufficienti - il servizio presso tali strutture prevede l'assistenza di due operatori di primo livello ogni sedici persone non autosufficienti durante il giorno e di un operatore per il servizio notturno, risultando, quindi, evidente, come, in base ai criteri elaborati nello specifico settore, sulla scorta delle esperienze maturate, un'infermiera professionale ben poteva adeguatamente assistere sei persone anziane non autosufficienti, pur non disponendo, durante l'arco temporale di riferimento, di un assiduo aiuto. In tal senso, quindi, appare evidente come la Corte di merito abbia operato una confusione rilevante, in termini di inquadramento normativo e di conseguente svolgimento argomentativo, tra la nozione di massima di esperienza e quella di congettura, omettendo di chiarire sulla scorta di quale inferenza epistemologica si fosse pervenuti alla individuazione della massima di esperienza applicata nella specie. Perche' il giudizio di verosimiglianza conferisca al dato preso in esame il valore di prova, e', quindi, necessario che si possa escludere plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l'ipotesi all'apparenza piu' verosimile, laddove, in caso contrario, il dato rappresenta solo un criterio di plausibile valutazione, ma non un elemento di prova autosufficiente, risultando necessario che si possa escludere plausibilmente ogni alternativa spiegazione che invalidi l'ipotesi all'apparenza piu' verosimile; cio' in quanto il concetto di "probabilita' logica" esprime il concetto secondo cui la constatazione del regolare ripetersi di un fenomeno non ha significato solo sul terreno statistico, ma contribuisce ad alimentare l'affidamento sulla plausibilita' della generalizzazione desunta dalla osservazione dei casi passati (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261103; Sez. 6, n. 16532 del 13/02/2007, Cassandro, Rv. 237145; Sez. 1, n. 4652 del 21/10/2004, dep. 08/02/2005, P.G. in proc. Sala e altri, Rv. 230873; Sez. 6, n. 4668 del 28/03/1995 Layne ed altri, Rv. 201152). Non si comprende, quindi, sulla scorta di quale criterio di inferenza scientifica la sentenza impugnata abbia considerato massima di esperienza l'affermazione secondo cui una sola infermiera, di indiscusse capacita' professionali, non possa adeguatamente occuparsi, anche da sola e continuativamente, di un numero limitato di pazienti non autosufficienti e non richiedenti cure mediche specifiche e/o specialistiche, posto che sino al momento del decesso della (OMISSIS) non si era emersa alcuna problematica riferibile a tale modulo assistenziale. Sotto tale aspetto, infatti, non puo' non considerarsi come la (OMISSIS) fosse stata assistita, anche presso la propria abitazione, da una sola persona, (OMISSIS), che, peraltro, non aveva competenze specifiche. Presso la "(OMISSIS)", inoltre, non risultano emerse condizioni di degrado fisico cui era stata sottoposta la (OMISSIS), che, invece, era stata adeguatamente assistita in riferimento alle sue specifiche condizioni, fino al momento in cui si era verificata la mancata somministrazione di sufficienti liquidi, vicenda cronologicamente limitata ad un arco temporale di quarantotto ore precedenti al ricovero. In tal senso, quindi, si palesa anche il vizio di illogicita' della motivazione sotteso al ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, che, alla luce della emergenze probatorie evidenziate - con particolare riferimento sia alla mancanza di fatti pregressi che avessero evidenziato una inidoneita' e/o una carenza della scelta assistenziale praticata, sia quanto alla coerenza del modulo adottato ai parametri della normativa regionale di settore - non ha fornito una spiegazione plausibile e logicamente corretta delle scelte operate. La concreta condotta di abbandono di cui e' stata ritenuta responsabile (OMISSIS), in altri termini, non implica alcun automatismo in termini di disfunzioni organizzative ascrivibili al (OMISSIS) e, tantomeno, al (OMISSIS). In tal senso, infatti, la sentenza impugnata confonde, palesemente, il dato rappresentato dalla carenza di autorizzazione amministrativa della struttura, nonche' quello relativo alla situazione di non autosufficienza della (OMISSIS), con il diverso piano inerente alla indimostrata carenza strutturale ed organizzativa su cui avrebbe dovuto fondarsi la condotta consapevole e volontaria di abbandono penalmente rilevante. Cio', peraltro, senza porsi minimamente il dubbio un possibile inquadramento della vicenda in un'ottica colposa. 4. A tali considerazioni, inoltre, va aggiunto il rilievo concernente la totale carenza - non a caso - di un'adeguata motivazione circa l'indagine concernente il nesso di causalita' tra le condotte ascritte agli imputati e l'abbandono verificatosi, oltre che in relazione all'elemento soggettivo del reato, ossia al dolo. Prima ancora di analizzare le cause del decesso dell'anziana, la sentenza avrebbe dovuto chiaramente individuare la condotta di abbandono, causalmente rilevante, ascrivibile al (OMISSIS) ed al (OMISSIS), senza alcuna sovrapposizione della posizione di costoro con il profilo concernente la condotta di (OMISSIS). Nell'ottica di un delitto punibile a titolo di dolo, quale la fattispecie di cui all'articolo 591 c.p., l'evento deve essere preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione. La condizione di abbandono, quindi, prima ancora dell'evento morte, non puo' costituire un accadimento accidentale, ma una conseguenza che dipende dal consapevole attivarsi od omettere. Si deve, quindi, ribadire come il dolo del delitto in esame e' generico, potendo assumere la forma del dolo eventuale quando si accerti che l'agente, pur essendosi rappresentato, come conseguenza del proprio comportamento inerte, la concreta possibilita' del verificarsi di uno stato di abbandono del soggetto passivo, in grado di determinare un pericolo anche solo potenziale per la vita e l'incolumita' fisica di quest'ultimo, persista nella sua condotta omissiva, accettando il rischio che l'evento si verifichi (Sez. 5, n. 44657 del 21/10/2021, L., Rv. 282173; Sez. 5, n. 44013 del 11/05/2017, Hmaidan e altri, Rv. 271431). Nel delitto doloso cio' che va specificamente valorizzato e' l'aspetto della volonta', il che consente di ricomprendere in tale cornice ricostruttiva anche le situazioni in cui l'evento, senza essere intenzionalmente perseguito, venga posto in correlazione causale con la propria azione e, proprio per questa ragione, voluto - come conseguenza nel momento stesso in cui l'agente decide di porla in essere, conscio del risultato che ne puo' derivare. In tal modo appare possibile consentire, anche in riferimento al dolo eventuale, di cogliere in esso un atteggiamento psichico assimilabile a quello propriamente volontaristico. Inoltre, posto che la rilevanza penale della condotta attiva o omissiva discende dal costituire una condizione necessaria nella sequenza degli antecedenti che hanno determinato la produzione del risultato, senza la quale l'evento del reato non si sarebbe verificato, la sentenza impugnata appare manifestamente carente anche in relazione all'efficacia causale delle condotte ascritte agli imputati, dato che, seppure la massima di esperienza utilizzata fosse condivisibile - cosa che non e' -, cio' non avrebbe comunque consentito di dedurre automaticamente l'esistenza del nesso causale, poiche' il giudice di merito deve verificare la validita' della regola in riferimento al caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e delle evidenze disponibili, in modo che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresi' escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta degli imputati sia stata condizione necessaria dell'abbandono con alto o elevato grado di credibilita' razionale o probabilita' logica. L'insufficienza, la contraddittorieta' o l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio sulla reale efficacia condizionante della condotta, rispetto ad altri fattori interagenti, comportano, in definitiva, la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa, in quanto lo standard probatorio richiesto in riferimento alla sussistenza del nesso causale non segue un regime differente rispetto agli altri elementi costitutivi del reato. Sotto tale aspetto, quindi, appare il caso di richiamare quanto gia' affermato da questa Corte in tema di differenza tra il reato di maltrattamento e quello di abbandono di incapaci, laddove e' stato ricordato come le reiterate e gravi carenze di cure ed assistenza a persone anziane non autosufficienti, pur potendo configurare il reato di maltrattamenti, non integra di per se' il diverso reato di abbandono di incapaci, per la cui configurabilita' e' necessario l'accertamento di una condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia) da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumita' del soggetto passivo (Sez. 6, n. 12866 del 25/01/2018, M., Rv. 27273). Nell'esaminare tale specifica vicenda appare evidente, peraltro, come la Corte di merito abbia del tutto pretermesso di valutare il possibile inquadramento delle condotte in fattispecie colpose. Quanto al (OMISSIS), la motivazione della sentenza impugnata - e ancor piu' di quella di primo grado - appaiono evidentemente incentrate sulla negativa valutazione della condotta del predetto, che "non ebbe alcuna remora non solo a sradicare l'anziana dall'ambiente in cui viveva da sempre, ma a recidere drasticamente il suo consolidato rapporto con la badante che da tanti anni l'accudiva, non premurandosi neanche di avvertire quest'ultima che da un momento all'altro avrebbe perso il lavoro, facendole trovare al ritorno dalla spesa sinanche rimossi il letto ed il materasso su cui la madre dormiva e imponendole la pronta restituzione delle chiavi di casa. Neanche si premuro' di assicurare, per attutire il distacco che andava operando, che almeno per qualche giorno la (OMISSIS) continuasse ad incontrare la signora, tacendole sinanche l'indirizzo della casa di riposo ove veniva trasportata, alla quale la donna riusci' ad arrivare solo tramite le indicazioni telefoniche del figlio di (OMISSIS) per venirne poi praticamente cacciata visto che l'imputato aveva disposto che non fossero consentite visite di soggetti diversi dai parenti." Appare appena il caso di ricordare come ogni valutazione concernente la condotta umana da punto di vista etico non spetta ne' a questa Corte ne' ai giudici di merito che, al di la' delle affermazioni pur effettuate (pag. 26 della sentenza impugnata), non sembrano aver non solo adeguatamente affrontato le problematiche giuridiche sin qui esposte, ma non hanno neanche ritenuto di dare spazio alle argomentazioni difensive. In tal senso del tutto immotivato appare il diniego di acquisizione della documentazione richiesta dalla difesa del (OMISSIS); seppure, infatti, non appare illogico il rigetto, da parte della Corte territoriale, di rinnovare l'esame dei testi a cui la difesa aveva rinunciato in primo grado, del tutto privo di ogni aggancio motivazionale appare il diniego di acquisire la documentazione avente ad oggetto i lavori da eseguire all'interno dell'appartamento della (OMISSIS). Premesso, infatti, che trattasi di documenti, come tali acquisibili ai sensi dell'articolo 234 c.p.p. senza alcuna limitazione, la Corte di merito sicuramente avrebbe potuto approfondire la sussistenza di circostanze alla stregua delle quali considerare l'elemento soggettivo dell'imputato, salva, in concreto, ogni valutazione della irrilevanza della documentazione acquisita. Ed infatti, la decisione di (OMISSIS) di sistemare la madre presso una struttura, per quanto possa apparire umanamente non condivisibile o, addirittura riprovevole, alla luce delle condizioni di assistenza di cui godeva la (OMISSIS) presso la propria abitazione, non consente automaticamente di configurare a fattispecie di abbandono di incapaci, posto che nessun rilievo e' stato dato, ad esempio, all'eventuale aggravamento delle condizioni di salute della (OMISSIS) come conseguenza del trasferimento, circostanza che non appare affatto approfondita dall'istruttoria dibattimentale; ne', per la verita', appare presa in considerazione la possibilita' che il (OMISSIS) abbia agito in maniera imprudente o superficiale. In realta', dal punto di vista logico, prima ancora che giuridico, le sentenze di merito avrebbero dovuto individuare la condizione di abbandono specificamente verificatasi, ancor prima di approfondire la causa del decesso della (OMISSIS), posto che tale evento era, in ipotesi, scaturito dall'abbandono. Una volta individuata, con giudizio ex ante, la condizione di abbandono, sarebbe stato necessario verificare se ed in che misura la stessa fosse causalmente collegata alle condotte - attive e/o omissive - ascritte al (OMISSIS) ed al (OMISSIS), nelle loro rispettive posizioni di garanzia scaturenti dagli obblighi di custodia di cui erano titolari, passando, poi, a scandagliare in maniera adeguata la sussistenza dell'elemento soggettivo anche sotto l'aspetto di un rimprovero da inquadrare nella categoria della colpa. Al contrario, la Corte di merito, sulla base di un percorso metodologico del tutto carente ed illogico - basato su una indimostrata massima di esperienza - ha asserito la sussistenza di non meglio specificate violazioni di doveri di custodia, senza approfondire, se non attraverso affermazioni apodittiche, l'elemento soggettivo del delitto di abbandono di incapaci e la sussistenza del nesso di causalita' tra le condotte ascritte ad (OMISSIS) ed a (OMISSIS) e la verificazione della condizione di abbandono. In tal senso, quindi, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli che, nella piena liberta' della valutazione delle risultanze processuali, si atterra', nondimeno, ai principi di diritto sin qui illustrati. In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VERGA Giovanna - Presidente Dott. BORSELLINO Maria Daniela - Consigliere Dott. COSCIONI Giuseppe - Consigliere Dott. DI PISA Fabio - Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI CATANZARO; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); nel procedimento a carico di questi ultimi e di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 16/12/2021 della CORTE di APPELLO di CATANZARO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere SANDRA RECCHIONE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale BALDI FULVIO, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi proposti in relazione alle posizioni di (OMISSIS) e (OMISSIS) e l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata relativamente alla posizione di (OMISSIS) limitatamente al trattamento sanzionatorio, nonche' l'inammissibilita' dei ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS). L'Avv. (OMISSIS) e l'Avv. (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) chiedevano l'accoglimento del ricorso; L'Avv. (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) chiedeva raccoglimento del ricorso; L'Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS) chiedeva l'accoglimento del ricorso; L'Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS) chiedeva il rigetto del ricorso del procuratore generale e l'accoglimento di quello proposto nell'interesse di (OMISSIS). RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Catanzaro (a) confermava la condanna di (OMISSIS) per il reato di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e per tre condotte di detenzione di sostanza stupefacente di tipo marijuana e cocaina; (b) confermava la condanna di (OMISSIS) per il reato di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di sostanza stupefacente e per due condotte di detenzione a fini di spaccio di marijuana; (c) confermava la condanna di (OMISSIS) per il reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso e, segnatamente, alla cosca " (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS)", facente capo all'associazione mafiosa storica denominata âEuroËœndrangheta; (d) confermava la condanna di (OMISSIS) per detenzione e cessione di sostanza stupefacente di tipo marijuana, escludendo la circostanza aggravante della finalita' agevolativa; (e) assolveva (OMISSIS) dal reato di concorso esterno all'associazione mafiosa storica facente capo alla âEuroËœndrangheta denominata cosca " (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS)". 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS) che deduceva: 2.1. violazione di legge (Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74) e vizio di motivazione: il coinvolgimento in un solo reato fine non sarebbe sufficiente ad integrare l'elemento oggettivo della partecipazione al reato associativo; nel caso in esame sarebbe solo emerso che il ricorrente in un ristretto arco temporale, ed in due sole occasioni, aveva acquistato stupefacente, circostanza che sarebbe insufficiente per dimostrare la partecipazione; le condotte emerse sarebbero solo sintomatiche dello svolgimento occasionale di un'attivita' di spaccio, che non dimostrerebbe la partecipazione ad un gruppo criminale organizzato, condotta che implica un consapevole e volontario contributo alla realizzazione degli scopi della consorteria; 2.2. violazione di legge (Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73) e vizio di motivazione in ordine due episodi di spaccio contestati ai capi 47) e 100): la responsabilita' sarebbe stata ritenuta sulla base di contenuti probatori ricavati dalle intercettazioni, senza che fosse stata identificata la natura e la qualita' della sostanza stupefacente; a cio' si aggiungeva che gli operatori di polizia giudiziaria presenti allo scambio contestato al capo 100) non erano intervenuti per arrestare ricorrente nella flagranza di reato, il che faceva sorgere dei dubbi in ordine all'evidenza della illiceita' della transazione. 3.Ricorreva per cassazione il difensore di (OMISSIS) che deduceva: 3.1. Violazione di legge (articolo 416-bis c.p.) e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza della responsabilita' del (OMISSIS) per la partecipazione al reato di associazione mafiosa: la responsabilita' sarebbe stata desunta senza che fosse provata la consapevolezza del ricorrente in ordine alla partecipazione alle attivita' della cosca; inoltre si riscontrerebbe un deficit motivazionale in ordine alla rilevanza della condotta contestata, che avrebbe dovuto essere inquadrata quale mero concorso di persone; la motivazione non darebbe conto della ragione per la quale le condotte contestate al ricorrente sarebbero state agite a vantaggio dell'associazione e non in proprio. Contrariamente a quanto ritenuto, dal compendio probatorio raccolto emergerebbe che il ricorrente avrebbe avuto rapporti rilevanti solo con (OMISSIS). In sintesi, si deduceva che la episodicita' dei suoi apporti, l'assenza di condivisione degli scopi associativi, e la totale assenza di affectio societatis e, quindi, di una messa a disposizione incondizionata, impediva di ritenere integrata la responsabilita' per il reato contestato. 3.2. Vizio di motivazione in ordine all'identificazione del ricorrente come uno degli interlocutori delle conversazioni intercettate poste alla base dell'affermazione di responsabilita'; 3.3. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla identificazione della natura esplodente della polvere pirica in ipotesi trasportata dal (OMISSIS): mancherebbe ogni accertamento e, dunque, ogni valutazione in ordine alla micidialita' dell'esplosivo; 3.4. violazione di legge (articoli 69 e 133 c.p.) e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della "prevalenza" delle circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti: mancherebbe la valutazione del ruolo marginale del ricorrente e delle complessive modalita' della condotta che avrebbe dovuto condurre alla invocata mitigazione della pena. 4. Ricorreva per cassazione il difensore di (OMISSIS) che deduceva: 4.1. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilita' per la partecipazione alla associazione prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74: mancherebbe la prova della partecipazione del ricorrente all'associazione contestata, in quanto dagli elementi raccolti non emergerebbe alcuna indicazione in ordine all'inserimento dello stesso nella struttura associativa, ne' alcuna prova della affectio societatis; non sarebbe stato considerato che nessun collaboratore di giustizia aveva indicato il ricorrente quale partecipe e che la polizia giudiziaria non aveva segnalato frequentazioni tra (OMISSIS) e le persone che facevano parte del consorzio criminale. A cio' si aggiungeva che (OMISSIS) era stato vittima di numerosi atti intimidatori e che dagli atti relativi al procedimento penale denominato "(OMISSIS)" emergerebbe che lo stesso aveva acquistato sostanza stupefacente dai Giampa', gruppo criminale contrapposto alla cosca " (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS)"; 4.2. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata qualificazione della condotta associativa nella fattispecie prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, si deduceva che l'impegno nelle attivita' di spaccio, non fosse occasionale non era incompatibile con l'inquadramento invocato e che si trattava infatti di un'organizzazione dedita allo spaccio minuto, che avveniva "su strada", in una zona territoriale circoscritta. 4.3. Violazione di legge (Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73) e vizio di motivazione in relazione ai singoli episodi di spaccio: si tratterebbe di accertamenti fondati sul contenuto di conversazioni che, invero, sarebbero criptici, e mancherebbe qualunque riscontro oggettivo. Dalla lettura delle conversazioni valorizzate dalla sentenza impugnata l'unico elemento da cui i giudici avevano desunto la responsabilita' di (OMISSIS) sarebbe il fatto che (OMISSIS) e (OMISSIS) si erano recati presso il bar gestito dal ricorrente: detta circostanza, in assenza di altri elementi, sarebbe insufficiente per provare la responsabilita'; le stesse argomentazioni valevano anche per il capo 611), tenuto conto che dalle conversazioni traspariva che il soggetto indicato con il nome di " (OMISSIS)" poteva identificarsi con una persona diversa dal ricorrente e che la stessa localizzazione tramite GPS non era certa. In conclusione si deduceva che quand'anche il "bar del vino" fosse il luogo in cui si recavano i soggetti dediti all'attivita' di spaccio, non per questo il ricorrente poteva essere ritenuto responsabile di ogni attivita' illecita svolta in tale luogo. 4.4.Violazione di legge (articolo 62-bis c.p.) e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche: il trattamento sanzionatorio sarebbe eccessivo rispetto alle concrete modalita' della condotta anche con riferimento ai criteri indicati dall'articolo 133 c.p.. 5.Ricorreva per cassazione anche il difensore di (OMISSIS) che deduceva: 5.1. violazione di legge (articolo 15 c.p.) e vizio di motivazione in ordine al mancato assorbimento della condotta descritta nel capo 547) in quella descritta nel capo 550); si deduceva che gli elementi di prova raccolti indicavano che la ricorrente aveva avuto in custodia un' "unica fornitura" di sostanza stupefacente, che poi aveva consegnato al (OMISSIS) in occasioni diverse; si deduceva che le ragioni che la Corte di appello aveva posto alla base dell'assorbimento del reato di cui all'articolo 549) in quello indicato nel capo 550) avrebbero dovuto sostenere anche l'assorbimento - illegittimamente denegato della condotta indicata nel capo 547) in quella descritta nel capo 550): mancherebbe infatti la prova della sussistenza di una diversa fornitura di stupefacente, che avrebbe potuto giustificare la scelta della Corte territoriale di denegare l'assorbimento. 5.2.violazione di legge (articolo 649 c.p.) e vizio di motivazione in ordine alla violazione del divieto di ne bis in idem: la stessa condotta per cui si procede, in relazione alla quale la richiesta di rinvio a giudizio era stata proposta dalla Direzione distrettuale di Catanzaro (in ragione della contestazione dell'aggravante prevista dal Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7) sarebbe stato oggetto di un ulteriore processo avviato dalla Procura "ordinaria" presso il Tribunale di Lamezia Terme: si trattava di due processi davanti allo stesso Tribunale, nei confronti della stessa imputata, per lo stesso fatto storico; il procedimento 2013/2016 RGNR - tutt'ora pendente- sarebbe quello in cui si sarebbe stata esercitata per la prima volta l'azione penale, sicche' la Corte di appello avrebbe dovuto dichiarare l'improcedibilita' per il fatto contestato nel presente procedimento, nulla rilevando che lo stesso fosse giunto in sede di legittimita'. 6. Ricorreva il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro, che impugnava la sentenza nella parte in cui aveva assolto (OMISSIS) che deduceva: 6.1. Violazione di legge (articolo 521 c.p.p.) e vizio di motivazione in ordine al mancato inquadramento della condotta contestata nella fattispecie prevista dall'articolo 416-ter c.p.: si allegava a sostegno del riconoscimento dell'illegittimita' dell'omessa riqualificazione della condotta contestata che (OMISSIS) - concorrente di (OMISSIS) - era stato condannato nel procedimento "parallelo", celebratosi con il rito abbreviato proprio per il reato previsto dall'articolo 416-ter c.p. e che il percorso motivazionale tracciato dalla sentenza impugnata pur riconoscendo esplicitamente l'accordo politico-mafioso tra (OMISSIS) e la cosca " (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS) non effettuava la doverosa riqualificazione (si citavano a riguardo i passaggi motivazionali rinvenibili alle pagg. 179 e 180 della sentenza impugnata). 6.2. Violazione di legge (articoli 110 e 416-bis c.p.) e vizio di motivazione in ordine alla mancata identificazione del contributo causale di (OMISSIS) all'associazione mafiosa di riferimento: contrariamente a quanto ritenuto, l'impegno preso da (OMISSIS) con la consorteria avrebbe prodotto un aumento di prestigio della stessa, attraverso la predisposizione di un sicuro punto di riferimento nell'amministrazione pubblica locale. Si deduceva che dal percorso motivazionale tracciato dalle due sentenze emergeva la concretezza e serieta' dell'impegno assunto da (OMISSIS), che contraddiceva la valutazione in ordine alla "carenza di specificita'" dell'impegno assunto a favore del clan. Si allegava che le prove raccolte indicavano che (OMISSIS) si era reso disponibile a favorire la cosca in diverse occasioni (si citava, al riguardo, l'intervento a favore di (OMISSIS)). In conclusione si riteneva che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di appello, le prove raccolte indicassero che la condotta del (OMISSIS) integrasse un effettivo e concreto rafforzamento del potere criminale della cosca " (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS)", della quale invece si alimentava immediatamente il prestigio e, in proiezione, il potere, visto che (OMISSIS) costituiva per il clan un sicuro punto di riferimento all'interno della pubblica amministrazione locale. 7.Con memoria depositata il 14 gennaio 2023 il difensore di (OMISSIS) instava per il rigetto del ricorso del pubblico ministero tenuto conto del fatto che il ricorrente non indicava illogicita' manifeste ma si limitava a "preferire" l'interpretazione offerta dal Tribunale. 8. L'Avv. (OMISSIS) depositava conclusioni scritte e nota spese per la parte civile Comune di Lamezia Terme. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 1.1. Il primo motivo di ricorso, che contesta la conferma della condanna per il reato previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 non e' consentito, in quanto si risolve nella richiesta di rivalutare la capacita' dimostrativa delle prove, attivita' esclusa dal perimetro che circoscrive la competenza del Giudice di legittimita'. In materia di estensione dei poteri della Cassazione in ordine alla valutazione della legittimita' della motivazione il collegio riafferma che la Corte di legittimita' non puo' effettuare alcuna valutazione di "merito" in ordine alla capacita' dimostrativa delle prove, o degli indizi raccolti, dato che il suo compito e' limitato alla valutazione della tenuta logica del percorso argomentativo e della sua aderenza alle fonti di prova che, ove si ritenessero travisate devono essere allegate - o indicate - in ossequio al principio di autosufficienza (tra le altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965). 1.1.1.Si premette che il collegio condivide la giurisprudenza secondo cui in tema di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione al sodalizio, ed in particolare dell'affectio di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che puo' essere anche breve, purche' dagli elementi acquisiti possa inferirsi l'esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benche' per un periodo di tempo limitato (Sez. 6, n. 42937 del 23/09/2021 Sermone, Rv. 282122 - 01; Sez. 4, Sentenza n. 50570 del 26/11/2019, Amarante, Rv. 278440). 1.1.2.Nel caso in esame, in coerenza con tali indicazioni ermeneutiche, emergeva che (OMISSIS) si serviva di diverse persone per riscuotere i proventi dello spaccio, persone dalle quali, tuttavia, non si faceva coadiuvare quando doveva rifornirsi di stupefacente; infatti in occasione dell'acquisto di stupefacente da (OMISSIS), (OMISSIS) si era fatto accompagnare da persone veramente fidate, con le quali aveva organizzato l'approvvigionamento di un quantitativo elevato di sostanza, tenuto conto delle esigenze del circoscritto territorio nel quale operava l'associazione. Secondo la Corte di appello la partecipazione di (OMISSIS) all'approvvigionamento risulta indicativa della fiducia in lui riposta da (OMISSIS) e della condivisione di un programma comune, oltre che del suo coinvolgimento nelle piu' rilevanti dinamiche operative del gruppo criminale; il contributo del ricorrente riguardava, infatti, una attivita' essenziale per la vita dell'associazione ovvero quella dell'acquisto di una consistente partita di droga da distribuire agli spacciatori. A fronte di tale elemento appariva recessivo il dato dell'arco temporale non esteso in cui erano state intercettate le conversazioni durante le quali gli interlocutori avevano fatto riferimento al (OMISSIS) (pag. 109 della sentenza impugnata). Si tratta di una motivazione priva di vizi logici ed aderente alle emergenze processuali che si sottrae ad ogni censura in questa sede. 1.2. Anche il secondo motivo non supera la soglia di ammissibilita' in quanto si risolve nella richiesta di rivalutare la capacita' dimostrativa delle prove. Invero dal compendio motivazionale integrato emergente dalle due sentenze di merito non emergono criticita' logiche in ordine all'accertamento di responsabilita' per i capi 47) e 100) dato che la condotta illecita emergeva con chiarezza dal contenuto delle conversazioni e dai servizi di osservazione effettuati dalla polizia giudiziaria (pagg. 99-103 della sentenza impugnata). La sostanza ceduta veniva pacificamente indentificata nella marijuana, ovvero nella droga leggera cui e' riservato un trattamento sanzionatorio favorevole: la sentenza impugnata non si presta ad alcuna censura in questa sede, tenuto conto della consistenza del ricorso che si limita a reiterare le doglianze proposte con la prima impugnazione, senza identificare eventuali illogicita' manifeste e decisive del percorso motivazionale tracciato dalla sentenza di appello. Il collegio ribadisce infatti che il collegio ribadisce che e' inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli gia' dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019 Bourtatour, Rv. 277710; Sez. 6, n. 20377 dell'11/03/2009, Arnone, Rv. 243838; Sez. 6 n. 12 del 29/10/1996, dep. 1997, Del Vecchio, Rv. 206507); 2. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 2.1. Il primo motivo che contesta la legittimita' della conferma di responsabilita' in relazione al reato di associazione mafiosa non supera la soglia di ammissibilita' in quanto si risolve nella richiesta di rivalutazione della capacita' dimostrativa delle prove (cfr. giurisprudenza citata sub § 1.1). Contrariamente a quanto dedotto, la Corte territoriale offriva una esaustiva e completa motivazione in ordine alla conferma di responsabilita' per la partecipazione del ricorrente all'associazione mafiosa contestata. Venivano ritenuti indicativi della partecipazione di (OMISSIS) al consorzio criminale sia il suo impegno nel trasporto degli esplosivi, sia il fatto che il reggente della cosca si era impegnato a mandare del denaro al ricorrente in occasione del suo arresto. A cio' si aggiungeva che (OMISSIS), secondo quanto emergeva dalle conversazioni intercettate, in data 17 settembre 2016 si era recato insieme a (OMISSIS) a riscuotere da (OMISSIS) il denaro provento del traffico di sostanze stupefacenti: la Corte rilevava che, anche se dalle intercettazioni emergeva che (OMISSIS) aveva dialogato solo con (OMISSIS), la presenza di (OMISSIS) non appariva un dato neutro. Infatti, poco dopo avere ricevuto il denaro, sia (OMISSIS) che (OMISSIS), lo contavano e, constatando un'eccedenza, decidevano di riferirne a (OMISSIS); il che rendeva evidente che anche questa attivita' era funzionale agli scopi del sodalizio. La Corte di merito, con motivazione ineccepibile, rilevava che tutte le circostanze accertate erano univocamente indicative della partecipazione del ricorrente all'associazione, nulla rilevando l'arco temporale limitato durante il quale erano state captate le conversazioni. Quanto al contestato elemento psicologico, la Corte rilevava che lo stesso si ricavava dalla emersione di un'attivita' di sostegno al capo, sia nel riscuotere i proventi di droga, sia nel recarsi a Napoli per reperire gli ordigni esplosivi; a cio' si aggiungeva l'emersione dell'impegno manifestato da (OMISSIS) per assicurare la predisposizione di un fondo cassa per l'eventualita' in cui i componenti del sodalizio fossero stati tratti in arresto: si tratta - come correttamente rilevato dalla Corte territoriale - di elementi univocamente indicativi della responsabilita' del ricorrente per il reato contestato (pagg. 151- 153 della sentenza impugnata). 2.2.11 secondo motivo di ricorso che contesta la logicita' della motivazione relativa all'identificazione della voce registrata nelle conversazioni intercettate in quella di (OMISSIS) e' manifestamente infondato: la Corte di appello, con motivazione ineccepibile, rilevava come tale identificazione derivasse dal fatto che in diverse conversazioni il ricorrente era stato indicato con il nome di " (OMISSIS)"; (OMISSIS) veniva poi tratto in arresto il 26 settembre del 2016 ed in tale occasione gli agenti di polizia giudiziaria che avevano effettuato le indagini riconoscevano la voce dello stesso proprio in quella del " (OMISSIS)" emergente dalle intercettazione, sicche' nessun dubbio poteva esservi in ordine al riconoscimento vocale (pag. 147 della motivazione contestata). 2.3. Nessuna censura puo' infine rivolgersi nei confronti della identificazione della natura esplodente della polvere pirica trasportata dal ricorrente. La Corte, con motivazione logica ed aderente alle emergenze processuali, rilevava come quanto riferito dai testi di polizia giudiziaria - che avevano constatato direttamente al momento della perquisizione la natura della sostanza trasportata - non poteva essere smentito sostenendo che non era stata effettuata una perizia. La censura, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, si risolve nella contestazione della credibilita' della testimonianza degli agenti di polizia giudiziaria non sostenuta da dati idonei a supportare l'assunto. 2.4 Infine anche le doglianze relative alla legittimita' del bilanciamento tra circostanze eterogenee sono manifestamente infondate. La Corte territoriale riconoscendo il ruolo di "manovalanza" del ricorrente concedeva le circostanze attenuanti bilanciandole in equivalenza con la aggravante dell'associazione armata: si tratta di una valutazione equitativa che si sottrae ad ogni censura in questa sede in quanto coerente con le indicazioni fornite dalla Corte di legittimita' in ordine all'utilizzo del potere discrezionale del giudice di merito nel definire il trattamento sanzionatorio. Si ribadisce sul punto che il giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti costituisce esercizio del potere valutativo riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimita', ove congruamente motivato alla stregua anche solo di alcuni dei parametri previsti dall'articolo 133 c.p., senza che occorra un'analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838; Conf. n. 10379/1990, Rv. 184914; n. 3163/1988, Rv. 180654). 3. Il Ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 3.1. Il primo motivo di ricorso, che contesta la motivazione in ordine la conferma della responsabilita' per la partecipazione all'associazione prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 non e' consentito, in quanto si risolve nella richiesta di rivalutazione della capacita' dimoostrativa delle prove raccolte, attivita' esclusa dal perimetro che circoscrive la competenza del giudice di legittimita' (cfr: giurisprudenza citata al § 1.1). Contrariamente a quanto dedotto - con doglianze, in larga misura, reiterative rispetto a quelle proposte con la prima impugnazione-, la Corte d'appello rilevava che l'insieme delle circostanze accertate consentiva di ritenere (OMISSIS) fosse sicuramente partecipe dell'associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. La Corte di merito valorizzava, al riguardo, le prove che indicavano che (OMISSIS) aveva costantemente operato per conto del sodalizio provvedendo a smerciare quantitativi molto elevati di droga e si era relazionato non solo con (OMISSIS), capo dell'associazione, ma anche con tutte le persone che, per conto dello stesso, si occupavano di riscuotere i considerevoli proventi dello spaccio e veicolavano a (OMISSIS) anche le richieste di fornitura ulteriore di droga: tale molteplicita' di contatti, secondo la Corte territoriale, era un indicatore evidente del fatto che il ricorrente fosse perfettamente consapevole di operare per conto di un sodalizio organizzato al quale prestava il proprio contributo. Inoltre la Corte d'appello prendeva in analitica considerazione anche le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia ritenendo che le stesse confermassero, piuttosto che smentire, la partecipazione contestata (pag. 80 della sentenza impugnata). Per quanto riguarda l'ipotetica affiliazione del ricorrente ad altro clan - il sodalizio facente capo ai (OMISSIS) - la Corte territoriale rilevava come quanto emerso dal dialogo tra (OMISSIS) e Vescio, intercettato il 12 ottobre 2016 confermasse il costante impegno di (OMISSIS) per il sodalizio a lui contestato (pag. 81 della sentenza impugnata). Si tratta di valutazioni effettuate attraverso l'esame accurato delle prove raccolte, che si risolve nella conferma delle analoghe valutazioni effettuate dal primo giudice e che non presenta alcuna frattura logica o incoerenza qualificabile come travisamento: la motivazione contestata si sottrae pertanto ad ogni censura in questa sede. 3.2. Il secondo motivo di ricorso, che reitera la doglianza relativa al mancato inquadramento dell'associazione contestata nella fattispecie prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, e' manifestamente infondata, in quanto non si confronta con la motivazione della Corte d'appello secondo cui tale invocata riqualifica era incompatibile con le elevate quantita' di stupefacente movimentato (pag. 80 della sentenza impugnata). Si tratta di una motivazione coerente con la consolidata e condivisa giurisprudenza secondo cui, la fattispecie associativa prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74, comma 6, e' configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entita', predisponendo modalita' strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravita' e che, in concreto, l'attivita' associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, (tra le altre: Sez. 6, n. 1642 del 09/10/2019, dep. 2020, Degli Angioli, Rv. 278098 - 01). Nel caso in esame non si rinviene nessuno degli indici che consentirebbero l'invocato - piu' favorevole - inquadramento. 3.3. Le censure proposte nei confronti della conferma della responsabilita' per i singoli episodi di spaccio non superano soglia di ammissibilita', in quanto si risolvono, ancora una volta, nella richiesta di rivalutazione della capacita' dimostrativa delle prove e non individuano fratture logiche manifeste e decisive del percorso motivazionale posto a sostegno della decisione. Segnatamente la Corte d'appello, con riguardo al capo 603), con motivazione ineccepibile, rilevava come dai dialoghi intercettati emergesse chiaramente che (OMISSIS) fosse debitore nei confronti di (OMISSIS) di tremila Euro per una precedente fornitura di sostanza stupefacente e che, nonostante cio', (OMISSIS) gli avesse consegnato ulteriore sostanza del valore di millecinquecento Euro. Del pari, dai dialoghi relativi al capo 611) emergeva come (OMISSIS) avesse consegnato a (OMISSIS) quattrocento Euro per una fornitura di droga (che rappresentava solo una parte del debito) e come (OMISSIS) gli avesse fornito quantitativi di sostanza da quali ricavava - mediamente - dai mille ai duemila Euro ogni sera: si tratta di prove che documentavano univocamente sia l'elevata diffusione della droga gestita dai sodali, sia il fatto che si trattasse di quantitativi elevati di sostanza (pag. 62 della sentenza impugnata). Infine, con riguardo al capo 656), relativo allo spaccio di sostanza stupefacente di tipo cocaina, la Corte territoriale offriva - ancora una volta - una motivazione ineccepibile effettuando un'accurata analisi delle prove e, segnatamente, dei decisivi esiti dell'attivita' di perquisizione, che aveva condotto al sequestro della sostanza contestata. La Corte rilevava che il considerevole dato ponderale - pari a 341,9 grammi di cocaina - non necessitava di perizia volta ad accertare il grado di purezza della sostanza, tenuto conto trattandosi di una quantita' sicuramente eccedente quella di un fabbisogno personale. Emergeva dunque che il "bar del vino" gestito dal ricorrente fosse un sicuro punto di riferimento per lo spaccio della sostanza (pag. 67 della sentenza impugnata). La motivazione contestata, logica ed aderente alle emergenze processuali, non si presta ad alcuna censura in questa sede. 3.4. Infine non possono essere accolte le doglianze proposte con l'ultimo motivo di ricorso nei confronti della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche in regime di "prevalenza". Si' richiama al riguardo la giurisprudenza indicata sub § 2.4. In coerenza con tali indicazioni ermeneutiche la Corte di appello limitava il bilanciamento alla sola "equivalenza" il ragione dell'apporto fornito all'associazione da (OMISSIS) che, con la costante attivita' di spaccio presso il "Bar del vino" luogo privilegiato per lo smercio, aveva consentito di accrescere in modo considerevole i guadagni del sodalizio (pag. 207 della sentenza impugnata). Si tratta di una motivazione priva di fratture logiche aderenti con le emergenze processuali che si sottrae ad ogni censura in questa sede. 4. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' fondato. 4.1. E' fondato il primo motivo nella parte in cui lamenta la carenza di motivazione circa la "rilevanza" della mancata emersione di episodi di spaccio attribuibili ad (OMISSIS) nel periodo intercorrente tra la cessione indicata nel capo 547), risalente al 20 novembre 2016, e la detenzione contestata al capo 550), accertata il 24 dicembre 2016 nel corso di una perquisizione. Invero il Tribunale aveva gia' ritenuto assorbita nella detenzione contestata al capo 550) il reato ascritto al capo 548) provato - quest'ultimo - sulla scorta di una conversazione intercettata il 19/12/2016 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) durante la quale quest'ultimo asseriva che a casa della ricorrente nascondeva 600 grammi di sostanza stupefacente. La Corte d'appello aveva esteso l'assorbimento anche all'episodio contestato al capo 549) risalente al 23 dicembre 2026, in quanto prossimo alla data della perquisizione, ma non quello contestato al capo 547): la Corte riteneva che poiche' tale ultima condotta risaliva ad un mese prima della perquisizione, tale lasso temporale, unitamente al dimostrato costante impegno di (OMISSIS) nello spaccio, impedisse di ritenere che la sostanza indicata nel capo 547) fosse la stessa rinvenuta nel corso della perquisizione che aveva condotto alla contestazione del capo 550). Tale motivazione risulta carente in quanto pone a sostegno del mancato assorbimento elementi indiziari e non si confronta ne' con la rilevante circostanza, allegata dalla difesa, che nel periodo intercorrente tra il 20 novembre 2016 e la data della perquisizione non si registravano episodi di spaccio; ne' con il contenuto della conversazione intercettata il 19 dicembre 2019 durante la quale (OMISSIS) il 19 dicembre 2016 affermava di avere consegnato lo stupefacente alla ricorrente per custodirlo, senza ulteriori specificazioni temporali o quantitative. La Corte di appello in sede di annullamento con rinvio dovra' rivalutare tali circostanze unicamente alle altre prove disponibili per verificare se l'episodio la condotta contestata al capo 547) possa essere ritenuta assorbito in quella contestata al capo 550). 4.2. E' fondato anche il secondo motivo di ricorso, che contesta la violazione del divieto del ne bis in idem in relazione alla condotta contestata al capo 550), ovvero la detenzione di 667 grammi di marijuana rinvenuti in seguito alla perquisizione avvenuta il 24 dicembre 2016. Il ricorrente contesta che l'azione penale e' stata avviata due volte per lo stesso fatto: una prima dalla Procura ordinaria di Lamezia Terme in occasione dell'arresto della ricorrente all'esisto del rinvenimento dei 667 grammi di marijuana ed il secondo, avviato dalla Procura distrettuale di Catanzaro, per il medesimo fatto aggravato dal Decreto Legge n. 152 del 1991, allora vigente articolo 7. 4.2.1. Il collegio ribadisce che per verificare l'idem factum alla luce dei principi espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 200 del 2016 e' necessario che l'autorita' giudiziaria confronti i fatti contestati "sulla base della triade condotta - nesso causale - evento naturalistico": solo la coincidenza di questi elementi consente di affermare che si procede per fatti identici (Corte cost. n. 200 del 2016). Con specifico riferimento al tema oggetto del procedimento, ovvero l'avvio di due procedimenti diversi per fatti identici, ma diversamente circostanziati la Cassazione ha affermato, con giurisprudenza che si condivide, che l'operativita' del divieto di un secondo giudizio, previsto dall'articolo 649 c.p.p., non e' preclusa dalla configurazione di circostanze aggravanti non costituenti oggetto del precedente processo, in quanto la valutazione sull'identita' del fatto deve essere compiuta unicamente con riferimento all'elemento materiale del reato nelle sue componenti essenziali relative alla condotta, all'evento e al relativo nesso causale (tra le altre: Sez. 1, n. 42630 del 27/04/2022, Piccolomo, Rv. 283687 - 01). La ratio del divieto sta nella illegittimita' della "persecuzione" di un presunto autore di reato piu' volte per lo stesso fatto. Il divieto, secondo l'attuale quadro normativo e giurisprudenziale, e' operativo ogni volta che sia stata esercitata l'azione penale. In via preliminare il collegio rileva che la Cassazione ha esteso anche ai casi di litispendenza l'ambito di applicazione del divieto di secondo giudizio espressamente previsto dall'articolo 649 c.p. in relazione alle condotte "giudicate" con sentenza irrevocabile. E' stato infatti autorevolmente affermato che non puo' essere nuovamente promossa l'azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo gia' sia pendente (anche se in fase o grado diversi) nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del pubblico ministero, di talche' nel procedimento eventualmente duplicato dev'essere disposta l'archiviazione oppure, se l'azione sia stata esercitata, dev'essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilita'. La non procedibilita' consegue alla preclusione determinata dalla consumazione del potere gia' esercitato dal pubblico ministero, ma riguarda solo le situazioni di litispendenza relative a procedimenti pendenti avanti a giudici egualmente competenti e non produttive di una stasi del rapporto processuale, come tali non regolate dalle disposizioni sui conflitti positivi di competenza, che restano invece applicabili alle ipotesi di duplicazione del processo innanzi a giudici di diverse sedi giudiziarie, uno dei quali e' incompetente (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, Donati, Rv. 231800). Il fatto che l'operativita' del principio rilevi anche quando l'idem factum sia oggetto anche in procedimenti avviati, ma non conclusi con sentenza passata in giudicato, si ricava in modo chiaro dalle fonti sovranazionali e, segnatamente dalla formulazione letterale dell'articolo 7 del prot. 4 allegato alla Convenzione Edu e dall'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea che sanciscono il diritto fondamentale della persona a non essere "perseguito", oltre che "condannato", due volte per lo stesso fatto. Il divieto del ne bis in idem, che trova un preciso correlato codicistico nell'articolo 649 c.p.p. ha - dunque - una matrice costituzionale: lo stesso e' infatti tutelato da norme di rango sovralegislativo e, segnatamente, dall'articolo 4 del prot. 7 della Convenzione Edu e dall'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, ovvero da norme sovranazionali che attraverso la "finestra" dell'articolo 117 della Carta fondamentale entrano nel nostro sistema con rango superiore alla legge, contribuendo ad individuare i parametri di legalita' costituzionale il cui rispetto e' sottoposto al controllo officioso e diffuso del giudice comune (Sez. 2, n. 35126 del 21/05/2019, Ungaro, R v. 277071). La natura generale e sovraordinata del divieto consente di ritenere che la preclusione sia operativa anche se la anomalia non venga sollevata attraverso il conflitto di competenza previsto dall'articolo 28 c.p.p., rimedio adatto a risolvere dubbi sulla esatta identificazione del giudice competente, ma non a tutelare l'imputato dall'esercizio illegittimo di una "nuova azione penale" per il medesimo fatto (contra: Sez. 5, n. 10037 del 19/01/2017, Catapano, Rv. 269422). Deve cioe' ritenersi che, quando non vi sia dubbio sulle regole che governano la competenza, ma si verta in un caso di duplicazione dell'azione penale, sia operativa la preclusione del ne bis in idem, che le Sezioni unite, riconoscendo la natura "generale" del principio hanno esteso anche ai casi in cui non via alcuna sentenza irrevocabile, ma via sia una mera situazione di litispendenza. E' incontestato che nel caso di duplicazione dell'azione penale la preclusione deve essere dichiarata nel procedimento iniziato per secondo, nulla rilevando la fase processuale in cui gli stessi si trovano quando viene eccepita la preclusione. Nel caso in esame i due procedimenti venivano avviati da due articolazioni dell'ufficio di procura - quello presso il tribunale di Lamezia Terme per il fatto non aggravato e quello distrettuale di Catanzaro per il fatto aggravato dal Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7. Dirimente per l'applicazione della preclusione processuale e' le rilevazione dell'idem factum, che con giurisprudenza che si condivide riguarda anche i fatti "diversamente circostanziati". Si e' infatti affermato che qualora vengano instaurati due diversi procedimenti penali riguardanti il medesimo fatto storico, inibisce la procedibilita' del procedimento duplicato l'avvenuto esercizio dell'azione penale nell'altro procedimento, dovendosi disporre, in tal caso, l'archiviazione di quello per il quale la stessa non sia stata esercitata, mentre, ove l'azione penale sia stata promossa in entrambi, dovra' pronunciarsi sentenza di non doversi procedere ai sensi dell'articolo 649 c.p.p. per quello dei procedimenti nel quale il suo esercizio sia stato successivo (Sez. 5, n. 17252 del 20/02/2020, C., Rv. 279113 - 01). 4.2.2.Nel caso in esame si e' proceduto due volte per la condotta di detenzione di 667 grammi di marijuana investendo il giudice monocratico per il fatto non aggravato e quello collegiale per il fatto aggravato. Sul punto la sentenza deve essere annullata con rinvio: la Corte di appello verifichera' quale dei due procedimenti e' stato avviato per primo, verifica da effettuare in relazione alla data in cui e' stata esercitata l'azione penale e, nel caso in cui rilevi la "attuale pendenza" di un procedimento per la detenzione dei di 667 grammi di marijuana risalente al 24 dicembre 2016 che sia stato avviato in epoca anteriore a quello che ci occupa dichiarera' l'improcedibilita' ai sensi dell'articolo 649 c.p.p.. 5. Il ricorso proposto dal Procuratore generale di Catanzaro nei confronti della parte della sentenza che assolve (OMISSIS) e' fondato. La Corte di appello, come rilevato dal ricorrente offriva una motivazione carente ed in parte illogica in relazione ad entrambi i profili contestati, ovvero la sussistenza delle responsabilita' per concorso esterno in associazione mafiosa o, per la condotta descritta dall'articolo 416-ter c.p.. 5.1. Con riguardo alla assoluzione dal c.d. concorso esterno in associazione mafiosa il collegio riafferma che in tema di associazione di tipo mafioso, assume il ruolo di "concorrente esterno" il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell'associazione e privo dell'affectio societatis, fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi un'effettiva rilevanza causale e quindi si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacita' operative dell'associazione (o, per quelle operanti su larga scala come "Cosa nostra", di un suo particolare settore e ramo di attivita' o articolazione territoriale) e sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231671 - 01). Nel caso in esame, con motivazione contraddittoria, la Corte d'appello, da un lato, rilevava la sussistenza di un patto concreto tra (OMISSIS) e la cosca " (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS)" e, dall'altro, rilevava che i termini dell'accordo non avevano carattere di specificita', in quanto non avrebbero potuto avere alcuna incidenza immediata sugli interessi concreti del sodalizio. L'accordo era infatti destinato a produrre i suoi effetti se e quando il (OMISSIS) avesse concretizzato la sua carriera politica. A sostegno si richiamava la conversazione nel corso della quale (OMISSIS), dialogando con Vescio, descriveva (OMISSIS) come una persona che "poteva" crescere politicamente, definendo il patto con lo stesso come un investimento" futuro". Si tratta di una motivazione carente ed, in parte, contraddittoria, in quanto non valuta approfonditamente il tema del contributo effettivo ed immediato offerto da (OMISSIS) all'associazione: il patto, sulla cui concretezza e serieta' non vi erano dubbi, avrebbe dovuto essere valutato anche alla luce della sua incidenza sul prestigio dell'associazione e del fatto che era prodromico alla predisposizione di una rete di contatti compiacenti utili per la diffusione del potere della cosca nei gangli vitali della pubblica amministrazione. 5.2. Del pari, fondate sono le censure proposte in ordine all'intrinseca contraddittorieta' della motivazione nella parte in cui si riconosceva la sussistenza del patto tra (OMISSIS) e la cosca " (OMISSIS)-Torquato- (OMISSIS)", senza valutare la possibilita' di inquadrare la condotta nella fattispecie prevista dall'articolo 416-ter c.p.. Il collegio ribadisce, infatti, che i fini della configurabilita' del reato di scambio elettorale politico-mafioso e' sufficiente un accordo elettorale tra l'uomo politico e l'associazione mafiosa, avente per oggetto la promessa di voti in cambio del versamento di denaro, mentre non e' richiesta la conclusione di ulteriori patti che impegnino l'uomo politico ad operare in favore dell'associazione in caso di vittoria elettorale, sicche', nell'ipotesi in cui tali ulteriori patti vengano conclusi, occorre accertare se la condotta successivamente posta in essere a sostegno degli interessi dell'associazione assuma i caratteri della partecipazione ovvero del concorso esterno all'associazione medesima, configurandosi, oltre il reato sopra indicato, anche quello di cui all'articolo 416-bis c.p. (Sez. 1, n. 19092 del 09/03/2021, Zambetti, Rv. 281410 - 01). Ancora piu' specificamente e' stato affermato, con giurisprudenza che anche in questo caso si condivide, che, ai fini della configurabilita' del reato di scambio elettorale politico-mafioso (articolo 416-ter c.p.) e' sufficiente un accordo elettorale tra l'uomo politico e l'associazione mafiosa, avente per oggetto la promessa di voti in cambio del versamento di denaro, mentre non e' richiesta la conclusione di ulteriori patti che impegnino l'uomo politico ad operare in favore dell'associazione in caso di vittoria elettorale. Ne consegue che, nell'ipotesi in cui tali ulteriori patti vengano conclusi, occorre accertare se la condotta successivamente posta in essere dal predetto a sostegno degli interessi dell'associazione che gli ha promesso o procurato i voti assuma i caratteri della partecipazione ovvero del concorso esterno all'associazione medesima, configurandosi, oltre il reato sopra indicato, anche quello di cui all'articolo 416-bis c.p. (Sez. 6, n. 43107 del 09/11/2011, Pizzo, Rv. 251370 - 01). Nel caso in esame, la Corte di appello rilevava che non si poteva dubitare del fatto che vi fosse stato un accordo tra (OMISSIS) e la cosca " (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS)" e che tale accordo e la sua "pertinenza agli interessi della cosca era attestata univocamente dalle conversazioni intercettate, che non dimostravano l'accettazione da parte di (OMISSIS) di un mero incarico fine a se stesso volto esclusivamente a promuovere la campagna elettorale del (OMISSIS), atteso che nel dialogo captato il 27/07/2015 (OMISSIS) descriveva a (OMISSIS) "una vera e propria alleanza nella prospettiva di una futura crescita politica del (OMISSIS) che parallelamente era destinata a riverberare effetti positivi sul sodalizio secondo un preciso progetto di espansione della cosca" (pag.178 della sentenza impugnata). Si tratta di affermazione che, alla luce delle linee ermeneutiche tracciate dalla Corte di legittimita' e sopra richiamate imponeva la valutazione della possibilita' di qualificare le condotte contestata a (OMISSIS) nella fattispecie prevista dall'art-416-ter c.p.. 5.3. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata limitatamente alla posizione di (OMISSIS), con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro, che rivalutera' gli elementi di prova alla luce dei principi di diritto sopra enunciati, al fine di verificare se gli stessi siano eventualmente indicativi della responsabilita' dell'imputato per concorso esterno in associazione mafiosa o per il reato previsto dall'articolo 416-ter c.p.. 6. Alla dichiarata inammissibilita' dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonche' al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro tremila. Gli stessi devono inoltre essere condannati in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Comune di Lamezia Terme, che - tenuto conto dei parametri vigenti - si liquidano in complessivi Euro 4.600/00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro. Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Comune di Lamezia Terme, che liquida in complessivi Euro 4.600/00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. MOROSINI Elisabetta M. - Consigliere Dott. SGUBBI Vincenzo - Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovanni - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 16/02/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di BARI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FRANCOLINI GIOVANNI; letta la requisitoria scritta presentata - Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, ex articolo 23, comma 8, conv. con modif. dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 - dal Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Dott. VENEGONI ANDREA, che ha chiesto di dichiarare inammissibile o di rigettare il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 16 febbraio 2020 la Corte di assise di appello di Bari, a seguito del gravame interposto nell'interesse di (OMISSIS), ha confermato la pronuncia in data 8 marzo 2021 con la quale il G.i.p. del Tribunale di Bari, all'esito di giudizio abbreviato, aveva affermato la responsabilita' del medesimo imputato per l'omicidio preterintenzionale di (OMISSIS) (aggravato perche' commesso per futili motivi: articoli 584, 585 c.p., e articolo 577 c.p., comma 1, n. 4, in relazione all'articolo 61 c.p., comma 1, n. 1) e, concesse le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza, lo aveva condannato alla pena di sette anni di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere durante la custodia cautelare. 2. Avverso la sentenza di appello il difensore dell'imputato ha proposto ricorso per cassazione, articolando sette motivi (di seguito enunciati, nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1). 2.1. Con il primo motivo e' stato denunciato il vizio di motivazione, anche per la mancanza di argomentazione sulle specifiche doglianze prospettate con l'atto di appello, in relazione: - alla sussistenza dell'elemento psicologico del delitto (da ravvisarsi nel dolo misto a colpa e che richiedere la concreta prevedibilita' della morte della persona offesa, che nella specie non ricorrerebbe), soggiungendo che dalla veritiera narrazione offerta dal (OMISSIS) si trarrebbe il difetto di prova di esso poiche', nell'occorso, egli intendeva solo chiedere spiegazioni al (OMISSIS) che aveva minacciato il figlio di quattro anni dell'imputato e non si potrebbe ritenere che l'uso di guanti, da parte dello stesso (OMISSIS), sia dimostrativo della sua intenzione di eludere le indagini, essendosi presentato in loco con la propria auto; - al rapporto di causalita' tra la condotta del (OMISSIS) e il decesso del (OMISSIS), fondato sulla relazione del consulente del pubblico ministero, il quale tuttavia ha affermato solo in via ipotetica che le lesioni subite dalla persona offesa siano derivate dall'impatto con il suolo del suo capo, senza dare alcuna certezza sulla causazione dell'evento, soprattutto rispetto all'esito dell'intervento dei sanitari (qualora il personale medico avesse avuto conoscenza del trauma cranico del (OMISSIS) subito dopo il suo ricovero). 2.2. Con il secondo motivo e' stato addotto il vizio di motivazione, anche per non aver argomentato sulle specifiche doglianze prospettate con l'atto di appello, con riguardo alla sussistenza della circostanza aggravante dei motivi futili, di cui - in ossequio ai principi posti dalla giurisprudenza - non ricorrerebbero i presupposti in quanto il (OMISSIS) ha costantemente affermato di aver agito perche' preoccupato per l'incolumita' del figlio (oggetto delle minacce del (OMISSIS) che, senza motivo alcuno, aveva rappresentato che lo avrebbe fatto sparire) e che il Giudice di appello avrebbe ritenuta senza una chiara argomentazione. Inoltre, la Corte di merito erroneamente avrebbe affermato che il (OMISSIS) ha riferito delle minacce solo in un momento successivo (avendole egli riportate gia' in sede di spontanee dichiarazioni il 26 agosto 2020 e quando e' stato ascoltato lo stesso giorno in presenza del suo difensore) e, comunque, in maniera contraddittoria avrebbe creduto all'imputato quando ha ammesso la propria responsabilita' e non quanto ha narrato di esse. 2.3. Con il terzo motivo e' stato denunciato il vizio di motivazione, anche per mancanza di argomentazione sulle specifiche doglianze prospettate con l'atto di appello, in relazione alla sussistenza del nesso di causalita' tra l'azione dell'imputato e il decesso della persona offesa, tenuto conto del fatto che - a fronte dell'affermazione da parte di quest'ultima in sede di anamnesi - di non aver subito traumi, solo molto tempo dopo il ricovero (avvenuto alle ore 21:55) e' stata eseguita la TAC che ha evidenziato un'emorragia cerebrale (dopo le 23:30) e il (OMISSIS) e' stato sottoposto a intervento chirurgico (alle ore 3:34). Su tali elementi la Corte di merito non avrebbe argomentato, riportandosi alla relazione del consulente del pubblico ministero che - come gia' esposto - si e' espressa in termini ipotetici e per nulla esaustivi. 