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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9178 del 2023, proposto da Ma. Or. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Al. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ba., Si. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Condominio Vi. Bo., rappresentato e difeso dagli avvocati Ri. Mo., An. In., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ro. De Mu. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Gi. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Torino, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 703/2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis), del Condominio Vi. Bo. e di Ro. De Mu. e altri come sopra individuati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Marco Morgantini e uditi per le parti gli avvocati Ma. Al.; Ma. Si.; Ga. Gi.; In. An.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza n. 77 in data 1 giugno 2022, assunta dal Segretario del Comune di (omissis), avente ad oggetto la sospensione dei lavori di ricostruzione di un muro di sostegno di area retrostante comprendente la linea ferroviaria (omissis) - (omissis) nonché un edificio residenziale. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze. I ricorrenti sono proprietari di un compendio immobiliare nel Comune di (omissis), frazione (omissis), costituito da un antico edificio residenziale ("villa del Ve.") e un'area pertinenziale che si estende fino al litorale. Con provvedimento del 27 novembre 2019, il Comandante della Capitaneria di porto di Imperia autorizzava uno dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 55 cod. nav. e fatto salvo il necessario titolo edilizio, ad effettuare i lavori di ricostruzione di un muro di protezione dal mare; secondo le risultanze catastali, il manufatto da erigere rientrava nel perimetro della proprietà privata. Previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica, gli interessati presentavano al Comune di (omissis), in data 18 febbraio 2020, una s.c.i.a. per la ricostruzione del muro in cemento armato, qualificando l'intervento come manutenzione straordinaria. Con nota del 11 maggio 2022, considerato che i lavori non erano stati ancora realizzati e che lo stato dei luoghi poteva aver subito mutamenti nel periodo trascorso dal rilascio dell'autorizzazione, il Comandante della Capitaneria di porto sospendeva l'efficacia del titolo medesimo, diffidando gli interessati a non realizzare l'intervento. Con successiva nota del 16 maggio 2022, la stessa Autorità comunicava che, alla luce delle risultanze emerse in apposita riunione cui avevano partecipato i rappresentanti del Provveditorato alle opere pubbliche e dell'Agenzia del demanio, la diffida era stata revocata. I lavori sono stati avviati nello stesso mese di maggio del 2022. Tuttavia, essendo emersi elementi di incertezza in ordine alla titolarità dell'area di intervento (che, secondo alcuni esposti pervenuti all'Ente locale, sarebbe appartenuta al demanio marittimo), il Comune di (omissis) disponeva l'immediata sospensione dei lavori con ordinanza del 1 giugno 2022. In pari data, il Comune presentava alla Capitaneria di porto un'istanza urgente per la rideterminazione della dividente demaniale ex art. 32 cod. nav. Il Comandante della Capitaneria di porto riscontrava l'istanza con nota del 14 giugno 2022, significando che la questione inerente alla persistente attualità dell'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. rilasciata ai ricorrenti era già stata affrontata e positivamente definita nella menzionata riunione cui il Comune non aveva ritenuto di partecipare. A questo punto, preso atto che i solleciti volti all'esercizio del potere di autotutela erano rimasti privi di riscontro, gli interessati hanno impugnato l'ordine di sospensione dei lavori con ricorso notificato e depositato in data 8 luglio 2022. In via preliminare il Tar ha fatto riferimento all'affermazione di parte ricorrente secondo cui, essendo decorso il termine di 45 giorni stabilito dall'art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, l'impugnata ordinanza di sospensione dei lavori sarebbe divenuta inefficace nel corso del giudizio e, in conseguenza, dovrebbe essere dichiarata l'improcedibilità del ricorso. È evidente che, in questa prospettiva, l'invocata declaratoria di improcedibilità risulterebbe sostanzialmente satisfattiva della pretesa azionata in giudizio, poiché implica l'accertamento della sopravvenuta inefficacia del provvedimento che impedisce la ripresa dei lavori avviati dai ricorrenti. Il Tar ha condiviso, a tale riguardo, la stigmatizzazione operata dai primi intervenienti, non essendo plausibile che il ricorso, cui accedeva la domanda di tutela cautelare anche monocratica, fosse stato proposto avverso un provvedimento la cui efficacia, in tesi, sarebbe venuta meno appena otto giorni dopo: l'atto introduttivo del presente giudizio, infatti, è stato notificato e depositato in data 8 luglio 2022, laddove il preteso termine di efficacia del provvedimento impugnato sarebbe scaduto il successivo 16 luglio. In ogni caso, anche volendo ammettere che i pochi giorni residui di "paralisi del cantiere" fossero forieri di gravi pregiudizi per i ricorrenti, la tardiva segnalazione di una circostanza potenzialmente idonea a consentire la sollecita definizione del giudizio già in sede cautelare configura un abuso dello strumento processuale. Il Tar ha poi evidenziato l'infondatezza della tesi inerente alla sopravvenuta inefficacia dell'impugnata ordinanza. Nel caso in esame, infatti, l'Amministrazione ha disposto la sospensione dei lavori "fino al provvedimento di delimitazione ex articolo 32 cod. nav. richiesto, in via di urgenza, con nota prot. n. 23171 del 1 giugno 2022". La scadenza dell'efficacia dell'atto dipendeva, quindi, da un evento futuro e incerto nel quando, ma non nell'an, poiché il Comune di (omissis) non aveva ragioni per dubitare, anche in un'ottica di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni, che la propria istanza di rideterminazione della dividente demaniale avrebbe dato impulso ad un procedimento destinato a concludersi con un provvedimento espresso. Non risulta, d'altronde, che l'istanza predetta sia stata formalmente rigettata, atteso che la nota del 14 giugno 2022 della Capitaneria di porto si pronunciava in merito alla diversa questione concernente l'invarianza dei presupposti sottesi all'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. già rilasciata ai ricorrenti. Alla luce di tali precisazioni, può farsi questione della legittimità di un termine diverso da quello previsto dalla fonte primaria, ma non dubitare della sua esistenza e, dunque, della perdurante efficacia del provvedimento impugnato, con conseguente insussistenza delle condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso. Il Tar ha fatto riferimento all'indagine relativa all'effettivo stato dei luoghi interessati dall'attività edificatoria, in funzione dell'accertamento incidentale della demanialità dell'area di intervento. Trattasi di accertamento sicuramente non eccedente l'ambito della competenza del giudice amministrativo, poiché l'ipotizzato carattere demaniale del bene costituisce presupposto del provvedimento impugnato. Il Tar ha ricordato che ai sensi dell'art. 822, primo comma, cod. civ., il lido del mare e la spiaggia "appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico". I beni che assumono i connotati naturali di "lido del mare" o di "spiaggia" sono acquisiti al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della pubblica amministrazione. Per univoco orientamento giurisprudenziale, il lido del mare è la porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, mentre la spiaggia comprende i tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2019, n. 26877). Rientra nel demanio marittimo necessario anche l'arenile, vale a dire quel tratto di terraferma relitto dal naturale ritirarsi delle acque che resti idoneo ai pubblici usi del mare (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2020, n. 22567). Il verificatore pur non avendo risposto espressamente al quesito che chiedeva di accertare se il muro da erigere insista, in tutto o in parte, sul lido del mare o sulla spiaggia, ha fornito informazioni che consentono di ravvisare gli elementi costitutivi della demanialità con riguardo al terreno interessato dall'intervento edilizio, rimanendo irrilevante la sua iscrizione in catasto come proprietà privata. Riferisce innanzitutto il verificatore che il muro dovrebbe sorgere sull'appezzamento di terreno identificato a catasto al foglio (omissis), mappali (omissis), "posto fronte mare al di sotto della linea ferroviaria" (pag. 6). Le fotografie interfogliate nella relazione rivelano che il terreno in questione è privo di scogli e coperto da ciottoli fino al terrapieno posto a monte; si nota "la presenza sulla linea di battigia di blocchi di cemento e numerosi tondini di ferro installati lungo una linea che rappresenterebbe il tracciato dove far sorgere il muro" (pag. 8). Tale tratto di litorale "è caratterizzato da fenomeni di mareggiate particolarmente intense e saltuarie" (pag. 15), come dimostrato anche dall'erosione del terrapieno predetto cagionata dal "frangersi del moto ondoso durante le mareggiate" (pag. 28). Infine, per quanto concerne l'esatta ubicazione del muro, il verificatore precisa che esso si collocherebbe a circa 11 metri dalla linea di battigia nella parte più distante e ad un paio di metri in quella più prossima al mare (pag. 28). Tali elementi dimostrano che la porzione di riva sulla quale dovrebbe sorgere il muro, restando coperta nella sua interezza da mareggiate non eccezionali, non consente altro uso che non sia quello marittimo e, in conseguenza, ha qualità intrinseca di "lido del mare" o di "spiaggia", comunque riconducibile alle categorie indicate dall'art. 822, primo comma, cod. civ. Anzi, considerando che le operazioni peritali sono state effettuate in condizioni di mare calmo, vento assente e bassa marea (pag. 28), è verosimile che la parte di muro più vicina al mare sorga direttamente sulla battigia, ossia sulla fascia costiera interessata dal movimento ordinario di flusso e riflusso delle onde, come dimostra chiaramente anche la fotografia inserita alla pag. 8 della relazione peritale. La sicura qualificazione dell'area come bene appartenente al demanio marittimo necessario rende irrilevanti le ulteriori questioni afferenti la sua potenziale attitudine a realizzare i pubblici usi del mare. Discende da tali considerazioni la diagnosi di fondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso espressamente sollevata dai primi intervenienti (ma insita anche nelle argomentazioni difensive delle altre parti resistenti). In assenza di concessione, infatti, i ricorrenti non avevano alcun titolo di legittimazione per realizzare l'opera su un bene del demanio marittimo, sicché la s.c.i.a. edilizia, di per sé inidonea ad esplicare effetti sul piano del governo dei diritti demaniali, deve considerarsi tamquam non esset. Ne consegue che, non disponendo del bene della vita, i ricorrenti non possono vantare un interesse astrattamente meritevole di tutela o, più precisamente, un interesse legittimo oppositivo nei confronti del provvedimento adottato dal Comune di (omissis) che, inibendo la prosecuzione dei lavori (a prescindere dalla natura del potere concretamente esercitato), non determina alcun effetto restrittivo della sfera giuridica dei soggetti privi dello ius aedificandi. 2. Si sono costituiti in giudizio per resistere all'appello il Comune di (omissis), Ro. De Mu. ed altri e il Condominio "Vi. Bo.". 3. Parte appellante fa presente che nel corso del giudizio di primo grado i ricorrenti odierni appellanti hanno chiesto che il ricorso venisse dichiarato improcedibile per sopravvenuta inefficacia dell'ordine di sospensione lavori, essendo decorso il termine di 45 giorni stabilito dall'art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001. Contesta la tesi del Tar secondo cui, stante la perdurante efficacia del provvedimento impugnato di sospensione lavori, difetterebbero le condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso. Ritiene che: - la dichiarazione di improcedibilità del ricorso avverso l'ordine di sospensione non sia in alcun modo satisfattiva delle ragioni dei ricorrenti in quanto se è vero che ciò avrebbe consentito di riprendere i lavori è altrettanto vero che gli stessi sarebbero rimasti pur sempre esposti alla vigilanza del Comune e alla emissione di atti repressivi di eventuali illeciti; - la proposizione del ricorso in questione non sarebbe abuso del processo, ma invece normale esercizio del diritto di difesa al fine di ottenere l'annullamento nel merito dell'ordinanza di sospensione lavori o quantomeno la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta inefficacia dell'atto per decorso del termine stabilito dalla legge anche in funzione della proponenda azione risarcitoria dei danni causati dall'arbitraria sospensione lavori. Ritiene che il giudice di prime cure abbia ignorato che la stessa ordinanza ha esplicitamente riconosciuto la propria natura cautelare e ha richiamato le disposizioni del D.P.R. n. 380/2001. Sulla base di ciò non potrebbero sussistere dubbi sull'applicabilità nel caso di specie dell'art. 27 del D.P.R. n. 380/2001 (il cui contenuto è trasfuso anche nella Legge Regionale sull'edilizia n. 16 del 2008 all'art. 40) ed in particolare del termine di efficacia di 45 giorni per la sospensione lavori. Il provvedimento del Comune di (omissis) non sarebbe semplicemente illegittimo per violazione delle norme che stabiliscono il termine di efficacia dell'ordinanza di sospensione, ma diverrebbe addirittura nullo per difetto assoluto di attribuzione. Parte appellante ribadisce pertanto l'improcedibilità del ricorso originario per sopravvenuta inefficacia del provvedimento di sospensione lavori atteso che nel termine perentorio di 45 giorni - ma neppure successivamente - non è stato adottato alcun provvedimento definitivo comunale. 3 - bis. L'appello è infondato e pertanto il collegio può prescindere dall'esame delle eccezioni preliminari. Le censure sono infondate. Infatti, l'Amministrazione ha disposto la sospensione dei lavori "fino al provvedimento di delimitazione ex articolo 32 cod. nav. richiesto, in via di urgenza, con nota prot. n. 23171 del 1 giugno 2022". La scadenza dell'efficacia dell'atto dipendeva, quindi, da un evento futuro e incerto nel quando, ma non nell'an, poiché il Comune di (omissis) non aveva ragioni per dubitare, anche in un'ottica di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni, che la propria istanza di rideterminazione della dividente demaniale avrebbe dato impulso ad un procedimento destinato a concludersi con un provvedimento espresso. Non risulta, d'altronde, che l'istanza predetta sia stata formalmente rigettata, atteso che la nota del 14 giugno 2022 della Capitaneria di porto si pronunciava in merito alla diversa questione concernente l'invarianza dei presupposti sottesi all'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. già rilasciata ai ricorrenti. Alla luce di tali precisazioni, come affermato dal Tar, può farsi questione della legittimità di un termine diverso (ossia fino alla data di adozione del provvedimento di delimitazione) da quello previsto dalla fonte primaria, ma non dubitare della sua esistenza e, dunque, della perdurante efficacia del provvedimento impugnato, con conseguente insussistenza delle condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso o la cessata materia del contendere. 4. Parte appellante lamenta poi l'illegittimità dell'accertamento incidentale sulla proprietà contenuto nella sentenza appellata. Infatti la natura stessa dell'ordinanza di sospensione lavori non presuppone alcun accertamento definitivo sulla titolarità dell'area oggetto di intervento edilizio impedendo che si possa instaurare un rapporto di pregiudizialità tra esame del ricorso giurisdizionale attinente la legittimità del provvedimento e l'accertamento in via incidentale del diritto di proprietà sul terreno in questione. L'impossibilità di un accertamento incidentale sarebbe reso ancor più evidente dal fatto che parte ricorrente all'udienza del 24 maggio 2023 ha concentrato la subordinata azione di annullamento insistendo solo sulla violazione del termine finale della sospensione lavori legato nel suo termine finale ad un evento incertus an et quando. 4 - bis. Le censure sono infondate. Il Tar ha fatto riferimento all'indagine relativa all'effettivo stato dei luoghi interessati dall'attività edificatoria, in funzione dell'accertamento incidentale della demanialità dell'area di intervento. Trattasi di accertamento sicuramente non eccedente l'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, poiché l'ipotizzato carattere demaniale del bene costituisce presupposto del provvedimento impugnato e non questione principale. Infatti sul punto l'ordinanza impugnata in primo grado fa specifico riferimento alla descrizione dei luoghi e alla conseguente possibilità che le opere sono state previste ed eseguite sul demanio marittimo. Nel caso di specie oggetto principale della contestazione è proprio l'ordine di sospensione dei lavori e la connessa sopra richiamata motivazione. L'accertamento della proprietà demaniale costituisce questione incidentale scrutinabile dal giudice amministrativo ai sensi del primo comma dell'art. 8 del cod. del proc. amm. secondo cui il giudice amministrativo nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale (così Cons. di Stato, Sez. VII, 23 settembre 2022, n. 8225). 5. Parte appellante ritiene che la sentenza appellata sia illegittima perché il giudice di prime cure si sarebbe discostato dalle determinazioni in materia di confine demaniale delle Amministrazioni competenti. Fa riferimento alla circostanza che: - la Capitaneria di Porto, dopo aver esaminato la questione con nota del 16 maggio 2022 prot. n. 9424 aveva esplicitamente consentito la prosecuzione dei lavori; - l'Agenzia del Demanio ha avuto modo di chiarire che il muro in corso di realizzazione, una volta completato, avrebbe rappresentato "il confine demaniale aggiornato". Il giudice di prime cure, pur in presenza di queste valutazioni delle competenti Amministrazioni sul profilo della demanialità, se ne sarebbe inopinatamente discostato e avrebbe provveduto in autonomia ad individuare di fatto un nuovo confine tra proprietà privata e demanio marittimo, quando la legge assegna tale compito all'Amministrazione nella figura del Capitaneria di Porto competente o al giudice ordinario. Secondo parte appellante la controversia in esame riguarderebbe un'ordinanza di sospensione lavori che non comporta alcun accertamento sulla regolarità o meno dell'opera edilizia con conseguente impossibilità da parte del giudice di prime cure di esaminare la legittimità ovvero l'esistenza della SCIA edilizia che ha assentito il muro di protezione dagli eventi meteo-marini. 5 - bis. Le censure sono infondate. La sentenza appellata è congruamente motivata sul punto anche con riferimento agli esiti della verificazione espletata nel giudizio di primo grado. Infatti il Tar ha premesso che ai sensi dell'art. 822, primo comma, cod. civ., il lido del mare e la spiaggia "appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico". I beni che assumono i connotati naturali di "lido del mare" o di "spiaggia" sono acquisiti al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della pubblica amministrazione. Per univoco orientamento giurisprudenziale, il lido del mare è la porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, mentre la spiaggia comprende i tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2019, n. 26877). Rientra nel demanio marittimo necessario anche l'arenile, vale a dire quel tratto di terraferma relitto dal naturale ritirarsi delle acque che resti idoneo ai pubblici usi del mare (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2020, n. 22567). Il verificatore pur non avendo risposto espressamente al quesito che chiedeva di accertare se il muro da erigere insista, in tutto o in parte, sul lido del mare o sulla spiaggia, ha fornito informazioni che consentono di ravvisare gli elementi costitutivi della demanialità con riguardo al terreno interessato dall'intervento edilizio, rimanendo irrilevante la sua iscrizione in catasto come proprietà privata. Riferisce innanzitutto il verificatore che il muro dovrebbe sorgere sull'appezzamento di terreno identificato a catasto al foglio (omissis), mappali (omissis), "posto fronte mare al di sotto della linea ferroviaria" (pag. 6). Le fotografie interfogliate nella relazione rivelano che il terreno in questione è privo di scogli e coperto da ciottoli fino al terrapieno posto a monte; si nota "la presenza sulla linea di battigia di blocchi di cemento e numerosi tondini di ferro installati lungo una linea che rappresenterebbe il tracciato dove far sorgere il muro" (pag. 8). Tale tratto di litorale "è caratterizzato da fenomeni di mareggiate particolarmente intense e saltuarie" (pag. 15), come dimostrato anche dall'erosione del terrapieno predetto cagionata dal "frangersi del moto ondoso durante le mareggiate" (pag. 28). Infine, per quanto concerne l'esatta ubicazione del muro, il verificatore precisa che esso si collocherebbe a circa 11 metri dalla linea di battigia nella parte più distante e ad un paio di metri in quella più prossima al mare (pag. 28). Tali elementi dimostrano che la porzione di riva sulla quale dovrebbe sorgere il muro, restando coperta nella sua interezza da mareggiate non eccezionali, non consente altro uso che non sia quello marittimo e, in conseguenza, ha qualità intrinseca di "lido del mare" o di "spiaggia", comunque riconducibile alle categorie indicate dall'art. 822, primo comma, cod. civ. Anzi, considerando che le operazioni peritali sono state effettuate in condizioni di mare calmo, vento assente e bassa marea (pag. 28), è verosimile che la parte di muro più vicina al mare sorga direttamente sulla battigia, ossia sulla fascia costiera interessata dal movimento ordinario di flusso e riflusso delle onde, come dimostra chiaramente anche la fotografia inserita alla pag. 8 della relazione peritale. La sicura qualificazione dell'area come bene appartenente al demanio marittimo necessario rende irrilevanti le ulteriori questioni afferenti la sua potenziale attitudine a realizzare i pubblici usi del mare. Discende da tali considerazioni la diagnosi di fondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso espressamente sollevata dai primi intervenienti (ma insita anche nelle argomentazioni difensive delle altre parti resistenti). In assenza di concessione, infatti, i ricorrenti non avevano alcun titolo di legittimazione per realizzare l'opera su un bene del demanio marittimo, sicché la s.c.i.a. edilizia, di per sé inidonea ad esplicare effetti sul piano del governo dei diritti demaniali, deve considerarsi tamquam non esset. Ne consegue che, non disponendo del bene della vita, i ricorrenti non possono vantare un interesse astrattamente meritevole di tutela o, più precisamente, un interesse legittimo oppositivo nei confronti del provvedimento adottato dal Comune di (omissis) che, inibendo la prosecuzione dei lavori (a prescindere dalla natura del potere concretamente esercitato), non determina alcun effetto restrittivo della sfera giuridica dei soggetti privi dello ius aedificandi. Contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, l'accertato difetto di legittimazione ad eseguire le opere comporta necessariamente la non regolarità delle opere edilizie di cui alla Scia. In conclusione l'appello deve essere respinto. La condanna alle spese dell'appello segue la soccombenza con liquidazione nella misura di: - Euro 2.000 a favore del Comune di (omissis); - Euro 2.000 per i seguenti intervenienti costituitisi in appello con unico atto: Ro. De Mu.ed altri; - Euro 2.000 a favore del Condominio "Vi. Bo.". P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte appellante al pagamento delle spese dell'appello nella misura di: Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Comune di (omissis); Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore dei seguenti intervenienti costituitisi in appello con unico atto: Ro. De Mu. ed altri; Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Condominio "Vi. Bo.". Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore Laura Marzano - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7748 del 2020, proposto da Ca. Pi., rappresentato e difeso dall'avvocato con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. No., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fr. Gi. in Roma, via (...); Or. Pi., rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. No., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fr. Gi. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Em. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Terza n. 00948/2020, resa tra le parti, Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti appellanti l'avvocato Ma. No.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in esame le odierne parti appellanti impugnavano la sentenza n. 948 del 2020 del Tar Campania, recante rigetto dell'originario gravame, proposto dalle stesse parti al fine di ottenere l'annullamento dell'ordinanza del Comune di (omissis) n. 6573 del 19 ottobre 2015, avente ad oggetto il rigetto della domanda di concessione edilizia in sanatoria, ai sensi del D.L. 269/2003, convertito con modificazioni dalla legge 326/2003 (c.d. terzo condono). 1.1 In particolare, il diniego si basava sui seguenti elementi: "1. ai sensi della L. 326/03, art. 32, comma 26, lettera a, in combinato con il comma 27, lettera d) (vedasi Corte di Cassazione /Sezione III Penale, 21/12/2004, n. 48956), in quanto l'abuso risulta realizzato su immobile soggetto a vincoli dalla L. 1497/39, oggi D. Lgs. 42/04, a tutela di interessi ambientali, istituiti prima della esecuzione di dette opere e non è conforme alle norme urbanistiche e alle prescrizioni del P.R.G.; 2. ai sensi della L. 47/85 art. 33, comma 1, lettera a e della L. 326/03, art. 32, comma 26, lettera a in combinato con comma 27, lettera d, in quanto le opere oggetto di condono sono state realizzate in ambito P.T.P. in zona R.U.A (art. 13 delle Norme di Attuazione del P.T.P.) sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta (L. 431/85) prima della realizzazione delle opere, entro la quale è "vietato qualsiasi intervento che comporti incremento dei volumi esistenti."; 3. ai sensi della L. 326/03, art. 32, comma 26, lettera a, in combinato con il comma 27, lettera d); in quanto le opere oggetto di condono non sono suscettibili di sanatoria quando sono in contrasto con i vincoli imposti dalla L.R. 07/12/1994 N. 8 a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere istituiti prima della esecuzione di dette opere e dalla L. 326/03 "siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere,.in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (realizzati in zona soggetta a vincolo idrogeologico)". 2. All'esito del giudizio di prime cure il Tar condivideva i motivi di diniego, rigettando le censure dedotte. Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i seguenti motivi di appello sull'erroneità della sentenza: - violazione dell'art. 32 l. 47 del 1985, difetto di istruttoria; - violazione della l.r. 13 del 1993 e delle norme urbanistiche, diversi profili di eccesso di potere; - violazione della disciplina urbanistico edilizia e paesaggistica in relazione alla consistenza dei manufatti; - analoghi vizi per genericità dell'ingiunzione; - mancata applicazione del silenzio assenso; - omessa pronuncia e violazione dell'art. 112 c.p.c. Il Comune appellato si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell'appello. 3. Alla pubblica udienza del 16 maggio 2024 la causa passava in decisione. 4. L'appello è infondato nel merito, con conseguente superamento dell'eccezione di inammissibilità in base al consolidato principio di economia processuale. 5. In linea di fatto, è pacifica la consistenza delle opere e il carattere vincolato della zona interessata. 5.1 Sul primo versante, nell'ambito del complesso immobiliare, sito in (omissis) alla via (omissis), venivano realizzate, in assenza di titolo autorizzativo, le seguenti opere, tutte al servizio del camping denominato "Sp.", gestito dagli stessi interessati: un manufatto terraneo ad uso ufficio e ricezione clienti; tre bungalows in legno; una tettoia in ferro destinata a stenditoio. 5.2 Sul secondo versante, trattasi di zona vincolata; infatti, il Comune di (omissis) è soggetto al vincolo di cui al D.M. per i BB.AA.AA. del 27.10.1961, che lo ha impresso su tutto il territorio comunale per le finalità di tutela paesaggistica di cui alla L. n. 1497/1939 sulle c.d. bellezze naturali nonché alla L. n. 431/1985. Tale vincolo è pertanto antecedente alla realizzazione delle opere abusive oggetto dell'istanza di condono rigettata. 6. Sulla scorta di tali presupposti, va fatta applicazione dei principi già espressi da questo Consiglio di Stato (anche con specifico riferimento al contenzioso in materia di terzo condono nel territorio del Comune di (omissis): v. Consiglio di Stato, sez. VI, 15/3/2024, n. 2559 e la giurisprudenza ivi richiamata). 6.1 In linea generale, in tema di abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, il condono previsto dall'art. 32 d.l. n. 269 del 2003 (convertito, con modificazioni, dalla l. n. 326 del 2003) è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 del citato D.L. (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l'area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 14/10/2022, n. 8781). 6.2 Il ruolo del legislatore regionale, "specificativo - all'interno delle scelte riservate al legislatore nazionale - delle norme in tema di condono, contribuisce senza dubbio a rafforzare la più attenta e specifica considerazione di quegli interessi pubblici, come la tutela dell'ambiente e del paesaggio, che sono - per loro natura - i più esposti a rischio di compromissione da parte delle legislazioni sui condoni edilizi" (cfr. ad es. sentenze nn. 181 del 2021, 49 del 2006 e 208 del 2019). Dalla giurisprudenza costituzionale esaminata emerge: da un lato, il carattere sicuramente più restrittivo del terzo condono rispetto ai precedenti, in ragione dell'effetto ostativo alla sanatoria anche dei vincoli che comportano inedificabilità relativa; da un altro lato, il significativo ruolo riconosciuto al legislatore regionale, al quale - ferma restando la preclusione all'ampliamento degli spazi applicativi del condono - è assegnato il delicato compito di rafforzare la più attenta e specifica considerazione di interessi pubblici, come la tutela dell'ambiente e del paesaggio. 6.3 Le opere per cui è stato chiesto il condono rientrano nella tipologia n. 1, stante l'incremento di superficie e di ingombro, e, sulla base di quanto stabilito dall'art. 32, comma 27 L. 326/03 (alla luce del quale va intesa anche la normativa regionale attuativa), l'abuso non è in radice suscettibile di sanatoria, in quanto ricadente in area vincolata; ciò anche nel caso in cui fosse stata realizzata in epoca antecedente l'imposizione del vincolo. Ai fini della disciplina speciale dettata dall'art. 32 cit. risulta inoltre irrilevante la natura relativa o assoluta del vincolo. 6.4 Invero, premessa in generale la pacifica natura eccezionale e di stretta interpretazione della normativa sul condono tale da escluderne l'applicabilità in termini estensivi (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. V 3 giugno 2013 n. 3034 e sez. VI 12 ottobre 2018 n. 5892), quanto sin qui evidenziato rende prima facie manifestamente infondata anche ogni altra censura dedotta. 7. In dettaglio, rispetto al primo motivo, va ribadito che, in virtù della specialità del procedimento di condono edilizio rispetto all'ordinario procedimento di rilascio della concessione edilizia, considerando anche l'assenza di una specifica previsione in ordine alla necessità del parere della commissione edilizia, il parere della stessa in tale procedimento deve essere considerato facoltativo (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 21/02/2023, n. 1787). 8. Rispetto al secondo motivo, la disciplina evocata non attiene alla previa necessaria legittimazione urbanistico edilizia, specie in ambito soggetto a vincolo paesaggistico. 9. In ordine al terzo motivo, circa la qualificazione delle opere, va ribadito che in linea generale, al fine di valutare l'incidenza sull'assetto del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto - specie in ambito soggetto a specifica tutela vincolistica - un apprezzamento globale, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprenderne in modo adeguato l'impatto effettivo complessivo, con la conseguenza che i molteplici interventi eseguiti non vanno considerati, dunque, in maniera "frazionata" (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 08/09/2021, n. 6235). 9.1 In definitiva, risulta corretta la qualificazione fatta propria dall'amministrazione e condivisa dal Giudice di prime cure; le opere abusive accertate, realizzate in zona vincolata nei termini predetti, hanno dato luogo ad un intervento di rilevante impatto, correttamente considerato in termini unitari anche a fronte della incisività su di un'area soggetta a specifica tutela, come desumibile dalla chiara ricostruzione posta a base della statuizione contestata, rientrante nelle categorie escluse dal c.d. terzo condono. 10. In relazione al quarto motivo, va ribadito che l'attività di repressione degli abusi edilizi tramite l'emissione dell'ordine di demolizione costituisce attività di natura vincolata, dove la stessa non è assistita da particolari garanzie partecipative, tanto da non ritenersi necessaria la previa comunicazione di avvio del procedimento agli interessati (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 05/04/2022, n. 2523). Il provvedimento con cui viene ingiunta la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso neanche nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino. 11. In relazione al quinto motivo, va ribadito che il silenzio che si forma per il decorso dei termini sull'istanza di condono edilizio, nell'ipotesi di manufatti su aree soggette a vincoli, non equivale mai ad assenso e nel caso in cui, scaduto il termine, sia sopravvenuto il parere negativo, lo stesso ha valore vincolante e preclude il condono edilizio (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 18/11/2022, n. 10189). 12. In relazione al sesto motivo, va condivisa la conclusione della sentenza impugnata, attesa la piena ostatività degli argomenti sottesi al rigetto dei motivi di diniego opposti. 13. Alla luce delle considerazioni che precedono l'appello è pertanto infondato e va respinto. 14. Le spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, o respinge. Condanna gli appellanti in solido al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore di parte appellata, liquidate in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori dovuti per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere, Estensore Lorenzo Cordà - Consigliere Marco Poppi - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8671 del 2022, proposto dalla sig.ra Lu. Qu., rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Ad., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro il Ministero dell'Interno, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta e la Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano in Roma, via (...), nei confronti - della società Im. Sa. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; - del Condominio Pa. Sa., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione Sesta, n. 6212/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta, della Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania e del Condominio Pa. Sa.