Sentenze recenti manutenzione straordinaria

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 882 del 2022, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Ma. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (...); contro Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Um. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); nei confronti della signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Sa. Co. e Sa. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ge. So. in Roma, via (...); del signor -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione seconda bis, n. -OMISSIS-, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e della signora -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore all'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Carmelina Addesso e uditi per le parti l'avvocato Gi. Ma. Mi., l'avvocato Um. Ga. e l'avvocato Sa. Fa.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'odierno appellante chiede la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione seconda bis, n. -OMISSIS-del 14 dicembre 2021 che ha respinto il ricorso proposto per l'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato da Roma Capitale in relazione all'istanza/diffida del 2 febbraio 2021, volta a sollecitare l'esercizio da parte dell'amministrazione dei poteri di vigilanza previsti dall'art. 27 del d.P.R. n. 380/01 sulle opere eseguite nella proprietà dei signori -OMISSIS- e -OMISSIS-, confinante con la propria. 1.1 Il TAR adito respingeva il ricorso perché dalla documentazione depositata in giudizio dall'amministrazione, a seguito di richiesta istruttoria, emergeva che i poteri di vigilanza sulle opere dei confinanti erano stati effettivamente esercitati, così come sollecitato dal ricorrente. 2. Con l'appello in trattazione il signor -OMISSIS-chiede la riforma della sentenza per "Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 19 della legge n. 241/90, 27 del DPR n. 380/01 e 31 e 117 c.p.a.", deducendo che gli atti depositati in giudizio, alcuni dei quali di natura meramente istruttoria (sopralluoghi), non recavano alcuna verifica delle plurime illegittimità evidenziate nella diffida e non potevano costituire, di conseguenza, l'esito del procedimento di vigilanza. Ripropone, inoltre, ai sensi dell'art. 31, comma 3, c.p.a., le censure relative all'illegittimità dei lavori eseguiti non esaminate dal TAR. 3. Si sono costituiti in giudizio Roma Capitale e la signora -OMISSIS-che hanno insistito per la reiezione del gravame. 4. In vista dell'udienza di trattazione le pari hanno depositato memorie, insistendo nelle rispettive difese. La signora -OMISSIS-ha, inoltre, depositato in data 28 maggio 2024 l'atto notarile di trasferimento della proprietà dell'immobile per cui è causa in esecuzione degli accordi di negoziazione assistita in materia di separazione e di divorzio. 5. All'udienza del 28 maggio 2024, previa discussione orale, la causa è stata trattenuta in decisione. 6. In via preliminare, deve esse accolta l'eccezione di inammissibilità della documentazione tardivamente depositata dall'appellata in data 28 maggio 2024, formulata dal difensore dell'appellante in sede di discussione orale. 6.1 Il Collegio ne dispone, di conseguenza, lo stralcio dagli atti del giudizio. 7. Premesso quanto sopra, l'appello è infondato. 8. Con il primo motivo di appello il ricorrente deduce che il giudice di primo grado è incorso in errore nel ritenere che l'amministrazione avrebbe fornito riscontro alle plurime istanze/diffide dallo stesso presentate mediante il compimento degli atti depositati in giudizio nelle date del 3 settembre e 24 settembre 2021 e che tali atti avrebbero esaurito le verifiche richieste, volte unicamente all'esercizio dei poteri di vigilanza ex art. 27 e non a quelli di cui all'art. 19 della legge n. 241/90. 8.1 Espone che, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, con le istanze del 5/03/2018 e del 24/04/2018 ha diffidato l'amministrazione all'annullamento in autotutela della DIA presentata dai signori -OMISSIS-e che con l'istanza del 2/02/2021 ha sollecitato la risposta alle precedenti diffide, risultate sino ad allora inesitate. In ogni caso, gli atti depositati in data 3 settembre 2021 non costituiscono espressione del potere di vigilanza ex art. 27 d.p.r. 380/2001 poiché con essi Roma Capitale, lungi dal procedere ad una verifica puntuale dei plurimi profili di illegittimità evidenziati nelle diffide, si è limitata ad un'attività istruttoria interna, svolgendo alcuni sopralluoghi a cui è seguita l'irrogazione di sanzioni. Del pari inidonei a superare l'inerzia dell'amministrazione sono gli atti depositati in data 24 settembre 2021, mai comunicati all'interessato, atteso che: i) la nota prot. CF/113759 del 23.5.2019 redatta dal Responsabile dell'Ufficio Ispettorato Edilizio del Municipio V e diretta al Reparto Edilizia della Polizia Locale di Roma Capitale reca un mero "parere" di mancato contrasto con la normativa urbanistico-edilizia, senza chiarire il percorso logico-giuridico seguito per confutare tutte le argomentazioni esposte dal ricorrente; ii) la nota prot. n. 29329 del 25.2.2021, con cui il Municipio prende posizione sulla denuncia-querela proposta dall'odierno ricorrente, si limita ad affermare che i titoli edilizi presentati dai signori -OMISSIS-(la DIA del 2017 e la successiva variante del 2018) "sono stati oggetto di verifica da parte di questo ufficio e dichiarati conformi alla normativa urbanistico/edilizio vigente, con nota prot. CF 113750 del 23/05/2019"; iii) la nota prot. 30916 del 14 febbraio 2018 aveva inibito l'attività degli appellati per carenze documentali in attesa dell'integrazione che non è mai stata effettuata; iv) la nota prot. CF/113329 del 5.6.2018 è semplicemente il seguito della precedente e si limita a disporre la sospensione dei lavori in attesa del nulla osta della soprintendenza e della ASL, ma non affronta i plurimi vizi evidenziati dall'odierno appellante. Non v'è, dunque, alcun documento, tra quelli depositati in data 24 settembre 2021, che possa costituire - alla luce del contenuto concreto - il provvedimento conclusivo del procedimento avviato con l'istanza/diffida datata 02/02/2021 di esercizio dei poteri previsti dagli artt. 19 l. 241/90 e 27 d.p.r. 380/01. 9. Le censure sono infondate. 10. Si osserva, preliminarmente, che con le istanze/diffide del 5 marzo e del 19 aprile 2018, a cui fa rinvio la diffida da ultimo presentata in data 2 febbraio 2021, l'appellante, dopo aver richiamato l'art. 27, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001, ha sollecitato l'amministrazione all'annullamento in autotutela della DIA, oltre che della CILA, per falsa rappresentazione dei presupposti nonché per i plurimi profili di illegittimità ivi evidenziati, sostanzialmente coincidenti con quelli oggetto del secondo motivo di appello. 10.1 Dal tenore letterale delle istanze sopra richiamate non emerge con chiarezza il tipo di potere che l'amministrazione è sollecitata ad attivare, se di repressione dell'abuso per opere realizzate sine titulo o di annullamento in autotutela dei titoli edilizi rilasciati (con riguardo alla DIA, esercizio dei poteri di cui all'art. 19 comma 4 l. 241/1990). 10.2 Trova conferma, nel caso di specie, la non agevole distinzione tra controllo del territorio e controllo sulla legittimità dei titoli, già messa in luce da questa Sezione, la quale ha rilevato come essa "chiara a livello teorico, finisce per debordare in molteplici ambiti chiaroscurali di non agevole collocazione dogmatica" (Cons. Stato, sez. II, n. 9415 del 2.11.2023). Si tratta, in ogni caso, di una distinzione che "il Comune è chiamato a fare, così da distinguere i profili di illegittimità, rilevabili ex post nei limiti dell'autotutela, da quelli di illiceità, stigmatizzabili in qualunque momento (...)" (sent. cit.). 11. Dalla documentazione versata in atti emerge che, contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante, l'amministrazione si è attivata in riscontro alle diffide presentate mediante verifiche sia sulle opere in corso di realizzazione, svolgendo sopralluoghi in cantiere culminati con l'adozione di provvedimenti sanzionatori e di sospensione dei lavori, sia sui titoli edilizi presentati di cui è stato escluso il contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia. 11.1 Sul punto, giova ripercorrere brevemente le circostanze di fatto, così come emergenti dagli atti di giudizio: -a seguito dell'avvio dei lavori da parte dei controinteressati in assenza della prescritta cartellonistica, con un primo esposto del 21/12/2017 il ricorrente sollecitava l'U.O. V Gruppo Prenestino a verificare la legittimità dei lavori edilizi. In data 04/01/2018, il personale di Polizia Municipale effettuava, quindi, un primo sopralluogo nell'unità immobiliare, accertando che erano in corso d'opera lavori di manutenzione straordinaria in forza della Cila prot. 230583/17 presentata presso la Direzione Tecnica del V Municipio; -a seguito di accesso agli atti, l'interessato presentava due ulteriori esposti in data 5 marzo e 19 aprile 2018 con cui, evidenziando plurimi profili di illegittimità dei titoli e delle opere (violazione della l.r. 21/2009 per l'acceso ai benefici del Piano Casa, mancanza del consenso dell'istante all'aggravamento della servitù di passaggio e di quello dei condomini per le opere che incidono sul decoro architettonico del fabbricato, falsa/omessa dichiarazione del progettista in ordine ai vincoli paesaggistici regionali e alla conformità degli interventi alla normativa sanitaria, violazione del d.lgs 42/2004 e della normativa sanitaria per gli interventi in corso di esecuzione sulla base della CILA) diffidava l'amministrazione a disporre: i) l'immediata sospensione delle opere in corso nella proprietà ; ii) l'annullamento della DIA del 5 marzo 2017 e della CILA del 13 dicembre 2017, ritenute illegittime sotto i plurimi profili indicati; iii) la segnalazione della violazione di legge alle competenti autorità ministeriali e regionali preste alla tutela dei vincoli; - l'amministrazione disponeva ulteriori sopralluoghi all'esito dei quali adottava: i) la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento in autotutela della CILA con contestuale richiesta di integrazione documentale e dichiarazione di inefficacia, nelle more, della CILA medesima nonché il provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria (doc. 12 e 13 deposito appellante); ii) il provvedimento di sospensione di tutte le opere sino all'ottenimento del nulla osta della Soprintendenza e della Asl competente (doc. 17); - ottenuto parere favorevole della Soprintendenza Archeologica dei Beni Culturali, i controinteressati presentavano, in data 24 luglio 2018, una variante alla DIA del 4 maggio 2017, corredata degli elaborati grafici e progettuali, del parere favorevole della Soprintendenza, del pagamento degli oneri concessori e della relazione tecnica asseverata, in cui veniva specificato che "la volumetria e le superfici, risultanti dagli elaborati e dalle tabelle allegate, rimanevano immutati rispetto a quelli presentati unitamente alla pregressa Dia prot. n. 74692 del 4.5.2017" e che "venivano ampliate due finestre dell'edificio esistente (...) modo da soddisfare la richiesta di nulla osta sanitario rispettando il rapporto aero-illuminante come da normativa di settore e regolamentare vigente". In data 17 gennaio 2019 il Dipartimento di programmazione ed attuazione urbanistica - Ufficio autorizzazioni paesaggistiche - rilasciava nulla osta all'esecuzione delle opere (doc. n. ri 15, 16 e 17 fascicolo primo grado controinteressato); - a seguito di un nuovo esposto del ricorrente del 9 maggio 2019, veniva eseguito un nuovo sopralluogo a cui seguiva il provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria per la mancata esposizione del cartello, mentre la legittimità dei titoli edilizi veniva confermata dall'amministrazione con nota prot. n. CF/113759 del 23/5/2019 (doc. 24 e 25 deposito appellante); - infine, con nuova diffida del 2 febbraio 2021 l'interessato richiamava i plurimi profili di illegittimità già indicati nelle precedenti diffide, sollecitando nuovamente l'amministrazione all'adozione dei conseguenti provvedimenti di legge. Ad essa faceva seguito la nota del 25 febbraio 2021, diretta alla Legione Carabinieri Lazio, con cui l'amministrazione confermava che la DIA del 2017 e la successiva variante del 2018, agli atti dell'ufficio, erano stati oggetto di verifica e dichiarati conformi alla normativa urbanistico/edilizia con nota del 25 marzo 2019. 12. La documentazione sopra richiamata conferma come dagli esposti presentati dal ricorrente è scaturita un'attività di verifica la quale, lungi dal risolversi in meri atti istruttori e interlocutori, è sfociata in provvedimenti di irrogazione delle sanzioni per le illegittimità riscontrate in sede di sopralluogo, nell'avvio del procedimento di annullamento in autotutela della CILA e nel provvedimento si sospensione della DIA, questi ultimi poi superati dalla presentazione della DIA in variante. 12.1 Le disposte verifiche hanno condotto, inoltre, alla conferma della legittimità dei titoli edilizi con provvedimento del 25 marzo 2019, richiamato dal successivo provvedimento del 25 febbraio 2021: il primo atto, lungi dal risolversi in un mero "parere", come ritenuto dal ricorrente, costituisce, invece, il provvedimento conclusivo dell'attività di verifica dei titoli edilizi, mentre il secondo è meramente confermativo del primo. Come osservato dalla Corte costituzionale (sent. 153/2020), "il fatto che l'amministrazione, su sollecitazione dei controinteressati, abbia positivamente riscontrato la legittimità delle opere si traduce in un diniego che, secondo le regole generali, non poteva che essere impugnato con l'ordinaria azione di annullamento" (punto 6.1). 13. Non convince l'assunto difensivo secondo cui gli atti sopra indicati non sarebbero idonei a superare l'inerzia dell'amministrazione, atteso che nessuno di essi fornisce puntuale riscontro alle molteplici illegittimità analiticamente illustrate negli esposti: siffatti profili afferiscono, infatti, al contenuto dei provvedimenti, investendo le modalità concrete del potere di controllo e verifica che, in ogni caso, è stato effettivamente esercitato. 14. Per le medesime ragioni, l'omessa comunicazione degli atti in questione all'istante, certamente rilevante ai fini della decorrenza del termine di impugnazione, non fa venir meno, sul piano naturalistico prima ancora che giuridico, l'attività di verifica svolta in concreto e sfociata nei provvedimenti sopra richiamati. 15. Non appare pertinente, al riguardo, il richiamo dell'appellante (memoria di replica del 7 maggio 2024) al precedente di questa Sezione n. 3597 del 22 aprile 2024 che riguarda la diversa questione della configurabilità o meno dell'interesse ad agire di alcuni condomini avverso il silenzio serbato dall'amministrazione sull'istanza/diffida presentata in relazione ad opere che incidono sulla cosa di proprietà comune, laddove, nel caso di specie, il TAR ha, comunque, riconosciuto l'interesse ad agire del ricorrente, respingendo la relativa eccezione formulata dalla controinteressata e dal comune (cfr. pag. 5 e pag. 6 della sentenza impugnata). 16. Meritano, quindi, condivisione le conclusioni a cui è pervenuto il giudice di primo grado, il quale ha osservato che il contenuto dell'istanza del 2 febbraio 2021, gli accertamenti svolti dall'ente ai fini della verifica di legittimità dei titoli edilizi e i relativi esiti, dimostrano che l'amministrazione non è rimasta inerte, ma ha esercitato i propri poteri di vigilanza, ritenendo che le opere edilizie, afferenti l'immobile dei controinteressati, siano in realtà pienamente conformi e rispondenti ai titoli in discussione. 17. Per le ragioni sopra indicate il primo motivo di appello deve essere respinto con conseguente inammissibilità del secondo motivo con cui il ricorrente ripropone le censure afferenti alla natura abusiva delle opere contestate, già formulate in primo grado ai sensi 31, co. 3, c.p.a e non esaminate dal TAR. 18. La soccombenza dell'appellante ne giustifica la condanna, a favore di Roma Capitale, al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in dispositivo. Sussistono, invece, giustificati motivi per disporre la compensazione con l'appellata costituita, signora -OMISSIS-. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante al pagamento a favore di Roma Capitale delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre a spese generali e accessori di legge. Spese compensate con l'appellata. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Antonella Manzione - Presidente FF Cecilia Altavista - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere, Estensore Stefano Filippini - Consigliere Valerio Valenti - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 864 del 2022, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, sezione VI, n. -OMISSIS-, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024, il Cons. Carmelina Addesso e udito per l'appellante l'avv. Gi. Re.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'odierno appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe indicata che ha respinto il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza di demolizione n. 3/2017 avente ad oggetto un locale ad uso cucina delle dimensioni di m. 2,00 x 1,20 e altezza media di m. 2,40. 1.1 Il TAR adito respingeva il ricorso osservando che non poteva sostenersi, in carenza di prova sul punto, che l'opera contestata esistesse già dal 1979, come affermato dal ricorrente. Precisava, inoltre, che le due autorizzazioni edilizie (del 1994 e del 1998), richiamate dal ricorrente a sostegno della legittimità dell'opera, riguardano interventi di mera manutenzione straordinaria, non certo idonei ad assentire la realizzazione di nuovi volumi, e che dalle planimetrie allegate ai predetti titoli si desume solo che il piccolo vano sul terrazzino in questione ha subito nel tempo varie trasformazioni, ma non risulta che sia mai stato rilasciato un titolo edilizio atto a legittimarne l'esistenza. 2. L'appellante chiede la riforma della sentenza sulla base di un unico motivo di appello con cui deduce "Error in iudicando: erroneità della sentenza per illogicità della motivazione. Violazione di legge e falsa applicazione degli artt. 27 e ss. del d.P.R. n. 380/2001- erronea valutazione e travisamento degli atti e dei fatti - difetto di motivazione e di istruttoria - violazione ed erronea applicazione dell'art. 64 c.p.a.". 3. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) che, con successiva memoria, ha riproposto, in via preliminare, l'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, su cui il TAR non si è pronunciato, per la mancata impugnazione dell'ordinanza anche nella parte in cui ha sanzionato l'intervento ai sensi dell'art. 167 d.lgs. n. 42/2004, tenuto conto della natura plurimotivata della stessa. Nel merito, ha insistito per la reiezione del gravame. 4. Con memoria di replica del 7 maggio 2024 l'appellante ha eccepito, a sua volta, l'inammissibilità dell'eccezione formulata dal comune in quanto proposta oltre il termine di decadenza di cui all'art. 101, comma 2, c.p.a; ha eccepito, inoltre, l'infondatezza delle avverse difese con riguardo all'applicabilità della sanzione pecuniaria di cui all'art. 31, comma 4-bis, d.P.R. n. 380/2001; ha insistito, infine, per l'accoglimento dell'appello, eventualmente previa verificazione volta ad accertare l'epoca di realizzazione dell'abuso o, in subordine, l'applicabilità al manufatto per cui è causa del regime delle c.d. "tolleranze costruttive" di cui all'art. 34-bis del d.P.R. n. 380/2001. 5. All'udienza del 28 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 6. L'appello è infondato, circostanza che consente di prescindere, in applicazione del principio della c.d. ragione più liquida, dall'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado riproposta in sede di appello dal Comune. 7. Con un unico e articolato motivo di appello il ricorrente deduce che la sentenza impugnata avrebbe dovuto assegnare la prevalenza alla prova certa costituita dalla piantina catastale del 1979, da cui già risultava il piccolo vano oggetto di contestazione, rispetto alle risultanze di Google street view, dalle quali il tecnico comunale ha tratto la presunzione di realizzazione dello stesso nell'anno 2011. 7.1 Ad avviso dell'appellante, la prova della realizzazione del volume contestato intorno agli anni ' 30 emergerebbe, oltre che dal dato catastale, anche dagli elaborati grafici allegati alle istanze di autorizzazione edilizia n. 66/1994 e n. 150/1998 che parimenti riportano il piccolo locale a uso WC poi trasformato in cucina. A fronte del principio di prova fornito, gravava sull'amministrazione l'onere di provare la realizzazione dell'abuso in epoca diversa e più recente. Sotto tale profilo, il giudice avrebbe omesso la benché minima motivazione sul punto. 7.2 La sentenza sarebbe viziata anche nella parte in cui ha respinto il motivo di ricorso relativo al mancato riscontro, nel provvedimento impugnato, delle osservazioni prodotte successivamente alla comunicazione di avvio del procedimento. Il TAR non avrebbe compreso la censura che non riguardava l'omessa comunicazione di avvio del procedimento, bensì la mancata considerazione delle osservazioni da parte dell'amministrazione che ha omesso una pur minima istruttoria in relazione al contenuto delle stesse. Di qui l'erroneità della sentenza anche nella parte in cui esclude l'obbligo di specifica motivazione dell'ordinanza impugnata che, invece, avrebbe dovuto recare un corredo motivazionale idoneo a confutare gli elementi di prova forniti dalla parte privata in ordine alla risalenza del manufatto. 7.3 Il TAR sarebbe, infine, incorso in errore anche per non aver preso in considerazione alcuna le deduzioni illustrate nella memoria di replica relative all'applicabilità al caso di specie dell'art. 34 bis del d.P.R. 380/2001 atteso che, essendo l'ampliamento contestato di soli mq. 2,4 a fronte di una superficie totale dell'appartamento di circa mq.100, esso rientra nel limite di tollerabilità previsto dalla citata disposizione. 8. Le censure sono infondate. 9. Per giurisprudenza costante, va posto in capo al proprietario (o al responsabile dell'abuso) assoggettato a ingiunzione di demolizione l'onere di provare il carattere risalente del manufatto, collocandone la realizzazione in epoca anteriore alla c.d. "legge ponte" n. 765 del 1967 che ha esteso l'obbligo di previa licenza edilizia alle costruzioni realizzate al di fuori del perimetro del centro urbano. Tale indirizzo giurisprudenziale si è consolidato non solo per l'ipotesi in cui si chiede di fruire del beneficio del condono edilizio, ma anche - in generale - per potere escludere la necessità del previo rilascio del titolo abilitativo, ove si faccia questione, appunto, di opera risalente ad epoca anteriore all'introduzione del regime amministrativo autorizzatorio dello ius aedificandi (Cons. Stato, sez. VI, 8 novembre 2023 n. 9612; id., 6 febbraio 2019 n. 903 e 19 settembre 2023, n. 8428). 9.1 Quanto alle modalità concrete attraverso cui l'onere in questione può essere assolto, si è precisato che la prova deve essere rigorosa e fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 2 gennaio 2020 n. 12; id., 12 aprile 2023, n. 3676; sez. VII, 30 marzo 2023, n. 3304 e 18 aprile 2023, n. 3900). 10. L'appellante sostiene di aver assolto all'onere probatorio sopra indicato mediante la produzione in giudizio di una planimetria catastale risalente al 1979 e degli elaborati grafici allegati alle autorizzazioni edilizie del 1994 e del 1998: tali documenti proverebbero, sempre secondo l'appellante, la realizzazione del locale negli anni Trenta e comunque in epoca antecedente al 1967, superando le contrarie evidenze dell'istruttoria comunale da cui risulta, invece, che la realizzazione si colloca tra aprile 2008 e gennaio 2011. 10.1 In disparte il rilievo che gli atti menzionati possono, al più, provare la presenza del manufatto alla data della loro redazione (rispettivamente nel 1979, nel 1994 e nel 1998), ma non certo collocarne l'epoca di realizzazione a più di cinquant'anni prima, è dirimente osservare che il volume in essi riportato non solo non risulta assentito da alcun titolo edilizio (mancando, peraltro, anche della prescritta autorizzazione paesaggistica), ma nemmeno coincide con quello oggetto dell'ordinanza di demolizione. 10.2 Sia la planimetria che gli elaborati grafici riportano infatti, come precisato dall'appellante, un piccolo volume a uso WC collocato sul terrazzino con tettoia. 10.3 Tale stato di fatto trova riscontro nelle relazioni tecniche allegate alle pratiche edilizie del 1994 e del 1998, atteso che: i) la relazione tecnica allegata all'autorizzazione n. 66/1994 (avente ad oggetto "demolizione e ricostruzione di solaietto di copertura; diversa distribuzione interna con rifacimento di bagno e cucina, revisione infissi esterni, pitturazione facciate") precisa che l'appartamento è composto, oltre che da ingresso, due camere e una piccola cucina, anche da "un piccolissimo WC su di un balconcino, quest'ultimo balconcino coperto da una tettoia ed un terrazzo" (cfr. doc. 3 allegato alla memoria di costituzione di primo grado del comune); ii) la relazione tecnica allegata all'autorizzazione n. 150/1998, afferente all'apertura di un vano finestra, evidenzia, a propria volta, che l'appartamento comprende, oltre a soggiorno- pranzo, cucina, corridoio, due stanze da letto e ripostiglio, anche bagno e terrazzo (doc. 5 allegato al ricorso di primo grado). 10.4 Per contro, l'ordinanza di demolizione contesta la realizzazione, in assenza di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica, di un locale ad uso cucina "in luogo del preesistente terrazzino con soprastante tettoia". Di tale contestato ampliamento, conseguente alla trasformazione del terrazzino in locale cucina, non vi è alcuna traccia nella documentazione versata in atti, peraltro coincidente con quella trasmessa dal ricorrente a seguito di comunicazione di avvio del procedimento (doc. 3 allegato al ricorso di primo grado) e puntualmente richiamata nella relazione istruttoria del tecnico comunale incaricato (pag. 1, terzo capoverso, della relazione prot. 22105 del 5 giugno 2016, allegata alla memoria di costituzione del comune del 1 giugno 2017). 10.5 Gli elementi forniti dal ricorrente non sono, pertanto, idonei a superare le evidenze documentali e fotografiche prodotte dall'amministrazione che collocano, invece, l'epoca di realizzazione dell'abuso in data ampiamente successiva al 1967, ossia tra il 2008 e il 2011. 11. Di qui l'infondatezza delle censure afferenti al mancato assolvimento da parte dell'amministrazione dell'onere della prova di realizzazione dell'abuso, alla carente istruttoria e alla mancata considerazione delle osservazioni procedimentali (che si risolvono nella mera trasmissione delle autorizzazioni edilizie e della comunicazione di fine lavori già agli atti dell'amministrazione). 12. Quanto alla mancata applicazione dell'art. 34-bis del d.P.R. 380/2001, in disparte l'inammissibilità del motivo in quanto formulato solo in memoria di replica, è sufficiente osservare che le tolleranze costruttive attengono alle sole divergenze occorse in fase esecutiva per minime imperfezioni, di regola impercettibili, emergenti dalle lavorazioni di cantiere e non riguardano opere realizzate in assenza di titolo edilizio e paesaggistico (Cons. Stato, sez. II, 15/03/2024 n. 2510; id. 3/11/2023, n. 9520; sez. VI, 8/08/2023, n. 7685), come nel caso di specie. 13. Occorre, in ultimo, rilevare l'inammissibilità della censura, articolata dall'appellante in memoria di replica del 7 maggio 2024, afferente al capo della sentenza con cui il TAR ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso relativo all'applicazione della sanzione pecuniaria di cui all'art. 31, comma 4-bis del d.P.R. n. 380/2001 per la natura ipotetica ed eventuale della lesione. 14. La doglianza, infatti, non solo non reca alcuna critica specifica a quanto osservato dal giudice di primo grado, ma è stata formulata unicamente in memoria di replica e non con ricorso in appello, con conseguente inammissibilità della stessa. 15. In conclusione, l'appello deve essere respinto, circostanza che determina la reiezione anche dell'istanza di verificazione formulata dall'appellante. 16. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante al pagamento a favore del Comune appellato delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre a spese generali e accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Antonella Manzione - Presidente FF Cecilia Altavista - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere, Estensore Stefano Filippini - Consigliere Valerio Valenti - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di RIETI SEZIONE CIVILE Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. GIANLUCA MORABITO, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di appello iscritta al n. r.g. 1221/2023 promossa da: (...), con il patrocinio dell'avv. Fa.Fe., elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, come da delega rilasciata nel giudizio di prime cure APPELLANTE contro (...), con il patrocinio dell'avv. Ma.Fa., elettivamente domiciliato presso il suo studio in Fara Sabina (RI), (...), come da mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta in appello APPELLATO CONCLUSIONI I difensori delle parti concludevano come da note scritte ex art. 127ter c.p.c. depositate rispettivamente in data 02.05.2024 (parte appellante) e 16.04.2024 (parte appellata) e la causa veniva trattenuta in decisione con ordinanza del 30.05.2024, avendo le difese rinunciato ai termini per il deposito delle note conclusionali. FATTO E DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato (...) proponeva appello contro la sentenza del Giudice di Pace di Poggio Mirteto n. 2/2023 del 03.02.2023, con cui era stata respinta l'opposizione dallo stesso proposta avverso il decreto ingiuntivo n. 157/21 reso dallo stesso Giudice di Pace e per effetto del quale gli era stato ingiunto di pagare al (...) la somma di Euro 1.681,68, oltre interessi e spese della procedura monitoria, a titolo di oneri condominiali risultanti dal relativo bilancio approvato dall'assemblea condominiale in data 13.02.2021. Con un primo motivo l'appellante lamentava la "nullità/annullabilità del decreto ingiuntivo sia in via di eccezione che in via di azione" deducendo, tra l'altro: che il decreto ingiuntivo era nullo per mancanza delle condizioni di ammissibilità di cui agli artt. 633 ss. c.p.c.; che il Giudice di Pace nulla aveva rilevato nella sentenza impugnata in merito alle eccezioni sollevate dall'opponente, limitandosi a sostenere che la spesa per "Appalto lavori corpo fabbricato A" era stata approvata, come da bilancio, dall'assemblea condominiale in data 13.02.2021; che si trattava, tuttavia, di approvazione di spesa per "Appalto lavori corpo fabbricato A" deliberato nel corso dell'assemblea straordinaria tenutasi in seconda convocazione; che la ragione della nullità della richiamata delibera era da rinvenirsi nel fatto che l'attore, come già argomentato nell'atto di citazione in via riconvenzionale al punto 1, non aveva mai ricevuto alcun atto di convocazione all'assemblea del 13/02/2021 e nemmeno alcuna delibera assembleare, ovvero il computo metrico di ben 22 pagine; che, quindi, l'oggetto della delibera assembleare del (...) del 13/02/2021 non risultava in alcun modo né determinato, né determinabile; che parte convenuta, nell'atto monitorio, non aveva allegato le ricevute di convocazione assembleare per il 12/02/2021 in prima convocazione e del 13/02/2021 in seconda e nemmeno le ricevute di spedizione della delibera assembleare contenente il computo metrico; che, difatti, dalla delibera stessa allegata al ricorso monitorio non era rinvenibile alcun oggetto e, ai sensi del combinato disposto degli l'art. 1418 e 1346 cod. civ., la stessa era affetta da nullità c.d. strutturale; che, altresì, nessuna notifica dell'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale, nessun verbale di assemblea e nessun atto di messa in mora gli erano pervenuti, così risultando carenti le condizioni di ammissibilità di cui agli artt. 633 ss. c.p.c.; che il Giudice di Pace non aveva motivato circa la mancata convocazione dell'appellante all'assemblea straordinaria del 13/02/2021 per "Appalto lavori corpo fabbricato A" in quanto la convocazione era stata inviata con raccomandata AR postale del 02/02/2021 n. 15447154568-7 (doc. 10) presso la vecchia residenza dello (...) in Frasso Sabino (RI) (...) Ind, - allegata nella comparsa di costituzione e risposta della convenuta del 10/03/2022 all'all. 4, pagg. 27 e 28 - non ritirato per compiuta giacenza poiché trasferitosi in (...) in Fara in Sabina in data precedente del 01/12/2020, come risultante da certificato storico del 02/12/2021 del Comune di Fara in Sabina (doc. 11); di non essere altresì venuto a conoscenza nemmeno del verbale di assemblea inviato dal (...) con plico spedito il 17/04/2021, raccomandata AR n. 15447154664-3 presso la medesima residenza in Frasso Sabino (...), - allegato 5 alla comparsa di costituzione e risposta della convenuta del 10/03/2022, pagg. 11 e 12 - non ritirato per compiuta giacenza (doc. 12), plico con raccomandata AR 15447154675-6 presso (...) a Fara in Sabina (RI) (doc. 13) - allegato 6 alla comparsa di costituzione e risposta della convenuta del 10/03/2022, pagg. 11 e 12 - anch'esso non ritirato per compiuta giacenza poiché notificato in residenza diversa dalla propria di (...) in Fara in Sabina (RI); che il Condominio aveva prodotto la ricevuta di ritorno della raccomandata n. 20138171029-5 del 19/05/2021 (pag. 13 comparsa costituzione e risposta del 10/03/2022) diretta al Sig. (...) alla precedente residenza di Frasso Sabino (RI) alla (...) (doc. 14) dichiarando che la stessa conteneva un sollecito di pagamento, senza però allegarlo, non ritirato anch'esso per compiuta giacenza poiché notificato in residenza diversa dalla propria di (...), in Fara in Sabina (RI); che nell'ipotesi di produzione della delibera nell'ambito della richiesta di un decreto ingiuntivo a carico del condomino, tale produzione o la notifica del decreto ingiuntivo non equivaleva a conoscenza della delibera stessa; che il termine per il condomino per l'impugnazione decorreva quindi dalla comunicazione della delibera all'indirizzo del condomino (cfr. Cass. 16081/2016); in merito alle eccezioni del (...) convenuto in prime cure sulla contestata mancata comunicazione del cambio della propria residenza, che la legge prevedeva l'obbligo per l'amministratore di eseguire delle indagini per reperire la nuova residenza del condomino, addebitando su quest'ultimo le relative spese; che "In subordine al mancato riconoscimento della sopra descritta nullità, in via di azione, (cfr. Cass. S.U. 9839 del 14/04/2021)..." l'appellante riproponeva "...l'annullamento del decreto ingiuntivo per lo stesso oggetto e motivazioni sopra esposte ai sensi dell'art. 1137, II comma da intendersi di seguito riportate e trascritte (cfr. Cass. S.U. 9839 del 14/04/2021 Con un secondo motivo il sig. (...) prospettava la "...annullabilità della delibera per approvazione dei lavori di manutenzione straordinaria in via di azione ai sensi dell'art. 1137 comma 2, per mancata costituzione dell'assemblea di tutti gli aventi diritto e senza l'approvazione della relativa maggioranza ex art. 1136 comma 2 e 4" evidenziando, tra l'altro, che considerato che ai sensi dell'art. 1137 comma 2 cod. civ. esso appellante non aveva ricevuto alcuna comunicazione per la partecipazione all'assemblea straordinaria del 12/13.02.2021 per l'approvazione di lavori straordinari al corpo del fabbricato "A" del (...) appellato e, quindi, non aveva potuto parteciparvi e considerato, inoltre, che non gli era stata data alcuna comunicazione delle deliberazioni assunte nella suddetta assemblea, si doveva ritenere che i termini di 30 giorni per adire l'autorità giudiziaria per chiedere l'annullamento della delibera condominiale in via di azione (cfr. Cass. S.U. 9839 del 14/04/2021) non fossero ancora decorsi e, comunque, non fossero decorsi dalla data della notifica del decreto ingiuntivo opposto, che, pertanto, il vizio denunciato determinava l'annullabilità della delibera assembleare per mancanza sia del quorum costitutivo pari alla totalità degli aventi diritto pari a 1.000,000 in luogo di 785,334, sia di quello deliberativo pari a 500,000 in luogo di 392,667 della maggioranza assoluta dell'assemblea condominiale; che la delibera in questione non era valida e quindi andava annullata poiché il quorum deliberativo era stato di 444,575, come tale inferiore ai 500 millesimi previsti per l'approvazione delle delibere per lavori straordinari anche per l'approvazione dei lavori per una sola parte del (...) Con un terzo motivo l'appellante lamentava, infine, la "annullabilità della delibera assembleare in via di azione per violazione ai sensi dell'art. 1137 comma 2 per violazione dell'art. 1136 VI comma cod. civ. e dell'art. 66 disp. att. cod civ." deducendo, tra l'altro: che la busta contenente la convocazione per l'assemblea del 12-13/02/2021 corredata dal computo metrico afferente i lavori straordinari del corpo di fabbrica "A" risultava essere stata spedita in data 02/02/2021 a mezzo raccomandata postale AR n. 15447154568-7 presso la vecchia residenza dello (...) in Frasso Sabino, (...) e non ritirata dopo la compiuta giacenza; che il Condominio aveva affermato che quella era la sua residenza conosciuta dall'amministratore e che, pertanto, la notifica era regolare; che, tuttavia, la notifica non si era perfezionata, essendo stata inviata nella vecchia residenza a Frasso Sabino in (...) (doc. 10); di non averne avuto conoscenza, non essendo più residente in quel luogo e non avendovi conservato la propria residenza effettiva ed abituale, ovvero alcuna dimora, come risultava anche dal certificato di residenza storico del 02/12/2021 della Città di Fara in Sabina allegato al doc. 3 dell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo e dalla circostanza che l'agente notificatore non aveva provveduto a ricercare la residenza effettiva ed abituale, ovvero la dimora del destinatario della notificazione; che conseguentemente la notificazione era tamquam non esset, ovvero inesistente con accoglimento della richiesta di annullamento della delibera del 13/02/2021 del (...) convenuto; che anche a voler ritenere detta notifica regolare, doveva comunque "dichiararsi" l'annullamento ai sensi dell'articolo 1137 comma 2 del codice civile su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati ai sensi dell'art. 66 disp. att. cod. civ., come rinnovato nel 2012, secondo cui l'avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell'ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione; che, difatti, come evincibile dalla documentazione postale allegata (doc. 18), la raccomandata postale dell'avviso di convocazione per le adunanze dell'assemblee del 1213/02/2021 risultava giunta all'ufficio postale di Frasso Sabino disponibile al ritiro il 09/02/2021, ovvero solo tre giorni prima non liberi dalla convocazione della prima adunanza per il giorno 12/02/2021 ore 06.00 (doc. 4 allegato memoria cost. del Condominio). Il sig. (...) rassegnava, all'esito, le seguenti conclusioni: "Voglia il Tribunale di Rieti adito, in funzione di giudice di Appello, per i motivi esposti, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, in riforma della sentenza n. 5 del 03/02/2023 del Giudice di Pace di Poggio Mirteto (doc. A) depositata in cancelleria il 27/02/2023, di cui al R.G.N. 21/2023, non notificata all'appellante: accertare e dichiarare che il decreto ingiuntivo n. 157/2021 - RG N 242/2021 emesso dal Giudice di Pace di Poggio Mirteto, notificato all'opponente il 18/11/2021, è affetto da nullità e/o annullabilità e per l'effetto revocarlo. Si chiede l'acquisizione del fascicolo d'ufficio contenente quello di parte presso la cancelleria del Giudice di Pace di Poggio Mirteto. Con vittoria di spese, competenze ed onorari dell'odierno giudizio e di quello in prime cure nonché della procedura di mediazione". Il (...) costituitosi in giudizio, contestava integralmente l'appello, concludendo come segue: "Nel merito - Accertare e dichiarare l'infondatezza in fatto e diritto delle domande formulate dal Sig. (...), per tutti i motivi di cui in premessa; E per l'effetto - Confermare integralmente la sentenza di primo grado n. 5 del 03.02.2023, resa tra le parti dal Giudice di Pace di Poggio Mirteto, Dott. (...) (Rg. n. 21/22); In ogni caso - Condannare il Sig. (...) al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio". La causa, di natura documentale, veniva trattenuta in decisione con ordinanza del 30.05.2024 sulle conclusioni rassegnate dalle parti in sede di note autorizzate ex art. 127ter c.p.c. depositate rispettivamente in data 02.05.2024 (parte appellante) e 16.04.2024 (parte appellata), previa rinuncia delle difese ai termini per il deposito di note conclusive. Tanto premesso, il primo motivo di appello è infondato e deve essere respinto. Costituisce, invero, principio consolidato in giurisprudenza quello secondo cui "l'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario, autonomo giudizio di cognizione, che, sovrapponendosi allo speciale sommario procedimento monitorio (ex-art. 633, 644 e ss. c.p.c.), si svolge nel contraddittorio tra le parti secondo le norme del procedimento ordinario (art. 645 c.p.c.). Ne consegue che il giudice dell'opposizione ..