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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI PADOVA SECONDA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, pronunzia la presente SENTENZA nel proc. n. 7663/2021 RG promosso da (...), residente a Padova, (...), residente a Padova, (...), rappresentati e difesi dagli avv.ti (...) con domicilio eletto presso il loro studio del primo in Dolo (VE), (...) e con domicilio digitale eletto ai sensi dell'art. 16 sexies D.L. 179/2012 agli indirizzi pec: (...) contro (...) (...), entrambi residenti in Padova (PD), (...), rappresentati e difesi, per procura in calce al presente atto, dagli avv.ti (...) del Foro di Padova, con domicilio digitale eletto presso gli indirizzi di posta elettronica certificata (...) nonché contro (...) rappresentato e difeso dall'avv. (...), con domicilio eletto presso il di lui studio in Padova (...) con l'avv. (...) con la chiamata in causa di Condominio (...) contumace OGGETTO: risarcimento danni ai sensi dell'art. 2043 c.c. in edificio condominiale - responsabilità dell'amministratore MOTIVAZIONE 1. (...) comproprietari di un appartamento con annesso garage al piano terra sito in Padova, (...) facente parte del complesso di abitazioni denominato "Condominio (...)", amministrato da (...) espongono che il 19 dicembre 2019 si accorgevano dell'improvviso allagamento del loro garage. L'acqua scendeva abbondante a rivoli dal soffitto e si riversava all'interno del box, inzuppando i beni in esso contenuti, quali attrezzi dei figli, vestiti, scarpe ed effetti personali nonché una moto Harley Davidson. (...) cercava di porre al riparo i propri beni e avvertiva l'amministratore del Condominio (...), nonché i proprietari dell'appartamento sovrastante (...) e (...). Dopo alcuni giorni, gli attori scoprivano che le infiltrazioni d'acqua erano state generate dalla rottura di una tubazione idrica (lo scarico della vasca da bagno) dell'appartamento posto al piano superiore di proprietà dei predetti (...) e (...) riparata da una squadra di idraulici inviata dall'amministratore (...). Quest'ultimo li rassicurava, informandoli che avrebbe aperto un sinistro sulla polizza condominiale che presentava garanzia sottoscritta a tutela dei danni da acqua condotta al fabbricato e al contenuto delle singole unità abitative e che quindi nulla vi era da preoccuparsi per quanto concerneva il ristoro dei danni subiti. La Compagnia di assicurazione (...), a seguito della denuncia dell'amministratore del Condominio, apriva il sinistro n. (...) e veniva eseguito il sopralluogo esplorativo da parte del perito incaricato. Tuttavia, la stessa Compagnia, con raccomandata del 2.10.2020, comunicava il diniego dell'indennizzo in quanto la polizza decorreva solo dalle ore 24 del 20.12.2019. Gli attori venivano in tal modo a sapere che l'amministratore non aveva adempiuto a quanto deliberato dall'assemblea del 23.10.2019 di approvazione del bilancio preventivo di gestione ordinaria dall'1.07.2019 al 30.06.2020, ove era stata prevista la voce di spesa per la stipula (rectius rinnovo) dell'assicurazione polizza globale fabbricati. Ciò premesso, (...) e (...) hanno convenuto in giudizio sia (...) e (...) (...) sia (...), per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti, quantificati in complessivi euro 15.000,00. (...) e (...) resistono ed hanno chiesto di essere manlevati da (...) chiedendo anche la sua condanna al pagamento delle spese condominiali poste a loro carico nei bilanci 2019/2020 e 2020/2021 sempre per il ripristino delle parti comuni e private necessitato dalla predetta perdita d'acqua per la complessiva somma di euro 1.595,00, oltre ad euro 697,60 per spese di mediazione, chiedendo che l'accertamento fosse effettuato anche nei confronti del Condominio, che è stato così chiamato in causa, rimanendo contumace. Anche (...) resiste. La causa è stata istruita mediante l'assunzione delle deposizioni dei testi (...), (...) (v. udienza 28.02.2023), e con il deposito di ctu estimativa dei danni del p.i. (...). Precisate le conclusioni e scaduti i termini previsti dall'art. 190 c.p.c., la causa passa ora in decisione. 2. Dalle concordi deposizioni di (...) e di (...) risulta che la perdita d'acqua è stata causata dalla vasca del sovrastante appartamento dei convenuti (...) (...) e (...) Il danno è stato dal ctu quantificato in complessivi euro 5.266,40 (iva compresa). (...) e (...) vanno pertanto condannati in solido a pagare tale somma agli attori (...) e (...). 3. Sussiste anche la responsabilità dell'amministratore (...) poiché è pacifico che egli non ha provveduto a stipulare l'assicurazione deliberata dall'assemblea il 2223.10.2019. Non ha alcuna rilevanza che (...) e (...) fossero morosi nel pagamento delle spese condominiali, né che l'assicurazione fosse destinata a coprire anche parti private dei singoli condomini. Nessuna di tali circostanze esimeva l'amministratore dall'adempiere a quanto deciso dall'assemblea condominiale, come conferma il fatto che il giorno dopo il sinistro l'amministratore ha provveduto a stipulare la polizza richiesta. 4. Lo stesso amministratore (...) deve tenere indenne anche i predetti convenuti, in quanto anche nei loro confronti è inadempiente all'obbligo di stipulare la polizza nascente dalla cit. delibera condominiale. Egli deve anche restituire loro la somma di euro 1.595,00 dagli stessi pagata quali spese condominiali a loro addebitate sempre a causa della predetta perdita d'acqua, senza che rilevi la mancata attivazione della mediazione (v. Cass., sez. un., 7.02.2024, n. 3452), né il fatto che (...) e (...) con abbiano impugnato i bilanci 2019/2020 e 2020/2021 che tali spese hanno approvato, poiché si tratta di res inter alios. 5. Si impongono quindi le declaratorie di cui in dispositivo. Le spese di giudizio, comprese quelle di ctu, seguono la soccombenza. P Q M definitivamente pronunziando, condanna (...) e (...) nonché (...) tutti in solido, a pagare a (...) e (...) la complessiva somma di euro 5.266,40 con interessi legali dalla data odierna al saldo, oltre agli interessi legali sulla stessa somma, devalutata alla data del 19.12.2019 e quindi rivalutata anno per anno sulla base degli indici Istat. Condanna (...) tenere indenne (...) e (...) a quanto saranno costretti a pagare a (...) e (...) per capitale, interessi e spese. Condanna inoltre (...) a pagare a (...) e (...) la complessiva somma di euro 1.595,00 con interessi legali dalla prima messa in mora al saldo. Condanna (...) e (...) e (...) in solido, a rifondere a (...) e (...) le spese di giudizio, liquidate in euro 237,00 per spese ed euro 5.077,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge e spese generali. Condanna (...) a rifondere a (...) e (...) le spese di giudizio (comprensive della fase della mediazione), liquidate in euro 98,00 per spese ed euro 5.077,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge e spese generali. Pone infine le spese di ctu definitivamente a carico di (...). Padova, 30 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO TREDICESIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Sabrina Bocconcello ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 40905/2017 promossa da: (...) tutti con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliato in (...) MILANO presso il difensore avv. (...) ATTORE/I contro (...), con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliato in(...) MILANO presso il difensore avv. (...) CONVENUTO/I CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d'udienza. SVOLGIMENTO IN FATTO DEL PROCESSO omissis ex art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. cpc Si premette che la presente sentenza verrà redatta con motivazione stesa in forma concisa e sintetica in conformità anche con i criteri espressi e di cui alla pronunzia della Suprema Corte di Cassazione alle SS.UU. n. 642 del 16/01/2015. La presente si limiterà pertanto ad una succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, specificando che tale esposizione potrà fondarsi su precedenti conformi. Per quanto riguarda domande, eccezioni e richieste conclusive delle parti, si rinvia agli atti processuali delle medesime ed ai verbali delle udienze, atteso il contenuto dell'art. 132 n. 4 c.p.c. e 118 disp. Att. cpc, che esclude una lunga e particolareggiata esposizione di tutte le vicende processuali anteriori alla decisione. MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il presente procedimento trae origine dalla impugnativa della delibera del 14.3.2017 punti 1,2,3,4, e 5 dell'odg (per numerosi motivi sia procedurali che sostanziali) svolta dagli attori con atto di citazione ritualmente notificato con il quale convenivano in giudizio il (...), per sentire accogliere le seguenti conclusioni: "Voglia il Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, conclusione e deduzione, previa sospensione dell'efficacia esecutiva ex art. 1137 c.c., così giudicare: Nel merito: dichiarare nulla o, comunque, annullare l'impugnata delibera assembleare, relativamente ai punti n. 1, 2, 3, 4 e 5 dell'ordine del giorno dell'assemblea del 14/03/2017 del (...), per i motivi di cui al presente atto. Con vittoria di spese e competenze di legge." Alla prima udienza del 21.12.2017 si costituiva in giudizio il (...) convenuto contestando ogni deduzione avversaria e chiedendo: "Respingere le domande tutte avanzate dagli attori nell'atto di citazione nei confronti del (...), in persona dell'Amministratore pro tempore in quanto infondate in fatto e in diritto per i motivi esposti. Con vittoria di spese e competenze del presente giudizio e delle spese del procedimento di mediazione". Concessi i richiesti termini di cui all'art. 183 VI comma c.p.c., la causa veniva rinviata per la discussione sull'ammissione dei mezzi istruttori all'udienza del 7.5.2018 Alla fissata udienza il Giudice -su specifica richiesta congiunta delle parti anche al fine di valutare ipotesi conciliative- disponeva CTU contabile, nominando il dott. (...) e rinviando per il giuramento del CTU e la formulazione del quesito. All'udienza del 18.6.2018 il CTU Dott. (...) accettava l'incarico e prestava il giuramento di rito sul quesito posto ed il Giudice rinviava per verificare l'esito del deposito dell'elaborato. Nelle more, a seguito di istanza del CTU, con ordinanza del 15.11.20218 veniva fissata udienza al 21.1.2019 ove le parti concordavano di integrate il quesito posto al CTu nel seguente modo "verranno esaminati su accordo delle parti i punti emersi in corso di operazioni peritali sono ad ora effettuate estrapolando tra questi quelli che saranno oggetto di specifico esame sulla base dei criteri statistici individuati dal CTU" In data 20.5.2019 il CTU depositava elaborato finale ed all'udienza del 20.6.2019 il Giudice, ritenuta la causa matura per la decisione rinviava la stessa per la discussione all'udienza del 25.11.2019 concedendo termine per il deposito di note conclusive sino al 15/11/19. Nelle more con istanza congiunta del 13.11.2019 le parti chiedevano differimento dell'udienza in pendenza di trattative. La causa veniva rinviata all'udienza del 20/02/20, con termine per il deposito di note conclusive sino al 10/02/20. Con istanza congiunta del 03/02/20, le parti domandavano un ulteriore sempre in pendenza di trattative. Il Giudice, vista la suddetta istanza congiunta, a modifica dell'ordinanza del 25/11/19 rinviava l'udienza del 20/02/20 al 25/02/20, sospendendo i termini per il deposito di note conclusive. La causa veniva poi differita, per impedimento d'ufficio, all'udienza del 27/02/20. Le parti, sempre al fine di coltivare le trattative volte a trovare una soluzione conciliativa, domandavano una serie di rinvii. Il giudizio veniva dapprima rinviato all'udienza del 05/06/20 e poi a quella del 21/10/20, ove su richiesta delle parti il Giudice rinvia per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 15.12.2020. Alla fissata udienza le parti, ritenendo ancora possibile il raggiungimento di un accordo transattivo, domandavano un rinvio in pendenza di trattative ed il Giudice rinviava così la causa all'udienza del 13/04/21. All'udienza del 13/04/21, le parti davano atto del fallimento delle trattative e il Giudice, su richiesta delle parti rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 14/12/21. Le parti, in considerazione della nomina di un nuovo amministratore, sempre al fine di raggiungere una conciliazione, domandavano un ulteriore rinvio in pendenza di trattative: la causa veniva dapprima rinviata all'udienza del 03/03/22, poi all'11/07/22 e, infine, per impedimento d'ufficio del Giudice al 15/09/22. In data 12/09/22, le parti depositavano una nuova istanza di differimento udienza sempre in pendenza di trattative. La causa veniva rinviata al 28/11/22, poi al 20/03/23, 02/10/23 e, infine, al 26/02/24. All'udienza del 26/02/24 le parti chiedevano fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni ed il Giudice rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 13/03/24, all'esito della quale la stessa veniva rinviata per la discussione con temine alle parti per il deposito di note conclusive. All'udienza del 31.5.2024 in esito alla discussione viene data lettura della sentenza. Quale primo motivo di impugnazione della delibera del 14.3.2017 il condomino (...) in proprio e non quale legale rappresentante della (...) lamenta la mancata convocazione all'assemblea de quo. Il condominio convenuto eccepisce che il (...) proprietario di immobile nello stabile unitamente con la di lui madre Sig.ra (...) non poteva non sapere della convocazione in quanto destinatario di tre avvisi di convocazione uno inviato a (...) di cui è legale rappresentante (convocazione non ritirata); uno inviato alla madre (...) ed uno al fratello (...). Come noto, è ormai consolidato in giurisprudenza che: 1) l'assemblea deve esser convocata a mezzo di comunicazione scritta che deve pervenire ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per la riunione (art.66 disp.att.c.c.,ultimo comma) 2) la convocazione deve essere fatta a tutti gli aventi diritto 3) l'inosservanza di una di tali prescrizioni comporta la annullabilità della delibera, che può esser fatta valere entro 30 giorni, dalla delibera per i dissenzienti e dal ricevimento del verbale assembleare per gli assenti. (Cass. 26 settembre 2013 n. 22047 e cass. 8275/2019) A ciò si aggiunga che l'art. 66 disp. att. c.c. comma II così come novellato dalla riforma del 2012, e nel caso de quo pienamente applicabile posto che la delibera oggetto di impugnativa è del 14.3.2017 prevede che in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell'articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati. Ne consegue che in caso di vizi della convocazione, la delibera può essere contestata (cioè il vizio relativo al difetto di convocazione) solo da coloro che hanno subito direttamente il pregiudizio e non da altri soggetti (Cass. civ. sez. II del 18 aprile 2014, n. 9082). Deve ritenersi che la novella del 2012 abbia inteso codificare il diritto soggettivo del condomino di partecipare all'assemblea in maniera informata (a tutela del quale è anche previsto un termine entro il quale l'avviso di convocazione deve pervenire a tutti i condomini), in mancanza del quale la delibera deve ritenersi invalida. Orbene, nel caso in esame il condominio conferma di non aver inviato al condomino (...) l'avviso di convocazione ma ne eccepisce la presunzione di conoscenza attesa la regolare convocazione della madre (...) comproprietaria e della (...) del quale il (...) è legale rappresentante Sul punto osserva questo Tribunale che la Suprema Corte (Cass. 26 settembre 2013 n. 22047 e cass. 8275/2019) qualifica l'avviso di convocazione atto eminentemente privato, e del tutto svincolato, in assenza di espresse previsioni di legge, dall'applicazione del regime giuridico delle notificazioni degli atti giudiziari - quale atto unilaterale recettizio- per cui esso rinviene la propria disciplina nell'art. 1335 c.c., al medesimo applicandosi la presunzione di conoscenza in tale norma prevista (superabile da una prova contraria da fornirsi dal convocato), in base alla quale la conoscenza dell'atto è parificata alla conoscibilità, in quanto riconducibile anche solamente al pervenimento della comunicazione all'indirizzo del destinatario e non alla sua materiale apprensione o effettiva conoscenza. Invero, la presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c., degli atti recettizi in forma scritta giunti all'indirizzo del destinatario opera per il solo fatto oggettivo dell'arrivo dell'atto nel luogo indicato dalla norma. Ed infatti giurisprudenza condivisa ha chiarito sul punto, che l'esigenza che tutti i comproprietari siano preventivamente informati della convocazione dell'assemblea condominiale può ritenersi soddisfatta quando risulti, secondo l'incensurabile accertamento del giudice di merito, che in qualunque modo i detti comproprietari ne abbiano avuto notizia" (Cass. Civ. Sez. II, 18 febbraio 2000, n. 1830) Pertanto, seppur vero che ai fini della validità delle delibere assembleari è necessario che tutti gli aventi diritto siano stati regolarmente convocati, in caso di comproprietari tale requisito può ritenersi soddisfatto qualora l'avviso sia inviato ad uno solo degli aventi diritto, purché si abbia ragionevole certezza di ritenere che anche il comproprietario sia stato reso edotto." La validità della convocazione per la riunione dell'assemblea condominiale di uno dei comproprietari pro indiviso di piano o di porzioni di piano di un condominio può evincersi anche dall'avviso dato all'altro comproprietario, qualora ricorrano circostanze presuntive tali da far ritenere che il secondo comproprietario abbia reso edotto il primo della convocazione stessa." (Cassazione civile, sez. II, 16/02/1996 , n. 1206) Ciò detto in punto di diritto, nei fatti per cui è causa risulta indiscusso il ricevimento della relativa convocazione e del successivo verbale di assemblea da parte di un solo dei comproprietari, ed esattamente di (...) (...). Dalle evidenze istruttorie non sono emersi elementi di conflittualità tra i comproprietari (...) tali da poter escludere una presunzione di conoscenza ed informazione circa la convocazione per l'assemblea del 14.3.2017, con la conseguenza che si deve ritenere che il sig. (...) sia stato reso edotto della convocazioni ricevute dalla madre e per l'effetto deve essere rigettata la domanda di annullabilità azionata per difetto di convocazione. Con il secondo motivo di impugnazione gli attori lamentano la nullità della delibera del 14.3.2017 per eccesso di potere dovuto alla mera reiterazione di 5 delibere impugnate ed in particolare le delibere del 11/03/14, punto n. 2; del 11/11/14, punti da 1 a 3; del 02/05/2016, punto n. 3; del 15/06/16 punti 1, 2 e 4; e del 13/12/16, punti da 1 a 6. Non è contestato che con la delibera del 14.3.2017 l'assemblea abbia reiterato quanto già deliberato in occasione delle assemblee sopra elencate senza nulla aggiungere né togliere. E' stato chiarito dalla giurisprudenza di merito e di legittimità che affinché una delibera possa legittimamente sostituirsi a quella già impugnata, è necessario un riesame della precedente decisione, da effettuarsi attraverso un nuovo apprezzamento degli interessi da perseguire e comporre, eliminando eventuali vizi, finalizzato ad un concreto risultato gestorio a tutela della collettività condominiale; che se, invece, l'assemblea si limita semplicemente a confermare quanto già deciso in precedenza, la seconda deliberazione non può considerarsi "legittimo esercizio del potere discrezionale dell'organo deliberante assembleare", configurandosi, al contrario, un eccesso di potere che determina l'invalidità della seconda deliberazione (cfr. Cass.civ. 20.4.2001, n 5889); Infatti secondo la Suprema Corte, in tema di impugnazione delle delibere condominiali, la sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall'assemblea in conformità della legge, facendo venir meno la specifica situazione di contrasto fra le parti, determina la cessazione della materia del contendere, analogamente a quanto disposto dall'art. 2377, comma 8, c.c. dettato in tema di società di capitali, a condizione che la nuova deliberazione abbia un identico contenuto, e che cioè provveda sui medesimi argomenti, della deliberazione impugnata, ferma soltanto l'avvenuta rimozione dell'iniziale causa di invalidità. Orbene atteso che la delibera del 14.3.2017 nei punti 1,2,3,4, e 5 dell'odg ha provveduto sui medesimi argomenti ratificando espressamente il contenuto della delibera le delibere del 11/03/14, punto n. 2; del 11/11/14, punti da 1 a 3; del 02/05/2016, punto n. 3; del 15/06/16 punti 1, 2 e 4; e del 13/12/16, punti da 1 a 6, va ritenuto sussistente l'eccesso di potere sotto il profilo della ravvisabilità in detta ultima assemblea del fine unico di eludere la definizione dei giudizi già pendenti. Ne consegue l'accoglimento della domanda attorea e la declaratoria di nullità della delibera de quo. Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come da dispositivo, ponendo definitivamente a carico solidale delle parti le spese di CTU attesa la richiesta congiunta delle parti al solo scopo di verificare la possibilità di percorrere l'ipotesi transattiva. Sentenza esecutiva ex lege. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, ogni altra istanza disattesa, rigettata o assorbita, così provvede: - dichiara nulla la delibera del 14.3.2017 punti 1,2,3,4, e 5 dell'odg resa dal (...) convenuto, come in motivazione. - Condanna il (...) convenuto a pagare in favore degli attori, in solido tra di loro, le spese e competenze di lite e di mediazione, che liquida in Euro. 585,00 per spese e Euro.3.500,00 per compensi, oltre al 15% per spese generali, cpa e Iva di legge. - pone definitivamente a carico solidale delle parti le spese di CTU come in motivazione. Milano, 31 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NAPOLI Sesta Sezione Civile Il Tribunale di Napoli, in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Roberta De Luca, lette le note di trattazione scritta depositate dalle parti; rilevato che ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c. il giudice provvede entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle note; ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 19005 del Ruolo Generale per gli Affari Contenziosi dell'anno 2023, avente ad oggetto: consegna elenco condomini morosi vertente TRA (...), rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'avv. Fr.La., presso il cui studio in Napoli alla (...) ha eletto domicilio; - RICORRENTE - CONTRO (...) in persona dell'amministratore e legale rappresentante pro tempore avv. Cl.D., C.F. P.IVA (...), rappresentato e difeso dall'avv. Cl.D., che ne ha la facoltà ai sensi dell'art. 82 c.p.c., e dall'avv. Pa.Ca., con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Napoli alla (...) - RESISTENTE - RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 14.12.2023 (...) premesso di essere condomino dello stabile ubicato in Napoli alla (...), ha chiesto che fosse accertato il proprio diritto a ricevere la consegna della copia dell'estratto conto corrente del (...) relativamente ai seguenti periodi: 01.01.2017/31.12.2017 - 01.01.2018/31.12.2018 - 01.01.2020/31.12.2020 - 01.01.2021/31.12.2021, condannando il (...), nella persona dell'amministratore in carica, alla consegna della copia conforme dei suddetti documenti, fissando una sanzione ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c. per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione dell'obbligo e con vittoria di spese di procedura. Fissata l'udienza di comparizione delle parti, si è costituito il CP1 resistente eccependo la continenza ovvero la litispendenza con altro procedimento avente n. 10033/2022 R.G.A.C., pendente dinanzi al Tribunale di Napoli ed avente ad oggetto la consegna di ulteriore documentazione condominiale, nonché l'improcedibilità della domanda per parcellizzazione delle richieste di consegna. Ha contestato, nel merito, la fondatezza della domanda. Instaurato il contraddittorio e rinviata la trattazione al fine di consentire la consegna della documentazione richiesta dal ricorrente, nel corso dell'udienza odierna, previa discussione orale, la causa è stata discussa e decisa. Deve, in primo luogo, essere disattesa l'eccezione di litispendenza in quanto nel giudizio iscritto al n. 10033/2022 R.G.A.C. è stata richiesta la consegna di documentazione diversa ed ulteriore rispetto a quella richiesta con il presente giudizio e, segnatamente, di copia dei registri di contabilità dal 2017 al 2021; dei verbali assembleari relativi al medesimo arco temporale; dell'ultimo bilancio consuntivo approvato; del regolamento e dell'anagrafe condominiale. Com'è noto, invece, ai fini dell'applicazione dell'art. 39 c.p.c. occorre che le domande abbiano identità di petitum e di causa petendi. Per quanto concerne l'eccezione di inammissibilità della domanda per violazione dell'obbligo di buona fede e per il frazionamento della domanda, va rimarcato che le sezioni unite della Cassazione hanno affermato che: "le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, - sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale - le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183, c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101, comma 2, c.p.c." (Cass. civ., ord. n. 17893 del 06.07.2018; in senso conforme Cass. civ., sent. 6591 del 07.03.2019). Ne consegue che, essendovi interesse del ricorrente all'acquisizione della documentazione richiesta e potendo l'interesse a richiedere documentazione bancaria essere sorto dopo, se non in conseguenza, della richiesta di consegna della documentazione di cui al giudizio avente n. 1033/2022 R.G.A.C., indipendentemente dalla proposizione di due autonomi giudizi non si è incorsi in alcuna inammissibilità della domanda. Passando all'esame, nel merito, della domanda, deve, conformemente alle conclusioni rassegnate, essere dichiarata la cessazione della materia del contendere, in quanto la documentazione richiesta è stata consegnata in corso di causa. Secondo la giurisprudenza di legittimità la dichiarazione di cessazione della materia del contendere è, in sostanza, un rigetto per sopravvenuta infondatezza della domanda e/o per sopravvenuta carenza di interesse - che, essendo una condizione dell'azione, deve sussistere al momento di adozione della pronuncia -. Tale dichiarazione si adotta, quindi, quando viene a mancare ogni posizione di contrasto tra le parti per essere sopraggiunti nel corso del processo eventi estintivi della controversia (Cass. 