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2024, il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso allibrato al numero 357/2020 del Registro Generale del T.A.R. per la Campania, il dott. St. Sa., quale amministratore unico della società Do. S.r.l. nonché in proprio quale residente nel Condominio Pa. Sa. sito in Caserta alla via (omissis), e la sig.ra Qu. Lu., quale residente nel medesimo Condominio, agivano per l'annullamento della "autorizzazione in deroga al progetto di autorimessa privata con superficie compresa tra 300 e 1.000 mq. ex art. 7 DPR 151/2011 rilasciato alla Im. Sa. s.r.l. il 13/09/2019 dal Comando Provinciale dei Vigile del Fuoco di Caserta prot. n. 0014751", nonché dei relativi atti presupposti. Veniva premesso in ricorso che la società Do. S.r.l. era proprietaria di due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto-quinto e seminterrato del più ampio fabbricato condominiale denominato "Condominio Sa.", avendoli acquistati con atto del 4 luglio 2018, mentre le due persone fisiche ricorrenti erano stabili residenti nel medesimo Condominio. Esponeva quindi la parte ricorrente che, mediante gli atti impugnati, era stata illegittimamente concessa una deroga alla normativa antincendio, ai sensi dell'art. 7 d.P.R. n. 151 del 1° agosto 2011, con riferimento ad una autorimessa all'interno dell'edificio condominiale benché realizzato successivamente alla entrata in vigore del suddetto d.P.R.. Mediante gli articolati motivi di ricorso, veniva evidenziato che, in primo luogo, la ditta realizzatrice del complesso immobiliare, a seguito della costituzione del relativo Condominio, non aveva più titolo a richiedere ed ottenere la deroga, con la conseguenza che la relativa istanza, non provenendo da soggetto legittimato (da identificarsi appunto nel Condominio), non poteva che essere archiviata. Con il secondo motivo di impugnazione, la ricorrente deduceva che la deroga prevista dall'art. 7 del d.P.R. n. 151/2011 non poteva applicarsi ai nuovi fabbricati, come confermato dagli artt. 11, comma 4, e 4, comma 6, del medesimo d.P.R., con la conseguenza che il costruttore avrebbe dovuto dichiarare ab origine l'esistenza di un garage avente metratura superiore a 300 mq. e che le opere rientravano quindi nel campo di applicazione della normativa antincendio, con particolare riguardo alla sottoclasse 75/1/A: gli Uffici intimati, quindi, avrebbero rilasciato non una deroga, ma una sanatoria extra ordinem di un illecito, sulla scorta delle false dichiarazioni rese dalla controinteressata, la quale, in tutti gli elaborati progettuali e financo nella dichiarazione rilasciata ai sensi dell'art. 24, comma 1, d.P.R. n. 380/2001 in data 20 aprile 2018 da parte del Direttore dei Lavori, aveva affermato che l'autorimessa non rientrava nel campo di applicazione della normativa antincendio e che il parcheggio era inferiore ai 300 mq.. Infine, la parte ricorrente deduceva l'illegittimità della deroga in quanto non preceduta dalla acquisizione del parere del C.T.R., previsto dall'art. 7, comma 3, d.P.R. cit.. Con i motivi aggiunti depositati in data 26 marzo 2020, scaturenti dal deposito documentale effettuato dall'Amministrazione intimata, la parte ricorrente deduceva la carenza della dichiarazione di conformità, ex art. 7 D.M. 22 gennaio 2008, n. 37, dell'impianto elettrico al servizio dell'autorimessa, costituente presupposto per ottenere l'agibilità ex art. 9 D.M. cit. e la deroga stessa. Essa lamentava quindi che il Comando dei VV.FF., invece di bloccare la S.C.I.A. del 12 dicembre, prot. n. 20842, aveva consentito alla controinteressata di produrre la predetta documentazione entro 45 gg.. Allegava altresì la ricorrente che risultava prodotta una nota asseverata a firma dell'Ing. Es. del 3 gennaio 2020 che, stravolgendo il Mod. PIN 2.1 approvato dal Ministero, sotto la sua responsabilità penale asseverava per lavori definitivi di "nuovo insediamento" quanto segue: "assevera la corrispondenza di quanto trasmesso con quanto dichiarato nella dichiarazione di conformità dell'impianto elettrico richiesto". La ricorrente deduceva quindi la mancanza nella suddetta dichiarazione di ogni contenuto asseverativo, laddove il Mod. PIN 2.1. ministeriale era così diversamente formulato: "Assevera la conformità della/e attività sopraindicata/e ai requisiti di prevenzione incendi e di sicurezza antincendio". Aggiungeva la ricorrente che il medesimo Ing. Es. aveva allegato alla suddetta "asseverazione" una dichiarazione di conformità del 3 gennaio 2020 dell'impianto a regola d'arte della ditta Ed. che, però, concerneva la "manutenzione straordinaria" dell'impianto ed era priva di 3 allegati obbligatori, limitandosi la medesima ditta ad affermare di aver controllato e verificato l'impianto, senza indicare né allegare il progetto, non potendosi verificare la conformità ad un progetto non allegato. Deduceva ancora la ricorrente che la ditta Ed. aveva allegato la dichiarazione n. 10/2019 della Om. Im. S.r.l. del 9 dicembre 2019, priva degli allegati richiamati, concernente un nuovo impianto su impianto già esistente consistito nella "Installazione di lampade di emergenza, quadro elettrico per pulsante di sgancio autorimessa", senza dichiarare di aver "rispettato il progetto", che non era allegato al pari di altri due elaborati obbligatori (schema impianto e rifermento a dichiarazioni di conformità precedenti). A seguito dell'ulteriore deposito documentale effettuato dall'Amministrazione, la ricorrente depositava in data 8 aprile 2020 ulteriori motivi aggiunti, con i quali deduceva, in sintesi: che la dichiarazione della ditta Om. Im. del 9 dicembre 2019 era priva della carta di identità del dichiarante e quindi da considerarsi nulla, ai sensi dell'art. 38, comma 3, d.P.R. n. 445/2000; che la dichiarazione della ditta Ed., a differenza di quella già depositata, non recava il numero di protocollo; che al punto I della relazione dell'Amministrazione del 2 aprile 2020 si affermava che la dichiarazione della ditta Om. del 9 dicembre 2019 era già allegata alla S.C.I.A. del 12 dicembre 2019, in contrasto sia con quanto precedentemente dedotto nella relazione del 24 marzo 2020, sia con il tenore della nota del 24 dicembre 2019, prot. n. 21559, sia con l'asseverazione del 3 gennaio 2020 a firma dell'Ing. Es. che allegava detta dichiarazione. 2. Il T.A.R., con la sentenza n. 6212 del 7 ottobre 2022, ha preliminarmente dichiarato l'inammissibilità dei motivi aggiunti, sia perché, "per loro tramite, è stato impugnato un atto (il "provvedimento del 05/02/2020 prot. n. 1908 di formalizzazione con esito positivo del verbale di visita tecnica di prevenzione incendi ai sensi dell'art. 4, c.2, del DPR 151/2011") non avente portata autonomamente lesiva, ma meramente accertativa ed endoprocedimentale e, come tale, da impugnare in uno al provvedimento principale", sia perché gli stessi "si innestano pur sempre su un ricorso introduttivo (al quale ineriscono) che, tuttavia, si appalesa irricevibile per tardività ". Per quanto concerne quest'ultimo profilo, il T.A.R., premesso che nella specie si contesta "l'illegittimità del titolo per il solo fatto del suo rilascio", ha osservato che "nella fattispecie in esame, considerato che le edificazioni realizzate successivamente all'entrata in vigore del d.P.R. n. 151/2011, dovevano nascere in maniera pienamente ossequiosa della normativa sulla sicurezza antisismica di cui al citato d.P.R., senza alcuna possibilità di rilascio di alcuna autorizzazione in deroga, già la notizia del mero fatto del rilascio in favore della controinteressata (che aveva costruito successivamente all'entrata in vigore del d.P.R. n. 151/2011) di un'autorizzazione in deroga, faceva sorgere nel ricorrente l'interesse ad impugnare la predetta autorizzazione e, con esso, l'onere di rispettare, nella proposizione della impugnativa, il termine iniziale decorrente dal momento in cui si è avuta detta conoscenza, senza alcuna necessità di avere piena conoscenza del preciso ed integrale contenuto del provvedimento autorizzatorio in deroga". Ciò premesso, ha evidenziato il T.A.R. che "risulta comprovato agli atti che in data 25 febbraio 2019, i ricorrenti - proprietari di due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto quinto e seminterrato di più ampio fabbricato condominiale siti nel Condominio "Sa." in Caserta alla Via (omissis), acquistati con atto del 4 luglio 2018 e realizzati dalla Im. Sa. s.r.l. - depositavano dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere circostanziato ricorso per ATP (RG. 1832/2019) sulla scorta della presunta sussistenza di molteplici vizi che affliggevano i beni immobili in questione, in particolare, richiamando la perizia del proprio tecnico di fiducia redatta in data 14 gennaio 2019 (depositata agli atti del ricorso per ATP), nella quale si evidenziava che il piano interrato destinato ad autorimessa non era rispondente ai requisiti di sicurezza antincendio previsti dal Decreto Ministeriale 1 febbraio 1986" e che "nelle more dell'espletamento della ATP, l'Im. Sa. s.r.l. presentava - in data 31.7.2019 - al Comando dei Vigili del Fuoco di Caserta, documentata istanza tesa ad ottenere parere favorevole in deroga del certificato prevenzione incendi ed, all'esito dell'istruttoria il 3 settembre del 2019, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta rilasciava il parere favorevole in deroga (provvedimento prot. n. 0014751), approvando il relativo progetto presentato dalla società Sa. s.r.l.". Ha altresì rilevato il T.A.R. che "seguivano, poi, in data 6 settembre 2019, il provvedimento di concessione in deroga da parte della Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile e, infine, in data 13 settembre 2019 la concessione della deroga ex art. 7 del d.P.R. n. 151/2011 del Comando Provinciale dei Vigile del Fuoco di Caserta" e che "successivamente, il costituito Condominio "Sa.", portava al termine la procedura de quo come sopra precisato; in particolare, nell'immediatezza (in data 11 dicembre 2019) provvedeva a inoltrare dichiarazione per voltura per la pratica di autorizzazione in deroga presentata dalla società Sa. e, contestualmente, presentava scia dei necessari lavori per l'adeguamento dell'impianto di autorimessa ai fini della sicurezza antincendio, come da progetto approvato dall'amministrazione dell'interno. Invero, gli adempimenti sopra richiamati venivano deliberati all'Assemblea condominiale convocata per il giorno 8 novembre 2019, assemblea che vedeva la partecipazione anche del delegato della Do. s.r.l. (nella persona dell'avv. Do. St.)". Ha quindi rilevato il T.A.R. che "appare evidente che la ricorrente veniva a conoscenza dei suddetti provvedimenti, impugnati con l'odierno ricorso, già in data 4 ottobre 2019 (vedasi verbale di ATP) e/o comunque in data 8 novembre 2019 (vedasi verbale assemblea di condominio), potendo, a ben vedere, ove avesse ritenuto lesivo il contenuto dell'atto amministrativo, inoltrare all'Amministrazione competente un'apposita istanza di accesso agli atti, sin dal giorno successivo alla redazione dei richiamati verbali, al fine di prendere visione, tempestivamente, degli atti, dei documenti e di tutto quanto eventualmente allegato alla risposta favorevole rilasciata alla società resistente dall'amministrazione dell'Interno. Ciò posto, appare quanto mai evidente che era onere per la Do. s.r.l. l'impugnazione dell'atto sulla base sia di quanto conosciuto in sede di ATP in data 4 ottobre 2019 e in sede di assemblea condominiale in data 8 novembre 2019, nonché in virtù delle contestazioni tecniche recepite nelle censure sollevate, come si è sopra evidenziato, nel ricorso introduttivo per ATP". Ha ancora osservato il T.A.R. che "ad ogni modo la ricorrente in data 20 luglio 2018 ha formulato "Richiesta di accesso formale a documenti amministrativi per esame e/o estrazione di copie ai sensi della L. 241/90 integrata e modificata dalla L. 15/05 e D.P.R. 12 aprile 2006 n. 184", pervenuta a destinazione, come da ricevuta di avvenuta consegna il giorno 31 ottobre 2019 alle ore 18:22:11. Va in proposito evidenziato che parte ricorrente, nel tentativo di eludere i termini di decadenza per proporre tempestivamente il ricorso giurisdizionale, dichiara di aver avuto conoscenza dei provvedimenti impugnati soltanto in data 20 gennaio 2020 (all'uopo ha depositato copia di una email non certificata) ma non menziona né deposita la propedeutica istanza di accesso agli atti, dalla cui data di deposito sarebbe stato univocamente evincibile il fatto del rilascio dell'autorizzazione in deroga". Il T.A.R. ha poi ribadito che "in buona sostanza la Do. s.r.l., già dalla data del 4 ottobre 2019, disponeva di ogni elemento utile per predisporre il ricorso avverso gli atti contestati, ma, ciononostante, ha promosso il ricorso soltanto in data 30 gennaio 2020. Ciò si rinviene, inequivocabilmente, dalla lettura del verbale n. 10 redatto a seguito del sopralluogo svolto, in sede di ATP, in data 4 ottobre 2019 (al quale partecipava anche la Do. s.r.l.). Invero, nel prefato atto, l'ing. Ma., CTP della società Sa., rendeva noto al C.T.U.: "che, relativamente al piano interrato destinato ad autorimessa la Società Sa. s.r.l. ha ottenuto il parere favorevole in deroga ai fini del certificato prevenzione antincendi. Di seguito si provvederà ad eseguire i lavori necessari per la certificazione antincendio"", concludendo nel senso che "palese risulta essere la tardività del ricorso, ben potendo la Do. s.r.l., in virtù della chiara percezione dell'esistenza del parere favorevole di deroga ai fini del certificato prevenzione antincendi - ottenuto dalla Im. Sa. s.r.l. - e degli aspetti che ne rendevano evidente l'immediata e la concreta lesività, promuovere un'impugnativa, già a partire dal giorno 4 ottobre 2019". 3. La sentenza suindicata costituisce oggetto della domanda di riforma proposta, con l'appello in esame, dalla (sola) originaria ricorrente sig.ra Qu. Lu.. Essa, dopo aver ripercorso il pregresso iter processuale - anche richiamando testualmente, ai fini della loro riproposizione in appello, le deduzioni articolate con il ricorso introduttivo del giudizio e la successiva duplice serie di motivi aggiunti, non esaminate dal giudice di primo grado in ragione della definizione in rito del giudizio di primo grado - deduce in primo luogo che il T.A.R. ha erroneamente pronunciato l'irricevibilità del ricorso nei suoi confronti, senza che la relativa questione fosse stata sollevata dalle parti resistenti, non avendo gli atti impugnati in primo grado mai costituito oggetto di pubblicazione, ai fini della decorrenza del relativo termine di impugnazione, né essendo la stessa contemplata da specifiche disposizioni, con la conseguente necessità di fissare il suddetto termine in coincidenza con la piena conoscenza del contenuto del provvedimento impugnato, nella specie non ricavabile né dall'A.T.P. del 25 febbraio 2019, di cui la ricorrente medesima non era parte, né dall'assemblea dell'8 novembre 2019, alla quale la ricorrente, in quanto non proprietaria, non ha partecipato. La appellante deduce altresì che, non essendo stata la tardività del ricorso eccepita dalla controparte nei suoi confronti, il T.A.R. avrebbe dovuto sottoporre la relativa questione al contraddittorio delle parti, ex art. 73 c.p.a., con la conseguente necessità di remissione della causa al giudice di primo grado ex art. 105, comma 1, c.p.a.. Infine, la appellante contesta la statuizione di inammissibilità del gravame recata dalla sentenza appellata con riferimento all'atto del 5 febbraio 2020, sulla scorta del suo asserito carattere "endoprocedimentale", evidenziando in senso contrario che esso, certificando la legittimità della procedura di deroga e facoltizzando l'utilizzo dell'autorimessa, presenta contenuti autorizzatori che ne legittimavano l'impugnazione. Ripropone quindi, come accennato, le censure di merito sottoposte all'attenzione del T.A.R. e da questo non esaminate in ragione delle suindicate statuizioni su questioni in rito di carattere pregiudiziale. 4. Si sono costituiti nel presente grado di giudizio, per la parte pubblica, il Ministero dell'Interno, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta e la Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania, riproponendo le difese articolate in primo grado. Si è costituito altresì, per la parte privata, il Condominio Pa. Sa., al fine di resistere all'appello anche relativamente alla statuizione in rito recata dalla sentenza appellata, evidenziando che la tardività del ricorso introduttivo del giudizio non potrebbe che riguardare anche l'odierna appellante, la quale, abitando nel Condominio Sa. sin dalla edificazione del relativo fabbricato insieme al figlio ed al marito Dott. Sa. St., Amministratore Unico della Do. S.r.l., sarebbe a piena conoscenza di tutte le vicende condominiali. A supporto della suesposta conclusione, la parte resistente evidenzia altresì che la odierna appellante è stata indicata come teste, insieme al suocero Avv. Do. St., dalla Do. S.r.l. proprio nel giudizio civile dalla medesima promosso, innanzi al Tribunale di S. Maria Capua Vetere, per l'impugnazione della delibera condominiale dell'8 novembre 2019, di approvazione dei lavori di "Adeguamento locale autorimessa", e che a detti lavori di "Adeguamento" la suddetta ha assistito personalmente, abitando nel Condominio Sa. tanto da essere stata indicata come teste nel suddetto giudizio: lavori che sono iniziati in data 27 novembre 2019, come attesta la Segnalazione Certificata di Inizio Attività prot. n. 127757/2019 del Comune di Caserta, laddove il ricorso di controparte è stato notificato solo in data 30 gennaio 2020. Infine, il Condominio resistente evidenzia che l'odierna appellante, che dispone di tre box unificati tra loro, non sembra avvertire alcun pericolo dai locali garage di cui trattasi, utilizzandoli da sempre insieme al marito Dott. Sa. St.. Con successiva memoria, il Condominio resistente, nelle more costituitosi a mezzo di nuovo difensore a causa del decesso di quello originario, ha precisato l'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, evidenziando che la appellante "vanterebbe, ragionevolmente, un legittimo diritto a che si realizzino tutti gli interventi strutturali e di messa in sicurezza dell'immobile". Alle suddette eccezioni ha replicato la parte appellante con successiva memoria finché, all'esito dell'odierna udienza di discussione, il ricorso è stato trattenuto dal Collegio per la decisione di merito. 5. Venendo alle valutazioni del Collegio, occorre preliminarmente esaminare - in quanto suscettibile di evidenziare una autonoma, rispetto alla irricevibilità rilevata dal T.A.R., ragione preclusiva dell'esame nel merito del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti, rilevabile anche d'ufficio da parte del giudice di appello - l'eccezione di inammissibilità del ricorso, articolata già nel primo grado di giudizio ma non esaminata dal T.A.R. e riproposta nel presente giudizio di appello, con la quale il Condominio Pa. Sa. sostiene che l'odierna appellante non avrebbe interesse all'accoglimento dell'appello, traendo essa un beneficio dai provvedimenti impugnati, con i quali è stata assicurata la conformità dell'autorimessa, di cui essa stessa si avvale, alla normativa in tema di sicurezza antincendio. L'eccezione non può essere accolta. Deve invero osservarsi che in tanto il provvedimento che legittima l'utilizzazione di un bene in deroga alla normativa antincendio (o, più in generale, alla normativa posta a tutela della pubblica e privata incolumità ) può ritenersi vantaggioso per i soggetti che vantino un titolo (dominicale o di altra natura) di legittimo godimento del medesimo bene, in quanto esso offra ogni garanzia di fruizione di quel bene in condizioni di piena sicurezza, la quale a sua volta presuppone il rispetto dei limiti e dei presupposti, procedimentali e sostanziali, cui il rilascio della deroga è subordinata: in proposito, non può non osservarsi che le censure della ricorrente non si propongono solo di conseguire l'accertamento ope iudicis della inammissibilità della deroga (ciò che effettivamente si tradurrebbe nella preclusione tout court alla utilizzazione dell'autorimessa conformemente alla sua destinazione, senza che la appellante, non essendo proprietaria di immobili all'interno del condominio de quo ma mera residente presso lo stesso, possa far valere alcuna responsabilità contrattuale nei confronti della società venditrice, con la conseguente insorgenza di legittimi dubbi in ordine alla titolarità in capo alla stessa di un interesse concreto ed attuale al ricorso), ma anche la violazione delle disposizioni che presiedono al suo rilascio (basti pensare alle censure intese a lamentare la mancata acquisizione del parere del C.T.R. ovvero i vizi che affliggerebbero la dichiarazione di conformità dell'impianto elettrico), funzionali a garantire l'utilizzo del bene in condizioni di totale sicurezza, anche in una prospettiva rinnovatoria del procedimento di deroga o di quello di S.C.I.A. in modo da conformarli alla disciplina di riferimento. 6. Deve adesso esaminarsi la censura con la quale la appellante sig.ra Qu. Lu., lamentando che il giudice di primo grado, nel porre a fondamento della decisione la suesposta questione di irricevibilità del ricorso, oltre che con riferimento alla società Do. S.r.l., anche relativamente alla sua posizione (nonché a quella del marito Dott. Sa. St., quale ricorrente in proprio), sebbene sollevata dalle parti private resistenti solo limitatamente alla predetta società, non ha osservato il disposto di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a. (a mente del quale "se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale. Se la questione emerge dopo il passaggio in decisione, il giudice riserva quest'ultima e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie"), chiede che sia annullata la sentenza appellata ai fini della remissione della causa al T.A.R. per la Campania, ex art. 105, comma 1, c.p.a.. La censura è meritevole di accoglimento. Deve invero osservarsi che, sebbene i resistenti Condominio Pa. Sa. e società Im. Sa. S.r.l. abbiano eccepito in primo grado la "irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio", senza ulteriori distinzioni (cfr., in particolare, la memoria della società Im. Sa. S.r.l. del 6 marzo 2020), gli stessi hanno posto a fondamento dell'eccezione circostanze esclusivamente riferibili alla società Do. S.r.l. e dimostrative, ad avviso degli stessi, della conoscenza da questa acquisita dei provvedimenti impugnati in una data (4 ottobre 2019) che evidenzierebbe la tardività dell'iniziativa impugnatoria da essa promossa. La suddetta eccezione, formulata nei termini esposti, era quindi inidonea a sollecitare il contraddittorio della parte ricorrente anche relativamente alla posizione dell'odierna appellante, tanto che l'originaria (complessa) parte ricorrente, facendo affidamento sul suo carattere soggettivamente circoscritto, si è limitata a replicare alle sole argomentazioni sviluppate a suo fondamento ed esclusivamente relative, come si è detto, alla società Do. S.r.l.. La declaratoria di irricevibilità con la quale il T.A.R. ha definito, in rito, il giudizio di primo grado è stata invece estesa a tutti i soggetti componenti l'originaria parte ricorrente, ovvero non solo al Dott. St. Sa. (ciò che, in qualche misura, sarebbe anche stato plausibile, identificandosi esso nell'amministratore unico della società Do. S.r.l., sebbene promotore del ricorso anche a titolo personale), ma anche alla sig.ra Qu. Lu., che con la società Do. S.r.l. non risulta intrattenere alcun rapporto diretto. Sebbene siffatta non preannunciata, nelle forme di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a., estensione sia fondata dal T.A.R. sui medesimi argomenti posti dalle controinteressate a fondamento della suddetta eccezione di irricevibilità (e riferiti dal T.A.R. talvolta, in senso generico, ai "ricorrenti", cui viene anche indistintamente imputata la proprietà di "due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto quinto e seminterrato di più ampio fabbricato condominiale siti nel Condominio "Sa." in Caserta alla Via (omissis), acquistati con atto del 4 luglio 2018 e realizzati dalla Im. Sa. s.r.l.", che invece fa capo esclusivamente alla società Do. S.r.l., talaltra alla "ricorrente" società ), non vi è dubbio che essa abbia concretizzato una fattispecie di decisione "a sorpresa", che secondo la costante giurisprudenza anche di questa Sezione integra una violazione del diritto al contraddittorio ed impone l'annullamento della sentenza appellata, ai fini della remissione della causa al T.A.R. ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 26 aprile 2022, n. 3124: "costituisce violazione del diritto del contraddittorio processuale e del diritto di difesa, in relazione a quanto dispone l'art. 73, comma 3, c.p.a., porre a fondamento di una sentenza di primo grado una questione rilevata d'ufficio, senza la previa indicazione in udienza o l'assegnazione di un termine alle parti per controdedurre al riguardo. Da ciò consegue l'obbligo, per il giudice di appello, di annullare la sentenza stessa e di rimettere la causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., per evitare sentenze "a sorpresa""). 7. Deve solo aggiungersi che non vi è spazio per esaminare nella presente sede, in ragione del suindicato error in procedendo che preclude ogni ulteriore valutazione da parte del giudice di appello in ordine alla suindicata questione di irricevibilità, le deduzioni svolte dal Condominio Pa. Sa. al fine di dimostrare comunque la tardività del ricorso proposto dalla odierna appellante: ciò non senza osservare che la mera sussistenza di un rapporto di coniugio (e quindi di fisiologica condivisione di interessi) tra l'odierna appellante ed il Dott. St. Sa. - al quale invece, quale amministratore unico della Do. S.r.l., può essere senz'altro ascritta la conoscenza del provvedimento impugnato sulla scorta delle medesime ed incontestate circostanze sulle quali la pronuncia appellata ha fondato la tardività del ricorso relativamente alla posizione della suddetta società - non è idonea a radicare, con sufficiente ed uguale grado di certezza (quantomeno relativamente al quando), la conoscenza da parte della sig.ra Qu. Lu. del medesimo provvedimento, in modo da far decorrere anche nei suoi confronti il termine di impugnazione. 8. Infine, l'esame del giudice di appello deve necessariamente riguardare la statuizione di inammissibilità dei motivi aggiunti proposti avverso il verbale di visita tecnica prot. n. 1908 del 5 febbraio 2020, con il quale "si attesta, ai sensi dell'art, 4, comma 2, DPR n. 151/2011, il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione incendi e la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio": statuizione che da un lato consegue, nell'economia motivazionale della sentenza appellata, alla già analizzata declaratoria di irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio (e che sotto tale profilo viene travolta dall'annullamento ex art. 105, comma 1, c.p.a. della sentenza appellata), dall'altro lato al ritenuto carattere endo-procedimentale dell'atto suindicato, che lo renderebbe insuscettibile di ledere gli interessi della ricorrente (profilo in ordine al quale, per la sua autonomia rispetto al primo, occorre pronunciarsi nella presente sede). Ebbene, premesso che anche l'impugnazione del verbale suindicato mira al soddisfacimento dell'interesse della appellante all'utilizzo dell'autorimessa in condizioni di sicurezza, il quale non può non ritenersi leso da un atto attestativo del rispetto delle relative prescrizioni tecniche per ipotesi illegittimamente adottato, occorre in senso contrario alla sentenza appellata evidenziare che esso conclude il procedimento che il responsabile dell'attività oggetto di controllo di sicurezza antincendio deve avviare ai fini dello svolgimento della stessa, anche laddove non sia necessario introdurre modifiche progettuali in vista dell'ottenimento della deroga a causa dell'impossibilità di osservare determinate prescrizioni di sicurezza. Siffatto procedimento è disciplinato dall'art. 4, comma 1, d.P.R. n. 151/2011, ai sensi del quale "per le attività di cui all'Allegato I del presente regolamento, l'istanza di cui al comma 2 dell'articolo 16 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, è presentata al Comando, prima dell'esercizio dell'attività, mediante segnalazione certificata di inizio attività, corredata dalla documentazione prevista dal decreto di cui all'articolo 2, comma 7, del presente regolamento. Il Comando verifica la completezza formale dell'istanza, della documentazione e dei relativi allegati e, in caso di esito positivo, ne rilascia ricevuta". Dispone inoltre il comma 2 del medesimo articolo che "per le attività di cui all'Allegato I, categoria A e B, il Comando, entro sessanta giorni dal ricevimento dell'istanza di cui al comma 1, effettua controlli, attraverso visite tecniche, volti ad accertare il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione degli incendi, nonché la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio. I controlli sono disposti anche con metodo a campione o in base a programmi settoriali, per categorie di attività o nelle situazioni di potenziale pericolo comunque segnalate o rilevate. Entro lo stesso termine, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti per l'esercizio delle attività previsti dalla normativa di prevenzione incendi, il Comando adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi dalla stessa prodotti, ad eccezione che, ove sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa antincendio e ai criteri tecnici di prevenzione incendi detta attività entro un termine di quarantacinque giorni. Il Comando, a richiesta dell'interessato, in caso di esito positivo, rilascia copia del verbale della visita tecnica". Ebbene, non può non osservarsi che, a differenza di quanto ritenuto dal T.A.R., l'atto conclusivo del procedimento di verifica tecnica ha natura provvedimentale, attestando l'esito positivo dei controlli di sicurezza antincendio posti in essere dall'Amministrazione a seguito della presentazione della S.C.I.A. da parte dell'interessato, nell'esercizio di una tipica attività di carattere tecnico-discrezionale, formalizzando la conclusione del procedimento in senso favorevole al suo promotore. 9. In conclusione, quindi, la sentenza appellata deve essere annullata e la causa rimessa dinanzi al T.A.R. per la Campania ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., restando impregiudicata ogni altra valutazione in rito - diversa da quelle compiute da questa Sezione - e nel merito. 10. Derivando l'esito di questo grado di giudizio da un error in procedendo del giudice di primo grado, sussistono giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello n. 8671/2022, lo accoglie, nei limiti precisati in motivazione, e per l'effetto annulla la sentenza appellata, rimettendo la causa dinanzi al T.A.R. per la Campania ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a.. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Greco - Presidente Ezio Fedullo - Consigliere, Estensore Giovanni Tulumello - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere Raffaello Scarpato - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7241 del 2023, proposto da: Asd Ip. Ka. Sh., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Na., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; contro Comune di Foggia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Pa., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione terza, n. 731/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Foggia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore il Cons. Laura Marzano; Udito, nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024, l'avvocato Fr. Mi. in sostituzione dell'avv. An. Na.; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società appellante ha impugnato la sentenza del Tar Puglia, sezione terza, n. 731 del 9 maggio 2023 con cui è stato respinto il ricorso avverso l'ordinanza dirigenziale in data 8 aprile 2022, a firma del dirigente del settore sport del comune di Foggia, avente ad oggetto "sgombero e rilascio entro giorni trenta del locale del sottostadio comunale ubicato sotto la tribuna est (ex gradinata) in uso all'Associazione A.S.D. A.S.D. Ip. Ka. Sh.". Il comune appellato si è costituito nel presente grado di giudizio depositando successivamente memoria con la quale ha eccepito l'inammissibilità dell'appello per omesso deposito di copia della sentenza impugnata chiedendone, comunque, la reiezione per infondatezza. Con nota depositata il 20 maggio 2024 il comune di Foggia ha chiesto la decisione della causa sugli scritti. All'udienza pubblica del 28 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 2. Con determinazione dirigenziale n. 1138/2014 il comune di Foggia ha concesso all'Associazione appellante un locale sito nel sottostadio, lato tribuna est (ex gradinata) senza un termine di scadenza e da quella data il rapporto concessorio è proseguito finché, con nota del 14 febbraio 2022 inviata via pec, l'associazione ha ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento finalizzato al rilascio dei locali del sottostadio. Con successiva ordinanza dirigenziale in data 8 aprile 2022 è stato ordinato all'associazione il rilascio, entro trenta giorni, del locale in questione, ubicato a livello zero del complesso sportivo denominato "Stadio Pi. Za.". 3. Ritenendo illegittima l'ordinanza l'associazione l'ha impugnata dinanzi al Tar Puglia il quale, dopo averne sospeso l'efficacia con ordinanza n. 323 del 9 luglio 2022, ha respinto il ricorso con sentenza n. 731 del 9 maggio 2023 in sintesi osservando: - che l'atto di concessione deve ritenersi illegittimo in quanto adottato senza previa procedura concorsuale e senza fissazione di un termine finale, come già evidenziato nella sentenza n. 251/2021 dello stesso Tribunale nella quale era contenuto l'invito all'amministrazione a riconsiderare i presupposti della concessione in uso della palestra: "presupposti che, se non adeguatamente rimeditati, determinerebbero una situazione di permanente concessione di un bene, manifestamente contraria ai principi affermati dalla giurisprudenza comunitaria (cfr. sentenza c.d. Promoimpresa Melis della Corte di Giustizia UE del 14 luglio 2016, C458/2014 e C 67/2015), contraria alla procrastinazione senza procedure selettive di atti concessori, a fortiori - come nel caso di specie - in assenza di apposizione di qualsiasi termine di conclusione dei sottesi rapporti"; - che la mancata fissazione di un termine finale certo e l'urgenza di indire una procedura di gara sono tra le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato, unitamente all'urgenza di intervenire con non procrastinabili lavori di manutenzione, descritti nella relazione tecnica allegata alla comunicazione di avvio del procedimento, così sostanzialmente revocando in autotutela l'affidamento disposto nel 1970; - che in assenza di un valido rapporto concessorio sottostante e non essendo stata censurata l'autotutela esercitata dall'amministrazione comunale, se non sotto il profilo marginale della mancata liquidazione di un indennizzo, l'ordine di sgombero deve ritenersi immune da vizi; - che non sussiste la lamentata non perfetta coincidenza tra i motivi indicati nell'avvio del procedimento e quelli posti a fondamento del provvedimento gravato, avendo il comune allegato all'avviso di avvio del procedimento la relazione tecnica illustrativa dei lavori di manutenzione necessari; - che, in ogni caso, l'associazione non ha partecipato al procedimento, neanche per contestare le altre ragioni di revoca, riportate esplicitamente nella comunicazione di avvio; - che l'assenza di un sottostante valido rapporto di concessione esclude, altresì, che possa accogliersi la domanda di accertamento preordinata ad ottenerne una prosecuzione del rapporto ovvero, in subordine, finalizzato alla liquidazione di un indennizzo per revoca legittima, essendo oltretutto la domanda formulata in modo generico e senza allegare elementi circa la ricorrenza dei relativi presupposti. 