(..).. è investito del potere-dovere di pronunciare sulla pretesa fatta valere con la domanda di ingiunzione (nonché sulle eccezioni e l'eventuale domanda riconvenzionale dell'opponente) ancorché il decreto ingiuntivo sia stato emesso fuori delle condizioni stabilite dalla legge per il procedimento monitorio e non può limitarsi ad accertare e dichiarare la nullità del decreto emesso all'esito dello stesso. Ne consegue altresì che non può avere alcuna rilevanza, per la validità della pronuncia, né che il giudice non ne dichiari la nullità e non lo revochi, né che non motivi sul punto" (Cass. civ. n. 1184/2007; Cass. civ. n. 13001/2006). Di conseguenza, qualora venga proposta rituale opposizione, ciò a cui in quella sede deve aversi riguardo è, sostanzialmente, la pretesa azionata dall'ingiungente, indipendentemente dai vizi che possano eventualmente avere inficiato il decreto ingiuntivo a suo tempo emesso. Stante quanto sopra, nel caso che ci occupa il lamentato vizio di "nullità" o "annullabilità" del decreto ingiuntivo emesso nei confronti del sig. (...) giammai sarebbe, in sé, suscettibile di determinare una riforma della gravata decisione di primo grado, dovendosi in ogni caso avere riguardo alla pretesa sostanziale fatta valere dal Condominio in sede monitoria. Ne discende l'inevitabile reiezione del primo motivo di appello. Il secondo motivo di appello è infondato e come tale deve essere respinto. Sostiene il sig. (...): che la delibera avente ad oggetto l'approvazione dei lavori di manutenzione straordinaria debba essere annullata "...per mancata costituzione dell'assemblea di tutti gli aventi diritto e senza l'approvazione della relativa maggioranza ex art. 1136 comma 2 e 4", non avendo egli ricevuto alcuna comunicazione - stante la "inesistenza" della stessa, in ragione della sua notifica ad indirizzo di residenza dell'appellante non più attuale - in ordine alla data di svolgimento dell'assemblea straordinaria e non avendo, quindi, egli potuto parteciparvi; che, non essendogli stata data - per identiche ragioni - alcuna comunicazione delle deliberazioni assunte nella suddetta assemblea, i termini di 30 giorni per adire l'autorità giudiziaria al fine di chiedere l'annullamento della delibera condominiale in via di azione non siano ancora decorsi e, comunque, non siano decorsi dalla data della notifica del decreto ingiuntivo opposto; che, pertanto, il vizio denunciato determini l'annullabilità della delibera assembleare "per mancanza sia del quorum costitutivo pari alla totalità degli aventi diritto pari a 1.000,000 in luogo di 785,334, sia di quello deliberativo pari a 500,000 in luogo di 392,667 della maggioranza assoluta dell'assemblea condominiale"; che essendo stato il quorum deliberativo di 444,575 millesimi, come tale inferiore ai 500 millesimi previsti per l'approvazione delle delibere per lavori straordinari anche per l'approvazione dei lavori per una sola parte del (...) la delibera in questione sia, per l'appunto, invalida e debba essere annullata. Sul tema, occorre premettere: che ai sensi dell'art 66, comma 3, disp. att. c.c., l'avviso di convocazione dell'assemblea, contenente specifica indicazione dell'ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l'indicazione del luogo e dell'ora della riunione; che in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile, ai sensi dell'articolo 1137 del codice, su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati. A ciò deve aggiungersi che per pacifico insegnamento della Suprema Corte (ex multis, Cassazione civile, sez. II, sentenza 25/03/2019 n. 8275) l'avviso di convocazione, trattandosi di atto unilaterale ricettizio, segue la comune regola fissata dall'art. 1335 c.c., secondo il quale la proposta, l'accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia. Nel caso che ci occupa il sig. (...) sostiene, peraltro, che tanto l'avviso di convocazione dell'assemblea, quanto il verbale della stessa assemblea non gli siano stati regolarmente comunicati, gli stessi essendo stati inviati ad indirizzo non corrispondente a quello di residenza anagrafica attuale. L'assunto non può essere condiviso, per le ragioni di seguito esposte. Ed invero, l'introduzione del registro dell'anagrafe condominiale ex art. 1130, n. 6, c.c. ha posto a carico dell'amministratore l'obbligo di annotare in esso le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e personali di godimento, comprensivi dei dati ad essi inerenti anche in caso di variazioni: è quindi compito dell'amministratore provvedervi direttamente, ovvero a spese del condomino qualora questi non provveda di sua spontanea volontà a comunicare i dati richiesti. Il legislatore ha previsto, altresì, come ogni variazione dei dati vada comunicata all'amministratore in forma scritta, entro sessanta giorni, prevedendosi, altresì, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, non solo la possibilità che l'amministratore richieda, con lettera raccomandata, le informazioni necessarie all'aggiornamento del registro di anagrafe, ma anche, nell'ipotesi di omessa o incompleta risposta nel termine di trenta giorni dalla richiesta, la facoltà, per costui, di acquisire personalmente le informazioni necessarie, addebitandone il relativo costo al condomino. In ogni caso, va tenuto presente che se l'amministratore del condominio ha il dovere di regolare tenuta ed aggiornamento costante del registro di anagrafe condominiale, il condomino ha a sua volta l'obbligo di comunicare tempestivamente all'amministratore il proprio eventuale trasferimento in altro e diverso domicilio: in caso contrario, la comunicazione all'indirizzo di residenza risultante dall'anagrafe condominiale, ancorché non più attuale, dovrà ritenersi regolarmente perfezionata e la mancata ricezione dell'avviso sarà necessariamente addebitabile al solo condomino negligente (in termini Trib. Palermo n. 4179/22), non essendo ragionevolmente esigibile in capo all'amministratore una continua e costante verifica in ordine all'esistenza o meno di trasferimenti di residenza di ciascun singolo condomino, specie alla luce dell'obbligo di cui sopra gravante sui condomini, che fa presumere la piena idoneità dell'indirizzo già comunicato alla ricezione delle comunicazioni, in assenza di successiva comunicazione di variazione del medesimo. Tornando al caso che ci occupa, i plichi contenenti la convocazione per l'assemblea e la successiva comunicazione del relativo verbale sono stati pacificamente inoltrati all'indirizzo del sig. (...) presente nel registro dell'anagrafe condominiale e cioè Frasso Sabino (RI), (...) (circostanza pacifica tra le parti), né dagli atti di causa risulta che l'appellante abbia provveduto a comunicare all'amministratore del condominio, precedentemente alla ricezione dell'avviso, la variazione della propria residenza anagrafica. Nello specifico, la raccomandata a/r contenente la convocazione dell'assemblea condominiale per il 13.02.2021 è stata recapitata dal postino presso l'indirizzo di residenza del sig. (...) presente nell'anagrafica condominiale, posto che, per giurisprudenza, con l'avviso di giacenza immesso nella cassetta postale (esito attestato nella specie dall'agente postale) l'atto di convocazione all'assemblea condominiale si presume conosciuto dal destinatario (v., tra le altre, Cass. civ. n. 20001/2020). Identiche considerazioni valgono con riferimento alla comunicazione del verbale di assemblea, inoltrato a identico indirizzo con esito di compiuta giacenza. Ne discende che dovendo entrambe le comunicazioni ritenersi - per le ragioni tutte di cui sopra - validamente effettuate (in entrambi i casi il plico non è stato ritirato per compiuta giacenza), risulta inesorabilmente spirato il termine perentorio di trenta giorni di cui all'art. 1137, II co., c.c. per proporre ricorso avverso la delibera assembleare avente ad oggetto l'approvazione dei lavori straordinari e della relativa spesa oggetto di ingiunzione. Le superiori considerazioni comportano l'inevitabile reiezione del secondo motivo di appello, non essendo consentito al (...) - stante la scadenza del termine di cui sopra, previsto a pena di decadenza - far valere alcun vizio di annullabilità della delibera assembleare de qua. Per le stesse ragioni deve essere, infine, respinto il terzo motivo di appello, con il quale il sig. (...) lamenta un ulteriore profilo di annullabilità della delibera (omessa ricezione dell'avviso di convocazione almeno cinque giorni prima della data dell'assemblea) il cui scrutinio è precluso in questa sede, stante la scadenza del termine perentorio per proporre ricorso avverso la delibera medesima. In definitiva, l'appello nel suo complesso dovrà essere respinto, siccome giuridicamente infondato. Le spese del presente giudizio di appello seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto dell'assenza di fase istruttoria e di note conclusionali Dovrà, infine, condannarsi parte appellante al pagamento di un ulteriore importo pari all'ammontare del contributo unificato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 13, comma 1quater, D.P.R. n. 115/02, trattandosi di rigetto di impugnazione. P.Q.M. il Tribunale in composizione monocratica, ogni contraria domanda, istanza, eccezione e deduzione disattesa o assorbita, definitivamente pronunciando, così provvede: - respinge l'appello proposto da (...) avverso la sentenza del Giudice di Pace di Poggio Mirteto n. 2/2023 del 03.02.2023; - condanna l'appellante a rifondere al (...) le spese del presente giudizio di appello, che liquida nell'importo complessivo di Euro 1.276,00 a titolo di compensi professionali, oltre alle spese forfettarie ex art. 2 D.M. n. 55/14 e oltre a IVA e CPA come per legge; - condanna il sig. (...) al pagamento di un ulteriore importo pari all'ammontare del contributo unificato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115/02. Così deciso in Rieti l'1 giugno 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9178 del 2023, proposto da Ma. Or. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Al. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ba., Si. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Condominio Vi. Bo., rappresentato e difeso dagli avvocati Ri. Mo., An. In., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ro. De Mu. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Gi. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Torino, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 703/2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis), del Condominio Vi. Bo. e di Ro. De Mu. e altri come sopra individuati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Marco Morgantini e uditi per le parti gli avvocati Ma. Al.; Ma. Si.; Ga. Gi.; In. An.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza n. 77 in data 1 giugno 2022, assunta dal Segretario del Comune di (omissis), avente ad oggetto la sospensione dei lavori di ricostruzione di un muro di sostegno di area retrostante comprendente la linea ferroviaria (omissis) - (omissis) nonché un edificio residenziale. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze. I ricorrenti sono proprietari di un compendio immobiliare nel Comune di (omissis), frazione (omissis), costituito da un antico edificio residenziale ("villa del Ve.") e un'area pertinenziale che si estende fino al litorale. Con provvedimento del 27 novembre 2019, il Comandante della Capitaneria di porto di Imperia autorizzava uno dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 55 cod. nav. e fatto salvo il necessario titolo edilizio, ad effettuare i lavori di ricostruzione di un muro di protezione dal mare; secondo le risultanze catastali, il manufatto da erigere rientrava nel perimetro della proprietà privata. Previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica, gli interessati presentavano al Comune di (omissis), in data 18 febbraio 2020, una s.c.i.a. per la ricostruzione del muro in cemento armato, qualificando l'intervento come manutenzione straordinaria. Con nota del 11 maggio 2022, considerato che i lavori non erano stati ancora realizzati e che lo stato dei luoghi poteva aver subito mutamenti nel periodo trascorso dal rilascio dell'autorizzazione, il Comandante della Capitaneria di porto sospendeva l'efficacia del titolo medesimo, diffidando gli interessati a non realizzare l'intervento. Con successiva nota del 16 maggio 2022, la stessa Autorità comunicava che, alla luce delle risultanze emerse in apposita riunione cui avevano partecipato i rappresentanti del Provveditorato alle opere pubbliche e dell'Agenzia del demanio, la diffida era stata revocata. I lavori sono stati avviati nello stesso mese di maggio del 2022. Tuttavia, essendo emersi elementi di incertezza in ordine alla titolarità dell'area di intervento (che, secondo alcuni esposti pervenuti all'Ente locale, sarebbe appartenuta al demanio marittimo), il Comune di (omissis) disponeva l'immediata sospensione dei lavori con ordinanza del 1 giugno 2022. In pari data, il Comune presentava alla Capitaneria di porto un'istanza urgente per la rideterminazione della dividente demaniale ex art. 32 cod. nav. Il Comandante della Capitaneria di porto riscontrava l'istanza con nota del 14 giugno 2022, significando che la questione inerente alla persistente attualità dell'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. rilasciata ai ricorrenti era già stata affrontata e positivamente definita nella menzionata riunione cui il Comune non aveva ritenuto di partecipare. A questo punto, preso atto che i solleciti volti all'esercizio del potere di autotutela erano rimasti privi di riscontro, gli interessati hanno impugnato l'ordine di sospensione dei lavori con ricorso notificato e depositato in data 8 luglio 2022. In via preliminare il Tar ha fatto riferimento all'affermazione di parte ricorrente secondo cui, essendo decorso il termine di 45 giorni stabilito dall'art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, l'impugnata ordinanza di sospensione dei lavori sarebbe divenuta inefficace nel corso del giudizio e, in conseguenza, dovrebbe essere dichiarata l'improcedibilità del ricorso. È evidente che, in questa prospettiva, l'invocata declaratoria di improcedibilità risulterebbe sostanzialmente satisfattiva della pretesa azionata in giudizio, poiché implica l'accertamento della sopravvenuta inefficacia del provvedimento che impedisce la ripresa dei lavori avviati dai ricorrenti. Il Tar ha condiviso, a tale riguardo, la stigmatizzazione operata dai primi intervenienti, non essendo plausibile che il ricorso, cui accedeva la domanda di tutela cautelare anche monocratica, fosse stato proposto avverso un provvedimento la cui efficacia, in tesi, sarebbe venuta meno appena otto giorni dopo: l'atto introduttivo del presente giudizio, infatti, è stato notificato e depositato in data 8 luglio 2022, laddove il preteso termine di efficacia del provvedimento impugnato sarebbe scaduto il successivo 16 luglio. In ogni caso, anche volendo ammettere che i pochi giorni residui di "paralisi del cantiere" fossero forieri di gravi pregiudizi per i ricorrenti, la tardiva segnalazione di una circostanza potenzialmente idonea a consentire la sollecita definizione del giudizio già in sede cautelare configura un abuso dello strumento processuale. Il Tar ha poi evidenziato l'infondatezza della tesi inerente alla sopravvenuta inefficacia dell'impugnata ordinanza. Nel caso in esame, infatti, l'Amministrazione ha disposto la sospensione dei lavori "fino al provvedimento di delimitazione ex articolo 32 cod. nav. richiesto, in via di urgenza, con nota prot. n. 23171 del 1 giugno 2022". La scadenza dell'efficacia dell'atto dipendeva, quindi, da un evento futuro e incerto nel quando, ma non nell'an, poiché il Comune di (omissis) non aveva ragioni per dubitare, anche in un'ottica di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni, che la propria istanza di rideterminazione della dividente demaniale avrebbe dato impulso ad un procedimento destinato a concludersi con un provvedimento espresso. Non risulta, d'altronde, che l'istanza predetta sia stata formalmente rigettata, atteso che la nota del 14 giugno 2022 della Capitaneria di porto si pronunciava in merito alla diversa questione concernente l'invarianza dei presupposti sottesi all'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. già rilasciata ai ricorrenti. Alla luce di tali precisazioni, può farsi questione della legittimità di un termine diverso da quello previsto dalla fonte primaria, ma non dubitare della sua esistenza e, dunque, della perdurante efficacia del provvedimento impugnato, con conseguente insussistenza delle condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso. Il Tar ha fatto riferimento all'indagine relativa all'effettivo stato dei luoghi interessati dall'attività edificatoria, in funzione dell'accertamento incidentale della demanialità dell'area di intervento. Trattasi di accertamento sicuramente non eccedente l'ambito della competenza del giudice amministrativo, poiché l'ipotizzato carattere demaniale del bene costituisce presupposto del provvedimento impugnato. Il Tar ha ricordato che ai sensi dell'art. 822, primo comma, cod. civ., il lido del mare e la spiaggia "appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico". I beni che assumono i connotati naturali di "lido del mare" o di "spiaggia" sono acquisiti al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della pubblica amministrazione. Per univoco orientamento giurisprudenziale, il lido del mare è la porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, mentre la spiaggia comprende i tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2019, n. 26877). Rientra nel demanio marittimo necessario anche l'arenile, vale a dire quel tratto di terraferma relitto dal naturale ritirarsi delle acque che resti idoneo ai pubblici usi del mare (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2020, n. 22567). Il verificatore pur non avendo risposto espressamente al quesito che chiedeva di accertare se il muro da erigere insista, in tutto o in parte, sul lido del mare o sulla spiaggia, ha fornito informazioni che consentono di ravvisare gli elementi costitutivi della demanialità con riguardo al terreno interessato dall'intervento edilizio, rimanendo irrilevante la sua iscrizione in catasto come proprietà privata. Riferisce innanzitutto il verificatore che il muro dovrebbe sorgere sull'appezzamento di terreno identificato a catasto al foglio (omissis), mappali (omissis), "posto fronte mare al di sotto della linea ferroviaria" (pag. 6). Le fotografie interfogliate nella relazione rivelano che il terreno in questione è privo di scogli e coperto da ciottoli fino al terrapieno posto a monte; si nota "la presenza sulla linea di battigia di blocchi di cemento e numerosi tondini di ferro installati lungo una linea che rappresenterebbe il tracciato dove far sorgere il muro" (pag. 8). Tale tratto di litorale "è caratterizzato da fenomeni di mareggiate particolarmente intense e saltuarie" (pag. 15), come dimostrato anche dall'erosione del terrapieno predetto cagionata dal "frangersi del moto ondoso durante le mareggiate" (pag. 28). Infine, per quanto concerne l'esatta ubicazione del muro, il verificatore precisa che esso si collocherebbe a circa 11 metri dalla linea di battigia nella parte più distante e ad un paio di metri in quella più prossima al mare (pag. 28). Tali elementi dimostrano che la porzione di riva sulla quale dovrebbe sorgere il muro, restando coperta nella sua interezza da mareggiate non eccezionali, non consente altro uso che non sia quello marittimo e, in conseguenza, ha qualità intrinseca di "lido del mare" o di "spiaggia", comunque riconducibile alle categorie indicate dall'art. 822, primo comma, cod. civ. Anzi, considerando che le operazioni peritali sono state effettuate in condizioni di mare calmo, vento assente e bassa marea (pag. 28), è verosimile che la parte di muro più vicina al mare sorga direttamente sulla battigia, ossia sulla fascia costiera interessata dal movimento ordinario di flusso e riflusso delle onde, come dimostra chiaramente anche la fotografia inserita alla pag. 8 della relazione peritale. La sicura qualificazione dell'area come bene appartenente al demanio marittimo necessario rende irrilevanti le ulteriori questioni afferenti la sua potenziale attitudine a realizzare i pubblici usi del mare. Discende da tali considerazioni la diagnosi di fondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso espressamente sollevata dai primi intervenienti (ma insita anche nelle argomentazioni difensive delle altre parti resistenti). In assenza di concessione, infatti, i ricorrenti non avevano alcun titolo di legittimazione per realizzare l'opera su un bene del demanio marittimo, sicché la s.c.i.a. edilizia, di per sé inidonea ad esplicare effetti sul piano del governo dei diritti demaniali, deve considerarsi tamquam non esset. Ne consegue che, non disponendo del bene della vita, i ricorrenti non possono vantare un interesse astrattamente meritevole di tutela o, più precisamente, un interesse legittimo oppositivo nei confronti del provvedimento adottato dal Comune di (omissis) che, inibendo la prosecuzione dei lavori (a prescindere dalla natura del potere concretamente esercitato), non determina alcun effetto restrittivo della sfera giuridica dei soggetti privi dello ius aedificandi. 2. Si sono costituiti in giudizio per resistere all'appello il Comune di (omissis), Ro. De Mu. ed altri e il Condominio "Vi. Bo.". 3. Parte appellante fa presente che nel corso del giudizio di primo grado i ricorrenti odierni appellanti hanno chiesto che il ricorso venisse dichiarato improcedibile per sopravvenuta inefficacia dell'ordine di sospensione lavori, essendo decorso il termine di 45 giorni stabilito dall'art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001. Contesta la tesi del Tar secondo cui, stante la perdurante efficacia del provvedimento impugnato di sospensione lavori, difetterebbero le condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso. Ritiene che: - la dichiarazione di improcedibilità del ricorso avverso l'ordine di sospensione non sia in alcun modo satisfattiva delle ragioni dei ricorrenti in quanto se è vero che ciò avrebbe consentito di riprendere i lavori è altrettanto vero che gli stessi sarebbero rimasti pur sempre esposti alla vigilanza del Comune e alla emissione di atti repressivi di eventuali illeciti; - la proposizione del ricorso in questione non sarebbe abuso del processo, ma invece normale esercizio del diritto di difesa al fine di ottenere l'annullamento nel merito dell'ordinanza di sospensione lavori o quantomeno la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta inefficacia dell'atto per decorso del termine stabilito dalla legge anche in funzione della proponenda azione risarcitoria dei danni causati dall'arbitraria sospensione lavori. Ritiene che il giudice di prime cure abbia ignorato che la stessa ordinanza ha esplicitamente riconosciuto la propria natura cautelare e ha richiamato le disposizioni del D.P.R. n. 380/2001. Sulla base di ciò non potrebbero sussistere dubbi sull'applicabilità nel caso di specie dell'art. 27 del D.P.R. n. 380/2001 (il cui contenuto è trasfuso anche nella Legge Regionale sull'edilizia n. 16 del 2008 all'art. 40) ed in particolare del termine di efficacia di 45 giorni per la sospensione lavori. Il provvedimento del Comune di (omissis) non sarebbe semplicemente illegittimo per violazione delle norme che stabiliscono il termine di efficacia dell'ordinanza di sospensione, ma diverrebbe addirittura nullo per difetto assoluto di attribuzione. Parte appellante ribadisce pertanto l'improcedibilità del ricorso originario per sopravvenuta inefficacia del provvedimento di sospensione lavori atteso che nel termine perentorio di 45 giorni - ma neppure successivamente - non è stato adottato alcun provvedimento definitivo comunale. 3 - bis. L'appello è infondato e pertanto il collegio può prescindere dall'esame delle eccezioni preliminari. Le censure sono infondate. Infatti, l'Amministrazione ha disposto la sospensione dei lavori "fino al provvedimento di delimitazione ex articolo 32 cod. nav. richiesto, in via di urgenza, con nota prot. n. 23171 del 1 giugno 2022". La scadenza dell'efficacia dell'atto dipendeva, quindi, da un evento futuro e incerto nel quando, ma non nell'an, poiché il Comune di (omissis) non aveva ragioni per dubitare, anche in un'ottica di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni, che la propria istanza di rideterminazione della dividente demaniale avrebbe dato impulso ad un procedimento destinato a concludersi con un provvedimento espresso. Non risulta, d'altronde, che l'istanza predetta sia stata formalmente rigettata, atteso che la nota del 14 giugno 2022 della Capitaneria di porto si pronunciava in merito alla diversa questione concernente l'invarianza dei presupposti sottesi all'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. già rilasciata ai ricorrenti. Alla luce di tali precisazioni, come affermato dal Tar, può farsi questione della legittimità di un termine diverso (ossia fino alla data di adozione del provvedimento di delimitazione) da quello previsto dalla fonte primaria, ma non dubitare della sua esistenza e, dunque, della perdurante efficacia del provvedimento impugnato, con conseguente insussistenza delle condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso o la cessata materia del contendere. 4. Parte appellante lamenta poi l'illegittimità dell'accertamento incidentale sulla proprietà contenuto nella sentenza appellata. Infatti la natura stessa dell'ordinanza di sospensione lavori non presuppone alcun accertamento definitivo sulla titolarità dell'area oggetto di intervento edilizio impedendo che si possa instaurare un rapporto di pregiudizialità tra esame del ricorso giurisdizionale attinente la legittimità del provvedimento e l'accertamento in via incidentale del diritto di proprietà sul terreno in questione. L'impossibilità di un accertamento incidentale sarebbe reso ancor più evidente dal fatto che parte ricorrente all'udienza del 24 maggio 2023 ha concentrato la subordinata azione di annullamento insistendo solo sulla violazione del termine finale della sospensione lavori legato nel suo termine finale ad un evento incertus an et quando. 4 - bis. Le censure sono infondate. Il Tar ha fatto riferimento all'indagine relativa all'effettivo stato dei luoghi interessati dall'attività edificatoria, in funzione dell'accertamento incidentale della demanialità dell'area di intervento. Trattasi di accertamento sicuramente non eccedente l'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, poiché l'ipotizzato carattere demaniale del bene costituisce presupposto del provvedimento impugnato e non questione principale. Infatti sul punto l'ordinanza impugnata in primo grado fa specifico riferimento alla descrizione dei luoghi e alla conseguente possibilità che le opere sono state previste ed eseguite sul demanio marittimo. Nel caso di specie oggetto principale della contestazione è proprio l'ordine di sospensione dei lavori e la connessa sopra richiamata motivazione. L'accertamento della proprietà demaniale costituisce questione incidentale scrutinabile dal giudice amministrativo ai sensi del primo comma dell'art. 8 del cod. del proc. amm. secondo cui il giudice amministrativo nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale (così Cons. di Stato, Sez. VII, 23 settembre 2022, n. 8225). 5. Parte appellante ritiene che la sentenza appellata sia illegittima perché il giudice di prime cure si sarebbe discostato dalle determinazioni in materia di confine demaniale delle Amministrazioni competenti. Fa riferimento alla circostanza che: - la Capitaneria di Porto, dopo aver esaminato la questione con nota del 16 maggio 2022 prot. n. 9424 aveva esplicitamente consentito la prosecuzione dei lavori; - l'Agenzia del Demanio ha avuto modo di chiarire che il muro in corso di realizzazione, una volta completato, avrebbe rappresentato "il confine demaniale aggiornato". Il giudice di prime cure, pur in presenza di queste valutazioni delle competenti Amministrazioni sul profilo della demanialità, se ne sarebbe inopinatamente discostato e avrebbe provveduto in autonomia ad individuare di fatto un nuovo confine tra proprietà privata e demanio marittimo, quando la legge assegna tale compito all'Amministrazione nella figura del Capitaneria di Porto competente o al giudice ordinario. Secondo parte appellante la controversia in esame riguarderebbe un'ordinanza di sospensione lavori che non comporta alcun accertamento sulla regolarità o meno dell'opera edilizia con conseguente impossibilità da parte del giudice di prime cure di esaminare la legittimità ovvero l'esistenza della SCIA edilizia che ha assentito il muro di protezione dagli eventi meteo-marini. 5 - bis. Le censure sono infondate. La sentenza appellata è congruamente motivata sul punto anche con riferimento agli esiti della verificazione espletata nel giudizio di primo grado. Infatti il Tar ha premesso che ai sensi dell'art. 822, primo comma, cod. civ., il lido del mare e la spiaggia "appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico". I beni che assumono i connotati naturali di "lido del mare" o di "spiaggia" sono acquisiti al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della pubblica amministrazione. Per univoco orientamento giurisprudenziale, il lido del mare è la porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, mentre la spiaggia comprende i tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2019, n. 26877). Rientra nel demanio marittimo necessario anche l'arenile, vale a dire quel tratto di terraferma relitto dal naturale ritirarsi delle acque che resti idoneo ai pubblici usi del mare (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2020, n. 22567). Il verificatore pur non avendo risposto espressamente al quesito che chiedeva di accertare se il muro da erigere insista, in tutto o in parte, sul lido del mare o sulla spiaggia, ha fornito informazioni che consentono di ravvisare gli elementi costitutivi della demanialità con riguardo al terreno interessato dall'intervento edilizio, rimanendo irrilevante la sua iscrizione in catasto come proprietà privata. Riferisce innanzitutto il verificatore che il muro dovrebbe sorgere sull'appezzamento di terreno identificato a catasto al foglio (omissis), mappali (omissis), "posto fronte mare al di sotto della linea ferroviaria" (pag. 6). Le fotografie interfogliate nella relazione rivelano che il terreno in questione è privo di scogli e coperto da ciottoli fino al terrapieno posto a monte; si nota "la presenza sulla linea di battigia di blocchi di cemento e numerosi tondini di ferro installati lungo una linea che rappresenterebbe il tracciato dove far sorgere il muro" (pag. 8). Tale tratto di litorale "è caratterizzato da fenomeni di mareggiate particolarmente intense e saltuarie" (pag. 15), come dimostrato anche dall'erosione del terrapieno predetto cagionata dal "frangersi del moto ondoso durante le mareggiate" (pag. 28). Infine, per quanto concerne l'esatta ubicazione del muro, il verificatore precisa che esso si collocherebbe a circa 11 metri dalla linea di battigia nella parte più distante e ad un paio di metri in quella più prossima al mare (pag. 28). Tali elementi dimostrano che la porzione di riva sulla quale dovrebbe sorgere il muro, restando coperta nella sua interezza da mareggiate non eccezionali, non consente altro uso che non sia quello marittimo e, in conseguenza, ha qualità intrinseca di "lido del mare" o di "spiaggia", comunque riconducibile alle categorie indicate dall'art. 822, primo comma, cod. civ. Anzi, considerando che le operazioni peritali sono state effettuate in condizioni di mare calmo, vento assente e bassa marea (pag. 28), è verosimile che la parte di muro più vicina al mare sorga direttamente sulla battigia, ossia sulla fascia costiera interessata dal movimento ordinario di flusso e riflusso delle onde, come dimostra chiaramente anche la fotografia inserita alla pag. 8 della relazione peritale. La sicura qualificazione dell'area come bene appartenente al demanio marittimo necessario rende irrilevanti le ulteriori questioni afferenti la sua potenziale attitudine a realizzare i pubblici usi del mare. Discende da tali considerazioni la diagnosi di fondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso espressamente sollevata dai primi intervenienti (ma insita anche nelle argomentazioni difensive delle altre parti resistenti). In assenza di concessione, infatti, i ricorrenti non avevano alcun titolo di legittimazione per realizzare l'opera su un bene del demanio marittimo, sicché la s.c.i.a. edilizia, di per sé inidonea ad esplicare effetti sul piano del governo dei diritti demaniali, deve considerarsi tamquam non esset. Ne consegue che, non disponendo del bene della vita, i ricorrenti non possono vantare un interesse astrattamente meritevole di tutela o, più precisamente, un interesse legittimo oppositivo nei confronti del provvedimento adottato dal Comune di (omissis) che, inibendo la prosecuzione dei lavori (a prescindere dalla natura del potere concretamente esercitato), non determina alcun effetto restrittivo della sfera giuridica dei soggetti privi dello ius aedificandi. Contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, l'accertato difetto di legittimazione ad eseguire le opere comporta necessariamente la non regolarità delle opere edilizie di cui alla Scia. In conclusione l'appello deve essere respinto. La condanna alle spese dell'appello segue la soccombenza con liquidazione nella misura di: - Euro 2.000 a favore del Comune di (omissis); - Euro 2.000 per i seguenti intervenienti costituitisi in appello con unico atto: Ro. De Mu.ed altri; - Euro 2.000 a favore del Condominio "Vi. Bo.". P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte appellante al pagamento delle spese dell'appello nella misura di: Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Comune di (omissis); Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore dei seguenti intervenienti costituitisi in appello con unico atto: Ro. De Mu. ed altri; Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Condominio "Vi. Bo.". Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore Laura Marzano - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 14631 del 2018, proposto da Mi. Ca., rappresentata e difesa dall'avvocato Ro. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Pa. Al., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sede dell'Avvocatura capitolina in Roma, Via (...); per l'annullamento - del diniego di condono edilizio prot. n. QI/83535/2018 del 15 maggio 2018. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 17 maggio 2024 la dott.ssa Manuela Bucca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con istanza prot. n. 0/506832 sot. 0 del 18 marzo 2004, la sig.ra Fr. Pa. chiedeva il rilascio di concessione edilizia in sanatoria per l'opera abusiva realizzata in Roma, Via (omissis), consistente in "un manufatto di superficie pari a mq. 50,00 di s.u.r., immobile distinto al N.C.E.U. al Foglio (omissis), particella (omissis), sub (omissis)". Con nota prot. n. 6259 del 28 gennaio 2013, Roma Capitale comunicava ai sig.ri Mi. Ca. e Fr. De Si., quali nuovi comproprietari dell'immobile, i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza di condono, ossia l'insistenza dell'opera abusiva in area sottoposta ai seguenti vincoli: "Beni paesaggistici ex art. 134, comma 1, lett. b) del Codice - c - Fossi, parziale inedificabilità - Norme P.R.G., Falde Idrice e P.T.P. (omissis)". Ritenendo di non poter accogliere le osservazioni formulate dagli interessati, con determinazione dirigenziale prot. n. QI/83535/2018 del 15 maggio 2018, l'Amministrazione confermava la reiezione dell'istanza di condono. Avverso il suddetto provvedimento propone ricorso, ritualmente notificato e depositato, la sig.ra Mi. Ca., censurandolo per i seguenti motivi: I. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, errore e/o violazione di legge, in particolare della legge 326/2003 e legge reg. 12/2004. Col primo motivo, parte ricorrente sostiene l'illegittimità del provvedimento impugnato in quanto il manufatto oggetto di sanatoria sarebbe stato ultimato entro il 31 marzo 2003, in conformità a quanto previsto dall'art. 32, comma 25, della l. n. 326/03; II. Violazione di legge, in particolare dell'art. 134 d.lgs. 42/2004, delle norme PRG Falde idriche e P.T.P. (omissis), dell'art. 3 della legge reg. 12/2004, della legge 47/1985 - Eccesso di potere, carenza ed inadeguatezza dell'istruttoria condotta da Roma Capitale. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta che il diniego impugnato sia stato adottato nonostante l'abuso insista su area soggetta a vincoli non ostativi al rilascio della sanatoria in quanto: - si tratterebbe di vincoli imposti successivamente alla realizzazione dell'opera abusiva e che non comportano una inedificabilità assoluta; - il vincolo paesistico del Fosso di (omissis) sarebbe superabile con l'acquisizione del rilascio del parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo stesso; - il vincolo per falde idriche - rectius, quello idrogeologico di Pratolungo - sarebbe superabile con la realizzazione di un'adeguata rete fognaria a continuità idraulica e pozzetto di ispezione. Resiste al ricorso Roma Capitale, deducendone l'infondatezza nel merito. Alla pubblica udienza straordinaria del 17 maggio 2024, svolta in modalità telematica ai sensi dell'art. 87, comma 4 bis c.p.a., la causa è stata posta in decisione. DIRITTO Il ricorso è infondato. Come chiarito da consolidato orientamento giurisprudenziale, da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, in ordine ai presupposti per il cd. terzo condono, ai sensi della l. n. 326/2003 e, nella Regione Lazio, della l.r. n. 12/2004: - "Il d.l. n. 269 del 30 settembre 2003, convertito nella legge n. 326 del 24 novembre 2003, che ha previsto un condono edilizio per le opere ultimate entro il 31 marzo 2003, diversamente dalle discipline della legge n. 47 del 1985 e della legge n. 724 del 1994, ha...specificamente individuato le tipologie di opere condonabili ed ha limitato le possibilità di sanatoria in presenza di vincoli. L'art. 32, comma 26, lettera a) del detto decreto legge ha distinto le tipologie di illecito (individuate all'allegato 1), consentendo nelle aree sottoposte a vincolo la sanatoria solo per "le tipologie di illecito di cui all'allegato 1 numeri 4, 5 e 6" ovvero opere di restauro e risanamento conservativo (tipologia 4 e 5), opere di manutenzione straordinaria, opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume (tipologia 6). Ha specificato al comma 27 che non sono suscettibili di sanatoria, tra le altre ipotesi, le opere che "siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (lettera d). Il condono edilizio di cui al D.L. n. 269 del 2003, convertito nella L. n. 326 del 2003, non è dunque consentito per "abusi maggiori" (cioè abusi riconducibili a quelli di cui alle tipologie 1, 2 e 3 della tabella allegata al D.L. n. 269 del 2003) commessi in zona sottoposta a vincolo posto in epoca anteriore alla realizzazione delle opere, ciò indipendentemente dal tipo di vincolo, se di inedificabilità assoluta o relativa (Consiglio di Stato Sez. VI 26 luglio 2023, n. 7318; Sez. II, 13 novembre 2020, n. 7014; Sez. II, 21 ottobre 2019, n. 7103). In tali situazioni è stato altresì affermato che è inutile la richiesta del parere di compatibilità paesaggistica, posto che si versa in una situazione di divieto di condono stabilita dal legislatore. Da ciò discende che, in presenza di interventi qualificabili come nuova costruzione o ristrutturazione realizzati in area soggetta a vincoli paesaggistici, il diniego di sanatoria edilizia è atto dovuto ai sensi della L. n. 326 del 2003 (Consiglio di Stato Sez. VI, 24 agosto 2023, n. 7935; Sez. VI, 16 settembre 2022, n. 8043; Sezione VI, 10 gennaio 2023, n. 295). Inoltre, nelle aree sottoposte a vincolo preesistente all'opera neppure può essere concessa la sanatoria qualora l'intervento sia difforme dagli strumenti urbanistici"; - "La legge regionale n. 12 del 2004 ha ampliato le categorie delle opere non sanabili estendendola anche a quelle realizzate, "prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all'interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali", rendendo, quindi, più restrittiva la disciplina del condono nella Regione Lazio. Tale scelta restrittiva del legislatore regionale è stata ritenuta legittima dalla Corte costituzionale in relazione alla eccezionalità delle norme statali sul condono e alla rilevanza della maggiore tutela dei beni ambientali e paesaggistici perseguita dalla Regione (sentenza n. 181 del 2021)" (da ultimo, Consiglio di Stato sez. II, 13 marzo 2024, n. 2482). Nel caso di specie, l'intervento oggetto della richiesta di sanatoria consiste in un ampliamento di superficie residenziale, realizzato in zona sottoposta ai seguenti vincoli: "Beni paesaggistici ex art. 134, comma 1, lett. b) del Codice - c - Fossi, parziale inedificabilità - Norme P.R.G., Falde Idriche e P.T.P. (omissis)". In conseguenza, ritiene il Collegio che l'Amministrazione abbia correttamente negato il chiesto condono, rientrando l'abuso commesso nelle tipologie di illecito per le quali l'art. 32 del d.l. n. 269/03, convertito dalla l. n. 326/03, e l'art. 3, comma 1, lettera b) della l.r. n. 12/04 escludono la sanatoria. Trattasi, invero, di un manufatto di mq. 50, cui è conseguito, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, un aumento di superficie e volumetria, senza che possa rilevarne l'entità . Quanto alla doglianza inerente all'applicabilità della l.r. n. 12/2004 rispetto ad abusi realizzati in data antecedente all'istituzione di vincoli paesaggistici nell'area interessata dall'intervento edilizio, è sufficiente osservare che "con la sentenza n. 181/2021, pubblicata il 4 agosto 2021, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità sollevata con riferimento all'art. 3, comma 1, lettera b), della legge della Regione Lazio 8 novembre 2004, n. 12 (Disposizioni in materia di definizione di illeciti edilizi). La Corte ha ritenuto che con la normativa censurata, introducendo un regime più rigoroso di quello disegnato dalla normativa statale, il legislatore regionale del Lazio non ha oltrepassato il limite costituito dal principio di ragionevolezza. Per un verso, infatti, la possibile sopravvenienza di vincoli ostativi alla concessione del condono risulta espressamente prevista dalla disposizione censurata, ciò che ne esclude la lamentata assoluta imprevedibilità . Per altro verso, il regime più restrittivo introdotto dalla legge regionale ha come obiettivo la tutela di valori che presentano precipuo rilievo costituzionale, quali quelli paesaggistici, ambientali, idrogeologici e archeologici, sicché non è irragionevole che il legislatore regionale, nel bilanciare gli interessi in gioco, abbia scelto di proteggerli maggiormente, restringendo l'ambito applicativo del condono statale, sempre restando nel limite delle sue attribuzioni" (T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 12 aprile 2023, n. 6319). Né rileva la natura relativa del vincolo di inedificabilità impresso all'area in cui insiste l'abuso, in quanto per gli abusi di carattere maggiore in area vincolata, come quello per cui è causa, "è ...preclusa l'assentibilità a prescindere dal carattere assoluto o relativo del vincolo di inedificabilità sulla stessa impressa. Sicché la sola presenza, nella fattispecie incontestata, del predetto vincolo rende le opere in questione non condonabili" (T.A.R. Roma, (Lazio) sez. IV, 24 gennaio 2024, n. 1428). In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite in favore dell'Amministrazione resistente, liquidate in complessivi Euro 1.500,00, oltre alle spese generali nella misura del 15%, nonché IVA e CPA come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Rita Tricarico - Presidente Manuela Bucca - Referendario, Estensore Monica Gallo - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quinta Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6799 del 2017, proposto da Ac. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Sg., Ch. To., Gi. Co., Fe. Bu. e Pa. Za., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Co., in Roma, via (...); contro Gse - Gestore dei Servizi Energetici S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Fr., Ma. An. Fa. e An. Pu., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Fr., in Roma, via (...); per l'annullamento - della comunicazione adottata dal Gestore dei Servizi Energetici - GSE S.p.A. (di seguito, il "GSE") in data 12 aprile 2017 (prot. n. GSE/P020170030833), notificata alla ricorrente mediante raccomandata a.r. in data 19 aprile 2017, avente il seguente oggetto: "Rigetto della Proposta di progetto e di Programma di Misura (PPPM) n. 0093053032416T022, presentata da Ac. S.p.A."; - nonché di ogni altro atto preparatorio, presupposto, antecedente, conseguente e comunque connesso. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Gse - Gestore dei Servizi Energetici S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria del giorno 17 maggio 2024 il dott. Alfredo Giuseppe Allegretta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con ricorso notificato in data 21.06.2017 e depositato in Segreteria in data 18.7.2017, la società Ac. S.p.A. adiva il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma, al fine di ottenere le pronunce meglio indicate in oggetto. Esponeva in fatto di esercitare attività di distribuzione di energia elettrica e gas naturale e di rientrare, ai sensi della normativa di settore, nella categoria dei "soggetti obbligati" a conseguire, in termini di certificati bianchi, degli obiettivi quantitativi nazionali annui di incremento dell'efficienza energetica. In data 30.9.2016 presentava al G.S.E. una specifica istanza per il riconoscimento dei certificati bianchi con riferimento alla Proposta di Progetto e di Programma di Misura n. 0093053032416T022, relativa ad interventi di efficientamento energetico degli impianti di illuminazione pubblica del Comune di Modena. Precisava che, la realizzazione del progetto di efficientamento veniva affidata alla società He. Lu. S.r.l., la quale - parimenti alla ricorrente - veniva indicata come società controllata al 100% dalla He. S.p.A. In data 4.11.2016, la società incaricata dal G.S.E. - Ricerca sul Sistema Energetico R.S.E. S.p.A. - inviava alla ricorrente una richiesta di integrazione e di chiarimenti (prot. n. 16082045) con la quale le veniva chiesto di fornire alcune informazioni aggiuntive in merito alla descrizione dell'intervento e alla periodicità di invio delle "Richieste di Verifica e Certificazione dei Risparmi", nonché di produrre documentazione aggiuntiva relativa ai certificati di collaudo; seguiva il riscontro della ricorrente in data 25.11.2016. In data 5.1.2017 il G.S.E. notificava all'istante il preavviso di rigetto evidenziando che: i. "la documentazione non consente di verificare che le condizioni di illuminamento nella situazione ex ante e in quella ex post, per ogni impianto oggetto d'intervento e in base alla classe illuminotecnica identificata, rispettino i livelli minimi previsti dalla normativa vigente per l'illuminazione pubblica (es. UNI 11248) (...)"; ii. "dalla documentazione trasmessa non è possibile verificare che il posizionamento dei misuratori tenga conto dei consumi delle sole apparecchiature per l'illuminazione (...)"; iii. "la documentazione non consente di verificare la conformità del progetto alle previsioni normative previste dall'art. 6, comma 2 del succitato D.M. (i.e. Decreto 28.12.2012) che limita, a partire dal 1° gennaio 2014, l'accesso al meccanismo dei certificati bianchi ai progetti ancora da realizzarsi o in corso di realizzazione . In particolare, non è stata fornita documentazione (...) che permetta di verificare che alla data di presentazione della PPPM, ovvero il 30/09/2016, l'installazione delle lampade sia stata completata o abbia iniziato a generare risparmi di energia primaria". In data 19.1.2017 la ricorrente presentava le proprie osservazioni avverso il preavviso di rigetto cui faceva seguito, in data 28.2.2017, un contatto telefonico con il referente tecnico del G.S.E.; all'esito di tale interlocuzione venivano prodotte ulteriori osservazioni tecniche da parte della Ac. S.p.A., trasmesse in data 15.3.2017. Con provvedimento notificato in data 19.4.2017, qui prioritariamente impugnato, il G.S.E. respingeva l'istanza presentata dalla ricorrente ritenendo che la proposta progettuale non fosse conforme al decreto ministeriale del 28 dicembre 2012. In particolare, rilevava che: i. "dalla documentazione fornita la società realizzatrice dell'intervento, He. Lu. S.r.l., non è una società partecipata o controllata, ovvero operante in affiliazione commerciale, ad Ac. S.p.A. essendo quest'ultima un soggetto obbligato che può realizzare progetti relativi ad interventi di efficientamento dei servizi post-contatore avvalendosi di società separate, partecipate o controllate, ovvero operanti in affiliazione commerciale, ai sensi dell'articolo 1, comma 34, della Legge n. 239 del 2004 e come modificato dall'art. 4 del D.L. n. 10 del 2007"; ii. "dalla documentazione trasmessa risulta che i risparmi generati dall'intervento non sono addizionali, poiché si sarebbero comunque verificati per effetto dell'evoluzione tecnologica, normativa e del mercato. In particolare, dal documento 'Integrazione Volontaria PPPM Modena 3 rev_15 03 17' (in allegato) risulta che le condizioni di illuminamento nella configurazione ante operam non rispettano livelli minimi previsti dalla normativa vigente per l'illuminazione pubblica previsti dalla UNI 11248. Si specifica che nel caso in cui, nella situazione ex ante, il livello di illuminamento medio di ciascuna area oggetto di intervento sia inferiore rispetto quello minimo previsto dalla succitata norma tecnica, l'intervento si configurerebbe in parte come un adeguamento normativo". Avverso tali esiti provvedimentali la società ricorrente insorgeva eccependo: i. "Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità e disparità di trattamento. eccesso di potere per difetto e carenza di istruttoria"; ii. "Violazione e falsa applicazione delle linee guida EEN 9/11. eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, carenza di istruttoria, illogicità e disparità di trattamento". In data 22.9.2017 si costituiva in giudizio il Gestore dei Servizi Energetici. All'udienza del 17.5.2024, previo scambio di memorie e uditi i difensori come da verbale, la causa veniva definitivamente posta in decisione. Tutto ciò premesso, il ricorso è infondato nel merito e, pertanto, non può essere accolto. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente si doleva dell'illegittimità del provvedimento di rigetto nella parte in cui il G.S.E. riteneva che la società realizzatrice dell'intervento - He. Lu. S.r.l. - non fosse una società partecipata, controllata o in affiliazione commerciale della stessa ricorrente. Come è noto, a livello ordinamentale generale, con il D.lgs. 16 marzo 1999, n. 79 veniva data attuazione nel nostro ordinamento alla direttiva 96/92/CE, recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, prevedendo nei confronti dei distributori misure di incremento dell'efficienza negli usi finali dell'energia, secondo obiettivi quantitativi determinati. La normativa si assestava per il tramite di diversi decreti ministeriali e, con decreto dell'11 gennaio 2017, il Ministero dello Sviluppo Economico provvedeva alla determinazione degli obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico per le imprese di distribuzione dell'energia elettrica e del gas relativamente agli anni dal 2017 al 2020. I soggetti obbligati venivano individuati nei distributori di energia elettrica e di gas naturale con più di 50.000 clienti finali connessi alla propria rete di distribuzione, prevedendo che i progetti e i relativi interventi di efficientamento potessero essere da questi realizzati: "a) mediante azioni dirette dei soggetti obbligati, o dalle società da essi controllate o controllanti, ai sensi dell'art. 1, comma 34, della legge n. 239 del 2004 e successive modificazioni; b) mediante azioni delle imprese di distribuzione dell'energia elettrica e del gas naturale non soggette all'obbligo; c) da soggetti sia pubblici che privati che, per tutta la durata della vita utile dell'intervento presentato, sono in possesso della certificazione secondo la norma UNI CEI 11352, o hanno nominato un esperto in gestione dell'energia certificato secondo la norma UNI CEI 11339, o sono in possesso di un sistema di gestione dell'energia certificato in conformità alla norma ISO 50001. Nel caso in cui il soggetto titolare del progetto e il soggetto proponente non coincidano, tale certificazione è richiesta per il solo soggetto proponente". Ebbene, nel caso di specie, non consta che la S.r.l. He. Lu., individuata quale realizzatrice del progetto di efficientamento, sia una società controllata, controllante ovvero in affiliazione commerciale dell'effettivo soggetto obbligato, ossia l'odierna ricorrente. Ciò che emerge, infatti, è che la S.r.l. He. Lu., così anche la S.p.A. Ac., sono società entrambe controllate al 100% dalla S.p.a. He.. L'interpretazione estensiva che la ricorrente tenta di attribuire ad un chiarimento del G.S.E. in materia è del tutto fuorviante. Tale chiarimento, nel disporre che gli interventi di efficientamento energetico possono essere realizzati per il tramite di "società separate, partecipate o controllate, ovvero in affiliazione commerciale", deve ritenersi frutto di un'interpretazione (tutt'al più ) sistematica del D.M. dell'11 gennaio 2017 e dell'art. 1, comma 34, della legge n. 239/2004. Invero, tale ultima disposizione ha dato la possibilità alle imprese operanti nei settori della vendita, del trasporto e della distribuzione dell'energia elettrica e del gas naturale, che abbiano in concessione o in affidamento la gestione dei servizi pubblici locali ovvero la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni infrastrutturali, di svolgere attività nel settore verticalmente collegato o contiguo dei servizi post-contatore di installazione, assistenza e manutenzione nei confronti dei medesimi utenti finali del servizio pubblico, "avvalendosi di società separate, partecipate o controllate, ovvero operanti in affiliazione commerciale". Il D.M. in oggetto, nel menzionare tale comma - "mediante azioni dirette dei soggetti obbligati, o dalle società da essi controllate o controllanti, ai sensi dell'art. 1, comma 34, della legge n. 239 del 2004 e successive modificazioni" - altro non fa che dar atto che gli interventi di efficientamento possono essere presentati sia per azioni dirette relative alle proprie reti elettriche e/o di gas naturale sia per interventi riconducibili al settore verticalmente collegato o contiguo dei servizi post contatore di installazione, assistenza e manutenzione nei confronti dei medesimi utenti finali dei soggetti obbligati, avvalendosi di società separate, partecipate o controllate, ovvero operanti in affiliazione commerciale. Dunque, alcuna portata estensiva ai "gruppi societari" - in disparte, comunque, ogni considerazione circa la legittimità di una siffatta asserita estensione ad opera del G.S.E. - può attribuirsi al chiarimento summenzionato. Con riguardo a tale profilo di doglianza, non merita apprezzamento la circostanza in base alla quale, in fase endoprocedimentale il G.S.E. non avrebbe "mai formulato alcuna richiesta di chiarimento e/o integrazione documentale in ordine ai rapporti societari sussistenti tra la Ricorrente ed He. Lu.". Invero, ciò che la ricorrente eccepiva riguardava essenzialmente la violazione del principio di corrispondenza tra preavviso di rigetto e provvedimento conclusivo, che, come più volte affermato in giurisprudenza, "si ha nella fattispecie in cui le ragioni espresse nel primo siano incompatibili o del tutto difformi da quelle poste a fondamento del secondo" (cfr. T.A.R. Lazio, sentenza n. 6432 del 22 marzo 2024; Consiglio di Stato, sentenza n. 9988 del 19 ottobre 2023). A tal riguardo, la giurisprudenza del Consiglio di Stato - cui il Collegio ritiene di dover dare continuità - è orientata nel ritenere che la difformità tra il preavviso di rigetto ed il provvedimento finale è irrilevante, laddove quest'ultimo non poteva essere diverso qualsiasi fosse stato l'apporto del privato, anche in ragione della sufficienza dei motivi sui quali si era formato il contraddittorio per determinare il rigetto dell'istanza; di talché, l'aggiunta di un ulteriore ragione per denegare un provvedimento autorizzativo non incide sul diritto al contraddittorio (da ultimo, in senso conforme: Consiglio di Stato, sentenza n. 3972 del 26 marzo 2024). Quanto sopra argomentano basta a destituire di fondamento il primo motivo di ricorso, in quanto infondato. Sebbene l'esame delle ulteriori censure sia superfluo - in applicazione della regola giurisprudenziale secondo la quale nei casi di atti plurimotivati, la riconosciuta legittimità in sede giurisdizionale di una delle ragioni poste a sostegno di un siffatto provvedimento è sufficiente a sorreggerlo (Consiglio di Stato, sentenza n. 4649 del 16 giugno 2021) - le medesime sono, in ogni caso, infondate. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denunciava il provvedimento di rigetto ritenendolo erroneo nella parte in cui sosteneva che i risparmi generati dall'intervento non sarebbero addizionali, posto che si sarebbero comunque verificati per effetto dell'evoluzione tecnologica, normativa e del mercato; oltre che per aver ritenuto che le condizioni di illuminamento nella configurazione ante operam non rispettassero i livelli minimi previsti dalla normativa vigente per l'illuminazione pubblica di cui alla UNI 11248 e che, pertanto, l'intervento proposto dalla ricorrente si configurerebbe in parte come un adeguamento normativo. In relazione a tale profilo di doglianza, deve preliminarmente rilevarsi che, "la valutazione del Gestore circa l'assenza di addizionalità costituisce esercizio di discrezionalità tecnica cosicché il sindacato del giudice amministrativo sulla stessa, avendo pur sempre ad oggetto la legittimità e non il merito, è limitato al riscontro del vizio di illegittimità per violazione delle regole procedurali e di eccesso di potere per manifesta illogicità, irrazionalità, irragionevolezza, ovvero altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti" (cfr. T.A.R. Lazio, sentenza n. 7388 del 25 maggio 2022; T.A.R. Lazio, sentenza n. 2296 del 28 febbraio 2022; Consiglio di Stato, parere n. 1999/2020). Ebbene, il meccanismo di incentivazione fondato sul rilascio dei c.d. "certificati bianchi", ovvero "titoli di efficienza energetica" (TEE), assume a suo fondamento il requisito dell'addizionalità dei risparmi, da intendersi in termini non meramente legati all'evoluzione tecnologica, ma estesi anche ai profili economici e di sviluppo infrastrutturale sottesi alla messa in atto dell'intervento. Talché, devono essere escluse dal sostegno gli interventi che si sarebbero dovuti realizzare per effetto di obblighi normativi. Gli interventi suscettibili di incentivazione sono, quindi, quelli concretamente aggiuntivi rispetto a quelli che si sarebbero realizzati in assenza dell'incentivazione - e, dunque, aggiuntivi rispetto al mero adeguamento normativo - al contrario, se non lo fossero, finirebbero per configurare un sussidio all'impresa da parte dello Stato, ossia un aiuto di Stato, evidentemente lesivo della concorrenza (Consiglio di Stato, sentenza n. 5095 del 23 maggio 2023). Sotto il profilo tecnico, la ricorrente in occasione della trasmissione della validazione dei calcoli illuminotecnici nella situazione ex ante, affermava che "la verifica delle condizioni di illuminamento nella situazione ex ante, oltre a non essere tecnicamente percorribile, non è utile ai fini della determinazione dei risparmi addizionali oggetto della PPPM". La mancata dimostrazione circa la pregressa situazione dell'impianto oggetto di intervento veniva, altresì, confermata in sede di ricorso ove affermava che "uno dei principali impedimenti alla verifica delle situazioni pre-intervento è costituito dalla mancata disponibilità nei programmi di calcolo utilizzati per l'elaborazione dei calcoli illuminotecnici di dati specifici relativi a lampade obsolete quali quelle preesistenti alla PPPM Modena 3". Sul punto, sono condivisibili le argomentazioni del G.S.E., secondo cui il rilascio dei certificati avviene in misura proporzionale alla quantità di risparmio netto conseguito, da intendersi - in applicazione delle Linee Guida della competente Autorità EEN 9/11 - come "il risparmio lordo, depurato dei risparmi energetici non addizionali, cioè di quei risparmi energetici che si stima si sarebbero comunque verificati, anche in assenza di un intervento o di un progetto, per effetto dell'evoluzione tecnologica, normativa e del mercato". E dunque, il risparmio netto corrisponde alla sottrazione dal risparmio lordo (differenza tra i consumi ex ante e consumi ex post) dei risparmi (non addizionali) che, in assenza dell'intervento, si sarebbero comunque realizzati per effetto dell'evoluzione tecnologica, normativa e di mercato. Emerge chiaramente, quindi, che la valutazione della situazione ex ante costituisca condicio sine qua non dei successivi calcoli relativi all'effettivo risparmio addizionale ai fini dell'approvazione del PPPM, con la conseguenza che in assenza di tale rigorosa prova di un fatto preesistente il progetto non può essere approvato e non se ne possono ritrarre le conseguenti utilità . Nel complesso, dunque, sono legittime e condividibili le conclusioni a cui è pervenuto il G.S.E., il quale, nell'esercizio del suo potere tecnico discrezionale (di per sé sindacabile nel suo esercizio solo in caso di manifesta irrazionalità o irragionevolezza), non poneva concretamente in essere un'attività amministrativa censurabile da questo Tribunale con riguardo alle doglianze prospettate dalla ricorrente. In conclusione, per le ragioni illustrate il ricorso va respinto, essendo infondate nel merito le censure con esso introdotte. Da ultimo, tenuto conto delle peculiarità in fatto del caso in esame, sussistono i presupposti di legge per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma, Sezione V Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Alfredo Giuseppe Allegretta - Presidente, Estensore Ida Tascone - Referendario Andrea Gana - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8671 del 2022, proposto dalla sig.ra Lu. Qu., rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Ad., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro il Ministero dell'Interno, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta e la Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano in Roma, via (...), nei confronti - della società Im. Sa. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; - del Condominio Pa. Sa., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione Sesta, n. 6212/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta, della Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania e del Condominio Pa. Sa.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2024, il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso allibrato al numero 357/2020 del Registro Generale del T.A.R. per la Campania, il dott. St. Sa., quale amministratore unico della società Do. S.r.l. nonché in proprio quale residente nel Condominio Pa. Sa. sito in Caserta alla via (omissis), e la sig.ra Qu. Lu., quale residente nel medesimo Condominio, agivano per l'annullamento della "autorizzazione in deroga al progetto di autorimessa privata con superficie compresa tra 300 e 1.000 mq. ex art. 7 DPR 151/2011 rilasciato alla Im. Sa. s.r.l. il 13/09/2019 dal Comando Provinciale dei Vigile del Fuoco di Caserta prot. n. 0014751", nonché dei relativi atti presupposti. Veniva premesso in ricorso che la società Do. S.r.l. era proprietaria di due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto-quinto e seminterrato del più ampio fabbricato condominiale denominato "Condominio Sa.", avendoli acquistati con atto del 4 luglio 2018, mentre le due persone fisiche ricorrenti erano stabili residenti nel medesimo Condominio. Esponeva quindi la parte ricorrente che, mediante gli atti impugnati, era stata illegittimamente concessa una deroga alla normativa antincendio, ai sensi dell'art. 7 d.P.R. n. 151 del 1° agosto 2011, con riferimento ad una autorimessa all'interno dell'edificio condominiale benché realizzato successivamente alla entrata in vigore del suddetto d.P.R.. Mediante gli articolati motivi di ricorso, veniva evidenziato che, in primo luogo, la ditta realizzatrice del complesso immobiliare, a seguito della costituzione del relativo Condominio, non aveva più titolo a richiedere ed ottenere la deroga, con la conseguenza che la relativa istanza, non provenendo da soggetto legittimato (da identificarsi appunto nel Condominio), non poteva che essere archiviata. Con il secondo motivo di impugnazione, la ricorrente deduceva che la deroga prevista dall'art. 7 del d.P.R. n. 151/2011 non poteva applicarsi ai nuovi fabbricati, come confermato dagli artt. 11, comma 4, e 4, comma 6, del medesimo d.P.R., con la conseguenza che il costruttore avrebbe dovuto dichiarare ab origine l'esistenza di un garage avente metratura superiore a 300 mq. e che le opere rientravano quindi nel campo di applicazione della normativa antincendio, con particolare riguardo alla sottoclasse 75/1/A: gli Uffici intimati, quindi, avrebbero rilasciato non una deroga, ma una sanatoria extra ordinem di un illecito, sulla scorta delle false dichiarazioni rese dalla controinteressata, la quale, in tutti gli elaborati progettuali e financo nella dichiarazione rilasciata ai sensi dell'art. 24, comma 1, d.P.R. n. 380/2001 in data 20 aprile 2018 da parte del Direttore dei Lavori, aveva affermato che l'autorimessa non rientrava nel campo di applicazione della normativa antincendio e che il parcheggio era inferiore ai 300 mq.. Infine, la parte ricorrente deduceva l'illegittimità della deroga in quanto non preceduta dalla acquisizione del parere del C.T.R., previsto dall'art. 7, comma 3, d.P.R. cit.. Con i motivi aggiunti depositati in data 26 marzo 2020, scaturenti dal deposito documentale effettuato dall'Amministrazione intimata, la parte ricorrente deduceva la carenza della dichiarazione di conformità, ex art. 7 D.M. 22 gennaio 2008, n. 37, dell'impianto elettrico al servizio dell'autorimessa, costituente presupposto per ottenere l'agibilità ex art. 9 D.M. cit. e la deroga stessa. Essa lamentava quindi che il Comando dei VV.FF., invece di bloccare la S.C.I.A. del 12 dicembre, prot. n. 20842, aveva consentito alla controinteressata di produrre la predetta documentazione entro 45 gg.. Allegava altresì la ricorrente che risultava prodotta una nota asseverata a firma dell'Ing. Es. del 3 gennaio 2020 che, stravolgendo il Mod. PIN 2.1 approvato dal Ministero, sotto la sua responsabilità penale asseverava per lavori definitivi di "nuovo insediamento" quanto segue: "assevera la corrispondenza di quanto trasmesso con quanto dichiarato nella dichiarazione di conformità dell'impianto elettrico richiesto". La ricorrente deduceva quindi la mancanza nella suddetta dichiarazione di ogni contenuto asseverativo, laddove il Mod. PIN 2.1. ministeriale era così diversamente formulato: "Assevera la conformità della/e attività sopraindicata/e ai requisiti di prevenzione incendi e di sicurezza antincendio". Aggiungeva la ricorrente che il medesimo Ing. Es. aveva allegato alla suddetta "asseverazione" una dichiarazione di conformità del 3 gennaio 2020 dell'impianto a regola d'arte della ditta Ed. che, però, concerneva la "manutenzione straordinaria" dell'impianto ed era priva di 3 allegati obbligatori, limitandosi la medesima ditta ad affermare di aver controllato e verificato l'impianto, senza indicare né allegare il progetto, non potendosi verificare la conformità ad un progetto non allegato. Deduceva ancora la ricorrente che la ditta Ed. aveva allegato la dichiarazione n. 10/2019 della Om. Im. S.r.l. del 9 dicembre 2019, priva degli allegati richiamati, concernente un nuovo impianto su impianto già esistente consistito nella "Installazione di lampade di emergenza, quadro elettrico per pulsante di sgancio autorimessa", senza dichiarare di aver "rispettato il progetto", che non era allegato al pari di altri due elaborati obbligatori (schema impianto e rifermento a dichiarazioni di conformità precedenti). A seguito dell'ulteriore deposito documentale effettuato dall'Amministrazione, la ricorrente depositava in data 8 aprile 2020 ulteriori motivi aggiunti, con i quali deduceva, in sintesi: che la dichiarazione della ditta Om. Im. del 9 dicembre 2019 era priva della carta di identità del dichiarante e quindi da considerarsi nulla, ai sensi dell'art. 38, comma 3, d.P.R. n. 445/2000; che la dichiarazione della ditta Ed., a differenza di quella già depositata, non recava il numero di protocollo; che al punto I della relazione dell'Amministrazione del 2 aprile 2020 si affermava che la dichiarazione della ditta Om. del 9 dicembre 2019 era già allegata alla S.C.I.A. del 12 dicembre 2019, in contrasto sia con quanto precedentemente dedotto nella relazione del 24 marzo 2020, sia con il tenore della nota del 24 dicembre 2019, prot. n. 21559, sia con l'asseverazione del 3 gennaio 2020 a firma dell'Ing. Es. che allegava detta dichiarazione. 2. Il T.A.R., con la sentenza n. 6212 del 7 ottobre 2022, ha preliminarmente dichiarato l'inammissibilità dei motivi aggiunti, sia perché, "per loro tramite, è stato impugnato un atto (il "provvedimento del 05/02/2020 prot. n. 1908 di formalizzazione con esito positivo del verbale di visita tecnica di prevenzione incendi ai sensi dell'art. 4, c.2, del DPR 151/2011") non avente portata autonomamente lesiva, ma meramente accertativa ed endoprocedimentale e, come tale, da impugnare in uno al provvedimento principale", sia perché gli stessi "si innestano pur sempre su un ricorso introduttivo (al quale ineriscono) che, tuttavia, si appalesa irricevibile per tardività ". Per quanto concerne quest'ultimo profilo, il T.A.R., premesso che nella specie si contesta "l'illegittimità del titolo per il solo fatto del suo rilascio", ha osservato che "nella fattispecie in esame, considerato che le edificazioni realizzate successivamente all'entrata in vigore del d.P.R. n. 151/2011, dovevano nascere in maniera pienamente ossequiosa della normativa sulla sicurezza antisismica di cui al citato d.P.R., senza alcuna possibilità di rilascio di alcuna autorizzazione in deroga, già la notizia del mero fatto del rilascio in favore della controinteressata (che aveva costruito successivamente all'entrata in vigore del d.P.R. n. 151/2011) di un'autorizzazione in deroga, faceva sorgere nel ricorrente l'interesse ad impugnare la predetta autorizzazione e, con esso, l'onere di rispettare, nella proposizione della impugnativa, il termine iniziale decorrente dal momento in cui si è avuta detta conoscenza, senza alcuna necessità di avere piena conoscenza del preciso ed integrale contenuto del provvedimento autorizzatorio in deroga". Ciò premesso, ha evidenziato il T.A.R. che "risulta comprovato agli atti che in data 25 febbraio 2019, i ricorrenti - proprietari di due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto quinto e seminterrato di più ampio fabbricato condominiale siti nel Condominio "Sa." in Caserta alla Via (omissis), acquistati con atto del 4 luglio 2018 e realizzati dalla Im. Sa. s.r.l. - depositavano dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere circostanziato ricorso per ATP (RG. 1832/2019) sulla scorta della presunta sussistenza di molteplici vizi che affliggevano i beni immobili in questione, in particolare, richiamando la perizia del proprio tecnico di fiducia redatta in data 14 gennaio 2019 (depositata agli atti del ricorso per ATP), nella quale si evidenziava che il piano interrato destinato ad autorimessa non era rispondente ai requisiti di sicurezza antincendio previsti dal Decreto Ministeriale 1 febbraio 1986" e che "nelle more dell'espletamento della ATP, l'Im. Sa. s.r.l. presentava - in data 31.7.2019 - al Comando dei Vigili del Fuoco di Caserta, documentata istanza tesa ad ottenere parere favorevole in deroga del certificato prevenzione incendi ed, all'esito dell'istruttoria il 3 settembre del 2019, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta rilasciava il parere favorevole in deroga (provvedimento prot. n. 0014751), approvando il relativo progetto presentato dalla società Sa. s.r.l.". Ha altresì rilevato il T.A.R. che "seguivano, poi, in data 6 settembre 2019, il provvedimento di concessione in deroga da parte della Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile e, infine, in data 13 settembre 2019 la concessione della deroga ex art. 7 del d.P.R. n. 151/2011 del Comando Provinciale dei Vigile del Fuoco di Caserta" e che "successivamente, il costituito Condominio "Sa.", portava al termine la procedura de quo come sopra precisato; in particolare, nell'immediatezza (in data 11 dicembre 2019) provvedeva a inoltrare dichiarazione per voltura per la pratica di autorizzazione in deroga presentata dalla società Sa. e, contestualmente, presentava scia dei necessari lavori per l'adeguamento dell'impianto di autorimessa ai fini della sicurezza antincendio, come da progetto approvato dall'amministrazione dell'interno. Invero, gli adempimenti sopra richiamati venivano deliberati all'Assemblea condominiale convocata per il giorno 8 novembre 2019, assemblea che vedeva la partecipazione anche del delegato della Do. s.r.l. (nella persona dell'avv. Do. St.)". Ha quindi rilevato il T.A.R. che "appare evidente che la ricorrente veniva a conoscenza dei suddetti provvedimenti, impugnati con l'odierno ricorso, già in data 4 ottobre 2019 (vedasi verbale di ATP) e/o comunque in data 8 novembre 2019 (vedasi verbale assemblea di condominio), potendo, a ben vedere, ove avesse ritenuto lesivo il contenuto dell'atto amministrativo, inoltrare all'Amministrazione competente un'apposita istanza di accesso agli atti, sin dal giorno successivo alla redazione dei richiamati verbali, al fine di prendere visione, tempestivamente, degli atti, dei documenti e di tutto quanto eventualmente allegato alla risposta favorevole rilasciata alla società resistente dall'amministrazione dell'Interno. Ciò posto, appare quanto mai evidente che era onere per la Do. s.r.l. l'impugnazione dell'atto sulla base sia di quanto conosciuto in sede di ATP in data 4 ottobre 2019 e in sede di assemblea condominiale in data 8 novembre 2019, nonché in virtù delle contestazioni tecniche recepite nelle censure sollevate, come si è sopra evidenziato, nel ricorso introduttivo per ATP". Ha ancora osservato il T.A.R. che "ad ogni modo la ricorrente in data 20 luglio 2018 ha formulato "Richiesta di accesso formale a documenti amministrativi per esame e/o estrazione di copie ai sensi della L. 241/90 integrata e modificata dalla L. 15/05 e D.P.R. 12 aprile 2006 n. 184", pervenuta a destinazione, come da ricevuta di avvenuta consegna il giorno 31 ottobre 2019 alle ore 18:22:11. Va in proposito evidenziato che parte ricorrente, nel tentativo di eludere i termini di decadenza per proporre tempestivamente il ricorso giurisdizionale, dichiara di aver avuto conoscenza dei provvedimenti impugnati soltanto in data 20 gennaio 2020 (all'uopo ha depositato copia di una email non certificata) ma non menziona né deposita la propedeutica istanza di accesso agli atti, dalla cui data di deposito sarebbe stato univocamente evincibile il fatto del rilascio dell'autorizzazione in deroga". Il T.A.R. ha poi ribadito che "in buona sostanza la Do. s.r.l., già dalla data del 4 ottobre 2019, disponeva di ogni elemento utile per predisporre il ricorso avverso gli atti contestati, ma, ciononostante, ha promosso il ricorso soltanto in data 30 gennaio 2020. Ciò si rinviene, inequivocabilmente, dalla lettura del verbale n. 10 redatto a seguito del sopralluogo svolto, in sede di ATP, in data 4 ottobre 2019 (al quale partecipava anche la Do. s.r.l.). Invero, nel prefato atto, l'ing. Ma., CTP della società Sa., rendeva noto al C.T.U.: "che, relativamente al piano interrato destinato ad autorimessa la Società Sa. s.r.l. ha ottenuto il parere favorevole in deroga ai fini del certificato prevenzione antincendi. Di seguito si provvederà ad eseguire i lavori necessari per la certificazione antincendio"", concludendo nel senso che "palese risulta essere la tardività del ricorso, ben potendo la Do. s.r.l., in virtù della chiara percezione dell'esistenza del parere favorevole di deroga ai fini del certificato prevenzione antincendi - ottenuto dalla Im. Sa. s.r.l. - e degli aspetti che ne rendevano evidente l'immediata e la concreta lesività, promuovere un'impugnativa, già a partire dal giorno 4 ottobre 2019". 3. La sentenza suindicata costituisce oggetto della domanda di riforma proposta, con l'appello in esame, dalla (sola) originaria ricorrente sig.ra Qu. Lu.. Essa, dopo aver ripercorso il pregresso iter processuale - anche richiamando testualmente, ai fini della loro riproposizione in appello, le deduzioni articolate con il ricorso introduttivo del giudizio e la successiva duplice serie di motivi aggiunti, non esaminate dal giudice di primo grado in ragione della definizione in rito del giudizio di primo grado - deduce in primo luogo che il T.A.R. ha erroneamente pronunciato l'irricevibilità del ricorso nei suoi confronti, senza che la relativa questione fosse stata sollevata dalle parti resistenti, non avendo gli atti impugnati in primo grado mai costituito oggetto di pubblicazione, ai fini della decorrenza del relativo termine di impugnazione, né essendo la stessa contemplata da specifiche disposizioni, con la conseguente necessità di fissare il suddetto termine in coincidenza con la piena conoscenza del contenuto del provvedimento impugnato, nella specie non ricavabile né dall'A.T.P. del 25 febbraio 2019, di cui la ricorrente medesima non era parte, né dall'assemblea dell'8 novembre 2019, alla quale la ricorrente, in quanto non proprietaria, non ha partecipato. La appellante deduce altresì che, non essendo stata la tardività del ricorso eccepita dalla controparte nei suoi confronti, il T.A.R. avrebbe dovuto sottoporre la relativa questione al contraddittorio delle parti, ex art. 73 c.p.a., con la conseguente necessità di remissione della causa al giudice di primo grado ex art. 105, comma 1, c.p.a.. Infine, la appellante contesta la statuizione di inammissibilità del gravame recata dalla sentenza appellata con riferimento all'atto del 5 febbraio 2020, sulla scorta del suo asserito carattere "endoprocedimentale", evidenziando in senso contrario che esso, certificando la legittimità della procedura di deroga e facoltizzando l'utilizzo dell'autorimessa, presenta contenuti autorizzatori che ne legittimavano l'impugnazione. Ripropone quindi, come accennato, le censure di merito sottoposte all'attenzione del T.A.R. e da questo non esaminate in ragione delle suindicate statuizioni su questioni in rito di carattere pregiudiziale. 4. Si sono costituiti nel presente grado di giudizio, per la parte pubblica, il Ministero dell'Interno, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta e la Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania, riproponendo le difese articolate in primo grado. Si è costituito altresì, per la parte privata, il Condominio Pa. Sa., al fine di resistere all'appello anche relativamente alla statuizione in rito recata dalla sentenza appellata, evidenziando che la tardività del ricorso introduttivo del giudizio non potrebbe che riguardare anche l'odierna appellante, la quale, abitando nel Condominio Sa. sin dalla edificazione del relativo fabbricato insieme al figlio ed al marito Dott. Sa. St., Amministratore Unico della Do. S.r.l., sarebbe a piena conoscenza di tutte le vicende condominiali. A supporto della suesposta conclusione, la parte resistente evidenzia altresì che la odierna appellante è stata indicata come teste, insieme al suocero Avv. Do. St., dalla Do. S.r.l. proprio nel giudizio civile dalla medesima promosso, innanzi al Tribunale di S. Maria Capua Vetere, per l'impugnazione della delibera condominiale dell'8 novembre 2019, di approvazione dei lavori di "Adeguamento locale autorimessa", e che a detti lavori di "Adeguamento" la suddetta ha assistito personalmente, abitando nel Condominio Sa. tanto da essere stata indicata come teste nel suddetto giudizio: lavori che sono iniziati in data 27 novembre 2019, come attesta la Segnalazione Certificata di Inizio Attività prot. n. 127757/2019 del Comune di Caserta, laddove il ricorso di controparte è stato notificato solo in data 30 gennaio 2020. Infine, il Condominio resistente evidenzia che l'odierna appellante, che dispone di tre box unificati tra loro, non sembra avvertire alcun pericolo dai locali garage di cui trattasi, utilizzandoli da sempre insieme al marito Dott. Sa. St.. Con successiva memoria, il Condominio resistente, nelle more costituitosi a mezzo di nuovo difensore a causa del decesso di quello originario, ha precisato l'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, evidenziando che la appellante "vanterebbe, ragionevolmente, un legittimo diritto a che si realizzino tutti gli interventi strutturali e di messa in sicurezza dell'immobile". Alle suddette eccezioni ha replicato la parte appellante con successiva memoria finché, all'esito dell'odierna udienza di discussione, il ricorso è stato trattenuto dal Collegio per la decisione di merito. 