Sentenze recenti mobilità volontaria

Ricerca semantica

Risultati di ricerca:

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4005 del 2023, proposto da ENTE STRUMENTALE ALLA CROCE ROSSA ITALIANA (ESACRI), rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via (...); contro RO. CO. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Al. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 2938 del 2023; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori RO. CO. ed altri; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 ottobre 2023 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Al. Ca. e Vi. Ce. dell'Avvocatura dello Stato; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.? I signori Co. ed altri ? premesso di avere fatto parte del Contingente del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana (di seguito: "CRI"), ai sensi dell'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 178 del 2012 ? impugnavano la determinazione n. 290 del 22 giugno 2017 con cui l'Ente strumentale alla Croce Rossa italiana (di seguito: "ESACRI") aveva posto gli stessi in aspettativa "ora per allora", a far data dal 1 giugno 2016 (unitamente ad altri atti presupposti e conseguenti indicati nella epigrafe del ricorso). I ricorrenti, in particolare, lamentavano che l'ESACRI, nel processo di liquidazione previsto dal d.lgs. n. 178 del 2012, avesse indebitamente cristallizzato la loro posizione giuridica ed economica alla data del 21 luglio 2016, disconoscendo di fatto le variazioni di natura economica e giuridica intervenute successivamente a tale data e fino al congedo, pur essendo gli stessi stati avviati alle procedure di mobilità del personale dell'Ente soltanto in data 1° ottobre 2017 (con decreto ministeriale 9 giugno 2017). Ciò aveva comportato un indubbio pregiudizio, economico e professionale, a danno dei ricorrenti che ? pur avendo diritto ad essere inquadrati, a fini del transito, rispettivamente, nell'Area dirigenziale II fascia (Co. e Mo.) e nell'Area "C" con livello economico "C5" (So.) del Comparto Enti pubblici non economici (in applicazione dei criteri di equiparazione dal D.P.C.M. 25 marzo 2016, di cui all'art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 178 del 2012) ? si erano visti invece inquadrati nell'Area C, con posizione economica "C5" (Co. e Mo.) e "C3" (So.) del Comparto EPNE. L'Amministrazione ? in violazione dell'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 178 del 2012 e dell'art. 856 del d.lgs. n. 66 del 2010 ? non aveva tenuto conto che, in data 20 luglio 2017, il signor Co. era stato promosso a Colonnello; in data 20 luglio 2017, il sig. Mo. era stato promosso a Colonnello; in data 12 aprile 2017, il sig. So. era stato promosso a Capitano. 2.- Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con sentenza n. 2938 del 2023, ha accolto il ricorso, motivando quanto segue: "(...) Pertanto, per determinare in concreto il transito e, quindi, il livello di inquadramento da attribuire sulla base dei criteri previsti in via generale e astratta nel decreto di cui all'art. 6, comma 1, occorre fare riferimento al decreto di cui all'ultimo periodo dell'art. 5, comma 6, il quale prevede che in concreto il transito nel ruolo civile della CRI e quindi dell'ente avviene alla data determinata con decreto del Ministero della difesa e comunque non oltre il 31 dicembre 2017. Ne discende che sotto un profilo letterale è a tale decreto e alla relativa data di emissione che occorre fare riferimento per determinare il livello del personale transitato. Anche sotto un profilo teleologico, deve ritenersi che una diversa interpretazione che non tenga in considerazione i passaggi di qualifica nel tempo intercorrente tra il primo e il secondo decreto (con un inquadramento retroattivo del personale e una sostanziale irrilevanza giuridica ed economica dei passaggi di qualifica medio tempore intervenuti) sarebbe irragionevole e contrastante con la ratio delle disposizioni legislative e costituzionali tese alla tutela del lavoro e al corretto inquadramento del personale in relazione all'attività svolta". 3.- Ha proposto quindi appello l'Ente Strumentale alla Croce Rossa Italiana, sostenendo l'erroneità della sentenza appellata, in quanto: a) avrebbe dovuto accogliere l'eccezione di tardività del ricorso di primo grado, essendo stati impugnati nel 2017 atti dell'ESACRI risalenti al 2016; b) nel merito, non avrebbe preso in considerazione la circostanza dirimente che, in data 21 luglio 2016, tutto il personale militare della CRI in servizio continuativo era stato, ope legis, posto in congedo e inquadrato nei ruoli del personale civile. 4.