4. L'appello è affidato ai motivi di seguito sintetizzati. Con il primo motivo l'appellante deduce la contraddittorietà della sentenza laddove pur riconoscendo l'esistenza di un titolo (affermazione espressamente contenuta nell'ordinanza cautelare), poi afferma che il rapporto concessorio non è sorretto da un titolo valido. Osserva che l'associazione ha sempre corrisposto il canone concessorio e il comune lo ha sempre incamerato senza sollevare obiezioni. Con il secondo motivo ripropone la censura, non esaminata dal Tar, di disparità di trattamento con altre associazioni assegnatarie di locali ubicati nella medesima zona e di violazione del "Regolamento per l'affidamento in gestione e concessione in uso degli impianti sportivi comunali" approvato in data 27 gennaio 2022, con deliberazione n. 2 della Commissione straordinaria, il quale prevede che per effettuare lavori di manutenzione il comune possa disporre soltanto la sospensione e che "restano in vigore le convenzioni pluriennali in corso alla data di adozione del presente regolamento alle condizioni nelle stesse stabilite; è facoltà del Comune di Foggia e del concessionario chiederne la revoca al fine di stipulare contestualmente una nuova convenzione coerente con le disposizioni stabilite dal presente Regolamento". Con il terzo motivo l'appellante lamenta che, diversamente da quanto affermato dal Tar, nella comunicazione di avvio del procedimento si poneva in luce l'irregolarità dell'affidamento, avvenuto senza gara e l'invalidità del rapporto, in quanto privo di termine finale, ma non si faceva cenno alla necessità di eseguire lavori di manutenzione. In ogni caso sarebbe irrilevante che l'associazione non ha partecipato al procedimento essendo questa una facoltà ad essa spettante, di per sé non equivalente ad accettazione di determinazioni non trasparenti. Con il quarto motivo l'appellante lamenta l'omessa pronuncia sulla richiesta di risarcimento, tale non potendosi ritenere la generica affermazione della "assenza di un valido rapporto concessorio". 5. Il comune appellato, oltre ad eccepire l'inammissibilità dell'appello, lo ha contestato nel merito preliminarmente ricordando che il presente giudizio, così come altri tre ricorsi omologhi, anch'essi chiamati in decisione alla medesima udienza del 28 maggio 2024, attengono a provvedimenti adottati su indirizzo della Commissione straordinaria, insediatasi nel comune di Foggia a seguito del suo scioglimento per infiltrazioni mafiose, al fine di porre termine ad una grave e risalente situazione di occupazioni illegittime e prive di titolo dei locali sotto stadio Za. (avviando così per l'ente, una nuova stagione conforme a principi di legittimità ) e di potervi svolgere le propedeutiche, necessarie e non più procrastinabili, attività di manutenzione che, stante la descritta perdurante situazione di illegittima occupazione non è stato possibile eseguire. Ribadisce l'inesistenza di un titolo concessorio valido e fa rilevare che ciò sarebbe stato correttamente rilevato dal Tar, dal momento che una concessione priva di termine finale non potrebbe ritenersi di carattere "perpetuo", come pretenderebbe l'associazione sarebbe revocabile da parte dell'ente. Il richiamo al "Regolamento per l'affidamento in gestione e concessione in uso degli impianti sportivi comunali" sarebbe inconferente riguardando lo stesso le "convenzioni pluriennali in corso", ossia convenzioni legittimamente stipulate e con termine di durata prefissato. D'altra parte nella fattispecie non vi sarebbe neanche una convenzione sottoscritta tra le parti non essendovi neanche un atto di concessione formale atteso che la determinazione che fa riferimento alla ricorrente, infatti, è la n. 1/2014 che, tuttavia, la indica, unitamente ad altra associazione solo quali "già fruitrici di palestre comunali". Fa rilevare che nell'atto impugnato si dà espressamente atto anche della necessità di provvedere, per il futuro, a nuove assegnazioni secondo procedure di evidenza pubblica. Evidenzia che la ricorrente in primo grado ha anche contestato la relazione tecnica illustrativa dei lavori di manutenzione necessari, allegato alla comunicazione di avvio del procedimento, così dimostrando di ben conoscerla. Eccepisce l'inammissibilità oltre che l'infondatezza dell'impugnazione della sentenza anella parte in cui ha rigettato la domanda di risarcimento (rectius indennizzo), osservando che il Tar ha respinto l'istanza affermando l'assenza di un sottostante rapporto di concessione ed evidenziando la genericità della domanda: motivazione, questa, non impugnata. 6. Il Collegio ritiene che la preliminare eccezione di inammissibilità si possa superare. Secondo l'indirizzo della giurisprudenza prevalente, seguito di recente anche dalla Sezione (v. la sentenza n. 11016 del 19 dicembre 2023) il mancato deposito da parte dell'appellante di una copia della sentenza impugnata comporta, ai sensi dell'art. 94 c.p.a., l'inammissibilità dell'appello (tale regola valendo, altresì, per la revocazione e l'opposizione di terzo). Tuttavia, nella fattispecie in esame, diversamente da quella decisa dalla richiamata sentenza n. 11016/2023, l'indicazione della copia della sentenza di primo grado è contenuta per due volte nel foliario depositato unitamente al ricorso (una volta genericamente come sentenza notificata e una volta con gli estremi, benchè erroneamente indicati come 731/2023 anziché come 733/2023), cosicché il mancato deposito della stessa è verosimilmente da attribuire a una svista dell'appellante, che, però, con il suddetto foliario aveva espresso la volontà di provvedere al deposito. Tale circostanza rende, ad avviso del Collegio, il vizio riscontrato una mera irregolarità formale sanabile mediante assegnazione alla parte di un termine per procedere al suindicato deposito, sulla scorta dell'indirizzo espresso dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 138 del 9 luglio 2021, secondo cui la discrezionalità del legislatore nel conformare gli istituti processuali incontra il limite della manifesta irragionevolezza od arbitrarietà delle scelte compiute, che è superato ove emerga un'ingiustificabile compressione del diritto di agire in giudizio (come appare nel caso di specie, in cui è comunque possibile tramite il sistema "S.I.G.A.", sia per le parti, sia per il giudice, consultare la sentenza appellata) (cfr. Cons. Stato, sez. VII, ord. 22 gennaio 2024, n. 683). Ciò chiarito il Collegio ritiene che, per ragioni di economia processuale, si possa prescindere da tale incombente essendo l'appello infondato. 7. I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi fra loro. Preliminarmente va osservato, quanto alla doglianza che investe la contraddittorietà nella condotta del Tar laddove, nella sentenza che ha concluso il giudizio, ha manifestato un orientamento opposto a quello manifestato in sede cautelare, segnatamente con riferimento all'affermazione dell'esistenza di un titolo valido, il Collegio deve ricordare che la fase cautelare per sua natura comporta provvedimenti giurisdizionali non definitivi, emanati con riserva di accertamento della fondatezza nel merito, con l'evidente finalità di evitare che la pendenza del giudizio pregiudichi la parte vittoriosa all'esito del processo. Questi provvedimenti dunque sono interinalmente subordinati alla verifica definitiva della fondatezza della tesi del ricorrente e i definitivi effetti di carattere sostanziale conseguono solo al passaggio in giudicato della pronuncia di merito favorevole, che è la sola idonea a conformare con effetti permanenti la realtà giuridica interinalmente cristallizzata dal provvedimento cautelare del giudice (cfr. Cons. Stato, sez. III, 8 giugno 2016, n. 2448). Da ciò discende che il provvedimento interinale per definizione non può che essere provvisorio e prodromico alla pronuncia che chiude il giudizio (cfr., in argomento, Cons. Stato, sez. II, 13 agosto 2019, n. 5711). Non a caso le ordinanze cautelari, in quanto prive di contenuto definitivamente decisorio, sono insuscettibili di passare in giudicato, analogamente ai provvedimenti istruttori, interlocutori o di rinvio al ruolo ordinario (cfr. Cons. Stato, sez. III, 29 agosto 2018, n. 5084 e sez. V, 10 giugno 2015, n. 2847). Un provvedimento di sospensione dell'esecuzione dell'atto amministrativo si limita ad impedire temporaneamente e con efficacia ex nunc, la possibilità di portare l'atto ad ulteriore esecuzione e, per questo, è inevitabilmente connesso alla conclusione del giudizio. Quindi gli effetti di carattere sostanziale possono conseguire solo al passaggio in giudicato della pronuncia di merito, che è la sola idonea a rimuovere dalla realtà giuridica l'atto con effetti permanenti ovvero a confermarla (cfr. Cons. Stato, sez. III, 28 giugno 2019 n. 4461). Sotto il profilo sistematico, poi, la inconfigurabilità di un giudicato cautelare è direttamente dimostrata anche dall'art. 21 septies della legge 241/1990, il quale sanziona con la nullità solo ed esclusivamente l'atto che viola o elude il giudicato sulla sentenza e non anche della pronuncia del giudice che non abbia ancora il carattere della definitività come la pronuncia cautelare (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 marzo 2021, n. 2004). Dai principi fin qui declinati emerge con chiarezza come la decisione definitiva non sia in alcun modo condizionata da quella assunta in sede cautelare la quale, infatti, non produce effetti sostanziali, stante la sua naturale interinalità . La possibile divergenza fra decisione cautelare e decisione di merito, lungi dall'essere sintomo di contraddittorietà, è semmai la conferma, ove mai ve ne fosse necessità, di come l'esame approfondito del merito della vicenda dedotta in giudizio possa dar luogo ad un esito diverso da quello conseguente ad una cognizione meramente sommaria (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 10 maggio 2024, n. 4222). Tanto chiarito in via preliminare, non è contestato che, nel caso di specie, manchi un valido atto di concessione in uso del locale per cui è causa risultando l'associazione appellante mera fruitrice di locale ad uso palestra, in radicale assenza di atto concessorio e, di conseguenza, in assenza di un termine di scadenza. Infatti, nella sentenza 8 febbraio 2021, n. 251, pronunciata fra le stesse parti, non impugnata e, dunque, passata in giudicato, lo stesso Tar Puglia aveva evidenziato che "la regolazione del rapporto concessorio oggetto del contendere, "connotato da profili di incertezza sulle condizioni d'uso (mancanza di termine finale della concessione; modalità d'uso; rendicontazione della gestione)", evidenzia evidenti illegittimità in relazione all'obbligo di uso proficuo che pertiene alla gestione di beni di proprietà comunale, rilevanti anche in chiave di responsabilità amministrativa" facendo da ciò discendere che "l'Amministrazione comunale, nell'ambito del disposto riesame, debba rivalutare i (pregressi) presupposti che hanno condotto all'affidamento in gestione della palestra: presupposti che, se non adeguatamente rimeditati, determinerebbero una situazione di permanente concessione di un bene, manifestamente contraria ai principi affermati dalla giurisprudenza comunitaria (cfr. sentenza c.d. Promoimpresa Melis della Corte di Giustizia UE del 14 luglio 2016, C458/2014 e C 67/2015), contraria alla procrastinazione senza procedure selettive di atti concessori, a fortiori - come nel caso di specie - in assenza di apposizione di qualsiasi termine di conclusione dei sottesi rapporti". L'attività posta in essere dal comune, oggetto del presente contenzioso, rappresenta la prosecuzione della vicenda decisa con la riportata sentenza, mediante recepimento ed attuazione della sollecitazione ivi formulata dal giudicante. Né è rilevante la circostanza che il comune abbia sempre riscosso il canone per l'utilizzo, dal momento che, per giurisprudenza consolidata, la tollerata occupazione del bene non radica alcuna posizione di diritto o di interesse legittimo in capo all'occupante, essendo irrilevante a tal fine anche il pagamento delle somme corrispondenti al canone in quanto tali somme valgono solo a compensare l'occupazione sine titulo, non essendo ammissibile il rilascio o il rinnovo di una concessione per facta concludentia, stante l'impossibilità di desumere per implicito la volontà dell'amministrazione di vincolarsi (cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 settembre 2013, n. 4775; in termini anche sez. VI, 6 agosto 2013, n. 4098). Ciò posto, nella comunicazione di avvio del procedimento sono ben evidenziate le ragioni di illegittimità della perdurante occupazione dei locali per cui è causa, ragioni che sono espressamente richiamate nel provvedimento conclusivo: pertanto, quand'anche nella comunicazione di avvio del procedimento non fosse stata allegata la relazione riguardante gli interventi di manutenzione da effettuare (e così non è visto che nel ricorso introduttivo l'associazione ne ha contestato i contenuti), l'ordinanza di rilascio conclusiva del procedimento, in quanto sorretta da plurime motivazioni, alcune delle quali (sicuramente) contenute nella comunicazione di avvio e pacificamente legittime, risulta immune da vizi, non potendosi attribuire alcuna lesività alla lamentata (e comunque smentita) discrasia tra comunicazione ex art. 7 della legge n. 241 del 1990 e provvedimento conclusivo. Costituisce jus receptum che per sorreggere l'atto plurimotivato in sede giurisdizionale è sufficiente la legittimità di una sola delle ragioni espresse, con la conseguenza che il rigetto delle censure formulate contro una di tali ragioni rende superfluo l'esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento; pertanto, il giudice, qualora ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell'atto controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità, ha la potestà di respingere il ricorso sulla sola base di tale rilievo, con assorbimento delle censure dedotte avverso altri capi del provvedimento, indipendentemente dall'ordine con cui i motivi sono articolati nel gravame, in quanto la conservazione dell'atto implica la perdita di interesse del ricorrente all'esame delle altre doglianze (cfr. fra le più recenti, Cons. Stato, sez. III, 17 aprile 2024, n. 3480). La censura di disparità di trattamento è infondata innanzitutto in punto di fatto dal momento che, come noto all'appellante, almeno altre tre associazioni occupanti abusive sono destinatarie di analoghe ordinanze di rilascio, tutte impugnate con ricorsi di tenore ana dinanzi al Tar Puglia, proposti a ministero dello stesso difensore, respinti e decisi in appello alla medesima udienza del 28 maggio 2024. È infondata anche in diritto essendo pacifico che, da una parte, la disparità di trattamento può assumere il ruolo di figura sintomatica di eccesso di potere soltanto nel caso in cui le fattispecie poste a confronto sono assolutamente identiche (cfr. Cons. Stato, sez. II, 22 luglio 2019, n. 5157), circostanza indimostrata nel caso di specie, dall'altra, che la figura sintomatica di eccesso di potere per disparità di trattamento non può essere utilmente dedotta per estendere a proprio favore una condotta in ipotesi illegittima tenuta dall'amministrazione in situazione illegittima (cfr. Cons. Stato, sez. II, 7 marzo 2024, n. 2214). Il richiamo al "Regolamento per l'affidamento in gestione e concessione in uso degli impianti sportivi comunali" non è corretto riguardando lo stesso le "convenzioni pluriennali in corso", ossia convenzioni legittimamente stipulate e con termine di durata prefissato: circostanza che non ricorre nel caso di specie. Infine e in conseguenza di quanto sopra la sentenza impugnata va confermata anche nella parte in cui ha respinto la domanda di corresponsione dell'indennità per revoca legittima (impropriamente formulata come domanda risarcitoria), stante l'acclarata assenza di un valido rapporto concessorio e la genericità della domanda. Conclusivamente, per quanto precede, l'appello deve essere respinto. 8. Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate stante la serialità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7227 del 2023, proposto da: Asd Mo. Do., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Na., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; contro Comune di Foggia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Pa., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione terza, n. 733/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Foggia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore il Cons. Laura Marzano; Udito, nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024, l'avvocato Fr. Mi. in sostituzione dell'avv. An. Na.; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società appellante ha impugnato la sentenza del Tar Puglia, sezione terza, n. 733 del 9 maggio 2023 con cui è stato respinto il ricorso avverso l'ordinanza dirigenziale in data 8 aprile 2022, a firma del dirigente del settore sport del comune di Foggia, avente ad oggetto "sgombero e rilascio entro giorni trenta del locale del sottostadio comunale ubicato sotto la tribuna est (ex gradinata) in uso all'Associazione A.S.D. A.S.D. MO. DO.". Il comune appellato si è costituito nel presente grado di giudizio depositando successivamente memoria con la quale ha eccepito l'inammissibilità dell'appello per omesso deposito di copia della sentenza impugnata chiedendone, comunque, la reiezione per infondatezza. Con nota depositata il 20 maggio 2024 il comune di Foggia ha chiesto la decisione della causa sugli scritti. All'udienza pubblica del 28 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 2. Con determinazione dirigenziale n. 1138/2014 il comune di Foggia ha concesso all'Associazione appellante un locale sito nel sottostadio, lato tribuna est (ex gradinata) senza un termine di scadenza e da quella data il rapporto concessorio è proseguito finché, con nota del 14 febbraio 2022 inviata via pec, l'associazione ha ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento finalizzato al rilascio dei locali del sottostadio. Con successiva ordinanza dirigenziale in data 8 aprile 2022 è stato ordinato all'associazione il rilascio, entro trenta giorni, del locale in questione, ubicato a livello zero del complesso sportivo denominato "Stadio Pi. Za.". 3. Ritenendo illegittima l'ordinanza l'associazione l'ha impugnata dinanzi al Tar Puglia il quale, dopo averne sospeso l'efficacia con ordinanza n. 292 del 1 luglio 2022, ha respinto il ricorso con sentenza n. 733 del 9 maggio 2023 in sintesi osservando: - che l'atto di concessione deve ritenersi illegittimo in quanto adottato senza previa procedura concorsuale e senza fissazione di un termine finale, come già evidenziato nella sentenza n. 251/2021 dello stesso Tribunale nella quale era contenuto l'invito all'amministrazione a riconsiderare i presupposti della concessione in uso della palestra: "presupposti che, se non adeguatamente rimeditati, determinerebbero una situazione di permanente concessione di un bene, manifestamente contraria ai principi affermati dalla giurisprudenza comunitaria (cfr. sentenza c.d. Promoimpresa Melis della Corte di Giustizia UE del 14 luglio 2016, C458/2014 e C 67/2015), contraria alla procrastinazione senza procedure selettive di atti concessori, a fortiori - come nel caso di specie - in assenza di apposizione di qualsiasi termine di conclusione dei sottesi rapporti"; - che la mancata fissazione di un termine finale certo e l'urgenza di indire una procedura di gara sono tra le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato, unitamente all'urgenza di intervenire con non procrastinabili lavori di manutenzione, descritti nella relazione tecnica allegata alla comunicazione di avvio del procedimento, così sostanzialmente revocando in autotutela l'affidamento disposto nel 1970; - che in assenza di un valido rapporto concessorio sottostante e non essendo stata censurata l'autotutela esercitata dall'amministrazione comunale, se non sotto il profilo marginale della mancata liquidazione di un indennizzo, l'ordine di sgombero deve ritenersi immune da vizi; - che non sussiste la lamentata non perfetta coincidenza tra i motivi indicati nell'avvio del procedimento e quelli posti a fondamento del provvedimento gravato, avendo il comune allegato all'avviso di avvio del procedimento la relazione tecnica illustrativa dei lavori di manutenzione necessari; - che, in ogni caso, l'associazione non ha partecipato al procedimento, neanche per contestare le altre ragioni di revoca, riportate esplicitamente nella comunicazione di avvio; - che l'assenza di un sottostante valido rapporto di concessione esclude, altresì, che possa accogliersi la domanda di accertamento preordinata ad ottenerne una prosecuzione del rapporto ovvero, in subordine, finalizzato alla liquidazione di un indennizzo per revoca legittima, essendo oltretutto la domanda formulata in modo generico e senza allegare elementi circa la ricorrenza dei relativi presupposti. 4. L'appello è affidato ai motivi di seguito sintetizzati. Con il primo motivo l'appellante deduce la contraddittorietà della sentenza laddove pur riconoscendo l'esistenza di un titolo (affermazione espressamente contenuta nell'ordinanza cautelare), poi afferma che il rapporto concessorio non è sorretto da un titolo valido. Osserva che l'associazione ha sempre corrisposto il canone concessorio e il comune lo ha sempre incamerato senza sollevare obiezioni. Con il secondo motivo ripropone la censura, non esaminata dal Tar, di disparità di trattamento con altre associazioni assegnatarie di locali ubicati nella medesima zona e di violazione del "Regolamento per l'affidamento in gestione e concessione in uso degli impianti sportivi comunali" approvato in data 27 gennaio 2022, con deliberazione n. 2 della Commissione straordinaria, il quale prevede che per effettuare lavori di manutenzione il comune possa disporre soltanto la sospensione e che "restano in vigore le convenzioni pluriennali in corso alla data di adozione del presente regolamento alle condizioni nelle stesse stabilite; è facoltà del Comune di Foggia e del concessionario chiederne la revoca al fine di stipulare contestualmente una nuova convenzione coerente con le disposizioni stabilite dal presente Regolamento". Con il terzo motivo l'appellante lamenta che, diversamente da quanto affermato dal Tar, nella comunicazione di avvio del procedimento si poneva in luce l'irregolarità dell'affidamento, avvenuto senza gara e l'invalidità del rapporto, in quanto privo di termine finale, ma non si faceva cenno alla necessità di eseguire lavori di manutenzione. In ogni caso sarebbe irrilevante che l'associazione non ha partecipato al procedimento essendo questa una facoltà ad essa spettante, di per sé non equivalente ad accettazione di determinazioni non trasparenti. Con il quarto motivo l'appellante lamenta l'omessa pronuncia sulla richiesta di risarcimento, tale non potendosi ritenere la generica affermazione della "assenza di un valido rapporto concessorio". 5. Il comune appellato, oltre ad eccepire l'inammissibilità dell'appello, lo ha contestato nel merito preliminarmente ricordando che il presente giudizio, così come altri tre ricorsi omologhi, anch'essi chiamati in decisione alla medesima udienza del 28 maggio 2024, attengono a provvedimenti adottati su indirizzo della Commissione straordinaria, insediatasi nel comune di Foggia a seguito del suo scioglimento per infiltrazioni mafiose, al fine di porre termine ad una grave e risalente situazione di occupazioni illegittime e prive di titolo dei locali sotto stadio Za. (avviando così per l'ente, una nuova stagione conforme a principi di legittimità ) e di potervi svolgere le propedeutiche, necessarie e non più procrastinabili, attività di manutenzione che, stante la descritta perdurante situazione di illegittima occupazione non è stato possibile eseguire. Ribadisce l'inesistenza di un titolo concessorio valido e fa rilevare che ciò sarebbe stato correttamente rilevato dal Tar, dal momento che una concessione priva di termine finale non potrebbe ritenersi di carattere "perpetuo", come pretenderebbe l'associazione sarebbe revocabile da parte dell'ente. Il richiamo al "Regolamento per l'affidamento in gestione e concessione in uso degli impianti sportivi comunali" sarebbe inconferente riguardando lo stesso le "convenzioni pluriennali in corso", ossia convenzioni legittimamente stipulate e con termine di durata prefissato. D'altra parte nella fattispecie non vi sarebbe neanche una convenzione sottoscritta tra le parti non essendovi neanche un atto di concessione formale atteso che la determinazione che fa riferimento alla ricorrente, infatti, è la n. 1/2014 che, tuttavia, la indica, unitamente ad altra associazione solo quali "già fruitrici di palestre comunali". Fa rilevare che nell'atto impugnato si dà espressamente atto anche della necessità di provvedere, per il futuro, a nuove assegnazioni secondo procedure di evidenza pubblica. Evidenzia che la ricorrente in primo grado ha anche contestato la relazione tecnica illustrativa dei lavori di manutenzione necessari, allegato alla comunicazione di avvio del procedimento, così dimostrando di ben conoscerla. Eccepisce l'inammissibilità oltre che l'infondatezza dell'impugnazione della sentenza anella parte in cui ha rigettato la domanda di risarcimento (rectius indennizzo), osservando che il Tar ha respinto l'istanza affermando l'assenza di un sottostante rapporto di concessione ed evidenziando la genericità della domanda: motivazione, questa, non impugnata. 6. Il Collegio ritiene che la preliminare eccezione di inammissibilità si possa superare. Secondo l'indirizzo della giurisprudenza prevalente, seguito di recente anche dalla Sezione (v. la sentenza n. 11016 del 19 dicembre 2023) il mancato deposito da parte dell'appellante di una copia della sentenza impugnata comporta, ai sensi dell'art. 94 c.p.a., l'inammissibilità dell'appello (tale regola valendo, altresì, per la revocazione e l'opposizione di terzo). Tuttavia, nella fattispecie in esame, diversamente da quella decisa dalla richiamata sentenza n. 11016/2023, l'indicazione della copia della sentenza di primo grado è contenuta per due volte nel foliario depositato unitamente al ricorso (una volta genericamente come sentenza notificata e una volta con gli estremi, benchè erroneamente indicati come 731/2023 anziché come 733/2023), cosicché il mancato deposito della stessa è verosimilmente da attribuire a una svista dell'appellante, che, però, con il suddetto foliario aveva espresso la volontà di provvedere al deposito. Tale circostanza rende, ad avviso del Collegio, il vizio riscontrato una mera irregolarità formale sanabile mediante assegnazione alla parte di un termine per procedere al suindicato deposito, sulla scorta dell'indirizzo espresso dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 138 del 9 luglio 2021, secondo cui la discrezionalità del legislatore nel conformare gli istituti processuali incontra il limite della manifesta irragionevolezza od arbitrarietà delle scelte compiute, che è superato ove emerga un'ingiustificabile compressione del diritto di agire in giudizio (come appare nel caso di specie, in cui è comunque possibile tramite il sistema "S.I.G.A.", sia per le parti, sia per il giudice, consultare la sentenza appellata) (cfr. Cons. Stato, sez. VII, ord. 22 gennaio 2024, n. 683). Ciò chiarito il Collegio ritiene che, per ragioni di economia processuale, si possa prescindere da tale incombente essendo l'appello infondato. 7. I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi fra loro. Preliminarmente va osservato, quanto alla doglianza che investe la contraddittorietà nella condotta del Tar laddove, nella sentenza che ha concluso il giudizio, ha manifestato un orientamento opposto a quello manifestato in sede cautelare, segnatamente con riferimento all'affermazione dell'esistenza di un titolo valido, il Collegio deve ricordare che la fase cautelare per sua natura comporta provvedimenti giurisdizionali non definitivi, emanati con riserva di accertamento della fondatezza nel merito, con l'evidente finalità di evitare che la pendenza del giudizio pregiudichi la parte vittoriosa all'esito del processo. Questi provvedimenti dunque sono interinalmente subordinati alla verifica definitiva della fondatezza della tesi del ricorrente e i definitivi effetti di carattere sostanziale conseguono solo al passaggio in giudicato della pronuncia di merito favorevole, che è la sola idonea a conformare con effetti permanenti la realtà giuridica interinalmente cristallizzata dal provvedimento cautelare del giudice (cfr. Cons. Stato, sez. III, 8 giugno 2016, n. 2448). Da ciò discende che il provvedimento interinale per definizione non può che essere provvisorio e prodromico alla pronuncia che chiude il giudizio (cfr., in argomento, Cons. Stato, sez. II, 13 agosto 2019, n. 5711). Non a caso le ordinanze cautelari, in quanto prive di contenuto definitivamente decisorio, sono insuscettibili di passare in giudicato, analogamente ai provvedimenti istruttori, interlocutori o di rinvio al ruolo ordinario (cfr. Cons. Stato, sez. III, 29 agosto 2018, n. 5084 e sez. V, 10 giugno 2015, n. 2847). Un provvedimento di sospensione dell'esecuzione dell'atto amministrativo si limita ad impedire temporaneamente e con efficacia ex nunc, la possibilità di portare l'atto ad ulteriore esecuzione e, per questo, è inevitabilmente connesso alla conclusione del giudizio. Quindi gli effetti di carattere sostanziale possono conseguire solo al passaggio in giudicato della pronuncia di merito, che è la sola idonea a rimuovere dalla realtà giuridica l'atto con effetti permanenti ovvero a confermarla (cfr. Cons. Stato, sez. III, 28 giugno 2019 n. 4461). Sotto il profilo sistematico, poi, la inconfigurabilità di un giudicato cautelare è direttamente dimostrata anche dall'art. 21 septies della legge 241/1990, il quale sanziona con la nullità solo ed esclusivamente l'atto che viola o elude il giudicato sulla sentenza e non anche della pronuncia del giudice che non abbia ancora il carattere della definitività come la pronuncia cautelare (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 marzo 2021, n. 2004). Dai principi fin qui declinati emerge con chiarezza come la decisione definitiva non sia in alcun modo condizionata da quella assunta in sede cautelare la quale, infatti, non produce effetti sostanziali, stante la sua naturale interinalità . La possibile divergenza fra decisione cautelare e decisione di merito, lungi dall'essere sintomo di contraddittorietà, è semmai la conferma, ove mai ve ne fosse necessità, di come l'esame approfondito del merito della vicenda dedotta in giudizio possa dar luogo ad un esito diverso da quello conseguente ad una cognizione meramente sommaria (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 10 maggio 2024, n. 4222). Tanto chiarito in via preliminare, non è contestato che, nel caso di specie, manchi un valido atto di concessione in uso del locale per cui è causa risultando l'associazione appellante mera fruitrice di locale ad uso palestra, in radicale assenza di atto concessorio e, di conseguenza, in assenza di un termine di scadenza. Infatti, nella sentenza 8 febbraio 2021, n. 251, pronunciata fra le stesse parti, non impugnata e, dunque, passata in giudicato, lo stesso Tar Puglia aveva evidenziato che "la regolazione del rapporto concessorio oggetto del contendere, "connotato da profili di incertezza sulle condizioni d'uso (mancanza di termine finale della concessione; modalità d'uso; rendicontazione della gestione)", evidenzia evidenti illegittimità in relazione all'obbligo di uso proficuo che pertiene alla gestione di beni di proprietà comunale, rilevanti anche in chiave di responsabilità amministrativa" facendo da ciò discendere che "l'Amministrazione comunale, nell'ambito del disposto riesame, debba rivalutare i (pregressi) presupposti che hanno condotto all'affidamento in gestione della palestra: presupposti che, se non adeguatamente rimeditati, determinerebbero una situazione di permanente concessione di un bene, manifestamente contraria ai principi affermati dalla giurisprudenza comunitaria (cfr. sentenza c.d. Promoimpresa Melis della Corte di Giustizia UE del 14 luglio 2016, C458/2014 e C 67/2015), contraria alla procrastinazione senza procedure selettive di atti concessori, a fortiori - come nel caso di specie - in assenza di apposizione di qualsiasi termine di conclusione dei sottesi rapporti". L'attività posta in essere dal comune, oggetto del presente contenzioso, rappresenta la prosecuzione della vicenda decisa con la riportata sentenza, mediante recepimento ed attuazione della sollecitazione ivi formulata dal giudicante. Né è rilevante la circostanza che il comune abbia sempre riscosso il canone per l'utilizzo, dal momento che, per giurisprudenza consolidata, la tollerata occupazione del bene non radica alcuna posizione di diritto o di interesse legittimo in capo all'occupante, essendo irrilevante a tal fine anche il pagamento delle somme corrispondenti al canone in quanto tali somme valgono solo a compensare l'occupazione sine titulo, non essendo ammissibile il rilascio o il rinnovo di una concessione per facta concludentia, stante l'impossibilità di desumere per implicito la volontà dell'amministrazione di vincolarsi (cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 settembre 2013, n. 4775; in termini anche sez. VI, 6 agosto 2013, n. 4098). Ciò posto, nella comunicazione di avvio del procedimento sono ben evidenziate le ragioni di illegittimità della perdurante occupazione dei locali per cui è causa, ragioni che sono espressamente richiamate nel provvedimento conclusivo: pertanto, quand'anche nella comunicazione di avvio del procedimento non fosse stata allegata la relazione riguardante gli interventi di manutenzione da effettuare (e così non è visto che nel ricorso introduttivo l'associazione ne ha contestato i contenuti), l'ordinanza di rilascio conclusiva del procedimento, in quanto sorretta da plurime motivazioni, alcune delle quali (sicuramente) contenute nella comunicazione di avvio e pacificamente legittime, risulta immune da vizi, non potendosi attribuire alcuna lesività alla lamentata (e comunque smentita) discrasia tra comunicazione ex art. 7 della legge n. 241 del 1990 e provvedimento conclusivo. Costituisce jus receptum che per sorreggere l'atto plurimotivato in sede giurisdizionale è sufficiente la legittimità di una sola delle ragioni espresse, con la conseguenza che il rigetto delle censure formulate contro una di tali ragioni rende superfluo l'esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento; pertanto, il giudice, qualora ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell'atto controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità, ha la potestà di respingere il ricorso sulla sola base di tale rilievo, con assorbimento delle censure dedotte avverso altri capi del provvedimento, indipendentemente dall'ordine con cui i motivi sono articolati nel gravame, in quanto la conservazione dell'atto implica la perdita di interesse del ricorrente all'esame delle altre doglianze (cfr. fra le più recenti, Cons. Stato, sez. III, 17 aprile 2024, n. 3480). La censura di disparità di trattamento è infondata innanzitutto in punto di fatto dal momento che, come noto all'appellante, almeno altre tre associazioni occupanti abusive sono destinatarie di analoghe ordinanze di rilascio, tutte impugnate con ricorsi di tenore ana dinanzi al Tar Puglia, proposti a ministero dello stesso difensore, respinti e decisi in appello alla medesima udienza del 28 maggio 2024. È infondata anche in diritto essendo pacifico che, da una parte, la disparità di trattamento può assumere il ruolo di figura sintomatica di eccesso di potere soltanto nel caso in cui le fattispecie poste a confronto sono assolutamente identiche (cfr. Cons. Stato, sez. II, 22 luglio 2019, n. 5157), circostanza indimostrata nel caso di specie, dall'altra, che la figura sintomatica di eccesso di potere per disparità di trattamento non può essere utilmente dedotta per estendere a proprio favore una condotta in ipotesi illegittima tenuta dall'amministrazione in situazione illegittima (cfr. Cons. Stato, sez. II, 7 marzo 2024, n. 2214). Il richiamo al "Regolamento per l'affidamento in gestione e concessione in uso degli impianti sportivi comunali" non è corretto riguardando lo stesso le "convenzioni pluriennali in corso", ossia convenzioni legittimamente stipulate e con termine di durata prefissato: circostanza che non ricorre nel caso di specie. Infine e in conseguenza di quanto sopra la sentenza impugnata va confermata anche nella parte in cui ha respinto la domanda di corresponsione dell'indennità per revoca legittima (impropriamente formulata come domanda risarcitoria), stante l'acclarata assenza di un valido rapporto concessorio e la genericità della domanda. Conclusivamente, per quanto precede, l'appello deve essere respinto. 8. Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate stante la serialità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7228 del 2023, proposto da: As. Wu Ta., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Na., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; contro Comune di Foggia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Pa., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione terza, n. 732/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Foggia; Visti tutti gli atti della causa; Vista l'istanza di liquidazione del compenso presentata dal difensore in data 26 maggio 2024; Relatore il Cons. Laura Marzano; Udito, nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024, l'avvocato Fr. Mi. in sostituzione dell'avv. An. Na.; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società appellante ha impugnato la sentenza del Tar Puglia, III sezione, n. 732 del 9 maggio 2023 con cui è stato respinto il ricorso avverso l'ordinanza dirigenziale in data 8 aprile 2022, a firma del dirigente del settore sport del comune di Foggia, avente ad oggetto "sgombero e rilascio entro giorni trenta del locale del sottostadio comunale ubicato sotto la tribuna est (ex gradinata) in uso all'Associazione A.S.D. A.S.D. WU TA.". Il comune appellato si è costituito nel presente grado di giudizio depositando successivamente memoria con la quale ha eccepito l'inammissibilità dell'appello per omesso deposito di copia della sentenza impugnata e chiedendone, comunque, la reiezione per infondatezza. Con nota depositata il 20 maggio 2024 il comune di Foggia ha chiesto la decisione della causa sugli scritti. All'udienza pubblica del 28 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 2. Con determinazione dirigenziale n. 1138/2014 il comune di Foggia ha concesso all'associazione appellante un locale sito nel sottostadio, lato tribuna est (ex gradinata) senza un termine di scadenza e da quella data il rapporto concessorio è proseguito finché, con nota del 14 febbraio 2022 inviata via pec, l'associazione ha ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento finalizzato al rilascio dei locali del sottostadio. Con successiva ordinanza dirigenziale in data 8 aprile 2022 è stato ordinato all'associazione il rilascio, entro trenta giorni, del locale in questione, ubicato a livello zero del complesso sportivo denominato "St. Pi. Za.". 3. Ritenendo illegittima l'ordinanza l'associazione l'ha impugnata dinanzi al Tar Puglia il quale, dopo averne sospeso l'efficacia con ordinanza n. 325 del 9 luglio 2022, ha respinto il ricorso con sentenza n. 732 del 9 maggio 2023 in sintesi osservando: - che l'atto di concessione deve ritenersi illegittimo in quanto adottato senza previa procedura concorsuale e senza fissazione di un termine finale, come già evidenziato nella sentenza n. 251/2021 dello stesso Tribunale nella quale era contenuto l'invito all'amministrazione a riconsiderare i presupposti della concessione in uso della palestra: "presupposti che, se non adeguatamente rimeditati, determinerebbero una situazione di permanente concessione di un bene, manifestamente contraria ai principi affermati dalla giurisprudenza comunitaria (cfr. sentenza c.d. Promoimpresa Melis della Corte di Giustizia UE del 14 luglio 2016, C458/2014 e C 67/2015), contraria alla procrastinazione senza procedure selettive di atti concessori, a fortiori - come nel caso di specie - in assenza di apposizione di qualsiasi termine di conclusione dei sottesi rapporti"; - che la mancata fissazione di un termine finale certo e l'urgenza di indire una procedura di gara sono tra le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato, unitamente all'urgenza di intervenire con non procrastinabili lavori di manutenzione, descritti nella relazione tecnica allegata alla comunicazione di avvio del procedimento, così sostanzialmente revocando in autotutela l'affidamento disposto nel 1970; - che in assenza di un valido rapporto concessorio sottostante e non essendo stata censurata l'autotutela esercitata dall'amministrazione comunale, se non sotto il profilo marginale della mancata liquidazione di un indennizzo, l'ordine di sgombero deve ritenersi immune da vizi; - che non sussiste la lamentata non perfetta coincidenza tra i motivi indicati nell'avvio del procedimento e quelli posti a fondamento del provvedimento gravato, avendo il comune allegato all'avviso di avvio del procedimento la relazione tecnica illustrativa dei lavori di manutenzione necessari; - che, in ogni caso, l'associazione non ha partecipato al procedimento, neanche per contestare le altre ragioni di revoca, riportate esplicitamente nella comunicazione di avvio; - che l'assenza di un sottostante valido rapporto di concessione esclude, altresì, che possa accogliersi la domanda di accertamento preordinata ad ottenerne una prosecuzione del rapporto ovvero, in subordine, finalizzato alla liquidazione di un indennizzo per revoca legittima, essendo oltretutto la domanda formulata in modo generico e senza allegare elementi circa la ricorrenza dei relativi presupposti. 4. L'appello è affidato ai motivi di seguito sintetizzati. Con il primo motivo l'appellante deduce la contraddittorietà della sentenza laddove pur riconoscendo l'esistenza di un titolo, (affermazione espressamente contenuta nell'ordinanza cautelare), poi afferma che il rapporto concessorio non è sorretto da un titolo valido. Osserva che l'associazione ha sempre corrisposto il canone concessorio e il comune lo ha sempre incamerato senza sollevare obiezioni. Con il secondo motivo ripropone la censura, non esaminata dal Tar, di disparità di trattamento con altre associazioni assegnatarie di locali ubicati nella medesima zona e di violazione del "Regolamento per l'affidamento in gestione e concessione in uso degli impianti sportivi comunali" approvato in data 27 gennaio 2022, con deliberazione n. 2 della Commissione straordinaria, il quale prevede che per effettuare lavori di manutenzione il comune possa disporre soltanto la sospensione e che "restano in vigore le convenzioni pluriennali in corso alla data di adozione del presente regolamento alle condizioni nelle stesse stabilite; è facoltà del Comune di Foggia e del concessionario chiederne la revoca al fine di stipulare contestualmente una nuova convenzione coerente con le disposizioni stabilite dal presente Regolamento". Con il terzo motivo l'appellante lamenta che, diversamente da quanto affermato dal Tar, nella comunicazione di avvio del procedimento si poneva in luce l'irregolarità dell'affidamento, avvenuto senza gara e l'invalidità del rapporto, in quanto privo di termine finale, ma non si faceva cenno alla necessità di eseguire lavori di manutenzione. In ogni caso sarebbe irrilevante che l'associazione non ha partecipato al procedimento essendo questa una facoltà ad essa spettante, di per sé non equivalente ad accettazione di determinazioni non trasparenti. Con il quarto motivo l'appellante lamenta l'omessa pronuncia sulla richiesta di risarcimento, tale non potendosi ritenere la generica affermazione della "assenza di un valido rapporto concessorio". 5. Il comune appellato, oltre ad eccepire l'inammissibilità dell'appello, lo ha contestato nel merito preliminarmente ricordando che il presente giudizio, così come altri tre omologhi ricorsi, anch'essi chiamati in decisione alla medesima udienza del 28 maggio 2024, attengono a provvedimenti adottati su indirizzo della Commissione straordinaria, insediatasi nel comune di Foggia a seguito del suo scioglimento per infiltrazioni mafiose, al fine di porre termine ad una grave e risalente situazione di occupazioni illegittime e prive di titolo dei locali sotto stadio Zaccheria (avviando così per l'ente, una nuova stagione conforme a principi di legittimità ) e di potervi svolgere le propedeutiche, necessarie e non più procrastinabili, attività di manutenzione che, stante la descritta perdurante situazione di illegittima occupazione non è stato possibile eseguire. Ribadisce l'inesistenza di un titolo concessorio valido e fa rilevare che ciò sarebbe stato correttamente rilevato dal Tar, dal momento che una concessione priva di termine finale non potrebbe ritenersi di carattere "perpetuo", come pretenderebbe l'associazione sarebbe revocabile da parte dell'ente. Il richiamo al "Regolamento per l'affidamento in gestione e concessione in uso degli impianti sportivi comunali" sarebbe inconferente riguardando lo stesso le "convenzioni pluriennali in corso", ossia convenzioni legittimamente stipulate e con termine di durata prefissato. D'altra parte nella fattispecie non vi è neanche una convenzione sottoscritta tra le parti non essendovi neanche un atto di concessione formale atteso che la determinazione che fa riferimento alla ricorrente, infatti, è la n. 1/2014 che, tuttavia, la indica, unitamente ad altra associazione solo quali "già fruitrici di palestre comunali". Fa rilevare che nell'atto impugnato si dà espressamente atto anche della necessità di provvedere, per il futuro, a nuove assegnazioni secondo procedure di evidenza pubblica. Evidenzia che la ricorrente in primo grado ha anche contestato la relazione tecnica illustrativa dei lavori di manutenzione necessari, allegato alla comunicazione di avvio del procedimento, così dimostrando di ben conoscerla. Eccepisce l'inammissibilità oltre che l'infondatezza dell'impugnazione della sentenza anella parte in cui ha rigettato la domanda di risarcimento (rectius indennizzo), osservando che il Tar ha respinto l'istanza affermando l'assenza di un sottostante rapporto di concessione ed evidenziando la genericità della domanda: motivazione, questa, non impugnata. 6. Il Collegio ritiene che la preliminare eccezione di inammissibilità si possa superare. Secondo l'indirizzo della giurisprudenza prevalente, seguito di recente anche dalla Sezione (v. la sentenza n. 11016 del 19 dicembre 2023) il mancato deposito da parte dell'appellante di una copia della sentenza impugnata comporta, ai sensi dell'art. 94 c.p.a., l'inammissibilità dell'appello (tale regola valendo, altresì, per la revocazione e l'opposizione di terzo). Tuttavia, nella fattispecie in esame, diversamente da quella decisa dalla richiamata sentenza n. 11016/2023, l'indicazione della copia della sentenza di primo grado è contenuta per due volte nel foliario depositato unitamente al ricorso (una volta genericamente come sentenza notificata e una volta con gli estremi, benchè erroneamente indicati come 731/2023 anziché come 713/2023), cosicché il mancato deposito della stessa è verosimilmente da attribuire a una svista dell'appellante, che, però, con il suddetto foliario aveva espresso la volontà di provvedere al deposito. Tale circostanza rende, ad avviso del Collegio, il vizio riscontrato una mera irregolarità formale sanabile mediante assegnazione alla parte di un termine per procedere al suindicato deposito, sulla scorta dell'indirizzo espresso dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 138 del 9 luglio 2021, secondo cui la discrezionalità del legislatore nel conformare gli istituti processuali incontra il limite della manifesta irragionevolezza od arbitrarietà delle scelte compiute, che è superato ove emerga un'ingiustificabile compressione del diritto di agire in giudizio (come appare nel caso di specie, in cui è comunque possibile tramite il sistema "S.I.G.A.", sia per le parti, sia per il giudice, consultare la sentenza appellata) (cfr. Cons. Stato, sez. VII, ord. 22 gennaio 2024, n. 683). Ciò chiarito il Collegio ritiene che, per ragioni di economia processuale, si possa prescindere da tale incombente essendo l'appello infondato. 7. I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi fra loro. Preliminarmente va osservato, quanto alla doglianza che investe la contraddittorietà nella condotta del Tar laddove, nella sentenza che ha concluso il giudizio, ha manifestato un orientamento opposto a quello manifestato in sede cautelare, segnatamente con riferimento all'affermazione dell'esistenza di un titolo valido, il Collegio deve ricordare che la fase cautelare per sua natura comporta provvedimenti giurisdizionali non definitivi, emanati con riserva di accertamento della fondatezza nel merito, con l'evidente finalità di evitare che la pendenza del giudizio pregiudichi la parte vittoriosa all'esito del processo. Questi provvedimenti dunque sono interinalmente subordinati alla verifica definitiva della fondatezza della tesi del ricorrente e i definitivi effetti di carattere sostanziale conseguono solo al passaggio in giudicato della pronuncia di merito favorevole, che è la sola idonea a conformare con effetti permanenti la realtà giuridica interinalmente cristallizzata dal provvedimento cautelare del giudice (cfr. Cons. Stato, sez. III, 8 giugno 2016, n. 2448). Da ciò discende che il provvedimento interinale per definizione non può che essere provvisorio e prodromico alla pronuncia che chiude il giudizio (cfr., in argomento, Cons. Stato, sez. II, 13 agosto 2019, n. 5711). Non a caso le ordinanze cautelari, in quanto prive di contenuto definitivamente decisorio, sono insuscettibili di passare in giudicato, analogamente ai provvedimenti istruttori, interlocutori o di rinvio al ruolo ordinario (cfr. Cons. Stato, sez. III, 29 agosto 2018, n. 5084 e sez. V, 10 giugno 2015, n. 2847). Un provvedimento di sospensione dell'esecuzione dell'atto amministrativo si limita ad impedire temporaneamente e con efficacia ex nunc, la possibilità di portare l'atto ad ulteriore esecuzione e, per questo, è inevitabilmente connesso alla conclusione del giudizio. Quindi gli effetti di carattere sostanziale possono conseguire solo al passaggio in giudicato della pronuncia di merito, che è la sola idonea a rimuovere dalla realtà giuridica l'atto con effetti permanenti ovvero a confermarla (cfr. Cons. Stato, sez. III, 28 giugno 2019 n. 4461). Sotto il profilo sistematico, poi, la inconfigurabilità di un giudicato cautelare è direttamente dimostrata anche dall'art. 21 septies della legge 241/1990, il quale sanziona con la nullità solo ed esclusivamente l'atto che viola o elude il giudicato sulla sentenza e non anche della pronuncia del giudice che non abbia ancora il carattere della definitività come la pronuncia cautelare (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 marzo 2021, n. 2004). Dai principi fin qui declinati emerge con chiarezza come la decisione definitiva non sia in alcun modo condizionata da quella assunta in sede cautelare la quale, infatti, non produce effetti sostanziali, stante la sua naturale interinalità . La possibile divergenza fra decisione cautelare e decisione di merito, lungi dall'essere sintomo di contraddittorietà, è semmai la conferma, ove mai ve ne fosse necessità, di come l'esame approfondito del merito della vicenda dedotta in giudizio possa dar luogo ad un esito diverso da quello conseguente ad una cognizione meramente sommaria (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 10 maggio 2024, n. 4222). Tanto chiarito in via preliminare, non è contestato che, nel caso di specie, manchi un valido atto di concessione in uso del locale per cui è causa risultando l'associazione appellante mera fruitrice di locale ad uso palestra a seguito di scambio con altra associazione, ma in radicale assenza di atto concessorio e, di conseguenza, in assenza di un termine di scadenza. Infatti, nella sentenza 8 febbraio 2021, n. 251, pronunciata fra le stesse parti, non impugnata e, dunque, passata in giudicato, lo stesso Tar Puglia aveva evidenziato che "la regolazione del rapporto concessorio oggetto del contendere, "connotato da profili di incertezza sulle condizioni d'uso (mancanza di termine finale della concessione; modalità d'uso; rendicontazione della gestione)", evidenzia evidenti illegittimità in relazione all'obbligo di uso proficuo che pertiene alla gestione di beni di proprietà comunale, rilevanti anche in chiave di responsabilità amministrativa" facendo da ciò discendere che "l'Amministrazione comunale, nell'ambito del disposto riesame, debba rivalutare i (pregressi) presupposti che hanno condotto all'affidamento in gestione della palestra: presupposti che, se non adeguatamente rimeditati, determinerebbero una situazione di permanente concessione di un bene, manifestamente contraria ai principi affermati dalla giurisprudenza comunitaria (cfr. sentenza c.d. Promoimpresa Melis della Corte di Giustizia UE del 14 luglio 2016, C458/2014 e C 67/2015), contraria alla procrastinazione senza procedure selettive di atti concessori, a fortiori - come nel caso di specie - in assenza di apposizione di qualsiasi termine di conclusione dei sottesi rapporti". L'attività posta in essere dal comune, oggetto del presente contenzioso, rappresenta la prosecuzione della vicenda decisa con la riportata sentenza, mediante recepimento ed attuazione della sollecitazione ivi formulata dal giudicante. Né è rilevante la circostanza che il comune abbia sempre riscosso il canone per l'utilizzo, dal momento che, per giurisprudenza consolidata, la tollerata occupazione del bene non radica alcuna posizione di diritto o di interesse legittimo in capo all'occupante, essendo irrilevante a tal fine anche il pagamento delle somme corrispondenti al canone in quanto tali somme valgono solo a compensare l'occupazione sine titulo, non essendo ammissibile il rilascio o il rinnovo di una concessione per facta concludentia, stante l'impossibilità di desumere per implicito la volontà dell'amministrazione di vincolarsi (cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 settembre 2013, n. 4775; in termini anche sez. VI, 6 agosto 2013, n. 4098). Ciò posto, nella comunicazione di avvio del procedimento sono ben evidenziate le ragioni di illegittimità della perdurante occupazione dei locali per cui è causa, ragioni che sono espressamente richiamate nel provvedimento conclusivo: pertanto, quand'anche nella comunicazione di avvio del procedimento non fosse stata allegata la relazione riguardante gli interventi di manutenzione da effettuare (e così non è visto che nel ricorso introduttivo l'associazione ne ha contestato i contenuti), l'ordinanza di rilascio conclusiva del procedimento, in quanto sorretta da plurime motivazioni, alcune delle quali (sicuramente) contenute nella comunicazione di avvio e pacificamente legittime, risulta immune da vizi, non potendosi attribuire alcuna lesività alla lamentata (e comunque smentita) discrasia tra comunicazione ex art. 7 della legge n. 241 del 1990 e provvedimento conclusivo. Costituisce jus receptum che per sorreggere l'atto plurimotivato in sede giurisdizionale è sufficiente la legittimità di una sola delle ragioni espresse, con la conseguenza che il rigetto delle censure formulate contro una di tali ragioni rende superfluo l'esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento; pertanto, il giudice, qualora ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell'atto controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità, ha la potestà di respingere il ricorso sulla sola base di tale rilievo, con assorbimento delle censure dedotte avverso altri capi del provvedimento, indipendentemente dall'ordine con cui i motivi sono articolati nel gravame, in quanto la conservazione dell'atto implica la perdita di interesse del ricorrente all'esame delle altre doglianze (cfr. fra le più recenti, Cons. Stato, sez. III, 17 aprile 2024, n. 3480). La censura di disparità di trattamento è infondata innanzitutto in punto di fatto dal momento che, come noto all'appellante, almeno altre tre associazioni occupanti abusive sono destinatarie di analoghe ordinanze di rilascio, tutte impugnate con ricorsi di tenore ana dinanzi al Tar Puglia, proposti a ministero dello stesso difensore, respinti e decisi in appello alla medesima udienza del 28 maggio 2024. È infondata anche in diritto essendo pacifico che, da una parte, la disparità di trattamento può assumere il ruolo di figura sintomatica di eccesso di potere soltanto nel caso in cui le fattispecie poste a confronto sono assolutamente identiche (cfr. Cons. Stato, sez. II, 22 luglio 2019, n. 5157), circostanza indimostrata nel caso di specie, dall'altra, che la figura sintomatica di eccesso di potere per disparità di trattamento non può essere utilmente dedotta per estendere a proprio favore una condotta in ipotesi illegittima tenuta dall'amministrazione in situazione illegittima (cfr. Cons. Stato, sez. II, 7 marzo 2024, n. 2214). Il richiamo al "Regolamento per l'affidamento in gestione e concessione in uso degli impianti sportivi comunali" non è corretto riguardando lo stesso le "convenzioni pluriennali in corso", ossia convenzioni legittimamente stipulate e con termine di durata prefissato: circostanza che non ricorre nel caso di specie. Infine e in conseguenza di quanto sopra la sentenza impugnata va confermata anche nella parte in cui ha respinto la domanda di corresponsione dell'indennità per revoca legittima (impropriamente formulata come domanda risarcitoria), stante l'acclarata assenza di un valido rapporto concessorio e la genericità della domanda. Conclusivamente, per quanto precede, l'appello deve essere respinto. 8. Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate stante la serialità delle questioni trattate. 9. Infine deve essere esaminata l'istanza di liquidazione dei compensi, presentata dal difensore della parte appellante, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, con decreto n. 153/2023. L'art. 82 d.P.R. n. 115/2002 rimette all'autorità giudiziaria la liquidazione dell'onorario e delle spese al difensore nei limiti dei "valori medi delle tariffe professionali vigenti", tenuto conto dell'"impegno professionale" e l'art. 130 dello stesso decreto, in relazione al gratuito patrocinio nel processo amministrativo, dimezza i compensi spettanti ai difensori. Ciò posto, considerata la già rilevata serialità della controversia nonché la modesta entità dell'attività difensiva svolta e i possibili profili di inammissibilità dell'appello, quantunque non decisivi, cui si è fatto cenno, il Collegio ritiene di liquidare in via forfetaria l'importo di Euro 1.000,00 (mille) quale somma spettante all'avvocato istante An. Na. a titolo di onorari, diritti e spese per il presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Liquida in via forfetaria l'importo di Euro 1.000,00 (mille) quale somma spettante all'avvocato istante An. Na. a titolo di onorari, diritti e spese per il presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7058 del 2023, proposto da: As. Sp. Cl. Pu. Sc., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Na., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; contro Comune di Foggia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Pa., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione terza, n. 713/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Foggia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore il Cons. Laura Marzano; Udito, nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024, l'avvocato Fr. Mi. in sostituzione dell'avv. An. Na.; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società appellante ha impugnato la sentenza del Tar Puglia, terza sezione, n. 713 del 3 maggio 2023 con cui è stato respinto il ricorso avverso l'ordinanza dirigenziale in data 8 aprile 2022, a firma del dirigente del settore sport del comune di Foggia, avente ad oggetto "sgombero e rilascio entro giorni trenta del locale del sottostadio comunale ubicato sotto la tribuna est (ex gradinata) in uso all'Associazione A.S.D. Sp. Cl. Pu. Sc.". Il comune appellato si è costituito nel presente grado di giudizio depositando successivamente memoria con la quale ha eccepito l'inammissibilità dell'appello per omesso deposito di copia della sentenza impugnata e chiedendone, comunque, la reiezione per infondatezza. Con nota depositata il 20 maggio 2024 il comune di Foggia ha chiesto la decisione della causa sugli scritti. All'udienza pubblica del 28 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 2. Con determinazione dirigenziale n. 1138/2014 il comune di Foggia ha concesso all'Associazione As. Sp. Cl. Pu. Sc. un locale sito nel sottostadio, lato tribuna est (ex gradinata) senza un termine di scadenza e da quella data il rapporto concessorio è proseguito finché, con nota protocollo n. 20304 del 14 febbraio 2022 inviata via pec, l'associazione ha ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento finalizzato al rilascio dei locali del sottostadio. Con successiva ordinanza dirigenziale in data 8 aprile 2022 è stato ordinato all'associazione il rilascio, entro trenta giorni, del locale in questione, ubicato a livello zero del complesso sportivo denominato "St. Pi. Za.". 3. Ritenendo illegittima l'ordinanza l'associazione l'ha impugnata dinanzi al Tar Puglia il quale, dopo averne sospeso l'efficacia con ordinanza n. 324 del 9 luglio 2022, ha respinto il ricorso con sentenza n. 713 del 3 maggio 2023 in sintesi osservando: - che l'atto di concessione deve ritenersi illegittimo in quanto adottato senza previa procedura concorsuale e senza fissazione di un termine finale, come già evidenziato nella sentenza n. 251/2021 dello stesso Tribunale nella quale era contenuto l'invito all'amministrazione a riconsiderare i presupposti della concessione in uso della palestra: "presupposti che, se non adeguatamente rimeditati, determinerebbero una situazione di permanente concessione di un bene, manifestamente contraria ai principi affermati dalla giurisprudenza comunitaria (cfr. sentenza c.d. Promoimpresa Melis della Corte di Giustizia UE del 14 luglio 2016, C458/2014 e C 67/2015), contraria alla procrastinazione senza procedure selettive di atti concessori, a fortiori - come nel caso di specie - in assenza di apposizione di qualsiasi termine di conclusione dei sottesi rapporti"; - che la mancata fissazione di un termine finale certo e l'urgenza di indire una procedura di gara sono tra le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato, unitamente all'urgenza di intervenire con non procrastinabili lavori di manutenzione, descritti nella relazione tecnica allegata alla comunicazione di avvio del procedimento, così sostanzialmente revocando in autotutela l'affidamento disposto nel 1970; - che in assenza di un valido rapporto concessorio sottostante e non essendo stata censurata l'autotutela esercitata dall'amministrazione comunale, se non sotto il profilo marginale della mancata liquidazione di un indennizzo, l'ordine di sgombero deve ritenersi immune da vizi; - che non sussiste la lamentata non perfetta coincidenza tra i motivi indicati nell'avvio del procedimento e quelli posti a fondamento del provvedimento gravato, avendo il comune allegato all'avviso di avvio del procedimento la relazione tecnica illustrativa dei lavori di manutenzione necessari; - che, in ogni caso, l'associazione non ha partecipato al procedimento, neanche per contestare le altre ragioni di revoca, riportate esplicitamente nella comunicazione di avvio; - che l'assenza di un sottostante valido rapporto di concessione esclude, altresì, che possa accogliersi la domanda di accertamento preordinata ad ottenerne una prosecuzione del rapporto ovvero, in subordine, finalizzato alla liquidazione di un indennizzo per revoca legittima, essendo oltretutto la domanda formulata in modo generico e senza allegare elementi circa la ricorrenza dei relativi presupposti. 4. L'appello è affidato ai motivi di seguito sintetizzati. Con il primo motivo deduce la contraddittorietà della sentenza laddove pur riconoscendo l'esistenza di un titolo, poi afferma che il rapporto concessorio non è sorretto da un titolo valido. Osserva che l'associazione ha sempre corrisposto il canone concessorio e il comune lo ha sempre incamerato senza sollevare obiezioni. Con il secondo motivo ripropone la censura, non esaminata dal Tar, di disparità di trattamento con altre associazioni assegnatarie di locali ubicati nella medesima zona e di violazione del "Regolamento per l'affidamento in gestione e concessione in uso degli impianti sportivi comunali" approvato in data 27 gennaio 2022, con deliberazione n. 2 della Commissione straordinaria, il quale prevede che per effettuare lavori di manutenzione il comune possa disporre soltanto la sospensione e che "restano in vigore le convenzioni pluriennali in corso alla data di adozione del presente regolamento alle condizioni nelle stesse stabilite; è facoltà del Comune di Foggia e del concessionario chiederne la revoca al fine di stipulare contestualmente una nuova convenzione coerente con le disposizioni stabilite dal presente Regolamento". Con il terzo motivo l'appellante lamenta che, diversamente da quanto affermato dal Tar, nella comunicazione di avvio del procedimento si poneva in luce l'irregolarità dell'affidamento, avvenuto senza gara e l'invalidità del rapporto, in quanto privo di termine finale, ma non si faceva cenno alla necessità di eseguire lavori di manutenzione. In ogni caso sarebbe irrilevante che l'associazione non ha partecipato al procedimento essendo questa una facoltà ad essa spettante, di per sé non equivalente ad accettazione di determinazioni non trasparenti. Con il quarto motivo l'appellante lamenta l'omessa pronuncia sulla richiesta di risarcimento, tale non potendosi ritenere la generica affermazione della "assenza di un valido rapporto concessorio". 5. Il comune appellato, oltre ad eccepire l'inammissibilità dell'appello, lo ha contestato nel merito preliminarmente ricordando che il presente giudizio, così come gli omologhi ricorsi iscritti ai R.G. n. 7228/2023, n. 7227/2023 e n. 7241/2023, anch'essi chiamati in decisione alla medesima udienza del 28 maggio 2024, attengono a provvedimenti adottati su indirizzo della Commissione straordinaria, insediatasi nel comune di Foggia a seguito del suo scioglimento per infiltrazioni mafiose, al fine di porre termine ad una grave e risalente situazione di occupazioni illegittime e prive di titolo dei locali sotto stadio Za. (avviando così per l'ente, una nuova stagione conforme a principi di legittimità ) e di potervi svolgere le propedeutiche, necessarie e non più procrastinabili, attività di manutenzione che, stante la descritta perdurante situazione di illegittima occupazione non è stato possibile eseguire. Ribadisce l'inesistenza di un titolo concessorio valido e fa rilevare che ciò sarebbe stato correttamente rilevato dal Tar, dal momento che una concessione priva di termine finale non potrebbe ritenersi di carattere "perpetuo", come pretenderebbe l'associazione sarebbe revocabile da parte dell'ente. Il richiamo al "Regolamento per l'affidamento in gestione e concessione in uso degli impianti sportivi comunali" sarebbe inconferente riguardando lo stesso le "convenzioni pluriennali in corso", ossia convenzioni legittimamente stipulate e con termine di durata prefissato. D'altra parte nella fattispecie non vi è neanche una convenzione sottoscritta tra le parti non essendovi neanche un atto di concessione formale atteso che la determinazione che fa riferimento alla ricorrente, infatti, è la n. 1/2014 che, tuttavia, la indica, unitamente ad altra associazione solo quali "già fruitrici di palestre comunali". Fa rilevare che nell'atto impugnato si dà espressamente atto anche della necessità di provvedere, per il futuro, a nuove assegnazioni secondo procedure di evidenza pubblica. Evidenzia che la ricorrente in primo grado ha anche contestato la relazione tecnica illustrativa dei lavori di manutenzione necessari, allegato alla comunicazione di avvio del procedimento, così dimostrando di ben conoscerla. Eccepisce l'inammissibilità oltre che l'infondatezza dell'impugnazione della sentenza anella parte in cui ha rigettato la domanda di risarcimento (rectius indennizzo), osservando che il Tar ha respinto l'istanza affermando l'assenza di un sottostante rapporto di concessione ed evidenziando la genericità della domanda: motivazione, questa, non impugnata. 6. Il Collegio ritiene che la preliminare eccezione di inammissibilità si possa superare. Secondo l'indirizzo della giurisprudenza prevalente, seguito di recente anche dalla Sezione (v. la sentenza n. 11016 del 19 dicembre 2023) il mancato deposito da parte dell'appellante di una copia della sentenza impugnata comporta, ai sensi dell'art. 94 c.p.a., l'inammissibilità dell'appello (tale regola valendo, altresì, per la revocazione e l'opposizione di terzo). Tuttavia, nella fattispecie in esame, diversamente da quella decisa dalla richiamata sentenza n. 11016/2023, l'indicazione della copia della sentenza di primo grado è contenuta per due volte nel foliario depositato unitamente al ricorso (una volta genericamente come sentenza notificata e una volta con gli estremi, benchè erroneamente indicati come 731/2023 anziché come 713/2023), cosicché il mancato deposito della stessa è verosimilmente da attribuire a una svista dell'appellante, che, però, con il suddetto foliario aveva espresso la volontà di provvedere al deposito. Tale circostanza rende, ad avviso del Collegio, il vizio riscontrato una mera irregolarità formale sanabile mediante assegnazione alla parte di un termine per procedere al suindicato deposito, sulla scorta dell'indirizzo espresso dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 138 del 9 luglio 2021, secondo cui la discrezionalità del legislatore nel conformare gli istituti processuali incontra il limite della manifesta irragionevolezza od arbitrarietà delle scelte compiute, che è superato ove emerga un'ingiustificabile compressione del diritto di agire in giudizio (come appare nel caso di specie, in cui è comunque possibile tramite il sistema "S.I.G.A.", sia per le parti, sia per il giudice, consultare la sentenza appellata) (cfr. Cons. Stato, sez. VII, ord. 22 gennaio 2024, n. 683). Ciò chiarito il Collegio ritiene che, per ragioni di economia processuale, si possa prescindere da tale incombente essendo l'appello infondato. 