5. Venendo alle valutazioni del Collegio, occorre preliminarmente esaminare - in quanto suscettibile di evidenziare una autonoma, rispetto alla irricevibilità rilevata dal T.A.R., ragione preclusiva dell'esame nel merito del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti, rilevabile anche d'ufficio da parte del giudice di appello - l'eccezione di inammissibilità del ricorso, articolata già nel primo grado di giudizio ma non esaminata dal T.A.R. e riproposta nel presente giudizio di appello, con la quale il Condominio Pa. Sa. sostiene che l'odierna appellante non avrebbe interesse all'accoglimento dell'appello, traendo essa un beneficio dai provvedimenti impugnati, con i quali è stata assicurata la conformità dell'autorimessa, di cui essa stessa si avvale, alla normativa in tema di sicurezza antincendio. L'eccezione non può essere accolta. Deve invero osservarsi che in tanto il provvedimento che legittima l'utilizzazione di un bene in deroga alla normativa antincendio (o, più in generale, alla normativa posta a tutela della pubblica e privata incolumità ) può ritenersi vantaggioso per i soggetti che vantino un titolo (dominicale o di altra natura) di legittimo godimento del medesimo bene, in quanto esso offra ogni garanzia di fruizione di quel bene in condizioni di piena sicurezza, la quale a sua volta presuppone il rispetto dei limiti e dei presupposti, procedimentali e sostanziali, cui il rilascio della deroga è subordinata: in proposito, non può non osservarsi che le censure della ricorrente non si propongono solo di conseguire l'accertamento ope iudicis della inammissibilità della deroga (ciò che effettivamente si tradurrebbe nella preclusione tout court alla utilizzazione dell'autorimessa conformemente alla sua destinazione, senza che la appellante, non essendo proprietaria di immobili all'interno del condominio de quo ma mera residente presso lo stesso, possa far valere alcuna responsabilità contrattuale nei confronti della società venditrice, con la conseguente insorgenza di legittimi dubbi in ordine alla titolarità in capo alla stessa di un interesse concreto ed attuale al ricorso), ma anche la violazione delle disposizioni che presiedono al suo rilascio (basti pensare alle censure intese a lamentare la mancata acquisizione del parere del C.T.R. ovvero i vizi che affliggerebbero la dichiarazione di conformità dell'impianto elettrico), funzionali a garantire l'utilizzo del bene in condizioni di totale sicurezza, anche in una prospettiva rinnovatoria del procedimento di deroga o di quello di S.C.I.A. in modo da conformarli alla disciplina di riferimento. 6. Deve adesso esaminarsi la censura con la quale la appellante sig.ra Qu. Lu., lamentando che il giudice di primo grado, nel porre a fondamento della decisione la suesposta questione di irricevibilità del ricorso, oltre che con riferimento alla società Do. S.r.l., anche relativamente alla sua posizione (nonché a quella del marito Dott. Sa. St., quale ricorrente in proprio), sebbene sollevata dalle parti private resistenti solo limitatamente alla predetta società, non ha osservato il disposto di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a. (a mente del quale "se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale. Se la questione emerge dopo il passaggio in decisione, il giudice riserva quest'ultima e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie"), chiede che sia annullata la sentenza appellata ai fini della remissione della causa al T.A.R. per la Campania, ex art. 105, comma 1, c.p.a.. La censura è meritevole di accoglimento. Deve invero osservarsi che, sebbene i resistenti Condominio Pa. Sa. e società Im. Sa. S.r.l. abbiano eccepito in primo grado la "irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio", senza ulteriori distinzioni (cfr., in particolare, la memoria della società Im. Sa. S.r.l. del 6 marzo 2020), gli stessi hanno posto a fondamento dell'eccezione circostanze esclusivamente riferibili alla società Do. S.r.l. e dimostrative, ad avviso degli stessi, della conoscenza da questa acquisita dei provvedimenti impugnati in una data (4 ottobre 2019) che evidenzierebbe la tardività dell'iniziativa impugnatoria da essa promossa. La suddetta eccezione, formulata nei termini esposti, era quindi inidonea a sollecitare il contraddittorio della parte ricorrente anche relativamente alla posizione dell'odierna appellante, tanto che l'originaria (complessa) parte ricorrente, facendo affidamento sul suo carattere soggettivamente circoscritto, si è limitata a replicare alle sole argomentazioni sviluppate a suo fondamento ed esclusivamente relative, come si è detto, alla società Do. S.r.l.. La declaratoria di irricevibilità con la quale il T.A.R. ha definito, in rito, il giudizio di primo grado è stata invece estesa a tutti i soggetti componenti l'originaria parte ricorrente, ovvero non solo al Dott. St. Sa. (ciò che, in qualche misura, sarebbe anche stato plausibile, identificandosi esso nell'amministratore unico della società Do. S.r.l., sebbene promotore del ricorso anche a titolo personale), ma anche alla sig.ra Qu. Lu., che con la società Do. S.r.l. non risulta intrattenere alcun rapporto diretto. Sebbene siffatta non preannunciata, nelle forme di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a., estensione sia fondata dal T.A.R. sui medesimi argomenti posti dalle controinteressate a fondamento della suddetta eccezione di irricevibilità (e riferiti dal T.A.R. talvolta, in senso generico, ai "ricorrenti", cui viene anche indistintamente imputata la proprietà di "due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto quinto e seminterrato di più ampio fabbricato condominiale siti nel Condominio "Sa." in Caserta alla Via (omissis), acquistati con atto del 4 luglio 2018 e realizzati dalla Im. Sa. s.r.l.", che invece fa capo esclusivamente alla società Do. S.r.l., talaltra alla "ricorrente" società ), non vi è dubbio che essa abbia concretizzato una fattispecie di decisione "a sorpresa", che secondo la costante giurisprudenza anche di questa Sezione integra una violazione del diritto al contraddittorio ed impone l'annullamento della sentenza appellata, ai fini della remissione della causa al T.A.R. ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 26 aprile 2022, n. 3124: "costituisce violazione del diritto del contraddittorio processuale e del diritto di difesa, in relazione a quanto dispone l'art. 73, comma 3, c.p.a., porre a fondamento di una sentenza di primo grado una questione rilevata d'ufficio, senza la previa indicazione in udienza o l'assegnazione di un termine alle parti per controdedurre al riguardo. Da ciò consegue l'obbligo, per il giudice di appello, di annullare la sentenza stessa e di rimettere la causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., per evitare sentenze "a sorpresa""). 7. Deve solo aggiungersi che non vi è spazio per esaminare nella presente sede, in ragione del suindicato error in procedendo che preclude ogni ulteriore valutazione da parte del giudice di appello in ordine alla suindicata questione di irricevibilità, le deduzioni svolte dal Condominio Pa. Sa. al fine di dimostrare comunque la tardività del ricorso proposto dalla odierna appellante: ciò non senza osservare che la mera sussistenza di un rapporto di coniugio (e quindi di fisiologica condivisione di interessi) tra l'odierna appellante ed il Dott. St. Sa. - al quale invece, quale amministratore unico della Do. S.r.l., può essere senz'altro ascritta la conoscenza del provvedimento impugnato sulla scorta delle medesime ed incontestate circostanze sulle quali la pronuncia appellata ha fondato la tardività del ricorso relativamente alla posizione della suddetta società - non è idonea a radicare, con sufficiente ed uguale grado di certezza (quantomeno relativamente al quando), la conoscenza da parte della sig.ra Qu. Lu. del medesimo provvedimento, in modo da far decorrere anche nei suoi confronti il termine di impugnazione. 8. Infine, l'esame del giudice di appello deve necessariamente riguardare la statuizione di inammissibilità dei motivi aggiunti proposti avverso il verbale di visita tecnica prot. n. 1908 del 5 febbraio 2020, con il quale "si attesta, ai sensi dell'art, 4, comma 2, DPR n. 151/2011, il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione incendi e la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio": statuizione che da un lato consegue, nell'economia motivazionale della sentenza appellata, alla già analizzata declaratoria di irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio (e che sotto tale profilo viene travolta dall'annullamento ex art. 105, comma 1, c.p.a. della sentenza appellata), dall'altro lato al ritenuto carattere endo-procedimentale dell'atto suindicato, che lo renderebbe insuscettibile di ledere gli interessi della ricorrente (profilo in ordine al quale, per la sua autonomia rispetto al primo, occorre pronunciarsi nella presente sede). Ebbene, premesso che anche l'impugnazione del verbale suindicato mira al soddisfacimento dell'interesse della appellante all'utilizzo dell'autorimessa in condizioni di sicurezza, il quale non può non ritenersi leso da un atto attestativo del rispetto delle relative prescrizioni tecniche per ipotesi illegittimamente adottato, occorre in senso contrario alla sentenza appellata evidenziare che esso conclude il procedimento che il responsabile dell'attività oggetto di controllo di sicurezza antincendio deve avviare ai fini dello svolgimento della stessa, anche laddove non sia necessario introdurre modifiche progettuali in vista dell'ottenimento della deroga a causa dell'impossibilità di osservare determinate prescrizioni di sicurezza. Siffatto procedimento è disciplinato dall'art. 4, comma 1, d.P.R. n. 151/2011, ai sensi del quale "per le attività di cui all'Allegato I del presente regolamento, l'istanza di cui al comma 2 dell'articolo 16 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, è presentata al Comando, prima dell'esercizio dell'attività, mediante segnalazione certificata di inizio attività, corredata dalla documentazione prevista dal decreto di cui all'articolo 2, comma 7, del presente regolamento. Il Comando verifica la completezza formale dell'istanza, della documentazione e dei relativi allegati e, in caso di esito positivo, ne rilascia ricevuta". Dispone inoltre il comma 2 del medesimo articolo che "per le attività di cui all'Allegato I, categoria A e B, il Comando, entro sessanta giorni dal ricevimento dell'istanza di cui al comma 1, effettua controlli, attraverso visite tecniche, volti ad accertare il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione degli incendi, nonché la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio. I controlli sono disposti anche con metodo a campione o in base a programmi settoriali, per categorie di attività o nelle situazioni di potenziale pericolo comunque segnalate o rilevate. Entro lo stesso termine, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti per l'esercizio delle attività previsti dalla normativa di prevenzione incendi, il Comando adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi dalla stessa prodotti, ad eccezione che, ove sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa antincendio e ai criteri tecnici di prevenzione incendi detta attività entro un termine di quarantacinque giorni. Il Comando, a richiesta dell'interessato, in caso di esito positivo, rilascia copia del verbale della visita tecnica". Ebbene, non può non osservarsi che, a differenza di quanto ritenuto dal T.A.R., l'atto conclusivo del procedimento di verifica tecnica ha natura provvedimentale, attestando l'esito positivo dei controlli di sicurezza antincendio posti in essere dall'Amministrazione a seguito della presentazione della S.C.I.A. da parte dell'interessato, nell'esercizio di una tipica attività di carattere tecnico-discrezionale, formalizzando la conclusione del procedimento in senso favorevole al suo promotore. 9. In conclusione, quindi, la sentenza appellata deve essere annullata e la causa rimessa dinanzi al T.A.R. per la Campania ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., restando impregiudicata ogni altra valutazione in rito - diversa da quelle compiute da questa Sezione - e nel merito. 10. Derivando l'esito di questo grado di giudizio da un error in procedendo del giudice di primo grado, sussistono giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello n. 8671/2022, lo accoglie, nei limiti precisati in motivazione, e per l'effetto annulla la sentenza appellata, rimettendo la causa dinanzi al T.A.R. per la Campania ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a.. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Greco - Presidente Ezio Fedullo - Consigliere, Estensore Giovanni Tulumello - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere Raffaello Scarpato - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10519 del 2018, proposto da Sa. Ga. e Lu. Br., rappresentati e difesi dall'avvocato Cl. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suddetto avvocato, con studio in Roma, Via (...); contro Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Se. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sede dell'avvocatura capitolina, sita in Roma, via (...); per l'annullamento dei provvedimenti n. QI/1736/2017, prot. QI/189665/2017, SC 752436/31401 e n. QI/1736/2017, prot. QI/189665/2017, SC 752428/31400 nonché di ogni altro atto prodromico, successivo o consequenziale a quelli impugnati, ancorché non conosciuti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del 17 maggio 2024 il dott. Luca Pavia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Il 7 dicembre 2004 il Signor Ga. presentò un'istanza di condono, ai sensi della legge 24 novembre 2003 n. 326 e della legge regionale 8 novembre 2004 n. 12, per sanare la realizzazione di un manufatto a uso abitativo di circa 28 mq sito nel proprio giardino, la quale venne però respinta il 28 dicembre 2017. 2. Il provvedimento de quo venne impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica successivamente trasposto in sede giurisdizionale, a seguito dell'opposizione della resistente. 3. Il 19 novembre 2018 si costituì l'amministrazione resistente con una comparsa di stile. 4. All'udienza camerale del 16 gennaio 2016 i ricorrenti rinunciarono all'istanza cautelare. 5. In prossimità dell'udienza di merito le parti hanno depositato documenti, memorie conclusionali e di replica nei termini di rito. 6. All'udienza straordinaria di smaltimento del 17 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio. 7. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti censurano la tardività del provvedimento impugnato e il conseguente accoglimento, per silentium, dell'istanza di condono. Il motivo è infondato. Ai sensi dell'articolo 32, comma 37, del d.l. 269/03 convertito dalla legge 326/03 "Il pagamento degli oneri di concessione, la presentazione della documentazione di cui al comma 35, della denuncia in catasto, della denuncia ai fini dell'imposta comunale degli immobili di cui al decreto legislativo. 30 dicembre 1992, n. 504, nonché, ove dovute, delle denunce ai fini della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e per l'occupazione del suolo pubblico, entro il 31 ottobre 2005, nonché il decorso del termine di ventiquattro mesi da tale data senza l'adozione di un provvedimento negativo del comune, equivalgono a titolo abilitativo edilizio in sanatoria. Se nei termini previsti l'oblazione dovuta non è stata interamente corrisposta o è stata determinata in forma dolosamente inesatta, le costruzioni realizzate senza titolo abilitativo edilizio sono assoggettate alle sanzioni richiamate all'articolo 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e all'articolo 48 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380". La disposizione è stata ulteriormente precisata dall'articolo 6, comma 3, della legge regionale del Lazio n. 12 del 2004, a mente del quale "La presentazione della domanda e della relativa documentazione, il pagamento degli oneri concessori e dell'oblazione, la presentazione delle denunce di cui all'articolo 32, comma 37, del d.l. 269/2003 e successive modifiche, con le modalità e nei termini previsti dalla normativa vigente, nonché la mancata adozione di un provvedimento negativo del comune entro i trentasei mesi dalla data di scadenza del versamento della terza rata relativa agli oneri concessori prevista dall'articolo 7, comma 2, lettera b), numero 2), equivalgono a titolo abilitativo edilizio in sanatoria. In tal caso l'avvenuta formazione del silenzio assenso sulla richiesta di concessione edilizia in sanatoria può essere attestata mediante il deposito al protocollo dell'ufficio comunale competente di una dichiarazione asseverata redatta da un tecnico abilitato che attesti, sotto la propria responsabilità, l'esistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi, la regolarità della domanda e di tutti gli adempimenti conseguenti. Entro i successivi trenta giorni l'amministrazione competente, su richiesta dell'interessato, deve provvedere ad inviare il calcolo del conguaglio dell'oblazione e degli oneri concessori dovuti a saldo". Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che le disposizioni de quibus devono essere lette unitamente all'art. 32, comma 35, il quale indica espressamente i documenti che devono essere allegati all'istanza di sanatoria: per la formazione del silenzio-assenso sull'istanza di condono edilizio, è, infatti, necessario "non solo che sia stato completato il pagamento dell'oblazione dovuta e degli oneri concessori, ma anche che la domanda sia completa di tutta la documentazione, affinché possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica da parte dell'amministrazione comunale sia in ordine alla ammissibilità del condono che alla corretta determinazione della misura dell'oblazione da versare, con la conseguenza che l'assenza di completezza della domanda di sanatoria osta alla formazione tacita del titolo abilitativo" (ex multis Consiglio di Stato, sezione II, 10 maggio 2021, n. 3684, e giurisprudenza ivi richiamata). Ma ciò che qui più rileva è che, per giurisprudenza pacifica, non è comunque "configurabile la formazione del provvedimento tacito di assenso su domande di sanatoria edilizia relative ad interventi realizzati in aree sottoposte a vincoli paesaggistici" (ex multis T.A.R. Lazio, Roma sez. IV, 26 ottobre 2023, n. 15918). Ebbene, poiché nel caso di specie non è oggetto di contestazione che l'area su cui è stato realizzato l'abuso sia sottoposta a vincolo ai sensi dell'art. 134, comma 1, lett. a), del d.lgs. 42/04. Pertanto il mero decorso del tempo è inidoneo a configurare un legittimo affidamento in capo all'istante, ragione per cui il motivo è infondato e deve essere respinto. Deve solo aggiungersi che il vincolo sussisteva già quanto meno nel 2004, per stessa ammissione dei ricorrenti; tanto bastava per impedire il formarsi del silenzio assenso. Si evidenzia, infine e per ragioni di completezza, che neppure il richiamo effettuato dai ricorrenti alla decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 17 ottobre 2017, n. 8 è pertinente, in quanto la controversia allora esaminata aveva a oggetto l'annullamento di un titolo edilizio espresso mentre nel caso in esame non esiste alcun titolo abilitativo né è possibile rinvenire un legittimo affidamento in capo ai ricorrenti, atteso che, per giurisprudenza pacifica, "in tema di costruzioni abusive, la mera inerzia della pubblica amministrazione nella repressione degli abusi edilizi, non è idonea a legittimare un affidamento giuridicamente rilevante in ordine al mantenimento dell'abuso" (ex multis T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 1° agosto 2023, n. 1877). 8. Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti censurano la violazione e falsa applicazione dell'art. 32, commi 26 e 27, della l. 326/2003 nonché dell'art. 3, comma 1, lett. b, della l.r. Lazio 12/04: a loro dire, infatti, come accennato in precedenza, l'opera da condonare sarebbe stata realizzata prima dell'apposizione del vicolo (2004); senza contare che la regione non potrebbe neppure incidere negativamente sulla disciplina del condono qualora correlata ai vincoli previsti all'art. 136, lett. a) e b), in quanto essi sarebbero di esclusiva competenza statale. La censura è stata ulteriormente approfondita nel successivo motivo di ricorso in cui i ricorrenti sostengono che le opere de quibus sarebbero sanabili, ai sensi dell'articolo 32 legge 47 del 1985, anche se realizzate su aree vincolate, previo, ovviamente, parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo. Il motivo è infondato. L'art. 32, comma 26, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 sancisce che sono "suscettibili di sanatoria edilizia le tipologie di illecito di cui all'allegato 1: a) numeri da 1 a 3, nell'ambito dell'intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma 27 del presente articolo, nonché 4,5 e 6 nell'ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47; b) numeri 4, 5 e 6, nelle aree non soggette ai vincoli di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in attuazione di legge regionale, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con la quale è determinata la possibilità, le condizioni e le modalità per l'ammissibilità a sanatoria di tali tipologie di abuso edilizio" Il successivo comma 27, lett d) del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 prevede, invece, che non siano sanabili le opere abusive "realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici". Ciò posto, la recente giurisprudenza, anche di questo TAR, ha avuto modo di chiarire che "l'applicabilità del c.d. terzo condono in riferimento alle opere realizzate in zona vincolata è limitata alle sole opere di restauro e risanamento conservativo o di manutenzione straordinaria, su immobili già esistenti, se ed in quanto conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (ex multis Consiglio di Stato sez. VI, 14 ottobre 2022, n. 8781; Cassazione penale sez. III, 24 giugno 2020, n. 26524 e T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 6 giugno 2022, n. 7282). Con la previsione generale di cui all'art. 32, comma 27, lett. d), d.l. n. 269/2003, il legislatore ha dunque disciplinato, "ai fini del condono edilizio, l'ipotesi di tutte le costruzioni effettuate in siti vincolati e come tali riflettenti la disciplina vincolistica della zona su cui insistono. La distinzione tra vincoli assoluti e relativi non rileva ai fini della condonabilità delle opere, stante il chiaro disposto legislativo che non ha fatto cenno alla stessa; la norma, infatti, richiama (in modo indifferenziato) opere che siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali" (ex multis T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 3 ottobre 2023, n. 5376). In base all'art. 32, comma 26, d.l. n. 269/2003, convertito in l. n. 326/2003, non sono, quindi, "suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai numeri 1, 2 e 3 dell'allegato 1 alla citata legge (c.d. abusi maggiori), realizzati su immobili soggetti a vincoli, a prescindere al fatto che (e anche se) si tratti di interventi conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti al momento dell'edificazione e al fatto che il vincolo non comporti l'inedificabilità assoluta dell'area. Difatti, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, tra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se, oltre al ricorrere delle ulteriori condizioni - e cioè che le opere siano realizzate prima dell'imposizione del vincolo, che siano conformi alle prescrizioni urbanistiche e che vi sia il previo parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo - siano opere minori, senza aumento di superficie e volume (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria). Pertanto, un abuso comportante la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in area assoggettata a vincolo, indipendentemente dal fatto che il vincolo non sia di carattere assoluto, non può essere sanato" (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 5 ottobre 2023, n. 5412). Inoltre, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. b) della legge regionale del Lazio n. 12/04 non sono neppure sanabili le opere abusive "realizzate, anche prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all'interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali". Con la disposizione de qua legislatore regionale ha dunque introdotto, nell'esercizio delle proprie prerogative, una disciplina di maggior rigore che non rende sanabili le opere che determinano un aumento di volume e di superficie realizzate anche prima dell'apposizione del vincolo. Ciò posto, occorre ribadire il costante indirizzo giurisprudenziale, più volte condiviso dal Collegio, secondo il quale "il condono previsto dall'art. 32 del decreto legge n. 269 del 2003 è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 del citato decreto (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l'area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti" (ex multis, T.A.R. Lazio, Roma, sez. IV-ter, 19 luglio 2023, n. 12153); in tali ipotesi, "è legittimo il diniego di condono disposto in assenza del parere dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo, in quanto il decreto-legge n. 269 del 2003 esclude in via generale la sanabilità delle opere abusive oggetto del terzo condono nelle zone vincolate" (Consiglio di Stato, sez. VI, 11 ottobre 2021, n. 6827). Ne consegue che "soltanto se fossero state assenti le condizioni ostative indicate nel sopra riportato art. 32 del citato decreto-legge n. 269 del 2003, l'amministrazione comunale avrebbe dovuto necessariamente chiedere il parere dell'organo tenuto per valutare la possibilità di rilasciare all'interessato un provvedimento favorevole", ossia quello preposto alla tutela del vicolo (Consiglio di Stato, sez. VI, 9 giugno 2022, n. 4685). Ebbene, come precedentemente evidenziato, non è oggetto di contestazione tra le parti che l'area su cui è stato realizzato l'abuso sia sottoposta a vincolo ai sensi dell'art. 134, comma 1, lett. b), del d.lgs. 42/04 A ciò si aggiunga che l'opera non può neppure essere sussunta nel novero degli interventi di minore importanza posto, che, per stessa ammissione dei ricorrenti, l'intervento ha comportato la realizzazione di un manufatto di 22,71 mq di s.u.r. e 8,85 mq. s.n. r.. Di conseguenza non avrebbe dovuto essere acquisito alcun parere in ordine alla compatibilità dell'opera in questione con il vincolo rilasciato dall'Amministrazione preposta alla sua tutela. 9. In conclusione, alla luce di quanto esposto, il ricorso è infondato e deve essere respinto. 10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite che quantifica in euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17 maggio 2024 svoltasi da remoto ex art. 87 comma 4-bis cod. proc. amm., con l'intervento dei magistrati: Rita Tricarico - Presidente Silvio Giancaspro - Primo Referendario Luca Pavia - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7748 del 2020, proposto da Ca. Pi., rappresentato e difeso dall'avvocato con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. No., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fr. Gi. in Roma, via (...); Or. Pi., rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. No., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fr. Gi. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Em. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Terza n. 00948/2020, resa tra le parti, Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti appellanti l'avvocato Ma. No.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in esame le odierne parti appellanti impugnavano la sentenza n. 948 del 2020 del Tar Campania, recante rigetto dell'originario gravame, proposto dalle stesse parti al fine di ottenere l'annullamento dell'ordinanza del Comune di (omissis) n. 6573 del 19 ottobre 2015, avente ad oggetto il rigetto della domanda di concessione edilizia in sanatoria, ai sensi del D.L. 269/2003, convertito con modificazioni dalla legge 326/2003 (c.d. terzo condono). 1.1 In particolare, il diniego si basava sui seguenti elementi: "1. ai sensi della L. 326/03, art. 32, comma 26, lettera a, in combinato con il comma 27, lettera d) (vedasi Corte di Cassazione /Sezione III Penale, 21/12/2004, n. 48956), in quanto l'abuso risulta realizzato su immobile soggetto a vincoli dalla L. 1497/39, oggi D. Lgs. 42/04, a tutela di interessi ambientali, istituiti prima della esecuzione di dette opere e non è conforme alle norme urbanistiche e alle prescrizioni del P.R.G.; 2. ai sensi della L. 47/85 art. 33, comma 1, lettera a e della L. 326/03, art. 32, comma 26, lettera a in combinato con comma 27, lettera d, in quanto le opere oggetto di condono sono state realizzate in ambito P.T.P. in zona R.U.A (art. 13 delle Norme di Attuazione del P.T.P.) sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta (L. 431/85) prima della realizzazione delle opere, entro la quale è "vietato qualsiasi intervento che comporti incremento dei volumi esistenti."; 3. ai sensi della L. 326/03, art. 32, comma 26, lettera a, in combinato con il comma 27, lettera d); in quanto le opere oggetto di condono non sono suscettibili di sanatoria quando sono in contrasto con i vincoli imposti dalla L.R. 07/12/1994 N. 8 a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere istituiti prima della esecuzione di dette opere e dalla L. 326/03 "siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere,.in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (realizzati in zona soggetta a vincolo idrogeologico)". 2. All'esito del giudizio di prime cure il Tar condivideva i motivi di diniego, rigettando le censure dedotte. Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i seguenti motivi di appello sull'erroneità della sentenza: - violazione dell'art. 32 l. 47 del 1985, difetto di istruttoria; - violazione della l.r. 13 del 1993 e delle norme urbanistiche, diversi profili di eccesso di potere; - violazione della disciplina urbanistico edilizia e paesaggistica in relazione alla consistenza dei manufatti; - analoghi vizi per genericità dell'ingiunzione; - mancata applicazione del silenzio assenso; - omessa pronuncia e violazione dell'art. 112 c.p.c. Il Comune appellato si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell'appello. 3. Alla pubblica udienza del 16 maggio 2024 la causa passava in decisione. 4. L'appello è infondato nel merito, con conseguente superamento dell'eccezione di inammissibilità in base al consolidato principio di economia processuale. 5. In linea di fatto, è pacifica la consistenza delle opere e il carattere vincolato della zona interessata. 5.1 Sul primo versante, nell'ambito del complesso immobiliare, sito in (omissis) alla via (omissis), venivano realizzate, in assenza di titolo autorizzativo, le seguenti opere, tutte al servizio del camping denominato "Sp.", gestito dagli stessi interessati: un manufatto terraneo ad uso ufficio e ricezione clienti; tre bungalows in legno; una tettoia in ferro destinata a stenditoio. 5.2 Sul secondo versante, trattasi di zona vincolata; infatti, il Comune di (omissis) è soggetto al vincolo di cui al D.M. per i BB.AA.AA. del 27.10.1961, che lo ha impresso su tutto il territorio comunale per le finalità di tutela paesaggistica di cui alla L. n. 1497/1939 sulle c.d. bellezze naturali nonché alla L. n. 431/1985. Tale vincolo è pertanto antecedente alla realizzazione delle opere abusive oggetto dell'istanza di condono rigettata. 6. Sulla scorta di tali presupposti, va fatta applicazione dei principi già espressi da questo Consiglio di Stato (anche con specifico riferimento al contenzioso in materia di terzo condono nel territorio del Comune di (omissis): v. Consiglio di Stato, sez. VI, 15/3/2024, n. 2559 e la giurisprudenza ivi richiamata). 6.1 In linea generale, in tema di abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, il condono previsto dall'art. 32 d.l. n. 269 del 2003 (convertito, con modificazioni, dalla l. n. 326 del 2003) è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 del citato D.L. (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l'area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 14/10/2022, n. 8781). 6.2 Il ruolo del legislatore regionale, "specificativo - all'interno delle scelte riservate al legislatore nazionale - delle norme in tema di condono, contribuisce senza dubbio a rafforzare la più attenta e specifica considerazione di quegli interessi pubblici, come la tutela dell'ambiente e del paesaggio, che sono - per loro natura - i più esposti a rischio di compromissione da parte delle legislazioni sui condoni edilizi" (cfr. ad es. sentenze nn. 181 del 2021, 49 del 2006 e 208 del 2019). Dalla giurisprudenza costituzionale esaminata emerge: da un lato, il carattere sicuramente più restrittivo del terzo condono rispetto ai precedenti, in ragione dell'effetto ostativo alla sanatoria anche dei vincoli che comportano inedificabilità relativa; da un altro lato, il significativo ruolo riconosciuto al legislatore regionale, al quale - ferma restando la preclusione all'ampliamento degli spazi applicativi del condono - è assegnato il delicato compito di rafforzare la più attenta e specifica considerazione di interessi pubblici, come la tutela dell'ambiente e del paesaggio. 6.3 Le opere per cui è stato chiesto il condono rientrano nella tipologia n. 1, stante l'incremento di superficie e di ingombro, e, sulla base di quanto stabilito dall'art. 32, comma 27 L. 326/03 (alla luce del quale va intesa anche la normativa regionale attuativa), l'abuso non è in radice suscettibile di sanatoria, in quanto ricadente in area vincolata; ciò anche nel caso in cui fosse stata realizzata in epoca antecedente l'imposizione del vincolo. Ai fini della disciplina speciale dettata dall'art. 32 cit. risulta inoltre irrilevante la natura relativa o assoluta del vincolo. 6.4 Invero, premessa in generale la pacifica natura eccezionale e di stretta interpretazione della normativa sul condono tale da escluderne l'applicabilità in termini estensivi (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. V 3 giugno 2013 n. 3034 e sez. VI 12 ottobre 2018 n. 5892), quanto sin qui evidenziato rende prima facie manifestamente infondata anche ogni altra censura dedotta. 7. In dettaglio, rispetto al primo motivo, va ribadito che, in virtù della specialità del procedimento di condono edilizio rispetto all'ordinario procedimento di rilascio della concessione edilizia, considerando anche l'assenza di una specifica previsione in ordine alla necessità del parere della commissione edilizia, il parere della stessa in tale procedimento deve essere considerato facoltativo (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 21/02/2023, n. 1787). 8. Rispetto al secondo motivo, la disciplina evocata non attiene alla previa necessaria legittimazione urbanistico edilizia, specie in ambito soggetto a vincolo paesaggistico. 9. In ordine al terzo motivo, circa la qualificazione delle opere, va ribadito che in linea generale, al fine di valutare l'incidenza sull'assetto del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto - specie in ambito soggetto a specifica tutela vincolistica - un apprezzamento globale, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprenderne in modo adeguato l'impatto effettivo complessivo, con la conseguenza che i molteplici interventi eseguiti non vanno considerati, dunque, in maniera "frazionata" (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 08/09/2021, n. 6235). 9.1 In definitiva, risulta corretta la qualificazione fatta propria dall'amministrazione e condivisa dal Giudice di prime cure; le opere abusive accertate, realizzate in zona vincolata nei termini predetti, hanno dato luogo ad un intervento di rilevante impatto, correttamente considerato in termini unitari anche a fronte della incisività su di un'area soggetta a specifica tutela, come desumibile dalla chiara ricostruzione posta a base della statuizione contestata, rientrante nelle categorie escluse dal c.d. terzo condono. 10. In relazione al quarto motivo, va ribadito che l'attività di repressione degli abusi edilizi tramite l'emissione dell'ordine di demolizione costituisce attività di natura vincolata, dove la stessa non è assistita da particolari garanzie partecipative, tanto da non ritenersi necessaria la previa comunicazione di avvio del procedimento agli interessati (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 05/04/2022, n. 2523). Il provvedimento con cui viene ingiunta la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso neanche nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino. 11. In relazione al quinto motivo, va ribadito che il silenzio che si forma per il decorso dei termini sull'istanza di condono edilizio, nell'ipotesi di manufatti su aree soggette a vincoli, non equivale mai ad assenso e nel caso in cui, scaduto il termine, sia sopravvenuto il parere negativo, lo stesso ha valore vincolante e preclude il condono edilizio (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 18/11/2022, n. 10189). 12. In relazione al sesto motivo, va condivisa la conclusione della sentenza impugnata, attesa la piena ostatività degli argomenti sottesi al rigetto dei motivi di diniego opposti. 13. Alla luce delle considerazioni che precedono l'appello è pertanto infondato e va respinto. 14. Le spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, o respinge. Condanna gli appellanti in solido al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore di parte appellata, liquidate in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori dovuti per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere, Estensore Lorenzo Cordà - Consigliere Marco Poppi - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 664 del 2019, proposto da -OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentate e difese dagli avvocati An. Si. Ed. Ba. e Gi. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia; contro Ente di Diritto Pubblico Parco Regionale della Valle del Lambro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pi. Fe. ed En. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. En. Ro. in Milano, Piazza (...); nei confronti del Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Corso di (...); sul ricorso numero di registro generale 1984 del 2019, proposto da -OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentate e difese dagli avvocati An. Si. Ed. Ba. e Gi. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia; contro Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Corso di (...); nei confronti del Parco Regionale della Valle del Lambro, non costituito in giudizio; per l'annullamento - quanto al ricorso n. 664 del 2019: del provvedimento (prot. -OMISSIS-) recante parere ai sensi dell'art. 32 del decreto legge n. 269/2003, reso dal Parco Regionale della Valle del Lambro in data 26.02.2010 sulla istanza presentata dal dante causa delle ricorrenti per la sanatoria di opere eseguite sul fabbricato di proprietà, sito in -OMISSIS- (MB), meglio descritto in atti, nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale; - quanto al ricorso n. 1984 del 2019: del provvedimento ("Protocollo: -OMISSIS-") - avente ad oggetto "Domanda, ai sensi dell'art. 32 del D.L. 269/2003, di definizione degli illeciti edilizi N.-OMISSIS- per l'intervento in sanatoria di eliminazione locale caldaia, chiusura parziale porticato esistente per formazione taverna, realizzazione bagno di servizio in strada della -OMISSIS- n. -OMISSIS- fg. -OMISSIS- mapp. -OMISSIS-.. Diniego definitivo", emesso dal Comune di -OMISSIS- in data 25.07.2019 e notificato in pari data, sulla istanza presentata dal dante causa delle ricorrenti per la sanatoria di opere eseguite sul fabbricato di proprietà, sito in -OMISSIS- (MB), meglio descritto in atti, nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale, ivi incluso il preavviso di diniego; nonché per la condanna del Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore e dei suoi Responsabili, anche in solido tra loro, al risarcimento del danno ingiusto cagionato alle ricorrenti. Visti i ricorsi e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS- e dell'Ente di Diritto Pubblico Parco Regionale della Valle del Lambro; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 maggio 2024 la dott.ssa Silvia Torraca e uditi i difensori della parte ricorrente e del Comune, come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con il ricorso iscritto al N. R.G. 664/2019 -OMISSIS- e -OMISSIS-, quali proprietarie - in forza di successione mortis causa di -OMISSIS- - del fabbricato sito in -OMISSIS-, Strada delle -OMISSIS-, meglio descritto in atti, hanno impugnato il parere negativo reso in data 26.02.2010 dall'Ente Parco Regionale della Valle del Lambro ai sensi dell'art. 32 D.L. 30 settembre 2003, n. 269 (conv. in L. 24 novembre 2003, n. 326) sulla istanza presentata in data 09.01.2004 dal loro dante causa ai fini del condono di opere abusive realizzate nel predetto immobile. Hanno esposto che il Comune era rimasto inerte in relazione alla suddetta istanza e che, solo a seguito di accesso agli atti dalle stesse richiesto dopo il decesso del de cuius, avevano appreso del parere negativo espresso dall'Ente Parco sin dal 2010 e mai comunicato al richiedente. Con il primo motivo di gravame le ricorrenti hanno censurato il suddetto parere in ragione: dell'asserita contraddittorietà rispetto all'autorizzazione edilizia e paesaggistica rilasciata in favore del dante causa per le opere realizzate nel medesimo immobile nel 1997 (di cui quelle successive costituivano mero ampliamento/completamento); della violazione e falsa applicazione dell'art. 32 D.L. 269/2003, non potendo le opere oggetto dell'istanza di sanatoria essere qualificate come "nuova costruzione"; del difetto di istruttoria e del travisamento dei fatti. Con il secondo motivo di ricorso sono state dedotte violazioni di natura procedimentale in relazione all'art. 32, co. 43 D.L. 269/2003 e agli artt. 2, 2-bis e 10-bis l. 241/1990. Si sono costituiti in giudizio il Parco Regionale della Valle del Lambro e il Comune di -OMISSIS-, entrambi deducendo l'inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, appuntandosi lo stesso avverso un atto endoprocedimentale, e l'infondatezza nel merito delle censure ex adverso articolate. 