- I signori RO. CO. ed altri si sono costituiti in giudizio per resistere al gravame. Oltre a replicare l'infondatezza dell'eccezione di irricevibilità, gli appellati deducono che: non sarebbero mai entrati a far parte del Corpo Militare Volontario della Croce Rossa Italiana previsto dall'art. 5, commi 1, 2, 3 e 4, del d.lgs. n. 178 del 2012; avrebbero sempre mantenuto fino al congedo (avvenuto in data 30 settembre 2017) lo status di militari; durante il servizio prestato nel Contingente sarebbero stati dipendenti, non dell'Associazione Croce Rossa Italiana privata, ma dell'ESACRI; lo stesso dettato normativo equiparerebbe il servizio prestato nell'ambito del Contingente (dal mese di settembre 2016 al mese di settembre 2017) a quello prestato nel Corpo Miliare della Croce Rossa Italiana, ai sensi dell'art. 29 del d.P.R. n. 484 del 1936. 5.- All'odierna udienza del 17 ottobre 2023, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1.? Il "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale, consente di derogare all'ordine logico di esame delle questioni ? e quindi di tralasciare ogni valutazione sulla eccezione di tardività reiterata in appello dall'Amministrazione ? e di risolvere la lite nel merito. L'appello è, infatti, fondato in relazione ai seguenti profili. 2.? Preliminarmente, è opportuno sintetizzare i principali tratti salienti dell'evoluzione normativa che ha interessato la disciplina dei rapporti di impiego instaurati nell'ambito della CRI e, in particolare, l'assetto del personale militare ausiliario. 2.1.? Originariamente, gli arruolati della CRI costituivano un corpo speciale volontario, ausiliario delle forze sanitarie militari dello Stato, i cui componenti risultavano sottoposti alla disciplina militare e al codice penale militare di guerra e si distinguevano in "ufficiali" e in "sottufficiali e truppa". Il servizio prestato in tempo di guerra o di calamità nella CRI veniva equiparato, ai fini civili e amministrativi, al servizio prestato nelle Forze armate dello Stato, dando luogo alle corrispondenti qualifiche degli appartenenti all'esercito combattente. Tale assetto, basato sia su apporti volontari sia su personale delle Forze armate temporaneamente assegnato, ha subito negli anni Ottanta del secolo scorso un progressivo mutamento quando, a fronte di casi di servizio prolungato, vennero approvate numerose norme che provvedevano a incardinare, ope legis, il personale (militare e civile) che aveva prestato servizio temporaneo nella CRI nell'organico del medesimo ente. La stessa Corte costituzionale aveva riconosciuto che il "corpo militare della CRI, corpo speciale volontario, ausiliario delle Forze armate, (...) non facente parte integrante delle stesse Forze armate ancorché sottoposto alle norme del regolamento di disciplina militare ed a quelle sostanziali del codice penale militare ed obbligato al giuramento, ha mantenuto - in forza del disposto degli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 613 del 1980 - la sua (...) collocazione", confermata dalla "dipendenza dell'autorità di vertice del corpo direttamente dal presidente nazionale dell'Associazione, salvo che nei periodi di mobilitazione" (ordinanza n. 273 del 1999). La normativa relativa al Corpo militare ausiliario della CRI è stata poi riordinata dal d.lgs. n. 66 del 2010, il quale ha previsto un duplice ruolo (normale e speciale) per il Corpo militare ausiliario, distinguendo, in coerenza con la previgente normativa, il personale stabilmente assunto dalla CRI) dal personale richiamato in servizio dall'ente per specifiche esigenze. 2.2.? Il d.lgs. n. 178 del 2012, al fine di rimediare alle disfunzioni organizzative e finanziarie generate dalla stratificazione normativa, ha disposto la graduale trasformazione della CRI da ente pubblico, sia pure a base associativa, in persona giuridica di diritto privato, ancorché di interesse pubblico ed ausiliaria dei pubblici poteri nel settore umanitario. Detta persona giuridica, denominata "Associazione della Croce Rossa italiana", è iscritta nel registro nazionale del "Terzo settore" (a sensi dell'art. 1, comma 1, le "funzioni esercitate dall'Associazione italiana della Croce rossa (CRI) (...) sono trasferite, a decorrere dal 1º gennaio 2016, alla costituenda Associazione della Croce Rossa italiana", "avente personalità giuridica di diritto privato"), e abilitata ad operare nell'ambito della Federazione internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (art. 1, comma 2). Nel contempo sono individuate le attività svolte dalla Croce Rossa, anch'esse qualificate di "interesse pubblico" (art. 1, commi 4, 5 e 6). Al fine di realizzare la trasformazione della natura giuridica dell'ente, il