7. I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi fra loro. Non è contestato che, nel caso di specie, manchi un valido atto di concessione in uso del locale per cui è causa risultando l'associazione appellante mera fruitrice di locale ad uso palestra a seguito di scambio con altra associazione, ma in radicale assenza di atto concessorio e, di conseguenza, in assenza di un termine di scadenza. Infatti, nella sentenza 8 febbraio 2021, n. 251, pronunciata fra le stesse parti, non impugnata e, dunque, passata in giudicato, lo stesso Tar Puglia aveva evidenziato che "la regolazione del rapporto concessorio oggetto del contendere, "connotato da profili di incertezza sulle condizioni d'uso (mancanza di termine finale della concessione; modalità d'uso; rendicontazione della gestione)", evidenzia evidenti illegittimità in relazione all'obbligo di uso proficuo che pertiene alla gestione di beni di proprietà comunale, rilevanti anche in chiave di responsabilità amministrativa" facendo da ciò discendere che "l'Amministrazione comunale, nell'ambito del disposto riesame, debba rivalutare i (pregressi) presupposti che hanno condotto all'affidamento in gestione della palestra: presupposti che, se non adeguatamente rimeditati, determinerebbero una situazione di permanente concessione di un bene, manifestamente contraria ai principi affermati dalla giurisprudenza comunitaria (cfr. sentenza c.d. Promoimpresa Melis della Corte di Giustizia UE del 14 luglio 2016, C458/2014 e C 67/2015), contraria alla procrastinazione senza procedure selettive di atti concessori, a fortiori - come nel caso di specie - in assenza di apposizione di qualsiasi termine di conclusione dei sottesi rapporti". L'attività posta in essere dal comune, oggetto del presente contenzioso, rappresenta la prosecuzione della vicenda decisa con la riportata sentenza, mediante recepimento ed attuazione della sollecitazione ivi formulata dal giudicante. Né è rilevante la circostanza che il comune abbia sempre riscosso il canone per l'utilizzo, dal momento che, per giurisprudenza consolidata, la tollerata occupazione del bene non radica alcuna posizione di diritto o di interesse legittimo in capo all'occupante, essendo irrilevante a tal fine anche il pagamento delle somme corrispondenti al canone in quanto tali somme valgono solo a compensare l'occupazione sine titulo, non essendo ammissibile il rilascio o il rinnovo di una concessione per facta concludentia, stante l'impossibilità di desumere per implicito la volontà dell'amministrazione di vincolarsi (cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 settembre 2013, n. 4775; in termini anche sez. VI, 6 agosto 2013, n. 4098). Ciò posto, nella comunicazione di avvio del procedimento sono ben evidenziate le ragioni di illegittimità della perdurante occupazione dei locali per cui è causa, ragioni che sono espressamente richiamate nel provvedimento conclusivo: pertanto, quand'anche nella comunicazione di avvio del procedimento non fosse stata allegata la relazione riguardante gli interventi di manutenzione da effettuare (e così non è visto che nel ricorso introduttivo l'associazione ne ha contestato i contenuti), l'ordinanza di rilascio conclusiva del procedimento, in quanto sorretta da plurime motivazioni, alcune delle quali (sicuramente) contenute nella comunicazione di avvio e pacificamente legittime, risulta immune da vizi, non potendosi attribuire alcuna lesività alla lamentata (e comunque smentita) discrasia tra comunicazione ex art. 7 della legge n. 241 del 1990 e provvedimento conclusivo. Costituisce jus receptum che per sorreggere l'atto plurimotivato in sede giurisdizionale è sufficiente la legittimità di una sola delle ragioni espresse, con la conseguenza che il rigetto delle censure formulate contro una di tali ragioni rende superfluo l'esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento; pertanto, il giudice, qualora ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell'atto controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità, ha la potestà di respingere il ricorso sulla sola base di tale rilievo, con assorbimento delle censure dedotte avverso altri capi del provvedimento, indipendentemente dall'ordine con cui i motivi sono articolati nel gravame, in quanto la conservazione dell'atto implica la perdita di interesse del ricorrente all'esame delle altre doglianze (cfr. fra le più recenti, Cons. Stato, sez. III, 17 aprile 2024, n. 3480). La censura di disparità di trattamento è infondata innanzitutto in punto di fatto dal momento che, come noto all'appellante, almeno altre tre associazioni occupanti abusive sono destinatarie di analoghe ordinanze di rilascio, tutte impugnate con ricorsi di tenore ana dinanzi al Tar Puglia, proposti a ministero dello stesso difensore, respinti e decisi in appello alla medesima udienza del 28 maggio 2024. È infondata anche in diritto essendo pacifico che, da una parte, la disparità di trattamento può assumere il ruolo di figura sintomatica di eccesso di potere soltanto nel caso in cui le fattispecie poste a confronto sono assolutamente identiche (cfr. Cons. Stato, sez. II, 22 luglio 2019, n. 5157), circostanza indimostrata nel caso di specie, dall'altra, che la figura sintomatica di eccesso di potere per disparità di trattamento non può essere utilmente dedotta per estendere a proprio favore una condotta in ipotesi illegittima tenuta dall'amministrazione in situazione illegittima (cfr. Cons. Stato, sez. II, 7 marzo 2024, n. 2214). Il richiamo al "Regolamento per l'affidamento in gestione e concessione in uso degli impianti sportivi comunali" non è corretto riguardando lo stesso le "convenzioni pluriennali in corso", ossia convenzioni legittimamente stipulate e con termine di durata prefissato: circostanza che non ricorre nel caso di specie. Infine e in conseguenza di quanto sopra la sentenza impugnata va confermata anche nella parte in cui ha respinto la domanda di corresponsione dell'indennità per revoca legittima (impropriamente formulata come domanda risarcitoria), stante l'acclarata assenza di un valido rapporto concessorio e la genericità della domanda. Conclusivamente, per quanto precede, l'appello deve essere respinto. 8. Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate stante la serialità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5785 del 2023, proposto da Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Bi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Wi. Tr. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Ministero della Cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Regione Lazio, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda-Quater n. 6486/2023, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Cultura e di Wi. Tr. Spa; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2024 il Cons. Thomas Mathà e uditi per le parti gli avvocati Al. Bi. e Gi. Sa.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La Wi. Tr. S.p.A. aveva presentato il 20 gennaio 2021 al Comune di (omissis), alla competente Soprintendenza ed all'ARPA Lazio istanza di autorizzazione ex art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 ed ex art. 87, comma 3, d.lgs. n. 259/2003, per la realizzazione di una stazione radio base a servizio della telefonia mobile Wi. Tr. S.p.A., da ubicare nel Comune di (omissis), Via (omissis) s.n. c., identificato al N.C.T. al foglio di mappa (omissis), particella (omissis). Tale area risulta: a) assoggettata a previsioni di tutela paesaggistica, in quanto zona dichiarata di notevole interesse pubblico in forza del D.M. 2.4.1958 ("Comprensorio (omissis)", vincolato - ai sensi della legge n. 1497/1939, oggi art. 136 del d.lgs. n. 42/2004), area interessata dalle previsioni di tutela del P.T.P. n. (omissis) "Ca. Ro.", inserita tra le "Zone compromesse: aree di insediamento diffuso a bassa densità non ordinato", nonché classificata, in base alle previsioni del vigente P.T.P.R. del Lazio, come "paesaggio agrario di continuità "; b) inserita in un contesto di valenza archeologica, essendo prossima a territori classificati dal PTPR come "zone di interesse archeologico" ai sensi dell'art. 142, comma 1 lett. m) del d.lgs. n. 42/2004 ed essendo di proprietà di un ente pubblico, sottoposto a tutte le disposizioni di tutela della parte II del d.lgs. n. 42/2004. 2. Con nota del 3.2.2021 il Comune di (omissis) inviava un preavviso di diniego rilevando che l'intervento era da qualificarsi ai sensi del DPR n. 380/2001 (art. 3 comma 1 lett. e) "interventi di nuova costruzione" e. 4) installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per servizi di telecomunicazioni e che, ai sensi dell'art. 21 comma 1 della L.R. 24/1998, non poteva essere assentito essendo consentiti esclusivamente interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione, risanamento, recupero statico e restauro conservativo. Seguiva infine il provvedimento definitivo di diniego. 3. Il provvedimento comunale è stato gravato dalla Wi. 3 dinanzi al TAR per il Lazio (n. r.g. 4681/2021), che ha accolto l'incidentale domanda cautelare con l'ordinanza n. 2885/2021 (confermato da questa Sezione con ordinanza n. 827/2021). 4. La Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per l'Area Metropolitana di Roma e la Provincia di Rieti, con nota del 19.5.2021, sospendeva nella pendenza del giudizio il procedimento, e con la nota del 23.6.2021 restituiva la domanda al Comune, ritenendola improcedibile non rientrando il progetto tra le opere consentite dall'art. 21 della L.R. Lazio n. 24/1998. 5. Tali provvedimenti sono stati gravati da Wi. Tr. con motivi aggiunti. 6. Il TAR adito accoglieva il ricorso ed i motivi aggiunti e annullava gli atti gravati con la sentenza n. 13561 del 2021. L'appello contro tale decisione veniva dichiarato da questa Sezione improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse con la sentenza n. 1128 del 2023. 7. Orbene, nell'ambito della riedizione del potere, il Comune convocava nel 2022 una conferenza di servizi decisoria, acquisendo il parere della Soprintendenza del 29.4.2022 che riteneva il progetto non compatibile né con la tutela dell'area classificata come bene culturale, né rispetto alla tutela dell'area classificata come bene paesaggistico. 8. Il Comune di (omissis), con il provvedimento prot. n. 235 del 11 maggio 2022, ha concluso per il rigetto dell'istanza. Wi. 3 presentava il 18 maggio 2022 controdeduzioni e chiedeva l'accoglimento della domanda. La Soprintendenza confermava con nota del 29.7.2022 il proprio parere negativo. Infine, con provvedimento del 31.8.2022, prot. 397, il Comune concludeva la conferenza di servizi e rigettava la domanda definitivamente. 9. Tali atti sono stati impugnati dalla Wi. Tr. dinanzi al TAR per il Lazio (n. r.g. 13294/2022). 10. Il TAR per il Lazio, Sezione Seconda-Quater, con la sentenza n. 6486 del 2023, ha accolto il ricorso ed ha annullato gli atti del Comune e della Soprintendenza, ritenendo che: - mancava una puntuale motivazione del parere paesaggistico negativo (e riteneva carenti anche le specifiche indicazioni); - non si avrebbe adeguatamente dato peso alle controdeduzioni dell'istante; - la Soprintendenza, in merito alla mimetizzazione dell'antenna, avrebbe dato un giudizio contradditorio ed inadeguato. 11. Di talché, il Comune di (omissis) ha interposto il presente appello, articolando i seguenti motivi: I. Error in iudicando in ordine alla genericità delle motivazioni di rigetto della domanda della Wi. Tr. S.p.a. L'Amministrazione Civica contesta la motivazione del TAR in merito all'insufficiente valutazione delle osservazioni della Wi. Tr. S.p.a. da parte del Comune e della Soprintendenza e ritiene che sia provato dai documenti nel giudizio di primo grado (comunicazione della Soprintendenza del 2.8.2022). Le controdeduzioni sarebbero state discusse e valutate, ma non si sarebbero rivelate idonee a dimostrare la compatibilità paesaggistica dell'intervento. Il parere negativo della Soprintendenza avrebbe avuto una posizione di preminenza rispetto alle altre amministrazioni convocate, in quanto essa è preposta alla gestione del vincolo. Il parere negativo assumeva pertanto carattere vincolante per il Comune. L'assunto del TAR che il Comune avrebbe disposto la conclusione della conferenza di servizi con un atto non conforme alle risultanze delle amministrazioni interessate e alle posizioni prevalenti emerse sarebbe quindi errato. II. Sulla richiesta ex art. 87 D.Lgs. 259/2003 e sul Piano di Riassetto Analitico delle Emissioni Elettromagnetiche Territoriali (P.R.A.E.E.T.) - Art. 15 co. 4 D.P.R. 380/2001. Con la seconda doglianza l'ente locale deduce che - in forza all'entrata in vigore del Piano Riassetto delle Emissioni Elettromagnetiche Territoriali (delibera del consiglio comunale del 25.5.2022, n. 14) - la domanda di Wi. Tr. (presentata prima dell'entrata in vigore) sarebbe da considerarsi obsoleta e non aderente alla normativa vigente, con la conseguente necessità di adeguamento. Il P.R.A.E.E.T. sarebbe da considerarsi alla stregua di una variante urbanistica che apporta delle modifiche al Piano Regolatore Generale. 12. Wi. Tr. S.p.A. si è costituita in giudizio per resistere all'appello. 13. Con l'ordinanza n. 3048/2023 la Sezione ha accolto l'incidentale domanda cautelare ai fini della sollecita fissazione dell'udienza di merito ai sensi dell'art. 55 comma 10 cod. proc. amm. 14. All'udienza pubblica del 23 maggio 2024, la causa è stata trattenuta per la decisione, rigettando la richiesta delle parti di rinvio in quanto le parti hanno ampiamente articolato le loro difese. 15. L'appello è fondato sull'assorbente primo motivo del ricorso. 16. Il Collegio, in linea generale, premette che nei procedimenti di autorizzazione alla realizzazione di stazioni radio base per la telefonia mobile, ove l'area sia sottoposta ad un vincolo paesaggistico, la presenza del parere della preposta autorità sulla compatibilità paesaggistica si configura come un presupposto di validità dell'autorizzazione (Cons. Stato, III, 9 luglio 2018, n. 4189). 17. La Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per l'Area Metropolitana di Roma e per la Provincia di Rieti ha argomentato quanto segue: - "l'area d'intervento è classificata nel Piano Territoriale Paesistico Regionale come "Paesaggio agrario di continuità ", si fa rilevare che esso è costituito da porzioni di territorio caratterizzate ancora dall'uso agricolo ma variamente compromesse da fenomeni di urbanizzazione diffusa o da usi diversi da quello agricolo. Questi territori costituiscono margine agli insediamenti urbani e hanno funzione indispensabile di contenimento dell'urbanizzazione e di continuità del sistema del paesaggio agrario. (...). La tutela è volta alla riqualificazione e recupero di paesaggi degradati da varie attività umane anche mediante ricoltivazione e riconduzione a metodi di coltura tradizionali (...); - la tutela del paesaggio, ai sensi di art. 131 del d.lgs. 42/04, è volta a riconoscere, salvaguardare e, ove necessario, recuperare i valori culturali che esso esprime e che i soggetti responsabili della tutela del paesaggio assicurano la conservazione dei suoi aspetti e caratteri peculiari. L'area ove si intende installare l'antenna è caratterizzata da significativa identità panoramica, che si sviluppa in un paesaggio naturale di chiara memoria agricola. In particolare essa si presenta contrassegnata da: un territorio pianeggiante, estremamente vasto, che definisce un peculiare brano paesistico intensamente definito sia da edifici tradizionali e ruderi della campagna monticiana; sia da svariata vegetazione piantumata, ad alto e basso fusto, ed altrettanta vegetazione spontanea di varia specie, che articola il paesaggio in identità morfologiche e cromatiche differenti. Alla vegetazione di alberi spontanei ad alto fusto e siepi fa da contraltare la coltivazione di vigne che, ordinate in filari, convivono con il paesaggio naturale, arricchendolo della testimonianza dell'intervento antropico. Tale insieme è contrassegnato anche da svariati altri elementi che compongono stratificazione del paesaggio, susseguitasi finché interventi invasivi hanno finito col comprometterlo, sebbene non del tutto. L'insieme di tali fattori convive determinando un sistema organico, sedimentato nel tempo, in cui le parti che lo compongono hanno assunto un equilibrio fra la preziosa identità naturalistica e lo storico intervento antropico, condotto con modalità, materiali e tecnologie tradizionali, connesse all'identità agricola ed alla secolare identità preindustriale del territorio; - tale paesaggio, così specificamente significativo, si contraddistingue per la propria identità panoramica, giacchè si estende panoramicamente, fruibile da più punti, fra i quali l'abitato di Monte Porzio, ed è esso stesso sia punto di vista che inquadra il paesaggio urbano di Monte Porzio. Pertanto esso è parte integrante di un sistema paesaggistico enorme, di cui è contemporaneamente panorama e punto di belvedere, dunque, pienamente corrispondente pienamente alla categoria che il PTPR intende preservare ad art. 136 alla lett. d) ovvero "le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze" soggette, per il loro notevole interesse pubblico, alle disposizioni di Tutela della parte terza e titolo primo del Codice dei Beni culturali ambientali e del Paesaggio; - il paesaggio dei Castelli, per le caratteristiche di qualità rare, era oggetto d'interesse dei viaggiatori che, nell'Ottocento, lo analizzavano con interesse naturalistico, scientifico, filologico, raggiungendolo dalle diverse regioni europee, considerato che a causa della scarsa tutela operata nel secondo Novecento, tale paesaggio è ad oggi ridotto ad una minima parte della sua estensione pluricentenaria; - la realizzazione dell'antenna non si coniuga in alcun modo con le dimensioni sia storica, sia rurale, sia testimoniale, sia culturale, sia paesaggistica, sia materica, sia tecnologica del paesaggio, risultando un elemento fortemente estraneo dal punto di vista materico, percettivo, identitario; - l'antenna sarebbe visibile non solo in tutto il prezioso contesto, ma anche dall'abitato di Monte Compatri, e dall'intera rete di punti di vista panoramici, presente in tutta l'area dei Castelli; - non ci sono le premesse per occultare il manufatto (progettato con un'altezza di metri lineari 30) rispetto al contesto, poiché la strategia di protezione visiva, volta all'istallazione di alti pini intorno all'antenna non si ritiene perseguibile. Essa, di fatti, potrebbe avviare la compromissione indiretta di un suolo contrassegnato da interesse di tipo archeologico; - la relazione paesaggistica non contiene né "l'adeguato studio specifico di compatibilità con la salvaguardia della morfologia dei luoghi e delle visuali" né "la sistemazione paesistica post operam " previsti dal PTPR; - è compito della tutela monumentale e paesaggistica, oltre che garantire il più possibile il contenimento del consumo del suolo, è quello di evitare la dequalificante trasformazione di un ambito in cui persiste una rilevanza testimoniale plurima, si ritiene che il progetto di installazione dell'antenna concorre a compromettere l'assetto naturalistico, edilizio, materico, rurale, storico, testimoniale, culturale, socio-antropologico di un immobile che è organicamente parte dell'ambito paesaggistico che il PTTR intende preservare: si ritiene inoltre che la realizzazione di tale antenna nell'area oggetto di tutela culturale e paesaggistica costituisca, inevitabilmente, una destrutturazione del luogo in termini testimoniali ed ambientali poiché rappresenterebbe un'incisione nelle "relazioni visive" nonché nelle relazioni "storico-logistiche" che si stabiliscono tra elementi architettonici e naturali, e pertanto l'opera non è assentibile." 18. Il reticolo motivazionale del parere contrario espresso dalla Soprintendenza è stato quindi ampiamente motivato attraverso il richiamo di quanto comunicato con i motivi ostativi ed inoltre nel seguente modo: - "considerato che con nota prot. 2541 del 09/02/2022 veniva indetta la Conferenza di servizi di cui all'oggetto; - considerato che con nota prot. 8702 del 29/0472022 questa Soprintendenza ha comunicato i motivi ostativi all'accoglimento della richiesta (...); - recepite le osservazioni trasmesse dal Comune con nota n. p. 10585 del 2022-05-27 ns. prot. 10658 del 23.05.22 e discusse a mezzo di riunione telematica; - in relazione alle osservazioni presentate da parte del richiedente si specifica che esse non hanno contribuito a modificare le motivazioni di incompatibilità paesaggistica espresse da questo ufficio, come confermato in sede di confronto telematico e di seguito sintetizzato: la realizzazione di detta antenna nell'area oggetto di tutela culturale e paesaggistica costituirebbe, inevitabilmente, una destrutturazione del luogo in termini testimoniali ed ambientali poiché rappresenterebbe un'incisione nelle "relazioni visive" nonché nelle relazioni "storico-logistiche" che si stabiliscono tra elementi architettonici e naturali (...)". 19. Il Comune di (omissis), con il provvedimento del 31 agosto 2022, ha infine negato il rilascio dell'autorizzazione per le opere edilizie di cui alla istanza, dal quale emerge: - "richiamato e tenuto conto dello svolgimento della Conferenza decisoria in forma semplificata ed in modalità asincrona indetta con comunicazione del 09/02/2022 prot. 2541; - richiamata la determina dirigenziale n. 235 del 11/05/2022 con la quale si dava conclusione negativa alla conferenza dei servizi decisoria; - richiamata la nota prot. 10585 del 27/05/2022 con la quale si trasmettevano alle amministrazioni coinvolte le osservazioni presentate dal richiedente (...); - dato atto che a seguito sono pervenuti i seguenti parere da parte delle amministrazioni coinvolte: Ministero della Cultura, Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio - Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per l'Area Metropolitana di Roma e per la Provincia di Rieti - acquisito al prot. 15509 e 15510 del 02/08/2022 (...); - dato atto del mancato accoglimento delle osservazioni presentate del richiedente." 20. Il provvedimento conclusivo è stato adottato sulla base del parere contrario della Soprintendenza, vincolante ai sensi dell'art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004. Va da sé che detto provvedimento costituisce espressione di ampia discrezionalità, sub specie di discrezionalità tecnica, sicché la conclusiva valutazione è un apprezzamento di merito, di per sé non sindacabile, ma soggetto in limiti assai ristretti al giudizio di legittimità, proprio in quanto espressione di discrezionalità tecnica. La discrezionalità tecnica, infatti, è censurabile in sede giurisdizionale solo quando il suo esercizio appaia ictu oculi viziato da manifesta illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà o travisamento dei fatti o laddove sia carente di istruttoria e di motivazione. Nel caso di specie occorre per altro verso considerare che il Comune ha condiviso il parere contrario della Soprintendenza, la discrezionalità tecnica che non implica una manifestazione di volontà, vale a dire un'attività di scelta e di ponderazione tra più interessi pubblici e privati, ma è una manifestazione di giudizio, consistente in una attività diretta alla valutazione ed all'accertamento di fatti. 21. La Soprintendenza, nell'effettuare le valutazioni di competenza, in linea di massima, applica concetti non esatti, ma opinabili, con la conseguenza, già evidenziata, che può ritenersi illegittima solo la valutazione che, con riguardo alla concreta situazione, si riveli manifestamente illogica, vale a dire che non sia nemmeno plausibile, e non già una valutazione che, pur opinabile nel merito, sia da considerare comunque ragionevole, ovvero la valutazione che sia basata su un travisamento dei fatti. Il ricorso a criteri di valutazione tecnica, infatti, in qualsiasi campo, non offre sempre risposte univoche, ma costituisce un apprezzamento non privo di un certo grado di opinabilità e, in tali situazioni, il sindacato del giudice, essendo pur sempre un sindacato di legittimità e non di merito, è destinato ad arrestarsi sul limite oltre il quale la stessa opinabilità dell'apprezzamento operato dall'amministrazione impedisce d'individuare un parametro giuridico che consenta di definire quell'apprezzamento illegittimo (cfr., ex multis, Cass. Civ., SS.UU., 20 gennaio 2014, n. 1013). Sugli atti della Soprintendenza, essendo gli stessi sindacabili dal giudice amministrativo per vizi di legittimità e non di merito, non è consentito al giudice amministrativo esercitare un controllo intrinseco in ordine alle valutazioni tecniche opinabili in quanto ciò si tradurrebbe nell'esercizio da parte del suddetto giudice di un potere sostitutivo spinto fino a sovrapporre la propria valutazione a quella dell'amministrazione, fermo però restando che anche sulle valutazioni tecniche è esercitabile in sede giurisdizionale il controllo di ragionevolezza, logicità, coerenza ed attendibilità . La differenza tra giurisdizione di legittimità e giurisdizione di merito, in sostanza, può individuarsi nel fatto che, nel giudizio di legittimità, il giudice agisce "in seconda battuta", verificando, nei limiti delle censure dedotte, se le valutazioni effettuate dall'organo competente siano viziate da eccesso di potere per manifesta irragionevolezza o da travisamento dei fatti, vale a dire se le stesse, pur opinabili, esulino dal perimetro della plausibilità, o per travisamento del fatto, mentre nel giudizio di merito, il giudice agisce "in prima battuta", sostituendosi all'Amministrazione ed effettuando direttamente e nuovamente le valutazioni a questa spettanti, con la possibilità, non contemplata dall'ordinamento se non per le eccezionali e limitatissime ipotesi di giurisdizione con cognizione estesa al merito di cui all'art. 134 c.p.a., di sostituire la propria valutazione alla valutazione dell'Amministrazione anche nell'ipotesi in cui quest'ultima, sebbene opinabile, sia plausibile. 22. Nella fattispecie in esame, la valutazione espressa dalla Soprintendenza deve ritenersi senz'altro plausibile e, pertanto, è esente dai vizi di legittimità dedotti. 23. Nello specifico, nel richiamare i motivi ostativi già comunicati nel preavviso di diniego ex art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, la Soprintendenza ha rappresentato che l'intervento consiste in un'evidente modifica dell'attuale assetto dell'area, con l'inserimento di un sostegno porta antenne di notevole consistenza e sviluppo altimetrico all'interno di una zona pianeggiante a vocazione e destinazione agricola; verrebbe chiaramente percepito da un'ampia area di intervisibilità come un elemento del tutto avulso dal contesto e detrattore della qualità paesaggistica dei luoghi, senza alcuna possibilità di mitigazione, finendo per vanificare del tutto le finalità di tutela derivanti dalla situazione vincolistica gravante sul sito. 24. Le valutazioni formulate nel parere, connotate da discrezionalità tecnica, non appaiono manifestamente illogiche, ma danno conto, in modo esaustivo, delle ragioni del diniego, evidenziando, tra l'altro, come un'antenna di così elevata altezza e consistenza si innesti impropriamente nel contesto paesaggistico, con conseguente diminuzione della qualità paesaggistica dei luoghi e compromissione della finalità dei vincoli paesistici. 25. Emerge quindi con chiarezza che le controdeduzioni siano state discusse e valutate dalle amministrazioni coinvolte, ma non sono risultate idonee a dimostrare la compatibilità paesaggistica dell'intervento. 26. Non si condivide pertanto l'assunto del TAR per cui l'amministrazione non abbia dato conto della volontà di porre in essere ogni accorgimento idoneo alla mimetizzazione dell'impianto, non essendo ciò sufficiente a superare le criticità sollevate (cfr. punto 17). Non è neppure condivisibile la mancante puntuale motivazione o le specifiche indicazioni delle criticità, dovendo al contrario accertare una dettagliata analisi dei motivi ostativi. Il giudice di prime cure sostiene che la mimetizzazione sarebbe stata affrontata dall'autorità tutoria "solo" nel parere del 29.4.2022 e che la confutazione da parte della Soprintendenza sarebbe affetta di contraddittorietà e di inadeguatezza del giudizio. Ad avviso del Collegio tale vizio non è da accertare, essendo la base del rigetto la peculiare importanza paesaggistica dell'area, plurivincolata, e che i rispettivi valori tutelati - analiticamente indicati ed interpretati dalla Soprintendenza, senza alcun errore fattuale o logico - non consentono la realizzazione di un'opera come quella progettata, neppure se "camuffata" o "nascosta" dietro alberi. 27. In definitiva, essendo il diniego in contestazione un atto plurimotivato, nonostante ulteriori profili di doglianza evocati dall'appellante, come la contrarietà del progetto con il dettato del regolamento comunale, non può ritenersi illegittimo sulla base dei motivi d'impugnativa articolati dalla parte appellata. 28. La soccombenza determina la decisione sulle spese di lite che saranno liquidate nel dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e, in riforma della sentenza gravata, respinge il ricorso di primo grado. Condanna parte appellata alla refusione delle spese di lite del doppio grado di giudizio in favore all'appellante, che vengono liquidate in 5.000 Euro (cinquemila/00), oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Giancarlo Montedoro - Presidente Oreste Mario Caputo - Consigliere Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10093 del 2019, proposto da Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ba. Ac. Ch. D'O., An. An., Fa. Ma. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lu. Le. in Roma, via (...); contro Condominio dei Fabbricati in Napoli piazza (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ba. De. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Sesta n. 2480/2019 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Condominio dei Fabbricati in Napoli piazza (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 6 marzo 2024 il Cons. Sergio Zeuli Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La sentenza impugnata ha accolto il ricorso proposto dalla parte appellata avverso il provvedimento del Comune di Napoli n. 50 del 14 marzo del 2007 che l'aveva invitata a posizionare l'accesso al passo carraio entro i limiti di proprietà condominiale, rimuovendo sbarra e paletti dissuasori che erano stati posti in modo da occupare indebitamente parte della piazza (omissis) e ostacolare la libera circolazione di persone e veicoli. Avverso la decisione è dedotto un unico motivo d'appello: error in iudicando- Travisamento dei fatti. 2. Si è costituito in giudizio il Condominio dei Fabbricati in Napoli piazza (omissis), contestando l'avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame. 3. La vicenda controversa riguarda il complesso immobiliare IACP realizzato a Napoli, quartiere (omissis), intorno agli anni '30, oggi rappresentato da un condominio composto da cinque civici, nn. (omissis) di piazza (omissis), in proprietà di privati che hanno acquistato i singoli appartamenti dal predetto ente pubblico negli anni '60. Nel corso del tempo i suddetti proprietari hanno completamente chiuso i due varchi d'accesso al fabbricato, da un lato (quello sinistro di chi guarda il palazzo) chiudendo il viale in modo definitivo e dall'altro (quello destro), realizzando una sbarra elettronica che dal 2009, è anche protetta da un passo carraio ottenuto dal comune. Il provvedimento impugnato ha disposto la rimozione del ridetto passo carraio, ma la sentenza impugnata ha accolto il ricorso, per l'effetto annullando l'ordine di rimozione. Il giudice di prime cure, ritenendo che fosse stata provata la proprietà, in capo al condominio, dei viali d'accesso, e dopo aver preso atto che il provvedimento comunale si fondava sulla natura pubblica, in proprietà comunale, di detti viali, ha ritenuto che quest'ultimo fosse viziato per travisamento dei presupposti. 4. L'unico motivo d'appello contesta alla sentenza impugnata di aver basato la propria decisione sulla sentenza n. 9033/1999 del Tribunale civile di Napoli, che aveva accertato detta proprietà in capo al condominio e che, sebbene fosse stata pronunciata tra parti diverse da quelle del presente giudizio, ossia i condomì nii 5, 6, 8, e 9, da una parte, e il condominio 7 dall'altra, farebbe stato anche in esso, non avendo il comune proposto opposizione di terzo avverso il provvedimento. Più specificamente, la parte appellante si duole del fatto che il giudice di prime cure ha attribuito un ruolo dirimente a quel giudizio, nonostante avesse quale oggetto il riparto delle spese di manutenzione e gestione delle parti comuni dell'edificio e non avesse quale thema decidendum, né direttamente, né indirettamente, l'accertamento della proprietà dei suddetti viali. Pertanto, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, ad esso non poteva riconoscersi alcuna efficacia, né diretta, e tanto meno indiretta, sulle questioni qui controverse, con conseguente non necessità di un'impugnazione da parte del comune, nelle forme dell'opposizione di terzo. 4.1. Il motivo è infondato. Invero, a prescindere da quale fosse lo specifico oggetto della controversia civile, sta di fatto che, con la predetta sentenza, la V Sezione Civile del Tribunale di Napoli ha accertato che, tra le parti comuni tra le cinque scale dei due condomini, rientrano " i viali sul fronte principale e sul viale postico...nonché le recinzioni in ferro all'ingresso del via postico e... le sbarre in ferro all'ingresso sulla piazza..." Si tratta di un accertamento che, ancorché incidentale, fa stato nel presente giudizio perché proviene dal giudice munito di giurisdizione in materia. Di conseguenza l'opposizione di terzo era pacificamente esperibile dal comune, che, ciò nonostante, non ha azionato il relativo procedimento di impugnazione, rendendo irrevocabile la predetta statuizione e perciò opponibile E poiché è incontestato che l'ordine di rimozione di cui si controverte si basa sul tacito presupposto della natura pubblica di detto viale, ne consegue che la relativa determinazione deve ritenersi affetta dai vizi di travisamento dei presupposti e difetto di istruttoria, come condivisibilmente ritenuto dal giudice di prime cure. 5. Il sub-motivo di gravame evidenza, sotto altro verso, che il giudice di prime cure non avrebbe considerato quanto emergeva dalla nota della Romeo gestioni n. 18648 del 21 settembre del 2010 e dalla nota n. 61788 del 24 ottobre del 2019 di Napoli Servizi, che attestano che l'area di cui si discute, ossia la striscia di suolo posta tra la piazza (omissis) e l'area di pertinenza dei suddetti edifici, ricade nell'ambito del foglio (omissis) del NCT di Napoli, ossia è inglobata nella Piazza (omissis), che è di proprietà del comune. Aggiunge la parte appellante che, a tutto concedere, si tratterebbe di area facente parte del demanio stradale, rientrante nelle strade cittadine di pertinenza comunale, che, come tale, non sarebbe usucapibile, né tanto meno potrebbe subì re un mutamento di destinazione, foss'anche quale effetto di una sentenza del giudice civile. Quanto infine alla relazione a firma dei tecnici dell'antiabusivismo del 31 agosto del 1998 - depositata nel giudizio di primo grado dalla stessa parte appellante - quest'ultima sostiene che le valutazioni ivi contenute erano strettamente connesse all'oggetto del giudizio civile, e dunque, anche nella parte in cui affermano che la proprietà dei viali è dei condominii, non avrebbero portata dirimente, trattandosi di precisazione incidentale, peraltro non corroborata da alcun elemento concreto. 