3690/1988) oppure quando, pur sopravvivendo formalmente un contrasto o comunque una domanda di parte, sono intervenute situazioni sostanziali che abbiano privato la parte di un interesse giuridicamente rilevante alla pronuncia (Cass. 8219/1996; 2970/1993; 4792/1991; 46/1990), come nei casi in cui vi sia stata una transazione, il riconoscimento della pretesa, la rinuncia all'azione, la morte della parte in azioni intrasmissibili o - come nel caso in esame - la soddisfazione della pretesa. Passando all'esame della disciplina delle spese di lite secondo il principio della soccombenza virtuale, occorre premettere, in termini generali, che gli obblighi informativi e di rilascio di copie, gravanti sull'amministratore del condominio e normativamente sanciti, sono: quello, di cui all'art. 1129, II comma, c.c., di far prendere gratuitamente visione, previa richiesta all'amministratore, e di far ottenere, previo rimborso della spesa, copia firmata dall'amministratore del registro dell'anagrafe condominiale, del registro dei verbali delle assemblee, del registro di nomina e revoca dell'amministratore e del registro di contabilità; quello, di cui all'art. 1130 n. 9) c.c., di "fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso"; quello, di cui all'art. 1130 bis c.c., di far prendere visione ai condomini "dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo e estrarne copia a proprie spese". Il diritto, normativamente sancito, ad ottenere copia integrale degli estratti di conto corrente condominiale non è perciò stabilito dalla legge ma, in ogni caso, rientra nel più ampio obbligo di rendicontazione proprio dell'amministratore di condominio, dovendo dare conto della propria gestione anche con riferimento alla movimentazione delle somme afferenti alla gestione condominiale sul conto corrente a ciò dedicato. Né, tantomeno, il (...) resistente in alcun modo ha contestato l'interesse del ricorrente ad ottenere la suddetta documentazione. Non può, peraltro, essere adottato alcun ordine di consegna a carico del (...) resistente, dovendo esserne rilevato, d'ufficio, il difetto di legittimazione passiva. Trattandosi di decisione fondata su di una questione processuale, in relazione alla quale le parti hanno la facoltà "ex ante" di esercitare ampiamente il contraddittorio, non occorreva sottoporre la questione al previo contraddittorio fra le parti in causa (cfr Cass. civ., sent. n. 24312 del 16.10.2017; in senso conforme Cass. civ., ord. n. 12978 del 30.06.2020), pur essendo le parti state espressamente invitate a tanto con ordinanza di fissazione dell'odierna udienza. Com'è noto la legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la indicazione di fatti in astratto idonei fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell'istante, prescindendo dall'effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l'esistenza in ogni stato e grado del procedimento. La titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, invece, si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell'onere deduttivo e probatorio della parte interessata (cfr. Cass. civ., sent. n. 14468 del 30.05.2008; Cass. civ., sent. n. 355 del 10.01.2008; Cass. civ., sent. n. 11321 del 16.05.2007; Cass. civ., sent. n. 4796 del 06.03.2006). Di conseguenza, il difetto di titolarità deve formare oggetto di specifica e tempestiva deduzione in sede di merito, mentre il difetto di legittimazione ad causam deve essere oggetto di verifica, preliminare al merito, da parte del giudice, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio (cfr. Cass. civ., sent. n. 20819 del 26.09.2006). La legittimazione ad agire costituisce, quindi, una condizione dell'azione, una condizione per ottenere cioè dal giudice una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall'attore, prescindendo dall'effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa. Appartiene, invece, al merito della causa, concernendo la fondatezza della pretesa, l'accertamento in concreto se l'attore e il convenuto siano, dal lato attivo e passivo, effettivamente titolari del rapporto fatto valere in giudizio. Ciò premesso, la condanna alla consegna di documentazione è stata formulata non già nei confronti dell'amministratore in proprio, bensì nei confronti del (...) in persona del suo legale rappresentante pro tempore, con conseguente evocazione in giudizio dell'ente di gestione. Orbene, nell'ambito dei rapporti interni fra condomini mandanti ed amministratore, gli obblighi di consegna della documentazione condominiale sono assunti dall'amministratore in proprio, rispondendo costui contrattualmente nei confronti dei singoli condomini dell'inadempimento delle obbligazioni derivanti per legge dall'incarico professionale conferitogli (cfr Trib. Napoli, sez. VI, ord. 15.02.2019, in Condominioelocazione.it, 9 dicembre 2019). È solo nei rapporti esterni con i terzi creditori, invece, che l'obbligazione di consegna trova quale suo titolare passivo il condominio, in persona del suo amministratore, non già l'amministratore persona fisica (cfr Corte di Appello di Napoli, sent. n. 3015 del 28.06.2022, riferita all'obbligazione di consegna di cui all'art. 63 disp. att. c.c.). Nei confronti dei terzi, infatti, gli obblighi che gravano sull'amministratore sono l'espressione del suo potere di rappresentanza del (...) e, quindi, ove inadempiuti, non comportano una sua responsabilità diretta e personale verso i terzi creditori del (...), bensì una immediata responsabilità dell'ente di gestione che egli rappresenta. Nei rapporti interni all'ente di gestione, invece, l'amministratore risponde in proprio dell'inadempimento alle obbligazioni da lui contrattualmente assunte e, del resto, nel caso in cui l'inadempimento all'obbligazione di consegna sia posto a fondamento di una domanda di revoca giudiziale, legittimato passivo rispetto alla stessa è l'amministratore di condominio, in proprio, non già l'ente di gestione da costui rappresentato. Sarebbe, del resto, non equo riversare sull'intera compagine condominiale gli oneri ed i costi dell'inadempimento dell'amministratore alle obbligazioni di consegna di documentazione in favore di uno dei condomini. In conclusione, deve essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva del (...) resistente rispetto alla domanda azionata dalla ricorrente, con assorbimento della domanda di cui all'art. 614 bis c.p.c., evidenziandosi che è solo il soggetto "obbligato", ovvero il destinatario della domanda, non già un differente soggetto, che può essere condannato al pagamento di una somma di denaro in caso di violazione, inosservanza o ritardo nell'adempimento del provvedimento di condanna. Stanti i contrastanti orientamenti della giurisprudenza di merito in ordine al soggetto passivo della domanda di consegna di documentazione CP3 sussistono gravi ed eccezionali ragioni per compensare integralmente fra le parti le spese di lite. Ai sensi dell'art. 12 bis del D.Lgs. 28/2010, infine, il (...) il quale non ha partecipato senza giustificato motivo all'incontro di mediazione del 18/09/2023, deve essere condannato al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. P.Q.M. Il giudice, definitivamente pronunciando, letti gli atti del procedimento iscritto al n. 19005/2023 R.G.A.C., ogni altra domanda, eccezione e difesa disattesa, così provvede: a) dichiara la cessazione della materia del contendere; b) compensa integralmente fra le parti le spese di lite; c) condanna il (...) sito in Napoli alla (...) al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. Napoli, 31 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta da Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. VILLONI Orlando - Consigliere Dott. GIORGI Maria Silvia - Consigliere Dott. PACILLI Giuseppina A.R. - Consigliere Dott. VIGNA Maria Sabina - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Pe.Pa. nato a R il (Omissis) avverso l'ordinanza del 29/06/2023 del Tribunale del riesame di Catanzaro Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Maria Sabina Vigna; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mariella De Masellis, che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito l'avvocato Vi.Ci., anche in sostituzione dell'avvocato Sa.St., che ha chiesto l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Catanzaro ha respinto l'istanza di riesame proposta da Pe.Pa. avverso l'ordinanza del 2 maggio 2023, con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro aveva applicato ai ricorrente la misura cautelare degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico in relazione al capo 13) dell'ordinanza impositiva, relativo al reato di cui all'art. 73, comma 1 - bis, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. È oggetto di contestazione la cessione di una partita di cocaina, per la quale residuava ancora un credito da parte dei fornitori pari a 3.960,00 Euro. 2. Avverso l'ordinanza Pe.Pa. ricorre per cassazione, deducendo i seguenti motivi, sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione: 2.1. Vizio di motivazione in relazione agli artt. 649 cod. proc. pen. e 73 D.P.R. cit. La difesa, in sede di riesame, sosteneva la violazione del principio del ne bis in idem tra le contestazioni di cui ai capi 13) e 14 (per il quale l'imputato veniva giudicato separatamente e condannato in via definitiva). Il tribunale del riesame rigettava l'eccezione facendo riferimento a una intercettazione fra Es.Gi. e Co.An., dalla quale non emergeva alcun riferimento ai fratelli Pe.; il ricorrente era ritenuto soggetto interlocutore di Es.Gi., solo "verosimilmente; il termine "amico" usato da Es.Gi. non poteva essere in alcun modo ascritto al concorrente. Nelle telefonate dal 3 ottobre al 28 novembre non sono mai stati effettuati riferimenti a debiti per forniture pregresse. Pertanto, la somma di Euro 3.960,00 doveva essere riferita alla potenziale compravendita della droga sequestrata il 28 novembre 2020, ragione per cui è evidente che si tratta della medesima condotta in relazione alla quale è stata emessa stata sentenza irrevocabile di condanna. Non vi è traccia, nella ordinanza impugnata, delle emergenze investigative contenute tra le pagine 603 e 608 della richiesta del Pubblico ministero. Nello specifico, vengono indicate conversazioni che provano chiaramente, a giudizio della difesa, che quella contestata fosse la prima e l'unica tentata cessione. 2.2. Vizio di motivazione in relazione alle esigenze cautelari. Il tribunale del riesame ha richiamato la gravità del fatto contestato, sostenendo, poi, che ricorrente avesse la capacità di prendere parte a ulteriori traffici di droga. L'ordinanza, però, è palesemente illogica e apodittica. In realtà, rispetto ai numerosi traffici contestati ad altri indagati, Pe.Pa. risulta coinvolto in un solo episodio. Inoltre, successivamente al 28 novembre 2020, il ricorrente è scomparso dal contesto investigato. Anche la distanza temporale tra i fatti e il momento della decisione cautelare è dissonante con l'attualità e l'intensità delle esigenze cautelari. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi generici e, comunque, manifestamente infondati. 2. Il Tribunale del riesame ha ritenuto che il ricorrente, attraverso la mediazione di Es.Gi. e Br.Sa., abbia ceduto, in concorso col fratello Co.Gi., ad Co.Ar. e Co.An. - vicini all'associazione facente capo a Ca.Cl. e Fu.Ro., individuati quali referenti della (Omissis), capace di intavolare trattative per l'importazione di importanti partite di cocaina sia dal Sudamerica che, dalla Germania - cocaina, per la quale, alla data dei 28 novembre 2020, residuava un credito per i fornitori pari a Euro 3.960,00. Nell'ordinanza impugnata si dà atto che l'odierno ricorrente era sottoposto ad intercettazioni telefoniche e a indagini tecniche. I Carabinieri avevano proceduto, in data 8 ottobre 2020, anche a operazioni di osservazione diretta per accertare un incontro del ricorrente con Es.Gi. e i coindagati, incontro poi fallito essendosi i predetti accorti della presenza dei militari. Il Tribunale ha esaminato il contenuto delle conversazioni intercettate ed ha, con motivazione congrua e logica, ritenuto accertato che l'indagato, prima di cedere nuovamente cocaina a Co.An., pretendesse il pagamento di una precedente partita di cocaina, avvenuta nel mese di ottobre. Ricevuto il pagamento, il 28 novembre l'indagato era fermato dalla polizia giudiziaria mentre si recava all'appuntamento con Co.An. e veniva trovato in possesso di 193 gr. di cocaina. Per tale fato è stato arrestato e ha patteggiato la pena di anni due e mesi otto di reclusione. L'ordinanza impugnata ha analiticamente illustrato il contenuto criptico delle conversazioni intercorse fra Es.Gi. e Co.An., da un lato, e Pe.Pa. dall'altro. Vengono evidenziate le conversazioni del 26 e 27 novembre 2020, ritenute, a ragione, significative perché denotano le sollecitazioni di Co.An. all'Es.Gi. e il suo malcontento rispetto al ritardo nell'arrivo del Pe.Pa. L'ordinanza impugnata ha ricostruito, da un lato, la sequenza delle conversazioni intercorse tra Co.An. e il padre, che lo spronava a sentire l'Es.Gi. e, dall'altro, i tentativi di questi, su insistenza del ricorrente, di contattare Pe.Pa. che, quando raggiunto, rassicurava l'Es.Gi. sul suo arrivo imminente con notizie che venivano prontamente girate a Co.An. Estremamente rilevante viene, correttamente, ritenuta la conversazione tra Pe.Pa. ed Es.Gi., nel corso della quale il primo informava il secondo di avere la cocaina richiesta ("c'è quella famosa... che abbiamo parlato") e invitava l'interlocutore a leggere il messaggio che gli aveva lasciato sul cellulare dedicato. Tale messaggio recitava testualmente: "gentilmente trovate i 3.960... li dovete trovare... però domani vi porto i 200 che vi servono". Es.Gi. riferiva immediatamente il contento del messaggio a Co.An., lasciandosi andare a commenti. Con motivazione logica, il tribunale del riesame ha ritenuto che tali conversazioni e messaggi consentissero di respingere l'eccezione difensiva di ne bis in idem, non essendo il fatto di cui al capo 13) assorbito nella contestazione delittuosa di cui al capo 14). 3.E' di tutta evidenza che i motivi di ricorso non si confrontano con le argomentazioni del Tribunale che, sulla base di una puntuale disamina del contenuto delle conversazioni intercettate, della loro sequenza e concatenazione ha ritenuto accertate sia l'identificazione del Co.An., quale destinatario della consegna della partita di cocaina caduta in sequestro il 28 novembre 2020, sia la precedente consegna, della quale non era stato saldato il prezzo di acquisto e il cui pagamento veniva sollecitato dal Pe.Pa. Co.An. non risulta essere stato in diretto contatto con il ricorrente, ma l'ordinanza impugnata ne ha descritto e analizzato i contatti telefonici intrattenuti con Es.Gi., il mediatore dell'operazione che, trovandosi in Germania, il 2 ottobre 2020 lo aveva informato della richiesta di "quell'amico" di saldare una vecchia fattura e il successivo tentativo di incontro (dell'8 ottobre 2020), con Es.Gi. e Pe.Pa., documentato dai contatti telefonici e dai risultati del tracciamento GPS coordinati con quelli del servizio di osservazione allestito nei pressi della macelleria del Br.Sa., incontro fallito perché il Co.An. si avvedeva della presenza dei Carabinieri e allertava l'Es.Gi. Si tratta di risultanze che si saldano, componendo un quadro gravemente indiziario, con il contenuto delle conversazioni intercettate sull'utenza in uso a Co.An. a partire dal 26 novembre 2020, dalle quali emerge l'impazienza del ricorrente nell'attesa dell'arrivo del Pe.Pa. fino a quando l'Es.Gi., alle insistenze del Co.An., gli aveva letto, per rassicurarlo sull'arrivo del fornitore, il messaggio che aveva ricevuto dal ricorrente in merito al saldo delle sue spettanze (3.960,00 Euro), con la promessa che l'indomani avrebbe portato "i 200". L'epilogo della vicenda è noto poiché gii inquirenti avevano intercettato l'arrivo di Pe.Pa., traendolo in arresto, circostanza non conosciuta da Co.An. che, nel giorno fissato per l'appuntamento, esprimeva all'Es.Gi. tutto il suo malcontento, interrogandosi sulle ragioni del mancato arrivo del Pe.Pa. addebitandolo alla inadeguatezza di questi. 4. Quanto alle esigenze cautelari, il Collegio della cautela ha, puntualmente, evidenziato che il modus operandi e la spregiudicatezza dell'indagato conclamano il pericolo di reiterazione palesato dalle peculiari modalità organizzative del fatto, che ne escludono la occasionalità e che rivelano i collegamenti dell'indagato con ambienti criminali dediti al traffico di stupefacenti. L'ordinanza impugnata sottolinea, inoltre, la disponibilità dì un considerevole quantitativo di stupefacente da parte del ricorrente, non compatibile con un esclusivo uso personale, la gestione di una propria rete di acquirenti e consumatori, la professionalità dimostrata nelle trattative per la vendita di droga. Le conclusioni del Tribunale sono ineccepibili e bilanciano, in sede di scelta della misura da applicare, la necessità di prevenzione del pericolo di reiterazione con gli elementi che la difesa ha allegato a sostegno della insussistenza delle esigenze, quali la risalenza del fatto e il numero di operazioni nelle quali l'indagato è stato coinvolto. 5. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. Considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 28 febbraio 2024. Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PAVIA SEZIONE TERZA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice Cameli Renato ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 999/2023 promossa da: (...) elettivamente domiciliato in Vigevano (...) presso lo studio degli avv.ti (...) che lo rappresentano e difendono unitamente e disgiuntamente, giusta delega allegata i quali hanno dichiarato di voler ricevere comunicazioni come in atti PARTE ATTRICE contro (...) PARTE CONVENUTA CONCLUSIONI DELLE PARTI Parte attrice ha formulato le proprie conclusioni come da udienza del 19.3.2024 svoltasi in forma scritta, mediante deposito di note e, segnatamente, "Piaccia all'Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, così giudicare, Nel merito: previo ogni opportuno accertamento e declaratoria, - Accertare e dichiarare l'abuso dell'esercizio del diritto sul bene comune da parte del Sig. (...), in qualità di condomino del (...) (...), e l'occupazione illegittima del suolo antistante l'accesso al cortile/giardino privato della proprietà (...), per i motivi ampiamente esposti in atti, qui richiamati in toto. - Conseguentemente ordinare al Sig. (...), in qualità di condomino del (...), di lasciare libero di cose - con particolare riferimento all'auto/Suv, Marca Hyundai, Modello Tucson, Targa (...) il cortile comune condominiale, nel rispetto del regolamento di condominio e dell'uso delle parti comuni e, per l'effetto, condannare il Sig. (...) al risarcimento di tutti i danni patiti e patiendi (nessuno escluso) dall'attore (...), nella misura che sarà ritenuta di giustizia, occorrendo con determinazione in via equitativa. In ogni caso: con il favore delle spese e compensi professionali di causa ex D.M. 147/22 del presente giudizio e del procedimento di mediazione rubricato al n. 285/22 R.G" SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, il sig. (...) evocava in giudizio il sig. (...) al fine di ottenere, previo accertamento di abuso del diritto sulla cosa comune, condanna nei confronti del convenuto a lasciare libero da cose, con particolare riferimento all'auto/Suv, Marca Hyundai, Modello Tucson, Targa (...), il cortile comune condominiale, e, conseguentemente disporre condanna di risarcimento dei danni nei confronti del convenuto stesso. A supporto della propria domanda l'attore deduceva che: il sig. (...) era proprietario di un'unità immobiliare facente parte del condominio (...) sito in Vigevano (...); malgrado espressa previsione del regolamento condominiale, il sig. (...) era solito parcheggiare la propria autovettura nel cortile comune, ostacolando l'accesso all'attore e ai suoi famigliari; l'amministratore era stato avvisato della situazione e aveva provveduto a diffidare il (...) malgrado plurime diffide la condotta era proseguita; il (...), pur consapevole dell'uso improprio del cortile, aveva deciso di non intraprendere nessuna azione stante le plurime cause già in corso; pur ritualmente invitato il sig. (...) non aveva partecipato alla mediazione; il comportamento del (...) oltre che in contrasto con il regolamento condominiale, contrastava altresì anche con l'art. 1102 c.c. ; secondo la giurisprudenza costituiva abuso anche l'occupazione per pochi minuti del cortile comune; il sig. (...) doveva comunque lasciare la possibilità di accedere e retrocedere presso l'immobile. Pur ritualmente evocato in giudizio, il sig. (...) non si costituiva restando contumace. Assegnati i termini ex art. 183 sesto comma c.p.c. la causa era istruita mediante documentazione acquisita dalla parte attrice ed esame testimoniale. All'udienza del 19.3.2024, svoltasi in forma scritta, parte attrice precisava le conclusioni come da foglio depositato in via telematica CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1.La ricostruzione della fattispecie 2.La violazione degli obblighi gravanti sul CP_2 3.La domanda risarcitoria 4.Le spese del giudizio 1. La ricostruzione della fattispecie In punto di fatto l'attore, su cui incombeva l'onus probandi ex art. 2697 c.c., ha puntualmente dedotto e comprovato sia la qualifica di condomino del complesso condominiale sito in Vigevano (...), attraverso produzione di visura catastale (cfr doc. 1) nonché verbale di assemblea (doc.6), sia l'occupazione del cortile comune del citato condominio da parte di altro condomino, odierno convenuto, sig. (...) (...) mediante automobile all'auto/Suv, Marca Hyundai, Modello Tucson, Targa (...) sia la conseguente difficoltà, rectius quasi impossibilità nell'accesso o uscita dal cortile. In particolare, in ordine a quest'ultimo profilo, è stata prodotta rilevante e significativa documentazione, costituita dalle fotografie del cortile e da video attestanti univocamente il posizionamento del citato SUV, dedotto di proprietà del convenuto, parcheggiato in modo ostativo e comunque impeditivo il passaggio di altra vettura (cfr. doc. 3 e 3.1 nonché 9 e 10) A quest'ultimo proposito, segnatamente, in ossequio al maggioritario e preferibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, "le fotografie costituiscono prova precostituita della sua conformità alle cose e ai luoghi rappresentati, sì che la controparte che voglia inficiarne l'efficacia probatoria, non può limitarsi a contestare i fatti che la parte che l'ha prodotta intende con essa provare, ma ha l'onere di disconoscere tale conformità (in termini Cass. 9.4.2009 n.8682; Cass. 13.2.2004, n. 2780; Cass. 26.6.1998, n. 6322) Ad analoghe conclusioni è pervenuta la giurisprudenza in relazione ai video, desumendo tale principio direttamente dall'art. 2712 c.c. in relazione alla disciplina delle riproduzioni meccaniche (Cass. 28.01.2011, n.2117; Cass. 3.7.2001 n. 8998 e Cass. 22.4. 2010 n. 9526). Orbene nel presente giudizio, stante la contumacia del convenuto (su cui amplius infra), le fotografie e i video non sono stati disconosciuti né contestati specificatamente, risultando quindi idonei ad assumere valore probatorio in ordine alla specifica situazione di fatto sussistente nel cortile; dalle foto e dai video depositati si evince quindi l'ostacolo oggettivo alla possibilità di movimentazione dell'auto dell'attore in ragione della presenza del citato SUV di proprietà o comunque condotto dal convenuto (...) stabilmente posteggiato all'interno del cortile, in prossimità del garage dell'altro condomino; parimenti, stante la pluralità della documentazione acquisita in diverse fasi temporali si desume altresì una condizione di occupazione permanente e continuata. In secondo luogo, parimenti rilevante, a supporto della tesi attorea, il verbale di assemblea condominiale del 29.7.2022 in cui viene riportato come tutti i condomini si dichiaravano espressamente "consapevoli che il sig. (...) parcheggia in modo fisso e abituale la sua autovettura in parte comune" (doc.6): tale affermazione configura una dichiarazione di scienza, sebbene stragiudiziale, ma particolarmente qualificata sia in considerazione dei soggetti che la rendevano sia del contesto in cui avveniva. In terzo luogo, rilevano, sempre sul piano documentale, le plurime diffide depositate, inviate anche da soggetto qualificato e terzo rispetto alle parti, come l'amministratore condominiale (doc. 3 e 4). In quarto luogo, l'esito dell'istruttoria testimoniale ha ulteriormente confermato la tesi della parte attrice; anzitutto è risultato comprovato che il cortile condominiale del (...) sito in Vigevano (PV), (...), viene utilizzato dal condomino Sig. (...) quale parcheggio, sia nelle ore diurne che notturne, per il proprio Suv, Marca Hyundai, Modello Tucson, Targato (...), di colore nero utilizzando segnatamente, nello spazio prospiciente l'ingresso del cortile privato del condomino (...) ((...) " 2. Confermo che vedo parcheggiata l'auto citato e confermo le fotografie come mostrate. 3. Confermo il parcheggio nello spazio indicato; (...) "2. Confermo la circostanza e le foto; frequento il condominio una o due volte al mese da circa quattro anni e mezzo; quando mi reco in loco resto a lì dormire 3. Confermo lo spazio ove ho sempre visto la vettura" (...) "2. Confermo le foto e la circostanza; 3. Confermo" (...) "2. Confermo e riconosco le foto; io mi reco circa una volta la settimana; mi reco perché mi sono affezionata alla famiglia del sig. (...) in quanto ho cresciuto le sue bambine 3. Confermo; io vedo questa macchina). Parimenti confermato che lo spazio di cortile comune antistante la proprietà del condomino Sig. (...) è stato realizzato con la funzione di consentire le manovre di svolta in entrata/uscita dal cortile comune condominiale delle auto dei (...) (...) "4. Confermo la circostanza e il regolamento") Risulta altresì confermato che il condomino Sig. (...), parcheggiando il proprio Suv nel cortile comune del (...), nello spazio prospiciente l'ingresso del cortile privato del condomino (...), da un lato rende gravosa e/o difficoltosa l'entrata e l'uscita delle autovetture dei Condomini e dall'altro impedisce di fatto l'entrata e l'uscita dell'autovettura del condomino Sig. (...) dal cortile privato di proprietà (...) ((...) " 5. Confermo la difficoltà nel parcheggio; confermo i video e le foto 6. Non so se impedisce del tutto, comunque è un ostacolo e crea disagio" (...) " 5. Confermo 6. Confermo l'impedimento anche oggettivo " (...) " 5.Confermo il video e le foto 6.Confermo" (...)" 