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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 376 del 2024, integrato da motivi aggiunti, proposto da: Al. Ma. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Be. Gi. Ma., Ba. Sa. e Fl. Ia., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia ed eletto presso lo studio dell'avvocato Ba. Sa. in Napoli alla Via (...); contro Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Lu. Sc. di Co. La. dell'Avvocatura regionale, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia ed eletto presso la sede dell'Ente in Napoli alla Via (...); Azienda Sanitaria Locale Napoli 1 Centro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mo. La. ed Er. De Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia ed eletto presso il Servizio Affari Legali in Napoli alla Via (...); nei confronti La Qu. s.r.l. e RE. s.r.l., non costituiti in giudizio; per l'annullamento - (quanto al ricorso introduttivo): - della Delibera della Giunta Regionale Campania n. 652 del 16 novembre 2023, trasmessa alla ricorrente con nota prot. ASL 0298308/u del 27 novembre 2023, avente ad oggetto la determinazione dei limiti di spesa e dei relativi contratti con le case di cura private, per regolare i volumi e le tipologie delle prestazioni di assistenza ospedaliera erogate nell'esercizio 2023 e dei relativi allegati, ovvero, nello specifico: Allegato 1 "Limiti di spesa 2023 (compreso PAACC)"; Allegato 2 "Consuntivo 2022 di: Ricoveri, PACC, Funzioni e Incentivo Alta Specialità "; Allegato 3 "Incentivo Alta Specialità : incremento e parziale modifica"; Allegato 4 "Mobilità passiva interregionale 2022 Analisi ricoveri di Media e Bassa complessità per importi > 300.000 euro"; Allegato 5 "Produzione regionale - Anno 2022: Case di cura private ricoveri di bassa e media complessità con mobilità passiva > = 300 mila euro", Allegato 6 "Premialità e penalizzazioni per Obiettivi di Qualità Assistenziale"; Allegato 7: "Calcolo dell'incentivo 2023 per l'attuazione della R.O.C. - Rete Oncologica Campana (DGRC n. 477/2021, n. 272/2022) con nuovi ingressi dal 01.01.2023Stima del rimborso spettante alle Case di Cura qualora raggiungano il numero ottimale (100%) di interventi annui per le sedi scelte (in conformità alla DGRC n. 272 del 07.06.2022 - allegato n. 1)"; Allegato 8: "Stima della capacità produttiva massima"; Allegato 9 "Case di cura private: Ricoveri, PACC 2022 e posti letto per disciplina"; Allegato 10 "Ricavo medio per disciplina ospedaliera"; Allegato 11 "Case di Cura private: ricavo medio per mix Posti Letto"; Allegato 12 "Andamento produzione 2018 - 2022"; Allegato 13 "STIMA andamento 2023 in base al cons.vo gen - ago 2023 RICOVERI e PACC"; Allegato 14 "Andamento stagionale Ricoveri e PACC: III quadrimestre / I e II quadrimestre"; Allegato A "Esercizio 2023 - Contratto ai sensi dell'art. 8-quinquies, comma 2, del D. Lgs n 502/1992 e s.m.i."; Allegato B "Case di cura private: criteri della programmazione 2023"; - della nota prot. ASL 0298308/u del 27 novembre 2023 recante trasmissione della delibera di G.R. n. 652/2023 ed invito, rivolto alla Casa di Cura ricorrente, a sottoscrivere il relativo contratto ex art. 8 quinquies D.lgs. n. 502/1992; - di tutti gli atti, comunque connessi, presupposti e/o consequenziali, anche se interni o non conosciuti dalla ricorrente, se ed in quanto lesivi della sua posizione giuridica, di cui, allo stato, se ne ignora il contenuto; - (quanto ai motivi aggiunti depositati il 12/3/2024): a) della deliberazione di Giunta Regionale della Campania n. 800 del 29.12.2023, pubblicata nel B.U.R.C. n. 1 del 2.01.2024, avente ad oggetto "assegnazione dei volumi massimi di prestazioni e dei correlati limiti di spesa alle strutture sanitarie private accreditate per l'assistenza specialistica ambulatoriale per l'esercizio 2023, e, in via provvisoria, per il 2024" e relativi allegati, con particolare riferimento a: Allegato A (Relazione tecnica); Allegato n. 1.1. (Quadro delle prestazioni da privato soggette alla Spending Rewiew (D.L. 95/2012 e s.m.i.) Limiti di spesa programmati per le strutture private accreditate 2020/2023 e prime indicazioni provvisorie per l'esercizio 2024; b) della deliberazione n. 142 del 29.01.2024 a firma del Direttore Generale della ASL Napoli 1 Centro avente ad oggetto "limiti di spesa e contratti con le case di cura private accreditate per regolare in via provvisoria i volumi e le tipologie delle prestazioni di assistenza ospedaliera per l'esercizio 2024, stabiliti con la delibera di Giunta Regionale della Campania n. 652 del 16.11.2023"; c) ove necessario e per quanto di ragione, di tutti gli atti presupposti, connessi e, comunque, consequenziali, se e in quanto lesivi della posizione della ricorrente. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania e dell'Azienda Sanitaria Locale Napoli 1 Centro; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 giugno 2024 il dott. Giuseppe Esposito e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.- Con il ricorso introduttivo, notificato alle Amministrazioni resistenti e alle indicate Case di cura controinteressate, la Società ricorrente ha impugnato la delibera della Giunta Regionale della Campania n. 652 del 16 novembre 2023, ad oggetto la determinazione dei limiti di spesa e dei relativi contratti con le case di cura private per regolare i volumi e le tipologie delle prestazioni di assistenza ospedaliera erogate nell'esercizio 2023, unitamente ai suoi allegati. È impugnata, inoltre, la nota dell'ASL Napoli 1 Centro prot. ASL 0298308/u del 27 novembre 2023, recante con la trasmissione della delibera l'invito a sottoscrivere il contratto ex art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502/1992. Premette la ricorrente di erogare, in regime di accreditamento e convenzionamento con l'ASL Napoli 1 Centro, prestazioni sanitarie di "ricovero ospedaliero a ciclo continuativo e diurno" di natura terapeutica, assistenziale e riabilitativa per pazienti che necessitano di riabilitazione funzionale e lungodegenza, per complessivi 127 posti letto, oltre ad ospitare una Residenza Psichiatrica a ciclo continuativo e/o diurno, un Centro Residenziale di Cure Palliative e una Speciale Unità di Accoglienza Permanente di pazienti in stato vegetativo permanente o affetti da pluripatologie, per complessivi 117 posti letto. Contesta l'ammontare e i criteri utilizzati per l'assegnazione delle risorse e del tetto individuale di spesa, operati con la D.G.R.C. impugnata. Dopo aver passato in rassegna il quadro normativo e dato conto della trascorsa attività amministrativa, sono svolte articolate censure con cui è dedotto riassuntivamente che: - le determinazioni della Regione ledono l'affidamento generato in un budget maggiore, il quale costituisce un limite alla retroattività del tetto di spesa stabilito in corso d'anno (precisandosi che non è contestato il tetto complessivo della spesa sanitaria, ma i criteri della sua ripartizione tra le strutture accreditate); - occorreva una valutazione più adeguata dei pesanti effetti della pandemia sull'operatività delle Case di cura post-acuzie e, tra queste, delle ex neuropsichiatriche riconvertite, la cui considerazione è solo formale e non persegue lo scopo di compensare la minore operatività registrata da queste strutture (in particolare, essendo inidonea la destinazione di un insufficiente importo complessivo di Euro 4,9 milioni), creando un effetto discriminatorio nei loro confronti; - in tale contesto, il periodo 2021/2022 non avrebbe dovuto essere assunto a parametro di riferimento attendibile per la determinazione del budget assegnato alle Case di cura post-acuzie, la cui attività è in stretta interdipendenza con gli ospedali pubblici (che vi trasferiscono per la riabilitazione i pazienti dimessi, in continuità assistenziale) e che hanno subito l'effetto distorsivo dell'emergenza Covid, contraendo la loro attività e recuperando in misura più difficoltosa la piena operatività solo a partire dal 2023; - illegittimamente sono state sottratte dal budget 2023 le risorse corrispondenti agli oneri riguardanti il concorso della Regione per il rinnovo del CCNL di categoria, occorrendo reperire con altri mezzi le risorse necessarie (come avvenuto per altri soggetti accreditati, quali i Centri di riabilitazione ex art. 26 della legge n. 833/78 e le RSA); - sono state disattese le indicazioni dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (nota n. 39/2023) sull'esigenza di scongiurare l'alterazione della libera concorrenza, essendo il criterio della spesa storica, foriero di una posizione di rendita per gli operatori accreditati da più tempo, a discapito delle strutture di nuova costituzione. 2.- Si sono costituite in giudizio, contestando l'avverso ricorso e chiedendone il rigetto, la Regione Campania e l'Azienda Sanitaria Locale Napoli 1 Centro, quest'ultima eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e l'inammissibilità del ricorso, per effetto della c.d. "clausola di salvaguardia", inserita nel contratto ex art. 8-quinquies del d.lgs n. 502/1992 stipulato dalla Società ricorrente. Alla camera di consiglio del 14 febbraio 2024 la parte ricorrente ha rinunciato alla trattazione dell'istanza cautelare, per la rappresentata volontà di proporre motivi aggiunti. 3.- La ricorrente ha quindi impugnato la successiva deliberazione di Giunta Regionale n. 800 del 29/12/2023, con cui sono stati assegnati i volumi massimi di prestazioni e i correlati limiti di spesa per l'esercizio 2023, e, in via provvisoria, per il 2024, unitamente ai suoi allegati, e altresì alla deliberazione n. 142 del 29/1/2024 del Direttore Generale dell'ASL Napoli 1 Centro, emanata in attuazione della D.G.R.C. n. 652/2023, impugnata con i motivi aggiunti. È innanzitutto dedotta la nullità della D.G.R. n. 652/2023 e dell'allegato A, nella parte in cui prevedono la c.d. "clausola di salvaguardia". I restanti motivi sono affidati a censure sostanzialmente coincidenti con la prospettazione contenuta nel ricorso introduttivo. La causa è stata cancellata dal ruolo all'udienza in camera di consiglio del 17 aprile 2024, su rinuncia della parte alla domanda cautelare e contestuale fissazione dell'udienza pubblica per la trattazione nel merito. 4.- La Regione ha depositato memoria difensiva, a sua volta eccependo preliminarmente l'inammissibilità e confutando nel merito le censure. Vi ha replicato la ricorrente e le parti hanno prodotto documentazione. All'udienza pubblica del 19 giugno 2024 la causa è stata assegnata in decisione. DIRITTO 1.- Va innanzitutto disattesa l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla resistente ASL, la quale è parte necessaria del giudizio, essendo deputata a sottoscrivere il contratto ex art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502/92 e a porre in essere una specifica attività amministrativa (i cui esiti formano oggetto di impugnazione). 2.- Tanto chiarito, deve essere preliminarmente esaminata l'eccezione di inammissibilità, sollevata dalle Amministrazioni resistenti con riferimento alla c.d. "clausola di salvaguardia". L'eccezione è fondata. Va evidenziato che la Sezione si è ripetutamente occupata delle controversie attinenti alla determinazione dei tetti di spesa e il Collegio non ravvisa motivi per discostarsi dalle pronunce che vanno riproposte in funzione motivazionale anche della presente decisione e alle quali si rinvia, ai sensi dell'art. 88, co. 2, lett. d), del codice del processo amministrativo. Tra le altre dello stesso tenore, con sentenza del 16 aprile 2024 n. 2545 è stato statuito che: "La clausola di salvaguardia è stata introdotta in Regione Campania dal 2014, dal momento che nelle riunioni congiunte di verifica del Piano di Rientro - tenutesi il 27/11/2013 ed il 10/4/2014 - il Tavolo di Verifica degli Adempimenti Regionali ed il Comitato Permanente per i Livelli Essenziali di Assistenza hanno prescritto l'inserimento nei contratti con gli erogatori privati di una "clausola di salvaguardia" ai fini della "tutela della programmazione regionale" (DCA n. 129 del 31/10/2014, II Dato atto, terzo capoverso). In particolare, nel verbale del 27 novembre 2013 della riunione congiunta del tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali con il comitato permanente allo scopo di assicurare i livelli essenziali di assistenza, si legge che "Tavolo e Comitato, così come già fatto anche per altre Regioni in Piano di Rientro, chiedono alla struttura commissariale, ai fini della tutela della programmazione regionale, di inserire, nei prossimi contratti con le strutture private accreditate, una clausola di salvaguardia nei termini qui di seguito esplicitati (sulla legittimità dei quali si è espressa l'Avvocatura Generale dello Stato, con parere reso al Ministero della Salute in data 28 ottobre 2013): "1. Con la sottoscrizione del presente accordo la struttura accetta espressamente, completamente ed incondizionatamente il contenuto e gli effetti dei provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa, di determinazione delle tariffe e ogni altro atto agli stessi collegato o presupposto, in quanto atti che determinano il contenuto del contratto. 2. In considerazione dell'accettazione dei provvedimenti indicati sub comma 1 (ossia i provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa, delle tariffe ed ogni altro atto agli stessi collegato o presupposto) con la sottoscrizione del presente contratto, la struttura privata rinuncia alle azioni/impugnazioni già intraprese avverso i predetti provvedimenti ovvero ai contenziosi instaurabili contro i provvedimenti già adottati e conoscibili". Successivamente, il DCA n. 103 del 2016 ("Definizione per gli esercizi 2016/2017 dei limiti di spesa e dei relativi contratti con gli erogatori privati: integrazioni e modifiche urgenti dei decreti commissariali n. 85 e n. 89 dell'8/8/2016") ha modificato il testo della clausola di salvaguardia, previsto negli schemi dei contratti ex art. 8 quinquies del D.Lgs. n. 502/92 e s.m.i. dai decreti commissariali n. 85 e n. 89 del 8 agosto 2016, stabilendo che lo stesso sostituito dal seguente con effetto immediato: "2. In considerazione dell'accettazione dei provvedimenti indicati sub comma 1 (ossia i provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa, delle tariffe ed ogni altro atto agli stessi collegato o presupposto) con la sottoscrizione del presente contratto, la struttura privata rinuncia alle azioni/impugnazioni già intraprese avverso i predetti provvedimenti ovvero ai contenziosi instaurabili contro i provvedimenti già adottati e conoscibili, aventi effetti temporalmente circoscritti alla/alle annualità di erogazione delle prestazioni, regolate con il presente accordo/contratto". Sostanzialmente, tale specifica clausola si risolve in una dichiarazione con cui la struttura sanitaria, in sede contrattuale, accetta espressamente ed a monte i provvedimenti che determinano tetti di spesa e tariffe, quali parti integranti del contratto e presupposti del medesimo. D'altronde, la clausola di salvaguardia è contemplata nell'accordo-contratto che la struttura privata accreditata - ai sensi dell'art. 8-quinquies d.lgs 502/1992 - ha l'obbligo di stipulare con la parte pubblica per potere erogare prestazioni sanitarie per conto ed a carico del servizio sanitario regionale, in un rapporto pubblico-privato che ha tipica natura della concessione ex lege di pubblico servizio. L'intensità del potere pubblicistico emerge proprio in sede di stipula dell'accordo-contratto, funzionale al raggiungimento di quanto in precedenza stabilito dall'amministrazione negli atti di programmazione sanitaria. In ambito sanitario, l'interesse pubblico è posto infatti al centro delle valutazioni dell'amministrazione, mentre l'interesse del privato accreditato, di carattere prevalentemente economico, riceve uno spazio del tutto residuale. La natura concessoria del rapporto di accreditamento comporta che, nello svolgimento della propria attività, i soggetti accreditati siano sottoposti ad uno stringente regime di controlli circa l'appropriatezza e la qualità delle prestazioni erogate. L'amministrazione dispone persino del potere di revoca dell'accreditamento per le ipotesi di mancato riscontro positivo dell'attività svolta e dei risultati raggiunti. Ed è per questo che il rilievo della volontà dei privati è confinato esclusivamente nella decisione di "accettare" (o non) il contenuto dell'accordo-contratto, senza alcuna possibilità di modificarlo o integrarlo, nemmeno in un momento successivo, laddove si presentino delle sopravvenienze. La posizione di predominio del soggetto pubblico si spiega perché l'accreditamento ha ad oggetto un'attività propria dell'amministrazione che quest'ultima affida in parte al privato. Al riguardo, l'art. 32 Cost., pur non richiedendo che i soggetti erogatori abbiano natura pubblica, impone in capo alla "Repubblica" il dovere di adoperarsi per tutelare la salute. Nell'accreditamento istituzionale il dovere di garantire il risultato, ossia le prestazioni sanitarie, si trasferisce in capo ai privati, nei limiti e col corrispettivo fissati nell'accordo-contratto. Gli accreditati non sono obbligati ad erogare le prestazioni sanitarie al di fuori dei contratti e, per converso, l'amministrazione non è tenuta a pagare la relativa remunerazione. Non esiste dunque un obbligo di "assistenza incondizionata" in capo agli accreditati, ma soltanto di assistenza nei limiti delle statuizioni contrattuali. Sul punto è sufficiente richiamare la previsione legislativa che consente alla pubblica amministrazione di sospendere le prestazioni per il fatto di aver esaurito le risorse finanziarie fissate nei contratti, essendo vietata la possibilità di remunerare le prestazioni erogate oltre i limiti contrattuali, con conseguente configurabilità, in caso contrario, di responsabilità per danno erariale (Corte dei conti, Sezione giur. per la Regione Calabria n. 183 del 2022). Nella prospettiva del mantenimento dei rigorosi impegni di finanza pubblica e di destinazione delle risorse finanziarie a beneficio del settore sanitario gioca un ruolo determinante proprio la clausola di salvaguardia la cui funzione è per l'appunto di intercettare e prevenire ogni ipotesi di conflitto, già in essere o potenziale, relativo a concrete e definite questioni che possano contrapporre l'amministrazione alla struttura privata operante nell'ambito della sanità pubblica (Cons. Stato, 11 dicembre 2023, n. 10652, che ha inteso la generica formula "provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa" come di portata indistinta e omnicomprensiva). Ciò premesso, il Collegio non ravvisa motivi per discostarsi dall'orientamento giurisprudenziale che ritiene legittime le clausole di salvaguardia inserite nelle convenzioni di accreditamento in materia sanitaria, con la conseguenza che l'avvenuta sottoscrizione priva la ricorrente della legittimazione ad impugnare gli atti di determinazione dei tetti di spesa, anche successivi alla clausola stessa, avendone la stessa accettato il contenuto e gli effetti o comunque prestato preventiva acquiescenza per ipotesi di modifiche future. Invero, con sentenza n. 4076 del 2023, il Consiglio di Stato ha affermato che "in ipotesi analoghe a quella in esame viene in rilievo lo schema tipico dell'acquiescenza", giacché l'assenso alla stipulazione del contratto si atteggia quale "comportamento univocamente indicativo della volontà della parte stipulante di accettarne gli effetti, tanto da acquisire i diritti ed assumere gli obblighi, in maniera ugualmente volontaria, che si riconnettono e sono funzionali all'esecuzione della prestazione alle condizioni economiche predeterminate dall'Amministrazione (nell'esercizio del suo potere programmatorio in materia sanitaria)". Da tale angolo visuale, "la cd. clausola di salvaguardia è, quindi, meramente ricognitiva dell'effetto preclusivo dell'iniziativa impugnatoria che si produce, per generale opinione giurisprudenziale, nel caso in cui il soggetto pregiudicato dal provvedimento ponga in essere atti, comportamenti o dichiarazioni univoci, che dimostrino la chiara e incondizionata volontà dello stesso di accettarne gli effetti e l'operatività ". Non rileva, in senso contrario, l'eventuale clausola di riserva della struttura sanitaria, con la quale si precisa di sottoscrivere il contratto al solo fine di non incorrere nella sospensione del rapporto di accreditamento e riservandosi comunque ogni più ampia tutela. Una simile clausola non è contemplata nel modello contrattuale di riferimento, ragion per cui deve intendersi come non apposta, risultando quindi inidonea ad impedire la formazione dell'accordo (cfr. Cons Stato n. 321/2018; Cons. Stato n. 6569/2020; Cons Stato n. 8127/21, Cons. Stato n. 8451/2021). Nello stesso senso, con successiva sentenza n. 6685 del 2023, il Consiglio di Stato ha riconosciuto la legittimità delle clausole di salvaguardia, precisando che "le due clausole, quella relativa all'accettazione incondizionata dei tetti di spesa e delle tariffe e quella relativa alla rinuncia delle azioni, sono strettamente collegate tra di loro, in quanto dirette a imporre il rispetto di un determinato regolamento contrattuale, i cui contenuti, come stabilito dalla legge, sono in parte determinati autoritativamente mediante provvedimenti amministrativi, che definiscono la misura e le modalità di distribuzione delle risorse disponibili e che si inseriscono all'interno di rapporti contrattuali condizionati dall'esigenza di porre rimedio allo squilibrio finanziario maturato nel corso degli anni, e assolvono alla funzione di evitare che il rispetto dei vincoli finanziari, attuato con la sottoscrizione di accordi compatibili con le risorse disponibili, rimanga esposto ad iniziative in sede giurisdizionale in grado di compromettere o porre in pericolo gli obiettivi perseguiti. Tali clausole "imposte", peraltro, non costituiscono una novità, trovando ampio spazio nel settore commerciale, come dimostra l'esperienza quotidiana, e risultano giustificate dalla ratio che intendono perseguire". D'altronde, gli operatori privati accreditati non sono semplici fornitori di servizi, in un ambito puramente contrattualistico, sorretto da principi di massimo profitto e di totale deresponsabilizzazione circa il governo del settore, ma sono soggetti di un complesso sistema pubblico-privato qualificato dal raggiungimento di fini di pubblico interesse di particolare rilevanza costituzionale, quale il diritto alla salute, su cui gravano obblighi di partecipazione e cooperazione nella definizione della stessa pianificazione e programmazione della spesa sanitaria (ex multis, Tar Napoli, sez. I, 10 luglio 2023, n. 4131; Cons. Stato, sez. III, 20 giugno 2018, n. 3810; id., 29 luglio 2011, n. 4529; 14 giugno 2011, n. 3611; 13 aprile 2011, n. 2290; v. anche Corte Cost. 28 luglio 1995, n. 416). Non a caso, la citata sentenza n. 4076 del 2023 ha evidenziato che "gli operatori privati - in quanto impegnati, insieme alle strutture pubbliche, a garantire l'essenziale interesse pubblico alla corretta ed appropriata fornitura del primario servizio della salute - non possono considerarsi estranei ai vincoli oggettivi e agli stati di necessità conseguenti al piano di rientro, al cui rispetto la Regione è obbligata", tant'è che "chi intende operare nell'ambito della sanità pubblica deve accettare i limiti in cui la stessa è costretta, dovendo comunque e in primo luogo assicurare, pur in presenza di restrizioni finanziarie, beni costituzionali di superiore valore quale i livelli essenziali relativi al diritto alla salute" (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 27 dicembre 2019, n. 8879). "Se è vero, dunque, che la stipulazione degli accordi ex art. 8 quinquies del d.lgs. n. 502/1997 è condizione imprescindibile per l'erogazione di prestazioni sanitarie con oneri a carico del S.S.R., non può non valere anche il reciproco, ovvero che una volta siglato lo stesso, peraltro senza alcuna riserva, le prestazioni erogabili a carico del pubblico erario sono quelle e solo quelle ivi ritenute compatibili con gli atti di programmazione generale vigenti in relazione all'attuale stato della spesa pubblica, colpito da stringenti restrizioni finanziarie" (Cons. Stato n. 6685/2023). In questa direzione, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la clausola di salvaguardia non può ritenersi in contrasto con il diritto di difesa (artt. 24 e 113 Cost.) e ciò per le seguenti argomentazioni: - la Corte costituzionale, con sentenza n. 238 del 2014, ha affermato che il diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale può essere limitato purché vi sia un interesse pubblico riconoscibile come potenzialmente preminente sul principio consacrato dall'art. 24 della Costituzione; - nella materia oggetto del presente contenzioso, tale interesse pubblico preminente risiede nel principio costituzionale dell'equilibrio di bilancio (artt. 81 e 97 Cost.) e, precipuamente, nell'esigenza di contenimento della spesa nel settore della sanità pubblica, al quale gli stessi soggetti accreditati - a fronte dei vantaggi economici che comunque ricevono nel fornire prestazioni sanitarie per conto ed a carico del servizio sanitario regionale, non possono ritenersi estranei; - la contestata clausola è stata, infatti, prevista quale presidio essenziale per il controllo della spesa sanitaria e per preservare il complessivo equilibrio finanziario del sistema sanitario (cfr. Corte cost. n. 161 del 2022, secondo cui i vincoli in materia di contenimento della spesa pubblica sanitaria costituiscono espressione di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica; ex plurimis, sentenze n. 36 del 2021, n. 130 e n. 62 del 2020, e n. 197 del 2019). L'adesione volontaria all'accordo - e con esso alla clausola di salvaguardia - suggella, dunque, la posizione prioritaria che riveste l'obiettivo di contenimento della spesa pubblica, obiettivo che non è fine a sé stesso ma è del tutto funzionale a garantire continuità, anche per il futuro, all'erogazione di prestazioni sanitarie. In altri termini, l'adesione alla clausola di salvaguardia preclude al soggetto accreditato di esperire quei rimedi processuali il cui intento sostanziale è di ribaltare gli atti generali di programmazione economica nel settore sanitario. Del resto, in presenza di una inevitabile limitatezza delle risorse, "non è pensabile di poter spendere senza limite...", poiché è "viceversa la spesa a dover essere commisurata alle effettive disponibilità finanziarie, le quali condizionano la quantità ed il livello delle prestazioni sanitarie, da determinarsi previa valutazione delle priorità e delle compatibilità e tenuto conto ovviamente delle fondamentali esigenze connesse alla tutela del diritto alla salute" (Corte Cost., 23 luglio 1992, n. 356). Più in generale, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che "tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri". Nel relativo bilanciamento assume particolare importanza il principio di proporzionalità, quale criterio per definire, unitamente alla ragionevolezza, il punto di equilibrio nel rapporto di integrazione reciproca tra i diritti fondamentali tutelati in Costituzione (Corte cost. n. 85 del 2013). A tal proposito, pare opportuno evidenziare che, nonostante con DPCM del 5 dicembre 2019 sia cessato il mandato commissariale, la Regione Campania è ancora sottoposta alla disciplina dei Piani di Rientro, che proseguono attraverso i Programmi Operativi, sicché permangono le esigenze sottese all'introduzione della suddetta clausola, che equivale ad un impegno della parte privata contraente al rispetto e accettazione dei vincoli di spesa essenziali in un regime di Piano di Rientro. La clausola di salvaguardia persegue per l'appunto la finalità di garantire il necessario contenimento della spesa sanitaria nelle regioni che presentano un deficit economico finanziario, come la Regione Campania, evitando al contempo che il rispetto dei vincoli finanziari possa essere esposto ad iniziative in sede giurisdizionale in grado di compromettere o porre in pericolo gli obiettivi perseguiti. In assenza di analoghe condizioni e di consimili presupposti di necessità, tali da giustificare (ratione temporis) la compressione del diritto di difesa, nulla esclude che il descritto bilanciamento - che non può dirsi fisso e immutabile - possa trovare in futuro un nuovo punto di equilibrio, anche attraverso una valutazione di opportunità da parte dell'Amministrazione circa il mantenimento di siffatta clausola (cfr. Cons. Stato n. 1908/2020, secondo cui la richiamata giurisprudenza che reputa legittima la clausola di "rinuncia al contenzioso" non è suscettibile di estensione incondizionata in altri ambiti di materia). Allo stato attuale, per gli operatori privati si pone unicamente l'alternativa se accettare le condizioni derivanti da esigenze programmatorie e finanziarie pubbliche (e dunque il budget assegnato alla propria struttura), restando nel campo della sanità pubblica, oppure se collocarsi esclusivamente nel mercato della sanità privata. In altri termini, qualora ritenga insufficiente il budget assegnatogli, il ricorrente è comunque libero di operare in regime di libera concorrenza, accettando il rischio d'impresa connesso alle normali dinamiche competitive del mercato (Cons. Stato n. 6685/2023). D'altronde, come precisato dalla giurisprudenza in rassegna, lo svolgimento di un'attività economica privata, a fini di lucro, in regime protetto di riserva e sostenuta da un finanziamento pubblico costituisce una fattispecie del tutto speciale. Sotto altro profilo ermeneutico, l'ipotetica nullità della clausola di salvaguardia per contrasto con norme imperative ex art. 1418 c.c. (violazione del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost.) potrebbe comportare la caducazione dell'intero contratto in base alla disciplina di cui all'art. 1419 c.c. (cfr. Tar Campobasso, sez. I, 16 ottobre 2023, n. 265), il che rappresenterebbe un esito interpretativo distonico rispetto agli interessi delle parti in causa ed alla tutela invocata dal ricorrente. La disposizione da ultimo citata prevede, infatti, che la nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero contratto se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte che è colpita dalla nullità . Nella prospettiva della parte pubblica, in difetto di una valida e incondizionata accettazione della clausola di salvaguardia da parte dell'altro contraente, verrebbe meno il suo interesse alla conclusione dell'accordo, non potendo essa programmare efficacemente la spesa sanitaria, stante il rischio del permanere di contestazioni giudiziali sui tetti di spesa (Cons. Stato, Sez. II, 28 dicembre 2021, n. 8676; Cons. Stato Sez. III, 11 gennaio 2018, n. 137; da ultimo, Cons. Stato, sez. III, 20 aprile 2023, n. 3997 e Cons. Stato, 7 luglio 2023, n. 6685). Ad ogni modo, in linea di continuità con la giurisprudenza consolidatasi in materia e avallata dalle pronunce di questa sezione, il Collegio non ravvisa ragionevoli motivi per discostarsi dall'orientamento che ritiene legittime le clausole di salvaguardia inserite nei contratti stipulati con le strutture private accreditate, la cui sottoscrizione priva il soggetto aderente della legittimazione a impugnare gli atti di determinazione dei tetti di spesa che lo riguardano, con l'ulteriore conseguenza di rendere inammissibili le censure formulate". 3.- Ciò posto, quanto alle specifiche deduzioni della parte ricorrente il Collegio osserva quanto segue. 3.1. Non rileva che (come affermato nella memoria finale e rimarcato nella discussione orale) al momento della decisione della causa non fosse stato sottoscritto il contratto ex art. 8-quinquies citato per l'anno 2024. Tale circostanza, indipendentemente dalla prova al riguardo, non rende ammissibili i motivi aggiunti avverso la D.G.R.C. n. 800/2023. Si è ricordato innanzi, nella riportata motivazione delle pronunce rese, che senza l'incondizionata accettazione della clausola di salvaguardia la parte pubblica non avrebbe interesse alla conclusione dell'accordo, non potendo programmare efficacemente la spesa sanitaria, per il rischio del permanere di contestazioni giudiziali sui tetti di spesa. Correlativamente, la parte privata che non sottoscrive il contratto si porrebbe al di fuori del sistema che regola i rapporti con gli operatori privati, di fatto scegliendo di non accettare le condizioni derivanti da esigenze programmatorie e finanziarie pubbliche (e dunque il budget assegnato), collocandosi esclusivamente nel mercato della sanità privata. Va da sé che, in tale evenienza, l'impugnazione sarebbe inammissibile sotto altro profilo, per carenza di interesse, non potendo la struttura vantare la pretesa a contestare i criteri di determinazione di un budget che non può in radice esserle assegnato, se non con la sottoscrizione del contratto. 3.2. Quanto alla contestazione del dato fornito dalla Regione, secondo cui il limite di spesa assegnato alla ricorrente è stato percentualmente incrementato dell'11,3%, non può essere condivisa la tesi di parte ricorrente, mirante a far valere che - come detto - non dovessero considerarsi gli anni caratterizzati dall'epidemia da Covid-19, ma il livello di spesa da assumere a parametro per la determinazione del budget 2023 avrebbe dovuto essere ancorato al livello di spesa 2019, valutabile come anno "immediatamente precedente" (pag. 9 della memoria depositata il 29/5/2024). La prospettazione di parte ricorrente si accompagna alla considerazione della non sovrapponibilità della situazione riguardante le Case di cura post-acuzie, nei termini sopra riassunti. Sennonché, fermo restando che appaiono sempre ravvisabili situazioni differenziabili, occorre puntare l'attenzione sulla necessità di una programmazione omogenea della spesa sanitaria, nell'ambito della quale non può predicarsi la sottrazione, per specifici setting assistenziali, alle regole generalmente stabilite. Pertanto, intesa quale deduzione idonea a superare il vaglio di inammissibilità delle impugnazioni di cui si è discorso (ventilando un insanabile vizio di determinazione dei tetti di spesa), la censura si palesa infondata e va conseguentemente respinta. Ciò in quanto la programmazione della spesa sanitaria non può che seguire un filo di continuità con il livello di spesa già assicurato nei periodi precedenti, a mezzo di determinazioni adottate per ogni annualità che, muovendo dalla ricognizione dell'impiego delle risorse in ogni ciclo annuale, ne moduli la ripartizione sulla base delle risorse disponibili, altrimenti introducendosi una soluzione di continuità che renderebbe inattuabile un corretto sviluppo dell'andamento della spesa. 4.- Conclusivamente, per le considerazioni che precedono il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti vanno in parte dichiarati inammissibili e in parte respinti. Le ragioni che hanno condotto alla presente decisione giustificano la compensazione delle spese di lite tra tutte le parti costituite, non essendovi luogo a provvedere nei confronti delle controinteressate evocate in giudizio e non costituitesi. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li dichiara in parte inammissibili e li respinge nel resto, nei termini chiariti in motivazione. Compensa per intero le spese di lite tra tutte le parti costituite; nulla sulle spese nei confronti delle controinteressate non costituitesi in giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 19 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Salamone - Presidente Giuseppe Esposito - Consigliere, Estensore Pierangelo Sorrentino - Primo Referendario
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TRIA Lucia - Presidente Dott. MAROTTA Ceterina - Consigliere - Rel. Dott. TRICOMI Irene - Consigliere Dott. BELLÈ Roberto - Consigliere Dott. CASCIARO Salvatore - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 27598 - 2019 proposto da: Ra.An., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato NI.CE., con diritto di ricevere le comunicazioni all'indirizzo pec dei Registri di Giustizia; - ricorrente - contro I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dall'Avvocato DA.MA.; - controricorrente - avverso la sentenza n. 24/2019 della CORTE D'APPELLO di POTENZA, depositata il 19/03/2019 R.G.N. 135/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/03/2024 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RITA SANLORENZO, che ha concluso per la sospensione del giudizio e trasmissione atti alla Corte costituzionale; udito l'avvocato VI.SA. per delega verbale avvocato NI.CE.. FATTI DI CAUSA 1. La Corte di appello di Potenza, confermando la decisione del Tribunale di Matera, rigettava la domanda, proposta da Ra.An., già dipendente a tempo indeterminato della Provincia di Matera, di condanna dell'INPS al pagamento immediato in suo favore del TFS, la cui erogazione, ai sensi dell'art. 2, comma 11, del D.L. n. 95/2012 nonché dell'art. 1, commi 484 e 485 della legge n. 147/2013, era stata invece posticipata dal momento del prepensionamento a quello del compimento dell'età pensionabile fissata ex lege n. 201 del 2011. Escludeva la Corte territoriale ogni comparabilità tra lavoro pubblico e lavoro privato. Rilevava che, nello specifico, il prepensionamento, conseguente all'esubero per soprannumero dei dipendenti provinciali, aveva evitato una espulsione non protetta dal mondo del lavoro. Riteneva che, a fronte di un riconosciuto prepensionamento prima del naturale maturare dei requisiti, non era incongruo postergare il TFS al momento in cui il diritto al pensionamento sarebbe venuto a maturazione. 2. Avverso tale sentenza Ra.An. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi. 3. L'INPS ha resistito con controricorso l'INPS. 4. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis 1 cod. proc. civ. 5. Con ordinanza interlocutoria n. 8727/2024, questa Corte ha ritenuto che le questioni poste dal ricorso e, in particolare, quella relativa alla verifica del rispetto dei parametri costituzionali - e specie degli artt. 36 e 38 Cost. - da parte dell'art. 2, comma 11, lett. a) n. 2 del D.L. n. 95 del 2012, necessitassero dell'approfondimento in pubblica udienza anche allo scopo di sentire le parti sul punto, verificando, nel contraddittorio, la sussistenza o meno di ragioni idonee a sostenere, nel bilanciamento fra i contrapposti interessi, il pagamento differito dell'emolumento per cui è causa, ciò alla luce di una possibile diversità del caso qui all'esame rispetto a quelli già oggetto delle pronunce della Corte costituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023. Ha, pertanto, rinviato la causa a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza. 6. Il P.G. ha presentato memoria scritta concludendo affinché il Collegio, attesa la rilevanza e non manifesta infondatezza della legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 11, lett. a, n. 2, del D.L. n. 95 del 2012, in riferimento agli artt. 36 e 38 Cost., trasmetta gli atti alla Corte costituzionale e sospenda il processo. 7. Il ricorrente, udita la requisitoria anche orale del Pubblico Ministero, ha proceduto a discussione orale. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., degli artt. 3 e 36 della Costituzione per aver la Corte di appello ritenuto che l'art. 2, comma 11, lett. a), n. 2, del D.L. n. 95 del 2012, convertito con modif. con l. n. 235 del 2012, lungi dal costituire una violazione del principio di uguaglianza, rappresenti un giusto bilanciamento di contrapposte esigenze. Si insiste che la norma innanzi richiamata comporta una disparità di trattamento tra lavoratori pubblici e privati e che il ricorrente, trovatosi in una situazione di soprannumero che ne ha cagionato il prepensionamento, è stato di conseguenza privato, in un sol colpo, della retribuzione e, nell'immediato, anche della liquidazione, in applicazione della disposizione innanzi ricordata. 2. Con il secondo motivo viene denunziata la violazione e falsa applicazione - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. - dell'art. 3 della Costituzione per non aver ritenuto fondato il motivo di appello in cui denunziava che l'art. 2, comma 11, lett. a, n. 2, del D.L. n. 95 del 2012 cit. opera una discriminazione ingiustificata tra lavoro pubblico e privato. 3. Con il terzo mezzo viene prospettata la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., dei principi di cui agli artt. 3 e 36 della Costituzione per aver la Corte territoriale ritenuto non comparabile la condizione di chi matura il diritto al trattamento di fine servizio in coincidenza con il pensionamento e subisce la dilazione e chi lo matura, invece, in ipotesi di prepensionamento. 4. Con la quarta doglianza viene lamentata la violazione dell'art. 111 della Costituzione e dell'art. 132 cod. proc. civ. n. 4, nonché, ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l'omessa motivazione circa un fatto decisivo della controversia per non aver la Corte territoriale tenuto conto delle questioni sollevate dall'appellante circa la violazione degli artt. 4, 35, 36 e 38, comma 2, della Costituzione. 5. I motivi, da trattare congiuntamente stante l'intrinseca connessione, sono infondati per le ragioni di seguito illustrate. 6. In disparte i profili di inammissibilità di tutti e quattro i motivi perché "non può costituire motivo di ricorso per cassazione la prospettazione di una questione di legittimità costituzionale in quanto è riservata al potere decisorio del giudice la facoltà di sollevare o meno la questione dinanzi alla Corte costituzionale (vedi: art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87), mentre alle parti non è attribuito alcun potere di iniziativa al riguardo in quanto, in riferimento alle questioni di legittimità costituzionale in via incidentale l'iniziativa spetta esclusivamente al giudice e le parti possono presentare soltanto delle deduzioni nel processo dinanzi alla Corte costituzionale e possono, eventualmente, limitarsi a sollecitare anche motivatamente il giudice a sollevare la questione di costituzionalità" (cfr. Cass. 9 luglio 2020, n. 14666 e la successiva conforme Cass. 20 marzo 2023, n. 8033; v. anche Cass. 18 febbraio 1999 n. 1358; Cass. 22 aprile 1999, n. 3990; Cass. 29 ottobre 2003, n. 16245; Cass. 16 aprile 2018, n. 9284; Cass. 24 febbraio 2014, n. 4406; Cass. 22 gennaio 2019, n. 1624) e del quarto mezzo altresì perché irritualmente evoca il n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ. ed il mancato esame di un fatto, laddove quella che viene prospettata è una mera questione giuridica. 7. La disposizione per cui è causa è l'art. 2 del D.L. 6 luglio 2012 n. 95 convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135 - "Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario" che, al comma 11, nel testo ratione temporis vigente, come modificato dall'art. 2, comma 1, lett. a), numero 1), del D.L. 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, ha così previsto: "11. Fermo restando il divieto di effettuare, nelle qualifiche o nelle aree interessate da posizioni soprannumerarie, nuove assunzioni di personale a qualsiasi titolo per tutta la durata del soprannumero, le amministrazioni possono coprire i posti vacanti nelle altre aree, da computarsi al netto di un numero di posti equivalente dal punto di vista finanziario al complesso delle unità soprannumerarie di cui alla lettera a), previa autorizzazione, secondo la normativa vigente, e verifica, da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica e del Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, anche sul piano degli equilibri di finanza pubblica, della compatibilità delle assunzioni con il piano di cui al comma 12 e fermo restando quanto disposto dall'articolo 14, comma 7, del presente decreto. Per le unità di personale eventualmente risultanti in soprannumero all'esito delle riduzioni previste dal comma 1, le amministrazioni, previo esame congiunto con le organizzazioni sindacali, avviano le procedure di cui all' articolo 33 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, adottando, ai fini di quanto previsto dal comma 5 dello stesso articolo 33, le seguenti procedure e misure in ordine di priorità: a) applicazione, ai lavoratori che risultino in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi i quali, ai fini del diritto all'accesso e alla decorrenza del trattamento pensionistico in base alla disciplina vigente prima dell'entrata in vigore dell'articolo 24 del decreto legge 6 dicembre 2011 n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, avrebbero comportato la decorrenza del trattamento medesimo entro il 31 dicembre 2016, dei requisiti anagrafici e di anzianità contributiva nonché del regime delle decorrenze previsti dalla predetta disciplina pensionistica, con conseguente richiesta all'ente di appartenenza della certificazione di tale diritto. Si applica, senza necessità di motivazione, l'articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. Ai fini della liquidazione del trattamento di fine rapporto comunque denominato, per il personale di cui alla presente lettera: 1) che ha maturato i requisiti alla data del 31 dicembre 2011 il trattamento di fine rapporto medesimo sarà corrisposto al momento della maturazione del diritto alla corresponsione dello stesso sulla base di quanto stabilito dall'articolo 1, commi 22 e 23, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148; 2) che matura i requisiti indicati successivamente al 31 dicembre 2011 in ogni caso il trattamento di fine rapporto sarà corrisposto al momento in cui il soggetto avrebbe maturato il diritto alla corresponsione dello stesso secondo le disposizioni dell'articolo 24 del citato decreto-legge n. 201 del 2011 e sulla base di quanto stabilito dall'articolo 1, comma 22, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148; b) predisposizione, entro il 31 dicembre 2013, di una previsione delle cessazioni di personale in servizio, tenuto conto di quanto previsto dalla lettera a) del presente comma, per verificare i tempi di riassorbimento delle posizioni soprannumerarie; c) individuazione dei soprannumeri non riassorbibili entro tre anni a decorrere dal 1 gennaio 2013, al netto dei collocamenti a riposo di cui alla lettera a); d) in base alla verifica della compatibilità e coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica e del regime delle assunzioni, in coerenza con la programmazione del fabbisogno, avvio di processi di mobilità guidata, anche intercompartimentale, intesi alla ricollocazione, presso uffici delle amministrazioni di cui al comma 1 che presentino vacanze di organico, del personale non riassorbibile secondo i criteri del collocamento a riposo da disporre secondo la lettera a). I processi di cui alla presente lettera sono disposti, previo esame con le organizzazioni sindacali che deve comunque concludersi entro trenta giorni, mediante uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con i Ministeri competenti e con il Ministro dell'economia e delle finanze". 8. Alla suddetta disposizione ha fatto seguito la legge 27 dicembre 2013, n. 147 "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato", legge di stabilità 2014, che ai commi 484 e 485 ha previsto che: "484. Con effetto dal 1 gennaio 2014 e con riferimento ai soggetti che maturano i requisiti per il pensionamento a decorrere dalla predetta data: a) all'articolo 12, comma 7, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, le parole: "90.000 Euro" sono sostituite dalle seguenti: "50.000 Euro", le parole: "150.000 Euro" sono sostituite dalle seguenti: "100.000 Euro" e le parole: "60.000 Euro" sono sostituite dalle seguenti: "50.000 Euro"; b) all'articolo 3 del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e successive modificazioni, al comma 2, primo periodo, le parole: "decorsi sei mesi" sono sostituite dalle seguenti: "decorsi dodici mesi". 