5.1. Il motivo è infondato. In disparte la considerazione che l'autorizzazione al passo carraio, rilasciata dal comune al condominio, depone in senso esattamente contrario rispetto a quanto prospettato dal primo, si osserva che nella predetta relazione dell'AOSAE (Autorità Operativa Speciale Antiabusivismo Edilizio) del 31 agosto del 1998 - alla quale va attribuito un valore probatorio privilegiato provenendo dalla stessa parte appellante - si afferma espressamente che "l'area antistante il fabbricato A, costituito da rampe e suoli d'accesso con viale interno, risulta proprietà dei soli condomini dello stesso fabbricato "A " e che "... tale precisazione è parte integrante della documentazione inviata in data 11.6.98 dall'UOSAE con prot. 14961". Ossia, non solo detta precisazione non ha portata incidentale, ma, al contrario, viene proposta in forma assertiva e definitiva, ma risulta anche corroborata da ulteriore documentazione in possesso dell'antiabusivismo, come si desume dal rinvio ad essa operato da parte dell'estensore della nota. In definitiva, la suddetta annotazione: 1. esclude che l'area appartenga alla proprietà comunale e/o al demanio stradale, 2. precisa la natura privata di essa, come proprietà del condominio. Aggiungasi che detta statuizione risulta resa all'esito di un'istruttoria compendiata nel riferimento alla documentazione in possesso dell'ufficio ivi contenuto, che la rende ancor più credibile. 6. Conclusivamente questi motivi inducono al rigetto del gravame. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali che si liquidano in euro 3000,00 (eurotremila,oo). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio celebratasi da remoto del giorno 6 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giordano Lamberti - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Carmelina Addesso - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9741 del 2023, proposto da Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Er. Fu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Co. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania Sezione Sesta n. 5286 del 2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Co. S.r.l.; Viste le memorie delle parti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Elena Quadri; Preso atto del deposito della richiesta di passaggio in decisione senza la preventiva discussione, ai sensi del Protocollo d'intesa del 10 gennaio 2023, da parte degli Avv.ti Fu. e Pa.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Co. di Di Ma. S.r.l. ha impugnato il diniego prot. n. 39748 del 10 maggio 2022 opposto dal Comune di (omissis) alla richiesta di riconoscimento della revisione del prezzo ex art. 6, comma 4, della l. n. 537 del 1993 e dell'art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006, in relazione all'appalto di gestione, adeguamento, manutenzione ordinaria e straordinaria del ciclo integrato delle acque comunali, di cui al contratto rep. n. 10988 del 23 dicembre 2009. Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania ha accolto in parte il ricorso, solo con riferimento ai servizi, con sentenza n. 5286 del 2023, appellata dal Comune di (omissis) per il seguente, articolato, motivo di diritto: I) error in iudicando: violazione e falsa applicazione dell'art. 115 d.lg. 12 aprile 2006, n. 163, carenza dei presupposti di legge, contraddittorietà, travisamento dei fatti, errore di diritto, manifesta ingiustizia. Si è costituita per resistere all'appello Co. di Di Ma. S.r.l. che ha, altresì, proposto appello incidentale autonomo con riferimento al parziale rigetto del ricorso, con riferimento ai lavori. Successivamente le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive conclusioni. All'udienza pubblica del 9 maggio 2024 l'appello è stato trattenuto in decisione. DIRITTO Giunge in decisione l'appello proposto dal comune (omissis) per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania n. 5286 del 2023, nella parte in cui ha accolto il ricorso della società Co. di Di Ma. S.r.l. e ha annullato il diniego prot. n. 39748 del 10 maggio 2022 opposto dal Comune di (omissis) alla richiesta di riconoscimento della revisione del prezzo ex art. 6, comma 4, della l. n. 537 del 1993 e dell'art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006, in relazione all'appalto di gestione, adeguamento, manutenzione ordinaria e straordinaria del ciclo integrato delle acque comunali, di cui al contratto rep. n. 10988 del 23 dicembre 2009. La sentenza ha riconosciuto il diritto alla revisione solo per la parte del contratto relativa ai servizi. In particolare, in parziale accoglimento del ricorso della Co., il Tar ha annullato il diniego opposto dal Comune alla richiesta di revisione prezzi, riconoscendola nella limitata misura di Euro 435.609,92, oltre interessi moratori, anche sulla scorta di un riconoscimento del Comune medesimo, invitandolo a formulare "apposita proposta di pagamento in favore della società ricorrente entro un congruo termine, fissato in giorni 60 dalla comunicazione ovvero dalla notificazione se anteriore, della presente sentenza". Per il Comune appellante il collaudo è avvenuto nel 2015 ed è stato regolarmente sottoscritto da Co., senza che la stessa apponesse riserve di alcun genere. In particolare, riguardo alla parte concernente i servizi, l'aumento, avvenuto secondo gli indici FOI, rientrerebbe nella normale alea contrattuale. In ogni caso, si applicherebbe il termine quinquennale di prescrizione, in relazione alla natura di diritto soggettivo del diritto alla revisione. Costotrame ha proposto appello incidentale autonomo per il riconoscimento della revisione prezzi anche per la parte relativa ai lavori, che la sentenza ha, invece, negato. L'appello principale è infondato. Ed invero, in applicazione dell'art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006, che concerne i soli contratti di servizi e forniture a prestazioni continuate o periodiche, può essere riconosciuto per tali prestazioni l'adeguamento automatico secondo l'indice FOI, come, del resto, ammesso dallo stesso Comune, che però, poi, non lo ha liquidato ritenendo che l'aumento rientrasse nella normale alea contrattuale. Si legge, infatti, nella nota prot. n. 39748 del 10 maggio 2022, con cui il Comune denegava la pretesa revisionale, che: "Nel caso di specie, la revisione sarebbe formalmente dovuta solo per la parte inerente ai servizi pari al totale Euro 1.486.170,50/anno, corrisposta in canoni bimestrali, così come indicato a pagina 8 dell'ultima comunicazione dell'intestato Servizio"... "non si rinviene il'grave squilibriò lamentato dall'affidatario"; "le risultanze tecnico-contabili hanno fornito indicazioni trascurabili rispetto all'entità del contratto tali da ritenere non necessaria e non condivisibile l'esigenza di procedere al riconoscimento di alcuna somma derivante dalla revisione stessa"; ritenuta, in particolare, "fisiologica l'oscillazione dell'indice FOI". Al contrario, la previsione di un meccanismo di revisione del prezzo di un appalto di durata su base periodica dimostra che la legge ha inteso munire i contratti di forniture e servizi di un meccanismo che, a cadenze determinate, comporti la definizione di un "nuovo" corrispettivo per le prestazioni oggetto del contratto riferito alla dinamica dei prezzi registrata in un dato arco temporale di riferimento, con beneficio di entrambi i contraenti, poiché l'appaltatore vede ridotta, anche se non eliminata, l'alea propria dei contratti di durata, e la stazione appaltante vede diminuito il pericolo di un peggioramento di una prestazione divenuta onerosa. Come risulta dal costante orientamento della giurisprudenza amministrativa: "l'art. 115 del D.Lgs. n. 163/2006 ha previsto l'obbligo di introdurre nei contratti ad esecuzione periodica o continuativa una clausola di revisione periodica del prezzo, da attivare a seguito di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili sulla base dei costi standardizzati per tipo di servizio e fornitura pubblicati annualmente a cura dell'Osservatorio dei contratti pubblici. Subentrata la nuova norma, in mancanza della prevista pubblicazione dei costi standardizzati di cui all'art. 115, si è del pari ritenuto che la revisione di cui all'art. 115 possa ragionevolmente essere ancora effettuata sulla base dell'indice FOI pubblicato dall'ISTAT, che viene però considerato (salvo circostanze eccezionali che devono essere provate dall'impresa) come un limite massimo posto a tutela degli equilibri finanziari della pubblica amministrazione, e che pertanto non esime la stazione appaltante dal dovere di istruire il procedimento, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto al fine di esprimere la propria determinazione discrezionale"... "in presenza di una clausola di revisione prezzi non sussiste un diritto automatico ad ottenere il compenso revisionale" tuttavia "l'esistenza della clausola impone all'Amministrazione di svolgere l'attività istruttoria in esito alla quale, valutate anche le circostanze concrete e non solo i parametri ISTAT e indice FOI, adotta un provvedimento che è espressione della discrezionalità amministrativa" (Cons. Stato, V, 6 settembre 2022, n. 7756). Sulla base delle succitate disposizioni normative, dunque, la revisione prezzi spetta indipendentemente dalla sussistenza di "circostanze imprevedibili ed eccezionali", nella misura correlata all'indice FOI ed in ragione del trascorrere del tempo, nonché dell'eventuale conseguente aumento dei prezzi, senza che sia necessario fornire prova di particolari e notevoli squilibri sinallagmatici o di specifiche misure percentuali eccedenti la normale alea, né iscrivere, in costanza di rapporto, riserve in merito, ovvero produrre specifica contestazione in sede di certificato di collaudo. La prescrizione non si applica, trattandosi di interesse legittimo soggetto al riconoscimento da parte del Ministero in seguito a un procedimento amministrativo e non di un diritto soggettivo. Non essendo sorto il diritto in difetto di un riconoscimento conseguente all'istruttoria relativa all'aumento dei prezzi nel corso dell'esecuzione dell'appalto, non poteva decorrere il termine prescrizionale, il quale, appunto, matura dal momento in cui il diritto può essere fatto valere. Ed invero, ai sensi dell'art. 2935 c.c., rubricato "Decorrenza della prescrizione": "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere". Inoltre, come condivisibilmente statuito dal Tar, il mancato riconoscimento spontaneo del compenso revisionale e l'illegittimo diniego dell'istanza presentata il 5 dicembre 2019, generano un obbligo risarcitorio che va correlato agli interessi moratori, come in qualunque ipotesi di ritardato pagamento di un'obbligazione pecuniaria. Anche l'appello incidentale è infondato. Co. lamenta l'erroneità della sentenza nella parte in cui non ha riconosciuto soggetta alla revisione prezzi la porzione di appalto concernente i lavori, alla luce dell'incremento dei costi di manodopera verificatosi durante tutta la durata dell'appalto ed in ragione della prevalenza quali-quantitativa dei servizi sui lavori, che avrebbe dovuto indurre al riconoscimento della revisione prezzi sull'intero importo contrattuale. Si duole, quindi, dell'accoglimento della sola domanda formulata in via subordinata di riconoscimento dell'importo di Euro 435.609,92 a titolo di revisione, invece che di quello di oltre Euro 2.991.813,46, oltre interessi, richiesto in via principale, atteso che, a suo parere, si tratterebbe di un appalto di servizi, per cui gli oneri revisionali andrebbero calcolati sull'intero importo contrattuale pari ad Euro 14.615.592,05. Al contrario, come rilevato dal Comune nel diniego impugnato, il peculiare contratto di affidamento di specie è "qualificabile in un accordo quadro che preveda non solo l'esecuzione di un servizio ma altresì di lavori per un importo e collaudo pari ad Euro 14.615.592,05", senza alcun riferimento al criterio di prevalenza economica o funzionale (cfr. la nota comunale prot. n. 39748 del 10 maggio 2022). Inoltre, per i lavori, a differenza che per i servizi, la disciplina allora vigente richiedeva per la compensazione, ai sensi dell'art. 133 del d.lgs. n. 163 del 2006, una prova particolarmente rigorosa di aumenti eccezionali delle materie prime, come riconosciuti da specifici decreti Ministeriali. Riguardo, infine, alla richiesta di revisione sull'aliquota delle spese generali (15%) e sull'utile di impresa (10%), secondo costante giurisprudenza, le spese generali sono estranee all'appalto e rappresentano costi che l'azienda dovrebbe comunque sostenere, mentre l'utile aziendale non è certamente un costo da revisionare (Cons. Stato, V, 28 giugno 2022, n. 5350). Ne consegue l'inammissibilità dell'istanza. Alla luce delle suesposte considerazioni vanno respinti sia l'appello principale che quello incidentale e, per l'effetto, va confermata la sentenza impugnata di parziale accoglimento del ricorso di primo grado. Le spese di giudizio seguono la soccombenza reciproca e vanno, dunque, integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello principale, come in epigrafe proposto, lo respinge, così come quello incidentale e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata di parziale accoglimento del ricorso di primo grado. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente Valerio Perotti - Consigliere Alberto Urso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Elena Quadri - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6229 del 2020, proposto da Ec. Vi. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Fe., En. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio En. Ro. in Milano, piazza (...); contro Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, viale (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Terza n. 02401/2019. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 8 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati Ne. è comparso per le parti costituite. Viste le conclusioni delle parti come da verbale.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. È appellata la sentenza n. 2401/2019 del Tar Lombardia - Milano di reiezione del ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo proposto da Ec. Vi. S.r.l. (d'ora in poi Ec.) e conseguentemente confermato il decreto ingiuntivo n. 904/2016 del 16 ottobre 2016. 2. La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso può essere riassunta nel modo che segue. La società ricorrente gestisce, nel Comune di (omissis) (LO) una centrale termoelettrica della potenza di 3,5 MW per la produzione di energia da fonte rinnovabile. Ec. avviava l'attività, apportando anche diverse migliorie all'impianto e diversificando le fonti di approvvigionamento, con l'aumento delle tipologie di rifiuti da utilizzarsi, sempre nei limiti del DM 5 febbraio 1998, con ricorso alle procedure semplificate di volta in volta necessarie ex artt. 31 e 33 del dlgs 22/1997. Da ultimo, in vigore il DM 5 aprile 206, n. 186, Ec. chiedeva di essere autorizzata a fare ricorso al CDR (combustibile da rifiuti) che la Provincia non respingeva, nulla opponendo alla relativa comunicazione, effettuata ai sensi degli artt. 214 e 216 d.lgs. 152/2006. Il Comune intimato si opponeva all'ampliamento, impugnando con ricorso straordinario l'autorizzazione provinciale e ponendo in essere una serie di iniziative culminate nell'approvazione dello strumento urbanistico PGT che attribuiva all'area della ricorrente la destinazione di "area strategica INC", così da rendere incompatibili le attività di produzione di energia elettrica e finanche la manutenzione dei fabbricati, salve le sole operazioni di trasformazione dell'intero comparto (art. 11 NTA). La ricorrente impugnava la deliberazione con ricorso nr. 785/2010. Nel frattempo, la Provincia di Lodi accoglieva l'istanza ex art. 12 d.lgs. 387/2003 ed art. 208 d.lgs. 152/2006, per la produzione di energia elettrica rinnovabile mediante biomasse (non rifiuti) e rifiuti, istanza (giusta DD del 7 ottobre 2011, n. 1399/2011, titolo successivamente adeguato con DD del 7 dicembre 2012, n. 1087/2012). Nel descritto contesto, la ricorrente ed il Comune stipulavano convenzione in data 18 febbraio 2013. Ec. s'impegnava a localizzare l'impianto in altro luogo al termine del periodo di incentivazione della centrale elettrica, con contestuale avvio, in aggiunta alle attività già svolte, della "pellettizzazione" di biomasse legnose, destinate in parte alla termovalorizzazione con recupero di calore ed in parte alla commercializzazione; a riconoscere al Comune un contributo pari ad euro 0,8 per ogni tonnellata di rifiuto e "cippato" autorizzato e conferito all'interno dell'impianto. Il Comune, con successivo atto di "interpretazione autentica" precisava che la valutazione della eventuale ricollocazione potrà essere affrontata dalle parti allo scadere del periodo di anni 15 di autorizzazione IAFR per certificati verdi e che "per tutto il periodo di funzionamento dell'impianto le manutenzioni e le migliorie tecniche per l'ottimo funzionamento dell'impianto non soggiaceranno ad alcuna limitazione". La ricorrente presentava istanza (d.9 maggio 2014) volta alla realizzazione d'intervento manutentivo, richiedendo alla Provincia l'autorizzazione a sostituire le torri di raffreddamento realizzate nel 1999, con altre di medesima funzionalità e potenza, da realizzare nello stesso sito delle precedenti, necessarie per mantenere l'efficienza ottimale di funzionamento, perseguendo altresì notevoli vantaggi ambientali quali la diminuzione del rumore e delle emissioni di vapore acqueo. La Provincia, nel procedimento apertosi sull'istanza ex art. 12 d.l.gs. 387/2003 e 208 d.lgs. 152/2006, chiedeva al Comune di valutare l'istanza quanto ai profili di competenza comunale (esame paesistico, matrice rumore, conformità urbanistica). Il Comune esprimeva parere negativo (nota 16 luglio 2014, n. 3358) qualificando l'operazione prospettata dalla ricorrente di "manutenzione straordinaria", di variante sostanziale ai sensi dell'art. 208 d.lgs. 152/2006, come tale necessitante di apposito elaborato tecnico di valutazione dell'impatto sulla matrice "rumore", derivante dall'attività di carattere straordinario oggetto dell'iniziativa, che non sarebbe stato adeguatamente esaminato ed approfondito; evidenziando altresì che l'intervento ricadeva in area di PGT non compatibile ("Area strategica INC"); che gli unici interventi autorizzabili senza limitazioni erano quelli di cui all'art. 11, comma 5, del Piano delle Regole del vigente PGT. La Provincia di Lodi richiedeva pertanto alla ricorrente di presentare apposito studio previsionale di impatto acustico, che quest'ultima redigeva e depositava il 7 agosto 2014, trasmettendolo anche al Comune che confermava il 12 settembre 2014 il proprio precedente parere negativo, sulla scorta di un riscontrato superamento dei limiti di zona e sottolineando l'opportunità di trattare la tematica all'interno della più ampia conferenza di servizi dell'istanza AIA. La Provincia con nota del 25 settembre 2014 rilasciava il titolo abilitativo alla sostituzione delle torri, condividendo il contenuto dello studio di impatto acustico prodotto dalla ricorrente, quindi superando il parere negativo reso dal Comune di (omissis). 3. Con ricorso n. 1601/2016 dinnanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia il Comune di (omissis) invocava l'ingiunzione ex art. 641 c.p.c. alla società Ec. Vi. Srl della somma di 44.221,44 derivanti dall'inadempimento della Convenzione stipulata in data 18 febbraio 2013 che prevedeva, all'art. 6, la corresponsione da parte della società intimata di un contributo di euro 0,80 per tonnellata di rifiuti bruciata alle scadenze stabilite del 31 luglio e del 31 gennaio di ogni anno. 4. In accoglimento della domanda, veniva emesso il decreto ingiuntivo n. 904/2016 del 19 ottobre 2016. La società intimata opponeva il decreto ingiuntivo. 5. Con sentenza n. 2401 del 13 novembre 2019 il Tar ha respinto il ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo proposto da Ec. Vi. S.r.l. e conseguentemente confermato il decreto ingiuntivo n. 904/2016 del 16 ottobre 2016. 6. Appella la sentenza la Ec. Vi. S.r.l. 7. Resiste in giudizio il Comune di (omissis). 8. All'udienza da remoto dell'8 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 9. Con il primo motivo e secondo motivo d'appello, strettamente connessi per gli argomenti dedotti tanto da essere trattati congiuntamente, si deduce l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto il primo motivo di ricorso avente ad oggetto la nullità e/o inefficacia del decreto ingiuntivo n. 1183 del 28 dicembre 2017 per difetto di giurisdizione. Il Tar ha escluso che la pretesa avanzata dal Comune avesse natura tributaria, stante la natura della Convenzione "di accordo ex art. 11 l. 241/90, con conseguente giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, che include anche le questioni esecutive, come quelle relative alla esecuzione delle obbligazioni assunte tra le parti". L'appellante ritiene invece che la Convenzione non possa essere ricondotta nel novero degli accordi ex art. 11 L. 241/1990 e quindi non sia in grado di radicare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. La pretesa creditoria sarebbe nulla per invalidità della convenzione nel suo complesso, nonché per violazione dell'articolo 23 della Costituzione. L'appellante ribadisce la natura tributaria del contributo, così qualificata dalla stessa amministrazione comunale e, quindi, l'illegittimità della clausola, praeter legem, che lo ricomprende per contrasto con l'art. 23 Cost. In ogni caso l'atto di impegno unilaterale teso a prevedere questa obbligazione sarebbe nullo per mancanza di causa, non rientrando l'obbligazione, unilateralmente assunta, in uno schema sinallagmatico, né tantomeno in uno schema normativo che preveda una simile contribuzione, prescindendo dunque dalla predetta sinallagmaticità ed attraendo la stessa ad area tributaria. 10. I motivi d'appello sono infondati. La pretesa creditoria trova fonte nell'accordo pattizio stipulato fra il Comune di (omissis) e Ec. ex art. 11 l. 241/1990, devoluto alla cognizione del giudice amministrativo, nell'ambito della propria giurisdizione esclusiva, ex art. 11, comma 5, l. cit., trasfuso nell'art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, del c.p.a. (cfr., Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2017, n. 2256). Sicché la disposizione cesurata, non avendo genesi nel rapporto tributario, ma in quello convenzionale, si sottrae alla denuncia di nullità per violazione dell'art. 23 cost. dedotta sul profilo che l'asserito tributo, a carico d'operatore che gestisca un impianto a fonte rinnovabile alimentato a rifiuti, non è previsto né disciplinato da norma di legge. Ad analoga conclusione deve giungersi con riguardo alla censura che la Convenzione del 18 febbraio 2013 sarebbe nulla per mancanza di causa, non avendo le parti dedotto nel suo ambito un preciso sinallagma, dal quale possano discendere obbligazioni giuridicamente vincolanti per le medesime. La Convenzione, lungi da essere priva di causa, si connota per la previsione di plurime obbligazioni assunte dalla società, analiticamente elencate agli artt. 2, 4 e 6 della Convenzione, a fronte dell'impegno assunto dal Comune. Il sinallagma descritto sostanzia la c.d. causa concreta che nei rapporti atipici governa il rapporto. 11. Con il terzo motivo d'appello è censurata la sentenza per erroneità nella parte in cui ha rigettato il terzo motivo di ricorso con cui l'appellante aveva invocato il disposto dell'art. 1460 c.c., stante la violazione da parte del Comune degli obblighi di cui alla convenzione del 18 febbraio 2013. Il Tar ha ritenuto che l'inadempimento del Comune non potesse sorreggere l'eccezione di inadempimento di Ec., posto che l'inadempimento eccepito dalla medesima non scaturirebbe dalla Convenzione, bensì da un atto esterno che regola la collaborazione tra le parti, il quale sarebbe pienamente autonomo dalla prima. L'appellante lamenta che l'atto sottoscritto dal sindaco del Comune di (omissis) laddove prevede che "per tutto il periodo di funzionamento dell'impianto le manutenzioni e le migliorie tecniche per l'ottimo funzionamento dell'impianto non soggiaceranno ad alcuna limitazione" è un atto successivo e quindi integrativo della Convenzione, specificamente sottoscritto dal legale rappresentante dell'ente e come tale certamente vincolante l'ente. 12. Il motivo è infondato. Sul punto va confermato il rilievo in fatto, contenuto nella sentenza appellata, che il denunciato inadempimento del Comune non scaturisce dalla Convenzione del 18.02.2013 ma da un atto esterno ad essa, a firma del Sindaco, privo di data, contenente precisazioni in ordine alla "stipulanda convenzione", le quali non sono state recepite in sede di stesura definitiva della Convenzione medesima. Sicché difetta in radice il presupposto giuridico - la pattuizione di prestazioni corrispettive scaturenti dal medesimo negozio sinallagmatico - che fonda l'eccezione d'inadempimento in esame. 13. Con il quarto e ultimo motivo l'appellante censura la sentenza nella parte in cui ha dichiarato infondata la richiesta di Ec. alla ripetizione delle somme già versate. 14. Il motivo è infondato. Dato conto che non si ravvisa il difetto di presupposti per nullità della clausola contrattuale, né l'inadempimento della convenzione imputabile al fatto del Comune dedotti nei motivi d'appello sopra scrutinati, è radicalmente infondata la pretesa di ripetizione delle somme già versate poiché non sussiste, ex artt. 2033 c.c. e ss, il presupposto oggettivo dell'actio indebiti, incentrato sulla nullità del rapporto giuridico, di fonte pattizia, che prescriveva il versamento dei contributi di cui si richiede la restituzione. 14. Conclusivamente l'appello è infondato e deve essere respinto. 15. Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna Ec. Vi. S.r.l. alla rifusione delle spese in favore del Comune di (omissis) liquidate complessivamente in 3000,00 (tremila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF, Estensore Raffaello Sestini - Consigliere Giovanni Sabbato - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere Ugo De Carlo - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6241 del 2020, proposto da Ec. Vi. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Fe. e En. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio En. Ro. in Milano, piazza (...); contro Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, viale (...); nei confronti Provincia di Lodi, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Terza n. 02339/2019, resa tra le parti, per l'accertamento Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 8 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati Ne. è comparso per le parti costituite. Viste le conclusioni delle parti come da verbale.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia di reiezione del ricorso (r.g. n. 199/205) della Ec. Vi. S.r.l. per l'accertamento: - dell'inadempimento del Comune di (omissis) agli obblighi nascenti dalla Convenzione Ambientale stipulata tra il Comune e la ricorrente in data 18 febbraio 2013, per la gestione e l'esercizio dell'impianto di produzione di energia elettrica da biomasse e da rifiuti di proprietà della Ec. Vi. srl; - dell'illegittimità del parere negativo del Comune di (omissis) del 16 luglio 2014, reso nel contesto del procedimento autorizzativo di variante non sostanziale all'impianto avviato dalla ricorrente innanzi la Provincia di Lodi in data 9 maggio 2014; nonché per la condanna, - dell'Amministrazione resistente al risarcimento del danno causato alla ricorrente a titolo di inadempimento contrattuale alla citata convenzione; - dell'Amministrazione resistente al risarcimento del danno causato alla ricorrente per aver adottato un atto amministrativo illegittimo, quale deve qualificarsi il parere negativo all'adeguamento dell'impianto reso dal Comune in data 16 luglio 2014, nel contesto del procedimento di variante autorizzativa non sostanziale, avviato dalla ricorrente innanzi alla Provincia di Lodi in data 9 maggio 2014. 2. La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso può essere riassunta nel modo che segue. 2.1. La società ricorrente gestisce, nel Comune di (omissis) (LO) una centrale termoelettrica della potenza di 3,5 MW per la produzione di energia da fonte rinnovabile. La EC. avviava l'attività, apportando anche diverse migliorie all'impianto e diversificando le fonti di approvvigionamento, con l'aumento delle tipologie di rifiuti da utilizzarsi, sempre nei limiti del DM 5 febbraio 1998, con ricorso alle procedure semplificate di volta in volta necessarie ex artt. 31 e 33 del dlgs 22/1997. Da ultimo, in vigore il DM 5 aprile 206, n. 186, la EC. chiedeva di essere autorizzata a fare ricorso al CDR (combustibile da rifiuti) che la Provincia non respingeva, nulla opponendo alla relativa comunicazione (effettuata ai sensi degli artt. 214 e 216 del Dlgs 152/2006). Ma il Comune intimato si opponeva a tale ampliamento, impugnando con ricorso straordinario l'autorizzazione provinciale e ponendo in essere una serie di iniziative culminate nell'approvazione dello strumento urbanistico PGT che attribuiva all'area della ricorrente la destinazione di "area strategica INC", così da rendere incompatibili le attività di produzione di energia elettrica e finanche la manutenzione dei fabbricati, salve le sole operazioni di trasformazione dell'intero comparto (art. 11 NTA). La ricorrente impugnava la deliberazione con ricorso nr. 785/2010. Nel frattempo, la Provincia di Lodi accoglieva l'istanza ex art. 12 dlgs 387/2003 ed art. 208 dlgs 152/2006, per la produzione di energia elettrica rinnovabile mediante biomasse (non rifiuti) e rifiuti, istanza (giusta DD del 7 ottobre 2011, n. 1399/2011, titolo successivamente adeguato con DD del 7 dicembre 2012, n. 1087/2012). Nel descritto contesto, la ricorrente ed il Comune pervenivano determinazione di regolare i loro rapporti, mediante una convenzione che veniva stipulata in data 18 febbraio 2013. La EC. si impegnava a localizzare l'impianto in altro luogo al termine del periodo di incentivazione della centrale elettrica, con contestuale avvio, in aggiunta alle attività già svolte, della "pellettizzazione" di biomasse legnose, destinate in parte alla termovalorizzazione con recupero di calore ed in parte alla commercializzazione; a riconoscere al Comune un contributo pari ad euro 0,8 per ogni tonnellata di rifiuto e "cippato" autorizzato e conferito all'interno dell'impianto. Il Comune, con successivo atto di "interpretazione autentica" precisava che la valutazione della eventuale ricollocazione potrà essere affrontata dalle parti allo scadere del periodo di anni 15 di autorizzazione IAFR per certificati verdi e che "per tutto il periodo di funzionamento dell'impianto le manutenzioni e le migliorie tecniche per l'ottimo funzionamento dell'impianto non soggiaceranno ad alcuna limitazione". La ricorrente presentava quindi una istanza (9 maggio 2014) volta alla realizzazione di un intervento manutentivo, richiedendo alla Provincia l'autorizzazione a sostituire le torri di raffreddamento realizzate nel 1999, con altre di medesima funzionalità e potenza, da realizzare nello stesso sito delle precedenti, necessarie per mantenere l'efficienza ottimale di funzionamento, perseguendo altresì notevoli vantaggi ambientali quali la diminuzione del rumore e delle emissioni di vapore acqueo. La Provincia, nel procedimento apertosi sull'istanza ex art. 12 dlgs 387/2003 e 208 dlgs 152/2006, chiedeva al Comune di valutare l'istanza quanto ai profili di competenza comunale (esame paesistico, matrice rumore, conformità urbanistica). Il Comune esprimeva parere negativo (nota 16 luglio 2014, n. 3358) ritenendo l'operazione prospettata dalla ricorrente come di "manutenzione straordinaria", di variante sostanziale ai sensi del dlgs 152/2006 art. 208, come tale necessitante di apposito elaborato tecnico di valutazione dell'impatto sulla matrice "rumore", derivante dall'attività di carattere straordinario oggetto dell'iniziativa, che non sarebbe stato adeguatamente esaminato ed approfondito; evidenziando altresì che l'intervento ricadeva in area di PGT non compatibile ("Area strategica INC"); che gli unici interventi autorizzabili senza limitazioni erano quelli di cui all'art. 11, comma 5, del Piano delle Regole del vigente PGT. La Provincia di Lodi richiedeva pertanto alla ricorrente di presentare apposito studio previsionale di impatto acustico, che quest'ultima redigeva e depositava il 7 agosto 2014, trasmettendolo anche al Comune che confermava il 12 settembre 2014 il proprio precedente parere negativo, sulla scorta di un riscontrato superamento dei limiti di zona e sottolineando l'opportunità di trattare la tematica all'interno della più ampia conferenza di servizi dell'istanza AIA. La Provincia con nota del 25 settembre 2014 rilasciava il titolo abilitativo alla sostituzione delle torri, condividendo il contenuto dello studio di impatto acustico prodotto dalla ricorrente, quindi superando il parere negativo reso dal Comune di (omissis). 2.2. Con ricorso dinnanzi al Tar Lombardia la società ha agito per l'accertamento dell'inadempimento del Comune agli obblighi nascenti dalla Convezione, con annessa domanda di risarcimento del danno. 3. Con sentenza n. 2339 dell'8 novembre 2019 il Tar ha respinto il ricorso. Il Giudice di primo grado ha dapprima riconosciuto alla Convenzione la natura di accordo ex art. 11 l. 241/90, in quanto rivolta, da un lato, ad integrare gli effetti di un provvedimento costitutivo di un contributo ambientale avente natura latamente indennitaria, dall'altro a disciplinare l'esercizio dei poteri (doverosi) dell'Ente in ordine al controllo del corretto funzionamento dell'impianto e del rispetto delle varie garanzie offerte dalla ricorrente. Il Giudice ha poi escluso che la nota del Sindaco del Comune di "interpretazione autentica" potesse in qualche modo avere valore ai fini dell'impegno dell'Ente. 4. Appella la sentenza la Ec. Vi. S.r.l.. 5. Resiste in giudizio il Comune di (omissis) per il rigetto del gravame. 6. In vista dell'udienza di smaltimento le parti hanno depositato memorie conclusionali e memorie di replica. All'udienza dell'8 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 7. Con il primo motivo d'appello e terzo motivo d'appello, strettamente connessi sì da essere trattati congiuntamente, si lamenta l'erroneità della sentenza nella parte in cui esclude ogni validità dell'atto integrativo della Convenzione negando che il Comune fosse tenuto ad osservarlo. La ricorrente ritiene che l'atto di interpretazione autentica sia parte integrante della Convenzione in quanto a) atto a specificare e precisare gli obblighi già oggetto di Convenzione e b) proveniente dal legale rappresentante dell'Ente comunale. Ed erroneamente, s'aggiunge, il giudice di prime cure ha escluso la natura emulativa ed illegittima del comportamento serbato dal Comune auto-vincolatosi con la sottoscrizione della clausola. 8. I motivi sono infondati. Preliminare ad ogni altra valutazione è l'esatta interpretazione delle clausole convenzionali la cui violazione viene invocata dalla parte ricorrente come titolo per il risarcimento. La nota del Sindaco del Comune, priva di data, che fonda il ricorso nonché l'azione di risarcimento danni, recita "viene precisato che....per tutto il periodo di funzionamento dell'impianto le manutenzioni e le migliorie tecniche per l'ottimo funzionamento dell'impianto non soggiaceranno ad alcuna limitazione". La nota è contenuta in un atto privo di protocollo e di data certa e, non essendo compresa nella convenzione sottoscritta dal Comune, non assume la qualifica di obbligazione integrativa della Convenzione. E, in considerazione della dicotomia competenze gestionali - prerogative degli organi elettivi che disciplina l'apparato amministrativo burocratico degli enti locali, non impegna giuridicamente l'amministrazione. Sicché difetta in radice il nesso sinallagmatico tra l'obbligazione di corrispondere un importo predeterminato per il trattamento dei rifiuti e l'impegno del Comune assunto nella nota sindacale di cui si tratta, Conseguentemente, esorbitando dall'ambito delle pattuizione previste nella convenzione l'obbligo a carico del Comune di sostenere incondizionatamente ogni iniziativa della ricorrente, non è dato rinvenire alcuna violazione della convenzione nei termini indicati dalla società ricorrente. 