2.4. Con il quarto motivo e' stato addotto il vizio di motivazione, anche per mancanza di argomentazione sulle specifiche doglianze prospettate con l'atto di appello, in relazione alla chiesta derubricazione del fatto in omicidio colposo. Ad avviso della difesa, infatti, occorrerebbe distinguere due segmenti della condotta, ossia i colpi inferti dal (OMISSIS) al (OMISSIS) (con la volonta' di causare un danno) e il successivo sgambetto (dettato dalla sola intenzione di fermare la vittima per ottenere un chiarimento che, dunque, costituirebbe una condotta negligente o imprudente). 2.5. Con il quinto motivo e' stato prospettato il vizio di motivazione, anche per mancanza di argomentazione sulle specifiche doglianze prospettate con l'atto di appello, in ordine al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto - in ossequio ai principi posti dalla giurisprudenza - della condotta positiva dell'imputato (che ha chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato e si e' spontaneamente presentato in Questura ammettendo la propria responsabilita', collaborando sin dalle prime fasi delle indagini), non potendo negarsi rilievo - come contraddittoriamente ha fatto la Corte di merito - alla confessione sol perche' la polizia giudiziaria era sulle tracce del colpevole (atteso che, comunque, gli operanti disponevano solo della targa della vettura condotta dal reo, di proprieta' non dell'imputato ma del padre), difettando un riferimento alle dichiarazioni spontanee del (OMISSIS) innanzi al Giudice di appello (ove ha chiesto scusa per il proprio comportamento, comprendendone la gravita') e, infine, avendo la Corte distrettuale argomentato in maniera contraddittoria allorche' ha escluso segnali concreti e affidabili di resipiscenza. 2.6. Con il sesto motivo e' stato addotto il vizio di motivazione, anche per mancanza di argomentazione sulle specifiche doglianze prospettate con l'atto di appello, in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione (con giudizio di prevalenza), nonostante le minacce del (OMISSIS) riguardanti il figlio dell'imputato. 2.7. Con il settimo motivo e' stato denunciato il vizio di motivazione, per mancanza di argomentazione sulle specifiche doglianze prospettate con l'atto di appello, con riferimento alla determinazione della pena base, che la Corte di merito si sarebbe limitata a ritenere congrua ed adeguata senza alcuna specifica motivazione nonostante sia stata irrogata in misura superiore al minimo, rendendo in tal modo "praticamente (...) inoperante" la riduzione per il rito. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' nel complesso infondato. 1. Il primo e il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente. 1.1. La prospettazione relativa alla elemento psicologico del delitto e' nel complesso infondata. La Corte territoriale, in relazione alle censure prospettate con l'atto di appello, ha richiamato l'orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimita' secondo cui, "l'elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale non e' costituito da dolo e responsabilita' oggettiva ne' dal dolo misto a colpa (...), ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all'articolo 43 c.p. pone una valutazione ex lege quanto alla prevedibilita' dell'evento da cui dipende l'esistenza del delitto, ritenendo l'assoluta probabilita' che da una azione violenta contro una persona possa derivare la morte della stessa" (cosi', in motivazione, Sez. 5, n. 25940 del 30/06/2020, M., Rv. 280103 - 01, 280103 - 02; cfr. pure, tra le altre, Sez. 5, n. 44986 del 21/9/2016, Mule', Rv. 268299; Sez. 5, n. 791 del 18/10/2012, dep. 2013, Palazzolo, Rv. 254386; Sez. 5, n. 40389 del 17/5/2012, Perini, Rv. 253357). Purtuttavia, la decisione - al di la' del detto richiamo - e' conforme anche al principio, piu' di recente espresso, secondo cui "in tema di reati contro la persona, l'omicidio preterintenzionale si configura allorquando la morte della vittima sia eziologicamente legata alla condotta diretta soltanto a percuotere o a ledere e costituisca l'evento non voluto e non previsto, pur se in concreto ragionevolmente prevedibile, che concretizza la specifica situazione di rischio generata dal reo con il suo illecito" (Sez. 5, n. 46467 del 27/09/2022, D., Rv. 283892 - 01): la Corte distrettuale ha, infatti, evidenziato, con particolare riferimento alla fase finale dell'aggressione (ricostruita per il tramite della visione delle immagini riprese dalla videosorveglianza, della deposizione del (OMISSIS), oltre che delle risultanze medico-legali), come l'imputato abbia non solo colpito violentemente al corpo il (OMISSIS) ma lo abbia sgambettato proprio per fermarlo farlo rovinare al suolo e "portare a termine il suo disegno lesivo". Nel resto, la difesa si e' affidata ad asserti del tutto generici, reiterando in ampia misura quanto esposto nell'atto di appello senza neppure denunciare il travisamento della prova, finendo per perorare irritualmente un diverso apprezzamento degli elementi in atti, segnatamente, alla luce della deposizione dell'imputato (Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268360 - 01), che la Corte di merito ha disatteso con una motivazione congrua e logica, fondata su elementi di fatto (come in parte anticipato, in particolare, le videoriprese e le dichiarazioni del (OMISSIS)) neppure menzionati dalla difesa. 1.2. E', invece, manifestamente infondata e priva di specificita' la prospettazione difensiva (contenuta nel primo e nel terzo motivo di ricorso) relativa al rapporto di causalita' tra la condotta del (OMISSIS) e il decesso del (OMISSIS), anche in relazione all'intervento dei sanitari. "Ai fini dell'integrazione dell'omicidio preterintenzionale e' necessario che l'autore dell'aggressione abbia commesso atti diretti a percuotere o ledere la vittima, che esista un rapporto di causa ed effetto tra gli atti predetti e l'evento letale e che eventuali cause sopravvenute non siano da sole sufficienti a determinare l'evento, ma lo abbiano causato in sinergia con la condotta dell'imputato, per cui, venendo a mancare una delle due, l'evento non si sarebbe verificato" (Sez. 5, n. 6918 del 08/01/2016, Avram, Rv. 266614 - 01). Difatti, a mente dell'articolo 41 c.p., comma 3, "il nesso causale tra la condotta dell'agente e l'evento puo' ritenersi interrotto solo quando le cause sopravvenute siano tali da essere state, per se' sole, sufficienti a determinare l'evento, escludendo in tal modo il rapporto di causalita' tra la condotta dell'imputato (fatto remoto) e l'evento stesso, il quale, a questo punto, si collega direttamente (e solo) al fatto piu' recente" (ivi; cfr., Cass., Sez. 5, n. 35709 del 02/07/2014, Desogus, Rv. 260315). In altri termini, "la causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento e' certamente anche quella che, pur inserendosi nella serie causale dipendente dalla condotta dell'imputato, agisce per esclusiva forza propria nella determinazione dell'evento stesso, in modo che la condotta dell'imputato, pur costituendo un antecedente necessario per l'efficacia delle cause sopravvenute, assume rispetto all'evento non il ruolo di fattore causale, ma di semplice occasione" (ivi). Ragion per cui "sono cause sopravvenute o preesistenti, da sole sufficienti a determinare l'evento, quelle del tutto indipendenti dalla condotta dell'imputato, sicche' non possono essere considerate tali quelle che abbiano causato l'evento in sinergia con la condotta dell'imputato stesso, atteso che, venendo a mancare una delle due, l'evento non si sarebbe verificato" e "non sono dunque cause da sole sufficienti a determinare l'evento quelle che operano "in unione" con la condotta dell'imputato" (Sez. 5, n. 6918/2016, cit.). Cio' e' a dirsi anche qualora sia stato il "comportamento della vittima" ad aver "contribuito ad aggravare le conseguenze del reato (ivi). Sotto il profilo in discorso, la prospettazione difensiva, per il tramite di enunciati meramente assertivi, ha mosso censure alla ricostruzione tratta dalla relazione di consulenza del pubblico ministero che, alla luce di quanto riportato nella sentenza impugnata (oggetto di apodittica contestazione nel ricorso), non si e' affatto espresso in maniera ipotetica nell'indicare la causa del decesso dell'offeso nel trauma cranioencefalico derivante dall'urto con il suolo per effetto della caduta determinata dall'azione dell'imputato, ed anzi ha puntualizzato che proprio per l'entita' e la natura delle lesioni riscontrate, se anche il (OMISSIS) fosse stato sottoposto a intervento chirurgico appena giunto nel nosocomio, l'evoluzione del quadro patologico sarebbe stata analoga; e cio' contrariamente a quanto genericamente dedotto nel ricorso che si e' limitato ad ipotizzare un diverso decorso causale in relazione alla condotta dei sanitari che hanno avuto in cura la persona offesa, senza neppure avere riguardo ai principi appena richiamati in ossequio ai quali puo' ravvisarsi una causa sopravvenuta da sola sufficiente. 2. Il secondo motivo, inerente alta ritenuta sussistenza dell'aggravante dei motivi futili, e' inammissibile. Esso in realta', riproponendo ampiamente quanto gia' dedotto con l'atto di appello (in ampia parte trascritto), ha prospettato irritualmente un diverso apprezzamento del fatto sulla scorta della narrazione dell'imputato; e non ha dedotto utilmente il travisamento della prova (segnatamente, allorche' ha escluso che il (OMISSIS) avesse gia', nel corso delle prime dichiarazioni, indicato il motivo del suo agire), non soltanto perche' la sentenza impugnata ha dato atto dell'immediata rappresentazione da parte dell'imputato che la vittima aveva spinto il figlio (pur rilevando le "aggiunte susseguenti", ossia nel corso delle successive audizioni) e il travisamento e' stato dedotto senza la necessaria specificita' ma con asserti generici (Sez. 2, n. 46288/2016, cit.), ma soprattutto per la dirimente considerazione che la Corte di merito (alla luce della dinamica del fatto ricostruita per il tramite delle riprese delle telecamere presenti in loco, della deposizione del (OMISSIS) e del fatto che l'imputato si sia presentato munito di guanti - da cui il Giudice distrettuale ha inferito che egli fosse a conoscenza della positivita' all'HIV della persona offesa), ha ritenuto in maniera congrua e logica che quanto accaduto prima dell'aggressione abbia comunque rappresentato un mero pretesto che ha condotto il (OMISSIS) a dare sfogo ai propri impulsi violenti, cosi' argomentando in maniera conforme alla giurisprudenza (cfr. Sez. 5, n. 25940 del 30/06/2020, M., Rv. 280103 - 02: "a circostanza aggravante dei futili motivi sussiste ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levita', banalita' e sproporzione, rispetto alla gravita' del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l'azione criminosa, tanto da potersi considerare, piu' che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento"); e con tale iter il ricorso non si e' confrontato effettivamente. 3. Il quarto motivo - relativo alla mancata derubricazione del fatto in omicidio colposo - e' inammissibile. Anch'esso, oltre a riprodurre quasi integralmente quanto prospettato con l'atto di appello, contiene asserti generici e finisce col prospettare irritualmente un diverso apprezzamento di fatto rispetto a una motivazione che ha compiutamente esposto le ragioni per cui il fatto e' stato qualificato come omicidio preterintenzionale (cfr. retro, par. 1.), chiarendo dunque - mediante il detto iter - il perche' non si e' determinata per la chiesta derubricazione (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575 - 01). 4. Il quinto e il sesto motivo, relativi alle circostanze attenuanti e al bilanciamento, possono essere trattati congiuntamente. Deve osservarsi che: - la Corte distrettuale ha escluso i presupposti della provocazione facendo corretta applicazione del principio di diritto secondo cui essa e' incompatibile con la circostanza aggravante dei futili motivi (cfr. Sez. 1, n. 13740 del 06/03/2020, Musto, Rv. 278896 - 01: "la circostanza aggravante dei futili motivi e' incompatibile con l'attenuante della provocazione, non potendo coesistere, nel compimento della stessa azione, stati d'animo contrastanti, dei quali l'uno esclude l'ingiustizia dell'azione dell'antagonista"), il che esime dal dilungarsi per rimarcare la genericita' delle censure difensive al riguardo (affidate alla mera riproposizione di quanto esposto nell'atto di appello); - la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e' stata esclusa evidenziando, rispetto a quanto prospettato con l'atto di appello, come l'imputato al momento del fatto fosse un soggetto maturo (di ventisei anni) che ha dato dimostrazione di spiccata capacita' criminale sia nel caso di specie (avendo la Corte fatto riferimento nuovamente all'iter criminis e alla sua programmazione) sia in precedenza (avendo riportato precedenti condanne irrevocabili), e chiarendo le ragioni per cui la confessione del (OMISSIS) (ritenuta, non del tutto affidabile alla luce del compendio probatorio) e la sua presentazione spontanea non potessero condurre a un giudizio di prevalenza (anche tenuto conto delle facilita' di risalire al veicolo impiegato nell'occorso, intestato al padre dell'imputato, nonche' a quest'ultimo, essendo egli stato ripreso dai sistemi di videosorveglianza della zona) ed affermando che le generiche scuse rese in udienza non palesassero concreti e affidabili segni di resipiscenza; si tratta di un'argomentazione congrua e logica, con la quale il Giudice di appello ha dato conto degli elementi su cui ha fondato l'esercizio del proprio potere discrezionale (cfr. Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 - 02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269 - 01) e che non puo' essere qui sindacato sulla scorta del diverso apprezzamento prospettato dal ricorso (peraltro, in ampia misura per il tramite della mera trascrizione dell'atto di appello, senza censurare la decisione impugnata con la necessaria specificita'), che ha pure addotto erroneamente, quale elemento da apprezzare, la scelta del rito abbreviato (cui ex lege consegue la riduzione della pena, dopo la sua corretta determinazione: cfr. Sez. 3, n. 46463 del 17/09/2019, Di Puccio, Rv. 277271 - 01). 5. Il settimo motivo - relativo alla determinazione della pena base - e' inammissibile. La sentenza ha compiutamente argomentato al riguardo evidenziando la congruita' della pena in ragione del grado di violenza esercitata, all'intensita' dell'aggressione e alle rimanenti modalita' del fatto, cosi' rendendo una motivazione senz'altro congrua, anche a prescindere dal fatto che la pena e' stata irrogata in misura ben inferiore al medio edittale (Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, Torre, Rv. 276932 - 01; Sez. 5, n. 11329 del 09/12/2019 - dep. 2020, Retrosi, Rv. 278788 - 01; Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288 - 01) ed anzi prossima al minimo (poiche' determinata in anni dieci e mesi sei di reclusione). 6. Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ANDREAZZA Gastone - Presidente Dott. SOCCI Angelo Matteo - Consigliere Dott. LIBERATI Giovanni - Consigliere Dott. ANDRONIO A. M. - rel. Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 3) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 4) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 5) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 6) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 7) (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 8) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 9) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 10) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 11) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 12) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 13) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 14) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 15) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 16) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 17) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 18) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 19) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 20) (OMISSIS), nato in (OMISSIS); 21) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 22) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 10/11/2021 della Corte di appello di Lecce; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro Maria; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa DI NARDO Marilia, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili; uditi i difensori, avv.ti: (OMISSIS), per (OMISSIS) e (OMISSIS); (OMISSIS), per (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS); (OMISSIS), in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), per (OMISSIS); (OMISSIS), per (OMISSIS), e in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), per (OMISSIS); (OMISSIS), per (OMISSIS) e (OMISSIS); (OMISSIS) e (OMISSIS), per (OMISSIS); (OMISSIS) e (OMISSIS), per (OMISSIS) e (OMISSIS); (OMISSIS), per (OMISSIS) e (OMISSIS); (OMISSIS), per (OMISSIS); (OMISSIS) e (OMISSIS), per (OMISSIS); (OMISSIS) per (OMISSIS) e (OMISSIS). RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 21 novembre 2019 il Gup del Tribunale di Lecce ha condannato (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per i reati meglio specificati ai seguenti capi di imputazione: A) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, perche' si associavano allo scopo di commettere piu' delitti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e, in particolare, disponendo di due principali canali di approvvigionamento, vendevano, distribuivano, trasportavano, acquistavano e ricevevano consistenti quantitativi di cocaina, eroina, hashish e marjuana; 1) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso ed in esecuzione del programma dell'associazione, rifornivano di droga (OMISSIS) e (OMISSIS), che si servivano di (OMISSIS) per il trasporto da Brindisi nel basso Salento, dove la droga veniva destinata all'attivita' di distribuzione e spaccio; 2) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche' - con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso - (OMISSIS), da solo ovvero in concorso con (OMISSIS), cedeva consistenti quantitativi di hashish a (OMISSIS) e a tale (OMISSIS), che li ricevevano per la successiva attivita' di distribuzione e spaccio; 3) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, in almeno due occasioni, vendevano quantitativi di eroina a tale (OMISSIS), che li riceveva per il successivo spaccio; 4) (OMISSIS), articolo 81 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, in almeno cinque occasioni, vendeva o comunque cedeva dosi di eroina a tale (OMISSIS), il quale le riceveva per il successivo spaccio; 6) (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso con tale (OMISSIS), ovvero con condotte indipendenti, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, in almeno undici occasioni, vendeva o comunque cedeva dosi di eroina a tale (OMISSIS), il quale le riceveva per il successivo spaccio; 8) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, in esecuzione del programma criminoso, (OMISSIS) e (OMISSIS) ricevevano da (OMISSIS) 5 chilogrammi di marijuana che facevano trasportare da (OMISSIS) nel basso Salento per la successiva attivita' di distribuzione e spaccio; 9) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ricevevano da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) considerevoli quantitativi di cocaina che trasportavano nel Salento e successivamente rivendevano a (OMISSIS); 10) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', dopo avere (OMISSIS) e (OMISSIS) ricevuto dai fornitori di (OMISSIS) 5 chilogrammi di cocaina dal valore di Euro 170.000,00, provvedevano a saldare il debito con rate di Euro 15.000,00 - anche per il tramite di (OMISSIS) - che (OMISSIS) ritirava e consegnava ai sodali di (OMISSIS), in esecuzione del programma criminoso; 11) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in esecuzione del programma criminoso, (OMISSIS) e (OMISSIS) trasportavano in Collemeto e successivamente vendevano a (OMISSIS) 250 grammi di cocaina e 22 grammi di hashish, acquistati dai fornitori di (OMISSIS); 12) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, detenevano a fini di spaccio consistenti quantitativi di cocaina e marijuana e in parte li rivendevano a tale (OMISSIS) detta " (OMISSIS)", che li acquistava per il successivo spaccio; 13) (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, cedeva in piu' occasioni quantitativi consistenti di marijuana a tale (OMISSIS), che li riceveva per la successiva attivita' di spaccio e corrispondeva il prezzo mediante pagamenti rateali posticipati; 14) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, in piu' occasioni vendevano quantitativi di marijuana a tali (OMISSIS) e (OMISSIS), che li ricevevano per la successiva attivita' di spaccio; 15) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano svariati quantitativi di cocaina, marijuana e hashish a tale (OMISSIS) che li riceveva per il successivo spaccio; 16) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche' i primi due, in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi di cocaina a (OMISSIS) il quale li acquistava per il successivo spaccio; 17) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi di marijuana a tale (OMISSIS) il quale li acquistava per il successivo spaccio; 18) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi di hashish e marijuana a tale (OMISSIS), il quale li acquistava per il successivo spaccio; 19) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche' i primi due, in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi di cocaina, marijuana e hashish a (OMISSIS) e (OMISSIS) che li acquistavano per il successivo spaccio; 20) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano a terzi quantitativi imprecisati di sostanza stupefacente di vario genere, tutti destinati al successivo spaccio; 21) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche' i primi due, in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi imprecisati ma consistenti di marijuana e cocaina ad (OMISSIS), il quale li acquistava per il successivo spaccio; 22) (OMISSIS), articoli 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e articolo 80, comma 1, lettera b), in relazione all'articolo 112 c.p., comma 1, n. 4), perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendeva o comunque cedeva svariate dosi di cocaina a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Con l'aggravante di essersi avvalso del minore (OMISSIS) per la consegna dello stupefacente al fratello maggiorenne (OMISSIS); 23) (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendeva consistenti quantita' di stupefacente a (OMISSIS) e (OMISSIS), che li ricevevano per la successiva attivita' di spaccio; 24) (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendeva consistenti quantita' di stupefacente a tale (OMISSIS), che li riceveva per la successiva attivita' di spaccio; 25) (OMISSIS), articoli 81 e 629 c.p., perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, mediante ripetute minacce, costringeva (OMISSIS) a consegnargli la somma di Euro 600,00, quale debito probabilmente derivante da pregresse forniture di sostanze stupefacenti, procurandosi un ingiusto profitto con altrui danno; 26) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi di marijuana a tale (OMISSIS); 27) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi di marijuana e di hashish a tale (OMISSIS); 28) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi di cocaina a tale (OMISSIS); 29) (OMISSIS), articolo 648 c.p., L. n. 895 del 1967, articoli 1, 4 e 7, perche' illegalmente deteneva e portava in luogo pubblico una pistola marca CZ semi automatica modello 75-SPO1 calibro 9x21, acquistata al prezzo di Euro 1.500,00; 37) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, il primo per avere fornito l'auto per il trasporto e gli altri due per avere fornito diversi quantitativi di eroina ad altri soggetti ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)); 40) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche' i primi due, in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vedevano o comunque cedevano imprecisati ma consistenti quantitativi di eroina a (OMISSIS) e tale (OMISSIS), che li ricevevano per la successiva attivita' di spaccio; 41) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche' i primi due, in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vedevano o comunque cedevano imprecisati ma consistenti quantitativi di eroina a (OMISSIS) e a tale (OMISSIS), che li ricevevano per la successiva attivita' di spaccio; 42) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, (OMISSIS) vedeva o comunque cedeva imprecisati ma consistenti quantitativi di eroina, fornita dal (OMISSIS), a (OMISSIS), (OMISSIS) e altri; 43) (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso con altri, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendeva o comunque cedeva dosi di eroina a (OMISSIS) e ad altri soggetti non meglio identificati. La Corte di appello di Lecce, con sentenza del 10 novembre 2021, ha parzialmente riformato il provvedimento di primo grado. All'esito del secondo grado di giudizio - per quanto qui rileva - sono state irrogate le seguenti pene: (OMISSIS), 7 anni e 8 mesi di reclusione; (OMISSIS), 1 anno e 10 mesi di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa; (OMISSIS), 2 anni e 6 mesi di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa; (OMISSIS), 4 anni e 4 mesi di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa; (OMISSIS), 8 anni e 4 mesi di reclusione; (OMISSIS), 4 anni e 4 mesi di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa; (OMISSIS), 6 anni di reclusione; (OMISSIS), 7 anni e 4 mesi di reclusione; (OMISSIS), 7 anni di reclusione; (OMISSIS), 4 anni e 10 mesi di reclusione; (OMISSIS), 3 anni di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa; (OMISSIS), 5 anni di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa; (OMISSIS), 2 anni e 8 mesi di reclusione ed Euro 16.000,00 di multa; (OMISSIS), 6 anni e 4 mesi di reclusione; (OMISSIS), 7 anni e 8 mesi di reclusione; (OMISSIS), un anno di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa; (OMISSIS), 18 anni di reclusione; (OMISSIS), 3 anni di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa; (OMISSIS), 4 anni di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa; (OMISSIS), 4 anni di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa; (OMISSIS), 7 anni di reclusione; (OMISSIS), 7 anni e 4 mesi di reclusione. 2. Avverso la sentenza (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamenta la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e). Piu' nel dettaglio, si afferma che l'ipotesi accusatoria ruota intorno alle fonti di prova acquisite durante le indagini della polizia giudiziaria, concretizzatesi in intercettazioni telefoniche ed ambientali, nonche' in mirati servizi di osservazione e controllo, comunque ritenute inidonee a fondare l'affermazione di responsabilita' penale, con specifico riferimento alla condotta partecipativa nell'associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, contestata al ricorrente, ma frutto dell'appiattimento alla sentenza emessa, all'esito del primo grado di giudizio, dal Gup del Tribunale di Lecce, il quale, senza svolgere una seria valutazione dell'effettiva sussistenza dell'elemento della consapevole adesione al gruppo organizzato, si sarebbe limitato ad una mera trasfusione del contenuto dell'ordinanza del 18 dicembre 2018 emessa in sede di riesame. Cosi', la Corte di appello avrebbe ritenuto di non convalidare la tesi difensiva secondo la quale (OMISSIS) non era nient'altro che un libero spacciatore al dettaglio che, in mancanza di ogni collegamento con soggetti diversi da (OMISSIS), nel 2016 aveva individuato in questi unicamente un nuovo canale di approvvigionamento, ignorando che lo stesso fosse inserito in un contesto associativo. Difetterebbe, conseguentemente, il necessario requisito della cosciente volonta' di partecipare, insieme ad almeno altre due persone aventi la medesima consapevolezza, ad una societa' criminosa strutturata, mentre si farebbe riferimento soltanto ai singoli episodi di acquisto da parte di (OMISSIS), contestati al capo 21) dell'imputazione, in relazione ai quali risulterebbe necessaria una diversa ricostruzione. Infatti, (OMISSIS) sarebbe stato solito avvalersi del supporto materiale e strumentale dei suoi accoliti (OMISSIS) e (OMISSIS), che, su richiesta del primo, si attivavano di volta in volta per il recupero dello stupefacente dai luoghi in cui questo era custodito per consegnarlo successivamente proprio al (OMISSIS) che a sua volta procedeva alla dazione all' (OMISSIS): quindi l' (OMISSIS) non avrebbe potuto avvedersi della partecipazione alla transazione di (OMISSIS) e (OMISSIS), per cui il rapporto tra lui e il (OMISSIS) si sarebbe ridotto a mere prestazioni sinallagmatiche, seppure illecite ma, non accompagnate dalla consapevole volonta' di acquistare stabilmente da un'associazione integrante i requisiti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Tutto questo sarebbe confermato anche: dai contatti telefonici per l'organizzazione degli incontri finalizzati all'approvvigionamento di droga limitati solo a (OMISSIS) e (OMISSIS), dal fatto che separatamente (OMISSIS) contattava (OMISSIS) e (OMISSIS), dalla circostanza che (OMISSIS) avrebbe conosciuto personalmente (OMISSIS) solo durante la detenzione in carcere a seguito dell'arresto e da quella ulteriore che (OMISSIS) avrebbe confessato di avere conoscenza di taluni coindagati, tra i quali non avrebbe annoverato (OMISSIS); costui, inoltre, sarebbe soggetto attivo nella commercializzazione di sostanza drogante gia' in un periodo ampiamente precedente alle forniture di (OMISSIS). Piu' specificatamente, l'esistenza di rapporti commerciali illeciti tra (OMISSIS) e (OMISSIS), dai quali si sarebbe dovuta ricavare la consapevolezza del primo di far parte dell'associazione criminale in cui era stabilmente inserito il secondo, sarebbe stata giustificata dalla compresenza degli stessi in due incontri finalizzati alla compravendita di sostanza stupefacente, avvenuti rispettivamente il 26 luglio 2016 e il 23 agosto 2016. Tale congettura pero' sarebbe contraddetta dall'interrogatorio dello stesso (OMISSIS), riscontrato dal servizio di osservazione dei carabinieri, il quale avrebbe riferito di essersi trovato fisicamente nello stesso luogo dell' (OMISSIS) solo in occasione dell'episodio del 23 agosto 2016, allorquando (OMISSIS) e (OMISSIS) si erano incontrati per concordare la fornitura di stupefacente; con cio' troverebbe smentita l'affermazione secondo cui (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano avuto contatti in due distinte occasioni, quando, al contrario, l'episodio sarebbe unico e si identificherebbe in quello del 23 agosto 2016. Una volta venuto meno l'episodio del 26 luglio 2016, l'affermazione dell'esistenza del rapporto tra (OMISSIS) e (OMISSIS) sarebbe erronea, perche' lo stesso (OMISSIS), nel corso del suo interrogatorio avente natura confessoria, avrebbe affermato che, mentre (OMISSIS) e (OMISSIS) si accordavano per una partita di marijuana, lui era rimasto in disparte a fumare e che soltanto in carcere, dopo l'arresto, aveva conosciuto l'odierno ricorrente. Conseguentemente, il collegio giudicante avrebbe apoditticamente affermato l'esistenza del rapporto di conoscenza tra (OMISSIS) e (OMISSIS), ricavando la prova della condotta partecipativa addebitata all' (OMISSIS) stesso, ma omettendo il vaglio critico delle contrarie dichiarazioni del (OMISSIS) e del contesto circostanziale del contatto tra (OMISSIS) e (OMISSIS), al quale costui sarebbe rimasto estraneo. In relazione, poi, al diverso episodio del 30 agosto 2016, esso non sarebbe stato considerato in sentenza, pur essendo l'episodio piu' rilevante, in quanto paradigmatico dello schema organizzativo adottato da (OMISSIS) per le cessioni ad (OMISSIS), incompatibile con l'esistenza di una struttura complessa dedita alla commercializzazione di stupefacente; il modus operandi infatti sarebbe stato il seguente: (OMISSIS) e (OMISSIS) si sarebbero accordati per un appuntamento, (OMISSIS) si sarebbe mosso circa un'ora prima verso il deposito per recuperare lo stupefacente e successivamente, alle 14:22, lo avrebbe occultato in un posto concordato informandone (OMISSIS), intorno alle 15:45 (OMISSIS) e (OMISSIS) si sarebbero incontrati, (OMISSIS) avrebbe ceduto la sostanza che aveva recuperato poco prima nel luogo in cui era stata depositata da (OMISSIS). Con riferimento, invece, al diverso episodio del 14 agosto 2016, mancherebbe l'esame di elementi, tra cui la geolocalizzazione dei soggetti, indispensabili a dimostrare come (OMISSIS) non avesse ricevuto lo stupefacente da (OMISSIS) ma piuttosto direttamente da (OMISSIS): infatti, la polizia giudiziaria avrebbe attestato la presenza, nel medesimo luogo, di (OMISSIS) e (OMISSIS); allo squillo di (OMISSIS) delle 20:11, con il quale questi preannunciava il suo arrivo, corrispondeva la comparsa sul luogo dell'incontro, dopo appena tre minuti, di (OMISSIS) che giungeva a bordo della sua autovettura in compagnia di (OMISSIS). Sarebbe illogica la conclusione dei giudici di merito che, malgrado lo strettissimo lasso di tempo che precede l'arrivo del (OMISSIS), avrebbero ritenuto che (OMISSIS) avesse gia' consegnato lo stupefacente a (OMISSIS), per converso non spiegando la ragione che giustificherebbe il sopraggiungere all'incontro anche di (OMISSIS) quando la consegna era gia' stata eseguita da (OMISSIS); mancherebbe inoltre ogni risposta alla contestazione in ordine al perche' (OMISSIS), gia' intervenuto sul luogo dell'incontro, avrebbe dovuto, 20 minuti piu' tardi, farsi dare dal (OMISSIS) una conferma dell'avvenuta cessione che era avvenuta sotto la sua diretta percezione. Secondo la ricostruzione della difesa, e' piu' probabile che la sequenza incriminata dei messaggi tra (OMISSIS) e (OMISSIS) abbia ad oggetto cessioni che, successivamente all'incontro tra (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) poteva avere effettuato a favore di soggetti diversi e ulteriori, rientrando tale impostazione operativa nel consueto schema organizzativo elaborato da (OMISSIS). Resterebbe quindi indimostrata la consapevolezza di (OMISSIS) di relazionarsi con una stabile associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, ne' questa potrebbe essere tratta dalla forma colloquiale "arriviamo" utilizzata da (OMISSIS) nella conversazione con il suo collaboratore, perche' sarebbe stato allora in compagnia della fidanzata (OMISSIS). Quanto, invece, all'episodio del 20 agosto 2016, l'incontro sarebbe stato caratterizzato dal cambiamento in corso del luogo dell'appuntamento; tuttavia, di tale variazione, concordata tra (OMISSIS) e (OMISSIS), non vi sarebbe traccia nelle comunicazioni intercorse tra quest'ultimo e (OMISSIS). Sarebbe quindi inspiegato come sia potuto accadere che (OMISSIS), in assenza di comunicazioni con (OMISSIS) il quale si accordava soltanto con (OMISSIS) circa il cambiamento dell'orario e del luogo di incontro, abbia poi incontrato (OMISSIS), se non applicando il solito schema, in virtu' del quale: (OMISSIS) si serviva di (OMISSIS) unicamente per recuperare lo stupefacente nel suo nascondiglio; reperita la sostanza, (OMISSIS) accompagnava (OMISSIS), nel luogo e nell'ora dell'incontro fissati, noti solo a (OMISSIS). Infine, con riferimento all'episodio del 31 agosto 2016, la Corte di appello assume che l' (OMISSIS) ha ricevuto l'approvvigionamento di stupefacente presso l'ospedale di (OMISSIS) direttamente da (OMISSIS) a cio' incaricato da (OMISSIS), tuttavia non sarebbe stato adeguatamente considerato il fatto che, dopo l'incontro, (OMISSIS) sarebbe stato controllato dai carabinieri che, avendolo perquisito, avrebbero constatato l'assenza di sostanza stupefacente. A cio' si aggiunga che nel testo della sentenza impugnata emergerebbe il travisamento del riferimento alla ripetuta consapevolezza dell' (OMISSIS) circa l'agire organizzato di (OMISSIS): la trascrizione di alcuni messaggi incompleti rispetto al testo complessivo sarebbe posta in modo da sostenere che (OMISSIS) avesse conoscenza della struttura organizzata nella quale si muovevano (OMISSIS) e altri; invece un piu' ampio stralcio della conversazione dimostrerebbe che in realta' la famiglia alla quale si riferiva Petracca non poteva essere il gruppo, asseritamente organizzato, del (OMISSIS). 2.2. Con una seconda doglianza, si censurano la violazione degli articoli 581 e 597 c.p.p. nonche' la mancata esclusione dell'aggravante Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74, comma 4. Il ricorrente sostiene di avere impugnato l'intero capo A) dell'imputazione per difetto del necessario requisito soggettivo della consapevolezza dell'adesione al gruppo criminale; dunque, se il tema devoluto alla competenza della Corte di appello era quello della consapevole partecipazione alla consorteria criminale, allora lo scrutinio si sarebbe dovuto estendere alla consorteria concretamente configurata, che fosse o meno armata, alla stregua della regola logica che pretende l'assorbimento del meno nel piu'. L'imputato non avrebbe avuto e non avrebbe potuto avere cognizione dell'esistenza dell'associazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74 e quindi non avrebbe potuto avere consapevolezza del fatto che taluno degli appartenenti alla stessa avesse anche disponibilita' di armi. Quindi, conformemente al disposto normativo di cui agli articoli 597 e 581 c.p.p., la devoluzione alla competenza del giudice superiore di un capo della sentenza non puo' che imporre l'automatica devoluzione allo stesso anche di tutti i punti che con il capo abbiano diretta ed essenziale connessione; nel caso di specie era d'obbligo che la decisione circa il reato associativo non si esimesse da una valutazione, sulla base degli elementi probatori gia' esistenti, anche della ascrivibilita' al singolo partecipe proprio dell'aggravante della disponibilita' di armi. Le stesse considerazioni varrebbero anche per la contestata aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 3. Infatti, il compendio probatorio esistente consentirebbe di affermare che (OMISSIS) aveva avuto coscienza del solo (OMISSIS), o al massimo, qualora non dovessero accogliersi le argomentazioni difensive, di solo due soggetti ulteriori, (OMISSIS) e (OMISSIS), cosi' da escludersi che l' (OMISSIS) fosse consapevole che l'associazione avesse un numero di adepti pari o superiore a dieci. 2.3. In terzo luogo, si lamenta la violazione dell'articolo 629 c.p. con riferimento al capo 25) dell'imputazione, difettando la prova degli elementi costitutivi del reato di estorsione. Il silenzio serbato da (OMISSIS) al cospetto del padre nulla direbbe sulla natura del debito, potendo esistere tra padre e figlio motivi diversi per i quali volere che il padre non ne fosse messo a conoscenza; allo stesso modo la mancanza di un titolo da azionare non consentirebbe l'automatica deduzione che lo (OMISSIS) avesse accumulato un debito per la fornitura di stupefacente non pagato. A titolo esemplificativo, la somma di Euro 600,00 pretesa da (OMISSIS), in mancanza di concreti elementi di segno negativo, potrebbe essere stata oggetto di un prestito di denaro non accompagnato da una pattuizione in forma scritta astrattamente azionabile in giudizio. Eppure la Corte territoriale avrebbe ritenuto implausibile l'esistenza di un debito di natura lecita e non sarebbe stata in grado di confutare una serie di elementi diversi, a fronte di una lunga articolata indagine preliminare protrattasi per l'intero arco temporale di contestazione del reato associativo, da aprile 2016 a maggio 2017: non sarebbe stato documentato nessun episodio di cessione di droga dall' (OMISSIS) allo (OMISSIS); un soggetto che accumula un debito di Euro 600,00 sarebbe certamente un assuntore abituale, pertanto sarebbe dovuta esistere una traccia dei rapporti di approvvigionamento almeno fino a luglio 2016, quando (OMISSIS) avrebbe avanzato la prima pretesa restitutoria a (OMISSIS); quest'ultimo si sarebbe riconosciuto effettivamente debitore nei confronti di (OMISSIS); ne' la persona offesa ne' sua madre, (OMISSIS), avrebbero ricollegato il debito all'acquisto di droga. Inoltre, erroneamente si sarebbe affermato in sentenza che le minacce perpetrate da (OMISSIS) fossero rivolte alla madre di (OMISSIS); sarebbe emerso piuttosto un atteggiamento clemente dell'odierno ricorrente nei confronti del suo debitore, proprio in ragione della richiesta alla (OMISSIS) la quale avrebbe pure chiarito che nel momento del pagamento sarebbero cessate le richieste e le pressioni, dunque nessun male ingiusto sarebbe stato mai perpetrato nei confronti di un soggetto terzo rispetto al rapporto sinallagmatico tra (OMISSIS) e (OMISSIS). Quindi, non essendo emersa la prova della natura illecita del debito, ne' della direzione delle minacce nei confronti di una persona diversa dal debitore, il fatto storico dovrebbe essere riqualificato ai sensi dell'articolo 390 c.p. non potendosi escludere che la volonta' di (OMISSIS) fosse diretta ad ottenere un bene che gli spettava, dovendo comunque essere prosciolto da questo per difetto della querela della persona offesa. 2.4. Con una quarta doglianza, si censura la violazione degli articoli 62-bis e 81 c.p.. Con riferimento al primo, si contesta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sul rilievo che la valutazione della Corte si sarebbe incentrata sulla ritenuta mancanza di elementi positivi che ne avrebbero giustificato la concessione, non avendo dato conto, invece, dei motivi ostativi. Quanto al secondo, si ritiene che sia eccessivo l'aumento della pena a titolo di continuazione, anche in ragione del fatto che si sarebbe giustificata la misura applicata per essere l'associazione formata da piu' di dieci persone; aggravante da escludersi visto quanto gia' indicato nel secondo motivo di ricorso. 3. Avverso la sentenza (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 3.1. In primo luogo, si lamentano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e articolo 192 c.p.p., comma 2, oltre al vizio di motivazione del provvedimento impugnato. Nelle conversazioni captate tra il ricorrente e (OMISSIS), non si farebbe mai esplicito riferimento alla cessione di stupefacenti, che pertanto dovrebbe considerarsi esclusivamente ipotizzata dai giudici di merito. A sostegno della tesi difensiva, deporrebbero le due perquisizioni personali e domiciliari subite dall'indagato, entrambe con esito negativo. Il mero scambio di telefonate tra il ricorrente e il (OMISSIS) non sarebbe sufficiente a dimostrare che vi sia stata una reale cessione di stupefacenti, ne' ad identificarne l'effettivo tipo di stupefacente. Se anche si volesse astrattamente ipotizzare l'acquisto di stupefacenti da parte del (OMISSIS), questo sarebbe avvenuto esclusivamente per uso personale, essendo l'imputato tossicodipendente. La difesa richiede, solo in via subordinata, che i fatti vengano ricondotti ai casi di cessione ricompresi nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4 alla luce della carenza di elementi univoci ed obiettivi dai quali possa determinarsi con certezza la qualita' e la quantita' della sostanza stupefacente. 3.2. Con un secondo motivo di ricorso, si censurano la violazione degli articoli 62-bis, 99 e 133 c.p., e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato. La sanzione irrogata all'imputato sarebbe eccessiva, tenuto conto della marginalita' delle condotte poste in essere dallo stesso. I giudici di merito avrebbero erroneamente applicato l'aumento di pena derivante dalla recidiva senza prendere in adeguata considerazione la lontananza nel tempo dei precedenti; ovvero avrebbero dovuto adeguare la pena al concreto disvalore del fatto e alla personalita' del reo, riconoscendo allo stesso le circostanze attenuanti generiche, da reputarsi equivalenti rispetto alla contestata recidiva. 4. La sentenza e' stata impugnata, mediante il difensore, anche da (OMISSIS). 4.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamenta la violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), in relazione all'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera b) e articolo 179 c.p.p., comma 1, per errato esercizio dell'azione penale. Ad avviso della difesa, nel caso di specie, sebbene la contestazione riguardi un reato istantaneo, nel capo d'imputazione non c'e' alcuna indicazione di episodi specifici, tanto che il reato istantaneo sembrerebbe trasformarsi in reato permanente. Ne deriva - secondo la difesa - che, se manca l'enunciazione del fatto in relazione alla condotta tipica del reato, l'atto di esercizio dell'azione penale non e' idoneo ad instaurare il contraddittorio. Il compendio probatorio raccolto, infatti, puo' essere utilizzato esclusivamente per verificare la fondatezza dell'ipotesi accusatoria, mai invece per definire il perimetro della regiudicanda. 4.2. Con un secondo motivo di ricorso, si denunciano il travisamento del fatto, e della prova, nonche' la contraddittorieta' della motivazione. La difesa rileva preliminarmente come gli argomenti utilizzati a fondamento della condanna di (OMISSIS) traggano origine esclusivamente dalle conversazioni captate nei giorni 5, 8, 9, 10 e 12 ottobre 2016, nell'ambito di una piu' ampia operazione di polizia giudiziaria. Ebbene, nonostante la presunta partecipazione dell'imputato sembri circoscriversi all'interno di un arco temporale assai ridotto (solo una settimana a fronte di un'attivita' d'indagine particolarmente complessa) sia il giudice di primo grado che il giudice d'appello ne traggono conclusioni erronee. Le intercettazioni dimostrano - secondo la prospettazione difensiva - appena due episodi nei quali, peraltro, la cessione non e' stata superiore a 10 grammi, a quanto, cioe', necessario per un consumo personale giornaliero. Inoltre, laddove si volesse ammettere che nelle conversazioni intercettate si parli di droga, vi sarebbe mancanza di ulteriori riscontri. Infatti, ove oggetto della conversazione sia solo l'appuntamento tra l'imputato e l'interlocutore, si e' in una fase anticipata e preliminare delle trattative e, di conseguenza, non sussistono elementi di prova sufficienti per ritenere consumato il reato di cessione. Le trascrizioni delle intercettazioni attesterebbero quindi, secondo la difesa, unicamente la circostanza che (OMISSIS) - tossicodipendente - fosse alla ricerca di sostanza stupefacente per uso personale e non per la cessione a terzi. 4.3. Si lamenta, poi, la violazione di legge in relazione alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche e in relazione alla circostanza di cui all'articolo 62 c.p., n. 4). Piu' precisamente, secondo la difesa, non puo' in alcun modo affermarsi che l'odierno ricorrente ha posto in essere con frequenza un approvvigionamento di sostanze stupefacenti, in quanto, da una lettura logica e coerente delle stesse intercettazioni, emerge chiaramente un coinvolgimento di quest'ultimo di scarso rilievo, oltre che un dato minimale di sostanza stupefacente, al limite della dose giornaliera. 4.4. Infine, si denunciano la violazione di legge e vizi della motivazione in relazione all'applicazione della recidiva. Sostiene la difesa che, sebbene l'imputato sia gravato da cinque precedenti condanne, peraltro neppure recenti, la Corte distrettuale non opera il reale e concreto accertamento dell'episodio delittuoso, ne' verifica se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di maggiore pericolosita'. Mancherebbe, quindi, qualunque verifica circa la sussistenza di una relazione qualificata tra i precedenti penali ed il reato per cui e' stata emessa la condanna. 5. La sentenza e' stata impugnata, tramite il difensore, anche da (OMISSIS), che ne ha chiesto l'annullamento. 5.1. Con una prima doglianza, si lamentano la violazione degli articoli 192 c.p.p. e della disposizione incriminatrice, nonche' il connesso vizio di motivazione, in ordine alla mancata riqualificazione del fatto, di cui al capo di imputazione 37), nell'ipotesi lieve di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. Piu' nel dettaglio, la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che, per il medesimo capo di imputazione, gli altri correi avevano definito la propria posizione processuale con sentenza di applicazione della pena su concorde richiesta delle parti, con si e' stata riconosciuta la sussistenza di un gruppo associativo, le cui condotte sono riconducibili all'interno delle fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, e articolo 74, comma 6, (sentenza n. 558 del 2019, RGNR 1477/2016), mentre, analizzando la posizione di (OMISSIS), avrebbe erroneamente valutato le medesime circostanze in modo evidentemente opposto, non tenendo in considerazione l'insegnamento della Corte di cassazione sul punto (Sez. 3, n. 16598 del 20/02/2020). 5.2. Con un secondo motivo, si contesta la violazione degli articoli 81 e 133 c.p., nonche' il connesso vizio di motivazione, in ordine al trattamento sanzionatorio. La difesa lamenta che i giudici di merito avrebbero omesso qualsiasi considerazione in ordine al comportamento post delictum, il quale, se valorizzato, avrebbe dovuto condurre all'applicazione di una pena entro il minimo edittale, o comunque a un ridimensionamento dell'aumento previsto ai sensi dell'articolo 81 c.p., per i capi di imputazione 40), 41) e 42). 6. Avverso la sentenza (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione. 6.1. Con una prima doglianza, si denunciano la violazione di legge, con riferimento alla mancata riduzione della pena nei confronti di (OMISSIS) quale partecipe dell'associazione a delinquere contestata al capo A) della rubrica, per effetto della ritenuta insussistenza dell'aggravante speciale relativa al "carattere armato dell'associazione", nonche' la manifesta illogicita' della motivazione. La Corte di Appello di Lecce avrebbe erroneamente evitato di escludere la suddetta aggravante per l'imputato, tenuto conto che questi non aveva proposto la relativa doglianza. Tale affermazione e' censurabile, a parere della difesa, poiche' l'esclusione dell'aggravante costituisce un dato oggettivo, essendo ineludibile conseguenza del fatto che solo due dei partecipi avevano a disposizione una pistola e che mai detta arma era stata usata per le finalita' associative. Non vi sarebbe alcun elemento di prova idoneo a dimostrare la consapevolezza da parte de (OMISSIS) dell'esistenza di un'associazione a delinquere dedita al traffico di droga, e cio' in quanto egli aveva rapporti solo ed esclusivamente con (OMISSIS). La dedotta inconsapevolezza circa l'esistenza dell'associazione comporterebbe logicamente la sua inconsapevolezza in merito al possesso di armi da parte di taluni sodali. Il gravame riguardante l'esistenza dell'associazione avrebbe dovuto intendersi logicamente esteso anche all'aggravante del carattere armato dell'associazione. La Corte territoriale avrebbe erroneamente desunto dal solo numero degli episodi di spaccio contestati al (OMISSIS) la consapevolezza, da parte dello stesso, dell'esistenza dell'associazione, prescindendo dalla valutazione dell'effettiva conoscenza da parte dell'imputato degli altri correi. 6.2. Si denuncia, poi, la violazione di legge in relazione alla mancata applicazione dell'articolo 62-bis c.p., con giudizio di prevalenza rispetto alle contestate aggravanti quale conseguenza dell'omessa applicazione dei parametri stabiliti dall'articolo 133 c.p. La sentenza impugnata avrebbe respinto il gravame, ritenendo generosa la concessione del beneficio delle circostanze attenuanti generiche da parte del giudice di primo grado. Tale valutazione prescinderebbe da una attenta disamina dei dati processuali, dai quali emergerebbe una personalita' dell'imputato meritevole di considerazione positiva, alla luce dei parametri indicati dall'articolo 133 c.p.. La personalita' del reo, incensurato e immediatamente disponibile ad assumersi le sue responsabilita', indicando agli inquirenti i dati a sua conoscenza, oltre che l'atteggiamento collaborativo tenuto nel corso del giudizio, avrebbero dovuto determinare una diversa valutazione, in melius, da parte della Corte. 7. Avverso la sentenza anche (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione. 7.1. Con un primo motivo di impugnazione, si denunciano il vizio di motivazione e il travisamento della prova. La Corte di appello sarebbe stata invitata ad ascoltare il contenuto dell'intercettazione ambientale n. 578 del 19 luglio 2016 ore 21:22 e, in particolare, il passaggio compreso tra i minuti 02:36 e 02:38 da cui emergerebbe che l'appellativo diminutivo " (OMISSIS)" non comparirebbe assolutamente nel corpo dell'espressione proferita da (OMISSIS); ragione per la quale non sarebbe stato possibile operare l'ipotizzato accostamento "tuo figlio (OMISSIS)", supportante il teorema accusatorio. Eppure, il giudice di secondo grado non avrebbe fornito adeguata motivazione, reputando veritiero il contenuto di una trascrizione operata dall'organo di polizia giudiziaria, senza porsi il problema che vi potesse essere un errore; cio' posto, neppure il rito prescelto, ossia quello abbreviato, avrebbe legittimato il mancato accoglimento della specifica richiesta di ascolto formulata dalla difesa senza spiegarne le ragioni. Un ulteriore vizio di motivazione sarebbe rinvenibile laddove non si da' risposta alle censure con cui si contesta che (OMISSIS) potesse essere individuato come figlio di (OMISSIS) sulla base di quanto riportato nelle annotazioni di polizia giudiziaria del 10 agosto 2017, essendo questo dato privo di qualsivoglia fondamento fattuale, considerato che sarebbe stato attestato unicamente un generico riferimento a voci correnti, che rimarrebbe quindi assolutamente incontrollabile, oltre che inutilizzabile a norma dell'articolo 203 c.p.p., comma 1-bis. 7.2. Con una seconda doglianza, ci si duole del vizio di motivazione con specifico riferimento al passaggio in cui si assume che la riferibilita' del diminutivo "figlio" o " (OMISSIS)" alla persona dell'imputato possa essere desunta da un dialogo intrattenuto da (OMISSIS) con un altro uomo; in tale dialogo non vi sarebbe alcun riferimento specifico ai diminutivi sopra richiamati a differenza di quanto erroneamente affermato dalla Corte di appello. Inoltre, non sarebbe dato sapere sulla base di quale pregressa conoscenza gli investigatori siano giunti a ritenere che la voce intercettata nella progressiva n. 1946 del 10 agosto 2016 appartenga proprio a (OMISSIS). Infine, la circostanza per cui l'incontro sarebbe avvenuto nello stesso luogo di un precedente appuntamento intercorso tra (OMISSIS) e (OMISSIS) non potrebbe essere ritenuta di per se' pregnante al fine di supportare l'assunto accusatorio secondo cui (OMISSIS) avrebbe coadiuvato (OMISSIS) negli affari illeciti; a parte l'irrilevanza di tale dato fattuale ai fini dell'individuazione della persona di (OMISSIS), l'iter argomentativo della sentenza conterrebbe un'evidente salto logico concretizzatosi nell'avere ritenuto che lo stesso fosse uno degli utilizzatori dell'utenza (OMISSIS), sulla quale risultavano essere captati diversi messaggi aventi ad oggetto incontri per presunte forniture e/o pagamenti di sostanza stupefacente: la Corte non sarebbe stata in grado di evidenziare alcun dato obiettivo per legare tale utenza telefonica al ricorrente quale suo effettivo utilizzatore. 7.3. In terzo luogo, si censura un ulteriore travisamento della prova nella misura in cui la Corte avrebbe omesso di considerare che la via (OMISSIS) non sarebbe mai stata il luogo ne' di residenza ne' di domicilio dell'imputato, come risulterebbe dal certificato storico di residenza, in grado di attestare che questo aveva risieduto, a far data dal 4 ottobre 2011, in strada della (OMISSIS), e che precedentemente a tale data risiedeva in piazza (OMISSIS); ed invero, l'unica persona che sarebbe indicata come residente alla via (OMISSIS) sarebbe (OMISSIS), figlio di (OMISSIS); soltanto quest'ultimo, proprio in quanto padre, avrebbe potuto avere la disponibilita' dell'immobile di proprieta' del figlio, come attestato nella nota del 3 dicembre 2018. Da quanto sopra discenderebbe un'importante conclusione: non si potrebbe affermare che (OMISSIS), nella giornata del 27 ottobre 2016, si era recato a (OMISSIS) ove risultava domiciliare (OMISSIS), poiche' si tratterebbe di una circostanza fattuale non corrispondente al vero. Infine, nessun concorso nel reato di cui al capo 1) della rubrica potrebbe ritenersi concretamente consumato; mancherebbe, infatti, la prova di una condotta attiva in termini concorsuali che consenta di ritenere (OMISSIS) uno dei richiamati fornitori brindisini. Non a caso, il Gip in sede cautelare avrebbe rilevato l'assenza della necessaria gravita' indiziaria, evidenziando come i riferimenti operati da parte di terzi a (OMISSIS) potevano considerarsi come semplici sospetti e, non essendo sufficienti i riferimenti indiretti contenuti nelle conversazioni. 7.4. Con memoria depositata il 5 gennaio 2023 il ricorrente insiste ulteriormente nell'accoglimento del ricorso, riproponendo gli stessi motivi gia' dedotti con l'atto introduttivo di giudizio. 8. La sentenza e' stata impugnata, tramite il difensore, anche (OMISSIS). 8.1. Con una prima censura, si denuncia la violazione degli articoli 12 preleggi, articoli 3, 24, 101, 102 e 111 Cost., articolo 125 c.p.p., comma 1, articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), e articolo 416 c.p.p., comma 2, nonche' il connesso vizio di motivazione. La difesa lamenta che - pur tempestivamente investito della questione preliminare relativa all'inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche, in quanto i decreti autorizzativi consentivano il compimento delle operazioni per mezzo degli impianti installativi "in questa Procura della Repubblica", mentre risultava dai verbali di inizio intercettazione che le operazioni erano state compiute "presso la sala d'ascolto della Compagnia Carabinieri di Tricase a mezzo degli impianti ivi installati" - il Gup decideva su tale questione in sentenza: quindi, dopo avere ammesso gli imputati al rito abbreviato secco e avere ammesso l'acquisizione documentale richiesta dal Pubblico Ministero, relativamente a 41 note redatte dal funzionario responsabile del Centro Intercettazioni, dalle quali si evincerebbe che la registrazione avveniva tramite server ubicati nella citta' di Lecce e che presso la stazione dei Carabinieri di Tricase si sarebbe verificato il solo ascolto delle conversazioni intercettate. La sentenza impugnata mostrerebbe una lacuna motivazionale sul punto, non rispondendo alla specifica doglianza mossa in sede di appello, con cui si e' evidenziato che l'imputato, non ottenendo immediata risposta alla questione preliminare sollevata dinanzi al Gup, si troverebbe in una situazione di irragionevole disparita' rispetto all'imputato citato a giudizio ai sensi dell'articolo 550 c.p.p., che, invece, ha l'opportunita' di sollevare questioni preliminari e conoscere l'esito delle stesse, prima di scegliere il rito da adottare. Per la difesa, l'articolo 190 c.p.p. dispone anche che il giudice provvede senza ritardo con ordinanza, escludendo le prove vietate dalla legge e quelle manifestamente superflue o irrilevanti ed e' una norma che si applica a tutte le fasi del procedimento, anche nell'udienza preliminare, per cui il Gup avrebbe dovuto provvedere senza ritardo con ordinanza. In ordine all'acquisizione al fascicolo di atti non trasmessi con la richiesta di rinvio a giudizio (note redatte dal funzionario responsabile del Centro Intercettazioni), la sentenza della Corte di appello e' - per la difesa - illogica, in quanto erroneamente afferma che quegli atti gia' facevano parte del fascicolo. La ricorrente se ne duole in quanto ha accettato, con la richiesta di rito abbreviato, l'utilizzazione degli atti presenti nel fascicolo trasmesso a norma dell'articolo 416 c.p.p., comma 2, che impone al Pubblico Ministero la trasmissione al Gup di tutti gli atti di indagine e tale obbligo comporta che gli atti non trasmessi non possono essere utilizzati (Sez. 4, n. 33221 del 2020); pertanto, la questione preliminare avrebbe dovuto essere decisa sulla base del solo fascicolo posto a disposizione del giudice a norma dell'articolo 416 c.p.p., comma 2. 8.2. Si lamenta, in secondo luogo, la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 530 c.p.p., comma 2, in ordine al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, nonche' il connesso vizio di motivazione, relativamente al capo A) di imputazione, in merito alla sussistenza di un sodalizio criminale e alla partecipazione dell'imputata. I giudici di merito avrebbero fondato il proprio convincimento su una motivazione contraddittoria, che si limita ad elencare acriticamente e genericamente alcuni elementi, senza procedere ad una disamina approfondita dell'intero compendio probatorio acquisito, da cui non si perviene alla certezza della sussistenza degli elementi richiesti per la configurabilita' del reato associativo, individuati dalla giurisprudenza di legittimita'. Infatti, la Corte di appello avrebbe omesso qualsivoglia valutazione in ordine all'assenza dei requisiti di stabilita' e permanenza, non considerando che due isolati episodi di cessione di sostanza stupefacente, avvenuti nell'arco di un mese, non possono giustificare l'ipotizzata continuita' di approvvigionamento dai fornitori di (OMISSIS). Si afferma anche l'esistenza di un ulteriore canale di approvvigionamento, quello brindisino, rappresentato da (OMISSIS) e (OMISSIS), a cui e' contestato il solo capo 1) dell'imputazione. Sul punto, la motivazione della sentenza impugnata risulterebbe illogica, in quanto si riconosce che i predetti soggetti hanno approvvigionato un sodalizio operante per un tempo superiore ad un anno, ma si sono accertate cessioni verificatesi nell'arco di soli tre mesi (dal 10 luglio al 27 ottobre 2016). Inoltre, sulla base di quanto sostenuto dagli inquirenti, le forniture si sarebbero interrotte a causa del debito contratto e non soddisfatto: circostanza che dimostra come nessuna affectio societatis legasse (OMISSIS) e (OMISSIS) a (OMISSIS) e (OMISSIS). Sempre secondo la prospettazione difensiva, la Corte di appello omette qualsiasi motivazione in ordine all'assenza di prova di un pactum sceleris, non rinvenendosi sufficienti elementi dimostrativi dell'esistenza di una stabile organizzazione: infatti, non risultano captati dialoghi aventi ad oggetto la regolamentazione dei proventi dell'attivita' di narcotraffico. In riferimento alla partecipazione di (OMISSIS), non sarebbe ravvisabile a suo carico alcun elemento caratterizzante la figura delittuosa associativa, in quanto risulta coinvolta in una sola, atomizzata ed estemporanea, intercettazione ambientale, relativa a un rifornimento di sostanza stupefacente, non essendo sufficiente neanche il riferimento ai capi 8), 9) e 10) di imputazione. In ogni caso, la sentenza risulterebbe essere carente in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, che e' rappresentato dalla coscienza e volonta' dell'associato di far parte dell'associazione: infatti, la sola partecipazione ad alcune sporadiche ed atomistiche, oltre che individuali, forniture di sostanza stupefacente non assume sufficiente rilevanza sul punto. 8.3. Con una terza doglianza, la ricorrente censura la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 530 c.p.p., comma 2, in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, nonche' il connesso vizio di motivazione, in ordine alla mancata qualificazione dell'associazione come fattispecie di lieve entita', non emergendo dalle intercettazioni un'attivita' di spaccio di ingenti volumi di sostanza stupefacente. 8.4. Con un quarto motivo di ricorso, si lamentano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, nonche' il vizio di motivazione, relativamente al capo 11) dell'imputazione. Secondo la ricostruzione difensiva, i giudici di merito si sarebbero limitati a riportare il contenuto delle intercettazioni senza apportare alcun apporto critico, nonostante il significato equivoco delle stesse, dato che le locuzioni intercettate non faceva alcun esplicito riferimento al tipo e alla quantita' della droga. Pertanto, avrebbero riportato pedissequamente il contenuto della richiesta dell'emissione di custodia cautelare, fornendo una motivazione solo apparente sul punto, poiche' vi e' una tale carenza indiziaria, da non potere ritenere fondata l'ipotesi accusatoria formulata. 