485. Resta ferma l'applicazione della disciplina vigente prima della data di entrata in vigore della presente legge per i soggetti che hanno maturato i relativi requisiti entro il 31 dicembre 2013". 9. Di fatto, le suddette previsioni normative rendevano, nello specifico, esigibile il TFS decorsi dodici mesi dal mese di maggio 2020, anziché nel più favorevole termine di sei mesi dalla data di cessazione del servizio. 10. La questione posta dal ricorso riguarda la compatibilità con le norme costituzionali delle indicate disposizioni nella parte in cui hanno appunto previsto il differimento del trattamento di fine rapporto al momento in cui il soggetto avrebbe maturato il diritto alla corresponsione dello stesso secondo le disposizioni dell'art. 24 del D.L. n. 201 del 2011 e sulla base di quanto stabilito dall'articolo 1, comma 22, del D.L. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011. 11. Ad avviso del Collegio non sussiste alcuna violazione dell'art. 3 della Costituzione nel rapporto di comparazione fra lavoro privato e pubblico in considerazione della diversità di regolamentazione e regime, pur dopo la privatizzazione del pubblico impiego privatizzato. 12. La giurisprudenza di legittimità ha costantemente ribadito la distinzione tra rapporto di lavoro privato e di pubblico impiego contrattualizzato. Ciò è in particolare avvenuto con riguardo al regime della prescrizione: "La privatizzazione non ha comportato una totale identificazione tra lavoro pubblico privatizzato e lavoro privato. In particolare, permangono nel lavoro pubblico privatizzato quelle peculiarità individuate dalla Corte costituzionale, in relazione al previgente regime dell'impiego pubblico, come giustificative di un differente regime della prescrizione: sia in punto di stabilità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato (articolo 51, secondo comma, D.Lgs. 165/2001 e, all'attualità, articolo 63, secondo comma, D.Lgs. cit.), che, in punto di eccezionalità del lavoro a termine (secondo la disciplina speciale dell'art. 36 D.Lgs. cit.) ... " (Cass. 19 novembre 2021, n. 35676, in motivazione sub p.to 42, così, massimata: "In tema di pubblico impiego contrattualizzato, nell'ipotesi di contratto di lavoro formalmente autonomo, del quale sia successivamente accertata la natura subordinata, la prescrizione dei crediti retributivi decorre in costanza di rapporto, attesa la mancanza di ogni aspettativa del lavoratore alla stabilità dell'impiego e la conseguente inconfigurabilità di un metus in ordine alla mancata continuazione del rapporto suscettibile di tutela"). Si veda anche Cass., Sez. Un., 28 dicembre 2013, n. 36197 che tali principi ha richiamato. Eguale principio è stato affermato con riferimento alle modifiche apportate dalla legge n. 92/2012 all'art. 18 precisandosi che "non si applicano ai rapporti di pubblico impiego privatizzato, sicché la tutela del dipendente pubblico, in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva all'entrata in vigore della richiamata legge n. 92, resta quella prevista dall'art. 18 legge cit. nel testo antecedente la riforma", ciò in quanto "una eventuale modulazione delle tutele nell'ambito dell'impiego pubblico contrattualizzato richiede da parte del legislatore una ponderazione di interessi diversa da quella compiuta per l'impiego privato; poiché, come avvertito dalla Corte costituzionale, mentre in quest'ultimo il potere di licenziamento del datore di lavoro è limitato allo scopo di tutelare il dipendente, nel settore pubblico il potere di risolvere il rapporto di lavoro, è circondato da garanzie e limiti che sono posti non solo e non tanto nell'interesse del soggetto da rimuovere, ma anche e soprattutto a protezione di più generali interessi collettivi (Corte cost. 24 ottobre 2008 n. 351)". 13. È pur vero che, come precisato da Corte cost. n. 159 del 2019, l'evoluzione normativa, "stimolata dalla giurisprudenza costituzionale" (sentenza n. 243 del 1993, punto 4. del Considerato in diritto), ha ricondotto le indennità di fine rapporto erogate nel settore pubblico al paradigma comune della retribuzione differita con concorrente funzione previdenziale, nell'àmbito di un percorso di tendenziale assimilazione alle regole dettate nel settore privato dall'art. 2120 del codice civile (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 1999, recante "Trattamento di fine rapporto e istituzione dei fondi pensione dei pubblici dipendenti"). Sempre ad avviso del Giudice delle leggi, tale processo di armonizzazione, contraddistinto anche da un ruolo rilevante dell'autonomia collettiva (sentenza n. 213 del 2018), rispecchia la finalità unitaria dei trattamenti di fine rapporto, che si prefiggono di accompagnare il lavoratore nella delicata fase dell'uscita dalla vita lavorativa attiva. Nel settore pubblico, le indennità in esame presentano una natura retributiva, avvalorata dalla correlazione della misura delle prestazioni con la durata del servizio e con la retribuzione di carattere continuativo percepita in costanza di rapporto. Esse rappresentano il frutto dell'attività lavorativa prestata (sentenza n. 106 del 1996, punto 2.1. del Considerato in diritto) e costituiscono parte integrante del patrimonio del beneficiario, che spetta ai superstiti "nel caso di decesso del lavoratore in servizio" (sentenza n. 243 del 1997, punto 2.3. del Considerato in diritto). Le indennità sono corrisposte al momento della cessazione dal servizio allo scopo precipuo di "agevolare il superamento delle difficoltà economiche che possono insorgere nel momento in cui viene meno la retribuzione" (sentenza n. 106 del 1996, punto 2.1. del Considerato in diritto). In questo si coglie la funzione previdenziale che coesiste con la natura retributiva e rappresenta l'autentica ragion d'essere dell'erogazione delle indennità dopo la cessazione del rapporto di lavoro. Tuttavia, la stessa Corte cost., nella ridetta sentenza n. 159 del 2019, ha evidenziato che il lavoro pubblico rappresenta un aggregato rilevante della spesa di parte corrente, che, proprio per questo, incide sul generale equilibrio tra entrate e spese del bilancio statale (art. 81 Cost.). L'esigenza di esercitare un prudente controllo sulla spesa, connaturata all'intera disciplina del rapporto di lavoro pubblico ed estranea all'àmbito del lavoro privato, preclude, dunque, il raffronto che il ricorrente prospetta. Non va sottaciuto, inoltre, che, nello specifico, il pagamento differito della indennità di fine rapporto, riguarda un lavoratore che non aveva raggiunto i limiti di età o di servizio previsti dall'ordinamento di appartenenza. Si evince, infatti, dalla sentenza impugnata che il Ra.An., quando fu collocato in prepensionamento (31 dicembre 2015) aveva sessantadue anni ed aveva svolto ventisei anni e dieci mesi di servizio (avendo lavorato presso l'Amministrazione Provinciale di Matera dal 2/1/1989 al 31/10/2015. Ciò evidenzia la differenza rispetto al sistema ordinario e già in sé giustifica il diverso trattamento. 14. Quanto alla specifica questione del trattamento di fine servizio differito, sia Corte cost. n. 159 del 2019 che Corte cost. n. 130 del 2023 (che alla prima largamente si richiama), diffusamente citate dal ricorrente nella memoria, pur affermando che sono incompatibili con la Costituzione le norme che prevedono di corrispondere in ritardo il trattamento di fine servizio, ancorché previste per disincentivare i pensionamenti anticipati e, in pari tempo, promuovere la prosecuzione dell'attività lavorativa mediante adeguati incentivi a chi rimanga in servizio e continui a mettere a frutto la professionalità acquisita e pur rilevando che le scelte discrezionali adottate in tale àmbito dal legislatore, anche in un'ottica di salvaguardia della sostenibilità del sistema previdenziale, non possono tuttavia sacrificare in maniera irragionevole e sproporzionata i diritti tutelati dagli artt. 36 e 38 Cost., hanno precisato però che l'imperativo vale solo per i dipendenti P.A. che vanno in pensione di vecchiaia con esclusione delle altre formule di pensione anticipata, come quella che qui ci occupa. In particolare, Corte cost. n. 159 del 2019 con riguardo alla disposizione di cui all'art. 3, comma 2, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140 che, nel testo originario, prevedeva che: "2. Alla liquidazione dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, per i dipendenti di cui al comma 1, loro superstiti o aventi causa, che ne hanno titolo, l'ente erogatore provvede decorsi ventiquattro mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro e, nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, per collocamento a riposo d'ufficio a causa del raggiungimento dell'anzianità massima di servizio prevista dalle norme di legge o di regolamento applicabili nell'amministrazione, decorsi dodici mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro. Alla corresponsione agli aventi diritto l'ente provvede entro i successivi tre mesi, decorsi i quali sono dovuti gli interessi", ha affermato che il differimento dell'erogazione dei trattamenti di fine servizio fa riscontro a una cessazione del rapporto di lavoro che può intervenire anche quando non sia ancora maturato il diritto alla pensione. Il trattamento più rigoroso si correla alla particolarità di un rapporto di lavoro che, per le ragioni più disparate, peraltro in prevalenza riconducibili a una scelta volontaria dell'interessato, cessa anche con apprezzabile anticipo rispetto al raggiungimento dei limiti di età o di servizio. La disciplina è graduata in funzione di tale elemento distintivo sul presupposto che, proprio con il raggiungimento dei limiti indicati, si manifestino in maniera più pressante i bisogni che le indennità di fine servizio mirano a soddisfare e che impongono tempi di erogazione più spediti. In tale caso, l'assetto delineato dal legislatore non solo è fondato su un presupposto non arbitrario, ma è anche temperato da talune deroghe per situazioni meritevoli di particolare tutela, come la "cessazione dal servizio per inabilità derivante o meno da causa di servizio, nonché per decesso del dipendente", che impone all'amministrazione competente, entro quindici giorni dalla cessazione dal servizio, di trasmettere la documentazione competente all'ente previdenziale, obbligato a corrispondere il trattamento "nei tre mesi successivi alla ricezione della documentazione" (art. 3, comma 5, del D.L. n. 79 del 1997). Il regime di pagamento differito, analizzato nel peculiare contesto di riferimento, nelle finalità e nell'insieme delle previsioni che caratterizzano la relativa disciplina, non risulta dunque complessivamente sperequato. 15. Quanto, in particolare, al verificarsi di esuberi (che è una delle suddette ragioni giustificatrici di un trattamento differenziato), va evidenziato che rientra tra gli obblighi della P.A. quello di identificare, previa adozione delle procedure descritte nell'art. 33 del D.Lgs. n. 165 del 2001 e l'art. 2 del D.Lgs. n. 95 del 2012, ruoli in eccedenza o soprannumero: ognuno di questi soggetti, in presenza dei requisiti, sarà ammesso al prepensionamento, da intendersi come risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro del personale in soprannumero o eccedentario, beneficiando della ultrattività (fino al 31 dicembre 2016) delle disposizioni relative ai requisiti di accesso al trattamento pensionistico e alle decorrenze di tale trattamento previgenti rispetto alla riforma prevista dall'art. 24 del D.L. n. 201 del 2011, esclusivamente a favore di tale personale. Diversamente dovrà essere aperta dall'Amministrazione la messa in mobilità del lavoratore. L'individuazione degli esuberi può dipendere da varie ragioni: -riduzione delle dotazioni organiche delle amministrazioni centrali disposta dall'art. 2 del D.L. n. 95 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 135 del 2012; - ragioni funzionali ricollegabili alla revisione del fabbisogno di personale, conseguente all'attuazione di misure di razionalizzazione degli assetti organizzativi e dei procedimenti amministrativi, quale misura straordinaria e ulteriore rispetto alla ricognizione annuale ordinariamente prevista; - ragioni finanziarie riferite a situazioni di squilibrio finanziario rilevate dagli organi competenti (collegio dei revisori, Corte dei conti, amministrazione vigilante) o descritte da specifiche disposizioni normative; - piani di ristrutturazione decisi dalle amministrazioni pubbliche seguendo la procedura di ricognizione del fabbisogno derivante dal combinato disposto dell'art. 6 e dell'art. 33 del D.Lgs. n. 165 del 2001. Nei suddetti casi l'Amministrazione dovrà acquisire la certificazione da parte dell'ente previdenziale del diritto a pensione e della relativa decorrenza e solo all'esito potrà procedere, nei limiti del soprannumero, alla risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro, tenuto conto del regime delle decorrenze, nei confronti dei dipendenti in possesso dei requisiti indicati nella disposizione (art. 2, comma 6, del D.L. n. 101 del 2013), trovando applicazione anche in questo caso l'art. 72, comma 11, del D.L. n. 112 del 2008, che prevede la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro del personale dipendente a decorrere dal raggiungimento dei requisiti contributivi di cui all'art. 24, comma 20, del D.L. n. 201 del 2011. Secondo quanto chiarito da una successiva norma di interpretazione autentica, "l'amministrazione, nei limiti del soprannumero, procede alla risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro nei confronti dei dipendenti in possesso dei requisiti indicati nella disposizione " (art. 2, comma 6, del D.L. 31 agosto 2013, n. 101, recante "Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni", convertito, con modificazioni, nella legge 30 ottobre 2013, n. 125). 16. Tale essendo il sistema delineato dal legislatore, non è configurabile, quanto al previsto differimento, la violazione degli artt. 4, 35, 36 e 38, comma 2, della Costituzione. 17. Come chiarito da Corte cost. n. 198 del 2023, la disciplina di cui si tratta ha consentito, dunque, una speciale ipotesi di fuoriuscita dei dipendenti dall'amministrazione tramite l'ultrattività (fino al 31 dicembre 2016) delle disposizioni relative ai requisiti di accesso al trattamento pensionistico previgenti rispetto alla riforma del sistema previdenziale prevista dall'art. 24 del D.L. n. 201 del 2011, come convertito: ai soprannumerari, che dal 1 gennaio 2012, secondo le più rigide regole della "legge Fornero", non avevano diritto alla pensione, prevedendo eccezionalmente la possibilità del pensionamento secondo le più favorevoli norme previgenti, ove, tra l'altro, avessero maturato, entro il 2016, i relativi requisiti. Appare evidente che il legislatore ha introdotto il prepensionamento come ipotesi in deroga alla riforma generale sulle pensioni, così conferendo carattere eccezionale all'istituto, con la conseguenza che la relativa disciplina necessita di stretta interpretazione. Ciò per neutralizzare le conseguenze che diversamente sarebbero derivate dalla ineludibile messa in mobilità. Alla luce delle predette disposizioni, il collocamento in quiescenza del dipendente è stato subordinato, dunque, al ricorrere di alcune condizioni soggettive costituite: a) dalla sua individuazione dalla pubblica amministrazione come unità in soprannumero; b) dal possesso, al 31 dicembre 2016, dei requisiti anagrafici e di anzianità contributiva per come stabiliti nella disciplina previdenziale anteriore al D.L. n. 201 del 2011, come convertito; c) dal raggiungimento alla stessa data del termine di conseguibilità del trattamento pensionistico (cosiddetta decorrenza o finestra mobile). Il giudice delle leggi si è così testualmente espresso: "Tali requisiti non sono però sufficienti a perfezionare la fattispecie pensionistica, piuttosto congegnata come fattispecie a formazione progressiva: il legislatore, ove rimetta all'amministrazione la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro condizionandola ai "limiti del soprannumero", subordina il prepensionamento del singolo dipendente all'ulteriore verifica che esso serva effettivamente ad eliminare l'eccedenza di personale, tenuto conto delle ulteriori misure di riassorbimento già adottate. Ne consegue che, al riscontro dei requisiti di anzianità e decorrenza in capo al lavoratore soprannumerario da parte dell'ente di previdenza, può comunque non seguire la risoluzione del rapporto di lavoro da parte dell'amministrazione datrice di lavoro. Per come chiarito dalle circolari del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione n. 4 del 28 aprile 2014 e n. 3 del 29 luglio 2013, può, infatti, accadere che l'esubero sia già risolto con un numero sufficiente di pensionamenti ordinari, rispetto al quale quello in deroga ha valore solo sussidiario, o che vi sia un numero di dipendenti muniti dei requisiti per l'accesso all'eccezionale pensionamento anticipato che oltrepassa il contingente in soprannumero. Così, nello specifico caso in cui pervengano plurime domande di prepensionamento eccedenti il rilevato esubero, l'amministrazione dovrà procedere ad un parziale accoglimento delle richieste secondo predefiniti criteri di priorità". In conclusione, ad avviso del Giudice costituzionale, "il legislatore non configura il pensionamento 'in deroga' come un diritto soggettivo 'puro' del dipendente pubblico, delineato compiutamente nella previsione normativa, bensì come diritto condizionato alla determinazione organizzativa dell'amministrazione. Il dipendente potrà avere diritto alla quiescenza solo se egli rientra, nel concreto, tra le unità che la pubblica amministrazione ha necessità di riassorbire" (v. Corte Cost. n. 198 del 2023, cit.). Questo evidenzia come anche nell'ipotesi in esame sussista il presupposto della volontarietà del prepensionamento (come alternativa alla mobilità), esclusa essendo ogni assoluta automaticità ma altresì come la deroga rispetto al sistema ordinario (oggetto delle pronunce della Corte cost. n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023 nelle quali, come detto, è stata operata una distinzione tra le ipotesi in cui, raggiunti i limiti di età e di servizio, la duplice funzione retributiva e previdenziale delle indennità di fine rapporto, conquistate "attraverso la prestazione dell'attività lavorativa e come frutto di essa" rischia di essere compromessa, in contrasto con i princìpi costituzionali che, nel garantire la giusta retribuzione, anche differita, tutelano la dignità della persona umana e le deroghe legislativamente previste) sia integrata dal previsto riconoscimento ai soprannumerari, che dal 1 gennaio 2012, secondo le più rigide regole della "legge Fornero", non avevano diritto alla pensione, del godimento del trattamento pensionistico tramite l'ultrattività (fino al 31 dicembre 2016) delle più favorevoli disposizioni relative ai requisiti di accesso al trattamento pensionistico previgenti rispetto alla riforma del sistema previdenziale prevista dall'art. 24 del D.L. n. 201 del 2011, come convertito. 18. Da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato. 19. La complessità e peculiarità delle questioni trattate costituisce motivo per compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità. 20. Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali di cui all'art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese. Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma,nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di cassazione il 2 luglio 2024. Depositata in Cancelleria l 25 settembre 224.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3598 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Fl. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro A.S.Re.M - Azienda Sanitaria Regionale per il Molise, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Mi. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima -OMISSIS-, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di A.S.Re.M. - Azienda Sanitaria Regionale per il Molise; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 60 c.p.a.; Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2024 il Cons. Raffaello Scarpato e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale di udienza; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La ricorrente, Dirigente Avvocato presso l'A.S.L. di Benevento, ha partecipato alla procedura indetta dall'A.S.Re.M. con deliberazione del Direttore Generale -OMISSIS- novembre 2023 concernente "avviso di mobilità volontaria (dall'esterno), per colloquio e titoli, riservato al personale della dirigenza P.T.A. con rapporto di lavoro a tempo indeterminato presso altre aziende ed enti di comparti diversi per n. 2 dirigenti amministrativi (ruolo amministrativo)", riservata ai Dirigenti Amministrativi (ruolo Amministrativo) in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato presso altre Aziende ed Enti di Comparti diversi. 2. A seguito di controlli effettuati dall'Amministrazione in relazione ai requisiti di accesso alla procedura, la ricorrente ne è stata esclusa con Deliberazione del Direttore Generale -OMISSIS- gennaio 2024, avendo l'A.S.Re.M. riscontrato che l'interessata ricopriva attualmente la posizione di Dirigente Avvocato, anziché di Dirigente Amministrativo (ruolo amministrativo), requisito, questo secondo, richiesto a pena di esclusione dalla lex specialis. 3. La ricorrente ha impugnato la determinazione dinanzi al T.a.r. per il Molise, che ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario, rilevando che la procedura di mobilità esterna indetta dall'A.S.Re.M. non è assimilabile ad una "procedura concorsuale di assunzione" - con conseguente riconducibilità della controversia nella residuale area di giurisdizione del giudice amministrativo di cui all'art. 63, comma 4 del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 - ma sfocia in una mera novazione sotto il profilo soggettivo del preesistente rapporto di lavoro, qualificabile alla stregua di una cessione di quest'ultimo. 4. Con il presente atto di appello, la ricorrente ha chiesto la riforma della decisione, lamentando la violazione e falsa applicazione dell'art. 30 del d.lgs. n. 165/01 e la violazione e falsa applicazione dell'art 63 comma 4 del CCNL 2000, insistendo sulla giurisdizione del plesso amministrativo e riproponendo le censure già formulate in primo grado. 5. In punto di giurisdizione, l'appellante ha richiamato la sentenza delle S.U. della Corte di Cassazione n. 11800/2017, ritenendo la procedura de qua finalizzata alla costituzione di un nuovo rapporto di lavoro tra il vincitore e la Pubblica Amministrazione che ha indetto la selezione, ancorché la stessa fosse diretta a soggetti già dipendenti di pubbliche amministrazioni, perché implicante una novazione del rapporto con inquadramento qualitativamente diverso dal precedente. 6. L'appellante ha poi precisato come la procedura prevedesse una valutazione comparativa dei candidati, ovvero una vera e propria competizione. 7. Si è costituita l'A.S.Re.M., chiedendo la conferma della decisione. 8. All'udienza in camera di consiglio del 6 giugno 2024 l'appello, previo avviso di definizione della causa con sentenza in forma semplificata ai sensi dell'art. 60 c.p.a., è stato introitato per la decisione. 9. L'appello non è fondato e la decisione impugnata merita conferma per le seguenti ragioni. 10. La procedura per cui è causa costituisce selezione di mobilità esterna non implicante la costituzione di un nuovo rapporto d'impiego con l'Amministrazione, ma solo la modificazione soggettiva del rapporto già intercorrente con altro datore di lavoro pubblico. Tanto è reso palese dalla lex specialis, la quale dispone che al momento dell'assunzione "il candidato dovrà presentare l'assenso al trasferimento espresso dall'Azienda cedente ai sensi dell'art. 4 della L. 114/2014" (cfr. pag. 3 dell'Avviso), e gli aventi diritto al trasferimento indi "stipulano apposita appendice di contratto individuale di lavoro recante il nuovo datore e la sede di prima assegnazione ed il trattamento economico spettante" (cfr. pag. 7 dell'Avviso). Non v'è dunque ragione per non applicare il consolidato orientamento costantemente ribadito dalla Corte regolatrice della giurisdizione in base al quale: "La mobilità, anche esterna, dei pubblici dipendenti va qualificata come mera cessione di un contratto già in essere e, pertanto, le relative controversie rientrano nella cognizione del giudice ordinario, che ha giurisdizione sull'unico rapporto al momento della lesione dei relativi diritti"... "Deve, infatti, essere data continuità ai principi affermati da queste Sezioni Unite che, con riferimento al tema di mobilità per passaggio diretto tra pubbliche amministrazioni, disciplinata attualmente dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 30, hanno affermato "che integrando siffatta procedura una mera modificazione soggettiva del rapporto di lavoro con il consenso di tutte le parti e, quindi, una cessione del contratto, la giurisdizione sulla controversia ad essa relativa spetta al giudice ordinario, non venendo in rilievo la costituzione di un nuovo rapporto lavorativo a seguito di procedura selettiva concorsuale e, dunque, la residuale area di giurisdizione del giudice amministrativo di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 63, comma 4" (cfr. Cass. S.U. n. 32624/2018,n. 33213/2018).".... "per "procedure concorsuali di assunzione", ascritte al diritto pubblico ed all'attività autoritativa dell'amministrazione, si intendono non soltanto quelle preordinate alla costituzione ex novo dei rapporti di lavoro (come le procedure aperte a candidati esterni, ancorchè vi partecipino soggetti già dipendenti pubblici), ma anche i procedimenti concorsuali interni, destinati, cioè, a consentire l'inquadramento dei dipendenti in aree funzionali o categorie più elevate, con novazione oggettiva dei rapporti di lavoro." (Cass. SS. UU. ord. n. 16452 del 30 luglio 2020). 11. Per tali ragioni, deve essere confermata la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda, con reiezione dell'appello presentato dall'odierna ricorrente. 12. Le spese possono essere compensate in ragione della natura della questione trattata. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l'appellante. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati: Michele Corradino - Presidente Stefania Santoleri - Consigliere Ezio Fedullo - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere Raffaello Scarpato - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 3399 del 2023, proposto da Bo. Ni. e Le. Ma., rappresentati e difesi dall'avvocato Ra. Ma., con domicilio digitale come da PEC Registri di giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Ro., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato An. D'A. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza in forma semplificata del Tribunale amministrativo regionale per la Campania Sezione Terza n. 1590/2023, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Valerio Perotti e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con ricorso al Tribunale amministrativo della Campania, i dott.ri Bo. Ni. e Le. Ma. chiedevano l'annullamento della determinazione indice generale n. 1365 del 14 ottobre 2022, prot. n. 668, con la quale il Comune di (omissis) aveva indetto il procedimento di mobilità per la copertura di un posto a tempo pieno ed indeterminato di dirigente amministrativo Fascia II, da assegnare all'Area affari generali del medesimo Comune, nonché dell'Allegato A "Avviso di selezione per mobilità volontaria ai sensi dell'art. 30 del Dlgs n. 165/2001 e ss.mm.ii. del 12 ottobre 2022 per la copertura di n. 1 posto a tempo indeterminato e pieno di Dirigente Amministrativo Fascia II, da assegnare all'Area Affari Generali del Comune di (omissis)", affinché fosse accertato il loro diritto ad essere assunti a tempo indeterminato in virtù dello scorrimento della graduatoria approvata con determina n. 114 del 21 febbraio 2022, quali idonei non vincitori posizionati rispettivamente al posto n. 2 e n. 3 di detta graduatoria. Costituitosi in giudizio, il Comune di (omissis) eccepiva preliminarmente la cessata materia del contendere per sopravvenuta carenza di interesse, rappresentando che con delibera n. 175 del 7 dicembre 2022 era stata adottata la "Modifica Piano Triennale dei fabbisogni del personale 2022-2024" esprimendo un "atto di indirizzo vincolante al Dirigente ad interim, Area I, al fine di revocare immediatamente la procedura, ancora in itinere, relativa al concorso indetto con determinazione dirigenziale, indice generale n. 1365 del 14 ottobre 2022"; eccepiva inoltre l'inammissibilità del ricorso collettivo dei ricorrenti, essendo gli stessi portatori di interessi tra loro confliggenti, nonché il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, ferma in ogni caso l'infondatezza del gravame, del quale veniva chiesto il rigetto. Con successivo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 9 gennaio 2023, i ricorrenti altresì chiedevano l'annullamento della delibera Commissariale n. 175 del 7 dicembre 2022, depositata in giudizio il 12 dicembre 2022, con la quale era stato deliberato di modificare il piano di fabbisogno del Personale triennio 2022-2024, approvato con deliberazione della Commissione straordinaria n. 71 del 30 giugno 2022 e rettificata con successiva deliberazione n. 78 del 7 luglio 2022/2024, con la previsione della copertura di un posto di dirigente Area tecnica da assumere mediante lo scorrimento della graduatoria vigente; altresì chiedevano l'accertamento del loro diritto allo scorrimento della graduatoria approvata con determina n. 114 del 21 febbraio 2022 quali idonei non vincitori. Con ulteriori motivi aggiunti, depositati l'8 febbraio 2023, i ricorrenti chiedevano infine l'annullamento della determinazione prot. n. 793 del 13 dicembre 2022, con la quale il dirigente Area V economico - finanziaria del Comune di (omissis) aveva determinato "(...) 2. di prendere atto della modifica del Fabbisogno del personale triennio 2022-2024 approvato con deliberazione della Commissione Straordinaria n. 71/2022 (...) così come rettificata dalla deliberazione della Commissione Straordinaria n. 78/2022; 3. di riscontrare l'atto di indirizzo impartito dalla Commissione Straordinaria (...) nella deliberazione n. 175 del 7.12.2022 e procedere consequenzialmente, alla revoca della procedura di mobilità volontaria indetta, ai sensi dell'art. 30 del Dlgs n. 165/2001 per la copertura di n. 1 posto a tempo indeterminato pieno di Dirigente Amministrativo fascia II, da assegnare all'Area Affari Generali del Comune di (omissis) (NA) determinazione dirigenziale I.G. n. 1365 del 14.10.2022; 4. di procedere, altresì, a seguito dell'espletamento della procedura di mobilità obbligatoria di cui all'art. 34 del Dlgs n. 165/2001, allo scorrimento della graduatoria in corso approvata con determinazione dirigenziale I,G. n. 246 del 9.03.2022 per la copertura di n. 1 posto di Dirigente Area Tecnica (...)". Il Comune resistente eccepiva, come già in precedenza, l'improcedibilità dei motivi aggiunti per carenza di interesse. Con sentenza 13 marzo 2023, n. 1590, il giudice adito dichiarava inammissibili il ricorso (in quanto collettivo) ed i motivi aggiunti, sul presupposto della potenziale conflittualità delle situazioni soggettive dei ricorrenti, trattandosi di candidati entrambi collocati nella medesima graduatoria della selezione pubblica per la copertura di un unico posto di dirigente II Fascia. Avverso tale decisione i dott.ri Bo. Ni. e Le. Ma. interponevano appello, contestando la sussistenza dei presupposti per la declaratoria di inammissibilità dell'introduttivo gravame; riproponevano quindi nel merito, i motivi di impugnazione dedotti nel precedente grado di giudizio e non esaminati dal primo giudice, limitatosi ad una pronuncia in rito. Con dichiarazione del 18 aprile 2023, la dott.ssa Le. Ma. rinunziava al ricorso introduttivo, ai motivi aggiunti ed al successivo ricorso in appello. Costituitosi in giudizio, il Comune di (omissis) concludeva per l'infondatezza dell'appello, chiedendo che fosse respinto. Con successiva memoria, l'amministrazione evidenziava peraltro come la sopravvenuta rinuncia al gravame da parte della d.ssa Le. non avrebbe mutato i termini della questione, nel senso di retroattivamente supportare (anche ai fini dell'ammissibilità ) la domanda del ricorrente superstite, dott. Bo., "atteso che l'appello che ci occupa è stato proposto avverso una decisione che, all'atto in cui è stata resa - come del resto è stato persistente per tutto il giudizio di primo grado -, ha ravvisato un contrasto di interessi a ricorrere da parte dei rispettivi ricorrenti". All'udienza del 9 maggio 2024 la causa veniva quindi trattenuta in decisione. Va preliminarmente dato atto della rinuncia all'introduttivo ricorso, ai motivi aggiunti di primo grado ed al successivo appello da parte della dott.ssa Le. Ma., nei cui confronti deve pertanto dichiararsi - in applicazione del principio dispositivo, che trova applicazione anche al processo amministrativo - l'improcedibilità del ricorso di primo grado per intervenuta rinuncia e, per l'effetto, l'annullamento senza rinvio la sentenza appellata, con conseguente improcedibilità, per sopravvenuto difetto di interesse, dell'appello successivamente proposto. Venendo quindi al gravame (a tal punto) coltivato dal solo dott. Bo., ritiene il Collegio che lo stesso non possa essere accolto, in quanto infondato nel merito. Il che consente di soprassedere dall'esame della questione, formalmente di carattere processuale, adombrata dall'amministrazione dell'attitudine o meno della rinunzia al ricorso di primo grado da parte della dott.ssa Le. a far venir meno, ora per allora, l'originaria causa di inammissibilità del gravame collettivo a vantaggio dell'unico ricorrente rimasto, ossia il dott. Bo. Ni.. Altresì ne consegue, per coerenza, l'inutilità pratica di esaminare le censure dedotte con il primo motivo di appello, con il quale il dott. Bo. contesta la sussistenza, nel caso di specie, di un conflitto di interessi tra la propria posizione e quella dell'ulteriore ricorrente dott.ssa Le., tale da rendere inammissibile il gravame collettivo dagli stessi proposto, dal momento che, a suo dire (non meglio contestualizzato con quanto risultante in atti, peraltro), in caso di accoglimento dello stesso comunque non si sarebbe fatto ricorso allo strumento dello scorrimento secondo il rigoroso ordine di graduatoria. Ciò premesso, nel riproporre i motivi di ricorso non esaminati dal primo giudice, il dott. Bo. deduce innanzitutto l'illegittimità dell'iniziale scelta dell'amministrazione di indire un nuovo concorso pur in presenza di precedenti graduatorie ancora valide ed efficaci, ancorché relative a diversi profili professionali; il provvedimento contestato sarebbe inoltre illegittimo per violazione del generale obbligo di motivazione di cui alla legge n. 241 del 1990, non avendo il Comune specificato le esatte ragioni per le quali aveva ritenuto opportuno (o doveroso) non utilizzare la graduatoria ancora esistente. Tali censure sono inammissibili, per evidente carenza di interesse. Risulta infatti dagli atti che con delibera n. 175 del 7 dicembre 2022 il Comune di (omissis) adottava un provvedimento recante "Modifica Piano Triennale dei fabbisogni del personale 2022-2024", in tal modo esprimendo un "atto di indirizzo vincolante al Dirigente ad interim, Area I, al fine di revocare immediatamente la procedura, ancora in itinere, relativa al concorso indetto con determinazione dirigenziale, indice generale n. 1365 del 14 ottobre 2022, per mobilità volontaria, ai sensi dell'art. 30 del D.lgs. n. 165/2001, per l'assunzione a tempo pieno ed indeterminato, di n. 1 Dirigente Area I - Affari Generali". Tale delibera veniva quindi trasfusa nel provvedimento dirigenziale n. 1732 del 2022 (in atti), che modificava il fabbisogno del personale ed individuava nello scorrimento delle graduatorie ancora vigenti presso l'ente la modalità di assunzione della risorsa ivi individuata. Essendo stato revocato il provvedimento ab origine impugnato, con ripristino della (auspicata dal ricorrente) procedura di scorrimento delle graduatorie, nessun reale interesse può avere quest'ultimo ad ancor oggi coltivare le ragioni difensive a suo tempo dedotte. A ciò aggiungasi, solo per completezza, che contrariamente a quanto sostenuto - in modo piuttosto generico - dall'appellante, verosimilmente non vi sarebbero comunque stati, nel caso di specie, i presupposti per lo scorrimento della graduatoria ai fini dell'assunzione qui controversa, atteso che il profilo professionale su cui si discute atteneva a diversa Area professionale (nella specie, ad "Area Tecnica") rispetto a quella cui si riferiscono le predette graduatorie ("Area Welfare"). Quanto infine al profilo di doglianza (sviluppato nel ricorso di primo grado) relativo alla scelta dell'amministrazione di ricorrere altresì all'istituto della mobilità ex art. 30 d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (il cui comma 2-bis prescrive che "Le amministrazioni, prima di procedere all'espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità di cui al comma 1, provvedendo, in via prioritaria, all'immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo, appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento nei ruoli delle amministrazioni in cui prestano servizio (...)"), ritiene il Collegio di dover confermare l'orientamento (da ultimo Cons. Stato, III, 9 maggio 2024, n. 4166) secondo cui la mobilità volontaria (quando l'amministrazione intende esperirla) è preliminare all'indizione di un nuovo concorso e prevale comunque sullo scorrimento di graduatorie in corso di validità . Dal che consegue che l'esistenza di una graduatoria concorsuale ancora valida ed efficace può sì limitare l'indizione di un nuovo concorso, ma non prevale sulla mobilità volontaria: per l'effetto, deve concludersi che prima di procedere all'utilizzazione delle graduatorie ancora valide l'amministrazione deve prioritariamente esperire una procedura di mobilità per il passaggio diretto di personale da altre amministrazioni (Cons. Stato, V, n. 3677 del 2016). Le considerazioni sovra esposte valgono anche a respingere le riproposte doglianze a suo tempo dedotte con (primi e secondi) motivi aggiunti, con le quali sostanzialmente si denuncia la presunta illegittima "intenzione dell'ente resistente di aggirare le richieste dei ricorrenti di scorrimento della graduatoria", come risultante dalla presunta scelta di "riorganizzare la propria macrostruttura, con l'atto gravato deliberava, appunto, di modificare il Piano del Fabbisogno del Personale triennio 2022-2024 e di assumere con la previsione della copertura del posto di Dirigente Area Tecnica, mediante, questa volta, lo scorrimento della graduatoria vigente - scorrimento non applicato con il provvedimento impugnato nel ricorso principale per l'area Affari Generali e poi revocato -, revocando contestualmente la previsione di copertura del posto di dirigente Area-Affari generali per l'anno 2022. Successivamente con nota prot. n. 30644 del 12 dicembre 2022 rendeva poi noto la revoca della procedura di mobilità volontaria, quest'ultima oggetto di impugnativa con il ricorso principale". Il tutto, conclude l'appellante, nonostante la preferenza accordata dal legislatore all'istituto dello scorrimento delle graduatorie. Da un lato infatti, anche in questo caso è dirimente l'assenza di un obiettivo interesse al gravame, stante il ripristino, con la richiamata delibera Commissariale n. 175 del 7 dicembre 2022 (poi trasfusa nel provvedimento dirigenziale n. 1732 del 2022, recante aggiornamento del fabbisogno del personale), del principio dello scorrimento delle graduatorie vigenti nella disponibilità presso l'ente locale; ciò anche a prescindere dalla già rilevata non omogeneità dei profili professionali "Area Tecnica" (nella quale ricade il posto messo a concorso) ed "Area Welfare" (di cui alla graduatoria nella quale era inserito l'odierno appellante). Dall'altro, è appena il caso di rilevare che le scelte organizzative (e di programmazione) dell'ente comunale (a maggior ragione quelle attinenti al livello di macrostruttura) sono tipica espressione della discrezionalità tecnica che ne connota l'attività istituzionale, in quanto tali suscettibili di un mero sindacato di legittimità "esterno", che ne può determinare l'annullamento solamente ove ne venga dimostrata la manifesta contraddittorietà, irrazionalità o abnormità, ovvero (con analoga immediata evidenza) venga dato atto della loro insuperabile contrarietà con la normativa vigente. Un tale onere dimostrativo non risulta però essere stato assolto dall'appellante, motivo per cui la censura non potrebbe comunque essere accolta. Per contro, dalla lettura della delibera n. 175 del 2022 emergono con sufficiente evidenza le ragioni che hanno determinato il Comune di (omissis) a modificare il piano di fabbisogno del personale, ragioni che non possono i per sé dirsi palesemente incoerenti o erronee: "(...) per il Centro studi di Cassa Depositi e Prestiti, il flusso delle relative risorse può colmare il fabbisogno di investimenti comunali rimasto in parte insoddisfatto negli ultimi anni e si stima che la capacità di investimento annua dei Comuni aumenterà del 60%; che, gli obiettivi quantitativi sono rilevanti, ma lo sono ancor di più quelli qualitativi, ossia "dove" e "come" verranno impiegati i fondi del PNRR; Considerato che gli Uffici tecnici dovranno rispondere in termini di quantità e qualità ai bandi di gara, di talché si rende necessario ed indispensabile rafforzare tali uffici, ed adottare best practice per semplificare e velocizzare la programmazione e progettazione degli interventi, la definizione delle priorità e, ancora, costituire un team di esperti per un confronto permanente sulla relativa applicazione, nonché sull'attività di monitoraggio e verifica del rispetto dei cronoprogrammi per il conseguimento di obiettivi; Ritenuto che l'acquisizione di adeguate risorse può consentire di favorire lo sviluppo economico ed elevare il livello della qualità della vita per i cittadini; Ravvisata, pertanto, per conseguire tali obiettivi, la necessità di dare immediata copertura al posto previsto in dotazione organica, profilo professionale, dirigente tecnico, Area II e contestualmente revocare la procedura di mobilità tuttora in corso, indetta ai sensi dell'art. 30 del D.Lgs. n. 165/2001 per l'assunzione del dirigente amministrativo, tenuto conto che presso l'Area III risulta in servizio soltanto n. 1 dirigente al quale è ascritta, ad interim, anche la responsabilità dell'Area II - Tecnica Urbanistica in esito al Decreto del commissario straordinario n. 14 del 05 04.2022 e successivamente rinnovato con decreto n. 18 del 3/05/022 (...)". Alla luce dei rilievi che precedono, l'appello proposto dal dott. Bo. Ni. va dunque respinto, mentre va dichiarata l'improcedibilità del gravame proposto dalla dott.ssa Le. Ma.. Le spese del grado di giudizio, in ragione della particolarità delle questioni controverse e dei reciproci rapporti tra le parti, possono essere interamente compensate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello proposto dal dott. Bo. Ni., lo respinge. Dichiara l'improcedibilità del ricorso di primo grado proposto dalla dott.ssa Le. Ma. per intervenuta rinuncia e, per l'effetto, l'annullamento senza rinvio la sentenza appellata, con conseguente improcedibilità, per sopravvenuto difetto di interesse, dell'appello successivamente proposto. Spese del grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente Valerio Perotti - Consigliere, Estensore Alberto Urso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Sara Raffaella Molinaro - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 261 del 2024, proposto da Sa.Me., rappresentata e difesa dall'avvocato Vi.Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Azienda Sanitaria Territoriale di Ascoli Piceno, rappresentata e difesa dall'avvocato Pat.Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - della determina del direttore generale dell’AST di Ascoli Piceno n. 79 del 5.4.2024 avente ad oggetto avviso di mobilità, nella parte in cui prevede la copertura di 1 posto vacante di “tecnico fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare” cat. “D” tramite mobilità volontaria ex art. 30 T.U. 165/2001; - del medesimo avviso di mobilità di cui sopra in parte qua; - delle determine del D.G. n. 37 del 14.2.2024 e n. 48 del 23.2.2024 di approvazione del regolamento aziendale in materia di mobilità volontaria in entrata, in parte qua e nei limiti dell’interesse fatto valere; - dello stesso regolamento di cui sopra in parte qua; - della determina D.G. n. 154 del 28.3.2024, avente ad oggetto l’assunzione a tempo indeterminato di 3 tecnici di fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare per effetto della stabilizzazione “COVID”, sempre nei limiti dell’interesse fatto valere; - ove occorra, delle determine D.G. n. 6 del 31.1.2024 e n. 62 del 19.3.2024 aventi ad oggetto l’adozione del “PIAO 2024-2026” dell’AST di Ascoli Piceno, in parte qua e nei limiti dell’interesse fatto valere. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Sanitaria Territoriale di Ascoli Piceno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2024 il dott. Giovanni Ruiu e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; La ricorrente è dipendente a tempo determinato dell’AST di Ascoli Piceno in qualità di “tecnico fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare” cat.”D”, in servizio presso l’U.O.C. di Cardiologia del P.O. “Madonna del Soccorso” di San Benedetto del Tronto sino al 31 agosto 2024. Essa ha partecipato all’avviso di stabilizzazione “Covid” ex art. 1 comma 268 lett.b) L.234/2021 bandito con determina dirigenziale n. 579 del 14 luglio 2023 Con determina D.G. n. 127 del 21 marzo 2024 è stata approvata la graduatoria finale dell’avviso di stabilizzazione “COVID” nella quale la ricorrente è collocata al 4° posto. Con successiva determina n. 154 del 28 marzo 2024 l’AST ha assunto e stabilizzato solo tre degli aventi diritto, sulla base del “PIAO 2024-2026” approvato con determine n. 6 e n. 62 del 2024, nonché delle determine n. 37 e n. 47 del 2024 di approvazione del Regolamento aziendale sulla mobilità volontaria in entrata. Nell’ambito del PIAO 2024-206 l’AST di Ascoli Piceno, approvato con determina n. 6 del gennaio scorso, poi integrata e rettificata con successiva determina n. 48 del febbraio 2024, su 4 posti vacanti previsti in pianta organica di “Tecnico di fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare”, solo 3 posti risultano destinati alla stabilizzazione “COVID”. Poi con determine successive nn. 37 e 48 (di rettifica) del febbraio 2024, il direttore Generale dell’AST procedeva all’approvazione di un regolamento sulla mobilità in entrata all’interno del quale si prevedeva che per l’anno 2024 l’acquisizione del personale sarebbe dovuta avvenire mediante stabilizzazione Covid per l’80% dei posti vacanti, mentre per il restante 20% tramite mobilità o da graduatorie concorsuali (interne o esterne). Conseguentemente, con determina n. 79 del 5 aprile 2024 veniva pubblicato l’avviso di mobilità volontaria impugnato con l’odierno ricorso, unitamente al provvedimento di assunzione solo dei primi tre della graduatoria e dei presupposti atti regolamentari, nell’ambito del quale si prevede la copertura del posto restante per cui è causa tramite tale modalità, invece tramite lo scorrimento della graduatoria della stabilizzazione di cui sopra e quindi l’assunzione della ricorrente in qualità di precaria. Le determine del 28 marzo e del 5 aprile 2024 e gli atti regolamentari presupposti sono impugnati con un unico e articolato motivo di ricorso, nel quale si deducono molteplici profili di violazione di legge ed eccesso di potere contestando sostanzialmente la mancata assunzione della ricorrente e ola conseguente destinazione del quarto posto in pianta organica per il profilo in oggetto alla mobilità esterna invece che alla stabilizzazione. L’AST intimata si è costituita in giudizio, eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice amministrative e resistendo comunque nel merito al ricorso. Alla camera di consiglio dell’11 luglio 2024 il ricorso, sussistendone i presupposti, è staro trattenuto per la decisione ai sensi dell’art. 60 cpa. 1 Il ricorso è inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Il Collegio infatti condivide l’orientamento fatto proprio dal Tar Puglia in una recente decisione di carattere sostanzialmente speculare alla presente, nella quale dei soggetti idonei non vincitori di concorso censuravano i provvedimenti di proroga degli incarichi a tempo determinato di altro personale ai fini delle conseguenti procedure di stabilizzazione avviate ex art. 20, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 75/2017, che avrebbero di fatto impedito la loro assunzione in servizio presso aziende sanitarie (Tar Puglia Bari 24 maggio 2024 n. 654). 