2. Con autonomo gravame (iscritto al N. R.G. 1984/2019) le ricorrenti hanno impugnato il successivo diniego emesso dal Comune di -OMISSIS- sull'istanza di condono edilizio sopra richiamata, chiedendone l'annullamento per i medesimi motivi già articolati avverso il parere negativo del Parco Regionale, oltre alla condanna del Comune, in persona del Sindaco e dei suoi Responsabili, anche in solido tra loro, al risarcimento dei danni cagionati. Si è costituito il solo Comune di -OMISSIS-, richiamando le difese già svolte nel giudizio contraddistinto al N. R.G. 664/2019 e deducendo l'infondatezza della domanda risarcitoria. 3. In vista dell'udienza di discussione le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 73 c.p.a. All'udienza pubblica del 29 maggio 2024 entrambi i ricorsi sono stati trattenuti in decisione. DIRITTO 1. In via preliminare il Collegio dispone d'ufficio la riunione dei ricorsi ex art. 70 c.p.a., in quanto soggettivamente ed oggettivamente connessi, poiché pendenti tra le stesse parti e vertenti, rispettivamente, su un atto endoprocedimentale e sul provvedimento conclusivo del medesimo procedimento, dei quali è stato chiesto l'annullamento per identici motivi. 2. Ciò premesso, deve in primo luogo essere dichiarata l'inammissibilità per carenza di interesse del ricorso iscritto al N. R.G. 664/2019, avendo lo stesso ad oggetto un atto di natura endoprocedimentale, come tale privo di efficacia lesiva. Come ben evidenziato da Cons. Stato, Sez. V, Sent., 10/02/2004, n. 480, infatti, "la determinazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico trova comunque origine nell'avvio di un procedimento edilizio partitamene disciplinato, anche nelle sue diverse scansioni temporali. L'atto assume una valenza esterna nella parte in cui esprime la valutazione compiuta dell'amministrazione in ordine agli interessi affidati alla sua cura. Ma la concreta lesività del provvedimento si manifesta solo nel momento in cui esso è trasposto o richiamato nell'atto finale che definisce la domanda di sanatoria edilizia (Cons. Stato, V Sez. 20 marzo 2000, n. 1511; Cons. Stato, VI Sez., 28 gennaio 1998, n. 114). In tal senso si pone anche una generale esigenza di tutela dell'affidamento del privato, considerando che l'atto dell'autorità titolare del potere di tutela del vincolo è denominato parere e che l'assetto di interessi complessivo riguardante la richiesta di sanatoria è sintetizzato e delineato compiutamente solo dal provvedimento dell'autorità comunale". Nel caso di specie, parte ricorrente ha impugnato il parere negativo reso dall'Ente Parco in un momento in cui il Comune non aveva ancora concluso il procedimento relativo all'istanza di sanatoria; una volta che tale procedimento è stato definito mediante l'emanazione del provvedimento di diniego dell'istanza - adottato dal Comune in data 25.07.2019 - le odierne ricorrenti hanno tempestivamente proposto autonomo ricorso avverso quest'ultimo, il quale costituisce l'unico provvedimento lesivo della loro situazione giuridica. 3. Passando all'esame del ricorso contraddistinto al N. R.G. 1984/2019, va osservato quanto segue. 3.1. Con il primo motivo si contesta la qualificazione di "nuova costruzione" assegnata alle opere oggetto della richiesta di sanatoria, con conseguente violazione dell'art. 3 D.P.R. 380/2001, e si deduce il difetto motivazionale del provvedimento impugnato, atteso che "non solo il porticato esterno dell'immobile di Via della -OMISSIS- era già stato parzialmente chiuso per ricavare dei vani tecnici (e detto intervento assentito, pur in costanza del vincolo paesaggistico), ma detta circostanza era altresì già nota alla P.A., la quale disponeva della documentazione comprovante lo stato di fatto autorizzato ed assentito". 3.2. La censura è infondata. 3.3. È pacifico che le opere abusivamente realizzate consistessero nella eliminazione del locale caldaia, nella (ulteriore) chiusura parziale del porticato (da un lato con muratura, dall'altro con basculante) ai fini della formazione di una taverna e nella realizzazione di un bagno di servizio interno. Ciò posto, non può condividersi la tesi di parte ricorrente secondo cui le suddette opere non integrerebbero una nuova costruzione, esaurendosi in un mero "ampliamento/completamento" di quelle assentite nel 1997: e ciò, in primo luogo, perché l'autorizzazione alla realizzazione di determinate opere non ne legittima automaticamente il relativo ampliamento (tanto più ove si consideri la consistenza dell'intervento de quo, che ha comportato la creazione di nuova volumetria - 38 mq - e superficie utile, ossia una trasformazione urbanisticamente rilevante dell'assetto edilizio preesistente, necessitante del previo rilascio del permesso di costruire) e, in secondo luogo -e per quanto qui maggiormente interessa- perché tale conclusione risulta inficiata nei presupposti, posto che all'epoca del rilascio della autorizzazione relativa alle prime opere (1997) non sussisteva il vincolo del Piano Territoriale di Coordinamento del Parco, approvato con deliberazione di Giunta Regionale n. 7/601 del 28 luglio 2000, rettificata con D.G.R. n. 7/6757 del 9 novembre 2001. Dirimente risulta, dunque, la circostanza che le opere di cui è controversia - essendo state ultimate in data 29 marzo 2003 - fossero assoggettate all'imposizione del predetto vincolo. Come è noto, infatti, l'art. 32, co. 27 D.L. 269/2003 cit. stabilisce che "...le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora:... d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici". 3.4. Ad avviso di parte ricorrente, "la sanabilità delle opere realizzate in zona vincolata è da escludere solo se si tratti di vincolo di inedificabilità assoluta (divieti di edificazione o prescrizioni di inedificabilità ex art. 33 legge n. 47 del 1985) e non anche nella diversa ipotesi di vincolo di inedificabilità relativa, ovvero di vincolo di tutela suscettibile di essere rimosso mediante un giudizio ex post di compatibilità delle opere da sanare da parte della competente autorità (ad es. cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 696 del 4.5.1995). Sul punto, si ribadisce che l'area in questione è edificata, ad esempio con l'immobile delle ricorrenti, dunque non può discutersi di inedificabilità assoluta". 3.5. Tale tesi non merita condivisione. Secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (v., da ultimo, Sez. VI, 12/12/2023, n. 10697), "ai sensi dell'art. 32, comma 27, lett. d), del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli sono sanabili solo se, oltre al ricorrere delle ulteriori condizioni - e cioè che le opere siano realizzate prima dell'imposizione del vincolo, che siano conformi alle prescrizioni urbanistiche e che vi sia il previo parere dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo - siano opere minori senza aumento di superficie e volume (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria). Pertanto, un abuso comportante la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in area assoggettata a vincolo, indipendentemente dal fatto che il vincolo non sia di carattere assoluto, non può essere sanato (Cons. Stato, sez. VI, 15/11/2022, n. 9986)". Ne deriva che, a prescindere dalla natura relativa o assoluta del vincolo paesaggistico insistente sull'area, l'opera in concreto realizzata (come visto, tamponatura del porticato esistente e creazione di un bagno di servizio interno, con aumento di superficie di circa 38 mq) non era sanabile, non essendo riconducibile alle c.d. opere minori di cui ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 al D.L. 269/2003 (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria). 3.6. Del pari privo di pregio è l'assunto di parte ricorrente secondo cui l'intervento di cui è causa non potrebbe qualificarsi in termini di "nuova costruzione" neppure ai sensi dell'art. 3, co. 1, lett. e.6) D.P.R. 380/2001 "atteso il modesto aumento volumetrico ricavato dalla parziale chiusura del porticato (38 mq) e quindi ben inferiore al limite del 20% condonabile". Nel caso di specie, l'intervento effettuato è consistito nella tamponatura di un originario portico, di fatto trasformandolo in un vano chiuso. Secondo la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato (v. da ultimo, sez. II, 1 settembre 2021, n. 6186) "l'installazione di pannelli in vetro atti a chiudere integralmente un porticato che si presenti aperto su tre lati, determina, senz'altro, la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente incremento della preesistente volumetria" (v. ex multis Cons. Stato, sez. II, 27 giugno 2019, n. 4437; sez. V, 5 maggio 2016, n. 1822). L'intervento, cioè, va riguardato dall'ottica del risultato finale, ovvero il rilevato aumento di superficie e di volumetria, sia che ciò consegua alla chiusura su tutti i lati, sia che ne implichi anche la copertura, pure con superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili. La avvenuta realizzazione di un vano aggiuntivo mediante tamponatura di un portico non può neppure qualificarsi come pertinenza in senso urbanistico, in quanto integra un nuovo locale autonomamente utilizzabile il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie". 4. Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente ha censurato la violazione delle garanzie procedimentali previste dalla l. 241/1990, attesa la tardiva conclusione del procedimento (avvenuta a distanza di quindici anni dalla presentazione dell'istanza di condono) nonché l'omessa tempestiva comunicazione, da parte del Comune, del parere negativo reso ai sensi dell'art. 32 D.L. 269/2003 dal Parco Regionale della Valle del Lambro (conosciuto dalle ricorrenti solo nove anni più tardi e a seguito di istanza di accesso agli atti dalle stesse avanzata), con conseguente lesione del legittimo affidamento ingenerato nel privato. 4.1. Il motivo non è suscettibile di favorevole apprezzamento. Soccorrono sul punto le conclusioni formulate da Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 9, secondo cui "la mera inerzia da parte dell'amministrazione nell'esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l'edificazione sine titulo) è sin dall'origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere "legittimo" in capo al proprietario dell'abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata". Secondo la giurisprudenza consolidata, in particolare, i provvedimenti che sanzionano l'attività edilizia abusiva - ivi compresi i dinieghi di sanatoria - sono atti vincolati che non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né ancora alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare, e non potendo l'interessato dolersi del fatto che l'amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi; "sicché è legittima e doverosa l'adozione del provvedimento di diniego del condono anche quando sia trascorso un lungo periodo di tempo dalla presentazione dell'istanza, senza necessità di una specifica motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse, ulteriori rispetto a quelle inerenti al ripristino della legittimità violata" (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 3 aprile 2023, n. 1103, richiamata da T.A.R. Sicilia, Catania, 30 ottobre 2023, n. 3222). Pertanto, la circostanza che il diniego del Comune sia stato emesso a distanza di ben quindici anni dalla presentazione dell'istanza di condono, non permette di radicare alcun affidamento tutelabile, né per quanto riguarda l'estensione delle categorie della sanatoria, né relativamente alla persistenza del potere di intimare la rimessione in pristino (in tal senso, T.A.R. Brescia, sez. II, 10 luglio 2023, n. 577). 5. Per tutte le ragioni sin qui esposte, il diniego di condono risulta quindi legittimamente adottato. 6. Dalla reiezione della domanda caducatoria discende, quale logico corollario, l'infondatezza della domanda risarcitoria proposta dalle ricorrenti. 7. In conclusione, il ricorso contraddistinto al N. R.G. 1984/2019 deve essere respinto. 8. Tenuto conto della risalenza della controversia nonché della peculiarità della vicenda sotto il profilo procedimentale, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i giudizi. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, previa riunione dei ricorsi indicati in epigrafe, dichiara l'inammissibilità del ricorso N. R.G. 664/2019 e respinge il ricorso N. R.G. 1984/2019. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le ricorrenti. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Gabriele Nunziata - Presidente Silvia Cattaneo - Consigliere Silvia Torraca - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - rel. Consigliere Dott. LIBERATI Giovanni - Consigliere Dott. REYNAUD Gianni F. - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 09/05/2022 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ACETO; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale PRATOLA GIANLUIGI, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; letta la memoria del difensore, AVV. (OMISSIS), che ha concluso insistendo nella richiesta di annullamento della sentenza. Ricorso trattato ai sensi Decreto Legge n. 137 del 2020, ex articolo 23, comma 8. RITENUTO IN FATTO 1.La sig.ra (OMISSIS) ricorre per l'annullamento della sentenza del 09/05/2022 della Corte di appello di Caltanissetta che ha confermato la condanna alla pena di due mesi di arresto e 6.000,00 Euro di ammenda irrogata con sentenza del 22/07/2021 del Tribunale di Enna per il reato di cui all'articolo 81 cpv. c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera b) e articoli 71, 72 e 95, a lei ascritto perche', in assenza di permesso di costruire, dell'autorizzazione dell'autorita' preposta alla tutela del vincolo sismico e della denunzia al competente ufficio del genio civile, aveva demolito un precedente fabbricato in adiacenza e in sua prosecuzione aveva realizzato un immobile e dei muri di contenimento in muratura e cemento, senza la direzione di un tecnico abilitato e in assenza di un progetto esecutivo da questi realizzato. Il fatto e' contestato come commesso in Enna il 23/01/2018. 1.1.Con il primo motivo deduce la violazione e l'erronea applicazione degli articoli 192, 546 e 603 c.p.p., nonche' del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 37, articolo 44, lettera b), articoli 64, 65, 71, 72 e 95 (quest'ultimo in relazione agli articoli 93 e 94), nonche' la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione. Lamenta, in particolare, l'erroneita', in punto di fatto e di diritto, delle conclusioni della Corte di appello siccome ancorate a motivazione sicuramente assertiva che si e' limitata a richiamare il contenuto della nota prot. 17673 del 04/05/2018 del dirigente dell'Area II del Comune di Enna, omettendo di confrontarsi con le ulteriori prove acquisite nel corso dell'istruttoria dibattimentale, atte a comprovare l'applicabilita' al caso di specie del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 37. La sentenza omette di confutare, in particolare, la deduzione difensiva che si trattasse di interventi edilizi di demolizione di un immobile preesistente che non aveva determinato alcun aumento di volumetria o modifica di sagoma rispetto al preesistente legittimamente edificato. Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 37, rimanda all'articolo 22, commi 1 e 2 stesso D.P.R., non al solo comma 1. Apodittico e inconferente e' pertanto il richiamo al comma 1 e non al comma 2 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 22. Il Comune ha opposto il proprio diniego in considerazione degli strumenti urbanistici vigenti all'epoca dell'accertamento ("verde di rispetto"), ritenendo imprescindibile la conformita' dell'immobile al regime autorizzativo contemporaneo all'accertamento stesso. In realta', afferma, si sarebbe dovuto valorizzare il principio per il quale un immobile regolarmente assentito e dotato di tutti i titoli non puo' essere ritenuto irregolare in base a un quadro normativo sopravvenuto alla gia' ottenuta sanatoria. Altrimenti si priva il proprietario dell'immobile del diritto di effettuare interventi di manutenzione aventi quale unico obiettivo la tutela dell'integrita' della costruzione e la conservazione della sua finalita', anche quando non viene alterato l'aspetto esteriore del manufatto. 1.2.Con il secondo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena. CONSIDERATO IN DIRITTO 2.Il ricorso e' inammissibile. 3.Osserva il Collegio: 3.1. dalla lettura della sentenza di primo grado risulta che il 23/01/2018 era stata accertata, in zona sismica, la abusiva realizzazione di un immobile in costruzione e, in sua adiacenza e prosecuzione, dei muri di contenimento; 3.2.1e opere erano state sequestrate dalla polizia giudiziaria; 3.3.in appello, l'imputata aveva negato trattarsi di nuova costruzione perche' i fabbricati in contestazione erano stati oggetto di precedente concessione in sanatoria sicche', in assenza di variazioni significative della volumetria regolarizzata, gli interventi dovevano considerarsi legittimi e non sanzionabili penalmente; la variazione di sagoma, proseguiva, non era stata provata, cosi' come non provate erano le ulteriori volumetrie, con conseguente applicabilita' del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 37; trattandosi di interventi manutentivi effettuati su immobile regolarmente autorizzato, alcuna rilevanza avevano le sopravvenute modifiche del PRG; 3.4.nel disattendere i rilievi difensivi, la Corte di appello ha richiamato il contenuto della nota del 04/05/2018 del dirigente dell'Area 2 del Comune di Enna che aveva escluso che l'intervento in questione potesse essere qualificato come di mera ristrutturazione edilizia siccome non conforme alle nuove previsioni di piano che avevano sottoposto l'area a vincolo urbanistico di "verde di rispetto", oltre al vincolo catasto incendi e a quello idrogelogico; la stessa nota aveva evidenziato che la realizzazione dei muri di contenimento aveva comportato un potenziale aggravio della stabilita' delle pendici; 3.5.di qui la critica della Corte di appello all'invocazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 37, che postula il riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380, articolo 27, cit., che assoggetta a SCIA soltanto gli interventi conformi agli strumenti urbanistici vigenti al momento della realizzazione dell'opera. 4.Tanto premesso, il richiamo al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 22, comma 2 e' del tutto errato. 4.1.L'articolo 22 elenca gli interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio di attivita' (SCIA). Il comma 1, nella versione vigente all'epoca del fatto, cosi' recitava: "Sono realizzabili mediante la segnalazione certificata di inizio di attivita' di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, articolo 19 nonche' in conformita' alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente: a) gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio; b) gli interventi di restauro e di risanamento conservativo di cui all'articolo 3, comma 1, lettera c), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), diversi da quelli indicati nell'articolo 10, comma 1, lettera c". 4.2. Il comma 2 cosi' recitava (e recita): "2. Sono, altresi', realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attivita' le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell'attivita' di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonche' ai fini dell'agibilita', tali segnalazioni certificate di inizio attivita' costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell'intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori". 4.3.La ricorrente lamenta, come detto, l'omessa applicazione dell'articolo 22, comma 2 cit., il quale postula, pero', trattandosi di "varianti", la realizzazione in atto di lavori autorizzati in base a un permesso di costruire del quale la SCIA costituisce parte integrante e che deve essere presentata prima della fine dei lavori. Ne consegue che l'articolo 22, comma 2, non si applica in caso di interventi su immobili gia' ultimati in base a precedenti permessi di costruire che hanno gia' esaurito il loro effetto. 4.4.Sicche', una volta che l'opera sia stata ultimata, potranno essere eseguiti in base a SCIA solo gli interventi elencati dall'articolo 22, cit., comma 1 a condizione che siano conformi non solo agli strumenti urbanistici ma anche alla disciplina urbanistico-edilizia vigenti al momento della realizzazione dell'intervento stesso. Sicche' gli interventi di ristrutturazione edilizia diversi da quelli di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 10, lettera c), possono essere realizzati in base a SCIA purche' conformi agli strumenti urbanistici e alla disciplina urbanistico-edilizia vigenti, dovendosi intendere per "disciplina urbanistica-edilizia" il complesso delle norme del Testo Unico dell'Edilizia che disciplinano (appunto) l'attivita' edilizia in ogni suo aspetto, comprese quelle relative alle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica e quelle che riguardano le costruzioni in zone sismiche. 4.5.Nel caso di specie, come visto, l'area oggetto di intervento non solo era vincolata a verde pubblico, sicche' la ristrutturazione non avrebbe potuto essere realizzata in base a SCIA, ma era soggetta anche vincolo sismico ed era stata realizzata in cemento in totale spregio delle norme che disciplinano tali costruzioni. 4.6.A cio' si aggiunga che le opere di scavo, di sbancamento e di livellamento del terreno, finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli, in quanto incidono sul tessuto urbanistico del territorio, sono sempre assoggettate a titolo abilitativo edilizio (Sez. 3, n. 1308 del 15/11/2016, dep. 2017, Palma, Rv. 268847 - 01; Sez. 3, n. 4916 del 13/11/2014, dep. 2015, Rv. 262475; Sez. 3, n. 29466 del 22/02/2012, Rv. 253154; Sez. 3, n. 8064 del 02/12/2008, dep. 2009, Rv. 242741; Sez. 3, n. 6930 del 27/01/2004, Rv. 227566; Sez. 3, n. 6920 del 21/01/2004, Rv. 227565). Cio' sul rilievo che per "interventi di nuova costruzione" devono intendersi quelli di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, che comportino, cioe', la trasformazione in via permanente del suolo inedificato (Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, comma 1, lettera e), laddove solo i movimenti di terra strettamente pertinenti all'esercizio dell'attivita' agricola non sono soggetti ad alcun titolo abilitativo (Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 6, comma 1, lettera d). 4.7.Allo stesso regime e' soggetta la realizzazione di muri di contenimento trattandosi di manufatti che si elevano al di sopra del suolo e sono destinati a trasformare durevolmente l'area impegnata (Sez. 3. n. 55366 del 21/11/2018, Ferraro, Rv. 274631 - 01; Sez. 3, n. 35898 del 14/05/2008, Russo, Rv. 241075 01; Sez. 3, n. 9096 del 25/05/1984, Capalbo, Rv. 166295 - 01; Sez. 3, n. 8078 del 20/05/1983, Imparato, Rv. 160535 - 01). 4.8.La ricorrente non prende in considerazione la realizzazione dei muri di contenimento, negligendo in tal modo che il regime urbanistico-edilizio delle opere deve essere valutato nella sua interezza ed unicita', con la conseguenza che non puo' mai essere qualificato come "ristrutturazione" un intervento che comporta la contestuale realizzazione di muri di contenimento. 5.11 secondo motivo deduce la violazione dell'articolo 133 c.p. ma di fatto sollecita un inammissibile riesame dei criteri utilizzati dalla Corte di appello per confermare la pena irrogata in primo grado, in tal modo allegando un vizio di motivazione nemmeno esplicitamente illustrato. Qui e' sufficiente prendere atto del fatto che la Corte di appello ha puntualmente spiegato le ragioni della propria decisione, certamente non sindacabile attraverso le deduzioni fattuali proposte dal ricorso. 5.1.Resta, al riguardo, insuperato l'insegnamento di Sez. U, n. 5519 del 21/04/1979, Pelosi, Rv. 142252, secondo il quale e' da ritenere adempiuto l'obbligo della motivazione in ordine alla misura della pena allorche' sia indicato l'elemento, tra quelli di cui all'articolo 133 c.p., ritenuto prevalente e di dominante rilievo, non essendo tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarita' del caso, e' sufficiente che dia l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi (cosi', in motivazione, anche Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo; si veda anche Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013, La Selva). 6.Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso consegue, ex articolo 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa della ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonche' del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PISTORELLI Luca - Presidente Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. CANANZI Francesco - Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. MAURO Anna - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 15/10/2021 della CORTE APPELLO di LECCE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ANNA MAURO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. EPIDENDIO TOMASO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. udito il difensore l'avvocato (OMISSIS), dopo essersi soffermato sul secondo motivo del ricorso presentato, insiste per l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'appello di Lecce, con sentenza del 15 ottobre 2021, in parziale riforma della sentenza resa il 9 luglio 2015 cial Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Brindisi, ha rideterminato, per quanto qui di interesse, riconoscendo la continuazione con altro reato giudicato con sentenza del Tribunale di Brindisi divenuta irrevocabile il 27 maggio 2016, la pena inflitta a (OMISSIS) in anni tre e mesi quattro di reclusione e ridotto le pene accessorie nella misura corrispondente alla pena principale. L'imputato e' stato condannato per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione al fallimento della (OMISSIS) s.r.l. dichiarata fallita il (OMISSIS). Secondo la prospettazione accusatoria, l'imputato, n. q. di socio e amministratore unico della (OMISSIS) s.r.l., in concorso con i propri genitori, (OMISSIS), quale amministratrice unica della (OMISSIS) s.r.l., dal 24 novembre 1988 al 19 agosto 2005, nonche' socia della (OMISSIS) s.r.l. dal 5 agosto 1998 al 25 gennaio 2008, e (OMISSIS), direttore tecnico e amministratore unico dai 10 agosto 2005 sino al fallimento della (OMISSIS) s.r.l., allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, distraevano, di concerto tra loro, i beni aziendali, mobiliari ed immobiliari, appartenenti a tale societa' e/o, comunque, i corrispettivi del contratto di cessione di ramo d'azienda stipulato il 10 maggio 2005 per l'importo pattuito di Euro 194,000,00, avente ad oggetto la pressoche' totalita' del compendio aziendale della predetta societa' nonche' i corrispettivi del contratto di locazione stipulato il 1 aprile 2005, per la durata prevista di sei anni, per un canone annuo di Euro 36.000,00, da pagarsi in rate anticipate mensili di Euro 3000,00; contratti artificiosamente stipulati tra la (OMISSIS) s.r.l., (venditrice di ramo d'azienda in un negozio e locatrice nell'altro) e la (OMISSIS) (acquirente del ramo d'azienda e locataria degli impianti, infrastrutture, mezzi) all'epoca dello stato di decozione e sostanziale dissesto della prima, in quanto gravata da rilevante esposizione debitoria di natura tributaria previdenziale e assistenziale, pari a piu' di due milioni di Euro, in favore della seconda (rappresentata e partecipata dal figlio e dalla moglie del dominus della fallenda); contratti determinanti, per il loro oggetto, la sostanziale definitiva stasi della (OMISSIS), svuotata di ogni bene aziendale idoneo all'impresa sino ad allora svolta, il cui patrimonio, comunque, non vedeva il beneficio dell'ingresso dei corrispettivi previsti dai suddetti illeciti negozi il cui equivalente veniva destinato a ignote finalita'. I Giudici di merito hanno riconosciuto la penale responsabilita' degli imputati in ordine al reato in contestazione. 2. Propone ricorso per cassazione (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore di fiducia, articolando tre motivi tutti proposti a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e). 2.1. Con il primo motivo, lamenta la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione con riferimento alla prova della condotta distrattiva contestata. Deduce che i giudici di secondo grado si sarebbero limitati esclusivamente a riportare in sentenza una serie di elementi che farebbero emergere come la cessione del ramo di azienda e la locazione del capannone sarebbero state operazioni simulate e distrattine rispetto alla massa fallimentare dei beni aziendali e delle somme di danaro della fallita. Gli elementi valorizzati per ritenere fondato l'assunto accusatorio la riconducibilita' di entrambe le societa' all'imputato e alla sua famiglia; la coincidenza della sede sociale di entrambe le societa'; a mancata risoluzione del contratto di affitto nonostante la (OMISSIS) risultasse morosa per oltre Euro 15.000,00 alla data del fallimento, somma mai versata neanche alla curatela in ragione di spese di manutenzione straordinarie per larga parte non giustificate dal punto di vista contabile -sarebbero, pero', ad avviso del ricorrente, frutto di un'errata ricostruzione dei fatti e di una distorta interpretazione degli stessi in quanto dall'analisi delle scritture contabili di entrambe le societa' sarebbe emerso che il corrispettivo per la cessione di azienda era stato corrisposto dalla (OMISSIS) attraverso il versamento quasi quotidiano di somme fino al raggiungimento della quota di Euro 194.000,00. Il suddetto pagamento non solo era consentito dalla legge, ma risultava regolarmente registrato nei mastrini delle rispettive societa' a nulla rilevando il fatto, valorizzato, invece, dalla Corte territoriale, che tali versamenti non fossero stati riportati nel libro giornale essendovi comunque traccia dell'operazione effettuata. Osserva, infine, che la rilevata "drastica riduzione del conto casa attraverso operazioni apparenti di anticipazioni in contanti verso soci" nulla prova in ordine alla sussistenza di una condotta distrattiva e, sul punto, del tutto carente sarebbe la motivazione. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso deduce l'inosservanza e/o erronea applicazione della disposizione di cui all'articolo 649 c.p.p. nonche' la carenza e illogicita' della motivazione nella parte in cui esclude la sussistenza del bis in idem. Nell'odierno procedimento penale, sottolinea il ricorrente, egli e' stato ritenuto responsabile del reato di bancarotta patrimoniale distrattiva in qualita' di socio e amministratore unico della (OMISSIS) s.r.l. (dichiarata fallita il (OMISSIS)), nonostante in un procedimento parallelo, instaurato sempre nei suoi confronti in qualita' di socio e amministratore unico della predetta societa' per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, sia stata resa sentenza di condanna ex articolo 444 c.p.p. divenuta irrevocabile il 27 maggio 2016. Deduce che in quest'ultimo processo gli era stato contestato di aver distratto somme di danaro dal patrimonio della societa' contabilizzando le uscite come anticipazioni diverse e tenuto le scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, non essendo possibile riconoscere l'analitica indicazione dei crediti annotati sul libro giornale e conseguire certezze in merito all'effettivo pagamento della somma di Euro 194.000 per l'acquisizione del ramo di azienda ceduto nel gennaio 2005 dalla (OMISSIS) s.r.l. Secondo il ricorrente vi sarebbe identita' tra tali fatti e quelli oggetto del presente procedimento e tale questione, sollevata dinanzi ai giudici di secondo grado, sarebbe stata, pertanto, erroneamente ritenuta infondata. 2.3. Con il terzo motivo censura l'errata indicazione della pena base per i fatti contestati nell'ambito del presente procedimento ritenuti piu' gravi, senza motivazione, di quelli contestati e accertati con la sentenza sopra richiamata emessa dal Gip presso il Tribunale di Brindisi il 28 aprile 2016. Lamenta ancora l'inosservanza della legge penale con riguardo sia al diniego del beneficio delle attenuanti generiche, sia all'eccessivo aumento di pena per il riconoscimento del vincolo della continuazione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' parzialmente fondato nei limiti appresso indicati. 2. Il ricorrente lamenta con il primo motivo la mancanza di motivazione in relazione alla contestata bancarotta fraudolenta sostenendo sostanzialmente che la sentenza impugnata, pur rifacendosi legittimamente per relationem alla sentenza di primo grado, si limita ad aderirvi in termini del tutto apodittici. Tale censura e' priva di pregio in quanto il ricorrente mostra di non aver letto nella sua interezza la motivazione posta a fondamento della decisione impugnata che non si limita a ritenere l'esaustivita', sia in fatto sia in diritto, della sentenza impugnata, ma, con riferimento a quanto devoluto, specifica ulteriormente, con chiarezza e in modo logico ed esaustivo, le ulteriori ragioni (rispetto a quelle addotte dal giudice di primo grado) per cui deve ritenersi la penale responsabilita' dell'imputato per il deiitto ascrittogli. La Corte d'appello muove dalla considerazione che alla data del 31 dicembre 2004, quando formale amministratrice e titolare di una quota pari al 90% del capitale sociale era (OMISSIS), la (OMISSIS) s.r.l. presentava una grave situazione di indebitamento (descritta nel dettaglio nella sentenza di primo grado e pari a complessivi Euro 1.839.233,50) che non era andata migliorando negli anni successivi; in questa situazione di criticita' la societa' cedeva un ramo di azienda e la quasi totalita' di automezzi, impianti e macchinari necessari allo svolgimento della propria attivita' alla (OMISSIS) s.r.l., amministrata dall'imputato e di cui era socia anche la (OMISSIS); il corrispettivo, che dal contratto risultava pagato in unica soluzione il 10 gennaio 2005, veniva versato, invece, successivamente e in contanti, secondo quanto risulta dai mastrini di cassa, in sedici rate quasi giornaliere; il conto cassa della fallita, quindi, per effetto dei pagamenti, raggiungeva il saldo di Euro 231.000,00 circa per poi ridursi drasticamente, poco dopo e nell'arco di meno di un mese, a circa Euro 8.5989'0,00 per effetto di anticipazioni effettuate a favore dei soci; nello stesso periodo la fallita, quando ancora era amministratrice la (OMISSIS), cedeva in locazione, sempre alla (OMISSIS) s.r.l., il proprio capannone industriale per la durata di anni sei e al canone annuo di Euro 315.000,00, da pagarsi in dodici rate mensili anticipate e versato, inizialmente, in contanti e poi non piu' corrisposto, facendo cosi' maturare un credito a favore della locatrice, che non aveva esercitato il diritto alla risoluzione, convenzionalmente stabilito per il caso di omesso pagamento anche di una sola rata, e che non veniva pagato neanche al curatore avendo addotto, l'odierno imputato, amministratore della societa' conduttrice, di aver fatto eseguire lavori di manutenzione straordinaria, lavori che, pero', non risultavano provati nella loro integrale esecuzione. La (OMISSIS) s.r.l., non disponendo piu' dei mezzi e dell'unita' immobiliare necessari per lo svolgimento della propria attivita', cessava di fatto la propria attivita' dal 2006. La Corte d'appello, quindi, non si e' limitata, come sostenuto dal ricorrente, "a riportare una lista di elementi che farebbero emergere come la cessione del ramo di azienda e la locazione del capannone siano state operazioni simulate e distrattive rispetto alla massa fallimentare (...) e che nulla provano rispetto all'esistenza di una condotta distrattiva", ma piuttosto ha fotografato una serie di situazioni anomale, che si concatenano logicamente tra loro e che hanno pervaso profondamente la realta' societaria tanto da metterne in discussione la concreta operativita' e che giustificano l'epilogo decisorio a cui sono pervenuti entrambi i giudici di merito. La Corte ha esaminato il complesso probatorio contestualizzandone ogni elemento e fondando la propria motivazione su elementi dotati di immediata evidenza dimostrativa della "fraudolenza" del fatto cosi' fornendo un impianto argomentativo consistente, logico e privo di qualunque aporia. Le condotte accertate, al di la' della perdita economica che hanno cagionato alla (OMISSIS) s.r.l., hanno compromesso infatti qualsiasi possibilita' di prosecuzione dell'attivita' della societa' poi fallita, pregiudicando totalmente la prospettiva di un ripianamento della situazione debitoria e ponendosi, quindi, al di fuori di qualsiasi, corretta logica imprenditoriale. E' evidente, pertanto, che la condotta contestata e' stata concretamente pericolosa per la garanzia patrimoniale, situazione di pericolo che, secondo quanto si comprende dalle sentenze di merito - senza che vi sia specifica contestazione del ricorrente sul punto - e' rimasta ferma almeno fino alla soglia costituita dalla sentenza dichiarativa di fallimento, che ha sancito la definitiva rilevanza penale delle attivita' censurate. Il primo motivo e' dunque infondato. 3. Il secondo motivo, concernente la sussistenza del bis in idem rispetto al reato di cui alla sentenza resa dal Giudice per le indagini preliminari di Brindisi del 28 aprile 2016, divenuta irrevocabile il 27 maggio 2016, e' inammissibile. L'imputato sostiene, in particolare, reiterando quanto gia' dedotto in appello, che la circostanza di essere gia' stato processato e condannato, n. q. di amministratore unico della (OMISSIS) s.r.l., per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale in relazione al fallimento di quest'ultima societa', renderebbe improcedibile, ex articolo 649 c.p.p., la contestazione odierna. Il ricorrente, pero', non si confronta minimamente con la motivazione resa dalla Corte distrettuale che, dopo aver posto in evidenza che secondo questa Corte di legittimita', nella sua massima composizione (Sez. U, n. 210:39 del 27/1/2011, Milo, Rv. 249665-01), non sussiste bis in idem neanche quando a seguito di condanna definitiva per bancarotta si apra un nuovo procedimento penale per altre distinte condotte di bancarotta relative alla medesima procedura concorsuale, rileva che, nel caso di specie, la condanna del ricorrente per il reato di bancarotta fraudolenta passata in giudicato inerisce a una procedura concorsuale di altra societa' ossia della (OMISSIS) srl e che cio' esclude in radice la possibilita' di ritenere sussistente il bis in idem. Tale affermazione non solo e' in linea con quanto da tempo ritenuto da questa Corte di legittimita' (Sez. 5, n. 98 del 30/01/1968, Scarinzi, Rv. 107573 - 01 secondo cui "La preclusione che vieta di esercitare l'azione penale per un reatc precedentemente giudicato, presuppone che si proceda contro il medesimo imputato per lo stesso fatto. L'espressione fatto va assunta nel suo significato comune per designare l'elemento materiale del reato. (Nella specie, si e' esclusa l'applicabilita' dell'eccezione di giudicato nei confronti di imputato che, con altra sentenza, era stato condannato per un reato di bancarotta in relazione alla dichiarazione di fallimento di un'altra societa' - distinta ed autonoma da quella di cui al processo in corso - della quale era stato pure amministratore.)", ma fa buon uso di quanto ritenuto dalla piu' recente giurisprudenza di questa Corte e, prima ancora, dal Giudice delle leggi che, con la sentenza n. 200 del 2016, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'articolo 649 c.p.p. per contrasto con l'articolo 117 Cost., comma 1, in relazione all'articolo 4 del Protocollo n. 7 CEDU (secondo cui "Nessuno puo' essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale e' gia' stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato"). La Corte costituzionale in tale sentenza afferma che l'identita' del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato e che per "fatto" deve intendersi "l'accadimento materiale, certamente affrancato dal giogo dell'inquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di un'addizione di elementi la cui selezione e' condotta secondo criteri normativi". In altri termini, non vi e' alcuna ragione logica per concludere che il fatto, pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa all'azione o all'omissione, e non comprenda, invece, anche l'oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, al limite estremo della nozione, l'evento naturalistico che ne e' conseguito, ovvero la modificazione della realta' indotta dal comportamento dell'agente. Orbene, applicando siffatti principi alla situazione qui in esame non puo' che concludersi che si e' in presenza di "fatti" - intesi nell'accezione sopra delineata - differenti tra loro essendo pacifico che la sentenza definitiva per la quale l'imputato e' stato condannato concerne altro fallimento. Ed invero, sebbene le condotte in relazione ai quali detto provvedimento e' stato pronunciato siano in parte sovrapponibili rispetto a quelle per cui e' causa, differenti sono i creditori e differente e' l'offesa arrecata agli interessi patrimoniali di costoro per cui deve escludersi la sussistenza dell'invocato bis in idem. 4. Il terzo motivo e' parzialmente fondato. 