9. Con il secondo motivo l'appellante censura l'erroneità della sentenza nella parte in cui, riconosciuta l'invalidità dell'atto integrativo della Convenzione, non ha rilevato il proprio difetto di giurisdizione o quantomeno la nullità dell'intera Convenzione per difetto di causa. Sostiene la società appellante che, esclusa ogni efficacia dell'atto integrativo, difetterebbero i presupposti per ricondurre la Convezione nel genus degli accordi integrativi/ sostitutivi di provvedimento ex art. 11 L. 241/1990, posto che difetterebbe il provvedimento tipico da sostituire/integrare con gli obblighi convenzionali. Il caso di specie non rientrerebbe inoltre neppure nelle ipotesi di convenzione obbligatoria per legge dal momento che la produzione di energia da fonti rinnovabili costituirebbe attività libera, soggetta ad una procedura semplificata di autorizzazione unica, non subordinata al pagamento di alcun corrispettivo. Alla luce delle considerazioni anzi svolte, la Convezione sarebbe nulla per difetto di causa venendo meno qualsivoglia ragione giustificatrice dell'impegno unilaterale e delle formalità prescritte dalla legge ad substantiam e, in conseguenza di ciò, difetterebbe la giurisdizione del TAR adito, non potendo trovare applicazione l'ipotesi di giurisdizione esclusiva di cui all'art. 133 co. 1 lett. a, n. 2, c.p.a.. 10. Il motivo è infondato. Nella cognizione di precedenti appelli, strettamente connessi a quello qui in esame, s'è già precisato che la pretesa creditoria da obbligazione, avanzata dalla società, trova fonte nell'accordo pattizio stipulato fra il Comune di (omissis) e EC. ex art. 11 l. 241/1990, devoluto alla cognizione del giudice amministrativo, nell'ambito della propria giurisdizione esclusiva, ex art. 11, comma 5, l. cit., trasfuso nell'art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, del c.p.a. (cfr., Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2017, n. 2256). Sicché la disposizione cesurata, non avendo genesi nel rapporto tributario, ma in quello convenzionale, si sottrae alla denuncia di nullità per violazione dell'art. 23 cost. dedotta sul profilo che l'asserito tributo, a carico d'operatore che gestisca un impianto a fonte rinnovabile alimentato a rifiuti, non è previsto né disciplinato da norma di legge. Ad analoga conclusione deve giungersi con riguardo alla censura che la Convenzione del 18 febbraio 2013 sarebbe nulla per mancanza di causa, non avendo le parti dedotto nel suo ambito un preciso sinallagma, dal quale possano discendere obbligazioni giuridicamente vincolanti per le medesime. La Convenzione, lungi da essere priva di causa, si connota per la previsione di plurime obbligazioni assunte dalla società, analiticamente elencate agli artt. 2, 4 e 6 della Convenzione, a fronte dell'impegno assunto dal Comune. Il sinallagma descritto sostanzia la c.d. causa concreta che nei rapporti atipici governa il rapporto. Statuizione che devono essere qui riconfermate. 11. Con il quarto motivo è censurata l'erroneità della sentenza nella parte in cui il giudice di prime cure ha ritenuto assorbite le ragioni dedotte a sostegno dell'istanza risarcitoria escludendo l'efficacia causale dell'illegittimo parere reso dal Comune. L'appellante ripropone la domanda risarcitoria sostenendone i presupposti, tra cui: a) il nesso eziologico: se il Comune avesse rilasciato parere positivo la Provincia avrebbe immediatamente autorizzato l'intervento ed EC. non avrebbe patito alcun danno; b) l'elemento soggettivo: il Comune ha agito con grave negligenza e imperizia, violando principi generali posti dal codice in materia di obbligazioni e contratti (correttezza, buona fede...), nonché principi assolutamente generali in materia di azione amministrativa; c) il danno: sotto forma di lucro cessante (dato dall'impossibilità di cedere l'energia elettrica al gestore della rete a causa del fermo impianto nonché dall'impossibilità di alienare i certificati verdi riconosciuti dal GSE per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili) e danno emergente (maggiori costi sostenuti a causa dei fermi dell'impianto dovuti all'inefficienza delle torri evaporative esistenti, per un ammontare complessivo pari ad euro 328.350,17. 12. Il motivo è infondato. In forza delle le considerazioni sopra rassegnate, non sussiste alcun comportamento illecito imputabile al Comune che sostanzi il presupposto giuridico del comportamento contra ius o non iure fondante il presupposto oggettivo dell'azione di risarcimento proposta dalla società appellante. In altre termini non sussiste il danno contra ius che, ai sensi degli artt. 7, 30 c.pa. e 2043 c.c., costituisce presupposto per il ristoro del pregiudizio economico dedotto in giudizio dall'appellante. 13. Conclusivamente l'appello deve essere respinto. 14. Sussistono giustificati motivi, ravvisabili nella riedizione delle questioni già dedotte in precedenti ricorsi, per compensare le spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese del grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF, Estensore Raffaello Sestini - Consigliere Giovanni Sabbato - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere Ugo De Carlo - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2842 del 2020, proposto da Ec. Vi. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Fe. e En. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio En. Ro. in Milano, piazza (...); contro Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, viale (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Terza n. 01860/2019. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 8 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati Ne. è comparso per le parti costituite. Viste le conclusioni delle parti come da verbale.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. È appellata la sentenza n. 1860/2019 del Tar Lombardia - Milano di reiezione del ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo proposto da Ec. Vi. S.r.l. (d'ora in poi Ec.) e conseguentemente confermato il decreto ingiuntivo n. 1183/2017. 2.1. La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso può essere riassunta nel modo che segue. La società ricorrente gestisce nel Comune di (omissis) (LO) una centrale termoelettrica della potenza di 3,5 MW per la produzione di energia da fonte rinnovabile. Ec. avviava l'attività apportando diverse migliorie all'impianto e diversificando le fonti di approvvigionamento, con l'aumento delle tipologie di rifiuti da utilizzarsi nei limiti del DM 5 febbraio 1998, con ricorso alle procedure semplificate di volta in volta necessarie ex artt. 31 e 33 d.lgs. 22/1997. Da ultimo, in vigore il DM 5 aprile 206, n. 186, la Ec. chiedeva di essere autorizzata a fare ricorso al CDR (combustibile da rifiuti); la Provincia non s'opponeva alla comunicazione (effettuata ai sensi degli artt. 214 e 216 d.lgs. 152/2006). Viceversa, Comune intimato si opponeva a tale ampliamento, impugnando con ricorso straordinario l'autorizzazione provinciale e ponendo in essere una serie di iniziative culminate nell'approvazione dello strumento urbanistico PGT che attribuiva all'area della ricorrente la destinazione di "area strategica INC", così da rendere incompatibili le attività di produzione di energia elettrica e finanche la manutenzione dei fabbricati, salve le sole operazioni di trasformazione dell'intero comparto (art. 11 NTA). La ricorrente impugnava la deliberazione con ricorso nr. 785/2010. Nel frattempo, la Provincia di Lodi accoglieva l'istanza ex art. 12 d.lgs. 387/2003 ed art. 208 d.lgs. 152/2006, per la produzione di energia elettrica rinnovabile mediante biomasse (non rifiuti) e rifiuti, istanza (giusta DD del 7 ottobre 2011, n. 1399/2011, titolo successivamente adeguato con DD del 7 dicembre 2012, n. 1087/2012). Nel descritto contesto, la ricorrente ed il Comune pervenivano determinazione di regolare i loro rapporti, mediante la convenzione stipulata il 18 febbraio 2013. Ec. si impegnava a localizzare l'impianto in altro luogo al termine del periodo di incentivazione della centrale elettrica, con contestuale avvio, in aggiunta alle attività già svolte, della "pellettizzazione" di biomasse legnose, destinate in parte alla termovalorizzazione con recupero di calore ed in parte alla commercializzazione; a riconoscere al Comune un contributo pari ad euro 0,8 per ogni tonnellata di rifiuto e "cippato" autorizzato e conferito all'interno dell'impianto. Il Comune, con successivo atto di "interpretazione autentica" precisava che la valutazione della eventuale ricollocazione potrà essere affrontata dalle parti allo scadere del periodo di anni 15 di autorizzazione IAFR per certificati verdi e che "per tutto il periodo di funzionamento dell'impianto le manutenzioni e le migliorie tecniche per l'ottimo funzionamento dell'impianto non soggiaceranno ad alcuna limitazione". La ricorrente presentava stanza (9 maggio 2014) volta alla realizzazione d'intervento manutentivo, richiedendo alla Provincia l'autorizzazione a sostituire le torri di raffreddamento realizzate nel 1999, con altre di medesima funzionalità e potenza, da realizzare nello stesso sito delle precedenti, necessarie per mantenere l'efficienza ottimale di funzionamento, perseguendo altresì notevoli vantaggi ambientali quali la diminuzione del rumore e delle emissioni di vapore acqueo. La Provincia, nel procedimento apertosi sull'istanza ex art. 12 d.lgs. 387/2003 e 208 d.lgs. 152/2006, chiedeva al Comune di valutare l'istanza quanto ai profili di competenza comunale (esame paesistico, matrice rumore, conformità urbanistica). Il Comune esprimeva parere negativo (nota 16 luglio 2014, n. 3358) ritenendo l'operazione prospettata dalla ricorrente come di "manutenzione straordinaria", di variante sostanziale ai sensi dell'art. 208 d.lgs. 152/2006, come tale necessitante di apposito elaborato tecnico di valutazione dell'impatto sulla matrice "rumore", derivante dall'attività di carattere straordinario oggetto dell'iniziativa, che non sarebbe stato adeguatamente esaminato ed approfondito; evidenziando altresì che l'intervento ricadeva in area di PGT non compatibile ("Area strategica INC"); che gli unici interventi autorizzabili senza limitazioni erano quelli di cui all'art. 11, comma 5, del Piano delle Regole del vigente PGT. La Provincia di Lodi richiedeva alla ricorrente di presentare apposito studio previsionale di impatto acustico, che quest'ultima redigeva e depositava il 7 agosto 2014, trasmettendolo anche al Comune che confermava il 12 settembre 2014 il proprio precedente parere negativo, sulla scorta di un riscontrato superamento dei limiti di zona e sottolineando l'opportunità di trattare la tematica all'interno della più ampia conferenza di servizi dell'istanza AIA. La Provincia con nota del 25 settembre 2014 rilasciava il titolo abilitativo alla sostituzione delle torri, condividendo il contenuto dello studio di impatto acustico prodotto dalla ricorrente, quindi superando il parere negativo reso dal Comune di (omissis). 2.2. Con ricorso n. 2847/2017 dinnanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia il Comune di (omissis) invocava l'ingiunzione ex art. 641 c.p.c. alla società Ec. Vidardo Srl della somma di Euro 22.320,50 derivanti dall'inadempimento della Convenzione stipulata in data 18 febbraio 2013 che prevedeva, all'art. 6, la corresponsione da parte della società intimata di un contributo di euro 0,80 per tonnellata di rifiuti bruciata alle scadenze stabilite del 31 luglio e del 31 gennaio di ogni anno. 2.3. In accoglimento della domanda, veniva emesso il decreto ingiuntivo n. 1183 del 28 dicembre 2017. La società intimata opponeva il decreto ingiuntivo. 3. Con sentenza n. 1860 del 7 agosto 2019 il Tar adito ha respinto il ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo proposto da Ec. Vi. S.r.l. e conseguentemente confermato il decreto ingiuntivo n. 1183/2017. 4. Appella la sentenza la Ec. Vi. S.r.l. 5. Resiste in giudizio il Comune di (omissis). 6. All'udienza da remoto dell'8 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 7. Con il primo motivo e secondo motivo d'appello, strettamente connessi per gli argomenti dedotti tanto da essere trattati congiuntamente, si deduce l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto il primo motivo di ricorso avente ad oggetto la nullità e/o inefficacia del decreto ingiuntivo n. 1183 del 28 dicembre 2017 per difetto di giurisdizione. Il Tar ha escluso che la pretesa avanzata dal Comune avesse natura tributaria, stante la natura della Convenzione "di accordo ex art. 11 l. 241/90, con conseguente giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, che include anche le questioni esecutive, come quelle relative alla esecuzione delle obbligazioni assunte tra le parti". L'appellante ritiene invece che la Convenzione non possa essere ricondotta nel novero degli accordi ex art. 11 L. 241/1990 e quindi non sia in grado di radicare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. La pretesa creditoria sarebbe nulla per invalidità della convenzione nel suo complesso, nonché per violazione dell'articolo 23 della Costituzione. L'appellante ribadisce la natura tributaria del contributo, così qualificata dalla stessa amministrazione comunale e, quindi, l'illegittimità della clausola, praeter legem, che lo ricomprende per contrasto con l'art. 23 Cost. In ogni caso l'atto di impegno unilaterale teso a prevedere questa obbligazione sarebbe nullo per mancanza di causa, non rientrando l'obbligazione, unilateralmente assunta, in uno schema sinallagmatico, né tantomeno in uno schema normativo che preveda una simile contribuzione, prescindendo dunque dalla predetta sinallagmaticità ed attraendo la stessa ad area tributaria. 8. I motivi d'appello sono infondati. La pretesa creditoria trova fonte nell'accordo pattizio stipulato fra il Comune di Castiraga e Ec. ex art. 11 l. 241/1990, devoluto alla cognizione del giudice amministrativo, nell'ambito della propria giurisdizione esclusiva, ex art. 11, comma 5, l. cit., trasfuso nell'art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, del c.p.a. (cfr., Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2017, n. 2256). Sicché la disposizione cesurata, non avendo genesi nel rapporto tributario, ma in quello convenzionale, si sottrae alla denuncia di nullità per violazione dell'art. 23 cost. dedotta sul profilo che l'asserito tributo, a carico d'operatore che gestisca un impianto a fonte rinnovabile alimentato a rifiuti, non è previsto né disciplinato da norma di legge. Ad analoga conclusione deve giungersi con riguardo alla censura che la Convenzione del 18 febbraio 2013 sarebbe nulla per mancanza di causa, non avendo le parti dedotto nel suo ambito un preciso sinallagma, dal quale possano discendere obbligazioni giuridicamente vincolanti per le medesime. La Convenzione, lungi da essere priva di causa, si connota per la previsione di plurime obbligazioni assunte dalla società, analiticamente elencate agli artt. 2, 4 e 6 della Convenzione, a fronte dell'impegno assunto dal Comune. Il sinallagma descritto sostanzia la c.d. causa concreta che nei rapporti atipici governa il rapporto. 9. Con il terzo motivo d'appello è censurata la sentenza per erroneità nella parte in cui ha rigettato il terzo motivo di ricorso con cui l'appellante aveva invocato il disposto dell'art. 1460 c.c., stante la violazione da parte del Comune degli obblighi di cui alla convenzione del 18 febbraio 2013. Il Tar ha ritenuto che l'inadempimento del Comune non potesse sorreggere l'eccezione di inadempimento di Ec., posto che l'inadempimento eccepito dalla medesima non scaturirebbe dalla Convenzione, bensì da un atto esterno che regola la collaborazione tra le parti, il quale sarebbe pienamente autonomo dalla prima. L'appellante lamenta che l'atto sottoscritto dal sindaco del Comune di (omissis) laddove prevede che "per tutto il periodo di funzionamento dell'impianto le manutenzioni e le migliorie tecniche per l'ottimo funzionamento dell'impianto non soggiaceranno ad alcuna limitazione" è un atto successivo e quindi integrativo della Convenzione, specificamente sottoscritto dal legale rappresentante dell'ente e come tale certamente vincolante l'ente. 10. Il motivo è infondato. Sul punto va confermato il rilievo in fatto, contenuto nella sentenza appellata, che il denunciato inadempimento del Comune non scaturisce dalla Convenzione del 18.02.2013 ma da un atto esterno ad essa, a firma del Sindaco, privo di data, contenente precisazioni in ordine alla "stipulanda convenzione", le quali non sono state recepite in sede di stesura definitiva della Convenzione medesima. Sicché difetta in radice il presupposto giuridico - la pattuizione di prestazioni corrispettive scaturenti dal medesimo negozio sinallagmatico - che fonda l'eccezione d'inadempimento in esame. 11.Conclusivamente l'appello è infondato e deve essere respinto. 12. Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna Ec. Vi. S.r.l. alla rifusione delle spese in favore del Comune di (omissis) liquidate complessivamente in 3000,00 (tremila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF, Estensore Raffaello Sestini - Consigliere Giovanni Sabbato - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere Ugo De Carlo - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7959 del 2021, proposto da -OMISSIS- di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocato C. Da. Li., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Seconda n. 00341/2021, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Marco Poppi e uditi per le parti gli Avvocati presenti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con ricorso iscritto al n. 1060/2020 R.R. l'-OMISSIS- di -OMISSIS- (di seguito -OMISSIS-) impugnava l'ordinanza n. 41 del 29 maggio 2020 con la quale il Comune di -OMISSIS- ingiungeva la demolizione dell'impianto a concentrazione solare per la produzione di energia elettrica e termica realizzato in località Testa mediante l'impiego di fondi europei. Il provvedimento veniva adottato poiché la realizzazione, non conforme al titolo edilizio conseguito (SCIA in sanatoria presentata nel 2016) e privo dell'autorizzazione ex art. 93 D.P.R. n. 380/2001 rilasciata del competente Ufficio Tecnico della Regione Calabria, risultava eseguita in zona sismica e area vincolata ai sensi dell'art. 42 del D. Lgs. 42/2004. In primo grado la ricorrente -OMISSIS- deduceva, in estrema sintesi: - la violazione degli artt. 7 e 10 della L. n. 241/190 per omessa comunicazione dell'atto di avvio del procedimento; - la violazione dell'art. 27, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 in ragione della tardività dell'intervento repressivo, intervenuto a tre anni dall'inizio dei lavori, e della mancata considerazione dell'esito delle "risultanze" cui perveniva il Tribunale di -OMISSIS- - Sezione penale che, in sede di riesame, dissequestrava in beni; - la violazione dell'art. 142 del D. Lgs. n. 42/2004 per mancata prova circa il vincolo gravante sull'area (sempre richiamando il citato decreto di dissequestro); - la violazione dell'art. 93 del d.P.R. n. 380/2001 in quanto l'intervento rientrerebbe nella tipologia delle "opere minori non soggette al deposito/autorizzazione da parte del Servizio Tecnico Regionale, ai sensi delle norme vigenti in materia di edilizia sismica"; - il difetto di istruttoria, motivazione e potere trattandosi di tardive contestazioni fondate su "mere ipotesi di reato" non ancora accertate in sede penale; - la contraddittorietà della misura demolitoria che, pur perseguendo il ripristino della legalità violata sotto il profilo paesaggistico, comporterebbe "il ripristino delle tradizionali sorgenti di energia fonti causative di un maggior consumo energetico e degrado ambientale". Il Tar, con sentenza in forma semplificata ex art. 60 c.p.a. respingeva il ricorso rilevando: - quanto all'omissione della comunicazione di avvio del procedimento, l'uniformità della giurisprudenza "nello statuire che "l'ordinanza di demolizione di opere abusive non deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7, l. 7 agosto 1990 n. 241, trattandosi di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con riferimento al quale non sono richiesti apporti partecipativi del destinatario" (ex multis, T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. II, 19 ottobre 2020, n. 622)"; - quanto alla dedotta tardività dell'intervento repressivo, che "l'ordine di demolizione è atto dovuto riconducibile ad esercizio di potere vincolato, in mera dipendenza dell'accertamento dell'abuso e ciò anche ove l'intervento repressivo avvenga a distanza di tempo dalla commissione dell'abuso, qualora il medesimo non sia stato intanto oggetto di successiva sanatoria (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 13 novembre 2020, n. 2172)"; - quanto alla mancata considerazione dell'esito del parallelo procedimento penale, che la decisione resa in sede di riesame del sequestro preventivo "si è limitata a revocare la misura cautelare sull'assunto che l'impianto a concentrazione solare funzionante avrebbe ridotto l'utilizzo di fonti di energia tradizionali, maggiormente inquinanti, senza quindi escludere per ciò solo la sussistenza degli abusi contestati", mentre è, invece, accertato dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza (verbale del 15 gennaio 2020) che "l'impianto allo stato risulta dismesso e non funzionante"; - quanto alla conformità urbanistica e paesaggistica, che "le opere sono state realizzate in difformità al progetto in sanatoria -presentato dall'azienda con s.c.i.a. del 31.10.2016- nonché in zona sottoposta a tutela paesaggistica in assenza di prescritta autorizzazione ex art. 142, comma 1, D. Lgs. 42/2004" e che "l'impianto a concentrazione solare non rientra nelle tipologie di interventi esenti da autorizzazione paesaggistica di cui all'art. 149 D. Lgs n. 42/2004, attesa l'invadenza delle opere, insistenti su di un'area molto vasta di circa 3.000 mq, peraltro in elevazione e quindi visibile sino a centinaia di metri di distanza" rilevando ulteriormente "che i plinti di fondazione reggenti le parabole solari sono stati realizzati in conglomerato cementizio armato, in violazione delle prescrizioni imposte dagli artt. 64 e 65 D.P.R. n. 380/2001, in area classificata sismica livello 2 in base all'O.P.C.M. 3274/2003" caratterizzata, sotto il profilo sismico da "pericolosità media e con possibilità di forti terremoti, cosicché sarebbe stato necessario richiedere e ottenere l'autorizzazione sismica di cui all'art. 3 L.R. n. 37/2015". -OMISSIS- impugnava la sentenza di primo grado con appello depositato il 15 settembre 2021 deducendo: 1. "ERROR IN IUDICANDO): VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 7 E 10 DELLA L. 241/1990. VIOLAZIONE DEL DIRITTO DI DIFESA EX. ART. 24 COSTITUZIONE. VIOLAZIONE DEL GIUSTO PROCEDIMENTO. CARENZA MOTIVAZIONALE DELLA SENTENZA. ERROR IN PROCEDENDO: MOTIVAZIONE SINTETICA FALSA E/O APPARENTE. VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 3 E 97 DELLA COSTITUZIONE (PUNTO 4 SENTENZA)"; 2. "ERROR IN IUDICANDO: VIOLAZIONE E/ O FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 27, COMMA 2 D.P.R. N. 380/2001. ERROR IN PROCEDENDO: MOTIVAZIONE FALSA E/O APPARENTE. TRAVISAMENTO DEI FATTI E SCORRETTA INTERPRETAZIONE IN MERITO ALLA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI COSENZA (PUNTO 4.1. SENTENZA)"; 3. "ERROR IN IUDICANDO: VIOLAZIONE E/ O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 142 D.LGS. 42/2004 E 93 DEL D.P.R. 380/2001. ERROR IN PROCEDENDO: MOTIVAZIONE FALSA E/O APPARENTE. TRAVISAMENTO DEI FATTI. DIFETTO DI ISTRUTTORIA (PUNTO 4.2 SENTENZA)". In detta sede -OMISSIS- rappresentava che in data 15 luglio 2021 aveva "presentato tramite SUE al Comune di -OMISSIS-, ai sensi dell'art. 167, comma 5, in data 15.07.2021, pratica in sanatoria finalizzata alla verifica della compatibilità paesaggistica e sismica". Il Comune non si costituiva in giudizio. Alla camera di consiglio del 14 ottobre 2021, con ordinanza 5720/2021, veniva respinta l'istanza di sospensione. All'esito della pubblica udienza del 16 maggio 2024, la causa veniva decisa. Preliminarmente deve affermarsi l'irrilevanza ai presenti fini dell'avvenuta presentazione dell'istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica poiché intervenuta successivamente alla pubblicazione della sentenza impugnata (il cui esito, peraltro, a distanza di anni, non viene allegato dall'appellante). Dal che ne discende anche il mancato accoglimento della richiesta di rinvio, avanzata in udienza, considerando inoltre la durata del giudizio in corso. Quanto al merito della controversia, con il primo motivo -OMISSIS- censura le statuizioni di cui al punto 4 della sentenza laddove il Tar afferma che "la giurisprudenza è, infatti, consolidata nello statuire che "l'ordinanza di demolizione di opere abusive non deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7, l. 7 agosto 1990 n. 241, trattandosi di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con riferimento al quale non sono richiesti apporti partecipativi del destinatario" (ex multis, T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. II, 19 ottobre 2020, n. 622). Né, ancora, assume rilievo invalidante la circostanza che in sede di notifica dell'ordinanza vi sia stato un errore nell'individuazione del legale rappresentante in carica dell'Azienda, posto che quest'ultima si è regolarmente costituita in giudizio, sanando in ogni caso, ai sensi dell'art. 44, comma 3, c.p.a., la descritta difformità ". Parte appellante, richiamando giurisprudenza datata e superata, sostiene che la comunicazione ex art. 7 della L. n. 241/1990 sarebbe sempre necessaria "a prescindere dalla natura vincolata o meno" dell'atto essendo istituto espressione di una "funzione costituzionalmente protetta" individuata nel diritto di difesa alla cui tutela è orientata la partecipazione procedimentale. La censura è infondata. Deve premettersi ai sensi dell'art. 27, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, "il dirigente o il responsabile, quando accerti l'inizio o l'esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni,,nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi". In presenza, pertanto di un'opera realizzata in assenza o difformità dal titolo abilitativo, come ripetutamente affermato in giurisprudenza in aderenza al chiaro dato letterale della norma, l'intervento repressivo si palesa come espressione di un potere vincolato (fra le tante, Cons Stato, Sez. VI 28 febbraio 2023, n. 2028). Dalla natura vincolata del provvedimento impugnato, discende che, come già affermato dalla Sezione, "i provvedimenti aventi natura di atto vincolato, come l'ordinanza di demolizione, non devono essere preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento non essendo prevista la possibilità per l'amministrazione di effettuare valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene. L'ordine di demolizione conseguente all'accertamento della natura abusiva delle opere edilizie, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto dovuto e, in quanto tale, non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di una misura sanzionatoria per l'accertamento dell'inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge" (Cons. Stato, Sez. VI, 2 gennaio 2024, n. 22). L'appellante, inoltre, non fornisce in giudizio alcuno degli elementi che avrebbero potuto sostenere la tesi della conformità di quanto realizzato al titolo conseguito e, quindi, della legittimità dell'opera realizzata. Con il secondo motivo l'appellante censura le statuizioni di cui al punto 4.1 della sentenza laddove il Tar afferma: che "l'ordine di demolizione è atto dovuto riconducibile ad esercizio di potere vincolato, in mera dipendenza dell'accertamento dell'abuso e ciò anche ove l'intervento repressivo avvenga a distanza di tempo dalla commissione dell'abuso"; che è irrilevante l'intervenuta revoca in sede penale del sequestro preventivo dell'impianto poiché la decisione veniva assunta senza "escludere per ciò solo la sussistenza degli abusi contestati"; A sostegno di quanto dedotto -OMISSIS- rileva il difetto di motivazione della misura impugnata per omesso accertamento della violazione della disciplina urbanistica e la tardività dell'intervento repressivo, posto in essere a distanza di tre anni dall'inizio dei lavori. Sostiene l'appellante che, in violazione dell'art. 27, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, il Dirigente comunale non avrebbe accertato l'abuso all'esito di un sopralluogo ma si sarebbe limitato a recepire "automaticamente" quanto segnalato dal Comando Carabinieri Tutela del Patrimonio Culturale. Le suesposte censure sono infondate. Richiamato quanto già esposto in ordine al carattere vincolato del ripristino ingiunto, e condivisa la suesposta statuizione del Tar circa l'irrilevanza ai presenti fini della revoca del sequestro penale, devono essere disattesi i dedotti vizi di motivazione e di istruttoria posto che l'atto, contenente l'indicazione delle disposizioni violate, richiama espressamente gli esiti degli accertamenti eseguiti dal Comando Carabinieri il 31 maggio 2017 che devono, per tale ragioni, considerarsi parte integrante del provvedimento adottato. Come, infatti, da tempo pacifico in giurisprudenza "il provvedimento amministrativo può recare anche una motivazione per relationem, ammessa dall'art. 3, comma 3, della legge 241 cit., nelle ipotesi in cui sia preceduto e giustificato da atti istruttori in esso espressamente richiamati, resi disponibili alla parte incisa dall'esercizio del pubblico potere (ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 18 febbraio 2020, n. 1223)" senza necessità che "l'atto amministrativo menzionato per relationem sia unito imprescindibilmente al documento o che il suo contenuto sia riportato testualmente nel corpo motivazionale, essendo sufficiente che esso sia reso disponibile" (Cons. Stato, Sez. VI, 16 novembre 2022, n. 10044). Tale disponibilità è garantita dall'istituto dell'accesso e non è allegato che l'ostensione dell'atto sia stata richiesta e negata dall'amministrazione. Infondata è, infine, la dedotta tardività dell'intervento repressivo posto che in materia di abusi "secondo la giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato, non può avere rilievo, ai fini della validità dell'ordine di demolizione, il tempo trascorso tra la realizzazione dell'opera abusiva e la conclusione dell'iter sanzionatorio. La mera inerzia da parte dell'amministrazione nell'esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l'edificazione sine titulo) è sin dall'origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere 'legittimò in capo al proprietario dell'abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata" (Cons, Stato, Sez. VI, 4 ottobre 2021, n. 6613). Con il terzo motivo -OMISSIS- deduce che l'impianto realizzato rientrerebbe nelle previsioni di cui all'art. 123, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 a norma del quale "l'installazione di impianti solari e di pompe di calore da parte di installatori qualificati, destinati unicamente alla produzione di acqua calda e di aria negli edifici esistenti e negli spazi liberi privati annessi, è considerata estensione dell'impianto idrico-sanitario già in opera". La realizzazione contestata sarebbe, pertanto, da configurarsi quale intervento di manutenzione straordinaria nei sensi di cui all'art. 3, lett. b) della medesima fonte normativa e, in quanto tale, compatibile con l'assetto paesaggistico e sismico dell'area. La censura è smentita dalla stessa disposizione normativa che l'appellante riporta non integralmente. Il primo periodo del comma in questione stabilendo che "i nuovi impianti, lavori, opere, modifiche, installazioni, relativi alle fonti rinnovabili di energia, alla conservazione, al risparmio e all'uso razionale dell'energia, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 17, commi 3 e 4, nel rispetto delle norme urbanistiche, di tutela artistico-storica, ambientale e dell'assetto idrogeologico", contrariamente a quanto dedotto in appello, non configura alcuna ipotesi di attività non soggetta a regime autorizzativo. Al contrario (e premesso che il richiamato art. 17, disciplinando le ipotesi di "Riduzione o esonero dal contributo di costruzione", non rileva ai presenti i fini) la norma è univoca nell'imporre il rispetto della disciplina urbanistica e ambientale con la quale, come già evidenziato, contrasta la realizzazione in questione. Che la realizzazione non sia conforme è, peraltro, implicitamente riconosciuto dalla stessa appellante che, come evidenziato, in data 15 luglio 2021 presentava istanza di regolarizzazione sotto i profili paesaggistico e sismico, il cui esito non viene allegato in questa sede nonostante siano trascorsi circa tre anni. Le questioni appena vagliate esauriscono l'ambito del contenzioso sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati, peraltro in parte eccedenti l'oggetto del giudizio come perimetrato con il ricorso di primo grado, sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Per quanto precede l'appello deve essere respinto senza, tuttavia, dar luogo a pronunzia sulle spese stante la mancata costituzione del Comune intimato. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Nulla spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle sole generalità dell'appellante e dell'amministrazione intimata. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Marco Poppi - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8411 del 2021, proposto dalla società Br. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Cr. e Te. Ma., con domicilio digitale presso l'indirizzo PEC come da Registri di giustizia e con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato An. Cr. in Roma, via (...); contro il Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ma., Pa. Co., Al. Mo. Am., Ma. Lo. Bo., El. Ma. Fe., An. Ma. Pa., dell'Avvocatura comunale e dall'avvocato Gi. Le., con domicilio digitale presso l'indirizzo PEC come da Registri di giustizia ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avvocato Gi. Le. in Roma, via (...); nei confronti della società Am. Se. S.r.l., in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Er. Va., con domicilio digitale presso l'indirizzo PEC come da Registri di giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sede di Milano, Sez. II, 22 febbraio 2021 n. 484, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano e della società Am. Se. S.r.l. e i documenti prodotti; Esaminate le ulteriori memorie, anche di replica, con i documenti depositati e le note d'udienza; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza dell'11 aprile 2024 il Cons. Stefano Toschei. Tutte le parti in giudizio hanno depositato note di udienza con richiesta di passaggio in decisione della controversia senza la preventiva discussione, ai sensi del Protocollo d'intesa sullo svolgimento delle udienze e delle camere di consiglio "in presenza" nella fase di superamento dello stato di emergenza del 10 gennaio 2023; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Il presente giudizio in grado di appello ha ad oggetto la richiesta di riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sede di Milano, Sez. II, 22 febbraio 2021 n. 484 con la quale il predetto TAR in parte ha dichiarato improcedibile e in parte ha respinto il ricorso (n. R.g. 484/2021), corredato da due ricorsi recanti motivi aggiunti, proposto(i) dalla società Br. S.r.l. al fine di ottenere l'annullamento dei seguenti atti e/o provvedimenti: (con il ricorso introduttivo) a) la nota del Comune di Milano n. 316704/2016 del 13 giugno 2016 che ha respinto l'istanza del 18 aprile 2016 con la quale la Br. ha chiesto all'amministrazione comunale di compiere ogni verifica e accertamento necessari e opportuni per la valutazione della legittimità dell'intervento eseguito nell'autorimessa sita in via (omissis) e di adottare "tutti gli atti e provvedimenti conseguenti (anche repressivi e/o in autotutela), ai sensi della legge vigente", con domanda di risarcimento dei danni subiti; (con il primo ricorso recante motivi aggiunti) b) la nota del Comune di Milano, Sportello unico per l'edilizia, Unità territoriale Municipi 1-2-3 Municipio 2, pratica n. 31471/2019 - PG 387343/2019 del 27 gennaio 2020, recante "Comunicazione di conclusione del procedimento amministrativo ai sensi dell'art. 7 e 8 L. 241/90 finalizzato all'espletamento di ulteriori verifiche istruttorie inerenti l'intervento edilizio sito in via (omissis), 5"; c) la segnalazione certificata d'inizio attività a sanatoria presentata da Am. Se. S.r.l., atti PG 387343/2019, il 3 settembre 2019; d) il provvedimento formale di sanatoria relativo alla SCIA sopra citata "non conosciuto e ove esistente", con domanda di risarcimento dei danni subiti; (con il secondo ricorso recante motivi aggiunti) e) la nota del Comune di Milano, Sportello unico per l'edilizia, Unità territoriale Municipi 1-2-3 Municipio 2, pratica n. 31471/2019 - PG 387343/2019 del 24 aprile 2020, recante "via (omissis) - S.C.I.A. in sanatoria Progr. 