decreto legislativo censurato ha disposto un percorso graduale e transitorio, che passa per l'istituzione di un Ente strumentale (art. 2, comma 1, secondo cui l'Associazione Italiana della Croce Rossa Italiana "dal 1º gennaio 2016 fino alla data della sua liquidazione assume la denominazione di "Ente strumentale alla Croce Rossa italiana" (...), mantenendo la personalità giuridica di diritto pubblico come ente non economico, sia pure non più associativo, con la finalità di concorrere temporaneamente allo sviluppo dell'Associazione"). Tale Ente strumentale è volto a favorire il subentro della neoistituita Associazione al preesistente ente pubblico (art. 3), del quale sono disciplinati contestualmente la liquidazione e i relativi rapporti giuridico-patrimoniali, il trasferimento dei beni e del personale (rispettivamente, artt. 4, 5, 6 e 8) con le modalità di finanziamento della nuova associazione (artt. 1, comma 6, 2, comma 5, e 8, comma 2). 2.3.? Il decreto legislativo ha disposto un incisivo mutamento del rapporto di impiego del personale militare della CRI, il quale si muove lungo due direttrici fondamentali: volontarietà e gratuità del servizio prestato nel Corpo militare volontario; trasferimento del personale militare a ruoli civili, con mantenimento delle principali voci retributive. L'art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 178 del 2012 stabilisce infatti che, a decorrere dall'entrata in vigore del D.P.C.M. (previsto dall'art. 6, comma 1, dello stesso d.lgs. n. 178 del 2012, emanato in data 25 marzo 2016 ed entrato in vigore il 21 luglio 2016), che fissa i criteri di equiparazione tra il personale militare e quello civile della CRI, il personale del Corpo militare transita in un ruolo ad esaurimento nell'ambito del personale civile della CRI, è collocato in congedo ed è iscritto, a domanda, nel Corpo militare volontario. Al personale militare privatizzato viene riconosciuta la differenza tra il trattamento economico in godimento, limitatamente a quello fondamentale ed accessorio, e il trattamento del corrispondente personale civile. Il successivo art. 6 consente al personale una duplice opzione: rimanere nei ruoli della nuova Associazione della Croce Rossa italiana nei limiti dell'organico definito dal Presidente di essa (comma 2); oppure essere collocato in mobilità, in conformità agli "strumenti utilizzabili per la gestione di eccedenze di personale nelle pubbliche amministrazioni" (art. 6, comma 3), con conseguente applicazione delle procedure di mobilità volte a favorire il riassorbimento del personale delle Province (art. 7, comma 2-bis, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192). Quanto al Corpo militare della CRI, l'art. 5, comma 1, del decreto legislativo in esame, stabilisce che assuma la denominazione di Corpo militare volontario e, insieme al Corpo delle infermiere volontarie, costituisce un Corpo ausiliario delle Forze armate, chiamato a prestare servizio gratuito. I suoi appartenenti sono individuati tra il "personale volontario in congedo, iscritto in un ruolo unico (...)". A tali soggetti non si applicano i codici penali militari, mentre continua ad applicarsi il codice dell'ordinamento militare, ad eccezione delle disposizioni in materia di disciplina militare (art. 5, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 178 del 2012). Il comma 6 dell'art. 5 prevede che "(...) allo scopo di assicurare la funzionalità e il pronto impiego dei servizi ausiliari alle Forze armate rese dai Corpi ausiliari", con decreto ministeriale "sono determinati i criteri per la costituzione, nell'ambito del personale di cui al comma 5 del presente articolo e di cui all'articolo 6, comma 9, terzo periodo, previa selezione per titoli, di un contingente di personale del Corpo militare in servizio attivo, la cui dotazione massima e la successiva alimentazione con personale civile della CRI e quindi dell'Ente avente altresì, la qualifica di militare in congedo, è stabilita in trecento unità ". Tale personale del Corpo militare in servizio attivo "transita nel ruolo civile della CRI e quindi dell'Ente alla data determinata con decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro della salute e comunque non oltre il 31 dicembre 2017 (...)". Il personale trasferito in altre amministrazioni, pur perdendo la qualifica di militare in servizio attivo, mantiene la qualifica di militare in congedo e, ai sensi dell'art. 1668 cod. ordinamento militare, potrebbe sempre essere richiamato in servizio, conservando il grado rivestito all'atto del collocamento in congedo. 