5. Confermo la circostanza e il video 6. Confermo") Conseguentemente i testi hanno affermato, in modo concorde ed univoco, che il Sig. (...) è stato costretto, in più di un'occasione, a parcheggiare la propria autovettura sulla pubblica via per tutta la notte e che il medesimo condomino Sig. (...). (...) e i suoi famigliari si sono trovati, in più di un'occasione, impossibilitati ad uscire con l'auto di famiglia dal cortile di proprietà (...) e, quindi ad utilizzarla, dovendo disdire impegni lavorativi e personali ((...)" 8. Confermo; due volte mi hanno chiamato il sig. (...) o la sua famiglia per contattarlo perché l'auto ostruiva l'uscita; a volte la parcheggia indietro e quindi si fa fatica a uscire " (...) "7. Tutt'ora, è capitato più di una volta che la macchina del sig. (...) sia stata parcheggiata sulla via perché non poteva entrare 8. Confermo; quando sono andato a casa loro è capitato più di una volta che non potessero uscire" (...) "8. Confermo; ho assistito personalmente agli episodi" (...) "8. Confermo; si sono trovati impossibilitati ad entrare e uscire; ho assistito personalmente alla situazione). Parimenti confermato che il condomino Sig. (...) denunciava all'Amministratore del Condominio "(...)", Sig.ra (...) la condotta del condomino (...) e che, nonostante le diffide il condomino Sig. (...) (...) ha continuato e continua tuttora a parcheggiare il proprio Suv, nel cortile comune condominiale ((...)" 9. Confermo 11. Confermo; ADR lui ha due proprietà e potrebbe entrare con la macchina nella sua proprietà senza ostacolare nessuno; lo fa "per dispetto" (...) "Confermo; ad oggi il sig. (...) continua a parcheggiare in quel modo ADR io mi reco in macchina ma non parcheggio mai all'interno" (...) "Confermo; io vedo la vettura tutte le mattine aprendo la finestra. ADR io sono inquilina e non proprietaria" (...) "Confermo"). Le dichiarazioni testimoniali sopra riportate sono univoche e coerenti in ordine al contenuto e, inoltre, sono state rese da soggetti qualificati (amministratrice di condominio sig.ra (...) ovvero comunque da persone terze rispetto alle parti e che hanno una assidua frequentazione dei luoghi risultando quindi attendibili. Pur ritualmente evocato in giudizio il sig. (...) non si è costituito nel presente giudizio restando contumace: la contumacia impedisce una ricostruzione alternativa delle circostanze alternativa a quella sopra esposta. In particolare, il preferibile orientamento, in giurisprudenza, pur escludendo effetti automatici, precisa come la contumacia "possa concorrere, insieme con altri elementi, a formare il convincimento del giudice (desumendo tale principio dall'art. 116 c.p.c., comma 2). (In termini Cass. 29.03.2007, n. 7739 Cass., 20.02.2006, n. 3601 secondo cui "la contumacia del convenuto se non equivale ad ammissione della esistenza dei fatti dedotti dall'attore a fondamento della propria domanda...tale condotta processuale costituisce tuttavia un elemento liberamente valutabile ex art. 116 c.p.c. (nel contesto di ogni altro acquisito) dallo stesso giudice ai fini della decisione (cfr. tra le altre: Cass. 7 marzo 1987 n. 2427; Cass. 20 luglio 1985 n. 4301)". Nello stesso senso Cass. 6 .2. 1998 n. 1293) In ragione di quanto esposto, coerentemente con la preferibile e recente giurisprudenza di merito, se è pur vero che la contumacia non può essere equiparata ad una generale non contestazione dei fatti costitutivi dedotti dalla controparte, purtuttavia la scelta processuale non collaborativa da parte della resistente, costituisce elemento idoneo a rafforzare le emergenze istruttorie ricavabili dall'esame dei documenti prodotti dalla stessa parte attrice, allorquando, in particolare, come nel caso di specie, l'atto di citazione già conteneva nel suo corpo un'analitica elencazione dei documenti offerti a corredo probatorio: in definitiva, la contumacia del convenuto è elemento rafforzativo delle circostanze dedotte dall'attore (Trib. Bari, 15.07.2015, n. 3275 Trib. Roma, 04.10.2017, n. 8040 Trib. Roma, 04.04.2017, n. 3223; Trib. Roma, 28.05.2016, n. 10898 Trib. Genova 20.1.2016 n. 209 Tribunale Napoli, 05.11.2012, n. 27275) In adesione a tale orientamento, la contumacia si configura quale ulteriore elemento, sia pure indiziario, a supporto della tesi del ricorrente, già comunque ampiamente supportata dalla documentazione sopra riportata e dall'istruttoria testimoniale espletata, a fortiori considerando le plurime comunicazioni intervenute in fase precedente al giudizio e diffide, nonché l'assenza in fase di mediazione. 2. La violazione degli obblighi gravanti condomino In via generale e in punto di diritto ai sensi dell'art. 1102 c.c. "ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto... Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso". Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, in relazione proprio all'utilizzo del cortile comune quale parcheggio, "l'uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ai sensi dell'art. 1102 c.c., al duplice divieto di alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto. Pertanto, deve ritenersi che la condotta del (...), consistente nella stabile occupazione - mediante il parcheggio per lunghi periodi di tempo della propria autovettura - di una porzione del cortile comune, configuri un abuso, poiché impedisce agli altri condomini di partecipare all'utilizzo dello spazio comune, ostacolandone il libero e pacifico godimento ed alterando l'equilibrio tra le concorrenti ed analoghe facoltà (Cass. Sez. 2, 24/02/2004, n. 3640).... l'art. 1102 c.c., sull'uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante alla comunione, non pone alcun margine minimo di tempo e di spazio per l'operatività delle limitazioni del predetto uso, sicché può costituire abuso anche l'occupazione per pochi minuti di una porzione del cortile comune, ove comunque impedisca agli altri condomini di partecipare al godimento dello spazio oggetto di comproprietà (Cass. Sez. 2, 07/07/1978, n. 340" (in termini recentemente con giurisprudenza citata Cass. 18.03.2019, n.7618) La condotta del (...) come descritta nel precedente paragrafo si pone quindi in contrasto con il principio generale stabilito ex art. 1102 c.c. come interpretato dalla giurisprudenza sopra riportata. A fortiori, sul punto ai sensi dell'art. 7 del Regolamento del plesso condominiale è stabilito l'espresso divieto ai Condomini di "parcheggiare automobili o mezzi di qualsiasi genere nel cortile comune o negli spazi comuni non idonei a tale uso" (cfr. doc. 2, art. 7); pertanto la condotta del convenuto si pone altresì in contrasto con le disposizioni regolamentari pacificamente vigenti tra i condomini. Risulta quindi fondata la domanda di parte attrice, essendo dimostrati i presupposti, in fatto e in diritto alla base della stessa e, segnatamente, la condotta contra legem del (...) consistente nell'occupazione di spazio condominiale (cortile) determinante l'impossibilità o estrema difficoltà per il (...) al parcheggio; il sig. (...) è quindi obbligato a lasciare immediatamente libero da cose e, in particolare, dalla sua vettura, il cortile condominiale, a partire dalla comunicazione della presente sentenza: non si accorda alcun termine a beneficio del convenuto stante la concotta reiterata ormai da più anni e la possibilità per questi di parcheggiare altrove 3. La domanda risarcitoria Parte attrice ha formulato domanda risarcitoria in relazione a tutti i danni patiti in conseguenza della condotta illecita del sig. (...) Orbene, in linea generale e in punto di diritto, in ossequio al preferibile orientamento della giurisprudenza di legittimità a cui il Tribunale presta adesione, la compressione del diritto di proprietà determina un pregiudizio economico risarcibile a beneficio di chi ha subito la privazione; segnatamente; "nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo, che è andata perduta...nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chieda il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato"; "nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito, quale quello che, in mancanza dell'occupazione, egli avrebbe concesso il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o che lo avrebbe venduto ad un prezzo più conveniente di quello di mercato".(in termini Cass. sez. un., 15.11.2022, n.33645) Tanto premesso in punto di diritto, nel presente giudizio parte attrice ha puntualmente dedotto e comprovato la lesione del diritto di proprietà su immobile - garage, subita dall'attore, sig. (...) in conseguenza della condotta del convenuto, sig. (...) che, attraverso il proprio parcheggio ne impedisce o, comunque ostacola gravemente l'utilizzo; sul piano temporale, parimenti comprovato che la citata condotta risulta perpetrata, almeno, a far data dal giugno 2021 , considerando che il 23.7.2021 era trasmessa la prima pec rivolta al (...) e in cui si contestava il reiterato posteggio già da qualche tempo, fissando quindi nell'inizio del mese precedente (1.6.2021) il dies a quo dell'arco temporale della violazione (cfr. doc. 5). Circa il pregiudizio economico effettivo le allegazioni attoree risultano tuttavia generiche non essendo in alcun modo dedotto e comprovato il valore locativo medio del parcheggio, il cui utilizzo è risultato essere, se non impedito, quanto meno compromesso dalla (...) A riguardo, non risulta allegata la Tabella O.M.I. del Comune di riferimento, né indicato altrimenti (contratti di locazione, annunci immobiliari etc.) un valore locativo presuntivo di mercato del box: unico dato certo è costituito dalla rendita catastale individuata in Euro 52,06 mensili come desumibile da estratto in relazione a immobile c/6 (doc. 1 pag. 5) Orbene, assumendo tale parametro come base di calcolo per una stima in via equitativa, il valore locativo del parcheggio, risulta pari a Euro 1.874,16 (52,06x 36, considerando il mese di giugno 2021 fino a maggio 2024). Considerando, in via equitativa, un pregiudizio al godimento dell'immobile non assoluto ma comunque significativo e maggioritario e, quindi, assumendo una lesione al diritto di proprietà di cui è titolare l'attore nella misura del 70%, il danno concretamente subito in termini economici risulta pari a Euro 1311,91. Trattandosi di posta risarcitoria, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, la somma indicata deve essere preliminarmente devalutata al momento della risoluzione, in quanto a quel momento del fatto illecito (che convenzionalmente è assunto in data 1.6.2021); l'importo ottenuto all'esito della devalutazione (1141,78) deve essere oggetto di rivalutazione, unitamente a maturazione di interessi, fino al momento dell'attualità, in quanto oggetto di risarcimento e quindi costituente debito di valore: a quest'ultimo proposito, come rilevato da giurisprudenza di Cassazione è necessario reintegrare pienamente "il valore del bene perduto (danno emergente) da un lato, ed il corrispettivo del mancato tempestivo godimento dell'equivalente pecuniario del bene predetto" (cfr. Cass. n. 1712 del 17.02.1995 e, successivamente, Cass. 21.06.2012 n. 10300 secondo cui "in virtù del divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione, gli interessi legali devono essere riconosciuti sull'intera somma devalutata alla data dell'infortunio ed anno per anno rivalutata sino alla data della pronuncia impugnata" (Cass. n. 18445 del 19.09.2005). In ragione di quanto esposto, l'importo dovuto a titolo risarcitorio risulta pari a Euro 1404,23 oltre interessi nella misura legale dalla data di pubblicazione della sentenza al soddisfo; inoltre, a partire dal mese di giugno, è comunque dovuta la somma di Euro 36,44 (pari al 70% di 52,06) per ogni mese in cui si verificheranno le occupazioni. 4. Le spese di giudizio Le spese di giudizio sono addebitate su parte convenuta in quanto soccombente ex art. 91 c.p.c. I compensi sono liquidati ex Dm 55/2014 per cause di valore indeterminabile complessità bassa applicando il parametro medio per le fasi di studio, introduttiva e istruttoria, minimo per la decisionale, prevalentemente ripetitiva di questioni già affrontate e stante la contumacia della convenuta risultando quindi pari a Euro 6164,00 oltre spese generali al 15% iva e cpa. nonché spese di marca e contributo; parimenti sono dovuti a carico del convenuto nonché le spese della fase di mediazione, i cui compensi, limitati alla fase di attivazione, si liquidano nel minimo e sono pari a Euro 268,00, oltre spese generali al 15% iva e cpa ed Euro 48,8 per spese di avvio. P.Q.M. Il Tribunale, ogni diversa istanza o eccezione disattesa o assorbita, definitivamente pronunciando, così dispone: - I) accoglie, per le ragioni di cui in motivazione, la domanda di parte attrice (...) e, per l'effetto: a) ordina Sig. (...), di lasciare immediatamente libero di cose con particolare riferimento all'auto/Suv, Marca Hyundai, Modello Tucson, Targa (...), il cortile comune condominiale, del (...), in Vigevano; b) ordina al sig. (...) di pagare la somma di Euro 1404,23 nei confronti del sig. (...) oltre interessi nella misura legale dalla data di pubblicazione della sentenza al soddisfo; c) ordina al sig. v di pagare la somma di Euro 36,44 nei confronti del sig. (...) per ogni mese a partire da giugno 2024 in cui si protrae l'occupazione; - II) condanna altresì parte convenuta (...) a rimborsare alla parte attrice (...) le spese di lite, che si liquidano in Euro 545,00 per spese ed Euro 6164,00 per compensi professionali, oltre spese generali pari al 15% dei compensi, c.p.a., nonché i.v.a., se prevista, secondo le aliquote di legge; III) condanna altresì parte convenuta (...) a rimborsare alla parte attrice (...) le spese della fase di mediazione, che si liquidano in Euro 48,80 per spese ed Euro 268,00 per compensi professionali, oltre spese generali pari al 15% dei compensi, c.p.a., nonché i.v.a., se prevista, secondo le aliquote di legge. Pavia, 30 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PARMA SECONDA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Cristina Ferrari, ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. R.G. 65/2024 promossa da: (...) il Patrocinio dell'avv. Ma.No. OPPONENTE contro (...) con il Patrocinio degli Avv.ti Gi.Co. e Lu.Co. OPPOSTA OGGETTO: "Opposizione a decreto ingiuntivo n. 1378/2023 emesso dal Tribunale di Parma il 16.11.2023". Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con il decreto qui opposto è stato ingiunto a (...) il pagamento in favore di (...) (...) della somma di Euro 217.738,60, oltre interessi e spese di procedura, a titolo di corrispettivo dei servizi di logistica integrata oggetto del contratto stipulato tra le parti il (...) 18.05.2022 ed esposti nelle fatture prodotte e azionate da n. 522, n. 610, n. 670, n. 691, n. 744 tutte dell'anno 2023. (...) ha resistito alla pretesa creditoria, eccependo preliminarmente l'improponibilità della domanda di pagamento, poiché presente clausola di mediazione obbligatoria nel contratto suddetto; nel merito, ha dedotto la parziale inesigibilità del credito alla data del deposito del ricorso monitorio, non essendo al tempo ancora scadute le fatture n. 670, n. 691 e n. 744, e l'inadempimento di (...) per aspetti afferenti al ritardo nelle prestazioni fornite, all'insufficienza degli spazi-magazzino e sostanziale disorganizzazione. L'ingiungente, costituendosi, ha insistito nell'accoglimento della propria domanda di pagamento nei confronti di (...). Con riguardo al profilo preliminare di improcedibilità della domanda per violazione della clausola pattizia di mediazione, ha operato richiamo al vigente art. 5 sexies D.Lgs. n. 28/2010, introdotto dalla cd. Riforma Cartabia, che rimanda alla disciplina della mediazione obbligatoria nei casi previsti per legge, con correlata operatività degli artt. 5 e 5 bis stesso decreto, da cui la possibilità per il Giudice, nel caso di specie, di pronunciarsi sugli effetti del decreto ingiuntivo e differire l'udienza di trattazione per consentire l'esperimento del tentativo di mediazione avanti la Camera arbitrale di Milano, come da contratto. In sede di verifiche preliminari ex art. 171 bis c.p.c., la scrivente ha ritenuto di non assegnare i termini per il deposito delle memorie ex art. 171 ter c.p.c., assumendo che la questione preliminare di rito sollevata da (...) - sulla quale (...) ha preso posizione nella comparsa costitutiva e nell'ambito della discussione orale odierna nei termini sopra riportati - sia idonea a definire la lite. L'eccezione di improcedibilità è fondata alla luce dello specifico contenuto della clausola convenzionale di mediazione di cui all'art. 18.2 del contratto concluso tra le parti il 18.05.2022, la cui validità ed efficacia non sono oggetto di contestazione alcuna: la vincolatività delle clausole in esso presenti, per opponente e opposta, è perciò del tutto pacifica. Non viene neppure in rilievo questione di abusività o vessatorietà della clausola sub 18.2, e così una sua possibile inoperatività - una volta verificato che il contratto in questione è redatto su modulo prestampato -, poiché concluso il contratto tra imprenditori commerciali e resa oggetto di specifica approvazione da parte di (...) la pattuizione al punto 18 denominata "Legge applicabile e foro competente", in cui è compresa la previsione negoziale qui rilevante che di seguito si riporta testualmente. 18.2: "Le parti sottoporranno tutte le controversie derivanti dal presente contratto o collegate ad esso - ivi comprese quelle relative alla sua interpretazione, validità, efficacia, esecuzione e risoluzione - al tentativo di mediazione (di seguito "la Mediazione") presso il servizio di conciliazione della Camera Arbitrale di Milano e, secondo le disposizioni del suo regolamento, che le parti espressamente dichiarano di conoscere e di accettare integralmente. Le parti si impegnano a ricorrere alla mediazione prima di iniziare qualsiasi procedimento giudiziale. Qualora le parti non dovessero addivenire ad una soluzione bonaria ... il foro di Parma". Il chiaro tenore letterale della clausola evidenzia la comune volontà dei contraenti di sottoporre obbligatoriamente all'organo di mediazione individuato ogni eventuale controversia derivante dal contratto prima di adire, in qualunque forma, l'Autorità giudiziaria. Sono così manifestati da (...) e (...) il comune favore verso la modalità di soluzione stragiudiziale di ogni controversia derivante dal contratto del maggio 2022 e la solo residuale possibilità di adire il Giudice una volta percorsa infruttuosamente la via della definizione bonaria della vicenda. La violazione della volontà comune, come trasfusa nel citato art. 18.2, da parte di (...) (...) è macroscopica, per avere la stessa adito in via monitoria il Tribunale di Parma onde ottenere il decreto ingiuntivo qui opposto. Tale situazione non è pienamente sussumibile nella previsione dell'art. 5 sexies D.Lgs. n. 28/2010 introdotto dal D.Lgs. n. 149/2023, norma che non permette affatto di superare la cristallina previsione negoziale di anteporre la mediazione avanti la Camera Arbitrale di Milano a qualsiasi iniziativa giudiziale, e dunque anche a quella speciale sommaria intrapresa dal (...) creditore Va altresì notato che l'art. 5 sexies, in tema di mediazione statutaria/contrattuale non richiama la specifica norma di cui all'art. 5 bis, regolatrice del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo in caso di mediazione obbligatoria ex lege, ma unicamente i commi 2, 5, e 6 dell'art. 5 del D.LGS. n. 28/2010; di conseguenza non vi è quella possibilità - invocata dalla società opposta - di pronunciare sull'efficacia provvisoria del decreto ingiuntivo ottenuto attraverso la violazione contrattuale e di posticipare l'esame del merito al previo esperimento del tentativo di mediazione, poiché tale soluzione è inosservante degli effetti voluti dal contratto, vincolante ex art. 1372 cod. civ., attraverso cui le parti si sono imposte di esercitare il loro diritto di agire in giudizio - anche in via monitoria - solo dopo l'esperimento infruttuoso del tentativo di mediazione. La portata della clausola 18.2 non può dunque essere interamente assorbita nella nuova previsione normativa dell'art. 5 sexies citato, poiché operare in tal senso significherebbe di fatto privarla di ogni effetto utile, rappresentato in modo inequivoco dal testo della pattuizione. Pertanto l'azione introdotta da (...) con il ricorso per decreto ingiuntivo, instaurata dalla società senza prima avere ottemperato all'obbligo negoziale stabilito nella clausola 18.2 delle condizioni di contratto, non è procedibile. Ne consegue la revoca del decreto ingiuntivo n. 1378/2023 emesso dal Tribunale di Parma il 16.11.2023. Le spese del giudizio di opposizione debbono seguire la soccombenza e sono liquidate sui valori minimi di scaglione, stante le concentrazione delle fasi processuali effettivamente svolte. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso da (...) nei confronti di (...) - Revoca il decreto ingiuntivo n. n. 1378/2023 emesso dal Tribunale di Parma il 16.11.2023 e (...) dichiara l'improponibilità della domanda avanzata da (...) contro (...) (...) - Condanna parte opposta a rifondere a (...) le spese processuali che liquida in Euro 4.217,00 per compensi, oltre a spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge. Così deciso a Parma il 30 maggio 2024
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI GENOVA Sezione III Civile Composto dai (...) Rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa RG (...)/2020 promossa da: (...) rappresentato e difeso dall'avv. (...) ed elettivamente domiciliat (...) presso l'avv. (...) per mandato in atti (...) contro (...) e (...) rappresentati e difesi dall'avv. (...) ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest'ultimo in (...), per mandato in atti (...)(...) "Voglia l'(...)ma Corte d'Appello adita, contrariis reiectis, in accoglimento del proposto gravame ed in riforma dell'impugnata sentenza n. (...)/2020 del 05.11.2020, depositata in pari data, notificata a mezzo pec in data (...), emessa dal Tribunale Civile della (...) in composizione monocratica, resa nel giudizio recante R.G. n. (...)/2015, per l'effetto: - in via principale: per le ragioni partitamente esposte nel corpo del presente atto, in accoglimento del proposto gravame e previa ammissione delle istanze istruttorie richieste e non ammesse in primo grado, ritrascritte di seguito in calce: - accertata e dichiarata la nullità dell'atto a rogito Notaio Dott. (...) di (...) del 04.03.2010 - Rep. n. (...), Racc. n. (...), registrato in data (...) - denominato "Vitalizio", stipulato tra la sig.ra (...) ed il sig. (...) giusta sentenza parziale n. (...)/2023 del 7/2/2023 emessa da codesta (...)ma Corte d'Appello nel presente giudizio RG (...)/2020; - Conseguentemente accertare e dichiarare, anche per accertata e dichiarata malafede del terzo, l'inesistenza/nullità/annullabilità, totale e parziale / inefficacia anche dei successivi atti dispositivi sull'immobile de quo, ovvero dei contratti di vitalizio a rogito Notaio Dott. (...) di (...) del 06.09.2013 - Rep. n. (...), Racc. n. (...), registrato a (...) il (...) e trascritto in pari data presso la (...) di (...) al (...) Gen. n. (...), Reg. Part. n. (...) - e di compravendita a rogito Notaio Dott. (...) del 12.02.14, stipulati tra il sig. (...) e la sig.ra (...) - Condannare il terzo possessore, anche per accertata e dichiarata malafede del terzo, condannare il terzo possessore alla restituzione ed all'immediato rilascio, libero da persone e vuoto da cose, dell'immobile sito in (...) n. 6, in favore dell'eredità della sig.ra (...) - ricostruire l'intera massa ereditaria (relictum e donatum) della de cuius, sig.ra (...) tenendo conto di tutti i cespiti ed in particolare dell'immobile de quo, con i relativi frutti, nonché dei denari dalla stessa posseduti derivanti dalla vendita degli immobili palermitani di cui in narrativa; - attribuire all'attore, (...) una quota pari ad un terzo dell'eredità, salva quota diversa ritenuta giusta ed equa; - condannare il sig. (...) nonché, in caso di accertata malafede, la sig.ra (...) al risarcimento, in solido o pro quota, dei danni patiti dall'attore in conseguenza del mancato godimento dell'immobile da quantificarsi nella misura di un terzo, salvo diversa quota ritenuta di giustizia, dell'indennità di occupazione, pari ad Euro. 550,00 mensili, salvo maggiore o minore determinazione in corso di causa, dalla data del decesso della sig.ra (...) (04.12.2012) fino all'effettivo rilascio, o in quella maggiore o minore somma ritenuta di giustizia, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, se ed in quanto dovuta; - in ogni caso: con vittorie di spese e spettanze di entrambi i gradi di giudizio, nonché delle spese di Ctu espletata in primo grado. In via istruttoria: si insiste per l'ammissione dei mezzi istruttori già richiesti e non ammessi in primo grado e reiterati in sede di precisazione delle conclusioni ovvero: I) Si chiede ammettere interrogatorio formale della sig.ra (...) sui seguenti capitoli: a) alla data di settembre 2013 era disoccupata; b) dica comunque a quanto ammontavano le sue entrate mensili; c) alla data di febbraio 2014 era sempre disoccupata; d) dica comunque a quanto ammontavano le sue entrate mensili; e) ad oggi è tuttora disoccupata; f) dica comunque a quanto ammontano le sue entrate mensili; g) la sua relazione sentimentale con il sig. (...) è iniziata nel luglio 2012. Si chiede, altresì, ammettersi interrogatorio formale del sig. (...) sui seguenti capitoli: h) percepisce uno stipendio/pensione di circa Euro. 2.000,00 mensili. II) Si chiede ammettersi prova per testi sulle circostanze di seguito capitolate, da intendersi precedute dal rituale "vero che", ad eccezione di quelle vertenti su fatti che il (...) ritenesse già provati documentalmente e/o pacifici e/o incontestati: 1. DVC: conferma in ogni sua parte la perizia di stima che le viene rammostrata quale doc. 6 fasc. Avv. (...) Si indicano a testi, sui capitoli che precedono, il (...) da (...), salvo se altri. III) Si chiede ammettersi Ctu contabile, volta a ricostruire l'intero patrimonio della defunta (relictum e donatum) stabilendone la divisibilità o meno in quote, fissazione dell'entità delle quote, previa riduzione delle disposizioni lesive nei modi di legge, pervenendo alla quota da assegnare all'attore. - IV) Si chiede emettersi ordine d'esibizione, ex art. 210 cpc, nei confronti dell'ASL 5 "Spezzino", del fascicolo sanitario e dei nominativi dei medici che hanno seguito nei suoi ultimi cinque anni di vita la sig.ra (...) c.f. (...), già oggetto di specifica richiesta a mezzo pec del 10.05.17 e successivo rifiuto da parte dell'(...) (cfr. doc. 16 e 29, qui prodotti) al fine di sentirli a testimoni in ordine al quadro clinico ed alle eventuali patologie cui la stessa era affetta in detto periodo, ed in particolare sui seguenti capitoli, salvo di ulteriori a seguito dell'esame del fascicolo sanitario: 2. DVC: descriva il quadro clinico e dica di quali patologie era affetta la sig.ra (...) dall'anno 2008 sino alla data del decesso. Si chiede emettersi ordine d'esibizione, ex art. 210 cpc, nei confronti della sig.ra (...) e di (...) spa, dell'estratto di conto corrente dal quale è stato emesso l'assegno bancario non trasferibile n. 8234667749-09 tratto su banca (...) spa in data (...) in favore del sig. (...) nonché ordine d'esibizione, ex art. 210 cpc, nei confronti del medesimo (...) e di (...) spa, dell'estratto di conto corrente dal quale risulta l'incasso ed il successivo accreditamento del predetto assegno. - Si chiede emettersi, altresì, ordine d'esibizione, ex art. 210 cpc, nei confronti del sig. (...) e della banca (...) spa, dell'estratto di conto corrente avente (...) n.