8.5. Si censura, infine, la violazione dell'articolo 133 c.p. e articolo 533 c.p.p., comma 2, e articolo 546 c.p.p., lettera e), n. 2), nonche' la mancanza e illogicita' della motivazione, rispetto al trattamento sanzionatorio. Piu' nel dettaglio, si evidenzia che gli aumenti per la continuazione irrogati per i capi 8), 9) e 11) a (OMISSIS) sono pari a un mese e quindici giorni di reclusione ciascuno, mentre per i medesimi capi e' stato inflitto all'imputata un aumento di sei mesi ciascuno. La Corte di appello avrebbe reso una motivazione illogica sul punto, in quanto ha affermato che gli aumenti per (OMISSIS) sono stati inferiori nell'intento di calmierare una pena gia' molto elevata; inoltre, non avrebbe proceduto alla determinazione dei singoli aumenti per i reati satellite. 9. La sentenza e' stata impugnata, tramite il difensore, anche da (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno proposto un unico atto di ricorso. 9.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamentano: la violazione dell'articolo 110 c.p. e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74; la mancata applicazione dell'articolo 81 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73; la violazione dell'articolo 192 c.p.p.; l'omessa motivazione rispetto al devoluto nonche' la carenza e manifesta illogicita' della motivazione. Secondo la difesa, la natura stabile del contributo di entrambi i ricorrenti e' stata affermata solo congetturalmente, nonche' in contraddizione con la complessiva incolpazione, in quanto, a fronte di ben 43 capi di imputazione, a (OMISSIS) e' contestato solo il capo 9 e a (OMISSIS) l'8 e il 9. La Corte d'appello, poi, non avrebbe neppure tenuto in considerazione il dato cronologico dei delitti di cessione indicati nel predetto capo 9, verificatisi nell'arco di soli 29 giorni, rispetto ad un'associazione operante per tre anni e sette mesi. In secondo luogo, la difesa evidenzia come la motivazione appaia apodittica, posto che si asserisce genericamente che le consegne di droga effettuate sarebbero di quantita' rilevanti, senza tuttavia indicare in cosa sarebbero consistiti i quantitativi interessati, in mancanza di sequestri a carico degli imputati. Analogamente, si evidenzia come la sentenza impugnata non contenga alcuna motivazione in merito alle modalita' dell'azione. Inoltre, la Corte territoriale, seppure afferma la necessita' di individuare ai fini della configurabilita' del reato associativo la coscienza e la volonta' di far parte dell'associazione, in concreto, non indica alcunche' rispetto all'elemento psicologico; mancherebbe, poi, secondo la difesa, un'adeguata motivazione sulla natura stabile del contributo dei partecipi. Non sarebbe rilevante, a tal fine, la corresponsione di somme settimanali alle mogli dei ricorrenti. 9.2. Con un secondo motivo di ricorso, riferito al solo (OMISSIS), si lamentano: la violazione dell'articolo 110 c.p. e articolo 73 del D.P.R.; la mancata applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 4 e 5; la mancata applicazione dell'articolo 530 c.p.p., comma 2; la violazione dell'articolo 192 c.p.p.; l'omessa motivazione rispetto al devoluto; la carenza e manifesta illogicita' della motivazione. La difesa asserisce che, tanto nella sentenza di primo grado quanto in quella di appello, non emerge alcuna circostanza denotante il concorso di (OMISSIS) negli episodi del 12 e del 30 luglio 2016, con conseguente violazione dell'articolo 110 c.p. e omessa motivazione rispetto al punto specificatamente devoluto. Ne discende che l'unico delitto a cui avrebbe partecipato l'imputato sarebbe quello del 6 agosto 2016, decisamente inidoneo ad integrare la natura stabile del contributo alla associazione. Inoltre, rispetto alle cessioni del 12 luglio 2016 del 30 luglio 2016, l'impossibilita' di individuare con la dovuta certezza sia la sostanza stupefacente sia il quantitativo e il principio attivo avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale a qualificare il fatto nell'ambito del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 4 e 5. Quanto all'episodio del 6 agosto, l'interpretazione data dalla Corte d'appello all'intercettazione sarebbe comunque dubbia, essendo basata su un'arbitraria interpretazione della locuzione "ieri notte" usata da uno dei conversanti. 9.3. Con il terzo e il quarto motivo di ricorso, riferiti al solo (OMISSIS), si lamentano: la violazione dell'articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73; la mancata applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 4 e 5; la mancata applicazione dell'articolo 530 c.p.p., comma 2; la violazione degli articoli 192 e 533 c.p.p.; l'omessa motivazione rispetto al devoluto; la carenza e manifesta illogicita' della motivazione. A fronte di un esito negativo del controllo del ricorrente in data 24 luglio 2016 da parte degli inquirenti, a fronte di una generica captazione avvenuta tra terzi ritenuta apoditticamente chiara, a fronte dell'assenza dell'osservazione della consegna con i presunti compratori, non e' dato comprendere secondo la difesa la reale motivazione a sostegno del concorso del ricorrente. Infatti, il fatto che (OMISSIS) ritenga di aver scampato un pericolo avendo corso il rischio di essere fermato dagli inquirenti, nulla indica rispetto alla asserita consegna dello stupefacente, da parte del ricorrente, atteso che ogni progetto concorsuale puo' andare incontro a modifiche. Manifestamente illogica, poi, sarebbe la motivazione, laddove ritiene normale che "nella circostanza questi non venisse trovato in possesso di nulla", visto che, laddove avesse consegnato lo stupefacente, avrebbe dovuto possedere la contropartita in denaro. Inoltre l'unicita' dell'indizio a carico dell'imputato, proveniente da un dato captato ove quest'ultimo non e' interlocutore, non avrebbe dovuto consentire l'affermazione della penale responsabilita', con conseguente violazione degli articoli 192 e 530 c.p.p.. Infine, anche in questo caso, l'impossibilita' di individuare con la dovuta certezza sia la sostanza stupefacente sia il quantitativo che il principio attivo avrebbe dovuto indurre la Corte d'appello a riqualificare il fatto nella fattispecie di lieve entita'. Con riferimento al capo 9, mancherebbe la motivazione quanto agli episodi del 12 luglio e del 6 agosto 2016, mentre non vi sarebbe un'indicazione della prova a supporto delle condotte materiali ascritte all'imputato, quanto al fatto del 30 luglio 2016. 10. Avverso la sentenza anche (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto per cassazione, chiedendone l'annullamento. 10.1. Con un primo motivo di doglianza, si denunciano la nullita' della sentenza per violazione dell'articolo 125 c.p.p., comma 3, articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), e articolo 192 c.p.p., comma 2, e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, nonche' il connesso vizio di motivazione. Secondo la ricostruzione difensiva, la Corte di appello non avrebbe raggiunto la prova in ordine alla partecipazione di (OMISSIS) al consesso criminale, in quanto ha omesso di considerare la estrema ristrettezza dell'arco temporale (circa un mese, dal 12 luglio 2017 al 11 agosto 2016), in cui il gruppo di (OMISSIS) avrebbe rifornito di sostanza stupefacente la consorteria: cio' comporterebbe l'assenza di un rapporto di collaborazione stabile e continuativo ai fini del perseguimento degli scopi illeciti della consorteria, con la coscienza e la volonta', di far parte dell'organizzazione. La Corte di appello non spiegherebbe le ragioni per cui ha ritenuto attendibile il contenuto delle propalazioni di (OMISSIS), a fronte di plurimi indicatori di segno contrario, che evidenzierebbero che il trio (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) era un'entita' diversa e separata rispetto all'organizzazione sottostante al (OMISSIS) (come dalla conversazione del 12/07/2016 di (OMISSIS) e dal dato investigativo che mostra che quest'ultimo ha descritto ai propri sodali nomi, ruoli e guadagni dei personaggi baresi, mentre nulla sapevano del trio di (OMISSIS)). Anche le dichiarazioni di (OMISSIS), ritenute dal Gup un infallibile strumento per decifrare il compendio indiziario, avrebbero dovuto essere oggetto di un'ulteriore analisi in sede di appello, in quanto egli non si sofferma a descrivere modalita', tempi e consistenza degli approvvigionamenti ne' il funzionamento della cellula terlizzese. Inoltre, si lamenta che i giudici di merito hanno omesso la valutazione dell'elemento soggettivo richiesto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74: non si e' valutato il tema introdotto dalla difesa, per cui (OMISSIS) risulterebbe essere inserito stabilmente in un organismo associativo dedito al traffico di droga operativo nel territorio barese (procedimento penale n. 16093/2016 R.G.N. R. per fatti commessi dal 2012); per cui risulterebbe paradossale ritenere sussistente la medesima condotta delittuosa evocativa della contestuale partecipazione a due distinti organigrammi associativi operanti contestualmente nel settore degli stupefacenti. Secondo la difesa, nella sentenza impugnata non vi e' traccia dell'esame di dati investigativi e del loro rapporto in un quadro organico, che dia esaustiva risposta alle eccezioni formulate. L'irragionevolezza dell'iter motivazionale emerge dal richiamo agli elementi di prova desumibili dalle intercettazioni, da cui si evince che (OMISSIS), ove pure fosse in un rapporto di affari con (OMISSIS), non puo' avere condiviso con quest'ultimo interessi associativi, avendo una propria autonomia e una propria presunta struttura associativa; ma la Corte di appello avrebbe omesso tale valutazione e anche l'accertamento dell'esistenza di un vincolo stabile e continuativo tra fornitore e acquirente, che si sostituisca alla mera relazione negoziale. 10.2. Con la seconda doglianza, si contestano la violazione dell'articolo 125 c.p.p., articolo 546 c.p.p., lettera e), e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, nonche' il connesso vizio di motivazione, in ordine al capo 9) dell'imputazione. La difesa si duole del fatto che la Corte di appello si sia avvalsa delle medesime asserzioni del Gup, che non vengono sottoposte ad un autonomo filtro critico, non risultando sufficiente il mero riferimento al contenuto della sola conversazione del 18 luglio 2016. Infatti, non vi sarebbe stata alcuna valorizzazione delle contestazioni difensive, che avevano evidenziato che: manca la prova che (OMISSIS) fosse presente all'incontro del 12 luglio 2016, che, secondo gli inquirenti, era finalizzato alla cessione di droga; il costante monitoraggio, effettuato dagli inquirenti, dell'operazione di cessione del 30 luglio 2016 consente di affermare che (OMISSIS) non ha partecipato fisicamente alle fasi prodromiche, deliberative ed esecutive della stessa, in quanto non risulta mai direttamente intercettato o semplicemente evocato dai partecipi quale dominus o complice di quell'operazione; egli non e' ne' intercettato ne' evocato dai loquenti nel corso delle intercettazioni del 6 agosto 2016, per cui non si e' incontrato con i protagonisti della vicenda de qua. 10.3. Con un terzo motivo, si censura la violazione dell'articolo 125 c.p.p., articolo 192 c.p.p., articolo 546 c.p.p., lettera e), e articoli 89, 62-bis c.p., articolo 81 c.p., comma 2, articoli 132 e 133 c.p., nonche' il connesso vizio di motivazione. In merito all'attenuante del vizio parziale di mente, la Corte di appello, pur aderendo alle conclusioni diagnostiche, avrebbe trascurato di soffermarsi sull'aspetto legato alla sfera cognitiva dell'imputato, per la quale e' emerso un QI totale classificabile in termini di ritardo mentale lieve, nonche' di valutare opportunamente e con sufficiente rigore le considerazioni mediche in ordine alla capacita' di autodeterminarsi. Infatti, sul versante della componente volitiva si coglie una spiccata incongruenza dell'apprezzamento giurisdizionale: il dato storico-clinico, la sussistenza di una patologia psichiatrica di rilevanza clinica, il dato psicometrico e l'incongruita' del comportamento, usato nel corso delle condotte che gli sono contestate, in unione con la personalita' dell'imputato e la cronica e prolungata dipendenza dell'uso di sostanze stupefacenti non possono ragionevolmente condurre a un giudizio di mera limitazione della capacita' di controllare gli impulsi. Pertanto, la condizione di forte malessere psicologico del ricorrente avrebbe dovuto indurre il giudicante a valutare ogni considerazione clinica, presente nella perizia, evitando di estrapolare quanto affermato nella parte finale della perizia. La Corte di appello si sarebbe basata su valutazioni discendenti da un esame condotto a distanza di molti anni rispetto al tempus commissi delicti, senza considerare che nel 2015 (momento storico maggiormente contiguo a quello di perpetrazione dei reati contestati ai capi A e 9 di imputazione) (OMISSIS) era stato ritenuto totalmente incapace di intendere e volere in un diverso procedimento. Secondo il ricorrente, in merito al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti, la Corte distrettuale omette l'esame della doglianza presentata con l'atto di appello, non valutando le considerazioni svolte in ordine alla personalita' del ricorrente, incapace di autoregolare le proprie azioni e di comprenderne le conseguenze negative. La difesa contesta, inoltre, l'illegittimita' della tecnica redazionale adoperata nella sentenza di primo grado, riverberatasi sull'iter motivazionale della decisione di appello, inidonea ad esternare il percorso logico che deve supportare il giudizio di apprezzamento della sussistenza delle condizioni di cui all'articolo 62-bis c.p.. In ordine al calcolo della pena, mancherebbe la motivazione sull'aumento apportato per la continuazione esterna, in quanto sarebbe stato piu' opportuno procedere alla riduzione di pena prevista dal vizio parziale di mente prima di effettuare l'aumento per la continuazione. 11. Avverso la sentenza ha proposto ricorso anche (OMISSIS), tramite il difensore. 11.1. Con un primo motivo di doglianza, si denuncia la violazione di legge in ordine alla ritenuta utilizzabilita' delle intercettazioni poste a fondamento della sentenza impugnata. Si lamenta, in primo luogo, la violazione dell'articolo 266 c.p.p., e s.s. da parte dei decreti autorizzativi e di proroga delle intercettazioni emessi dal Gip, in quanto difettano dell'adeguata motivazione prevista dalle norme in vigore; in secondo luogo, il primo decreto autorizzativo delle operazioni di intercettazioni e' stato emesso dal Gip in assenza delle condizioni legittimanti di cui al Decreto Legge n. 152 del 2001, articolo 13, che ai fini dell'autorizzazione de qua, richiede: 1) lo svolgimento di indagini relative ad un delitto di criminalita' organizzata, 2) la sussistenza di sufficienti indizi in ordine a quest'ultimo. In ordine al primo aspetto e' necessaria la presenza di un'organizzazione stabile: aspetto che non attiene al capo di imputazione 19), contestato al ricorrente, visto che di quest'ultimo non vi e' alcuna intercettazione, ne' egli risulta interessato in una evidente attivita' delittuosa sulla base di intercettazioni tra altri. La difesa afferma che negli atti processuali non vi e' alcuna prova di responsabilita' dell'imputato, tale da rendere utilizzabili le intercettazioni contro lo stesso. 11.2. In secondo luogo, si lamenta la violazione di legge in ordine al giudizio di responsabilita' per il capo 19, poiche' fondato su dichiarazioni inerenti alle intercettazioni, nonche' il connesso vizio di motivazione. Piu' nel dettaglio, la difesa sostiene l'insussistenza del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, sull'assunto che, da una lettura degli atti di giudizio, nessun riscontro oggettivo vi e' mai stato, da parte della polizia giudiziaria, in ordine a una presunta attivita' illecita che coinvolga (OMISSIS): infatti, non vi e' alcun elemento esterno che lasci ritenere che egli, unitamente a terze persone, abbia posto in essere una qualsivoglia azione di detenzione di sostanza stupefacente. 11.3. Con un terzo motivo, si denuncia la violazione di legge in ordine all'omesso riconoscimento della fattispecie di minore gravita' di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. La difesa lamenta che l'impugnata sentenza non avrebbe fornito alcuna motivazione sul punto: avrebbe dovuto rilevare che la quantita' di cocaina e di marijuana detenuta era da ripartirsi tra due soggetti, per cui si sarebbe potuto trattare di una piccola scorta per uso personale. In senso convergente, depongono - per la difesa - anche le modalita', le circostanze ed i mezzi dell'azione delittuosa, trattandosi di un'attivita' di spaccio limitata e realizzata senza la predisposizione di mezzi specifici. 12. La sentenza e' stata impugnata anche da (OMISSIS), tramite il difensore. 12.1. Con una prima doglianza, si lamentano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, nonche' dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, e la manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato. Non vi sarebbe alcuna prova idonea ad affermare con certezza che l'imputato abbia acquistato ovvero ricevuto ai fini di spaccio stupefacente e che lo abbia successivamente ceduto a terzi. Nelle conversazioni telefoniche captate sull'utenza del ricorrente non si farebbe mai esplicito riferimento alla cessione di sostanze stupefacenti e, ad ulteriore prova dell'estraneita' dell'imputato, concorrerebbero anche le perquisizioni effettuate al medesimo, tutte con esito negativo. La semplice circostanza che talvolta le conversazioni intercettate facciano riferimento a incontri con altri soggetti non sarebbe idonea a dimostrare che l'imputato abbia effettivamente ceduto dello stupefacente, se non in marginali occasioni, nelle quali avrebbe ceduto ad occasionali tossicodipendenti singole dosi, al solo fine di ricavare quanto necessario per far fronte al proprio fabbisogno di stupefacenti, essendo il (OMISSIS) tossicodipendente a sua volta. Con riguardo alle condotte contestate di cui al capo 37, ovvero la cessione di 520 grammi di eroina al (OMISSIS), non potrebbe ritenersi che tale sostanza sia stata ceduta dall'imputato: sia perche' non emergerebbe la prova inconfutabile della provenienza di detta sostanza, giacche' il sequestro e il conseguente arresto del (OMISSIS) sono avvenuti dopo che, per oltre trenta minuti, gli operatori di polizia giudiziaria sono stati costretti a interrompere il pedinamento a causa dell'elevato traffico; sia perche', anche volendo ipotizzare che la suddetta cessione sia avvenuta secondo le modalita' cristallizzate nel primo grado di giudizio, il soggetto cedente non sarebbe stato identificato e, in ogni caso, non sarebbe identificabile con (OMISSIS). 12.2. Con un secondo motivo di ricorso, si censurano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, e articolo 133 c.p., nonche' la manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato. Dinanzi all'attribuzione di responsabilita' dell'imputato per tutti i capi contestati, comunque si sarebbero dovuti ritenere i fatti di lieve entita', soprattutto alla luce del riconoscimento di tale ipotesi minore ad altri presunti correi, condannati anche per il reato associativo. La Corte di appello avrebbe illogicamente differenziato la condotta del ricorrente rispetto ai coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), e sarebbe caduta in contraddizione in ordine ai rapporti dell'imputato con il coimputato (OMISSIS), con particolare riferimento all'episodio del capo di imputazione 37). Il ricorrente sarebbe un mero strumento subordinato al coimputato (OMISSIS), poiche' era quest'ultimo ad avere i contatti e a dover dare conto dei pagamenti al fornitore. Dall'analisi delle captazioni telefoniche si desumerebbe esclusivamente un ruolo di mediatore del ricorrente tra i coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS). La Corte di appello avrebbe, infine, fallacemente analizzato l'atto di impugnazione, ove si sarebbe fatto esplicito riferimento ad una rideterminazione della pena e ad un contenimento della stessa, oltre che degli aumenti ex articolo 81 c.p., nei minimi edittali. I giudici territoriali avrebbero rilevato esclusivamente la richiesta di contenimento nel minimo edittale degli aumenti ex articolo 81 c.p., senza valutare la generale richiesta di contenimento nel minimo edittale della pena. Alla luce di quanto esposto, e dunque del supposto ruolo marginale rivestito dal ricorrente, appare illogico il non aver applicato una riduzione della pena-base, ai sensi dell'articolo 133 c.p.. 13. Avverso la sentenza anche (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. Con un primo e unico motivo di ricorso si lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e articolo 74, comma 6, oltre al vizio di motivazione in ordine alla mancata riqualificazione del fatto nell'ipotesi lieve di cui al medesimo articolo 73, comma 5. Piu' nel dettaglio, la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che, per il medesimo capo di imputazione, gli altri correi avevano definito la propria posizione processuale con applicazione della pena su concorde richiesta delle parti, previa riqualificazione del fatto nell'ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, mentre, analizzando la posizione di (OMISSIS), avrebbe erroneamente valutato le medesime circostanze in modo evidentemente opposto, dando vita ad un palese conflitto di giudicati. 14. La sentenza e' stata impugnata, mediante il difensore, anche da (OMISSIS). 14.1. In primo luogo, si censurano la violazione di legge e la mancanza ed illogicita' della motivazione con riferimento all'articolo 192 c.p.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, in relazione alla ritenuta condotta di partecipazione al sodalizio contestato. Innanzitutto, sottolinea la difesa, l'apporto che avrebbe fornito l'imputato alla consorteria sarebbe di soli 24 giorni e precisamente dal 12 luglio al 6 agosto 2016, a fronte di un arco temporale che avrebbe visto operare l'associazione de qua dall'aprile del 2016 al maggio 2017. In secondo luogo la difesa - prendendo le mosse dalle considerazioni svolte nella sentenza impugnata, ove si sostiene che il prevenuto avrebbe svolto il ruolo di "corriere" in alcune circostanze ben individuate - sostiene che il contributo dell'imputato fosse privo dei caratteri della stabilita', tanto da risultare occasionale. Del resto, gli stessi esiti delle captazioni valorizzati dall'estensore darebbero contezza di un apporto del prevenuto certamente non sistematico ma occasionale. Per la difesa, dalle stesse intercettazioni ambientali emerge chiaramente che in data 30 luglio 2016 l'imputato non conosceva ne' il (OMISSIS) ne' il (OMISSIS); nonostante lo specifico motivo d'appello, la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi sul punto. A cio' si aggiunga che neanche (OMISSIS), uno dei principali collaboratori del (OMISSIS), ha dichiarato di aver mai conosciuto (OMISSIS), se non in stato di detenzione dopo l'esecuzione dell'ordinanza custodiale. 14.2. In secondo luogo, si lamentano la violazione di legge nonche' la mancanza o manifesta illogicita' della motivazione con riferimento ai capi 1) e 9) della rubrica e in relazione alla corretta valutazione della prova ex articolo 192 c.p.p. e alla mancata riqualificazione della contestazione mossa ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4. Piu' precisamente, con riferimento al capo 9), la piattaforma probatoria in atti risulterebbe obiettivamente incerta e l'estensore incorrerebbe in un chiaro deficit di logicita' con conseguente scorretta valutazione della prova. In relazione, poi, al capo 1) della rubrica - e, quindi, con riferimento all'episodio del trasporto del 21 luglio 2016 - la sentenza sottovaluta le censure contenute nei motivi di appello e mostra certezza in ordine al solo trasporto di marijuana e hashish. 14.3. Con un terzo motivo, si lamentano la violazione di legge e la mancanza o manifesta logicita' della motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione, nonche' la necessaria riduzione degli aumenti combinati ex articolo 81 c.p.. Secondo la prospettazione difensiva, la pena inflitta all'imputato appare illogica ed eccessivamente severa, posto che la Corte d'appello ha omesso di considerare a suo favore lo status di totale incensuratezza, l'obiettivo brevissimo contributo associativo contestato, lo svolgimento di ininterrotta attivita' lavorativa. 15. Avverso la sentenza (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione. 15.1. Con una prima doglianza, si censurano l'assenza di motivazione e la violazione di legge in ordine al reato Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74, oltre alla violazione di legge in ordine all'aggravante del numero degli associati. La difesa, dopo aver riportato nel ricorso i vari capi di imputazione a carico dell'imputato, giunge alla conclusione secondo cui (OMISSIS), come confermerebbero le intercettazioni, ha commerciato ingenti quantita' di stupefacenti in proprio, poiche' il suo fine era quello di guadagnare quanto piu' possibile per se'. Il giudice di appello avrebbe erroneamente desunto il vincolo associativo dal mero contatto del ricorrente con gli spacciatori al minuto o con correi, senza calcolare che, commerciando il (OMISSIS) ingenti quantita' di stupefacenti, era inevitabile il contatto con soggetti interessati all'acquisto del medesimo, e che solo per tale circostanza non sarebbe configurabile il vincolo associativo. Risulterebbe inoltre pacifico che l'imputato avesse contatti esclusivamente con i correi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). L'associazione a delinquere non potrebbe configurarsi con il solo dolo eventuale e non vi sarebbe la prova della conoscenza da parte del (OMISSIS) della rete sottostante ai pochi soggetti ai quali vendeva lo stupefacente. In tale quadro, anche se si dovesse riconoscere l'associazione a delinquere nei confronti del ricorrente, non potrebbe essere applicata l'aggravante del numero, avendo l'imputato contatti esclusivamente con (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS); la difesa ritiene, comunque, che non vi sia la prova della piramide gerarchica e dello scambio di soldi dal vertice ai sottoposti. 15.2. In secondo luogo, si lamentano l'assenza e la contraddittorieta' della motivazione in ordine all'aggravante della presenza di armi in favore dell'associazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74. Il giudice del gravame avrebbe correttamente rilevato come l'arma da fuoco venisse rintracciata nel possesso del ricorrente solo in sede di perquisizione e che mai gli inquirenti avessero avuto idea che (OMISSIS) ne avesse la disponibilita'. 15.3. Con una terza censura, si denuncia la violazione di legge con riferimento alla supposta inutilizzabilita' di tutte le intercettazioni acquisite nel corso del procedimento. I decreti autorizzativi e di proroga delle intercettazioni emessi dal Gip difetterebbero dell'adeguata motivazione prevista dalle norme in vigore: in particolare il primo decreto autorizzativo delle operazioni di intercettazione sarebbe stato emesso dal Gip in assenza delle condizioni legittimanti di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 13. 15.4. Con un quarto motivo di ricorso, si lamenta la violazione di legge in ordine alla quantificazione della pena, sul rilievo che il giudice di primo grado avrebbe potuto riconoscere le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, in base al fatto che si tratterebbe pur sempre di un caso di "droga parlata" e di "associazione a delinquere parlata". 16. La sentenza e' stata impugnata, tramite il difensore, anche da (OMISSIS), il quale, con un unico motivo di ricorso, denuncia la violazione della legge penale. Secondo il difensore, la vicenda (capo 16 dell'imputazione) riguarda un caso di "droga parlata", in quanto non vi e' la prova che le 10 dosi oggetto dell'imputazione fossero effettivamente cocaina e non e' comunque dato conoscere il grado di purezza della stessa, oltre che la percentuale di principio attivo. Inoltre la Corte territoriale avrebbe violato, secondo la difesa, l'articolo 530 c.p.p., comma 2, non avendo tenuto conto che i redditi dell'imputato e il fatto che si lamentasse individualmente della qualita' dello stupefacente integrano un ragionevole dubbio. 17. La sentenza e' stata impugnata, tramite il difensore, anche da (OMISSIS). 17.1. Con un primo motivo di ricorso, si lamentano: la violazione dell'articolo 12 preleggi; la violazione degli articoli 3, 24 e 111 Cost. e dell'articolo 125 c.p.p., comma 1, articolo 190 c.p.p., comma 1, e articolo 178 c.p.p.; la violazione degli articoli 24, 101 e 102 Cost. e articolo 416 c.p.p., comma 2; la mancanza e illogicita' della motivazione. All'udienza preliminare il ricorrente lamentava la violazione dell'articolo 268 c.p.p., comma 3, e articolo 271 c.p.p., comma 1, dal momento che nei decreti autorizzativi di attivita' di intercettazione telefonica il Pubblico Ministero aveva disposto "che le operazioni siano compiute per mezzo degli impianti installati in questa Procura della Repubblica", mentre, da ogni verbale di inizio intercettazione risultava che le operazioni erano state compiute "presso la sala d'ascolto della Compagnia Carabinieri di Tricase a mezzo degli impianti ivi installati". Il Gup si riservava di decidere sull'eccezione all'esito dell'udienza preliminare e, dando seguito al processo, recepiva le istanze di rito abbreviato formulate dagli imputati, rinviando ad altra udienza per la trattazione. Dal canto suo, il Pubblico Ministero alla successiva udienza, quando, dunque, il rito abbreviato "secco" era gia' stato instaurato, chiedeva ed otteneva il deposito di 41 note redatte dal funzionario responsabile del Centro Intercettazioni dalle quali si evinceva che la registrazione era avvenuta tramite server ubicati nella citta' di Lecce e che presso la stazione dei Carabinieri di Tricase si era verificato il solo ascolto delle conversazioni intercettate. Con l'atto di appello, la difesa rilevava la nullita' dell'ordinanza relativa all'eccezione preliminare attinente all'utilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche ed ambientali nonche' la nullita' della sentenza. La Corte territoriale secondo la difesa, nel rispondere alle doglianze difensive, avrebbe erroneamente valorizzato l'orientamento processuale secondo cui non vi e' alcuna norma processuale che imponga al Gup di trattare le questioni preliminari in un particolare momento, ben potendo egli decidere sulle stesse all'esito dell'udienza. L'imputato infatti, sollevata al Gup una questione preliminare, non ottenendo immediata risposta, si trova in una situazione di irragionevole disparita' rispetto all'imputato citato a giudizio ai sensi dell'articolo 550 c.p.p. che, invece, ha l'opportunita' di sollevare questioni preliminari, conoscere l'esito delle stesse e poi adottare le scelte del rito. In definitiva, secondo il difensore, si finirebbe per riservare maggiore garanzia ai reati di minore gravita'. Si sarebbe quindi dovuto applicare l'articolo 190 c.p.p., il quale in materia di prove dispone che il giudice provvede senza ritardo con ordinanza, escludendo le prove vietate dalla legge e quelle manifestamente superflue o irrilevanti. Non si considererebbe, poi, che la questione preliminare riguarda la composizione del fascicolo da utilizzare per la decisione. Non vi e' motivo, secondo la difesa, per ritenere che la fattispecie non sia regolamentata dal codice, visto che e' una disciplina generale applicabile al caso di specie esiste; ne' vi e' motivo per ritenere che la disciplina generale esistente debba essere disapplicata. Con riferimento, poi, alle 41 note acquisite quando il rito abbreviato era gia' instaurato, la difesa sostiene che quei documenti facevano forse parte delle indagini, ma che e' del tutto erroneo sostenere che gia' facevano parte del fascicolo: se quegli atti avessero fatto gia' parte del fascicolo trasmesso, non ci sarebbe stato alcun bisogno di chiederne l'acquisizione. La difesa prosegue svolgendo considerazioni analoghe a quelle della coimputata (OMISSIS). 17.2. Con un secondo motivo, si lamentano: la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione; l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale; la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 530 c.p.p., comma 2, in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Piu' precisamente, secondo la difesa, la sentenza resa dalla Corte d'appello sarebbe giuridicamente viziata nella parte in cui ha ravvisato, non solo la sussistenza di un sodalizio criminale riconducibile alla fattispecie delittuosa di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, ma anche e soprattutto la partecipazione del (OMISSIS) quale promotore, organizzatore, dirigente e finanziatore, fondando il proprio convincimento su un'errata valutazione del compendio probatorio acquisito al processo. La Corte territoriale avrebbe omesso qualsiasi valutazione in merito all'assenza dei requisiti di stabilita' e permanenza i quali, sul piano del programma associativo, postulano un'attivita' delittuosa aperta e indeterminata, proiettata oltre la commissione di singoli determinati reati e che, dovrebbe perdurare anche dopo la consumazione di questi ultimi. Si osserva, in particolare, che l'odierno ricorrente, ritenuto addirittura figura apicale direttiva, risulta essere coinvolto solo in alcune intercettazioni e solo in un arco temporale molto ristretto, ossia tra maggio e settembre 2016, allorquando, invece, l'attivita' captativa investigativa si sarebbe protratta anche successivamente e alla quale, tuttavia, il ricorrente rimaneva sostanzialmente estraneo. Al contrario, e' notorio che il capo di un'associazione debba avere contatti diuturni e relazioni con gli adepti e poiche', nella specie, anche tale dato probatorio risulta assente, la Corte territoriale avrebbe dovuto assolvere l'imputato. Risulta infatti smentita dagli elementi probatori sia l'asserita partecipazione del ricorrente al sodalizio che il suo ruolo di capo. La difesa, infatti, osserva come non siano stati captati dialoghi aventi ad oggetto la regolamentazione dei supposti proventi derivanti dall'attivita' di narcotraffico. Pertanto, le modalita' attuative degli episodi delittuosi riferiti ai reati-fine e desunte dalle intercettazioni telefoniche, potrebbero apparire sintomatiche, al piu', di un accordo limitato ad un numero contenuto di episodi di cessione. Del resto, le asserite condotte tenute dal ricorrente sono caratterizzate da un agire assolutamente autonomo ed indipendente, orientato unicamente a realizzare un proprio personale interesse economico e non certamente un fine comune associativo. Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'appello, la contabilita' cui si fa riferimento nelle intercettazioni non e' affatto riconducibile ad una cassa comune del gruppo criminale, quanto piuttosto alla persona del (OMISSIS). In aggiunta, evidenzia la difesa, il giudice di appello avrebbe omesso di confutare le manifeste incongruenze rilevate in merito alla contraddittorieta' della sentenza di primo grado, nella parte in cui sono stati assolti per il reato associativo i coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) e non anche (OMISSIS) e (OMISSIS), visto che lo (OMISSIS), secondo la prospettazione accusatoria iniziale, era il ragazzo utilizzato dallo (OMISSIS) per cedere o ritirare la sostanza stupefacente e lo affiancava e coadiuvava nell'attivita' di spaccio, mentre il (OMISSIS) sarebbe stato un uomo di fiducia di (OMISSIS) ed assieme a lui rappresentava il c.d "canale brindisino", dal quale si sarebbe rifornito in maniera stabile il (OMISSIS). Infine, secondo la difesa, la sentenza resa dalla Corte territoriale risulta carente con riferimento alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato, non potendo assumere rilevanza l'uso di un linguaggio criptico, la diffidenza nell'uso del telefono o le cautele adottate, in mancanza di un chiaro consapevole coinvolgimento nell'ambito di un gruppo criminale. 17.3. Con un terzo motivo di ricorso, si censurano: la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione; l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge penale; la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 530 c.p.p., comma 2, in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6. Piu' precisamente, la difesa evidenzia che dal contenuto delle molteplici intercettazioni non emerge con assoluta certezza un'attivita' di spaccio di ingenti volumi. 17.4. In quarto luogo, si denunciano: la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, commi 3 e 4; la violazione dell'articolo 648 c.p., L. n. 895 del 1967, articoli 2, 4 e 7; vizi della motivazione. Piu' precisamente, il ricorrente evidenzia come, mentre al capo A) si contesta un sodalizio operativo per oltre un anno, ai capi 1), 8) e 9) si ipotizzano forniture verificatesi in appena tre mesi e, cio' nonostante, si afferma che vi sia stato uno stabile e duraturo apporto al sodalizio da parte dei fornitori baresi e brindisini. Se il sodalizio fosse stato composto anche dai fornitori, questi avrebbero avuto un ruolo per tutto o quanto meno larga parte del periodo di attivita'. Con riferimento invece alla contestazione in materia di armi, la difesa evidenzia come da nessuna delle conversazioni intercettate si possa risalire all'esatto modello dell'arma presuntivamente detenuta dall'imputato. Se, come contestato, quest'ultimo avesse avuto la disponibilita' di una pistola gia' dal 7 luglio 2016 "con permanenza", non avrebbe di certo manifestato al suo interlocutore la necessita' di procurarsi un'arma. Peraltro, secondo il difensore, la motivazione appare contraddittoria laddove la Corte territoriale ha esplicitamente ammesso che nei dialoghi intercettati non venivano mai menzionate le armi ed anzi emergeva che il (OMISSIS) era molto accorto affinche' lo (OMISSIS), che si accompagnava a lui, non venisse a sapere che aveva portato con se' una pistola. 17.5. Si lamentano, poi, la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e vizi della motivazione. Si rileva, in particolare, la totale mancanza di prova dell'acquisto di 400 g di eroina indicato in contestazione, in relazione al quale non poteva persino dirsi che venditore ed acquirente avessero mai trovato un accordo. Il (OMISSIS), quindi, non poteva essere sanzionato per essersi rifornito di quel quantitativo di eroina, dal momento che non e' rinvenibile in atti alcuna prova di cio'. Nel caso di specie, si sarebbe verificato un travisamento della prova, avendo i giudici di merito fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o e' incontestabilmente diversa dal reale. 17.6. Con un sesto motivo di doglianza, si denunciano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e vizi della motivazione. In particolare, facendo il capo 11) riferimento a specifiche quantita' e qualita' di sostanza stupefacente, la prova dell'avvenuta detenzione e/o cessione non poteva ricavarsi da locuzioni impiegate dai coimputati intercettati, non contenenti alcun riferimento esplicito al tipo e alla qualita' di droga oggetto di commercio. Piu' precisamente, la difesa non comprende per quale motivo la frase "non riesco a cacciarti in un pacco lino... a questo prezzo non ci riesco a cacciarteli" sia idonea a dimostrare definitivamente l'avvenuta cessione di 250 grammi di cocaina e 22 grammi di hashish. 17.7. Infine, si lamentano la violazione dell'articolo 133 c.p., articolo 533 c.p.p., comma 2, e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), n. 2) e vizi della motivazione. Piu' precisamente, secondo la difesa, la Corte di appello da un lato riconosce che la motivazione in punto di aumenti per la continuazione era carente, ma dall'altro, non pone alcun rimedio sul punto, limitandosi a condividere l'operato del Gup. L'appellante, infatti, non chiedeva soltanto una seconda valutazione del trattamento sanzionatorio, ma esprimeva specifiche osservazioni su determinate anomalie dello stesso, chiedendo la riduzione della pena o quantomeno la giustificazione di quella inflitta, anche alla luce del principio secondo cui il giudice deve calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ognuno dei reati-satellite. 18. Avverso la sentenza anche (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 18.1. Con un primo motivo, si censura l'inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche e ambientali poste a fondamento della declaratoria di responsabilita' penale. In primis la denunciata inutilizzabilita' discenderebbe dalla violazione dell'articolo 266 c.p.p., e s.s. in quanto tutti i decreti autorizzativi e di proroga delle intercettazioni emessi dal Gip difetterebbero dell'adeguata motivazione prevista e voluta dalle norme di legge; in secundis, il primo decreto autorizzativo delle operazioni di intercettazione sarebbe stato emesso dal Gip in assenza delle condizioni legittimanti di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 13 che, ai fini dell'autorizzazione de qua, richiede lo svolgimento di indagini relative ad un delitto di criminalita' organizzata e la sussistenza di sufficienti indizi in ordine a quest'ultimo. Infatti, sarebbe stata necessaria l'effettiva costituzione e l'operativita' di un'organizzazione stabile, posta in essere da tre o piu' persone, allo scopo di commettere piu' delitti tra quelli previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 70, commi 4, 6 e 10, ma tale condizione non riguarderebbe il capo d'imputazione 19) contestato. Infine, dallo stato degli atti processuali al momento delle richieste del Pubblico Ministero di autorizzazione delle intercettazioni, non sarebbe emerso alcun elemento rilevatore, pur in via ipotetica, di un gruppo delinquenziale organizzato; in tutti gli atti processuali, infatti, mancherebbe qualsiasi indizio in capo al ricorrente tale da giustificare l'utilizzabilita' delle intercettazioni contro lo stesso, in quanto questo non avrebbe mai fatto parte di alcuna compagine associativa. 18.2. Si censura, poi, la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, in considerazione della mancata integrazione della relativa fattispecie incriminatrice, posto che, da un'attenta analisi degli atti del giudizio e in particolare delle annotazioni di polizia giudiziaria, non vi sarebbe mai stato alcun riscontro oggettivo esterno della presunta attivita' di spaccio di cui al capo 19). 18.3. Con un terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, nella misura in cui non ha trovato applicazione la richiamata ipotesi lieve. Nel caso di specie, infatti, la quantita' di cocaina, pari a 100 grammi, e di marijuana, pari a 150 grammi, detenuta da (OMISSIS) e (OMISSIS), si sarebbe dovuta ripartire tra due soggetti; quindi, si tratterebbe di un quantitativo non particolarmente significativo perche' non lontano da quello massimo detenibile. Peraltro, sarebbe verosimile che il ricorrente avesse una piccola scorta per uso personale, e per di piu' dagli atti processuali si potrebbe desumere come la contestata condotta di cessione, mai provata, se esistente sarebbe certamente marginale rispetto al consumo personale da parte dell'imputato che svolgerebbe normale attivita' lavorativa, come dimostrato dalla circostanza che il (OMISSIS) aveva importanti debiti nei confronti di (OMISSIS); in senso convergente deporrebbero poi le modalita', le circostanze e i mezzi dell'azione delittuosa, che non desterebbe alcun allarme sociale trattandosi di un'attivita' di spaccio assolutamente modesta e limitata, realizzata senza predisposizione di mezzi specifici e soprattutto in assenza di comprovati traffici persistenti. 19. Avverso la sentenza (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto, con un unico atto, ricorsi per Cassazione, chiedendone l'annullamento. 19.1. Con un primo e un secondo motivo di ricorso, si lamentano la violazione degli articoli 3, 24 e 111 Cost., articolo 125 c.p.p., comma 1, articolo 190 c.p.p., comma 1, e articolo 178 c.p.p., nonche' la violazione degli articoli 24, 101 e 102 Cost. e articolo 416 c.p.p., comma 2, e la mancanza ed illogicita' della motivazione. La difesa lamenta che - pur tempestivamente investito della questione preliminare relativa all'inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche, in quanto i decreti autorizzativi consentivano il compimento delle operazioni per mezzo degli impianti installati "in questa Procura della Repubblica", mentre risultava dai verbali di inizio intercettazione che le operazioni erano state compiute "presso la sala d'ascolto della Compagnia Carabinieri di (OMISSIS) a mezzo degli impianti ivi installati" - il Gup decideva su tale questione in sentenza: quindi, dopo aver ammesso gli imputati al rito abbreviato secco e aver ammesso l'acquisizione documentale richiesta dal Pubblico Ministero, relativamente a 41 note redatte dal funzionario responsabile, dalle quali si evincerebbe che la registrazione avveniva tramite server ubicati nella citta' di Lecce e che presso la stazione dei Carabinieri di Tricase si sarebbe verificato il solo ascolto delle conversazioni intercettate. Si sviluppano, sul punto, argomentazioni analoghe a quelle dei coimputati. 19.2. Con un terzo motivo di ricorso, si denuncia il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento, con riferimento alla posizione processuale di (OMISSIS), della connivenza non punibile. Piu' nel dettaglio, la difesa lamenta che la motivazione della sentenza impugnata risulterebbe insufficiente e in contrasto con gli orientamenti della giurisprudenza di legittimita', perche' sarebbe ritenuta idonea a integrare la connivenza una condotta meramente passiva, consistente nell'assistenza inerte, inidonea ad apportare un contributo causale alla realizzazione dell'illecito, di cui pur si conosca la sussistenza. Esaminando le intercettazioni telefoniche e lo stesso verbale di osservazione, emergerebbe una condotta del predetto ricorrente qualificabile come assistenza inerte e senza iniziative: infatti, il suo ruolo sarebbe stato quello di esecutore privo di autonomia decisionale. 19.3. Con una quarta doglianza, si lamenta il vizio di motivazione in relazione alla posizione processuale di (OMISSIS). Secondo la ricostruzione difensiva, la motivazione risulterebbe contraddittoria e apparente rispetto alle risultanze investigative da cui emergerebbe che la responsabilita' del (OMISSIS) e' circoscrivibile a quella di un mero intermediario, come dimostrano le intercettazioni che attestano che il predetto imputato avrebbe restituito la cocaina dopo averla acquistata dai fornitori di (OMISSIS) e avrebbe discusso in ordine al pagamento della sostanza stupefacente. 19.4. Si lamenta, poi, il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La Corte di appello non avrebbe sopperito all'omessa indicazione da parte del Gup degli elementi individualizzanti dai quali ritenere gli imputati non meritevoli della concessione di predetto beneficio. Piu' nel dettaglio, la motivazione sulla concedibilita' delle attenuanti generiche non sarebbe dovuta ruotare esclusivamente sui precedenti penali degli imputati ma avrebbe dovuto considerare anche il comportamento processuale collaborativo ed improntato alla definizione del processo. Inoltre, in ordine alla posizione processuale del (OMISSIS), avrebbe dovuto tener conto anche del ruolo marginale da esso ricoperto nella commissione del fatto. 20. Avverso la sentenza (OMISSIS) ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 20.1. Con un primo motivo, si denunciano la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, nonche' il connesso vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta condotta di partecipazione al sodalizio contestato al capo A) dell'imputazione. La difesa lamenta che - dal confronto tra i dati probatori, valorizzati nella sentenza impugnata in ordine alla condotta di partecipazione contestata, e la riconducibilita' degli stessi al ricorrente - emerge la carenza strutturale di una condotta di partecipazione dello stesso al sodalizio contestato, in particolare in termini di stabilita', organicita' e dolo di partecipazione: nel caso di specie, l'ipotizzato apporto fornito dal ricorrente sarebbe stato limitato nel tempo, ossia dal 5 aprile 2016 al 27 ottobre 2016, a fronte di un arco temporale che avrebbe visto operare l'associazione de qua dall'aprile 2016 al maggio 2017, con permanenza. La Corte di appello avrebbe fondato il proprio iter motivazionale sulla base di un contributo del ricorrente, definito ampio ed articolato, in quanto si e' ritenuto che si occupasse del procacciamento delle schede telefoniche da utilizzare, nonostante il rifornitore delle stesse fosse un soggetto terzo, (OMISSIS), a cui (OMISSIS) richiedeva, in modo autonomo, venti schede. Infatti, dai messaggi intercorsi tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e dalle intercettazioni ambientali, si evidenzia l'inesistenza di qualsivoglia vincolo di carattere stabile tra l'imputato e il sodalizio contestato. Inoltre, emergerebbe l'assoluta mancanza di coinvolgimento del ricorrente nei rapporti con il canale barese di approvvigionamento dello stupefacente, nonche' in relazione all'attivita' di reperimento dei luoghi per l'occultamento dello stupefacente e della relativa custodia, in quanto il ricorrente risulterebbe assolutamente assente: infatti, i giudici di merito sarebbero pervenuti a un convincimento della partecipazione dello stesso solo in virtu' dei rapporti con il canale brindisino e della contestazione dei reati-fine, mancando qualsiasi dato probatorio sul punto, cosi' rendendo viziata la motivazione resa. Dalla stessa motivazione della Corte di appello emergerebbero ulteriori elementi che delineano il contributo del ricorrente come privo dei caratteri necessari di stabilita', permanenza del vincolo e organicita': in sentenza si afferma che (OMISSIS) e' stato correttamente ritenuto solo un semplice partecipe dell'organizzazione, nonostante la mancanza di coinvolgimento dello stesso nella gran parte dei reati-scopo attribuibili al sodalizio; l'esclusione dell'aggravante soggettiva della disponibilita' di armi. 20.2. Con un secondo motivo, si lamentano la violazione di legge nonche' il vizio di motivazione, con riferimento ai capi 1), 2), 3), 4) e 6), sia in ordine alla corretta valutazione della prova ai sensi dell'articolo 192 c.p.p., sia in ordine alla mancata riqualificazione delle contestazioni mosse al capo 2) della rubrica nei termini di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, e ai capi 3), 4) e 6) della rubrica nei termini di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. La Corte di appello avrebbe omesso, in ordine ai fatti contestati al capo 1) di imputazione, qualsivoglia valutazione in merito alla penale responsabilita' dell'imputato, sebbene le argomentazioni difensive avessero evidenziato un quadro probatorio connotato da una obiettiva incertezza sull'apporto concorsuale fornito. Infatti, vi sarebbe stata l'omessa valutazione di un dato incontrovertibile: rispetto all'unica transazione, oggetto di contestazione al predetto capo, realizzatasi in data 21 luglio 2016 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), i contributi offerti da (OMISSIS) sono individuabili solo in date successive, per cui sono del tutto estranei alla tipicita' delineata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1. Parimenti illogica e' - per il ricorrente - la motivazione della sentenza impugnata in relazione al capo 2) della rubrica, che ha omesso la riqualificazione del fatto ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, visto che le ipotesi di cessione ivi contestate riguarderebbero sostanza stupefacente del tipo hashish. In ordine al capo 3) dell'imputazione, la motivazione della sentenza impugnata escluderebbe la configurabilita' dell'ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, nonostante si tratti di modiche quantita' di sostanza stupefacente cedute, omettendo qualsiasi valutazione in merito alla totale estraneita' di (OMISSIS) nell'episodio di cessione contestato ed avvenuto alla sola presenza di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). In ordine fatti contestati al capo 4) di imputazione, la Corte di appello incorrerebbe in una motivazione illogica e scarna a fronte di una reiterata consegna di quantitativi di eroina, compatibili con la fattispecie di lieve entita': occorre evidenziare come, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, il carattere reiterato di una condotta di cessione non e' di per se' sufficiente a precludere la configurabilita' della fattispecie di cui all'articolo 73, comma 5, citato. In al capo 6) dell'imputazione, la motivazione addotta dai giudici di merito sembrerebbe del tutto sconnessa rispetto al predetto insegnamento della giurisprudenza di legittimita', per cui la reiterazione delle consegne non e' ostativa alla riqualificazione di cui all'articolo 73, comma 5. Inoltre, si ometterebbe di considerare che per i medesimi fatti (OMISSIS) e' stato destinatario di una riqualificazione dei fatti nell'ipotesi predetta. 20.3. Con una terza doglianza, si lamentano la violazione di legge e il vizio di motivazione, in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui all'articolo 62-bis c.p. nella loro massima estensione, anche in virtu' dell'esclusione dell'aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 4, nonche' in relazione alla necessaria riduzione degli aumenti combinati ai sensi dell'articolo 81 c.p. e della corretta qualificazione giuridica delle contestazioni mosse ai capi 2), 3), 4) e 6) dell'imputazione nei termini di cui alla doglianza precedente. Non si sarebbero valutati lo status di totale incensuratezza del ricorrente, il brevissimo contributo associativo contestato e lo svolgimento di un'ininterrotta attivita' lavorativa. 21. Nell'interesse di (OMISSIS) sono stati proposti due distinti ricorsi per cassazione. 21.1. Il primo, a firma dell'avv. (OMISSIS), e' articolato in tre motivi. 21.1.1. Innanzitutto, si denuncia la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 73, 74, articoli 125, 192 c.p.p., articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), articolo 533 c.p.p. e articolo 110 c.p., oltre che il vizio di motivazione nella misura in cui non sarebbe stata fornita un'adeguata risposta alle censure sollevate con l'atto di appello. Piu' precisamente, l'imputato sarebbe stato condannato essendo stato riconosciuto il suo ruolo di fornitore brindisino nell'arco temporale, assai limitato, compreso tra il 19 luglio 2016 e il 27 ottobre 2016, senza che sia stata lui contestata alcuna specifica condotta partecipativi; dunque sarebbe stata applicata la fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 in luogo del concorso di persone, a fortiori ove si consideri che nei confronti del secondo fornitore brindisino, (OMISSIS), la soluzione adottata sarebbe stata quella di ritenerlo responsabile solo di una fattispecie continuata di violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, con esclusione di quella associativa, pur fondandosi l'accusa mossa nei confronti di entrambi sugli stessi identici risultati probatori, consistenti negli esiti degli accertamenti della polizia giudiziaria, mancando invece qualsiasi sequestro di sostanze stupefacenti, denaro o altro. Tale contraddittorieta', denunciata con l'atto di appello, non avrebbe ricevuto adeguata risposta ne' nella motivazione della sentenza di secondo grado ne', a monte, in quella di primo, infatti non si sarebbe spiegato come si sia attribuito l'uso di una certa utenza telefonica a (OMISSIS), cosi' come lo scambio di comunicazioni con (OMISSIS) e (OMISSIS), si siano ricondotti i riferimenti al figlio nelle conversazioni del 19 luglio 2016 - intercorse tra (OMISSIS) e (OMISSIS) - sempre al (OMISSIS), si sia sostenuta la responsabilita' di quest'ultimo quale correo nei fatti di reato di cui al capo 1) che altro non rappresenterebbero che la contestata condotta di partecipazione al sodalizio dedito al traffico di droga di cui al capo A), ma si sia proceduto ad assolvere (OMISSIS) e a condannare il (OMISSIS) che verserebbe in identica posizione processuale. Tra le altre circostanze, dedotte con l'atto di appello e rispetto alle quali sarebbe stata omessa ogni valutazione nella motivazione della sentenza impugnata si annoverano ancora: le presunte condotte illecite del ricorrente si limiterebbero a quanto emerge nelle intercettazioni del 19 luglio 2016, visto che gli ulteriori risultati probatori sarebbero riferiti alla posizione di (OMISSIS); l'imputato sarebbe stato assente dall'Italia dall'inizio sino alla meta' dell'ottobre 2016, da qui l'indisponibilita' da parte di costui del cellulare in questione; la riferibilita' della somma di Euro 10.000,00 consegnata a (OMISSIS) all'inizio dell'incontro del 19 luglio 2016, non per la fornitura di droga ma per altre situazioni commerciali in essere con tale (OMISSIS); i messaggi in partenza dall'utenza non sarebbero mai stati scritti in prima persona plurale ma in prima persona singolare; i messaggi in entrata sarebbero tutti indirizzati ad una singola persona; l'incontro del 10 ottobre 2016 sarebbe stato fissato presso l'abitazione di un fornitore; gli inquirenti avrebbero affermato che l'utenza sarebbe stata utilizzata da chi ha venduto l'auto a (OMISSIS), che non sarebbe (OMISSIS) ma (OMISSIS), atteso che in un messaggio il (OMISSIS) aveva fissato un incontro per i conti e per l'auto, come si darebbe atto nelle sentenze di primo e secondo grado; i colloqui captati dagli inquirenti non avrebbero permesso di lumeggiare la figura del ricorrente come quella di un partecipe che dava un contributo indispensabile di natura stabile e permanente alla vita del sodalizio in cui lo stesso si era consapevolmente, sistematicamente e con permanenza inserito, risolvendosi il tutto nell'unico episodio contestato del 19 luglio 2016. Da quanto precede deriverebbe anche la violazione dell'articolo 533 c.p.p., ovvero della regola di giudizio dell'oltre ogni ragionevole dubbio. 21.1.2. Con una seconda censura, si lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 73, 74, articoli 125, 192 c.p.p., articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), articolo 533 c.p.p. e articolo 110 c.p., oltre che il vizio di motivazione nella misura in cui e' stata ritenuta provata la penale responsabilita' del ricorrente anche con riferimento ai singoli episodi delittuosi di cui al capo 1), omettendo, per converso, di fornire adeguata spiegazione alle specifiche doglianze formulate nell'atto di appello. Piu' specificatamente, le conversazioni intercettate illustrerebbero una realta' differente, poiche', pur parlandosi in esse di droga, della stessa non sarebbe stata acquisita alcuna prova a carico del ricorrente. L'unica prova a suo carico discenderebbe dal contenuto della conversazione intercettata il 19 luglio 2016; quanto invece all'incontro del 10 agosto 2016 in Brindisi tra i brindisini e il (OMISSIS), esso riguarderebbe la vendita dell'auto di (OMISSIS) a (OMISSIS) e non la cessione di droga; il viaggio di (OMISSIS) e (OMISSIS) del 23 agosto a Brindisi nulla apporterebbe alla versione accusatoria, atteso che i predetti non sarebbero stati sottoposti a perquisizioni e giammai sarebbe stata rinvenuta sostanza stupefacente nella loro disponibilita'; la circostanza, poi, che (OMISSIS) abbia festeggiato il suo compleanno il (OMISSIS) dimostrerebbe la sua assenza dal territorio italiano. In altri termini, mancherebbe la prova del tipo di sostanza effettivamente ceduta, dell'efficacia drogante dello stupefacente non essendo stato operato alcun sequestro; inoltre, mancherebbero intercettazioni telefoniche dal contenuto sufficientemente esplicito. La ricostruzione difensiva sarebbe avvalorata dall'allegazione di documenti - che la difesa sostiene di aver effettuato - ad un foglio citato nell'atto di appello, con cui si sarebbe dimostrato che la somma di Euro 10.000,00, come indicato da (OMISSIS) nell'interrogatorio di garanzia, sarebbe stata attinente alla vendita di gioielli ed argenteria dal ricorrente a (OMISSIS). Anche per quanto concerne il capo 1) dell'imputazione, in assenza di qualsiasi prova certa circa l'avvenuto scambio di droga o denaro tra (OMISSIS) e l'odierno ricorrente, si sarebbe violato il principio del ragionevole dubbio. 21.1.3. In terzo luogo, si censura la violazione dell'articolo 62-bis c.p., per la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Infatti, tanto in primo quanto in secondo grado, si sarebbe omesso di considerare che le quantita' di stupefacente, nel caso di specie, sarebbero asserite e non dimostrate, mancando il sequestro della sostanza stupefacente di cui si conversa nelle intercettazioni, che avrebbe permesso di verificare qualita', quantita' e percentuale di principio attivo; inoltre non si sarebbe adeguatamente considerato che il ricorrente avrebbe avuto scarse operativita' e fattualita', nonche' certamente una posizione non di rilievo nella presente vicenda, circoscritta a limitati e sporadici episodi ai margini dell'ipotizzato gruppo criminale. Inoltre, al termine della discussione, all'udienza del 13 luglio 2021, sarebbe stata prodotta documentazione medica relativa alle condizioni psico-fisiche del ricorrente, accompagnata da una nota. Seppure dal verbale non risulti un formale provvedimento di acquisizione della documentazione, la stessa dovrebbe ritenersi sostanzialmente avvenuta, in primo luogo perche' la documentazione non e' stata restituita alla difesa e, in secondo luogo, in considerazione del fatto che della produzione si da' atto al foglio 16 della gravata sentenza. Dunque, il giudice di secondo grado sarebbe stato tenuto ad esaminare i documenti indicati in quanto indubbiamente rilevanti ai fini della determinazione e della quantificazione della sanzione, bilanciando la pena rispetto alla sofferenza e alla depressione, quali sintomi di consapevolezza dei propri errori, manifestati dal ricorrente, attraverso l'unico strumento possibile, ossia le circostanze attenuanti generiche. 21.2. Il secondo ricorso, a firma dell'avv. (OMISSIS), e' affidato a quattro motivi. 21.2.1. Con una prima censura, si lamenta il vizio di motivazione in ordine sia alla configurazione della condotta materiale che dell'elemento soggettivo del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Quanto a questo secondo elemento, il giudice di secondo grado si sarebbe espresso in termini totalmente generici, limitandosi a citare soltanto alcuni passaggi delle intercettazioni e omettendo di confrontarsi con altri che viceversa darebbero atto del ruolo marginale svolto dal (OMISSIS): infatti, i riferimenti effettuati dagli interlocutori non sarebbero al ricorrente ma al figlio, identificato in sentenza con (OMISSIS), e proprio da questi discenderebbe che il rapporto contrattuale non fosse tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), ma tra quest'ultimo e il (OMISSIS); tale profilo, secondo la Corte di appello, sarebbe giustificato dalla circostanza che tra i due vi fosse piena interscambiabilita' di ruoli, omettendo pero' di considerare che (OMISSIS) sia stato assolto dal reato associativo a differenza di quanto avvenuto per (OMISSIS). Ad ogni buon conto, la motivazione risulterebbe altresi' contraddittoria e carente sempre con riferimento alla ricorrenza dei due elementi della continuita' dei rapporti e della consapevolezza di essi, in quanto il giudice di secondo grado avrebbe omesso di confrontarsi con ulteriori circostanze emergenti in atti: mancherebbe la prova diretta della consegna della sostanza stupefacente oggetto delle intercettazioni del 19 luglio 2016; secondo la Corte di appello la stessa discenderebbe dal fatto che nell'intercettazione si farebbe riferimento al dato che il trasporto sarebbe avvenuto con una moto e che due giorni dopo, il 21 luglio 2016, in un'intercettazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS), il primo comunicava che la moto era tornata, ma rispetto alla presunta consegna della sostanza la Corte ometterebbe di misurarsi con l'assenza di qualsivoglia contatto tra i presunti fornitori brindisini e il (OMISSIS); vi sarebbe un'evidente discrasia nella tempistica tra l'attivita' dell'associazione e il contributo offerto dal (OMISSIS), a fronte di un'associazione che opererebbe sul territorio dal maggio 2016 al maggio 2017, il rapporti tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) si registrerebbero soltanto da luglio ad ottobre 2016, tale circostanza andrebbe ad elidere in radice la parte motivazionale della sentenza laddove i giudici parlerebbero di fisso canale di approvvigionamento; sarebbe stata omessa la circostanza che il (OMISSIS) non sarebbe risultato intestatario di alcuna utenza dedicata, contrariamente al (OMISSIS), correo assolto dal reato associativo. Quindi il ricorrente non si sarebbe inserito all'interno dell'associazione dedita al traffico di stupefacenti ma, tuttalpiu', potrebbe essere chiamato a rispondere di singole condotte di cessione. 