4.1. Con riferimento al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche il giudice d'appello, con motivazione concisa, ma chiara e sufficiente ha spiegato le ragioni poste a base della sua valutazione, ragioni che, in quanto frutto di una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita' ove non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione. (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931-01; Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450). La Corte distrettuale, a fondamento del proprio diniego, ha valorizzato la gravita' del fatto e i precedenti penali di cui risulta gravato anche l'odierno ricorrente e tanto basta, attesa l'entita' della pena inflitta, per ritenere assolto l'obbligo di motivazione (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243). Il motivo e' dunque inammissibile in parte qua. 4.2. Il terzo motivo e' invece fondato nella parte in cui si lamenta l'omessa motivazione in ordine alle ragioni per cui e' stato ritenuto piu' grave il reato contestato nel presente procedimento rispetto a quello definito con sentenza resa dal Giudice per le indagini preliminari di Brindisi il 28 aprile 2016. La Corte distrettuale, infatti, si e' limitata ad affermare la maggiore gravita' del reato oggetto del presente procedimento senza fornire alcun elemento a scAtegno di siffatta decisione cosi' venendo meno al suo obbligo motivazionale. Questa Corte, in piu' occasioni, ha affermato il principio secondo cui "In tema di quantificazione della pena a seguito di riconoscimento della continuazione tra diversi reati, il giudice e' tenuto a fornire una congrua motivazione non solo in ordine alla individuazione della pena base, ma anche all'entita' dell'aumento ex articolo 81 cpv. c.p., specie quando questo, pur contenuto nel limite massimo stabilito dalla legge, determini una sperequazione nel trattamento sanzionatorio per le medesime fattispecie di reato". (Ex multis, Sez. 1, n. 21641 del 08/01/2016, Lendano, Rv. 266885). 5. Sotto questo profilo s'impone, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata e il Giudice del rinvio dovra' dare conto dei criteri utilizzati nella individuazione del reato base e nella determinazione dell'aumento di pena per il reato-satellite. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'appello di Lecce. Rigetta il ricorso nel resto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - rel. Consigliere Dott. DAWAN Daniela - Consigliere Dott. CIRESE Marina - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); COMUNE DI (OMISSIS); avverso la sentenza del 17/12/2021 della CORTE APPELLO di POTENZA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. RANALDI ALESSANDRO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. PERELLI SIMONE, che ha concluso chiedendo il rigetto di tutti i ricorsi. E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di MATERA nell'interesse delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), anche in sostituzione del co-difensore avvocato Postiglione Raffaella. Il difensore deposita procura speciale, conclusioni e nota spese di cui chiede l'accoglimento. L'avvocato (OMISSIS) e' altresi' presente in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) del foro di MATERA nell'interesse della parte civile (OMISSIS). Il difensore deposita nomina ex articolo 102 c.p.p., conclusioni e nota spese di cui chiede l'accoglimento. L'avvocato (OMISSIS) e' altresi' presente in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) del foro di MATERA nell'interesse della parte civile (OMISSIS). Il difensore deposita nomina ex articolo 102 c.p.p., conclusioni e nota spese di cui chiede l'accoglimento. L'avvocato (OMISSIS) e' altresi' presente in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) del foro di MATERA nell'interesse della parte civile (OMISSIS). Il difensore deposita nomina ex articolo 102 c.p.p., procura speciale, conclusioni e nota spese di cui chiede l'accoglimento. L'avvocato (OMISSIS) e' altresi' presente in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) del foro di MATERA nell'interesse delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) (in proprio e nella qualita' di genitori del figlio minore (OMISSIS)), (OMISSIS) e (OMISSIS). Il difensore deposita nomina ex articolo 102 c.p.p., conclusioni e nota spese di cui chiede l'accoglimento. L'avvocato (OMISSIS) e' altresi' presente in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) del foro di MATERA nell'interesse della parte civile (OMISSIS). Il difensore deposita nomina ex articolo 102 c.p.p., conclusioni e nota spese di cui chiede l'accoglimento. E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di TARANTO nell'interesse delle parte civili (OMISSIS) (nella qualita' di coniuge di (OMISSIS)) e (OMISSIS) (nella qualita' di germana di (OMISSIS)). Il difensore deposita nomina a difensore e procura speciale per (OMISSIS), conclusioni e nota spese di cui chiede l'accoglimento. L'avvocato (OMISSIS) e' altresi' presente per delega orale dell'avvocato (OMISSIS) nell'interesse delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) nella qualita' di genitori della minore (OMISSIS). Il difensore deposita conclusioni con contestuale istanza di correzione di errore materiale ex articolo 130 c.p.p. (gia' anticipate a mezzo p.e.c.), sentenze di primo e secondo grado e nota spese di cui chiede l'accoglimento. E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di TRANI nell'interesse della parte civile (OMISSIS). Il difensore conclude per il rigetto di tutti i ricorsi, deposita conclusioni ed istanza di correzione materiale ex articolo 130 c.p.p., nonche' nota spese di cui chiede l'accoglimento. In difesa del responsabile civile ricorrente COMUNE DI (OMISSIS) e' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di Matera. Il difensore deposita note conclusive e liquidazioni spese, di cui chiede l'accoglimento. E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di Roma in sostituzione del difensore (OMISSIS) in difesa dell'imputato (OMISSIS). Il difensore deposita nomina ex articolo 102 c.p.p., illustra i motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento. E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di POTENZA in difesa dell'imputato (OMISSIS). Il difensore illustra i motivi di ricorso concludendo per l'accoglimento. L'avvocato (OMISSIS) e' altresi' presente in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) in difesa dell'imputato (OMISSIS). Il difensore deposita nomina ex articolo 102 c.p.p., si riporta ai motivi del ricorso e ne chiede l'accoglimento. Per l'imputato (OMISSIS) e' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di Roma, per delega orale del difensore (OMISSIS) e per delega scritta del difensore (OMISSIS). Il difensore deposita nomina ex articolo 102 c.p.p., illustra i motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento. Si da atto della presenza della Dott.ssa (OMISSIS) iscritta nel registro dei praticanti avvocati di Roma, rif. n. P78055. E', infine, presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di BARI in difesa dell'imputato (OMISSIS). Il difensore illustra i motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 17.12.2021, la Corte di appello di Potenza, in parziale riforma di quella di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione con riferimento ai reati di omicidio e lesioni colpose di cui ai capi b), c) ed e); ha ridotto la pena nei confronti di alcuni imputati; ha confermato nel resto la declaratoria di responsabilita' penale di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine al delitto contestato sub a) - di cui agli articoli 113, 434 c.p., articolo 449 c.p., comma 1, articolo 61 c.p., n. 3, per avere, in cooperazione tra loro, colposamente cagionato il crollo degli immobili (due palazzine confinanti) insistenti in (OMISSIS); crollo cui conseguiva la morte di (OMISSIS) e di (OMISSIS), i quali si trovavano all'interno delle loro abitazioni nei fabbricati di (OMISSIS) al momento del crollo, nonche' lesioni personali da trauma policontusivo e shock (guarite in 20 giorni) a (OMISSIS), altra inquilina dell'immobile crollato (fatti avvenuti in data (OMISSIS); decesso di (OMISSIS), conseguente alle lesioni subite, avvenuto il (OMISSIS)). E' stata, inoltre, confermata la responsabilita', agli effetti civili, oltre che dei suddetti imputati, anche dei coimputati (OMISSIS) (capo c), (OMISSIS) e (OMISSIS) (capo e), condannati in solido con il responsabile civile COMUNE DI (OMISSIS) al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede civile. 2. La vicenda in disamina e' stata cosi' sinteticamente ricostruita dai giudici della Corte territoriale: - in data 5.8.2013, il proprietario dei locali siti ai civici n. (OMISSIS), (OMISSIS), presentava una SCIA (Segnalazione certificata di inizio attivita') al COMUNE DI (OMISSIS) per l'esecuzione di lavori di ristrutturazione straordinaria; la SCIA era sottoscritta e certificata dal professionista nominato "progettista e direttore dei lavori", arch. (OMISSIS), con allegata relazione tecnica; la ditta (OMISSIS) di (OMISSIS) era indicata quale esecutrice dei lavori; il ruolo di responsabile del cantiere risultava essere affidato a (OMISSIS); - in data 8.8.2013, il responsabile del Settore Gestione del Territorio e del Servizio Urbanistica e Edilizia del Comune, ing. (OMISSIS), emetteva ordinanza di sospensione dei lavori - notificata il 22.8.2013 sia al progettista/direttore dei lavori sia al committente - stante l'assenza del nulla osta condominiale e l'omesso deposito dei calcoli strutturali al competente Ufficio regionale del Genio Civile; - nonostante il provvedimento di sospensione, gli interventi edilizi iniziavano e proseguivano per alcuni mesi, anche dopo che, nelle more, il committente e l'arch. (OMISSIS) avevano presentato, in data 27.9.2013, una seconda SCIA (prot. 47648 del 2.10.2013) con la quale era progettata l'apertura di ulteriori varchi nei muri portanti dell'edificio, con proposta di cambio di destinazione d'uso di locali finalizzata all'esercizio di un'attivita' di ristorazione; con tale segnalazione veniva designato, in aggiunta all'arch. (OMISSIS), l'ing. (OMISSIS), quale "direttore dei lavori e tecnico strutturista"; era nominato anche l'ing. (OMISSIS) quale "collaudatore" dell'opera; - in data 11.11.2013, l'arch. (OMISSIS) invitava la ditta (OMISSIS) a proseguire gli interventi come da progetto, nonostante fosse ancora vigente l'ordine di sospensione dei lavori emesso in data 8.8.2013; in particolare, l'operaio (OMISSIS) riferiva in dibattimento di aver provveduto, nel novembre 2013, a sostituire i mattoni di tufo del cantonale (c.d. operazione di "scuci e cuci"); venivano realizzati anche vari squarci nei muri perimetrali per l'allocazione dei fili dell'impianto elettrico; - con il progredire dei lavori, vari condomini notavano il comparire di lesioni sull'edificio, proprio in corrispondenza delle zone sovrastanti i civici n. (OMISSIS), nella parete di confine tra i due fabbricati, nonche' nei locali del civico n. (OMISSIS) (testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)); - in data 4.12.2013, i direttori dei lavori, (OMISSIS) e (OMISSIS), unitamente al committente (OMISSIS), decidevano di puntellare, con opere provvisionali, il solaio tra i civici n. (OMISSIS); - con provvedimento del 9.12.2013, l'ing. (OMISSIS) comunicava formalmente ad (OMISSIS) e a (OMISSIS) che, dal momento che non era stata ancora depositata la documentazione amministrativa e tecnica richiesta dal Comune a seguito della prima SCIA, anche quella depositata il 27.9.2013 doveva considerarsi priva di effetti giuridici; - in data 15.12.2013, a seguito di richiesta di intervento di alcuni condomini, sopraggiungeva sul posto personale del Corpo dei Vigili del Fuoco, tra cui l'ing. (OMISSIS), la quale, all'esito di una prima valutazione della struttura dell'edificio, redigeva due relazioni, inoltrate al COMUNE DI (OMISSIS), con le quali si sollecitava l'ente territoriale ad obbligare gli esecutori dei lavori ad eseguire urgentemente una verifica statica della struttura, nonche' lavori di ripristino delle condizioni di sicurezza dello stabile; - in data 23.12.2013 veniva effettuato il sopralluogo sul posto da parte dell'ing. (OMISSIS), su incarico della responsabile dell'Ufficio Settore Opere Pubbliche e Servizio di Manutenzione del COMUNE DI (OMISSIS), (OMISSIS); nella relazione redatta dal tecnico, si dava atto della "discontinuita' e precarieta' delle murature portanti" con necessita' "di ottenere immediatamente un giudizio tecnico ponderato circa il loro reale grado di sicurezza"; la relazione era inviata alla (OMISSIS) e, per conoscenza, all'ing. (OMISSIS); - in data 2.1.2014 la Dott.ssa (OMISSIS) intimava, con apposite comunicazioni, ai due amministratori degli edifici di interdire l'accesso ai manufatti insicuri, di nominare entro tre giorni tecnici competenti per una verifica strutturale dell'edificio e per il continuo monitoraggio dello stabile; - in data 3.1.2014 i coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) segnalavano alla ditta (OMISSIS) che la porta di ingresso del loro appartamento aveva perso la sua funzionalita' nell'apertura/chiusura, tanto che il responsabile del cantiere, (OMISSIS), aveva incaricato l'operaio (OMISSIS) di ripristinare l'utilizzo dell'infisso, dal quale era stato necessario tagliare una fascia consistente, indicata in circa quattro centimetri; - in data 7.1.2014 veniva eseguito l'ultimo sopralluogo da parte del personale dei Vigili del Fuoco: l'ing. (OMISSIS) redigeva relazione tecnica che imponeva "a chi di dovere di eseguire ogni intervento di ripristino e di preservazione" dell'immobile sito in (OMISSIS); - in data 10.1.2014 era intervenuto, su richiesta di un condomino ( (OMISSIS), il quale il 7.1.2014 aveva rilevato ulteriori lesioni sulla parete dell'edificio) l'ing. (OMISSIS), tecnico incaricato dall'amministrazione condominiale, il quale rilevava la necessita' di accedere nei locali dei coniugi (OMISSIS) per verificare se vi fossero ulteriori fessurazioni, assumendosi testualmente che l'edificio "stava avendo uno spanciamento"; - alle ore 7:30 dell'(OMISSIS) avveniva il crollo di buona parte della struttura dell'edificio sito in (OMISSIS), coinvolgendo vari occupanti; veniva constatato l'immediato decesso di (OMISSIS) e lesioni a (OMISSIS); (OMISSIS), in conseguenza delle gravi ferite riportate nel crollo, decedeva all'ospedale di (OMISSIS). 3. La Corte territoriale, conformemente al primo giudice, ha ravvisato la responsabilita' degli imputati per i reati loro rispettivamente ascritti, secondo le considerazioni di seguito sinteticamente riportate. 3.1. Quanto al crollo dell'edificio, i giudici hanno ritenuto che l'evento non si sarebbe verificato se le opere edilizie eseguite all'interno della proprieta' di (OMISSIS) non fossero state iniziate e proseguite. Sia la (OMISSIS) che il (OMISSIS), nella loro qualita' di direttori dei lavori e di progettisti, avrebbero dovuto stanti le gravi condizioni di instabilita' dell'edificio e la ragionevole prevedibilita' di disastro - interrompere i lavori e procedere ad una seria verifica della stabilita' strutturale dell'intero edificio; gli stessi, inoltre, nel corso dei lavori - peraltro proseguiti nonostante l'ordine di sospensione del Comune - non avevano rispettato le regole tecniche dettate in materia di costruzioni, omettendo di predisporre adeguate opere di rinforzo (quali il puntellamento preventivo dello stabile, l'inserimento di diatoni con il rinforzo dei maschi murari ed il ringrossamento delle pareti portanti). Analoga responsabilita' e' stata attribuita a (OMISSIS), il quale, nella sua qualita' di responsabile del cantiere, aveva condiviso con la Direzione tecnica dei lavori il tipo di interventi da eseguire, la scelta di proseguire le opere - nonostante la sospensione disposta dagli organi comunali - venendo meno ai suoi doveri di garantire la sicurezza delle opere realizzate, pur dopo le numerose e preoccupanti segnalazioni di dissesto provenienti dai condomini e dopo la comparsa di numerose e diffuse lesioni sulla struttura dello stabile. 3.2. Quanto ai reati di omicidio e lesioni colpose, per i quali e' intervenuta declaratoria di estinzione per prescrizione, sul piano civilistico la Corte territoriale ha confermato la responsabilita' anche dei seguenti imputati. (OMISSIS), nella sua qualita' di committente dei lavori, per avere scelto una ditta esecutrice dei lavori non affidabile e per avere omesso di intervenire, nonostante le numerose segnalazioni dei condomini circa l'insorgenza di una serie di lesioni estese sui muri portanti, per far interrompere i lavori al fine di capire cosa stesse accadendo all'immobile. (OMISSIS), quale responsabile del Settore opere pubbliche del COMUNE DI (OMISSIS), e (OMISSIS), quale strutturista addetto all'ufficio tecnico opere pubbliche, per non avere comunicato con urgenza la grave situazione di dissesto dell'immobile al Sindaco al fine di adottare idonei provvedimenti a tutela della pubblica e privata incolumita'. 4. Avverso tale sentenza propongono distinti ricorsi per cassazione gli imputati di seguito indicati e il responsabile civile COMUNE DI (OMISSIS). 5. (OMISSIS) lamenta quanto segue. 1) Vizio di motivazione, per omessa valutazione di risultanze processuali determinanti ai fini della individuazione della posizione di garanzia, della valutazione della condotta doverosa in concreto esigibile e dei percorsi alternativi aventi efficienza rilevante ai fini del determinismo causale. La ricorrente deduce che la ricostruzione dei fatti e' palesemente errata alla luce della documentazione prodotta dalla difesa, da cui risulta che la (OMISSIS), comunicata alla ditta (OMISSIS) e al committente la sospensione dei lavori, in data 21.10.2013 depositava la SCIA integrata di quanto richiesto; che sia i tre varchi che il lucernario furono opera dell'ing. (OMISSIS); che per la ripresa dei lavori in data 11.11.2013 non occorreva provvedimento di revoca della sospensione; che in data 4.12.2013, durante una riunione venivano definitivamente sospesi i lavori, a scopo precauzionale per danni subiti dall'immobile a seguito di abbondanti piogge. Consegue che proprio il comportamento doveroso e diligente che la Corte territoriale afferma avrebbe dovuto assumere la (OMISSIS), consistente nell'interrompere ogni tipo di opera, venne invero concretamente adottato dall'imputata. Sostiene la difesa della (OMISSIS) che non vi e' mai stato il cosi' definito "affiancamento di ruoli" fra la medesima e l'ing. (OMISSIS), ma vi e' stato sin dal 27.9.2013 uno iato nella assunzione della posizione di garanzia tra i singoli imputati. Non sono state differenziate le singole posizioni di garanzia: dal contratto di conferimento dell'incarico all'ing. (OMISSIS) in data 1.10.2013 emerge che la ricorrente dal mese di ottobre risultava responsabile unicamente degli aspetti architettonici, mentre le specifiche responsabilita' di natura strutturale erano state attribuite al (OMISSIS). Deduce la mancanza di un approfondimento istruttorio volto a stabilire cosa sarebbe accaduto se fosse stato disposto il puntellamento e lo sgombero dell'edificio in data successiva alla sospensione dei lavori del 4.12.2013 2) Mancanza di motivazione in ordine alle ragioni per le quali e' stata ritenuta corretta la procedura seguita dal Tribunale, che integrava l'errore materiale contenuto nella sentenza - per omessa condanna della (OMISSIS) al risarcimento del danno nei confronti dei proprietari delle abitazioni crollate - con ordinanza de plano, anziche' provvedere con procedimento camerale partecipato di cui all'articolo 130 c.p.p.. 6. (OMISSIS) lamenta quanto segue. 1) Violazione di legge, in riferimento al ritenuto concorso del ricorrente in cooperazione colposa con il direttore dei lavori; erroneo rilievo circa la sussistenza della concomitante posizione di garanzia per gli interventi edili organizzati dal direttore dei lavori; travisamento della prova quanto all'avere ritenuto il ricorrente contitolare della posizione di garanzia con la seconda SCIA del 27.9.2013. Deduce di avere ricevuto incarico di progettista strutturale con relativa direzione lavori, come da dichiarazione a sua firma del 26.9.2013. L'incarico progettuale concerneva la sostituzione della esistente copertura e l'apertura di vani porta da realizzarsi presso l'immobile sito in (OMISSIS) e non si estendeva alla realizzazione delle ulteriori opere realizzate nel cantiere di (OMISSIS). La posizione dello strutturista non e' sovrapponibile a quella degli altri soggetti, ed in particolare a quella del direttore dei lavori di cantiere. Il ricorrente non si e' mai ingerito nell'esecuzione delle attivita' di cantiere. 2) Vizio di motivazione, per avere affermato la responsabilita' del (OMISSIS) in riferimento al complesso dei profili concernenti la condotta dell'arch. (OMISSIS), senza indicare quale regola cautelare avrebbe imposto allo strutturista di segnalare la necessita' di procedere a verifica statica globale dell'edificio, pur in presenza di un quadro di sostanziale stabilita' dell'immobile ed in assenza di situazioni di criticita' dello stato dei luoghi di cui si e' occupato. 3) Violazione di legge e vizio di motivazione, per avere ritenuto la responsabilita' del ricorrente, nonostante l'esito dei sopralluoghi e degli accertamenti tecnici intervenuti non consentivano di affermare, con giudizio ex ante, che ivi si era verificata una situazione di imminente pericolo di crollo da potersi eziologicamente ricondurre a negligenza del ricorrente, per avere questi omesso di adottare le precauzioni dovute. Tutti i tecnici qualificati hanno escluso sia la presenza di una situazione di pericolo, sia il rischio dell'imminenza di un crollo, dopo avere verificato lo stato dei luoghi, la condizione delle strutture e il quadro fessurativo esistente. 7. (OMISSIS) lamenta, con unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla riconosciuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 3. Deduce che, diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, ai fini della sussistenza dell'aggravante in disamina occorre la prova della sua effettiva previsione da parte del prevenuto, accompagnata dal convincimento che l'evento non accadra'. Manca in sentenza un doveroso approfondimento in ordine alla sussistenza degli indici della coscienza della previsione concreta dell'evento da parte del prevenuto, seppure ritenuto insuscettibile di effettiva realizzazione. 8. (OMISSIS) lamenta quanto segue. 1) Violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all'individuazione degli elementi costitutivi dell'ipotesi delittuosa causativa dell'evento, concretizzatasi nella mancata corretta diagnosi della situazione di stabilita' dell'immobile e, comunque, nella mancata adozione delle cautele a salvaguardia dell'incolumita' delle persone. Deduce l'insussistenza di profili colposi a carico del ricorrente, visto che il ricorrente non si era potuto confrontare con la condizione dei fabbricati, cosi' come emergente anche dalla relazione di sopralluogo dell'ing. (OMISSIS) dei Vigili del Fuoco del 7.1.2014. Non e' corretta l'affermazione della sentenza secondo cui la gravita' del quadro si presentava con certezza all'imputato per le rilevate lesioni, dal momento che la relazione dell'ing. (OMISSIS) non accenna a lesioni "passanti". Si tratta, quindi, di un giudizio ex post, visto che le lesioni "portanti e gravi" sono ricavabili solo dalle valutazioni successive al 23.12.2013. Ne' il pericolo poteva essere percepito sulla base dell'esiguo spessore delle murature portanti, dell'assenza delle fondazioni o del degrado di estese porzioni di parametri murari, criticita' che non corrispondono ai fattori individuati dai consulenti del PM e condivisi dai giudici come effettive cause del crollo. La sentenza impugnata non risolve l'evidente contrasto tra l'asserita sussistenza della condizione di pericolo e le affermazioni tecniche rese dall'ing. (OMISSIS), dal prof. (OMISSIS) e dall'ing. (OMISSIS), secondo cui al momento dei sopralluoghi di dicembre non erano presenti lesioni passanti, per cui la situazione non era tale da configurare un immediato pericolo di crollo. La sentenza impugnata erra anche nel riportare solo parzialmente il contenuto della relazione a firma del ricorrente, nella parte in cui si afferma che "sebbene il quadro fessurativo rilevato negli immobili ispezionati, non sia al momento preoccupante", riportando solo la parte successiva, in cui si accenna al fatto che "la situazione statica degli stabili (...) sia piuttosto dubbia". L'argomentazione in sentenza e', quindi, viziata laddove si afferma la consapevolezza del pericolo da parte del tecnico. Evidenzia l'imprecisione della sentenza impugnata in punto di individuazione delle regole modali assertivamente violate. L'imputato, eseguendo la verifica, non apprezzando una condizione di imminente pericolo, ha trasmesso la sua relazione alla dirigente di riferimento, assolvendo all'obbligo derivante dalla posizione rivestita. Egli non puo' rispondere della scelta, propria della dirigente, di non avere inoltrato al Sindaco la segnalazione di pericolo; pertanto, nessuna regola modale risulta violata da parte del ricorrente. Sul piano controfattuale, rileva che il Prefetto, che pure aveva ricevuto i fax dei Vigili del Fuoco, non adotto' alcun provvedimento. Non e' stato dimostrato che la Protezione civile avrebbe riscontrato, nel contenuto della relazione, quella condizione di pericolo tale da adottare il provvedimento cautelare di sgombero. Sussiste, quindi, incertezza nel contenuto reale dell'addebito mosso al ricorrente. 2) Violazione di legge e vizio di motivazione, per erronea valutazione dell'incidenza causale delle cause sopravvenute, da sole sufficienti a determinare l'evento, con particolare riguardo all'incidenza della prosecuzione dei lavori oltre la data del sopralluogo operato dal ricorrente e della assunzione da parte di diverso Ufficio della funzione di garanzia. Deduce che la Corte territoriale non ha tenuto conto della documentazione e delle testimonianze da cui e' emerso che, successivamente al 23.12.2013, i lavori proseguirono ed ebbero una rilevante incidenza sulla stabilita' dell'immobile. Non e' stato, pertanto, considerato che a partire dalla data del 2.1.2014 l'Ufficio Edilizia Privata, diretto dall'ing. (OMISSIS), era stato investito della posizione di garanzia sull'immobile di (OMISSIS), avendo il dovere di vigilanza sugli edifici privati e di adozione di misure repressive nonche' quello di dichiarare l'eventuale inagibilita'. 8.1. Sono stati depositati motivi aggiunti dalla difesa del (OMISSIS), con cui si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 578 c.p.p. e articolo 61 c.p., n. 3, lamentando che il tema relativo alla ricorrenza dei presupposti dell'aggravante della colpa con previsione non e' stato affrontato dalla Corte territoriale, che in sentenza non ne fa cenno scandagliando la posizione del ricorrente. 9. (OMISSIS) lamenta quanto segue. 1) Violazione di legge e vizio di motivazione, per avere riconosciuto la responsabilita' della ricorrente sia pur in assenza di un obbligo giuridico di impedire l'evento. Deduce che erroneamente e' stata ritenuta la. competenza funzionale dell'imputata di intervenire a tutela dell'incolumita' pubblica e privata, atteso che il Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 54 attribuisce tale compito solo ed esclusivamente al Sindaco, mentre al dirigente comunale e' devoluto solo un ruolo di "supporto operativo" al Primo cittadino. Peraltro, l'adozione di atti conseguenti a potenziali situazioni di pericolo nei fabbricati privati era devoluto alla competenza del Settore Gestione del Territorio diretto da altro dirigente (ing. (OMISSIS)). La delibera della Giunta, approvata il 19.4.2011, era stata dichiarata immediatamente eseguibile ai sensi del Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 134. La circostanza che l'ing. (OMISSIS), quale unico ingegnere strutturista in servizio presso il COMUNE DI (OMISSIS), era di fatto deputato a prendere in carico le segnalazioni provenienti dai Vigili del Fuoco e a porre in essere gli accertamenti tecnici del caso, non vale certo a fondare in capo alla (OMISSIS) un obbligo giuridico di controllo per l'incolumita' pubblica all'interno dei fabbricati privati. Del resto, risulta dagli atti che i fonogrammi dei Vigili del Fuoco furono portati direttamente all'attenzione del funzionario tecnico, ing. (OMISSIS), il quale il 23 dicembre procedeva motu proprio ad eseguire un'ispezione nei civici di (OMISSIS). Con la successiva comunicazione (2.1.2014) all'ing. (OMISSIS) della diffida inviata agli amministratori condominiali, la prevenuta aveva reso edotto il Servizio che riteneva istituzionalmente competente a porre in essere gli atti necessari a fronteggiare situazioni di pericolo per l'incolumita' pubblica all'interno degli immobili di edilizia privata. 2) Violazione di legge e vizio di motivazione, per aver riconosciuto la responsabilita' dell'imputata nonostante l'insussistenza di alcun profilo di colpa. Deduce che la Corte di appello non si e' confrontata con le argomentazioni contenute nei motivi di gravame e ha compiuto una indebita assimilazione della posizione del dirigente (OMISSIS) a quella del tecnico strutturista (OMISSIS). I giudici di merito non hanno individuato una regola che, prevedendo ex ante le conseguenze di una certa azione o omissione, descrivesse in termini "modali" una condotta doverosa a cui l'agente avrebbe dovuto conformarsi per evitare il precipitarsi degli eventi. Il COMUNE DI (OMISSIS) aveva positivizzato solo le competenza dei singoli uffici ma non aveva proceduralizzato come e in che modo gestire una situazione come quella che si e' presentata nella vicenda in esame. I giudici quindi, generalizzando la massima d'esperienza in base alla quale il Sindaco di Matera, in altre occasioni, aveva disposto la chiusura (totale o parziale) di immobili ovvero l'obbligo di esecuzione di lavori di ripristino a carico dei privati, hanno erroneamente desunto che la condotta diligente che l'imputata avrebbe dovuto osservare fosse quella di informare il Sindaco del degrado degli immobili, di modo che il medesimo emettesse una ordinanza contingibile e urgente (di sgombero o di puntellamento) che prendesse atto dell'inagibilita' degli edifici. In questi termini, risalta l'indeterminatezza della regola di cautela asseritamente violata, rimproverandosi alla (OMISSIS) essenzialmente di non aver segnalato al Sindaco l'esistenza delle lesioni, il che non implica che cio' avrebbe impedito il concretizzarsi dello specifico rischio di crollo verificatosi nel caso di specie. Inoltre, la potenzialita' salvifica di tali rimedi era rimessa alla determinazione di un soggetto terzo, rispetto al quale nessun vero potere di interferenza era riconosciuto alla dirigente (OMISSIS). Si tratta, tipicamente, di una regola cautelare congetturale, creata ex post dal giudicante, in assenza di una chiara diagnosi di dissesto statico. Rileva, inoltre, che la sentenza impugnata non ha riconosciuto peso specifico, nel giudizio sulla prevedibilita' dell'evento, alle qualita' professionali della (OMISSIS), nonche' alle chiare valutazioni espresse dal tecnico strutturista circa l'assenza di una situazione di immediato pericolo di crollo, avendo l'ing. (OMISSIS) rappresentato alla dirigente una situazione meritevole di attenzione sul piano della verifica della sicurezza statica del fabbricato ma gia' gestita da figure competenti, stante l'avvenuta attivazione in tal senso degli amministratori di condominio. Il difetto di prevedibilita' in concreto dell'evento assorbe il giudizio circa la configurabilita' della c.d. colpa cosciente. Aggiunge che difetta anche un ragionevole giudizio in ordine all'evitabilita' dell'evento, visto che l'intervento salvifico del Sindaco viene presentato in maniera dogmatica, senza alcuna verifica in concreto della validita' di un simile assunto, con particolare riferimento alla sussistenza di oggettive condizioni per far luogo ad un'ordinanza contingibile e urgente di sgombero o di puntellamento ad horas. 3) Violazione di legge e vizio di motivazione, per omessa valorizzazione del principio di affidamento. Deduce che nessuna cooperazione colposa appare configurabile nel caso di specie, in quello che e' stato un legittimo affidamento della prevenuta nell'operato del funzionario tecnico ing. (OMISSIS). Il compito del dirigente comunale, nel contesto di cui si discute, non e' quello di correggere nel merito le valutazioni del funzionario tecnico, bensi' quello di verificare la regolarita' dei passaggi amministrativi seguiti e delle determinazioni assunte nei confronti dei terzi. 10. (OMISSIS) lamenta vari profili di violazione di legge e di vizio motivazionale della sentenza impugnata. 1) Deduce che, stante l'intervenuta prescrizione del reato ascritto al ricorrente, i giudici di merito avrebbero dovuto dare seguito al proscioglimento ex articolo 129 c.p.p., comma 2, sulla scorta di quanto emergente dallo stesso tessuto motivazionale della sentenza. La scelta dei tecnici non puo' essere assunto come dato sintomatico della responsabilita' del committente, considerato che gli stessi tecnici mai hanno rappresentato ipotesi di dissesto. Nessuna ingerenza nei lavori da parte del ricorrente si evince dalle argomentazioni della sentenza, la quale fraintende un ruolo "decisamente operativo" del prevenuto senza indicare alcun atto di incidenza dello stesso nell'esecuzione dei lavori. Rileva che la sentenza impugnata difetta di un accertamento di natura civilistica in ordine alla responsabilita' del committente per il crollo ex articolo 2043 c.c., non essendo stato trattato il tema dell'autonomia dell'appaltatore nell'esecuzione dell'opera assunta con propria organizzazione e con propri mezzi, ne' il tema delle scelte tecniche operate dai professionisti incaricati, a fronte di un atteggiamento responsabile e scrupoloso del committente. 2) Eccepisce l'erronea applicazione dell'aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 3, trattandosi di elemento circostanziale incidente sul risarcimento del danno, avendo i giudici di merito sottovalutato la natura prevalentemente psicologica della previsione idonea ad integrare la colpa cosciente, rilevando la previsione in concreto dell'evento e non la semplice prevedibilita'. 11. La difesa del responsabile civile, COMUNE DI (OMISSIS), deduce violazione di legge e vizio di motivazione, osservando che dall'esame complessivo del compendio probatorio emerge in modo evidente l'innocenza degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), per cui la Corte territoriale avrebbe dovuto prosciogliere nel merito gli stessi ex articolo 129 c.p.p., comma 2. Rileva che la motivazione contrasta in maniera evidente con gli atti del processo, fondandosi erroneamente sul presupposto che, alla data del sopralluogo dell'ing. (OMISSIS) (23.12.2013) il fabbricato di (OMISSIS) presentasse inconfutabili segni di cedimento strutturale. In realta', la prima relazione dell'ing. (OMISSIS) aveva evidenziato solo dei leggeri dissesti nei tramezzi dei solai, privi di rilevanza statica, tanto da ritenere insussistente il pericolo di crollo. La deposizione della (OMISSIS) collide con la interpretazione allarmistica della relazione fatta propria dalla Corte di appello. I giudici hanno eliso la parte iniziale della proposizione in cui l'ing. (OMISSIS), nella sua relazione, aveva specificato che il quadro fessurativo rilevato non era preoccupante. Il crollo del muro posto tra i civici (OMISSIS) non e' stato originato dalle criticita' evidenziate dalla relazione (OMISSIS). Del resto, diverse testimonianze hanno confermato che i lavori erano proseguiti anche dopo il 20 dicembre e sino al giorno prima del crollo. L'ing. (OMISSIS) chiamo' telefonicamente gli amministratori del condominio per assicurarsi che gli stessi avessero ottemperato alle richieste dei Vigili del Fuoco di sospendere i lavori ed effettuare verifiche statiche approfondite. La deposizione del prof. (OMISSIS) esplicitamente esclude la necessita' dell'adozione di un'ordinanza sindacale di sgombero dei fabbricati alla data del 20.12.2013. Anche le conclusioni dei consulenti tecnici del PM sono nel senso che l'ing. (OMISSIS) avrebbe potuto avere cognizione del pericolo solo con l'esecuzione di calcoli di verifica delle strutture portanti, attivita' pacificamente estranea alle sue funzioni. Le conclusioni dei consulenti sono dissonanti rispetto a quelle dei giudici di merito, non avendo rilevato alcuna conclamata situazione di pericolo di crollo alla data del 23.12.2013. 12. Sono state depositate memorie scritte dalle difese delle parti civili costituite, con cui si chiede, fra l'altro, la correzione dell'errore materiale contenuto nelle sentenze di merito, in relazione all'omessa condanna alla spese, in solido con gli imputati, del responsabile civile COMUNE DI (OMISSIS), oltre al rigetto degli avversi ricorsi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I proposti ricorsi muovono alle seguenti considerazioni. 2. Si deve premettere che le posizioni degli odierni ricorrenti vanno tenute distinte in relazione ai reati loro rispettivamente ascritti nei capi di imputazione che qui rilevano. Infatti, benche' la vicenda in esame attenga essenzialmente ai fatti giudicati rilevanti in relazione al crollo (avvenuto la mattina dell'11 gennaio 2014) delle due palazzine confinanti, insistenti in (OMISSIS), il relativo delitto di cui agli articoli 434 e 449 c.p., vale a dire quello di disastro colposo conseguente al crollo delle citate costruzioni, risulta contestato (capo a) ai soli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nelle rispettive qualita'. Gli ulteriori reati che qui interessano, vale a dire quelli di omicidio colposo e lesioni colpose di cui ai capi b), c) ed e), gia' dichiarati estinti per prescrizione nella sentenza impugnata, oltre ad essere contestati anche ai predetti imputati (capo b), risultano gli unici contestati agli imputati (OMISSIS) (capo c), (OMISSIS) e (OMISSIS) (capo e). Cio' va precisato sia per la diversita' fattuale e giuridica dei reati in contestazione, sia, soprattutto, per il diverso esito processuale degli stessi, visto che solo per il delitto di crollo colposo permane un interesse penalistico, mentre per gli altri reati residua solo un interesse civilistico (essendo gli stessi gia' stati dichiarati estinti per prescrizione), situazione da cui derivano inevitabili differenze nella valutazione dei diversi criteri di attribuzione della responsabilita', penalistica per il delitto di crollo colposo, civilistica per i reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose. 2.1. Da tale divergenza deriva un ulteriore problema, di carattere squisitamente processuale, derivante dalla recente entrata in vigore della disposizione di cui all'articolo 573 c.p.p., comma 1-bis, a mente del quale: "Quando la sentenza e' impugnata per i soli interessi civili, il giudice d'appello e la Corte di cassazione, se l'impugnazione non e' inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile". Indipendentemente dalla questione attinente alla immediata applicabilita' della norma dianzi indicata - su cui, a seguito di un contrasto insorto fra le Sezioni semplici di questa Corte, interverranno prossimamente le Sezioni Unite il Collegio rileva che nel caso in disamina la citata disposizione non possa comunque trovare applicazione, in quanto la sentenza oggetto dei proposti ricorsi non e' stata impugnata per i soli interessi civili, ma anche (e soprattutto, con riferimento ai ricorsi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) agli effetti penali, sicche' indubbie esigenze di economia processuale e di simultaneus processus - avuto riguardo alla evidente connessione oggettiva dei fatti che qui rilevano - impongono di procedere unitariamente nella presente sede penale. 