(...), risultante aperto sulla filiale di (...) (conto corrente sul quale sono stati effettuati da parte dell'attore i due bonifici delle somme spettanti al sig. (...) ed alla sig.ra (...) in virtù del verbale di conciliazione giudiziale di cui sub doc. 10) relativo al quinquennio antecedente la data di decesso della sig.ra (...) (04.12.12). Si chiede, da ultimo, emettersi ordine d'esibizione, ex art. 210 cpc, nei confronti di banca (...) spa, dell'estratto di conto corrente (da giugno 2007 a dicembre 2008) cointestato ai sigg.ri (...) e (...) sul quale risultano essere stati incassati i bonifici bancari della (...) di (...) spa, filiale di (...) in data (...) e in data (...), entrambi della somma di Euro. 40.000,00, aventi rispettivamente n. CRO (...) e n. CRO (...), risultanti dall'atto di compravendita a rogito (...) del 22.07.08 (cfr. doc. 7 fasc. Avv. (...). In caso d'ammissione di eventuali capitoli avversari, si chiede sin d'ora di sentire i testi in controprova sui medesimi capitoli avversari". (...) "Piaccia alla (...)ma Corte, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione reiecta, previa, ove ritenuto, ammissione delle prove per interpello e testi, di cui alla memoria ex art. 183, comma VI, n. 2, c.p.c. del 1/6/2017, rigettare l'appello ex adverso interposto nei confronti della sentenza del Tribunale della (...) n. 2(...)/2020, pubblicata in data (...), in quanto i residui motivi di gravame ex avverso proposti sin qui non esaminati da (...)ma Corte sono inammissibili e/o invalidi e/o infondati in fatto ed in diritto, nonché carenti di supporto probatorio, con conseguente conferma della predetta sentenza in parte qua. Vinte le spese, compensi e accessori del presente grado di giudizio. Clausola concessa come per legge". FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE Il sig. (...) conveniva in giudizio innanzi al Tribunale della (...) il fratello (...) e la signora (...) e, in contraddittorio con gli eredi della sorella (...) chiedeva: l'accertamento della qualità di erede della madre (...) la nullità dell'atto notarile denominato "vitalizio" del 4/3/2010 stipulato tra la madre (...) ed il fratello (...) per mancanza requisiti di legge e insussistenza della causa; (...) della malafede del terzo ((...) con conseguente invalidità dei successivi atti dispositivi dell'immobile, e cioè il vitalizio del 6/9/2013 stipulato tra il sig. (...) e la signora (...) e l'atto di compravendita stipulato tra il sig. (...) e la signora (...) del 12.2.2014; La condanna alla restituzione dell'immobile a carico del terzo possessore; La ricostruzione della massa ereditaria, attribuzione della quota di un terzo, il risarcimento dei danni per mancato godimento dell'immobile. Nel giudizio di primo grado si costituivano i signori (...) e (...) che chiedevano il rigetto della domanda, nonchè i signori (...) e (...) rispettivamente marito e figli della defunta signora (...) che formulavano domande analoghe a quelle di (...) Innanzi al Tribunale veniva esperita la mediazione obbligatoria, che dava esito negativo; veniva disposta CTU sul valore dell'immobile oggetto di vitalizio ed erano respinte tutte le altre istanze istruttorie. LA SENTENZA N. (...)/2020 PUBBLICATA IL (...) TRIBUNALE (...) dava atto dell'apertura della successione della signora (...) (madre); dichiarava la validità del contratto del 4/3/2010 di vitalizio stipulato tra la signora (...) ed il figlio convivente (...) riteneva il Tribunale che l'età anagrafica della signora (...) (88 anni) di per sé sola non costituisse elemento atto a far venir meno il requisito dell'alea; che non risultava che la (...) fosse affetta da malattie o patologie da far presumere un imminente decesso; che sussistesse dunque incertezza in merito alla possibilità di sopravvivenza, e che le addotte difficoltà di deambulazione non fossero rilevanti; che il prezzo indicato in atto pubblico fosse congruo, come confermato dalla CTU esperita in corso di causa; che risultava che il (...) avesse sempre assistito la madre, sostenendo le relative spese, mentre nessuna delle altre parti aveva prodotto ricevute di spese mediche; che con la pensione di Euro 1.300,00 la (...) potesse solo sostenere i costi vivi della badante signora (...) che assisteva l'anziana dal 2009, mentre per il periodo precedente risultava vi avesse provveduto il figlio convivente (...) respingeva la domanda di accertamento della malafede della signora (...) e di accertamento della nullità/invalidità/inefficacia del contratto di vitalizio del 6/9/2013 stipulato tra il sig. (...) e la signora (...) avente ad oggetto il diritto di usufrutto sull'immobile a suo tempo oggetto del vitalizio stipulato tra (...) e la propria madre in data (...), nonché dell'atto di compravendita del 12/2/2014 avente ad oggetto la nuda proprietà del medesimo immobile; il giudice rilevava in particolare che quest'ultimo atto risultasse giustificato da motivi fiscali comprovati dal fatto che due giorni dopo il (...) acquistava altro immobile in (...) il Tribunale della (...) non riteneva sussistenti elementi per valutare la malafede della (...) Il giudice respingeva la domanda subordinata di simulazione dell'atto di vitalizio del 2010; respingeva tutte le altre domande (di restituzione e rilascio immobile, ricostruzione massa ereditaria, attribuzione della quota e risarcimento del danno). Con atto d'appello il sig. (...) impugnava la predetta sentenza del Tribunale della (...) svolgendo sette motivi d'appello: 1° MOTIVO (...) censura la statuizione del Tribunale che ha qualificato l'atto del 4/3/2010 come vitalizio improprio e che ha rigettato le istanze istruttorie, consistenti nell'interrogatorio e prova per testi, nonché gli ordini di esibizione ex art. 210 c.p.c. Il Tribunale avrebbe illegittimamente e contraddittoriamente respinto le istanze istruttorie e contemporaneamente addebitato all'attore ed agli intervenuti il mancato assolvimento dell'onere probatorio; l'appellante insiste per l'ammissione delle prove per interrogatorio e testi, per l'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. di documenti medici e bancari, ritenendo le richieste fondate e necessarie. 2° MOTIVO (...) contesta la sussistenza dell'alea del contratto di vitalizio, considerata l'età avanzata (88 anni) e le condizioni della signora (...) desumibili dalla assunzione di una badante, dal riconoscimento di una pensione di invalidità, dal fatto che avesse conferito procura per la stipula per la vendita degli immobili palermitani, che la predetta fosse stata sottoscritta presso la propria abitazione, che nel contratto di vitalizio si fosse dato atto dell'impossibilità di firmare. In considerazione di tali elementi, l'appellante insiste per l'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. dei documenti medici. 3° MOTIVO Con il terzo motivo l'appellante contesta la sentenza nella parte in cui ha ritenuto irrilevante la dichiarazione del valore dell'immobile nell'atto di vitalizio; l'appellante richiama la valutazione del prezzo dell'immobile da parte del CTU in Euro 143.000,00, lamenta la fittizietà del prezzo indicato nell'atto di vitalizio (Euro 53.550,00) ed insiste nella domanda di nullità dell'atto per l'inesistenza del prezzo anche per la "confessione" del (...) di aver indicato la somma ai soli fini fiscali. La differenza del prezzo indicato in atto pubblico rispetto al valore dell'immobile sarebbe indicativa della simulazione del contratto di vitalizio del 4/3/2010; in ogni caso, sarebbe indicativa della sproporzione tra le prestazioni. 4° MOTIVO (...) contesta la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto insussistente la sproporzione tra il valore del bene e le prestazioni del (...) il sig. (...) contesta che solo il sig. (...) si sarebbe occupato della madre dal 2004 in quanto anch'egli avrebbe contribuito alle spese di assistenza; in ogni caso, rileva che la circostanza non sarebbe oggetto di esame nel presente giudizio; osserva che la signora (...) era assistita da una colf fino al 2009 e, dopo tale data, dalla badante ((...); che la madre godeva di pensione e poteva contare sulla rendita degli immobili palermitani. In definitiva, in detto contratto di vitalizio mancherebbe l'alea e la proporzionalità tra le prestazioni. 5° MOTIVO (...) censura la motivazione del Tribunale in ordine al rigetto dell'accertamento della mala fede del terzo signora (...) in relazione alla stipula dei successivi atti di disposizione dell'immobile, nonché al rigetto delle domande di restituzione, rilascio e risarcimento dei danni. Con riferimento al successivo atto di vitalizio del 6/9/2013 con cui il (...) aveva ceduto alla signora (...) la nuda proprietà nonché all'atto del 12/2/2014 di cessione dell'usufrutto dell'immobile oggetto del vitalizio, l'appellante lamenta la mancata prova del pagamento del prezzo da parte della (...) al (...) ed insiste sulle istanze istruttorie, cioè l'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. nei confronti della (...) ed (...) dell'estratto del conto corrente dal quale è stato emesso l'assegno bancario in pagamento del prezzo, nonché analoga richiesta ex art. 210 c.p.c. nei confronti del (...) dedurrebbe la malafede della (...) dal fatto che nel contratto di vitalizio stipulato tra la (...) ed il sig. (...) si dava atto che la prima sin dal 2009 avrebbe fornito prestazioni assistenziali, in contraddizione con il fatto che nel contratto di vitalizio del 2010 il (...) affermava di aver fornito prestazioni assistenziali alla propria madre. 6° MOTIVO (...) insiste per l'accoglimento della domanda subordinata di simulazione del contratto del 4/3/2010 per essere una donazione o un vitalizio misto a donazione e per l'accoglimento della "conseguente domanda di riduzione ex art. 555 e ss c.c."; chiede che venga dichiarato che la predetta donazione dissimulata eccede la quota di cui la de cuius poteva disporre, al fine di reintegrare la quota di legittima spettante al (...) (1/3 del patrimonio). 7° MOTIVO (...) impugna la condanna alle spese, chiedendone la riforma in ragione dell'accoglimento dei motivi d'appello. Si costituivano in giudizio nel presente grado (...) e (...) che chiedevano il rigetto dell'appello. La Corte con ordinanza del 25/3/2021 la Corte dichiarava la contumacia di (...) e (...) All'udienza del 15/9/2022 le parti precisavano le conclusioni come in epigrafe trascritte e la Corte tratteneva la causa in decisione, concedendo i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche. Con sentenza parziale del 7/2/2023 la Corte, in parziale accoglimento dei motivi d'appello proposti e, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della (...) n. (...)/2020 pubblicata il (...), così decideva: - dichiara la nullità dell'atto a rogito (...) di (...) del 04.03.2010 - Rep. n. 139.397, Racc. n. 29.320, registrato in data (...) - denominato "Vitalizio", stipulato tra la sig.ra (...) ed il sig. (...) - Rimette la causa in istruttoria con separata ordinanza; - Spese al definitivo. Con ordinanza in pari data, vista la domanda di ricostruzione dell'asse ereditario formulata dall'appellante e ritenuta incontestata la qualità di eredi delle odierne parti in causa, la Corte rimetteva la causa in istruttoria con separata ordinanza per il conferimento al CTU dell'incarico di ricostruire la massa ereditaria. Il CTU depositava la relazione peritale. All'udienza del 15/9/2023 le parti precisavano le conclusioni come in epigrafe trascritte e la Corte tratteneva la causa in decisione, concedendo i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche. Il presente giudizio trae origine dal contratto di c.d. "vitalizio alimentare" stipulato con atto per (...) dott. (...) in data (...), denominato "Vitalizio", con il quale la signora (...) cedeva al figlio sig. (...) l'intero diritto di proprietà del bene immobile sito in (...) privata (...) n. 6, riservandosi l'usufrutto; quale corrispettivo, il sig. (...) si impegnava a provvedere al completo mantenimento della cedente (...) per tutta la di lei vita, sia in stato di salute che di infermità, fornendole assistenza, alloggio, vitto e cure. Detto contratto è stato dichiarato nullo con la sentenza parziale di questa Corte del 7/2/2023 in quanto, considerata l'età della vitaliziata e l'aspettativa di vita, nonché le condizioni di estrema debolezza di cui essa era attinta, si riteneva ravvisabile una palese sproporzione tra le prestazioni di cura ed assistenza poste a carico del sig. (...) ed il valore del cespite oggetto di trasferimento, determinato dalla CTU esperita in primo grado, con riferimento alla nuda proprietà, alla data della stipula del contratto (2010), in Euro 143.000,00. Tali elementi consentivano di affermare l'insussistenza dell'alea e la sproporzione tra il valore del bene ceduto con il contratto di vitalizio e l'obbligo assunto dal (...) che era anche coadiuvato da una colf e/o da una badante, che viveva insieme alla madre nell'alloggio di proprietà di quest'ultima, non completamente priva di redditi, in quanto titolare di pensione; risultava inoltre che alcune spese erano state suddivise con il fratello (...) I primi quattro motivi d'appello sono stati esaminati e decisi dalla sentenza parziale del 7/2/23 che ha dichiarato la nullità dell'atto notarile denominato "vitalizio" del 4/3/2010 di cui sopra. La Corte esamina il motivo quinto e lo respinge in quanto infondato. Il sig. (...) proprietario dell'alloggio sito in (...) in virtù del vitalizio stipulato il (...) con la propria madre, dopo il decesso di quest'ultima avvenuto il (...), il (...) stipulava a sua volta un contratto di vitalizio con la signora (...) con detto vitalizio il sig. (...) cedeva l'usufrutto dell'alloggio di (...) in cambio dell'assistenza vita natural durante da parte della (...) con successivo atto pubblico del 12/2/2014 il (...) cedeva la nuda proprietà del medesimo alloggio alla signora (...) La domanda di nullità degli atti di vitalizio del 2013 e di vendita del 2014, previo accertamento della malafede del terzo signora (...) non può essere accolta per la mancanza di prova sul punto, in quanto la parte appellata non ha assolto all'onere probatorio e non risultano elementi dai quali desumere la mala fede della signora (...). 1445 c.c. prevede l'inopponibilità dell'annullamento ai terzi acquirenti in buona fede a titolo oneroso, fatti salvi gli effetti della preventiva trascrizione della domanda di annullamento rispetto all'atto d'acquisto. A riguardo va considerato che costituisce principio generale quello secondo cui la buona fede si presume (v. Cass. 8258/1997, secondo cui il principio della presunzione di buona fede ha portata generale). Pur essendo possibile offrire la prova contraria mediante presunzioni semplici ex art. 2729 c.c., la presunzione in questione non è vinta dall'allegazione del mero sospetto di una situazione illegittima essendo, invece, necessario che l'esistenza del dubbio promani da circostanze serie, concrete e non meramente ipotetiche, la cui prova deve essere fornita da colui che intenda contrastare detta presunzione legale di buona fede (v. Cass. 6648/2000). La signora (...) veniva assunta come badante della signora (...) nel 2009 e - per stessa impostazione delle difese dell'appellante - non ha rivestito alcun ruolo nella stipula del contratto di vitalizio del 2010 tra (...) e la madre (...) Deve sottolinearsi che il contratto di vitalizio del 4/3/2010 è stato dichiarato nullo in considerazione della mancanza dell'alea, in accoglimento della domanda in via principale formulata dal (...) rimanendo incontestato che (...) conviveva con la madre dal 2004 e che quantomeno da tale data, seppure con la collaborazione di una colf prima e della badante in seguito, le aveva prestato assistenza. Il contratto di vitalizio non va confuso con il mantenimento, che è circoscritto ad un esborso di denaro periodico; il dovere del vitaliziante non contiene una semplice prestazione materiale, e pertanto non riguarda solo la sfera economica, ma anche, e principalmente, interessa una continuativa assistenza ed altre utilità, come il sostegno morale e spirituale, essendo anzi questi secondi aspetti ritenuti prevalenti. Pertanto, alcuna contraddizione o anomalia come affermato dall'appellante - può rinvenirsi tra le prestazioni assistenziali prestate dal (...) alla propria madre, di natura anche affettiva ed oggetto del vitalizio e l'assistenza prestata dalla colf e dalla badante all'anziana, in quanto si tratta di prestazioni ontologicamente differenti e non sovrapponibili. Le stesse considerazioni valgano in relazione al contratto di vitalizio stipulato tra il sig. (...) e la signora (...) nel 2013, quando essa non era più badante dell'anziana, deceduta nel 2012. Alla data della stipula del vitalizio - che contemplava il trasferimento della nuda proprietà dell'immobile di (...) - il sig. (...) ne era legittimo proprietario da circa tre anni, né risultano avanzate eventuali richieste formali da parte dell'appellante sino al 28/9/2015, data dell'introduzione del presente giudizio, neppure preceduto dalla mediazione, esperita in corso di causa innanzi al Tribunale. Di nessun rilievo deve ritenersi la dichiarazione in atto pubblico da parte della (...) di aver prestato assistenza al (...) sin dal 2009, circostanza confermata dal fatto che ella continuava a risiedere presso l'abitazione di questi anche dopo il decesso della madre. Risulta documentale che il (...), solo due giorni dopo il successivo trasferimento dell'usufrutto dell'immobile alla signora (...) in data (...), il sig. (...) acquistava un altro immobile, a sé solo intestato; considerato la pressoché contestualità dei due atti, l'operazione appare giustificata dai motivi fiscali addotti dalle parti contraenti e richiamati dal Tribunale. Il prezzo di vendita dell'usufrutto sull'immobile indicato in atto pubblico (Euro 70.000,00) può considerarsi aderente al valore di mercato; le modalità di pagamento del prezzo, consistenti nel pagamento di un acconto di Euro 10.000,00, e saldo a mezzo pagamenti rateali, sono coerenti con la disponibilità patrimoniale della signora (...) A ciò si aggiunga che i signori (...) e (...) contraevano matrimonio dopo qualche mese, in data (...) (v. Atto matrimonio doc. 5 appellante), per cui i trasferimenti immobiliari descritti nel presente giudizio si inserivano nella definizione dei rapporti patrimoniali tra i predetti. (...) insiste nell'accoglimento delle prove orali, consistenti nella richiesta di interrogatorio formale di entrambi gli appellati, già ritenute irrilevanti ed inammissibili dal primo giudice con ordinanza del 16/10/2017: le circostanze capitolate con interrogatorio formale riguardano principalmente la condizione economica della signora (...) - in maniera generica - nonché l'inizio della relazione sentimentale della medesima con l'attuale coniuge (...) che - in ogni caso - viene individuata dagli stessi appellanti al 2012, cioè in epoca successiva alla stipula del vitalizio tra il (...) e la madre, avvenuta nel 2010. Devono essere altresì respinte le richieste ex art. 210 c.p.c. di ordine di esibizione dei conti correnti al fine di verificare l'incasso dell'assegno del pagamento del prezzo nel 2014 e la produzione di documenti medici della de cuius. Tali circostanze devono ritenersi tutte irrilevanti ai fini della prova della supposta mala fede della signora (...) di cui, anche considerando la mancanza di contestualità della stipula degli atti impugnati, non risultano evidenze. Il motivo deve pertanto essere respinto. La Corte ritiene assorbito il motivo sesto relativo alla domanda subordinata di simulazione del vitalizio del 2010, essendo già stata accolta la domanda principale di dichiarazione di nullità del vitalizio del 2010 per mancanza di alea. La Corte esamina la domanda di ricostruzione dell'intera massa ereditaria (relictum e donatum) della de cuius, sig.ra (...) da accogliersi per i motivi infra indicati. In conseguenza della dichiarazione di nullità del contratto di vitalizio del 4/3/2010, il bene immobile oggetto del predetto vitalizio rientra nell'asse ereditario della defunta signora (...) Il sig. (...) ha richiesto, in via sussidiaria, graduata e subordinata, già nell'atto di citazione in primo grado, di "ricostruire l'intera massa ereditaria (relictum e donatum) della de cuius, sig.ra (...) tenendo conto di tutti i cespiti ed in particolare dell'immobile de quo, con i relativi frutti, nonché dei denari dalla stessa posseduti derivanti dalla vendita degli immobili palermitani di cui in narrativa; - attribuire all'attore, (...) una quota pari ad un terzo dell'eredità, salva quota diversa ritenuta giusta ed equa". Nel presente grado è stata esperita (...) la quale ha ricostruito l'asse ereditario, che risulta costituito dall'immobile sito in (...) e dai denari provenienti dalla vendita degli immobili palermitani. Quanto all'esame di eventuali conti correnti intestati o cointestati alla defunta, il (...) in aderenza a quanto disposto dalla Corte con ordinanza dell'8/6/2023 in risposta a specifico quesito, non ha tenuto conto di documenti non prodotti ritualmente agli atti; la consulenza d'ufficio è difatti un mezzo di ausilio per il giudice e non mezzo di prova a disposizione delle parti. Il CTU ha stimato la proprietà in capo alla de cuius dell'immobile sito in (...) in (...) civ. 6 - che secondo quanto disposto con sentenza parziale rientra nell'asse ereditario attribuendole il valore di Euro 143.700,00, richiamandosi alla consulenza dell'arch. (...) all. 10; la predetta perizia è corredata da fotografie, planimetrie e calcoli, nonchè indagini di mercato da ritenersi attendibili e condivisibili. Il CTU ha ipotizzato spese per la regolarizzazione urbanistico/catastale dell'immobile in Euro 3.000,00 oltre eventuali oneri fiscali, nonchè il valore finale delle migliorie apportate dal sig. (...) in Euro 5.209,61 (Euro 5.850,00 per la sostituzione degli infissi, Euro 3.000,00 per l'impianto di climatizzazione ed Euro 5.000,00 per il rifacimento del servizio igienico, con applicazione del deprezzamento per la vetustà dei componenti e dell'usura); si tiene conto del valore dell'immobile alla data dell'espletamento della CTU secondo quanto statuito dalla Suprema Corte, Cassazione 8/11/23 (...), secondo cui "ai fini della determinazione della quota di legittima e della quota disponibile, deve aversi riguardo, ai sensi degli arti. 556 e 564 c.c., esclusivamente al valore dell'asse ereditario al tempo dell'apertura della successione, differentemente dalla stima dei beni per la formazione delle quote per la divisione ereditaria, che a norma dell'art. 726 c.c., deve farsi con riferimento al loro stato e valore venale al tempo della divisione anche quando si provveda alla reintegrazione della legittima (conforme Cass n. 739/1977)". Pertanto, detraendo dalla stima i costi necessari per la regolarizzazione nonchè le migliorie apportate, il valore finale dell'immobile ammonta ad Euro 135.490,39. Il CTU ha verificato l'importo ricavato dalla vendita degli immobili in (...) piazza (...) come ricostruito alle pagine 12 e ss, che ha tenuto in conto l'atto pubblico del 22/7/2008 (...) (doc. 7 appellante) ed il verbale di conciliazione 1 giugno 2011 (doc. 10 appellante). La signora (...) era proprietaria per una quota indivisa dei predetti immobili pari a 9/72 nonchè per l'usufrutto uxorio dell'intero; l'usufrutto deve essere calcolato per 1/3 in quanto l'immobile perveniva alla de cuius quale eredità del marito deceduto nel 1975, prima della riforma del diritto di famiglia . (...) l'art.127 del Codice civile anteriore alla riforma del diritto di famiglia del 1975: "(...) con il coniuge concorrono figli legittimi, soli o con figli naturali, il coniuge ha il diritto all'usufrutto di una quota di eredità. (...) è della metà dell'eredità, se alla successione concorre un solo figlio, e di un terzo negli altri casi. (...)". Pertanto, la somma spettante alla signora (...) e caduta in successione è pari ad Euro 31.162,00, e cioè Euro 9.900,00 (1/3 dell'usufrutto sull'intero) più Euro 21.262,50 (quota 9/72 della proprietà), come risulta dalla tabella del CTU alla pagina 15, che si richiama. La Corte ritiene la CTU esaustiva ed attendibile, basata sui documenti agli atti, espletata nel contraddittorio delle parti ed in aderenza al quesito posto. Pertanto, il valore della massa ereditaria può essere quantificato nella complessiva somma di Euro 166.652,39, così dettagliata: Euro 143.700,00 pari al valore dell'immobile in (...) da cui devono essere detratti Euro 3.000,00 per le necessarie spese da sostenere per la regolarizzazione ed Euro 5.209,61 per le migliorie apportate dall'appellato (...) giungendo alla somma di Euro 135.490,39. A tale cifra deve aggiungersi la quota spettante alla de cuius dalla vendita degli immobili palermitani, per Euro 31.162,00, secondo il dettaglio sopra specificato. La Corte accoglie la domanda del sig. (...) quale erede della madre (...) di attribuzione dell'eredità per la quota pari ad un terzo: la signora (...) non ha lasciato testamento e le succedono ex lege ex art. 566 c.c. in parti uguali i figli (...) e (...) (per quest'ultima, deceduta, i figli ed il marito). Non sono state formulate domande di condanna al pagamento e/o di divisione. La Corte respinge la domanda di risarcimento dei danni per mancato godimento dell'immobile in quanto il godimento del bene da parte del coerede non comporta di per sè, in assenza di titolo o di prova dell'opposizione degli altri eredi, alcun obbligo di corrispondere un'indennità per l'occupazione esclusiva (Cass. 9/2/2015 n. 2423 secondo cui "L' uso esclusivo del bene comune da parte di uno dei comproprietari, nei limiti di cui all'art. 1102 cod. civ., non è idoneo a produrre alcun pregiudizio in danno degli altri comproprietari che siano rimasti inerti o abbiano acconsentito ad esso in modo certo ed inequivoco, essendo l'occupante tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili ricavabili dal godimento indiretto della cosa solo se gli altri partecipanti abbiano manifestato l'intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta e non gli sia stato concesso"), e considerato inoltre che l'immobile è divenuto di proprietà di un terzo che lo ha acquistato in buona fede. SPESE DEL GIUDIZIO All'esito del gravame, in virtù del parziale accoglimento dell'appello e della parziale soccombenza dell'appellante, consegue la condanna della parte appellata al pagamento delle spese di lite in favore della parte appellante, secondo i principi dell'art. 92 c.p.c., nella misura di un mezzo, con compensazione dell'altra metà; le spese si liquidano secondo i parametri di cui al DM 147/2022, con riferimento al valore indeterminabile, complessità bassa, tenuto conto delle questioni trattate e dell'impegno profuso dal legale. E precisamente, quanto al primo grado, per l'intero: 1.Fase di studio Euro 1.701,00; 2. Fase introduttiva Euro 1.204,00; 3. Fase istruttoria Euro 1.806 4.Fase decisionale Euro 2.905,00; Totale Euro 7.616,00 oltre rimb. forf. 15%, iva e cpa. Quanto al grado d'appello, per l'intero: 1.Fase di studio Euro 2.058,00; 2. Fase introduttiva Euro 1418,00; 3. Fase istruttoria 3045 Fase decisionale Euro 3470,00; Totale Euro 9.991,00 oltre rimb. forf. 15%, iva e cpa. P.Q.M. LA CORTE D'APPELLO DI GENOVA definitivamente deliberando, contrariis rejectis, respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione: 1) in parziale accoglimento dell'appello proposto da (...) e in parziale riforma della gravata sentenza del Tribunale della (...) n. (...)