1.1 Infatti il petitum sostanziale del presente giudizio verte in definitiva sulla rivendicazione da parte della ricorrente, collocata in graduatoria e non assunta a seguito di procedura di stabilizzazione, del diritto all'assunzione nell'ambito del contingente numerico connesso alle capacità assunzionali del S.S.R., mediante scorrimento della graduatoria vigente (Tar Puglia Bari 654/2024 cit.) 1.2 Il ricorso in epigrafe impugna anche atti di natura regolamentar. Ciò non toglie che proprio il ricorso contesti sostanzialmente il mancato scorrimento della graduatoria di stabilizzazione che comprende la ricorrente a causa dell’utilizzo della mobilità per la copertura del posto. Dalla prospettazione di parte ricorrente emerge, quindi, la pretesa di un “diritto” alla copertura del posto tramite la graduatoria di stabilizzazione Ciò indipendentemente dalla natura degli atti impugnati e della natura delle procedure preposta dato che, in ogni caso, si contesta sostanzialmente la copertura amministrazioni del posto in organico tramite mobilità e non con l’assunzione della ricorrente. 1.3. Da quanto precede, si ricava che la questione non può rientrare nella giurisdizione del giudice amministrativo, dovendosi applicare il comma 1 dell'art. 63 del d.lgs. 165/2001, in base al quale “sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro...”. Tale assunto trova conferma nell’art. 63, comma 4, del medesimo d.lgs. 165/2001, il quale stabilisce che “restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”. Infatti, la prevalente giurisprudenza sia amministrativa, che ordinaria ha interpretato tale disposizione in modo sempre più restrittivo, finendo per attribuire alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie strettamente collegate allo svolgimento della procedura concorsuale: ne discende che, conclusasi la fase selettiva vera e propria, le controversie non impingenti direttamente sullo svolgimento della predetta valutazione, sono state considerate come mirate all'ottenimento del posto di lavoro, il cd. diritto all'assunzione, che il comma 1 dell'art. 63 attribuisce alla cognizione del giudice ordinario. In questa fase, infatti, muta il rapporto tra candidato e amministrazione procedente, sicché il primo, quand'anche pretenda dall'amministrazione un certo comportamento e ne vada a censurare l'operato (come accade nel caso di specie), di fatto non sta più agendo a tutela di un interesse legittimo, ma di un vero e proprio diritto soggettivo maturato all'esito dell'espletamento della prova di concorso. 2 Tale ricostruzione si attaglia al caso di specie, dove è stato adottato l'atto finale della procedura di la stabilizzazione coincidente con la pubblicazione della graduatorai, peraltro in sostanziale contemporaneità con l’avviso di mobilità. Ne discende che la domanda azionata dalla ricorrente sulla scorta dell'ottenuta idoneità e dell'inserimento nella graduatoria di stabilizzazione, in definitiva, è volta a conseguire il posto di lavoro presente in organico, diritto leso dalla decisione di assumere solo i primi tre della graduatoria di stabilizzazione e di indire la procedura di mobilità, scelta che ha impedito l’assunzione per scorrimento della ricorrente. Peraltro, la stessa graduatoria nella quale è inserita la ricorrente non deriva dall’esito di una procedura concorsuale, essendo risultato della procedura di stabilizzazione c.d. covid prevista dalla legge di bilancio per il 2022 e che risulta basata sul possesso di determinati requisiti professionali stabiliti dalla legge senza l'esperimento di una procedura concorsuale (Tar Abruzzo Pescara 9 marzo 2023 n 106). 2.1 Ciò posto, secondo un costante orientamento della suprema Corte di cassazione, in tema di riparto di giurisdizione circa l’assunzione ai pubblici impieghi mediante procedure concorsuali, le questioni relative al mero scorrimento delle graduatorie, coinvolgendo il diritto soggettivo all’assunzione, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario. Sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo quando la pretesa sia conseguente alla negazione degli effetti del provvedimento di indizione di una nuova procedura concorsuale, investendo l’esercizio del potere dell’amministrazione a cui corrisponde una situazione di interesse legittimo (tra le tante Cass. Sez. Un. 12 agosto 2021 n. 22746). Nella vicenda in esame oggetto del contendere è la scelta di non assumere la ricorrente e procedere alla copertura del posto tramite mobilità. Né vale ad attrarre la controversia nella giurisdizione di questo Tar la circostanza, che, in questa sede, vengono impugnati il PIAO e i relativi atti regolamentari, oltre che lo stesso avviso di mobilità quale atto consequenziale. Infatti, l’insieme di tali atti rileva, in questa sede, quale atto datoriale di determinazione delle esigenze di provvista del personale e, quale atto datoriale, esso non può che rivestire (pur se autoritativo) la natura di atto di diritto privato che incide su interessi legittimi di diritto privato (a seguito della c.d. "privatizzazione" del pubblico impiego). A ciò si aggiunga che, comunque, "nel caso in cui in una medesima fattispecie vi sia la concorrente presenza di atti d'imperio (ad esempio la modifica alla pianta organica e al piano triennale delle assunzioni) e di gestione privatistica del rapporto di lavoro (ad esempio la mancata assunzione a seguito della stabilizzazione, come nel caso in esame), deve prevalere il giudice munito di giurisdizione sul petitum sostanziale (ad esempio il diritto all'assunzione), e ciò per evidenti ragioni di economia processuale ed effettività della tutela (si veda Tar Puglia Bari 15 febbraio 2024 n. 193 e la giurisprudenza ivi citata). Peraltro, a dimostrazione della sostanziale rivendicazione del diritto all’assunzione, con riguardo all’utilizzo di due procedure che si svolgono con i poteri del privato datore di lavoro (mobilità e stabilizzazione, si veda anche Cons. Stato V, 6 maggio 2015, n. 2271) parte ricorrente contesta tra l’altro la lesione del principio di affidamento posto alla base della procedura espletata. In conclusione, per le ragioni sopra illustrate, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, appartenendo la controversia alla giurisdizione del giudice ordinario presso il quale il processo potrà essere riassunto - con salvezza degli effetti processuali e sostanziali delle domande e delle eccezioni in questa sede proposte - entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza, come previsto dall'art. 11, comma 2, cod. proc. amm.. 3.1 Per la peculiarità del caso in esame, le spese del presente giudizio possono essere compensate tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Renata Emma Ianigro - Presidente Giovanni Ruiu - Consigliere, Estensore Simona De Mattia - Consigliere L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Giovanni Ruiu Renata Emma Ianigro IL SEGRETARIO
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 12367 del 2018, integrato da motivi aggiunti, proposto da El. Co. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Sa. De., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, alla Piazza (...) contro Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, alla Via (...); nei confronti - Bo. Gi., rappresentato e difeso dall'avvocato Ug. Lu. Sa. De Lu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, alla Via (...); - Federazione La. As. e Cr. Fi. / CG.. Na., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Em. Er. e Ma. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento quanto al ricorso introduttivo: - previa eventuale remissione della questione alla CGUE, della Delibera della Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 410/18/CONS del 26 luglio 2018, nella parte in cui all'art. 2 prevede che i dipendenti di cui all'allegato A nominati funzionari di ruolo debbano essere "inquadrati al livello iniziale della car-riera di funzionario, con decorrenza 1 settembre 2018"; - delle singole note inviate ai ricorrenti con raccomandata a/r anticipata via mail, aventi ad oggetto "attuazione dell'art. 20, comma 1, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, assunzione a tempo indeterminato", nella parte in cui prevedono che "l'inquadramento economico attribuito sarà quello previsto per il personale dipendente dell'Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni della qualifica di funzionario, livello economico iniziale"; - dei verbali di presa di servizio del 3 settembre 2018, nella parte in cui prevedono l'inquadramento dei ricorrenti nel ruolo organico "al livello economico iniziale della carriera di funzionario"; - ove occorra, dell'art. 48-bis, comma 1-ter, del Regolamento concernente il trattamento giuridico ed economico del personale, nella parte in cui prevede che per i contratti di specializzazione non trovino applicazione gli istituti relativi allo scatto annuale e alla progressione di carriera, neppure in caso di successiva immissione in ruolo; - di ogni atto connesso, presupposto e/o conseguente; e per l'accertamento del diritto dei ricorrenti al corretto inquadramento al livello giuridico-economico F5 ovvero, in subordine, al livello giuridico-economico F2 della carriera di funzionario, con decorrenza dalla data di immissione in ruolo (1° settembre 2018); - del diritto dei ricorrenti alle differenze retributive e contributive spettanti dalla maturazione del corretto livello giuridico ed economico o quantomeno dalla data di immissione in ruolo, con rivalutazione monetaria e interessi; e per la condanna dell'Amministrazione a disporre il suddetto corretto inquadramento dei ricorrenti al livello giuridico-economico F5 o, in subordine, al livello giuridico-economico F2 con decorrenza dalla data di immissione in ruolo (1° settembre 2018) ed a disporre il pagamento delle differenze retributive e contributive spettanti ai ricorrenti dalla maturazione dei rispettivi livelli giuridico-economici o quantomeno dalla data di immissione in ruolo, con rivalutazione monetaria e interessi quanto ai motivi aggiunti depositati il 13 marzo 2019: - previa eventuale remissione della questione alla CGUE, del verbale di presa di servizio del 7 gennaio 2019, nella parte in cui prevede l'inquadramento nel ruolo organico "al livello economico iniziale della carriera di funzionario"; - se del caso, del cedolino paga relativo al mese di gennaio 2019, nella parte in cui prevede l'inquadramento nella posizione economica F0; - di ogni altro atto preordinato, connesso e/o consequenziale e per l'accertamento: - del diritto dei ricorrenti e in particolare del dott. Za. al corretto inquadramento al livello giuridico-economico F5 ovvero, in subordine, al livello giuridico-economico F2 della carriera di funzionario, con decorrenza dalla data di immissione in ruolo (1° settembre 2018); - del diritto dei ricorrenti alle differenze retributive e contributive spettanti dalla maturazione del corretto livello giuridico ed economico o quantomeno dalla data di immissione in ruolo, con rivalutazione monetaria e interessi; e per la condanna dell'Amministrazione a disporre il suddetto corretto inquadramento dei ricorrenti al livello giuridico-economico F5 o, in subordine, al livello giuridico-economico F2 con decorrenza dalla data di immissione in ruolo (1° settembre 2018) ed a disporre il pagamento delle differenze retributive e contributive spettanti ai ricorrenti dalla maturazione dei rispettivi livelli giuridico-economici o quantomeno dalla data di immissione in ruolo, con rivalutazione monetaria e interessi. quanto ai motivi aggiunti depositati il 12 luglio 2022: - della delibera n. 140/22/CONS del 5 maggio 2022, non pubblicata, recante "Approvazione dell'Accordo sindacale in materia di previdenza integrativa, riconoscimento in funzione perequativa di livelli, progressione meritocratica, lavoro da remoto, copertura delle spese sanitarie, procedura di mobilità straordinaria, ordinamento delle carriere ed incarichi", unitamente all'accordo sindacale ad essa allegato, sottoscritto in data 6 aprile 2022, in parte qua, e segnatamente nelle previsioni dell'accordo sindacale di cui al par. 1, n. 3, al par. 2, al par. 6, al par. 7, nn. 1 e 2, come di seguito specificato; - della delibera n. 141/22/CONS del 5 maggio 2022, pubblicata in data 12 maggio 2022 sulla pagina Intranet AGCom, recante "Disposizioni per l'attuazione della procedura straordinaria di mobilità ", con cui l'Autorità ha avviato la procedura straordinaria di mobilità riservata al personale non dirigenziale appartenente ai ruoli della Pubblica Amministrazione e delle Autorità amministrative indipendenti in comando o altra posizione equivalente presso l'AGCOM al 6 aprile 2022, in parte qua, come di seguito specificato; - della delibera n. 142/22/CONS del 5 maggio 2022, pubblicata in data 22 giugno 2022 sulla pagina Intranet AGCom, recante "Nomina della Commissione per lo svolgimento delle attività connesse alla procedura straordinaria di mobilità di cui alla delibera n. 141/22/CONS", in parte qua, come di seguito specificato; - della delibera n. 186/22/CONS del 7 giugno 2022, pubblicata sulla rete Intranet AGCom in data 16 giugno 2022, recante "Disposizioni per l'attuazione della procedura straordinaria di mobilità indetta ai sensi della delibera n. 141/22/CONS: approvazione degli atti della Commissione e dell'elenco degli inquadramenti del personale proveniente dalle Pubbliche amministrazioni", in parte qua, come di seguito specificato; - della delibera 187/22/CONS del 7 giugno 2022, pubblicata sulla rete Intranet AGCom in data 16 giugno 2022, recante "Disposizioni per l'attuazione della procedura straordinaria di mobilità indetta ai sensi della delibera n. 141/22/CONS: approvazione degli inquadramenti del personale proveniente dalle Pubbliche amministrazioni", in parte qua, come di seguito specificato; - della delibera n. 209/22/CONS del 23 giugno 2022, pubblicata sulla pagina Intranet dell'AGCom in data 1° luglio 2022, recante "Disposizioni per l'attuazione della procedura straordinaria di mobilità indetta ai sensi della delibera n. 141/22/CONS: approvazione degli inquadramenti del personale proveniente dalle Autorità amministrative indipendenti partecipanti alla procedura e immissione nei ruoli" in parte qua, come di seguito specificato; - di ogni altro atto preordinato, connesso e/o consequenziale e per l'accertamento - del diritto dei ricorrenti a vedersi corrispondere dall'AGCom il contributo una tantum previsto dal paragrafo 1 dell'accordo sindacale allegato alla delibera n. 140/22/CONS, nella misura corretta e non discriminatoria; - del diritto dei ricorrenti a beneficiare delle misure perequative di cui al paragrafo 2 dell'accordo sindacale allegato alla delibera n. 140/22/CONS senza alcuna condizione, nonché in misura non inferiore rispetto agli altri dipendenti immessi nei ruoli dall'AGCom; - del diritto dei ricorrenti a vedersi riconosciuto, con decorrenza dalla loro immissione in ruolo ovvero dalla data di adozione delle delibere n. 140/22/CONS e n. 141/22/CONS, il medesimo trattamento previsto da tali delibere per il personale che transita nei ruoli dell'AGCom per effetto della procedura di mobilità di cui alla delibera n. 141/22/CONS; - del diritto dei ricorrenti ad essere ammessi a partecipare alle procedure selettive di cui al paragrafo 7 dell'accordo sindacale allegato alla delibera n. 140/22/CONS, sulla base della complessiva anzianità di servizio da essi maturata in AGCOM, e per la condanna dell'Amministrazione a disporre il suddetto corretto inquadramento dei ricorrenti al livello giuridico-economico F5 o, in subordine, al livello giuridico-economico F2 con decorrenza dalla data di immissione in ruolo (1° settembre 2018) ed a disporre il pagamento delle differenze retributive e contributive spettanti ai ricorrenti dalla maturazione dei rispettivi livelli giuridico-economici o quantomeno dalla data di immissione in ruolo, con rivalutazione monetaria e interessi; - a corrispondere ai ricorrenti il contributo una tantum previsto dal paragrafo 1 dell'accordo sindacale allegato alla delibera n. 140/22/CONS, nella misura corretta e non discriminatoria; - a prevedere in capo ai ricorrenti: (i) le misure perequative di cui al paragrafo 2 dell'accordo sindacale allegato alla delibera n. 140/22/CONS senza alcuna condizione, nonché in misura non inferiore rispetto agli altri dipendenti immessi nei ruoli dall'AGCOM; (ii) con decorrenza dalla loro immissione in ruolo ovvero dalla data di adozione delle delibere n. 140/22/CONS e n. 141/22/CONS, il medesimo trattamento previsto da tali delibere per il personale che transita nei ruoli dell'AGCOM per effetto della procedura di mobilità di cui alla delibera n. 141/22/CONS; (iii) la partecipazione alle procedure selettive di cui al paragrafo 7 dell'accordo sindacale allegato alla delibera n. 140/22/CONS, sulla base della complessiva anzianità di servizio da essi maturata in AGCOM. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Autorità intimata, nonché di Bo. Gi. e della Federazione La. As. e Cr. Fi. / CG.. Na.; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, c.p.a.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 19 luglio 2024 il dott. Roberto Politi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Contestano i ricorrenti l'inquadramento giuridico-economico ai medesimi riconosciuto all'atto dell'immissione nei ruoli della carriera di funzionario di AGCom in esito alle procedure di stabilizzazione espletate ai sensi dell'art. 20, comma 1, del D.Lgs. n. 75/2017. In particolare, sostengono di essere stati erroneamente inquadrati al livello "F0" (vale a dire, al livello iniziale della carriera di funzionario) in luogo di "F5", al quale affermano di avere diritto in ragione dei 5 anni di servizio prestati con contratto a termine presso l'Autorità prima della loro immissione in ruolo, avvenuta all'esito della stabilizzazione disposta dalla delibera n. 410/18/CONS del 26 luglio 2018. 2. Nelle more della definizione della controversia, la Delegazione Trattante dell'Autorità ha sottoscritto con le Organizzazioni sindacali, in data 6 aprile 2022, un accordo con il fine di "rimuovere le attuali disomogeneità di inquadramento economico e giuridico del personale entrato nei ruoli ma già in servizio con Contratto di Specializzazione (CS), con Contratto a Tempo Determinato (CTD), nella qualifica inferiore o in posizione di comando/distacco", all'uopo introducendo una serie di misure perequative. I ricorrenti hanno, dunque, integrato le proprie doglianze presentando motivi aggiunti, volti a contestare gli effetti penalizzanti che si verrebbero a produrre nei loro confronti (anche) a seguito dell'applicazione di una serie di disposizioni dell'accordo sindacale di cui in premessa. 3. Con il ricorso introduttivo, sono state articolate le seguenti doglianze. 3.1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 1, del d.lgs. 25 maggio 2017, n. 75. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. Violazione dei principi di uguaglianza e di non discriminazione. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, illogicità, disparità di trattamento La mancata considerazione del pregresso periodo di servizio corrispondente ai vari contratti a termine succedutisi nel tempo, e dunque dell'esperienza a tale servizio collegata, violerebbe la previsione contenuta nell'art. 20, comma 1, del D.Lgs. 75/2017, ai sensi del quale la stabilizzazione disciplinata si pone il fine di "valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato". Tale finalità era peraltro esplicitata anche nella legge delega n. 124/2015, che all'art. 17, comma 1, lett. a), disponeva la "previsione nelle procedure concorsuali pubbliche di meccanismi di valutazione finalizzati a valorizzare l'esperienza professionale acquisita da coloro che hanno avuto rapporti di lavoro flessibile con le amministrazioni pubbliche". Se dunque il legislatore ha chiaramente affermato che attraverso la stabilizzazione dovrebbero essere valorizzate le professionalità acquisite dal personale precario presso le Pubbliche Amministrazioni, tale finalità esclude ogni soluzione di continuità tra il rapporto di lavoro a tempo determinato e quello a tempo indeterminato avviato con la stabilizzazione stessa. 3.2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 22, 25, 38, 48, 48-bis del Regolamento concernente il trattamento giuridico ed economico del personale dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990. Difetto di motivazione. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, illogicità manifesta, disparità di trattamento. Violazione del principio di reformatio in peius nel passaggio dal regime contrattuale a tempo determinato a quello a tempo indeterminato. Difetto di motivazione. Contraddittorietà . La deliberazione impugnata e gli atti alla stessa conseguenti sarebbero illegittimi anche per violazione del Regolamento del personale di AGCom: e, segnatamente, della disposizione contenuta nell'art. 38, ove è previsto che la progressione dei funzionari si effettua mediante scatti annuali, riconosciuti a far data dal 1° gennaio di ogni anno solare. In ragione di tale disposizione, AGCom aveva consentito agli odierni ricorrenti il passaggio al livello F1 con decorrenza 1° gennaio 2017 ed al livello F2 con decorrenza 1° gennaio 2018 in costanza di rapporto di lavoro a tempo determinato. Nell'osservare come l'art. 48 del richiamato Regolamento preveda che "Il trattamento giuridico ed economico del personale da assumere con contratto a tempo è determinato dall'Autorità con propria delibera in relazione alle esperienze maturate ed alle competenze possedute e con riferimento a quello del personale di ruolo che svolge funzioni analoghe", rilevano i ricorrenti come tale disposizione parifichi la complessiva posizione del personale a tempo determinato con quella del personale a tempo indeterminato, con riferimento sia al trattamento giuridico, sia a quello economico. Se l'art. 48-bis, comma 1-ter, del Regolamento, disciplinante i contratti finalizzati alla specializzazione di giovani laureati, prevede che nella definizione del trattamento economico non trovino applicazione gli istituti relativi allo scatto annuale ed alla progressione in carriera, viene rilevato che: - laddove la previsione in questione esclude il riconoscimento di scatti annuali in costanza di contratto di specializzazione, - nondimeno, non esclude però la possibilità di riconoscere tali scatti dopo aver positivamente valutato il percorso di specializzazione e, dunque, al momento dell'immissione del personale "specializzato" nei ruoli dell'Amministrazione con contratto a tempo indeterminato, vieppiù a seguito di una procedura di stabilizzazione prevista dalla legge; ribadendo i ricorrenti che, con la stabilizzazione, hanno continuato a svolgere i medesimi compiti e funzioni che già avevano svolto in costanza sia del contratto di specializzazione, sia di quello a tempo determinato successivamente stipulato e poi prorogato senza soluzione di continuità . 3.3) Violazione della direttiva europea 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 e dell'allegato Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, illogicità, disparità di trattamento. Violazione del principio di parità di trattamento tra dipendenti a tempo indeterminato e dipendenti a tempo determinato. Violazione dell'art. 36 Cost. in tema di necessaria proporzionalità fra retribuzione e prestazione lavorativa effettivamente resa. I provvedimenti impugnati sarebbero altresì illegittimi, in quanto in contrasto con le disposizioni contenute nella direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato; e, segnatamente: - con la clausola 4, paragrafo 1, secondo cui "per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive"; - con la clausola 4, paragrafo 4, secondo cui "i criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive". In proposito, con sentenza del 18 ottobre 2012, la Corte di Giustizia ha affermato che la clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale la quale escluda totalmente che i periodi di servizio compiuti da un lavoratore a tempo determinato alle dipendenze di un'autorità pubblica siano presi in considerazione per determinare l'anzianità del lavoratore stesso al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa medesima autorità, come dipendente di ruolo nell'ambito di una specifica procedura di stabilizzazione del suo rapporto di lavoro, a meno che la citata esclusione sia giustificata da "ragioni oggettive" ai sensi dei punti 1 e/o 4 della clausola di cui sopra. 4. Con motivi aggiunti, depositati il 13 marzo 2019 viene censurato - con riferimento alla sola posizione del sig. Lu. Za. - il verbale di presa di servizio, differita previa presentazione di istanza di rinvio accolta dall'Autorità con nota del 30 agosto 2018 al fine di consentire la definizione del periodo di prova in corso presso l'AGCM, dove all'epoca lo stesso prestava servizio. Nel citato verbale di presa di servizio - impugnato in parte qua per asserite ragioni di completezza e tuziorismo difensivo con il presente ricorso per motivi aggiunti - veniva previsto, come era già successo per gli altri ricorrenti, l'inquadramento dell'interessato al livello economico iniziale della carriera di funzionario. 5. Con ulteriori motivi aggiunti, depositati in data 12 luglio 2022 - i ricorrenti censurano le previsioni contenute nella delibera n. 140/22/CONS e nell'allegato accordo sindacale, oltre che nelle collegate delibere successivamente adottate dall'AGCOM, che dettano una disciplina in tema di previdenza integrativa, di riconoscimento in funzione perequativa di livelli retributivi, di inquadramento al momento dell'immissione in ruolo tramite procedura di mobilità straordinaria, di ordinamento delle carriere e di incarichi, determinando un pregiudizio asseritamente ingiusto. Formano, in particolare, oggetto di censura quelle previsioni che escludono i ricorrenti dalla fruizione dei vantaggi o comunque delle opportunità in esse previsti in ragione del mancato riconoscimento, con decorrenza dal 1° settembre 2018, dell'inquadramento giuridico ed economico ad essi spettante (F5) in virtù dei 5 anni di servizio prestati con contratto a termine presso l'AGCOM prima dell'immissione in ruolo avvenuta con la stabilizzazione disposta dalla delibera n. 410/18/CONS del 26 luglio in attuazione dell'art. 20, comma 1, del D.Lgs. n. 75/2017. Si tratta, quindi, sia di illegittimità derivate dai provvedimenti impugnati con il ricorso introduttivo e con i primi motivi aggiunti, che non prevedevano detto riconoscimento, sia di vizi propri dei provvedimenti impugnati con il presente ricorso per motivi aggiunti. Queste le argomentazioni introdotte con il mezzo di tutela in rassegna: 5.1) Illegittimità del paragrafo 1, n. 3 dell'accordo sindacale allegato alla delibera n. 140/22/CONS. Il paragrafo 1 dell'accordo sindacale del 6 aprile 2022, approvato con la delibera n. 140/22/CONS, prevede che "(l)e parti concordano l'avvio del sistema di previdenza integrativa (PI) a decorrere dal 1° gennaio 2023 basato sui contenuti del Regolamento per il trattamento di quiescenza e previdenza del personale dell'AGCOM di cui all'accordo sindacale del 29 gennaio 2009, che prevede un sistema di opzione, in via alternativa, tra IFR e TFR/PI per il personale a qualsiasi titolo in servizio in AGCOM alla data del presente accordo, con l'introduzione delle seguenti modifiche e integrazioni", fra le quali figura la previsione di cui al punto 3: "Al fine di incentivare l'iscrizione alla costituenda forma di previdenza complementare, le parti concordano che l'Autorità versi una tantum un contributo aggiuntivo pari al 7,34% della retribuzione annua corrisposta nell'anno di adesione al dipendente che aderisce entro il 31 dicembre 2022" Tale disposizione, secondo la prospettazione di parte, sarebbe illegittima nella parte in cui prevede il versamento del contributo aggiuntivo una tantum da parte dell'Amministrazione unicamente nel caso di adesione del dipendente entro il 31 dicembre 2022 e sulla base della retribuzione annua corrisposta al dipendente entro l'anno 2022; e sarebbe, altresì, ingiustamente penalizzante per gli odierni ricorrenti, i quali vantano peraltro nei confronti della stessa un interesse non di tipo oppositivo, bensì conservativo, posto che la censura che si va esponendo è volta a "congelare" e preservare gli effetti della previsione in esame nelle more della definizione del presente giudizio. 5.2) Illegittimità del paragrafo 2 dell'accordo sindacale allegato alla delibera n. 140/22/CONS, con riguardo alla previsione che subordina l'applicazione delle clausole alla rinuncia al contenzioso proposto dai dipendenti in materia di inquadramento Tale clausola sarebbe illegittima, in quanto si riferisce, confondendoli, a livelli retributivi che si fondano sopra un titolo chiaramente diverso: - da un lato, i livelli retributivi corrispondenti all'inquadramento giuridico ed economico spettante agli odierni ricorrenti al momento dell'immissione in ruolo in AGCom, in virtù dell'anzianità di servizio pre-ruolo (pari a complessivi 5 anni) vantata con successivi contratti a termine stipulati con AGCom; - dall'altro, i livelli retributivi incrementali riconosciuti da AGCom con la delibera n. 140/22/CONS al dichiarato fine di perequare gli stipendi di tutti gli immessi in ruolo dal 1° gennaio 2011 - fra i quali figurano anche i ricorrenti - rispetto agli stipendi sia degli omologhi colleghi dell'AGCM (che vengono immessi in ruolo almeno al livello F6 ai sensi dell'ordinamento giuridico ed economico vigente in AGCM, costituente "il parametro legale di riferimento" per l'AGCom), sia dei colleghi di AGCom che hanno già goduto di precedenti misure perequative. 5.3) Illegittimità del paragrafo 2 dell'accordo sindacale allegato alla delibera n. 140/22/CONS, con riguardo alla disparità di trattamento tra gli odierni ricorrenti e i dipendenti immessi con procedura di mobilità volontaria ai sensi delle delibere n. 533/14/CONS e n. 625/14/CONS. Fermo restando quanto in precedenza argomentato, la delibera impugnata e le previsioni contenute nel paragrafo 2 dell'accordo sindacale con la stessa approvato sono altresì illegittimi per eccesso di potere, nella forma della disparità di trattamento tra le posizioni degli odierni ricorrenti - immessi in ruolo ai sensi dell'art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 75/2017 con la stabilizzazione di cui alla delibera n. 410/18/CONS - ed il personale immesso in ruolo con la procedura di mobilità volontaria di cui alla delibera n. 533/14/CONS, siccome attuata dalla delibera n. 625 /14/CONS. Infatti il paragrafo 2 dell'accordo del 6 aprile 2022: - per gli odierni ricorrenti - che sono risultati vincitori del concorso pubblico per titoli ed esami indetto da AGCom con delibera n. 414/11/CONS del 22 luglio 2011 e prestano servizio presso la stessa AGCom dal 1° settembre 2013 - riconosce n. 6 livelli stipendiali incrementali con decorrenza 1° gennaio 2022 e n. 1 livello incrementale eventuale ("previa verifica della disponibilità di bilancio") con decorrenza 1° gennaio 2026, ai sensi dei punti 1, 2 e 4; - per il personale immesso in ruolo con la procedura di mobilità volontaria di cui alla delibera n. 533/14/CONS - che non ha superato alcun concorso indetto da AGCom e proviene da Amministrazioni in alcuni casi neppure afferenti al comparto delle Autorità amministrative indipendenti - riconosce n. 9 livelli stipendiali incrementali con decorrenza 1 gennaio2022, ai sensi del punto 6 del paragrafo 2 dell'accordo; n. 2 livelli incrementali perequativi con decorrenza 1 gennaio 2022; n. 1 livello incrementale eventuale con decorrenza 1 gennaio 2026, ai sensi del punto 4. 5.4) Sulla disparità di trattamento tra gli odierni ricorrenti e i dipendenti immessi in ruolo con la procedura concorsuale riservata di cui alla delibera n. 456/18/CONS. Gli odierni ricorrenti contestano, in secondo luogo, la disparità di trattamento che l'accordo sindacale ratificato con la delibera n. 140/22/CONS ha introdotto tra la loro posizione di personale immesso in ruolo per stabilizzazione con la delibera n. 410/18/CONS, ai sensi dell'art. 20, comma 1, del D.Lgs. n. 75/2017 ed il personale immesso in ruolo ai sensi dell'art. 20, comma 2, del medesimo decreto, con procedura concorsuale di cui alla delibera n. 456/18/CONS del 18 settembre 2018. 5.5) Sull'illegittimità della procedura di mobilità straordinaria di cui alla delibera n. 140/22/CONS ed alle successive delibere nn. 141/22/CONS, 142/22/CONS, 186/22/CONS, 187/22/CONS e 209/22/CONS. Violazione dalla direttiva europea 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 e dell'allegato Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, come interpretati dalla consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, illogicità manifesta, difetto dei presupposti, contraddittorietà, carenza di motivazione, disparità di trattamento. Violazione degli artt. 3 e 36 Cost. La procedura di mobilità straordinaria di cui alla delibera n. 140/22/CONS, siccome attuata dalle delibere nn. 141/22/CONS, 142/22/CONS, 186/22/CONS, 187/22/CONS e 209/22/CONS, sarebbe illegittima, in quanto viziata da un'evidente disparità di trattamento, priva di giustificazione, con riguardo all'inquadramento giuridico ed economico garantito, al momento dell'immissione in ruolo, al personale "esterno" proveniente da altre Amministrazioni rispetto a quello attribuito al personale "interno" che, come gli odierni ricorrenti, è stato immesso in ruolo mediante stabilizzazione ex lege del rapporto di lavoro a tempo determinato già in essere con la stessa AGCOM. Verrebbe a configurarsi, secondo la prospettazione di parte, una difformità di trattamento che si sostanzia in una vera e propria discriminazione a rovescio nei confronti degli odierni ricorrenti, per i quali non sembrano valere principi riconosciuti, invece, al personale che, provenendo da amministrazioni terze, viene immesso nei ruoli di AGCom. 5.6) Illegittimità del paragrafo 7 dell'accordo sindacale allegato alla delibera n. 140/22/CONS. Violazione della direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato L'accordo sindacale impugnato allegato alla delibera n. 140/22/CONS è altresì illegittimo ove, al paragrafo 7, prevede la possibilità di attribuire "incarichi di reggenza di uffici di II livello al personale che abbia maturato almeno 6 anni di anzianità di ruolo nella qualifica di funzionario" e "incarichi di responsabilità di specifiche aree... nell'ambito delle strutture organizzative di secondo livello - ovvero di specifici incarichi disciplinati dalla normativa nazionale, al personale che abbia maturato almeno 3 anni di anzianità di ruolo nella qualifica di funzionario". Il requisito della "anzianità di ruolo", in luogo dell'anzianità di servizio, impedisce infatti agli odierni ricorrenti di accedere alle procedure selettive per l'attribuzione degli incarichi di reggenza degli uffici di secondo livello e rischia di incidere negativamente sulla valutazione dei titoli posseduti dai ricorrenti ai fini dell'attribuzione degli incarichi di responsabilità delle aree e degli specifici incarichi disciplinati dalla normativa nazionale, laddove tale valutazione, "basata sull'esperienza maturata, sulla competenza acquisita e sui risultati ottenuti dal candidato", fosse intesa come limitata al solo periodo di ruolo. 6. Conclude la parte per l'accoglimento del gravame, con conseguente annullamento degli atti con esso avversati, ed accertamento e declaratoria: - del diritto dei ricorrenti al corretto inquadramento al livello giuridico ed economico F5 ovvero, in subordine, al livello giuridico ed economico F2 della carriera di funzionario, con decorrenza dalla prevista data di immissione in ruolo (1 settembre 2018); - del diritto dei ricorrenti alle differenze retributive e contributive spettanti dalla maturazione del corretto inquadramento giuridico-economico o quantomeno dalla data di immissione in ruolo, con rivalutazione monetaria e interessi come per legge; con conseguente condanna dell'Amministrazione resistente a disporre il suddetto corretto inquadramento dei ricorrenti al livello giuridico-economico F5 o, in subordine, al livello giuridico-economico F2 con decorrenza dalla data di immissione in ruolo (1° settembre 2018), nonché a disporre il pagamento delle differenze retributive e contributive spettanti ai ricorrenti dalla maturazione dei rispettivi livelli giuridico-economici o quantomeno dalla data di immissione in ruolo, con rivalutazione monetaria e interessi come per legge. 7. In data 23 settembre 2022, l'Autorità intimata si è costituita in giudizio; ed ha depositato, alle date del 24 settembre 2022, 3 marzo 2023, 31 ottobre 2023, 10 novembre 2023 e 28 giugno 2024, articolate memorie di controdeduzioni e/o replica. 8. Si è, inoltre, costituita in giudizio in data 29 luglio 2022 la Federazione La. As. e Cr. FI. / GC. Na.; la quale, con memorie depositate il 23 settembre 2022, il 1° marzo 2023, il 17 luglio 2023 e l'8 novembre 2023, preliminarmente eccepita la carenza di giurisdizione dell'adito giudice amministrativo, ha controdedotto rispetto alle argomentazioni esposte dalla parte ricorrente, conclusivamente insistendo per la reiezione del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti successivamente proposti. 9. In data 22 settembre si è, poi, costituito in giudizio il sig. Gi. Bo. - dal 1° luglio 2022 funzionario di AGCom con inquadramento al livello economico 37, in seguito all'immissione nei ruoli della stessa disposta con delibera n. 209/22/CONS del 23 giugno 2022 (Procedura di mobilità ), con provenienza dall'Autorità di regolazione dei trasporti, quale vincitore di una procedura di selezione - sostenendo l'inammissibilità e, comunque, l'infondatezza del gravame relativamente alle contestazioni avanzate avverso la procedura di mobilità straordinaria di cui alla delibera n. 140/22/CONS, delibera n. 141/22/CONS e alla delibera n. 209/22/CONS relativa al personale proveniente da altre Autorità amministrative indipendenti. 10. Il ricorso viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza di smaltimento del 19 luglio 2024. 11. Va, in primo luogo, preso atto che, nel corso del giudizio, sono stati depositati gli atti di rinuncia al ricorso da parte dei ricorrenti An. Pe. (21 luglio 2022) e Ma. Sc. (11 maggio 2023). Con riferimento alla posizione dei suindicati ricorrenti, in ragione della ritualità della formulata rinuncia, va quindi dichiarata l'estinzione del giudizio, ai sensi dell'art. 35, comma 2, lett. c), c.p.a. 12. Va, poi, disattesa l'eccezione di carenza di giurisdizione in capo all'adito giudice amministrativo, sollevata dalla Federazione La. As. e Cr. FI. / GC. Na. Come, infatti, rilevato da Cass. civ., SS.UU., ordinanza 19 giugno 2018, n. 16156, "la cognizione delle controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni è devoluta, in linea generale, alla giurisdizione del giudice ordinario. Fanno eccezione a tale regola i rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni indicate nell'art. 3 del d.lgs. n. 165 del 2001,... con la conseguenza che le controversie relative ai rapporti di lavoro delle amministrazioni elencate nell'art 3 citato sono devolute alla giurisdizione amministrativa". Nell'escludere che tali regole abbiano subito deroghe per effetto dell'art 133 c.p.a. (il quale, nel disciplinare le materie di competenza esclusiva del giudice amministrativo, elenca al punto L) "le controversie aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di impiego privatizzati, adottati dalla Banca d'Italia, dagli Organismi di cui agli articoli 112-bis, 113 e 128-duodecies del D.Lgs. 10 settembre 1993, n. 385, dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, e dalle altre Autorità istituite ai sensi della legge 14 novembre 1995, n. 481, dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, dalla Commissione vigilanza fondi pensione, dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità della pubblica amministrazione, dall'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni RG n 5270/2017 private, comprese le controversie relative ai ricorsi avverso gli atti che applicano le sanzioni ai sensi dell'articolo 326 del D.Lgs. n 209/2005"), le Sezioni Unite hanno ritenuto infondata "l'interpretazione dell'art 133 citato nel senso che con esso si sia inteso sottrarre alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie lavorative del personale delle suddette autorità amministrative indipendenti, qualificando i relativi rapporti come di impiego pubblico privatizzato. La norma processuale, lungi dal modificare la precedente normativa in tema di pubblico impiego di cui al d.lgs. 2001 citato, rispetto alla quale ha mera valenza ricognitiva, si limita a specificare che sono sottratti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo quei rapporti di impiego,stipulati dagli enti ivi indicati, che siano qualificabili di impiego privato, ipotesi che non ricorre nella fattispecie in esame per la quale vale la regola della riconducibilità ai rapporti di pubblico impiego non privatizzato, secondo la qualificazione risultante dalla norma generale di cui all'art. 3 d.lgs. n.165/2001"; rimanendo, quindi, confermata la ratio posta alla base delle deroghe espresse dall'art. 3 del d.lgs. n. 165/2001, "giustificate dalla accentuata autonomia - rispetto al potere esecutivo - su cui tutte le Autorità indipendenti fondano la loro presenza nell'ordinamento, autonomia che non può non riflettersi sul momento conformativo del rapporto di lavoro del personale (cfr Cass 13446/2005). Le ragioni fondanti la previsione dell'art 3 citato non sono, pertanto, venute meno con l'approvazione dell'art 133 del d.lgs. n. 104/2010 che è norma processuale e nella quale non è ravvisabile la volontà del legislatore di ampliare le ipotesi di lavoro pubblico privatizzato fino a pervenire ad abrogare l'art 3 del d.lgs. 165 citato". 13. Ciò preliminarmente posto, evidenzia il Collegio che all'odierna udienza pubblica di trattazione della controversia sia stato dato alle parti avviso - compiutamente riportato a verbale di udienza - circa una possibile definizione della controversia con sentenza in rito. Ciò, in quanto il ricorso introduttivo, così come i primi motivi aggiunti (depositati il 13 marzo 2019) risultano essere stati notificati nei soli confronti di AGCom. Con i mezzi di tutela di cui sopra, viene contestato il non corretto inquadramento degli interessati: - sia con riferimento ai riflessi economici conseguenti al denegato riconoscimento dell'anzianità di servizio dai medesimi maturata nel quadro del servizio prestato presso AGCom in regime di rapporto contrattuale a termine (anteriormente, quindi, alla disposta "stabilizzazione" dei medesimi), - sia con riguardo al riconoscimento dell'anzianità stessa ai fini giuridici (con riveniente pretesa di rimodulazione della collocazione dei dipendenti interessati nei ruoli di AGCom). Sotto tale ultimo profilo, il ricorso introduttivo ed i primi motivi aggiunti sono, in parte qua, inammissibili, attesa la mancata evocazione in giudizio di taluno dei controinteressati, i quali mutuano posizione legittimante a resistere in ragione del pregiudizio ai medesimi riveniente dalla postergazione nei ruoli dell'Autorità, conseguente - ovviamente, in caso di accoglimento del gravame - al riconoscimento di maggiore anzianità in favore degli odierni ricorrenti. Va, al riguardo, precisato che l'inammissibilità di cui sopra riguarda - esclusivamente - la pretesa al riconoscimento ai fini giuridici della reclamata anzianità di servizio; non potendo, con ogni evidenza, predicarsi omogenea configurazione di soggetti controinteressati - e, quindi, di parti necessarie del giudizio - con riferimento alla domanda volta ad ottenere il riconoscimento dell'anzianità di cui trattasi ai soli fini economici. 14. Quanto sopra posto, rileva il Collegio che i secondi motivi aggiunti - depositati in atti alla data del 12 luglio 2022 - hanno formato oggetto di notificazione nei confronti (oltre che dell'Autorità, anche) di Bi. La. ed altri. Se la suindicata evocazione in giudizio scongiura ogni ipotesi di inammissibilità del mezzo di tutela anzidetto, nondimeno viene in considerazione l'esigenza di estensione del contraddittorio processuale nei confronti di tutti i soggetti che, in atto collocati nel ruolo di AGCom in posizione poziore rispetto a quella vantata dagli odierni ricorrenti, vedrebbero - per effetto dell'eventuale accoglimento del gravame - postergata la posizione ai medesimi vantata. Dispone conseguentemente il Collegio che i motivi aggiunti in discorso vengano notificati, a cura della parte ricorrente e pena improcedibilità del mezzo di tutela in discorso, nei confronti dei controinteressati - come sopra individuabili - entro il termine di giorni 30 (trenta) decorrente dalla notificazione, ovvero, se anteriore, dalla comunicazione in via amministrativa della presente pronunzia; e che venga, nei successivi giorni 15 (quindici), fornita adeguata dimostrazione dell'espletamento del suddetto incombente, mediante deposito in atti del giudizio di prova dell'intervenuto completamento del contraddittorio processuale. 15. L'ulteriore trattazione della controversia - con riferimento alla domanda (di cui al ricorso introduttivo ed ai primi motivi aggiunti) non dichiarata come sopra inammissibile, nonché con riguardo ai secondi motivi aggiunti, per i quali andrà integrato il contraddittorio, secondo quanto indicato al precedente punto 14. - viene fin da ora differita, riservata ogni statuizione in rito, nel merito e sulle spese di lite, alla pubblica udienza di smaltimento del 13 dicembre 2024. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta, parzialmente ed interlocutoriamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così dispone: - dichiara l'estinzione del giudizio, per rinuncia, limitatamente ai ricorrenti sigg.ri An. Pe. e Ma. Sc.; - dichiara inammissibili, nei limiti e termini di cui in motivazione, il ricorso introduttivo ed i motivi aggiunti depositati in data 13 marzo 2019; - ordina, quanto ai secondi motivi aggiunti, depositati in atti alla data del 12 luglio 2022, integrarsi il contraddittorio, nei termini in motivazione indicati al punto 14.; - differisce l'ulteriore trattazione della controversia alla pubblica udienza di smaltimento del 13 dicembre 2024. Spese al definitivo. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Roberto Politi - Presidente, Estensore Giuseppe Grauso - Referendario Manuela Bucca - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6517 del 2018, proposto da Comune di Matera, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Vi. Ca. Ia., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Francesco Messina, Luigi Marchese, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata Sezione Prima n. 478/2018, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; visti tutti gli atti della causa; relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2023 il Cons. Gianluca Rovelli e udito per la parte appellante l'avvocato Ca. Ia. Vi.; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Riferisce l'appellante che, due dei 27 dipendenti a tempo determinato che il Comune aveva deciso di assumere con delibera della giunta comunale n. 154 del 12 maggio 2016, ex art. 3, comma 61 L. 35/2003, utilizzando graduatorie vigenti per l'assunzione a tempo indeterminato presso gli enti della Basilicata, hanno presentato ricorso al TAR facendo valere la pretesa al diritto di assunzione a tempo indeterminato, che sarebbe stato riconosciuto loro dalla Giunta comunale con delibera n. 615 del 23 novembre 2017. 2. Il diritto all'assunzione, previa selezione per colloquio, ha trovato ostacolo nella revoca della suddetta delibera, intervenuta con delibera di Giunta 30.11.2017, n. 627 che è stata impugnata dinanzi al TAR Basilicata il quale ha accolto il ricorso con sentenza n. 478/2018. 3. Di tale sentenza, il Comune ha chiesto la riforma con rituale e tempestivo atto di appello affidato ai motivi così rubricati: "1° Motivo Erroneità della pronuncia di annullamento della delibera di Giunta 30.11.2017, n. 627 per la natura di mero ritiro non revoca della precedente delibera di Giunta 23.11.2017; nonché per omessa pronuncia sull'eccezione di difetto d'interesse al ricorso e conseguente mancata applicazione della sanzione processuale di inammissibilità del ricorso. Illogicità ; 2° Motivo Erroneità della sentenza per non impugnabilità dell'atto interno di ritiro deliberato dalla Giunta il 30.11.2017; 3° Motivo Inesistenza del difetto di motivazione nella delibera giuntale impugnata. Erroneità della sentenza". 4. Nessuna delle parti intimate si è costituita in giudizio. 5. Alla udienza pubblica del 14 dicembre 2023 il ricorso è stato trattenuto per la decisione. DIRITTO 6. Viene all'esame del Collegio il ricorso in appello proposto dal Comune di Matera avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata n. 478/2018 con la quale il medesimo TAR ha accolto il ricorso proposto dai signori Francesco Messina e Luigi Marchese avverso: a) la delibera della giunta comunale n. 627 del 30 novembre 2017, con la quale il Comune di Matera ha revocato la precedente delibera della giunta comunale n. 615 del 23.11.2017, nella parte in cui stabiliva l'assunzione a tempo pieno e indeterminato di 1 Assistente di Servizi Amministrativi di categoria C1 e 2 Specialisti di Servizi Amministrativi di categoria D1, mediante l'utilizzo delle graduatorie valide degli idonei di concorsi pubblici a tempo indeterminato approvate da altri Enti Pubblici della Regione Basilicata, previo avviso pubblico di manifestazione di interesse da parte degli idonei ovvero, in caso di esito infruttuoso, mediante mobilità volontaria esterna ai sensi dell'art. 30 d.lgs. n. 165/2001, prevedendo l'indizione del concorso pubblico per l'assunzione delle predette figure professionali; b) il conseguente avviso pubblico di manifestazione di interesse, approvato con la determinazione del Segretario Generale n. 3133 del 4 dicembre 2017, nella parte in cui non prevedeva più, come il precedente avviso pubblico di manifestazione di interesse, approvato con la determinazione del Segretario Generale n. 2995 del 23 novembre 2017, l'assunzione a tempo pieno ed indeterminato di 1 Assistente di Servizi Amministrativi di categoria C1 e 2 Specialisti di Servizi Amministrativi di categoria D1, mediante l'utilizzo delle graduatorie valide degli idonei di concorsi pubblici a tempo indeterminato approvate da altri Enti Pubblici della Regione Basilicata; c) la delibera della giunta comunale n. 615 del 23 novembre 2017, nella parte in cui ha disposto l'assunzione a tempo determinato di 19 unità, tra cui 4 Specialisti di Servizi Amministrativi di categoria D1 e 6 Assistenti di Servizi Amministrativi di categoria C1. 7. Il TAR ha accolto il ricorso, in sintesi, sulla base della seguente motivazione: a) risulta parzialmente fondata la censura di eccesso di potere per difetto di motivazione, articolata nell'ambito del secondo motivo di impugnazione; b) va rilevata l'incomprensibilità del richiamo, contenuto nell'impugnata delibera, alla presenza nella città di Matera "di corsi di laurea che formano profili professionali nei settori dell'urbanistica, dell'architettura, del restauro, della tutela ambientale e paesaggistica, dei beni culturali, etc.", in quanto non può sussistere alcun legame tra la tipologia di personale, di cui il Comune ha maggiore necessità di assumere, e i corsi universitari presenti nella città di Matera; c) il provvedimento impugnato risulta carente, nella parte in cui si limita a motivare genericamente la scelta, assunta dopo aver sentito i Dirigenti della struttura, di utilizzare le graduatorie valide degli idonei di concorsi pubblici a tempo indeterminato approvate da altri Enti Pubblici lucani, previo avviso pubblico di manifestazione di interesse da parte degli idonei, solo per l'assunzione di 2 Specialisti di Servizi Tecnici-Ingegneri di categoria D1 e di 1 Specialista di Servizi Tecnici-Architetto di categoria D1, con il rilievo che queste tre assunzioni risultano più urgenti rispetto alle altre 11, individuate con la precedente Del. G.M. n. 615 del 23.11.2017, tra cui 1 Assistente di Servizi Amministrativi di categoria C1 e 2 Specialisti di Servizi Amministrativi di categoria D1, cioè delle due tipologie di attività lavorativa occupate ed espletate dai ricorrenti, senza spiegare le ragioni di tale asserita maggiore urgenza, anche facendo riferimento alle attività organizzative dell'importante designazione della Città di Matera come Capitale Europea della Cultura per l'anno 2019. 8. L'appellante, in sintesi, contesta la ricostruzione del TAR sulla base dei seguenti argomenti: a) l'esplicita negazione, sancita in sentenza, dell'interesse procedimentale dei ricorrenti a ricevere l'avviso di avvio del procedimento di ritiro contrasterebbe con la pronuncia di annullamento per difetto di motivazione; b) la delibera di ritiro è stata annullata dal TAR per un difetto di motivazione che in realtà non sussisterebbe. 9. La ricostruzione dell'appellante merita condivisione e la sentenza impugnata deve essere riformata. 10. La questione è di pronta e agevole soluzione tenuto conto che il vizio rilevato dal TAR è insussistente. 11. La motivazione del provvedimento amministrativo rappresenta il criterio di emersione formale della correttezza dell'operato dell'Amministrazione, la quale, adeguatamente motivando, consente di cogliere le ragioni fondanti il proprio operato, nel rispetto del principio di imparzialità, elidendo così ogni dubbio circa l'eventuale esistenza di discriminazioni e sperequazioni (Consiglio di Stato sez. IV, 15 settembre 2014, n. 4676). 12. Il legittimo esercizio del potere di autotutela deve essere scrutinato in ragione della sussistenza di un interesse pubblico prevalente e attuale all'adozione del provvedimento di ritiro. Nel caso che occupa il Collegio, come afferma in modo condivisibile la difesa del Comune, la delibera annullata per difetto di motivazione è un atto di ritiro di un precedente atto (delibera di Giunta 23 novembre 2017, n. 615) che non aveva ancora prodotto effetti concreti. 13. L'atto di ritiro in questione contiene un consistente apparato motivazionale. Le scelte espresse si caratterizzano per loro ampia discrezionalità e non sono manifestamente illogiche, contraddittorie o adottate in mancanza dei presupposti di fatto evidenziati. L'Amministrazione non incorre nel vizio di difetto di motivazione quando le ragioni del provvedimento siano, come in questo caso, chiaramente intuibili e anche dettagliatamente esposte. 14. Il sindacato del giudice amministrativo deve arrestarsi dinanzi alle scelte effettuate purché non irragionevoli (cfr. Consiglio di Stato sez. III, 29 maggio 2017, n. 2539). La potestà amministrativa della predisposizione del piano del fabbisogno del personale è discrezionale e in sede di giurisdizione di legittimità può essere sindacata, oltre che da violazione di legge, solo per eccesso di potere come la manifesta illogicità o il travisamento dei fatti (Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 31 marzo 2022, n. 412) che qui non si ravvisano in alcun modo. 15. Va peraltro osservato che sussiste anche l'intrinseca contraddittorietà della sentenza evidenziata dalla parte appellante poiché : a) da un lato il TAR ha statuito: (...) "i ricorrenti dott. Francesco Messina e dott. Luigi Marchese hanno presentato la domanda di manifestazione di interesse per l'assunzione a tempo pieno ed indeterminato in data 28 e 29.11.2017 rispettivamente nel posto di Assistente di Servizi Amministrativi di categoria C1 ed in uno dei 2 posti di Specialista di Servizi Amministrativi di categoria D1, prima della pubblicazione in data 1.12.2017 della Del. G.M. n. 615 del 23.11.2017, il loro interesse non doveva essere preso in considerazione al momento del ritiro della predetta Del. n. 615/2017 e perciò essi non dovevano nemmeno ricevere la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 L. n. 24171990"; b) dall'altro, dopo aver evidenziato che l'interesse dei due ricorrenti "non doveva essere preso in considerazione", ne ha accolto le ragioni per un insussistente difetto di motivazione. 16. L'appello deve quindi essere accolto e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il ricorso di primo grado. Non vi è luogo a provvedere sulle spese, in difetto di costituzione delle altre parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata n. 478/2018, respinge il ricorso di primo grado. Nulla per le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Francesco Caringella - Presidente Angela Rotondano - Consigliere Alberto Urso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Gianluca Rovelli - Consigliere, Estensore
TAR Palermo
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1657 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv.to Vi. De Me., con domicilio digitale corrispondente alla PEC indicata negli scritti difensivi, e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avv.to Lo. De. in Palermo, Via (…); contro Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distr.le dello Stato, con domicilio digitale corrispondente alla PEC come da registri di giustizia, e domicilio fisico ex lege presso la sua sede in Palermo, Via (…); per l’accertamento DEL DIRITTO ALLA MONETIZZAZIONE DELLE FERIE NON GODUTE PER GLI ANNI DAL 2013 AL 2016 (TOTALE 160 GIORNI), CON CONDANNA DEL MINISTERO INTIMATO AL PAGAMENTO DI 19.522,15 Euro OLTRE A INTERESSI E RIVALUTAZIONE. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 17 maggio 2024 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Il ricorrente, già Ispettore Capo di Polizia di Stato, è in quiescenza dall’1/8/2018. Riferisce di aver inoltrato domanda per il pagamento del congedo ordinario non fruito dal 2013 al 2017 per esigenze di servizio. Analoga istanza era presentata per il 2018. Con nota 11/10/2018 l’amministrazione riconosceva soltanto le ferie relative al 2017 e al 2018. Con l’introdotta domanda di accertamento parte ricorrente si duole del diniego parziale dell’amministrazione, e afferma il proprio diritto alla monetizzazione del periodo pregresso pari a 160 giorni come da istanza dell’1/9/2017 in atti. Con quest’ultima ha chiesto di fruire di 205 giorni di congedo ordinario, assentiti dal Questore. Tuttavia, dalla sua nota 2/8/2018 si evincerebbe che non ha potuto beneficiare della licenza in quanto in congedo straordinario per malattia. Avrebbe maturato un credito di 19.522,15 Euro oltre a interessi e rivalutazione (invoca, a sostegno, la circolare del Ministero dell’Interno 30/5/2019). L’amministrazione intimata si è costituita in giudizio, chiedendo il rigetto del gravame. Nella memoria conclusionale parte ricorrente invoca la recente pronuncia della Corte giustizia Unione Europea, sez. I - 18/1/2024 (causa C-218/22). Sottolinea che la mancata fruizione è dipesa da esigenze indifferibili di servizio e non da una sua reale volontà, avendone sempre fatto richiesta, per cui il diniego è sempre dipeso da una precisa scelta dell’amministrazione. Quest’ultima non ha soddisfatto l’onere della prova di aver posto il dipendente nella condizione di beneficIare della sua spettanza. Nelle proprie difese, l’amministrazione puntualizza che, agli atti, l’unica istanza di congedo ordinario per il periodo di riferimento è quella dell’1/9/2017. Dunque, il dipendente non ha mai presentato, negli anni per i quali chiede la monetizzazione, istanza di ferie con relativo diniego da parte dell’amministrazione. A suo avviso, non risulterebbe (per il periodo del quale si controverte) alcuna delle specifiche ipotesi di deroga individuate dalla giurisprudenza, ovvero (i) indifferibili esigenze di servizio, (ii) cessazione del rapporto di lavoro in modo anomalo e non prevedibile, per ragioni non afferenti alla volontà dei dipendenti o capacità organizzativa del datore di lavoro. Egli non ha depositato richiesta di congedo denegata o differita per esigenze di servizio. All’udienza straordinaria del 17/5/2024 il gravame introduttivo è stato chiamato per la discussione e trattenuto in decisione. DIRITTO Con il gravame epigrafe, l’esponente lamenta il diniego parziale sull’istanza di monetizzazione delle ferie non godute. La questione all’esame del Collegio verte sul diritto alla monetizzazione del congedo ordinario, nell’ipotesi in cui il dipendente non abbia autonomamente proposto domanda per trarne beneficio. Il Collegio si richiama al precedente recente della Sezione (26/2/2024 n. 740) dal quale non rinviene motivi per discostarsi. L’articolazione del quadro normativo e giurisprudenziale in materia è ben riassunto nella sentenza del T.A.R. Lazio Roma, sez. stralcio - 5/2/2024 n. 5174. L'art. 14 del D.P.R. 31/7/1995 n. 395 “Recepimento dell'accordo sindacale del 20 luglio 1995 riguardante il personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile (Polizia di Stato, Corpo di polizia penitenziaria e Corpo forestale dello Stato) e del provvedimento di concertazione del 20 luglio 1995 riguardante le Forze di polizia ad ordinamento militare (Arma dei carabinieri e Corpo della guardia di finanza”, dispone: - al comma 7, che “il congedo ordinario è un diritto irrinunciabile e non è monetizzabile”; - al comma 8, che “Il congedo ordinario può essere autorizzato, a richiesta del dipendente, e compatibilmente con le esigenze di servizio,...”; - al comma 10, che “Compatibilmente con le esigenze di servizio, in caso di motivate esigenze di carattere personale, il dipendente dovrà fruire del congedo residuo al 31 dicembre entro il mese di aprile dell'anno successivo a quello di spettanza”; - al comma 14, che “fermo restando il disposto del comma 7, all'atto della cessazione del rapporto di lavoro, qualora il congedo ordinario spettante a tale data non sia stato fruito per documentate esigenze di servizio, si procede al pagamento sostitutivo dello stesso”. 1.1 L'art. 18 comma 1 del D.P.R. 16/3/1999 n. 254 (“Recepimento dell'accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 1998-2001 ed al biennio economico 1998-1999”), prevede che “al pagamento sostitutivo del congedo ordinario si procede, oltre che nei casi previsti dall'articolo 14, comma 14, del D.P.R. n. 395 del 1995, anche quando lo stesso non sia stato fruito per decesso, per cessazione dal servizio per infermità o per dispensa dal servizio del dipendente disposta dopo il collocamento in aspettativa per infermità”. 1.2 Inoltre, il D.P.R. 11/9/2007 n. 170 “Recepimento dell'accordo sindacale e del provvedimento di concertazione per il personale non dirigente delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare (quadriennio normativo 2006-2009 e biennio economico 2006-2007)”, prevede, all'art. 29 comma 1, che “qualora indifferibili esigenze di servizio non abbiano reso possibile la completa fruizione del congedo ordinario nel corso dell'anno, la parte residua deve essere fruita entro l'anno successivo. Compatibilmente con le esigenze di servizio, in caso di motivate esigenze di carattere personale, il dipendente deve fruire del congedo residuo entro l'anno successivo a quello di spettanza”. 1.3 Su tali disposizioni è, peraltro, intervenuto il divieto generale di corresponsione di indennità sostitutive delle ferie non godute, posto dall'art. 5 comma 8 del D.L. 6/7/2012 n. 95 (convertito, con modificazioni, dalla L. 7/8/2012 n. 135), per cui “le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della L. 31 dicembre 2009, n. 196,... sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto. La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile”. 1.4 La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 95 del 6/5/2016, ha escluso l’illegittimità costituzionale di tale norma, potendo essa essere interpretata, sulla base della giurisprudenza della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato e della prassi amministrativa, in senso conforme alla Costituzione e alle fonti internazionali ed europee a tutela del lavoro, nel senso che il divieto di monetizzazione non opera nelle ipotesi di cessazione dal servizio, qualora il mancato godimento delle ferie sia dovuto a causa non imputabile al lavoratore, quali la malattia o altra causa non imputabile, essendo invece il divieto di corrispondere trattamenti sostitutivi riconducibile a fattispecie in cui la cessazione del rapporto di lavoro sia dovuta ad una scelta o a un comportamento del lavoratore, quali dimissioni, risoluzione, mobilità, pensionamento per raggiungimento dei limiti di età, che comunque consentono di pianificare per tempo la fruizione delle ferie e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore in merito al periodo di godimento delle ferie. Ha aggiunto che la prassi amministrativa e la magistratura contabile convergono nell'escludere dall'ambito applicativo del divieto le vicende estintive del rapporto di lavoro che non chiamino in causa la volontà del lavoratore e la capacità organizzativa del datore di lavoro: la giurisprudenza di legittimità, ordinaria e amministrativa, riconosce al lavoratore il diritto ad un'indennità per le ferie non godute per causa a lui non imputabile, anche quando difetti un'esplicita previsione negoziale in tal senso, ovvero quando la normativa settoriale formuli il divieto di "monetizzazione". 1.5 È, poi, intervenuta la sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea del 20/7/2016 (causa C-341/15), secondo cui il diritto alle ferie annuali retribuite deve essere considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale dell'Unione ed è conferito a ogni lavoratore, indipendentemente dal suo stato di salute (par. 25 della pronuncia); in particolare, quando è cessato il rapporto di lavoro e allorché la fruizione effettiva delle ferie annuali retribuite non è più possibile, l'articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 prevede che il lavoratore abbia diritto a un'indennità finanziaria per evitare che, a causa di tale impossibilità, il lavoratore non riesca in alcun modo a beneficiare di tale diritto, neppure in forma pecuniaria; l'articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 non assoggetta il diritto a un'indennità finanziaria ad alcuna condizione diversa da quella relativa, da un lato, alla cessazione del rapporto di lavoro e, dall'altro, al mancato godimento da parte del lavoratore di tutte le ferie annuali a cui aveva diritto alla data in cui tale rapporto è cessato. Ne consegue, conformemente all'articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, che un lavoratore, che non sia stato posto in grado di usufruire di tutte le ferie retribuite prima della cessazione del suo rapporto di lavoro, ha diritto a un'indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute; a tal fine è privo di rilevanza il motivo per cui il rapporto di lavoro è cessato (par. 26-28). Pertanto, l'articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che esso “osta a una normativa nazionale che priva del diritto a un'indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute il lavoratore il cui rapporto di lavoro sia cessato a seguito della sua domanda di pensionamento e che non sia stato in grado di usufruire di tutte le ferie prima della fine di tale rapporto di lavoro; un lavoratore ha diritto, al momento del pensionamento, all'indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute per il fatto di non aver esercitato le sue funzioni per malattia” (par. 30). Tale essendo il quadro normativo e le interpretazioni riportate, la giurisprudenza amministrativa è in generale orientata a ritenere che il divieto di corresponsione di trattamenti economici sostitutivi per le ferie non godute può non trovare applicazione solo ed esclusivamente nei casi in cui il mancato godimento dipenda da cause non imputabili al lavoratore; dovendosi, invece, ritenere operante il divieto, tutte le volte in cui il dipendente abbia avuto la possibilità di richiederle e di fruirne: in buona sostanza, in mancanza di un'esplicita richiesta da parte del lavoratore non può ritenersi sussistente un “impedimento” alla fruizione del riposo indipendente dalla sua volontà, e tanto basta a ritenere preclusa la possibilità di riconoscergli un trattamento economico “sostitutivo” (T.A.R. Calabria Reggio Calabria - 15/1/2024 n. 42; nello stesso senso Consiglio di Stato, sez. II - 4/1/2024 n. 171, che sottolinea l’imputabilità al dipendente per mancata tempestiva presentazione di un’istanza di riporto delle ferie all’anno successivo). 2.1 Si è quindi più volte ri-affermato il principio per cui il divieto di corresponsione di trattamenti economici sostitutivi per le ferie non godute non si applica soltanto nei casi in cui il loro mancato godimento dipenda da cause non imputabili al lavoratore, dovendosi, invece, ritenere operante il divieto tutte le volte in cui il dipendente abbia avuto la possibilità di richiederle e di fruirne (cfr. T.A.R. Liguria, sez. I - 29/3/2023 n. 362; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I - 22/7/2022 n. 728; T.A.R. Piemonte, sez. I - 20/7/2022 n. 682; T.A.R. Marche - 7/2/2024 n. 128). Anche CGA Sicilia - 31/10/2023 n. 745 ha escluso l’obbligo di pagamento delle ferie non dovute dopo che era stata accertata “l'insussistenza di cause di servizio o di salute oggettivamente impeditive alla fruizione del congedo non dipendenti dalla volontà dell'odierno appellante”, il quale “ben avrebbe potuto chiedere di fruire dei 73 giorni di riposo feriale maturato e non goduto; invero lo stesso ha preferito ripresentare la domanda di congedo [per la cessazione dal servizio] con una tempistica incompatibile con la fruizione del periodo di ferie maturato in pregresso”. 2.2 Nell’affrontare una caso analogo a quello dell’odierna controversia, T.A.R. Sicilia Catania, sez. III - 26/6/2023 n. 1988 si è espresso nel modo seguente: “ Fatta tale premessa, nel caso di specie, non risulta che l'odierno ricorrente abbia formulato negli anni 2019 e 2020 istanza per il godimento delle ferie, e soprattutto non risulta che tali istanze siano state respinte dall'amministrazione con atto formale richiamante improrogabili esigenze di servizio, come puntualmente rappresentato nella nota esplicativa del 30 marzo 2022 del Comandante della Compagnia di.... Deve quindi ritenersi, come sostenuto dall'amministrazione, che il ricorrente abbia omesso di richiedere il collocamento in congedo ordinario per gli anni 2019-2020 sulla base di una propria scelta consapevole e volontaria, mancando agli atti la prova concreta dell'impossibilità del mancato godimento delle ferie per fatto non imputabile al ricorrente”. Tuttavia l’indirizzo uniforme descritto merita di essere rivisitato alla luce della recentissima pronuncia della Corte giustizia Unione Europea, sez. I - 18/1/2024 n. 218/2. 3.1 La medesima rammenta “che gli Stati membri non possono derogare al principio derivante dall'articolo 7 della direttiva 2003/88, letto alla luce dell'articolo 31, paragrafo 2, della Carta, secondo il quale un diritto alle ferie annuali retribuite non può estinguersi alla fine del periodo di riferimento e/o del periodo di riporto fissato dal diritto nazionale, quando il lavoratore non è stato in condizione di beneficiare delle sue ferie (v., in tal senso, sentenza del 6 novembre 2018, M.P.G., C-684/16, EU:C:2018:874, punto 54)” (par. 47), mentre “Se, invece, il lavoratore, deliberatamente e con piena cognizione delle conseguenze che ne sarebbero derivate, si è astenuto dal fruire delle ferie annuali retribuite dopo essere stato posto in condizione di esercitare in modo effettivo il suo diritto alle stesse, l'articolo 31, paragrafo 2, della Carta non osta alla perdita di tale diritto né, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, alla correlata mancanza di un'indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute, senza che il datore di lavoro sia tenuto a imporre a detto lavoratore di esercitare effettivamente il suddetto diritto (v., in tal senso, sentenza del 6 novembre 2018, M.P.G., C-684/16, EU:C:2018:874, punto 56)” (par. 48). 3.2 Nel seguito la pronuncia chiarisce che “ A tale proposito, il datore di lavoro è segnatamente tenuto, in considerazione del carattere imperativo del diritto alle ferie annuali retribuite e al fine di assicurare l'effetto utile dell'articolo 7 della direttiva 2003/88, ad assicurarsi concretamente e in piena trasparenza che il lavoratore sia effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo, e nel contempo informandolo, in modo accurato e in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all'interessato il riposo e la distensione cui esse sono volte a contribuire, del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato, o non potranno più essere sostituite da un'indennità finanziaria. L'onere della prova incombe al datore di lavoro (v. in tal senso, sentenza del 6 novembre 2018, M.P.G., C-684/16, EU:C:2018:874, punti 45 e 46). Ne consegue che, qualora il datore di lavoro non sia in grado di dimostrare di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore sia effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto, circostanza la cui verifica spetta al giudice del rinvio, si deve ritenere che l'estinzione del diritto a tali ferie alla fine del periodo di riferimento o del periodo di riporto autorizzato e, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, il correlato mancato versamento di un'indennità finanziaria per le ferie annuali non godute violino, rispettivamente, l'articolo 7, paragrafo 1, e l'articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 nonché l'articolo 31, paragrafo 2, della Carta (v., in tal senso, sentenza del 6 novembre 2018, M.P.G., C-684/16, EU:C:2018:874, punti 46 e 55)” (par. 49 e 50). 3.3 Le sentenze della Corte di giustizia hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente sull’ordinamento nazionale e i principi di diritto dalle stesse affermati hanno effetti vincolanti per i giudici interni, atteso che l’art. 267 TFUE conferisce alla Corte medesima il ruolo di interpretazione del diritto dell’Unione, affinché lo stesso riceva uniforme applicazione in tutti i paesi membri (Consiglio di Stato, sez. II - 4/1/2024 n. 171). Viene dunque enucleato un preciso obbligo a carico del datore di lavoro, chiamato con la massima diligenza a sollecitare il lavoratore a fruire delle ferie in tempo utile e ad avvertirlo del rischio di perderle e di non poter neppure beneficiare di un’indennità finanziaria sostitutiva. È dunque necessario un comportamento fattivo, anche accompagnato da atti formali, idoneo a rendere edotto il dipendente dell’esistenza delle regole suddette: incombe, in definitiva, al datore l’onere di dimostrare di aver divulgato informazioni idonee (chiare e complete) al riguardo (cfr. Consiglio di Stato, sez. II - 14/2/2024 n. 1480). 3.4 La Sezione lavoro della Corte di Cassazione già si era allineata ai predetti principi, invocando l’interpretazione della CGUE. Con ordinanza 27/11/2023, n. 32807 ha rilevato infatti che “la perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può verificarsi soltanto qualora il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie (se necessario formalmente) e di averlo nel contempo avvisato - in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all'interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire - che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato”. Posto che il diritto alle ferie è correlato all'espletamento della prestazione lavorativa, il datore di lavoro deve provare di avere messo in condizione il dipendente di godere del congedo nel periodo durante il quale l'interessato avrebbe dovuto usufruirne, in mancanza essendo tenuto a corrispondere la menzionata indennità (cfr. Corte di Cassazione, Sez. Lavoro - ordinanza 11/7/2023 n. 19659; cfr. anche Corte di Cassazione, sez. Lavoro - 4/4/2024 n. 8926). 4.1 Anche T.A.R. Campania Napoli, sez. VI - 21/3/2024 n. 1850 ha statuito che “Viene dunque enucleato un obbligo a carico del datore di lavoro, chiamato a sollecitare il lavoratore a fruire delle ferie in tempo utile e ad avvertirlo del rischio di perderle e di non poter neppure beneficiare di un'indennità finanziaria sostitutiva, con la precisazione che l'onere della prova ricade sul datore di lavoro”. Secondo il Consiglio di Stato, sez. II - 4/1/2024 n. 171 “alla luce dei principi consolidati enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, poiché il godimento delle ferie costituisce un obbligo contrattuale del datore ed è un diritto irrinunciabile per il lavoratore, è il datore stesso che ha l’onere di provare l’adempimento, ovvero l’offerta di adempimento, ai sensi dell’art. 2697, comma 2, c.c., e dunque spetta a quest’ultimo, per potersi sottrarre legittimamente alla monetizzazione delle ferie non godute, dimostrare di aver offerto un preciso periodo di godimento e che il lavoratore abbia deciso di non aderire alla richiesta, ai sensi degli artt. 1207 e 1217 c.c.”. Trasponendo i menzionati principi - ai quali il Collegio ritiene di allinearsi - al caso di specie, si rileva che non è sufficiente per l’amministrazione invocare la libera scelta del lavoratore (che non sarebbe stato in alcun modo costretto o indotto a rinunciare alle ferie). L’onere della prova si trasferisce così da quest’ultimo al datore di lavoro, che deve aver assunto un contegno positivo diretto a “mettere in guardia” il proprio dipendente dal rischio correlato alla mancata fruizione. Siccome il Ministero intimato, anche a mezzo delle proprie difese, non ha soddisfatto tale onere neanche a mezzo di una puntuale richiesta di recupero, il diritto alla monetizzazione non può essere negato. In conclusione l’introdotto ricorso merita accoglimento, con obbligo per l’amministrazione intimata di riconoscere l’indennità sostitutiva per ferie non godute anche in relazione agli anni dal 2013 al 2016. Le spese di lite possono essere compensate, stante il prevalente indirizzo di segno opposto della giurisprudenza amministrativa. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie, e per l’effetto accerta il diritto del ricorrente a beneficiare della monetizzazione richiesta per la mancata fruizione delle ferie negli anni dal 2013 al 2016. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Stefano Tenca - Presidente, Estensore Roberto Valenti - Consigliere Silvana Bini - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9996 del 2019, proposto dalla sig.ra An. Pe., rappresentata e difesa dall'avvocato Sa. Di Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, piazza (...), contro l'Azienda Sanitaria Regionale del Molise - ASREM, rappresentata e difesa dall'avvocato Ug. Pa. Gr., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Os. Be. in Roma, via (...), per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima n. 425/2019, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Azienda Sanitaria Regionale del Molise - ASREM; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2024, il Cons. Giovanni Pescatore e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con determinazione n. 32 del 20 ottobre 2004, il Commissario Straordinario presso l'Unità Sanitaria Locale n. 2 Pentria, Azienda per la gestione dei Servizi Sanitari e Sociali di Isernia, indiceva un concorso pubblico per titoli ed esami per la copertura di n. 1 posto di operatore professionale sanitario-tecnico sanitario di laboratorio biomedico per il laboratorio di analisi categoria D. 2. Al concorso partecipava, fra gli altri, anche l'odierna ricorrente, che si classificava in graduatoria in terza posizione, risultando idonea ma non vincitrice. La graduatoria veniva approvata con determina del Commissario Straordinario n. 550 del 23 novembre 2005. 3. Alla prima graduata, quale concorrente vincitrice, veniva conferito l'incarico a tempo indeterminato dal 1° marzo 2006. Successivamente l'ASREM decideva di scorrere la graduatoria, assumendo temporaneamente la seconda graduata, idonea ma non vincitrice, in sostituzione della titolare, utilizzando la graduatoria del concorso pubblico approvato con determinazione del Commissario Straordinario n. 550/2005. 4. Con delibera del Direttore Generale n. 1401 del 22 dicembre 2018 la stessa ASREM bandiva un "Avviso di mobilità all'esterno per il reclutamento di n. 5 Collaboratori Professionali Sanitario-tecnico di Laboratorio Biomedico Cat. D dipendente di altre Aziende ed Enti di Comparti diversi come da atto allegato al presente atto che ne costituisce parte integrante". 5. Il provvedimento da ultimo menzionato è stato impugnato dalla odierna parte appellante sul rilievo per cui la graduatoria in precedenza approvata con determina n. 220 del 2005 era ancora valida ed efficace e, pertanto, pienamente utilizzabile dall'Amministrazione: la quale, quindi, prima di bandire il nuovo avviso di mobilità dall'esterno avrebbe dovuto procedere all'ulteriore scorrimento della graduatoria in oggetto, così come aveva già fatto in precedenza, posto che la prevalenza della c.d mobilità esterna deve intendersi limitata alle sole nuove procedure concorsuali e non anche allo scorrimento delle graduatorie ancora validi ed efficaci. Con ulteriore rilievo la ricorrente ha osservato che il provvedimento impugnato palesava una obiettiva e illegittima carenza motivazionale, relativa alle ragioni giustificatrici della scelta di non scorrere la graduatoria e di procedere all'avviso di mobilità . 6. Con la sentenza qui appellata n. 425 del 2019, il TAR Molise, assorbite le eccezioni in rito sollevate dalla parte resistente, ha respinto il ricorso siccome infondato, richiamando il principio della prevalenza della mobilità rispetto al concorso e allo scorrimento della graduatoria - in linea con l'espressa intenzione del legislatore volta prioritariamente a razionalizzare, in maniera organica, la spesa complessiva di tutto il personale nelle pubbliche amministrazioni - e dell'inesistenza di un obbligo di speciale motivazione in merito a tale scelta. 7. Nell'atto di appello qui all'esame, la ricorrente sostiene l'opposta tesi secondo cui la preferenza per lo scorrimento della graduatoria è espressamente sancita dall'art. 4, comma 3, del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito nella legge 30 ottobre 2013, n. 125, attraverso l'imposizione di un vero e proprio dovere per le Amministrazioni di verificare, prima dell'avvio di nuove procedure concorsuali, l'avvenuta immissione in servizio, nella stessa amministrazione, di tutti i vincitori collocati in graduatorie valide e vigenti, approvate successivamente al gennaio 2007. Per le graduatorie vigenti ma anteriori al 1° gennaio 2007 ana vincolo non è previsto, ma la scelta dello scorrimento o dell'avvio di una nuova procedura concorsuale è rimessa alla discrezionalità dell'amministrazione e presidiata (nel caso del mancato scorrimento) da un obbligo di motivazione. Dunque, gli idonei collocati in graduatorie valide ed efficaci son titolari di un vero e proprio diritto all'assunzione, se sono collocati in graduatorie approvate dal gennaio 2007, ovvero di un interesse legittimo all'assunzione, se collocati in graduatorie precedenti approvate dal settembre 2003. 7.1. Con un secondo argomento, la parte appellante marca la distanza tra il caso qui all'esame e quelli esaminati - e decisi in senso favorevole alla prevalenza della mobilità sullo scorrimento - dalle pronunce di questa Sezione n. 3750/2018 (richiamata nella pronuncia appellata) e n. 5230/2016. Non solo, osserva, in quei casi l'attivazione della mobilità era giustificata dal fatto che lo scorrimento della graduatoria era stato esperito ma senza successo, poiché nessun idoneo collocato in graduatoria aveva deciso di accettare il posto; ma entrambe le sentenze non escludono la necessità che vengano illustrate le ragioni alla base della scelta discrezionale dell'Amministrazione di procedere con la mobilità esterna in luogo dello scorrimento di graduatoria, ed anzi ribadiscono che soltanto in presenza di determinate circostanze e di una valida ed espressa motivazione si può procedere all'indizione della procedura di mobilità volontaria. 7.2. Questo vincolo motivazionale nel caso di specie - aggiunge la parte appellante - non è stato osservato, poiché non è stata enunciata nessuna specifica evenienza che, in deroga al generale favor per lo scorrimento, giustificasse in via eccezionale il ricorso alla mobilità e in subordine l'indizione di un nuovo concorso. Tale motivazione, di per sé necessaria ed indispensabile, si poneva come ancor di più ineludibile in considerazione del fatto che la ASREM in precedenza aveva già compiuto la scelta di reclutare il proprio personale tramite lo scorrimento della graduatoria per la seconda classificata, assunta con provvedimento n. 51/2007. 8. L'Amministrazione intimata si è ritualmente costituita in giudizio, contestando, nell'ordine: (i) l'inammissibilità del ricorso in appello, per l'omessa indicazione di specifiche censure contro i capi della sentenza gravata; (ii) l'inconferenza dei richiami normativi e giurisprudenziali indicati dalla controparte, poiché riferiti all'ipotesi in cui l'Amministrazione, prima dell'indizione di nuove procedure concorsuali, verifichi la sussistenza di una graduatoria valida ed efficace per immettere in servizio i soggetti idonei ivi collocati, e non alla differente ipotesi in cui decida di reclutare personale tramite la mobilità esterna; (iii) la sussistenza di un difetto di interesse, dal momento che la delibera gravata era pubblicata 9 giorni prima della scadenza della graduatoria invocata dalla ricorrente e nelle more dell'espletamento della procedura di mobilità esterna detta graduatoria era scaduta, non potendo più essere utilizzata a far data dal primo gennaio 2019; (iv) la sussistenza di un obbligo di motivazione da parte dell'Amministrazione soltanto quando quest'ultima decida di bandire un nuovo concorso invece di attingere da una graduatoria efficace e non ancora esaurita, ma non anche nella diversa ipotesi in cui la stessa Amministrazione opti per la mobilità esterna in luogo dello scorrimento. 9. A seguito della reiezione dell'istanza cautelare (ordinanza n. 90 del 2020) e di un rinvio su istanza di parte in vista di una possibile soluzione transattiva, poi sfumata, la causa è stata discussa all'udienza del 23 aprile 2024 e all'esito della stessa è stata trattenuta in decisione. 10. L'appello è infondato, il che consente di prescindere dall'eccezione preliminare sollevata dall'Amministrazione per supposta violazione del dovere di indicazione delle "specifiche censure contro i capi della sentenza gravata" (che comunque si appalesa infondata in quanto, sia pure mediante riproposizione in chiave di rivisitazione critica degli argomenti già spesi in primo grado, le deduzioni mosse in opposizione ai contenuti della sentenza appellata sussistono e realizzano il requisito di cui all'art. 101, comma 1, c.p.a.). 11. Venendo al merito, l'art. 30, d.lgs. n. 165/2001 impone alle Amministrazioni, prima di indire una selezione pubblica per la copertura di posti vacanti, di procedere, a pena di nullità, all'immissione in ruolo dei dipendenti provenienti da altre Amministrazioni attraverso la procedura di mobilità obbligatoria e volontaria. 11.1. Questa Sezione ha ripetutamente affermato il principio per cui le ragioni che legittimano la preferenza tendenziale per la procedura di mobilità attengono a caratteri strutturali dell'istituto (sicché non necessitano di essere esplicitate di volta in volta), ovvero al maggior vantaggio per l'amministrazione procedente di acquisire personale già formato e immediatamente operativo e all'interesse del comparto pubblico nel suo insieme di vedere assorbito il personale eccedentario e così realizzato un risparmio di spesa. 11.2. Il carattere privilegiato e prioritario che, ai fini dell'approvvigionamento di personale, viene assegnato alla procedura di mobilità rispetto alla procedura concorsuale - attesi gli standard di maggiore efficacia ed efficienza che solo la prima è in grado di garantire - spiega perché l'esistenza di una graduatoria concorsuale in corso di validità limiti l'indizione di un nuovo concorso, ma non prevalga sulla mobilità obbligatoria (v., ex multis, Cons. Stato, sez. III, n. 11605 e 2410 del 2022; 7792 del 2021; 6705 e 6041 del 2020 e n. 3750 del 2018. Nello stesso senso Cons. Stato, sez. V, n. 963 del 2021); e perché nella specie non vi fosse alcun obbligo per l'Amministrazione di motivare la scelta di non procedere allo scorrimento della graduatoria in cui l'appellante risultava utilmente collocata. 12. Quanto al precedente scorrimento effettuato in favore della seconda classificata e alla contraddittorietà che risalterebbe nel confronto con la vicenda che ha interessato l'odierna parte ricorrente, occorre osservare - a margine di quanto innanzi esposto - che le posizioni poste a confronto non paiono omogenee e confrontabili, in quanto nel primo caso lo scorrimento è avvenuto nel 2007, a meno di due anni dall'espletamento del concorso (2005); mentre il nuovo scorrimento auspicato dalla parte appellante sarebbe dovuto avvenire a pochi giorni dalla imminente scadenza della graduatoria (31 dicembre 2018). 13. I rilievi, infine, rispetto alla scelta della indizione del concorso - anche questa contestata in quanto normativamente subordinata allo scorrimento della graduatoria e comunque necessitante di specifica motivazione - vanno respinti come inammissibili per carenza di interesse, atteso che essi sono veicolati nei confronti di una mera riserva contenuta nell'atto impugnato, priva di contenuto dispositivo in quanto prospettante una ipotesi solo eventuale (che, a quanto consta, non si è successivamente inverata), quindi carente di un portato effettuale realmente lesivo (nella delibera gravata si legge infatti che l'Amministrazione si riserva "...di procedere all'indizione di eventuale procedura concorsuale qualora i posti messi a mobilità non risultino coperti"). 14. L'esito conclusivo è quindi di rigetto integrale dell'appello, pur potendosi disporre la compensazione delle spese di lite, tenuto conto della natura delle questioni trattate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese di lite compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Greco - Presidente Giovanni Pescatore - Consigliere, Estensore Nicola D'Angelo - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere Luca Di Raimondo - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. MASINI Tiziano - Consigliere Dott. BELMONTE Maria Teresa - Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. SGUBBI Vincenzo - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Il.Ro. nato a N il (Omissis) avverso l'ordinanza del 13 luglio 2023 della Corte Appello di Roma sentita la relazione svolta dal Consigliere Sgubbi Vincenzo; lette le conclusioni del PG, che chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 13 luglio 2023 la Corte di appello di Roma ha dichiarato inammissibile l'appello proposto, nell'interesse di Il.Ro., avverso la sentenza pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale di Cassino in data 6 febbraio 2023. La Corte territoriale ha preso atto del mancato deposito, unita mente all'atto di appello, della dichiarazione o elezione di domicilio dell'imputato ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio (art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen.), prevista a pena di inammissibilità, nonché dello specifico mandato ad impugnare, previsto per il caso, come quello di specie, in cui si sia proceduto in assenza (art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., che commina anche in questo caso la sanzione dell'inammissibilità). 2. Ricorre per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore, deducendo violazione di legge e segnatamente degli artt. 581, commi 1-ter e 1quater, cod. proc. pen. e 89, comma 3, D.Lgs. 150/2022. Il ricorrente deduce che la corretta applicazione della disposizione transitoria da ultimo citata imponga di ritenere applicabili i commi 1-ter e 1-quater dell'art. 581 cod. proc. pen., introdotti dalla c.d. riforma Cartabia a decorrere dal 30 dicembre 2022, ai soli processi nei quali, a tale data, non è stata ancora pronunciata l'ordinanza che dispone procedersi in assenza. Ordinanza che, nel caso di specie, sarebbe stata invece pronunciata all'udienza del 27 ottobre 2021 dinanzi al Tribunale di Cassino. I commi invocati dalla Corte di appello non sarebbero dunque applicabili ed erronea sarebbe la conseguente declaratoria di inammissibilità dell'appello. Aggiunge il ricorrente di non aver avuto conoscenza del processo, tenuto conto del fatto che le notificazioni sarebbero avvenute in un domicilio eletto, durante un periodo nel quale egli era invece detenuto per altra causa: la conoscenza sarebbe stata conseguita solo il 21 luglio 2023, all'atto della notificazione dell'ordinanza oggi impugnata. 3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è infondato. 1. L'art. 581, comma 1-quater cod. proc. pen. stabilisce che "Nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, con l'atto d'impugnazione del difensore è depositato, a pena di inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l'elezione di domicilio dell'imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio". L'art. 89 dello stesso decreto precisa, inoltre, che tale norma si applica "per le sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva al 30 dicembre 2022". 