21.2.2. Si lamenta, poi, la violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, e articolo 530 c.p.p., comma 2, oltre al vizio di motivazione, nella parte in cui sarebbero stati violati i criteri concernenti la valutazione della prova per l'affermazione della responsabilita' penale, con specifico riferimento ai fatti di cui al capo 1) dell'imputazione, fondata esclusivamente sulla base dei risultati di intercettazioni telefoniche ed ambientali. Infatti, le conversazioni captate ed utilizzate avrebbero un contenuto tutt'altro che esplicito ma piuttosto ambiguo ed indefinibile, pertanto non sarebbero in grado di giustificare l'affermazione di responsabilita' penale, a fortiori alla luce delle deduzioni difensive. In particolare si sostiene che: nei messaggi che si sarebbero scambiati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), riguardo al debito del secondo, si fa esplicito riferimento, quale causa del debito, alla vendita di un' autovettura; il (OMISSIS) ha agito in piena autonomia; l'unico incontro accertato tramite il servizio di osservazione, controllo e pedinamento delle forze di polizia e' quello del 27 ottobre 2016, quando (OMISSIS) si e' recato presso l'abitazione di (OMISSIS); sugli altri incontri non vi sono invece accertamenti; la frase "la moto e' tornata" pronunciata da (OMISSIS) a (OMISSIS) nell'intercettazione n. 733 del 21 luglio 2016 e' estrapolata da una lunga conversazione in cui i due parlano di tale (OMISSIS) e di schede telefoniche e non si fa riferimento all'eventuale fornitura di sostanza da parte del (OMISSIS); nessun contatto e' stato captato tra (OMISSIS) o (OMISSIS) e la persona che avrebbe trasportato la sostanza ( (OMISSIS)), per la consegna della medesima. 21.2.3. In terzo luogo, ci si duole della violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, e del conseguente vizio di motivazione nella parte in cui la Corte ha escluso la qualificazione giuridica del fatto nell'ipotesi lieve di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, in mancanza di un accertamento sulla sostanza oggetto di scambio e, quindi, sulla natura, sulla qualita', sulla quantita' e sul numero di dosi estraibili. 21.2.4. Con una quarta censura, si contesta la violazione dell'articolo 62-bis c.p. laddove e' stata negata la concessione delle circostanze attenuanti generiche omettendo di valutare tutti quegli elementi rilevanti per una commisurazione adeguata dalla pena al caso concreto, senza rilevare che i precedenti dell'imputato sarebbero molto risalenti e omettendo di valutare altri aspetti della personalita' e della vita del (OMISSIS) emersi nel corso del procedimento. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Va premesso che la quasi totalita' delle censure - all'esame delle quali si procedera' con riferimento alle posizioni dei singoli imputati - sono inammissibili perche' dirette, con argomentazioni in parte generiche e in parte manifestamente infondate, ad ottenere una rivalutazione di elementi gia' presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un'effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970). Nella maggior parte dei casi, a fronte della ricostruzione e della valutazione della Corte di appello, i ricorrenti non offrono la compiuta rappresentazione e dimostrazione, di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata dal giudicante) di per se' dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioe', da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l'intrinseca incompatibilita' degli enunciati. 1.1. Deve ricordarsi, in punto di diritto, che la rilevabilita' del vizio di motivazione soggiace alla verifica del rispetto delle seguenti regole: a) il vizio deve essere dedotto in modo specifico in riferimento alla sua natura (contraddittorieta' o manifesta illogicita' o carenza), non essendo possibile dedurre il vizio di motivazione in forma alternativa o cumulativa; infatti non puo' rientrare fra i compiti del giudice della legittimita' la selezione del possibile vizio genericamente denunciato, pena la violazione dell'articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c), (ex plurimis, Sez. 2, n. 39138 del 10/09/2019; Sez. 2, n. 37298 del 28/06/2019); b) per il disposto dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), il vizio della motivazione deve essere desumibile dalla lettura del provvedimento impugnato, nel senso che esso deve essere "interno" all'atto-sentenza e non il frutto di una rivisitazione in termini critici della valutazione del materiale probatorio, perche' in tale ultimo caso verrebbe introdotto un giudizio sul merito valutativo della prova che non e' ammissibile nel giudizio di legittimita': di qui discende, inoltre, che e' onere della parte indicare il punto della decisione che e' connotata dal vizio, mettendo in evidenza nel caso di contraddittorieta' della motivazione i diversi punti della decisione dai quali emerga il vizio denunciato che presuppone la formulazione di proposizioni che si pongono in insanabile contrasto tra loro, si' che l'accoglimento dell'una esclude l'altra e viceversa (ex plurimis, Sez. 2, n. 11992 del 10/04/2020; Sez. 2, n. 20677 dell'11/04/2017, Rv. 270071); c) il vizio di motivazione deve presentare il carattere della essenzialita', nel senso che la parte deducente deve dare conto delle conseguenze del vizio denunciato rispetto alla complessiva tenuta logico-argomentativa della decisione. Infatti, sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita', la stessa illogicita' quando non manifesta, cosi' come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilita', della credibilita', dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (ex plurimis, Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021; Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, Rv. 28058902). 1.1.1. Inoltre, in tema di impugnazione, il requisito della specificita' dei motivi implica, a carico della parte impugnante, non soltanto l'onere di dedurre le censure che intenda muovere in relazione ad uno o piu' punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi fondanti le censure medesime, al fine di consentire al giudice di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (ex plurimis, Sez. 6, n. 17372 del 08/04/2021, Rv. 281112). Ne consegue che il ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimita' ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), ha l'onere - sanzionato a pena di a-specificita', e quindi di inammissibilita', del ricorso - di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimita' la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione (ex plurimis, Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Rv. 277518). Inoltre, deve ricordarsi, che la mancanza di specificita' del motivo va ritenuta non solo per la sua indeterminatezza, ma anche per la mancata correlazione tra le ragioni argomentate nella decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non puo' ignorare le esplicitazioni del giudice censurato. Pertanto, e' inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l'atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicita' della motivazione (ex plurimis, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970; Sez. 3, n. 44882 del 18/08/2014, Rv. 260608; Sez. 2, n. 29108 del 15/07/2011). 1.1.2. Parimenti, e' inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell'articolo 192 c.p.p., anche se in relazione all'articolo 125 c.p.p. e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all'ammissibilita' delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita' (Sez. U., n. 29541 del 16/07/2020, Rv. 280027 - 04). 1.2. Tali principi trovano applicazione anche in relazione al sindacato sui vizi della motivazione relativa alla determinazione della pena e alla valutazione delle circostanze. 1.2.1. La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e' sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (ex multis, Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Rv. 271243). 1.2.2. Inoltre, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice puo' limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche' anche un solo elemento attinente alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato ed alle modalita' di esecuzione di esso puo' risultare all'uopo sufficiente (ex plurimis, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549 - 02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899). 1.2.3. In terzo luogo, va ricordato che, ai fini della determinazione della pena, il giudice puo' tenere conto piu' volte del medesimo dato di fatto sotto differenti profili e per distinti fini senza che cio' comporti lesione del principio del ne bis in idem (ex plurimis, Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018, dep. 2019, Rv. 275904 - 03; Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rv. 264378; Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, dep. 2014, Rv. 258011). 1.3. Nell'approcciarsi alla disamina che seguira', deve infine richiamarsi il costante insegnamento di questa Suprema Corte, secondo il quale, in presenza di un articolato compendio probatorio, non e' consentito limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata dei singoli elementi, ne' procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma e' necessario, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l'intrinseca valenza dimostrativa (di norma possibilistica) e successivamente procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la - astratta - relativa ambiguita' di ciascuno di essi isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all'imputato "al di la' di ogni ragionevole dubbio" e cioe', con un alto grado di credibilita' razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all'ordine naturale delle cose e della normale razionalita' umana (ex multis, Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, Rv. 280605 - 02; Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, Rv. 266941; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, Rv. 258321). 1.3.1. A questo proposito, occorre ulteriormente rilevare - basandosi tutti i ricorsi, in misura piu' o meno estesa, su una richiesta di nuova valutazione delle risultanze probatorie - che l'interpretazione e la valutazione del contenuto di queste costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita', se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione (ex plurimis, Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Rv. 282337; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, Rv. 268389; Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263715; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Rv. 257784). Con specifico riferimento all'interpretazione delle risultanze delle intercettazioni delle conversazioni ambientali e telefoniche, il giudice di merito e' libero di ritenere che l'espressione adoperata assuma, nel contesto della conversazione, un significato criptico, specie allorche' non abbia alcun senso logico nel contesto espressivo in cui e' utilizzata ovvero quando emerge, dalla valutazione di tutto il complesso probatorio, che l'uso di un determinato termine indica altro, anche tenuto conto del contesto ambientale in cui la conversazione avviene (Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Rv. 267650). Inoltre, deve ricordarsi che, nell'attribuire significato ai contenuti delle intercettazioni, il giudice del merito deve dare mostra dei criteri adottati per attribuire un significato piuttosto che un altro. E tale iter argomentativo e' certamente censurabile in cassazione, ma soltanto ove si ponga al di fuori delle regole della logica e della comune esperienza mentre e' possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformita' risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 5, n. 1532 del 09/09/2020). 1.3.2. Con particolare riferimento al caso di conversazioni intercorse tra l'imputato e altri soggetti intranei alla medesima associazione, inconsapevoli della captazione in corso, le stesse non sono assimilabili a dichiarazioni "de relato", soggette a verifica di attendibilita' della fonte primaria, ma hanno valore di prova diretta, in quanto i loro contenuti sono frutto di un patrimonio condiviso, derivante dalla circolazione, all'interno del sodalizio, di informazioni e notizie relative a fatti di interesse comune degli associati (ex plurimis, Sez. 2, n. 49082 del 17/04/2018, Rv. 274808). E va esclusa la necessita' di riscontri ai sensi dell'articolo 192 c.p.p., comma 3, nel caso di intercettazioni telefoniche captate fra terzi, dalle quali emergano elementi di accusa nei confronti dell'indagato, fatto salvo l'obbligo del giudice di valutare il significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di linearita' logica (ex plurimis, Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, Rv. 268414). Infine, va rilevato che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attivita' di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, (ex plurimis, Sez. U., n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263714). 2. Le considerazioni appena svolte si attagliano pienamente al ricorso proposto da (OMISSIS), il quale e' inammissibile. 2.1. Il primo motivo - con cui si lamenta la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), - e' inammissibile perche' diretto, con argomentazioni in parte generiche e in parte manifestamente infondate, ad ottenere una rivalutazione di elementi gia' presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un'effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame. 2.1.1. Piu' dettagliatamente, la Corte di appello rende conto di come gli esiti delle indagini abbiano fornito l'inconfutabile prova della partecipazione del ricorrente all'associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, facendo emergere i rapporti istaurati da questo anche con (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che la consapevolezza che il (OMISSIS) fosse al vertice di un sodalizio dedito al traffico di droga. Infatti, in data 14 agosto 2016 egli aveva preso appuntamento per una fornitura con il (OMISSIS) a cui, ad un certo punto, comunicava un ritardo, del quale il (OMISSIS) informava conseguentemente (OMISSIS). I movimenti di quest'ultimo sono stati monitorati attraverso il Gps e cio' ha consentito di rilevare che, all'ordine impartito da (OMISSIS), (OMISSIS) partiva da via Bottego per giungere, percorrendo strade secondarie, nel solito luogo di incontro utilizzato da (OMISSIS) ed (OMISSIS), ove peraltro anche il (OMISSIS) giungeva unitamente alla sua fidanzata (OMISSIS) tre minuti dopo avere ricevuto lo squillo di (OMISSIS) che preannunciava il suo arrivo e che veniva localizzato in (OMISSIS) nel medesimo orario e nel medesimo luogo in cui si trovavano (OMISSIS) prima e (OMISSIS) poi. I successivi messaggi tra (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno dato conferma del buon esito della cessione; e' stato ritenuto evidente, quindi, che nella circostanza (OMISSIS) ebbe a ricevere la droga da (OMISSIS), nessun'altra spiegazione potendosi dare alla richiesta del (OMISSIS); a cio' e' stato aggiunto che il tutto avveniva sotto la supervisione proprio del (OMISSIS) e della (OMISSIS). D'altro canto, se alla cessione avesse dovuto provvedere il solo (OMISSIS) non vi sarebbe stata necessita' alcuna che sul luogo dell'appuntamento giungesse anche il (OMISSIS). Inoltre, l'intercettazione degli sms e la localizzazione del Gps della vettura del (OMISSIS) hanno provato come era sempre lui a consegnare la droga il 20 agosto 2016 all' (OMISSIS) nei pressi dell'ospedale di (OMISSIS) ove questo si era recato ad accompagnare la moglie che era in stato di gravidanza. Quanto, invece, all'episodio del 23 agosto 2016, il contestuale servizio di osservazione condotto unitamente al monitoraggio degli sms sui telefoni in uso al (OMISSIS) e diretti all' (OMISSIS) ha permesso di riscontrare come (OMISSIS) e (OMISSIS), a bordo dell'auto in uso a quest'ultimo, giungevano nelle vicinanze degli impianti sportivi presenti nella zona industriale di (OMISSIS) ove era stato fissato l'appuntamento con (OMISSIS) per la consegna della fornitura; i due dialogavano con questo fuori dalle rispettive autovetture per circa 40 minuti e successivamente ripartivano. Anche il 31 agosto 2016, dopo avere concordato l'incontro per una fornitura di droga, (OMISSIS) incaricava (OMISSIS) di recarsi all'appuntamento con (OMISSIS); (OMISSIS), come sempre, un'ora prima dell'appuntamento con (OMISSIS) si recava in via (OMISSIS) per prelevare lo stupefacente che temporaneamente portava con se' presso la propria abitazione di via (OMISSIS), dalla quale ripartiva subito dopo la conversazione telefonica avuta con (OMISSIS) alle 14:33 circa, alle successive 14:41 raggiungeva via (OMISSIS) e, davanti all'ingresso dell'ospedale di (OMISSIS), incontrava (OMISSIS). Dunque, del tutto correttamente, la Corte di appello, differentemente da quanto ipotizzato dalla difesa, ne ha dedotto che il ricorrente riceveva la propria fornitura da (OMISSIS) con una certa sistematicita', dopo avere preso accordi con il (OMISSIS); egli quindi ben sapeva che quest'ultimo poteva disporre della collaborazione del secondo, ossia non puo' negarsi che l' (OMISSIS) fosse ben consapevole di muoversi all'interno di un contesto associativo. Uno scambio di messaggi intercorso fra lui e (OMISSIS) prova come tale consapevolezza vi fosse anche in chi acquistava la droga dal ricorrente medesimo; in essi, infatti, Petracca, utilizzando un linguaggio criptico che faceva riferimento ad una fantomatica ragazza, in realta' intendeva consolidare i traffici commerciali che aveva gia' con (OMISSIS) e, per il suo tramite, con l'intera organizzazione guidata da (OMISSIS). Dopo aver ribadito la sua attenzione alla puntualita' nei pagamenti e garantito il rispetto di ogni obbligo legato all'illecita attivita', dimostrava la sua vicinanza ad (OMISSIS) e ai suoi sodali richiedendo forniture piu' consistenti di narcotico; (OMISSIS), dal canto suo, accettava la proposta stabilendo un incontro per la giornata successiva. Proprio il riferimento alla famiglia, in maniera perfettamente logica, e' stato ritenuto idoneo dal giudice di secondo grado a provare la consapevolezza anche dei clienti dell' (OMISSIS) che questi si muovesse all'interno di un contesto associativo del quale voleva fare parte. 2.2. La seconda doglianza - con cui si contesta la violazione degli articoli 581 e 597 c.p.p. nonche' la mancata esclusione dell'aggravante Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74, comma 4, - e' inammissibile. Preliminarmente e' necessario puntualizzare che la Corte di appello non ha escluso in radice, per tutti i sodali e quindi sul versante oggettivo, il carattere armato dell'associazione, ma si e' limitata, in accoglimento dei motivi di appello proposti da alcuni partecipi, con cui si intendeva far valere la mancata conoscenza della detenzione di armi quindi il carattere armato dell'associazione, a non applicare, solo nei loro confronti, la contestata aggravante con conseguente rideterminazione della pena. Quanto invece alla posizione di (OMISSIS), e' necessario rilevare come manchi nell'atto di appello la specifica contestazione in ordine alla consapevolezza del carattere armato dell'associazione, non potendosi ritenere questa implicita nel generico motivo formulato in ordine alla semplice consapevolezza della partecipazione all'associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Invero, in linea generale, costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte ritenere sistematicamente non consentita la proposizione per la prima volta in sede di legittimita' di uno dei possibili vizi della motivazione, con riferimento a profili richiamabili, ma non richiamati, nell'atto di appello, sia pur collegati, come e' ovvio, all'inquadramento giuridico del fatto di reato contestato al ricorrente ed alle sue circostanze. A ritenere altrimenti, infatti, il giudice di legittimita' potrebbe disporre un annullamento del provvedimento impugnato in relazione ad un punto della decisione in ipotesi inficiato dalla mancata, contraddittoria o manifestamente illogica considerazione di elementi idonei a fondare il dedotto vizio di motivazione, ma intenzionalmente sottratti alla cognizione del giudice di appello. Riconoscendo la possibilita' di estendere il suo sindacato anche a vizi della motivazione non dedotti in appello, invero, il giudice di legittimita' sarebbe anche indebitamente chiamato ad operare valutazioni di natura fattuale funzionalmente devolute alla competenza del giudice di merito di secondo grado; dall'altro canto, sarebbe facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della sentenza impugnata, avuto riguardo al punto della decisione oggetto di appello, in riferimento ad elementi che in quella sede non avevano costituito oggetto della richiesta di verifica giurisdizionale, ma siano stati richiamati solo ex post a fondamento del ricorso per cassazione (ex plurimis, Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Rv. 280306; Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, Rv. 279903; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Rv. 276062; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, Rv. 271869; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Rv. 270316; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, Rv. 269368). Sintetizzando all'essenziale, non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perche' non devolute alla sua cognizione (Sez. 5, n. 28514 del 23/4/2013, Rv. 255577). Nel caso di specie, il ricorrente, per sua stessa affermazione, si e' limitato a contestare esclusivamente la sussistenza della consapevolezza della partecipazione all'associazione e non, specificatamente, l'ulteriore consapevolezza del carattere armato dell'associazione stessa; correttamente dunque il giudice di secondo grado non si e' pronunciato su tale secondo profilo e, conseguentemente, non puo' non rilevarsi come oggi la questione sia preclusa in sede di legittimita', mancando qualsiasi onere di motivazione a monte in assenza di una specifica contestazione. Analoghe conclusioni devono trarsi con riferimento all'applicazione dell'aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 3. Essa non e' stata oggetto di specifico motivo in sede di appello; quindi, deve ritenersi assente qualsiasi onere di motivazione sul punto in capo al giudice di secondo grado, il quale, comunque, operando una puntuale ricostruzione dei fatti e richiamando le numerose intercettazioni ambientali e telefoniche ove compare anche il ricorrente, non ha mancato di rilevare come risulti infondata la doglianza - formulata da altri ricorrenti - relativa al numero di partecipanti superiore a dieci, tale essendo indubbiamente risultato il numero dei sodali. 2.3. Il terzo motivo di ricorso - con cui si deduce la violazione dell'articolo 629 c.p. con riferimento al capo 25) dell'imputazione, difettando la prova degli elementi costitutivi del reato di estorsione - e' inammissibile perche' diretto, con argomentazioni in parte generiche, ottenere una rivalutazione di elementi presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito. Valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 2.1., da intendersi come richiamate. La Corte di appello ha infatti dato conto in modo chiaro e coerente di come il reato in esame riguardi la richiesta inoltrata, con violenza e minaccia, a (OMISSIS) e alla sua famiglia, di una somma di denaro pari a Euro 600,00, quale compenso per le forniture di droga effettuate dall' (OMISSIS). Logicamente e' stato ritenuto che la natura illecita del debito derivi dalla lettura congiunta di diversi elementi: in primis lo (OMISSIS) si preoccupava del fatto che il padre non venisse a sapere nulla del debito, segno che questo non aveva origini lecite; in secondo luogo, se fosse stato di natura lecita, l' (OMISSIS) avrebbe avuto un qualsivoglia titolo per azionarlo e riceverne soddisfacimento; in terzo luogo non sono emersi rapporti di altro genere - ne' la difesa li ha addotti in appello - che costituiscano una valida alternativa lettura delle emergenze investigative; la minaccia, poi, era assolutamente idonea a coartare la volonta' dello (OMISSIS) e della madre alla luce dell'insistenza, della prospettazione di attentare anche all'incolumita' fisica della persona offesa, dei pregressi rapporti fra i due, allorquando, in analoga situazione, lo (OMISSIS) era stato malmenato dall'imputato. Circostanza, quest'ultima, che e' stata dedotta dalle dichiarazioni della madre, (OMISSIS), ma anche dall'arrendevolezza dello (OMISSIS). che, nel corso di una delle conversazioni, al fine di tranquillizzare il suo creditore, dichiarava di essere pronto a prendere anche degli schiaffi. Considerata la natura illecita del debito e tenuto conto che le minacce venivano rivolte anche ad un soggetto terzo estraneo al rapporto debitorio, ossia la madre dello (OMISSIS), correttamente si e' ritenuto che il fatto non potesse essere ascritto alla fattispecie di cui all'articolo 393 c.p., come preteso dalla difesa. In punto di diritto, infatti, deve ricordarsi che e' configurabile il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone, in presenza di una delle seguenti condizioni relative alla condotta di esazione violenta o minacciosa di un credito: a) la sussistenza di una finalita' costrittiva dell'agente, volta non gia' a persuadere ma a costringere la vittima, annullandone le capacita' volitive; b) l'estraneita' al rapporto contrattuale di colui che esige il credito, il quale agisca anche solo al fine di confermare ed accrescere il proprio prestigio criminale attraverso l'esazione con violenza e minaccia del credito altrui; c) la condotta minacciosa e violenta finalizzata al recupero del credito sia diretta nei confronti non soltanto del debitore ma anche di persone estranee al sinallagma contrattuale (ex plurimis, Sez. 2, n. 5092 del 20/12/2017, dep. 2018, Rv. 272017; Sez. 2, n. 11453 del 17/02/2016, Rv. 267123; Sez. 2, n. 44657 del 08/10/2015, Rv. 265316). Nel caso di specie la Corte di appello, perfettamente in linea con la richiamata giurisprudenza, ha evidenziato come non potesse dirsi che l' (OMISSIS) avesse un titolo e men che meno che potesse eventualmente azionarlo nei confronti della madre dello (OMISSIS) cui egli si era rivolto per il soddisfacimento della sua pretesa, specificando ancora che ove l'origine fosse stata lecita, l'aver tentato il soddisfacimento con minaccia nei confronti della madre, terza estranea rispetto al rapporto debitorio che non aveva assunto alcuna garanzia ne' scritta ne' di fatto per il debito del figlio, integra comunque l'ipotesi estorsiva; e' stato infatti escluso che la (OMISSIS) avesse mai assunto volontariamente la posizione di garante, mentre la sua condotta era chiaramente diretta ad evitare che il figlio subisse le conseguenze, in termini di incolumita' fisica, derivanti dal suo inadempimento. Se ella ad un certo punto ammetteva che avrebbe provveduto personalmente all'estinzione, cio' avveniva solo a seguito delle minacce subite per far tacitare i propositi criminosi dell' (OMISSIS) che gia' in passato aveva malmenato il figlio; giammai quindi questa partecipo' alla genesi del rapporto obbligatorio e in nessuna occasione assunse la posizione debitoria del figlio. In considerazione di quanto sopra, anche ove la natura del credito fosse stata lecita, la condotta assunta nei suoi confronti, terza estranea al rapporto obbligatorio, correttamente e' stata ritenuta elemento costitutivo del reato di estorsione. 2.4. Il quarto motivo di ricorso - con cui si censura la violazione degli articoli 62-bis e 81 c.p. - e' parimenti inammissibile. Quanto al primo, la Corte territoriale ha riconosciuto l'assenza di elementi positivi che potessero giustificare la concessione delle invocate circostanze attenuanti generiche, aggiungendo che il ricorrente non ha mai assunto un atteggiamento collaborativo o anche solo ammissivo e non ha mai provveduto a risarcire il danno; per contro e' stato evidenziato come sussistessero elementi di segno contrario, che hanno correttamente indotto al rigetto della richiesta delle attenuanti generiche: il certificato del casellario giudiziale e' stato ritenuto particolarmente illuminante circa la personalita' negativa dell' (OMISSIS), avendo egli riportato diverse condanne, di cui tre per il medesimo titolo di reato. Quanto invece agli aumenti di pena a titolo di continuazione, e' stato considerato che in primo grado il giudice, a fronte della gravita' del reato estorsivo le cui modalita' sono risultate particolarmente invasive e dolorose avendo interessato anche la madre della vittima, si e' limitato ad indicare un aumento pari a soli 6 mesi di reclusione e che per ciascuno degli episodi di spaccio la stessa e' stata contenuta in 3 mesi di reclusione; conseguentemente la pena irrogata e' stata ritenuta congrua ed equa, anche tenendo conto del fatto che e' stato omesso qualsivoglia aumento per la contestata aggravante dall'essere l'associazione formata da piu' di dieci persone. 3. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 3.1. Il primo motivo di doglianza, con il quale si denunciano - la violazione di legge con riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e all'articolo 192 c.p.p., comma 2, ed il vizio di motivazione del provvedimento impugnato - e' inammissibile. La difesa si e' limitata a sottoporre una serie di aspetti esclusivamente valutativi della vicenda in esame, e pertanto preclusi al sindacato di questa Suprema Corte. In ogni caso, deve essere considerata logica e coerente la valutazione degli elementi probatori operata dalla Corte di appello, da cui emerge come la droga acquistata dall'imputato non potesse essere utilizzata dallo stesso per il mero consumo personale, attraverso il richiamo puntuale a conversazioni telefoniche captate, nelle quali il (OMISSIS), rivolgendosi al ricorrente, faceva esplicito riferimento all'attivita' di pesatura, invitando l'interlocutore al controllo della quantita' della sostanza ricevuta. Da un'ulteriore intercettazione si desume con certezza che l'imputato possedesse nella sua abitazione un quantitativo di stupefacente superiore a quello necessario per soddisfare il suo fabbisogno personale, tanto che, ove la polizia giudiziaria fosse stata assistita, nella sua attivita' di perquisizione dell'abitazione del (OMISSIS), da unita' cinofile, lo stesso si sarebbe trovato in seri problemi con la giustizia; paura che non si sarebbe manifestata ove lo stesso avesse posseduto stupefacenti per il solo consumo personale. 3.2. La seconda censura - riferita alla pretesa violazione degli articoli 62-bis, 99 e 133 c.p., e al vizio di motivazione del provvedimento impugnato - e' inammissibile. La quantificazione della pena operata dalla Corte territoriale deve considerarsi adeguata, tenuto conto della gravita' delle condotte contestate all'imputato e del corretto riconoscimento della recidiva. Infatti - posto che il giudice e' tenuto a verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosita' del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualita' e al grado di offensivita' dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneita' esistente tra loro, all'eventuale occasionalita' della ricaduta e ad ogni altro parametro individualizzante significativo della personalita' del reo e del grado di colpevolezza, al di la' del mero e indifferenziato riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali - nel caso in esame il solo elemento della lontananza nel tempo delle condanne non e' sufficiente, poiche' concorrono, e risultano prevalenti, il numero elevato delle condanne per crimini in materia di sostanze stupefacenti, ben sette, e la mai dismessa capacita' criminale dell'imputato quale emerge dagli atti di causa, che rendono neutro il mero dato temporale ed inducono ad escludere le circostanze attenuanti generiche. 4. Il ricorso proposto da (OMISSIS) deve essere dichiarato inammissibile. 4.1. Il primo motivo - con cui si lamenta, in sostanza, la vaghezza dell'imputazione - e' manifestamente infondato. A differenza di quanto dedotto dalla difesa dell'imputato - e come ben evidenziato dalla Corte distrettuale - nel capo 40 e' specificatamente indicato ogni elemento costitutivo del reato ascritto in concorso. E' infatti richiamata la condotta illecita ("ricevevano per il successivo spaccio"), sono puntualizzate le modalita' ("ricevevano da (OMISSIS) e (OMISSIS)"), e' specificata la tipologia di droga consegnata ("imprecisati ma consistenti quantitativi di eroina"), sono fissati il luogo di commissione del reato ("in (OMISSIS)") e il periodo temporale ("dal 5 ottobre 2016 al 4 marzo 2017"). 4.2. Il secondo motivo di ricorso - con cui si lamentano il travisamento del fatto, il travisamento della prova e la contraddittorieta' della motivazione - deve anch'esso essere dichiarato inammissibile. La Corte territoriale infatti, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa - quale si limita a riproporre in cassazione una doglianza gia' motivatamente disattesa - ha coerentemente motivato in punto di responsabilita' degli imputati. Si e' accertato, in particolare, come dalle stesse dichiarazioni del (OMISSIS) fosse emerso che costui talvolta prendeva 10 grammi di droga per assumerne 5 e venderne 5. Dalle indagini poi evidenziano i giudici d'appello - erano emerse le modalita' di distribuzione della sostanza stupefacente, la cui prova della destinazione allo spaccio e' facilmente evincibile dalla frequenza degli incontri cui seguivano consegne di forniture, assolutamente incompatibili con il mero uso personale (pagg. 20-21 della sentenza). 4.3. Il terzo e il quarto motivo di ricorso - relativi alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., comma 4, e all'applicazione della recidiva - sono parimenti inammissibili. Infatti, come rilevato dalla Corte d'appello, il fatto ascritto all'imputato non puo' essere ritenuto di modesta rilevanza, alla luce della frequenza degli approvvigionamenti e delle quantita' smerciate. Inoltre, come sottolineato nella sentenza impugnata, non e' presente alcun elemento positivo di giudizio che giustifichi una mitigazione del trattamento sanzionatorio. L'imputato, infatti, non ha mai assunto un atteggiamento resipiscente e la parziale ammissione dei fatti offerta da quest'ultimo acquista valore neutro a fronte della chiarezza delle emergenze investigative e della sua negativa personalita', desumibile dal certificato del casellario. 5. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' inammissibile. 5.1. Il primo motivo di ricorso - con cui ci si duole della mancata riqualificazione del fatto di cui al capo di imputazione 37) nell'ipotesi lieve di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, sul rilievo che i coimputati che hanno definito il procedimento con patteggiamento hanno visto riconosciuta tale ipotesi - e' inammissibile. La giurisprudenza di legittimita' ha affermato che in tema di concorso di persone nel reato di cessione di stupefacenti, il medesimo fatto storico puo' essere ascritto ad un imputato ai sensi dell'articolo 73, comma 1, e ad un altro a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, qualora il contesto complessivo nel quale si collochi la condotta assuma caratteri differenti per ciascun correo. Ad esempio, si e' applicato tale principio a fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta l'esclusione della ipotesi di lieve entita' per il venditore della sostanza perche', a differenza del compratore, aveva contatti stabili e continuativi con i grandi canali di approvvigionamento (Sez. 3, n. 16598 del 20/02/2020, Rv. 278945; Sez. 6, n. 2157 del 09/11/2018, dep. 2019, Rv. 274961). Un orientamento difforme ha sostenuto che in tema di concorso di persone nel reato di detenzione o cessione di sostanze stupefacenti, il medesimo fatto storico non puo' essere qualificato ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 1 o 4, nei confronti di alcuni concorrenti e contemporaneamente ricondotto nell'ambito dell'articolo 73, comma 5, nei confronti di altri, stante l'unicita' del reato nel quale si concorre, che non puo', quindi, atteggiarsi in modo diverso rispetto ai singoli concorrenti (Sez. 4, n. 30233 del 07/07/2021, Rv. 281836; Sez. 4, n. 34413 del 18/06/2019, Rv. 276676 - 02). La predette pronunce non hanno pero' trovato seguito, in quanto la giurisprudenza di legittimita' successiva ha ribadito che il contesto complessivo nel quale si collochi la condotta, deve essere valutato tenendo conto della quantita' di stupefacente trattato, nonche' dei mezzi, delle modalita' e delle circostanze dell'azione, per cui non si puo' affermare che vi sia unicita' del reato, stante i caratteri differenti che assume per ciascun correo (Sez. 3, n. 20234 del 04/04/2022, Rv. 283203). Nel caso di specie, la Corte di appello ha evidenziato che deve escludersi che il fatto possa essere ritenuto di lieve entita' alla luce del ruolo di primo ordine svolto da (OMISSIS): egli, infatti, oltre ad essere stato colui che si era portato direttamente dal fornitore per l'acquisto della droga, era anche colui che aveva provveduto alla consegna al (OMISSIS), garantendosi che quest'ultimo lasciasse il luogo convenuto in sicurezza. A queste considerazioni, i giudici di merito mostrano come assumano rilevanza sia la quantita' di droga sequestrata, oltre mezzo chilo, sia la sua posizione di supremazia rispetto a (OMISSIS). 5.2. Il secondo motivo di ricorso - con si deduce la violazione degli articoli 81 e 133 c.p., nonche' il connesso vizio di motivazione, in ordine al trattamento sanzionatorio - e' inammissibile. La Corte d'appello ha ben evidenziato che, dato il ruolo del ricorrente e data la quantita' di droga smerciata, si doveva erogare una pena superiore al limite al minimo edittale, seppur inferiore a quella applicata in primo grado. In ordine agli aumenti di pena per i reati posti in continuazione, a fronte della personalita' dell'imputato, particolarmente attivo nel rifornimento, nell'approvvigionamento e nella distribuzione della sostanza stupefacente, e della quantita' di merce smerciata, si e' correttamente ritenuto congruo un aumento pari a 6 mesi di reclusione, in quanto la pena conseguentemente irrogata e' stata ritenuta congrua ed equa. A fronte di tale motivazione, le ragioni del ricorso appaiono meramente riproduttive di doglianze gia' disattese in secondo grado e comunque fondate sul generico richiamo ad un atteggiamento positivo dell'imputato post delictum, in realta' inesistente. 6. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 6.1. La prima doglianza - con la quale si denunciano il vizio di legge con riferimento alla mancata riduzione della pena nei confronti di (OMISSIS) quale partecipe dell'associazione a delinquere contestata sub capo A) della rubrica per effetto della ritenuta insussistenza dell'aggravante speciale relativa al "carattere armato dell'associazione", nonche' l'illogicita' della motivazione - e' inammissibile. Essendo tale motivo di ricorso sostanzialmente sovrapponibile a quanto dedotto dal coimputato (OMISSIS), puo' farsi rinvio alle considerazioni gia' svolte sub 2.2. 6.2. Il secondo motivo di ricorso - con il quale si denuncia la mancata applicazione dell'articolo 62-bis c.p. con giudizio di prevalenza rispetto alle contestate aggravanti - e' inammissibile. Si tratta, anche in questo caso, della mera riproduzione di una censura di appello, gia' generosamente considerata dei giudici di secondo grado, i quali hanno rivisitato in diminuzione il trattamento sanzionatorio valutando lo stato di incensuratezza e l'atteggiamento parzialmente collaborativo dell'imputato, ma anche richiamando la ripetitivita' della condotta e il carattere parziale dell'ammissione degli addebiti; mentre la difesa non adduce elementi ulteriori rispetto a quelli che furono oggetto di gravame. 7. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' infondato. 7.1. Il primo motivo - con cui si deduce il vizio di motivazione e l'avvenuto travisamento della prova in considerazione del mancato riascolto dell'intercettazione ambientale n. 578 del 19 luglio 2016 ore 21:22 - e' inammissibile, perche' generico. Il ricorrente, infatti, non contesta la parte della motivazione del gravato provvedimento in cui vengono riassunti i motivi di appello e dai quali non emerge la richiesta di nuovo ascolto della citata intercettazione ne' tantomeno indica, in modo specifico e puntuale, quando tale richiesta sia stata effettuata e con quale provvedimento la Corte di appello gli abbia risposto rigettandola. Cio' posto, appare opportuno ricordare che l'intercettazione e' una prova precostituita, che non si forma in dibattimento e viene semplicemente rimessa, in un momento successivo, al giudice di merito per le sue determinazioni. Nel caso di specie, per di piu', la Corte di appello ha anche dato prova di conoscere il contenuto della suddetta intercettazione, avendola utilizzata per la stesura dell'impianto motivazionale. Tutto cio' premesso, rilevata la genericita' del motivo di ricorso proposto, anche per la mancata indicazione del preteso contenuto dell'intercettazione travisata, deve comunque ribadirsi il principio di diritto secondo il quale l'interpretazione delle risultanze delle intercettazioni delle conversazioni ambientali e telefoniche costituisce valutazione di merito. E l'iter argomentativo e' certamente censurabile in cassazione, ma soltanto ove si ponga al di fuori delle regole della logica e della comune esperienza, mentre e' possibile prospettare un'interpretazione del significato di un'intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformita' risulti decisiva ed incontestabile, conformemente ai principi gia' illustrati sub. 1.3.1. e 1.3.2. Conclusivamente, la Corte, in modo assolutamente logico, ha affermato che le indagini esperite in fase preliminare hanno portato gli inquirenti ad acquisire un dato: il (OMISSIS), nel contesto criminale in cui maturavano i fatti, era indicato come figlio del (OMISSIS), pur essendone il nipote, e a lui era associato l'appellativo " (OMISSIS)". 7.2. La seconda censura - con cui si lamenta il vizio di motivazione con specifico riferimento al passaggio in cui si assume che la riferibilita' del diminutivo "figlio" o " (OMISSIS)" alla persona dell'imputato possa essere desunta da un dialogo intrattenuto da (OMISSIS) con un altro uomo - e' inammissibile; valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 1.3.1., 1.3.2., da intendersi come richiamate. Piu' nel dettaglio, la Corte ha evidenziato come il dato che la persona indicata quale figlio di (OMISSIS) o con l'appellativo " (OMISSIS)" fosse certamente l'imputato potesse desumersi da altri elementi, quale, ad esempio, il fatto che il 10 agosto 2016 (OMISSIS), a bordo del veicolo Volkswagen Golf, si era recato a (OMISSIS), proprio nel medesimo punto in cui il 19 luglio 2016 si era incontrato con (OMISSIS); questa volta pero', dopo essere sceso dal mezzo, (OMISSIS) si era avvicinato momentaneamente allo stesso mentre era intento a dialogare con un altro uomo la cui voce veniva riconosciuta, senza alcun dubbio, dal personale dei carabinieri di Brindisi in quella di (OMISSIS), precedentemente intestatario dell'autovettura utilizzata dal (OMISSIS) e sottoposta ad intercettazione. Due, quindi, erano gli elementi che portavano con certezza all'odierno imputato: il riconoscimento della voce e la pregressa intestazione dell'autovettura del (OMISSIS) a suo nome. Inoltre, dai messaggi inviati da (OMISSIS) a (OMISSIS) si e' rilevato che fra i due vi fossero in corso due tipi di transazioni economiche: la prima riguardava la vendita dell'auto da quest'ultimo al primo e la seconda il pagamento di forniture di droga; proprio l'elemento della precedente intestazione dell'auto condotta dal (OMISSIS) in capo al (OMISSIS) ha consentito la corretta conclusioni dei giudici di merito, perche' egli era certamente l'utilizzatore dell'utenza (OMISSIS) sulla quale venivano captati diversi messaggi inviati dallo (OMISSIS) e dal (OMISSIS) contenenti richieste di incontri per forniture ed accordi per pagamenti. Ne ha fornito riscontro lo scambio di messaggi in data 14 ottobre 2016, con cui il (OMISSIS) chiedeva di pazientare ancora qualche giorno garantendo comunque la consegna di Euro 2.000,00 per l'autovettura ed Euro 5.000,00 o 6.000,00 per le pregresse forniture: nei giorni successivi si accertava che presso l'abitazione di (OMISSIS) avveniva il pagamento di una fornitura da parte del (OMISSIS) che si serviva, allo scopo, dello (OMISSIS). Il mirato servizio di osservazione, controllo e pedinamento consentiva quindi ai carabinieri di accertare che (OMISSIS), a bordo della sua autovettura Fiat Punto, all'orario pattuito, si recava a (OMISSIS) ove, dai successivi accertamenti, risultava domiciliare (OMISSIS). Con specifico riferimento, poi, al riconoscimento della voce da parte degli operanti - a fronte dello scetticismo palesato dal ricorrente, il quale non ha comunque contestando che egli fosse il reale dialogante - va evidenziata la coerenza della conclusione dei giudici di primo e secondo grado, secondo cui e' piu' che plausibile che gli appartenenti alla polizia giudiziaria, costantemente impegnati sul fronte della repressione del traffico di stupefacenti e pertanto perfettamente in grado di riconoscere il timbro della voce di soggetti a loro noti, avessero compreso a chi appartenesse quella voce. La Corte ha correttamente ritenuto che proprio quegli elementi dei quali la difesa adduce l'irrilevanza provano inconfutabilmente il ruolo del (OMISSIS) e la sua vicinanza al (OMISSIS); infatti, questo ha effettuato l'incontro con il suo acquirente esattamente nello stesso luogo in cui precedentemente era avvenuto con (OMISSIS): la circostanza, lungi dall'essere una mera causalita', e' stata correttamente ritenuta, al contrario, il segno dell'ascrivibilita' del fatto al medesimo contesto. 7.3. La terza doglianza - con cui si censura il travisamento della prova nella misura in cui la Corte avrebbe omesso di considerare che la via (OMISSIS) non sarebbe mai stata il luogo ne' di residenza ne' di domicilio dell'imputato - e' infondato. E' infatti sufficientemente dimostrato che l'odierno ricorrente non fosse residente alla via (OMISSIS), tanto che la Corte, in motivazione, si e' limitata a riconoscere che lo stesso abbia domiciliato nel luogo in occasione dell'incontro con lo (OMISSIS) al fine di ricevere, per il suo tramite, il denaro dovuto dal (OMISSIS) per la cessione dello stupefacente e la vendita dell'autovettura, senza mai giungere ad affermare che l'imputato fosse li' residente. In tale quadro, e' privo di pregio e' il tentativo di contestare il dato fattuale appreso dalla polizia giudiziaria in sede di indagini con un dato formale, quale il certificato storico di residenza, che di per se' potrebbe essere in astratto inidoneo a destituire di fondamento tale ricostruzione ma la cui valenza concreta gia' stata motivatamente esclusa dalla Corte di appello, anche per la mancata indicazione da parte della difesa di un luogo alternativo di reale domicilio. 8. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 8.1. Il primo motivo - riferito alla violazione del diritto di difesa conseguente all'acquisizione delle note del funzionario responsabile del centro di intercettazioni relative allo svolgimento delle operazioni, che avrebbe negativamente influito sulla scelta del rito e avrebbe introdotto nel procedimento atti inutilizzabili - e' manifestamente infondato. Come rilevato correttamente dalla Corte di appello, solo le eccezioni di cui all'articolo 491 c.p.p. impongono al giudice la decisione immediata; mentre sede di udienza preliminare, il giudice puo' scegliere di valutare la fondatezza di altre eccezioni - fra le quali quella della inutilizzabilita' delle disposte intercettazioni - in esito alla discussione. Nel caso in esame la difesa, dopo aver sollevato la eccezione concernente la utilizzabilita' delle intercettazioni disposte nell'ambito del presente procedimento, ha poi optato per il rito abbreviato, cosi' accollandosi il rischio che la decisione si fondasse anche sul loro contenuto. La possibilita' di postergare la decisione in esito alla discussione non ha procurato nessuna lesione del diritto di difesa, atteso che, ove la eccezione fosse stata ritenuta fondata, il giudice avrebbe deciso senza tenere conto del contenuto di quelle intercettazioni, cosi' compiendo un'operazione favorevole agli imputati. In caso contrario, le avrebbe utilizzate, ma il contenuto di quegli atti di indagine era gia' noto agli appellanti, facendo parte del fascicolo delle indagini. Dunque, l'imputato non ha subito, ne' avrebbe potuto subire, alcun pregiudizio (e questa probabilmente e' la ragione sottesa alla scelta legislativa di consentire la decisione delle eccezioni unitamente al merito), visto che l'opzione di essere giudicati allo stato degli atti comporta l'accettazione del rischio della loro integrale utilizzazione. In ordine all'eccezione relativa all'acquisizione delle 41 schede redatte dal funzionario responsabile del centro intercettazioni, non si tratta di schede acquisite in epoca successiva dal giudice di prime cure, ma di atti facente parti delle indagini preliminari e in particolare di quelle esperite a mezzo di intercettazioni telefoniche, che gia' facevano parte del fascicolo e la cui utilizzabilita' totale deriva dal rito prescelto; ne' la loro mancata iniziale trasmissione influisce sulla loro utilizzabilita'. I giudici di merito hanno offerto ampia e articolata giustificazione della infondatezza della eccezione, precisando correttamente che la condizione necessaria per l'utilizzabilita' delle intercettazioni e' che la registrazione - che consiste nell'immissione nella memoria informatica centralizzata (server), dei dati captati nella centrale dell'operatore telefonico - sia avvenuta per mezzo degli impianti installati in Procura, anche se le operazioni di ascolto, verbalizzazione e riproduzione dei dati registrati siano eseguite negli uffici di polizia giudiziaria" (Cass., Sez. Un., 26 giugno 2008, n. 36359). Tutte le attivita' di intercettazione eseguite nel procedimento in oggetto sono state disposte con altrettanti decreti ex articolo 267 c.p.p., con i quali si e' ordinato che le operazioni di intercettazione fossero compiute per mezzo degli impianti installati nella Procura della Repubblica ed eseguite, per quelle telefoniche, con le modalita' tecniche concordate con gli operatori di telecomunicazioni. La funzione di raccordo con gli operatori di telecomunicazioni, determinante per il pieno controllo del pubblico ministero sulle attivita' di intercettazione/registrazione e per garantire e dare conto - anche successivamente - del rispetto della disposizione ex articolo 268 c.p.p., viene svolta dal Centro di Intercettazione delle Telecomunicazioni, unita' organizzativa alla quale, con i decreti dispositivi del pubblico ministero, per ciascun bersaglio e' stato demandato il compito di provvedere agli adempimenti tecnici ed amministrativi di competenza, necessari per il tempestivo avvio dell'attivita' di intercettazione disposta. Cosi', nel procedimento in questione, il funzionario responsabile ha provveduto alla redazione delle note con le quali sono stati comunicati di volta in volta agli operatori di telecomunicazioni coinvolti, oltre ai parametri necessari per l'individuazione dell'apparecchio radiomobile da intercettare e ai parametri delle risorse di rete cui trasmettere i dati captati. 8.2. La seconda doglianza - riferita al capo A) di imputazione, in merito alla sussistenza di un sodalizio criminale e alla partecipazione ad esso dell'imputata e' inammissibile, in quanto ripropone una valutazione alternativa dei fatti gia' disattesa in primo e secondo grado. I giudici di merito hanno rilevato che il contributo della (OMISSIS) in favore del sodalizio capeggiato dal compagno si palesava chiaramente in occasione dell'episodio di cui al capo 8). In tale circostanza, ella era con (OMISSIS) sia nella fase del sopralluogo per la individuazione del posto in cui operare lo scambio, cercando, insieme a lui, la presenza di eventuali telecamere, sia nella fase finale in cui accompagnava, facendo da staffetta, il sodale, incaricato del trasporto da (OMISSIS). Inoltre, condivideva con (OMISSIS) valutazioni in ordine alle operazioni di acquisto dai fornitori di (OMISSIS) e strategie di scelta degli approvvigionamenti. Il compagno, infatti, riferiva alla (OMISSIS) ogni problematica afferente alle consegne di droga e questa a sua volta era sempre pronta a suggerimenti e considerazioni, come nel caso in cui i fornitori di (OMISSIS) non sembravano in grado di soddisfare la ulteriore richiesta di droga del (OMISSIS). L'imputata aveva un ruolo fondamentale anche in occasione del rifornimento del 29 luglio 2016, allorquando (OMISSIS) e (OMISSIS) dovevano incontrarsi per lo scambio droga-denaro. Temendo di essere controllati ( (OMISSIS) perche' aveva visto auto della polizia in giro, (OMISSIS) perche' temeva che fossero state installate delle microspie all'interno della sua macchina) la fissazione dell'appuntamento avveniva attraverso le apparecchiature telefoniche delle rispettive compagne. Ulteriormente, non e' trascurabile che il (OMISSIS) in almeno due occasioni (capo 9) sceglieva il punto in cui si trovava la abitazione della (OMISSIS) per effettuare le operazioni relative agli scambi o agli incontri con il (OMISSIS) che, poi da li', partiva con la moto per il Salento. A cio', la Corte di appello aggiunge la circostanza secondo cui a lei sarebbe spettata, come alle mogli di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), una corresponsione mensile da parte dell'associazione. 8.3. Il terzo motivo - con cui si censura la mancata qualificazione dell'associazione nella fattispecie di lieve entita', non emergendo dalle intercettazioni un'attivita' di spaccio di ingenti volumi di sostanza stupefacente - e' inammissibile, sia perche' formulato in modo non specifico, sia perche' afferente a un profilo che non era stato devoluto nel giudizio di appello, come emerge dal riassunto delle doglianze proposte, che la difesa non ha contestato. 8.4. Il quarto motivo di ricorso - con cui si lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, nonche' il vizio di motivazione, relativamente al capo 11) di imputazione - e' inammissibile, perche' riproduttiva di un rilievo gia' motivatamente disatteso in secondo grado. La Corte di appello evidenzia come si debba escludere che le quantita' di sostanza stupefacente consegnate al (OMISSIS) fossero esigue: elemento che risulta chiaro dall'ordine effettuato, da cui si evince che si trattasse di 250 grammi di cocaina e di 22 grammi di hashish. Di conseguenza, la fattispecie correttamente non e' stata ricondotta al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. In ordine alla partecipazione della (OMISSIS), questa e' confermata dall'attivita' della polizia giudiziaria, che nel pomeriggio del 5 ottobre 2016, aveva predisposto un apposito servizio di osservazione, attraverso il quale e' stata documentata la fase in cui il (OMISSIS) e la ricorrente si recavano in Collemeto per l'illecita cessione a favore di (OMISSIS); e la ricostruzione era stata confermata da un dialogo intercettato. 8.5. La quinta doglianza - sul trattamento sanzionatorio, con riferimento alla determinazione degli aumenti di pena per la continuazione - e' inammissibile. La gradazione della pena si fonda anche sulle modalita' dell'azione, che possono comportare una diversa quantificazione della sanzione, in relazione al ruolo svolto dal singolo correo. In ogni caso, la Corte di appello ha logicamente dato conto della ragione per la quale gli aumenti per (OMISSIS) sono stati inferiori, ovvero per l'unico obiettivo di calmierare una pena per lui gia' molto elevata e non perche' le sue condotte fossero meno gravi di quelle poste in essere dalla (OMISSIS). 9. I ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS) sono solo parzialmente fondati. 9.1. Il primo motivo di doglianza - con cui si contesta la natura stabile del contributo dei ricorrenti - deve essere dichiarato inammissibile. Come rilevato nella sentenza impugnata, all'esito delle indagini investigative sono emersi plurimi elementi atti a dimostrare non solo la sussistenza di un sodalizio criminoso dedito al traffico di sostanze stupefacenti, ma anche la partecipazione a quest'ultimo da parte degli odierni imputati. Rispetto a tale sodalizio - evidenzia la Corte territoriale - il (OMISSIS) e il (OMISSIS) si ponevano come fornitori stabili, consegnando ripetutamente al (OMISSIS) e agli altri sodali cospicui quantitativi di droga. L'accordo criminoso, peraltro, prevedeva che le mogli percepissero una sorta di indennita' di Euro 250,00 settimanali, che diventavano 500,00 solo per la moglie di (OMISSIS) in ragione del ruolo apicale svolto. Inoltre, evidenzia la Corte d'appello, dalle stesse intercettazioni emergono con chiarezza non solo la prova dell'avvenuta fornitura, ma anche le modalita' e il quantitativo delle sostanze oggetto di spaccio. Piu' in particolare, la sentenza evidenzia la rilevanza dell'incontro del 24 luglio 2016, nel quale era maturato lo stabile rapporto tra (OMISSIS) e (OMISSIS) (pagg. 40-41 della sentenza), oltre alla presenza di contatti con altri soggetti, al di fuori di (OMISSIS), ad esempio (OMISSIS). Il ruolo di fornitore stabile in capo a (OMISSIS), come tale partecipe dell'associazione, e' ben delineato alle pagg. 46-48 della sentenza impugnata, nelle quali si descrive il suo rapporto con (OMISSIS), che emerge dalle dinamiche degli incontri e dall'entita' del denaro consegnato, e si evidenzia l'irrilevanza della mancata conoscenza diretta da parte di (OMISSIS), spiegabile con l'estraneita' di quest'ultimo rispetto al "canale di (OMISSIS)". 9.2. Il secondo motivo di ricorso, riferito al solo (OMISSIS), con cui si lamenta, tra l'altro, l'impossibilita' di configurare il suo concorso negli episodi del 12 e del 30 luglio 2016 (capo 9 dell'imputazione), e' parzialmente fondato. A fronte di una specifica censura proposta con l'atto di appello, la sentenza impugnata non contiene una motivazione riferibile in modo specifico alla responsabilita' penale per tali due episodi, che non vengono analizzati ne' descritti compiutamente. Ne' puo' supplire sul punto la sentenza di primo grado (pagg. 87 e ss.), la quale si concentra sull'accertamento e la descrizione dell'apporto causale di altri soggetti. Quanto all'episodio del 6 agosto 2016 - anch'esso oggetto di doglianza - la sentenza di secondo grado risulta, invece, pienamente sufficiente e logicamente coerente, laddove descrive analiticamente il ruolo dell'imputato, i contatti con (OMISSIS), le modalita' di consegna del denaro e degli stupefacenti, la cui natura e' chiaramente desumibile dall'elevata entita' del corrispettivo (pagg. 4648 della sentenza di appello; pagg. 98-99 della sentenza di primo grado). Ne deriva l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente agli episodi del 12 e del 30 luglio 2016, di cui al capo 9 dell'imputazione, con rigetto nel resto del suo ricorso. 9.3. Il terzo e il quarto motivo di censura - riferiti alla posizione di (OMISSIS) devono anch'essi essere dichiarati parzialmente fondati. Con riferimento all'incontro del 24 luglio 2016, la Corte territoriale ha evidenziato tanto il particolare contesto in cui questo era maturato quanto lo stabile rapporto che (OMISSIS) aveva allacciato con altri due imputati, cui (OMISSIS) risultava inscindibilmente legato per comunanza di interessi, e cioe' (OMISSIS) e (OMISSIS). Come rilevato nella sentenza impugnata, infatti, dalle indagini e dalle intercettazioni e' emersa la sussistenza di un legame forte fra i tre, che (OMISSIS) indica come soci di uno stesso sodalizio. Piu' precisamente, in occasione del controllo dei carabinieri subito da (OMISSIS) il 24 luglio 2016, dopo l'incontro con (OMISSIS), questi, commentando l'accaduto in auto con (OMISSIS), faceva intendere che fra i tre vi fosse piena interscambiabilita', tanto che i militari procedevano al controllo dell'uno o degli altri a seconda di quando questi fossero presenti sul territorio. Conseguentemente diventa logico desumere, come rilevato dai giudici d'appello, che anche ove l'organizzazione per la transazione di droga con (OMISSIS) fosse intervenuta per la prima volta il 24 luglio 2016, cio' non implica che nelle circostanze precedenti il (OMISSIS) non avesse partecipato alle forniture di narcotico rivestendo altro ruolo. In quel frangente, infatti, gli era stato assegnato il compito di provvedere alla materiale consegna della droga, compito in precedenza svolto, per lo piu', dal (OMISSIS). A fronte di tale ricostruzione, che si pone in linea con quella della sentenza di primo grado, la prospettazione difensiva appare diretta, inammissibilmente, a sminuire il contenuto della richiamata intercettazione. Con riferimento al capo 9, la difesa deduce la mancanza la motivazione quanto agli episodi del 12 luglio e del 6 agosto 2016, mentre non vi sarebbe un'indicazione della prova a supporto, quanto al fatto del 30 luglio 2016. A fronte di una specifica censura proposta con l'atto di appello, la sentenza impugnata contiene una motivazione riferibile in modo specifico alla responsabilita' penale per l'episodio del 30 luglio 2016 (sinteticamente descritto alla pag. 44), dove si specifica che il monitoraggio delle conversazioni della mattina successiva prova che (OMISSIS) era andato a (OMISSIS) dove, grazie all'ausilio di (OMISSIS), che aveva fatto da staffetta, aveva trasportato il narcotico a Collemeto, dove lo aspettava (OMISSIS), mentre (OMISSIS) aveva seguito l'operazione. Tale ricostruzione conferma la ben piu' analitica descrizione dei fatti e del compendio probatorio, rappresentato essenzialmente da intercettazioni, operata dal giudice di primo grado (alle pagine 93 e ss.). Deve invece rilevarsi che gli episodi del 12 luglio e del 6 agosto 2016, pur essendo oggetto di impugnazione, non vengono analizzati ne' descritti compiutamente dalla Corte d'appello. Ne' puo' supplire sul punto la sentenza di primo grado (pagg. 87 e ss.), la quale si concentra sull'accertamento e la descrizione dell'apporto causale di altri soggetti. Ne deriva l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente agli episodi del 12 luglio e del 6 agosto 2016, di cui al capo 9 dell'imputazione, con rigetto nel resto del suo ricorso. 10. Il ricorso di (OMISSIS) e' solo parzialmente fondato. 10.1. Il primo motivo di doglianza - sostanzialmente riferito alla partecipazione del ricorrente all'ipotizzata associazione criminale - e' inammissibile. Quanto all'appartenenza dell'imputato a due sodalizi distinti ed operanti su territori distinti, deve rilevarsi che, in linea generale, la struttura dell'associazione per delinquere non e', di per se', incompatibile con la contemporanea adesione di uno stesso soggetto a piu' sodalizi criminosi: infatti, un soggetto puo' aderire al progetto criminoso di una associazione e, nel medesimo contesto temporale, fare propri anche i propositi criminosi di altro sodalizio. Cio' premesso, la Corte di appello ha ritenuto, sulla base di quanto rilevato anche in ordine a (OMISSIS) e (OMISSIS), che la funzione di (OMISSIS) di fornitore stabile (seppur non in via esclusiva) del gruppo capeggiato dal (OMISSIS) e' elemento che prova il suo inserimento nella compagine associativa, con cui condivideva il fine di profitto ed a cui era legato per stabilita' di ruolo. L'accordo criminoso prevedeva, peraltro, che sua moglie ( (OMISSIS)) percepisse la stessa indennita' di 250,00 Euro settimanali - che diventavano 500,00 solo per la moglie di (OMISSIS) in ragione del ruolo apicale - che prendevano le altre donne, di cui si ha contezza attraverso una conversazione del (OMISSIS) che lo confidava il 12 luglio 2016, e che lo sapeva con certezza poiche' anche la sua fidanzata era stata ammessa al beneficio: tale circostanza e' fortemente sintomatica della comune appartenenza al medesimo centro di interessi, con ruoli diversificati. Stando a quanto dichiarato da (OMISSIS) nel corso di una conversazione captata in ambientale all'interno della sua vettura in occasione di un rifornimento del 24 luglio 2016, era proprio (OMISSIS) che ordinariamente si occupava di organizzare gli incontri con lui e questi si fidava ormai ciecamente della sua persona, perche' gli lasciava spazio di intervento; tanto che, dovendosi incontrare con (OMISSIS), e non con (OMISSIS), egli palesava una leggera preoccupazione per il cambio di correo con cui interfacciarsi, che poteva comportare modifiche nella organizzazione. Pertanto, risulta evidente la continuita' e la frequenza dei rapporti con (OMISSIS) che agiva nella piena consapevolezza che (OMISSIS) fosse un centro di interessi a cui far riferimento nel caso di rifornimento di droga in (OMISSIS). Significativa, sul punto, e' anche l'intercettazione ambientale del 18 luglio 2016, riferita al prezzo praticato. Ne' tale conclusione e' inficiata dal mancato riferimento di (OMISSIS) al gruppo di (OMISSIS), perche' egli ben poteva non essere a conoscenza diretta di tale canale di rifornimento. 