/2020 del 05.11.2020 depositata in pari data attribuisce all'appellante (...) una quota pari ad un terzo dell'eredità della de cuius (...) come determinata dalla CTU esperita in grado d'appello richiamata in motivazione; 2) Dichiara tenuti e condanna (...) e (...) in solido tra loro, a pagare a (...) le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio pari ad un mezzo, con compensazione della residua metà; liquida detta frazione, quanto al primo grado, in Euro 3.808,00 oltre rimborso forf. 15% iva e cpa; quanto al secondo grado, liquida detta frazione in Euro 4.995,00 oltre rimb. forf 15%, iva e cpa; 3) Pone le spese di CTU a carico delle parti nella misura di 1/2 ciascuna. 4) Conferma nel resto l'impugnata sentenza.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI IX SEZIONE CIVILE in persona di: dott. Eugenio Forgillo Presidente dott. Pasquale Cristiano Consigliere rel. dott. Natalia Ceccarelli Consigliere pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 2479/2021 Ruolo Gen., ad oggetto pagamento di corrispettivo, riservata in decisione all'udienza del 27-2-2024, mediante il deposito in telematico di note scritte, come previsto dall'art. 127 ter cod. proc. civ., introdotto dall'art. 3, comma 10, lett. b), del decreto legislativo n. 149 del 10/10/2022 a decorrere dal 1-1-2023, coi termini di cui all'art. 190 cod. proc. civ. tra Parte_i p.iva_i), con sede in Palermo, alla indirizzo_i (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura conferita su supporto cartaceo trasmessa in copia informatica autenticata con firma digitale dal difensore costituitosi attraverso strumenti telematici, dall'avv. Fr.Al. ( c.f._i ), presso il cui studio elettivamente domicilia in Palermo, alla Indirizzo_2 appellante e Controparte_1 (P.IVA_2), COn Sede in Castellammare di Stabia, alla indirizzo_3, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura conferita su supporto cartaceo trasmessa in copia informatica autenticata con firma digitale dal difensore costituitosi attraverso strumenti telematici, dagli avvocati Im.Ma. ( c.f._2 ) e Ma. Ce. (c.f._3), elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Napoli alla indirizzo_4 appellata SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E CONCLUSIONI DELLE PARTI Con atto di citazione notificato il 28-5-2021, la Parte_1 ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, in composizione monocratica, n. 811/2021, pubblicata il 14-4-2021, notificata il 10-5-2021, di condanna di essa appellante, in accoglimento della domanda proposta con citazione notificata il 24-1-2018 dalla Controparte_i (...) al pagamento in favore della stessa, quale saldo a fronte dei lavori eseguiti sulla imbarcazione Happy Feet di essa appellante, alata il 4-4-2017 dal Controparte_i Controparte_i per gli interventi descritti nella fattura 95 del 19-5-2017, della somma di Euro 10.000,00, oltre interessi commerciali dalla data della fattura al soddisfo, nonché alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 254,00 per esborsi e Euro 3.935,00 per compenso professionale, oltre iva, ca e rimborso forfetario, con attribuzione. Detratto il pagamento in acconto di Euro 7.500,00 eseguito dalla convenuta il 26-7-2017, ha ritenuto fondata il primo giudice la domanda attorea, laddove ha disatteso la domanda riconvenzionale spiegata dalla convenuta Parte di condanna dell'attrice al pagamento della somma di Euro 24.366,21, al netto di iva, quale risarcimento del danno emergente e da lucro cessante; ciò, per non avere la convenuta mosso rilievi, quanto alle problematiche concernenti il dissalatore, al momento della riconsegna della imbarcazione nel maggio del 2017, né formulato tempestiva denuncia, né ad ogni modo ricorrendo il nesso eziologico tra i lavori eseguiti dall'attrice e i danni riscontrati dalla ditta Controparte_2 in occasione della riparazione eseguita il 17-7-2017. L'appellante ha affidato l'appello ha 3 motivi, lamentando: a) l'erroneo rigetto della eccezione di improcedibilità della domanda principale per mancato esperimento della procedura di negoziazione assistita; b) l'erronea applicazione della disciplina dettata in tema di contratti d'opera dall'art. 2226 cod. civ. in luogo della disciplina in tema di contratto di appalto, in particolare dell'art. 1667 cod. civ., ai sensi del quale non è richiesta alcuna denunzia in caso di riconoscimento dei vizi da parte dell'appaltatore, come nella specie avvenuto; c) l'erroneo rigetto nel merito della domanda riconvenzionale di risarcimento del danno, stante il mancato funzionamento del dissalatore, per i costi sostenuti e per il mancato utilizzo della imbarcazione dal 16 al 22 luglio 2017 a causa della non corretta esecuzione dei lavori da parte dell'attrice. Ha concluso l'appellante, in riforma della impugnata sentenza, per la declaratoria di improponibilità delle domande attoree e di insussistenza di inadempimento ascrivibile ad essa appellante, nonché di inadempimento contrattuale della società appellata, con condanna della stessa al pagamento della somma di Euro 24.366,31, al netto dell'iva, oltre interessi moratori ex art. 5 del decreto legislativo 231/2002 dalla domanda al soddisfo, nonché al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 96 cod. proc. civ.; ha insistito per l'ammissione dei mezzi istruttori (interrogatorio formale e prova testimoniale) formulati in primo grado, in ordine ai quali il primo giudice non si è pronunciato. L'appellata ha concluso per il rigetto dell'appello e la conferma della impugnata sentenza; in subordine, per la improcedibilità della domanda riconvenzionale per mancato esperimento della negoziazione assistita e comunque per il rigetto della stessa, con il favore delle spese, con attribuzione, nonché di ogni domanda di risarcimento proposta dall'appellante, anche ai sensi dell'art. 96 cod. proc. civ.; ha chiesto altresì il rigetto delle avverse richieste istruttorie, ovvero, in caso di accoglimento, l'ammissione alla prova diretta e contraria sui medesimi capitoli, oltre l'ammissione della prova testimoniale sui capitoli articolati alle pagine 22 e seguenti della comparsa di costituzione. Con ordinanza depositata in telematico il 10-12-2021 la Corte ha accolto l'istanza dell'appellante di sospensione della impugnata sentenza. Ha ritenuto la Corte la prevalenza del requisito del fumus, alla luce dell'eccezione di improcedibilità, disattesa dal primo giudice e riproposta dall'appellante, per mancato esperimento della procedura assistita ex art. 3 del decreto legge 132/2014, convertito con modificazioni nella legge 152/2014; la Corte ha ritenuto la sussistenza delle condizioni, anche relativamente alla riconvenzionale riproposta dall'appellante, per disporre l'esperimento del procedimento di mediazione ai sensi dell'art. 5, comma 2, del decreto legislativo 28/10, in assenza delle condizioni ostative di cui al successivo comma 4; ha richiamato al riguardo la Corte la sentenza della Corte di Cassazione 12896/2021 quanto alla mediazione da disporre obbligatoriamente dal giudice dell'appello nell'ipotesi in cui l'improcedibilità, ritualmente eccepita, senza che il giudice di primo abbia disposto di conseguenza, sia dedotta, come nella specie, quale motivo d'impugnazione (con la precisazione che il tema della procedibilità con mediazione, nel caso di cumulo, alla domanda originaria, di domanda riconvenzionale concerne il processo cumulato nella sua complessità, conclusione valevole finanche in caso di riconvenzionale per cui la mediazione non sia obbligatoria). Il 22-3-2022 parte appellata ha depositato in telematico il verbale in pari data di declaratoria da parte del mediatore, presenti i legali rappresentanti delle società parti in giudizio, assistiti dai rispettivi difensori, dell'esito negativo del procedimento di mediazione attivato dalla appellata. All'udienza del 27-2-2024, svolta con le modalità in epigrafe, la Corte ha riservato la causa in decisione all'esito degli adempimenti di cui all'art. 190 cod. proc. civ. MOTIVI DELLA DECISIONE 1) È fondata l'eccezione di improcedibilità della domanda attorea riproposta dall'appellante con il motivo sub a). Non è condivisibile la motivazione addotta in parte qua dal primo giudice, ovvero che la procedura di negoziazione assistita sarebbe stata "regolarmente avviata con invio della proposta, a mezzo pec, in data 15-112017 alla società Parte_i alla quale ha dato riscontro l 'odierna convenuta" - ovvero l'attuale appellante mediante missiva del 11-12-207 - "sia pure mediante contestazione con contestuale richiesta di risarcimento danni, che di fatto si configura come un rifiuto alla prosecuzione della negoziazione (art. 3 del d.l. 132/2014 comma II)". In realtà, la missiva del 11-12- 2007 non è interpretabile come rifiuto alla proposta di negoziazione, recando infatti la stessa una chiara espressione di adesione all'invito ("con la presente la società Parte_i aderisce formalmente all'invito formulato dalla Controparte_1 Controparte_1, laddove il seguito ("contestando in ogni caso il contenuto delle richieste formulate dallo stesso in quanto infondate in fatto e diritto") e la richiesta di risarcimento dei danni assumevano semmai valenza ampliativa dell'oggetto della negoziazione assistita. Sicché, a fronte della adesione in concreto manifestata dalla società Parte appellante all'invito formulato dalla appellata società Controparte_i, era onere di quest'ultima procedere non già alla notifica dell'atto di citazione, ma all'invito alla stipula della "convenzione di negoziazione assistita" di cui al comma 1 dell'art. 3 citato. Vi è contrasto tra le parti in ordine al contenuto della missiva della società Controparte_1 del 18-12-2017, cui la stessa ha fatto riferimento per Parte contrastare l avverso assunto - missiva secondo la società contenente il solo rifiuto di aderire alla negoziazione assistita, secondo la società cp_i (...) contenente per contro la richiesta di accettazione di una proposta transattiva rimasta priva di riscontro; ad ogni modo il documento non è stato prodotto, con la precisazione peraltro che la eventuale produzione avrebbe incontrato le preclusioni in tema di nova ex art. 345 cod. proc. civ. nella formulazione applicabile ratione temporis, introdotta dalla novella di cui al decreto legge 83/2012, convertito con modificazioni nella legge 134/2012, tanto più in considerazione della già operata delibazione in primo grado della eccezione di improcedibilità della domanda attorea. Stante l'esito negativo della procedura di mediazione attivata dalla parti in grado di appello cui si è dato impulso con ordinanza del 10-12-2021, non resta che dichiarare la nullità della sentenza di primo grado e decidere la causa nel merito; infatti, "in tema di mediazione obbligatoria, allorché il convenuto eccepisca tempestivamente l'improcedibilità della domanda per il mancato esperimento del procedimento di mediazione e il giudice erroneamente ritenga che la mediazione non doveva essere esperita, la conseguente nullità può essere fatta valere mediante appello; in tal caso, il giudice d'appello, dichiarata la nullità della sentenza, non potendo disporre la rimessione al primo giudice, è tenuto ad assegnare alle parti il dovuto termine per la presentazione della domanda di mediazione, per poi accertare se la condizione di procedibilità sia stata soddisfatta e trattare la causa nel merito, ovvero, in mancanza, dichiarare l'improcedibilità della domanda giudiziale" (Cass. 28695/2023). 2) In ordine alla disciplina da applicare alla fattispecie dedotta, è noto che "il contratto d'appalto ed il contratto d'opera si differenziano per il fatto che nel primo l'esecuzione dell'opera commissionata avviene mediante una organizzazione di media o grande impresa cui l'obbligato è preposto, mentre nel secondo con il prevalente lavoro di quest'ultimo, pur se coadiuvato da componenti della sua famiglia o da qualche collaboratore, secondo il modulo organizzativo della piccola impresa" (Cass. 12519/2010). Tuttavia, in relazione ai (contestati) elementi valorizzati dalla società Parte a fondamento della ritenuta applicabilità della disciplina in tema di appalto (in particolare la qualità in capo alla controparte società per azioni con più dipendenti operante su una superficie di alcune decine di migliaia di metri quadrati) dispiega dirimente valenza il rilievo che la disciplina, con riguardo all'appalto, ex art. 1667 cod. civ. in tema di garanzia per i vizi, secondo cui la denuncia per i vizi non è necessaria se l'appaltatore ha riconosciuto i vizi ovvero li ha occultati, è applicabile anche al contratto d'opera (Cass. 4925/2006). 3) Sennonché, la circostanza che il dissalatore di bordo sia stato riparato, ancorché gratuitamente, dalla società appellata nel settembre del 2017 (trascorsi già alcuni mesi dalla consegna dell'imbarcazione, sin dal maggio del 2017, a conclusione dell'intervento commissionato dalla Parte, non vale a dimostrare la pretesa ammissione della "mancata esecuzione a regola d'arte". Infatti ha efficacemente opposto al riguardo l'attuale appellata che nel luglio del 2017 l'intervento al dissalatore fu eseguito da ditta del tutto estranea ad essa appellata; ditta cui "possono facilmente essere ricondotti" gli ulteriori problemi, poi manifestatisi nell'agosto del 2017, per la eliminazione dei quali fu effettuato dalla società Controparte_i l'intervento su cui segnatamente fa leva la società Parte a sostegno del suo assunto; assunto tuttavia non persuasivamente suffragato dall'unica circostanza valorizzata al riguardo, cioè la gratuità della riparazione, in realtà suscettibile delle più varie spiegazioni alternative, tra cui, ad esempio, lo scopo di evitare, pur in assenza di responsabilità, una ipotetica vertenza, in astratto idonea ad incidere negativamente sulla reputazione della società appellante, nonché di mantenere buoni rapporti con la committente, tanto più in considerazione della non rilevante entità della riparazione in parola, atteso che l'intervento eseguito medio tempore dal terzo sempre al dissalatore aveva comportato per l'appellante un esborso di alcune centinaia di euro. Dunque non appaiono ascrivibili alla società appellata comportamenti concludenti, incompatibili con la volontà di avvalersi delle decadenze previste sia in tema di appalto che di contratto d'opera. Si rileva come le prove orali per la cui ammissione insiste la società appellante, oltretutto neppure reiterate all'udienza di precisazione delle conclusioni, vertano su circostanze di cui già dà conto pressoché integralmente il compendio documentale, comunque non atte a fornire la eventuale prova del nesso causale tra i lavori pacificamente eseguiti dall'appellata (descritti nella fattura 95 del 19-5-2017) e il difettoso funzionamento del dissalatore. Viepiù in contrasto anche con la pretesa esistenza del detto nesso causale, mette conto sottolineare come la stessa società appellante, alla fine del luglio 2017, non ha formulato rimostranza alcuna a fronte della richiesta di pagamento pervenutale dalla società cp_i (...) (anzi limitandosi ad assicurare l'adempimento a breve una volta venuto meno l'asserito impedimento dell'impiegato addetto alla contabilità). Oltretutto, prima dell'intervento eseguito dalla ditta terza (la cui pretesa natura emergenziale neppure è provata) è sostenibile che il dissalatore non presentasse inconvenienti, come inferibile dal contenuto della missiva del 17-8-2017 prodotta dalla stessa società appellante, in particolare nella parte in cui si segnala come il precedente comandante non avesse collaudato l'impianto - che "funzionava bene" - al momento del montaggio. 4) Pertanto, anche a prescindere dalla pacifica omessa denuncia di eventuali vizi da parte della società committente nei prescritti termini di decadenza, previa declaratoria di nullità della sentenza pronunciata in primo grado, nulla osta all'accoglimento della domanda attorea, detratto l'acconto, nella già statuita misura di Euro 10,000,00, oltre interessi moratori ai sensi del decreto legislativo 231/2002 dalla fattura al soddisfo. Esclusa la riconducibilità alla condotta serbata dalla società appellata, giusta le considerazioni che precedono, di danni ed esborsi che asseritamente cagionati dal malfunzionamento dell'impianto, va rigettata la spiegata domanda spiegata riconvenzionale. 5) Sono tuttavia ravvisabili le prescritte ragioni per compensare interamente tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio, tenuto conto della fondatezza della eccezione in rito dedotta dall'appellante e della conseguente necessità di riesame del merito, peraltro connotato, segnatamente in ordine alla ricostruzione in fatto, da apprezzabili margini di controvertibilità relativamente ai profili evidenziati dall'appellante; ciò vale ad escludere anche la ricorrenza della responsabilità aggravata ex art. 96 cod. proc. civ. in relazione alla domanda risarcitoria a detto titolo proposta dalla appellata. 6) Occorre dare atto della sussistenza di presupposti di cui al comma 1 quater dell'art. 13 del d.p.r. 115/2002, inserito dall'art. 1 comma 17 della legge 228/2012, a mente del quale "quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1 bis", disposizione, giusta il successivo comma 18, applicabile "ai procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore", ovvero - attesa la entrata in vigore della cennata novella dal 1-1-2013 - dal 31 gennaio 2013; e ciò, nonostante la declaratoria di nullità della sentenza di primo grado, in accoglimento del primo motivo, e la disamina ex novo nel merito della domanda attorea, giacché il presupposto di insorgenza dell'obbligo del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato è collegato "al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, del gravame" (Cass. 26981/2023). P.Q.M. definitivamente pronunciando sull'appello proposto dalla Parte_i avverso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, in composizione monocratica, n. 811/2021, pubblicata il 14-4-2021, ogni altra istanza, eccezione e deduzione disattese, così provvede: dichiara la nullità della impugnata sentenza; accoglie la domanda proposta in primo grado dalla Controparte_i Controparte_i e, per l'effetto, condanna la (...) Pt_i al pagamento in favore della Controparte_1 della somma di Euro 10.000,00, oltre interessi moratori ai sensi del decreto legislativo 231/2002 dalla fattura al soddisfo; rigetta la domanda riconvenzionale spiegata dalla Parte_i compensa le spese del doppio grado; dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al comma 1 quater dell'art. 13 del d.p.r. 115/2002, inserito dall'art. 1 comma 17 della legge 228/2012. Così deciso il 28 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta da: Dott. VILLONI Orlando - Presidente Dott. AMOROSO Riccardo - Relatore Dott. PACILLI Giuseppina Anna R. - Consigliere Dott. PATERNÒ RADDUSA Benedetto - Consigliere Dott. DI NICOLA TRAVAGLINI Paola - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Ar.Sa., nato a C il (Omissis) avverso l'ordinanza del 16/08/2023 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Riccardo Amoroso; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Sa.Si., che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso; udito l'avv. Lu.Ci., difensore di Ar.Sa., che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con il provvedimento in epigrafe indicato, il Tribunale di Catanzaro ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere applicata con l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro del 7 giugno 2023 nei confronti del ricorrente per il reato di partecipazione all'associazione mafiosa denominata 'ndrangheta operante nel territorio del Comune di C e della frazione di P, facente capo a Me.Do., in particolare con il compito di gestire investimenti finanziari all'estero nel campo della ristorazione e dell'industria alimentare, mantenendo rapporti in Germania con esponenti di vertice delle "locali" di C e C, con il compito di coinvolgere imprenditori esteri attraverso l'impiego dei proventi delle attività criminali della cosca, insieme al fratello Ar.Fr. (con condotta permanente). Il Giudice dell'impugnazione cautelare ha premesso che il provvedimento custodiale poggia sugli esiti delle investigazioni incentrate sulle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia (Vr., Co.An., Gi., Li.), oltre che su intercettazioni, telefoniche e tra presenti, che hanno consentito di ricostruire la partecipazione dell'indagato ad una stabile e continuativa attività di riciclaggio delle risorse finanziarie della cosca facente capo a Me.Do., grazie alla rete di conoscenze creata in Germania, dove ha risieduto per molti anni. 2. Con ricorso a firma dell'avv. Ci., Ar.Sa. chiede l'annullamento del provvedimento per i seguenti motivi sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. Pen. che investono le valutazioni sia in punto di gravità indiziaria che di esigenze cautelari. 2.1. Con il primo motivo deduce vizio della motivazione e violazione di legge per l'indifferenziata disamina della propria posizione con quella del fratello Ar.Fr., per l'omessa considerazione delle intercettazioni da cui emerge la sfiducia del boss Me.Do. sul suo operato, per la genericità delle conversazioni riferite ad accadimenti privi di contestualizzazione che non danno prova del concreto contributo necessario a dimostrarne l'inserimento stabile e continuativo nel sodalizio mafioso secondo i principii affermati dalle Sezioni Unite "Modaffari". Si osserva che la condotta tenuta dal ricorrente doveva essere valutata alla stregua della sua professione di imprenditore e senza il pregiudizio dell'essere il fratello di Ar.Fr., considerato che per la stessa accusa ha riportato in passato sentenza di assoluzione. 2.2. Con il secondo motivo il ricorso censura la valutazione delle esigenze cautelari, in punto di attualità e concretezza del pericolo di reiterazione, che sono state ritenute sussistenti senza adeguata motivazione. 3. Si deve dare atto che il difensore in sede di discussione ha dichiarato di rinunciare al motivo sulle esigenze cautelari, essendo stata disposta da parte del Giudice delle indagini preliminari, successivamente alla proposizione del ricorso, la sostituzione della custodia in carcere con la misura degli arresti domiciliari. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. il ricorso è inammissibile. Prescindendo dal motivo oggetto di rinuncia sulle esigenze cautelari, e limitando la disamina al primo motivo, si deve osservare che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, il Tribunale del riesame ha fornito una motivazione coerente ed immune da vizi logici rispetto alla gravità indiziaria basata non solo su plurime e convergenti chiamate in correità, ma anche sugli esiti delle intercettazioni di numerose conversazioni che riscontrano il ruolo svolto in prima persona da Ar.Sa. nell'attività di riciclaggio dei capitali di cui disponeva l'associazione 1ndraghetista facente capo a Me.Do.. Sebbene non molto circostanziate, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia richiamate nell'ordinanza impugnata sono tutte convergenti nell'attribuire ad entrambi i fratelli il ruolo di imprenditori al servizio delle cosche mafiose dei Me.Ma. e di Cu.. Si tratta di dichiarazioni rese anche in epoca recente, successivamente alla sentenza di assoluzione del 2013 cui ha fatto cenno il difensore in sede di discussione, e che non possono, pertanto, essere considerate una mera riproposizione delle medesime fonti dì prova già valutate in passato come insufficienti a fondare un giudizio di responsabilità nei confronti del ricorrente. Inoltre, del tutto aspecifiche sono le censure riferite al contenuto delle intercettazioni delle conversazioni intercorse con Me.Do. che riscontrano il ruolo di riciclatore svolto dal ricorrente per conto della predetta cosca. In particolare, la dedotta assenza di contestualizzazione appare generica ed in parte manifestamente infondata alla luce dei riferimenti al carattere continuativo e permanente della partecipazione di Ar.Sa. all'associazione mafiosa, concordemente riferita dai numerosi collaboratori di giustizia sopravvenuti rispetto alle vicende giudiziarie definite nel 2013 con la citata sentenza di assoluzione, ed alla evidenziata corrispondenza del viaggio in Polonia dell'aprile 2019 con le dichiarazioni rese dal collaboratore Co.An., secondo cui i fratelli Ar. erano riusciti a creare una rete economica di attività commerciali tra la Germania, la Polonia e l'Italia riciclando le risorse del clan "Grande Ar.". Ugualmente destituite di fondamento sono le censure riferite alla ricostruzione in data 15 settembre 2017 dell'incontro di Me.Ma. nell'autostrada del B con degli interlocutori stranieri che dovevano consegnargli del denaro, coerentemente valorizzato proprio perché organizzato e coordinato da Ar.Sa.. Nell'ordinanza si ravvisano ulteriori elementi significativi del ruolo attribuito al ricorrente nelle conversazioni intercettate il 23 aprile 2019, in relazione alla consegna di 130 mila euro in contanti da parte di Me.Do. per un investimento estero in Polonia, in cambio di garanzie su proprietà immobiliari di Ar., che si riallaccia alle dichiarazioni del collaboratore Co.An. sugli affari in Polonia per il riciclaggio del denaro della cosca Me., nonché nella intercettazione in ambientale in cui Ar.Sa. ed il fratello parlano con un soggetto non identificato delle dinamiche interne al clan mafioso, facendo riferimenti a collegamenti con le istituzioni locali e all'investimento dei 130 mila euro grazie alla mediazione di un professionista tedesco (Go.Ul.), esperto di transazioni finanziarie. Altra conversazione rilevante valorizzata dal Tribunale è quella intercettata in ambientale il 20 agosto 2019 relativa ad un trasferimento di 120 milioni di euro dal Sud Est a verso l'Europa, il cui tenore, nonostante le perplessità manifestate dal Me.Ma. nei confronti di Ar.Fr. invitato alla massima lealtà, è stato in modo non illogico ritenuto coerente al ruolo di imprenditore finanziato dalla cosca Me.. Deve, qui, rammentarsi che in tema di valutazione della prova, con riferimento ai risultati delle intercettazioni di comunicazioni, "il giudice di merito deve accertare che il significato delle conversazioni intercettate sia connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilità dei significati e assenza di ambiguità, di modo che la ricostruzione del significato delle conversazioni non lasci margini di dubbio sul significato complessivo della conversazione" (Sez. 6, n. 29530 del 3 maggio 2006, Rispoli, RV. 235088; Sez. 5, n. 48286 del 12 luglio 2016, Cigliola, RV, 268414). Questa posizione ermeneutica è stata ulteriormente ribadita dalle Sezioni unite che hanno ribadito come in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22741 del 26/02/2015, Sebbar, RV. 263715). Va, inoltre, osservato che, in sede di legittimità, è possibile prospettare un'interpretazione del significato di un'intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito "solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile" (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017 dep. 2018, Di Maro, RV. 272558) sicché sono inammissibili, come nel caso in esame, le generiche censure sviluppate nel ricorso in merito alla presunta illogicità dell'interpretazione accolta nell'ordinanza impugnata. Tutte le censure sono nel loro complesso inammissibili, essendo volte a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all'apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudizio di merito. Secondo l'incontrastata giurisprudenza di legittimità, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. 2. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. Pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in tremila euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. Pen. Così deciso in Roma il 5 aprile 2024 Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2024.