2.2. Cio', come si vedra', avra' conseguenze anche sull'esito del presente giudizio di legittimita', potendosi fin da subito anticipare, in tal senso, che si provvedera' all'annullamento della sentenza impugnata, agli effetti penali, nei confronti di (OMISSIS), limitatamente alla questione riguardante l'applicabilita' dell'aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 3, nonche' all'annullamento, ai soli effetti civili, anche nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e del responsabile civile COMUNE DI (OMISSIS); entrambi gli annullamenti verrano disposti con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Salerno; rinvio che sara' effettuato, quindi, in sede penale (e non in sede civile ex articolo 622 c.p.p.), proprio in ragione della permanenza di un interesse penalistico, con riguardo alla posizione di (OMISSIS), relativamente alla configurabilita' della citata aggravante a questi contestata in relazione al delitto di crollo colposo; derivandone, di conseguenza, l'esigenza di mantenere unite anche le altre posizioni, pur rilevanti ai soli effetti civili, per le medesime ragioni di economia processuale e di simultaneus processus dianzi rappresentate. 3. Saranno a questo punto esaminati i singoli ricorsi, partendo da quelli proposti dagli imputati interessati precipuamente alle valutazioni concernenti il delitto di crollo colposo di cui al capo a), contestato in rubrica con la specifica aggravante - ex articolo 61 c.p., n. 3 - di avere agito nonostante la previsione dell'evento, nonche' i conseguenti delitti di omicidio colposo e lesioni colpose di cui al capo b). Si tratta, come detto, dei ricorsi proposti dagli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). 4. Con riferimento a tali ricorsi, si deve premettere che i giudici di merito, in punto di fatto, hanno insindacabilmente accertato - in sintesi - che il crollo e' stato determinato dai lavori effettuati sul paramento 22-20 lato (OMISSIS), vale a dire dai lavori che (OMISSIS) aveva commissionato per la manutenzione straordinaria dei locali terranei nella sua disponibilita', finalizzati alla destinazione dei locali ad esercizio di ristorazione. Tali lavori, diretti dai tecnici (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' curati nella realizzazione dal responsabile del cantiere edile (OMISSIS), erano consistiti: nell'apertura di ampi varchi di comunicazione sul muro di spina; nella realizzazione di estesi e profondi scassi, mediante scalpellamenti del parallelo muro di spina di separazione del locale con quello contiguo al civico (OMISSIS) (proprieta' (OMISSIS)); nella sostituzione del paramento murario interno del maschio della facciata compresa tra i civici (OMISSIS). Il paramento "lato (OMISSIS)" era stato, quindi, interessato da incisioni e conseguente rimozione di materiale che avevano ridotto lo spessore della muratura centrale tra i civici (OMISSIS), determinando il meccanismo di rottura, su un immobile che gia' si presentava in precarie condizioni di stabilita' complessiva. In particolare, il cantonale della parete tra il 22 e il 20 era stato indebolito con le operazioni di scucitura e ritessitura, e poi era stato ridotto in alcuni punti lo spessore della stessa parete con l'ausilio di uno scalpello. L'intervento di sostituzione dello stipite murario sul paramento interno della muratura di prospetto del civ. 22 - all'angolo con la muratura di confine con il locale civ. 20 di proprieta' di (OMISSIS) - era stato eseguito senza che nessuno si preoccupasse di ripristinarne l'ammorsamento all'angolo e senza alcun puntellamento del soffitto per scaricare la parete dai carichi verticali nelle more delle sostituzioni. Di conseguenza, il muro lato (OMISSIS) si era rotto e si era rotto anche quello (OMISSIS) lato (OMISSIS), che non aveva potuto reggere il peso perche' a sua volta indebolito da una traccia. Secondo quanto riscontrato dai consulenti tecnici del Pubblico Ministero, in seguito alle lavorazioni diffuse nei locali (OMISSIS) vi era stato un cambiamento d'equilibrio della struttura. In assenza di dispositivi ausiliari (puntelli e diatoni), entrambi i muri non erano in condizioni di sicurezza convenzionali, per cui non erano riusciti a reggere i carichi verticali amplificati. Il crollo era avvenuto per il cedimento dei paramenti del muro 22-20, a seguito di implosione verso l'interno, con conseguente distacco della facciata che era caduta verso l'esterno su (OMISSIS). E' importante sottolineare, dunque, che - all'esito della complessa e articolata istruttoria svolta, corredata dalle verifiche strutturali degli esperti - le conformi sentenze di merito hanno appurato che, prima dei lavori in questione, la parete implosa da cui e' derivato il crollo, pur essendo al limite ultimo delle condizioni di esercizio, non mostrava criticita' strutturali. Le lesioni si erano manifestate solo all'indomani dell'inizio dei suddetti lavori, per effettuare i quali sarebbe stato necessario svolgere preliminari accertamenti tecnici e statici, mediante una verifica dei carichi verticali, dai quali sarebbe emerso che quelle pareti non avrebbero potuto subire ulteriori sollecitazioni. Le aperture sulla parete 24-22 e il taglio dell'architrave sotto la lunetta all'ingresso dei locali (OMISSIS) avevano fatto il resto, incidendo ancora sugli equilibri dell'immobile. 5. Il ricorso di (OMISSIS). 5.1. Il primo motivo - con cui la ricorrente contesta essenzialmente la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, dichiarandosi sostanzialmente estranea ai lavori eseguiti, con particolare riguardo all'esecuzione dei tre varchi e del lucernaio, che furono opera dell'ing. (OMISSIS), e comunque assumendo di avere adottato un comportamento diligente in rapporto ai suoi compiti di carattere esclusivamente architettonico - rasenta l'inammissibilita' ed e' comunque infondato, in quanto in molti punti trascende nel fatto, in altri pretende di rappresentare travisamenti della prova in realta' insussistenti, a fronte di una c.d. "doppia conforme" di condanna che ha compiutamente e logicamente esaminato la posizione di responsabilita' della prevenuta in relazione al crollo in disamina, rimanendo pertanto immune da vizi logico-giuridici rinvenibili nella presente sede di legittimita'. 5.1.1. La sentenza impugnata ha gia' esaurientemente confutato le censure sviluppate dalla ricorrente in ordine al suo ruolo nella vicenda in esame, asseritamente limitato a quello di direttrice dei lavori architettonici, mentre - a suo dire - le competenze di natura strutturale erano concentrate in capo all'ing. (OMISSIS). In senso contrario, la Corte territoriale - conformemente al primo giudice - ha plausibilmente osservato come dall'istruttoria svolta fosse emerso con assoluta evidenza il pieno coinvolgimento professionale dell'imputata nei lavori in questione, con relativa assunzione della responsabilita' tecnica e giuridica di "professionista asseverante": cio' fin dalla redazione del progetto degli interventi predisposto su mandato di (OMISSIS); era stata sempre l'imputata a sottoscrivere la prima e la seconda segnalazione certificata di inizio attivita' (c.d. SCIA), asseverando lo stato dei- luoghi (peraltro indicando erroneamente lo spessore del muro divisorio tra i civici (OMISSIS) in cm. 140, in luogo della misura reale di cm. 50, con evidente difformita' del progetto rispetto allo stato di fatto asseverato), assumendo la direzione tecnica di tutte le opere da eseguire, anche finalizzate al cambio di destinazione di uso dei locali a scopo di ristorazione. I lavori erano continuati, sempre sotto la sua direzione tecnica, pur dopo che l'imputata aveva ricevuto l'ordine di sospensione di efficacia della SCIA in data 8.8.2013, a lei notificata, appunto, nella qualita' di "progettista/direttore dei lavori". In tale qualita' - continua la Corte territoriale - la (OMISSIS) non. si pose in nessun momento il problema della concreta fattibilita' degli interventi eseguiti su un edificio a struttura mista, interessato negli anni da vari interventi di modifica strutturale e pur dopo che si erano manifestate varie lesioni, alcune indicate come "passanti", sulla facciata dello stabile ed in piu' punti all'interno dei locali. In tale prospettiva, il Tribunale ha ulteriormente osservato che non vale ad esonerare da responsabilita' la considerazione difensiva secondo cui "inizialmente non erano stati commissionati alla (OMISSIS) da (OMISSIS) i calcoli strutturali dell'intero palazzo", visto che, una volta ricevuto l'incarico dal committente, spettava alla professionista valutare la propria competenza con riferimento alle modifiche che l' (OMISSIS) aveva richiesto. Osserva acutamente il Tribunale che la ricorrente, nella sua qualita' di architetto, era in possesso delle competenze generali, e secondo il parametro del "buon professionista costruttore" avrebbe dovuto evitare di avventurarsi in tecniche costruttive non congeniali alla sua preparazione, e comunque avrebbe dovuto avvedersi del fatto che, per l'apertura dei varchi del muro portante e per l'esecuzione dei lavori di "scuci e cuci" su un palazzo cosi' vetusto, sarebbero occorsi i calcoli ed un progetto strutturale. Del resto, come puntualmente affermato dai giudici di merito, nel caso che occupa la (OMISSIS) (cosi' come il (OMISSIS)) avrebbe dovuto prendere cognizione di quella che era la condizione primigenia di quel palazzo, delle successive modifiche che esso aveva subito e, di conseguenza, orientare gli interventi da realizzare in maniera tale da dare priorita' assoluta all'obiettivo di assicurarne (o comunque non pregiudicarne) la stabilita'. Cio' sulla base del principio secondo il quale il progettista e il direttore dei lavori che si accingano a progettare e a realizzare, ove si inseriscano in una situazione in cui altri siano gia' intervenuti, sono tenuti ad informarsi circa i pregressi interventi e, se del caso, proporre o effettuare i necessari interventi di adeguamento (cfr. Sez. 4, n. 6604 del 11/05/2016 - dep. 2017, Rv. 270837 - 01). Va, inoltre, aggiunto che il direttore dei lavori e' responsabile a titolo di colpa del crollo di costruzioni anche nell'ipotesi di sua assenza dal cantiere, dovendo egli esercitare un'oculata attivita' di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie ed in caso di necessita' adottare le necessarie precauzioni d'ordine tecnico, ovvero scindere immediatamente la propria posizione di garanzia da quella dell'assuntore dei lavori, rinunciando all'incarico ricevuto (cfr. Sez. 4, n. 46428 del 14/09/2018, Rv. 273991 - 01). 5.1.2. La ricorrente lamenta, inoltre, di avere adottato quel comportamento doveroso e diligente che la Corte territoriale reputa avrebbe dovuto assumere la (OMISSIS), consistente nell'interrompere ogni tipo di opera, con riferimento a quanto deciso all'esito della riunione tecnico-operativa tenuta in data 4.12.2013 presso il cantiere, intercorsa tra i direttori dei lavori ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), l'impresa e (OMISSIS) in qualita' di committente, avente ad oggetto proprio le problematiche statiche dell'edificio e le allarmistiche segnalazioni provenienti da vari condomini. Sul punto, al di la' della considerazione che tale doglianza non risulta proposta con i motivi di appello, sicche' la stessa sarebbe inammissibile in questa sede, e' appena il caso di rilevare che l'asserita sospensione definitiva dei lavori in data 4.12.2013, di fatto, non e' mai avvenuta, come si evince dall'ordito motivazionale delle sentenze di merito, con particolare riguardo a quella di primo grado. Il Tribunale, infatti, ha compiutamente dato conto del fatto che i lavori erano proseguiti anche dopo quella riunione, lavori a volte eseguiti anche durante le ore serali e con le saracinesche abbassate, come riferito dai testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), tanto che tra gli attrezzi edili che erano stati ritirati in loco dopo il crollo vi erano anche due fari alogeni. Maestranze edili sul posto erano state notate anche durante il sopralluogo effettuato dal prof. (OMISSIS) il 20.12.2013. Il Tribunale, inoltre, ha tratto la conferma della prosecuzione dei lavori nei locali (OMISSIS), persino dopo il citato sopralluogo, dal confronto tra le foto prodotte dal pubblico ministero all'udienza del 1.6.2018, ritraenti i lavori di intaglio sul muro in periodi successivi. 5.1.3. Quanto alla dedotta mancanza di un approfondimento istruttorio volto a stabilire cosa sarebbe accaduto se fosse stato disposto il puntellamento e lo sgombero dell'edificio in data successiva alla (asserita ma non avvenuta) sospensione dei lavori, bastera' qui osservare che il rilievo, oltre a trascendere peraltro ipoteticamente - nel fatto, e' prospettato in maniera assolutamente generica, e come tale deve ritenersi inammissibile. 5.2. Il secondo motivo - con cui ci si lamenta della procedura de plano seguita dal Tribunale per correggere l'errore materiale contenuto nella sentenza in relazione alla omessa condanna della (OMISSIS) al risarcimento del danno nei confronti dei proprietari delle abitazioni crollate - e' inammissibile. Invero, non e' dato cogliere l'interesse della ricorrente a proporre una simile eccezione, non essendo stata specificata alcuna concreta violazione del diritto di difesa che sarebbe derivata dal contenuto dell'ordinanza de plano in questione, peraltro inevitabile conseguenza della affermata declaratoria di responsabilita' della prevenuta per il crollo delle abitazioni. In altri termini, la ricorrente ha omesso di specificare il vantaggio pratico perseguito con la censura in disamina (cfr. Sez. 5, n. 22610 del 28/01/2010, Rv. 247470 - 01), al di la' della richiesta di annullamento della sentenza impugnata in punto di responsabilita' per il delitto di cui al capo a), che va comunque rigettata alla luce delle considerazioni che precedono. 5.3. Consegue il rigetto del ricorso proposto da (OMISSIS). 6. Il ricorso di (OMISSIS). 6.1. Il primo motivo - con cui si contesta, essenzialmente, la configurabilita' di una posizione di garanzia del ricorrente rispetto agli interventi edili organizzati dalla (OMISSIS) quale direttore dei lavori - articola doglianze che in molti punti pretendono di ottenere una non consentita rivalutazione del compendio probatorio, al fine di dimostrare che il ricorrente non si sarebbe mai ingerito nell'attivita' del cantiere e che la sua attivita' avrebbe avuto un rilievo marginale nell'economia dei lavori causativi del crollo, asseritamente limitato alla sostituzione della esistente copertura e all'apertura di vani porta da realizzarsi presso l'immobile sito in (OMISSIS). 6.1.1. La doglianza e' priva di pregio, in quanto i giudici di merito hanno congruamente e non illogicamente ravvisato la posizione di garanzia del (OMISSIS), quale ingegnere strutturista specificamente incaricato di gestire, unitamente alla (OMISSIS), l'opera edile nel suo complesso. Del resto, e' stato anche correttamente richiamato l'insegnamento secondo cui la posizione di garanzia di un soggetto-agente possa essere generata non solo da un'investitura formale, ma anche dall'esercizio di fatto della funzione tipica del garante, mediante un comportamento concludente dell'obbligato, laddove il predetto abbia preso in carico il bene protetto. Nel caso che occupa, e' stato evidenziato che l'imputato, nonostante avesse visionato le tre aperture dei muri, realizzate abusivamente, piuttosto che allarmarsi per i carichi verticali gia' esistenti, si era preoccupato di apportarvi un mero rimedio antisismico, suggerendo di posizionare dei telai metallici all'interno delle aperture. Il tutto senza porsi il problema del fatto che tali aperture erano state realizzate senza alcuna verifica statica, in cio' perpetrando l'errore della (OMISSIS). Il (OMISSIS) aveva quindi erroneamente classificato l'intervento come solo "locale", e concluso, senza effettuare alcuna verifica, che l'intervento "non comporta un peggioramento delle condizioni di sicurezza preesistenti". E' stato insindacabilmente accertato che al (OMISSIS) era stato inviato l'invito prot. 60338 del 26.11.2013 (a firma dell'ing. (OMISSIS), funzionario comunale) di ritirare i progetti presso l'ufficio difesa del suolo, segno che egli aveva assunto su di se' la responsabilita' del cantiere in oggetto quantomeno a far data dal 2.10.2013 (epoca del deposito della seconda SCIA), nella qualita' di progettista e direttore dei lavori. Sotto la sua guida i lavori del cantiere erano proseguiti con lo "scuci-cuci" del cantonale e con l'assottigliamento della parete 22/20 per ripulirla dai conci di tufo vecchi, a conferma della sua piena ingerenza nell'esecuzione dei lavori in disamina. 6.2. Il secondo motivo - con cui si deduce che non sarebbe stata indicata la regola cautelare che avrebbe imposto allo strutturista di segnalare la necessita' di procedere a verifica statica globale dell'edificio - e' manifestamente infondato. 6.2.1. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, i giudici di merito hanno diffusamente e congruamente motivato in ordine alle regole cautelari violate dallo strutturista, al riguardo osservando - sulla scorta di quanto evidenziato dai consulenti tecnici sentiti nel corso del processo - come nel caso di specie le norme professionali di carattere generale che presidiano la materia delle costruzioni imponessero al (OMISSIS) (ed anche alla (OMISSIS)), in considerazione delle peculiarita' strutturali caratterizzanti gli immobili di (OMISSIS) e per i ripetuti rimaneggiamenti subiti dagli stessi nel corso degli anni, una verifica della sicurezza statica preliminare a carichi verticali sull'intero stabile (ai sensi delle Norme Tecniche per le Costruzioni all'epoca vigenti, quelle cioe' di cui al Decreto Ministeriale 14 gennaio 2008, c.d. NTC 2008). In tal modo - osservano ancora i giudici territoriali - (OMISSIS) e (OMISSIS), quali tecnici preposti alla direzione dei lavori in questione, avrebbero potuto acquisire dati precisi in ordine alle eventuali criticita' strutturali esistenti; cio' che, a detta degli esperti, risponde a minimali criteri prudenziali, nonche' a comuni regole professionali, qualora vengano eseguiti lavori su fabbricati datati e rimaneggiati che vadano ad incidere su muri o su strutture portanti. In definitiva, l'omessa verifica preliminare di carattere statico sull'intero immobile - prudenzialmente imposta dalle norme professionali che presidiano l'attivita' edile in ragione della natura dei lavori e delle caratteristiche dell'immobile su cui gli stessi venivano realizzati - ha integrato la condotta colposa addebitata al (OMISSIS), secondo una valutazione immune da vizi logico-giuridici riscontrabili nella presente sede di legittimita'. 6.3. Il terzo motivo - con cui si evidenzia che non si puo' ricavare la responsabilita' del ricorrente, tenuto conto dell'esito dei sopralluoghi e degli accertamenti tecnici intervenuti nel dicembre 2013 che avevano escluso una situazione di imminente pericolo di crollo da potersi eziologicamente ricondurre a negligenza del ricorrente, per avere questi omesso di adottare le precauzioni dovute - e' infondato. 6.3.1. La censura non coglie nel segno, non potendosi equiparare i sopralluoghi "a vista" effettuati da alcuni tecnici all'interno della palazzina nel mese di dicembre, poche settimane prima del crollo, quando gran parte dei lavori edilizi nella poprieta' (OMISSIS) erano gia' stati eseguiti, con la specifica posizione di garanzia attribuita al (OMISSIS) sin dalle fasi iniziali dei lavori. Come gia' osservato innanzi, la responsabilita' dello strutturista e' stata ravvisata proprio in relazione alla mancata adozione della condotta alternativa doverosa imposta dalle norme tecniche, consistente nella necessita' di svolgere una verifica preliminare della sicurezza statica a carichi verticali sull'intero stabile, che avrebbe certamente consentito di adottare le dovute precauzioni a tutela della stabilita' dell'immobile. 6.4. Consegue il rigetto del ricorso di (OMISSIS). 7. Il ricorso di (OMISSIS). 7.1. L'unico motivo dedotto contesta il percorso logico-giuridico che ha indotto i giudici territoriali a riconoscere in capo al ricorrente la sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 3. 7.1.1. Il ricorso coglie nel segno, laddove evidenzia l'erroneita' in diritto della motivazione offerta dalla sentenza impugnata, che configura la ravvisabilita' dell'aggravante in disamina sulla base della ritenuta prevedibilita' del crollo, invece che sulla previsione in concreto del crollo da parte del prevenuto. La Corte di merito, infatti, nel configurare la sussistenza della c.d. colpa cosciente dell' (OMISSIS), ha argomentato rilevando "un evidente contrasto tra il comportamento concretamente tenuto dal predetto rispetto a quello doveroso che la norma imponeva", evidenziando a suo carico "il doppio profilo della prevedibilita' e dell'evitabilita' dell'evento, costituito, il primo, dalla possibilita' di riconoscere il pericolo che, ad una data condotta, potesse conseguire la realizzazione di un certo evento e, il secondo, dalla consapevolezza che l'alternativo comportamento corretto sarebbe stato in concreto idoneo a scongiurare il crollo dell'edificio". 7.1.2. Tale argomentazione confonde il concetto di "previsione" in concreto dell'evento, rilevante ai fini dell'aggravante in disamina, con quello di generica "prevedibilita'" del medesimo. In proposito, va qui ribadito il principio secondo cui, ai fini della configurabilita' della colpa cosciente non e' sufficiente la mera prevedibilita' dell'evento, ma occorre la prova della sua previsione in concreto, accompagnata dal convincimento che lo stesso non accadra', sicche' il giudice e' tenuto ad indicare analiticamente gli elementi sintomatici da cui tale previsione sia in concreto desumibile da parte dell'imputato (cfr. Sez. 4, n. 12351 del 15/01/2020, Rv. 278917 - 01). La colpa con previsione, in altri termini, ricorre quando l'agente prevede effettivamente che la sua condotta possa cagionare l'evento, ma si rappresenta di essere in grado di evitarlo. Il giudice che valuta la responsabilita', pertanto, deve indicare analiticamente gli elementi sintomatici da cui desume non la prevedibilita' in astratto, bensi' la previsione dell'evento, in concreto, da parte dell'imputato, non evincibile ex se dalla gravita' della violazione in se' considerata. Non basta, come nel caso, individuare gli elementi fattuali indicativi della "prevedibilita'" dell'evento, ma occorre valutare, con giudizio ex ante, se l'odierno ricorrente possa essersi rappresentato, in tempo utile per poter diversamente determinarsi, l'evento lesivo come concretamente realizzabile e se, e in ragione di quali valutazioni, possa essere stato animato dalla ragionevole convinzione di poterlo scongiurare (cfr. Sez. 4, n. 32221 del 20/06/2018, Rv. 273460 - 01; v. anche Sez. 4, n. 24612 del 10/04/2014, Rv. 259239 - 01). 7.2. Le superiori considerazioni impongono l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti del ricorrente, limitatamente alla statuizione che attiene alla circostanza aggravante in disamina, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Salerno, che si atterra' ai principi indicati. Va, per il resto, dichiarata irrevocabile l'affermazione di penale responsabilita' del ricorrente in ordine al delitto di crollo colposo. 8. Si deve ora passare ad esaminare le posizioni dei ricorrenti cui sono stati addebitati i reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose derivanti dal crollo della palazzina materana, reati che, come gia' detto, sono stati dichiarati estinti per prescrizione. 9. Il ricorso di (OMISSIS). 9.1. Il primo motivo, muovendo dall'intervenuta prescrizione dei reati ascritti al prevenuto, deduce che la sentenza impugnata avrebbe dovuto procedere al proscioglimento del ricorrente ai sensi dell'articolo 129 c.p.p., comma 2, in quanto dalla stessa motivazione della sentenza impugnata sarebbe possibile evincere che la scelta dei tecnici non puo' essere assunto come dato sintomatico della responsabilita' del committente, considerato che gli stessi tecnici mai avevano rappresentato ipotesi di dissesto dell'immobile; ne' sarebbero emersi elementi a supporto della tesi dell'ingerenza nei lavori da parte del ricorrente, con conseguente insussistenza di responsabilita' civilistica del medesimo per fatto illecito ex articolo 2043 c.c. in relazione al crollo per cui si procede. 9.1.1. Il motivo e' privo di pregio. 9.1.2. Deve essere, preliminarmente, rammentato l'insegnamento secondo cui, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice e' legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'articolo 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi' che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga piu' al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "deprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessita' di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Rv. 244274 - 01). Tali condizioni certamente non ricorrono nella vicenda in disamina, con riferimento alla posizione del ricorrente, che e' stata compiutamente e analiticamente esaminata dai giudici di merito secondo un iter argomentativo congruo e privo di evidenti aporie logiche, come tale immune dai rilievi denunciati dal ricorrente. 9.1.3. Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, i giudici territoriali hanno, in fatto, descritto l' (OMISSIS) come un committente spesso presente sul cantiere edile, partecipe acuto ai vari sopralluoghi effettuati sul posto, perfettamente a conoscenza dello stato dei luoghi e della ingravescente situazione di dissesto strutturale dell'edificio. E' stato motivatamente affermato che l'imputato ebbe a svolgere nel corso dei lavori un ruolo decisamente operativo, anche' prendendo parte a vari sopralluoghi effettuati sul posto, condividendo le scelte tecniche di intervento, con la precisa finalita' di modificare la destinazione dei locali in funzione commerciale. Le sentenze di merito hanno legittimamente attribuito all' (OMISSIS) un ruolo determinante nell'andamento delle opere eseguite, attribuendo al medesimo la responsabilita' per gli omicidi colposi e per le lesioni colpose cagionate ad (OMISSIS) in considerazione della circostanza che la condizione dei luoghi e le ripetute lamentele dei condomini sulle lesioni manifestatesi sulle pareti dell'immobile, note all' (OMISSIS), avrebbero dovuto indurre il committente/proprietario ad attivare precisi doveri cautelari su di lui giuridicamente incombenti. E' stato evidenziato come l'affidamento dei lavori alla ditta (OMISSIS) di (OMISSIS) non potesse essere considerato come una condotta oculata, tenuto conto del livello tecnico e professionale del titolare formale dell'impresa, visto che il Taccardi si affidava completamente al responsabile del cantiere, (OMISSIS), soggetto persino privo di titolo professionale minimale di geometra; l'impresa edile si avvaleva, inoltre, di lavoratori assunti "a giornata", operando un tipo di attivita' edile svolta "in economia". Anche la scelta del primo direttore dei lavori e' stata plausibilmente ritenuta inadeguata, avuto riguardo a quanto sostenuto dalla stessa arch. (OMISSIS), secondo cui costei non era dotata di capacita' specialistiche di strutturista. Il committente, inoltre, ebbe a consentire all'impresa di eseguire l'apertura dei varchi di collegamento, tra i locali all'interno dei muri portanti, nonostante l'ordine di sospensione dei lavori da parte del Comune e prima ancora dell'intervento del tecnico strutturista, nominato nella persona dell'ing. (OMISSIS) solo alla fine di settembre del 2013, con la presentazione della seconda SCIA. Sotto tale ultimo profilo, e' stato significativamente evidenziato come il provvedimento di sospensione del COMUNE DI (OMISSIS) fosse stato adottato anche per la mancanza di calcoli strutturali depositati al competente Genio civile della Regione, sicche' la scelta del committente di proseguire comunque i lavori e' stata considerata indicativa di una non comune temerarieta' del comportamento assunto dall'imputato. 9.1.4. Le suddette argomentazioni - qui sinteticamente richiamate - hanno certamente offerto adeguata motivazione anche alle doglianze di carattere civilistico prospettate da parte ricorrente, sotto il profilo della ravvisata responsabilita' aquiliana dell' (OMISSIS), nella sua qualita' di committente dei lavori, riconducibile alla cattiva scelta dell'impresa esecutrice e alla constata violazione del principio del neminem leadere, nonostante le avvisaglie rappresentate dalle lesioni segnalate dai vari condomini, di cui l' (OMISSIS), secondo quanto accertato, era perfettamente a conoscenza; con tutto quanto ne deriva in ordine alla sicura applicabilita', nel caso di specie, di profili di responsabilita' di cui agli articoli 2043 e 2051 c.c.. Sotto tale profilo, la decisione impugnata appare in linea con il condivisibile insegnamento di legittimita' secondo cui, in tema di appalto, la consegna del bene all'appaltatore non fa venir meno il dovere di custodia e di vigilanza gravante sul committente, sicche' questi resta responsabile, alla stregua dell'articolo 2051 c.c., dei danni cagionati ai terzi dall'esecuzione dell'opera salvo che provi il caso fortuito, quale limite alla detta responsabilita' oggettiva, che puo' coincidere non automaticamente con l'inadempimento degli obblighi contrattualmente assunti nei confronti del committente bensi' con una condotta dell'appaltatore imprevedibile e inevitabile nonostante il costante e adeguato controllo (Sez. 3, n. 7553 del 17/03/2021, Rv. 660915 - 01; nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva accertato la responsabilita' solidale del committente per i danni cagionati a terzi nell'esecuzione di un'opera pubblica, ritenendo irrilevante, ai fini della prova liberatoria ex articolo 2051 c.c., il mero inadempimento dell'appaltatore agli obblighi contrattualmente assunti nei confronti del committente). 9.2. Il secondo motivo - con cui si eccepisce l'erronea applicazione dell'aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 3, - rimane assorbito dall'intervenuta declaratoria di prescrizione dei reati in disamina, con conseguente venir meno della rilevanza penale degli stessi, anche sul piano circostanziale. 9.3. Consegue il rigetto del ricorso. 10. Rimangono da esaminare i ricorsi proposti da (OMISSIS) e da (OMISSIS), funzionari del COMUNE DI (OMISSIS) cui sono stati addebitati, ormai solo agli effetti civili, comportamenti colposi dai quali sarebbero derivati gli addebiti loro ascritti. A tali ricorsi si affianca, per la evidente comunanza di interessi, quello proposto dal COMUNE DI (OMISSIS), nella sua posizione di responsabile civile. Tali ricorsi possono essere trattati congiuntamente, in quanto le doglianze proposte dagli stessi, pur se da prospettive diverse, sono accomunate dal medesimo intento di sottolineare le carenze e illogicita' motivazionali della sentenza impugnata in punto di accertamento della responsabilita' colposa dei predetti funzionari, con particolare riguardo al tema della prevedibilita' dell'evento alla luce delle circostanze di fatto processualmente emerse. 11. E' noto che il tema della prevedibilita' dell'evento e' strettamente legato a quello della colpa, nel senso che l'imputazione colposa dell'evento presuppone che l'agente, prima del verificarsi del fatto dannoso, pur trovandosi nella condizione di potersi rappresentare l'azione corretta da intraprendere al fine di evitarlo, non lo abbia fatto, violando in tal modo la regola cautelare (generica o specifica) che gli avrebbe imposto il c.d. comportamento alternativo corretto (o lecito). La prevedibilita' (ed evitabilita') dell'evento costituiscono, per cosi' dire, le linee guida da cui, in termini generali, vengono tratte regole comportamentali aventi natura cautelare, finalizzate cioe' a garantire/proteggere da potenziali eventi dannosi conseguenti ad una attivita' umana. Nella sua essenza, la valutazione in ordine alla sussistenza della colpa prende le mosse da un'azione (attiva o omissiva) compiuta dall'agente e dalla verifica se tale azione sia stata rispettosa della regola cautelare - conosciuta o almeno conoscibile dall'agente che le concrete condizioni dell'agire imponeva in quel momento. La (previa) conoscenza (o, almeno, conoscibilita') della norma cautelare da parte dell'agente costituisce un requisito imprescindibile dell'addebito colposo, quale corollario del principio di responsabilita' personale che caratterizza il nostro sistema giuridico in relazione al meccanismo di imputazione dell'evento dannoso. Nell'azione colposa, del resto, il danno, pur non voluto, rimane conseguenza di un agire incauto, che poteva (e doveva) essere evitato, come tale addebitabile al soggetto che lo ha cagionato. Quanto precede implica, evidentemente, la preesistenza della regola cautelare rispetto al fatto. Tale condizione e' facilmente rinvenibile nel caso di norme cautelari scritte, ricavabili dall'ordinamento giuridico (si pensi alla disciplina del codice della strada o a quella posta a tutela degli infortuni sul lavoro, disposizioni di legge caratterizzate dalla presenza di numerose norme aventi natura cautelare). La situazione e' piu' complicata nel caso di norme cautelari non scritte, in quanto desumibili solo sulla scorta di una valutazione ex ante, vale a dire ponendosi nella posizione del soggetto agente nella fase antecedente il verificarsi dell'evento; segnatamente, nella fase in cui l'agente, avuto riguardo alla situazione di fatto in cui si trova ad operare, sia in condizione di potersi prefigurare le possibili conseguenze dannose del suo agire e di adottare il comportamento (attivo o omissivo) doveroso (prudente, diligente o perito) idoneo ad impedirlo. Da qui l'insegnamento secondo cui, in tema di colpa generica, il giudice deve indicare la regola cautelare violata preesistente al fatto, e quindi quale sia - sulla base della diligenza, prudenza e perizia - in concreto ed "ex ante" il comportamento doveroso prescritto (cfr. Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Rv. 281997 - 17). L'insegnamento della Suprema Corte e' costante nel ritenere che la valutazione in ordine alla prevedibilita' dell'evento debba essere compiuta "ex ante", riportandosi al momento in cui la condotta, commissiva od omissiva, e' stata posta in essere (cfr., fra le piu' recenti, Sez. 4, n. 53455 del 15/11/2018, Rv. 274500 - 01). Il problema, come gia' osservato, si pone in modo particolare nell'ambito della c.d. colpa generica, in cui l'assenza di una norma scritta cui conformarsi comporta l'esigenza - in un'ottica di verifica giudiziaria - che il giudizio di prevedibilita' connesso all'individuazione della regola cautelare (non scritta) eventualmente violata non sia frutto di una elaborazione creativa, fondata su una valutazione ricavata "ex post" ad evento avvenuto e in maniera del tutto astratta e svincolata dal caso concreto, ma discenda da un processo ricognitivo che individui i tratti tipici dell'evento, per poi procedere formulando l'interrogativo se questo fosse prevedibile ed evitabile "ex ante", con il rispetto della regola cautelare in oggetto, alla luce delle conoscenze tecnico - scientifiche e delle massime di esperienza (cfr. Sez. 4, n. 9390 del 13/12/2016 - dep. 2017, Rv. 269254 - 01; Sez. 4, n. 36400 del 23/05/2013, Rv. 257112 - 01). Si deve rifuggire, insomma, dal tipico errore che viene commesso nella valutazione della colpa, ritenendola sussistente sulla base di un ragionamento ex post, che prende cioe' le mosse dal verificarsi dell'evento per poi andare a ritroso, chiedendosi quale sarebbe stato il comportamento idoneo ad impedirlo, dandosi alla fine una risposta scontata, perche' viziata dalla conoscenza del danno per come verificatosi. Al contrario, il ragionamento deve essere effettuato ex ante, prendendo cioe' le mosse dalla condotta tenuta dall'agente, chiedendosi se in quel momento - vale a dire prima del verificarsi dell'evento - questi fosse in grado di prevedere l'evento dannoso e di evitarlo adottando un comportamento diverso. E' chiaro che tale ragionamento deve essere compiuto dal giudice sulla base dei dati indiziari e fattuali processualmente emersi, rappresentativi di una concreta situazione di fatto da cui valutare se l'imputato, al momento della sua azione, fosse o meno in grado di rappresentarsi il verificarsi dell'evento dannoso in termini di ragionevole possibilita' e di adottare un comportamento diverso, idoneo ad impedirlo. 12. Alle luce delle superiori coordinate interpretative in tema di colpa e di prevedibilita' dell'evento, si ritiene che la sentenza impugnata abbia offerto un percorso motivazionale carente, illogico e non rispettoso dei suddetti insegnamenti quanto alla posizione di responsabilita' dei funzionari comunali (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche', di conseguenza, del responsabile civile COMUNE DI (OMISSIS). Il ragionamento dei giudici di merito - in estrema sintesi - e' stato articolato nel senso che, alla data del sopralluogo operato dall'ing. (OMISSIS) (23.12.2013), il fabbricato di (OMISSIS) presentasse inconfutabili (e quindi prevedibili) segni di cedimento strutturale che avrebbero imposto l'immediato sgombero del medesimo, con conseguente obbligo della (OMISSIS) di sollecitare il Sindaco ad adottare un'ordinanza contingibile e urgente che, se emessa, avrebbe certamente scongiurato il decesso e le lesioni delle persone occupanti la palazzina al momento del crollo. Tale ragionamento, tuttavia, si pone in insanabile contrasto con altri dati fattuali che risultano pure descritti nelle sentenze di merito e che rendono illogica, oltre che contraddittoria, la perentoria affermazione di responsabilita' dei funzionari comunali contenuta in sentenza, fondata sul presupposto della sicura prevedibilita' di una situazione di imminente (o prossimo) pericolo di crollo, cui sarebbero conseguiti gli eventi mortali e lesivi loro addebitati. 13. In primo luogo, e' pacifico che i tecnici intervenuti sul posto dalla data del 15.12.2013, ing. (OMISSIS) e prof. (OMISSIS), avessero valutato l'assenza di un imminente pericolo di crollo, in quanto sui muri erano visibili solo lesioni superficiali che interessavano l'intonaco e le giunture tra le varie murature, di per se' non indicative di un pericolo di crollo prossimo. Come efficacemente dichiarato dall'ing. (OMISSIS): "ogni volta che ci sono delle lesioni (...) c'e' necessita' di sanarle (...) perche' quelle fessure che lo vedevo potevano evolversi in situazioni piu' gravi. Non avendo la sfera di cristallo non avrei potuto dire quando, ne' come, ne' se, ne' se si sarebbero evolute (...) Ci sono delle lesioni che sono presenti per anni negli edifici e sono sempre quelle, ferme, sono lesioni di assestamento..." (v. pag. 31 sentenza del Tribunale, in nota n. 58). In effetti, la prima relazione dell'ing. (OMISSIS) aveva evidenziato solo dei leggeri dissesti nei tramezzi dei solai, privi di rilevanza statica, tanto da ritenere insussistente il pericolo di crollo. Il prof. (OMISSIS) (docente alla facolta' di Ingegneria dell'Universita' di Bari) aveva effettuato il sopralluogo della palazzina in data 20.12.2013, quindi pochi giorni prima del sopralluogo effettuato dal (OMISSIS). La sua deposizione, richiamata nel ricorso del responsabile civile, e' stata nel senso di escludere la necessita' dell'adozione di un'ordinanza sindacale di sgombero dei fabbricati alla data del 20.12.2013. Il teste, pur dichiarando di avere appuntato la sua attenzione e di avere visionato una particolare fessura, ha aggiunto tuttavia che in quel momento non si poteva sapere se si trattava di una fessura passante e che la stessa, in ogni caso, "non era segno di preoccupazione che l'edificio stesse per crollare (...) Se fosse stato cosi' (...) non sarei stato la', ma non avrei mandato mio figlio sopra, avrei detto "Sgombrate tutto, non c'erano questi segni, assolutamente no". Anche l'ing. (OMISSIS) - incaricato da (OMISSIS) e (OMISSIS), dopo la riunione del 14.12.2013, di verificare la situazione strutturale dell'immobile - ha dichiarato che il quadro fessurativo riscontrato nel sopralluogo del 16.12.2013 non era "preoccupante", e che fino al 20.12.2013 gli (OMISSIS) gli avevano confermato "che non c'era nessun quadro fessurativo in evoluzione" (v. pag. 41 sentenza Tribunale in nota n. 67), unico elemento da cui poter visivamente desumere la presenza di una progressiva perdita di equilibrio strutturale dell'immobile, indicativa di pericolo di crollo. 