10.2. La seconda censura, riferita alla responsabilita' penale per il capo 9) dell'imputazione e' inammissibile, in quanto richiede una rivalutazione delle intercettazioni, senza compiutamente evidenziare i profili di manifesta illogicita' dell'interpretazione che i giudici di merito ne hanno fatto. Anche a prescindere da tale assorbente considerazione, deve rilevarsi che, sulla base del compendio istruttorio, la Corte di appello ha evidenziato che l'imputato partecipava ad un incontro, voluto dal (OMISSIS) e finalizzato a parlare della cattiva qualita' dello stupefacente, tenutosi il 12 luglio 2016 presso il ristorante (OMISSIS). Egli era presente, come risulta dal fatto che, subito dopo l'appuntamento, (OMISSIS) aggiornava il sodale (OMISSIS) degli esiti dell'incontro, riferendogli che il (OMISSIS) era molto infuriato per l'arresto di (OMISSIS). E' centrale, sul punto, la conversazione intercettata del 18 luglio 2016, la cui pregnanza e' tale da rendere irrilevanti le considerazioni difensive circa la pretesa estraneita' dell'imputato alle fasi prodromiche e la pretesa assenza dello stesso all'incontro preparatorio del 12 luglio 2016. 10.3. Il terzo motivo - con cui si censura, in particolare, la violazione degli articoli 89, 62-bis c.p., articolo 81 c.p., comma 2, articoli 132 e 133 c.p., nonche' il connesso vizio di motivazione - e' parzialmente fondato. In ordine all'attenuante del vizio parziale di mente, la Corte di appello correttamente ha fatto applicazione dei principi, per cui la dichiarazione di vizio di mente in un procedimento penale non comporta alcuna conseguenza su procedimenti contestuali o successivi, neppure nel caso in cui i fatti oggetto di procedimento siano da considerarsi temporalmente sovrapponibili. In ogni caso, acquisiti gli esiti dell'accertamento peritale, la Corte d'appello ha ritenuto prevalente l'attenuante del vizio parziale di mente sull'aggravante del numero dei partecipanti all'associazione e ha corrispondentemente diminuito la pena. Invece, quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, che era stato oggetto di specifico motivo di appello, deve rilevarsi che la sentenza impugnata non da' una motivazione. Quanto, poi, all'aumento di pena per la continuazione, questo era stato in primo grado di un anno di reclusione, laddove si era tenuto conto erroneamente di due reati satellite anziche' di uno solo, ed e' stato di sei mesi in secondo grado, pur essendo diminuita la pena base, e senza che sia stata fornita una motivazione sul punto della sua quantificazione. Da quanto precede consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, nei confronti di (OMISSIS), limitatamente all'omessa statuizione sulle circostanze attenuanti generiche e all'aumento per la continuazione; il ricorso deve essere nel resto rigettato. 11. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 11.1. Il primo motivo - con cui si lamenta la violazione della legge penale in ordine alla utilizzabilita' delle intercettazioni poste a fondamento della sentenza impugnata - e' inammissibile, in quanto generico, potendosi richiamare sul punto quanto osservato sub. 8.1. A cio' deve aggiungersi che la Corte di appello, evidenzia correttamente che il presupposto legittimante le intercettazioni e' la sussistenza di indizi di reato: e' sufficiente che siano stati acquisiti elementi che inducono a ritenere in corso un'attivita' illecita per un reato per il quale il legislatore consente il ricorso a tale strumento di ricerca della prova. Nel caso in esame, era certamente sufficiente il materiale probatorio, gia' acquisito dagli organi inquirenti ed offerto al Gip, per la sussistenza di indizi di reato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, e di associazione finalizzata a tale illecita attivita'. 11.2. Il secondo motivo - con cui si lamenta la violazione di legge in ordine al giudizio di responsabilita', poiche' fondato su dichiarazioni inerenti alle intercettazioni, nonche' il connesso vizio di motivazione - e' inammissibile, in quanto richiede una rivalutazione dell'interpretazione delle conversazioni captate non ammissibile in sede di legittimita'. Puo' comunque rilevarsi che la Corte di appello evidenzia come (OMISSIS) nel corso di una conversazione, ignorando di essere sottoposto a intercettazione, dichiarava di essere creditore della somma di Euro 15.000,00 da parte di un soggetto che aveva avuto credito per le intermediazioni di (OMISSIS). Inoltre, si rileva che il 12 luglio 2016 (OMISSIS) e (OMISSIS) erano giunti presso un'abitazione di (OMISSIS), dove l'avevano incontrato in quanto il predetto ricorrente prelevava droga per venderla per conto del (OMISSIS). Ulteriormente, i giudici di merito evidenziano come il quantitativo di droga, pari a 100 gr di cocaina, che (OMISSIS) aveva fatto ad annotare in corrispondenza del nome dell'imputato, non era compatibile con un uso meramente personale, come anche emergeva dalle conversazioni intercettate il 12 agosto 2016. 11.3. Il terzo motivo - con cui si denuncia la violazione di legge in ordine all'omesso riconoscimento della fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, - e' inammissibile, perche' e' diretto a sovrapporre alla motivazione della sentenza una rivalutazione arbitraria del quadro istruttorio. Come evidenziato dalla Corte d'appello, depongono in senso contrario alla prospettazione difensiva le quantita' acquistate per la successiva vendita e la ripetitivita' delle condotte, testimoniata dai conteggi effettuati dal (OMISSIS), che depongono per la elevata frequenza dei contatti: infatti, le indagini provavano che le condotte ascritte agli imputati consistevano in ripetuti prelievi di droga destinati al successivo smercio, inseriti in un contesto criminale capace di gestire rilevanti forniture e movimenti di denaro. 12. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 12.1. La prima doglianza - essenzialmente riferita alla motivazione circa la prova della responsabilita' penale - e' inammissibile. In punto di diritto, occorre fare quanto gia' osservato sub 1.3.1., 1.3.2. circa la valutazione del contenuto di conversazioni intercettate. A fronte di una prospettazione difensiva basata su una mera lettura alternativa del quadro istruttorio, la motivazione della sentenza impugnata risulta pienamente sufficiente e logicamente coerente, perche' delinea un ampio quadro indiziario dal quale risulta dimostrato che l'imputato, pur evitando di fare esplicito riferimento nelle conversazioni captate alle sostanze stupefacenti, intendesse comunque riferirsi ad attivita' concernenti le medesime. Il ricorrente, infatti, in una telefonata captata il 4.11.2016, rivolgendosi a (OMISSIS), faceva esplicito riferimento all'attivita' di pesatura dello stupefacente, invitando il suo interlocutore al controllo della sua quantita'. In una ulteriore conversazione, captata il 7.11.2016, sempre fra (OMISSIS) e (OMISSIS), si desume chiaramente l'avvenuta cessione da parte del ricorrente al coimputato di ingenti quantita' di stupefacenti, che, come confermato dagli interlocutori, non e' stata ritrovata a seguito di perquisizione domiciliare, solo per il mancato utilizzo da parte dei militari delle unita' cinofile. Ad ulteriore prova dell'esercizio, da parte del ricorrente, di un'attivita' di spaccio professionale, vanno richiamate due conversazioni intercettate il giorno 1.11.2016, ove il (OMISSIS) viene piu' volte sollecitato, dal coimputato (OMISSIS), ad intervenire per rifornire diversi acquirenti che erano in attesa di ricevere stupefacenti. Con specifico riguardo alla contestazione di cui al capo 37), deve richiamarsi il ragionamento operato dalla Corte territoriale, che risulta logicamente argomentato, con il quale si spiega che, sebbene il soggetto che ha concretamente ceduto la sostanza stupefacente al (OMISSIS) nel parcheggio dell'Eurospin di Lecce non sia identificabile nel (OMISSIS), e' provato che si tratti di un soggetto che era in collegamento con quest'ultimo. Ne e' prova il fatto che, lo stesso (OMISSIS), giunto sul luogo dell'appuntamento, contattasse il ricorrente per informarlo del suo arrivo con la richiesta di farlo presente a chi doveva incontrarlo, perche' si recasse quanto prima sul luogo convenuto. Anche in una precedente occasione i fatti si erano svolti nella stessa maniera; precisamente il 10.09.2016, quando (OMISSIS) aveva dato direttive ad un terzo soggetto che si era recato presso il parcheggio di un supermercato, dove aveva incontrato il (OMISSIS). 12.2. Il secondo motivo di ricorso - con il quale si censurano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, e articolo 133 c.p., nonche' l'illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato - e' inammissibile. Nella coerente conforme valutazione dei giudici di primo e secondo grado, risulta pacificamente dimostrato che (OMISSIS), insieme a (OMISSIS), occupava una posizione sovraordinata rispetto a quella dei suoi originari coimputati, essendo il loro fornitore e dando prova di disporre di maggiori quantitativi di stupefacenti; giustificandosi, pertanto, il differente trattamento sanzionatorio fra i coimputati. Va ribadito inoltre che, in materia di sostanze stupefacenti, e' legittimo il mancato riconoscimento della lieve entita' qualora la singola cessione di una quantita' modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una piu' ampia e comprovata capacita' dell'autore di diffondere in modo non episodico, ne' occasionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensivita' della condotta essere ancorata al solo dato statico della quantita' volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio piu' ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva (ex plurimis, Cass. Sez.4, n. 40720 del 2017, Rv. 270767; Cass. Sez. 3 n. 6871 del 2016, Rv.269149). Il principio trova applicazione nel caso in esame, in cui le cessioni non risultano isolate ne' aventi ad oggetto modiche quantita' di stupefacenti, ma anzi la Corte territoriale ha delineato un quadro altamente professionale e sistematico delle attivita' di spaccio di ingenti quantita' di stupefacenti poste in essere dall'imputato; pertanto non vi e' alcun elemento positivo dal quale desumere l'applicabilita' dell'ipotesi di lieve entita' prevista dal comma 5 richiamati. Manifestamente infondata risulta, poi, la doglianza relativa al trattamento sanzionatorio, perche' - al contrario di quanto asserito dalla difesa - la motivazione della sentenza riguarda evidentemente sia la pena-base sia gli aumenti per la continuazione, essendo ancorata alla gravita' dei singoli fatti e alla negativa personalita' del soggetto, a fronte di un trattamento sanzionatorio complessivamente modesto. 13. Anche il ricorso proposto da (OMISSIS) - riferito alla mancata riqualificazione del fatto nell'ipotesi lieve di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, - e' inammissibile. Infatti, richiamati principi gia' affermati sub 5.1., non puo' non rilevarsi come la contestazione appaia assolutamente generica, limitandosi, la difesa, a rievocare, senza alcuna ulteriore precisazione, la sentenza con cui asseritamente, per il medesimo capo di imputazione, gli altri correi avrebbero definito la propria posizione processuale con applicazione della pena su concorde richiesta delle parti previa riqualificazione del fatto nell'ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, senza indicarne il numero o preoccuparsi di allegarla al ricorso per cassazione. Tuttavia, anche a prescindere dalla totale genericita' del motivo di ricorso de quo, la Corte di appello, con motivazione perfettamente logica, ha chiarito che, in considerazione della gravita' del fatto, deducibile dalla circostanza che il soggetto si e' reso responsabile del trasporto di ben 520 grammi di cocaina, e delle modalita' della condotta che evidenziavano professionalita' e destrezza, non era possibile ravvisare i presupposti per l'applicazione dell'ipotesi minore. 14. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 14.1. Il primo motivo di ricorso - con cui si lamentano la violazione di legge e la mancanza ed illogicita' della motivazione in relazione alla ritenuta condotta di partecipazione al sodalizio contestato - e' inammissibile. La difesa, infatti, non si confronta con la motivazione fornita nella sentenza impugnata, limitandosi a reiterare censure gia' avanzate in appello e rigettate dalla Corte territoriale. Come rilevato nella sentenza censurata, infatti, gli elementi di prova acquisiti con le indagini preliminari e - in particolare - con le intercettazioni vanno in senso diametralmente opposto a quanto sostenuto dalla difesa. La Corte di appello, infatti, rileva come sia emerso non soltanto che il (OMISSIS) si occupo' del trasporto della droga in alcune circostanze ben individuate, ma che cio' aveva fatto con sistematica regolarita' numerose altre volte, seppur non individuate nella data precisa. Inoltre, che (OMISSIS) potesse contare sul contributo di (OMISSIS) quale corriere che utilizzava un mezzo a due ruote era chiaro anche ai sodali di (OMISSIS), come emerso dall'intercettazione di una conversazione intercorsa il 18 luglio 2016. In tale quadro, del tutto prive di riscontro e, comunque, irrilevanti risultano le affermazioni difensive secondo cui l'imputato non conosceva (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). La ricostruzione della sentenza d'appello trova, del resto, ampia conferma in quella di primo grado (pagg. 238-239), con la quale si salda sul piano logico. 14.2. Il secondo motivo di ricorso - riferito alla responsabilita' penale per i capi 1) e 9) della rubrica e alla mancata riqualificazione della contestazione mossa ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4 - e' parimenti inammissibile. Anche in questo caso, la difesa si limita a reiterare censure apodittiche volte ad ottenere una rivalutazione dei fatti preclusa allo scrutinio di questa Corte. La Corte d'appello, del resto, ha correttamente rilevato come, diversamente da quanto ipotizzato dalla difesa, (OMISSIS) fosse coinvolto nella transazione di droga, essendogli stato affidato il solito compito di trasportarla con la sua moto. L'attivita' di trasporto era, del resto, svolta regolarmente (pagg. 71 e 72 della sentenza impugnata). Quanto alla tipologia di droga trasportata, deve rilevarsi come la censura difensiva, peraltro limitata al capo 1) dell'imputazione, attinge un profilo - quello della configurabilita' del solo Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, - che non era stato specificamente sottoposto alla Corte d'appello. 14.3. Il terzo motivo di ricorso - con cui si denunciano la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione nonche' l'entita' degli aumenti di pena ex articolo 81 c.p. - e' inammissibile. La Corte d'appello infatti, nell'accogliere il motivo di impugnazione sull'aggravante del carattere armato dell'associazione, ha gia' ricalibrato il trattamento sanzionatorio, riconoscendo alle circostanze attenuanti generiche la prevalenza sulla residua aggravante (relativa al numero di persone che forma l'associazione) e modulando di conseguenza la diminuzione della pena. Quanto agli aumenti per la continuazione, i giudici d'appello hanno logicamente affermato che, alla luce della gravita' dei reati commessi, in considerazione delle quantita' di narcotico trasportate, gli stessi non potevano essere ridotti. 15. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 15.1. La prima doglianza - con la quale si censurano la ritenuta responsabilita' per il reato associativo e la configurabilita' dell'aggravante del numero degli associati maggiore di dieci unita' - e' inammissibile. La censura relativa alla mancata configurazione della fattispecie associativa deve considerarsi formulata in modo non specifico e, comunque, meramente ripetitiva di una doglianza puntualmente smentita dalla Corte di appello di Lecce, che con motivazione logicamente argomentata ha sottolineato come l'imputato garantisse le fonti di approvvigionamento di cocaina provenienti da spacciatori residenti presso il territorio di (OMISSIS); circostanza ampiamente dimostrata dallo stesso (OMISSIS) nella conversazione telefonica captata del 06/10/2016, ove questi raccomanda a un sodale di non tardare nel pagamento degli stupefacenti per non creargli problemi con il gruppo dei fornitori di (OMISSIS). Inoltre, a differenza di quanto dedotto con il ricorso, numerosi sono gli elementi che consentono di ritenere certo che l'imputato avesse piena consapevolezza di agire in un contesto associativo. E gli conosceva perfettamente la provenienza dello stupefacente acquistato per il tramite di (OMISSIS) e l'identita' dei suoi fornitori, era pienamente consapevole della procedura seguita da (OMISSIS) per far pervenire la droga presso di lui e sapeva dell'esistenza di altri soggetti, in numero certamente superiore a dieci, legati dal medesimo interesse illecito e dei ruoli loro assegnati. Il ricorrente prendeva parte alle scelte riguardanti il sodalizio, e cio' risulta dimostrato - tra l'altro dall'intercettazione ambientale del 18.07.2016, ove rassicurava un suo sodale in merito alla possibilita' di fornirgli una nuova utenza ed un nuovo telefono cellulare con tutti i contatti rilevanti, per continuare la comune attivita' di spaccio. 15.2. Il secondo motivo di ricorso - con il quale si lamentano l'assenza e la contraddittorieta' della motivazione in ordine all'aggravante della presenza di armi in favore dell'associazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74 - e' inammissibile per genericita'. La difesa spende mere affermazioni, che non sono in grado di contrastare il dato, pacifico secondo i giudici di primo e secondo grado, rappresentato dal fatto che l'arma era detenuta proprio dall'imputato, il quale svolgeva la sua attivita' nell'ambito dell'associazione di cui sopra. 15.3. La terza censura - con la quale si denuncia la violazione di legge con riferimento alla supposta inutilizzabilita' di tutte le intercettazioni telefoniche ed ambientali acquisite nel corso del procedimento - e' inammissibile. In punto di diritto deve ricordarsi che, in materia di intercettazioni, cosi' come i decreti, con i quali il Giudice per le indagini preliminari autorizza l'effettuazione di intercettazioni di comunicazioni telefoniche o ambientali, debbono contenere adeguata motivazione, allo stesso modo, il motivo con il quale l'imputato - ovvero il suo difensore - censuri la mancata trasmissione di tali decreti o di quelli di proroga deve essere accompagnato dall'indicazione delle attivita' processuali che si assumono viziate ovvero degli atti inerenti a tali attivita'. In tal senso, in sede di impugnazione, deve considerarsi generica la semplice deduzione di inutilizzabilita' di intercettazioni per mancanza dei relativi decreti autorizzativi, senza specificare a quali decreti ci si riferisca, siano essi di autorizzazione, di proroga o di convalida. In tal modo, si impedisce al giudice, chiamato ad esaminare la censura, di prendere compiuta conoscenza della stessa e di verificare - di conseguenza - il rispetto delle norme dettate in materia (ex plurimis, Sez. 6, n. 18187 del 14/12/2017, dep. 24/04/2018, Rv. 273007; Sez. 6, n. 46070 del 21/07/2015, Rv. 265535; Sez. 1, n. 25577 del 09/05/2003, Rv. 225005; Sez. 5, n. 13791 del 27/02/2002, Rv. 221182; Sez. 5, n. 133 del 13/01/2000, Rv. 215491). Nel caso di specie, il ricorrente si limita a contestare, in via del tutto generica, il vizio di motivazione dei decreti di autorizzazione e proroga delle operazioni di intercettazione ambientali e telefoniche, nonche' l'assenza delle condizioni legittimanti di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 13, senza provvedere, pero', a soddisfare il requisito della specificita' dei riferimenti a tali decreti mediante il richiamo o l'allegazione dei medesimi, precludendo, cosi', qualsiasi possibilita' di effettuare un esame piu' approfondito. Cio' posto, si rileva che comunque gia' la Corte di appello ha fornito adeguata motivazione sul punto, chiarendo che il presupposto legittimante le intercettazioni e' la sussistenza di indizi di reato. 15.4. La quarta doglianza - con la quale si lamenta la violazione di legge in ordine alla quantificazione della pena - e' inammissibile. La doglianza e' assolutamente generica, essendo priva di riferimenti ai dati istruttori, che vengono arbitrariamente sminuiti come se le risultanze delle intercettazioni costituissero una prova di minore efficacia. Valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 1.1. e ss., da intendersi come richiamate. 16. Il ricorso proposto da (OMISSIS) deve essere dichiarato inammissibile. La difesa si limita a generiche asserzioni che non tengono conto della motivazione della sentenza impugnata, da cui emergono: la prova del reato contestato (capo 16), la valutazione della gravita' dello stesso, la tipologia dello stupefacente in relazione al prezzo, la personalita' dell'imputato, anche con riferimento alla sua situazione economica. In particolare, non viene contrastata l'affermazione confessoria resa dallo stesso soggetto (riportata alle pagg. 82-83 della sentenza). 17. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' infondato. 17.1 Il primo motivo di doglianza e' inammissibile. In proposito valgono le considerazioni gia' effettuate per la posizione di (OMISSIS) al punto 8.1. 17.2. Il secondo motivo di ricorso - riferito alla ritenuta sussistenza della fattispecie associativa e alla responsabilita' apicale dell'imputato nel suo ambito e' inammissibile, perche' diretto ad ottenere una rivalutazione di elementi gia' adeguatamente presi in considerazione dai giudici di merito. Essi, infatti, hanno piu' volte evidenziato l'ampio riscontro probatorio, emerso dalle indagini e in particolare dalle intercettazioni, all'ipotesi accusatoria secondo cui il (OMISSIS) era al vertice dell'associazione dedita al traffico di droga nel basso Salento. Quest'ultimo, infatti, era colui che teneva i contatti con i fornitori baresi, con i fornitori brindisini e con i distributori della zona. Il ricorrente, inoltre, dava indicazioni ed impartiva ordini sulle operazioni da compiere, assoldava nuovi adepti e teneva la contabilita'. Infine, si era procurato il possesso di un'arma da utilizzare per il recupero dei crediti nei confronti di acquirenti poco puntuali nei pagamenti o, comunque, morosi ed era il soggetto sul quale gravava il "rischio di impresa", in caso di ritardi nei pagamenti dei suoi pusher, dovendo tenere i rapporti economici con i fornitori. Del resto, egli e' coinvolto in tutte le intercettazioni piu' rilevanti e costantemente indicato quale referente dai coimputati, avendo conversazioni concernenti tutti i profili relativi all'organizzazione del gruppo, ivi compresa la contabilita', e ai reati scopo. Ne' l'assoluzione di alcuni coimputati dal reato associativo puo' coinvolgere la sua posizione, trattandosi di soggetti che avevano evidentemente svolto ruoli minori, che si ponevano al margine dell'attivita' criminale. Ed e' qui superfluo ripercorre gli analitici riferimenti delle sentenze di primo e secondo grado ai molteplici e convergenti elementi di prova a carico, in mancanza di puntuali censure difensive in proposito. 17.3. Il terzo motivo di ricorso - con cui si lamenta il mancato riconoscimento dell'ipotesi attenuata di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, - deve essere parimenti dichiarato inammissibile. Invero, contrariamente a quanto asserito dalla difesa, che non sottopone a critica specifici passaggi motivazionali, la Corte d'appello e il giudice di primo grado hanno piu' volte evidenziato l'ingente quantitativo delle sostanze oggetto dell'attivita' di spaccio, oltre all'entita' dei corrispettivi e alla consistenza numerica e organizzativa del gruppo. 17.4. Il quarto motivo di ricorso - sostanzialmente riferito alle circostanze aggravanti del numero degli associati e della disponibilita' dell'arma - e' infondato. Come ben evidenziato dai giudici di primo e secondo grado, il computo del numero degli associati deve essere fatto tenendo conto dello stabile apporto al sodalizio da parte dei gruppi di fornitori e, nell'ambito di una relazione caratterizzata da stabilita' nel tempo e da sostanziale comunanza di interessi; elementi che emergono con chiarezza dal quadro istruttorio. Quanto all'arma, essa era utilizzata dal capo dell'associazione per il recupero dei crediti nei confronti di soggetti poco puntuali nei pagamenti, nell'evidente interesse dell'associazione stessa. Dalla stessa prospettazione difensiva emerge che l'arma alla quale l'imputazione si riferisce corrisponde ad un modello effettivamente esistente, mentre le affermazioni del ricorrente riferite alla necessita' espressa a un interlocutore di procurarsi una pistola non appaiono logicamente preclusive dell'accettata detenzione di tale arma, ben potendosi riferire ad una dotazione ulteriore. Quanto poi alla mancata conoscenza della detenzione e dell'uso dell'arma da parte di alcuni coimputati, la stessa e' stata tenuta in considerazione con riferimento alle posizioni di questi, per le quali e' stata esclusa soggettivamente la configurabilita' dell'aggravante del reato associativo. 17.5. Il quinto motivo di ricorso e' infondato. Esso e' riferito all'acquisto di g 400 eroina di cui al capo 1) dell'imputazione, sul rilievo della pretesa mancanza di prova di un effettivo accordo tra venditore e acquirente, i quali si sarebbero accordati solo su sostanze stupefacenti di altro tipo. La motivazione sul punto puo' essere rinvenuta, secondo il principio della reciproca integrazione fra la sentenza di secondo grado e quella di primo grado, alla pag. 44 di quest'ultima, dove e' riportata una conversazione univocamente riferibile a tale acquisto; mentre la prova dell'effettiva verificazione della cessione dell'eroina risulta dalla locuzione "la moto e' tornata", evidentemente riferito alla consegna, la cui interpretazione, in quanto non manifestamente illogica, e' insindacabile in sede di legittimita', anche sotto il profilo del travisamento della prova. 17.6. Il sesto motivo - con cui si lamentano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e la mancanza ed illogicita' della motivazione in relazione al capo 11) dell'imputazione - e' infondato. Deve farsi riferimento, oltre che alla pag. 37 della sentenza di appello, anche alla motivazione della sentenza di primo grado (pagg. 115 116), la quale legittimamente interpreta una conversazione - riportata anche alla pag. 34 del ricorso - come idonea a dimostrare l'avvenuta cessione di 250 g di cocaina e 22 g di hashish, visto il suo esplicito richiamo ai quantitativi. 17.7. Il settimo motivo di ricorso - relativo all'entita' degli aumenti di pena per la continuazione - e' inammissibile. Invero, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la Corte d'appello ha motivato sugli aumenti per la continuazione, laddove ha evidenziato che essi non sono suscettibili di riduzione, poiche' gia' contenuti dal giudice di primo grado in misura esigua rispetto alla notevole gravita' dei fatti riconosciuti, apparendo semmai sproporzionati per difetto ed essendo comunque determinati in modo differenziato per ciascun reato. 18. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' inammissibile. 18.1. Il primo motivo - con cui si censura l'inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche e ambientali poste a fondamento della declaratoria di responsabilita' penale - e' inammissibile. Valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 15.3., in relazione ad una censura analoga. 18.2. La seconda doglianza - con cui si lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 in considerazione della mancata integrazione della relativa fattispecie incriminatrice (per il capo 19) - e' parimenti inammissibile. Nel reiterare censure che attengono sostanzialmente al merito, il ricorrente non considera che il giudice di secondo grado ha dato conto dei numerosi elementi emersi nel corso delle indagini, tra cui assume rilievo una conversazione ambientale intercorsa nel pomeriggio del 16 luglio 2016, all'interno dell'autovettura monitorata, fra (OMISSIS) e la fidanzata (OMISSIS): essa prova come questi fosse creditore della somma di Euro 15.000,00 da parte di un soggetto che aveva avuto tale prestito grazie all'intermediazione del (OMISSIS) ma che alla fine era risultato debitore tanto del (OMISSIS) quanto del (OMISSIS); in quella circostanza il (OMISSIS) ipotizzava di poter fare ricorso all'intermediazione tanto del (OMISSIS) quanto del (OMISSIS), che riteneva corresponsabili per il recupero della somma stessa, in quanto l'ignoto debitore aveva potuto accumulare debiti anche nei loro confronti, dato che questi avevano concorso nell'attivita' di vendita dello stupefacente. Dunque, in maniera perfettamente logica, si e' ritenuto che non vi fosse motivo di dubitare della veridicita' delle propalazioni di (OMISSIS) che, parlando liberamente e ignorando di essere sottoposto ad intercettazione, non aveva motivo di dire cose non vere. In tal senso, correttamente, si e' ritenuto estremamente rilevante - soprattutto in considerazione della quantita' e dei prezzi incompatibili con un uso meramente personale - anche quanto emergeva dalle conversazioni intercettate sempre all'interno della vettura del (OMISSIS) il 12 agosto 2016 allorquando era stato concordato un incontro con (OMISSIS) di cui era a conoscenza anche (OMISSIS): alle 14:39 a bordo dell'autovettura del (OMISSIS) questi faceva riferimento alla promessa del (OMISSIS) di consegnare la somma di Euro 3.000,00, relativa a pregresse forniture di stupefacente; il (OMISSIS), proprio nel consegnare al (OMISSIS) Euro 1.300,00, spiegava che quella era la somma nella sua disponibilita', aggiungendo che aveva provato a chiamare (OMISSIS) per recuperare l'ulteriore somma mancante senza riuscirvi; il (OMISSIS) quindi faceva il resoconto del debito, da cui emergeva l'originaria fornitura di Euro 4.800,00, per la quale avevano gia' corrisposto Euro 1.800,00, oltre ad un'ulteriore somma di Euro 600,00 per l'ultima fornitura; (OMISSIS), dal canto suo, ribadiva che il debito, considerando l'ultima cessione di 150 grammi di stupefacente, ammontava ad Euro 3.600,00. Da quanto precede la Corte ha tratto logicamente la conclusione che la prova dei fatti ascritti all'imputato fosse effettivamente costituita da intercettazioni ambientali, le quali, per la chiarezza dei dialoghi e la specificita' dei contenuti, con precise indicazioni in ordine alla tipologia di doga trattata - bianca o fumo - e di conteggi relativi alle forniture effettuate dal (OMISSIS) in suo favore, non necessitavano di ulteriori riscontri esterni. 18.3. Il terzo motivo di ricorso - con cui si lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, nella misura in cui non ha trovato applicazione la richiamata fattispecie minore - e' parimenti inammissibile. Sul punto, nella motivazione dell'impugnato provvedimento, si legge che l'inapplicabilita' dell'ipotesi meno grave e' diretta conseguenza dalle quantita' acquistate per la successiva vendita, la cui attribuzione non puo' essere effettuata in misura pari alla meta' per ciascuno in ragione della riconosciuta ipotesi concorsuale, e della ripetitivita' delle condotte, testimoniata dai conteggi effettuati dal (OMISSIS) che depongono per l'elevata frequenza dei contatti. In particolare, e' stato evidenziato come le indagini provassero che le condotte ascritte all'imputato si sono realizzate in un arco temporale di quasi tre mesi, cosi' da escludere che potesse trattarsi di un unico reato, e sono consistite in ripetuti prelievi di droga destinata al successivo smercio. Conformemente ad un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, proprio tale ripetitivita' di condotte poste alla base del riconosciuto vincolo della continuazione induce a valutare in modo non atomistico mezzi, modalita' e circostanze di commissione dei singoli reati ai fini del riconoscimento della lieve entita' del fatto Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 73, comma 5, e consente di valorizzare le peculiarita' delle singole condotte, la comunanza di elementi significativi e le loro eventuali reciproche correlazioni, al fine di ricostruire una cornice complessiva in concreto idonea ad escludere un giudizio di lieve entita' rispetto ai fatti contestati (ex multis, Sez. 3, n. 13115 del 06/05/2020, Rv. 279657; Sez. 6, n. 7464 del 28/11/2019, dep. 2020, Rv. 278615; Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Rv. 274076). 19. I ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) sono inammissibili. 19.1. Il primo e il secondo motivo sono inammissibili; si richiama sul punto quanto rilevato sub 8.1. 19.2. Il terzo motivo - con cui si lamenta il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento, con riferimento alla posizione processuale di (OMISSIS), della connivenza non punibile - e' inammissibile. La distinzione tra l'ipotesi della connivenza non punibile e il concorso nel delitto, con specifico riguardo alla disciplina degli stupefacenti, va ravvisata nel fatto che, mentre la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, nel concorso di persone ex articolo 110 c.p., e' invece richiesto un consapevole contributo che puo' manifestarsi anche in forme che agevolino il proposito criminoso del concorrente, garantendogli una certa sicurezza o, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale poter contare (Sez. 4, n. 34754 del 20/11/2020, Rv. 280244; Sez. 3, n. 34985 del 16/07/2015, Rv. 264454). Nel caso di specie - praticamente a quanto asserito dalla difesa - la Corte d'appello delinea logicamente le ragioni per cui non e' ravvisabile tale condotta meramente connivente: (OMISSIS) svolgeva una partecipazione attiva, essendo stato incaricato da (OMISSIS) di andare dal (OMISSIS) a fare le sue veci. Ulteriormente, all'appuntamento presso i fornitori di (OMISSIS), svoltosi in data 10 ottobre 2016, era proprio il predetto ricorrente a recarsi unitamente a (OMISSIS) e (OMISSIS), cosi' riscontrandosi ancora la sua compartecipazione al reato, espressione di una consonanza di interessi, come emerge anche da conversazioni intercettate (pag. 97 della sentenza). 19.3. Il quarto motivo - con cui si lamenta il vizio di motivazione in relazione alla posizione processuale di (OMISSIS) - e' inammissibile. La Corte di appello dettagliatamente evidenzia il ruolo svolto da (OMISSIS), che unitamente a (OMISSIS), acquistava sostanza stupefacente dai fornitori di (OMISSIS), per il tramite di (OMISSIS): infatti, (OMISSIS), non condividendo la scelta di cambiare accordi gia' presi, chiedeva di incontrare personalmente i fornitori. Contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa, egli non era un mero intermediario, essendo coinvolto nel proprio interesse nei negozi illeciti. 19.4. Il quinto motivo - con cui si lamenta il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche - e' inammissibile. La Corte di appello ha evidenziato che non e' emerso alcun elemento positivo che legittimi tale riconoscimento; ne' la difesa ne prospetta la sussistenza con il ricorso per cassazione, al di la' di un generico riferimento ad una non meglio precisata volonta' di definire il processo. Inoltre, la condotta di entrambi gli imputati appare connotata da rilevante gravita' alla luce dei quantitativi di droga movimentati e le risultanze del certificato del casellario esaltano una personalita' negativa, specialmente per (OMISSIS), gravato da piu' condanne, due delle quali per lo stesso titolo di reato, ma anche per (OMISSIS) che e' stato condannato per un reato in materia di sostanze stupefacenti, seppure nel 1994. 20. Il ricorso di (OMISSIS) e' infondato. 20.1. Il primo motivo - con cui si denunciano la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, nonche' il connesso vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta condotta di partecipazione al sodalizio contestato al capo A) di imputazione - e' inammissibile. La Corte di appello evidenzia che gli esiti delle indagini provano che il ricorrente, a prescindere da chi avesse materialmente procurato le schede telefoniche, concorreva con (OMISSIS) alla loro detenzione e alla loro distribuzione, che erano attivita' fortemente sintomatiche dell'esistenza del sodalizio e del ruolo ricoperto da (OMISSIS). Inoltre, la partecipazione del ricorrente alla compagine associativa e' provata dalla stabile dedizione al traffico unitamente al (OMISSIS), secondo quanto ammesso da quest'ultimo nel corso di una conversazione intercettata. Pur dovendosi ribadire l'esclusione di qualsivoglia ruolo dirigenziale, l'imputato era pienamente inserito nel sodalizio, coadiuvando (OMISSIS) tanto nell'organizzazione del gruppo (distribuendo ai solidali e ai pusher schede telefoniche dedicate ed occupandosi dello spaccio con consegna di droga), quanto nella condivisione degli acquisti da Brindisi, mentre egli non si occupava dei rapporti con il gruppo barese e non aveva diretta conoscenza del carattere armato dell'associazione. 20.2. Il secondo motivo - con cui si lamenta la violazione di legge nonche' il vizio di motivazione, con riferimento ai capi 1), 2), 3), 4) e 6) di imputazione sia in ordine alla valutazione della prova, sia in ordine alla mancata riqualificazione delle contestazioni mosse al capo 2) della rubrica nei termini di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, e ai capi 3), 4) e 6) della rubrica nei termini di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, - e' infondato. La Corte d'appello, in ordine ai reati fine, ha motivato puntualmente, evidenziando la responsabilita' dell'imputato per tutti gli episodi delittuosi di cui ai capi 1), 2), 3) 4) e 6) dell'imputazione. Le quantita' di droga smerciate ed espressamente indicate nei capi 1) e 2) escludono di ritenere il fatto di lieve entita': le partite ordinate al (OMISSIS) e quelle ricevute insieme con (OMISSIS) per la successiva vendita sono pari ad almeno mezzo chilo, per cui sono evidentemente incompatibili con il concetto di lieve entita'. Quanto al capo 2), l'esame della configurabilita' della fattispecie del richiamato articolo 73, comma 4, richiesto dalla difesa con il ricorso per cassazione, sarebbe precluso dalla circostanza che una tale censura non era stata proposta in appello; e cio', a prescindere dal fatto che tale fattispecie e' quella gia' emerge dalla formulazione dell'imputazione, riferita ad hashish, per la quale e' effettivamente intervenuta condanna. Al capo 3 della rubrica, si addebita all'imputato di avere ceduto eroina a (OMISSIS). Un messaggio intercettato il 25 maggio 2016 faceva riferimento ad un acquirente di stupefacente, debitore di Euro 600,00 per pregresse forniture, che aveva bisogno di un quantitativo pari a 20 e che aveva proposto un rapporto commerciale costante ("20 ogni due giorni"), facendo anche riferimento al costo: (OMISSIS) dava conferma a tale accordo, incontrandosi e poi informando anche (OMISSIS). E non si puo' ritenere configurabile la fattispecie minore prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, trattandosi di piu' cessioni, che sono manifestazione effettiva di una piu' ampia e comprovata capacita dell'autore di diffondere in modo non episodico, ne' occasionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensivita' della condona essere ancorata al solo dato statico della quantita' volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio piu' ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva (ex multis, Sez. 4, n. 476 del 25/11/2021, dep. 12/01/2022, Rv. 282704; Sez. 3, n. 14017 del 20/02/2018, Rv. 272706). Le medesime considerazioni valgono per il capo 4), che concerne la reiterata consegna di sostanza del tipo eroina a (OMISSIS) in quantitativi da 10 a 40 grammi: secondo quanto dichiarato dallo stesso (OMISSIS), gli acquisti avvenivano ogni tre giorni per un corrispettivo in denaro di Euro 200,00 o 400,00, per quantitativi pari a 10 o 20 grammi. D'altro canto, le indagini effettuate dagli operanti consentivano di evidenziare diversi incontri tra i due (almeno cinque) e, considerato che in almeno una circostanza la quantita' di droga era pari a 40 g, la Corte di appello ha correttamente ritenuto che il fatto - inserito in una rete di spaccio ampia e organizzata - non possa essere ritenuto di lieve entita'. Il reato di cui al capo 6) riguarda la cessione di droga a (OMISSIS), che poi la destinava a terzi in almeno 11 occasioni, in una delle quali il quantitativo era pari a 20 grammi e nelle altre era imprecisato. La reiterazione delle consegne e, dunque, del reato esclude di ritenere il fatto di lieve entita', sulla base delle osservazioni gia' svolte. Ne' puo' essere presa in considerazione in senso contrario la circostanza che (OMISSIS) sia stato destinatario di una riqualificazione dei fatti nell'ipotesi di minore gravita', perche' quelli addebitati a quest'ultimo sono solo due ed egli ha un ruolo complessivamente piu' marginale. 20.3. La terza doglianza - con cui si lamenta la violazione di legge, nonche' il vizio di motivazione, in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti di cui all'articolo 62-bis c.p. nella loro massima estensione, nonche' in relazione alla necessaria riduzione degli aumenti combinati ai sensi dell'articolo 81 c.p. e della corretta qualificazione giuridica delle contestazioni mosse ai capi 2), 3), 4) e 6) dell'imputazione nei termini di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 4 e 5, - e' inammissibile, in quanto attinente al merito della valutazione della Corte d'appello. Quanto alle circostanze attenuanti generiche, deve rilevarsi che le stesse sono gia' state riconosciute con giudizio di prevalenza sulle aggravanti, tenuto conto della gravita' dei fatti e della personalita' del reo. Quanto agli aumenti per la continuazione, gli stessi appaiono assai contenuti gia' nella sentenza di primo grado; mentre la riqualificazione dei fatti richiesta dalla difesa deve essere esclusa, in forza di quanto osservato sub 20.2. 21. I ricorsi proposti nell'interesse di (OMISSIS) sono entrambi inammissibili. 21.1. Il primo ricorso, a firma dell'avv. (OMISSIS), e' inammissibile. 21.1.1. La prima censura - con cui si lamenta l'applicazione della fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 in luogo del concorso di persone nel reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 - e' inammissibile perche' diretta ad ottenere una rivalutazione di elementi presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 1.1. e ss., e 2.1. da intendersi come richiamate. Preliminarmente occorre rilevare che, per giurisprudenza di legittimita' consolidata, integra la condotta di partecipazione ad un'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la costante disponibilita' a fornire le sostanze oggetto del traffico del sodalizio, tale da determinare un durevole rapporto tra fornitori e spacciatori che immettono la droga nel consumo al minuto, sempre che si accerti la coscienza e volonta' di far parte dell'associazione, di contribuire al suo mantenimento e di favorire la realizzazione del fine comune di trarre profitto dal commercio di droga (ex plurimis, Sez. 4, n. 19272 del 12/06/2020, Rv. 279249; Sez. 6, n. 41612 del 19/06/2013, Rv. 257798; Sez. 2, n. 6261 del 23/01/2013, Rv. 254498). Perfettamente in linea con il richiamato principio di diritto, la Corte rende conto di come le indagini abbiano consegnato un quadro chiaro dei rapporti fra il (OMISSIS), il suo gruppo e (OMISSIS) affiancato, nella sua attivita', da (OMISSIS), con il quale, peraltro, esisteva anche un rapporto affettivo, tanto da essere conosciuti nell'ambiente come "padre" e "figlio". Cio' che e' emerso in modo inconfutabile sono la continuita' e la frequenza dei contatti legati ai traffici di droga: le conversazioni captate, infatti, disvelano come siano stati ripetuti i viaggi fino a Brindisi di (OMISSIS) e (OMISSIS) per chiudere trattative relative all'acquisto di forniture di droga, del tipo leggera ma anche di cocaina. Particolare importanza, sul punto, hanno rivestito le conversazioni del 19 luglio 2016, nel corso delle quali (OMISSIS), dopo avere riferito ad un suo interlocutore che il duo (OMISSIS) - (OMISSIS) organizzava viaggi con gli scafi fino all'Albania, con impressionante regolarita' ed in forma massiccia, per prelevare droga leggera, parte della quale era destinata a loro, come concordato con lo (OMISSIS), passava agli accordi per le forniture con lo stesso (OMISSIS). Emergeva chiaramente come i due fossero in costante rapporto per gli approvvigionamenti anche attraverso lo (OMISSIS) e come il (OMISSIS) poteva fare stabile riferimento nel (OMISSIS) e, per suo tramite, anche al (OMISSIS) per forniture di ogni tipo di droga. Peraltro, si e' anche chiarito come non rispondesse al vero quanto addotto dalla difesa secondo cui gli accordi venivano presi con il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) era confinato ad un mero ruolo marginale, quasi di semplice spettatore dei traffici del "figlio"; interpretando correttamente i dialoghi, la Corte di merito ha appurato che, al contrario, gli affari procedevano sempre con il ricorrente che ne era il dominus, tanto che nei casi in cui la trattativa aveva avuto inizio con il (OMISSIS) egli veniva posto al corrente dei termini e delle condizioni. Proprio l'essere identificato quale stabile fornitore per il gruppo, che faceva riferimento alla sua perenne disponibilita', nella piena consapevolezza di agire in un contesto associativo in cui si perseguiva l'identico interesse economico corrispondente alla vendita di droga e' stato correttamente ritenuto, dal giudice di secondo grado, presupposto necessario e sufficiente per qualificare il (OMISSIS) come parte integrante del sodalizio criminoso. 21.1.2. La seconda censura - riferita alla penale responsabilita' del ricorrente per il capo 1) di imputazione - e' parimenti inammissibile. Nell'impugnato provvedimento, infatti - in risposta alle doglianze formulate con l'atto d'appello e pedissequamente riproposte con il ricorso per cassazione, il cui unico fine e' quello di proporre un'alternativa ricostruzione dei fatti insindacabile in questa sede, come gia' chiarito sub 2.1. - si delineano gli specifici episodi di cui le conversazioni intercettate forniscono prova inconfutabile: in un'occasione (OMISSIS) procedeva alla consegna di Euro 10.000,00 a favore del fornitore con il quale si innescava una trattativa riguardante una nuova fornitura di stupefacente alla quale avrebbe partecipato anche (OMISSIS); ripetuti, infatti, erano i riferimenti a quest'ultimo e al fatto che la trattativa che lo vedeva coinvolto riguardava la fornitura di stupefacente di ogni tipo; (OMISSIS), a tal fine, dapprima contrattava l'acquisto di marijuana che il fornitore era pronto a consegnare in un quantitativo pari a un chilogrammo e mezzo, accettando la proposta e facendo riferimento ad un terzo soggetto indicato quale figlio del fornitore, nonche' a (OMISSIS) con cui doveva concordare l'acquisto. Chiari erano i riferimenti a forniture pregresse, alla qualita' della droga acquistata prima, ad un prezzo praticato per quella precedente e per quella in corso di acquisto; la confidenza fra i due era tale che (OMISSIS), avanzando un'ulteriore richiesta di mezzo chilogrammo di eroina, indicata come "nera", che era intenzionato ad acquistare sempre insieme a (OMISSIS), chiedeva a (OMISSIS) di mettere da parte quella appena concordata cosi' da prelevarla unitamente alla "nera": l'intento era evidentemente quello di ammortizzare i costi del trasporto effettuandone uno soltanto. Nel proseguo (OMISSIS) faceva un'ulteriore richiesta di una fornitura di hashish e la conversazione si concludeva con un accordo preciso concernente la fornitura di tre chilogrammi di hashish e tre chilogrammi e mezzo di marijuana, con riserva di comunicare l'eventuale acquisto di un pacco di eroina dal peso di circa 400 grammi; poi effettivamente acquistato. E' stato ritenuto evidente quindi, come gia' ampiamente illustrato con riferimento al motivo che precede, che (OMISSIS) fosse un punto di riferimento stabile e fisso per il rifornimento di ogni tipo di droga e che, in molte occasioni, era sostituito dal figlio (OMISSIS), alle sue dirette dipendenze, tanto che il (OMISSIS) riferiva a lui dell'eventuale insoddisfazione per la droga acquistata con il tramite dell'altro. Le intercettazioni hanno documentato che il 27 luglio 2016 (OMISSIS) consegnava a (OMISSIS), previ accordi anche con (OMISSIS), tre chilogrammi di hashish, tre chilogrammi e mezzo di marijuana e 400 grammi di eroina che (OMISSIS) trasportava da Brindisi a bordo di una moto, secondo gli accordi presi due giorni prima, e che nei giorni 8, 10 e 27 ottobre 2016 (OMISSIS) e (OMISSIS) si portavano in Brindisi per il pagamento diluito nel tempo del debito contratto per quella consistente cessione. Il giudice di secondo grado ha anche chiarito come non colga nel segno la difesa nella parte in cui contesta l'assenza di prova con riferimento sia alla consegna di droga, il cui acquisto era stato concordato il 19 luglio 2016, sia all'identita' del soggetto che vi provvide: la prova della consegna della droga puo' dedursi dalla congiunta lettura di diverse circostanze, tra cui il fatto che, nel corso della trattativa, il (OMISSIS) aveva dichiarato al (OMISSIS) che al trasporto avrebbe provveduto attraverso l'utilizzo di una moto; il 20 luglio 2016 si documentavano scambi di appuntamenti fra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), colui che si occupava proprio del trasporto a mezzo del suo motociclo; il 21 luglio 2016 (OMISSIS) informava il (OMISSIS) che la moto era tornata, facendo chiaro riferimento ad un viaggio compiuto da tale mezzo di trasporto. D'altro canto, le conversazioni dei mesi successivi provano che piu' volte (OMISSIS) e (OMISSIS) si siano recati a Brindisi per saldare un debito diluito nel tempo, che nessun'altra origine poteva avere se non tale fornitura, ne' vale ad escludere il ruolo del (OMISSIS) il non avere accertato il fatto se alla materiale consegna della droga provvide egli stesso o il (OMISSIS). A fronte di tale quadro probatorio, del tutto logicamente la Corte ha ritenuto che nessuna rilevanza assuma la circostanza, addotta dalla difesa, secondo cui il (OMISSIS) non avrebbe mai fatto dichiarazioni relative alla posizione del (OMISSIS), posto che questi non era affatto addetto ai rapporti con i fornitori, sicche' era normale che nulla sapesse sulla loro identita'. 21.1.3. Il terzo motivo - con cui si censura la violazione dell'articolo 62-bis c.p. - e' inammissibile. La Corte, con motivazione perfettamente adeguata, ha dato conto del mancato concessione delle circostanze attenuanti generiche facendo leva sull'assenza di profili positivamente valutabili, stante il fatto che l'imputato non ha mai assunto una condotta resipiscente e collaborativa, per converso valorizzando la sussistenza di elementi negativi rappresentati dai numerosissimi precedenti per reati contro il patrimonio, ma anche per associazione mafiosa, evasione, falso e violazione delle leggi doganali, nonche' dalla gravita' della condotta desumibile dai quantitativi di droga ceduti al (OMISSIS). Irrilevante, inoltre, risulta la censura in ordine alla documentazione medica asseritamente depositata all'udienza del 13 luglio 2021, relativa alle condizioni psico-fisiche del ricorrente, della quale, come indicato da quest'ultimo, non risulterebbe un formale provvedimento di acquisizione nel verbale, non potendo ritenersi la stessa sostanzialmente avvenuta semplicemente perche' non restituita alla difesa o in considerazione del generico riferimento al deposito di documentazione, senza alcuna specificazione del suo contenuto, al foglio 16 della gravata sentenza. Si tratta, del resto, di documentazione che la difesa afferma di avere depositato dopo la chiusura della discussione, all'udienza del 13 luglio 2021; con la conseguenza che la Corte d'appello non aveva comunque l'onere di prendere in considerazione. 21.2. Il secondo ricorso, riportante la firma dell'avv. (OMISSIS), e' parimenti inammissibile. 21.2.1. La prima censura - con cui si lamenta il vizio di motivazione in ordine sia alla configurazione della condotta materiale che dell'elemento soggettivo con riferimento alla condanna per il delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 - e' inammissibile. Valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 21.1.1. da intendersi come richiamate. 21.2.2. Il secondo motivo - con cui si lamenta la violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, e articolo 530 c.p.p., comma 2, oltre al vizio di motivazione nella parte in cui sarebbero stati violati i criteri e i principi concernenti la valutazione della prova per l'affermazione della responsabilita' penale con specifico riferimento ai fatti di cui al capo 1) dell'imputazione - e' inammissibile. Valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 21.1.2. da intendersi come richiamate. 21.2.3. La terza doglianza - con cui ci si duole della violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, e del conseguente vizio di motivazione nella parte in cui la Corte ha escluso la qualificazione giuridica del capo 1) nell'ipotesi lieve di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, - e' inammissibile. Preliminarmente e' necessario rilevare come manchi nell'atto di appello la specifica contestazione de qua, che risulta proposta per la prima volta con il ricorso per cassazione; conseguentemente, non puo' non rilevarsi come oggi la questione sia preclusa in sede di legittimita', mancando qualsiasi onere di motivazione in capo al giudice di secondo grado in assenza di una specifica doglianza. Invero, in linea generale, costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte ritenere sistematicamente non consentita la proponibilita' per la prima volta in sede di legittimita' di uno dei possibili vizi della motivazione, con riferimento a profili richiamabili, ma non richiamati, nell'atto di appello, sia pur collegati, come e' ovvio, all'inquadramento giuridico del fatto di reato contestato al ricorrente ed alle sue circostanze (ex plurimis, Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Rv. 280306; Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, Rv. 279903; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Rv. 276062; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, Rv. 271869; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Rv. 270316; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, Rv. 269368). Sintetizzando all'essenziale, non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perche' non devolute alla sua cognizione (Sez. 5, n. 28514 del 23/4/2013, Rv. 255577). E cio', a prescindere dal fatto che la censura risulta comunque inammissibile, perche' diretta ad ottenere una rivalutazione del compendio istruttorio, a fronte di fatti la cui significativa gravita' e' stata ampiamente descritta nelle sentenze di primo e secondo grado. 21.2.4. La quarta censura - con cui si contesta la violazione dell'articolo 62-bis c.p. - e' parimenti inammissibile. Valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 21.1.3. da intendersi come richiamate. 22. In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce: con riferimento a (OMISSIS), limitatamente agli episodi del 12 luglio e 6 agosto 2016, di cui al capo 9 di imputazione; con riferimento a (OMISSIS), limitatamente agli episodi del 12 luglio e 30 luglio 2016, di cui al capo 9 di imputazione; nei confronti di (OMISSIS), limitatamente alla omessa statuizione sulle circostanze attenuanti generiche e all'aumento di pena per la continuazione. I ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) devono essere rigettati nel resto. Devono essere rigettati i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Devono essere dichiarati inammissibili i ricorsi restanti. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", alla declaratoria dell'inammissibilita' medesima consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonche' quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, con riferimento a (OMISSIS), limitatamente agli episodi del 12 luglio e 6 agosto 2016 di cui al capo 9 di imputazione; con riferimento a (OMISSIS), limitatamente agli episodi del 12 luglio e 30 luglio 2016, di cui al capo 9 di imputazione; e nei confronti di (OMISSIS), limitatamente alla omessa statuizione sulle circostanze attenuanti generiche e all'aumento di pena per la continuazione, e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Lecce. Rigetta nel resto i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Rigetta i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi dei restanti ricorrenti, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. BELMONTE Maria Teresa - Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. BORRELLI Paola - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); (OMISSIS) SRL IN PERS. DEL RAPPR. PROC. (OMISSIS) avverso la sentenza del 08/09/2021 della CORTE APPELLO di GENOVA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; udito il Sostituto Procuratore Generale PASQUALE SERRAO D'AQUINO che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' dei ricorsi. uditi i difensori: L'avvocato (OMISSIS), difensore delle parti civili, deposita nota spese e conclusioni alle quali si riporta; chiede rigetto dei ricorsi. L'avvocato (OMISSIS), quale sostituto processuale dell'avvocato (OMISSIS) difensore di (OMISSIS), si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso. L'avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso; nelle more eccepisce l'intervenuta prescrizione. L'avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), legale rappresentante della (OMISSIS) srl, si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'Appello di Genova, in riforma della sentenza assolutoria emessa dal Tribunale di Massa il 14.6.2019, ha condannato (OMISSIS) alla pena di anni uno di reclusione e 7000 Euro di multa in relazione ai reati di contraffazione di alcuni rotoli di nastri da bomboniere e da confezione, tra quelli contestati e sequestrati, riproducenti marchi figurativi dei brand di lusso "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" (attraverso la ditta individuale tessile denominata " (OMISSIS)", di cui era titolare), e di commercializzazione sistematica di tali prodotti contraffatti (attraverso la " (OMISSIS). s.r.l.", di cui era amministratore unico); sono state riconosciute, nei confronti dell'imputato, le circostanze attenuanti generiche equivalenti rispetto all'aggravante di cui all'articolo 474-ter c.p.; la sentenza d'appello ha anche dichiarato, ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, la responsabilita' amministrativa della societa' " (OMISSIS). s.r.l.", applicando all'ente la sanzione amministrativa pecuniaria pari a 200 quote del valore di Euro 300 ciascuna, nonche' la sanzione interdittiva prevista dagli articoli 5, 25-bis e 9, comma 1, n. 2, dello stesso decreto legislativo per la durata di mesi sei, ordinando la pubblicazione della sentenza per estratto, ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 18. 1.1. L'assoluzione era stata fondata dal giudice di primo grado su alcuni argomenti principali: a) i disegni impressi sui nastri sequestrati erano diversi rispetto a quelli oggetto di registrazione da parte delle due case di moda (OMISSIS) e (OMISSIS) e non era rinvenibile nemmeno la presenza di segni distintivi delle predette griffe che permettessero di confondere i rispettivi prodotti (cfr. pag. 4 e ss della sentenza di primo grado) con cio' escludendosi la contraffazione laddove i marchi venissero considerati di tipo "debole"; b) qualora i marchi fossero ritenuti di tipo "forte" non ricorrevano comunque quei requisiti enunciati dalla giurisprudenza di legittimita' per determinare la tutela penale ed identificabili nel riferimento al nucleo ideologico caratterizzante il messaggio proveniente dal marchio; nell'affinita' tra prodotti e nel "rischio di associazione" ai prodotti originali, che determinerebbero un vulnus al segno oggetto di tutela, tenuto conto della destinazione merceologica dei prodotti della ditta individuale " (OMISSIS)" esclusivamente al settore delle bomboniere, assai diverso da quello oggetto interesse delle case di moda coinvolte; c) il marchio "(OMISSIS) check" non sarebbe oggetto di tutela in qualsivoglia colore declinato, ma solo per quella combinazione di colori oggetto di registrazione nella domanda specificamente depositata (ovvero marrone chiaro, beige, rosso, bianco e nero); d) quanto al nastro ricondotto a (OMISSIS), l'aspetto del nastro sarebbe talmente comune da non potersi collegare univocamente alla nota griffe fiorentina, stante anche l'assenza di elementi ulteriori che vanno a comporre il marchio nell'insieme, quali, ad esempio, il monogramma o la staffa. E questo dato e' confortato dalla documentazione prodotta dalla difesa dell'imputato all'udienza del 14 giugno 2019 volta ad evidenziare come l'impiego dei colori del nastro, tra loro accostati nella medesima sequenza "verde-rosso-verde", sia proprio, ad esempio, di altra identita', quale l'ordine cavalleresco al merito del lavoro ovvero sia addirittura presente in opere d'arte figurativa del XV secolo, che riproducono personaggi abbigliati con tessuti a strisce "verde-rosso-verde" (vedi pagina 5 della sentenza). Infine, ad avviso del Tribunale, nessun significato penale di ammissione del reato poteva essere ricondotto all'atto di transazione sottoscritto nel 2010 da (OMISSIS) con la "(OMISSIS)". 1.2. La sentenza d'appello ha ribaltato, sostanzialmente, le affermazioni della pronuncia assolutoria, complessivamente ritenendo provato il reato sulla base principalmente dei seguenti argomenti: a) il marchio "(OMISSIS)" sarebbe registrato anche come marchio "figurativo" in bianco e nero, con copertura della tutela per tutte le declinazioni di colori; b) sono stati sequestrati alla ditta (OMISSIS) anche nastri pedissequamente riproduttivi del disegno grafico e della colorazione "(OMISSIS)" di (OMISSIS) (nastro (OMISSIS)) o estremamente somigliante (nastri (OMISSIS)); c) la tutela penale investe il marchio e non il prodotto, sicche' non ha rilievo il settore merceologico delle bomboniere cui si dedicava l'attivita' d'impresa dell'imputato, tanto piu' che i nastri potevano avere anche altre destinazioni; d) il diritto di preuso riconosciuto in qualche modo all'imputato dal primo giudice si riferisce, al piu', solo alle colorazioni del check diverse da quella classica, poiche' quest'ultima avrebbe avuto gia' una sua notorieta' al momento dell'utilizzo da parte della " (OMISSIS)"; e) non sarebbe credibile la tesi difensiva secondo cui il nastro contraffatto riproduttivo del marchio (OMISSIS) con colorazione verde-rosso-verde era solo un prodotto semilavorato e da completare con caratteri che ne avrebbero impedito l'assimilazione al marchio figurativo piu' famoso oggetto di tutela. 2. Avverso la citata sentenza ricorrono sia l'imputato che l'ente, tramite distinti ricorsi. 3. Il ricorso di (OMISSIS), proposto dal difensore di fiducia, eccepisce sette diversi motivi. 3.1. Il primo argomento di censura evidenzia il vizio di violazione di legge della sentenza impugnata, in relazione alla sussistenza del reato di contraffazione ex articolo 473 c.p. in capo all'imputato. La tesi difensiva e', in sintesi, basata sulla constatazione che i giudici d'appello hanno solo apoditticamente affermato la notorieta' e la natura di "marchio di fatto" del figurativo "(OMISSIS)" di (OMISSIS) gia' in epoca precedente al preuso da parte dell'imputato, superando il difetto di qualsiasi registrazione del marchio in esame che fondasse il diritto di privativa formalmente e, quindi, determinando una violazione della disposizione penale incriminatrice che esplicitamente prevede - dopo la novella del 1999 - l'inciso "potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprieta' industriale", a significare la necessita', per la proprieta' industriale e per la tutela penale, della brevettazione e registrazione del marchio. La sentenza d'appello, con l'interpretazione "estensiva" della tutela penale ad un "marchio di fatto", avrebbe violato i principi di tassativita' della norma penale che, come riconosciuto anche in dottrina, ritiene la registrazione del marchio l'elemento essenziale ed il presupposto dell'integrazione del reato. 3.