Tribunale di Palermo Verbale udienza ex art. 281 sexies c.p.c. Proc. n. 7227 /2023 a cui è riunito il procedimento n. 7255/2023 All'udienza del 29/05/2024 davanti al giudice Dr. Filippo Lo Presti sono comparsi per la discussione: l'Avv. (omissis) personalmente che si difende ex art. 86 c.p.c.; per l'Avv. (omissis) anche in sostituzione dell'Avv. (omissis). L'Avv. (omissis) ribadisce che l'interesse all'annullamento della delibera è essenziale in quanto la delibera stessa era tesa a concludere un procedimento di mediazione nell'ambito di un procedimento da lui stesso intentato come controparte, di modo che era suo interesse far emergere la invalida partecipazione del condominio alla mediazione. L'Avv. (omissis) si riporta al contenuto degli atti e alla memoria depositata Il Giudice, si ritira in camera di consiglio. Il giudice alle ore 17.20, all'esito della camera di consiglio del 29/05/2024, riaperto il verbale del procedimento n. 7227 del R.G. dell'anno 2023, al quale è riunito il procedimento n. 7255/2023 R.G., pronuncia la sentenza - dando lettura - assenti le parti - del dispositivo e delle ragioni della decisione, e ne fa deposito in Cancelleria. Repubblica Italiana In Nome del Popolo Italiano Il TRIBUNALE DI PALERMO Nella persona del Dott. Filippo Lo Presti, in funzione di Giudice monocratico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 7227 del Ruolo Generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2023 TRA AVV. (omissis) (c.f.), difeso da se stesso ex art. 86 c.p.c., con studio in (omissis), CONTRO (omissis), (c.f.), in persona dell'amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. (omissis) in virtù di procura allegata telematicamente in atti. OGGETTO: AZIONE DI ANNULLAMENTO DI DELIBERA ASSEMBLEARE. DISPOSITIVO Il Tribunale di Palermo, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione: respinge la domanda di annullamento della delibera approvata dall'assemblea del convenuto in data 15 maggio 2023. Condanna l'attore al pagamento delle spese di lite, liquidandole in favore del in euro 3.500,0 oltre IVA, CPA e rimborso forfettario del 15% come per legge. MOTIVI DELLA DECISIONE Con distinti atti di citazione tempestivamente e ritualmente notificati, l'Avv. (omissis), nella qualità di condomino del sito in (omissis), in (omissis), ha impugnato la delibera assembleare adottata, in seconda convocazione, il 15/05/2023, perché assunta con il voto deciso di un condomino deceduto e, al netto della quota a lui riferibile, approvata in assenza della maggioranza legale. In via istruttoria ha chiesto l'acquisizione dell'anagrafica dei proprietari del condominio. L'attore ha precisato che con la delibera veniva approvato, grazie al voto favorevole di sei (n. 6) condomini, per un totale di 416,480 millesimi, il punto all'ordine del giorno teso a conferire all'amministratore la "Autorizzazione a partecipare alla mediazione proposta dal condomino Avv. (omissis) per annullamento assemblea del 20/10/2022". Senonchè, secondo l'attore, la quota del condomino, espressa mediante delega conferita a (omissis), non doveva essere conteggiata; di conseguenza, sottratti i 57,65 millesimi di (omissis), i millesimi complessivi dei presenti erano 718,56 anziché 776,21 e pertanto la maggioranza deliberante corrispondeva a 358,83. Con comparsa del 13/07/2023 si è costituito il (omissis), per chiedere il rigetto della domanda. In particolare, il convenuto, dopo aver preliminarmente contestato la nullità della citazione per indeterminazione della causa petendi e del petitum, ha pure criticato la ricostruzione fatta dall'attore in ordine alla costituzione del quorum deliberativo, dal momento che il condomino (omissis) è erede del compianto e che, perciò, diversamene da quanto sostenuto dall'attore, la sua partecipazione all'assemblea condominiale era legittima. Chiarito ciò, il ha contestato l'interesse ad agire del condomino (omissis), osservando che l'assemblea condominiale era stata convocata per deliberare in ordine alla partecipazione al procedimento di mediazione proposto dallo stesso attore, avente a oggetto l'annullamento della precedente delibera assembleare del 20/10/2022 e che in esito alla votazione, la scelta della maggioranza era stata favorevole alla adesione al procedimento. In tale situazione, ha aggiunto il (omissis), l'attore, che non ha preso parte alla votazione, avrebbe dovuto quantomeno indicare quale diversa determinazione avrebbe voluto che fosse stata approvata dalla maggioranza; in assenza di tale chiarimento, la sua pretesa di annullare la delibera con cui la maggioranza ha assecondato l'istanza di mediazione, non risulta sostenuta da alcun interesse giuridico e perciò va dichiarata inammissibile. Nel corso dell'udienza dell'8 novembre 2023 si procedeva alla riunione dei due identici procedimenti avviati dall'attore; si ordinava al Condominio di esibire l'anagrafe condominiale richiesta dall'attore. Ordine al quale il convenuto dava corso, depositando il registro di anagrafe condominiale dell'anno 2022 e quello dell'anno 2023. Nel corso dell'udienza odierna, le Parti hanno discusso e concluso come da verbale. L'attore ha precisato che il suo interesse all'annullamento consiste nel mettere in evidenza l'invalida partecipazione del Condominio al procedimento di mediazione. All'esito della camera di consiglio, ritiene questo giudice che la domanda non vada accolta. Va preliminarmente rilevato, anche se il tema non è decisivo, che dai documenti depositati dal emerge l'inclusione di (omissis) nella compagine condominiale, essendo perciò smentita la ricostruzione dell'attore in ordine all'ingiusto conteggio della sua quota condominiale ai fini della deliberazione. Per affrontare la questione controversa è utile rammentare che, in base al regime vigente alla data della deliberazione condominiale impugnata - 15/05/2023 -, nel vigore dell'art. 71 quater, disp. att. c.c., la partecipazione del Condominio al procedimento di mediazione era scandita da due momenti: il primo rivolto alla sola partecipazione dell'amministratore al procedimento, previa deliberazione dell'assemblea adottata con la maggioranza dell'art. 1136, secondo comma c.c.; il secondo momento teso alla successiva approvazione della proposta di mediazione da parte della medesima maggioranza assembleare. Nel caso di specie, chiarito dal Condominio l'equivoco in cui è caduto l'attore in ordine all'esistenza del condomino (omissis), si deve osservare che, anche computando la quota condominiale a lui riferibile, la delibera di autorizzazione dell'amministratore condominiale a partecipare al procedimento di mediazione non risulta adottata con la maggioranza stabilita dall'art. 1136, secondo comma c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno la metà del valore dell'edificio). In virtù di quella delibera, perciò, la legittimazione dell'amministratore del (omissis) a partecipare al procedimento di mediazione era precaria, destinata a consolidarsi una volta esaurito il termine dell'art. 1137 c.c. o a perdere validità in seguito al vittorioso esperimento dell'impugnazione da parte dei condomini dissenzienti o assenti. Ciò posto, occorre però considerare che, nel caso di specie, siccome l'oggetto della delibera impugnata non era di contenuto avverso all'attore ma piuttosto coerente con la necessità di avviare il procedimento di mediazione da lui stesso instaurato, in assenza di contestazione da parte degli altri condomini legittimati a proporre impugnazione, la necessità manifestata dal (omissis) di chiarire l'interesse che sorregge la domanda, assume rilievo. Nel corso dell'udienza odierna, l'attore ha chiarito che il suo interesse concreto all'impugnazione riposa nell'esigenza di mettere in evidenza la responsabilità del Condominio per l'esito negativo della mediazione, che, infatti, non poteva svolgersi con un amministratore privo di valida autorizzazione. Si tratta di un argomento non condivisibile: nel corso dell'assemblea il condomino (omissis), astenendosi dal votare ha manifestato interesse contrario alla mediazione in totale contrasto con l'interesse proclamato in udienza; invero, se avesse voluto ottenere una autorizzazione inoppugnabile, non avrebbe dovuto fare altro che votare favorevolmente, blindando la decisione assembleare. Tali argomenti, secondo questo giudice, mettono in luce la natura meramente teorica e non concreta dell'interesse sotteso all'odierna impugnazione, essendo appena il caso di rammentare che, secondo un condivisibile orientamento, la domanda proposta ex art. 1137 c.c. non può essere sorretta sull'interesse - del tutto astratto - alla legalità e correttezza della gestione comune, in quanto non idoneo a rappresentare l'interesse ad agire richiesto dall'art. 100 c.p.c. Il potere di impugnare, infatti, è teso ad impedire che si realizzi il risultato della decisione contro la quale il ha votato o avrebbe votato qualora fosse stato presente. Ne consegue che il che impugna una delibera condominiale, deve essere portatore di un interesse concreto e rilevante alla sua caducazione, concernente la posizione di vantaggio effettivo che dalla pronunzia di merito può conseguire. Pertanto, spetta al condomino che impugna allegare e dimostrare di avervi interesse e che dalla delibera in questione ne consegua un apprezzabile suo personale pregiudizio (cfr. Cass. Sent. n. 6128/2017). Per tali ragioni l'azione va respinta e l'attore va condannato al pagamento delle spese di lite, che, tenuto conto dell'oggetto della questione controversa e del suo valore indeterminabile, si liquidano in euro 3.500,00 oltre IVA, CPA e rimborso forfettario del 15% come per legge. Così deciso a Palermo il 29 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO TREDICESIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Lorenza Adriana Zuffada ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 5461/2022 promossa da: (...) con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIA (...) presso il difensore avv. PA.EU. (...) con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIA (...) presso il difensore avv. PA.EU. (...) con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIA (...) presso il difensore avv. PA.EU. (...) con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIA (...) presso il difensore avv. PA.EU. (...) con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIA (...) presso il difensore avv. PA.EU. (...) con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIA (...) presso il difensore avv. PA.EU. ATTORI contro CONDOMINIO (...) con il patrocinio dell'avv. (...) in via (...) e difeso dall'avv. (...) CONVENUTO RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE omissis ex art. 58 comma due legge 69/2009 e art. 132 C.p.c. novellato Con atto di citazione ritualmente notificato in data 10.2.2022, i signori (...) in qualità di proprietari di unità immobiliari facenti parte del Condominio (...) hanno convenuto lo stesso avanti il Tribunale di Milano chiedendo di dichiarare la nullità e/o annullabilità e/o invalidità e/o inefficacia della videoassemblea tenutasi in data 27 settembre 2021. Gli attori eccepiscono preliminarmente un vizio assorbente riguardante la valida costituzione dell'assemblea tenutasi in videoconferenza senza alcuna previa richiesta ai condomini di adesione a tale modalità di svolgimento della riunione assembleare, lamentano poi che nessun luogo fisico è stato indicato in convocazione per poter partecipare in presenza in c.d. "modalità mista", né l'esistenza di alcuna comunicazione relativa alle norme sulla privacy; assumono quindi l'esistenza di vizi inerenti il rispetto delle norme di regolamento in punto deposito verbale; irregolarità del rendiconto gestione ordinaria anno 2020/2021, incompletezza della nota sintetica esplicativa allegata al rendiconto; erroneità in punto duplicazione spese e riparto spese personali; mancata costituzione di un fondo e altre erroneità di imputazione di singole fatture. Si costituiva il Condominio convenuto prendendo posizione sui fatti di giudizio eccependo l'intervenuta decadenza dall'impugnazione rispetto ad alcuni dei vizi eccepiti e l'improcedibilità rispetto a quanto non oggetto di domanda di mediazione, chiedendo infine nel merito il rigetto dell'impugnazione. Assegnati i termini di cui all'art. 183 sesto comma c.p.c., la causa di natura documentale, veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni e discussione orale all'esito della quale viene ora in decisione. Vanno preliminarmente valutati, in quanto assorbenti i profili relativi alla corretta convocazione dell'assemblea con modalità da remoto. L'attuale testo dell'art. 66 disp. att. C.c. all'ultimo comma prevede che anche ove non espressamente previsto dal regolamento condominiale, previo consenso della maggioranza dei condomini, la partecipazione all'assemblea può avvenire in modalità di videoconferenza. Gli attori assumono il mancato adempimento al suddetto incombente, il cui onere della prova, al pari della corretto invio delle convocazioni, ricade sul Condominio convenuto, che allo stato degli atti non ha fornito alcun documento attestante la preventiva richiesta e conseguente adesione dei condomini allo svolgimento dell'assemblea da remoto. Per quanto sopra viene accertata la mancata valida costituzione dell'assemblea del condominio di (...) tenutasi in data 27.9.2021 con annullamento delle delibere ivi assunte e assorbimento di ogni ulteriore rilievo. Le spese di lite seguono quindi il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando nella causa fra le parti di cui in epigrafe, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così decide: 1) annulla tutte le delibere assunte in data 27.9.2021 dall'assemblea del Condominio (...); 2) condanna il Condominio di (...) alla rifusione in favore degli attori, delle spese di giudizio che vengono liquidate in Euro 5.431,00 per competenze, euro 545,00 per spese, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA; Sentenza esecutiva. Così deciso in Milano il 29 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. AIELLI Lucia - Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - Consigliere Dott. PERROTTI Massimo - Consigliere - Relatore Dott. MINUTILLO TURTUR Marzia - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti nell'interesse di: Al.Sh. , nato in Pakistan il (Omissis) Mi.As. , nato in Pakistan il (Omissis) avverso la sentenza del 24/02/2023 della Corte di appello di Ancona; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Massimo Perrotti; udito il Pubblico ministero, in persona del sostituto Procuratore generale dott. Ettore Pedicini, che ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di merito per nuovo giudizio; uditi i difensori degli imputati ricorrenti, avv.ti Lu.Al. per Al.Sh. , avv. Si.Ma. per Mi.As. , che hanno insistito per l'annullamento della sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Ancona, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava integralmente la decisione del Tribunale di Macerata, che all'esito del dibattimento aveva condannato gli imputati alla pena complessiva di anni otto e mesi sei di reclusione ed euro 4.000,00 di multa, oltre le sanzioni accessorie e la condanna alle spese, per i delitti di rapina aggravata in concorso e riunione, estorsione tentata, in concorso, violenza sessuale di gruppo, sequestro di persona e lesioni personali aggravate in concorso e riunione. Avverso tale sentenza ricorrono gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, deducendo i motivi comuni, sorretti da ragioni assolutamente sovrapponibili, in appresso sintetizzati, ai sensi dell'art. 173, comma 1, disp. att. , cod. proc. pen. : mendace sui fatti descritti in imputazione e sulle circostanze poste a corredo 1.1. vizio esiziale di motivazione per manifesta illogicità e travisamento delle risultanze istruttorie (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.), per avere la Corte confermato il giudizio di responsabilità degli imputati per i reati loro ascritti in concorso e riunione, totalmente travisando le risultanze istruttorie del giudizio di primo grado, annettendo piena efficacia euristica alla prova dichiarativa proveniente dalla persona offesa, costituitasi parte civile, confusa e contraddittoria sulla cronologia dell'occorso e sulle descritte modalità dei fatti, tanto da risultare inattendibile e addirittura dimostrativo dei fatti; dichiarazioni non confermate da elementi estrinseci ed anzi sconfessate da elementi storici e logici aliunde emersi, oltre che provenienti da soggetto interessato alla calunnia, che costituiva l'unico mezzo per guadagnare la permanenza sul territorio italiano e conseguire il prezzo del risarcimento; 1.2. Mancata assunzione di prova decisiva (art. 606, comma 1, lett. d, in riferimento agli artt. 495, comma 2, 603, comma 1, cod. proc. pen.), prima ammessa e poi illegittimamente revocata in primo grado e non rinnovata in appello; la Corte, non osservando la disposizione processuale sopra indicata, non accoglieva la richiesta di rinnovazione della istruttoria dibattimentale, avanzata per ascoltare due soggetti, la cui ammissione ed escussione era stata revocata per effetto di una ritenuta irreperibilità accertata, ad avviso dei difensori, in maniera superficiale, su circostanze decisive ai fini della dimostrazione di inattendibilità di quanto incostantemente narrato dalla persona offesa; 1.3. Violazione e falsa applicazione della legge penale incriminatrice (art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.), avendo la Corte confermato la qualificazione giuridica dei fatti contestati, laddove questi avrebbero dovuto integrare fattispecie meno gravi; addirittura, i fatti contestati sarebbero diversi da quelli accertati (ricorso Mi.As.), sicché la sanzione applicata per tali fatti (quarto motivo speso nell'interesse del Mi.As.) è del tutto inappropriata e sproporzionata, per quanto la Corte territoriale si sia sforzata di enunciare i criteri dosimetrici della sanzione, che il Tribunale aveva del tutto pretermesso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi di ricorso appaiono manifestamente infondati e comunque (fatta eccezione per quelli volti a censurare la qualificazione dei fatti contestati come ritenuti dai giudici di merito, non previamente rappresentati con i motivi di appello) meramente reiterativi delle doglianze poste con i motivi di gravame alla Corte territoriale, che ha offerto sui punti dedotti, congrua a logica argomentazione. 1.1. I plurimi vizi denunziati, proposti in unico crogiuolo descrittivo, meritano trattazione unitaria, in ragione della comune finalizzazione e sorte processuale. 1.2. La Corte di merito, la cui motivazione si fonde e si integra con quella consonante del giudice di primo grado, ha tratto argomento di conferma dalla complessiva valutazione di sostanziale coerenza del nucleo centrale dichiarativo di quanto narrato dalla persona offesa, accompagnando tale valutazione con l'esame delle circostanze esterne al narrato (rinvenimento presso l'abitazione occupata da Al.Sh. dell'apparecchio cellulare e dei documenti sottratti alla persona offesa) che ne confermano l'attendibilità. Sia la Corte territoriale che il Tribunale hanno correttamente dato conto in motivazione dei criteri adottati nella complessiva valutazione di attendibilità di quanto dichiarato dall'offeso nel processo (così, in tema di valutazione di attendibilità del narrato proveniente dall'offeso, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, Colomberotto, Rv. 271702; Sez. 2, ri. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, dep. 2019, Rv. 275100, in motivazione). La differente lettura in fatto di altri aspetti della narrazione sollecita, dunque, la Corte ad avviare un differente apprezzamento della prova, che non è percorribile nella sede di legittimità (Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Rv. 235716; concetto replicato di recente da Sez. 5, n. 26455 del 9/6/2022, Rv. 283370 - 01). Deve inoltre rammentarsi che il giudice di appello non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni dei suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo: ne consegue che, in tal caso - come verificatosi nella fattispecie - debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Rv.- 254107; Sez. 6, n. 34532 del 22/6/2021, Rv. - 281935 - 01). Nel caso in esame, alla luce della complessiva motivazione del provvedimento impugnato, che si presenta pienamente esaustiva, può ritenersi che i giudici di merito abbiano assolto all'onere motivazionale, accompagnando la valutazione di affidabilità soggettiva della fonte ed attendibilità obiettiva del narrato con la lettura, non manifestamente illogica o distonica, di dati esteri di conforto. 1.3. Del resto, i motivi di ricorso non fanno altro che evidenziare una possibile lettura alternativa della vicenda narrata, che è descritta dai giudici di merito in forme che appaiono congruenti con il narrato ed affatto illogiche, men che meno in forma manifesta. 1.4. In ogni caso, la Corte di merito ha spiegato in maniera chiara, logica e coerente che le aporie, le discontinuità e le correzioni nella descrizione dell'occorso subito sono frutto del disagio personale, della mediazione linguistica, della non semplice collocazione dei ricordi nel tempo e nello spazio; mentre è certo che, a fronte di una indimostrata, per quanto suggestiva, ipotesi alternativa, gli effetti personali sottratti alla persona offesa nelle ore precedenti e concomitanti all'aggressione furono rinvenuti nell'abitazione del ricorrente, che peraltro si adoperava, all'atto della perquisizione domiciliare, per occultarli alla vista degli operanti. Orbene, ogni dato naturalistico ed ogni fenomeno determinato dall'uomo può prestarsi a più differenti letture, ma non si vede perché mai la lettura del dato probatorio offerto con i motivi di ricorso debba giustapporsi ed anzi prevalere su quella spiegata nella motivazione della sentenza impugnata. Ed allora, quel dato di riscontro alla narrazione dell'offeso non può che confortarne la genuinità e la verosimiglianza, come spiegato e ritenuto nella duplice conformità verticale del giudizio di merito. 2. Quanto al secondo motivo di ricorso - teso ad evidenziare l'irritualità della decisione della Corte territoriale, che, non avendo colto la denunciata illegittimità della decisione del Tribunale di revocare l'ammissione dei testi di difesa a cagione della loro irreperibilità, ha rifiutato di rinnovare l'istruttoria, assumendo la prova dichiarativa a discarico mancata in primo grado - deve qui ribadirsi che il giudice, ai sensi dell'art. 495, comma 4, cod. proc. pen. , può revocare una prova testimoniale già ammessa non solo quando essa, rispetto al materiale probatorio già assunto nel contraddittorio tra le parti, non appaia più decisiva, ma anche quando non siano prevedibili i tempi della escussione di un teste del quale sia stato disposto l'accompagnamento coattivo, rimasto ineseguito per la irreperibilità dello stesso; la dilazione sine die dell'incombente istruttorio è, infatti, inconciliabile con il principio di ragionevole durata del processo (Sez. 5, n. 8422 del 14/01/2020, Rv. 278794); mentre il venir meno della accertata condizione di irreperibilità (attestazione di un dato di fatto accertato dalla polizia giudiziaria e del tutto dipendente dalla corretta ragione giurìdica del disposto accompagnamento) avrebbe dovuto esser rappresentata dalla difesa che di quella prova aveva chiesto l'ammissione. La Corte d'appello ha pertanto, con ragione, rifiutato la richiesta rinnovazione, atteso che nulla era stato dedotto dalla parte istante in ordine al venir meno della irreperibilità dei testi. 