2. Una recente sentenza della Sesta Sezione di questa Corte (Sez. 6, n. 41309 del 20/09/2023, S., Rv. 285353) ha sintetizzato la genesi delle norme che qui interessano. 2.1. La L. n. 132 del 2021 contiene principi e criteri direttivi di riforma del codice di rito in tema sia di notificazioni per le impugnazioni sia di processo in assenza. Quanto alle notificazioni all'imputato la legge prevede che, nel caso di impugnazione proposta dall'imputato o nel suo interesse "la notificazione dell'atto di citazione a giudizio" nei suoi confronti deve essere effettuata presso il domicilio dichiarato o eletto con l'atto di impugnazione (art. 1, comma 6, lett. f); mentre sul fronte delle impugnazioni stabilisce a carico dell'impugnante l'onere, a pena di inammissibilità, di depositare con l'atto di impugnazione "dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio di impugnazione" (art. 1, comma 13, lett. a). Accanto a tali previsioni, la legge dedica un'apposita parte alla finalità di "rendere il procedimento penale più celere ed efficiente nonché modificare il codice di procedura penale in materia di processo in assenza" (art. 1, comma 7), nella quale sono dettati una serie di principi e criteri direttivi tra i quali: "prevedere che il difensore dell'imputato assente possa impugnare la sentenza solo se munito di specifico mandato, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza; prevedere che con lo specifico mandato a impugnare l'imputato dichiari o elegga il domicilio per il giudizio di impugnazione; prevedere, per il difensore dell'imputato assente, un ampliamento del termine per impugnare" (lett. h). La legge-delega quindi, nel contesto della riforma del procedimento in assenza, ha indicato la necessità di prevedere il rilascio di un mandato specifico al difensore impugnante nell'interesse dell'imputato assente (con il connesso ampliamento del termine per impugnare); onere al quale ha aggiunto anche quello della elezione o dichiarazione di domicilio "per il giudizio di impugnazione". I lavori preparatori per l'emanazione della legge delega hanno preso l'avvio dal DDL n. 2435, presentato dal Governo nel 2020, che, con riferimento alle deleghe per l'efficienza del processo penale, proponeva, tra l'altro, la riforma del sistema delle notificazioni ed in particolare quelle all'imputato nonché taluni interventi per il giudizio di appello. Quanto a questi ultimi, il disegno di legge (art. 7) prevedeva che il difensore, per impugnare la sentenza (evidentemente di primo grado), dovesse munirsi di "specifico mandato a impugnare, rilasciato successivamente alla pronunzia della sentenza stessa". La modifica, sia pur formulata in termini generali, si rivolgeva in realtà, come si evince dalla Relazione illustrativa, al difensore dell'imputato e aveva la finalità di evitare l'inutile celebrazione di procedimenti ("in appello e in cassazione") nei confronti di imputati incolpevolmente ignari del processo, cui poteva conseguire la rescissione del giudicato. Come noto, nel mese di marzo 2021 è stata insediata una Commissione di studio (c.d. Commissione Lattanzi) per elaborare proposte di emendamenti al suddetto disegno di legge di riforma. Tra le proposte emendative della Commissione Lattanzi si poneva un'ampia parte nuova dedicata alla riforma del processo in assenza (art. 2-ter). Nell'ambito di essa, la Commissione proponeva di "prevedere che il difensore dell'imputato assente possa impugnare la sentenza solo se munito di specifico mandato, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza; prevedere che con lo specifico mandato a impugnare l'imputato dichiari o elegga il domicilio per il giudizio di impugnazione; prevedere, per il difensore dell'imputato assente, un allungamento del termine per impugnare" (art. 2-ter, lett. h). La ratio dell'intervento viene così spiegata dalla Relazione di accompagnamento: "Nel contesto delle innovazioni proposte, va rimarcato che l'intervento sulla legittimazione del difensore ad impugnare costituisce uno snodo essenziale, sia in chiave di effettiva garanzia dell'imputato, sia in chiave di razionale e utile impiego delle risorse giudiziarie: la misura, infatti, è volta ad assicurare la celebrazione delle impugnazioni solo quando si abbia effettiva contezza della conoscenza della sentenza emessa da parte dell'imputato giudicato in assenza e ad evitare - senza alcun pregiudizio del diritto di difesa dell'interessato, tutelato dai rimedi "restitutori" contestualmente assicurati l'inutile celebrazione di gradi di giudizio destinati ad essere travolti dalla rescissione del giudicato". Questa esigenza veniva ad iscriversi nella proposta di riformare il processo in assenza dell'imputato in modo che esso possa svolgersi solo in presenza di elementi idonei a dare "ragionevole certezza" della conoscenza da parte di questi della pendenza del processo e che l'assenza sia dovuta ad una scelta volontaria e consapevole, prevedendo in particolare che "il diritto di impugnare ogni sentenza possa essere esercitato dall'imputato giudicato in assenza solo personalmente o a mezzo di difensore munito di mandato specifico, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza, unita mente alla dichiarazione ed elezione di domicilio per il giudizio di impugnazione". 2.2. In sintesi, anche alla luce dei lavori preparatori, può concludersi che la legge-delega ha inteso da un lato riformare il giudizio di assenza anche con riferimento ai singoli gradi di impugnazione per evitarne la celebrazione nell'inconsapevole assenza dell'imputato (e quindi il possibile successivo travolgimento a mezzo dei rimedi restitutori) - attraverso il duplice onere imposto all'imputato, in caso di impugnazione proposta nel suo interesse, di rilasciare al difensore il mandato specifico e di effettuare l'elezione o dichiarazione di domicilio - e dall'altro facilitare la celebrazione dei giudizi di impugnazione, semplificando sia in via generale la "notificazione dell'atto introduttivo del giudizio di impugnazione" attraverso l'onere imposto all'impugnante di dichiarare o eleggere domicilio, sia in modo specifico "la notificazione dell'atto di citazione a giudizio" per l'impugnazione proposta dall'imputato o nel suo interesse, utilizzando la medesima dichiarazione o elezione di domicilio. 3. Il D.L. n. 150 del 2022 ha rispettato i criteri direttivi contenuti nella legge-delega. 3.1. In particolare, nell'ambito del sistema delle notificazioni nei confronti dell'imputato, il decreto ha introdotto l'art. 157-ter cod. proc. pen. per disciplinare le notifiche "degli atti introduttivi del giudizio" all'imputato non detenuto, il cui terzo comma, dedicato alle impugnazioni proposte dall'imputato o nel suo interesse, ha recepito il criterio della legge-delega, stabilendo che "la notificazione dell'atto di citazione a giudizio" nei suoi confronti sia eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto con l'atto di impugnazione. Proprio in ragione del fatto che, se l'imputato è detenuto - per il reato per cui si procede - al momento della proposizione dell'impugnazione, la notifica dell'atto di citazione va effettuata in mani proprie, in tal caso non deve essere richiesto il deposito dell'elezione o della dichiarazione di domicilio (Sez. 2, n. 38442 del 13/09/2023, Toure, Rv. 285029); principio che è stato ritenuto non operante, invece, per chi sia detenuto per causa diversa (cfr. Sez. 5, n. 4606 del 28/11/2023, dep. 2024, D'Amuri, allo stato non massimata), cui dunque si applica la necessità della nuova elezione o dichiarazione di domicilio contestuale all'atto di appello. 3.2. Quanto al giudizio in assenza, il decreto legislativo ha dato attuazione alla delega per il giudizio di impugnazione sia riformando la disciplina dell'assenza nella fase dell'appello (art. 598-ter cod. proc. pen.) sia prevedendo con l'art. 581 cod. proc. pen. specifiche formalità per la presentazione dell'impugnazione da parte dell'imputato giudicato in assenza (depositare con l'atto d'impugnazione congiuntamente lo specifico mandato conferito al difensore ad impugnare e la dichiarazione o l'elezione di domicilio "ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio"). A "compensazione" dei più stringenti oneri formali per l'impugnazione, è stato previsto l'aumento di quindici giorni del termine previsto dall'art. 585, comma 1, cod. proc. pen. proprio per l'impugnazione del difensore dell'imputato giudicato in assenza. Inoltre, nel testo dell'art. 175 cod. proc. pen. è stato aggiunto un nuovo comma 2.1 che prevede che "l'imputato giudicato in assenza è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato, se, nei casi previsti dai commi 2 e 3 dell'art. 420bis, fornisce la prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa". 4. La normativa intertemporale (il citato art. 89) ha di fatto disallineato la riforma sulla assenza, rendendo operative soltanto alcune limitate disposizioni e riservandone l'entrata in vigore della gran parte ai soli procedimenti pendenti, in cui si è disposto procedersi in assenza dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo. Le norme di "immediata" applicazione (cioè quelle che vengono applicate alle impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate dopo il 30 dicembre 2022: cfr. art. 89, comma 3, D.Lgs. n. 150/2022) sono proprio gli artt. 581, commi 1ter e 1-quater, 157-ter, comma 3, e 585, comma 1-bis, cod. proc. pen., come pure (a mente dell'art. 6 D.L. n. 162/2022), l'art. 175 cod. proc. pen., come modificato dal decreto n. 150 cit. Quindi, nel caso in esame, il riferimento dell'art. 581, comma 1-quater cod. proc. pen. ai procedimenti in cui si è "proceduto in assenza" comporta che la definizione di assenza vada vagliata alla luce della previgente normativa (cfr., ancora una volta, la citata Sez. 6, n. 41309/2023). 5. Il quadro che emerge è dunque quello di una nuova disciplina "funzionale a garantire l'esercizio consapevole del diritto di impugnazione" (Sez. 5, n. 39166 del 04/07/2023, N., Rv. 285305) e tutt'altro che irragionevole: è infatti ragionevole lo "scopo perseguito dal Legislatore, ossia la proposizione di impugnazioni consapevoli da parte dell'imputato (...) senza che dai più stringenti requisiti posti dalla stessa norma a pena di inammissibilità derivi un pregiudizio per lo stesso imputato" (ibidem). Va allora riaffermata la piena compatibilità costituzionale dell'art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen. e dell'art. 89, comma 3, D.Lgs. 150/2022, "nella parte in cui richiedono, a pena di inammissibilità dell'appello, che, anche nel caso in cui si sia proceduto in assenza dell'imputato, unitamente all'atto di appello, sia depositata la dichiarazione o l'elezione di domicilio, ai fini della notificazione dell'atto di citazione, e lo specifico mandato ad impugnare rilasciato successivamente alla sentenza, trattandosi di scelta legislativa non manifestamente irragionevole, volta a limitare le impugnazioni che non derivano da un'opzione ponderata e personale della parte, da rinnovarsi "in limine impugnationis" ed essendo stati comunque previsti i correttivi dell'ampliamento del termine per impugnare e dell'estensione della restituzione nel termine" (Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, Ben Khalifa, Rv. 285324). Più in generale, "è ragionevole la richiesta di una generalizzata dichiarazione o elezione di domicilio, obbligatoria e a pena di inammissibilità per chi, dopo la celebrazione della fase di giudizio precedente, decida di intraprendere un giudizio di impugnazione che, anche a garanzia dell'impugnante, dovrà vedere confermata o modificata la precedente elezione o dichiarazione di domicilio, ovvero effettuata la stessa per la prima volta. Per un verso, la ragionevolezza della richiesta, condizione di ammissibilità dell'impugnazione, scaturisce dall'esperienza della durata dei giudizi e del tempo trascorso dalla fase delle indagini - nel corso della quale potrebbe già essere intervenuta la dichiarazione o elezione di domicilio ai sensi dell'art. 161, comma 1, cod. proc. pen. - a quella della impugnazione. L'esperienza giudiziaria testimonia come lo scorrere del tempo del processo a fronte di una prima elezione/dichiarazione di domicilio non sempre garantisca la conoscenza della vocatio in iudicium in primo grado, e ciò ancor più nel giudizio di impugnazione. Pertanto, la scelta del legislatore di modulare la durata di efficacia della prima elezione o dichiarazione di domicilio, chiedendo di rinnovarla a chi la abbia già compiuta, attualizzandola, consegue ad una saggia e razionale presa d'atto dell'esperienza giudiziaria, in attuazione del cd. principio di realtà, che vede anche accrescersi l'esercizio del diritto alla mobilità del cittadino, il che implica la necessità di un aggiornamento quanto al domicilio eletto o dichiarato" (Sez. 5, n. 46831 del 22/09/2023, Iacuzio, non massimata). 6. Alla luce di quanto sin qui osservato, è appena il caso di aggiungere che le doglianze relative alla dedotta mancata consapevolezza della celebrazione del processo vanno, come è stato correttamente osservato dal Procuratore generale nella propria requisitoria scritta, canalizzate nei rimedi restitutori previsti dal sistema, mentre non può la Corte di cassazione, investita di un ricorso avverso ordinanza che ha dichiarato l'inammissibilità dell'appello, occuparsi di quella che si atteggia come una richiesta di rescissione del giudicato o di restituzione nel termine, non sottoposta al giudice competente. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria l'11 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 783 del 2021, proposto da Sa. Ci. (in proprio e nella qualità di Presidente e legale rappresentante p.t. del Collegio dei liquidatori della Pa. s.p.a. in liquidazione - già Presidente del Consiglio di amministrazione e l.r. della Pa. s.p.a.) e Ge. Sc. (in proprio e nella qualità di Componente del Collegio dei liquidatori della Pa. s.p.a. in liquidazione ordinaria), rappresentati e difesi dall'avvocato Au. Vi. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Banca d'I., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Co., Ad. Pa. e Gu. A.M. Cr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ro. Bo. in qualità di Commissario Liquidatore della società Pa. s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 11021/2020, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze e della Banca d'I.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2024 il Cons. Giovanni Pascuzzi e uditi per le parti gli avvocati Au. Vi. Ma. e Gu. Cr.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. I signori Sa. Ci. (in proprio e nella qualità di Presidente e legale rappresentante p.t. del Collegio dei Liquidatori della Pa. s.p.a. in liquidazione - già Presidente del Consiglio di amministrazione e l.r. della Pa. s.p.a.) e Ge. Sc. (in proprio e nella qualità di Componente del Collegio dei liquidatori della Pa. s.p.a. in liquidazione ordinaria) propongono appello avverso la sentenza del Tar per il Lazio n. 11021/2020 con la quale è stato rigettato il ricorso (proposto dagli stessi signori Ci. e Sc. ) teso ad ottenere l'annullamento: - del provvedimento del 21 febbraio 2018, con cui la Banca d'I. comunicava a Pa. s.p.a. l'avvio del procedimento di revoca dell'autorizzazione ai sensi dell'art. 113-ter, comma 1°, lett. a) e b), TUB, richiamato dall'art. 114-undecies, comma 2°, TUB; - del decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze n. 20 del 28.05.2018 con il quale veniva disposta, su proposta della Banca d'I., la liquidazione coatta amministrativa della società Pa. s.p.a. con sede in Napoli, alla Via (omissis); - della nota prot. n. 0619621/18 del 22.05.2018, con la quale l'Unità di risoluzione e gestione delle crisi della Banca d'I. proponeva la sottoposizione della Pa. s.p.a. alla liquidazione coatta amministrativa; - del provvedimento della Banca d'I., prot. n. 0651907/18 del 29.05.2018, pubblicato sul sito web della Banca d'I., con il quale si procedeva alla nomina del Commissario Liquidatore della Pa. in l.c.a. nonché dei Componenti del Comitato di Sorveglianza; - per quanto di ragione del provvedimento della Banca d'I. di revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività, disposto nei confronti di Pa. s.p.a. in l.c.a., adottato con delibera n. 312 del 21.06.2018, non conosciuta, apparso sul sito web della società con Comunicato del 25.06.2018; - ogni ulteriore atto presupposto, preparatorio, connesso, conseguente e/o consequenziale. 2. Gli appellanti espongono le seguenti premesse in fatto: - Pa. s.p.a. è un Istituto di Pagamento (IP) sottoposto alla disciplina del TUB appositamente dedicata a tale particolare figura di intermediario finanziario (titolo V-ter), in attuazione della c.d. PSD1 (Payment Service Directive), recepita con il d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 27, nonché della c.d. PSD2, recepita tramite il d.lgs. 15 dicembre 2017, n. 218; - Pa. s.p.a. è un IP specializzato nel servizio di convenzionamento di esercizi commerciali per l'accettazione di carte di pagamento (c.d. acquiring), specialmente tramite dispositivi di mobile-POS (M-POS) che consentono agli esercenti l'accettazione di strumenti di pagamento per mezzo di un software installato sul proprio dispositivo (smartphone, tablet e così via), senza doversi dotare di POS fisici (servizio comunque offerto in seguito); - l'Istituto ha ottenuto l'autorizzazione allo svolgimento dell'attività di IP in data 22 luglio 2014; - in virtù del possesso dei requisiti per l'ottenimento della qualifica di start-up innovativa, Pa. s.p.a. è stata iscritta dapprima nell'apposita sezione speciale del Registro delle Imprese di Napoli con tale qualifica ed in seguito - in esito alla richiesta di passaggio da start-up innovativa a P.M.I. innovativa, per il venir meno del requisito di cui all'art. 25, comma 2°, lett. b), d.l. n. 179/2012 (ossia la costituzione da non più di sessanta mesi di tempo) - è stata iscritta nell'apposita sezione speciale in qualità di P.M.I. innovativa; - la Banca d'I. constatava, alla data del 23 gennaio 2018, l'esistenza di un patrimonio negativo di 218.834 euro, stando ai dati contabili acquisiti dall'Organo Amministrativo; - con nota del 21/2/2018, Banca d'I. comunicava a Pa. s.p.a. l'avvio del procedimento di revoca dell'autorizzazione ai sensi dell'art. 113-ter, comma 1°, lett. a) e b), TUB; - il successivo 23 aprile 2018 l'assemblea straordinaria della società deliberava di propria iniziativa la messa in liquidazione volontaria della stessa società attesa la situazione patrimoniale aggiornata emergente al 31 dicembre 2017, dalla quale risultava, al netto delle riserve e degli altri fondi disponibili, che le perdite incidenti sul capitale sociale ammontavano a 592.123,00 euro, da cui il patrimonio netto a valori negativi pari a 314.346,00 euro; - nella stessa occasione, l'assemblea deliberava la nomina di un collegio di tre liquidatori composto e formato dagli stessi tre precedenti consiglieri di amministrazione (Sa. Ci., in qualità di Presidente; Ge. Sc. e Fu. Sc., quali componenti, con attribuzione al primo della legale rappresentanza); - detta circostanza era formalmente comunicata con nota del 23.04.2018 inviata a mezzo pec alla Banca d'I., cui faceva seguito l'ulteriore comunicazione via pec del 4 maggio 2018, con la quale si forniva, tra l'altro, una prima ricognizione delle partite attive e passive; - l'Unità di risoluzione e gestione delle crisi di Banca d'I. proponeva, con nota del 22/5/2018 al competente MEF, la sottoposizione di Pa. s.p.a. alla liquidazione coatta amministrativa; - con decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze del 28 maggio 2018 Pa. s.p.a. è stata posta in liquidazione coatta amministrativa ai sensi degli artt. 80 ss. TUB, richiamati dall'art. 113-ter TUB, cui a sua volta rinvia il successivo art. 114-undecies TUB; - con successivo provvedimento della Banca d'I. del 29.05.2018 venivano nominati Commissario Liquidatore il Prof. Avv. Ro. Bo., nonché Componenti del Comitato di Sorveglianza i signori Avv. Ra. Ca., Prof. Or. De Ci. e Dr.ssa Si. Di Si.; - con il Comunicato del 25 giugno 2018 interveniva con ulteriore provvedimento la c.d. revoca della licenza. 3. Avverso detti provvedimenti veniva proposto ricorso al Tar per il Lazio sulla base dei seguenti motivi: I. Violazione di legge: violazione e falsa applicazione degli artt. 80 e 113 ss. TUB - Violazione e falsa applicazione degli artt. 2484 ss. c.c. e dell'art. 26 d.l. n. 179/2012 - Eccesso di potere: eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione - Falsità dei presupposti - Contraddittorietà - Illogicità - Sviamento. Si lamentava la violazione degli artt. 2484 ss. c.c. e dell'art. 26 d.l. n. 179 del 2012, in considerazione della qualificazione della Pa. quale start-up innovativa che investe in ricerca e sviluppo, con conseguente applicazione della disciplina di favore che prevede, per dette società, in caso di perdite, la possibilità di sospendere i presidi a tutela del capitale sociale, rinviando le decisioni in materia di ricapitalizzazione per un intero esercizio. Su tali basi, si deduceva la lacunosità dell'istruttoria, la carenza di motivazione, oltre all'erroneità dei presupposti e ad ulteriori indici sintomatici del vizio di eccesso di potere. II. Violazione di legge: ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 80 e 113 ss. TUB - Ulteriore violazione e falsa applicazione dell'art. 2484 ss. c.c. - Eccesso di potere: eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione - Falsità dei presupposti - Contraddittorietà - Illogicità - Sviamento. Si lamentava l'omessa considerazione da parte della Banca d'I. della deliberazione di assemblea del 23 aprile 2018, con la quale è stata disposta la liquidazione volontaria della società con la conseguenza che, venendo in rilievo l'avvio di una fase funzionale all'uscita dell'operatore dal mercato, non era necessario il possesso del capitale minimo, pari nel caso di specie ad euro 125.000,00, difettando, pertanto, il presupposto al quale è subordinata la sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa, costituito dalle perdite di eccezionale gravità . In tale quadro, la difesa di parte ricorrente rilevava anche che la sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa ha determinato la dispersione del patrimonio aziendale, composto dalla clientela, la piattaforma, i software proprietari ed il know how, il cui valore era e sarebbe stato superiore alle perdite maturate e maturande, impedendo di fatto l'ordinata uscita dal mercato prevista con la messa in liquidazione ordinaria. Anche relativamente all'ulteriore presupposto, costituito dalle contestate violazioni della disciplina antiriciclaggio, venivano articolate specifiche deduzioni, sostenendone l'insussistenza ovvero l'assenza del connotato della gravità . III. Violazione di legge: ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 80 e 113 ss. TUB - Eccesso di potere: eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione - Falsità dei presupposti - Contraddittorietà - Illogicità - Sviamento. Nel lamentare la radicale assenza di un accertamento da parte dell'Autorità di vigilanza in ordine alla mancanza dei presupposti per il regolare svolgimento della liquidazione ordinaria, si sottolineava la rilevanza della manifestazione di intenti formulata dalla società Si. Ro. In., oltre all'interesse manifestato da altra cordata di imprenditori, formata da To. Ca. s.r.l., T.M. s.r.l. e De. s.r.l., ed ad ulteriori elementi, tra i quali anche la possibile presentazione da parte del collegio dei liquidatori di un programma di liquidazione, in alternativa alla cessione dell'azienda. IV. Violazione di legge: ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 80 e 113 ss. TUB - Violazione del giusto procedimento - Eccesso di potere: eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione - Falsità dei presupposti - Contraddittorietà - Illogicità - Sviamento. Veniva contestato l'acritico recepimento da parte del Ministero dell'economia e delle finanze della proposta della Banca d'I. di sottoposizione della Pa. a liquidazione coatta amministrativa, con evidente sussistenza, ad avviso di parte ricorrente, di lacunosità sul piano istruttorio e motivazionale. V. Violazione di legge: violazione e falsa applicazione degli artt. 2487 ss. c.c. - Violazione del giusto procedimento - Eccesso di potere: eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione - Falsità dei presupposti - Contraddittorietà - Illogicità - Sviamento. Veniva censurata la violazione degli artt. 2487 ss. c.c., avendo le Amministrazioni intimate ignorato la circostanza costituita dalla messa in liquidazione della Pa. s.p.a., anche in relazione "all'intervenuta modifica della denominazione della società, non più "Pa. s.p.a.", bensì "Pa. s.p.a. in liquidazione", che avrebbe dovuto indurre "ad archiviare il procedimento avviato nei confronti della società in bonis e, a tutto voler concedere, riattivarlo nei confronti della Pa. s.p.a. in liquidazione". 4. Nel giudizio di primo grado si sono costituiti il Ministero dell'Economia e delle Finanze e la Banca d'I. chiedendo il rigetto del ricorso. 5. Con sentenza n. 11021/2020 il Tar per il Lazio ha rigettato il ricorso. 5.1 In relazione al primo motivo di ricorso, il Tar ha ritenuto che la caratterizzazione della società Pa. in termini di start-up innovativa, per la quale è prevista, in forza delle previsioni del d.l. n. 179 del 2012, una disciplina di favore per la gestione delle perdite, non determina alcuna incidenza in relazione al rispetto dei puntuali vincoli e requisiti che, in quanto istituto di pagamento, è tenuta ad osservare in applicazione delle previsioni del TUB,con precipuo riferimento a quelli di carattere patrimoniale che devono essere posseduti in sede di autorizzazione e permanere nel corso dell'attività . Proprio la qualificazione di istituto di pagamento determina la sottoposizione alle disposizioni recate dal titolo V-ter del TUB e alla normativa di attuazione della Banca d'I., in funzione della tutela dei rilevanti interessi pubblici implicati nel settore di riferimento. 5.2 Il primo giudice ha quindi affermato che: - a livello di sistema emerge la persistenza di un interesse generale ad un effettivo controllo pubblico pure successivamente alla deliberazione della liquidazione volontaria (cfr. art. 113-ter, comma 3-bis, del TUB); - nella fattispecie l'avvio del procedimento di revoca è scaturito dagli esiti dell'attività di vigilanza, che ha fatto emergere inadeguatezze dell'assetto proprietario a sostenere lo sviluppo dell'attività dell'intermediario, il deterioramento tecnico gestionale e anomalie con riferimento ai presidi antiriciclaggio; - con la nota del 20 luglio 2017, l'Autorità di vigilanza ha, tra l'altro, rilevato la sussistenza di risultati economici fortemente deficitari e non coerenti con il programma di attività posto a corredo dell'istanza di autorizzazione, con formulazione di una serie di prescrizioni e la prefigurazione delle sole alternative della ricapitalizzazione ovvero della messa in liquidazione, come ribadito con successiva nota del 15 settembre 2017, nonché l'ulteriore sollecito dell'11 ottobre 2017, data in cui già era stato registrato, tra l'altro, un patrimonio negativo, inferiore ad euro 125 mila euro imposto quale requisito imprescindibile dalla normativa di settore; - la sussistenza di tali evidenze non è né contestata né superata dalle deduzioni di parte ricorrente, emergendo, comunque, per tabulas dalla documentazione in atti dalla quale, anzi, si evince una condotta dilatoria della società ; - alla data del 23 gennaio 2018 i dati contabili acquisiti dall'organo amministrativo della società hanno attestato un patrimonio negativo netto di 218.834 euro e, inoltre, con la comunicazione di avvio del procedimento di revoca dell'autorizzazione, l'Autorità di vigilanza ha adeguatamente esplicitato l'aggravamento delle criticità, suscettibili di determinare un pregiudizio diretto delle ragioni dei creditori; - nel corso dell'incontro tenutosi in data 13 aprile 2018 presso gli uffici dell'Unità di Risoluzione e Gestione delle Crisi gli esponenti di Pa. hanno riferito dell'impossibilità degli attuali soci di ripristinare una dotazione patrimoniale; - con la deliberazione di assemblea straordinaria, nell'approvare la sottoposizione a liquidazione volontaria, è stato dato atto della sussistenza di perdite per 726.147 euro che hanno portato il patrimonio netto ad assumere valore negativo per 314.326 euro; - del tutto legittimamente la Banca d'I. ha, per un verso, proseguito il procedimento di revoca dell'autorizzazione e, inoltre, ha avanzato la proposta al Ministro dell'economia e delle finanze di sottoposizione della società a procedura di liquidazione coatta amministrativa; - la conclamata sussistenza di perdite di eccezionale gravità costituisce presupposto sufficiente ai fini dell'adozione dei provvedimenti gravati, a prescindere dalla violazione della disciplina in materia di antiriciclaggio, con conseguente ininfluenza, dunque, delle deduzioni di parte ricorrente dirette a contestare la sussistenza di dette violazioni. 5.3 Il Tar ha quindi affermato che la Banca d'I. ha fatto riferimento al requisito patrimoniale di 125 mila euro nella comunicazione di avvio del procedimento di revoca dell'autorizzazione, mentre la necessità di disporre la sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa è stata determinata dalla necessità di assicurare il regolare svolgimento della procedura liquidatoria, tenuto conto della circostanza che la società Pa. non ha dimostrato di essere in grado di assolvere "in toto" alle obbligazioni contratte nel contesto della liquidazione volontaria. 5.4 Il primo giudice ha ritenuto infondate le deduzioni con le quali si lamentava l'assenza di un'adeguata valutazione delle circostanze che avrebbero consentito la prosecuzione della liquidazione volontaria, segnatamente riferite alla presentazione di manifestazioni di interesse ed al programma che avrebbe potuto essere proposto ed attuato dai liquidatori nominati dall'assemblea straordinaria. In particolare il Tar ha affermato che: - nella proposta avanzata al Ministro dell'economie e delle finanze, la Banca d'I. ha rilevato la mancanza di risorse patrimoniali della società per far fronte ai debiti in essere e a quelli prospettici, in ragione delle "perdite di eccezionale gravità " tali da privare la Pa. dell'intero patrimonio, alla stregua delle evidenze attestate dalla stessa società ; - proprio tali evidenze, associate alle segnalazioni di vigilanza pervenute alla Banca d'I. nel complesso della documentazione prodotta, escludono l'attendibilità dell'affermazione, contenuta nella nota presentata in data 4 maggio 2018 e funzionale ad accreditare la sussistenza di una capacità di onorare totalmente le obbligazioni assunte, circa la sussistenza di un attivo per 514.500 euro ed un passivo per 461.802 euro; - non emergono irragionevolezze in relazione alla valutazione della proposta di intenti riferita alle trattative avviate con la società Si. Ro., debitamente vagliate dalla Banca d'I., la quale ha rilevato la mancanza di impegni precisi e vincolanti a sottoscrivere un aumento di capitale dell'istituto di pagamento, con incertezze anche con riferimento alle tempistiche della eventuale ricapitalizzazione a fronte delle perdite di eccezionale gravità riscontrate; - le trattative avviate con altre società non si sono mai concretate in nessun atto di impegno. 5.5 Il primo giudice ha precisato che gli atti posti in essere dalle Autorità di vigilanza, costituiscono esplicazione di potere amministrativo caratterizzato da discrezionalità tecnica. I loro atti sono sindacabili innanzi al giudice amministrativo in sede di legittimità, oltre che per vizi di incompetenza e di violazione di legge, solo per illogicità manifesta, quale figura sintomatica di eccesso di potere, non potendo il giudice amministrativo sostituire proprie valutazioni a quelle dell'organo di controllo. Nel caso specifico non emergono né irragionevolezze né arbitrarietà ovvero erroneità nei presupposti alla base dell'adozione degli atti gravati. 5.6 Il Tar ha respinto le deduzioni dirette a contestare la carenza di istruttoria e di motivazione del decreto gravato, articolate in ragione del contestato acritico recepimento da parte del Ministro dell'economia e delle finanze della proposta formulata dalla Banca d'I. affermando che: - il decreto impugnato non presenta lacune sul piano dei giustificativi che ne hanno determinato l'adozione, essendo motivato per relationem attraverso il rinvio alla proposta della Banca d'I.; - le previsioni di cui agli artt. 80 ss. del TUB, nell'individuare i presupposti necessari ai fini dell'avvio della procedura di liquidazione coatta amministrativa, disciplinano anche le competenze istituzionali nella fase iniziale della stessa, attribuendo un ruolo primario all'atto di impulso dell'Autorità di vigilanza; - dalla documentazione versata in atti emerge lo svolgimento di una istruttoria adeguata. 5.7 Il primo giudice ha respinto anche l'ultimo motivo di ricorso ritenendo che la liquidazione volontaria deliberata dall'assemblea straordinaria della società non ha determinato alcuna incidenza sostanziale e che, comunque, come già rilevato, i poteri di vigilanza e controllo di cui la Banca d'I. è attributaria si esplicano anche in relazione alla fase liquidatoria, prevedendo l'art. 113-ter del TUB espressamente che: "Nei confronti della società in liquidazione restano fermi i poteri delle autorità creditizie previsti nel presente decreto legislativo". 6. Avverso la citata sentenza n. 11021/2020 del Tar per il Lazio hanno proposto appello i signori Ci. e Sc. per i motivi che saranno di seguito analizzati. 7. Si sono costituiti la Banca d'I. e il Ministero dell'Industria chiedendo il rigetto dell'appello. 8. All'udienza del 22 febbraio 2024 l'appello è stato trattenuto per la decisione. DIRITTO 1. Il primo motivo di appello è rubricato: Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione degli artt. 80 e 113 ss. TUB, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 2484 ss. c.c. - Eccesso di potere: eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione - Falsità dei presupposti - Contraddittorietà - Illogicità - Sviamento. La parte appellante muove censure alla sentenza impugnata nella parte in cui la stessa evidenzia una condotta dilatoria della società e le criticità nella situazione patrimoniale della società, affermando che: - il comportamento di Pa. s.p.a. non è stato intempestivo e/o tardivo in relazione alla situazione patrimoniale della società ; - la delibera di messa in liquidazione della società è avvenuta appena tre mesi dopo il 23 gennaio 2018, in un arco temporale assolutamente conforme agli artt. 2446 e 2447 c.c. e rispettoso degli obblighi gravanti sugli amministratori di società di capitali; - è vero che la sentenza impugnata ricollega la tardività della messa in liquidazione in rapporto alle perdite accertate, ma si tratta di un patrimonio netto negativo di 218.834 euro, ossia di una cifra assolutamente ridotta (senza contare che da tale cifra deve sottrarsi l'ulteriore importo di 125.000 euro corrispondente al capitale sociale); - in pratica, la liquidazione coatta amministrativa è stata disposta per perdite corrispondenti a 93.834,00 euro; - Banca d'I. ha ritenuto perdite di eccezionale gravità quelle ammontanti a scarsi 100.000 euro, senza dare il tempo alla società stessa di uscire ordinatamente dal mercato; - non c'è stato il tempo di valorizzare e liquidare gli assets che avrebbero consentito di soddisfare integralmente tutti i creditori; - che questo non sarebbe stato possibile è del tutto indimostrato e non è stato oggetto di alcuna istruttoria da parte di Banca d'I.; - la richiesta di apposita CTU e/o verificazione non può che essere reiterata anche nel presente giudizio al fine di accertare se, ed in quale misura, sussisteva uno sbilancio patrimoniale della società ed una effettiva possibilità di realizzare o meno una liquidazione volontaria della società, previa acquisizione di tutta la documentazione necessaria, contabile e non, dal Commissario Liquidatore in base al c.d. principio dispositivo con metodo acquisitivo. 1.1 Il motivo di appello è infondato. 1.1.1 La difesa della Banca d'I. ha ribadito le seguenti circostanze attestate sul piano documentale: - la Banca d'I. ha segnalato con una nota del luglio 2017 la critica situazione aziendale, chiedendo di formulare un piano di ricapitalizzazione idoneo a ripristinare nel più breve tempo possibile, e comunque entro 30 giorni, condizioni durature di adeguatezza patrimoniale ovvero a convocare l'assemblea per deliberare la messa in liquidazione per consentire l'ordinata uscita dal mercato; - la Banca d'I. ha inviato il 15 settembre e l'11 ottobre 2017 ulteriori richieste di ricapitalizzazione nelle quali si segnalava che il patrimonio di vigilanza dell'intermediario si attestava al di sotto del requisito di 125 mila euro imposto dalla normativa di settore; - la Pa. faceva seguito alle richieste della Banca d'I. con due ulteriori comunicazioni del 31 ottobre e del 17 novembre 2017, formulate in termini generici, e con una successiva comunicazione del 23 gennaio 2018, nella quale dichiarava di possedere un patrimonio netto negativo per euro 218.834 alla data del 31 ottobre 2017 e di aver deliberato la convocazione dell'assemblea straordinaria ai sensi degli artt. 2446 e 2447 c.c., affermando di aver avviato delle interlocuzioni per individuare nuovi soci interessati a sottoscrivere un aumento di capitale; - la Banca d'I. comunicava alla Pa., con lettera del 21 febbraio 2018, l'avvio del procedimento di revoca dell'autorizzazione, invitando l'intermediario ad attestare entro 15 giorni di avere a disposizione le risorse patrimoniali per far fronte ai debiti in essere e prospettici, quale precondizione necessaria per valutare la percorribilità di una liquidazione volontaria; - in data 13 aprile 2018 si svolgeva presso l'Unità di Risoluzione e gestione delle crisi della Banca d'I. un incontro con la Pa., in cui quest'ultima riferiva di aver accertato l'esistenza di un deficit patrimoniale che, alla data del 31.12.17, era superiore a 300.000 euro e, alla data dell'incontro, era stimabile in oltre 400.000 euro. La Pa. chiedeva attendersi l'assemblea del successivo 23 aprile, entro cui sarebbe dovuto avvenire il versamento di 600.000 euro da parte di investitori terzi; - all'assemblea straordinaria del 23 aprile 2018 veniva verificata l'indisponibilità dei soci e dei terzi alla ricapitalizzazione e, vista la situazione contabile e patrimoniale della società al 31.12.2017, che esponeva un patrimonio netto negativo per 314.326 euro, veniva deliberato lo scioglimento e la liquidazione della Pa.; - la Banca d'I. proponeva quindi al MEF l'adozione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa della Pa., oggetto dell'odierno giudizio di impugnazione; - successivamente i commissari liquidatori della Pa. accertavano che, alla data dell'insediamento (1° giugno 2018), il deficit patrimoniale della società ammontava a euro 695.572. 1.1.2 Alla luce dei dati di fatto esposti: - correttamente il primo giudice ha ritenuto sussistente una condotta dilatoria della società che, nello sviluppo delle interlocuzioni intercorse con la Banca d'I., disponeva di elementi ampiamente idonei ad escludere la possibilità di ovviare, in assenza della ricapitalizzazione e nel quadro complessivo delle evidenze acquisite ed esaminate dall'Autorità di vigilanza, alla liquidazione coatta amministrativa attraverso una intempestiva, perché tardiva in rapporto alla situazione patrimoniale della società, deliberazione di assemblea straordinaria di sottoposizione a liquidazione volontaria; - non si può sostenere che il deficit patrimoniale dell'intermediario fosse, tutto sommato, contenuto perché alla data del 31 ottobre 2017 ammontava già a euro 218.834, alla data del 31 dicembre 2017 era salito a 314.326 euro, e alla data del 1 giugno 2018 - data di insediamento degli organi della liquidazione - aveva raggiunto la cifra di euro 695.572; - come allegato dalla Banca d'I., non esistevano attivi diversi dalle attività finanziarie detenute (e pari a 631.000 euro), che potessero essere valorizzati al fine di soddisfare integralmente tutti i creditori (che avanzavano pretese patrimoniali per più di 1,3 milioni di euro). 1.1.3 Da quanto esposto consegue che non ci sono i presupposti per accogliere l'istanza istruttoria avanzata dagli appellanti. 2. Il secondo motivo di appello è rubricato: Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione degli artt. 80 e 113 ss. TUB, nonché degli artt. 2484 ss. c.c. e dell'art. 26 d.l. n. 179/2012 - Eccesso di potere: Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione - Falsità dei presupposti - Contraddittorietà - Illogicità - Sviamento. La parte appellante sostiene che: - in fase di start-up, la società può andare incontro a perdite fisiologiche, specie se si tratta di settori innovativi, come nel caso di specie; - tanto è vero che l'art. 26 d.l. n. 179/2012 (per effetto del richiamo dell'art. 9 d.l. n. 3/2015) inibisce la causa di scioglimento della società ex art. 2484, comma 1°, n. 4, c.c., in uno con un esercizio di tregua per la gestione delle perdite superiori al terzo del capitale sociale (evenienza che, nel caso de quo, significa per tutto il 2018); - di tale circostanza avrebbe dovuto tenere conto Banca d'I. ed il giudice di prime cure secondo il quale tale disciplina di favore per la gestione delle perdite non determina alcuna incidenza in relazione al rispetto dei puntuali vincoli e requisiti che, in quanto istituto di pagamento, la società è tenuta ad osservare in applicazione delle previsioni del TUB; - il TUB certamente si applica a Pa. s.p.a., ma la disciplina speciale dettata per le imprese innovative può ben applicarsi in via cumulativa insieme a quella del testo unico bancario, giacché non è affatto vero che l'una esclude l'altra; - non è vero, come pure affermato dalla sentenza impugnata, che la disciplina delle imprese innovative esonera dall'obbligo di osservare i requisiti patrimoniali previsti per gli IP dalla normativa di settore; - la regolamentazione di favore invocata dai ricorrenti semplicemente attribuisce un esercizio di tregua per la gestione delle perdite; - tale regola deve essere applicata agli IP perché non compromette gli interessi di nessuno (certamente non quelli dei risparmiatori perché gli Istituti di pagamento non gestiscono soldi dei risparmiatori); - gli Istituti di pagamento hanno semplicemente i loro fornitori (e dipendenti) come tutte le imprese; - Banca d'I. avrebbe potuto operare nel senso di salvaguardare l'attività produttiva in questione, ed i lavoratori, non viceversa; - tale rigida applicazione delle norme non appare essere stata utilizzata in altri casi di Istituti di pagamento dalla Banca d'I., dove magari non sussistevano neanche discipline di favore previste per le imprese innovative e per il caso in esame; - se la preoccupazione dell'Autorità di Vigilanza, infatti, ha riguardato la tutela degli interessi dei creditori, nulla cambia rispetto a qualsiasi impresa innovativa che gode della qualifica di start-up o di P.M.I. innovativa; - infatti, proprio gli interessi dei creditori sono messi in secondo piano - sia pure per un solo esercizio - dinanzi ad imprese innovative, quale è Pa. s.p.a., in ragione di un favor per lo sviluppo delle imprese ad alto impatto tecnologico; - non si comprende il motivo per il quale di tale regime di favore non può godere anche Pa. s.p.a.; regime in grado di escludere l'esistenza del requisito delle perdite per un intero esercizio e, quindi, della legittimità della l.c.a. 2.1 Il motivo è infondato. Il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (cd. "decreto crescita-bis"), convertito con modificazioni dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, contiene nella Sezione IX un'organica disciplina dell'impresa "start-up innovativa". Nel tempo, tale disciplina è stata più volte modificata, in particolare dal d.l. n. 76 del 2013, convertito dalla l. n. 99 del 2013, quindi dal d.l. n. 3 del 2015, convertito dalla l. n. 33 del 2015, e poi dal d.l. n. 50 del 2017, convertito dalla l. n. 96 del 2017. Le finalità dell'intervento legislativo sono dichiaratamente quelle di contribuire allo sviluppo di nuova cultura imprenditoriale, alla creazione di un contesto maggiormente favorevole all'innovazione, così come a promuovere maggiore mobilità sociale e ad attrarre in Italia talenti, imprese innovative e capitali dall'estero mediante l'attribuzione di un regime giuridico di favore che include agevolazioni di carattere fiscale, contributivo, lavoristico, societario e concorsuale (Cass. Civile, sez. I, 04/07/2022, n. 21152). Ma il regime di favore non può giungere a sottrarre le start-up dall'applicazione di altre discipline volte a tutelare interessi ugualmente meritevoli di tutela. Diversamente opinando la start-up innovativa assurgerebbe ad un unicum di assoluta impermeabilità alle diverse forme di controllo predisposte allorché vengono in rilievo diritti di terzi e interessi generali dell'ordinamento da tutelare. Pur essendo una start-up innovativa, la Pa. rivestiva il ruolo di Istituto di pagamento e, quindi, come tale, soggetta alla disciplina dettata dal TUB. Il d.l. 179/2012 dispone alcune (limitate) deroghe a determinati istituti di diritto societario, ma non dispone alcuna deroga alle regole pubblicistiche applicabili ai settori speciali, e in particolare a quello finanziario. Di conseguenza i poteri della Banca d'I. di disporre la revoca dell'autorizzazione della Pa. e di proporne la liquidazione coatta non trovavano alcuna limitazione. La disciplina delle imprese start-up innovative recede di fronte alla disciplina speciale, di derivazione europea, dettata per gli Istituti di pagamento, in quanto la disciplina speciale è dettata a tutela di interessi pubblici. Come rilevato dal primo giudice, la qualificazione di Istituto di pagamento determina la sottoposizione alle disposizioni recate dal titolo V-ter del TUB e dalla normativa di attuazione della Banca d'I., in funzione della tutela dei rilevanti interessi pubblici implicati nel settore di riferimento. 