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia mancanza e manifesta illogicita' della motivazione della sentenza impugnata, ancora una volta stigmatizzando il concetto di marchio "notorio" antecedente alla registrazione formale del figurativo "(OMISSIS)" di (OMISSIS), sotto il profilo del difetto argomentativo ex articolo 606, comma 1, lettera e, c.p.p.: nel processo ed in sentenza non vi sono tracce di prova di tale notorieta' in epoca antecedente all'uso da parte del ricorrente dei nastri incriminati, dedicati, peraltro, ad un settore merceologico ben preciso, quello delle bomboniere, completamente estraneo all'interesse della casa di moda inglese, che ha registrato il marchio "classico" (cammello, nero, bianco e rosso) nel 1986 solo per le classi merceologiche "pelletteria, tessuti e abbigliamento" (classi 18, 24 e 25; mentre i nastri per confezioni appartengono alla classe 16); il disegno "(OMISSIS)", peraltro, ancora nella giurisprudenza civile della Cassazione del 1999, non era univocamente ritenuto espressivo di marchio piuttosto che di decoro figurativo. Inoltre, il ricorrente propone la seguente questione in tema di interpretazione dell'articolo 473 c.p.: il marchio registrato riconoscerebbe un'esclusiva limitata ai prodotti e servizi rivendicati nella domanda, ovvero circoscritta al settore merceologico di riferimento; di conseguenza la sua tutela penale deve essere limitata alla classe merceologica rispetto alla quale viene registrato il marchio o segno distintivo (tanto e' vero che il marchio "(OMISSIS)" puo' essere registrato per due aziende completamente differenti: auto e spumanti): ecco perche' la stessa (OMISSIS) ha registrato numerosi marchi per lo stesso segno "classico" in relazione a diversi prodotti. Nel caso di specie, quindi, la registrazione non afferisce al settore "nastri per confezioni". 3.3. La terza censura attiene al travisamento delle prove in relazione alla parte della condotta di contraffazione riferita al nastro per bomboniere ritenuto pedissequa copia del segno (OMISSIS) (nastro verde-rosso-verde): la sentenza impugnata ha ignorato le emergenze istruttorie dalle quali era evidente che il prodotto sequestrato non era ancora ultimato ne' destinato alla vendita. La polizia giudiziaria ha attestato di aver trovato i nastri "pseudo-(OMISSIS)" solo presso la ditta individuale del ricorrente e non presso la societa' che avrebbe dovuto commercializzarli, a riprova che il nastro fosse una produzione ancora da elaborare, come sostenuto dall'imputato e dal commercialista aziendale; la Corte d'Appello ha equivocato il luogo del ritrovamento del nastro, abbinandolo alla societa' (OMISSIS). s.r.l. e le dichiarazioni del teste (OMISSIS). 3.4. Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui all'articolo 473 c.p. avente ad oggetto il nastro riproduttivo dei colori di (OMISSIS), facendo leva sull'argomento della riconducibilita' del disegno a bande "verde-rosso-verde" anche alla decorazione per l'onoreficenza dell'ordine dei (OMISSIS), disciplinata espressamente dalle leggi n. 199 del 1952 e n. 194 del 1986, che prevedono una croce d'oro piena sorretta da un nastro listato da una banda proprio identica a quella utilizzata dalla griffe, specificando che il nastro puo' essere portato senza la decorazione, a riprova della sua qualita' di nastro-emblema di Stato. La difesa evidenzia che, pur senza voler sindacare la possibile nullita' del marchio riproduttivo di un emblema di Stato (ai sensi della Convenzione di Parigi del 20.3.1883 e successive modifiche, che sancisce la nullita' di marchi industriali che riproducono stemmi, bandiere e altri emblemi di Stato, nonche' del Regolamento UE 2017/1001 del Parlamento Europeo e del Consiglio), non e' stato provato che l'imputato non avesse intenzione di destinare la produzione di nastri all'impiego nell'investitura dei (OMISSIS), perfettamente sovrapponibile tanto piu' per il settore merceologico di utilizzo del nastro, vale a dire bomboniere per cerimonie. 3.5. La quinta ragione di ricorso eccepisce vizio di motivazione del provvedimento di riforma, che non ha corrisposto ai canoni argomentativi giurisprudenziali della cd. "motivazione rafforzata", in particolare omettendo di confrontarsi con le considerazioni del primo giudice circa l'assenza di un effettivo rischio di confondibilita' tra i prodotti, sia per il settore merceologico di riferimento, sia per le caratteristiche intrinseche del nastro e le divergenze rispetto al marchio (OMISSIS) (una "tramatura" giudicata molto "comune"). 3.6. Si denuncia anche, in punto di dosimetria sanzionatoria, la mancata attestazione della pena nel minimo edittale, nonostante la valutazione di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche sull'aggravante ex articolo 474-ter c.p., ritenuta sussistente pur se i marchi contraffatti costituivano solo una minima parte della produzione della ditta individuale ed ancorche' la disciplina aggravatrice sia stata voluta per reprimere fenomeni di attivita' di contraffazione organizzata, certamente estranei al ricorrente. 3.6. Un ultimo motivo di ricorso impugna l'ordinanza del 17.11.2020 della Corte d'Appello ed eccepisce vizio di mancanza e contraddittorieta' della motivazione: i giudici hanno rinnovato solo parzialmente la prova dichiarativa, riascoltando un solo teste tra i tredici dipendenti e tecnici tessili presenti nella lista difensiva, nonche' uno solo dei tre agenti di rappresentanza indicati in lista, senza neppure farsi carico di spiegare le ragioni dell'operata selezione, con cio' ledendo il diritto di difesa del ricorrente. 4. Il ricorso proposto per conto dell'ente - la " (OMISSIS). s.r.l.", in persona del suo procuratore speciale (OMISSIS), evidenzia diversi profili di censura, raccolti in due macroaree: la prima, dedicata a contestare l'an della responsabilita' dell'ente; la seconda, incentrata sui vizi determinativi delle sanzioni inflitte all'ente. 4.1. Quanto alle censure che afferiscono alla stessa affermazione di responsabilita' della persona giuridica, un primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla sussistenza del reato presupposto della responsabilita' amministrativa dell'ente, richiamandosi la difesa alla motivazione della pronuncia di primo grado, che non sarebbe stata superata adeguatamente da quella d'appello. La Corte territoriale ha riconosciuto la notorieta' del marchio di fatto "(OMISSIS)", ritenendo che i prodotti in relazione ai quali e' intervenuta condanna lo riproducessero pedissequamente, senza tener in conto del diritto di preuso, sin dagli anni ottanta (ex articolo 2571 c.c.) riconoscibile al ricorrente, e della mancanza dei presupposti su cui ritenere operante, in assenza di registrazione formale del marchio in epoca precedente al diritto di preuso, un diritto di privativa della societa' londinese derivante dalla asserita rinomanza del suo logo. Inoltre, si sottolinea come il primo marchio vantato come "classico" da (OMISSIS) (con i colori cammello, nero, bianco e rosso), registrato il (OMISSIS) era riferito alle classi merceologiche "pelletteria", "tessuti", "abbigliamento", con esclusione, quindi, dei "nastri per confezione", non ricompresi sino all'anno 1992. La circostanza, evocata dai giudici d'appello, che la tutela penale si accorderebbe al "segno" e non al "prodotto" prova troppo, visto che, se fosse possibile ritenere un marchio tutelato a prescindere dal settore merceologico in cui viene registrato, non vi sarebbe allora necessita' di registrarlo nuovamente per ogni segmento di prodotti. Mancherebbe, altresi', la prova dell'elemento soggettivo del reato, come dimostrerebbe la liceita', riconosciuta dagli stessi giudici di merito, della condotta del ricorrente di produzione di nastri a disegno "scozzese" con colorazioni diverse da quelle tipiche del marchio (OMISSIS). Si invoca, altresi', l'insussistenza del reato di contraffazione di marchi anche per la riproduzione dei nastri con colorazione e disegno "(OMISSIS)" (bande verde-rosso-verde): la difesa sostiene che si trattasse di prodotti merceologici non ancora ultimati, dei "semilavorati", tanto che non vi e' prova della loro commercializzazione (come risulta dallo stesso esame dei testi di polizia giudiziaria e di un operaio della ditta tessile). Inoltre, si rappresenta che il marchio (OMISSIS), in realta', sfrutta un disegno cromatico gia' disciplinato dalla L. n. 1999 del 1952 e dalla L. n. 194 del 1986 per la decorazione della croce di nomina dei (OMISSIS), sicche' il nastro listato da una banda di colore rosso fra due bande verdi e' gia' un "segno" d'interesse pubblico sin da prima della nascita del marchio (OMISSIS) e non avrebbe potuto essere registrato a scopi commerciali, anzi potrebbe essere oggetto di domanda di nullita' ai sensi della Convenzione di Parigi per la protezione della proprieta' industriale del 20.3.1883 e successive modifiche. In ogni caso, tale circostanza, come anche confermato dalla sentenza di primo grado, comporta che non puo' escludersi che i nastri prodotti dalla ditta " (OMISSIS)" potevano essere destinati all'uso per cerimoniale collegato all'investitura dei (OMISSIS). I giudici d'appello, con riguardo alle considerazioni da ultimo svolte, non hanno speso alcuna motivazione, ne' al riguardo potrebbe mai invocarsi una motivazione implicita, poiche' gli argomenti utilizzati a sostegno della condanna non assorbono e superano la questione relativa alla riconducibilita' del marchio all'ordine di rilievo pubblicistico. Si denuncia anche violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata rispetto alle considerazioni del giudice di primo grado relative al fatto che la trama comune del nastro, unita alla circostanza della netta diversita' del settore merceologico di destinazione del prodotto rispetto alla registrazione (OMISSIS), impedivano qualsiasi confusione del marchio. 4.2. Il secondo argomento difensivo eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al necessario presupposto per giungere all'affermazione della responsabilita' amministrativa dell'ente: il reato deve essere stato commesso nell'interesse o a vantaggio della persona giuridica (Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5); al riguardo, la sentenza d'appello non da' alcuna argomentazione se non la tautologica asserzione che la posizione apicale rivestita da (OMISSIS) in entrambe le societa' e il ripetuto acquisto del materiale sono aspetti tali da dimostrare che egli avrebbe agito non nell'interesse esclusivo personale ma anche nell'interesse o a vantaggio della societa' rappresentata, ignorando gli elementi di prova contraria presenti nel processo. In altre parole, non vi e' prova di una politica d'impresa volta all'illecito, tanto piu' che l'attivita' di vendita relativa ai prodotti in contestazione era marginale per la (OMISSIS). s.r.l. e la dimensione irrisoria degli introiti dovuti a tali operazioni commerciali, l'irrilevanza sul suo fatturato (inferiore all'10/0, dimostrata dalla difesa con le produzioni documentali all'udienza del 17.5.2021), lo confermano. 4.3. La terza censura si incentra sull'affermazione di responsabilita' dell'ente (OMISSIS). s.r.l. relativamente alla produzione del nastro ritenuto contraffacente il marchio (OMISSIS). La difesa sottolinea che il sequestro del nastro e' avvenuto solo presso la ditta individuale, poiche' nella societa' condannata non e' stato rinvenuto che il solo nastro (OMISSIS): pertanto, non vi sarebbe prova dell'illecita commercializzazione del prodotto contraffatto da parte dell'ente, che sarebbe stato coinvolto, per tale aspetto del reato, solo per la coincidenza soggettiva tra il titolare della ditta individuale produttrice e l'amministratore legale della persona giuridica. E la stessa imputazione non reca traccia della commercializzazione da parte di (OMISSIS). s.r.l. dei prodotti a marchio contraffatto (OMISSIS), ma si limita a contestare alla persona fisica (OMISSIS), quale titolare della ditta individuale " (OMISSIS)", la produzione illecita, senza che sia coinvolta la societa' poi condannata anche per questa porzione di condotta (riguardo alla contestazione delle violazioni rilevanti ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, il GUP aveva gia' prosciolto in udienza preliminare la ditta individuale dell'imputato, inizialmente imputata, per l'inapplicabilita' della legislazione a tale tipologia di ente: l'imputazione non e' stata mai modificata, peraltro, sicche' la condanna e' stata emessa anche in violazione delle norme del codice di rito a tutela della coerenza tra accusa e sentenza). In altre parole, la tesi difensiva e' che la persona fisica autrice del reato non ha neppure formalmente impegnato l'ente nel compimento di un'attivita' destinata a riversarsi nella sua sfera giuridica, sicche' la condanna per tale parte di condotta relativa alla commercializzazione del prodotto con marchio contraffatto (OMISSIS) sarebbe stata emessa in violazione del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 66. 4.4. Un ulteriore motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'ordinanza emessa il 17.11.2020 dalla Corte d'Appello, con cui si e' disposta la rinnovazione delle prove dibattimentali, senza spiegare sulla base di quale valutazione esse siano state selezionate. In particolare, si lamenta la revoca di alcune prove gia' ammesse in primo grado e la conseguente limitazione del diritto dell'ente alla difesa (testimonianze di operai, agenti di rappresentanza). 4.5. Passando ad esaminare il blocco di eccezioni relative alla determinazione delle sanzioni, una prima ragione difensiva denuncia la dosimetria della sanzione pecuniaria inflitta alla (OMISSIS). s.r.l., con riguardo alla misura delle quote societarie. Nonostante l'affermazione dei giudici d'appello di non particolare gravita' del fatto ascritto all'ente, la determinazione del numero di quote in cui si concretizza la sanzione pecuniaria non e' stata contenuta nel minimo (che e' 100, con massimo edittale di 500 quote ex Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 25-bis), bensi' in una misura che e' pari quasi alla meta' della forbice edittale, con violazione dei parametri commisurativi dettati dagli articoli 10 e 11 del medesimo decreto legislativo (che prescrive di confrontarsi con le condizioni economiche e patrimoniali dell'ente, valutazione del tutto omessa dalla Corte d'Appello, che non ha tenuto conto delle piccole dimensioni imprenditoriali della (OMISSIS). s.r.l.) e delle stesse premesse argomentative anteposte alla sanzione. Si contesta, altresi', la mancata applicazione dell'attenuante ex Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 12, comma 1, priva di motivazione, nonostante sussistessero i due requisiti previsti: a) l'interesse minimo dell'ente al fatto di reato e l'interesse prevalente della persona fisica; b) il danno patrimoniale cagionato di particolare tenuita'. La concedibilita' dell'attenuante avrebbe potuto determinare anche la condizione ex Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 13, comma 3, ostativa all'inflizione delle sanzioni interdittive e quella ostativa alla pubblicazione della sentenza di condanna (articolo 18 del citato decreto legislativo), sanzioni che, pertanto, risultano inflitte al di fuori delle disposizioni di legge. 4.6. La seconda, complessa, ragione di censura afferente al trattamento sanzionatorio denuncia violazione di legge in relazione all'applicazione della sanzione interdittiva all'ente, in assenza della prova dei presupposti richiesti dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 13, nonche' violazione dell'articolo 59 del medesimo decreto, che prescrive che la contestazione deve contenere gli elementi identificativi dell'ente, l'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto che puo' comportare l'applicazione delle sanzioni amministrative (vale a dire, a giudizio della difesa, i caratteri concreti che denotano il deficit organizzativo-preventivo, la natura dell'interesse o vantaggio dell'ente), con l'indicazione del reato da cui l'illecito dipende e dei relativi articoli di legge e delle fonti di prova: il deficit dell'imputazione determinerebbe la sua nullita' per violazione dell'articolo 178, comma 1, lettera c) e del diritto di difesa (articoli 24, 111 Cost; articolo 6 CEDU). Quanto all'assenza dei presupposti ex Decreto Legislativo n. 231, articolo 13, la difesa rileva che non si ricade nel presupposto della lettera a (poiche' il fatto non e' grave), ne' in quello della lettera b (poiche' gli illeciti non sono reiterati: la societa' non e' mai stata imputata o condannata prima del presente processo). Infine, un ultimo argomento difensivo evidenzia la violazione dei criteri previsti dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articoli 11 e 14, in relazione alla scelta di applicare anche la sanzione interdittiva, senza tener conto che la seconda disposizione citata impone una valutazione di proporzionalita' complessiva dell'intervento sanzionatorio nei confronti dell'ente, mentre i giudici d'appello, nel caso di specie, hanno applicato tutte le sanzioni previste dall'articolo 9 del decreto 231, automaticamente e senza motivare sulla loro scelta ne' sul criterio della loro commisurazione. Si rappresenta, in proposito, che il comma 4 del richiamato articolo 14 consente il ricorso all'interdizione dell'attivita' solo se le altre sanzioni risultino inadeguate, poiche' la misura interdittiva costituisce una extrema ratio, data la sua afflittivita' e l'incidenza sulla vita giuridica ed economica dell'ente; la Corte d'Appello, contraddittoriamente ed immotivatamente, ha applicato la sanzione interdittiva, peraltro senza specificare le ragioni della durata stabilita, pur qualificando l'illecito come non di particolare gravita' e non ha indicato le attivita' o le strutture sulle quali deve avere incidenza la sanzione, come invece prescritto dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 69, comma 2: da qui il vizio di omessa motivazione. 4.7. Il terzo motivo di ricorso, attinente alle sanzioni inflitte all'ente, ruota intorno alla condanna alla pubblicazione della sentenza ex Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 18, considerata dai giudici d'appello alla stregua di un effetto automatico dell'affermazione di responsabilita' dell'ente, laddove, invece, il legislatore la prevede come facoltativa, con necessita' di valutazione da parte del giudice della sua necessita' (evidente per l'utilizzo dell'espressione normativa "La pubblicazione della sentenza di condanna puo' essere disposta quando nei confronti dell'ente viene applicata una sanzione interdittiva"); per di piu', la sua applicazione e' subordinata alla riscontrata gravita' della condotta, senza dubbio esclusa nel caso di specie dalla stessa sentenza impugnata. Vi sarebbe, pertanto, sia un vizio di omessa motivazione che di motivazione manifestamente illogica. 5. Il Sostituto Procuratore Generale Pasquale Serrao d'Aquino ha chiesto l'inammissibilita' dei ricorsi. 6. Ha depositato memoria la parte civile "(OMISSIS) s.p.a.", evidenziando con ampie argomentazioni le ragioni di manifesta infondatezza del ricorso; in particolare, si mette in risalto l'assoluta non confondibilita' tra il disegno (OMISSIS) a nastro verde-rosso-verde e il simbolo dei (OMISSIS); tale carattere di distinguibilita' da parte del pubblico rende l'utilizzo del marchio legittimo, tanto che e' stato registrato sia in Italia sia in Europa. Inoltre, si aggiunge che vi sarebbero elementi per ritenere che il settore merceologico di utilizzo nei nastri da parte dell'imputato sia stato anche quello dell'abbigliamento (come emerge dalla transazione della ditta (OMISSIS) con la (OMISSIS) ltd, agli atti del processo) e la totale infondatezza della prospettiva difensiva secondo cui il nastro "(OMISSIS)" poteva essere destinato a quell'uso limitatissimo del conferimento dell'onoreficenza di (OMISSIS), ovvero fosse un prodotto semilavorato non commercializzabile (il quantitativo ritrovato sarebbe di ostacolo a tale ultima conclusione). 7. Ha proposto memoria anche la parte civile "(OMISSIS) ltd", sostenendo la correttezza della decisione di condanna, che contiene una motivazione rafforzata ed esatta dal punto di vista dell'applicazione giurisprudenziale in tema di contraffazione di marchi; si rappresenta, altresi', che la rinnovazione della prova dichiarativa in appello, sfrondando le liste testi, sia stata assunta di comune accordo tra le parti e i giudici. Nel merito, la parte civile evidenzia, quanto alla tesi difensiva sul preuso del marchio (che la memoria ritiene, peraltro, non adeguatamente provata poiche' basata solo su incerte prove testimoniali), come i giudici d'appello hanno correttamente osservato che non vi potesse essere un preuso lecito da parte dell'imputato rispetto alla registrazione del 1986, se gia' da prima di tale anno il marchio era gia' in uso a (OMISSIS) e noto ai consumatori. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso dell'imputato (OMISSIS) non e' inammissibile, sicche' deve rilevarsi l'intervenuta prescrizione del reato, fissata al 19.10.2021 ai sensi degli articoli 157 e 161 c.p., tenuto conto della data dei fatti (contestati al 1.2.2013) e pur computati i periodi di sospensione rilevabili dagli atti. Rileva il Collegio che in particolare, i due motivi di censura proposti dal ricorrente per vizi di natura processuale (il quinto ed il sesto motivo dell'impugnazione di legittimita'), pur infondati, superano la soglia di ammissibilita', di talche' il ricorso e' idoneo - diversamente dai casi di inammissibilita' per manifesta infondatezza delle censure - ad instaurare il rapporto di impugnazione, condizione che consente di rilevare d'ufficio ex articolo 609, comma 2, c.p.p. una causa di non punibilita' nelle more intervenuta, nel caso di specie costituita, appunto, dalla prescrizione del reato (cfr. Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 e Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818, in motivazione). Ed infatti, non e' fondata l'obiezione (quinto motivo) relativa al mancato rispetto dell'obbligo, gravante sul giudice d'appello, di delineare le linee portanti del proprio, alternativo ragionamento decisionale, compendiato nell'endiadi sintetica utilizzata dal ricorrente della violazione dell'obbligo di "motivazione rafforzata" - obbligo che la giurisprudenza di questa Corte regolatrice da tempo indica come lo standard motivazionale necessario per superare la pronuncia di primo grado (cfr., per tutte, Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, Rv. 231679 e Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430), vieppiu' quando il ribaltamento riguardi una sentenza assolutoria. La sentenza impugnata ha ampiamente argomentato sui punti di contrasto tra il proprio convincimento e quello del giudice di primo grado, supportando la motivazione con riferimenti puntuali alle prove raccolte nel processo, in particolare alla struttura dei prodotti con marchio ritenuto contraffatto di "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" ed alle ragioni giuridiche in base alle quali ha ritenuto che fosse integrato il reato previsto dall'articolo 474 c.p. (secondo quanto meglio si dira' di seguito per valutare la sentenza impugnata agli effetti civili). Anche la censura espressa nell'ultimo motivo di ricorso e' priva di fondamento, poiche', se e' vero che non sono stati ascoltati tutti i testi indicati nelle liste ammesse in primo grado, e' altrettanto indubbio che il Tribunale non abbia svolto alcuna istruttoria, avendo pronunciato sentenza di assoluzione sulla base delle sole prove documentali e fotografiche relative ai sequestri dei prodotti con marchi ritenuti contraffatti ed all'esito di un esame della giurisprudenza di legittimita' sia civile che penale. Viene meno, dunque, l'esigenza stessa di ragionare in termini di rinnovazione in contraddittorio orale della prova dichiarativa in caso di overturning di condanna, dettata dal nuovo articolo 603, comma 3-bis, c.p.p. e desunta dalla giurisprudenza di legittimita' (cfr., per tutte, Sez. U, n. 11586 del 30/9/2021, dep. 2022, D., Rv. 282808, che, in motivazione, ha riepilogato il percorso ermeneutico sul tema, disegnato dalle Sezioni Unite, a partire dalla sentenza Sez. U, n. 27620 del 28/4/2016, Dasgupta, Rv. 267490, in linea con la giurisprudenza della Corte EDU): nel caso di specie, infatti, non vi e' stata alcuna assunzione in contraddittorio di testimonianze poi non rinnovate in appello ne' vi e' stata alcuna indicazione motivazionale relativa ad una valutazione di prove testimoniali o della loro attendibilita'. Pertanto, in assenza di elementi che rendano evidenti i presupposti per un proscioglimento nel merito ai sensi dell'articolo 129 c.p.p., deve accedersi ad una pronuncia di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali perche' il reato e' estinto per prescrizione. 1.1. La declaratoria di prescrizione non esime il Collegio dall'esaminare il ricorso agli effetti civili, ai sensi dell'articolo 578 c.p.p., quanto alle sue ulteriori ragioni, essendo stato l'imputato condannato anche alle statuizioni civili in favore delle societa' "(OMISSIS) ltd" e "(OMISSIS) s.p.a." (cfr. Sez. U, n. 35490 del 28/5/2009, Tettamanti, Rv. 244273). Ed infatti, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato per il quale nei gradi di merito e' intervenuta condanna, ai sensi dell'articolo 578 c.p.p., il giudice d'appello e la Corte di cassazione sono tenuti a decidere sull'impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili e, a tal fine, i motivi di ricorso proposti dall'imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna, anche solo generica, al risarcimento del danno dalla mancanza di prova dell'innocenza dell'imputato secondo quanto previsto dall'articolo 129 c.p.p. (cfr., per il giudizio d'appello, negli stessi termini, Sez. 5, n. 28289 del 6/6/2013, Cologno, Rv. 256283; nonche', tra le tante, in ordine al giudizio di legittimita', in motivazione: Sez. 1, n. 14822 del 20/2/2020, Milanesi, Rv. 278943 e Sez. 5, n. 26217 del 13/7/2020, G., Rv. 279598-02, nonche' Sez. 5, n. 28848 del 21/9/2020, D'Alessandro, Rv. 279599. Vedi in precedenza, altresi', Sez. 5, n. 5764 del 7/12/2012, dep. 5/2/2013, Sarti, Rv. 254965 - 01; Sez. 5, n. 14522 del 24/3/2009, Petrilli, Rv. 243343 - 01; Sez. 6, n. 21102 del 9/3/2004, Zaccheo, Rv. 229023 - 01). Secondo le indicazioni della giurisprudenza costituzionale (cfr. la sentenza n. 182 del 2021 Corte Cost.), il giudice penale, chiamato a verificare la sussistenza dell'illecito civile ai sensi dell'articolo 578, comma 1, c.p.p., dovra' basarsi sulla regola di giudizio civilistica per la valutazione della responsabilita', vale a dire il canone valutativo del "piu' probabile che non", piuttosto che sul criterio penalistico dell'alto grado di probabilita' logica (ovvero dell-oltre ogni ragionevole dubbio"), sia pur riconoscendo la non piena sovrapponibilita' della fisionomia del giudizio relativo ai soli interessi civili svolto in sede penale rispetto a quello che si tiene dinanzi al giudice civile (cfr. Sez. 5, n. 4902 del 16/1/2023, Rv. 284101). 1.2. Orbene, le censure di merito relative alla sussistenza del reato di contraffazione nei riguardi della "(OMISSIS) ltd" e della "(OMISSIS) s.p.a." sono prive di pregio, alla stregua della suddetta verifica, e complessivamente anche formulate secondo direttrici di critica inammissibili dinanzi alla Cassazione, poiche' declinate come ricostruzione alternativa degli elementi di prova in atti. Il Collegio premette che la tutela penale accordata alla protezione marchi, riconosciuta nell'ambito di fattispecie di reati cd. "di pericolo", discende dalla necessita' di offrire adeguata garanzia al bene giuridico della fede pubblica, direttamente coinvolto, pur implicando, al fondo, evidenti ragioni di garanzia degli interessi economici sottesi. Le figure tipiche dei delitti previsti dagli articoli 473 e 474 c.p., pertanto, sono costruite secondo lo schema normativo dei reati di pericolo, sicche' cio' che rileva e' la mera attivita' di contraffazione o alterazione dell'altrui marchio in quanto foriera dell'immissione sul mercato di beni suscettibili di ledere la fede pubblica e ingenerare confusione, nuocendo all'affidamento dei consumatori (Sez. 3, n. 14812 del 30/11/2016, dep. 2017, Shi, Rv. 260751; Sez. 5, n. 27743 del 30/4/2019, Campo, Rv. 276772; Sez. 5, n. 28956 del 8/5/2012, Mugnolo, Rv. 253240). Tanto cio' e' vero che, secondo la giurisprudenza assolutamente pacifica di questa Corte regolatrice, integra il delitto di cui all'articolo 474 c.p. la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto, senza che abbia rilievo neppure la configurabilita' della contraffazione grossolana, considerato che l'articolo 474 c.p. tutela, in via principale e diretta, non gia' la libera determinazione dell'acquirente, ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi che individuano le opere dell'ingegno ed i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell'inganno, non ricorrendo, quindi, l'ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanita' della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilita' che gli acquirenti siano tratti in inganno (cfr., per tutte, la piu' recente sentenza massimata sul punto: Sez. 2, n. 16807 del 11/1/2019, Assane, Rv. 275814). Quanto alla configurabilita' oggettiva del reato, ai fini dell'integrazione dei reati di cui agli articoli 473 e 474 c.p., un marchio si intende contraffatto quando la confusione con un segno distintivo similare emerga non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata valutazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica, con riguardo cioe' all'insieme degli elementi salienti, grafici, fonetici o visivi, tenendo, altresi', presente che, ove si tratti di un marchio "forte", sono illegittime anche le variazioni, sia pure rilevanti ed originali, che lasciano sussistere l'identita' sostanziale del nucleo ideologico in cui si riassume l'attitudine individuante (Sez. 2, n. 40324 del 7/6/2019, D'Ospina, Rv. 277049). Inoltre, l'oggettiva e inequivocabile possibilita' di confusione delle immagini, tale da indurre il pubblico ad identificare erroneamente la merce come proveniente da un determinato produttore forma oggetto di un giudizio di fatto demandato al giudice di merito e insindacabile se rispondente ai criteri della completezza e logicita' (Sez. 5, n. 25147 del 31/1/2005, Bellomo, Rv. 231894). La giurisprudenza della Cassazione civile - necessario specchio ermeneutico di quella penale in materia di tutela dei marchi - anche recentemente ha ricordato come la qualificazione del segno distintivo quale marchio "debole" non incide sull'attitudine dello stesso alla registrazione, ma soltanto sull'intensita' della tutela che ne deriva, nel senso che, a differenza del marchio "forte", in relazione al quale vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l'identita' sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l'idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilita' anche lievi modificazioni od aggiunte (Sez. 1, n. 8942 del 14/5/2020, Rv. 657905). E sull'amplissima tutela che la giurisprudenza accorda ai marchi cd. "forti", basti rammentare il costante orientamento che evidenzia la punibilita' di riproduzioni di personaggi di fantasia a marchio registrato, ancorche' non fedeli, ma espressive di una forte somiglianza, che renda possibile la confusione delle immagini tale da indurre il pubblico ad identificare erroneamente la merce come proveniente da un determinato produttore (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 9362 del 13/2/2015, Iervolino, Rv. 262841; Sez. 2, n. 20040 del 20/4/2011, Ferrantino, Rv. 250157; Sez. 5, n. 25147 del 31/1/2005, Bellomo, Rv. 231894). Si rammenta, altresi', nella medesima ottica, la punibilita' della contraffazione dei cd. modelli ornamentali, indicativi della provenienza del prodotto dall'impresa che l'ha brevettato; in tal caso la contraffazione consiste nel dare al prodotto quella forma e quei colori particolari che possono indurre il pubblico ad identificarlo come proveniente da una certa impresa, anche contro le eventuali indicazioni dei marchi con i quali venga contrassegnato (Sez. 5, n. 8758 del 22/6/1999, ROSSI, Rv. 214652, che ha segnalato, come, quando il modello contraffatto sia legittimamente contrassegnato anche da un marchio di provenienza, per la consumazione del reato e' necessario che sia integralmente riprodotta per imitazione una forte capacita' identificativa del modello, pur riconoscendosi autonoma rilevanza penale alla contraffazione del modello a norma dell'articolo 473, comma 2, c.p.). La natura di marchio "forte" si accompagna quasi sempre alla "notorieta'" del marchio, che, in quanto tale, puo' prescindere anche dalla necessita' della registrazione a fini di tutela. E difatti, ai fini della configurabilita' del reato di commercio di prodotti con segni falsi, e' sufficiente e necessaria l'idoneita' della falsificazione a ingenerare confusione, con riferimento non solo al momento dell'acquisto, bensi' alla loro successiva utilizzazione, a nulla rilevando che il marchio, se notorio, risulti, o non, registrato, data l'illiceita' dell'uso senza giusto motivo di un marchio identico o simile ad altro "notorio anteriore" utilizzato per prodotti o servizi sia omogenei o identici, sia diversi, allorche' al primo derivi un indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorieta' del secondo (Sez. 5, n. 40170 del 1/7/2009, Bogoni, Rv. 244750). Naturalmente, allorche' si tratti di marchio di larghissimo uso e di incontestata utilizzazione, pur non essendo richiesta la prova della registrazione, e' comunque indispensabile la previa acquisizione di elementi attestanti la rinomanza del marchio e la notoria sua riferibilita' alla casa produttrice ed alla tipologia di prodotti che contraddistingue, tale da giustificarne la tutela, con conseguente onere, per l'incolpato, di fornire la prova contraria (Sez. 2, n. 46882 del 3/12/2021, Huang, Rv. 282404). Infine, aspetto di fondamentale rilievo interpretativo nell'analisi della fattispecie sottoposta al Collegio, la notorieta' del marchio, la sua fama risalente ed estesa determinano la dimensione del campo applicativo dei delitti previsti dagli articoli 473 e 474 c.p.. Sin d'ora si intende ribadire, infatti, che integra il delitto di cui all'articolo 473 c.p., ovvero quello di cui all'articolo 474 c.p., la contraffazione di marchi celebri pur se apposti su prodotti appartenenti a un settore merceologico diverso da quello tradizionale posto che il bene della fede pubblica e' leso dalla confondibilita', secondo il giudizio del consumatore medio, del marchio originale con quello contraffatto, quand'anche utilizzato in ambiti non tradizionali per effetto di attivita' di "merchandising", non costituendo tale circostanza, di per se' sola, motivo di sospetto (Sez. 5, n. 35235 del 18/5/2022, Lelli, Rv. 283796, nella specie, si trattava di marchi di case automobilistiche apposti su capi di vestiario e "gadget"). 1.3. Anche alla luce del tessuto ermeneutico delineato al paragrafo precedente, risulta l'infondatezza delle ragioni di ricorso relative alla contraffazione dei nastri riportati al marchio notorio e registrato "(OMISSIS)", nelle quali si evocava la sovrapponibilita' tra il disegno a bande "verde-rosso-verde", caratterizzante il marchio famoso, con il nastro costituente la decorazione per l'onoreficenza dell'ordine dei (OMISSIS) e, in ogni caso, l'impiego del nastro in prodotti futuri personalizzati. Infatti, al di la' della questione, comunque ampiamente superata dalla sentenza impugnata, che ha sottolineato - con ragioni in fatto non sindacabili da questa Corte di legittimita', poiche' del tutto plausibili - come il nastro sequestrato all'imputato sia in tutto identico al marchio notorio ampiamente utilizzato e registrato dalla famosa casa di moda (sulla cui notorieta', cosi' come su quella della azienda "(OMISSIS)", la sentenza si e' spesa, apparendo la motivazione al riguardo priva di qualsiasi aporia, al di la' dell'immediata riconoscibilita' delle due "griffes" nel sentire comune), rimane, altresi', nel campo della mera, assertiva prospettazione difensiva, priva di elementi di fatto che la sostengano, la circostanza relativa sia all'uso che di tali nastri si faccia nell'ambito della disciplina dell'onoreficenza citata, sia alla loro destinazione a lavori inerenti all'investitura di "(OMISSIS)" ovvero a lavori non ancora ultimati, nonche' alla natura di semilavorato dei nastri in sequestro, che, una volta completati, avrebbero avuto caratteristiche non confondibili con l'originale. La sentenza impugnata ha enucleato vari indicatori della contraffazione punibile, tra questi: la quantita' di prodotto, confezionato gia' in bobine di grandi dimensioni; l'assenza di campionario o documentazione che prevedesse segni di personalizzazione del nastro, con apposizione di altre figure; la riproduzione cosi' pedissequa del marchio/disegno, da non aver rilievo la tesi difensiva del diverso settore merceologico di utilizzo, essendo compromessa comunque l'identificabilita' del prodotto, come proveniente dalla (OMISSIS). 1.3. Eguale sorte di manifesta infondatezza tocca ai motivi di ricorso dedicati a contestare la responsabilita' del ricorrente per il reato di contraffazione ex articolo 474 c.p. in relazione ai nastri abbinati alla contraffazione del marchio (OMISSIS). La Corte d'Appello ha spiegato, anche con esempi (sia per (OMISSIS) che per (OMISSIS)) le ragioni di fatto e quasi "storiche" sulla base delle quali ha ritenuto il marchio in esame "forte" e notorio, assegnandogli la tutela estesa gia' richiamata, esponendo con argomenti insindacabili, poiche' non manifestamente illogici, il proprio convincimento su tale aspetto - del resto di immediata percezione anche secondo il senso medio di comune percezione - e sulla pedissequa riproduzione ovvero sulla forte similitudine dei prodotti sequestrati, messi a confronto con il disegno "a scacchi" (declinato nel colore classico o in diversi colori) del "brand" famoso. Rimane, pertanto, del tutto infondata la tesi difensiva, che denunciava l'apodittica affermazione della notorieta' e della natura di "marchio di fatto" del figurativo "(OMISSIS)" di (OMISSIS) gia' in epoca precedente al preuso da parte dell'imputato, nonche' della necessita' di registrazione del marchio in esame che fondasse il diritto di privativa formalmente, per il settore merceologico di interesse (non rileva, peraltro, il richiamo difensivo ad un'unica, isolata e risalente pronuncia della giurisprudenza civile, in cui sembra trovare spazio una tutela meno ampia del disegno "(OMISSIS)" - Sez. 1 civile, n. 5243 del 29/5/1999, Rv. 526838 - poiche' la Cassazione, in quella sede, ha preso atto dei limiti del sindacato di legittimita' proprio in relazione alla valutazione del giudice di merito relativa alla prevalente funzione estetica del disegno "check" in esame). Come si e' gia' evidenziato, infatti, integra il delitto di cui all'articolo 474 c.p. la contraffazione di marchi celebri pur se apposti su prodotti appartenenti a un settore merceologico diverso da quello tradizionale posto che il bene della fede pubblica e' leso dalla confondibilita', secondo il giudizio del consumatore medio, del marchio originale con quello contraffatto, quand'anche utilizzato in ambiti non tradizionali e non ricompresi nella produzione di quest'ultimo, come nel caso di specie, in cui il marchio "forte" costituito dal disegno "(OMISSIS)" e' stato pedissequamente riprodotto in nastri di tessuto, destinati al settore delle bomboniere da cerimonia. La tutela penale di marchi celebri, quindi, deve essere estesa anche a settori merceologici completamente estranei all'interesse del brand oggetto della riproduzione pedissequa, allorche' si rischi, secondo il giudizio del consumatore medio, la confondibilita' dell'attribuzione del prodotto riproduttivo del marchio, del disegno o del modello ornamentale originali e "forti" perche' "ampiamente notori". In altre parole, cio' che conta e' la capacita' del disegno, della forma o del modello ornamentale di rappresentare un "segno distintivo", la cui contraffazione pone in pericolo il bene della fede pubblica. Significative, al riguardo, sono le affermazioni della giurisprudenza civile di legittimita', che ha recentemente evidenziato come possa essere registrato e tutelato come marchio di forma quel prodotto la cui pubblicizzazione e commercializzazione ne abbiano favorito la diffusione tra il pubblico al punto da comportare la generalizzata riconducibilita' di quella determinata forma dell'oggetto ad una specifica impresa, consentendo l'acquisto, tramite il c.d. "(OMISSIS)", di capacita' distintiva del marchio che ne era originariamente privo (Sez. 1 civile, ord. n. 30455 del 17/10/2022, Rv. 666037). La stessa giurisprudenza Europea ha osservato che "non si puo'.. escludere che l'aspetto estetico di un marchio (...) che assume (una determinata) forma (...) possa essere tenuto in considerazione, tra gli altri elementi, per accertare uno scostamento dalla norma e dagli usi del settore, purche' tale aspetto estetico sia inteso come richiamante l'effetto visivo oggettivo e inusuale del design specifico del marchio suddetto (sentenza del 12 dicembre 2019, Euipo/Wajos, C-783/18, p. 32; Tribunale UE, 14 luglio 2021, T488/20, p. 43 e 44); di conseguenza, "la presa in considerazione dell'aspetto estetico del marchio (...) mira a verificare (...) se tale aspetto e' idoneo a suscitare un effetto visivo oggettivo e inusuale presso il pubblico di riferimento" (i richiami alla giurisprudenza Europea ed una piu' ampia analisi del tema sono contenuti nella citata ordinanza Sez. 1 civ., n. 30455 del 2022). Del resto, lo stesso percorso storico che ha legato l'azienda del ricorrente con la societa' "(OMISSIS)" fa da sfondo utile a quanto sinora affermato: gia' in passato, infatti, era stato siglato un accordo di "non concorrenza sleale" tra la casa di moda inglese e la " (OMISSIS)", con riguardo alla produzione di un prodotto di abbigliamento (gambaletti), decorati con un nastro riportante il marchio contraffatto prodotto dalla societa' dell'imputato. Anche in questo caso, infine, cosi' come gia' evidenziatosi per il brand "(OMISSIS)", sono insindacabili le ragioni di accertamento che hanno condotto la Corte d'Appello a ritenere del tutto sovrapponibile il disegno dei prodotti sequestrati con quello del marchio originale (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata), concludendo per la contraffazione di questo e, nel caso di alcuni nastri, per l'imitazione pedissequa anche del colore (OMISSIS) nelle sue ben note sfumature di colore, sicche' non assume rilievo la destinazione ad un settore merceologico (quello delle bomboniere per cerimonie e occasioni speciali) che non vede operativo il colosso del lusso inglese. In ogni caso, il preuso evocato dal ricorrente e' rimasto privo di elementi di fatto utili a ritenerlo esistente, e rilevante secondo le indicazioni della giurisprudenza di legittimita' (cfr. Sez. 5, n. 28956 del 8/5/2012, Mugnolo, Rv. 253239), essendo stato, anzi, espressamente escluso dalla Corte d'Appello, che ha evidenziato la risalenza del marchiom (OMISSIS) come marchio notorio (in tal senso devono leggersi anche le lunghe memorie di parte civile). 1.4. In relazione alla posizione del ricorrente (OMISSIS), quindi, la sentenza deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali per essere il reato estinto per prescrizione; il ricorso, invece, deve essere rigettato agli effetti civili, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili, da liquidarsi in complessivi Euro 4.900,00, oltre accessori di legge. 2. Sono, invece, fondate le ragioni di ricorso proposte dall'ente, la societa' " (OMISSIS) s.r.l.", coinvolta nel processo sulla base della prospettazione di un vantaggio derivato all'ente dalla commissione del reato. 2.1. Anzitutto, deve essere chiarito che, in tema di responsabilita' degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 8, comma 1, lettera b), deve procedere all'accertamento autonomo della responsabilita' amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l'illecito fu commesso che, pero', non puo' prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato (Sez. 6, n. 21192 del 25/1/2013, Barla, Rv. 255369; Sez. 4, n. 22468 del 18/4/2018, Eurocos s.n.c., Rv. 273399; vedi anche Sez. 4, n. 38363 del 23/5/2018, Consorzio Melinda S.C.A., Rv. 274320-03). La responsabilita' dell'ente sussiste, infatti, anche quando il reato "presupposto" si estingue per una causa diversa dall'amnistia (cosi', espressamente, il Decreto Legislativo n. 8 giugno 2001, n. 231, articolo 8, comma 1, lettera b)). Si tratta di una delle ipotesi, espressamente contemplate dalla legge, in cui l'inscindibilita' tra le vicende processuali delle persone fisiche e quelle dell'ente puo' venire meno, con la conseguenza che l'accertamento della responsabilita' amministrativa della societa' nel cui interesse o per il cui vantaggio il reato e' stato commesso puo' e deve proseguire attraverso un percorso processuale autonomo, nella sede propria del processo penale voluta dal legislatore della "L. 231", pur non potendosi prescindere da una verifica quanto meno incidentale circa la sussistenza del fatto di reato. In situazioni del genere, dunque, il potere cognitivo del giudice penale resta immutato, dovendo egli comunque procedere all'accertamento della sussistenza del reato cd. presupposto. In altre parole, per il principio di autonomia della responsabilita' dell'ente (articolo 8 cit.), la prescrizione del reato presupposto nei confronti della persona fisica autrice, anche se dichiarata nello stesso processo in cui e' imputato l'ente, non fa venir meno la sussistenza della sua eventuale responsabilita' (ed e' irrilevante che vi sia stata anche una pronuncia ex articolo 578 c.p.p. nei confronti della persona fisica. Il differente regime di prescrizione previsto normativamente per l'ente-imputato e' stato ritenuto compatibile con i principi costituzionali da Sez. 6, n. 28299 del 10/11/2015, dep. 2016, Bonomelli, Rv. 267047). 2.2. Nel percorso motivazionale dell'impugnata pronuncia non risultano, tuttavia, adeguatamente illustrati, se non con una formula del tutto generica, inidonea a dar conto delle ragioni giustificative dell'esito decisorio, i criteri oggettivi attraverso cui la Corte di merito e' pervenuta all'affermazione della responsabilita' dell'ente. Al riguardo, la Corte d'Appello si e' limitata a riportare, del tutto tautologicamente, l'interesse dell'ente alla posizione apicale di (OMISSIS), quale legale rappresentante sia della ditta produttrice dei prodotti con marchio contraffatto - la ditta individuale " (OMISSIS)" di (OMISSIS) - sia dell'ente stesso - la " (OMISSIS). s.r.l." - che commercializzava i prodotti contraffatti: da questa identita' personale e dall'oggetto delle attivita' di impresa si e' desunto del tutto apoditticamente il vantaggio dell'ente, in ragione del quale si attiva la responsabilita' ex L. n. 231 del 2001. Non sono stati presi in considerazione elementi concreti, indicativi dell'interesse e della consapevolezza dell'illecito in capo all'ente. La motivazione della sentenza impugnata e' del tutto inidonea a sostenere l'affermazione di responsabilita' ai sensi della L. n. 231 del 2001. Come ha di recente, condivisibilmente, chiarito la Sesta Sezione Penale, nella sentenza Sez. 6, n. 23401 del 11/11/2021, dep. 2022, Impregilo s.p.a., Rv. 283437, l'addebito di responsabilita' all'ente non si fonda su un'estensione, piu' o meno automatica, della responsabilita' individuale al soggetto collettivo, bensi' sulla dimostrazione di una difettosa organizzazione da parte dell'ente, a fronte dell'obbligo di auto-normazione volta alla prevenzione del rischio di realizzazione di un reato presupposto, secondo lo schema legale dell'attribuzione di responsabilita' mediante analisi del modello organizzativo. L'illecito dell'ente, infatti, pur se inscindibilmente connesso alla realizzazione di un reato da parte di un autore individuale nell'interesse o a vantaggio dell'ente, risulta comunque caratterizzato da autonomia di configurazione giuridica, poiche' fondato su presupposti di tipicita' normativa differenti, basati su un deficit organizzativo "colpevole" che ha reso possibile la realizzazione di tale reato. Si e' percio' affermato che, in tema di responsabilita' delle persone giuridiche per i reati commessi dai soggetti apicali, ai fini del giudizio di idoneita' del modello di organizzazione e gestione adottato, il giudice e' chiamato ad adottare il criterio epistemico-valutativo della cd. "prognosi postuma", proprio della imputazione della responsabilita' per colpa: deve cioe' idealmente collocarsi nel momento in cui l'illecito e' stato commesso e verificare se il "comportamento alternativo lecito", ossia l'osservanza del modello organizzativo virtuoso, per come esso e' stato attuato in concreto, avrebbe eliminato o ridotto il pericolo di verificazione di illeciti della stessa specie di quello verificatosi, non richiedendosi una valutazione della "compliance" alle regole cautelari di tipo globale. Il Collegio intende ribadire tale principio di diritto anche nel caso oggi in esame e nella fattispecie sottoposta al suo giudizio, gia' descritta poco sopra. Infatti, sia nell'ipotesi valutata dalla sentenza della Sesta Sezione Penale richiamata, che in quella che occupa lo spazio decisorio del Collegio nel presente processo, il giudice di merito, oltre a non aver individuato gli specifici profili di colpa di organizzazione, non ha, ovviamente, neppure accertato se tale elemento - vale a dire la "colpa in organizzazione" - abbia avuto incidenza causale rispetto alla verificazione del reato presupposto. In altre parole, si intende aderire a quella che, in dottrina, e' stata individuata come una nuova frontiera ermeneutica in relazione all'illecito degli enti, e cioe' la tesi che ricostruisce la struttura dell'illecito dell'ente secondo un modello di tipo colposo, forse per la prima volta chiaramente espressa dalla decisione citata n. 23401 del 2022. In tale prospettiva interpretativa, l'accertamento della responsabilita' dell'ente deve passare attraverso la verifica della sussistenza di specifici nessi, di ordine naturalistico e normativo, che intercorrono tra la carenza organizzativa e il fatto-reato, sicche' il reato presupposto deve essere messo in collegamento con la carenza di auto-organizzazione preventiva, che costituisce la vera e propria condotta stigmatizzabile dell'ente. Ed e' evidente, quindi, che il giudice di merito dovra' dimostrare, al fine di giustificare l'affermazione di responsabilita' dell'ente, di aver valutato il suo deficit di auto-organizzazione, vale a dire la carenza di quel complesso delle regole elaborate dall'ente per la prevenzione del rischio reato, che trovano la loro sede naturale nei "Modelli di organizzazione, gestione e controllo", delineati, su un piano generale di contenuti, dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articoli 6 e 7. La dottrina ha favorevolmente accolto questa nuova e piu' consapevole prospettiva di accertamento, che, invero, era gia' presente, in nuce, nella sentenza Sez. U, n. 38343 del 24/4/2014, Espenhahn, Rv. 261115 (per quanto sviluppata su di un illecito presupposto di tipo colposo), sottolineando, con indicazione condivisa dal Collegio, come non sia consentito al giudice di merito neppure un vaglio sull'adeguatezza del modello condotto solo "in generale", ma sia necessaria una verifica in concreto; ne' e' possibile giungere a sanzionare l'ente in ragione di una "cultura d'impresa deviante", ovvero mediante un criterio sillogistico semplificatorio secondo cui la commissione del reato equivale a dimostrare l'inidoneita' dell'assetto organizzativo. Invece, il giudice di merito, deve verificare se il reato della persona fisica sia la concretizzazione del rischio che la regola cautelare organizzativa violata mirava ad evitare o, quantomeno, tendeva a rendere minimo; ovvero deve accertare che, se il modello "idoneo" fosse stato rispettato, l'evento non si sarebbe verificato. Seguendo tale linea interpretativa, ispirata alla valorizzazione dei principi costituzionali riferiti alla materia penale nel sistema della "231", la responsabilita' dell'ente deriva dalla valutazione sulla bonta' del modello organizzativo di prevenzione degli illeciti di cui si e' dotato: l'ente che si dota di modelli organizzativi idonei e tendenzialmente efficaci potrebbe, pertanto, andare esente da responsabilita' ex L. n. 231 del 2001, pur se un reato presupposto sia stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio, con prevedibile effetto virtuoso anche rispetto all'incentivazione dell'adozione di modelli di compliance aziendale. Ovviamente, l'ente che non si sia dotato affatto di siffatti modelli organizzativi rispondera' verosimilmente del reato presupposto commesso dal suo rappresentante, se compiuto a suo vantaggio o nel suo interesse. Nel caso di specie, si rende necessario colmare la carenza motivazionale relativa sia alla verifica della sussistenza di un modello di compliance ed alla sua adeguatezza ed idoneita' a prevenire il reato presupposto, sia alla sussistenza del vantaggio o interesse dell'ente, solo acriticamente evocato dalla sentenza impugnata, nonostante, come ha sottolineato la societa' ricorrente, questi vadano accertati in concreto. Il Collegio rammenta, peraltro, come i due criteri di imputazione oggettiva dettati dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5 siano alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell'interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile "ex ante", cioe' al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile "ex post", sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito (cosi', Sez. U, Espenhahn, Rv. 261114). Nessuna distinzione al riguardo si legge in sentenza: la motivazione del provvedimento impugnato si e' limitata ad abbinare l'interesse della societa' all'interesse proprio della persona fisica, legale rappresentante di entrambe le aziende legate alla produzione e commercializzazione dei prodotti contraffatti, senza prendere neppure in esame il fatturato complessivo dell'ente rispetto agli introiti derivanti dalla commercializzazione dei prodotti in sequestro, che, pur se non configurabile come parametro decisivo ai fini di ritenere o meno sussistente la responsabilita' ex L. 231, puo' comunque costituire uno degli indicatori valutabili al riguardo (in questo, anche, colgono nel segno le sollecitazioni difensive). 2.3. Rimangono assorbite le pur fondate doglianze difensive relative alle sanzioni inflitte all'ente, in relazione alle quali il Collegio rileva che: - avrebbe dovuto applicarsi il Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 25-bis, che non prevede un minimo sanzionatorio qualora il reato presupposto sia costituito dai delitti di cui agli articoli 473 e 474 c.p., laddove la Corte territoriale ha applicato l'articolo 10 del medesimo testo normativo, norma generale che prevede il minimo di cento quote indicato in sentenza; - l'applicazione delle sanzioni interdittive previste dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 9 e' subordinata alla sussistenza delle condizioni indicate dall'articolo 13 Decreto Legislativo cit.: necessariamente, quindi, il giudice penale che intenda applicare detta sanzione deve motivare la ricorrenza delle condizioni di legge che ne costituiscono indispensabile presupposto; - la pubblicazione della sentenza di condanna per estratto costituisce una sanzione ulteriore e facoltativa, dunque da motivare appositamente, e non discende automaticamente dalla condanna. 2.4. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata nei confronti dell'ente, con rinvio al giudice penale - che e' il giudice "naturale" nel processo instaurato nel sistema della responsabilita' degli enti - competente a norma del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 36, vale a dire ad altra Sezione della Corte d'Appello di Genova. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nei confronti di (OMISSIS), agli effetti penali per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso del medesimo (OMISSIS) agli effetti civili e condanna il ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili che liquida in complessivi Euro 4.900,00, oltre accessori di legge. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS). s.r.l., con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Genova.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - rel. Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS) S.R.L.; avverso la sentenza del 24/03/2022 della CORTE APPELLO di BRESCIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ACETO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale LUIGI GIORDANO che ha concluso chiedendo il rigetti dei ricorsi; udito il difensore della parte civile, AVV. (OMISSIS), che ha concluso come da note scritte depositate in udienza; udito di difensore di (OMISSIS) e (OMISSIS), AVV. (OMISSIS), anche quale sostituto processuale dell'AVV. (OMISSIS), che ha concluso riportandosi ai motivi e chiedendone l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1.Con sentenza del 24/03/2022, la Corte di appello di Brescia, pronunciando sugli appelli proposti dai sigg.ri (OMISSIS) ed (OMISSIS), nonche' dalla societa' "(OMISSIS) S.r.l." avverso la sentenza del 05/03/2020 del GUP del Cremona, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del (OMISSIS) e del (OMISSIS) in ordine al reato di realizzazione e gestione abusiva di discarica di cui agli articoli 110 c.p., 256, commi 1 e 3, Decreto Legislativo n. 152 del 2006, rubricato al capo 1), perche' estinto per prescrizione, ha conseguentemente ridotto la pena nella misura di un anno e quattro mesi di reclusione ed Euro 4.667,00 di multa ciascuno per il residuo reato di inquinamento ambientale colposo di cui agli articoli 110, 452-quinquies, 452-bis, c.p., ha concesso a entrambi i doppi benefici, ha ridotto l'importo della confisca disposta ai sensi dell'articolo 19, Decreto Legislativo n. 231 del 2001, nei confronti della societa' "(OMISSIS) S.r.l." nella misura di Euro 691.250, confermando nel resto. 2.Per l'annullamento della sentenza propongono distinti ricorsi gli imputati e la societa'. 3. (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto due ricorsi, uno a firma dell'Avv. (OMISSIS), l'altro a firma dell'Avv. (OMISSIS). Il ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). 3.1.Con unico motivo viene dedotto il vizio di contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine al momento consumativo del reato di inquinamento ambientale con particolare riferimento alle condotte di interramento del materiale antropico nell'area di cava successiva al (OMISSIS). Richiamati gli argomenti illustrati dalla Corte di appello a sostegno della consumazione del reato in epoca successiva alla sua introduzione nell'ordinamento penale, ed affermata la natura istantanea del reato di cui all'articolo 425-bis c.p., deducono quanto segue: - la percezione dei rilievi effettuati dal CT del PM nell'area C in data 14/06/2016, in particolare in ordine alla trincea 2T, e' errata perche' la relazione del CT afferma che la trincea era gia' stata riempita e ripristinata; - si tratta di travisamento decisivo perche' ritenere che nell'area C non vi fossero gia' riempimenti e ripristini antecedenti al sopralluogo del 3-4 settembre 2015 significa, di fatto, considerare tutta l'area C come non coltivata; eliminando la vista della corte non e' piu' possibile trarre alcuna conclusione univoca dalla trincea T15, dal momento che questa, come la trincea 2T, ben potrebbe essere relativa la porzione di area C gia' completamente coltivata e riempita prima del settembre 2015 (e, sopratutto, prima del (OMISSIS)); - la Corte commette una seconda svista, relativa al prelievo del campione S6 effettuato dall'ARPA il 03/09/2015 al fine di recuperare un campione di terreno senz'altro non contaminato, per poterlo confrontare con gli altri campioni prelevati nelle aree A e B gia' coltivate; - sbaglia la Corte d'appello nell'utilizzare detto prelievo come proprio "campione di riferimento" per la determinazione del âEuroËœtempus commissi delicti', posto che la presenza di un campione di terreno autoctono privo di "elementi antropici estranei", prelevato in una certa data in un'area di cava di 49.000 mq. (di cui 22.000 gia' coltivati), non significa necessariamente che in quella stessa data tutta l'area di 49.000 mq. sia priva di "elementi antropici estranei"; illogico quindi desumere la protrazione della condotta oltre il mese di settembre dal fatto che il CT avesse rinvenuto materiale antropico in area avanzata della zona C della cava (trincea T15) ad oltre 150 metri di distanza dal pulito del prelievo S6 (con conseguente ulteriore travisamento della prova); - ulteriore travisamento riguarda la relazione del 04/12/2015 dell'(OMISSIS) che, diversamente da quanto afferma la Corte di appello, non aveva affatto escluso la possibilita' di interramenti anche nell'area B. In conclusione, la datazione dei fatti in epoca successiva al (OMISSIS) si basa sui seguenti presupposti viziati: - l'essere tutta l'area C della cava alla data del 3 settembre 2015 priva di interramento di "elementi antropici estranei", circostanza affermata pretermettendo gli esiti della CT del PM che davano conto di quanto rinvenuto nella trincea 2T (gia' interamente recuperata); - l'essere tutta l'area C priva di "elementi antropici estranei" alla data del sopralluogo (OMISSIS)-Noe del 3 settembre 2015, circostanza non desumibile dal prelievo del campione "S6" effettuato da (OMISSIS) in data 3/9/2015. Il ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS) 3.1.Con il primo motivo deduce la violazione dell'articolo 2 c.p. e la mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza del reato di cui all'articolo 452-bis c.p.. Lamenta, in particolare, il malgoverno logico degli elementi di prova utilizzati dalla Corte di appello per affermare la prosecuzione dell'attivita' in epoca successiva all'entrata in vigore dell'articolo 452-bis c.p. e lo scollamento delle prove indicate dalla sentenza con quelle presenti agli atti. 3.2.Con il secondo motivo deduce l'erronea qualificazione dei fatti in conseguenza dell'erronea applicazione degli articoli 182, 208 e 256, Decreto Legislativo n. 152 del 2006, delle norme che disciplinano la caratterizzazione e l'uso dei materiali di recupero provenienti e originati dal trattamenti dei rifiuto, e dell'articolo 452-bis cod. pen., nonche' la mancanza di motivazione in ordine alla classificazione dei materiali utilizzati per il recupero della cava come rifiuti. Sostiene al riguardo: - l'utilizzo dei materiali di recupero e' consentito dall'articolo 21, legge reg. Lombardia, n. 14 dell'8 agosto 1998; - l'attivita' e' stata soggetta a controllo del Comune e degli altri enti competenti che non hanno mai sollevato problemi; - l'impianto di trattamento e recupero dei materiali da demolizione era autorizzato e funzionante da un decennio, l'azienda certificata e soggetta al controllo di enti terzi; - i materiali recuperati dai rifiuti erano utilizzati per recuperi ambientali ma anche della cava, conformemente alle autorizzazioni rilasciate; - ne' puo' utilizzarsi l'argomento della mancanza di documenti previsti per il solo caso di destinazione dei materiali di recupero all'esterno per escluderne l'utilizzo all'interno; - il CT del PM aveva avuto l'incarico di classificare i rifiuti utilizzati per il recupero della cava, non quello di verificare se tali materiali fossero riconducibili a prodotti recuperati e avessero le caratteristiche di tali prodotti; cio' lo aveva indotto ad analizzare i materiali sulla base di tutte le normative vigenti in campo ambientale e mai di verificare la rispondenza alle norme tecniche che disciplinano il recupero dei materiali da rifiuto; - lo stesso CT aveva ritenuto l'utilizzabilita' del materiale in uscita dall'impianto a fini di recupero ambientale, salvo escludere tale possibilita' per la discarica; - palese l'errore di diritto nel quale e' incorsa la Corte di appello che di fatto applica la normativa sulle discariche (Decreto Legislativo n. 36 del 2003) ai recuperi ambientali; tale normativa e' stata correttamente presa in considerazione solo era stato necessario verificare se il sito potesse essere destinato a discarica di rifiuti speciali. Lamenta, inoltre, che la Corte di appello non ha motivato sulle seguenti questioni dedotte in sede di gravame avverso la sentenza di primo grado: - sulla poca rappresentativita' dei campioni effettuati dal CT del PM; - sull'incertezza del dato relativo al superamento dei limiti rinveniente dall'incertezza della misura (in un contesto nel quale, peraltro, non si spiega come sia possibile che la falda fosse contaminata con materiali non presenti nel terreno); - sulla possibilita', in base alle norme tecniche previste dalla legislazione nazionale, della presenza di materiali consentiti visibili a occhio nudo ed anche di materiale a granulometria superiore; - sulla ammissibilita', in base alla legge regionale lombarda, della presenza di materiale di scarico e di risulta e di materiali inerti provenienti da scavi e demolizioni. In conclusione, la Corte di appello apoditticamente richiama tali presenze estranee, come prova del mancato trattamento del materiale in ingresso all'impianto e supporta tale elemento con il fatto che alcuni campioni evidenziavano un superamento dei limiti sottraendo la questione attinente la effettiva rappresentativita' dei campionamenti effettuati. La corte di appello-prosegue-afferma che l'impianto di trattamento e recupero delle macerie di demolizione era gestito in modo tale da non lasciare alcuna traccia documentale dei materiali trattati recuperati e che gli stessi non erano soggetti ad analisi. Vero e' che non c'era documentazione attestante l'utilizzo dei materiali recuperati in cava, ma e' altrettanto vero che l'impianto di trattamento presente in cava era dotato di registro di carico e scarico rifiuti ricevuti e trattati e che, dedotti quelli in stoccaggio per subire il dovuto trattamento, la differenza era stata ovviamente destinata allo scopo di recuperare la cava. E' del tutto errata - aggiunge - la affermata mancanza di analisi dei materiali in uscita dall'impianto di trattamento come diversamente si desume dagli allegati 8 alla relazione della dottoressa (OMISSIS) che dimostrano, senza ombra di dubbio, che la societa' e gli imputati avevano previsto procedure di verifica ed erano soggette alle ispezioni e verifiche annuali della societa' (OMISSIS), trattandosi di societa' certificata ed arrivano certificato l'aggregato prodotto. Nessun ente intervenuto in azienda, ne' gli stessi verbalizzanti, conclude, hanno mai evidenziato la mancanza delle dovute analisi sul materiale in uscita dall'impianto. 