31471/2019", con domanda di risarcimento dei danni subiti. 2. - La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso in grado di appello può essere sinteticamente ricostruita sulla scorta dei documenti e degli atti prodotti dalle parti controvertenti nei due gradi di giudizio nonché da quanto sintetizzato nella parte in fatto della sentenza qui oggetto di appello, come segue: - in data 4 dicembre 2006 la società Am. Se. S.r.l. presentava al Comune di Milano una DIA, ai sensi dell'art. 41 l. Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 diretta alla "trasformazione di posti auto nei due piani interrati in box chiusi" dell'unità immobiliare "AUTORIMESSA" sita in Milano in via (omissis). - successivamente, in data 1 giugno 2007, la suindicata società presentava una (prima) DIA in variante e, dall'esame dagli elaborati grafici, emergeva che alcune opere da realizzarsi insistevano su aree non (evidenziate come) di proprietà esclusiva della richiedente e per la cui realizzazione la società avrebbe dovuto produrre i relativi nulla osta; - in seguito ai numerosi esposti presentati con riferimento ai lavori in corso di svolgimento nell'autorimessa, il Comune di Milano adottava il provvedimento PG 487146/2008, del 16 giugno 2008, con il quale "considerato che dagli atti prodotti a corredo delle D.I.A. presentate, non risulta evidenziata la titolarità /disponibilità giuridica dell'area pertinenziale adibita a giardino e sulla quale sarebbero stati edificati dei manufatti", veniva ordinato di sospendere la realizzazione delle opere in corso e di mantenere tale sospensione sino alla regolarizzazione dell'intervento; - la Am. Se., quindi, presentava una seconda DIA in variante, in data 20 giugno 2008, corredata da una relazione tecnica di precisazione sui lavori eseguiti e dalla richiesta di revoca dell'ordine di sospensione dei lavori; - la richiesta di autorizzazione al riavvio dei lavori era accolta dai competenti uffici comunali, in data 23 luglio 2008, in quanto dalla seconda DIA in variante emergeva che le opere risultavano previste all'interno di aree dichiarate di pertinenza; - in data 8 ottobre 2010, a seguito della comunicazione di fine lavori e del collaudo finale presentati dalla società Am. Se. il 20 febbraio 2009, veniva eseguito un sopralluogo per definire il corretto stato dei luoghi, dal quale emergevano diverse irregolarità ; - quindi, in data 24 febbraio 2011 la suddetta società presentava una richiesta di permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell'art. 37 d.P.R. 6 giugno 2021, n. 380, che veniva respinto dal Comune di Milano con provvedimento del 17 luglio 2013, nel quale era segnalata la necessità di "produrre la documentazione attestante la proprietà dell'intercapedine ed evidenziare in apposito elaborato grafico la dimostrazione analitica delle aree di proprietà e del relativo confine, dimostrando altresì che tutte le opere sono ricomprese all'interno del perimetro stesso"; - al provvedimento di diniego di sanatoria seguiva l'adozione, in data 20 novembre 2014, dell'ordine di demolizione; - la società Am. Se. impugnava, quindi, i suindicati provvedimenti comunali dinanzi al TAR per la Lombardia e successivamente, in seguito alla rilevazione topografica delle aree ed alla rilevazione metrica delle intercapedini effettuate in data 18 maggio 2015 dall'Ufficio espropri, la ridetta società presentava una istanza di riesame del diniego di sanatoria, alla quale ne seguiva un'altra, in data 3 settembre 2019; - il rinnovato procedimento di sanatoria si concludeva con il pagamento della sanzione liquidata dall'Agenzia delle entrate, di talché il ricorso dinanzi al TAR per la Lombardia non veniva più coltivato ed era dichiarato perento con decreto n. 991 del 2 dicembre 2020; - nel contesto fin qui descritto va segnalato come la società Br. S.r.l., proprietaria di un immobile sito in via (omissis), fin dall'inizio dei lavori di realizzazione dell'intervento da parte della Am. Se. presentava plurime e frammentate istanze di accesso agli atti, alcune soddisfatte prima del loro trasformarsi in ricorsi giurisdizionali, mentre altre venivano ritenute meritevoli di accoglimento solo in seguito a giudizi dinanzi al TAR per la Lombardia; - accadeva quindi che, con nota inviata agli uffici comunali in data 18 febbraio 2014, la società Br. invitava l'amministrazione "ad esercitare i poteri di vigilanza e se del caso sanzionatori sull'intervento" eseguito dalla società Am. Se. e ormai da tempo completato, pur se l'amministrazione avesse già provveduto ad informare e coinvolgere la Br. (ad esempio in occasione della revoca della sospensione dei lavori e nella successiva segnalazione di irregolarità edilizia); - rispondeva alla suddetta richiesta, in data 12 maggio 2014, lo Sportello unico edilizia, Servizio interventi edilizi minori, illustrando il contenuto e gli esiti delle procedure sviluppate in ordine alle richieste della Am. Se. e precisando di avere "effettuato le proprie verifiche in relazione alla regolarità edilizio-urbanistica delle opere realizzate e progettate"; - nondimeno la società Br. reiterava, in data 18 aprile 2016, la diffida "ad intraprendere senza indugio le azioni di vigilanza e repressive di competenza in relazione all'intervento", di talché lo Sportello unico confermava, con nota del 13 giugno 2016, quanto già riferito nella nota dell'aprile 2016; - la società Br., quindi, impugnava la comunicazione del 13 giugno 2016 dinanzi al TAR per la Lombardia e chiedeva che venissero annullati tutti gli atti abilitativi degli interventi edilizi realizzati, oltre a proporre domanda risarcitoria per i danni subiti; - la società Am. Se., nel costituirsi in giudizio, depositava copia della SCIA in sanatoria presentata in data 3 settembre 2019, evidenziando la sopravvenuta carenza di interesse "in relazione al diniego di autotutela ed esercizio dei poteri repressivi richiesti al comune"; - in seguito ad incombenti istruttori disposti dal TAR, l'amministrazione depositava, in data 30 gennaio 2020, una relazione illustrativa con documentazione allegata, nella quale veniva riassunto il procedimento di valutazione del titolo in sanatoria e si dava conto delle comunicazioni nel frattempo intercorse con la società Br.; - quest'ultima, con ricorso recante motivi aggiunti, impugnava la comunicazione del 27 gennaio 2020 con la quale lo Sportello unico edilizia, a conclusione del procedimento di verifica istruttoria sul titolo in sanatoria, informava la società Br. di aver accertato la non rilevanza delle contestazioni oppositive sollevate dalla medesima società ; - definitosi il procedimento di sanatoria con il pagamento da parte della società Am. Se. della sanzione determinata dalla Agenzia delle entrate, la società Br. impugnava quindi l'ordine di pagamento della sanzione per ottenerne l'annullamento, oltre a (tornare a) domandare il risarcimento dei danni subiti; - il giudizio di primo grado, avente ad oggetto il ricorso introduttivo e i due ricorsi recanti motivi aggiunti, per come si è sopra tratteggiato, veniva definito con la sentenza 22 febbraio 2022 n. 484, con la quale il TAR per la Lombardia in parte dichiarava improcedibile il ricorso e in parte lo respingeva. 3. - Propone quindi appello la società Br. S.r.l., nei confronti della suddetta sentenza di primo grado n. 484/2022, prospettando tre complesse traiettorie contestative (oltre alla riproposizione di motivi non scrutinati dal primo giudice), che possono sintetizzarsi come segue: I) Error in iudicando - Violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 22 e 27 d.P.R. n. 380/2001 - Violazione a falsa applicazione degli artt. 26, 27 e 28, nonché degli artt. 146 e 147 del vigente Regolamento edilizio del Comune di Milano - Violazione e falsa applicazione dell'art. 75 del previgente Regolamento edilizio del Comune di Milano - Eccesso di potere per violazione del principio di buon andamento e per carenza assoluta di istruttoria e carenza assoluta di motivazione - Eccesso di potere per erronea presupposizione di fatto e contraddittorietà . La società appellante rammenta che, dall'esame di numerosi documenti posti all'attenzione degli uffici comunali, l'autorimessa in questione viene qualificata come "pubblica" e questo sin dalle origini dello sviluppo dell'area (ciò deriva, ad esempio, dall'esame della originaria licenza edilizia originaria del 1962, dal contenuto di un atto di compravendita del 1969, dalla convenzione edilizia del 1967 che prevedeva la possibilità di realizzare box per autorimesse private, purché non al di sotto dei fabbricati contraddistinti dalla lettere 'N', quali quelli in questione, dalle dichiarazioni della stessa società Am. Se., secondo cui detti posti auto erano destinati a "uso pubblico". Ne consegue che la nota rilasciata dagli uffici comunali in data 27 gennaio 2020, nella quale era affermato che "La natura privata dell'autorimessa e delle intercapedini risulta già accertata dall'istruttoria delle precedenti pratiche edilizie e dagli atti processuali del procedimento penale (v. sentenza n. 3917/17 in data 11/04/2017", è illegittima, evincendosi dal contenuto della ridetta documentazione "una qualifica "pubblica" dell'autorimessa in relazione al(la) quale il Comune ha invece il dovere di intervenire per ripristinarne la destinazione. Parimenti illegittimo è quindi il Provvedimento Chiusura SCIA in Sanatoria." (così, testualmente, a pag. 22 dell'atto di appello). Del resto il primo giudice non ha tenuto in nessuna considerazione la documentazione prodotta dall'odierna appellante nel corso del giudizio di primo grado, finendo con raggiungere conclusioni opposte a quanto rappresentato dalla società Br. sulla base di considerazioni interpretative non collegate ad alcuna evidenziazione documentale probante. Peraltro anche la motivazione con la quale il TAR ha ritenuto di non condividere la posizione di contestazione circa il titolo di proprietà dell'area ove si sono realizzati gli interventi edilizi appare l'esito di un insufficiente scrutinio svolto senza tenere in debito conto della documentazione prodotta dalla società Br. in argomento. Sul punto va rammentato che "La clausola di salvaguardia di cui all'articolo 11, comma 3, del D.P.R. 380/2001 non può spingersi infatti fino a esonerare il Comune dal compiere idonei accertamenti se, alla luce della documentazione disponibile (in questo caso, resa disponibile da Br.) risultano chiare irregolarità e incongruenze" (così, testualmente, a pag. 28 dell'atto di appello). Inoltre: A) quanto agli adempimenti in materia di cementi armati, a nulla rileva il "deposito sismico" pratica n. 2325880132-14112019-1213 menzionato dalla nota del 27 gennaio 2019 dal Comune di Milano, in quanto relativo alla denuncia di opere strutturali n. 125 del 12 febbraio 2007, che non riguardava le opere menzionate nella CTU disposta nel giudizio davanti al Tribunale di Milano, sez. XII civile, RG 52381/09. Contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, quindi, nessun approfondimento in merito era stato compiuto dal Comune di Milano, sicché non risulta chiarito (dal Comune o da Am. Se.) se le opere di cui alla CTU fossero ricomprese negli adempimenti da ultimo compiuti da Am. Se.; B) con riferimento all'assentibilità mediante SCIA degli interventi in oggetto, l'art. 75 del Regolamento edilizio vigente all'epoca dell'intervento di cui trattasi assoggettava a "concessione onerosa" la realizzazione di parcheggi interrati non pertinenziali, quali quello di cui è causa. Inoltre, contrariamente a quanto rilevato dal TAR, tale tipologia di interventi all'epoca della realizzazione dei lavori era considerata dalla normativa edilizia quale ristrutturazione "pesante", che necessitava del rilascio del permesso di costruire (solo a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 17, comma 1, lett. a), nn. 1) e 2), d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 novembre 2014, n. 164 sono da considerarsi interventi di manutenzione straordinaria, anche interventi strutturali e opere di frazionamento); c) quanto alle contestate intercapedini, non era stata affatto accertata in via definitiva la proprietà privata e la possibilità di occupazione delle stesse. Il TAR ha dunque errato nel fondare la propria decisione di contrario avviso rispetto alla prospettazione della società Br. esclusivamente sulla nota della Direzione centrale sviluppo del territorio del 18 maggio 2015 (prot. n. 263686/2015), contestata dalla Br. in occasione della diffida del 2016, i cui rilievi, come attestato dalla stessa nota del 13 giugno 2016, erano stati inoltrati all'Ufficio Espropri dall'amministrazione per "eventuali dirette osservazioni/riscontri di competenza", che tale Ufficio non risulta abbia compiuto; II) Error in iudicando - Violazione e falsa applicazione dell'art. 27 d.P.R. 380/2001 - Violazione a falsa applicazione degli artt. 146 e 147 del vigente Regolamento edilizio del Comune di Milano - Violazione e falsa applicazione dell'art 19, comma 6-ter, l. 241/90 - Eccesso di potere per erronea presupposizione di fatto. La società appellante ribadisce che gli uffici comunali, dinanzi alla presentazione della SCIA in sanatoria da parte della società Am. Se., si siano limitati a prendere atto dell'intenzione della parte interessata accogliendola acriticamente, senza effettuare alcun necessario approfondito scrutinio circa: a) la natura pubblica dell'autorimessa; b) l'accertata assenza di denunce relative ad interventi interessanti cementi armati; c) l'effettivo regime autorizzatorio applicabile all'intervento; d) la natura delle intercapedini, in relazione alla mancanza del titolo sulle aree su cui essi insistono. L'appena contestato atteggiamento degli uffici ha condotto alla evidente violazione dell'art. 19, comma 6-ter, l. 241/1990, in collegamento con la previsione di cui all'art. 27 d.P.R. 380/2001 e degli artt. 146 e ss. del vigente Regolamento edilizio del Comune di Milano in materia di vigilanza edilizia; III) Error in iudicando circa l'istanza per il risarcimento del danno. L'illegittimità degli atti e del comportamento assunto dal Comune di Milano nel corso di tutte le vicende sopra ricordate emerge evidente e la SCIA in sanatoria non ha risolto che alcune delle irregolarità poste in essere nel tempo. Da quanto appena riferito deriva che l'illegittimità dell'operato comunale, quanto meno fino al completamento del procedimento di SCIA in sanatoria, ha determinato pregiudizi alla società appellante e il TAR ha erroneamente omesso di accertare (ai sensi dell'art. 34, comma 3, c.p.a.) l'illegittimità dell'operato comunale ai fini della domanda di risarcimento proposta. 4. - Si è costituito in giudizio il Comune di Milano che ha contestato analiticamente le avverse prospettazioni, confermando la legittimità dei provvedimenti comunali impugnati in primo grado e chiedendo la reiezione del mezzo di gravame proposto stante la correttezza del percorso logico giuridico sviluppato dal giudice di primo grado per come emerge dalla sentenza qui oggetto di appello. Nel formulare le proprie controdeduzioni, il comune appellato riepiloga brevemente i fatti, rispetto ai quali costituiscono dato inoppugnabile e legittimo le determinazioni provvedimentali assunte dagli uffici competenti e qui oggetto di contestazione. In particolare la difesa comunale ricorda che: - la riconduzione dell'autorimessa oggetto degli interventi edilizi contestati nell'ambito della categoria delle autorimesse "pubbliche o di proprietà pubblica o a gestione pubblica" presupporrebbe l'effettiva titolarità dell'immobile in capo a un ente pubblico, circostanza che nella specie non è dimostrata né può discendere dall'utilizzo del termine "pubblico" in senso atecnico nell'ambito dei documenti e degli atti depositati in giudizio dalla società Br.; - i dubbi sulla proprietà dell'area coinvolta (o comunque delle aree interessate) sarebbero sorretti esclusivamente da meri e non decisivi riferimenti catastali che, notoriamente, non hanno valore probatorio, mentre il comune ha effettuato ogni indagine di competenza in materia, anche con riferimento alle intercapedini. D'altronde "(i)l Comune ha (...) provveduto ad effettuare idonea istruttoria in merito alla titolarità delle aree contestate, evitando di compiere indagini che sarebbero eventualmente di competenza esclusiva dell'A.G.O." (così, testualmente, a pag. 11 della memoria del Comune di Milano); - il comune ha poi registrato la presenza di corretti adempimenti, nel corso del procedimento, in materia di cementi armati da parte della Am. Se., giacché detta società, anche in seguito a puntuale contestazione dei competenti uffici comunali, ebbe ad effettuare il "deposito sismico ai sensi dell'art. 6 della L.R. 33/2015 per la conformità delle opere eseguite nel 2009 alle attuali NTC 2018 (...)" con allegata "copia relazione a struttura ultimata di opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica e comunicazione di completamento strutture" (così ancora, testualmente, a pag. 12 della memoria del Comune di Milano); - quanto alla natura degli interventi edilizi realizzati dalla Am. Se. e tenuto conto delle norme vigenti all'epoca dei fatti, essi andavano qualificati nella categoria degli interventi di manutenzione straordinaria il cui titolo di realizzazione non poteva che essere la SCIA (in questo caso "in sanatoria"); - da quanto sopra discende l'irrilevanza delle contestazioni espresse con il secondo e con il terzo motivo di appello dedotti dalla Br.. Da qui la richiesta della difesa comunale di reiezione dell'appello proposto. 5. - Si è costituita nel giudizio di appello anche la società Am. Se. confermando la correttezza del percorso procedimentale svolto dagli uffici comunali e la piena legittimità degli atti oggetto di contenzioso, di talché correttamente il giudice di primo grado ha ritenuto infondati i motivi di censura in quella sede dedotti. Ad avviso della società controinteressata anche i motivi di appello debbono seguire la sorte delle censure dedotte in primo grado dalla società Br. stante la loro evidente infondatezza. Le parti in giudizio, nel corso del processo di appello, hanno prodotto memorie, documenti e note d'udienza, confermando le rispettive conclusioni già formulate nei precedenti atti giudiziali. 6. - Nel presente contenzioso, giunto al grado di appello, si controverte della legittimità della nota della nota del Comune di Milano, Sportello unico per l'edilizia, Unità territoriale Municipi 1-2-3 Municipio 2, pratica n. 31471/2019 - PG 387343/2019 del 24 aprile 2020, recante "via (omissis) - S.C.I.A. in sanatoria Progr. 31471/2019" e di tutti gli atti precedentemente adottati dal Comune di Milano nel percorso procedimentale che ha condotto alla sanatoria di alcuni interventi edilizi realizzati dalla società Am. Se. nell'immobile di via (omissis) in Milano nonché, conseguentemente, della correttezza della sentenza di primo grado 22 febbraio 2021 n. 484, pronunciata dal TAR per la Lombardia, sede di Milano, che detti atti comunali (e i contestati comportamenti) ha ritenuto essere legittimi, respingendo il ricorso di primo grado proposto all'epoca dall'odierna società appellante. Le opere oggetto di contenzioso attengono alla realizzazione di lavori di "trasformazione di posti auto nei due piani interrati in box chiusi" dell'unità immobiliare AUTORIMESSA sita in via (omissis). Con riferimento a tali opere la società Am. Se. aveva dapprima presentato una DIA in data 4 dicembre 2006, alla quale aveva fatto seguito una DIA in variante dell'1 giugno 2007. In seguito ad esposti pervenuti agli uffici comunali, venne imposta la sospensione dei lavori, in data 16 giugno 2008, "considerato che dagli atti prodotti a corredo delle D.I.A. presentate, non risulta evidenziata la titolarità /disponibilità giuridica dell'area pertinenziale adibita a giardino e sulla quale sarebbero stati edificati dei manufatti". La presentazione di una seconda DIA in variante, in data 20 giugno 2008, conduceva alla revoca dell'ordine di sospensione dei lavori. Questi ultimi venivano completati e di tale circostanza era data comunicazione con presentazione del collaudo finale in data 20 febbraio 2009. In occasione di un sopralluogo da parte del personale comunale in data 8 ottobre 2010, la Am. Se. presentava una SCIA in sanatoria in data 24 febbraio 2011, rispetto alla quale gli uffici comunali opposero il loro contrario avviso evidenziando la necessità di "produrre la documentazione attestante la proprietà dell'intercapedine ed evidenziare in apposito elaborato grafico la dimostrazione analitica delle aree di proprietà e del relativo confine, dimostrando altresì che tutte le opere sono ricomprese all'interno del perimetro stesso". La società Am. Se. presentava quindi, in due tornate, richiesta di riesame fondandola sugli esiti della rilevazione topografica delle aree e della rilevazione metrica delle intercapedini effettuate in data 18 maggio 2015 dall'Ufficio espropri del Comune di Milano. Conseguentemente la procedura di sanatoria si concludeva favorevolmente con il pagamento dell'oblazione e il rilascio del titolo abilitativo in data 3 settembre 2019. Orbene, riassunto (nuovamente, ma) "in pillole" l'ambito fattuale del presente giudizio, pare al Collegio evidente che la contestazione operata dalla società Br. nei confronti dell'operato degli uffici comunali che, a detta dell'appellante, sarebbe stato carente nell'esercitare il potere-dovere di verificare, prima del rilascio del titolo abilitativo edilizio (in sanatoria) richiesto dalla società Am. Se., la proprietà delle aree (anche pertinenziali) e delle intercapedini interessate dagli interventi edilizi in questione, non colga nel segno, essendo dimostrato dalla documentazione versata in atti e riferita a ciascuno dei passaggi procedurali che si sono appena sopra ulteriormente riassunti come gli uffici comunali abbiano prudentemente operato nel caso di specie, non disdegnando di opporsi alla presentazioni di DIA e SCIA al fine di verificare puntualmente il possesso dei titoli proprietari in capo alla società Am. Se., onde poter acclarare la legittimazione della stessa a realizzare le opere e a presentare le dichiarazioni a ciò abilitative, all'esito di ulteriori e circostanziati approfondimenti istruttori, corredati da documentazione allegata dalla società interessata. 7. - Va in proposito, anche in questo caso, rammentato il costante orientamento interpretativo della giurisprudenza di questo Consiglio (si veda, tra le ultime, Cons. Stato, Sez. II, 28 febbraio 2024 n. 1947), in materia di verifica preliminare del titolo legittimante il rilascio di un provvedimento edilizio abilitativo, richiamato - tra l'altro - nei termini seguenti dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 15 marzo 2022 n. 1827: "La giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di osservare (Cons. Stato, sez. IV, 19 luglio 2021, n. 5407, e 30 agosto 2018, n. 5115; sez. VI, 22 settembre 2014, n. 4776; sez. IV, 25 settembre 2014, n. 4818), che il permesso di costruire può essere rilasciato non solo al proprietario dell'immobile, ma a chiunque abbia titolo per richiederlo (così come previsto dall'art. 11, co. 1, D.P.R. n. 380 del 2001), e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell'area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario. Si è precisato, inoltre, che, "il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria" (Cons. Stato, sez. IV, n. 4818/2014 cit.; in senso conforme, sez. V, 4 aprile 2012, n. 1990). Quanto ora esposto (ed il concetto di "sufficienza" riferito al titolo, elaborato dalla giurisprudenza) comporta, in generale, che: - per un verso, chi richiede il titolo autorizzatorio edilizio debba comprovare la propria legittimazione all'istanza; - per altro verso, è onere del Comune ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell'intervento, e che dunque possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio. Tale verifica, tuttavia, deve compiersi secondo un criterio di ragionevolezza e secondo dati di comune esperienza (Cons. giust. Amm., 11 maggio 2021, n. 413; Cons. Stato, sez. II, 30 settembre 2019, n. 6528), ma non comporta anche che l'Amministrazione debba comprovare prima del rilascio (ciò mediante oneri di ulteriore allegazione posti al richiedente o attraverso propri approfondimenti istruttori), la "pienezza" (nel senso di assenza di limitazioni) del titolo medesimo. Ed infatti, ciò comporterebbe, in sostanza, l'attribuzione all'Amministrazione di un potere di accertamento della sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro "contenuto" non ad essa attribuito dall'ordinamento. In tal senso, laddove ricorrano limitazioni negoziali al diritto di costruire, l'Amministrazione, quando venga a conoscenza dell'esistenza di contestazioni sul diritto di richiedere il titolo abilitativo, deve compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, ma senza tuttavia assumere valutazioni di tipo civilistico, appartenenti alla giurisdizione del giudice ordinario (Cons. Stato, sez. IV, n. 5407/2021 cit.). Tuttavia - come si è già affermato - assume rilievo differente l'ipotesi in cui la legittimazione a richiedere l'autorizzazione edilizia si fondi sulla titolarità di un diritto reale, da quella in cui essa attenga ad una disponibilità del bene a titolo diverso. In tale ultimo caso (ad esempio, bene detenuto per effetto di contratto di locazione), l'Amministrazione è tenuta ad accertare la sussistenza del consenso del proprietario, con la conseguenza che, laddove questo difetti, non potrà procedere al rilascio del permesso di costruire (Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 2021, n. 4919; sez. IV, n. 5115/2018 cit.)". In virtù delle appena ricordate coordinate interpretative non può non convenirsi con quanto ha già espresso in merito il giudice di primo grado nell'affermare che, in punto di diritto, "La verifica compiuta dall'Amministrazione è, quindi, compiuta in ragione dello stato degli atti e dei fatti dalla stessa agevolmente accertabile e senza necessità di operare degli accertamenti complessi che, del resto, sono di competenza del Giudice ordinario" (punto 17.3 della sentenza qui oggetto di appello). Dai documenti depositati nel fascicolo digitale del processo, nei due gradi di giudizio, emerge come non sia stata provata la natura pubblica dell'autorimessa, nei termini cui nuovamente fa riferimento la società appellante, tenuto conto che ogni qual volta in uno dei documenti prodotto dalla Br. a sostegno della propria tesi viene in emersione il lemma "pubblico" o similari, detta espressione non si colloca all'interno di un significato tecnico della parola utilizzata e tale da poter far ritenere che l'autorimessa in questione sia pubblica. Ciò è confermato anche dalla sentenza del Tribunale di Milano, n. 3817/2017 dell'11 aprile 2017, con la quale sono stati assolti i rappresentanti della società Am. Se. ed il progettista che aveva collaborato alla presentazione del titolo abilitativo agli uffici comunali dall'imputazione fondata sull'aver "falsamente dichiarato al Comune di Milano - Sportello Unico per l'edilizia, di fatti relativi alla proprietà privata esclusiva delle aree interessate dai lavori". Oltre a quanto sopra si segnala che la natura privata dell'area emerge dal contenuto della convenzione del 30 dicembre 1954 nella quale è consentito espressamente di realizzare box privati nonché dagli accertamenti effettuati dagli uffici comunali in occasione dell'attività svolta su invito istruttorio del giudice di primo grado e rappresentati nella conseguente relazione oltre che dalle complesse indagini effettuate in sede di verifica della SCIA in sanatoria e che hanno condotto alla conclusione positiva della procedura di controllo amministrativo. A ciò si aggiunga che la società Am. Se. è titolare di licenzia d'uso dell'autorimessa del 2 marzo 1999. 8. - Con riferimento poi alla proprietà del giardino ove è stato realizzato l'ascensore per accedere all'autorimessa, dalla documentazione anche notarile prodotta dalle parti in atti emerge che la proprietaria dell'area, la società Eu. S.r.l., in data 18 maggio 2019, ha rilasciato apposito assenso alla realizzazione dell'intervento costruttivo. Per quanto concerne la contestata proprietà delle intercapedini il Collegio non può fare a meno di rilevare come, nel corso del primo grado di giudizio, sia stata prodotta una relazione descrittiva delle operazioni afferenti ad indagini topografiche con annesse misurazioni dalla quale emerge, per come già puntualmente segnalato dal giudice di primo grado, che "i muretti, quota marciapiede, a delimitazione di aree destinate a parcheggio e/o giardino, sono sul confine dei mappali di proprietà privata sia sul lato di via (omissis) che di via (omissis)" e che "su entrambi i lati la posizione dei muretti sembrerebbe essere la testa delle pareti verticali delle intercapedini". Tale accertamento, secondo i parametri di sufficienza legale sopra richiamati, può considerarsi adeguato alla presentazione e al rilascio del titolo edilizio in sanatoria poi assentito, giacché ogni ulteriore approfondimento in merito alla proprietà delle strutture in questione non potrebbe che essere rimesso all'eventuale vaglio del giudice ordinario, non potendosi giuridicamente pretendere dagli uffici comunali, in sede di scrutinio della documentazione utile ad assentire un intervento edilizio, una indagine ulteriormente approfondita in argomento. Seguendo il criterio di sufficienza di indagine rimesso all'ente locale e più sopra tratteggiato, la ulteriore contestazione mossa dalla Br. circa l'incertezza della proprietà delle intercapedini non coglie nel segno tenuto conto di quanto è stato affermato sul punto dagli uffici comunali all'esito dell'indagine svolta nel corso della procedura di verifica della legittimità della SCIA in sanatoria presentata nel 2019 dalla Am. Se.. In tale comunicazione di conclusione dell'istruttoria di controllo del 27 gennaio 2020 si legge infatti che "non si ritiene rilevante dal punto di vista dell'ammissibilità urbanistico-edilizia che alcune porzioni precedentemente indicate come intercapedini siano oggi facenti parte dell'autorimessa, in quanto gli spazi destinati ad autorimessa non costituiscono superficie lorda di pavimento, pertanto non danno luogo ad un aumento del carico urbanistico", oltre a quanto già sopra riferito circa la specifica istruttoria svolta dalla Direzione centrale sviluppo del Territorio, con atto del 18 maggio 2015, prot. n. 263686/2015. Anche il profilo contestativo espresso dalla Br. in ordine agli adempimenti obbligatori in materia di cementi armati e alla asserita carenza di verifiche in tal senso svolte dagli uffici comunali non convince, essendo smentito dalla rappresentazione documentale resa disponibile nel presente giudizio. Emerge infatti che il Comune di Milano ha dapprima contestato alla Am. Se. il livello di sufficienza della denuncia cementi armati n. 142873/2007, tanto che la ridetta società è stata "costretta" a produrre, in data 14 novembre 2019, il "deposito sismico ai sensi dell'art. 6 della L.R. 33/2015 per la conformità delle opere eseguite nel 2009 alle attuali NTC 2018" e ad allegare: "copia (della) relazione a struttura ultimata di opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica e (della) comunicazione di completamento strutture". E tanto il Collegio giudica sufficiente sotto il profilo della pretesa probatoria a carico della Am. Se.. 9. - Appurata, quindi, l'infondatezza del primo e complesso motivo di appello, con riferimento a tutti i profili contestativi dedotti dalla parte appellante, può passarsi allo scrutinio del secondo motivo di appello, con il quale la Br. sostiene che, tenuto conto della tipologia dei lavori effettuati dalla Am. Se. e qui oggetto di contenzioso nonché delle norme settoriali all'epoca vigenti, il Comune di Milano non avrebbe dovuto "accontentarsi" della presentazione di una DIA e poi di una SCIA in sanatoria, avendo dovuto chiedere la società interessata il rilascio di un "permesso di costruire". Ad avviso del Collegio, la trasformazione di posti auto collocati all'interno di una autorimessa in box costituisce un intervento edilizio che non determina in nessuna misura un aumento di carico urbanistico, una variazione di destinazione d'uso o un aumento di superfici utili ben potendo, tale realizzazione, essere sottoposta alla presentazione di una SCIA e ciò anche con riferimento alle norme di settore applicabili ratione temporis al caso di specie, trattandosi di un intervento di manutenzione straordinaria. D'altronde l'appena descritto intervento, semmai, produce una riduzione del numero dei veicoli ricoverabili, ma certamente non implica la realizzazione di un insieme sistematico di opere che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, come avviene nel caso delle ristrutturazioni. Ne deriva la corretta ricostruzione giuridica dell'intervento come realizzabile con SCIA. In ragione di quanto si è fin qui illustrato e dell'appurata infondatezza dei motivi di appello dedotti dalla società appellante, anche la domanda risarcitoria di quest'ultima, presentata quale terzo profilo, non può trovare condivisione venendo meno l'ingiustizia del danno, peraltro solo prospettato dalla Br.. 10. - Dalle sopra espresse considerazioni il ricorso in appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza di primo grado. Le spese del grado di appello seguono la soccombenza, in virtù del principio di cui all'art. 91 c.p.a., per come richiamato espressamente dall'art. 26, comma 1, c.p.a., sicché la società Br. S.r.l. deve essere condannata a rifondere le spese della presente lite in favore del Comune di Milano e della società Am. Se. S.r.l., che possono liquidarsi nella misura complessiva di Euro 6.000,00 (euro seimila/00), in ragione di Euro 3.000,00 (euro tremila/00) per ciascuna delle suddette parti, oltre accessori come per legge. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello (n. R.g. 8411/2021), come indicato in epigrafe, lo respinge. Condanna la società Br. S.r.l., in persona del rappresentante legale pro tempore, a rifondere le spese del grado di appello in favore del Comune di Milano e della società Am. Se. S.r.l., in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, liquidandole complessivamente nella misura di Euro 6.000,00 (euro seimila/00), in ragione di Euro 3.000,00 (euro tremila/00) per ciascuna delle suddette parti, oltre accessori come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 11 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere Stefano Toschei - Consigliere, Estensore Davide Ponte - Consigliere Marco Poppi - Consigliere
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