3. Il terzo motivo di appello è rubricato: Violazione di legge. Violazione del principio del giusto procedimento amministrativo - Eccesso di potere - Eccesso di potere per difetto di istruttoria (alla luce della messa in liquidazione, quale fatto nuovo e sopravvenuto) - Falsità dei presupposti - Contraddittorietà - Illogicità - Sviamento. La parte appellante sostiene che: - nulla dice la sentenza impugnata in ordine alla necessità di consentire alla società di avviare la concreta liquidazione dell'impresa, a seguito della messa in liquidazione, ovvero di integrare l'istruttoria effettuata da Banca d'I., avviata rispetto alla società in fase attiva ed in ordinario funzionamento; - nella missiva del 4 maggio 2018 inviata via pec dal Collegio dei Liquidatori a Banca d'I., veniva fornita, tra l'altro, una prima ricognizione delle poste attive e passive, nonché un possibile programma di liquidazione, in alternativa alla cessione dell'azienda, esponendo una situazione debitoria e creditoria con eccedenza delle attività sulle passività in esito alla messa in liquidazione (in particolare: attività per euro 514.500,00 e passività per euro 461.802,00). Il tutto con valutazioni effettuate secondo criteri liquidatori, vale a dire tenendo presente valori di prudente realizzo per le attività e di estinzione delle passività ; - nessuna considerazione, al riguardo, ha ritenuto di dover svolgere Banca d'I., là dove avrebbe dovuto, invece, spiegare e motivare il perché un simile programma non poteva essere attuato; - nessun cenno esiste sul punto nel provvedimento di Banca d'I. con cui si è proposta l'apertura della l.c.a.; - nessun riscontro è stato mai dato rispetto a tale piano di liquidazione, quale alternativa praticabile in mancanza della cessione dell'intero complesso aziendale, come esposto nella stessa comunicazione del 4 maggio 2018; - nulla dice la sentenza impugnata in ordine a tali censure mosse al comportamento tenuto da Banca d'I., che avrebbe dovuto attendere almeno lo svolgimento di una prima fase delle operazioni liquidatorie, ovvero avrebbe dovuto integrare l'istruttoria, eventualmente anche tramite ispezioni e/o richiesta di ulteriore documentazione; - la sentenza giudica corretto il comportamento di Banca d'I. rispetto alla valutazione relativa alla sola ipotesi di liquidazione tramite cessione dell'intero complesso aziendale, ma nulla dice in ordine al programma di cessione per singoli cespiti attraverso il pagamento dei vari creditori con falcidia del 30%; - la sentenza si limita, infatti, a reputare poco concrete le trattative in atto per l'alienazione dell'intero complesso aziendale, e a ritenere che si tratta di valutazioni tecniche e discrezionali, insindacabili da parte del giudice amministrativo, se non per illogicità manifesta; - ma è proprio quanto accaduto nel caso di specie, giacché, da un lato, con la pec del 4 maggio 2018, il collegio dei liquidatori evidenziava che la trattativa con la Si. Ro. In. I.L. era in stadio avanzato ed era stato manifestato l'impegno a versare la somma complessiva di 800.000,00 euro, di cui euro 200.000,00 destinata ai soci ed euro 600.000,00 al ripianamento delle perdite ed alla ricapitalizzazione (con apposita lettera di intenti del 3 maggio 2018, allegata alla citata comunicazione del 4 maggio 2018); dall'altro, il collegio dei liquidatori rappresentava alla Banca d'I. un possibile programma di liquidazione, in alternativa alla cessione dell'azienda, esponendo, come detto, una possibile eccedenza delle attività sulle passività in esito alla messa in liquidazione (attività per euro 514.500,00 e passività per euro 461.802,00); - nessuna considerazione di Banca d'I. esiste al riguardo: di qui la necessità della consulenza tecnica di ufficio, ovvero sulla verificazione in modo da appurare la correttezza del programma di liquidazione, fermo restando in ogni caso l'eccesso di potere di Banca d'I. che non ha effettuato sul punto alcuna valutazione; - nessuna effettiva valutazione è stata svolta da Banca d'I. in proposito, quantomeno in ordine alla liquidazione atomistica del patrimonio sociale, ove si voglia considerare incensurabile la sbrigativa e formalistica valutazione circa l'impegno assunto con la Si. Ro.; - a fortiori, da parte sua, il MEF, attesa la mancanza di un contraddittorio procedimentale ex art. 7 l. n. 241/90, e stante questa carenza, ancor di più non avrebbe dovuto esimersi dallo svolgere un'autonoma istruttoria di verifica e di controllo dei fatti e delle circostanze dedotti dall'Autorità di vigilanza, anche mediante rinvio alla stessa Banca d'Itala della proposta di l.c.a. al fine di disporre l'opportuna integrazione dell'istruttoria; - la discrezionalità del MEF coinvolge, in particolare, l'an nell'emanazione del decreto e, perciò, il Ministero non deve far proprie in modo passivo le risultanze dell'asserita istruttoria svolta da parte della Banca d'I., ma, al contrario, deve "farsi parte attiva", ripetere gli accertamenti effettuati o, perlomeno, analizzare in modo critico l'atto propositivo dell'Autorità di vigilanza, allo scopo di pervenire ad un giudizio autonomo, che può coincidere con quello della Banca d'I. o meno, in relazione al giudizio di sussistenza dei presupposti; - il MEF avrebbe dovuto quindi considerare e dare contezza nella motivazione di aver richiesto alla Pa. s.p.a., nell'ambito di una propria autonoma istruttoria, chiarimenti in relazione alla mutata situazione patrimoniale, per effetto della deliberata messa in liquidazione volontaria; -per lo stesso motivo, avrebbe dovuto riesaminare la persistente sussistenza dei presupposti per i quali era stata richiesta l'adozione del provvedimento di l.c.a. da parte dell'Autorità di vigilanza; - il comportamento del tutto passivo ed acritico, privo di qualsivoglia autonoma deduzione, emerge dal complessivo contegno processuale tenuto dal MEF, il quale si è limitato ad un totale e pigro richiamo della difesa svolta da Banca d'I., come riconosciuto dalla stessa sentenza impugnata, a pag. 15, dove si compensano le spese di lite con il Ministero resistente in quanto "costituitosi con atto di mera forma e dunque in considerazione del limitato apporto fornito alla dialettica processuale"; - come a dire, che l'interesse generale del MEF è soltanto quello di eliminare dal mercato le imprese sottoposte a l.c.a., ma non quello di evitare che ciò possa accadere ingiustamente, a protezione di altro interesse - che sembrerebbe del pari superiore - di tutelare la libertà ed il mantenimento dell'impresa; e, ancor più, di quelle attività produttive ad alto impatto in termini di sviluppo e ricerca. 3.1 Il motivo è infondato. 3.1.1 Il primo giudice, come richiamato in narrativa, ha analizzato in maniera esaustiva e condivisibile il percorso valutativo compiuto dall'Autorità e le fonti utilizzate a supporto. Gli elementi che inducono a ritenere corretta la conclusione raggiunta sono: - nella proposta avanzata al Ministro dell'economie e delle finanze, la Banca d'I. ha rilevato la mancanza di risorse patrimoniali della società per far fronte ai debiti in essere e a quelli prospettici, in ragione delle "perdite di eccezionale gravità " tali da privare la Pa. dell'intero patrimonio, alla stregua delle evidenze attestate dalla stessa società ; - proprio tali evidenze, associate alle segnalazioni di vigilanza pervenute alla Banca d'I. nel complesso della documentazione prodotta, escludono l'attendibilità dell'affermazione, contenuta nella nota presentata in data 4 maggio 2018 e funzionale ad accreditare la sussistenza di una capacità di onorare totalmente le obbligazioni assunte, circa la sussistenza di un attivo per 514.500 euro ed un passivo per 461.802 euro; - non emergono irragionevolezze in relazione alla valutazione della proposta di intenti riferita alle trattative avviate con la società Si. Ro., debitamente vagliate dalla Banca d'I., la quale ha rilevato la mancanza di impegni precisi e vincolanti a sottoscrivere un aumento di capitale dell'istituto di pagamento, con incertezze anche con riferimento alle tempistiche della eventuale ricapitalizzazione a fronte delle perdite di eccezionale gravità riscontrate; - le trattative avviate con altre società non si sono mai concretate in nessun atto di impegno. 3.1.2 La liquidazione coatta amministrativa rinviene la sua giustificazione nelle finalità pubblicistiche di tale procedura che infatti riguarda imprese che, pur operando nell'ambito del diritto privato, involgono tuttavia molteplici interessi o perché attengono a particolari settori dell'economia nazionale, in relazione ai quali lo Stato assume il compito della difesa del pubblico affidamento, o perché si trovano in rapporto di complementarietà, dal punto di vista teleologico e organizzativo, con la pubblica amministrazione. Segnatamente l'avvio della procedura di liquidazione coatta amministrativa dipende dalla natura del soggetto debitore: banche, assicurazioni, società cooperative, enti sottoposti a vigilanza e simili (Corte Cost. 5 febbraio 2020 n. 12). Gli Istituti di pagamento fanno parte della tipologia di imprese cui si è appena fatto riferimento. Per essi è previsto un sistema di controllo pubblico: tali soggetti devono essere autorizzati alla prestazione dei servizi di pagamento previsti dall'art. 1, comma 2, lett. h-septies.1), del TUB e sono come tali sottoposti a un regime di vigilanza prudenziale, finalizzato a perseguire la salvaguardia della sana e prudente gestione, il mantenimento del regolare funzionamento, dell'affidabilità e dell'efficienza del sistema dei pagamenti, la tutela degli utenti. Nell'ipotesi in cui venga disposta la revoca dell'autorizzazione, che costituisce causa di scioglimento della società, ai sensi e per i motivi di cui all'art. 113-ter TUB, la Banca d'I. può disporre la liquidazione coatta amministrativa dell'IP per la sua regolare uscita dal mercato, a tutela di tutti gli interessi coinvolti. 3.1.3 Per quel che attiene l'asserita rilevanza del fatto nuovo e sopravvenuto rappresentato dalla messa in liquidazione della società occorre rilevare che la proposta della Banca d'I. di sottoposizione dell'IP a liquidazione coatta amministrativa e il relativo decreto del MEF si basano sulla complessiva valutazione della delibera assembleare della Pa. di sottoposizione a liquidazione volontaria, che viene espressamente richiamata, nell'ambito del contesto normativo di cui all'art. 113-ter, comma 3-bis TUB. La norma citata prevede infatti che ove la Banca accerti la mancata sussistenza dei presupposti per il regolare svolgimento del procedimento di liquidazione sia disposta la liquidazione coatta amministrativa "in sede di revoca dell'autorizzazione o successivamente". Nel caso di specie dopo l'avvio del procedimento di revoca, è stata comunicata la delibera assembleare di sottoposizione a liquidazione volontaria, ma, in mancanza dei presupposti per il regolare svolgimento della liquidazione, è stata disposta la l.c.a. 4. Il quarto motivo di appello è rubricato: IV. Violazione di legge. Ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 80 e 113 ss. TUB - Violazione del giusto procedimento - Eccesso di potere: Eccesso di potere per difetto di motivazione - Falsità dei presupposti - Contraddittorietà - Illogicità - Sviamento. La parte appellante sostiene che: - ai sensi dell'art. 80 TUB l'obbligatorietà della proposta della Banca d'I. non impone al MEF di accettarne in modo acritico e dogmatico il contenuto, in quanto l'ordinamento gli attribuisce la facoltà di discostarsi dalla proposta stessa, qualora non ritenga sussistenti i presupposti per disporre la liquidazione coatta amministrativa; - la possibilità di giungere ad una conclusione differente rispetto a quella configurata dall'Autorità di vigilanza implica il preventivo esperimento, da parte del Ministro, di un'autonoma istruttoria o quantomeno di una valutazione critica della proposta avanzata dalla Banca d'I.; - ne consegue che è viziato da eccesso di potere il decreto di liquidazione coatta amministrativa del MEF emanato, come nella fattispecie, sulla base di un generico ed apodittico richiamo alle motivazioni contenute nella proposta formulata dalla Banca d'I., ed a maggior ragione, alla luce del fatto nuovo e sopravvenuto della messa in liquidazione della società, circostanza che avrebbe imposto già alla Banca d'I. di integrare la propria istruttoria, come rilevato nel precedente motivo di appello e che, certamente, imponeva al MEF di procedere ad un'autonoma motivazione, ovvero di richiederla alla stessa Banca d'I., senza appiattirsi in modo acritico sulla motivazione di Banca d'I., peraltro già di per sé insufficiente; - la sentenza impugnata nulla dice al riguardo di specifico, limitandosi a difendere la correttezza in astratto della motivazione per relationem; - il decreto di messa in liquidazione coatta amministrativa avrebbe dovuto dare conto della permanenza dei presupposti tramite un'adeguata ed autonoma motivazione, ovvero attraverso specifica richiesta alla Banca d'I. della conferma circa la persistente sussistenza dei presupposti originariamente accertati, anche alla luce della più volte richiamata sopravvenuta messa in liquidazione della Pa. s.p.a.; - in tal senso, appare rilevante la pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. IV, 8 febbraio 2015, n. 657, per nulla considerata dal giudice di prime cure; - la l.c.a. rappresenta un rimedio drastico che incide gravemente sul diritto, costituzionalmente garantito, di svolgere l'attività di impresa, per cui deve trovare il suo fondamento in circostanze precise e di gravità tale da legittimarne l'adozione, senza che sia possibile superare la crisi attraverso la liquidazione ordinaria; - di tali circostanze si deve dar conto in modo completo ed esauriente nella motivazione, in quanto le stesse devono essere pienamente verificate e valutate dall'autorità che emana il provvedimento - nemmeno pare osservato, né è tenuto in alcun conto dalla sentenza impugnata, il principio di proporzionalità nella motivazione del decreto del MEF, data la sua natura autoritaria e l'attitudine ad incidere sulla libera iniziativa economica (art. 41 Cost.); - la motivazione dell'Organo emanante il decreto avrebbe dovuto dare contezza dell'osservanza di tale fondamentale principio e, cioè, dimostrare che si trattava di uno stato di crisi così grave che ogni altro rimedio - come ad esempio, lo si ribadisce, la liquidazione ordinaria (come nel caso della "Pa. s.p.a. in liquidazione") - sarebbe risultato vano; - la motivazione per rinvio utilizzata dal MEF, pur non disconoscendone l'astratta ammissibilità nel nostro ordinamento, costituisce un indice importante per affermare, come nella fattispecie, che le risultanze della Banca d'I. sono state recepite in modo acritico da parte del MEF, il quale ha omesso di compiere un'autonoma motivazione per la verifica e il controllo dei presupposti dedotti dall'autorità di vigilanza, nonché per la loro sussistenza al momento dell'emanazione della richiamata proposta, in relazione soprattutto al caso particolare in esame; - di qui la palese illegittimità e sproporzione dei provvedimenti impugnati innanzi al Tar e, per l'effetto, della sentenza impugnata con il presente atto, giacché nulla ha sancito, al riguardo, il giudice di prime cure, limitandosi soltanto alla difesa, in astratto, della motivazione per relationem dei provvedimenti amministrativi in genere, senza prendere in considerazione la fattispecie concreta e le sue specificità . 4.1 Il motivo è infondato. 4.1.1 Il MEF non si è limitato a recepire le valutazioni effettuate dalla Banca d'I., ma ha condiviso le stesse ed ha motivato (per relationem) rifacendosi al contenuto alla delibera di proposta. Nel preambolo del decreto si fa espresso riferimento alla nota della Banca d'I. del 22 maggio 2018 e agli "elementi derivanti dalla istruttoria effettuata" che permettono di "condividere la proposta formulata dalla Banca d'I." le cui "motivazioni sono qui integralmente richiamate e recepite". Come chiarito, ex multis, da Cons. di Stato, sez. V, 09/01/2023, n. 265, il provvedimento amministrativo, preceduto da esaurienti atti istruttori, può ritenersi adeguatamente motivato per relationem anche con il mero richiamo a tali atti, in quanto in tal modo l'autorità emanante esplicita l'intenzione di fare propri gli esiti dell'istruttoria condotta, ponendoli a base della determinazione adottata; in tal modo, la motivazione è esaustiva perché dal complesso degli atti del procedimento sono evincibili le ragioni giuridiche che supportano la decisione, in modo da consentire, non solo al destinatario di contrastarle con gli strumenti offerti dall'ordinamento, ma anche al giudice amministrativo, ove investito della relativa controversia, di sindacarne la fondatezza. 4.1.2 Le complessive risultanze istruttorie hanno indotto la Banca d'I. a proporre la sottoposizione della Pa. alla l.c.a. per violazioni normative e perdite del patrimonio di eccezionale gravità e dette risultanze e valutazioni sono state condivise dal MEF nel proprio decreto nel rispetto dei principi di proporzionalità e di completezza nella scelta sanzionatoria. Peraltro il primo giudice ha correttamente ricordato che gli atti posti in essere dalle Autorità di vigilanza, costituiscono esplicazione di potere amministrativo caratterizzato da discrezionalità tecnica. 4.1.3 Anche la sentenza richiamata dagli appellanti (Cons. Stato, 657/2015) in realtà ribadisce il medesimo principio laddove afferma che la distinzione fra discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica presuppone, per la prima, la coesistenza del momento del giudizio - acquisizione ed esame dei fatti - e del momento della scelta - determinazione della situazione maggiormente opportuna ai fini della miglior tutela dell'interesse sottostante -, mentre la discrezionalità tecnica si concreta nella mera analisi di fatti e, perciò, non concerne il merito. Anche in materie o discipline connotate da un forte tecnicismo settoriale il giudice può solo verificare la logicità, la congruità, la ragionevolezza e l'adeguatezza del provvedimento e della sua motivazione, la regolarità del procedimento e la completezza dell'istruttoria, l'esistenza e l'esattezza dei presupposti di fatto posti a fondamento della deliberazione. Per quanto attiene al merito amministrativo, invece, il sindacato del giudice deve arrestarsi dopo aver verificato la legittimità delle regole tecniche sottostanti alla scelta dell'amministrazione, poiché diversamente vi sarebbe un'indebita sostituzione del giudice all'amministrazione, titolare del potere esercitato. Gli appellanti invocano Cons. Stato, 657/2015 a sostegno delle proprie tesi. Ma va sottolineato che, oltre ad esplicitare il principio generale appena richiamato, nello specifico tale sentenza riguarda una procedura di amministrazione straordinaria ai sensi dell'art. 70 TUB e non una liquidazione coatta. In quel caso il Consiglio di Stato ha riconosciuto non illegittimo il decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanza che dispone l'amministrazione straordinaria con motivazione ob relationem, ma lo ha censurato per aver puramente e semplicemente rinviato agli atti ispettivi della Banca d'I. senza averne preliminarmente esaminato in modo analitico il contenuto, posto che in quel caso il Ministro non aveva dato atto - diversamente dal caso di specie - del compiuto esame delle risultanze istruttorie offerte dalla Banca ed inoltre vi era stata una modifica della situazione ricostruita dall'organo di vigilanza che avrebbe richiesto una verifica del perdurare dei presupposti della procedura che era, invece, mancata. Nel caso di specie non c'è stata alcuna modifica della situazione ricostruita dall'Organo di vigilanza e la motivazione ob relationem è scaturita da una condivisione delle scelte operate dall'Autorità tecnica che sono state fatte espressamente proprie e condivise dal Ministro firmatario. 5. Istanze istruttorie. La parte appellante reitera la richiesta, ai sensi dell'art. 67 d.lgs. n. 104/2010, di nominare un C.T.U., ovvero, se ritenuto più opportuno, di disporre una verificazione ai sensi del combinato disposto degli artt. 19 e 66 c.p.a., al fine di valutare, alla data del 28.05.2018 (della messa in liquidazione coatta amministrativa), la sussistenza dei presupposti, in capo alla Società "Pa. s.p.a. in liquidazione", per l'adozione della misura coattiva disposta, anche tenuto conto della liquidazione ordinaria in cui la stessa versava al momento dell'emanazione del decreto del MEF. 5.1 Le ragioni poste a fondamento del rigetto dei motivi di appello giustificano la reiezione della richiesta. Peraltro la verificazione richiesta avrebbe mero carattere esplorativo e come tale risulta inammissibile. Agli atti esiste esauriente documentazione utile a supportare le conclusioni raggiunte nei provvedimenti impugnati. 6. Per le ragioni esposte l'appello deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna gli appellanti al pagamento delle spese di lite in favore della Banca d'I., liquidate complessivamente in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori di legge. Condanna gli appellanti al pagamento delle spese di lite in favore del Ministero dell'economia e delle finanze, liquidate complessivamente in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere Roberto Caponigro - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere Giovanni Pascuzzi - Consigliere, Estensore
AULA 'B' 2024 49 R E P U B B L I C A I T A L I A N A IN NOME DEL POPOLO ITALIANO L A C O R T E S U P R E M A D I C A S S A Z I O N E SEZIONE LAVORO Composta da: Lucia Tria - Presidente - Caterina Marotta - Consigliere - Irene Tricomi - Consigliere - Roberto Belle' - Consigliere - Ileana Fedele - Rel. Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 1268-2018 proposto da: Groger Angela, rappresentata e difesa dagli avv.ti Francescopaolo Carrara e Edoardo Barbarulo, elettivamente domiciliata in Roma, via della Giuliana n. 70, presso lo studio dell’avv. Maurizio Massatani; - ricorrente - contro A.O.R.N. - Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale “Antonio Cardarelli” in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Abate, con domicilio digitale presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore ex art. 16-sexies del d.l. n. 179 del 2012 conv. con modif. dalla legge n. 221 del 2012; - controricorrente - nonché contro Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Rosaria Saturno, elettivamente domiciliata Oggetto Lavoro pubblico dirigenza medica riconoscimento anzianità per servizio prestato presso strutture sanitarie di uno Stato membro UE R.G.N. 1268/2018 Cron. Rep. Ud. 09/01/2024 PU 2 in Roma, via Poli n. 29, presso l’Ufficio di Rappresentanza della Regione Campania; - resistente con mandato - avverso la sentenza n. 3318/2017 della Corte d’appello di Napoli, depositata il 28/06/2017 r.g.n. 9065/2011+ 1; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/01/2024 dal Consigliere Ileana Fedele; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Mario Fresa che ha concluso per l’accoglimento del ricorso. FATTI DI CAUSA 1. - La Corte d’appello di Napoli, in accoglimento dei gravami separatamente proposti (e successivamente riuniti) dall’Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale “Antonio Cardarelli” e dalla Regione Campania, ha respinto la domanda proposta da Angela Groger - utilmente classificata nella graduatoria per concorso pubblico per titoli ed esami nella posizione funzionale di dirigente medico di chirurgia vascolare e quindi assunta a tempo indeterminato con contratto stipulato in data 28 aprile 2004 con decorrenza giuridica dal 1° maggio 2004 - per il riconoscimento della ricostruzione della carriera e di anzianità con decorrenza dal 1° aprile 1994, in virtù del servizio prestato nella branca di chirurgia dell’Università di Vienna. 2. - La Corte territoriale, premesso che la Groger si era laureata in medicina e chirurgia il 28 gennaio 1994 in Austria ed aveva ivi conseguito la specializzazione in chirurgia generale, con atti riconosciuti dal Ministero della sanità di concerto con il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, ai fini dell’esercizio dell’attività professionale in Italia, tanto da aver superato il concorso pubblico ed aver stipulato un contratto con inquadramento nei ruoli dell’ente, ha osservato che la direttiva n. 16 del 5 aprile 1993 (posta a fondamento della pronuncia di accoglimento della domanda da parte del primo giudice) è stata recepita con il d.lgs. 17 agosto 1999, n. 368, che sancisce l’equiparazione dei titoli e diplomi di 3 specializzazione solo per l’accesso all’attività di medico chirurgo, ma non già ai fini dell’anzianità di servizio, rispetto alla quale non si rinvengono nell’ordinamento italiano disposizioni che ne consentano la valutazione ovvero conferiscano un valore certo. 3. - Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la Groger articolando tre motivi, cui resiste con controricorso l’Azienda Ospedaliera, mentre la Regione si è limitata a costituirsi chiedendo il rigetto del ricorso senza svolgere difese, per l’eventuale partecipazione alla discussione orale. 4. - La parte ricorrente ha depositato atto di costituzione adadiuvandum di nuovo difensore, memoria e nota spese. 5. - La parte controricorrente ha depositato memoria. 6. - In esito all’adunanza camerale del 23 giugno 2023 è stata disposta la trattazione della causa in pubblica udienza per la ravvisata «necessità di sollecitare il contraddittorio delle parti sulla normativa contrattuale invocata, con particolare riferimento al dedotto inquadramento della fattispecie in esame nell’ambito dell’istituto della mobilità volontaria, nonché sulla disciplina nazionale in materia, avuto riguardo al disposto di cui all’art. 5 del d.l. 8 aprile 2008, n. 59, modificato dalla legge di conversione 6 giugno 2008, n. 101 e, successivamente, dall’art. 44, comma 1, del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, in esecuzione della sentenza della Corte di giustizia UE resa in data 26 dicembre 2006 nella causa C-371/04». 7. - Le parti hanno depositato memoria. 8. - La causa giunge, quindi, in decisione all’esito della trattazione in pubblica udienza, nella quale è intervenuto il rappresentante del Pubblico Ministero, che, nel richiamare le conclusioni già rassegnate nella memoria depositata, ha chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso, con assorbimento degli ulteriori motivi. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. - Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del C.C.N.L. medici di 4 ruolo, ripreso nei successivi C.C.N.L., nonché violazione dei principi di libera circolazione e stabilimento nonché di reciproco riconoscimento, stabiliti dagli artt. 48-52 del trattato di Roma di fondazione della CEE e degli artt. 2, 4, 8, 36 della direttiva comunitaria n. 16/93, attuata definitamente dal d.lgs. n. 368 del 17 agosto 1999, artt. 3-4 e 45, violazione degli artt. 7 n. 1 e 4 del regolamento CEE del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, ribadito ed integrato dall’art. 7 del regolamento UE n. 492 del 2011, violazione dell’art. 113 cod. proc. civ., violazione di giudicato della Corte di giustizia UE in sentenza n. 15/1998, per non avere la Corte d’appello riconosciuto che il principio di mobilità – che non comporta la novazione del rapporto – deve essere esteso a tutti i cittadini dell’Unione europea. 2. - Con il secondo motivo è prospettata, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 113 cod. proc. civ., della direttiva n. 19/2001, artt. 2, 4, 8 comma 2, nonché dell’art. 14, violazione della direttiva n. 36 del 7 settembre 2005, artt. 21 e 27, per non avere la Corte d’appello considerato le modifiche apportate dalla direttiva n. 19 del 2001, ulteriormente qualificanti nel senso di attribuire rilievo anche all’esercizio dell’attività di medico e dell’esperienza professionale, nonché alla direttiva n. 36 del 2005, che ha confermato il principio del riconoscimento reciproco ed automatico. 3. - Con il terzo motivo è dedotta, in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., violazione del diritto comunitario: artt. 48 e 52 del Trattato di Roma, artt. 2, 4, 8, 36 della direttiva comunitaria n. 16/93, degli artt. 7 n. 1 e 4 del regolamento CEE del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, ribadito ed integrato dall’art. 7 del regolamento UE n. 492 del 2011, violazione della direttiva n. 19/2001, artt. 2, 4, 8 comma 2, nonché art. 14, violazione della direttiva n. 36 del 7 settembre 2005, artt. 21 e 27, violazione dell’art. 113 cod. proc. civ., degli artt. 11-117 Cost., con richiesta di remissione degli atti alla Corte di Giustizia UE ex art. 267 T.F.U.E. 4. – I primi due motivi, che possono essere valutati congiuntamente, perché intesi in maniera convergente a censurare la sentenza impugnata 5 nella parte in cui ha escluso l’esistenza nel nostro ordinamento di una disciplina che consenta la valutazione dell’anzianità di servizio rivendicata dalla Groger, sono fondati nei termini che seguono. 5. – In primo luogo, occorre precisare che la «corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, che vincola il giudice ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., riguarda il petitum, che va determinato con riferimento a quello che viene domandato sia in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita che l’attore intende conseguire, ed alle eccezioni che in proposito siano state sollevate dal convenuto, ma non riguarda, invece, le ipotesi in cui il giudice, espressamente o implicitamente, dia al rapporto controverso o ai fatti che siano stati allegati, quali causa petendi dell’esperita azione, una qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dalle parti […] avendo egli il potere-dovere di inquadrare nell’esatta disciplina giuridica gli atti ed i fatti che formano oggetto della contestazione, sempre che sia rispettato l’ambito delle questioni proposte e siano stati lasciati immutati il petitum e la causa petendi, senza introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto» (così, con principio consolidato, già Cass. Sez. 2, 13/06/2002, n. 8479, e, più di recente, in senso conforme, Cass. Sez. 2, 10/05/2018, n. 11289). 5.1. – Nella specie, la domanda proposta dall’odierna ricorrente, in termini di bene della vita che la stessa intende conseguire, si sostanzia nel riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata dal 1° aprile 1994 al 30 aprile 2004 ai fini giuridici ed economici per il servizio prestato in detto periodo nella branca di chirurgia presso la facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Vienna. 5.2. – Rispetto a tale petitum, non risulta applicabile la pur invocata disciplina contrattuale in termini di mobilità volontaria, trattandosi - all’evidenza – di fattispecie del tutto differente, non riconducibile all’ipotesi prevista dall’art. 20 del C.C.N.L. 8 giugno 2000, richiamata nel primo motivo di ricorso, come pure evidenziato dal pubblico ministero nella 6 memoria, con conseguente inammissibilità, per irrilevanza, del relativo profilo di doglianza. 5.3. - Nondimeno, come poc’anzi chiarito, tale rilievo non preclude di procedere al corretto inquadramento giuridico della fattispecie all’esame, tanto più ove si consideri che la parte ricorrente, pur invocando – in tesi – la continuità del rapporto in virtù del principio sulla mobilità (che non comporta la novazione), si è espressamente appellata ai principi di libera circolazione e stabilimento nonché di reciproco riconoscimento, stabiliti dagli artt. 48-52 del trattato di Roma di fondazione della CEE ed agli strumenti normativi di attuazione di tali principi nell’Unione. In tal senso, il rappresentante della Procura Generale della Corte di cassazione ha ritenuto fondato il ricorso (in particolare il primo motivo) sul rilievo che il caso di specie vada piuttosto inquadrato in termini di riconoscimento dell’anzianità di servizio in caso di instaurazione di distinti rapporti di impiego in successione tra loro, in virtù del principio di libero stabilimento dei lavoratori all’interno dell’Unione, senza che possa a ciò ostare l’eventuale contraria disciplina interna (in particolare, le previsioni della contrattazione collettiva). Proprio in base a tale inquadramento occorre concludere per la fondatezza per quanto di ragione dei primi due motivi. 6. - Al riguardo occorre senz’altro riferirsi al consolidato indirizzo espresso dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, che ha delineato in maniera sempre più stringente la necessità per il giudice nazionale di valutare la disciplina interna sulla progressione per anzianità in coerenza con il principio di libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione. 6.1. – Con la sentenza 15 gennaio 1998, C-15/96, - espressamente richiamata dalla ricorrente a sostegno della propria pretesa - la Corte, nel pronunciarsi su una questione sollevata da un giudice tedesco, si esprimeva nel senso che l’art. 48 del trattato CE e l’art. 7, nn. 1 e 4, del regolamento CEE del Consiglio del 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità, ostano alla clausola 7 del contratto collettivo, applicabile alla pubblica amministrazione di Stato membro, che prevede, per gli impiegati contrattuali di tale amministrazione, un avanzamento per anzianità dopo otto anni di attività lavorativa in un livello retributivo determinato da tale contratto, senza tener conto dei periodi lavorativi, in un settore di attività analogo, precedentemente compiuti presso la pubblica amministrazione di altro Stato membro (§ 14), con conseguente nullità della clausola del contratto collettivo comportante la ravvisata discriminazione contraria al diritto della Comunità ed obbligo per il giudice nazionale di applicare in favore del soggetto discriminato lo stesso regime assicurato agli altri lavoratori, senza attendere la previa abrogazione della predetta clausola (§ 35). 6.2. - Con specifico riferimento all’attività sanitaria, già con precedente decisione (sentenza 22 novembre 1995, C-443/93), relativa al riconoscimento del servizio svolto da un medico ellenico presso ospedali pubblici della Repubblica federale di Germania a fini pensionistici, la Corte, nel premettere che «le norme del Trattato sulla libera circolazione delle persone sono volte a facilitare ai cittadini comunitari l’esercizio di attività lavorative di qualsivoglia natura in tutto il territorio della Comunità, ed ostano ad una normativa nazionale che li ostacoli qualora desiderino estendere le loro attività al di fuori del territorio di un unico Stato membro (v. sentenza 7 luglio 1988, causa 143/87, Stanton e a., Racc. pag. 3877, punto 13)», ha sottolineato che lo «scopo degli artt. 48-51 del Trattato, infatti, non sarebbe realizzato se, a seguito dell’esercizio del diritto alla libera circolazione, i lavoratori perdessero i vantaggi previdenziali garantiti loro dalla normativa di uno Stato membro; una tale conseguenza potrebbe dissuadere il lavoratore comunitario dall’esercitare il suo diritto alla libera circolazione e costituirebbe, pertanto, un ostacolo a tale libertà (v. sentenza 20 settembre 1994, causa C-12/93, Drake, Racc. pag. I-4337, punto 22)» (§39), giungendo a ravvisare la configurabilità di tale effetto dissuasivo che si produce sul lavoratore «quando una normativa nazionale stabilisce che, ai fini dell’acquisizione del diritto alla pensione, possono essere riconosciuti 8 solo periodi di servizio compiuti in ospedali pubblici nazionali, mentre analoghi periodi compiuti negli ospedali pubblici di altri Stati membri non possono essere riconosciuti a tali fini» (§40), poiché una simile normativa crea «una disparità di trattamento tra i lavoratori che non hanno esercitato il diritto alla libera circolazione e i lavoratori migranti, a scapito di questi ultimi, perché il problema del riconoscimento dei periodi compiuti in altri Stati membri della Comunità si pone solo per i lavoratori che si sono avvalsi del diritto alla libera circolazione» (§ 41). In virtù di tali considerazioni, poiché dagli atti di causa non risultava alcun elemento che potesse giustificare la ravvisata disparità di trattamento tra i lavoratori migranti e quelli che non si sono avvalsi del diritto alla libera circolazione, tale disparità è stata considerata discriminatoria e, pertanto, contraria alle norme fondamentali del Trattato miranti a garantire la libera circolazione dei lavoratori, tanto più in quanto il rifiuto del cumulo dei periodi era stato motivato dal fatto che tali periodi erano stati compiuti in un altro Stato membro e non nello Stato membro interessato. Pertanto, la Corte ha concluso che «gli artt. 48 e 51 del Trattato vanno interpretati nel senso che essi ostano al rifiuto di computare, ai fini dell’acquisizione del diritto alla pensione, i periodi lavorativi che una persona soggetta ad un regime speciale dei pubblici impiegati o del personale assimilato, come un medico dipendente dell’IKA, ha compiuto in ospedali pubblici di un altro Stato membro, quando la legge nazionale consenta il computo di periodi compiuti in istituzioni analoghe sul territorio nazionale» (§44). 6.3. - I medesimi principi sono stati ripresi anche nella sentenza del 30 settembre 2003, C-224/01, relativa alla questione sollevata da un giudice austriaco in ordine al riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata da un professore universitario presso università di altri Stati membri ai fini dell’attribuzione dell’indennità speciale di anzianità, quale beneficio finanziario (aggiuntivo rispetto alla retribuzione di base) riconosciuto ai professori universitari con almeno quindici anni di servizio presso un’università austriaca. Tale disciplina, che esclude qualsiasi possibilità di 9 considerare i periodi di attività che un professore universitario ha effettuato in uno Stato membro diverso dalla Repubblica d’Austria, è stata reputata idonea ad ostacolare la libera circolazione dei lavoratori sotto un duplice aspetto (§ 72): in primo luogo, «questo regime opera a danno dei lavoratori migranti cittadini di Stati membri diversi dalla Repubblica d’Austria, in quanto a questi lavoratori viene rifiutato il riconoscimento di periodi di servizio che essi hanno compiuto in questi Stati in qualità di professori universitari, per il solo motivo che questi periodi non sono stati effettuati in un’università austriaca (v., in tal senso, relativamente a una disposizione greca analoga, sentenza 12 marzo 1998, causa C-187/96, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-1095, punti 20 e 21)» (§73); in secondo luogo, «questo rifiuto assoluto di riconoscere i periodi effettuati in qualità di professori universitari in uno Stato membro diverso dalla Repubblica d’Austria ostacola la libera circolazione dei lavoratori stabiliti in Austria, in quanto è tale da dissuadere questi ultimi dal lasciare il proprio paese per esercitare questa libertà. Infatti, al loro ritorno in Austria, i loro anni di esperienza in qualità di professori universitari in un altro Stato membro, quindi nell’esercizio di attività analoghe, non sarebbero presi in conto per l’indennità speciale di anzianità di servizio» (§ 74). Di conseguenza, una misura quale la concessione dell’indennità speciale di anzianità di servizio può ostacolare la libera circolazione dei lavoratori − cosa che è, in via di principio, vietata dagli artt. 48 del Trattato e 7, n. 1, del regolamento n. 1612/68 − solo nel caso in cui tale misura persegua uno scopo legittimo compatibile con il Trattato e sia giustificata da “imperiosi motivi d’interesse pubblico”, purché la sua applicazione garantisca comunque il conseguimento dello scopo perseguito e non ecceda quanto necessario per farlo (§ 77), senza che tale giustificazione possa essere integrata dall’obiettivo di ricompensare la fedeltà del lavoratore dell’unico datore di lavoro (§ 88). 6.4. - Più di recente, la questione della specifica professionalità maturata in ambito sanitario è stata esaminata dalla Corte con riferimento al caso di 10 un’infermiera, che, dopo aver svolto per alcuni anni le proprie funzioni nell’ambito del servizio sanitario nazionale del Portogallo, si era vista negare dal servizio sanitario nazionale spagnolo il riconoscimento della pregressa esperienza professionale (sentenza del 28 aprile 2022, C- 86/2021, richiamata dal pubblico ministero nella memoria). La Corte, investita del quesito interpretativo dal giudice spagnolo, ha affermato che la norma spagnola costituisce, in via di principio, ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori nell’ambito dell’Unione, a meno che essa risponda a un interesse generale del Paese, quale potrebbe essere la non omogeneità professionale dei servizi sanitari prestati in Portogallo; ma in questa ipotesi deve essere consentito all’infermiera dimostrare di avere maturato in Portogallo un’esperienza professionale equivalente rispetto a quella spagnola. In particolare, nel richiamare i propri precedenti, la Corte ha dichiarato che «una normativa nazionale che non prenda in considerazione tutti i precedenti periodi di attività equivalente maturati in uno Stato membro diverso da quello di origine del lavoratore migrante può rendere meno attraente la libera circolazione dei lavoratori, in violazione dell’articolo 45, paragrafo 1, TFUE [sentenza del 23 aprile 2020, Land Niedersachsen (Periodi anteriori di attività pertinente), C ‑ 710/18, EU:C:2020:299, punto 26 e giurisprudenza ivi citata]» (§ 26), con la conseguenza che «una normativa di uno Stato membro, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che consente soltanto di prendere in considerazione l’esperienza professionale acquisita dal candidato alla carriera professionale presso i servizi sanitari spagnoli, nella stessa categoria professionale a partire dalla quale quest’ultimo chiede l’accesso alla categoria di carriera professionale di cui trattasi, è idonea a dissuadere un lavoratore dall’esercitare il suo diritto alla libera circolazione previsto dall’articolo 45 TFUE.» (§ 27). Infatti, «un lavoratore migrante che abbia acquisito presso datori di lavoro stabiliti in uno Stato membro diverso dal Regno di Spagna un’esperienza professionale pertinente e di pari durata rispetto a quella maturata da un lavoratore che ha svolto in modo continuo 11 la sua carriera presso i servizi sanitari spagnoli corrispondenti sarà sfavorito dalla mancata presa in considerazione di tale esperienza professionale, ai fini del suo accesso a un determinato grado nel contesto del riconoscimento della sua carriera professionale (v., per analogia, sentenza del 5 dicembre 2013, Zentralbetriebsrat der gemeinnützigen Salzburger Landeskliniken, C ‑ 514/12, EU:C:2013:799, punto 28)» (§ 33). Sul piano della potenziale giustificazione di tali misure, vietate, in linea di principio, dall’articolo 45 TFUE e dall’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 492/2011 (§§ 34 e 35), la Corte ha rimarcato che, rispetto alla finalità di interesse generale consistente nel garantire gli obiettivi e l’organizzazione del servizio sanitario nazionale – in quanto il riconoscimento della carriera professionale del lavoratore non implicherebbe unicamente la presa in considerazione dell’anzianità, ma richiederebbe altresì che la prestazione di taluni servizi sia stata effettuata in una precisa categoria professionale e presso uno specifico servizio sanitario volto alla realizzazione degli obiettivi dell’organizzazione nell’ambito della quale tali servizi sono forniti -, pur dovendosi riconoscere «agli Stati membri un margine di discrezionalità in tale settore (sentenza del 20 dicembre 2017, Simma Federspiel, C ‑ 419/16, EU:C:2017:997, punto 45 e giurisprudenza ivi citata)» (§ 40), «il giudice del rinvio dovrà tener conto del fatto che, da un lato, il riconoscimento dell’esperienza professionale acquisita dal lavoratore di cui trattasi nell’ambito del sistema sanitario nazionale di un altro Stato membro non può essere considerato, in generale, un ostacolo alla realizzazione di tale obiettivo» (§ 45), dall’altro lato, «tale giudice dovrà prendere in considerazione la circostanza che il riconoscimento di detta esperienza professionale potrebbe essere effettuato secondo una procedura che offra all’interessato la possibilità di dimostrare l’equivalenza della sua esperienza professionale acquisita in altri Stati membri, come, secondo quanto risulta dal fascicolo di cui dispone la Corte, è consentito – in base alla normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale – ai fini dell’ottenimento di scatti triennali di anzianità del personale statutario 12 temporaneo» (§ 45). Sul punto, la Corte ha ribadito che «lo Stato membro ospitante interessato deve rispettare i suoi obblighi in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali [sentenza del 3 marzo 2022, Sosiaali- ja terveysalan lupa- ja valvontavirasto (Formazione medica di base), C ‑ 634/20, EU:C:2022:149, punto 41]» (§ 46), sicché «le autorità di uno Stato membro – alle quali un cittadino dell’Unione abbia presentato domanda di autorizzazione all’esercizio di una professione il cui accesso, secondo la legislazione nazionale, è subordinato al possesso di un diploma o di una qualifica professionale, o anche a periodi di esperienza pratica – sono tenute a prendere in considerazione l’insieme dei diplomi, dei certificati e altri titoli, nonché l’esperienza pertinente dell’interessato, procedendo a un confronto tra, da un lato, le competenze attestate da tali titoli e da tale esperienza e, dall’altro, le conoscenze e le qualifiche richieste dalle legislazione nazionale [sentenza del 3 marzo 2022, Sosiaali- ja terveysalan lupa- ja valvontavirasto (Formazione medica di base), C ‑ 634/20, EU:C:2022:149, punto 38 e giurisprudenza ivi citata]» (§ 47), con la conseguenza che «qualora l’esame comparativo dei titoli accerti che le conoscenze e le qualifiche attestate dal titolo straniero corrispondono a quelle richieste dalle disposizioni nazionali, lo Stato membro ospitante è tenuto a riconoscere che tale titolo soddisfa le condizioni da queste imposte. Se, invece, a seguito di tale confronto emerge una corrispondenza solo parziale tra tali conoscenze e qualifiche, detto Stato membro ha il diritto di pretendere che l’interessato dimostri di aver maturato le conoscenze e le qualifiche mancanti (sentenze del 6 ottobre 2015, Brouillard, C ‑ 298/14, EU:C:2015:652, punto 57, e dell’8 luglio 2021, Lietuvos Respublikos sveikatos apsaugos ministerija, C ‑ 166/20, EU:C:2021:554, punto 39)» (§ 48). Conclusivamente, è stato affermato che «l’articolo 45 TFUE e l’articolo 7 del regolamento n. 492/2011 devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale relativa al riconoscimento della carriera professionale nell’ambito del servizio sanitario di uno Stato membro che impedisca di prendere in considerazione, ai fini dell’anzianità del lavoratore, 13 l’esperienza professionale acquisita da quest’ultimo presso un servizio sanitario pubblico di un altro Stato membro, a meno che la restrizione alla libera circolazione dei lavoratori che tale normativa implica risponda a un obiettivo di interesse generale, sia idonea a garantire la realizzazione di tale obiettivo e non ecceda quanto necessario per raggiungere quest’ultimo.» (§ 50). 7. – Occorre, quindi, considerare la disciplina nazionale, onde valutarne la conformità ai principi di libera circolazione e stabilimento, siccome inverati dalle pronunce della Corte di giustizia dell’Unione Europea (sull’obbligo per il giudice nazionale di disapplicazione della norma interna incompatibile col diritto comunitario, già Cass. Sez. L, 14/10/2004, n. 20275). 