3.3.Con il terzo motivo deduce la mancanza, l'erronea e contraddittoria motivazione, il travisamento dei fatti e delle prove, la mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza del reato di cui all'articolo 452-bis c.p.. Deduce al riguardo: - nulla la Corte afferma in ordine alla presenza di inquinanti e solfati nelle acque di falda che sono ubiquitari nella pianura padana; - non e' nemmeno chiaro di quale falda si parli ed in particolare di quale profondita'; - ne' si puo' semplicisticamente affermare che la presenza di solfati possa essere ricondotta al cartongesso presente nel terreno recuperato senza spiegare perche' il terreno naturale presente sotto il materiale recuperato sia esente da solfati; - apodittica e illogica la risposta fornita al rilievo difensivo che la quota prevista in progetto e' solo indicativa, potendo variare sulla base di quanto emerso e deciso nel contraddittorio del procedimento amministrativo. 3.4.Con il quarto motivo solleva questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 425-c.p. per contrasto con gli articoli 25, comma 2, 27 e 111 Cost. in relazione alla indeterminatezza della fattispecie incriminatrice sotto il profilo della natura abusiva della condotta, della portata della condotta stessa (genericamente descritta in termini di "compromissione o deterioramento") e dell'evento, anch'esso qualificato genericamente dalla sua natura significativa e misurabile. 4.La societa' "(OMISSIS) S.r.l." propone i seguenti motivi. 4.1.Con i primi quattro motivi deduce questioni comuni a quelle oggetto dei ricorsi del (OMISSIS) e del (OMISSIS). 4.2.Con il quinto motivo, che riguarda il capo 1 della rubrica, deduce l'erronea qualificazione dei fatti, l'erronea applicazione dell'articolo 256, commi 1 e 3, Decreto Legislativo n. 152 del 2006, e delle norme collegate che disciplinano la caratterizzazione l'utilizzo dei materiali di recupero provenienti e originati dal trattamento dei rifiuti, l'erronea applicazione dell'articolo 452-bis c.p., la mancanza di motivazione in ordine alla classificazione materiale dei rifiuti. Denuncia, in prima istanza, l'intrinseca contraddittorieta' dello stesso capo 1 della rubrica che ipotizza la gestione abusiva della discarica ivi meglio indicata mediante attivita' di recupero che non puo' essere in alcun modo confusa con quello di smaltimento (trattandosi di attivita' alternative). Errato, di conseguenza, tentare di far rientrare il concetto di "recupero" in quello di "smaltimento". Ma prima ancora, aggiunge, e' errato classificare il materiale rinvenuto come rifiuto in assenza di analisi merceologica che ne specificasse la composizione in termini di percentuale di terra, percentuale di materiale litoidi, eventuale percentuale di materiale antropico, necessaria per poter assegnare al materiale rinvenuto la sua corretta qualificazione in termini di rifiuto piuttosto che di "End of Waste", materiale di riporto, sottoprodotto. La documentazione in atti afferma - non ha chiarito tali aspetti non avendo fornito la CT del PM, l'unica tenuta in conto dal primo giudice, alcuna risposta in tal senso ed, anzi, essendo state condotte le indagini con modalita' contestate dai CT della difesa, poiche' le analisi del c.t. del pm, diversamente da quanto previsto dalla Circolare del Ministro dell'Ambiente del 15/07/2005, erano puntuali e non statistiche, condotte su volumi di scala modesti rispetto a quelli richiesti per una corretta valutazione delle ipotesi alternative cosi' da non potersi considerare rappresentative della massa complessiva dei reperti utilizzati per il recupero ambientale. Non puo' nemmeno escludersi la qualifica del materiale rinvenuto come "materiale di riporto", ipotesi scartata dal CT del PM in base a valutazioni non condivisibili. Anche in sede di confronti il CT del PM si era limitato a sostenere che il ripristino della cava avrebbe dovuto avvenire con l'utilizzo di materiale autoctono secondo le autorizzazioni ma cosi' ammettendo che, al piu', l'illecito ipotizzabile sarebbe stato quello di abbancamento dei rifiuti e non il reato ipotizzato al capo 1. I consulenti della difesa avevano persino ritenuto la mancanza di elementi necessari ad affermare che nel caso concreto vi sia stato un effettivo superamento dei limiti di controllo per le acque sotterranee. Sbaglia il giudice a ritenere che la qualifica di sottoprodotti avrebbe dovuto essere dimostrata dagli imputati. Inoltre alcuna documentazione era prevista per gli "End of Waste" prodotti con conseguente impossibilita' per la difesa di dimostrare l'origine del materiale utilizzato per il recupero dell'area e che, se proveniente dall'impianto interno al sito, non necessitava nemmeno dei DDT. Da tutti gli atti di indagine non emergono elementi utili per dimostrare quando sarebbe iniziata la presunta attivita' illecito di recupero dell'area da parte dei ricorrenti persone fisiche ne' a quando e' databile l'ultima attivita' considerata dal giudice illecita e utile a far presumere la cessazione della "permanenza del reato". Orbene, in mancanza di prova della cessazione della permanenza del presunto reato iniziato nel 93, si sarebbe imposta una pronuncia assolutoria perche' il fatto, consumato prima del 2006, non e' previsto dalla legge come reato. In ogni caso l'(OMISSIS) aveva evidenziato che i materiali di recupero rinvenuto provenivano effettivamente dall'impianto che, secondo i CD della difesa, era regolarmente autorizzato, condotto nel rispetto della normativa, oggetto di puntuali verifiche analitiche, merceologiche, come da documentazione allegata alla perizia di cui il gruppo non aveva tenuto conto. Analoghe considerazioni devono essere svolte con riferimento alle modalita' di quantificazione dei rifiuti estranei alle MPS e ammessi, ai sensi del DM 05/02/1998, in piccole quantita', perche' e' tecnicamente impossibile separare completamente le parti estranee. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.1 ricorsi sono inammissibili. 2.1 ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati tratti a giudizio per rispondere dei seguenti reati: 1) del reato di cui agli articoli 110 c.p. e 256 commi 1 e 3 Decreto Legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni, per avere, presso la cava sita in (OMISSIS) nel territorio del Comune di (OMISSIS), in concorso morale e materiale tra loro, entrambi nella qualita' di legali rappresentanti della societa' "(OMISSIS) s.r.l." e, per (OMISSIS), anche di "Direttore di cava", realizzato e comunque gestito, illecitamente e senza autorizzazione, una discarica per rifiuti inerti e non pericolosi, attraverso ripetute operazioni di recupero di ingenti quantitativi di rifiuti (circa 198.000 m3); segnatamente, quali titolari della societa' "(OMISSIS) s.r.l." (autorizzata a svolgere attivita' di estrazione di sabbie e ghiaie e di trattamento e recupero di rifiuti inerti e non pericolosi all'interno della cava "Gg16C" del Piano Provinciale Cave "(OMISSIS)" della Provincia di (OMISSIS) sita in (OMISSIS) "(OMISSIS)", nel territorio del Comune di (OMISSIS)) provvedevano a recuperare sistematicamente rifiuti (quali frammenti di laterizi, materiale bituminoso, materiale fibroso biancastro riconducibile a cartongesso, blocchi in calcestruzzo, frammenti di materiale ceramico, tondini di ferro, frammenti di teli e tubi in PVC e rari blocchi di scorie di fonderia; in generale materiali da demolizione di infrastrutture stradali e di immobili civili e industriali nonche' rifiuti provenienti dalle operazioni di trattamento inerti e rifiuti non pericolosi installato nella stessa area di cava) tramite loro interramento, tombamento (anche oltre il limite consentito dalla normativa vigente in materia di discariche e attivita' estrattiva) e compattazione al terreno nativo, in totale assenza di titolo ed in violazione della normativa vigente in materia di realizzazione e gestione di discariche e attivita' estrattiva nonche' in violazione delle autorizzazioni concesse per l'attivita' di escavazione e per il trattamento e recupero di rifiuti inerti e non pericolosi. Il fatto e' contestato come commesso in (OMISSIS), da data prossima e successiva al (OMISSIS) (data della prima autorizzazione all'attivita' estrattiva) fino al (OMISSIS) (data del sequestro). 2) del reato di cui agli articoli 110, 434 commi primo e secondo c.p., perche', in concorso tra loro, nella veste di legali rappresentanti della predetta societa' e per (OMISSIS) anche di Direttore di cava, cagionavano un disastro da cui derivava pericolo per la pubblica incolumita'; in particolare, per effetto della realizzazione e gestione sine titulo della discarica di cui sopra nonche' di un'attivita' di escavazione oltre il limite massimo di profondita' imposto dalla legge e dai titoli autorizzativi, con colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nonche' nell'inosservanza della normativa in materia di discariche e attivita' estrattive, cagionavano offesa alla pubblica incolumita' consistente nella compromissione del suolo e sottosuolo compresi nell'area di cava "(OMISSIS)" del Piano Provinciale (OMISSIS) "(OMISSIS)" della Provincia di (OMISSIS), cava sita in (OMISSIS) "(OMISSIS)" presso il Comune di (OMISSIS), confinante, al margine inferiore, con una falda acquifera sotterranea destinata all'utenza pubblica (uso potabile e agricolo). Il fatto e' contestato come commesso in (OMISSIS). da data prossima e successiva al (OMISSIS) (data della prima autorizzazione all'attivita' estrattiva) fino al (OMISSIS) (data del sequestro). 3) per il reato di cui agli articoli 110, 452 bis c.p. perche', in concorso tra loro, nelle loro gia' indicate qualita', abusivamente cagionavano una compromissione o un deterioramento significativo e misurabile del suolo e del sottosuolo, in particolare, per effetto della gestione sine titolo della discarica, nonche' di un'attivita' di escavazione oltre il limite massimo di profondita' imposto dalla legge e dai titoli autorizzativi, cagionavano la compromissione del suolo e del sottosuolo compresi nell'area di cava di cui al capo 2 che precede. Il fatto e' contestato come commesso in (OMISSIS), dal (OMISSIS) al 18 gennaio 2016. La societa' "(OMISSIS) S.r.l." era stata tratta a giudizio per rispondere del seguente illecito amministrativo rubricato al capo 4: 4) illeciti amministrativi previsti dall'articolo 25-undecies commi 1 e 2, D.L.gs. n. 231 del 2001, in relazione ai reati di cui agli articoli 256, commi 1 e 3, Decreto Legislativo n. 156 del 2006, e 452 bis c.p., come sopra contestati, da (OMISSIS) e (OMISSIS), entrambi nella veste di legali rappresentanti della (OMISSIS) S.r.l., e da (OMISSIS) altresi' nella veste di direttore tecnico, soggetti posti in posizione apicale all'interno della societa', nell'interesse o a vantaggio della societa' medesima. Il fatto e' contestato come commesso in (OMISSIS), da data prossima e successiva al (OMISSIS) (data della prima autorizzazione all'attivita' estrattiva) fino al (OMISSIS) (data del sequestro). 3.11 GUP aveva dichiarato (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli del reato di cui all'articolo 256, comma 3, Decreto Legislativo n. 152 del 2006, loro ascritto al capo 1), nonche' del reato di cui all'articolo 452-quinquies, comma 1, in relazione all'articolo 452-bis c.p., cosi' riqualificati i fatti contestati ai capi 2) e 3), e, ritenuto il concorso formale fra gli stessi ed applicata la diminuente per la scelta del rito, li aveva condannati alla pena di anni uno, mesi otto di reclusione ed Euro 6.000 di multa ciascuno, oltre al pagamento pro-quota ed in solido delle spese processuali. Aveva dichiarato la societa' "(OMISSIS) s.r.l." responsabile degli illeciti amministrativi contestati e, con la riduzione di cui all'articolo 62, comma 3, Decreto Legislativo n. 231 del 2001, aveva applicato la sanzione amministrativa pecuniaria pari a complessivi Euro 80.000. Aveva altresi' ordinato la confisca, anche per equivalente, del profitto del reato nella misura di Euro 1.708.000,00. Aveva condannato il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile "(OMISSIS) s.p.a.", da liquidarsi in separato giudizio, con assegnazione di una provvisionale pari ad Euro 40.000, e liquidazione delle spese sostenute nel grado. Aveva infine rigettato la domanda di risarcimento dei danni proposta dalla parte civile Comune di(OMISSIS). 3.1.La Corte d'Appello di Brescia, pronunciando sugli appelli proposti dagli imputati e dalla societa', in parziale riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del (OMISSIS) e del (OMISSIS) in ordine al reato di cui al capo 1), perche' estinto per prescrizione; ha ridotto, per l'effetto, la pena nella misura di un anno, quattro mesi di reclusione ed Euro 4.667,00 di multa ciascuno con riferimento alla residua imputazione di cui al capo 2), come qualificato dal primo giudice. Ha concesso ad entrambi gli imputati i benefici di legge. Ha condannato (OMISSIS) e (OMISSIS) alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile (OMISSIS) s.p.a., ha ridotto l'importo della disposta confisca nei confronti della societa' "(OMISSIS) s.r.l." ad Euro 691.250,00; ha confermato nel resto. 4.11 primo Giudice aveva cosi' argomentato. 4.1.Se e' vero che la discarica e' definita dall'articolo 2, Decreto Legislativo n. 36 del 2003, come area adibita a smaltimento di rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo (cio' che, nell'assunto difensivo, bastava ad escludere la sussistenza nel caso concreto della fattispecie di reato ipotizzata, posto che gli imputati avrebbero effettuato ripetute operazioni di recupero rifiuti), nondimeno anche l'attivita' di recupero del rifiuto (per tale intendendosi l'operazione attraverso cui si permette ai rifiuti di svolgere un ruolo utile sostituendo altri materiali) rientrava pacificamente nella piu' ampia nozione di smaltimento. 4.2.Per la configurabilita' del reato e' necessario un accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, in una determinata area, trasformata di fatto in deposito con tendenziale carattere di definitivita', in considerazione delle quantita' considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attivita' di trasformazione, recupero o riciclo proprie di una discarica autorizzata. 4.3.Affinche' possa parlarsi di realizzazione e/o gestione di discarica abusiva e' necessario il deposito, senza alcuna autorizzazione, sul suolo o nel suolo, di materiali qualificabili come rifiuti, per tali intendendosi, secondo il dettato normativo, qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia deciso di disfarsi. 4.4.1 materiali rivenuti in ognuna delle trincee effettuate erano stati interrati alla rinfusa a profondita' apprezzabile; cio' era ritenuto sintomatico di abbandono definitivo: alla luce della definizione normativa, detti materiali sono pertanto potenzialmente qualificabili come rifiuti. 4.5.Quanto alla possibilita' di qualificare alternativamente detti materiali, il GUP osservava che essi non erano inquadrabili ne' nella categoria dei c.d. sottoprodotti, ne' nella categoria dei c.d. materiali di riporto di origine antropica. 4.6.Inoltre essi non erano neppure inquadrabili come End of Waste (EoW), come invece sostenuto dai difensori. Sul punto, il GUP osservava come detta qualifica alternativa costituiva una deroga alla nozione di rifiuto, configurando indirettamente una clausola di esclusione della punibilita' del reato contestato, e percio' gravava sugli imputati l'onere di provare le condizioni della sua applicabilita'. Nel caso concreto, la difesa non aveva dimostrato che, ai fini del recupero ambientale della cava, fossero stati utilizzati proprio i materiali decadenti da quell'impianto di trattamento (o comunque da altro impianto di trattamento), che detto materiale recuperato rispondesse ai requisiti tecnici ed agli standard specifici previsti dalle norme di riferimento, che l'uso di detti materiali non avesse, anche in via meramente potenziale, impatti negativi sull'ambiente e sulla salute umana, essendosi gli imputati limitati ad una mera allegazione sul punto. 4.7.Dalle indagini, infatti, era emerso che i materiali rinvenuti, verosimilmente entrati nell'area di cava in quanto astrattamente destinati a confluire nell'impianto di trattamento, erano stati in realta' interrati tal quali nella porzione di terra oggetto, di volta in volta, di escavazione e successivo ripristino, by-passando l'impianto di trattamento dei rifiuti inerti (che ne avrebbe quanto meno garantito una riduzione volumetrica). Confortava tale conclusione anche il fatto che la procedura stilata dalla societa' per l'accettazione dei rifiuti provenienti dall'esterno prevedeva la verifica, sia documentale che visiva, delle caratteristiche tipologiche del rifiuto conferito e della sua compatibilita' con quanto prescritto nel titolo abilitativo, nonche' un'attivita' di stoccaggio organizzata in modo da impedire la commistione fra rifiuti connotati da caratteristiche tipologiche eterogenee fra loro, si' da assicurare a ciascun tipo di rifiuto la propria ed esclusiva destinazione prevista in sede di autorizzazione. 4.8.11 fatto che i materiali rinvenuti fossero stati interrati alla rinfusa mostrava come dette procedure preliminari all'ingresso dei materiali nell'impianto di trattamento non fossero state osservate, a conferma della conclusione per cui detti materiali non erano affatto transitati dall'impianto. In ogni caso, non vi era alcuna traccia documentale del c.d. ciclo di detti rifiuti, idoneo a garantire che gli stessi, in quanto provenienti dall'impianto di trattamento gestito dalla cava ovvero da altro impianto di trattamento, rispettassero gli standard qualitativi imposti dal Testo Unico ambiente. 4.9.Detti materiali, quanto meno in parte, non provenivano da un impianto di trattamento, il che escludeva la necessita' di verifiche o analisi tese a verificare il rispetto dei suddetti standard qualitativi. 4.10.Provata era la natura di rifiuto dei materiali interrati nel sito oggetto di indagine, nel quale, secondo quanto prescritto negli atti autorizzativi, doveva essere evitato lo scarico, anche abusivo, di materiale inquinante o comunque classificabile come rifiuto e potenzialmente in grado di provocare alterazioni al patrimonio ambientale. 4.11.Quanto al recupero del fondo di cava, il progetto di ripristino ambientale redatto nel marzo 2014, e gia' il decreto di VIA del 20 agosto 2013, prevedevano che il recupero agronomico-ambientale del fondo cava sarebbe stato attuato con utilizzo esclusivo di terreno vegetale di provenienza della stessa cava. 4.12.In risposta all'obiezione della difesa (secondo cui, poiche' il terreno vegetale non sarebbe stato sufficiente al rimodellamento sino ad arrivare alla quota posta quale fondo di cava, doveva ritenersi implicita l'autorizzazione ad utilizzare altro materiale per il recupero, ed in particolare, il materiale decadente dall'impianto di trattamento rifiuti che, tra gli usi consentiti, prevedeva proprio quello finalizzato al recupero ambientale), il Giudice osservava che l'insufficienza del terreno vegetale accantonato e dei limi di lavorazione era circostanza semplicemente allegata, ma non idoneamente provata. 4.13.Si evinceva che la necessita' di utilizzare materiale diverso dal terreno vegetale e dai limi di lavorazione per il ripristino ambientale era dipesa, in larga parte, dal fatto che la societa' aveva scavato oltre i limiti consentiti, con maggiore asportazione di materiale naturale. 4.14.In ogni caso, la societa', nonostante l'asserita evidenza di tale dato, non aveva ritenuto, in sede di progetto o di variante, di richiedere l'autorizzazione a provvedere mediante posa del materiale decadente dall'impianto di trattamento di rifiuti edili all'autorita' competente, la quale, sulla base di una valutazione di incidenza, avrebbe valutato l'opportunita' di un tale intervento e la sua compatibilita' con la destinazione d'uso data al sito recuperato. 4.15.L'assenza di questo giudizio di compatibilita' portava il primo giudice ad affermare che detti materiali non potevano essere utilizzati per lo specifico recupero ambientale della cava (e in ogni caso non poteva essere utilizzato quel materiale che, per caratteristiche granulometriche e tipologiche, non era certamente transitato per l'impianto di trattamento e per il quale non erano state fornite indicazioni in ordine alla provenienza ed alla conformita' ai parametri qualitativi normativamente previsti). 4.16.Disattesa, dunque, la prospettazione difensiva, e confermata la qualificazione come rifiuti dei materiali rinvenuti nel sito, il giudice affermava che il tombamento era avvenuto piu' volte ed in un apprezzabile lasso di tempo; detta attivita' aveva altresi' determinato un tendenziale degrado dell'area, che attualmente presenta caratteri evidentemente in contrasto con la sua destinazione ad uso coltivo. Erano integrati, allora, gli estremi oggettivi del reato di gestione di discarica senza alcuna autorizzazione. 4.17.Secondo il Giudice, poi, gli imputati avevano agito nella consapevolezza e nella volonta' di realizzare una discarica abusiva. 4.18.Infatti: le autorizzazioni amministrative non prevedevano in alcun modo la possibilita' di impiegare, per il recupero ambientale della cava, materiale diverso da "terreni vegetali di scarificazione superficiale e rifiuti decadenti dal lavaggio delle sabbie e ghiaie" e vietavano lo scarico, anche abusivo, di materiale inquinante "o comunque classificabile come rifiuto" e potenzialmente in grado di provocare alterazioni al patrimonio ambientale; nei sopralluoghi effettuati in loco, i competenti organi amministrativi, quantomeno a far data dall'anno 2013, avevano riscontrato la presenza di materiale non autoctono e avevano evidenziato la non conformita' a quanto prescritto nelle autorizzazioni amministrative; con due ordinanze sindacali (una del 2013, l'altra del 2016) era stata comminata alla societa' una sanzione amministrativa pecuniaria per la mancata osservanza degli obblighi imposti dalle autorizzazioni ed ordinata (con l'ordinanza del 2016) l'immediata rimozione del materiale non proveniente dalla cava medesima con conseguente smaltimento presso i centri autorizzati (si trattava di materiale che, benche' non utilizzabile per il recupero ambientale della cava, era stato stoccato in area destinata al deposito del terreno di alterazione). 4.19. (OMISSIS), quale direttore di cava, era presente ai sopralluoghi effettuati; (OMISSIS), quale legale rappresentate, aveva inevitabilmente assunto determinazioni in ordine al pagamentolimpugnazione delle sanzioni amministrative comminate. Ne discendeva che il fatto che l'attivita' di interramento di detto materiale fosse comunque proseguita portava il Giudice ad attribuire la condotta ad un comune agito doloso. Del resto, poiche' il materiale era stato rivenuto in modo sostanzialmente omogeneo in ognuna delle trincee sparse su tutta l'area di cava ne derivava la conclusione che la realizzazione e la gestione di detta discarica era stata oggetto di una sistematica, dunque consapevole, scelta imprenditoriale, volta a massimizzare le linee di profitto riducendo le voci di spesa, imputabile, a titolo di dolo, in capo a coloro che si erano succeduti nella funzione apicale, posto che detta attivita' era sostanzialmente proseguita sino a che non era intervenuto il sequestro dell'area. Di qui la condanna per il reato di cui agli articoli 110 c.p. e 256 commi 1 e 3, Decreto Legislativo n. 152 del 2006. 4.20.11 GUP dissentiva poi dalla impostazione accusatoria del PM che aveva ritenuto di ricondurre la medesima condotta (realizzazione e gestione "sine titulo"della discarica, da un lato, ed esercizio dell'attivita' di escavazione oltre il limite massimo di profondita' imposto dalla legge e dai titoli autorizzativi, dall'altro) nell'alveo di due distinte fattispecie: la prima, sussunta negli articoli 449 e 434 c.p., per la condotta posta in essere sino al (OMISSIS) (data di entrata in vigore della L. n. 68 del 2015 che ha aggiunto al codice penale il Titolo VI-bis in tema di delitti contro l'ambiente), sul presupposto per cui, sino a quella data, in assenza di una normativa ad hoc, le fattispecie di inquinamento ambientale venivano, in via interpretativa, ricondotte al reato di c.d. disastro innominato; la seconda per la condotta posta in essere dopo il (OMISSIS), integrante il delitto di cui all'articolo 452 bis c.p.. 4.21.Stante l'identita' della condotta contestata, era dirimente verificare il tempo di commissione del fatto-reato: se esso era stato interamente commesso anteriormente al (OMISSIS), l'unica disposizione applicabile era l'articolo 434 c.p., che prevede un trattamento sanzionatorio piu' favorevole, mentre, se era stato commesso successivamente a tale data, trovava applicazione la nuova disciplina introdotta dalla L. n. 68 del 2015. 4.22.11 tempo di commissione del reato, nel caso di specie, e' stato individuato dal GUP nel momento in cui e' cessata la condotta (escavazione oltre i limiti consentiti e interramento di rifiuti) che ha messo in moto il meccanismo causale: detta condotta si e' di fatto conclusa nel 2016 con il sequestro dell'area, momento sino al quale la cava e' stata operativa continuando, pertanto, ad operare con le modalita' usualmente impiegate. Alla fattispecie concreta e' stato quindi ritenuta applicabile dal GUP la nuova disciplina dei delitti contro l'ambiente introdotta dalla L. n. 68 del 2015, ferma la possibilita' di ricorrere alla figura del disastro innominato di cui all'articolo 434 c.p., in forza della clausola di riserva contenuta nell'articolo 452 quater c.p.. 4.23.Quanto al fatto che la condotta in contestazione avesse o meno cagionato una "alterazione" penalmente rilevante delle matrici ambientali, il GUP osservava che dalle indagini tecniche effettuate era emerso che la societa' "(OMISSIS) s.r.l." aveva effettuato escavazioni oltre i limiti assentiti e che il recupero dell'area di cava era avvenuto mediante l'interramento di materiale che era da qualificarsi come rifiuto. 4.24.Per cio' che concerne le acque sotterranee e, in particolare, quella prelevata dai pozzi 1 e 62 esterni alla cava e dal punto 1P interno alla cava, la presenza di ferro, arsenico e manganese in quantita' superiore alla soglia di contaminazione aveva indotto il GUP a ritenere anomalo quanto riscontrato nel punto 1P, in cui il parametro manganese aveva superato i limiti previsti dalla vigente normativa di un ordine di grandezza, e, di gran lunga, i valori riscontrati nei piezometri esterni alla cava: indizio grave, questo, dell'esistenza di una correlazione di detto superamento con la presenza di rifiuti nelle porzioni piu' superficiali di terreno. 4.25.Anche riguardo ai terreni ed ai rifiuti, era stata accertata la presenza di valori di concentrazione delle sostanze inquinanti superiori a quelli della soglia di contaminazione per siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale (di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006). 4.26.11 GUP escludeva fossero ravvisabili gli estremi del disastro ambientale di cui all'articolo 452 quater c.p., non essendovi ne' un'alterazione irreversibile dell'equilibrio di un ecosistema o comunque di un'alterazione la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali, ne' di un'offesa alla pubblica incolumita'. Neppure ricorrevano gli estremi del delitto di cui all'articolo 434 c.p., mentre i fatti erano interamente sussumibili, sotto il profilo oggettivo, nell'a fattispecie di cui all'articolo 452 bis c.p., che punisce ogni danneggiamento dell'ambiente che non abbia le caratteristiche connotanti l'evento come disastro ed a prescindere da un pericolo nei confronti di interessi ulteriori. 4.27.Osservava il GUP che "fino a che non si verifichi l'irreversibilita' del danno ambientale, le condotte poste in essere successivamente all'iniziale deterioramento o compromissione del bene non costituiscono post factum non punibile ma integrano singoli atti di un'unica azione lesiva che spostano in avanti la consumazione del reato". Dunque, indipendentemente dal fatto che l'inquinamento del sito fosse dipeso anche da comportamenti antecedenti all'introduzione nell'ordinamento della fattispecie di reato di cui all'articolo 452 bis c.p., la prosecuzione della condotta illecita con aggravamento del danno da parte degli imputati nel periodo successivo al (OMISSIS) comunque rilevava ai fini della sussistenza di detto reato. 4.28.Nel caso concreto, infatti, il GUP riteneva configurato quanto meno un deterioramento della matrice ambientale causato dall'attivita' di escavazione oltre i limiti assentiti e dal susseguente illecito tombamento di rifiuti, che hanno portato ad un decadimento qualitativo del sito manifestatosi in una significativa diminuzione del suo valore nonche' nell'impossibilita' di utilizzarlo (neanche parzialmente) senza una previa attivita' di bonifica comunque non agevole. A tal fine, il giudice ha dato rilevanza anche all'elemento dimensionale del reato (l'area di cava interessata da detta attivita' illecita era pari a 226.000 mq) e all'abusivita' della condotta (poiche' posta in essere in assenza delle prescritte autorizzazioni o in violazione di leggi statali o regionali o di prescrizioni amministrative). 4.29.Quanto all'elemento soggettivo, il GUP ha ritenuto che il reato in questione fosse ascrivibile agli imputati a titolo di colpa, poiche', sebbene rispondesse ad una scelta consapevole e volontaria quella di scavare oltre i limiti assentiti e di effettuare il recupero ambientale della cava mediante tombamento di rifiuti, nondimeno non vi erano elementi per dire che in capo agli imputati vi fosse altresi' la consapevolezza (o l'accettazione del rischio) di determinare anche un inquinamento ambientale in termini di decadimento qualitativo del suolo e del sottosuolo: sia in ragione della tipologia di materiale interrato, sia in considerazione del fatto che, nel caso concreto, nessun contributo e' stato offerto dagli organi deputati al controllo, che si sono nella sostanza limitati a segnalare il fatto che detti materiali non potessero essere utilizzati per il recupero ambientale della cava senza al contempo metterne in evidenza le potenzialita' inquinanti e, quindi, diffidare la societa' dal loro utilizzo imponendo la rimozioni di quelli gia' tombati. 4.30.Inoltre, tenuto conto della specifica posizione apicale del (OMISSIS), la condotta accertata era a lui ascrivibile alla luce della logica imprenditoriale sottesa alla condotta, quale condivisa strategia di guadagno. Da qui la condanna degli imputati in ordine al reato di cui all'articolo 452-quinquies comma 1, in relazione all'articolo 452-bis c.p.. 4.31.Per quanto attiene alla posizione della societa', il GUP aveva ritenuto sussistenti i requisiti dell'interesse o vantaggio dell'ente poiche' la condotta commissiva od omissiva, violativa di regole cautelari (gener che o specifiche), riguardata ex ante, aveva prodotto un beneficio per l'ente, ossia una apprezzabile utilita' consistita nel risparmio di spesa da parte dell'ente stesso, legato al tombamento di rifiuti (essendo indiscutibilmente piu' economico interrare rifiuti invece di trattarli presso l'impianto ed al contempo acquistare materiale idoneo per il recupero ambientale della cava) e nel maggior profitto derivato all'ente dall'escavazione effettuata per una profondita' maggiore di quella assentita dagli atti autorizzativi. 4.32.Gli imputati rivestivano funzioni apicali ex articolo 5 lettera a), Decreto Legislativo n. 231 del 2001. Ai sensi dell'articolo 6, comma 1, ove il reato sia stato commesso da organi apicali, l'ente non risponde qualora provi: l'adozione ed efficace attuazione, prima della commissione del fatto, di modelli organizzativi e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; l'affidamento ad un organismo dell'ente, dotato di autonomi poteri di controllo, del compito di vigilare sul funzionamento e sull'osservanza dei modelli e di curarne l'aggiornamento; la fraudolenta elusione del modello organizzativo da parte degli autori del reato; la sufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui sopra. Osservava il GUP che l'azienda non aveva fornito ne' allegato detta prova liberatoria, sicche' ricorrono i requisiti richiesti dalla normativa per l'affermazione della responsabilita' della societa' stessa. 5.La Corte di appello di Brescia ha osservato che, individuata la data di cessazione della permanenza del reato di cui al capo 1) della rubrica in quella di esecuzione del sequestro dell'area (22/1/2016), la contravvenzione e' pacificamente prescritta. Non prescritta e', tuttavia, la responsabilita' amministrativa dell'ente alla luce del disposto dell'articolo 22, ultimo comma, Decreto del Presidente della Repubblica n. 231 del 2001, sicche' la Corte territoriale, sia per la conferma delle statuizioni civili (ex articolo 578 c.p.p.), sia per la necessita' di valutare i motivi che attengono alla responsabilita' amministrativa dell'ente, ha proceduto ad una piena valutazione degli elementi probatori per valutare l'integrazione dei reati da cui originano la responsabilita' civile degli imputati e la responsabilita' dell'ente. 5.1.Quanto al reato di cui all'articolo 452 bis c.p., la Corte di appello ha preliminarmente affrontato e risolto la questione, prospettata da tutti i difensori appellanti, della individuazione della data di cessazione delle condotte illecite, in presenza di successione di leggi penali nel tempo. Il discrimine e' costituito dall'entrata in vigore della L. n. 68 del 2015, che ha introdotto nel codice penale la fattispecie di cui all'articolo 452 bis c.p. (inquinamento ambientale). In assenza di prova di condotte di escavazione e di interramento del materiale definito dal primo giudice come "rifiuto" che si siano protratte dopo tale data, non potrebbe, a giudizio dei Giudici distrettuali, considerarsi integrata la nuova fattispecie di reato. 5.2.Alla luce dei fatti, la Corte di appello ha concluso nel senso che la prosecuzione dell'attivita' di escavazione oltre i limiti e di interramento dei rifiuti e' certamente proseguita oltre la data di entrata in vigore della nuova normativa. 5.3.Rigettati, quindi, i motivi spesi dai difensori in ordine all'incertezza della prosecuzione di attivita' illecita dopo il maggio 2015, la Corte si e' pronunciata sui restanti. 5.4.Per cio' che concerne i motivi che investono la materialita' dei fatti e la sussunzione di questi nelle ipotesi di reato ritenute in sentenza, sia contravvenzionali che delittuose, la sentenza afferma che essi non colgono nel segno, avendo la Corte di appello condiviso integralmente le valutazioni tecniche del CT del PM e le motivazioni, sempre a detta della Corte, complete ed esaustive della sentenza del primo Giudice. 5.5.In primo luogo, essa ha considerato dato di fatto inoppugnabile che le accertate (e non contestate nella loro materialita') condotte sistematiche ed organizzate della (OMISSIS) s.r.l. fossero vietate da tutte le autorizzazioni rilasciate nel corso del tempo. 5.6.La Corte territoriale, dunque, ha condiviso in toto sia le argomentazioni del consulente tecnico che del primo giudice in ordine al fatto che la societa' aveva effettuato escavazioni con profondita' maggiori di quelle consentite, che avevano reso necessario, per il raggiungimento della quota di copertura, l'impiego di maggior terreno rispetto a quello che sarebbe bastato se vi fosse stata l'osservanza dei limiti di scavo. 5.7.Inoltre, questo problema avrebbe potuto agevolmente essere risolto dalla (OMISSIS) s.r.l. avanzando richiesta di autorizzazione a depositare, sul fondo della cava, sulle sc(OMISSIS)te o comunque in quote precise delle aree della cava da recuperare, il materiale proveniente dall'impianto di trattamento e recupero di rifiuti inerti speciali non pericolosi, impianto autorizzato a partire dal 2005 e che gia' dal 2010 operava in regime ordinario. La ragione per cui, nel corso di ben dieci anni rispetto all'inizio dell'operativita' dell'impianto di trattamento al momento del sequestro, a fronte della permanente necessita' di materiale ulteriore rispetto a quello naturale e allo sterile per il ripristino delle aree di cava, nessuna domanda a tal fine sia stata presentata non puo' che rinvenirsi - afferma la Corte di appello - nella consapevolezza che una simile domanda non avrebbe ottenuto esito positivo. In caso, di rilascio, peraltro, siffatte autorizzazioni avrebbero necessariamente contemplato verifiche e analisi sui materiali decadenti dall'impianto e ulteriori costi per la societa'. Cio', a parere della Corte di appello, dimostra, da un lato, il disinteresse degli imputati alle problematiche di depauperamento di altri siti e, dall'altro, l'interesse a far si' che si costituisse un circolo estremamente vantaggioso (ma non virtuoso) sotto il profilo economico, tra l'attivita' di trattamento e recupero di rifiuti speciali non pericolosi e l'attivita' di recupero della cava. 5.8.Tra l'altro, sempre per la Corte di appello, la contiguita' spaziale tra impianto di trattamento e cava, consentiva agli imputati di sottrarsi ad ogni controllo sul materiale che effettivamente era in uscita dall'impianto di trattamento e recupero e sulla conformita' per il reimpiego; la fuoriuscita dal sito di materiale che avrebbe dovuto essere trattato richiedeva infatti quantomeno documenti di trasporto e implicava rischi di controlli su strada, evitati dall'inglobamento dell'impianto di trattamento nell'area di cava. Non e' un caso, infatti, che la difesa assuma di non poter dimostrare che i materiali depositati in cava siano stati trattati nell'impianto, perche', non accedendo i materiali da aree esterne a quella dell'impianto, non erano necessari i normali documenti richiesti dalla normativa ambientale in materia: la mancata dimostrazione di questo punto fondamentale, secondo la Corte territoriale giustifica, di per se', la conclusione dell'infondatezza di tutte le argomentazioni difensive aventi ad oggetto la contestazione che il materiale rinvenuto sia "rifiuto". 5.9.Tutto quanto sopra da' conto di come gli imputati fossero consapevoli dell'irregolarita' di tali comportamenti e, non essendo documentato che il materiale di cui si e' detto sia qualificabile quale "End of Waste", ha indotto la Corte di appello a ritenere corretta la qualificazione in termini di "rifiuto", operata dal Giudice di prime cure, dei materiali di cui il detentore della (OMISSIS) si era disfatto interrandoli illegittimamente nel sottosuolo: la ritenuta correttezza della sentenza impugnata, ha consentito, dunque, di ritenere provata la materialita' del fatto contestato sub 1) e la sua riconduzione alla fattispecie di gestione di una discarica abusiva, il che comporta, pur in presenza di prescrizione del reato, la conferma delle statuizioni civili relative a detto capo. 5.10.Quanto ai motivi che investivano la condanna per il reato di cui all'articolo 452 bis c.p., la Corte di appello ha ritenuto di non sollevare la questione di legittimita' costituzionale per indeterminatezza della fattispecie e violazione degli articoli 25 comma 2, 27 e 111 Cost., in quanto gia' la Corte di Cassazione in piu' occasioni aveva ritenuto la manifesta infondatezza della questione. 5.11.Esaminando altri motivi, gia' si e' rilevato come la Corte di appello abbia condiviso le argomentazioni del primo giudice in ordine all'effettuazione di escavazioni oltre i limiti assentiti dalle varie autorizzazioni. Le argomentazioni spese dalla Corte di appello con riferimento alla condanna per la contravvenzione di cui al n. 1), ha giustificato il rigetto dell'appello anche con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato di inquinamento ambientale e cio' a fronte della dimensione del fenomeno accertato, sia con riferimento all'ambito spaziale, sia alla durata dello stesso, sia ai quantitativi di rifiul:i sepolti nell'area. 5.12.Per cio' che riguarda invece l'esame del motivo che investiva esclusivamente la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato in capo al (OMISSIS) (oggetto esclusivo dell'impugnazione presentata dall'Avv. (OMISSIS) con il quinto motivo), la Corte di appello ha osservato che la dimensione del fenomeno, la reiterazione nel tempo delle condotte, gli interventi di diversi enti con i quali il (OMISSIS) necessariamente si interfacciava, stante la sua posizione di legale rappresentante, il fatto che la (OMISSIS) gestisse anche l'impianto di trattamento (circostanza che ha comportato, a partire dal 2005, l'ingresso di quantita' di materiali da recuperare rilevantissime, vedendone uscire assai poche, visto che 198.000 metri cubi di materiale sono stati sotterrati nell'area) non consentono di dare alcun credito all'ipotesi alternativa secondo cui una siffatta gestione sarebbe da ricondurre esclusivamente al (OMISSIS) nella totale ignoranza del legale responsabile della societa' che, come tale, non poteva ignorare che i profitti derivassero dalla vendita della sabbia estratta dalla cava e dalla ricezione del materiale nell'impianto, senza alcun ricavo per la vendita dei materiali in uscita. Circostanze, queste, che indubbiamente rendevano evidente al legale rappresentante la problematica del conteggio e delle differenze tra materiale in entrata e in uscita. Il primo Giudice aveva ritenuto sussistente il reato di cui all'articolo 452 bis c.p. e, sotto il profilo soggettivo, la mera colpa. Colpa che, nel caso di specie, per la Corte territoriale sussiste anche in capo al (OMISSIS), in base alle considerazioni sopra riportate. 5.13.Quanto al trattamento sanzionatorio, la questione posta alla Corte di appello investiva esclusivamente la condanna degli imputati per il reato di inquinamento ambientale (essendo prescritto quello di discarica abusiva). Anche per il Giudice dell'impugnazione, gli imputati non sono meritevoli delle attenuanti generiche, per via della gravita' e della reiterazione (nell'arco di un decennio) delle loro condotte. Ha trovato invece accoglimento, in assenza di pericolo di ulteriore commissione di reati, la richiesta di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena nei confronti di entrambi, valorizzato il dato della loro incensuratezza nonche' quello dell'eta', per il (OMISSIS), e, per il (OMISSIS), quello della cessazione della condotta (seppur grazie agli atti di sequestro, nel gennaio 2016) insieme con il venir meno della sua qualita' di legale rappresentante della societa'. 5.14.Infondato e' stato ritenuto il settimo motivo di appello, comune agli imputati, essendo evidente il danno riportato dalla parte civile, quantomeno per le condotte illecite poste in essere dopo che la stessa era divenuta proprietaria dell'area. E proprio la precarieta' economica degli imputati e della s.r.l. (il cui esercizio e' cessato dal 2017) giustificano, nell'ottica della Corte territoriale, la condanna al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva (che al momento della pronuncia ancora non risultava versata). 5.15.Da ultimo, circa l'appello presentato nell'interesse dell'ente, la Corte di appello ha ritenuto non operante nei suoi confronti la prescrizione per il reato sub 1), ai sensi dell'articolo 22, Decreto del Presidente della Repubblica n. 231 del 2001. Parimenti infondati, per la Corte territoriale sono il secondo ed il terzo motivo di appello, per le stesse ragioni poste a sostegno del rigetto dell'appello presentato dagli imputati. Infondato e' inoltre il quarto motivo di impugnazione dell'ente che investe specificamente la configurabilita' della responsabilita' amministrativa dell'ente, che la difesa contestava evidenziando le lacune investigative nell'operato della polizia giudiziaria: a detta della Corte di appello, correttamente il primo Giudice ha osservato che non era stata fornita la prova liberatoria dell'adozione ed efficace attuazione di modelli organizzativi e di gestione idonei a prevenire i reati della specie di quello verificatosi, ai sensi dell'articolo 6, comma 1, Decreto del Presidente della Repubblica n. 231 del 2001. La Corte di appello ha quindi ritenuto che non vi fossero ragioni per la rideterminazione della sanzione amministrativa ma ha rideterminato l'entita' della confisca osservando che, premesso che gia' il primo Giudice aveva correttamente ritenuto profitto del reato esclusivamente quello conseguito dalla maggiore escavazione delle sabbie rispetto alle profondita' assentite, occorresse fare riferimento alle pagine 404 ss. della consulenza tecnica del PM con la conseguenza che l'importo della confisca, disposto ai sensi dell'articolo 19, Decreto del Presidente della Repubblica n. 231 del 2001, dovesse essere ridotto ad Euro 691.250. 6.Tanto premesso, prima di esaminare i singoli ricorsi, il Collegio ritiene opportuno richiamare l'insegnamento costante secondo il quale: a) l'indagine di legittimita' sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volonta' del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita' di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e' avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 - 01); b) l'illogicita' della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe' di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacai:o di legittimita' al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche' siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794); c) la mancanza e la manifesta illogicita' della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicche' dedurre tale vizio in sede di legittimita' significa dimostrare che il testo del provvedimento e' manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non gia' opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621), sicche' una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicita' (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903); d) il travisamento della prova e' configurabile solo quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499). 6.1.11 travisamento della prova consiste, dunque, in un errore percettivo (e non valutativo) della prova stessa tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. In particolare, consiste nell'affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti. Il travisamento rende la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento cosi' come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversita' tale da non reggere all'urto del contro-giudizio logico sulla tenuta del sillogismo. Il vizio e' percio' decisivo quando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta e' irreparabile. Come ribadito da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n. m. sul punto, il travisamento della prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore "revocatorio", per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformita' cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato). 6.2.1n tal caso e' onere del ricorrente, in virtu' del principio di "autosufficienza del ricorso", suffragare la validita' del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era gia' stato dedotto in sede di appello), dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimita' il loro esame diretto, a meno che il "fumus" del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (Sez. 2, n. 20677 dell'11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. F. n. 37368 del 13/09/2007, Torino, Rv. 237302). 6.3.Non e' sufficiente riportare meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell'atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall'indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedere ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, Savasta, Rv. 263601; Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994, secondo cui la condizione della specifica indicazione degli "altri atti del processo", con riferimento ai quali, l'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimita', puo' essere soddisfatta nei modi piu' diversi (quali, ad esempio, l'integrale riproduzione dell'atto nel testo del ricorso, l'allegazione in copia, l'individuazione precisa dell'atto nel fascicolo processuale di merito), purche' detti modi siano comunque tali da non cosl:ringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilita' del ricorso, in base al combinato disposto degli articoli 581, comma 1, lettera c), e 591 cod. proc, pen.). 6.4.E' necessario, pertanto: a) identificare l'atto processuale omesso o travisato; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verita' dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonche' della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilita'" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035). 3.2.11 principio di autosufficienza del ricorso trova applicazione anche a seguito dell'entrata in vigore dell'articolo 165-bis disp. att. c.p.p., introdotto dall'articolo 7, comma 1, Decreto Legislativo n. 6 febbraio 2018, n. 11, che si traduce nell'onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l'allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato ove a cio' egli non abbia provveduto nei modi sopra indicati (Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, Rv. 280419 - 01; Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432 01). 6.5.Inoltre, poiche' il vizio riguarda la ricostruzione del fatto effettuata utilizzando la prova travisata, se l'errore e' imputabile al giudice di primo grado la relativa questione deve essere devoluta al giudice dell'appello, pena la sua preclusione nel giudizio di legittimita', non potendo essere dedotto con ricorso per cassazione, in caso di c.d "doppia conforme", il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il travisamento non gli era stato rappresentato (Sez. U, Dessimone, cit.; Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014, Biondetti, Rv. 261438; Sez. 6, n. 5146 del 2014, cit.), a meno che, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, il giudice di secondo grado abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (nel qual caso il vizio puo' essere eccepito in sede di legittimita', Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi, Rv. 258438). 6.6.Ne consegue che: a) il vizio di motivazione non puo' essere utilizzato per spingere l'indagine di legittimita' oltre il testo del provvedimento impugnato, nemmeno quando cio' sia strumentale a una diversa ricomposizione del quadro probatorio che, secondo gli auspici del ricorrente, possa condurre il fatto fuori dalla fattispecie incriminatrice applicata; b) l'esame puo' avere ad oggetto direttamente la prova quando se ne deduce il travisamento, purche' l'atto processuale che la incorpora sia allegato al ricorso (o ne sia integralmente trascritto il contenuto) e possa scardinare la logica del provvedimento creando una insanabile frattura tra il giudizio e le sue basi fattuali; c) la natura manifesta della illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato costituisce un limite al sindacato di legittimita' che impedisce alla Corte di cassazione di sostituire la propria logica a quella del giudice di merito e di avallare, dunque, ricostruzioni alternative del medesimo fatto, ancorche' altrettanto ragionevoli; d) non e' consentito, in caso di cd. "doppia conforme", eccepire il travisamento della prova mediante la pura e semplice riproposizione delle medesime questioni fattuali gia' devolute in appello sopratutto quando, come nel caso di specie, la censura riguardi il medesimo compendio probatorio non avendo la Corte territoriale attinto a prove diverse da quelle scrutinate in primo grado. 6.7.Non e' dunque consentito, in sede di legittimita', proporre un'interlocuzione diretta con la Suprema Corte in ordine al contenuto delle prove gia' ampiamente scrutinate in sede di merito sollecitandone l'esame e proponendole quale criterio di valutazione della illogicita' manifesta della motivazione; in questo modo si sollecita la Corte di cassazione a sovrapporre la propria valutazione a quella dei Giudici di merito laddove, come detto, cio' non e' consentito, nemmeno quando venga eccepito il travisamento della prova. Il travisamento non costituisce il mezzo per valutare nel merito la prova, bensi' lo strumento - come detto - per saggiare la tenuta della motivazione alla luce della sua coerenza logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il ragionamento. I ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) 7.1 ricorsi del (OMISSIS) e del (OMISSIS) sono inammissibili perche' si avvalgono di non consentite deduzioni fattuali volte a scardinare il ragionamento della Corte di appello spingendo il sindacato della Corte di cassazione oltre i limiti ad essa consentiti in assenza di travisamenti di sorta nemmeno correttamente decotti. Tutti i motivi attingono a piene mani al materiale istruttorio dando per scontata la possibilita' della Corte di cassazione di accedere agli atti del fascicolo del dibattimento, di leggerne il contenuto e di saggiare la tenuta logica del ragionamento del giudice di merito, operazione, come detto, non consentita in questa sede ove cio' che rileva non e' quel che il giudice avrebbe potuto decidere (fatto ricostruibile in base alle prova assunte), ma come ha deciso (fatto ricostruito cosi' come risulta dal testo della motivazione). 7.1.1 ricorsi, salvo il quarto motivo di quello a firma dell'Avv. (OMISSIS), pongono solo questioni di fatto, non diritto. Le dedotte violazioni di legge si traducono, in realta', in un malgoverno della prova non della norma sostanziale presupponendo, le argomentazioni difensive, la diversita' del fatto descritto in sentenza rispetto a quello ritenuto dai ricorrenti. 7.2.11 quarto motivo di ricorso e' manifestamente infondato. 7.3.La Corte di cassazione ha gia' dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 452-bis c.p. per contrasto con gli articoli 25 Cost. e 7 CEDU sotto il profilo della sufficiente determinatezza della fattispecie, in quanto le espressioni utilizzate per descrivere il fatto vietato sono sufficientemente univoche, sia per quanto riguarda gli eventi che rimandano ad un fatto di danneggiamento e per i quali la specificazione che devono essere "significativi" e "misurabili" esclude che vi rientrino quelli che non incidono apprezzabilmente sul bene protetto, sia per quanto attiene all'oggetto della condotta precisamente descritto ai nn. 1) e 2) della norma incriminatrice (Sez. 3, n. 9736 del 30/01/2020, Forchetta, Rv. 278405 - 01). 7.4.Va qui ribadito, in termini generali, che non sussiste affatto il dedotto deficit di tipicita' della fattispecie penale. 7.5.In primo luogo, costituisce approdo da tempo consolidato nella giurisprudenza della Corte di cassazione che, in tema di reati ambientali, la condotta "abusiva" idonea ad integrare (non solo) il delitto di cui all'articolo 452-bis c.p. comprende non soltanto quella svolta in assenza delle prescritte autorizzazioni, o sulla base di autorizzazioni scadute o palesemente illegittime o comunque non commisurate alla tipologia di attivita' richiesta, ma anche quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali - ancorche' non strettamente pertinenti al settore ambientale - ovvero di prescrizioni amministrative (Sez. 3, n. 46170 del 21/09/2016, Simonelli, Rv. 268060-01; Sez. 3, n. 15865 del 31/01/2017, Rizzo, Rv. 269491 - 01; Sez. 3, n. 28732 del 27/04/2018, Melillo, Rv. 273565 - 01). La natura abusiva, peraltro, qualifica la condotta costituendone una modalita' tipica che restringe la portata del precetto penale, limitando la rilevanza penale della compromissione e del deterioramento (evento del reato) ai soli casi in cui, appunto, la condotta causante sia "abusiva". Come gia' spiegato in motivazione da Sez. 3, Simonelli, "(p)are dunque opportuno ricordare, in relazione al requisito dell'abusivita' della condotta (richiesto anche da altre disposizioni penali), che con riferimento al delitto di attivita' organizzate per il traffico illecito di rifiuti, originariamente sanzionato dall'articolo 53-bis del Decreto Legislativo n. 22 del 1997 ed, attualmente, dall'articolo 260 del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, si e' recentemente ricordato (Sez. 3, n. 21030 del 10/3/2015, Furfaro ed altri, non massimata) che sussiste il carattere abusivo dell'attivita' organizzata di gestione dei rifiuti - idoneo ad integrare il delitto - qualora essa si svolga continuativamente nell'inosservanza delle prescrizioni delle autorizzazioni, il che si verifica non solo allorche' tali autorizzazioni manchino del tutto (cosiddetta attivita' clandestina), ma anche quando esse siano scadute o palesemente illegittime e comunque non commisurate al tipo di rifiuti ricevuti, aventi diversa natura rispetto a quelli autorizzati. La sentenza, nella quale vengono escluse violazioni dei principi costituzionali rispetto ad eventuali incertezze interpretative connesse, tra l'altro, alla portata del termine "abusivamente", segue ad altre, in parte citate, nelle quali si e' giunti alle medesime conclusioni (Sez. 3, n. 18669 del 8/1/2015, Gattuso, non massimata; Sez. 3, n. 44449 del 15/10/2013, Ghidoli, Rv. 258326; Sez. 3, n. 19018 del 20/12/2012 (dep. 2013), Accarino e altri, Rv. 255395; Sez. 3, n. 46189 del 14/7/2011, Passariello e altri, Rv. 251592; Sez. 3 n. 40845 del 23/9/2010, Del Prete ed altri, non massimata ed altre prec. conf.). Tali principi sono senz'altro utilizzabili anche in relazione al delitto in esame, rispetto al quale deve peraltro rilevarsi come la dottrina abbia, con argomentazioni pienamente condivisibili, richiamato i contenuti della direttiva 2008/99/CE e riconosciuto un concetto ampio di condotta "abusiva", comprensivo non soltanto di quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali, ancorche' non strettamente pertinenti al settore ambientale, ma anche di prescrizioni amministrative". 7.6.E' utile ricordare che la citata Sez. 3, Furfaro, nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'allora articolo 53-bis, Decreto Legislativo n. 22 del 1997 (oggi articolo 452-quaterdecies c.p.), questione posta in relazione sia all'indeterminatezza del concetto di "ingente quantita' di rifiuti" che a quello della natura abusiva della condotta, si era posta nel solco di altre pronunce che, con riferimento al concetto di "ingente quantita'", erano pervenute al medesimo risultato (Sez. 3, n. 358 del 20/11/2007, dep. 2008, Putrone, Rv. 238558 - 01; Sez. 3, n. 47918 del 12/11/2003, Rosafio). Con riferimento, invece, alla "abusivita'" della condotta, Sez. 3, Furfaro, ricordava che "(n)emmeno appaiono prospettabili violazioni dei principi costituzionali in relazione alle dedotte incertezze interpretative connesse alla portata del termine "abusivamente", o alle attivita' continuative e organizzate, o in ordine all'elemento soggettivo del reato. Si tratta di questioni sulle quali questa Corte ha oramai assunto un indirizzo sostanzialmente univoco nell'ambito della ordinaria funzione interpretativa. In merito al requisito della abusivita' della condotta, l'interpretazione prevalente ritiene che sussiste il carattere abusivo dell'attivita' organizzata di gestione dei rifiuti - idoneo ad integrare il delitto qualora essa si svolga continuativamente nell'inosservanza delle prescrizioni delle autorizzazioni, il che si verifica non solo allorche' tali autorizzazioni manchino del tutto (cosiddetta attivita' clandestina), ma anche quando esse siano scadute o palesemente illegittime e comunque non commisurate al tipo di rifiuti ricevuti, aventi diversa natura rispetto a quelli autorizzati. Piu' recentemente, si e' affermato che "In tema di traffico illecito di rifiuti, il requisito dell'abusivita' della gestione deve essere interpretato in stretta connessione con gli altri elementi tipici della fattispecie, quali la reiterazione della condotta illecita e il dolo specifico d'ingiusto profitto. Ne consegue che la mancanza delle autorizzazioni non costituisce requisito determinante per la configurazione del delitto che, da un lato, puo' sussistere anche quando la concreta gestione dei rifiuti risulti totalmente difforme dall'attivita' autorizzata; dall'altro, puo' risultare insussistente, quando la carenza dell'autorizzazione assuma rilievo puramente formale e non sia causalmente collegata agli altri elementi costitutivi del traffico" (Sez. 3, 15.10.2013, n. 44449, Ghidoli, Rv. 258326)". 7.7.Non e' dunque affatto vero che il legislatore, con il termine "abusivamente", ha inteso "colpire e sanzionare solo attivita' e volonta' specificamente dissimulate ovvero condotte volutamente in occulto" (cosi' nel ricorso, ove si sottolinea che nel caso in esame manca qualsiasi profilo di occultamento della condotta). E' piuttosto vero che il legislatore ha attinto al diritto vivente assegnando al termine in questione il significato che da lungo tempo la giurisprudenza di legittimita' gli aveva gia' attribuito, si' da non determinare alcuna frizione con il principio di tassativita' e determinatezza della fattispecie. Ne' si comprende (anche sotto il profilo della rilevanza della questione) in che modo l'ampliamento del concetto di "abusivamente" all'interpretazione preesistente al delitto di nuova fattura possa determinare problemi di coordinamento con l'articolo 257, Decreto Legislativo n. 152 del 2006. 7.8.Quanto ai concetti di "compromissione" e "deterioramento", essi consistono in un'alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell'ecosistema, caratterizzata, nel caso della "compromissione", da una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificita' della matrice o dell'ecosistema medesimi e, nel caso del "deterioramento", da una condizione di squilibrio "strutturale", connesso al decadimento dello stato o della qualita' degli stessi. (Sez. 3, n. 46170 del 2016, Simonelli, cit.). 7.9.Al riguardo, escluso, in particolare, ogni accostamento alle corrispondenti definizioni di "inquinamento ambientale" e di "deterioramento significativo e misurabile" fornite dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006 ad uso e consumo esclusivo delle norme in detto Testo Unico contenute, Sez. 3, Simonelli, ha spiegato che "l'indicazione dei due termini con la congiunzione disgiuntiva "o" svolge una funzione di collegamento (tra di essi) - autonomamente considerati dal legislatore, in alternativa tra loro - poiche' indicano fenomeni sostanzialmente equivalenti negli effetti, in quanto si risolvono entrambi in una alterazione, ossia in una modifica dell'originaria consistenza della matrice ambientale dell'ecosistema caratterizzata, nel caso della "compromissione", in una condizione di rischio o pericolo che potrebbe definirsi di "squilibrio funzionale", perche' incidente sui normali processi naturali correlati alla specificita' della matrice ambientale o dell'ecosistema ed, in quello del deterioramento, come "squilibrio strutturale", caratterizzato da un decadimento di stato o di qualita' di questi ultimi. Da cio' consegue che non assume rilievo l'eventuale reversibilita' del fenomeno inquinante, se non come uno degli elementi di distinzione tra il delitto in esame e quello, piu' severamente punito, del disastro ambientale di cui all'articolo 452-quater c.p. ". 