3. Il terzo motivo (comune) di ricorso, speso in tema di errata qualificazione giuridica dei fatti o loro ontologica diversità rispetto a quelli contestati (in fatto ed in diritto) non risulta previamente dedotto con i motivi di gravame proposti nel merito. Il che rende il motivo inammissibile ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Rv. 270316). 4. Il quarto motivo speso in tema di dedotta erroneità nei criteri dosimetrici della pena è manifestamente infondato. La Corte di appello ha svolto correttamente, secondo i criteri dettati da questa Corte (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Rv. 282269), il calcolo e le ragioni dei singoli aumenti disposti per la continuazione, indicando la pena base per il più grave reato di rapina aggravata in misura non inferiore al minimo edittale previsto per il delitto satellite (art. 609 octies cod. pen.) immediatamente meno grave (Sez. 5, n. 854 del 18/11/2022, dep. 2023, Rv. 284184). Anche l'ultimo motivo va, pertanto, dichiarato inammissibile. 5. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen. , alla inammissibilità dei motivi di ricorso segue la condanna al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la condanna al versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende che stimasi equo determinare in euro tremila per ciascuno dei ricorrenti. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Pesaro, nella persona del dr. Fabrizio Melucci, in funzione di GIUDICE UNICO MONOCRATICO ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 621 del ruolo generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2020 posta in decisione all'udienza del 7.12.2023 promossa DA Parte_i (c.f. c.f._i ), rappresentato e difeso dagli avv.ti Gi.Pi. e Fe.Ba. presso il cui studio sito ad Ancona (AN) in indirizzo_i, ha eletto domicilio in virtù di delega posta in calce all'atto di citazione - attore opponente - CONTRO Controparte_i (c.f. p.iva_i), e per essa la procuratrice (...) Controparte_2 (c.f. p.iva_2), rappresentata e difesa dall'avv. Le.Bl. ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Ro.Zu., sito a Falconara Marittima, indirizzo_2, in virtù di delega posta in calce al ricorso per decreto ingiuntivo - convenuta opposta - In punto a: opposizione a decreto ingiuntivo. Conclusioni Per l'opponente: "precisa le conclusioni come da atto di citazione". Per l'opposta: "si riporta ai propri scritti difensivi, compreso il foglio di precisazione delle conclusioni depositato telematicamente, ed insiste per l'integrale accoglimento delle conclusioni ivi rassegnate". MOTIVAZIONE 1 - Con atto di citazione notificato il 9.3.2020 Parte_i conveniva in giudizio Controparte_1 e per essa la procuratrice Controparte_2 (...) proponendo opposizione al decreto ingiuntivo che quest'ultima aveva ottenuto per il pagamento di Euro.52.068,41, quale debito residuo del contratto di mutuo stipulato il 16.2.2009 con Parte_2 dei cui crediti la stessa Controparte_i era divenuta cessionaria. In citazione si eccepiva che gli interessi corrispettivi e quelli moratori erano usurari, e dunque non dovuti nell'importo complessivo di Euro.14.444,15. Concludeva, pertanto, per la condanna di Controparte_i al pagamento di Euro.14.444,15 ed, in subordine, per la riduzione della somma ingiunta in misura pari alla somma indicata od a quella di giustizia. Si costituiva Controparte_i e per essa la procuratrice (...) Controparte_2 la quale contestava l'opposizione, assumendo che gli interessi pattuiti e quelli moratori applicati non erano usurari. Concludeva, pertanto, per il rigetto dell'opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo opposto; in subordine, domandava che fosse accertato il proprio credito in misura pari alla somma ingiunta, oltre interessi di mora come da contratto. Respinta la richiesta di provvisoria esecuzione ed esperita la mediazione, in istruttoria aveva corso una consulenza tecnica. La causa, quindi, sulle opposte conclusioni delle parti, come in epigrafe trascritte, passava in decisione all'udienza del 7.12.2023. 2 - La controversia in esame, avente ad oggetto contratti bancari, è soggetta alla condizione di procedibilità del previo esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria (art. 5 D.Lgs. n. 28 del 2010 nel testo anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 149 del 2022, applicabile ratione temporis). Come statuito dalla Suprema Corte, "nel procedimento di mediazione obbligatoria disciplinato dal D.Lgs. n. 28 del 2010, quale condizione di procedibilità per le controversie nelle materie indicate dall'art. 5, comma 1 bis, del medesimo decreto (come introdotto dal d.l. n. 69 del 2013, conv., con modif., in l. n. 98 del 2013), è necessaria la comparizione personale delle parti, assistite dal difensore, pur potendo le stesse farsi sostituire da un loro rappresentante sostanziale, dotato di apposita procura, in ipotesi coincidente con lo stesso difensore che le assiste. La condizione di procedibilità può ritenersi, inoltre, realizzata qualora una o entrambe le parti comunichino al termine del primo incontro davanti al mediatore la propria indisponibilità a procedere oltre" (Cass. 2019 n. 8473). Come affermato sempre dalla citata pronuncia, "l'art. 8, dedicato al procedimento, prevede espressamente che al primo incontro davanti al mediatore debbano essere presenti sia le parti che i loro avvocati. La previsione della presenza sia delle parti sia degli avvocati comporta che, ai fini della realizzazione della condizione di procedibilità, la parte non possa evitare di presentarsi davanti al mediatore, inviando soltanto il proprio avvocato" (ancora Cass. 2019 n. 8473). Nella specie, eccepita dall'opponente entro la prima udienza l'improcedibilità della domanda (v. note 2.10.2020) ed assegnato termine a parte opposta per l'attivazione del procedimento (v. ordinanza 28.10.2020), la stessa ha promosso il procedimento, ma dinanzi al mediatore, come si legge nel relativo verbale, la parte Controparte_i, non è comparsa personalmente, essendo intervenuto un avvocato in suo rappresentanza, che non risulta munito di apposita procura (sostanziale) per il procedimento di mediazione. La condizione di procedibilità non è, dunque, avverata. Quanto alle conseguenze del mancato avveramento della condizione di procedibilità, si rileva che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta, con l'effetto, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo (Cass. Sez. U. 18 settembre 2020, n. 19596). Il decreto ingiuntivo opposto va, dunque, revocato, risultando così assorbiti, in ragione dell'improcedibilità della domanda di parte opposta, i restanti motivi di opposizione e le questioni di merito, inclusa la domanda riconvenzionale la cui ammissibilità, seppur non condizionata dall'onere di preventivo esperimento della mediazione obbligatoria (cfr. Cass. sez. un. 2024 n. 3452), richiede comunque che la domanda principale sia stata regolarmente proposta con l'effetto di investire il giudice della controversia. 3 - La definizione in rito della causa è giusto motivo per compensare le spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale di Pesaro, definitivamente pronunciando sulla causa promossa da Parte_i contro Controparte_i e per essa la procuratrice (...) Controparte_2 così provvede: 1) dichiara improcedibile la domanda proposta da Controparte_i e per essa dalla procuratrice Controparte_2 e, pertanto, revoca il decreto ingiuntivo opposto n. 1276/2019 emesso da questo tribunale; 2) compensa le spese di lite tra le parti e pone quelle di consulenza tecnica d'ufficio, liquidate con decreto 20.9.2023, definitivamente a carico delle parti in quote uguali. Così deciso a Pesaro il 27 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Bari Sezione Lavoro Il Tribunale, nella persona del giudice designato Dott. (...) udienza del 27/05/2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA CONTESTUALE nella causa lavoro di I grado iscritta al N. (...)/2020 R.G. promossa da: (...) rappresentato e difeso dall'avv.(...) giusta procura in atti RICORRENTE contro: (...) rappresentato e difeso dall'avv (...) giusta procura in atti RESISTENTE Oggetto: risarcimento danni per demansionamento MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto depositato il (...), il ricorrente di cui in epigrafe - premesso di essere dipendente delle (...) srl quale dirigente - esponeva di aver svolto le mansioni di dirigente del servizio manutenzione infrastrutture dal 2007 e, dal 2012, anche quelle di direttore di esercizio. Lamentava il ricorrente di aver subito un demansionamento in quanto il (...) prima e la nuova governance della società poi, lo avevano privato dell'incarico di direttore di esercizio facendogli svolgere dei ruoli (Dirigente del "(...)" e con contestuale revoca della funzione di (...) di (...) e di responsabile della"(...) Infrastrutture" e poi quale direttore dei lavori sotto la gestione commissariale; con l'avvento della attuale società: responsabile del (...) censimento per la valorizzazione/alienazione dell'asset immobiliare non strumentale di (...) salvo poi dopo la soppressione di tale progetto essere destinato a operare alle dirette dipendenze dell'(...) e (...) con compiti non equivalenti a quanto faceva in qualità di direttore di esercizio. Sosteneva il ricorrente che tale demansionamento unitamente a una pressante condotta societaria tesa a provocarne le dimissioni, realizzavano un comportamento mobbizzante nei propri confronti. Chiedeva, pertanto, la condanna al risarcimento del danno da demansionamento e mobbing per una somma pari a Euro260.00,00 (poi contenuta in Euro100.000,00 nelle note conclusive). Si costituiva tardivamente in giudizio la (...) srl che contestava in fatto e diritto gli avversi assunti e concludeva per il rigetto del ricorso. Tanto premesso, il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni e nei limiti di seguito esposti. Sostiene il ricorrente di aver subito un demansionamento in quanto le mansioni svolte prima dell'avvento del commissario (commissariamento, disposto dal Ministero delle (...) e dei (...) nel gennaio 2016 in seguito a crisi economica della società) erano certamente inferiori al ruolo di direttore di esercizio assegnato ad altro dipendente. (...) documentazione in atti e dalla istruttoria svolta emerge che effettivamente il ricorrente ha subito il lamentato demansionamento. E difatti (...) con delibera n.39/16 il sub commissario stabiliva di affidare "1. Direzione Attività Ferroviaria a. Direzione Trasporto Ferroviario: incarico affidata all'ing. (...) b. (...) incarico affidato all'ing. (...)" La medesima delibera prosegue affermando: "la figura del (...) dell'(...) (ex art. 89-94 D.P.R. 753/80) è attribuita, su indicazione del (...) al (...) della (...) di cui al punto a. ovvero di cui al punto b., in possesso dei requisiti previsti dalla vigente normativa" (cfr. doc.n.8 fasc ric.). Giova subito evidenziare che il ricorrente era l'unico a possedere i requisiti formali per poter svolgere l'incarico ("prescritto nulla osta ai fini della sicurezza e di assenso alla nomina del predetto a (...) di esercizio, secondo quanto prescritto dal D.P.R. 753/80, L.R. n. 18/2002 e Decreto Ministero dei (...) 15.3.1993") tanto che nella delibera n. 67/16 si stabiliva di conferire l'incarico di Dirigente del "(...) e (...) degli Investimenti "all'ing. (...) con invarianza di retribuzione e con contestuale revoca della funzione di (...) di (...) e di responsabile della"(...) Infrastrutture". 5. di designare, quale nuovo (...) di (...) e (...) l'ing. (...) attuale direttore del (...) Ferroviario...." E poi di al punto 6 si prevedeva di "provvedere, acquisita l'accettazione dell'ing. (...) ad inoltrare richiesta agli (...) competenti per il rilascio del prescritto nulla osta ai fini della sicurezza e di assenso alla nomina del predetto a (...) di esercizio, secondo quanto prescritto dal D.P.R. 753/80, L.R. n. 18/2002 e Decreto Ministero dei (...) 15.3.1993" (cfr. doc. n. 9 fasc. ric). (...) documentazione comprova che il ricorrente ha poi ricevuto la nomina per incarichi (cfr. ad esempio doc. n.15 relativo alla nomina quale direttore del controllo tecnico e progettazione investimenti, ovvero la nomina quale direttore dei lavori ex doc. nn.21,22 e 23) certamente meno qualificanti rispetto al ruolo di direttore di esercizio ricoperto fino alla revoca di cui alla delibera n.67/16 sopra citata. Anche con l'avvento della nuova compagine societaria cessato il commissariamento, il ricorrente è stato destinatario di incarichi non equivalenti (prima l'assegnazione a un (...) censimento per la valorizzazione/alienazione dell'asset immobiliare non strumentale di FSE e poi, dopo la soppressione di tale progetto, la destinazione per operare alle dirette dipendenze dell'(...) e (...) a quanto svolto in precedenza. Ritiene lo scrivente che dalla documentazione risulta pacificamente il demansionamento del ricorrente atteso che la funzione di direttore di esercizio è un ruolo apicale e operativo che richiede anche determinati requisiti di legge mentre i ruoli assegnati al (...) specie in seguito alla revoca dell'incarico, sono ruoli certamente meno rilevanti, in alcuni casi (direzione dei lavori) svolti solitamente da funzionari e non dirigenti, in altri dal contenuto fumoso e che la resistente, anche a causa della tardiva costituzione in giudizio, non ha dimostrato avere lo stesso valore professionale contenuto nella figura di direttore di esercizio. Il teste (...), direttore del personale all'epoca dei fatti, ha poi confermato che il (...) prima della revoca continuava a firmare gli atti quale direttore di esercizio, ma le mansioni di fatto erano svolte dal soggetto nominato. Ne deriva, a parere dello scrivente, la conferma del demansionamento del ricorrente il quale, in un primo momento, ha continuato a essere il firmatario degli atti in quanto l'unico a possedere i requisiti di legge per rivestire il ruolo di direttore di esercizio anche se di fatto non svolgeva più tali compiti. Ne deriva che senza dubbio vi è stato uno svilimento delle mansioni svolte in quanto il ricorrente da un ruolo apicale si è trovato a svolgere ruoli svolti anche da funzionari e comunque privi di un reale contenuto come nel caso dell'assegnazione al progetto censimento per la valorizzazione/alienazione dell'asset immobiliare non strumentale di (...) che in seguito è stato soppresso, ovvero con la destinazione a operare alle dirette dipendenze dell'(...) e (...) senza che risulti in cosa si sia concretizzata tale attività. Ne deriva che il ricorrente ha senza dubbio svolto mansioni inferiori a quelle ricoperte sin dal 2007. Infondata è invece la domanda relativa al mobbing. Va preliminarmente ricordato che le condizioni ordinariamente usuranti dal punto di vista psichico (cfr.Cass. 3028/13; n.10361/97), per effetto della ricorrenza di contatti umani in un contesto organizzativo e gerarchico, per quanto possano eventualmente costituire fondamento per la tutela assicurativa pubblica (d.P.R. n. 1124/1965 e D.Lgs. n. 38/2000, nelle forme della c.d. "costrittività organizzativa"), non sono in sé ragione di responsabilità datoriale, se appunto non si ravvisino gli estremi della colpa comunque insiti nel disposto dell'art. 2087 cod. civ.. Come recentemente ricordato dalla Corte di cassazione (cfr. Cass. n. 29101/23), in relazione alla tutela della personalità morale del lavoratore, al di là della tassonomia e della qualificazione come mobbing e straining, quello che conta è che il fatto commesso, anche isolatamente, sia un fatto illecito ex art. 2087 cod. civ. da cui sia derivata la violazione di interessi protetti del lavoratore al più elevato livello dell'ordinamento, ovvero la sua integrità psicofisica, la dignità, l'identità personale, la partecipazione alla vita sociale e politica. La reiterazione, l'intensità del dolo, o altre qualificazioni della condotta sono elementi che possono incidere eventualmente sul quantum del risarcimento ma nessuna offesa ad interessi protetti al massimo livello costituzionale come quelli in discorso può restare senza la minima reazione e protezione rappresentata dal risarcimento del danno, a prescindere dal dolo o dalla colpa datoriale, come è proprio della responsabilità contrattuale in cui è invece il datore che deve dimostrare di aver ottemperato alle prescrizioni di sicurezza (cfr. anche Cass.n.4664/24). Ciò detto ritiene lo scrivente che nel caso di specie non si ravvisano, nemmeno dal punto di vista indiziario-presuntivo, elementi per potere ritenere le condotte della resistente colpose e/o dolose nell'accezione indicata in quanto si è trattato di atti rientranti in una riorganizzazione/rotazione dei dirigenti che se da un lato ha portato al demansionamento del (...) dall'altro non era attività sorretta da intento persecutorio. Quanto alle lamentate indebite pressioni finalizzate a far dimettere il (...) non è emersa la prova che ciò sia realmente accaduto. E difatti dalla documentazione svolta e dalle dichiarazioni dei testi è emerso che vi è stata una trattativa finalizzata a un'uscita del ricorrente dalla società; non vi sono peraltro elementi per potere ritenere che vi siano state indebite pressioni e non già una normale dinamica tesa a incentivare l'esodo di un dirigente nell'ambito di un progetto di riorganizzazione aziendale. Va poi evidenziato che anche tenuto conto della recente giurisprudenza sopra citata non vi è spazio per l'applicazione del 2087 c.c. in quanto il ricorrente non ha subito il danno biologico lamentato. La ctu effettuata ha infatti escluso che il (...) abbia subito un disturbo psichico organizzato: il ricorrente ha avuto solo una condizione di malessere psico fisica di natura transitoria (una nel periodo maggio - settembre 2016 e l'altra per quasi tutto il 2020). La ctu ha evidenziato che si è trattato di manifestazioni episodiche avvenute in concomitanza con gli eventi che lo hanno visto destinatario dei provvedimenti datoriali, ma ha escluso che vi siano elementi oggettivi per potere affermare che tali reazioni si siano successivamente organizzate in un disturbo psichico nosologicamente riconosciuto e cronicizzato, come ad esempio, un disturbo post traumatico da stress o disturbo dell'adattamento che rappresentano le tipiche patologie psichiatriche che possono essere correlate a stress lavorativi. Ritiene il (...) di dover aderire alle conclusioni cui è pervenuto il Ctu attraverso un accurato esame clinico in assenza di puntuali contestazioni mosse da parte ricorrente e peraltro confutate in modo condivisibile in sede di replica alle osservazioni mosse dai ctp. Ne deriva che alcun danno ha subito il ricorrente e dunque anche ai sensi dell'art. 2087 c.c. non può riconoscersi alcun risarcimento per danno biologico. Parte ricorrente ha anche allegato che il demansionamento ha determinato una lesione della sua dignità ed immagine professionale con un depauperamento del proprio bagaglio professionale; ha poi lamentato anche un danno biologico. Ciò posto, la Corte di cassazione ha più volte affermato che in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo. Va ricordato che costituisce ius receptum (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. Lav. n. 12253/15) che "In caso di demansionamento è configurabile a carico del lavoratore un danno, costituito da un impoverimento delle sue capacità per il mancato esercizio quotidiano del diritto di elevare la professionalità lavorando, sicché per la liquidazione del danno è ammissibile, nell'ambito di una valutazione necessariamente equitativa, il ricorso al parametro della retribuzione." Reputa il giudicante che le allegazioni formulate in ricorso e la loro dimostrazione in giudizio siano idonee a fondare una pronuncia di condanna per il subito danno professionale. Va dunque ribadito che, provato il danno, secondo l'insegnamento della S. Corte se ne ammette la valutazione in via equitativa ex art. 1226 c.c. (come pacificamente ammesso dalla giurisprudenza: cfr. Cass. n.3299/92; n.10157/04; n.15955/04; n.9073/13). Nell'enunciazione dei criteri presi in considerazione ai fini della liquidazione del danno da demansionamento si è fatto riferimento in giurisprudenza, in particolare, alla retribuzione mensile percepita dal lavoratore ed alla durata della dequalificazione, prendendo inoltre quali ulteriori parametri, laddove sussistenti: i motivi del provvedimento di demansionamento e la notorietà e risonanza nell'ambiente specifico, l'elemento intenzionale del datore di lavoro, la gravità del demansionamento - desumibile dal divario tra le mansioni svolte prima e quelle svolte dopo il demansionamento-, il fatto che il dipendente si sia rifiutato di svolgere le mansioni del proprio livello, le numerose assenze fatte dal lavoratore durante il periodo successivo alla dequalificazione, canoni di valutazione richiamati nella decisione delle (...) 22.2.2010 n. 4063. Tanto premesso, è opinione del GdL che, in considerazione dell'anzianità lavorativa dell'istante, della durata del demansionamento, può ritenersi in via equitativa che il ristoro possa essere commisurato al 20% della retribuzione netta di base percepita dal ricorrente dal luglio 2016 alla data di cessazione del rapporto di lavoro. Come detto il ricorrente ha poi lamentato anche di aver subito un danno biologico. Va in via preliminare evidenziato tale voce di danno è ulteriore a quella del danno alla professionalità. E' infatti pacifico che le due voci di danno hanno presupposti completamente diversi, essendo una relativo al fisico del lavoratore, mentre la seconda alla sua professionalità e cioè all'aspetto della sua prestazione e capacità lavorativa (cfr. Cass. n.172/14). Va, poi, sottolineato che condotte del datore di lavoro inadempienti al disposto degli artt. 2013 e 2087 c.c. possono comunque essere fonte di danni non patrimoniali risarcibili anche qualora non diano luogo ad una lesione dell'integrità psicofisica del lavoratore, ma ledano altri diritti tutelati da tali disposizioni o comunque aventi rilievo costituzionale, come ad es. la dignità personale, l'immagine professionale, l'onore e la reputazione. Ne deriva che ove ricorra anche una lesione all'integrità psicofisica del lavoratore, i due tipi di danni possono coesistere. La liquidazione dei differenti tipi di danno deve, poi, avvenire anche in via equitativa, secondo parametri che consentano una valutazione che sia adeguata e proporzionata e il completo ristoro del pregiudizio effettivamente subito, ma evitando duplicazione risarcitorie, attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici (cfr. Cass. n.4379/16; n.7766/16; n.7513/18). La Suprema Corte ha, invero, evidenziato che "è ammissibile la risarcibilità di plurime voci di danno non patrimoniale, purché allegate e provate nella loro specificità, risolvendosi in una ragionevole mediazione tra l'esigenza di non moltiplicare in via automatica le voci risarcitorie in presenza di lesioni all'integrità psico-fisica della persona con tratti unitari suscettibili di essere globalmente considerati, e quella di valutare l'incidenza dell'atto lesivo su aspetti particolari che attengono alla personalità del "cittadino-lavoratore", protetti non solo dalle fonti costituzionali interne, ma anche da quelle internazionali e comunitarie, incombendo tuttavia sul lavoratore la prova che un particolare e specifico aspetto della sua personalità ed integrità morale, anche dal punto di vista professionale, non sia stato già risarcito a titolo di danno morale (cfr. Cass. n.583/16). Accedendo alla tesi maggioritaria in dottrina e in giurisprudenza, la responsabilità datoriale va prospettata come di natura contrattuale perché la lesione della salute si configura come conseguenza di un comportamento già ritenuto illecito sul piano contrattuale e deriva dalla violazione dell'obbligo di cui all'art.2087 c.c.. Giacchè l'illecito deriva dalla violazione di un obbligo contrattuale, il datore di lavoro versa in una situazione di inadempimento contrattuale regolato dall'art 1218 c.c. con conseguente esonero da parte del lavoratore, dell'onere della prova sulla sua imputabilità che va regolata in connessione con l'art 1223 c.c.. Ciò che il lavoratore deve provare è il fatto materiale, il danno patito e il nesso di causalità tra il danno e fatto verificatosi nel corso del rapporto di lavoro, spettando invece al datore di lavoro di provare di aver adottato tutti gli accorgimenti possibili per evitare il danno. I danni non patrimoniali, come detto, sono a loro volta qualificabili sub specie di danni biologici (con accertamento medico legale) e c.d. esistenziali (lesione dell'identità professionale, dell'immagine, della vita di relazione). (...) lesione dell'art 2087 cc, infatti, possono derivare sia il danno patrimoniale che il danno non patrimoniale, sia come danno biologico (che non può prescindere dall'accertamento medico legale) che come, morale ed esistenziale come lesione del diritto alla libera esplicazione della personalità sul luogo di lavoro e nella vita di relazione (verificato mediante prova testimoniale, documentale o presuntiva). Nel caso di specie, come ricordato sopra, la ctu ha escluso la ricorrenza di un danno biologico e dunque anche sotto il profilo del demansionamento tale voce di danno non può essere riconosciuta. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo; le spese di ctu, liquidate con separato decreto, sono definitivamente poste a carico della resistente. P.Q.M. In composizione monocratica, in persona del dott.(...) in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da(...) nei confronti (...), così provvede: 1) Accoglie il ricorso e condanna la resistente al pagamento in favore del ricorrente della somma pari al 20% della retribuzione netta di base percepita dal ricorrente dal luglio 2016 alla data di cessazione del rapporto di lavoro. 2)Pone le spese di ctu definitivamente a carico della resistente 3) (...) la convenuta al pagamento delle spese di giudizio in favore del ricorrente, liquidate in Euro 5.800,00 per compensi, oltre rimborso forfettario, IVA e CAP come per legge.