7.1. – L’esperienza professionale e l’anzianità di servizio vengono innanzi tutto in rilievo per la determinazione del trattamento retributivo. L’art. 12, comma terzo, del C.C.N.L. relativo alla dirigenza medica e veterinaria del SSN, biennio economico 2000-2001, sottoscritto l’8 giugno 2000, prevede che: «Con riferimento alle norme in cui è richiesta esperienza professionale si deve intendere: a) ai fini del compimento del quinquennio di attività di cui all’art. 4, l’anzianità di servizio maturata in qualità di dirigente del SSN, a tempo indeterminato, senza soluzione di continuità anche se prestato in aziende o enti diversi del Comparto; b) ai fini dell’applicazione degli artt. 3 e 5 l’anzianità complessiva, con rapporto di lavoro a tempo determinato e indeterminato, maturata alle date previste dalle norme, senza soluzione di continuità anche in aziende ed enti diversi del comparto.». Ne consegue che, per il computo dell’anzianità di servizio per la determinazione degli emolumenti da corrispondere al dirigente medico, rileva l’attività svolta senza soluzione di continuità anche in aziende ed enti diversi del comparto, secondo l’interpretazione adeguatrice (in punto di servizio prestato sulla base di rapporti a termine) già resa da questa Corte con riferimento alle fattispecie - in tutto sovrapponibili a quelle in esame - 14 stabilite dall’art. 11 comma 4, lett. a) e lett. b) del C.C.N.L. sottoscritto l’8 giugno 2000 per la dirigenza non medica del SSN (Cass. Sez. L, 08/03/2022, n. 7584). Nondimeno, l’anzianità che rileva dev’essere quella maturata nello svolgimento delle funzioni nell’ambito del comparto della sanità, «così ulteriormente esplicitandosi che l’anzianità rilevante ai fini della previsione in questione è quella maturata nell’ambito del comparto, sebbene a prescindere dalla tipologia di contratto applicato (a tempo determinato o indeterminato)» (così Cass. Sez. L, 10/04/2017, n. 9161). La contrattazione collettiva, pertanto, pone un’espressa indicazione sull’anzianità di servizio rilevante ai fini retributivi, limitandola a quella resa nell’ambito del comparto sanità, anche se in aziende ed enti diversi. 7.2. – Rispetto alla disciplina prevista dalla contrattazione collettiva, è intervenuto il legislatore con decretazione d’urgenza, al dichiarato fine «di adempiere ad obblighi comunitari derivanti da sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee e da procedure di infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano», stabilendo che «Le amministrazioni pubbliche tenute al rispetto del principio di libera circolazione dei lavoratori di cui agli articoli 39 del Trattato che istituisce la Comunità europea e 7 del regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, salve più favorevoli previsioni, valutano, ai fini giuridici ed economici, l’esperienza professionale e l’anzianità acquisite da cittadini comunitari nell’esercizio di un’attività analoga a quella considerata rilevante e svolta in un altro Stato membro, anche in periodi antecedenti all’adesione del medesimo all’Unione europea, o presso organismi dell’Unione europea secondo condizioni di parità rispetto a quelle maturate nell’ambito dell’ordinamento italiano. Sono inapplicabili le disposizioni normative e le clausole dei contratti collettivi contrastanti con il presente comma. Ai fini dell’accesso rimane fermo quanto previsto dall’articolo 38 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.» (art. 5 del d.l. 8 aprile 2008, n. 59, modificato dalla legge di conversione 6 giugno 2008, n. 101, in tema di “Disposizioni in materia di riconoscimento del servizio pubblico svolto nell’ambito dell’Unione europea. 15 Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 26 dicembre 2006 nella causa C-371/04. Procedura di infrazione n. 2002/4888”). Pertanto, già in base a tale disposizione occorre considerare l’esperienza professionale e l’anzianità acquisite da cittadini comunitari nell’esercizio di attività analoghe a quella rilevante e svolte in un altro Stato membro, imponendo il superamento del dato letterale della normativa collettiva, ove rapportato unicamente al servizio reso nell’ambito del S.S.N. La conclusione risulta ulteriormente avvalorata, proprio per lo specifico settore in esame, dalla modifica apportata al predetto art. 5 dall’art. 44, comma 1, del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, che ha inserito al comma 1, dopo il primo periodo, il seguente: «Relativamente al personale delle aree della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria che presta servizio presso le strutture sanitarie pubbliche, per le quali l’ordinamento italiano richiede, ai fini del riconoscimento di vantaggi economici o professionali, che l’esperienza professionale e l’anzianità siano maturate senza soluzione di continuità, tale condizione non si applica se la soluzione di continuità dipende dal passaggio dell’interessato da una struttura sanitaria, di cui alla legge 10 luglio 1960, n. 735, di uno Stato membro a quella di un altro Stato membro». Ne consegue che la disposizione della contrattazione collettiva sopra richiamata, laddove evoca la necessità che l’esperienza professionale e l’anzianità di servizio siano maturate senza soluzione di continuità, non può trovare applicazione nelle fattispecie in cui l’assenza del predetto requisito dipenda dal passaggio da una struttura sanitaria di un altro Stato membro. Quanto alle caratteristiche della struttura sanitaria, la legge n. 735 del 1960, cui rinvia la decretazione d’urgenza, prevede all’art. 1 che «Il servizio sanitario prestato all’estero da sanitari italiani presso Enti pubblici sanitari o presso Istituti che svolgono attività sanitaria nell’interesse pubblico è riconosciuto ai fini dell’ammissione ai concorsi ai posti di sanitario presso Enti locali banditi nella Repubblica e come titolo valutabile nei concorsi 16 medesimi, analogamente a quanto previsto dalle vigenti disposizioni per i servizi sanitari prestati nel territorio nazionale» (con la precisazione che, in virtù della sentenza della Corte cost. 15 novembre 1985 n. 283, l’art. 1 è stato dichiarato incostituzionale «nella parte in cui limita il riconoscimento, nei modi affermati dalla legge medesima, dei servizi medici prestati all’estero, ai soli fini della valutazione nei concorsi presso gli enti locali», con conseguente valenza generale della predetta norma). Le modalità del riconoscimento sono, poi, stabilite dall’art. 2, che prevede apposito provvedimento del Ministro della sanità, a seguito di domanda presentata dall’interessato, corredata dai prescritti documenti, previ accertamenti eventualmente necessari per stabilire la sussistenza delle condizioni di equipollenza. 7.3. – La portata della disposizione d’urgenza, che prende espressamente in considerazione le previsioni in ordine al riconoscimento di vantaggi non solo economici ma anche più latamente professionali, induce a concludere che il medesimo principio ivi sancito deve trovare applicazione anche con riferimento alla disciplina dell’anzianità prevista, ad esempio, per il conferimento degli incarichi dirigenziali. In proposito, l’art. 28 del C.C.N.L. dell’area relativa alla dirigenza medica e veterinaria del servizio sanitario nazionale, parte normativa quadriennio 1998-2001 e parte economica biennio 1998-1999, sottoscritto l’8 giugno 2000, prevede al comma primo che «Ai dirigenti, all’atto della 1a assunzione sono conferibili solo incarichi di natura professionale, con precisi ambiti di autonomia da esercitare nel rispetto degli indirizzi del responsabile della struttura e con funzioni di collaborazione e corresponsabilità nella gestione delle attività», mentre, ai sensi del terzo comma, «Ai dirigenti, dopo 5 anni di attività, sono conferibili gli incarichi di direzione di struttura semplice ovvero di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio e ricerca, ispettivi, di verifica e di controllo indicati nell'art. 27, comma 1, lett. b) e c)». Inoltre, ai fini del conferimento degli incarichi e per il passaggio ad incarichi di funzioni dirigenziali diverse, il 17 comma sesto prevede che le aziende tengono conto (fra l’altro) «delle attitudini personali e delle capacità professionali del singolo dirigente sia in relazione alle conoscenze specialistiche nella disciplina di competenza che all’esperienza già acquisita in precedenti incarichi svolti anche in altre aziende o esperienze documentate di studio e ricerca presso istituti di rilievo nazionale o internazionale». L’esperienza professionale qualificata da una specifica anzianità di servizio costituisce pure il requisito prescritto dal procedimento previsto per il conferimento degli incarichi di direzione di struttura complessa, ai sensi dell’art. 29, primo comma, del C.C.N.L. del 2000, che rinvia alle procedure previste dal d.P.R. 10 dicembre 1997, n. 484, secondo cui «L’incarico di direzione sanitaria aziendale è riservato ai medici di qualifica dirigenziale che abbiano svolto per almeno cinque anni attività di direzione tecnico- sanitaria in enti o strutture sanitarie, pubbliche o private, di media o grande dimensione e che abbiano conseguito l’attestato di formazione manageriale di cui all’articolo 7 previsto per l’area di sanità pubblica.» (art. 1, comma primo). Occorre, tuttavia, sottolineare che, ai fini del conferimento degli incarichi in questione, il requisito dell’esperienza professionale e dell’anzianità di servizio rappresenta un requisito necessario ma non esaustivo, richiedendosi espressamente anche momenti di valutazione e verifica delle attività svolte e dei risultati raggiunti, ai sensi degli artt. 31 e ss. del richiamato C.C.N.L. 8. - Giova, comunque, perimetrare la portata del riconoscimento dell’anzianità di servizio stabilito dalla richiamata legislazione d’urgenza alle situazioni in cui vengano in rilievo posizioni giuridiche rispetto alle quali trovi applicazione il principio di libera circolazione dei lavoratori di cui agli artt. 39 del Trattato che istituisce la Comunità europea e 7 del regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, senza che possa, per ciò solo, configurarsi una discriminazione a sfavore delle situazioni puramente interne di uno Stato membro, come quelle in cui vengono a 18 trovarsi lavoratori che non abbiano mai esercitato il diritto di libera circolazione all’interno della Comunità Europea, rispetto ai cittadini di altri Stati membri che tale diritto abbiano invece esercitato, ferma la verifica in concreto da parte del giudice nazionale degli effetti che può dispiegare - in ipotesi – l’applicazione dell’art. 53 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (e del precedente art. 14-bis della legge 4 febbraio 2005, n. 11, di analogo tenore), secondo cui «nei confronti dei cittadini italiani non trovano applicazione norme dell’ordinamento giuridico italiano o prassi interne che producano effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento garantiti nell’ordinamento italiano ai cittadini dell’Unione europea», avuto riguardo anche alla tenuta costituzionale di una norma interna che sfavorisca i lavoratori nazionali rispetto ai cittadini di altri Stati membri (in tal senso, già Cass. Sez. L, 04/03/1996, n. 1665). 9. - In applicazione del quadro normativo sopra ricostruito, occorre considerare che, nella specie, l’odierna ricorrente, per come si legge nella sentenza impugnata, «si è laureata in medicina e chirurgia il 28 gennaio 1994 e ha ivi conseguito la specializzazione in chirurgia generale. Detti atti sono stati riconosciuti dal Ministero della Sanità della Repubblica Italiana di concerto con il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca ai fini dell’esercizio dell’attività professionale in Italia. Ed infatti la Groger ha partecipato ad un concorso pubblico per titoli ed esami e, dopo averlo superato, è stata inquadrata a tempo indeterminato nei ruoli dell’Ente con contratto stipulato in data 28.4.2004». Ne consegue che, rispetto al petitum di riconoscimento dell’anzianità maturata nel periodo dal 1° aprile 1994 al 30 aprile 2004 per il servizio svolto in precedenza nella branca di chirurgia presso l’Università di Vienna, in virtù di contratti sia a tempo determinato che a tempo indeterminato, la Corte territoriale ha errato nel ritenere che nel nostro ordinamento non si rinviene «alcuna norma che equipari o conferisca un certo valore anche al servizio prestato all’estero, ai fini dell’anzianità di servizio», per essere 19 prevista l’equiparazione normativamente «solo per l’accesso all’attività di medico chirurgo». Soccorre, infatti, la specifica previsione introdotta dalla legislazione d’urgenza, richiamata al par. 7.2., che impone di considerare l’esperienza professionale e l’anzianità acquisite da cittadini comunitari nell’esercizio di attività analoga a quella considerata rilevante e svolta in un altro Stato membro, «anche in periodi antecedenti all’adesione del medesimo all’Unione europea», in tal modo sancendo espressamente l’operatività del principio in esame con valenza retroattiva rispetto all’entrata in vigore della disposizione, in chiave strumentale rispetto allo scopo stesso perseguito dalla norma «di adempiere ad obblighi comunitari derivanti da sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee e da procedure di infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano». Quanto alla necessaria qualificazione della struttura sanitaria dello Stato membro presso cui il servizio è stato reso, il prescritto requisito risulta utilmente soddisfatto dal riconoscimento dei titoli della Groger dal Ministero della Sanità della Repubblica Italiana di concerto con il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, come indicato nella sentenza impugnata. Non risultano addotte dall’amministrazione specifiche ragioni di interesse generale - nei termini chiariti dalla richiamata giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea - che, in via di principio, valgano a giustificare il mancato riconoscimento dell’esperienza professionale maturata dalla Groger a Vienna, salvo la verifica della sussistenza delle ulteriori condizioni previste dall’ordinamento nazionale in relazione agli specifici istituti di cui si invoca l’applicazione. 10. – Pertanto, in accoglimento - nei termini di cui sopra - del primo e del secondo motivo di ricorso, va disposta la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, che provvederà a valutare la domanda avanzata dalla 20 Groger, unitamente alla disciplina delle spese processuali, anche del giudizio in cassazione, sulla base dei seguenti principi di diritto: a) l’art. 5 del d.l. 8 aprile 2008, n. 59, modificato dalla legge di conversione 6/6/2008, n. 101 e, successivamente, dall’art. 44, comma 1, del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, impone di considerare, relativamente al personale delle aree della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria che presta servizio presso le strutture sanitarie pubbliche, per le quali l’ordinamento italiano richiede, ai fini del riconoscimento di vantaggi economici o professionali, che l’esperienza professionale e l’anzianità siano maturate senza soluzione di continuità, che tale condizione non si applica se la soluzione di continuità dipende dal passaggio dell’interessato da una struttura sanitaria, di cui alla l. n. 735 del 1960, di uno Stato membro a quella dello Stato italiano, quale Stato membro; b) ai fini dell’applicazione del predetto art. 5, per struttura sanitaria, di cui alla legge n. 735 del 1960, si intende quella per cui sia intervenuto il riconoscimento, nei modi affermati dalla legge medesima, dei servizi medici prestati all’estero, con apposito provvedimento del Ministro della sanità; c) l’art. 12, comma terzo, del C.C.N.L. relativo alla dirigenza medica e veterinaria del SSN, biennio economico 2000-2001, sottoscritto l’8 giugno 2000, deve essere disapplicato, perché in contrasto con l’art. 5 del d.l. n. 59 del 2008, cit., nella parte in cui prescrive che l’esperienza professionale e l’anzianità ivi previste siano maturate senza soluzione di continuità nel caso di passaggio dell’interessato da una struttura sanitaria, di cui alla legge n. 735 del 1960, di uno Stato membro, fermo il rispetto delle ulteriori condizioni previste per il riconoscimento degli specifici istituti retributivi di cui si invoca l’applicazione; d) gli artt. 28 e 29 del C.C.N.L. dell’area relativa alla dirigenza medica e veterinaria del servizio sanitario nazionale, parte normativa quadriennio 1998-2001 e parte economica biennio 1998-1999, sottoscritto l’8 giugno 2000, vanno disapplicati nella parte in cui, ai fini delle esperienze 21 professionali e dell’anzianità di servizio maturate, non considerano il servizio svolto nel caso di passaggio dell’interessato da una struttura sanitaria, di cui alla legge n. 735 del 1960, di uno Stato membro, fermo il rispetto delle ulteriori condizioni previste per il conferimento degli incarichi dirigenziali. 11. – L’accoglimento, per quanto di ragione, del primo e del secondo motivo, e l’interpretazione qui adottata, in piena aderenza alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, esime dalla necessità di valutare la richiesta di sollevare apposita questione pregiudiziale, oggetto del terzo motivo di ricorso, che si rivela, in questo senso, inammissibile. P.Q.M. Accoglie i primi due motivi di ricorso nei sensi di cui in motivazione, dichiara inammissibile il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata sul punto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 09/01/2024 Cons. est. Presidente Ileana Fedele Lucia Tria
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 793 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi.Nu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ba.Ac.Ch.Do., An.An., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio An.An. in Napoli, p.zza (...); nei confronti -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per l'annullamento per l''annullamento Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: della Deliberazione di Giunta del Comune di Napoli n. -OMISSIS- e atti conseguenti Per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati da -OMISSIS- il 26/5/2023: della Disposizione Dirigenziale dell''Area risorse Umane del Comune di Napoli n. 68 del 31.03.2023, contenente la graduatoria definitiva della selezione per le progressioni verticali Per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati da -OMISSIS- il 29/5/2023: della Disposizione Dirigenziale dell''Area risorse Umane del Comune di Napoli n. 68 del 31.03.2023, contenente la graduatoria definitiva della selezione per le progressioni verticali Per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati da -OMISSIS- il 25/7/2023: della Disposizione del Responsabile Risorse Umane n. 84 del 18.05.2023 e della relativa graduatoria rettificata della Disposizione Dirigenziale dell''Area risorse Umane del Comune di Napoli n. 68 del 31.03.2023; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 gennaio 2024 la dott.ssa Germana Lo Sapio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Rilevato che: - con il ricorso introduttivo, la ricorrente, assunta presso il Comune di Napoli a seguito di "messa in disponibilità" e già dipendente del Comune di -OMISSIS-, ha impugnato il Regolamento per la disciplina delle progressioni verticali dei dipendenti oggetto della Deliberazione di Giunta Comunale n. 459 del 24 novembre 2022 ed il conseguente Avviso di procedura comparativa per il passaggio di carriera approvato con Disposizione del Dirigente del Servizio Programmazione e Amministrazione Giuridica Risorse Umane del Comune di Napoli n. 466 del 9 dicembre 2022, nonché gli atti della relativa procedura alla quale ha partecipato; - ha contestualmente chiesto l’accertamento del diritto a vedersi valutata la propria anzianità di servizio, prestata quale dipendente presso il precedente datore di lavoro pubblico (Comune di -OMISSIS-), con decorrenza dal 24 dicembre 1999 e con rideterminazione del punteggio assegnatole; -ha fondato la domanda di annullamento degli atti sopra menzionati sulla dedotta violazione dell’art. 3 Cost, dell’art 15 della L. 300/1970 e del d.P.C.M. 325/1988; -con il ricorso per motivi aggiunti depositato in data 26 maggio 2023, ha impugnato la successiva Disposizione Dirigenziale dell’Area risorse Umane del Comune di Napoli n. 68 del 31 marzo 2023 con la quale è stata approvata la graduatoria definitiva; -con il successivo ricorso per motivi aggiunti del 29 maggio 2023, ha chiesto l’annullamento della sopravvenuta Disposizione del Responsabile Risorse Umane n. 84 del 18 maggio 2023 con la quale il Comune di Napoli ha rettificato ed integrato la predetta graduatoria; -infine, con il ricorso per motivi aggiunti depositato, da ultimo, in data 25 luglio 2023 ha ribadito le medesime doglianze, riformulando l’istanza cautelare diretta ad ottenere un’ordinanza propulsiva che sollecitasse l’amministrazione a rimuovere i vizi dedotti nella determinazione del punteggio finale, non oggetto di alcuna modifica nel corso del susseguirsi degli atti della procedura comparativa; Ritenuto che possano non esaminarsi le eccezioni di rito (di irricevibilità e improcedibilità) sollevate dal Comune resistente, poiché il ricorso è infondato nel merito; Rilevato, in particolare che: - la domanda di annullamento degli atti della complessiva procedura di concorso è basata su un’unica doglianza, sia pure riferita a diversi parametri normativi, ovvero sulla mancata valutazione a favore della ricorrente dell’anzianità maturata alle dipendenze del Comune di -OMISSIS-, con la stessa qualifica poi ricoperta anche alle dipendenze del Comune di Napoli che ha avviato la procedura di selezione; - la procedura in controversia si colloca nell’ambito della più ampia programmazione del fabbisogno di personale 2022/2024, approvata con la Deliberazione n. 200 del 31 maggio 2022, successivamente modificata ed integrata con Deliberazione n. 263 del 14 luglio 2022 della Giunta comunale; -con la stessa, tra l’altro, il Comune di Napoli ha deciso di valorizzare le professionalità interne all’amministrazione comunale, mediante l’indizione di procedure comparative per l’attribuzione di passaggio di carriera (progressioni verticali) dalla categoria B alla categoria C (n. 100 posti) e dalla categoria C alla categoria D (n. 150 posti; oggetto della presente controversia), ai sensi dell’art. 52 comma 1-bis, del Decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, come sostituito dall’art. 3, comma 1, del D.L. 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2021, n. 113 (la deliberazione della giunta comunale n. 459 del 24 novembre 2022 di approvazione del "Regolamento per la disciplina delle progressioni verticali" ha introdotto la disciplina di fonte secondaria di tale modalità di accesso alla qualifica superiore); . - come si evince dai predetti atti generali, la progressione in questione è pertanto di carattere verticale, essendo finalizzata al passaggio di carriera nella categoria superiore del dipendente già incardinato nell’amministrazione pubblica comunale, nell’esercizio del potere organizzativo riconosciuto all’ente dal legislatore ed in deroga al principio generale del concorso pubblico per l’accesso al rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione; Rilevato che, venendo al caso concreto, la ricorrente è stata interessata, prima di essere assunta presso il Comune di Napoli che ha indetto la selezione e valutato l’anzianità di servizio, da una procedura di messa in disponibilità, disciplinata dagli artt. 33 e 34 del medesimo D. Lgs. 165/2001, relativa al personale dipendente di amministrazioni pubbliche "in esubero" e che prevede che "dalla data di collocamento in disponibilità restano sospese tutte le obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro e il lavoratore ha diritto ad un'indennità pari all'80 per cento dello stipendio e dell'indennità integrativa speciale, con esclusione di qualsiasi altro emolumento retributivo comunque denominato, per la durata massima di ventiquattro mesi" (art. 33 comma 8), poiché o nel termine di ventiquattro mesi viene ricollocato presso altre amministrazioni, o il rapporto si intende "definitivamente risolto" (art. 34 comma 4); -come rilevato anche dall’amministrazione resistente nelle proprie difese, pertanto, a differenza della "mobilità volontaria", nel caso della procedura di messa in disponibilità, si ha una sospensione del rapporto sinallagmatico di lavoro intercorrente tra il dipendente e l’amministrazione, salvo che per la corresponsione della indennità prevista dalla disposizione sopra citata a tempo determinato e con esiti non pre-determinati, poiché in caso di mancata assunzione presso altro ente, il rapporto di lavoro si risolve; Ritenuto pertanto che - già tale specifica disciplina giuridica preclude, in generale, che debba essere riconosciuta l’anzianità maturata nell’ente di provenienza nel caso, prima dei due anni, il dipendente venga ricollocato presso un altro ente, poiché vi è una soluzione di continuità nella prestazione lavorativa e quindi nell’acquisizione delle competenze e conoscenze che sono oggetto di valorizzazione con il riconoscimento della "anzianità" da parte del nuovo datore di lavoro; -nello specifico, peraltro, la procedura di selezione oggetto della presente controversia è stata bandita dal Comune di Napoli in attuazione dell’art. 22 comma 15 del d.lgs. 25 maggio 2017 n. 75 che espressamente prevede la finalità specifica della procedura di selezione derogatoria del principio del concorso pubblico, ovvero la valorizzazione delle professionalità "interne" alla medesima amministrazione ("per il triennio 2020-2022, le pubbliche amministrazioni, al fine di valorizzare le professionalità interne, possono attivare, nei limiti delle vigenti facoltà assunzionali, procedure selettive per la progressione tra le aree riservate al personale di ruolo, fermo restando il possesso dei titoli di studio richiesti per l'accesso dall'esterno. Il numero di posti per tali procedure selettive riservate non può superare il 30 per cento di quelli previsti nei piani dei fabbisogni come nuove assunzioni consentite per la relativa area o categoria. In ogni caso, l'attivazione di dette procedure selettive riservate determina, in relazione al numero di posti individuati, la corrispondente riduzione della percentuale di riserva di posti destinata al personale interno, utilizzabile da ogni amministrazione ai fini delle progressioni tra le aree di cui all'articolo 52 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Tali procedure selettive prevedono prove volte ad accertare la capacità dei candidati di utilizzare e applicare nozioni teoriche per la soluzione di problemi specifici e casi concreti. La valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni, l'attività svolta e i risultati conseguiti, nonché l'eventuale superamento di precedenti procedure selettive, costituiscono titoli rilevanti ai fini dell'attribuzione dei posti riservati per l'accesso all'area superiore") in linea con la norma più generale dell’art. 52 comma 1-bis sopra citato; -alla luce di tale cornice normativa, pertanto, legittimamente il Comune di Napoli ha esercitato il potere discrezionale di valutare esclusivamente l’anzianità dei dipendenti incardinati presso la propria amministrazione che, per numero di dipendenti, di popolazione interessata, di articolazione territoriale e complessità di funzioni amministrative svolte, non è ovviamente comparabile a quella del Comune di -OMISSIS-, da cui proviene l’odierna interessata; -trattandosi di una progressione verticale (che prevede il passaggio dalla categoria C a quella D ed essendo riservata al personale interno), è esente pertanto dalle censure spiegate la valutazione del requisito soggettivo del servizio prestato esclusivamente presso l’Amministrazione indicente, poiché anzi tale requisito è coerente con la funzione perseguita con la predetta comparazione, volta proprio a consolidare le pregresse esperienze lavorative del personale interno maturate nel tempo all’interno della medesima amministrazione; Ritenuto che, in conclusione, il ricorso introduttivo e quelli per motivi aggiunti debbano essere rigettati e che tuttavia la peculiarità della questione giustifichi la compensazione delle spese di lite; P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, li rigetta. Compensa le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti del giudizio. Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Severini - Presidente Rita Luce - Consigliere Germana Lo Sapio - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10324 del 2021, proposto dalla società Cl. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pa. Be., An. Ma. e Pa. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato An. Ma. in Roma, via (...); contro Au. Pe. Lo. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Fr. Fe. e Fr. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Gi. Fr. Fe. in Roma, via di (...); nei confronti Co. au. lo. S.p.A., non costituita in giudizio; Ministero dell'interno, Ufficio territoriale del governo Milano e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia Sezione Terza n. 1827/2021, in data 26 luglio 2021, resa tra le parti, concernente l'ottemperanza della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Sede di Milano, Sezione Terza, n. 1959/2020, pubblicata in data 19 ottobre 2020, nel giudizio r.g. n. 1219/2014. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della società Au. Pe. Lo. S.p.A., del Ministero dell'interno, Ufficio territoriale del governo Milano e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (già Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2023 il Cons. Rosario Carrano e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Le società Cl. s.p.a. e Au. Pe. Lo. S.p.A. - AP. (concessionaria - in virtù di apposita "Convenzione Unica" sottoscritta in data 1° agosto 2007 con la concedente C.A. Co. au. lo. S.p.A. - per la progettazione, costruzione e gestione del "Collegamento Autostradale (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis) ed opere ad esso connesse") concludevano, in data 2 agosto 2012, un "contratto preliminare di cessione volontaria di immobili soggetti ad esproprio per pubblica utilità ", in forza del quale la prima si impegnava a trasferire alla seconda una parte del suo compendio immobiliare - coinvolto nella realizzazione della tratta "C" dell'opera autostradale in discorso - per Euro 42.000.000,00, mentre Au. Pe. Lo. S.p.A. avrebbe dovuto versare alla prima una caparra confirmatoria di Euro 15.000.000,00, da corrispondere in tre rate, di cui Euro 6.000.000,00 al momento della stipula del contratto preliminare, Euro 4.000.000,00 entro il 31 ottobre 2012 ed Euro 5.000.000,00 entro il 31 gennaio 2013. In data 30 gennaio 2014 Au. Pe. Lo. S.p.A. emanava il provvedimento di "revoca in autotutela e contestuale recesso unilaterale dal contratto preliminare di cessione volontaria di immobili soggetti ad esproprio per pubblica utilità " e con separato provvedimento in pari data chiedeva a Cl. s.p.a. la restituzione delle somme precedentemente versate a titolo di caparra confirmatoria, per un totale di Euro 10.000.000,00. Sul ricorso proposto da Cl. s.p.a. (r.g. n. 1219/2014), con cui venivano impugnati tali provvedimenti, il T.a.r. per la Lombardia, sede di Milano, sezione III, con la sentenza 19 ottobre 2020 n. 1959, ha, per un verso, rilevato la legittimità della revoca e del contestuale recesso di AP., da ciò conseguendo peraltro l'infondatezza della domanda di Cl. volta a trattenere le somme corrisposte da AP. a titolo di caparra confirmatoria, per altro verso, ha ritenuto che l'Amministrazione avesse violato l'obbligo di provvedere all'indennizzo della ricorrente dovuto ai sensi degli artt. 11, comma 4, e 21-quinquies della l. n. 241/1990. Per tali ragioni, il Tribunale ha accolto la domanda di condanna di Au. Pe. Lo. S.p.A. a corrispondere alla ricorrente detto indennizzo, per la cui quantificazione, ai sensi dell'art. 34, comma 4, c.p.a., ha stabilito i seguenti criteri, assegnando ad Au. Pe. Lo. S.p.A. il termine di quarantacinque giorni dalla comunicazione della sentenza per la formulazione di una proposta: "- l'indennizzo dovrà includere tutte le spese documentate da Cl. s.p.a. che siano state sostenute entro il 23.9.2013 (allorquando Au. Pe. Lo. S.p.A. ha rappresentato all'interessata l'insorgenza di circostanze che mettevano in dubbio il buon esito della vicenda); - entro questi limiti, dovrà tenersi conto di tutte le spese che la ricorrente ha sostenuto per programmare il trasferimento della propria azienda in tempo utile a garantire, al contempo, la tempestiva consegna dell'area da cedere e la prosecuzione della propria attività senza soluzione di continuità ". In data 3 dicembre 2020 AP. ha inviato una proposta di pagamento a titolo di indennizzo pari ad Euro 18.876,00, corrispondente alla somma fatturata alla ricorrente per la perizia estimativa dell'immobile di via (omissis), oggetto di possibile trasferimento, subordinandone il pagamento in favore della società Cl. al fatto che quest'ultima comprovasse, con adeguata documentazione bancaria, l'intervenuto pagamento della fattura n. 5 del 17 ottobre 2012. Con ricorso (r.g. n. 364/2021) Cl. s.p.a. ha lamentato l'omessa ottemperanza, da parte della società Au. Pe. Lo., alla citata sentenza n. 1959/2020 (divenuta irrevocabile), deducendo che la proposta di AP. di pagamento a titolo di indennizzo fosse non rispettosa dei criteri stabiliti dalla stessa sentenza. La ricorrente, ritenendo che l'importo da calcolarsi a titolo di indennizzo avrebbe dovuto considerare non soltanto le spese documentate, ma anche tutte le obbligazioni da essa assunte entro la data fissata dalla sentenza n. 1959/2020 (il 23 settembre 2013) per programmare il trasferimento della propria azienda, e prescindendo da documentazione bancaria o contabile aggiuntiva rispetto alle fatture, ha sostenuto la necessità di includere, ai fini della determinazione dell'indennizzo, anche gli importi elencati nel "Prospetto riepilogativo" depositato in atti, comprensivo di: i) importi versati da Cl. in relazione alla fideiussione n. 4861/12/107 presentata ad AP. in esecuzione al contratto preliminare stipulato in data 2 agosto 2012; ii) pagamenti effettuati da Cl. entro il 23 settembre 2013 per programmare il trasferimento dello stabilimento; iii) pagamenti effettuati successivamente alla data del 23 settembre 2013 ma relativi a obbligazioni assunte prima della suddetta data per programmare il trasferimento dello stabilimento da parte di Cl.. Il T.a.r. per la Lombardia, sede di Milano, sezione III, con la sentenza 26 luglio 2021 n. 1827, ha accolto in parte il ricorso e ha compensato le spese del giudizio. In particolare, il Tribunale: a) ha rilevato che "il dictum giudiziale è, al riguardo, inequivocabile, nel senso di richiedere che l'esborso delle somme sia avvenuto entro la data del 23.09.2013, per cui vanno esclusi, in forza di tale sbarramento, i pagamenti intervenuti in seguito, benché sulla base di obbligazioni assunte in precedenza"; b) quanto agli importi effettivamente versati da Cl. prima di tale termine ultimo ha ritenuto fondati i soli rilievi mossi con riferimento agli importi versati in data 20 settembre 2012 (pari ad Euro 7.432,26) e in data 1° novembre 2012 (pari ad Euro 12.602,74) in relazione alla fideiussione stipulata in contemporanea alla stipula del contratto preliminare ed ha reputato che l'esito dell'esame condotto da AP. sulle fatture prodotte da Cl. risultasse immune dalle censure sollevate; c) ha quindi condannato AP. a corrispondere gli importi dovuti, oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi legali; d) ha assegnato ad AP. un termine per ottemperare pari a 60 giorni, decorrente dalla comunicazione e/o notificazione della sentenza; e) ha nominato quale commissario ad acta, per il caso d'inutile decorso del termine assegnato per l'ottemperanza, il Prefetto di Milano. In data 23 settembre 2021, AP. ha trasmesso a Cl. una nuova proposta di indennizzo comprensiva, oltre alla somma già offerta in precedenza - previa esibizione di adeguato documento bancario - di Euro 18.876,00 relativa alla perizia estimativa redatta dal geom. Magnano, anche delle somme versate dalla medesima a titolo di fideiussione e pari rispettivamente ad Euro 7.432,26 in data 20.09.2012 e di Euro 12.602,74 in data 1° novembre 2012. Con il presente ricorso in appello la società Cl. agisce per ottenere la riforma della sentenza 26 luglio 2021 n. 1827 del T.a.r. per la Lombardia, sede di Milano, sezione III, e il conseguente accoglimento integrale dell'originario ricorso in ottemperanza. In particolare, l'appellante ha sostenuto un'unica complessa censura, deducendo che il T.a.r. avrebbe errato nel non tenere conto di tutte le obbligazioni di pagamento assunte da Cl. nei confronti di terzi entro il 23 settembre 2013 per programmare il trasferimento della propria azienda, indipendentemente dal momento in cui i relativi pagamenti siano effettivamente avvenuti; ai fini del calcolo dell'indennizzo dovrebbero pertanto essere considerati: a) i pagamenti effettuati da Cl. successivamente alla data del 23 settembre 2013 ma relativi a obbligazioni assunte prima di tale data, in quanto, l'interpretazione - assunta nella sentenza gravata - di "spese documentate" limitata al significato di "pagamento" o di "versamento" determinerebbe una evidente elusione del criterio stabilito nella pronuncia ottemperanda che ha imposto di considerare tutte le spese sostenute da Cl. in relazione agli impegni assunti entro la data del 23 settembre 2013. Per tale motivo, dovrebbero essere inclusi nell'indennizzo: a.1) l'importo complessivo di Euro 548.492,13, pari alla somma di quanto versato dall'odierna ricorrente alla Ca. S.p.A. a titolo di rimborso dei pagamenti effettuati dalla Impresa Edile Mo. per conto di Cl., in forza degli accordi stipulati in data 10 ottobre 2012; a.2) gli importi di Euro 607.000,00 e di Euro 405.100,00 versati nel corso degli anni quali canoni di locazione per gli immobili di (omissis) e di (omissis), presso cui l'odierna ricorrente è stata costretta a trasferire parte della propria attività ; b) gli importi versati da Cl. in relazione alla fideiussione n. 4861/12/107 presentata ad AP. in esecuzione al contratto preliminare stipulato in data 2 agosto 2012, per una somma complessiva di Euro 180.171,98; c) i pagamenti effettuati da Cl. entro il 23 settembre 2013 per programmare il trasferimento dello stabilimento (da considerare, quanto meno, ai fini di una liquidazione equitativa), in relazione ad essi essendo ravvisabile la destinazione esclusiva dei lavori svolti e delle prestazioni usufruite da Cl. al trasferimento aziendale ed essendo stata dimostrata la definitiva inutilità dei beni o servizi acquistati, ammontanti ad un importo complessivo di Euro 1.608.707,15. Si è costituita in giudizio Au. Pe. Lo. S.p.A., successivamente depositando memoria difensiva, con cui si è opposta all'appello e ne ha chiesto il rigetto. In particolare, AP.: a) ha eccepito l'inammissibilità della documentazione prodotta dall'appellante nel presente grado di giudizio, nonché, ad ogni modo, l'inidoneità e l'irrilevanza della stessa ai fini della prova dei pagamenti, attenendo ad esborsi posteriori alla data del 23 settembre 2013 ovvero non connessi con il trasferimento aziendale; b) ha richiamato i criteri indicati dal T.a.r. ex art. 34, c. 4, c.p.a. ai fini della determinazione dell'indennizzo nella sentenza ottemperanda e ha rilevato l'irrevocabilità della stessa essendo passata in giudicato, stante la mancata impugnazione da parte della Cl.; c) si è opposta al pagamento degli ulteriori importi adducendo plurime motivazioni. Con memoria depositata in data 1° febbraio 2022 l'appellante ha ribadito le proprie difese e conclusioni. Le parti hanno, quindi, scambiato memorie di replica, con cui, in particolare: a) Cl. si è opposta all'eccezione di inammissibilità della produzione documentale, rilevando che, con la sentenza n. 1959/2020, il T.a.r. non aveva posto limiti né di tempo né di modo per la dimostrazione delle spese effettuate ed ha, a sua volta, eccepito l'inammissibilità delle eccezioni svolte da controparte in ordine agli importi relativi ai premi delle fideiussioni, rilevando al riguardo la mancata proposizione di ricorso incidentale; la società appellante ha inoltre avanzato richiesta di verificazione per la quantificazione dell'indennizzo; b) AP. si è opposta a tale richiesta istruttoria e alla domanda di parte appellante di ottenere una valutazione equitativa dell'indennizzo. Alla camera di consiglio del 17 febbraio 2022 la causa è stata trattenuta in decisione. Con sentenza parziale non definitiva del 3 marzo 2022, n. 1515, il Collegio, respinte le eccezioni preliminari, ha rigettato l'appello nella parte in cui pretendeva di includere nel danno emergente anche le obbligazioni assunte prima del 23 settembre 2013, ma pagate solo successivamente, disponendo poi una verificazione per l'ulteriore definizione della controversia. In particolare, il Collegio ha precisato che le statuizioni del T.ar. risultano chiare nell'individuare uno specifico limite temporale, ossia il 23 settembre 2013 come data di conoscenza da parte della società Cl. della volontà di AP. di effettuare verifiche in ordine alla legittimità del procedimento tecnico-amministrativo sfociato nella sottoscrizione del contratto preliminare. Tale data rappresenta pertanto lo "spartiacque" per AP. ai fini della valutazione delle spese di cui tener conto per la quantificazione dell'indennizzo, essa dovendo considerare in particolare che di tali spese, secondo quanto affermato dal medesimo Tribunale, rilevano solo quelle effettivamente "sostenute", quindi pagate, prima di tale momento, che siano "documentate" da parte della società Cl. e che siano necessarie a "programmare il trasferimento della propria azienda in tempo utile a garantire, al contempo, la tempestiva consegna dell'area da cedere e la prosecuzione della propria attività senza soluzione di continuità ". D'altro canto, essendo stato utilizzato il termine "sostenute" non può in alcun modo ritenersi sufficiente la mera assunzione della obbligazione da parte di Cl., associata al versamento della relativa somma in un momento successivo allo "sbarramento temporale" indicato, essendo necessario che, entro il termine indicato, vi fosse stato anche l'adempimento dell'obbligazione. Pertanto, ha ritenuto prive di fondamento le domande di parte ricorrente, ribadite nella presente sede di appello, volte a far prendere in considerazione, ai fini della quantificazione dell'indennizzo: a) i pagamenti effettuati da Cl. successivamente alla data del 23 settembre 2013 ma relativi a obbligazioni assunte prima di tale data, ivi compresa la somma versata alla Ca. S.p.A. a titolo di rimborso dei pagamenti effettuati dalla impresa Edile Mo. per conto di Cl. e gli importi versati quali canoni di locazione per gli immobili di (omissis) e di (omissis); b) gli importi versati da Cl., in relazione alla garanzia fideiussoria n. 4861/12/107 in esecuzione al contratto preliminare stipulato in data 2 agosto 2012, successivamente al 23 settembre 2013. Ciò posto, con la medesima sentenza non definitiva, il Collegio ha demandato al verificatore appositamente nominato di individuare con chiarezza "quali delle spese effettuate dalla società Cl. entro la data del 23 settembre 2013 siano state effettivamente ed inequivocabilmente finalizzate a programmare e a realizzare il trasferimento dello stabilimento di (omissis) in ragione della conclusione - in data 2 agosto 2012 con AP. - del contratto preliminare di cessione volontaria di immobili soggetti ad esproprio per pubblica utilità, a tali fini valutando la idoneità della documentazione prodotta a dimostrare l'avvenuto pagamento". In data 22 settembre 2023, è stata depositata la versione definitiva della verificazione. Le parti hanno quindi depositato documenti, memorie difensive e di replica. Alla camera di consiglio del 14 dicembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. - La presente controversia ha ad oggetto l'esatta quantificazione, ai sensi dell'art. 34, comma 4, c.p.a., dell'indennizzo dovuto alla Cl. a seguito di legittima revoca della procedura espropriativa (art. 21-quinquies, l. n. 241/1990) e del conseguente recesso dal contratto preliminare di cessione volontaria (art. 11, comma 4, l. n. 241/1990). Innanzitutto, occorre prendere le mosse dalla disposta verificazione. Il verificatore, alla luce della data di conclusione del contratto preliminare indicata nel quesito (2 agosto 2012), ha preliminarmente suddiviso le varie situazioni contabili da prendere in considerazione in 4 distinte categorie (pag. 34 della verificazione): Categoria 1): documenti con "data fattura" compresa tra il 2 agosto 2012 e il 23 settembre 2013 e "data pagamento" ante 23 settembre 2013; Categoria 2): documenti con "data fattura" ante 2 agosto 2012 e "data pagamento" compresa tra il 2 agosto 2012 e il 23 settembre 2013; Categoria 3): documenti con "data fattura" ante 2 agosto 2012 e "data pagamento" ante 2 agosto 2012; Categoria 4): documenti con "data fattura" qualsiasi, antecedente il 23 settembre 2013, ma "data pagamento" post 23 settembre 2013. Pertanto, il verificatore ha ritenuto di includere nel calcolo le spese della categoria 1), rimettendo al Collegio la valutazione circa l'eventuale debenza delle spese di cui alla categoria 2), quantificate a tal fine in maniera separata, essendovi contestazione tra le parti in ordine all'interpretazione del riferimento del 2 agosto 2012 contenuto nel quesito. Ha concluso, quindi, come segue: "Dopo avere condotto in contraddittorio con i CTP delle relative Parti costituite i lavori di verificazione, si ritiene che i risultati possano essere i seguenti: - le spese di categoria 1), emesse tra il 2 agosto 2012 e il 23 settembre 2013, "pagate" entro la data del 23 settembre 2013, connesse all'oggetto del contratto preliminare stipulato con AP. ovvero sostenuti con la finalità di programmare il trasferimento dello stabilimento di (omissis), ammontano a 902.596 Euro, senza considerare le fatture emesse prima della data del 2 agosto 2012 e pagate entro il 23 settembre 2013; - le spese di categoria 2), emesse prima del 2 agosto 2012, "pagate" entro la data del 23 settembre 2013, ammontano a ulteriori 171.197 Euro, in attesa della pronuncia dell'On. le Consiglio di Stato sull'interpretazione della data del 2 agosto 2012, inserita nel quesito. Qualora l'On. le Consiglio di Stato ritenesse ammissibili entrambe le categorie di spese, il valore totale sarebbe di 1.073.793 Euro" (pag. 62 della verificazione). 1.1. - Orbene, prima di analizzare le questioni sorte all'esito della verificazione, occorre preliminarmente affrontare l'eccezione sollevata da AP. di inammissibilità della documentazione prodotta da Cl. su invito del verificatore, da cui sarebbe derivata una lesione del contraddittorio. L'eccezione è infondata. Innanzitutto non corrisponde al vero che su tale documentazione il CTP non sia stato in grado di esprimersi. Infatti, lo stesso verificatore ha precisato che "Tutti i documenti sono stati resi disponibili ai CTP delle Parti costituite e il contraddittorio ha visto confrontarsi i CTP per ben 4 volte durante i lavori. Pertanto, si deve escludere che la verificazione non sia avvenuta nel rispetto del contraddittorio tra i CTP delle rispettive Parti costituite" (pag. 60 della verificazione). Ad ogni modo, la parte AP. ha avuto modo di esprimersi su tale documentazione mediante le apposite memorie difensive depositate in giudizio, con la conseguenza di dover escludere ogni lesione del diritto di difesa. In secondo luogo, la suddetta documentazione deve ritenersi senz'altro ammissibile, in quanto non introduce fatti nuovi nel giudizio, ma si limita a specificare alcuni elementi di dettaglio (luogo di destinazione della merce o del servizio e data del pagamento) rispetto a fatti già ritualmente acquisiti in giudizio con la "documentazione prodotta". Sul punto, infatti, il verificatore ha evidenziato che "per poter procedere con completezza di informativa, ha ritenuto di richiedere, durante le operazioni di verificazione, ulteriori documenti amministrativi di dettaglio, non presenti inizialmente, indispensabili per le analisi. Per fare un esempio: laddove era in discussione l'inerenza di una fattura di costi e nella fattura era indicato un d.d.t. (documento di trasporto), che testimonia la consegna fisica di un bene, il sottoscritto verificatore ha richiesto copia del d.d.t., per verificare se la destinazione dei beni fosse (omissis) (stabilimento da chiudere) o (omissis) (nuovo stabilimento). Inoltre, il sottoscritto verificatore ha richiesto le contabili di tutti i pagamenti, per poter verificare, per esempio, se fossero avvenuti entro o oltre le data, indicate dal quesito, quella del 2/08/2012 e quella del 23/09/2013 (pag. 60 della verificazione). Inoltre, ha precisato che "nello specifico, come documenti contabili di dettaglio richiesti, si è trattato esclusivamente di d.d.t. (documenti di trasporto), in grado di esplicitare il luogo effettivo di consegna di beni fatturati alla società Cl. o di contabili bancarie sui pagamenti effettuati. Si rimette all'On. le Consiglio di Stato ogni considerazione in merito" (pag. 60 della verificazione). In ogni caso, la parte Cl. ha poi provveduto a depositare tale documentazione in data 23 novembre 2023, ossia nel rispetto dei termini appositamente previsti ai sensi dell'art. 73, comma 1, c.p.a. (e dell'art. 87, comma 3, c.p.a.). 