7.10.Deterioramento e compromissione sono concetti diversi dalla "distruzione"; non equivalgono, in ultima analisi, a "una condizione di "tendenziale irrimediabilita'" che (...) la norma non prevede". 7.11.Quanto alla natura "significativa" e "misurabile" che qualifica il deterioramento ovvero la compromissione, la sentenza ha ulteriormente precisato che, ferma la loro funzione selettiva di condotte di maggior rilievo, "il termine "significativo" denota senz'altro incisivita' e rilevanza, mentre "misurabile" puo' dirsi cio' che e' quantitativamente apprezzabile o, comunque, oggettivamente rilevabile. L'assenza di espliciti riferimenti a limiti imposti da specifiche disposizioni o a particolari metodiche di analisi consente di escludere l'esistenza di un vincolo assoluto per l'interprete correlato a parametri imposti dalla disciplina di settore, il cui superamento, come e' stato da piu' parti gia' osservato, non implica necessariamente una situazione di danno o di pericolo per l'ambiente, potendosi peraltro presentare casi in cui, pur in assenza di limiti imposti normativamente, tale situazione sia di macroscopica evidenza o, comunque, concretamente accertabile. Ovviamente, tali parametri rappresentano comunque un utile riferimento nel caso in cui possono fornire, considerando lo scostamento tra gli standard prefissati e la sua ripetitivita', un elemento concreto di giudizio circa il fatto che la compromissione o il deterioramento causati siano effettivamente significativi come richiesto dalla legge mentre tale condizione, ovviamente, non puo' farsi automaticamente derivare dal mero superamento dei limiti". 7.12.Si deve qui precisare che il reato in questione e' senza alcun dubbio un reato di danno, causalmente orientato. 7.13.Pur se non irreversibile, il deterioramento o la compromissione evocano l'idea di un risultato raggiunto, di una condotta che ha prodotto il suo effetto dannoso. Da questo punto di vista il deterioramento e la compromissione (quest'ultima intesa come rendere una cosa, in tutto o in parte, inservibile) costituiscono per il legislatore penale evento tipico del delitto di danneggiamento e, in quanto tale, l'idea del "danno" (ancorche' non irreversibile) e' a loro connaturale. 7.14.11 deterioramento, in particolare, e' configurabile quando la cosa che ne costituisce oggetto sia ridotta in uno stato tale da rendere necessaria, per il ripristino, una attivita' non agevole (Sez. 2, n. 20930 del 22/02/2012, Di Leo, Rv. 252823) ovvero quando la condotta produce una modificazione della cosa altrui che ne diminuisce in modo apprezzabile il valore o ne impedisce anche parzialmente l'uso, cosi' dando luogo alla necessita' di un intervento ripristinatorio dell'essenza e della funzionalita' della cosa stessa (Sez. 2, n. 28793 del 16/06/2005, Cazzulo, Rv. 232006; Sez. 5, n. 38574 del 21/05/2014, Ellero, Rv. 262220). 7.15.Non a caso la giurisprudenza di questa Corte, maturata sin da epoca antecedente alla L. n. 319 del 1976 (cd. legge "Merli", la prima che introdusse una disciplina organica e penalmente sanzionata in materia di scarichi di acque reflue), aveva gia' ampiamente attinto al reato di cui all'articolo 635, c.p., per attrarre alla sua fattispecie quei casi in cui un corso d'acqua fosse durevolmente deteriorato in modo da ridurne l'utilizzazione in conformita' alla sua destinazione (cosi' Sez. 2, n. 12383 del 28/04/1975, Fratini, Rv. 131583, in un caso di scarichi industriali apportatori di intorbidamento delle acque del fiume (OMISSIS), di distruzione di microrganismi, quali microflora e microfauna, plancton animale e vegetale, di alterazione morfologica e termica e di fenomeni analoghi; nello stesso senso Sez. 2, n. 5802 del 15/11/1979, Frigerio, Rv. 145222 in un caso di inquinamento del fiume (OMISSIS); Sez. 6, n. 8465 del 21/06/1985, Puccini, in ipotesi di inquinamento del fiume (OMISSIS) determinato dalla disattivazione del depuratore; di rilievo il principio affermato da Sez. 2, n. 7201 del 16/01/1984, Corsini, Rv. 165490, secondo cui l'articolo 26 della L. 10 maggio 1976 n. 319 aveva abrogato soltanto le norme che puniscono l'inquinamento collegabile direttamente o indirettamente agli scarichi ma detta abrogazione non si estendeva alle norme che puniscono il danneggiamento che, pur tutelando anche le acque dall'inquinamento, hanno una diversa e piu' ampia oggettivita' giuridica). Sulla scia di tale indirizzo giurisprudenziale, piu' recentemente, Sez. 4, n. 9343 del 21/10/2010, Valentini, Rv. 249808, in un caso di illecito smaltimento di rifiuti di una discarica in un fiume, che ne aveva cagionato il deterioramento, rendendolo per lungo tempo inidoneo all'irrigazione dei campi ed all'abbeveraggio degli animali, ha ribadito che si ha "deterioramento", che integra il reato di danneggiamento, tutte le volte in cui una cosa venga resa inservibile, anche solo temporaneamente, all'uso cui e' destinata, non rilevando, ai fini dell'integrazione della fattispecie, la possibilita' di reversione del danno, anche se tale reversione avvenga non per opera dell'uomo, ma per la capacita' della cosa di riacquistare la sua funzionalita' nel tempo (cfr. altresi', Sez. 3, n. 15460 del 10/02/2016, Ingegneri, Rv. 267823 che, sul principio per il quale ai fini della configurabilita' del reato di danneggiamento mediante deterioramento e' necessario che la capacita' della cosa di soddisfare i bisogni umani o l'idoneita' della stessa di rispettare la sua naturale destinazione risulti ridotta, con compromissione della relativa funzionalita', ha ritenuto integrato il reato a seguito dell'intorbidamento delle acque e dell'alterazione delle correnti marine determinato dallo sversamento di sabbia, quale conseguenza della realizzazione di un'isola artificiale). 7.16.La compromissione, termine, come visto, indifferentemente utilizzato nel linguaggio giuridico per descrivere un modo di essere o di manifestarsi del deterioramento stesso, coglie del danno non la sua maggiore o minore gravita' bensi' l'aspetto funzionale perche' evoca un concetto di relazione tra l'uomo e i bisogni o gli interessi che la cosa deve soddisfare; deterioramento e compromissione sono le due facce della medesima medaglia, sicche' e' evidente che (âEuroËœendiadi utilizzata dal legislatore intende coprire ogni possibile forma di "danneggiamento" - strutturale ovvero funzionale - delle acque, dell'aria, del suolo o del sottosuolo. 7.17.11 fatto che ai fini del reato di "inquinamento ambientale" non e' richiesta la tendenziale irreversibilita' del danno comporta che fin quando tale irreversibilita' non si verifica le condotte poste in essere successivamente all'iniziale deterioramento o compromissione non costituiscono "post factum" non punibile (nel senso che "le plurime immissioni di sostanze inquinanti nei corsi d'acqua, successive alla prima, non un post factum penalmente irrilevante, ne' singole ed autonome azioni costituenti altrettanti reati di danneggiamento, bensi' singoli atti di un'unica azione lesiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione", Sez. 4, n. 9343 del 2010, cit.). 7.18.E' dunque possibile deteriorare e compromettere quel che lo e' gia', fino a quando la compromissione o il deterioramento diventano irreversibili o comportano una delle conseguenze tipiche previste dal successivo articolo 452-quater, c.p.; non esistono zone franche intermedie tra i due reati. 7.19.1 ricorrenti sollecitano l'attenzione sulla tenuta costituzionale, sul piano del rispetto dei principi di tassativita' e determinatezza della fattispecie, della qualificazione come "significativo" e "misurabile" dell'evento dal quale la legge fa dipendere l'esistenza del reato di cui all'articolo 452-bis c.p. Non e' sufficiente, ai fini della sussistenza del delitto di inquinamento ambientale, che l'autore cagioni uno dei due eventi alternativamente previsti: e' altresi' necessario che tale evento sia "significativo" e "misurabile". Premesso che il requisito della "misurabilita'" della compromissione o del danneggiamento assolve alla funzione di attribuire al fatto una dimensione oggettiva (misurabile, appunto), quello di "significativita'" intende escludere dall'area della penale rilevanza gli eventi "non significativi", quelli, cioe', che hanno determinato si' una compromissione o un deterioramento (ancorche' misurabili) di una delle matrici ambientali di cui all'articolo 452-bis c.p. ma non in modo certo, evidente, chiaro. "Significativo" e' sinonimo, secondo la lingua italiana, di considerevole, importante, non indifferente, notevole, ragguardevole, rilevante, ed e' il contrario di insignificante, irrilevante, irrisorio, minimo, trascurabile. In questo senso, la "significativita'" dell'evento delittuoso (al pari della sua "misurabilita'") proietta il fatto in una dimensione oggettiva certa, indiscutibile, verificabile e misurabile (appunto) oltre ogni ragionevole dubbio, che colloca la condotta dell'inquinamento ambientale nell'area intermedia che va dalla irrilevanza del danno alle dimensioni descritte dall'articolo 452-quater c.p.. 7.20.La funzione assolta dai concetti di significativita' e misurabilita' e' quella dunque di elevare il grado di offensivita' dell'evento delittuoso, espungendo dall'area della penale rilevanza quelli che tali non sono o che non lo sono in modo "considerevole, importante, non indifferente, notevole, ragguardevole, rilevante". Eliminare il requisito della significativita' e misurabilita' dell'evento determinerebbe l'allargamento dell'ambito di applicabilita' della fattispecie penale anche a condotte che producono un danneggiamento o una compromissione insignificante, irrilevante, irrisoria, minima, trascurabile, privandola proprio di quel requisito di maggiore offensivita' che giustifica una sanzione certamente non lieve. 7.21.L'invocata pronuncia di incostituzionalita' della norma in parte qua determinerebbe, paradossalmente, un effetto peggiorativo non ammesso dal Giudice delle leggi. 7.22.La questione posta e' percio' irrilevante (oltre che, come detto, manifestamente infondata). Premesso che, come detto, i ricorsi sono inammissibili perche' deducono questioni di fatto, la significativa e misurabile compromissione del suolo e del sottosuolo (non delle falde acquifere) cagionata dalla condotta degli imputati e' questione assodata, che non puo' essere rimessa in discussione, essendo derivata dalla abusiva movimentazione di 198.000 metri cubi di rifiuti. Il ricorso di (OMISSIS) s.r.l. 8.A non diversi rilievi si espone il ricorso della societa' che si avvale anch'esso, in ogni suo aspetto, di continui riferimenti al materiale probatorio del quale non viene nemmeno dedotto il travisamento (e di certo non nei corretti termini sopra evidenziati). 9.Alla declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi consegue, ex articolo 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a c:olpa dei ricorrenti (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonche' del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00 ciascuno. Segue la condanna dei ricorrenti, persone fisiche, al pagamento delle spese processuali sostenute nel grado dalla parte civile "(OMISSIS) S.p.a.", liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Condanna inoltre gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3.686,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere Dott. MICCICHE' Loredana - Consigliere Dott. NOCERA Andrea - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 11/06/2021 della CORTE APPELLO di PALERMO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere PEZZELLA VINCENZO; Lette le conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8 conv. dalla L. n. 176 del 2020, come prorogato Decreto Legge n. 228 del 2021, ex articolo 16 conv. con modif. dalla L. n. 15 del 2022 e successivamente il Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, ex articolo 94, comma 2, come sostituito dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199, articolo 5-duodecies, di conversione in legge del Decreto Legge n. 162 del 2022), del P.G., in persona del Sost. Proc. Gen. COCOMELLO Assunta, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata e del difensore del ricorrente Avv. (OMISSIS) che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Palermo, pronunciando sul gravame nel merito proposto odierno ricorrente (OMISSIS), con sentenza del 11/6/2021 ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Palermo, in composizione monocratica, il 26/6/2020, all'esito di giudizio ordinario, lo ha condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante, per il reato di cui al capo a) alla pena di mesi 6 di reclusione, con pena sospesa, e ha dichiarato non doversi procedere quello di cui al capo b) per estinzione del reato per intervenuta prescrizione. L'imputato era tratto in giudizio per i seguenti reati: a) articolo 589 c.p., comma 2, per avere cagionato la morte di (OMISSIS), in quanto pur essendo in grado di avvedersi della manovra errata posta in atto da (OMISSIS), non procedeva a ridurre la velocita' e arrestare il proprio veicolo a causa dell'elevata velocita' certamente superiore ai 70 km/h in una zona in cui vigevano i limiti di velocita'. Nello specifico perche', trovandosi sulla strada statale (OMISSIS), al km 281,300, alla guida nella propria vettura Fiat 600 targata (OMISSIS), collideva con il veicolo Fiat Brava targata (OMISSIS), condotto da (OMISSIS), che si accingeva ad effettuare manovra di inversione a U. La condotta inadeguata ed imprudente del (OMISSIS), che procedeva ad elevata velocita', in violazione dei limiti ivi previsti, provocava un violento impatto ad esito del quale il predetto (OMISSIS) si procurava conseguenti gravissime lesioni dalle quali ne derivava il decesso. Cio' faceva in violazione degli articoli 140 e 142 C.d.S.. In (OMISSIS). b) articolo 186 C.d.S., lettera c, n. 2, n. 2 bis, n. 6, per avere guidato in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche. Nello specifico per avere condotto l'autovettura Fiat 600 di proprieta' di (OMISSIS) in stato di alterazione psicofisica derivante dall'influenza dell'alcool con cio' provocando l'incidente a seguito del quale perdeva la vita il signor (OMISSIS). In (OMISSIS). 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il (OMISSIS) deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. Con un primo motivo il ricorrente lamenta inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilita' e inutilizzabilita' dell'alcooltest per mancato avviso della possibilita' di farsi assistere da un difensore. Ci si duole che l'imputato sia stato sottoposto ad alcoltest, esclusivamente su richiesta della P.G. come riportato nella cartella clinica, senza il preventivo avviso della facolta' di farsi assistere da un avvocato. Tale circostanza accertata in dibattimento, in quanto riconosciuta dallo stesso agente di P.G., e' stata ritenuta irrilevante dai giudici di merito. La nullita' che determina l'inutilizzabilita' del referto del test -si evidenzia- e' stata tempestivamente eccepita nel corso del giudizio di primo grado. Pertanto, entrambi i giudici di merito sono incorsi nell'errore di ritenerne l'utilizzabilita'. Con il secondo motivo ci si duole di vizio di motivazione laddove la corte d'appello ha ravvisato la colpa dell'imputato per il reato sub a) nel non aver ridotto la velocita' ulteriormente in considerazione dello stato dei luoghi. Il ricorrente descrive il tratto di strada e le modalita' del sinistro, cosi' come accertate dal consulente del p.m., per evidenziare l'illogicita' della motivazione dell'impugnata sentenza. In particolare, si lamenta l'errato ragionamento che avrebbe condotto la Corte distrettuale ad attribuire un'elevata pericolosita' al tratto stradale e a ritenere irrilevante il rispetto del limite di velocita' da parte dell'imputato. Si contesta la deduzione relativa alla presenza di numerose intersezioni lungo la strada, ribadendo che si trattava di un'ampia strada rettilinea a due corsie costeggiata sulla destra da un'ampia banchina. In realta' le citate intersezioni non erano strade, ma accessi alle attivita' commerciali poste lungo la strada e chiuse nell'orario dell'incidente. Tra l'altro il consulente considerava la presenza delle intersezioni solo per individuare correttamente il limite di velocita', che sebbene rinvenuto in 50 km/h per una zona particolarmente trafficata, a circa 2 km di distanza dal luogo dell'incidente, veniva escluso per tutta la strada proprio per la presenza delle intersezioni e la mancanza di segnaletica in corrispondenza delle stesse. Pertanto, il limite di velocita' veniva individuato in 90 km/h, mentre il teste (OMISSIS), agente di polizia municipale, precisava la presenza di tre o quattro intersezioni per una strada lunga circa 2 km. Di conseguenza secondo il ricorrente puo' dirsi raggiunta la prova contraria rispetto a quanto ritenuto nell'impugnata sentenza e non puo' ritenersi imprudente la condotta dell'imputato che teneva una velocita' di circa 20 km/h inferiore al limite. Errato viene ritenuto l'aver ancorato l'elemento soggettivo della colpa alla presenza di numerosi esercizi commerciali e siti industriali dal momento che all'ora dell'incidente tali attivita' erano chiuse. Sostanzialmente, si aggiunge, la Corte di appello non avrebbe considerato l'effettivo stato dei luoghi, mentre e' emerso nel giudizio che al momento del sinistro non vi fosse alcun traffico proprio perche' le attivita' commerciali erano chiuse da tempo. L'eccesso di velocita' di cui all'articolo 141 C.d.S. e' fondato su dati fattuali inesistenti e considerazioni slegate dagli elementi di prova emersi. Si contesta, poi, la rilevanza attribuita alla dichiarazione dell'imputato di aver bevuto un cocktail qualche ora prima. Tale dichiarazione, resa in un contesto piu' ampio, non consentirebbe certamente di ricavare l'esito positivo di un alcoltest o una condizione di alterazione delle capacita' sensoriali. Pertanto, conclude il ricorrente, nessuna colpa puo' essere attribuita all'imputato, sussistendo la prova che viaggiasse a una velocita' molto inferiore al limite di legge e tenuto conto dello stato dei luoghi. Ne' puo' ritenersi la violazione di norme di prudenza dal momento che la manovra di "inversione a U" eseguita dal conducente dell'altra auto si e' posta come elemento imprevedibile e inevitabile, tale da interrompere ogni nesso causale, tenuto conto tra l'altro che l'imputato ha posto in essere le manovre di emergenza rese vane dall'altro conducente che non ha mai arrestato il proprio veicolo. Con il terzo motivo si deduce vizio di motivazione nella parte in cui la corte di appello ha ritenuto la causalita' della colpa. Si lamenta il malgoverno dei principi che regolano la responsabilita' colposa. Sostanzialmente, secondo il ricorrente, l'impugnata sentenza non avrebbe indicato quale era la condotta alternativa richiesta, limitandosi ad affermare che l'imputato avesse dovuto tenere una velocita' piu' moderata. In realta' non viene chiarito quale doveva essere tale velocita', tenuto conto del fatto che il (OMISSIS) teneva una velocita' di 70 km/h su un'ampia strada che prevedeva un limite di 90. E non viene tenuto conto che la manovra di "inversione a U" era certamente imprevedibile. Si evidenzia in ricorso che gli elementi valutati al fine di affermare la responsabilita' dell'imputato, peraltro non condivisibile, non si pongono in correlazione con il sinistro in quanto l'altra autovettura non proveniva da un'intersezione presente sulla strada. Viaggiava piuttosto nella stessa direzione, spostandosi sull'area di sosta per poi avviare improvvisamente un'inversione. Il consulente ha dato atto che l'imputato compiva una lunga frenata spostandosi sulla sinistra, senza che l'altro conducente arrestasse la marcia, rendendo cosi' inevitabile l'impatto e vanificando il tentativo dell'imputato di evitare l'impatto. Chiede, pertanto, annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata perche' l'imputato non ha commesso il fatto o perche' il fatto non costituisce reato; in via subordinata con rinvio. Le parti hanno reso conclusioni scritte come riportato in epigrafe in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi sopra illustrati afferenti all'affermazione di responsabilita' per il reato di omicidio colposo di cui al capo a) dell'imputazione sono fondati e, pertanto, la sentenza impugnata va annullata limitatamente a tale reato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Palermo, altra Sezione. La prima doglianza, riguardante il reato di cui al capo b), per il quale sin dal primo grado e' stata dichiarata l'improcedibilita' in ragione dell'intervenuta prescrizione, e', invece, infondata, e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato nel resto. 2. Dunque, i vizi motivazionali lamentati con il secondo e terzo motivo di ricorso in relazione alla condanna per il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme sulla circolazione stradale di cui al capo a, sono fondati. Va evidenziato che, in concreto, non siamo di fronte ad una doppia conforme affermazione di responsabilita'. Cio' perche' il giudice di primo grado fonda quest'ultima su due aspetti, quali la violazione del limite di velocita' vigente nel tratto di strada in questione (sul presupposto che questo fosse di 50 kmh e che l'imputato viaggiasse a 70 kmh) e l'influenza del fatto che guidava sotto l'effetto dell'alcool, che non trovano poi spazio, come si illustrera' dettagliatamente a seguire, nella scarna motivazione del giudice di appello. Come ricorda il giudice di primo grado, i fatti sono stati ricostruiti attraverso le deposizioni rese dai testimoni escussi (e, in particolare, di (OMISSIS), all'epoca dei fatti in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di Villagrazia di Carini ed autore del rilevamento tecnico descrittivo del sinistro stradale, di (OMISSIS), ispettore capo all'epoca dei fatti in servizio presso il Corpo di Polizia Municipale di Carini e di (OMISSIS), consulente tecnico incaricato dal PM.), oltre che dalla documentazione acquisita (e, in particolare, dai rilievi tecnico-descrittivi operati nell'immediatezza dei fatti e comprensivi di rilievi fotografici relativi allo stato dei luoghi ed alle condizioni dei due autoveicoli coinvolti), consentono di operare una attendibile ricostruzione delle modalita' di verificazione del sinistro stradale descritto nel capo di imputazione nei termini infra precisati. Si e' appurato, cosi', che il (OMISSIS), alle ore 21.30 circa, si verificava in localita' (OMISSIS), all'altezza del km 281+300, un sinistro stradale in cui restavano coinvolte un'autovettura Fiat "600", targata (OMISSIS) e condotta dall'imputato (OMISSIS) e un'autovettura Fiat "Bravo", targata (OMISSIS) e condotta da (OMISSIS). In conseguenza del sinistro, quest'ultimo riportava lesioni che, una volta portato in ospedale, ne determinavano la morte. Anche l'odierno ricorrente veniva condotto in ospedale per ricevere le necessarie cure e cola' veniva effettuato nei suoi confronti esame per la rilevazione del tasso alcolemico nel sangue dal quale emergeva il risultato di 114 mg/dl. Il tribunale, attraverso la disamina dei rilievi operati sui luoghi e sulle autovetture (cfr. pagg. 4-5 della sentenza di primo grado) perveniva alla, conclusione che (OMISSIS) al momento dell'impatto, era impegnato nell'esecuzione di una manovra di inversione di marcia "a U" -che pure era consentita in quanto la striscia di mezzeria era discontinua- per portarsi in direzione di Trapani e si trovava ad occupare trasversalmente, con la propria vettura, la corsia di sua pertinenza. E che l'auto condotta da (OMISSIS) si muoveva ad una velocita' di "circa 20 km/h". La vettura condotta dall'odierno ricorrente, che sopraggiungeva lunga la medesima corsia di marcia in direzione Palermo di quella condotta da (OMISSIS) e ando' ad impattargli contro, procedeva ad una velocita' acclarata "non inferiore a 70 km/h" (rilevata, come ricorda il giudice di primo grado, secondo le formule dettagliatamente indicate alle pagine 13 e ss. della relazione a firma del consulente tecnico del P.M.). Il giudice di primo grado -ed e' elemento importante sulla cui valutazione, come si dira', dovra' tornare il giudice del rinvio - dava anche atto che le condizioni del tratto di strada lungo il quale si era verificato il sinistro sono descritte nel rilevamento tecnico effettuato dai Carabinieri (il cui contenuto e' stato integralmente confermato dal brigadiere (OMISSIS), escusso come teste all'udienza del 26 ottobre 2016), da cui si evince che: 1. si trattava di un tratto di strada "rettilineo'; 2. al momento del sinistro il tempo era "sereno"; 3. l'entita' del traffico era "scarsa"; 4. si trattava 4i una strada "asfaltata", "ad unica carreggiata a doppio senso" il cui manto appariva nel frangente "asciutto" e "senza anomalie". La stessa sentenza di primo grado, a pag. 6, offre anche un dato sul limite di velocita' vigente su quel tratto di strada evidenziando che dalla relazione a firma del consulente tecnico del P.M. emerge che la segnaletica orizzontale era costituita "dalla linea di mezzeria a tratto discontinuo e dalla linea bianca in tratto continuo che delimita la sede stradale" e che "secondo la direzione di marcia seguita dalle autovetture coinvolte, a circa 1800 in prima del luogo del sinistro" era presente "un limite di velocita' a 50 km/h, non riproposto tuttavia "dopo le numerose immissioni di strade che si inseriscono sulla (OMISSIS)". Da tale ricostruzione, pertanto, il giudice di primo grado sembrava dare atto che, dunque, nel punto in cui avvenne l'incidente il limite di velocita' di 50 kmh non vi fosse. Le conclusioni che ne vengono tratte, in tema di affermazione di responsabilita', alla fine, pero', saranno diverse. In ogni caso, il tribunale da' atto che la ricostruzione della dinamica del sinistro proposta dai tecnici appare coerente con quanto narrato dallo stesso imputato, che, oltre a dichiarare di essersi trovato all'improvviso davanti l'auto di (OMISSIS), che sembrava stesse fermandosi ed invece aveva effettuato un'inversione ad "U". E aveva anche ammesso di avere fatto uso, circa due ore prima del momento del sinistro, di bevande alcoliche (e, in particolare, di avere "fatto un aperitivo con un amico" e bevuto "forse una vodka fragola e redbull"), aggiungendo tuttavia di avere successivamente "cenato a casa" e di essersi sentito "in grado di mettersi alla guida nonostante avesse bevuto"(pagg. 6-7). La conclusione cui era pervenuto il giudice di primo grado, come si legge in sentenza, era che: "Alla stregua delle emergenze sopra richiamate puo' ritenersi che la causa dell'incidente sia da addebitare, in misura comunque decisiva, alla condotta dell'imputato, connotata: - dalla violazione del limite di velocita' prescritto (da ritenersi corrispondente a 50 km/h anche nello specifico tratto interessato pur in assenza di ulteriore segnaletica verticale che lo ribadisse, non apparendo ragionevolmente predicabile che detto limite, sicuramente stabilito circa 1.800 mt prima del luogo dell'impatto, non dovesse considerarsi valido per il tratto immediatamente successivo, contrassegnato secondo quanto evincibile dalla relazione del consulente tecnico del P.M. dalla presenza di numerose intersezioni stradali e, dunque, da una situazione tale da suggerire al conducente, semmai, una ulteriore moderazione della velocita'); - dalla pregressa assunzione di bevande alcoliche tali da determinare un tasso alcolemico nel sangue significativamente superiore a quello consentito e da presumibilmente ulteriormente pregiudicare la possibilita' di una pronta e tempestiva reazione idonea ad evitare la situazione di pericolo verificatasi per effetto della manovra posta in essere da (OMISSIS)". "Sotto quest'ultimo profilo -aggiungeva ancora il giudice di primo grado- e' indubbio che il tentativo di inversione "a U" operato dalla vittima senza preventivamente avvedersi di eventuali veicoli che sopraggiungevano abbia integrato, a sua volta, gli estremi di una condotta di guida estremamente incauta e suscettibile di determinare un pericolo per la circolazione (avendo la vettura in questione occupato trasversalmente la sede stradale in guisa da costituire un insormontabile, ostacolo per gli altri veicoli che procedevano lungo la stessa corsia di marcia). Cio' nondimeno, tratta vasi di manovra comunque astrattamente consentita, in considerazione del carattere discontinuo della linea di mezzeria che separava le due corsie di marcia dell'unica carreggiata (seppur, naturalmente, previa adozione delle necessarie ed opportune cautele prescritte dal Codice della Strada); ne' vi e' prova alcuna - al di la' delle affermazioni in tal senso rese dall'imputato in sede di esame - che la stessa sia stata eseguita in modo assolutamente repentino. Pertanto detta manovra non puo' considerarsi alla stregua di un fattore anomalo, eccezionale ed atipico idoneo ad interrompere il legame di imputazione tra l'impatto e l'azione di (OMISSIS). In particolare, tenuto conto delle condizioni del tratto stradale al momento del fatto (rettilineo e connotato da un manto asciutto ed in buone condizioni, nonche' dall'assenza di elementi suscettibili di ostacolare la visuale dell'imputato) e della pure rilevata adeguata efficienza dell'impianto frenante dell'autovettura condotta da (OMISSIS) (sul punto cfr. p. 6 della relazione a firma del consulente tecnico del PM), deve ritenersi che l'imputato medesimo avrebbe potuto, versando in condizioni psico-fisiche non alterate dal pregresso abuso di sostanze alcoliche e tali da consentirgli ordinari tempi di reazione, nonche' rispettando il limite di velocita' prescritto ed in ogni caso moderando la propria velocita' ed adeguandola alle condizioni dei luoghi, contrassegnati dalla presenza in successione di piu' intersezioni stradali - avvedersi per tempo della situazione di pericolo venutasi a creare ed arrestare la propria marcia ovvero adottare una manovra evasiva idonea ad evitare l'impatto. Del resto, sebbene lo stesso imputato abbia dichiarato di avere comunque visto l'autovettura condotta dalla vittima mentre la stessa "accostava" lungo il margine destro della carreggiata sino quasi a fermarsi (poco prima di intraprendere a suo avviso repentinamente, la manovra di inversione "a U" non risulta che egli abbia a sua volta impresso una decelerazione alla andatura del proprio veicolo (come la prudenza avrebbe consigliato, in presenza di un comportamento comunque anomalo dell'altro conducente): andatura rimasta, invece, costantemente al di sopra del limite vigente in quel tratto di strada sino al momento dell'impatto". Dunque, il giudice di primo grado pronuncia una condanna pienamente corrispondente alle norme contestate, in quanto ritiene violate quelle di cui agli articoli 140 e 142 C.d.S. e, in particolare, il limite di velocita' che, nonostante le interruzioni della strada, ritiene che sia comunque da ritenersi "ragionevole" che fosse di 50 kmh anche sul luogo dell'incidente. E conferisce un rilievo importante alla circostanza che l'odierno ricorrente guidasse in stato di ebbrezza che -va rilevato- non compare nell'imputazione di cui al capo a) (cfr. pag. 8 dove si legge che l'imputato "... ha contribuito, con la propria condotta, all'eziologia dell'evento (segnatamente, tamponando violentemente l'autovettura condotta dalla vittima): condotta a sua volta connotata da colpa per violazione delle norme sulla circolazione stradale in punto di osservanza dei limiti di velocita' e di guida in stato di ebbrezza derivante dall'uso di bevande alcoliche"). In ogni caso, il tribunale riconosce il concorso di colpa della persona offesa e che "avuto riguardo alle caratteristiche obiettive delle condotte concorrenti ed al grado di colpa ascrivibile a ciascuno dei conducenti, deve ritenersi che all'apporto causale arrecato dalla condotta posta in essere dall'imputato possa essere attribuito rilievo in misura quantificabile nel 50%" (pag. 9"). Detto di come l'affermazione di responsabilita' in primo grado si fondi sull'affermata violazione del limite di velocita' di 50 kmh non puo' non rilevarsi come, gia' in quella pronuncia faccia capolino la violazione, in ogni caso, dell'articolo 141 C.d.S.. A pag. 9 si legge, infatti, che: "Sussiste, infatti, anche la circostanza aggravante prevista dal comma 2 della norma sopra citata, avendo l'imputato medesimo violato le disposizioni recate dagli articoli 140, 141 e 142 (in punto di regolazione della velocita' di guida) e dall'articolo 186 C.d.S. (in punto di divieto di guida in Stato di ebbrezza derivante dall'uso di bevande alcoliche) cd avendo, con cio', causato il decesso di (OMISSIS))". 3. Orbene, con l'atto di appello del 3/11/2020 a firma dell'Avv. (OMISSIS) la contestazione in punto di penale responsabilita' del proprio assistito da parte del difensore si era concentrata, tra gli altri, su due aspetti: 1. l'insussistenza in quel tratto di strada, alla luce di quanto emerso in sede di relazione tecnica circa la mancanza di segnali in tal senso dopo le intersezioni con le strade, di un limite di velocita' di 50 km/h. E, per contro, la sussistenza del limite di legge, trattandosi di strada extraurbana, di 90 kmh, che dunque l'imputato non aveva violato 2. Le condizioni della strada al momento del sinistro, che era avvenuto di sera, sul rettilineo di una strada perfettamente asfaltata ed illuminata, quando tutti gli esercizi commerciali che erano presenti lungo la strada erano chiusi, per cui alcuno addebito di velocita' eccessiva poteva operarsi all'imputato che viaggiava a 70 km l'ora. 3. L'impossibilita' di tener conto dello stato di ebbrezza dell'imputato, non provato alla luce dell'utilizzabilita' dell'esame cui era stato sottoposto, richiesto dalla PG in assenza di avviso all'imputato che poteva farsi assistere da un difensore. Ebbene, il giudice di secondo grado, nel confutare le doglianze difensive, offre un'insufficiente e criptica risposta, che si concentra nelle sole pagg. 3-4 del provvedimento impugnato. Ed invero, pur confermando l'affermazione di responsabilita' di (OMISSIS), sembra mutare prospettiva rispetto al giudice di primo grado, di fatto accogliendo le tesi proposte dal difensore -o, almeno, cosi' sembra-quanto all'insussistenza sul luogo del sinistro di un limite di velocita' di 50 kmh. E, comunque, fa scomparire dalle proprie considerazioni in punto di responsabilita' per l'omicidio colposo, la riconducibilita' della stessa alla circostanza che l'odierno ricorrente guidasse in stato di ebbrezza. La Corte palermitana, invece, fonda l'affermazione di responsabilita' del ricorrente sulla violazione dell'articolo 141 C.d.S.. E lo fa, dopo aver ricordato il dictum di questa Sez. 4 n. 42097/2021 con un'affermazione tranciante ed al tempo stesso apodittica: "In conclusione, dunque, non puo' concordarsi con la difesa appellante che all'imputazione formulata oppone il rispetto del limite di velocita' su una strada extraurbana secondaria, giacche' si profila evidente che nella situazione data, se l'imputato avesse proceduto piu' lentamente, i suoi tempi di reazione sarebbero migliorati e avrebbero avuto maggiori possibilita' di evitare l'impatto o anche di ridurne l'effetto lesivo" (pag. 3 della sentenza impugnata). Dunque, il giudice del gravame del merito ritiene che l'odierno ricorrente abbia tenuto una velocita' non adeguata alle condizioni di quel tratto di strada in quel particolare momento, glissa sullo stato di ebbrezza alcolica (che ancora alle sole dichiarazioni dell'imputato) e comunque non risponde adeguatamente al motivo di appello sulla causalita' della colpa. 4. Con l'editto accusatorio, come visto in premessa, si era contestato all'imputato di avere violato il limite di velocita' esistente sulla strada in cui e' avvenuto l'incidente (e, dunque, la violazione degli articoli 140 e 142 C.d.S.). Alla conferma della condanna in appello, si perviene, invece, ritenendo che egli abbia violato la norma di cui all'articolo 141 C.d.S. per non avere tenuto, comunque, una velocita' adeguata alle condizioni di tempo e di luogo in cui guidava. Il primo aspetto che occorre indagare, pertanto, e' se tale cambio di prospettiva sia possibile, senza che sia stata da parte del pubblico ministero modificata un'imputazione che non contiene alcun riferimento alla violazione dell'articolo 141 C.d.S. e che, anche in fatto, vede contestata all'imputato una responsabilita' fondata sulla violazione del limite di velocita' e non sull'aver tenuto un comportamento di guida ed una velocita' non adeguate rispetto a quelle condizioni di tempo e di luogo. In realta', il tema e' estraneo al presente giudizio, in quanto il ricorrente non propone alcun motivo di violazione dell'articolo 521 c.p.p., per difetto di correlazione tra accusa e sentenza. Per completezza sistematica, in ogni caso, ritiene il Collegio che vada precisato che, alla luce della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte di legittimita' che e' seguita alle affermazioni della Corte E.D.U. nel caso Drassich contro Italia (Sez. 2 dell'11/12/2007 e Sez. 1 del 24/2/2018, dalla dottrina comunemente indicate come sentenze "Drassich 1" e "Drassich 2") e anche delle sezioni semplici (vedasi in proposito Sez. 4 n. 18793 del 28/03/2019, Macaluso, Rv. 275762, alla cui articolata e condivisibile motivazione si rimanda), era possibile. Cio' in quanto costituisce, ormai, ius receptum che si avra' violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, secondo quella che e' un'impostazione tutt'altro che formalistica della Corte di Strasburgo fatta propria da questa Corte di legittimita', quando si sia di fronte ad un concreto e non meramente ipotetico regresso sul piano dei diritti difensivi, attraverso un mutamento della cornice accusatoria che abbia effettivamente comportato una novazione dei termini dell'addebito tali da rendere la difesa menomata proprio sui profili di novita' che da quel mutamento sono scaturiti (vedasi in proposito Sez. Un. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264438, in motivazione). Ed e' stato costantemente affermato che non sussiste violazione del diritto al contraddittorio quando l'imputato abbia avuto modo di interloquire in ordine alla nuova qualificazione giuridica attraverso l'ordinario rimedio dell'impugnazione, non solo davanti al giudice di secondo grado, ma anche davanti al giudice di legittimita' (Sez. 6, n. 10093 del 14/02/2012, Vinci, Rv. 251961; Sez. 2, n. 32840 del 09/05/2012, Damjanovic e altri, Rv. 253267; Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012 15 19/02/2013, 3ovanovic, Rv. 254649; Sez. 3, n. 2341 del 07/11/2012 - 17/01/2013, Manara, Rv. 254135; Sez. 2, n. 45795 del 13/11/2012, Tirenna, Rv. 254357). In tale prospettiva, e' stato percio' ritenuto che la diversa qualificazione del fatto effettuata dal giudice di appello non determina alcuna compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, perche' l'imputato puo' contestarla nel merito con il ricorso per cassazione (cosi', oltre alla gia' ricordata Sez. 4 n. 18793 del 28/03/2019, Macaluso, Rv. 275762, anche Sez. 2, n. 17782 del 11/04/2014, Salsi, Rv. 259564; Sez. 5, n. 19380 del 12/02/2018, Adinolfi, Rv. 273204; Sez. 6, n. 422 del 19/11/2019, dep.2020, Petittoni, Rv. 278093, che, in motivazione, ha precisato che nel caso affrontato non poteva porsi alcun problema in punto di prevedibilita' e attuazione del contraddittorio, atteso che la diversa qualificazione giuridica, da reato tentato a consumato, era stata sollecitata dal Pubblico Ministero con i motivi di impugnazione). L'agire della Corte palermitana non e' viziato, pertanto, da un punto di vista processuale. Gia' la sentenza di primo grado, e ancor piu' quella di appello, opera legittimamente una puntualizzazione del profilo di colpa, ma non si discosta dall'alveo della contestazione. Va peraltro ricordata, quanto a tale possibilita' in relazione ai profili di colpa, la consolidata ed estensiva giurisprudenza di questa Corte di legittimita' secondo cui nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d'imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l'aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati non vale a realizzare una diversita' o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione. Difatti, il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell'imputato globalmente considerata in riferimento all'evento verificatosi, sicche' questi e' posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui e' chiamato a rispondere (cfr. Sez. 4, Ordinanza n. 38818 del 4/5/2005, De Bona, Rv. 232427 nell'ambito di un procedimento penale per il reato di omicidio colposo in cui si era addebitato al proprietario dell'immobile, in relazione al decesso dell'inquilino conseguente ad esalazioni di monossido di carbonio provenienti dallo scaldabagno, di non avere adeguato l'impianto alla normativa di sicurezza, mentre era stato condannato per avere dato l'immobile in locazione senza prima avere verificato la funzionalita' dell'impianto a gas; conf. Sez. 4, n. 2393 del 17/11/2005 dep. il 2006, Tucci ed altro, Rv. 232973 in relazione ad un infortunio sul lavoro in cui la Corte ha escluso la dedotta violazione di legge nell'ipotesi di condanna per mancato rispetto di norme cautelari, laddove la contestazione riguardava plurimi profili di negligenza e di colpa; Sez. 4, n. 31968 del 19/5/2009, Raso, Rv. 245313). Sviluppando tale orientamento si e' ulteriormente precisato, piu' recentemente, che, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (cosi' Sez. 4, n. 51516 del 21/6/2013, Miniscalco ed altro, Rv. 257902 in relazione ad una fattispecie in cui e' stata riconosciuta la responsabilita' degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori; conf. Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, Denaro ed altro, Rv. 260161in un caso in cui e' stata riconosciuta la responsabilita' degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori; Sez. 4, n. 18390 del 15/2/2018, Di Landa, Rv. 273265 in una fattispecie, in tema di omicidio colposo stradale, in cui la Corte ha escluso la dedotta violazione di legge nell'ipotesi di condanna per imperizia e mancato rispetto di norme cautelari previste dal codice della strada, diverse da quelle in contestazione). Ed e' recente l'ulteriore precisazione che, una volta contestata la condotta colposa e ritenuta dal giudice di primo grado la sussistenza di un comportamento commissivo, la qualificazione in appello della condotta medesima anche come colposamente omissiva non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza, qualora l'imputato abbia avuto la concreta possibilita' di apprestare in modo completo la sua difesa in relazione ad ogni possibile profilo dell'addebito (cosi' Sez. 4, n. 27389 del 8/3/2018, Siani, Rv. 273588 nella cui motivazione la Corte ha precisato che i profili di colpa commissiva per il reato disastro colposo individuati nella sentenza impugnata non potevano considerarsi estranei alla imputazione originaria, in quanto ricompresi nel fatto storico in essa delineato e, soprattutto, rientranti nella colpa generica contestata all'imputato. 5. Ben poteva, dunque, il giudice di appello ritenere fondata la responsabilita' di (OMISSIS) per la violazione della regola cautelare di cui all'articolo 141 C.d.S., ma, come si andra' di qui a poco ad illustrare, trattandosi di una regola cautelare c.d. elastica, aveva degli oneri di motivazione cui non ha adempiuto. L'articolo 140 C.d.S. e articolo 141 C.d.S., commi 1, 2 e 6, prevedono che, all'interno dei limiti di velocita' consentiti, gli automobilisti devono comunque comportarsi in modo da salvaguardare - in ogni modo - la sicurezza stradale e devono modulare la velocita' tenendo conto di ogni circostanza che caratterizza la circolazione in modo da assicurare l'arresto tempestivo del mezzo entro i limiti del campo di visibilita' e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile e tanto piu' in caso di visibilita' limitata, di ore notturne, in prossimita' di intersezioni quando i pedoni che sono sulla strada siano incerti o tarino a scansarsi, o siano incerti, in modo da compiere le manovre utili e necessarie a tutela della vita umana. L'articolo 141 C.d.S., commi 1 e 4, prevede, in particolare che: 1. "e' obbligo del conducente regolare la velocita' dei veicolo in modo che avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione"; 4. il conducente deve, altresi', ridurre la velocita' e, occorrendo, anche fermarsi quando riesce malagevole l'incrocio con altri veicoli, in prossimita' degli attraversamenti pedonali e, in ogni caso, quando i pedoni che si trovino sul percorso tardino a scansarsi o diano segni di incertezza e quando, al suo avvicinarsi, gli animali che si trovino sulla strada diano segni di spavento". Rispetto a tale previsione, costituisce ius receptum e va qui ribadito che, in tema di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale, neanche il rispetto del limite massimo di velocita' consentito (che pare essere il caso che ci occupa) esclude la responsabilita' del conducente qualora la causazione dell'evento sia comunque riconducibile alla violazione delle regole di condotta stabilite dall'articolo 141 C.d.S. (cosi' la recente Sez. 4, n. o' 7093 del 27/1/2021, Di Liberto, Rv. 280549 che ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilita' per omicidio colposo, ai danni di un pedone, del conducente che, pur viaggiando a velocita' moderata, aveva omesso, attese le condizioni metereologiche avverse, il centro abitato e la ridotta visibilita', di tenere una condotta di guida tale da potergli consentire di avvistare per tempo il pedone ed arrestare il mezzo). L'articolo 141 C.d.S., dunque, impone al conducente di un veicolo di regolare la velocita' in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza e prevede inoltre che il conducente deve conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizioni di sicurezza, specialmente l'arresto del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilita'. In proposito questa Corte di legittimita' ha anche chiarito che l'obbligo di moderare adeguatamente la velocita', in relazione alle caratteristiche del veicolo ed alle condizioni ambientali, va inteso nel senso che il conducente deve essere in grado di padroneggiare il veicolo in ogni situazione, tenendo altresi' conto di eventuali imprudenze altrui, purche' ragionevolmente prevedibili (Sez. 4, n. 25552 del 27/4/2017, Luciano, Rv. 270176, che ha ritenuto ragionevolmente prevedibile la presenza, di sera, in una strada cittadina poco illuminata, in un punto situato nei pressi di una fermata della metropolitana, di persone intente all'attraversamento pedonale nonostante l'insistenza "in loco" di apposito sottopassaggio; conf. Sez. 4 n. 42099 del 14/10/2021, Pinzino, non mass.). Pacifico e' anche che la ritenuta violazione del profilo di colpa specifica di cui all'articolo 141 C.d.S. non necessiti che sia individuata la specifica velocita' di marcia, essendo sufficiente che si proceda ad una velocita' non adeguata rispetto alle condizioni di tempo e di luogo in cui il mezzo si trovava a circolare. Dunque nel formulare il proprio apprezzamento sull'eccesso di velocita' relativa - vale a dire su una velocita' non adeguata e pericolosa in rapporto alle circostanze di tempo e di luogo, indipendentemente dai prescritti limiti fissi di velocita' - il giudice non e' tenuto a determinare con precisione ed in termini aritmetici il limite di velocita' ritenuto innocuo, essendo sufficiente l'indicazione degli elementi di fatto e delle logiche deduzioni in base ai quali la velocita' accertata e' ritenuta pericolosa in rapporto alla situazione obiettiva ambientale (cfr. Sez. 4, n. 8526 del 13/2/2015, De Luca Cardillo, Rv. 262449, in una fattispecie in cui l'imputato aveva mantenuto una velocita' prossima, per difetto, al limite vigente nel tratto stradale interessato dal sinistro, valutata, tuttavia, non adeguata in considerazione della scarsa visibilita' notturna, della prossimita' sia alle strisce pedonali sia all'intersezione con altra strada nonche' della presenza a bordo del motociclo da lui condotto di un passeggero privo di casco). 6. Premessi i sopra ricordati e consolidati principi giuridici di riferimento, va evidenziato, pero', che siamo di fronte ad una regola cautelare c.d. elastica, che si presta piu' di altre a possibili ed errate connotazioni fattuali ex post. In generale, l'accertamento della violazione cautelare - va ricordato- richiede la preliminare identificazione della regola che doveva essere osservata nel caso concreto. Si tratta di un'operazione talvolta agevole, ad esempio quando la regola cautelare e' "codificata" ed ha contenuto sufficientemente determinato (si parla in questo caso di regola cautelare rigida); piu' spesso, invece, la stessa presenta una notevole difficolta', sia perche' quella prescrizione va tratta dal patrimonio di conoscenze formatesi nel corpo sociale attraverso l'uso dei criteri euristici della prevedibilita' e dell'evitabilita' dell'evento pregiudizievole, sia perche' non di rado - quasi sempre - la regola codificata non esaurisce il quadro disciplinare, concorrendo con regole non codificate. Tuttavia, anche quando si tratta di regole codificate, l'eventuale natura "elastica" pone non irrilevanti problemi di definizione contenutistica (tanto da suggerire il sospetto di incostituzionalita' di quelle norme incriminatrici che rinvengono in simile regola il precetto penalmente sanzionato: Corte. Cost. sent. n. 312/1996, concernente il Decreto Legislativo 15 agosto 1991, n. 277, articolo 41, comma 1). Esemplare, al riguardo, e' proprio l'articolo 141 C.d.S., che impone di tenere una velocita' prudenziale, ma non definisce quale essa sia attraverso parametri "rigidi", valevoli in ogni caso. La norma vuole che essa sia definita in relazione alle condizioni concrete nelle quali si pone l'atto della guida. Il rischio, insomma, e' l'assioma: non hai tenuto una velocita' adeguata perche' hai causato l'incidente. L'insidia che incombe in presenza di regole elastiche, in altri termini, e' che si incorra, piu' o meno inconsapevolmente, nell'errore cognitivo evocato dal bro-cardo post hoc ergo propter hoc. Un errore dal quale le Sezioni Unite hanno messo in guardia, segnalando "il pericolo che il giudice prima definisca le prescrizioni o l'area di rischio consentito e poi ne riscontri la possibile violazione, con una innaturale sovrapposizione di ruoli che non e' sufficientemente controbilanciata dalla terzieta'". Laddove, ben diversamente il giudice e' consumatore e non produttore di leggi scientifiche e di prescrizioni cautelari, in quanto egli rinviene "la fonte precostituita alla stregua della quale gli sia poi possibile articolare il giudizio senza surrettizie valutazioni a posteriori" nella scienza e nella tecnologia (Sez. Un., n. 38343 del 24/4/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261106; si veda anche Sez. 4, n. 36400 del 23/05/2013, Testa, Rv. 257112 e Sez. 4, n. 9390 del 13/12/2016, dep. 2017, Di Pietro e altro, Rv. 269254). Questa Corte di legittimita' ha chiarito in piu' occasioni, in casi che hanno investito i piu' svariati settori della colpa, soprattutto quella professionale, che nei' reati colposi, qualora si assuma violata una regola cautelare cosiddetta "elasticati, cioe' dal contenuto comportamentale non rigidamente definito, e' necessario, ai fini dell'accertamento della condotta impeditivi esigibile da parte del garante, procedere ad una valutazione "ex ante" che tenga conto di tutte le circostanze del caso concreto (cosi' Sez. 4, n. 57361 del 29/11/2018, Petti, Rv. 274949, che ha ritenuto immune da censure la sentenza che, in relazione all'omicidio colposo di un lavoratore deceduto per essersi trovato nel raggio di azione di un escavatore, aveva riconosciuto la responsabilita' del datore di lavoro che, nonostante avesse correttamente individuato il rischio e previsto la delimitazione dell'area di scavo ai sensi del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 118, comma 3, aveva omesso di garantire la presenza di una persona che vigilasse l'area, considerato che l'operaio deceduto era incaricato di eseguire alcune misurazioni nella zona dello scavo e che l'addetto all'escavatore aveva la visuale frontale occlusa; conf. Sez. 4, n. 37606 del 6/7/2007, Rinaldi; Rv. 237050). Questo giudice di legittimita' si e' occupata piu' volte di casi che presentano, in fatto, notevoli analogie, se non similitudini, con quello che ci occupa, affermando proprio in relazione all'articolo 141 C.d.S. il principio che va qui ribadito secondo cui, qualora si assuma violata una regola cautelare cosiddetta "elastica", che cioe' necessiti, per la sua applicazione, di un legame piu' o meno esteso con le condizioni specifiche in cui l'agente deve operare - al contrario di quelle cosiddette "rigide", che fissano con assoluta precisione lo schema di comportamento - e' necessario, ai fini dell'accertamento dell'efficienza causale della condotta antidove-rosa, procedere ad un'attenta valutazione di tutte le circostanze del caso concreto (cosi' Sez. 4, n. 29206 del 20/6/2007, Di Caterina, Rv. 236905 e Sez. 4, n. 40050 del 29/03/2018, Leonarduzzi, Rv. 273871 che, in entrambi i casi, hanno annullato con rinvio la sentenza di condanna per omicidio colposo da incidente stradale, fondata sul generico riferimento alla inadeguatezza della velocita' tenuta dal conducente, senza esplicitare quale fosse la velocita' adeguata ovvero quella che, alla luce di tutte le circostanze del fatto, risultava - non "ex post" ma "ex ante" ragionevolmente in grado di evitare il sinistro). Tale valutazione manca del tutto nella scarna motivazione della Corte palermitana oggi impugnata. Il giudice del rinvio, pertanto, dovra' operare quello sforzo motivazionale che e' mancato sulle circostanze di tempo e di luogo in cui si sono svolti i fatti e, alla luce, di quelle, con una valutazione ex ante sulla variabile velocita'. Occorre -va ribadito- evitare che l'inadeguatezza di quest'ultima sia valutata ex post. Il tema e' quello di partire dall'individuazione di qual era la regola cautelare di condotta in quel momento. Occorrera' -oltre che sgombrare il campo in maniera chiara da dubbi circa la vigenza o meno in quel tratto di strada del limite di velocita' di 50 kmh affermato dal giudice di primo grado in contrasto con la pur riferita circostanza che dai rilievi sul posto emergeva che il segnale di limite non veniva reiterato dopo le intersezioni- indugiare su quegli elementi di fatto (condizioni della strada, visibilita', stato del traffico) che consentano l'individuazione ex ante, in senso oggettivo, della regola cautelare che si assume violata. Una volta individuati tali fattori di rischio - che non dovranno, come ricordato in precedenza, concretizzarsi nel dato numerico di una velocita' da tenere-sara' possibile fare una valutazione in termini di prevedibilita' dell'evento in senso oggettivo e non soggettivo, non dipendente, quindi, dalla personale visione del conducente dell'auto. Cio' in ossequio al principio che la natura elastica della regola cautelare violata, indicando un comportamento determinabile in base a circostanze contingenti, incide sulla esigibilita' della condotta doverosa omessa, richiedendo il previo riconoscimento delle stesse da parte dell'agente (Sez. 4, n. 15258 del 11/2/2020 Agnello, Rv. 279242). Va, pertanto, ribadito che, ai fini dell'accertamento della responsabilita' per fatto colposo, e' sempre necessario individuare la regola cautelare, preesistente alla condotta, che ne indica le corrette modalita' di svolgimento, non potendo il giudice omettere di indicare in concreto quale sia il comportamento doveroso che tale regola cautelare imponeva di adottare (cfr. anche questa Sez. 4, n. 31490 del 14/04/2016, Rv. 267387 che, in applicazione del principio, ha ritenuto non corretta la decisione impugnata che aveva affermato la responsabilita' per omicidio colposo di un medico per il decesso di un paziente a seguito di un intervento chirurgico, ritenendo imprudente e/o imperita la manovra chirurgica attuata senza, tuttavia, indicare le modalita' di condotta che prudenza e perizia prescrivevano di adottare). In altre parole, per stabilire se la velocita' tenuta in concreto fosse stata o meno pericolosa, la Corte di merito avrebbe dovuto considerare e valutare, cosa che non ha fatto, tutte le peculiarita' del caso concreto (caratteristiche dei veicoli e delle strade, condizioni di traffico, intensita' delle frenate, urti rilevati, danni cagionati, apporto dell'energia cinetica dell'autovettura investitrice, ecc.) per giungere, tra l'altro, a stabilire, una volta accertata la violazione della regola cautelare, l'efficienza causale della medesima. 7. Quanto al primo motivo di ricorso, afferente all'imputazione ex articolo 186 C.d.S., comma 2 e 2 bis, di cui al capo b) per la quale vi e' stata sin dal primo grado declaratoria di improcedibilita' per intervenuta prescrizione, lo stesso e' infondato in quanto i giudici hanno dato atto che andava operata una valutazione di evidenza della prova dell'innocenza dell'imputato che non sussiste. Si perviene a tale conclusione nonostante il principio affermato dalla Corte palermitana a pag. 4 della propria pronuncia sia ormai superato. Scrive la Corte d'appello, richiamando l'ormai datato orientamento di Sez. 4 n. 53282/2017, 53275/2017 e 54977/2017 che "contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa appellante, va ribadito che i risultati del prelievo ematico, effettuato a seguito di incidente stradale durante il successivo ricovero presso una struttura ospedaliera pubblica su richiesta della polizia giudiziaria, sono utilizzabili nei confronti dell'imputato per l'accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza, trattandosi di elementi di prova acquisiti attraverso la documentazione medica e restando irrilevante, ai fini dell'utilizzabilita' processuale, la mancanza del consenso". Viceversa -ed in tal senso il provvedimento impugnato va rettificato ex articolo 619 c.p.p. - costituisce, ormai, da tempo ius receptum di questa Corte di legittimita' il diverso principio secondo cui, in tema di guida in stato di ebbrezza, la polizia giudiziaria deve dare avviso al conducente della facolta' di farsi assistere da un difensore di fiducia, ai sensi dell'articolo 356 c.p.p. e articolo 114 disp. att. c.p.p., non soltanto ove richieda l'effettuazione di un prelievo ematico presso una struttura sanitaria ai fini dell'accertamento del tasso alcolemico, ma anche quando richieda che tale ulteriore accertamento venga svolto sul prelievo ematico gia' operato autonomamente da tale struttura a fini di diagnosi e cura, sicche', in definitiva, detto obbligo non sussiste solo quando la polizia giudiziaria si limiti ad acquisire la documentazione dell'analisi (Sez. 4, n. 8862 del 19/2/2020, Zanni Rv. 278676; conf. Sez. 4, n. 11722 del 19/02/2019. Ellera Rv. 275281; Sez. 4, n. 11722 del 19/02/2019, Ellera, Rv. 275281; Sez. 4, n. 40807 del 4/7/2019, Pignataro, Rv. 277621; Sez. 4, n. 16699 del 14/4/2021, Collantes, non mass.; Sez. 4 n. 5891 del 25/1/2023, Bariciu, non mass.). In definitiva, pertanto, detto obbligo non sussiste solo quando la polizia giudiziaria, senza avere operato alcuna preventiva richiesta ai sanitari, si limiti ad acquisire la documentazione delle analisi effettuate (Sez. 4, n. 8862 del 19/2/2020, Zanni, Rv. 278676). Tuttavia, nel caso che ci occupa, a carico dell'imputato ai fini della valutazione della guida in stato di ebbrezza contestatagli sub b), non vi era solo il risultato dell'alcoltest, sulla cui utilizzabilita' si controverte, ma anche, come ricordano entrambi i giudici di merito, le sue stesse ammissioni di avere fatto uso, circa due ore prima del momento del sinistro, di bevande alcoliche (e, in particolare, di avere "fatto un aperitivo con un amico" e bevuto "forse una vodka fragola e redbull"), aggiungendo tuttavia di avere successivamente "cenato a casa" e di essersi sentito "in grado di mettersi alla guida nonostante avesse bevuto". (cfr. pagg. 6-7 e pag. 4 di quella di appello). L'insussistenza del reato di cui al capo b), a fronte di una causa estintiva dello stesso, avrebbe, quindi, necessitato di un approfondimento istruttorio, in assenza di una rinuncia alla prescrizione, incompatibile con il dictum delle Sezioni Unite nella sentenza 35490/2009, Tettamanti, che, dirimendo un precedente contrasto giurisprudenziale, hanno tra l'altro affermato che la pronuncia assolutoria a norma dell'articolo 129 c.p.p., comma 2, e' consentita al giudice solo quando emergano dagli atti, in modo assolutamente non contestabile, delle circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato o la sua rilevanza penale, in modo tale che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo sia incompatibile con qualsiasi necessita' di accertamento o di approfondimento. Si e' precisato in quella pronuncia che il controllo demandato al giudice deve appartenere piu' al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu ocur, che a quello di "apprezzamento". E nel solco della richiamata sentenza Tettamanti si e' reiteratamente affermato che l'"evidenza" richiesta dal menzionato articolo 129 c.p.p., comma 2, presuppone la manifestazione di una verita' processuale talmente chiara ed obiettiva da rendere superflua ogni dimostrazione oltre la correlazione ad un accertamento immediato, concretizzandosi pertanto un quid pluris rispetto a quanto la legge richiede per l'assoluzione ampia. Ancora, e' stato ribadito che la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilita' per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attivita' ricognitiva, l'assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell'imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorieta' o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (cosi' questa Sez. 4, n. 23680 del 7/5/2013, Rizzo ed altro, Rv. 256202; conf. Sez. 6, n. 10284 del 22/1/2014, Culicchia, Rv.259445). Va ricordato che, alla condivisibile opzione ermeneutica sopra ricordata, le Sezioni Unite Tettamanti sono pervenute anche con riferimento ad un principio di economia processuale, avallato in piu' pronunce anche dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (si vedano le ordinanze 300 e 362 del 1991), laddove si e' evidenziato che l'articolo 129 del codice di rito tende ad assicurare speditezza, immediatezza ed economia del processo ed e' costituzionalmente legittimo purche' bilanciato dalla ri'nunciabilita' alla causa estintiva. L'articolo 129 c.p.p., non conferisce al giudice un potere di giudizio ulteriore rispetto a quello che gli deriva da esplicite norme processuali, ma detta una regola di condotta, che si affianca a quelle proprie della fase in cui il processo si trova e che consiste nell'obbligo dell'immediata declaratoria d'ufficio delle cause di non punibilita' che si ritengono gia' acquisite agli atti. Il bilanciamento necessario tra le esigenze di economia processuale (exitus processus) e la tutela dell'innocenza dell'imputato (favor rei) si realizza - come evidenziavano gia' le Sezioni Unite con la sentenza n. 12283 del 25.1.2005, De Rosa, rv. 230529.- nel momento in cui si impone al giudice di pronunciare il proscioglimento immediato in presenza di condizioni che vanificano la ragion d'essere dell'imputazione o la privano di contenuto, ma si consente all'imputato di rinunciare alla causa estintiva. La Corte Costituzionale ha sempre ritenuto l'articolo 129, ritenuto conforme ai principi costituzionali e bilanciato in termini di massima espressione del diritto di difesa per il perseguimento di un'assoluzione con formula piena, a fronte dell'interessa a non proseguire il giudizio, proprio in ragione della rinunciabilita' da parte dell'imputato alla causa estintiva. Maturata la prescrizione e mancando la evidente prova dell'innocenza, nei termini di cui si e' detto, l'imputato, come nel caso che ci occupa, poteva far valere il proprio diritto alla rinuncia alla causa estintiva, correndo evidentemente il rischio consapevole di una pronuncia sfavorevole all'esito del richiesto approfondimento. Ma ha legittimamente ritenuto di non farlo. A tale condivisibile principio si e' dunque adeguato il giudice della sentenza impugnata (cfr. pag. 4). La sentenza impugnata, pertanto, e' immune dal denunciato vizio di legittimita' quanto alla confermata statuizione d'improcedibilita' per prescrizione in relazione al reato sub b). P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di omicidio colposo (lettera a) e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d'Appello di Palermo, altra Sezione. Rigetta il ricorso nel resto.

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