14. Nonostante gli elementi dianzi rappresentati e menzionati in sentenza, del tutto contraddittoriamente la Corte territoriale conclude nel senso che "la gravita' del dissesto degli immobili siti in (OMISSIS) era piu' che conclamata nella sua evidenza gia' alla data del 23.12.2013". Si tratta di affermazione netta, con la quale i giudici territoriali rappresentano la sussistenza di evidenti segnali di allarme che avrebbero reso, per il (OMISSIS), prevedibile, in quel momento, il concreto pericolo di crollo dell'immobile ispezionato. Cio' sulla base della riscontrata presenza di lesioni murarie che, per contro, i numerosi tecnici intervenuti sul posto da meta' dicembre 2013 - in concomitanza con il sopralluogo svolto dal (OMISSIS) - avevano valutato come non indicative di un (imminente o prossimo) pericolo di crollo, benche' reputate meritevoli, questo si', di un ulteriore approfondimento, anche con l'ausilio di idonea strumentazione, come esposto nella relazione dell'ing. (OMISSIS). I giudici di merito, a conferma del loro assunto, hanno evidenziato che lo stesso (OMISSIS), all'esito del sopralluogo, avesse compreso la gravita' della situazione, dato che il predetto aveva fatto esplicito riferimento, nella sua relazione, alle cause che rendevano critica la sicurezza statica dello stabile, rappresentate dall'esiguo spessore (solo 50 cm.) delle murature portanti presenti all'interno della proprieta' (OMISSIS), rispetto all'entita' dei carichi su di esse gravanti (4 piani), dall'assenza di strutture fondanti e dal pronunciato degrado di estese porzioni dei paramenti murari. Ora, al di la' del fatto che nessuna delle tre condizioni indicate e' stata causa del crollo (v. al riguardo quanto specificato supra al par. 4), la Corte territoriale, cosi' come il primo giudice, hanno trascurato di riportare l'affermazione preliminare contenuta nella relazione redatta dal (OMISSIS), in tal modo stravolgendo il significato delle conclusioni raggiunte dal tecnico comunale. In tale relazione, infatti, costui, dopo aver condiviso le conclusioni dell'ing. (OMISSIS) circa la necessita' di effettuare lavori di ripristino delle originarie condizioni di sicurezza, quanto alla generale situazione statica dell'immobile, aveva precisato: "in particolare, sebbene il quadro fessurativo rilevato negli immobili ispezionati, non sia al momento preoccupante...", in perfetta simmetria con quanto era gia' stato riscontrato dai tecnici intervenuti sul posto su sollecitazione delle parti private nello stesso mese di dicembre 2013. L'imputato, in sostanza, all'esito del sopralluogo, svolto con i mezzi di cui disponeva, vale a dire mediante esame visivo e qualitativo delle condizioni della struttura muraria, aveva concluso nel senso che il quadro fessurativo rilevato non era preoccupante; conclusione in linea con quanto era stato poco prima gia' riscontrato da diversi ingegneri, esperti strutturisti, i quali, sempre e solo sulla base di un esame qualitativo delle lesioni murarie, non avevano rilevato segni indicativi di un concreto pericolo di cedimento statico della struttura. I giudici di merito, omettendo di prendere in considerazione le pur chiare deposizioni degli esperti che, a vario titolo, avevano effettuato un esame qualitativo delle condizioni strutturali in cui versava l'immobile nel mese di dicembre 2013, hanno illogicamente e apoditticamente espresso la convinzione che il (OMISSIS) potesse in quel momento prevedere che l'immobile stesse subendo un importante cedimento strutturale, nonostante tutti i tecnici intervenuti lo avessero escluso, desumendo tale convinzione, fra l'altro, da una lettura incompleta e "monca" della relazione redatta dallo stesso (OMISSIS), la cui premessa era, invece, nel senso che il quadro fessurativo della struttura "non era preoccupante". 15. Inoltre, i giudici lucani hanno trascurato di valutare, rispetto alla posizione di responsabilita' dei funzionari comunali, un ulteriore dato processualmente emerso e allegato dalla difesa del responsabile civile, vale a dire la circostanza, esposta dai consulenti tecnici del Pm (cfr. relazione "3" redatta dagli ing. (OMISSIS) e (OMISSIS), piu' volte citata nelle sentenze di merito), secondo cui, date le condizioni in cui versava l'immobile e la tipologia degli interventi edilizi eseguiti nei locali terranei della proprieta' (OMISSIS), al fine di valutare la situazione di staticita' dell'immobile non poteva bastare una mera analisi qualitativa delle lesioni, ma occorreva procedere ad una analisi quantitativa, implicante cioe' la necessita' di svolgere calcoli di verifica delle strutture portanti, unico strumento decisionale "non soggettivo" che avrebbe consentito "l'adozione di opportune cautele". L'esecuzione di tali calcoli strutturali certamente non rientrava fra le competenze del tecnico comunale, il quale tuttavia - come riportato in sentenza ma non adeguatamente valutato chiamo' telefonicamente gli amministratori del condominio della palazzina di (OMISSIS) per assicurarsi che gli stessi avessero ottemperato alle richieste dei Vigili del Fuoco di sospendere i lavori al fine di effettuare verifiche statiche approfondite. 16. Le segnalate carenze e illogicita' motivazionali della sentenza impugnata appaiono, pertanto, evidenti laddove si afferma che il tecnico comunale, al momento del suo sopralluogo, avrebbe potuto e dovuto avvedersi del pericolo di crollo, stante la "conclamata gravita' del dissesto" degli immobili di (OMISSIS) alla data del 23.12.2013; cio' in palese contrasto con gli ulteriori elementi, dianzi brevemente riassunti, pur menzionati dai giudici lucani ma non compiutamente valutati rispetto alla posizione del (OMISSIS) (e, di conseguenza, della (OMISSIS)), sotto il profilo della concreta prevedibilita' dell'evento al momento del suo sopralluogo. Il ragionamento e' viziato in quanto, come gia' in precedenza osservato, si fonda su una fallace valutazione ex post, che prende le mosse dall'evento crollo per poi darsi una risposta scontata, e non, invece, valutando la situazione ex ante, vale a dire dal momento in cui la condotta omissiva addebitata e' stata compiuta, ponendosi la domanda se in quel momento l'agente fosse nelle condizioni - alla luce della situazione di fatto concretamente accertata, delle relative conoscenze tecnico-scientifiche e delle massime di esperienza applicabili - di prevedere il possibile verificarsi del crollo, e quindi di (far) adottare il comportamento imposto dalla conseguente regola cautelare (sgombero immediato della palazzina). In buona sostanza, le motivazioni della sentenza impugnata non spiegano come la presenza di lesioni superficiali alle strutture murarie, di discontinuita' e precarieta' dovute a precedenti interventi edilizi, per come riscontrato dal tecnico comunale nella sua relazione, giustificasse la prognosi, fondata su serie basi ingegneristiche/esperienziali, di immediato (o prossimo) pericolo di crollo' della palazzina. 17. Le superiori considerazioni impongono l'annullamento parziale della sentenza impugnata nei confronti di entrambi i funzionari comunali, (OMISSIS) e (OMISSIS), essendo evidente che la posizione di quest'ultima appare strettamente legata a quella del tecnico che, in prima battuta, era chiamato a fornire elementi di valutazione alla (OMISSIS), quale dirigente di riferimento, a riguardo della gestione pubblica della situazione di rischio connessa alle lavorazioni edilizie in corso nella palazzina di (OMISSIS). L'annullamento deve essere disposto anche nei confronti del COMUNE DI (OMISSIS), quale responsabile civile in relazione alla posizione di responsabilita' (ormai solo civile) dei suoi dipendenti. L'annullamento va disposto con rinvio al giudice di merito individuato nel dispositivo, il quale, nel riesaminare l'intero materiale istruttorio e nel rivalutare, in fatto e in diritto, le posizioni di eventuale responsabilita' dei predetti, si atterra' ai principi indicati in materia di colpa e di prevedibilita' dell'evento, rilevanti anche sul piano civilistico ai fini della verifica in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo degli illeciti oggetto di contestazione (cfr. Cass. civ., Sez. 3, n. 31957 del 11/12/2018, Rv. 651948 - 01, ove in una fattispecie di responsabilita' da evento dannoso disciplinata dalla regola generale di cui all'articolo 2043 c.c., ai fini della condotta colposa ascrivibile all'ente pubblico la S.C. ha richiesto che sia provato il mancato adempimento, da parte degli organi comunali, di una condotta obbligatoria in concreto esigibile, anche mediante un accertamento sul piano della prevedibilita' ed evitabilita' dell'evento). Il giudice del rinvio provvedera', altresi', alla regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimita'. 18. Al rigetto dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) consegue la condanna dei predetti al pagamento delle spese processuali, nonche' alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio di legittimita' dalle costituite parti civili, liquidate come da dispositivo. Infine, dal parziale annullamento della sentenza nei confronti di (OMISSIS), limitatamente alla statuizione concernente l'aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 3, discende il rinvio, per nuovo esame sul punto, alla Corte di appello di Salerno, la quale provvedera' anche alla regolamentazione fra le parti delle spese del grado. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e del responsabile civile COMUNE DI (OMISSIS) con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Salerno, cui demanda anche la regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimita'. Annulla la medesima sentenza nei confronti di (OMISSIS), limitatamente alla statuizione concernente l'aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 3, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Salerno, cui demanda anche la regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimita'. Dichiara irrevocabile l'affermazione di responsabilita' penale di (OMISSIS) per il reato di crollo colposo. Rigetta i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e delle spese di questo giudizio di legittimita' in favore delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), liquidate per ciascuno in Euro 1.891,00, oltre accessori di legge; (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), liquidate per ciascuno in Euro 3.000,00 oltre accessori di legge; (OMISSIS) e (OMISSIS), liquidate in Euro 3.900,00 oltre accessori di legge; (OMISSIS) e (OMISSIS), liquidate in Euro 3.900,00 oltre accessori di legge; (OMISSIS) e (OMISSIS), liquidate in Euro 3.900,00 oltre accessori di legge; (OMISSIS), (OMISSIS), in proprio e in qualita' di titolari della responsabilita' genitoriale sul minore (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), liquidate in Euro 6.600,00 oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SIANI Vincenzo - Presidente Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. TALERICO Palma - rel. Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 10/01/2022 della Corte d'appello di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi Orsi, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso; letta la memoria difensiva in data 30 marzo 2023, che ha insistito nell'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 10 gennaio 2022, la Corte d'appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lecce, ha assolto l'imputato dal reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 lettera c), limitatamente alla realizzazione di pavimentazione esterna, ed ha confermato la sentenza di condanna per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 lettera c) e di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181 comma 1, con riferimento alla realizzazione di una parete doccia esterna mt. 2,10 x 2,50 e di un solaio di un bagno esterno ad un'altezza superiore a quella prevista di m. 2,75 in luogo di m. 2,30, riducendo la pena inflitta a mesi uno e giorni 15 di arresto e Euro 34.000,00 di ammenda. Secondo quando accertato dai giudici del merito, l'imputato aveva realizzato una parete ex novo con inserimento di doccia nella parte originariamente destinata ad area scoperta, comportante modifica dell'originaria tipologia del luogo e, pur non determinando nuove superfici o nuovi volumi, rientrava nella nozione di nuova costruzione di cui all'articolo 10 Tue in quanto incidente sul tessuto urbanistico per la quale occorre il permesso costruire, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3 comma 1, lettera e), che assoggetta attualmente a permesso di costruire non soltanto le attivita' di edificazione, ma anche altre attivita' che pur non integrando interventi edilizi in senso stretto comunque comportano una modificazione permanente dello stato materiale e di conformazione del suolo, nonche' la realizzazione di un solaio di copertura del vano bagno piu' alto rispetto alle esistente, con aumento di volumetria, non essendo possibile la sua qualificazione quale pertinenza, opere la cui realizzazione SU area sottoposta a vincolo, in assenza di autorizzazione, integrava anche il reato paesaggistico. 2. Avverso la sentenza il difensore dell'imputato ha presentato ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173, comma 1, disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alla ricostruzione dei fatti, travisamento della prova. La Corte territoriale avrebbe travisato i fatti nella ricostruzione della fattispecie concreta accertando l'esecuzione ex novo della pavimentazione esterna anziche', come risulta dalla comunicazione notizie di reato acquisita agli atti si trattava di un rifacimento totale di una pavimentazione ha preesistente da cui illogica motivazione secondo cui la realizzazione della pavimentazione esterna non avrebbe richiesto il permesso a costruire perche' di piccole dimensioni e senza modificazione dello stato di destinazione d'uso. 2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di cui all'articolo 606 comma 1 lettera b) c.p.p. in relazione all'erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, 6, 6 bis, 22, 23 ter e 44. In sintesi, il motivo di censura investe l'affermazione della responsabilita' penale per il reato edilizio perche' erroneamente i giudici del merito avrebbero ritenuto che l'intervento edilizio, consistito nella realizzazione della parete doccia esterna su superficie gia' pavimentata e senza sviluppo di superficie utile ne' volumetria sarebbe da qualificare quale nuova costruzione per cui necessitava di permesso a costruire. L'opera in questione realizzerebbe una manutenzione straordinaria leggera secondo il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3 lettera b), trattandosi di attivita' di realizzazione e/o integrazione dei servizi igienico-sanitari, assoggettata ai sensi degli articoli 6, 6 bis e 23 del TUE a semplice Cila o al piu' a Scia. 2.3. Con il terzo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alla illogicita' della motivazione con riguardo alla realizzazione del solaio del bagno. La Corte territoriale nel trattare il motivo di appello non avrebbe colto la doglianza e avrebbe travisato il tutto rendendo sul punto una motivazione assolutamente inconferente. Non avrebbe considerato la corte territoriale che vi era stata la realizzazione di un solaio intermedio, sicche', ferma l'altezza interna del bagno, non vi sarebbe alcun aumento di volumetria. Anche questo intervento sarebbe da annoverare tra gli interventi di manutenzione straordinaria o di difformita' rispetto alla Scia. 2.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di cui all'articolo 606 comma 1 lettera b) c.p.p. in relazione all'erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, 6, 6 bis, 22, 23 ter e 44 nonche' in relazione al Decreto Legislativo n. 222 del 2016 e relative tabelle indicanti l'attivita' di edilizia libera. Errata qualificazione giuridica del solaio del bagno ed errata sussunzione nelle opere che richiedono il permesso a costruire trattandosi di modificazione di pertinenza urbanistica (elevazione di cm. 45 del bagno). 2.5. Con il quinto motivo deduce la violazione di cui all'articolo 606 comma 1 lettera b) c.p.p. in relazione all'erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, 6, 6 bis, 22, 23 ter e 44 nonche' in relazione al Decreto Legislativo n. 40 del 2004, al Decreto del Presidente della Repubblica n. 31 del 2017, articolo 149 e 181. Si tratterebbe di interventi, quelli sopra descritti, per i quali non sarebbe richiesta l'autorizzazione paesaggistica ai sensi dell'articolo 149 cit. in quanto non altererebbero lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici tenuto conto che quanto la sagoma esteriore e la volumetria sarebbero rimaste quelle del "prospetto laterale" della Scia mentre la parete doccia non avrebbe comportato una modifica significativa degli assetti planimetrici e vegetazionali. 2.6. Con il sesto motivo deduce il vizio di motivazione in relazione al diniego di applicazione della causa di non punibilita' ex articolo 131 bis c.p.. 2.7. Con il settimo motivo il vizio di motivazione in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. 2.8. Con l'ottavo motivo di ricorso deduce la violazione di legge in relazione agli articoli 164-165 c.p. in relazione alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione. 3. Il Procuratore Generale ha chiesto la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 4. Va, preliminarmente, rilevata la tardivita' della memoria depositata in data 30 marzo 2023, per l'udienza del 4 aprile 2023, tenuto conto che nel giudizio camerale di legittimita', ex articolo 23 bis L. 18 dicembre 2020, n. 176, le memorie e le produzioni difensive depositate in violazione del rispetto dei termini di quindici e cinque giorni "liberi" prima dell'udienza, previsti dall'articolo 611 c.p.p., sono tardive e, pertanto, non possono essere prese in considerazione (Sez. 4, n. 49392 del 23/10/2018, Rv. 274040 - 01; Sez. 1, n. 13597 del 22/11/2016, De Silvio, Rv. 269673 - 01). 5. Il ricorso e' inammissibile per la proposizione di motivi manifestamente infondati. I motivi primo, secondo, terzo, quarto e quinto, che possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili perche' manifestamente infondati. Il ricorrente articola le censure sulla base di un errato presupposto giuridico, contrario ai principi reiteratamente espressi dalla giurisprudenza di legittimita' che ha, da sempre, affermato che l'intervento edilizio deve essere considerato unitariamente nel suo complesso, senza possibilita' di scindere e considerare separatamente le sue componenti (Sez. 3, n. 20363 del 16/03/2010, Marrella, Rv. 247175 - 01; Sin da risalenti, e mai superate pronunce di questa Corte di legittimita', si e' affermato il principio secondo cui la valutazione di un'opera edilizia abusiva va effettuata con riferimento al suo complesso, non potendosi considerare separatamente i suoi singoli componenti, cosi' che, in virtu' del concetto unitario di costruzione, la stessa puo' dirsi completata solo ove siano stati terminati i lavori relativi a tutte le parti dell'edificio (Sez. 3, n. 4048 del 06/11/2:002, Rv. 223365 01, fattispecie in tema di decorrenza del termine di prescrizione) Piu' recentemente, e con riguardo al profilo che qui viene in rilievo della tipologia del titolo abilitativo richiesto, si e' ribadito che in tema di reati edilizi, la valutazione dell'opera, ai fini della individuazione del regime abilitativo applicabile, deve riguardare il risultato dell'attivita' edificatoria nella sua unitarieta', senza che sia consentito considerare separatamente i singoli componenti (Sez. 3, n. 16622 del 08/04/2015, P.M. in proc. Casciato, Rv. 263473 - 01). Si e' in proposito reiteratamente evidenziato che il regime dei titoli abilitativi edilizi non puo' essere eluso attraverso la suddivisione dell'attivita' edificatoria finale, nelle singole opere che concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo piu' blando, per la loro piu' modesta incisivita' sull'assetto territoriale. L'opera deve essere considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti (Sez. 3, n. 16622 del 08/04/2015 Rv. 263473 - 01; Sez. 3, n. 5618 del 17/11/2011, Forte, Rv. 252125 - 01). Il principio di unitaria valutazione e' stato ribadito anche con riferimento ad opere in grado di non assumere rilevanza penale se esaminate autonomamente, eppure suscettibili di integrare, proprio in ragione della necessaria valutazione complessiva, interventi richiedenti titoli abilitativi corrispondenti al permesso di costruire o ad atti ad esso equivalenti (fattispecie con riguardo alla valutazione dell'opera ai fini della individuazione del "dies a quo" per la decorrenza della prescrizione, deve riguardare la stessa nella sua unitarieta', senza che sia consentito considerare separatamente i suoi singoli componenti (Sez. 3, n. 30147 del 19/04/2017 Rv. 270256 - 01; Tomasulo P; Sez. 3, n. 16622 del 08/04/2015 Rv. 263473 - 01 cit.). 6. Sulla scorta di questa esegesi ermeneutica la decisione impugnata e' giuridicamente corretta. La vicenda in esame, secondo quanto risulta dal provvedimento impugnato, riguarda la realizzazione di una parte ex novo con inserimento di doccia nella parte destinata ad area scoperta che, pur non determinando nuove superfici e volumi, modificava l'originaria tipologia del luogo, e la realizzazione di un nuovo solaio di copertura del vano bagno, che rispetto all'originaria altezza di m. 2,30 era, all'esito del sopralluogo di m. 2,75, con realizzazione di nuovi volumi. La ricostruzione del solaio con innalzamento dello stesso e, inevitabile, aumento di volumetria, rientra, come correttamente rilevato dalla corte territoriale, nella nozione di nuova costruzione soggetta a permesso a costruire ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3 lettera e), sicche' non era sufficiente la SCIA che consentiva la sola demolizione e ricostruzione del solaio come in origine. La valutazione unitaria delle opere come realizzate ed accertate non consente di scindere l'intervento realizzato di costruzione ex novo del muro con inserimento di doccia, e di ritenerlo quale manutenzione leggera che include ai sensi ai sensi dell'articolo 3 lettera b) cit. "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonche' per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici" assoggettati ai sensi degli articoli 6, 6 bis e 22 Tue a semplice CILA. 7. Consegue anche la manifesta infondatezza del quinto motivo di ricorso, atteso che i lavori erano stati eseguiti in area sottoposta a vincolo paesaggistico senza autorizzazione paesaggistica, trattandosi di interventi, quelli complessivamente realizzati, che richiedevano l'autorizzazione paesaggistica ai sensi del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 146, non trovando applicazione l'articolo 149 cit. A norma del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 149, comma 1, lettera a), non e' richiesta l'autorizzazione paesaggistica per "gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici". Mentre gli interventi di ristrutturazione edilizia da eseguire in area sottoposta a vincolo paesaggistico sono sempre soggetti ad autorizzazione (Sez. 3, n. 24410 del 09/02/2016, Pezzuto, Rv. 267190 - 01; Sez. 3, n. 8739 del 21/01/2010, Perna, Rv. 246218). Orbene, il D.Lgs n. 42 del 2004, articolo 149 il cui comma 1, lettera a), sottrae all'obbligo di autorizzazione gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici, mentre ogni altro intervento, per il quale sia necessario il permesso di costruire la richiede. Per l'intervento come realizzato era dunque necessaria l'autorizzazione paesaggistica e la loro realizzazione in assenza integra il reato contestato di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181 comma 1. 8. Il sesto motivo di ricorso che contesta il diniego di riconoscimento della causa di non punibilita' ex articolo 131 bis c.p. e' inammissibile. Da un lato il riferimento alla mancanza di presupposti di cui all'articolo 101 c.p. non e' pertinente giacche' la sentenza impugnata ha escluso la particolare tenuita' dell'offesa in ragione dell'abitualita' della condotta tenuto conto dei precedenti della stessa indole. Tale decisione si pone in linea con i principi affermati dalle Sezioni Unite Tushaj secondo cui, ai fini del presupposto ostativo alla configurabilita' della causa di non punibilita' prevista dall'articolo 131 bis c.p., il comportamento e' abituale quando l'autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591 - 01). L'imputato e' recidivo reiterato e specifico condanna per L. n. 298 del 1974, articolo 46 e articolo 1161 c.n.), sicche' la motivazione e' congrua e corretta in diritto. 9. Il diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e' giustificato dai precedenti penali specifici e reiterati dell'imputato. In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione, essendo sufficiente, ai fini dell'esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai precedenti penali dell'imputato (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269 - 01). 10. Anche l'ottavo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato. La sospensione condizionale della pena e' stata rigettata per assenza dei presupposti per la sua concessione in ragione dei precedenti penali da cui non era possibile formulare un giudizio prognostico favorevole di astensione dalla commissione di altri reati, sicche' il tema della eventuale subordinazione del beneficio alla demolizione non e' pertinente. Non viene in questione, in altri termini, la valutazione discrezionale di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto abusivo, di cui il ricorrente lamenta l'omessa motivazione, in quanto il beneficio suddetto e' stato escluso per mancanza dei presupposti ex articolo 164 c.p.. 11. L'inammissibilita' del ricorso per cassazione, per manifesta infondatezza dei' motivi o per altra ragione, "non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilita' di rilevare e dichiarare le cause di non punibilita' a norma dell'articolo 129 c.p.p." (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv 217266; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricorni) cosicche' e' preclusa la dichiarazione di prescrizione del reato maturato dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello (Sez. 5, n. 15599 del 19/11/2014, Zagarella, Rv. 263119). 12. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e' ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. LIBERATI Giovanni - Consigliere Dott. NOVIK Adet Toni - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 4/4/2022 della Corte di appello di Venezia; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere Dr. Enrico Mengoni; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Costantini Francesca, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 4/4/2022, la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della pronuncia emessa il 30/11/2017 dal locale Tribunale, dichiarava non doversi procedere nei confronti (tra gli altri) di (OMISSIS) in ordine ai reati di cui ai capi A) e B), perche' estinti per prescrizione, confermando le statuizioni in favore delle parti civili. 2. Propone ricorso per cassazione il (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi: - inosservanza o erronea applicazione della legge penale, con vizio di motivazione, con riguardo all'estinzione dei reati, ampiamente decorsa alla data della sentenza di primo grado; se sussistenti, le violazioni sarebbero state commesse entro l'autunno 2011, come peraltro desumibile dalle parole del teste (OMISSIS) (peraltro, ampiamente utilizzate in chiave accusatoria) e dagli accertamenti tecnici del Comune, che - eseguiti nel settembre 2012 - avrebbero dato conto di opere sospese ormai da molti mesi; - le stesse censure sono poi mosse quanto all'affermazione di responsabilita'. La Corte di appello, come gia' il Tribunale, avrebbe riconosciuto il (OMISSIS) colpevole soltanto in forza del noto principio del "non poteva non sapere", mentre l'istruttoria avrebbe provato che questi - legale rappresentante della societa' proprietaria avrebbe nominato un progettista e direttore dei lavori, peraltro professore universitario, perche' seguisse ogni profilo tecnico dell'intervento, controlli compresi. Il ricorrente, dunque, non avrebbe avuto alcuna conoscenza e consapevolezza degli illeciti (e sarebbe andato sul cantiere solo 2-3 volte), dato che, per l'appunto, l'esecuzione dei lavori sarebbe stata affidata ad un professionista competente; la responsabilita', dunque, sarebbe esclusa, come da giurisprudenza di questa Corte. A conferma ulteriore, peraltro, si valorizza la circostanza che - appena conosciute le contestazioni mosse dal Comune - il (OMISSIS) si sarebbe subito mosso, revocando gli incarichi affidati, sostituendo il direttore dei lavori ed intentando un'azione legale nei suoi confronti, oltre ad avviare la pratica per ottenere la sanatoria degli abusi; - ancora nei medesimi termini, poi, si contesta la motivazione con riguardo alla sussistenza delle contravvenzioni, da escludere alla luce di numerose deposizioni testimoniali, richiamate per stralci da pag. 11 a pag. 15 del ricorso; da queste, ancora, risulterebbe il carattere doveroso dell'intervento, soprattutto sotto il profilo strutturale; - il vizio di motivazione e la violazione di legge, di seguito, sono dedotti in punto di ne bis in idem, che la Corte avrebbe erroneamente negato sul presupposto che la sanzione amministrativa sarebbe stata rivolta ad un soggetto - l'ente - diverso dalla persona fisica qui a giudizio; con tale argomento, tuttavia, la sentenza non considererebbe che il (OMISSIS) e' qui imputato non in proprio, ma quale legale rappresentante della societa' proprietaria dell'immobile, che ha pagato la sanzione pecuniaria; - il vizio di motivazione e la violazione di legge, ancora, sostengono il motivo che rivendica l'avvenuta sanatoria dei reati per sanatoria, in adesione al Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 45; - infine, si lamenta la conferma delle statuizioni civili, il cui presupposto non sarebbe stato provato. Come il Comune, infatti, avrebbe concesso la sanatoria per tutte le irregolarita' riscontrate, senza provare alcun danno ulteriore, ed avrebbe esaurito ogni pretesa reintegrativa con la sanzione irrogata alla societa', cosi' la Provincia non avrebbe patito alcun danno paesaggistico, attesa la riconosciuta conformita' delle opere. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso risulta manifestamente infondato. 4. Con riguardo al primo motivo, contenente l'eccezione di prescrizione dei reati contestati, il Collegio osserva, per un verso, che lo stesso si fonda su dati di fatto non ammessi in questa sede, ossia le dichiarazioni del teste (OMISSIS) e gli esiti degli accertamenti del settembre 2012, e, per altro verso, che la censura non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza. La Corte di appello, in particolare, ha richiamato ampio materiale istruttorio (testimoniale e documentale, compreso quanto evidenziato nel motivo), per poi concludere che, a tutto concedere, i lavori abusivi si erano protratti sino al settembre 2012, peraltro malgrado la disposta sospensione; e' stata sottolineata, in particolare, la deposizione del teste (OMISSIS), in forza alla polizia municipale di Venezia, che aveva compiuto un sopralluogo il 5 settembre 2012 riscontrando lavori in corso, all'interno e all'esterno dell'edificio, con due operai presenti in piena attivita'. In forza di cio', la sentenza ha dunque concluso che - tenuto anche conto di 126 giorni di sospensione - il termine di prescrizione era certamente maturato dopo la sentenza di primo grado, pronunciata il 30 novembre 2017. 5. Risultano poi manifestamente infondati anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente: dietro la parvenza di una violazione di legge o di un plurimo vizio argomentativo, infatti, gli stessi sono volti ad ottenere in questa sede una differente e non consentita valutazione delle risultanze istruttorie, con riguardo ai comportamenti tenuti dal ricorrente. La doppia censura, in particolare, e' formulata in termini di puro fatto, propri della sola fase di cognizione e non consentiti davanti al Giudice di legittimita', con i quali si lamenta - con ampio richiamo alle deposizioni acquisite (peraltro citate solo per estratto e senza allegazione del relativo verbale) - che il ricorrente sarebbe stato condannato pur in assenza di contestazioni, soltanto perche' "non poteva non sapere", e pur a fronte di un incarico conferito ad un competente professionista affinche' seguisse ogni profilo tecnico dell'intervento, controlli compresi. 5.1. Con queste considerazioni - si ribadisce non consentite, perche' di puro merito - il ricorso non ha pero' valutato la piu' che congrua e logica motivazione stesa anche sul punto dalla Corte di appello, in adesione a quanto sostenuto dal Tribunale, riscontrando tutti gli elementi costitutivi dei reati cli cui ai capi A) e B), tanto oggettivi quanto psicologici; come sui primi la sentenza di appello si e' ampiamente sviluppata alla pagina 8, con analitica indicazione di tutte le violazioni riscontrate, senza ricevere alcuna espressa censura nel motivo di ricorso, cosi' sul profilo soggettivo la sentenza risulta adeguatamente solida e non meritevole di annullamento. La Corte ha infatti evidenziato che erano proprio le modalita' con le quali erano stati perpetrati gli abusi a confermare la piena consapevolezza degli stessi in capo agli imputati; in particolare, pur sapendo dall'inizio che l'edificio avrebbe dovuto essere interamente "svuotato e ricostruito" (come subito riscontrato dalle fotografie in atti), le opere erano cominciate con la semplice presentazione di un avvio inizio lavori dell'11/5/2010, a firma del ricorrente, a titolo di manutenzione ordinaria. Pochi giorni dopo, il 21/7/2010, era stata poi presentata una D.I.A. per opere di straordinaria manutenzione e modifiche al distributivo, peraltro priva della documentazione necessaria; le fotografie - ha evidenziato ancora la sentenza - dimostravano anche che, nel frattempo, erano stati eseguiti altri interventi che avrebbero necessitato del permesso di costruire. Il 17/11/2010, peraltro, la D.I.A. era stata annullata, e - pur senza interrompere i lavori - ne era stata presentata un'altra il 2/3/2011, anch'essa con documentazione incompleta e priva dei necessari elaborati grafici. 5.2. In forza di questi elementi obbiettivi, che il ricorso non contesta espressamente, la Corte di appello ha quindi concluso - con argomento piu' che logico - che proprio il successivo inoltro di "atti fuorvianti che occultano le sostanziali modifiche ideate e poi realizzate" evidenziava la malafede con la quale gli imputati avevano utilizzato le stesse procedure amministrative, cosi' da integrare ogni profilo soggettivo delle contravvenzioni contestate. Quanto in particolare al (OMISSIS), la sentenza ha peraltro precisato che lo stesso - presente o meno sul cantiere - aveva comunque concordato col direttore dei lavori le modalita' operative, e che l'innalzamento del tetto era stato realizzato nel suo proprio interesse; d'altronde, la rilevantissima divergenza riscontrata tra gli interventi di manutenzione ordinaria inizialmente dichiarati e le opere poi riscontrate difficilmente si poteva imputare ad una iniziativa autonoma del direttore dei lavori, in difetto di ogni consenso della proprieta' committente, non essendo emerso al riguardo alcun elemento positivo, neppure indicato nel ricorso. 5.3. In senso contrario, peraltro, non possono valere le numerose considerazioni in fatto proposte dal secondo e dal terzo motivo di impugnazione, per le quali il ricorrente si sarebbe limitato a nominare un professionista competente, disinteressandosi di ogni profilo tecnico dell'intervento, oltre che degli eventuali controlli; che, avuta conoscenza delle contestazioni, lo stesso sarebbe immediatamente intervenuto per evidenziare la propria estraneita' agli abusi; che numerose deposizioni avrebbero addirittura riscontrato la sussistenza stessa delle violazioni contestate. Questi argomenti - si ribadisce - sono propri della sola fase di merito, sono stati considerati nelle sentenze ed attengono ad una valutazione della prova non consentita alla Corte di legittimita'. 6. Con riguardo, poi, al quarto motivo di ricorso, che lamenta la violazione del ne bis in idem per esser stata gia' sanzionata - per le stesse condotte, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 33, comma 2, - la societa' della quale il (OMISSIS) e' legale rappresentante (" (OMISSIS) s.r.l."), deve essere qui ribadito il costante principio per il quale non sussiste la preclusione all'esercizio dell'azione penale di cui all'articolo 649 c.p.p., quale conseguenza della gia' avvenuta irrogazione, per lo stesso fatto, di una sanzione formalmente amministrativa, ma avente carattere sostanzialmente "penale", ai sensi dell'articolo 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, allorquando non vi sia coincidenza fra la persona chiamata a rispondere in sede penale e quella sanzionata in via amministrativa, esattamente come nel caso in esame (Sez. F., n. 42897 del 9/8/2018, C., Rv. 273939: in applicazione del principio, la Corte ha escluso la violazione del divieto di bis in idem con riferimento a persona imputata per emissione di fatture inesistenti, fatto per il quale era stata inflitta sanzione amministrativa ad una societa', soggetto giuridico diverso dall'imputato persona fisica. Tra le altre, Sez. 3, n. 24309 del 19/1/2017, Bernardoni, Rv. 270515; Sez. 3, n. 23839 del 7/11/2017, Passaro, Rv. 273107). A tale riguardo, peraltro, non rileva - come si legge nel ricorso - che il (OMISSIS) sia qui imputato quale legale rappresentante della stessa " (OMISSIS) s.r.l.", perche' - come correttamente affermato dai Giudici di merito - la sanzione amministrativa e' stata comunque irrogata ad un soggetto giuridico diverso, cosi' da doversi escludere ogni possibile violazione del ne bis in idem in esame. 7. Inammissibile per manifesta infondatezza, ancora, e' il ricorso quanto al quinto motivo, che eccepisce l'estinzione del reato per intervenuta sanatoria. 7.1. La Corte di appello, pronunciandosi anche su tale questione, ha infatti ben sottolineato che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 45, comma 2, - per il quale il rilascio in sanatoria del permesso di costruire estingue i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti - deve essere letto alla luce del precedente articolo 36, che prevede che il permesso in sanatoria puo' essere rilasciato soltanto se "l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda". Ebbene, con argomento in fatto che il ricorso neppure cita, tantomeno contesta, la Corte di appello ha negato l'esistenza di questa doppia conformita', cosi' da escludere alla sanatoria ogni rilevanza penale, e, dunque, l'effetto estintivo dei reati contestati. 8. Infine, con riferimento al danno riconosciuto in favore delle parti civili, la sentenza ha evidenziato che gia' il primo Giudice aveva ampiamente spiegato in cosa cio' fosse consistito, descrivendolo in termini del tutto congrui e concreti; in sede di gravame, tuttavia, la difesa non aveva preso in considerazione questi argomenti, palesemente trascurati, limitandosi a sostenere l'assenza di un danno effettivo, stante la sanatoria e la compatibilita' paesaggistica rilasciate, oltre alla sanzione amministrativa gia' imposta alla " (OMISSIS)" per i medesimi abusi. La stessa genericita', peraltro, connota anche il motivo di ricorse, che, nuovamente, non si confronta affatto con la motivazione della sentenza, ma si limita a ribadire - con argomento in fatto, dunque inammissibile - l'asserita mancanza di danno in capo agli Enti. 8.1. Con particolare riguardo al Comune di Venezia, infine, la censura non considera la sostanziale differenza che corre tra la sanzione amministrativa di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 33, comma 2, ed il risarcimento civilistico del danno: mentre la prima costituisce la monetizzazione del mancato ripristino dello stato dei luoghi, imposto ma non eseguito perche' risultato non possibile, tanto da esser rapportato (nel doppio) all'aumento di valore dell'immobile conseguente alla realizzazione delle opere, il risarcimento non svolge alcuna funzione sanzionatoria, ma solo ripristinatoria di un danno, economicamente valutabile, che il danneggiato ha subito. 9. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", alla declaratoria dell'inammissibilita' medesima consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonche' quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00. 10. Nessuna liquidazione delle spese, invece, spetta alla parte civile Comune di Venezia; deve essere qui ribadito, infatti, il principio per cui nel giudizio di cassazione non va disposta la condanna dell'imputato al rimborso delle spese processuali in favore della parte civile che non sia intervenuta nella discussione in pubblica udienza, ma si sia limitata a formulare la richiesta di condanna mediante il deposito di una memoria in cancelleria con l'allegazione di nota spese (tra le molte, Sez. 6, n. 28615 del 28/4/2022, Landi, Rv. 283608; Sez. 5, n. 19177 del 31/1/2022, Musso, Rv. 283118). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

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