1.2. - La seconda questione da risolvere attiene alla qualificazione giuridica della data indicata nel quesito del 2 agosto 2012, se cioè essa possa essere considerata o meno come termine iniziale prima del quale nessuna spesa può rilevare. Premesso che il termine finale del 23 settembre 2013, ai fini della rilevanza delle spese da includere nel danno emergente, risulta ormai coperto dal giudicato, il Collegio ritiene che la data del 2 agosto 2012 non possa essere considerata come termine iniziale (come sostenuto da AP.), per due ordini di ragioni. Innanzitutto, trattandosi di un giudizio di ottemperanza, occorre avere riguardo esclusivamente alle statuizioni contenute nel giudicato, che hanno carattere vincolante, mentre nessun vincolo discende dal quesito formulato al verificatore, che ha una valenza meramente istruttoria. Ciò posto, nel giudicato in questione non vi è alcun cenno ad un termine iniziale, ma solo al suddetto termine finale del 23 settembre 2013. In secondo luogo, anche a prescindere dal suddetto rilievo di tipo formale, occorre considerare che il criterio di rilevanza delle spese stabilito nel giudicato, oltre al suddetto limite temporale (23 settembre 2013), è di tipo finalistico, facendo cioè riferimento alle spese che sono state sostenute al fine di programmare il trasferimento. Più precisamente, il giudicato stabilisce che "dovrà tenersi conto di tutte le spese che la ricorrente ha sostenuto per programmare il trasferimento della propria azienda in tempo utile a garantire, al contempo, la tempestiva consegna dell'area da cedere e la prosecuzione della propria attività senza soluzione di continuità ". Il riferimento al trasferimento "in tempo utile" per garantire la tempestiva consegna e la prosecuzione dell'attività è senz'altro incompatibile con la fissazione di un rigido termine iniziale a partire dal quale considerare le spese, mentre risulta necessario e sufficiente che tali spese siano state effettuate con la suddetta finalità del trasferimento ed entro il limite temporale del 23 settembre 2013. In senso contrario, non vale sostenere l'irrilevanza delle spese sostenute prima della conclusione del contratto preliminare. Invero, le ipotesi prese in considerazione da AP. (spese sostenute anche 5 mesi prima del preliminare) non escludono la sussistenza di un collegamento con la stipula del contratto, dovendo considerare, da un alto, che le trattative per la cessione dell'area sono durate diversi anni e, dall'altro, che il trasferimento di un complesso impianto produttivo di quelle dimensioni e di quella portata (come evidenziato dal verificatore) implicava necessariamente un'adeguata programmazione da effettuarsi con largo anticipo. Piuttosto, deve ritenersi che il riferimento alla data del 2 agosto 2012 contenuto nel quesito vada interpretato non già come termine iniziale, bensì come mera indicazione della data di stipula del contratto preliminare al quale le spese devono essere connesse e, quindi, al fine di verificare l'inerenza della spesa anche a livello temporale (alla stregua di un criterio sussidiario per la verifica dell'inerenza della spesa se non evincibile in maniera inequivoca dall'oggetto), con la conseguenza di ritenere presumibilmente connessa con il contratto quella spesa che, unitamente ad altri indizi gravi, precisi e concordanti in tal senso, risulti effettuata in prossimità della stipula (a prescindere se fatturate o pagate prima o dopo). Pertanto, alla luce di tali considerazioni, mentre sono pacificamente escluse le spese di cui alla categoria 4 (pagate dopo il 23 settembre 2013) stante il vincolo del giudicato, per quelle effettuate prima di tale data, devono ritenersi incluse nell'indennizzo anche le spese di cui alla categoria 2 (fattura ante preliminare e pagamento post preliminare) e alla categoria 3 (fatture e pagamento ante preliminare), in quanto ciò che rileva è la prova dell'inerenza della spesa all'operazione contrattuale a prescindere dalla data della fattura o del pagamento (se prima o dopo il 2 agosto 2012), ben potendo esservi delle spese fatturate e pagate prima della stipula del preliminare ma causalmente ricollegabili allo stesso, fermo restando il limite invalicabile del pagamento entro il 23 settembre 2013. Peraltro, con specifico riferimento a tali categorie di spesa, lo stesso verificatore ne riconosce la pertinenza (pag. 41 della verificazione: "Vi sono, poi, quelle emesse e pagate entro la data del 2 agosto 2012: - n. 114 del 30/03/2012 di 30.000 Euro di imponibile; - n. 139 del 30/04/2012 di 30.000 Euro di imponibile. Anche se le due ultime categorie (n. 2 e n. 3: n. d.r.), trattandosi di un progetto unitario di riorganizzazione, dovrebbero essere trattate allo stesso modo, qualora l'On. le Consiglio di Stato ritenesse che la data inferiore del 2 agosto 2012 non rappresenti una "barriera" limite, potranno essere considerate per la loro inerenza"). Concludendo sul punto, quindi, devono ritenersi astrattamente rilevanti, sulla base del giudicato in esame, tutte le spese comprese nelle categorie 1, 2 e 3, con esclusione della categoria 4. Per quanto riguarda, invece, la quantificazione delle spese rientranti in ciascuna categoria, si osserva quanto segue. 2. - In primo luogo, con riferimento alla categoria 1), deve prendersi atto che la voce di spesa più consistente e più controversa è relativa all'assistenza legale e tributaria. In particolare, si tratta di acconti mensili di Euro 30-40.000,00 circa in favore dello studio legale, effettuati, complessivamente, nel periodo tra l'ottobre 2012 e il dicembre 2016, che riportano in fattura la dicitura "Cl. - Pe." (quelle nel periodo rilevante, ossia tra ottobre 2012 e settembre 2013, sono pari ad Euro 468.000,00); stesso discorso per lo studio tributario (acconti da Euro 52.000,00 al mese per 5 mesi: tra ottobre 2012 e febbraio 2013) per un totale di Euro 260.000,00 per fatture relative a "Trasferimento dell'attività operativa. Parere in materia tributaria". Con specifico riferimento alle spese legali, la parte appellata AP. sostiene che tali spese sarebbero solo genericamente connesse all'accordo preliminare, trattandosi di spese riguardanti anche altri aspetti e che sarebbero in ogni caso sproporzionate e abnormi (tot. Euro 468.000,00) rispetto al valore dell'affare e ai parametri forensi, per cui nessuna somma potrebbe essere riconosciuta a tale titolo. La Cl., invece, ne ha reclamato il pagamento per intero di quelle rientranti nel periodo rilevante (tra ottobre 2012 e settembre 2013), per complessivi Euro 468.000,00, sostenendo che: a) gli importi sarebbero coerenti con la quantificazione effettuata dalla stessa AP. al punto 2) della tabella allegata alla delibera di C.d.A. del 16 dicembre 2011 (cfr. doc. 11), in cui - considerando la particolare complessità delle attività da rendersi - veniva indicata la percentuale del 7% della stima di Euro 36.311.000,00 (e quindi un importo complessivo di Euro 2.528.818,00) quale parametro da considerare per tale tipologia di spese; b) le prestazioni rese dall'avv. Ga. sarebbero relative all'attività di consulenza legale resa continuativamente con riferimento all'intera trattativa per la definizione degli accordi e del contratto preliminare con AP., nonché per la gestione di tutte le problematiche giuridico-legali connesse all'esproprio dello stabilimento di (omissis), per cui non vi sarebbero attività rese dall'avv. Ga. che non siano connesse con la vicenda espropriativa e con la programmazione del trasferimento dell'azienda; c) all'epoca, non esistevano questioni controverse tra Cl. e AP. dato che i vari procedimenti giudiziali con AP. sarebbero iniziati solo a partire dal 2014. Il verificatore, da parte sua, ha innanzitutto delimitato il periodo di riferimento a quello non contestato neanche da AP. (fatturazione e pagamento tra il 2 agosto 2012 e il 23 settembre 2013). Allo stesso tempo, però, ha evidenziato la necessità di definirne il quantum, secondo il seguente metodo: AP. ha quantificato in circa Euro 62.000,00 le spese legali (facendo applicazione dei parametri forensi che prevedono per l'assistenza legale stragiudiziale per valori superiori ai 22 milioni di euro un compenso pari allo 0,25% del valore dell'affare), mentre Cl. ha chiesto il riconoscimento di tutte le fatture nel periodo considerato pari ad Euro 468.000,00. Su tali basi, il verificatore ha ritenuto congruo ed equo procedere con una media tra i due valori (ossia Euro 265.000,00), corrispondente alle prime 7 fatture dell'elenco, emesse in un periodo di 9 mesi dall'accordo, per un importo di Euro 260.000,00 e pari all'1% del valore dell'affare. Infine, vista la suddetta parametrazione delle spese legali, ha ritenuto allo stesso congrue anche quelle per assistenza tributaria, pari ad altri Euro 260.000,00 per un totale di Euro 520.000,00. Tuttavia, la Cl. ha contestato il calcolo effettuato dal verificatore ritenendo che il valore dell'affare da utilizzare nell'applicazione della percentuale dello 0,25% indicata dal D.M. n. 55/2014 sarebbe di 42 milioni di euro, come indicato nel contratto preliminare sottoscritto dalle parti (e non di 22 milioni di euro come indicato dal verificatore). Pertanto, l'applicazione di tale parametro tabellare avrebbe dovuto condurre ad un valore di Euro 125.000,00 comprensivo di CPA e spese forfettarie (e non di Euro 66.000,00: cfr. pag. 57 della relazione di verificazione). Tale cifra sarebbe, poi, da mediare con la richiesta di Cl. di Euro 468.000,00, conducendo al valore di Euro 296.500,00, per una differenza, quindi, di Euro 36.500,00 rispetto a quella riconosciuta dal verificatore (Euro 260.000,00). Pertanto, la Cl. ha concluso nel seguente modo: per la categoria 1), ha chiesto di considerare per le spese legali Euro 468.000,00 o, in subordine, altri Euro 36.500,00 in applicazione del DM 55/2014; per la categoria 2), ha chiesto di includere Euro 30.000,00, escluse dal verificatore per mero errore materiale; per la categoria 3), ha chiesto di includerle tutte le spese, quantificate dal verificatore in Euro 60.000,00. La parte appellata AP., invece, ha concluso come segue: per la categoria 1), ha chiesto di escludere tutte le spese di assistenza legale e tributaria (Euro 520.000,00) oltre a contestare l'inerenza di singole fatture (pag. 22-27, memoria del 28 novembre 2023); per la categoria 2), ha chiesto di escludere tutte le spese in quanto fatturate prima del 2 agosto 2012 (pari a Euro 171.197,00); in subordine, ha contestato l'inerenza delle singole fatture (pag. 8-12, memoria del 28 novembre 2023). per la categoria 3), ha chiesto di escludere tutte le spese in quanto fatturate e pagate prima del 2 agosto 2012 (quantificate dalla relazione in Euro 60.000,00). 2.1. - Orbene, con riferimento alle spese di cui alla categoria 1), il Collegio ritiene di condividere il calcolo effettuato dal verificatore, applicando, però, una decurtazione nella misura del 50% delle spese di cui alle fatture contestate da AP.. 2.1.1. - Preliminarmente, è opportuno distinguere le spese per l'assistenza legale da quelle per l'assistenza tributaria, stante la diversità delle relative risultanze probatorie. Invero, mentre per le prime deve escludersi la sussistenza di una prova diretta, idonea a dimostrare la sicura riconducibilità delle spese di assistenza legale alla vicenda del trasferimento, per le seconde, invece, tale prova sussiste. Infatti, si tratta solamente di 5 fatture di eguale importo (Euro 52.000,00), emesse tutte successivamente alla stipula del preliminare (tra ottobre 2012 e febbraio 2013) e pagate entro il termine indicato nel giudicato del 23 settembre 2013. Inoltre, tutte le suddette fatture recano nell'oggetto la dicitura "Trasferimento dell'attività operativa. Parere in materia tributaria". Tale documentazione dimostra in modo diretto che si tratta di una consulenza in materia tributaria connessa al trasferimento dell'attività produttiva conseguente alla stipula del contratto preliminare di cessione volontaria. Ciò è sufficiente ai fini della prova, non essendo invece richiesta anche la dimostrazione della corrispondente prestazione professionale, con conseguente infondatezza dell'eccezione di AP. relativa alla mancanza di prova della sussistenza del parere oggetto della prestazione professionale. Inoltre, l'importo complessivo (Euro 260.000,00) deve ritenersi congruo, avuto riguardo alla complessità dell'operazione (attestata dal verificatore) e al suo valore (Euro 42.000.000,00), nonché alla luce dei relativi parametri tariffari, specificamente valutati dal verificatore (pag. 59 della verificazione: "Traendo anche spunto dalla tariffa dell'Ordine dei Dottori Commercialisti, si ritiene che un valore della consulenza simile a quanto definito per lo Studio Legale Prof. Ga. sia congruo, trattandosi di una assistenza specialistica differente, ma applicata allo stesso oggetto di analisi"). 2.1.2. - Discorso diverso, invece, deve essere fatto con riferimento alle spese per l'assistenza legale. Queste ultime, infatti, a differenza di quelle per l'assistenza tributaria, coprono nel complesso un periodo di oltre 4 anni (dall'ottobre 2012 al dicembre 2016), per cui non può dirsi con certezza che quelle sostenute nel periodo rilevante (tra il 2 agosto 2012 e il 23 settembre 2013) siano riconducibili alla vicenda espropriativa. In questo senso, sarebbe fondato il rilievo di AP. secondo cui il mero dato temporale non è sufficiente a tal fine. Allo stesso modo, le fatture emesse dallo studio legale contengono solo un generico riferimento ai rapporti tra Cl. e Pe., non univocamente riconducibile alla vicenda del trasferimento conseguente all'esproprio, a differenza di quelle del commercialista che fanno esplicito riferimento al "Trasferimento dell'attività operativa. Parere in materia tributaria". Tuttavia, ciò non toglie che si possa ugualmente addivenire alla dimostrazione dell'inerenza al trasferimento di una parte di tali spese, mediante il ricorso alla prova indiretta per presunzioni ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c. Come è noto, "Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato" (art. 2727 c.c.) con la precisazione che "Le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti" (art. 2729 c.c.). Nel caso di specie, quindi, la prova dell'inerenza delle spese legali al trasferimento conseguente alla vicenda espropriativa (fatto ignoto) ben può fondarsi su di una serie di indizi (fatto noto), unitariamente considerati, quali il periodo di riferimento, l'oggetto delle fatture, l'assenza di altri rapporti tra le parti, il parametro di raffronto tariffario. Ciò posto, deve ritenersi che il metodo utilizzato nella verificazione per la quantificazione delle spese di assistenza legale sia giuridicamente corretto, proprio in quanto fondato su di un ragionamento presuntivo che consente di risalire da fatti noti al fatto ignoto, sulla base di una serie di indizi gravi, precisi e concordanti, costituiti, rispettivamente, da: a) elemento temporale: solo le spese fatturate e pagate tra il 2 agosto 2012 e il 23 settembre 2013; b) elemento letterale: le fatture in questione riportano tutte nell'oggetto la dicitura "Cl.-Pe."; c) elemento circostanziale: nel suddetto periodo, non risultano altri rapporti tra le parti, diversi da quello derivante dal contratto preliminare; d) elemento parametrico: la quantificazione fatta dal verificatore tiene conto dei parametri forensi, giungendo ad individuare una somma parametro di Euro 265.000,00 euro, sulla base della quale ha, quindi, circoscritto le spese rilevanti alle sole prime 7 fatture dell'elenco, per un importo pari ad Euro 260.000,00. In particolare, con riferimento all'elemento temporale, le spese legali sono state circoscritte al solo arco di tempo (indicato come categoria 1) che non risulta contestato nemmeno da AP. (fatturazione e pagamento tra il 2 agosto 2012 e il 23 settembre 2013), all'interno del quale le relative fatture e pagamenti possono, quindi, ritenersi presuntivamente connessi con la stipula del preliminare (v. sopra, § 1.2). Una conferma in tal senso, poi, la si rinviene dal riferimento testuale ai rapporti tra Cl. e AP. (elemento letterale) contenuto nelle fatture. Che si tratti, poi, della specifica vicenda in esame (trasferimento conseguente ad esproprio), e non anche di altri rapporti giuridici, lo si desume dall'elemento circostanziale, consistente nella mancanza, nel medesimo periodo di riferimento, di altre vicende giuridiche di diversa natura tali da giustificare le spese legali in questione. Infatti, gli altri contenziosi e le vicende transattive allegate da AP. attengono ad un periodo di tempo successivo a quello in esame. Da ciò ne consegue la necessità di dover ricondurre il suddetto esplicito riferimento letterale ("Cl. - Pe.") all'unico rapporto negoziale esistente tra le parti, ossia quello derivante dal preliminare in questione. Infine, l'importo è stato circoscritto alle sole prime 7 fatture conseguenti alla conclusione del contratto, alla luce dell'elemento parametrico costituito dalle tariffe forensi. Tutti i suddetti indizi, unitariamente considerati, devono ritenersi sufficienti ai fini della prova dell'inerenza delle spese al trasferimento dell'impianto produttivo, nei limiti indicati nella verificazione, ossia per un importo pari ad Euro 260.000,00. 2.1.3. - In senso contrario, non è decisivo il rilievo di Cl. secondo cui l'applicazione dei suddetti parametri forensi andava fatta sul valore complessivo dell'affare (che pacificamente era di 42 milioni di euro e non 22 milioni come ritenuto dal verificatore) con la conseguenza di ritenere dovuti altri Euro 36.500,00, secondo i calcoli sopraindicati (§ 2). Invero, l'utilizzo dei parametri forensi è servito al verificatore non già per quantificare direttamente l'importo (come ha fatto AP.), bensì per ricavare un parametro di raffronto al fine di individuare un corrispondente numero di fatture, alla luce degli altri indizi sopra menzionati. Pertanto, anche ammettendo il diverso calcolo proposto da Cl., il risultato sarebbe identico, in quanto la cifra finale (Euro 296.500,00) sarebbe comunque un parametro di raffronto idoneo solo ad individuare il medesimo numero di fatture (7 in tutto). Ancora, non può neanche condividersi la tesi di AP. secondo cui tutti i suddetti elementi, singolarmente considerati, non sarebbero univoci nel senso della riconducibilità delle spese al trasferimento, in quanto il rilevante arco temporale e la generica dicitura delle fatture potrebbero senz'altro riferirsi ad altri aspetti non connessi con la vicenda in esame, così come la semplice applicazione dei parametri forensi darebbe luogo ad un risultato di molto inferiore. A tal riguardo, è sufficiente replicare che se è vero che tali elementi non sono univoci se considerati isolatamente, tuttavia, è anche vero che ai fini della prova per presunzioni i vari indizi debbono essere considerati in maniera unitaria. Invero, sul punto è stato precisato (tra le tante, v. Cass. civ., sez. VI, ord., 26 luglio 2021, n. 21403) che la corretta applicazione dell'art. 2729 c.c. presuppone un apprezzamento degli elementi acquisiti in giudizio, dai quali inferire quello ignoto, che riconosca ad essi efficacia probatoria, "quand'anche singolarmente sforniti di valenza indiziarla", se risultino "in grado di acquisirla ove valutati nella loro convergenza globale", ovvero "accertandone la pregnanza conclusiva" (Cass. sez. lav., ord. 16 luglio 2018, n. 18822), e ciò in quanto "la valutazione della prova presuntiva esige che il giudice di merito esamini tutti gli indizi di cui disponga non già considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l'uno dell'altro, senza negare valore ad uno o più di essi sol perché equivoci, così da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile l'esistenza del fatto da provare" (Cass. civ., sez. III, 13 marzo 2014, n. 5787). Inoltre, è stato anche chiarito che "non occorre che tra i due fatti sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile da quello noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità e in base a regole di esperienza" (Cass. civ., sez. V, ord., 31 maggio 2022, n. 17504 e precedenti conformi). Infine, neppure può condividersi l'osservazione di AP. circa la sproporzione delle somme rispetto ad altri professionisti (in particolare, del notaio e del geometra). In senso contrario, infatti, occorre rilevare che gli onorari dovuti a tali altri professionisti (al notaio Euro 133.000,00 e al geometra Euro 26.000,00) non possono fungere da parametro di confronto. Infatti, mentre con riferimento a questi ultimi si tratta di spese effettuate in un'unica soluzione a fronte di un'unica prestazione professionale (notaio: per la stipula del solo contratto preliminare del 2 agosto 2012; geometra: due fatture del 17 ottobre 2012), quelle per l'assistenza legale e tributaria sono invece spalmate in un rilevante arco temporale a fronte di una pluralità di prestazioni professionali, per cui i relativi importi non sono paragonabili in termini assoluti stante la sostanziale differenza dell'elemento temporale e quantitativo. 2.2. - Ciò detto con riferimento alla voce di spesa più consistente (assistenza legale e tributaria), occorre invece fare qualche diversa considerazione con riguardo alle altre fatture, relative a spese tra loro eterogenee, rientranti nel medesimo periodo (categoria 1) e specificamente contestate da AP. in ordine alla loro pertinenza (cfr. 22-27, memoria del 28 novembre 2023). A tal riguardo, deve innanzitutto ritenersi che la sussistenza di tali spese e la loro connessione con la vicenda espropriativa sia stata direttamente dimostrata in giudizio mediante la produzione delle relative fatture, dei corrispondenti bonifici, nonché dei rispettivi preventivi che, per ciascuna tipologia di spesa, fanno esplicito riferimento al trasferimento dell'impianto produttivo conseguente all'esproprio. 2.2.1. - Tali risultanze probatorie non sono scalfite dalla contestazione di AP. in ordine all'inidoneità dei preventivi di spesa ai fini della dimostrazione della finalità della stessa. Si tratta, infatti, di una contestazione generica, in quanto tali documenti non sono stati espressamente disconosciuti da AP. in ordine alla loro conformità all'originale (art. 2719 c.c.) o alla realtà dei fatti (art. 2712 c.c.), né sussistono elementi idonei a fondare un giudizio di palese inattendibilità, non assumendo alcun rilievo in tal senso la mancanza di prova di invio di tali preventivi (come eccepito dalla AP.). Peraltro, sull'ammissibilità di tale documentazione nel presente giudizio, ci si è già espressi con la sentenza non definitiva, che ha rigettato l'eccezione di inammissibilità di AP.. Pertanto, la suddetta documentazione deve ritenersi pienamente utilizzabile ai fini probatori. 2.2.2. - Una diversa considerazione, invece, merita l'ulteriore rilievo di AP. secondo cui ciò non sarebbe comunque sufficiente ai fini della prova dell'inerenza della spesa al trasferimento. Invero, la suddetta operazione di trasferimento si sarebbe dovuta realizzare dal sito di (omissis) a quello di (omissis), con conseguente ampliamento di quest'ultimo impianto produttivo della stessa Cl., già esistente ed operante. La difesa di AP. ha, quindi, censurato il criterio utilizzato dal verificatore per accertare la finalità di tali spese, ossia il luogo di fornitura della merce, di prestazione del servizio o di realizzazione dell'opera (nella specie, lo stabilimento di (omissis), dove appunto era previsto il trasferimento). Secondo AP., infatti, tale ultimo criterio non sarebbe univoco, proprio perché presso tale stabilimento già esisteva un sito produttivo di Cl., con la conseguenza che tutte le opere, servizi o forniture, anche se effettuate a causa del trasferimento, potrebbero comunque essere rimaste nella disponibilità di Cl. che ne avrebbe verosimilmente beneficiato. Tale assunto è fondato, con la precisazione, però, che ciò vale solamente ad incidere sulla quantificazione del danno (quantum), ma non anche sulla prova della sussistenza del pregiudizio (an). Infatti, se da un lato è vero che il luogo di destinazione delle prestazioni oggetto di fatturazione è di per sé equivoco, sussistendo già un altro sito produttivo in attività, tuttavia, dall'altro lato, è anche vero che per ciascuna fattura in questione sussiste un esplicito e testuale riferimento al trasferimento dell'impianto in conseguenza dell'esproprio. In altri termini, si tratta di spese che non sarebbero state sostenute in mancanza della cessione volontaria poi venuta meno. Discorso diverso, invece, deve essere fatto con riguardo alla loro quantificazione. Invero, al fine di ottenere un integrale ristoro del danno, la Cl. avrebbe dovuto dimostrare che, ad esempio, i nuovi arredi degli uffici di (omissis) acquistati in vista del trasferimento del sito di (omissis) siano poi rimasti di fatto inutilizzati oppure che la fornitura e posa in opera di micropali per il sostegno di una fossa contenete una pressa non abbia apportato alcun beneficio al sito di (omissis). Ne consegue, quindi, che le contestazioni di AP. sul punto devono essere lette nel senso di voler invocare l'applicazione al caso di specie dell'istituto della compensatio lucri cum damno, inteso dal diritto vivente "come regola di evidenza operativa per la stima e la liquidazione del danno" (cfr. Cass. sez. un., 22 maggio 2018, n. 12564). A tal riguardo, giova rammentare che la c.d. "compensatio" opera, nell'ambito della struttura dell'illecito (anche) contrattuale, in punto di causalità giuridica, come strumento di selezione delle conseguenze dannose dell'illecito. Là dove, dunque, dal medesimo fatto illecito derivino al contempo conseguenze sia favorevoli (vantaggio) che sfavorevoli (danno) per la parte danneggiata, allora esse andranno compensate. E ciò in coerenza con la funzione eminentemente compensativa della responsabilità civile, basata sulla cd. teoria differenziale (differenztheorie): il danno risarcibile, in altri termini, dovrà essere quantificato in ragione della differenza tra l'entità del patrimonio attuale del danneggiato e la consistenza che esso avrebbe avuto se il danno non vi fosse stato (cfr. Cass. civ., sez. III, ord., 28 luglio 2023, n. 23123). Peraltro, giova rammentare che tale compensazione del lucro con il danno costituisce un'eccezione in senso lato, che non integra una deduzione di un fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto fatto valere, bensì una semplice difesa relativamente all'esatta entità globale del danno effettivamente sofferto dal danneggiato, ed è, in quanto tale, rilevabile d'ufficio dal giudicante che può fare riferimento, per il principio dell'acquisizione della prova, a tutte le risultanze del procedimento al fine di stabilire l'esatta misura del danno risarcibile (cfr. Cass. civ., sez. III, 24 novembre 2020, n. 26757). Pertanto, deve ritenersi irrilevante la circostanza che tale eccezione non venga mai esplicitamente sollevata negli atti della AP. nei suddetti precisi termini. 2.2.3. - Ciò posto, occorre quindi procedere alla liquidazione in senso stretto, intesa come quantificazione economica, sia del danno che del lucro. Orbene, dalla stessa verificazione effettuata, emerge come le spese in questione siano tra loro del tutto eterogenee, quali spese per il fabbro, per forniture di materiali edili (Ed. s.r.l., Ke.), forniture di materiali e posa in opera in ambito idrotermico (Ze. Id. s.r.l.), nonché fornitura di materiali di arredo per sala espositiva e uffici, oltre alla fornitura e posa in opera di micropali per il sostegno di una fossa contenete una pressa. Per tali spese, quindi, risulta eccessivamente difficile fornire la prova dell'inutilità delle relative prestazioni da parte di Cl., con la conseguenza di dover fare applicazione del criterio di liquidazione equitativa del danno ai sensi dell'art. 1226 c.c., secondo cui "Se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa". Sul punto, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che la liquidazione in via equitativa del danno ai sensi dell'art. 1226 c.c. postula, tra le altre cose, "il preventivo accertamento che l'impossibilità o l'estrema difficoltà di una stima esatta del danno stesso dipenda da fattori oggettivi e non dalla negligenza della parte danneggiata nell'allegarne e dimostrarne gli elementi dai quali desumerne l'entità " (Cass. 12 aprile 2023, n. 9744; Cass. 22 febbraio 2017, n. 4534). Nel caso di specie, sussistono tali fattori oggettivi che impediscono una esatta stima del danno, avuto riguardo alla sussistenza di diversi interventi, tra loto eterogenei, ampliativi di un impianto produttivo preesistente rispetto ai quali è estremamente difficile distinguere quale parte delle spese è rimasta a vantaggio del sito di (omissis) e quale, invece, è risultata del tutto inutile, come emerge anche dal complessivo tenore della verificazione che ha analizzato in dettaglio ogni singola spesa, anche alla luce del sopralluogo effettuato dal verificatore sul sito produttivo di (omissis), sottoponendo l'analisi contabile ad un ampio contraddittorio tra le parti. A ciò si aggiunga che non sussiste alcuna negligenza della parte danneggiata nell'allegare e dimostrare gli elementi dai quali desumere l'entità del danno, avendo prodotto in giudizio tutta la documentazione utile a tal fine. Pertanto, in applicazione del criterio equitativo si ritiene di dover quantificare le suddette spese contestate da AP. per la Categoria 1) nella misura del 50%. Trattandosi, infatti, di due impianti produttivi appartenenti alla medesima società Cl., si ritiene equo suddividere l'importo reclamato da quest'ultima a titolo di danno emergente nella misura di un mezzo, considerando l'altra metà come rimasta a vantaggio del sito di (omissis). 2.2.4. - Pertanto, considerato che le spese contestate da AP. sono pari a complessivi Euro 356.596,61 (cfr. 22-27, memoria del 28 novembre 2023), in applicazione della suddetta quantificazione equitativa deve ritenersi dovuta solamente la minor somma di euro Euro 178.298,30. Concludendo sul punto, quindi, deve ritenersi che le spese di cui alla categoria 1) ammontino a complessivi Euro 698.298,30, di cui Euro 260.000,00 per l'assistenza legale, Euro 260.000,00 per l'assistenza tributaria ed Euro 178.298,30 per le restanti voci di spesa. 3. - Ana discorso deve essere fatto anche con riguardo alle spese di cui alla categoria 2 (fatturate prima del 2 agosto 2012 e pagate tra tale data e il 23 settembre 2013). Si è già detto che si tratta di spese devono essere necessariamente incluse (§ 1.2) non potendo assumere alcuna rilevanza preclusiva la data del 2 agosto 2012 indicata nel quesito al verificatore e per le quali sussiste una prova documentale diretta (§ 2.2). Tali spese, ritenute anche dal verificatore come connesse al trasferimento dell'impianto produttivo (cfr. pag. 41, 43 e 47 della verificazione), sono state da questi quantificate in Euro 171.197,00. Sul punto, la Cl. ha contestato la verificazione nella parte in cui avrebbe omesso di considerare la fattura n. 240 del 31 luglio 2012, pari ad Euro 30.000,00, per mero errore materiale. La censura è fondata. Invero, con riferimento alle fatture di Ze. Id. s.r.l., il verificatore ha espressamente incluso nella categoria 2 (fattura emessa prima del 2 agosto 2012 e pagata tra tale data e il 23 settembre 2013) anche la suddetta fattura n. 240 del 31 luglio 2012 (v. pag. 39 della verificazione e allegato 1-a, pag. 30, 35 e 60), la quale, però, non compare poi nel calcolo finale (pag. 41 della verificazione). La AP., da parte sua, ha contestato specificamente tutte le singole fatture (pag. 8-12 della memoria del 28 novembre 2023) ritenendole non connesse con l'operazione contrattuale in questione. A tal riguardo, valgono le stesse considerazioni svolte in precedenza (§ 2.2.2), ossia che tali contestazioni di AP. devono essere lette nel senso di voler invocare l'applicazione al caso di specie dell'istituto della compensatio lucri cum damno. Anche in questo caso, quindi, facendo applicazione del medesimo criterio equitativo (art. 1226 c.c.), in identica misura (50%) e per le stesse ragioni (sussistenza di due impianti produttivi), si perviene ad un totale di Euro 85.598,50 (corrispondenti alla metà di Euro 171.197,00 riconosciuti dal verificatore). A tale somma va aggiunta quella non computata per mero errore materiale (fattura n. 240 del 31 luglio 2012, pari ad Euro 30.000,00), la quale però va ugualmente decurtata del 50% per gli stessi motivi. Concludendo sul punto, quindi, deve ritenersi che le spese di cui alla categoria 2) ammontino a complessivi Euro 100.598,50. 4. - Infine, devono essere riconosciute tutte le spese di cui alla categoria 3 (fatturate e pagate prima del 2 agosto 2012) per le ragioni già esposte (§ 1.2 e § 2.2) e quantificate dal verificatore in Euro 60.000,00, ma decurtate del 50% in applicazione dei medesimi criteri, con riconoscimento, quindi, di soli Euro 30.000,00. 5. - In conclusione, quindi, alla luce delle suddette considerazioni, il complessivo danno emergente deve essere quantificato in Euro 828.896,80, comprensivo delle spese relative alle categorie 1), 2) e 3) della verificazione, nei limiti di cui in motivazione. 6. - Le spese di lite devono essere compensate in ragione della elevata complessità dei necessari accertamenti in fatto (tali da richiedere anche una verificazione), che rappresentano "altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni", rispetto a quelle tipizzate dall'art. 92 c.p.c., che consentono la compensazione integrale delle spese di lite (cfr. C. Cost. n. 77 del 2018). P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei sensi di cui in motivazione e, per l'effetto, condanna la società Au. Pe. Lo. S.p.A. al pagamento in favore di Cl. s.p.a. della somma pari ad Euro 828.896,80, a titolo di indennizzo ai sensi degli artt. 11, comma 4, e 21-quinquies, l. n. 241/1990, oltre rivalutazione monetaria (fino al deposito della presente decisione) e interessi legali (dal deposito della decisione fino all'effettivo soddisfo). Compensa per intero le spese di lite tra tutte le parti. Quanto al compenso definitivamente spettante al verificatore si provvederà con separato provvedimento a seguito della presentazione di apposita istanza. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Gerardo Mastrandrea - Presidente Michele Conforti - Consigliere Emanuela Loria - Consigliere Ofelia Fratamico - Consigliere Rosario Carrano - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI VENEZIA- sezione Lavoro Composta dai Magistrati Dr. Luigi Perina - Presidente Dr. Annalisa Multari - Consigliere rel. Dr. Silvia Burelli - Consigliere SENTENZA Nella causa promossa in appello con ricorso in riassunzione ex art. 392 c.p.c. depositato in data 19 ottobre 2022 Da (...) ((...)) con l'avv. Se.Ga. ((...)), come da delega sul ricorso per cassazione, ricorrente in riassunzione Contro MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DELLA MOBILITA' SOSTENIBILI, con l'Avvocatura dello Stato Pec reginde: (...); (...) convenuto in riassunzione oggetto: giudizio di rinvio ex art. 392 c.p.c. a seguito della ordinanza n. 23161/22 della Corte di Cassazione depositata in data 25.07.22 che ha cassato con rinvio la sentenza resa in fase di appello n. 225/15 di questa Corte di Appello In punto: inquadramento a seguito di mobilità SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con la ordinanza n. 23161/22 pronunciata all'udienza del 25.05.22 e depositata in cancelleria il 25.07.22, la Corte Suprema di Cassazione, decidendo sul ricorso proposto da (...) avverso la sentenza n. 225 /15 di questa Corte di Appello che, su ricorso del Ministero, aveva riformato la sentenza del tribunale di Venezia di accoglimento della domanda proposta in primo grado dal (...), ha cassato la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e ha rinviato alla medesima Corte d'Appello, in diversa composizione, per decidere in applicazione dei principi indicati. La Corte di Cassazione a fronte di due motivi proposti dal ricorrente, li accoglieva entrambi, ritenendo errata la pronuncia del Collegio di secondo grado nel punto in cui i giudici di merito non avevano fatto corretta applicazione della norma contenuta nell'art. 30 TU 165/01 e del D.P.C.M. n. 446 del 2000, riconoscendo al (...), già dipendente di ente locale, il diritto a mantenere nel passaggio al Ministero lo stesso inquadramento economico e giuridico già acquisito per effetto delle progressioni realizzate presso l'ente di provenienza. La Cassazione evidenziava come nel caso di specie si verteva in fattispecie di cessione del contratto ex art. 1406 c.c., con diritto del (...) di conservare anche la posizione economica acquisita presso l'ente di provenienza al fine di evitare fenomeni striscianti di dequalificazione. Riassumeva la causa presso questa Corte il (...) insistendo per l'accoglimento del ricorso di primo grado alla luce di quanto statuito dalla Corte di Cassazione; in fase di discussione evidenziava di aver corrisposto all'Amministrazione le spese di lite ricevute in primo grado poiché la Corte di appello cassata ne aveva disposto la compensazione integrale e instava per la rifusione delle spese processuali con distrazione in favore del proprio difensore dichiaratosi anticipatario. Il Ministero convenuto, nonostante la rituale notificazione via pec del ricorso in riassunzione sia presso l'avvocatura centrale che presso l'avvocatura distrettuale di Venezia in data 7.11.22, non si costituiva e la Corte di Appello ne dichiarava la contumacia. Indi all'esito della discussione, all'udienza del 12 gennaio 2023 la causa era decisa come da separato dispositivo in atti. MOTIVI DELLA DECISIONE 3. Con unico motivo di ricorso il (...), riassunta la vicenda in fatto e in diritto, insisteva per l'accoglimento del ricorso di primo grado- già accolto dal tribunale di Venezia con la sentenza n. 328/12- e in particolare l'inquadramento richiesto in area II Fascia 4, corrispondente al precedente B3super, ex Ccnl Comparto Ministeri, in ragione di quanto previsto dalle tabelle di equiparazione di cui al D.P.C.M. n. 446 del 2000. Assumeva il ricorrente che i giudici di legittimità nell'inquadrare la fattispecie concreta - passaggio a seguito di mobilità volontaria dal comune di Trevignano ove era stato inquadrato come " istruttore tecnico" posizione economica C2 Ccnl enti locali- nella previsione normativa di cui all'art. 30 Tu 165/01 regolante la mobilità tra pubbliche amministrazioni, avevano stabilito il diritto al mantenimento dell'inquadramento economico e giuridico già conseguito presso l'Amministrazione di provenienza, senza detrimento professionale o patrimoniale. Inoltre avevano ritenuto legittimo, ai fini dell'inquadramento presso l'amministrazione di destinazione, l'utilizzo delle tabelle di equiparazione di cui al D.P.C.M. n. 446 del 2000. Evidenziava il (...) che la domanda giudiziale era stata azionata in primo grado perché all'epoca del passaggio al Ministero, nel contratto di assunzione presso l'ente ad quem, era stato inquadrato come istruttore tecnico II area, Fascia 3 corrispondente a B3 Ccnl comparto Ministeri, mentre in applicazione al D.P.C.M. n. 446 del 2000 avrebbe avuto diritto ad essere inquadrato in B3super corrispondente alla Fascia 4. 4. Questa Corte ritiene fondato il ricorso in riassunzione per le ragioni che seguono. Il tribunale di Venezia aveva già accertato il diritto del (...) ad essere inquadrato in area seconda F4 corrispondente a B3 super ex Ccnl Ministeri; sentenza poi riformata da questa Corte di Appello con la sentenza n. 225/15 con rigetto della domanda del (...) e compensazione integrale delle spese di lite. Nel cassare la pronuncia di appello i giudici di legittimità avevano stabilito che, in applicazione dell'art. 30 del D.Lgs. n. 165 del 2001 disciplinante il trasferimento del personale da un'Amministrazione ad un'altra, con conseguente modifica soggettiva del rapporto di lavoro, il dipendente avesse diritto al mantenimento dell'anzianità, qualifica e trattamento economico al pari di quanto avviene nel caso di cessione del contratto ex art. 1406 c.c.. In particolare rilevavano al punto motivazionale 4.2. quanto segue:"? 4.2. Osserva il Collegio che nella fattispecie in esame trova applicazione la giurisprudenza di legittimità (Cass., nn. 4619 del 2018 e 7652 del 2019, n. 86 del 2021) che ha affermato che l'Amministrazione statale non poteva, in sede di inquadramento successivo al passaggio diretto, fare applicazione dell'art. 17 del CCNL Comparto Agenzie Fiscali 2002/2005, riferibile, invece, al solo accesso "dall'esterno" nell'Area. Con le richiamate pronunce, alla cui motivazione si rinvia ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., si è osservato, in sintesi, che l'espressione di carattere atecnico "passaggio diretto", con-tenuta nell'art. 30 del D.Lgs. n. 165 del 2001, non qualifica un particolare tipo contrattuale civilistico, ma solamente, nel campo pubblicistico, uno strumento attuativo del trasferimento del personale, da una Amministrazione ad un'altra, trasferimento caratterizzato da una modificazione meramente soggettiva del rapporto e condizionato da vincoli precisi concernenti la conservazione dell'anzianità, della qualifica e del trattamento economico, che è inquadrabile nella fattispecie della cessione di contratto disciplinata dagli artt. 1406, ss., c.c., visto che comporta il trasferimento soggettivo del complesso unitario di diritti ed obblighi derivanti dal contratto, lasciando immutati gli elementi oggettivi essenziali; l'individuazione del trattamento giuridico ed economico da applicare ai dipendenti trasferiti - si è ancora aggiunto - deve essere effettuata, sulla base dell'inquadramento presso l'ente di provenienza, nell'ambito della disciplina legale e contrattuale propria del comparto dell'amministrazione cessionaria, ed a tal fine occorre tener conto anche delle posizioni economiche differenziate, attraverso le quali si realizza, sia pure all'interno dell'area, una progressione di carriera; del resto, la richiamata disposizione muove anche dalla concreta esigenza di evitare che l'istituto della mobilità tra enti pubblici diversi possa dare luogo a processi di dequalificazione"strisciante" del personale trasferito, atteso che, la stessa attribuzione della posizione retributiva,lungi dall'esprimere soltanto un valore economico, è direttamente funzionale alla progressione di carriera e propedeutica ai successivi passaggi di Area; non irrazionale è poi l'utilizzo, per il conseguente giudizio di comparazione, del D.P.C.M. n. 446 del 2000 apparendo logico che esso, riguardando la confluenza del personale dallo Stato agli enti locali, sia parametro del tutto idoneo quale riferimento per il passaggio inverso.". 5. In applicazione di questi principi ritenuto che per quanto emerso in giudizio il (...) era già inquadrato, prima di aderire al bando di mobilità del Ministero convenuto, presso il proprio ente di provenienza nel profilo di istruttore tecnico, area C, posizione economica C2, questa Corte osserva che, in ragione delle previsioni di cui al D.P.C.M. n. 446 del 2000 ed in particolare l'art. 5, ove era stabilito che nel passaggio da comparto Ministeri ad ente locale, il dipendente inquadrato in B3 super avesse diritto , presso regioni o comuni, ad essere inquadrato in categoria (...) posizione economica C2, la domanda azionata in primo grado dal (...) di essere inquadrato in B3 super e non in B3corrispondente per ccnl enti locali a categoria (...) posizione economica C2- come avvenuto nel caso di specie, era fondata. Il giudice di Venezia aveva infatti accolto la domanda accertando il diritto ad essere inquadrato- in ragione delle ulteriori modifiche contrattuali sopravvenute- dal 16 giugno 2010 in area seconda fascia 4 ( ex posizione economica B3 super). All'esito dell'esame del ricorso in riassunzione dunque l'originario appello proposto dall'odierno convenuto va rigettato, con conferma della sentenza di primo grado. 6. Il (...), a far data dal 16.06.10, aveva diritto ad essere inquadrato in area seconda , posizione economica F4 cui attualmente- nel nuovo sistema di classificazione introdotto dal contratto collettivo nazionale di lavoro del personale del comparto funzioni centrali triennio 2019-2021 prodotto in sede di discussione dal ricorrente- corrisponde l'area Assistenti ( cfr. tabella 2 di trasposizione automatica allegata al CCnl citato che non modifica i precedenti inquadramenti di cui al ccnl Ministeri, Agenzie Fiscali, EPNE, Cnel). All'inquadramento conseguono le differenze retributive cui il Ministero convenuto era già stato condannato in ragione del punto 2 del dispositivo di primo grado. 7. Parte ricorrente in sede di discussione ha rilevato di aver restituito al Ministero le spese di lite del primo grado poiché la Corte di Appello di Venezia aveva compensato le spese di entrambi i gradi. A fronte dell'odierna pronuncia e del rigetto dell'originaria impugnazione del Ministero, la sentenza del tribunale di Venezia, compreso il capo delle spese va per contro confermata. La presente sentenza costituirà quindi titolo per il (...) per ottenere dall'Amministrazione la restituzione delle spese di primo grado già rimborsate. Quanto agli ulteriori gradi di giudizio, la controvertibilità della questione interpretativa che, come si evince dalla ordinanza di rinvio, era stata definita in sede di legittimità soltanto in forza di pronunce sopravvenute rispetto alla sentenza di appello cassata (cfr. Cass. n. 4619/18; Cass. n. 7652/19; Cass. n. 86/21), costituisce motivo per disporre la compensazione di tutte le spese del giudizio di appello cassato, del giudizio di Cassazione ed anche dell'odierno giudizio di rinvio, considerata anche la condotta processuale del Ministero che non si è opposto in questa fase all'accoglimento delle richieste attoree. PER QUESTI MOTIVI Ogni contraria istanza eccezione domanda disattesa od assorbita, definitivamente pronunciando: - In accoglimento del ricorso in riassunzione, in applicazione del principio di diritto stabilito dalla Corte di Cassazione, rigetta l'appello proposto dal Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile, confermando la sentenza del tribunale di Venezia n. 328/12; - Compensa le spese del giudizio di appello cassato, del giudizio di cassazione e quelle della presente fase di rinvio. Così deciso in Venezia il 12 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2023.
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