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. PELLEGRINO Andrea - Consigliere - Relatore Dott. CIANFROCCA Pierluigi - Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - Consigliere Dott. RECHIONE Sandra - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Ca.Ci. , nato a S (BG) il (Omissis) rappresentato ed assistito dall'avv. Al.Be., di fiducia avverso la sentenza in data 07/07/2023 della Corte di appello di Brescia, seconda sezione penale; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; preso atto che è stata avanzata dalla difesa del ricorrente richiesta di trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1 - bis cod. proc. pen. , 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell'art. 5 - duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall'art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112; rilevato che il ricorrente è stato ammesso alla richiesta trattazione orale in presenza, validamente richiesta nei termini di legge; udita la relazione svolta dal consigliere Andrea Pellegrino; udita la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale, Luigi Orsi, riportandosi alla memoria scritta in data 02/04/2024, ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso; udita la discussione della difesa del ricorrente, avv. Al.Be., che si è riportato ai motivi di ricorso chiedendone l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 07/07/2023, la Corte di appello di Brescia confermava la pronuncia di primo grado resa dal Tribunale di Brescia in data 17/01/2023 con la quale Ca.Ci. era stato condannato alla pena di anni cinque, mesi quattro di reclusione ed euro 1.200 di multa per i delitti, unificati di vincolo della continuazione, di cui agli artt. 628, primo e terzo comma, n. 1 cod. pen. (capo A) e 2 I. 895/1967 (capo B) con la recidiva specifica reiterata ed infraquinquennale, il tutto previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle residue aggravanti e l'interdizione temporanea dai pubblici uffici. 2. Avverso la predetta sentenza, nell'interesse di Ca.Ci.. è stato proposto ricorso per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. Primo motivo: omessa motivazione in ordine alla valutazione della prova decisiva costituita dall'esame della teste oculare Hu.Me. La sentenza di appello, pur a fronte di uno specifico ed articolato motivo di gravame, non aveva in alcun spiegato quali motivi di inattendibilità avessero giustificato la decisione del Tribunale di trasmettere gli atti al pubblico ministero per le valutazioni di competenza in ordine alla deposizione della succitata teste, compagna del ricorrente: in realtà, quest'ultima aveva fornito dettagli precisi con riguardo sia alle circostanze spazio-temporali della vicenda, sia all'inesistenza della pistola, sia alle modalità di consumazione della "truffa" da parte del compagno, sia alla sua oggettiva impossibilità di usare la mano destra. Secondo motivo: contraddittorietà della motivazione in ordine alla valutazione della prova decisiva travisata costituita dalla documentazione sanitaria attestante la paresi della mano destra e la sua inutilizzabilità con conseguente impossibilità di armare una pistola, impugnandola e, al contempo, arretrando il carrello. La certificazione medica acquisita agli atti dimostra in modo incontrovertibile che: il palmo della mano destra del ricorrente non può essere piegato verso l'esterno (flessione dorsale); lo stesso palmo della mano destra non può essere piegato verso l'interno (flessione palmare); le dita della mano destra non possono essere piegate verso l'interno lungo le falangi (abdo-adduzione delle dita); le medesime dita della mano destra non possono essere opposte le une alle altre (prensione). Nonostante sia stato così dimostrato che si è in presenza di mano inservibile, impedita a ogni altro movimento, i giudici di merito concludono affermando inopinatamente che "i menzionati supporti documentali non offrono ... alcuna indicazione di impossibilità di utilizzo della mano destra": si è in presenza di un errore percettivo in quanto, a fronte di una comprovata diagnosi altamente invalidante, ha persino escluso la possibilità di procedere a perizia, con conseguente evidente travisamento della prova. Terzo motivo: manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione della versione alternativa offerta dall'imputato e confermata dalla testimone oculare. Non appare superato il dubbio ragionevole per arrivare alla pronunciata condanna. Invero, il ricorrente ha da sempre propugnato una ricostruzione alternativa della vicenda: il Ca.Ci. non ha rapinato il Qu.Ri. , ma lo ha invece truffato, usando la scusa della raccolta del denaro per allontanarsi dalla roulotte con in mano l'orologio. Riusciva a farlo allontanare dal campo - nomadi grazie ad una telefonata con cui lo invitava a recarsi in altra località per la corresponsione del prezzo pattuito. Trattandosi di raggiri, ne seguiva una mediazione, durata numerosi giorni, sostenuta dalla promessa di pagamento (almeno parziale) del monile in cambio della mancata presentazione della querela. L'omessa corresponsione del denaro portava la persona offesa ad assumere un atteggiamento gradualmente vendicativo. Invero, il Qu.Ri. dapprima non si rivolgeva alle forze dell'ordine, poi si limitava ad accennare ai Carabinieri di aver intravisto una pistola nella cintura del Ca.Ci. e, infine, nella denuncia - querela aggiungeva che l'arma gli sarebbe stata puntata contro. Ottenuto un parziale ristoro economico in udienza preliminare, rinunciava alla propria costituzione di parte civile, ma richiamato in dibattimento come teste, per evidenti ragioni autodifensive, non ritrattava la propria versione e rincarava la dose aggiungendo di aver visto lo "scarrellamento" completo dell'arma ad opera dell'imputato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato in relazione al primo e al terzo motivo proposto (rimanendo assorbito il secondo) e il suo accoglimento comporta l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia per nuovo giudizio. 2. Va evidenziato in premessa come al giudice di legittimità sia preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. 2.1. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto, mentre la Corte, anche nel quadro della nuova disciplina, è - e resta - giudice della motivazione. Secondo le Sezioni Unite "l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali; l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). 2.1.1. Deve, pure, essere rimarcato che ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello, trattandosi di c.d. doppia conforme, si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando il giudice del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordi nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595). Va, anche, osservato che l'omesso esame di un motivo di appello da parte della Corte di merito non da luogo a un difetto di motivazione rilevante a norma dell'art. 606 cod. proc. pen. , ne' determina incompletezza della motivazione della sentenza allorché, pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso perché incompatibile con la struttura e con l'impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima. Secondo il disposto dell'art. 597, comma 1, cod. proc. pen. , l'appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione nel procedimento (limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti). 2.1.2. Pertanto, il giudice d'appello deve tenere presente, dandovi risposta in motivazione, quali sono state le doglianze dell'appellante in ordine ai punti o capi investiti dal gravame, ma non è tenuto ad indagare su tutte le argomentazioni elencate in sostegno dell'appello quando esse siano incompatibili con le spiegazioni svolte nella motivazione, poiché in tal modo quelle argomentazioni si intendono assorbite e respinte dalle spiegazioni fornite dal giudice di secondo grado (Sez. 1, n. 1778 del 21/12/1992, dep. 1993, Zuncheddu, Rv. 194804). Occorre rilevare, altresì, che in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento" (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0. , Rv. 262965). 2.1.3. Va, quindi, evidenziato che secondo il diritto vivente, è preclusa alla Corte di cassazione "la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova" (così, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, dep. 2019, Battaglia, Rv. 275100, in motivazione; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, Colomberotto, Rv. 271702; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482). 2.1.4. In ordine alla valutazione degli indizi va premesso che per indizio s'intende "un fatto certo dal quale, per inferenza logica basata su regole di esperienza consolidate e affidabili, si perviene alla dimostrazione del fatto incerto da provare, secondo lo schema del ed. sillogismo giudiziario" (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191230). L'indizio è un elemento conoscitivo che, senza poter rappresentare in via diretta il fatto da provare, è dotato di un'autonoma capacità rappresentativa, riguardante una o più circostanze diverse, ma collegate sul piano logico con quella da dimostrare. Se dall'indizio è deducibile un'unica conseguenza, esso costituisce una prova logica compiuta ed in sè sufficiente (Sez. 4, n. 19730 del 19/03/2009, Pozzi, Rv. 243508) nel senso che presenta una correlazione obbligata tra fatto ignoto e quello noto, al quale, sulla base delle leggi scientifiche, il primo è legato in modo certo ed inevitabile. Solitamente esso è però significativo di una pluralità di fatti non noti, presentando un livello di gravità e precisione in relazione di proporzione diretta con la forza di necessità logica con la quale l'indizio porta verso il fatto da dimostrare e di proporzione inversa con la molteplicità di accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di comune esperienza. Tale relativa ambiguità ed inefficienza probatoria diretta dà conto della ragione per la quale il sistema processuale impone un particolare rigore valutativo degli indizi secondo la regola 5 dettata dall'art. 192, comma 2, cod. proc. pen. di cui pretende gravità, precisione e concordanza. La Suprema Corte è ormai pervenuta ad esiti consolidati nel ravvisare la corretta applicazione del parametro legale di apprezzamento della prova indiziaria in quanto il fatto assumibile come indizio deve presentare carattere di certezza, intesa, non in senso assoluto e naturalistico, ma quale portato della verifica processualmente conducibile alla stregua delle fonti di prova acquisite (cfr. , Sez. 4, n. 2967 del 25/01/1993, Bianchi, Rv. 193407; Sez. 4, n. 39882 del 01/10/2008, Zocco, Rv. 242123). 2.1.5. E', dunque, necessario che la prova critica non sia affidata ad un fatto verosimilmente accaduto, supposto o intuito sulla scorta di opinabili congetture o di elaborazioni personali del decidente, dovendo ricevere riscontro nelle evidenze probatorie del processo. Per gravità s'intende poi l'intrinseca capacità dimostrativa rispetto al thema probandum, ossia la probabilità di derivazione dal fatto noto di quello ignoto, mentre precisione significa specificità, univocità ed impossibilità di diversa interpretazione, altrettanto o più verosimile e concordanza, requisito proprio della pluralità di indizi, indica convergenza, concordanza e non contraddittorietà di significato in modo tale che, grazie al reciproco collegamento ed alla simultanea direzione verso lo stesso risultato, il loro insieme assume l'efficacia dimostrativa della prova (Sez. 1, n. 7027 del 08/03/2000, Di Telia, Rv. 216181; Sez. 4, n. 22391 del 02/04/2003, Qehalliu Luan, Rv. 224962; Sez. 6, n. 3882 del 04/11/2011, Annunziata, Rv. 251527; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, Stasi, Rv. 258321; Sez. 1, n. 37348 del 06/05/2014, Witczak Lewandowska, Rv. 260278). La Suprema Corte ha precisato come l'art. 192, comma 2, cod. proc. pen. impone anche un vincolo di metodo operativo per il corretto utilizzo della prova indiziaria, nel senso che, poiché l'indizio in sé considerato può essere indicativo di una pluralità di fatti non noti, incluso quello da dimostrare, il relativo apprezzamento postula una preventiva valutazione per individuarne "la valenza qualitativa individuale e il grado di inferenza derivante dalla loro gravità e precisione" (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231678) sulla base di affidabili regole di esperienza e di criteri logici e scientifici. Si rende, quindi, necessaria la verifica successiva, consistente nella considerazione unitaria e complessiva degli elementi acquisiti, che ne evidenzi "i collegamenti e la confluenza in un medesimo, univoco e pregnante contesto dimostrativo" e chiarisca eventuali profili di ambiguità, presentati da ciascuno di essi in sè considerato, in modo da consentire l'attribuzione del fatto illecito all'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio anche in assenza di una prova diretta di reità, non essendo sufficiente dal punto di vista metodologico proporne una lettura in termini di mera sommatoria, né, all'opposto, un'analisi atomistica che prescinda dal loro raffronto e dalla considerazione unitaria (cfr. , Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231678; Sez. 1, n. 30448 del 09/06/2010, Rossi, Rv. 248384; Sez. 2, n. 42482 del 19/09/2013, Kuzmanovic, Rv. 256967). 2.1.6. Nell'impiego della prova indiziaria è, dunque, richiesta al giudice la conduzione di un ragionamento probatorio che attraverso l'utilizzo di regole di esperienza, tratte dalla osservazione ripetuta del normale svolgimento delle vicende naturali e di quelle umane in presenza di determinate condizioni e dalla logica, che orienta i percorsi mentali della razionalità umana, oppure di leggi scientifiche di valenza universale o di ricorrenza statistica- deve procedere, fornendone adeguata giustificazione, alla verifica, dapprima della validità delle regole o delle leggi utilizzate, quindi della correttezza e consequenzialità logica del risultato ottenuto. Solo così è possibile proporre una ricostruzione del fatto di reato "in termini di certezza tali da escludere la prospettabilità di ogni altra ragionevole soluzione, ma non anche di escludere la più astratta e remota delle possibilità che, in contrasto con ogni e qualsivoglia verosimiglianza ed in conseguenza di un ipotetico, inusitato combinarsi di imprevisti e imprevedibili fattori, la realtà delle cose sia stata diversa da quella ricostruita in base agli indizi disponibili" (Sez. 1, n. 3424 del 02/03/1992, Di Palma, Rv. 189682). Come già affermato da questa Suprema Corte, tale canone orientativo, pur non autorizzando il recepimento di spiegazioni alternative del medesimo fatto segnalate dalla difesa (cfr. , Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600; Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, Guernelli, Rv. 259204; Sez. 5, n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579), impone che la pluralità di possibili ricostruzioni della vicenda abbia costituito oggetto di puntuale e attenta disamina da parte del giudice d'appello e che l'esistenza di una ragionevole perplessità sulla ipotesi alternativa, riguardante tanto la causale, quanto gli autori dell'azione criminosa, sia stata esclusa all'esito di un percorso delibativo, condotto mediante un serrato confronto dialettico con le emergenze processuali. Per convalidare, sul piano logico, il giudizio di colpevolezza, è dunque necessario che i dati probatori acquisiti siano tali da lasciare fuori solo eventualità remote, la cui effettiva realizzazione nella fattispecie concreta sia priva del benché minimo riscontro nelle risultanze processuali, addirittura ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della ordinaria razionalità umana, secondo l'orientamento espresso da Sez. 1, n. 31456 del 21/05/2008, Franzoni, Rv. 240763 (vedi anche, Sez. 2, n. 2548 del 19/12/2014, dep. 2015, Segura, Rv. 262280). 2.1.7. In ordine al sindacato demandato alla Suprema Corte è evidente che la stessa non è chiamata a valutare la gravità, la precisione e della concordanza in sé degli indizi, la cui verifica diretta comporterebbe sconfinamenti indebiti nella ricostruzione del fatto di reato, compito esclusivo del giudice di merito, ma deve riguardare la articolazione logica e giuridica della motivazione della relativa sentenza per poterne verificare la corretta applicazione dei criteri legali dettati dall'art. 192, comma 2, cod. proc. pen. delle regole della logica e del principio di non contraddizione, nonché la compiutezza e coerenza argomentativa nella considerazione della valenza dimostrativa dei risultati probatori (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. 1, n. 42993 del 25/09/2008, Pipa, Rv. 241826; Sez. 4, n. 48320 del 12/11/2009, Durante, Rv. 245880). 2.2. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione "oltre ogni ragionevole dubbio", presente nel testo novellato del richiamato art. 533 cod. proc. pen. quale parametro cui conformare la valutazione inerente all'affermazione di responsabilità dell'imputato, è opportuno evidenziare che, al di là dell'icastica espressione, mutuata dal diritto anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio costituzionale della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale. Si è, in proposito, osservato che detta espressione ha una funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in precedenza, il "ragionevole dubbio" sulla colpevolezza dell'imputato ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen. sicché non si è in presenza di un diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, già in precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema - per tutte, Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222139 - e solo successivamente recepita nel testo novellato dell'art. 533 cod. proc. pen.), secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della responsabilità dell'imputato (Sez. 2, n. 19575 del 21/04/2006, Serino, Rv. 233785; Sez. 2, n. 16357 del 02/04/2008, Crisiglione, Rv. 239795). Ciò comporta che il vizio di motivazione va escluso quando il ragionamento sia effettivamente adeguato a superare il ragionevole dubbio e, per converso, sussiste quando le alternative proposte dalla difesa siano logiche e fondate su elementi di prova acquisiti al processo e regolarmente prospettati. Infatti, la condanna può essere pronunciata a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili "in rerum natura" ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (cfr. , Sez. 1, n. 17921 del 03/03/2010, Giampà, Rv. 247449; Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, Graziadei, Rv. 266941). La regola di giudizio contenuta nell'art. 533, comma 1, cod. proc. pen. , come modificato dall'art. 5 della legge n. 46 del 2006 impone, infatti, al giudice il ricorso "ad un metodo dialettico di verifica dell'ipotesi accusatoria secondo il criterio del dubbio, con la conseguenza che il giudicante deve effettuare detta verifica in maniera da scongiurare la sussistenza di dubbi interni (ovvero la autocontraddittorietà o la sua incapacità esplicativa) o esterni alla stessa (ovvero l'esistenza di un'ipotesi alternativa dotata di razionalità e plausibilità pratica)" (così, Sez. 1, n. 41110 del 24/10/2011, Javad, Rv. 251507). Si è tuttavia chiarito che tale principio non ha affatto innovato la natura del sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione della sentenza e non può, quindi, essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell'appello. La condanna al là di ogni ragionevole dubbio comporta, infatti, in caso di prospettazione di un'alternativa ricostruzione dei fatti, che siano individuati gli elementi di conferma dell'ipotesi ricostruttiva accolta, "in modo da far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla stessa ipotesi alternativa, non potendo detto dubbio fondarsi su un'ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile" (Sez. 4, n. 30862 del 17/06/2011, Giulianelli, Rv. 250903). 3. Fermo quanto precede, evidenzia il Collegio come la difesa avesse propugnato nel corso del processo una ricostruzione alternativa rispetto a quella d'accusa secondo la quale il Ca.Ci.. per procurarsi un ingiusto profitto, dopo aver simulato la volontà di acquistare l'orologio Rolex Gmt - MasterlI (n. id. Omissis) da Qu.Ri. , si faceva accompagnare da quest'ultimo presso un campo nomadi dove lo accoglieva all'interno della propria roulotte e con minaccia, consistita nel mostrargli una pistola 775 marca Beretta, lo costringeva a consegnargli il predetto bene con la relativa documentazione di autenticità, impossessandosene: versione alternativa volta ad accreditare la tesi di non aver rapinato la vittima, bensì di averla truffata, usando la scusa della raccolta del denaro per allontanarsi dalla roulotte con in mano l'orologio, e questo si sarebbe realizzato anche grazie allo stratagemma di far allontanare il Qu.Ri. dal campo nomadi attraverso una telefonata con cui invitava quest'ultimo a recarsi in altra località per la corresponsione del prezzo pattuito. Da qui sarebbe scaturita una mediazione, durata numerosi giorni, sostenuta dalla promessa di pagamento (almeno parziale) dell'orologio in cambio della mancata presentazione della querela. L'omessa corresponsione del denaro avrebbe portato la persona offesa ad assumere un atteggiamento gradualmente vendicativo: il Qu.Ri.. infatti, dapprima non si rivolgeva alle Forze dell'Ordine, poi, in un secondo momento, si limitava ad accennare ai Carabinieri di aver intravisto nell'occorso una pistola nella cintura del Ca.Ci. e, infine, nella presentata denuncia-querela, aggiungeva che l'arma gli sarebbe stata puntata contro da quest'ultimo. Ottenuto un parziale ristoro economico in udienza preliminare, la persona offesa rinunciava alla costituzione di parte civile, ma, nel corso del dibattimento, esaminata come testimone, non ritrattava la propria versione relativa alla pistola, aggiungendo di averne visto e sentito lo "scarrellamento" completo ad opera dell'imputato che, conseguentemente, in base a tale ultima versione, non solo avrebbe puntato l'arma, ma addirittura avrebbe caricato nella canna il proiettile, pronto ad esploderlo. 4. La sentenza impugnata risponde ai rilievi difensivi osservando che gli stessi "nello stigmatizzare, con una quale misura di enfasi, vere o presunte aporie dell'agire del dichiarato della persona offesa, non riescono però ad offrire una convincente ricostruzione alternativa della vicenda, capace di illuminare i pretesi - ed apparentemente immotivati - intenti calunniosi". Nella predetta sentenza, la motivazione è in parte mancante e, in altra parte, risulta manifestamente illogica. 4.1. La stessa non spiega una serie di comportamenti della vittima apparentemente illogici rispetto a chi ha appena subito una rapina. In particolare, la sentenza non spiega il perché la vittima, dopo la presunta patita aggressione a mano armata ed aver liberamente lasciato il campo ove si era consumato il delitto: - non si reca a denunciare l'accaduto, né chiede l'aiuto di alcuno; - non decide di far ritorno sui suoi passi e di allontanarsi definitivamente da quel pericoloso "contatto"; - accetta di parlare al telefono con il suo aggressore; - decide di rincontrare poco dopo il suo aggressore da solo a C , incontro che, peraltro, il Ca.Ci. diserterà. 4.2. A fronte di dette incongruenze comportamentali, non altrimenti spiegate né correttamente interpretate, si pone la condotta della vittima che, nella speranza di "rientrare con i soldi" (espressione usata dal Qu.Ri. . accetta di incontrare l'uomo che - intuisce - lo ha truffato, impossessandosi dell'orologio senza corrispondere al venditore il suo valore. Non appare azzardato ritenere che un simile comportamento necessariamente presuppone l'assenza di una pregressa aggressione ai suoi danni a mano armata, perché altrimenti il rischio per l'incolumità personale sarebbe apparso chiaramente come inaccettabile. 4.2.1. L'invocazione difensiva della massima d'esperienza secondo cui se una persona è vittima di rapina a mano armata non va, di propria iniziativa, nel volgere di mezz'ora dal proprio rapinatore nella convinzione di ottenere il provento del reato appena subito o addirittura la sua contropartita in denaro contante, essendo assai più logico che rifiuti scappi e, comunque, rifiuti un simile pericoloso incontro appare pienamente fondata; diversamente, se è stata vittima di una truffa, non stupisce il suo tentativo - in questo caso non sussumibile nella massima d'esperienza - di provare ad avere un nuovo contatto con il truffatore. 4.2.2. Il primo - e più rilevante - aspetto problematico della motivazione dei giudici di merito - che ribalta questa prospettiva e ritiene assolutamente normale il contrario e cioè che sia il rapinato a tornare dal proprio aguzzino in presenza di una minaccia (peraltro, non più attuale) con arma - non è la mancata adesione alla prospettazione difensiva, bensì l'omessa valutazione della sua presunta irragionevolezza, che si traduce in una manifesta illogicità. 4.2.3. Il secondo aspetto di manifesta irragionevolezza si rileva nell'affermazione secondo la quale l'unica opzione logicamente accettabile per un soggetto che in una denuncia sia arrivato falsamente a dire di essersi visto puntare una pistola è quella "di attutire, sminuire, smussare" le proprie propalazioni sul punto in dibattimento. L'ipotesi difensiva contraria, secondo cui un soggetto potrebbe temere di subire a sua volta un gravoso procedimento penale se facesse retromarcia proprio in sede di esame è liquidata come "immotivata". Ancora una volta non viene contemplata la possibilità di una versione alternativa, ritenendo che esista un solo possibile comportamento umano, senza spiegare perché non sia ragionevole quello contrario e il movente che lo sostiene. 4.2.4. Il terzo aspetto di manifesta irragionevolezza si rinviene nell'affermazione secondo la quale "in assenza di una qualche forma di coazione sarebbe arduo spiegare come lo spossessamento sia avvenuto": la conclusione è quantomeno apodittica in quanto pretende di spiegare la "passività" della persona offesa solo tramite la forza, anziché l'inganno, del reo. 4.2.5. Il quarto ed ultimo aspetto di manifesta irragionevolezza risiede nel fatto che una rapina venga compiuta a casa propria (con conseguente facile individuabilità dell'agente), che l'aggressore lasci allontanare liberamente la presunta vittima, che a sua volta riprova ad avere contatti con il proprio rapinatore senza alcun tipo di timore per l'occorso, Ogni altro rilievo, alla luce della decisività di quanto prospettato, risulta -allo stato - assorbito. 5. La pregnanza e la decisività dei rilievi che precedono impongono, ai fini di un corretto inquadramento giuridico della vicenda, l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia. Così deciso in Roma il 19 aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2024.
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