2.4.? Vanno, da ultimo, richiamati gli svolgimenti amministrativi della normativa primaria, rilevanti ai fini del decidere. Con provvedimento n. 182 del 31 agosto 2016, il Presidente Nazionale dell'Associazione privata CRI ha costituito il'Contingentè di cui all'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 178 del 2012 (sulla base della graduatoria stilata dal Ministero della Difesa, approvata con provvedimento n. 165 del 2016) e con decorrenza dal 1 settembre 2016 sono state richiamate le unità di personale inserite nella graduatoria per la formazione del Contingente, tra cui i signori Co. ed altri, odierni appellati. Con decreto del Ministero della Difesa del 9 giugno 2017, di concerto con il Ministero della Salute, è stata stabilita la data di congedo (dall'Associazione privata) e transito nei ruoli del personale civile dell'ESACRI di tutto il personale del Contingente, compresi i signori Co. ed altri. Con la Determinazione n. 290 del 22 giugno 2017, impugnata nel presente giudizio, l'ESACRI, preso atto della costituzione del contingente militare di cui all'art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 178 del 2012, ha posto i ricorrenti in aspettativa "ora per allora" a far data dal 1 settembre 2016, di fatto cristallizzando la loro posizione giuridica ed economica agli effetti della progressione di carriera al 21 luglio 2016. Con determinazione n. 388 del 2017, l'ESACRI ha disposto la cessazione dello stato di aspettativa (concessa per l'espletamento del richiamo nel Contingente) e la riammissione in servizio nel personale civile dell'Ente ESACRI a far data dal 1 ottobre 2017. 3.? Alla luce del quadro normativo appena sintetizzato, la motivazione della sentenza è evidentemente erronea in quanto non tiene conto del fatto che, con l'entrata in vigore (in data 21 luglio 2016) del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 25 marzo 2016 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, serie generale n. 155 del 5 luglio 2016), è stata cristallizzato, ai sensi dell'art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 178 del 2012, il dies a quo del collocamento in congedo e del trasferimento nel ruolo civile del personale appartenente al Corpo militare della CRI. Successivamente a quella data, i ricorrenti sono stati richiamati (su base volontaria e a domanda) nel Contingente ? costituito, ai sensi dell'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 178 del 2012, per scopi e tempo limitati ? al termine del quale sono stati reinseriti nel ruolo ad esaurimento del personale civile dell'Ente e successivamente posti in mobilità . Al fine di consentire tale richiamo nel Contingente, gli stessi sono stati posti in aspettativa dall'impiego civile (con trattamento economico a carico dell'Associazione privata) e conservazione del posto (ai sensi dell'art. 1660, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010). Il'Contingentè in questione rientrava nell'esclusiva competenza istitutiva, organizzativa e gestionale della nuova Associazione italiana della Croce Rossa di diritto privato, e non era alle dipendenze dell'Ente Strumentale alla C.R.I. Quest'ultimo si è limitato a emanare i provvedimenti di propria competenza, e segnatamente: costituire al proprio interno il ruolo ad esaurimento nell'ambito del personale civile, dove far transitare il personale congedato ope legis; inquadrare lo stesso sulla base dei gradi comunicati della CRI; gestire le fasi della mobilità . I ricorrenti, nel momento in cui sono stati promossi, erano già dipendenti 'civilà dell'Ente. Non possono quindi reclamare l'ottenimento di un inquadramento civile superiore a quello attribuito (in relazione al grado posseduto) al momento del congedo previsto ope legis. Le promozioni invocate ? in quanto disposte, dopo il 21 luglio 2016, all'interno di in un corpo privato di volontari ? non potevano incidere sull'organizzazione delle Amministrazioni ministeriali, né tantomeno determinare un conseguente incremento della maggiore spesa "a carico della finanza pubblica", espressamente vietata dall'art. 9 del d.lgs. n. 178 del 2012 (secondo cui: "(d)alla attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica"). Come rilevato dalla difesa erariale, le promozioni potevano continuare ad avvenire ma non nel "contingente", bensì nel Corpo Militare Volontario della CRI tra il personale che ne faceva parte. 3.1.? In definitiva, la sentenza appellata ? ipotizzando che la categoria personale militare CRI pubblico sarebbe ancora esistita per ulteriori 13 mesi ? si pone in contrasto con la disciplina di fonte primaria e va quindi riformata. 4.? Sotto altro profilo, vale la pena rimarcare che, con sentenza n. 79 del 2019, la Corte costituzionale ha escluso che il trasferimento al ruolo civile del personale del Corpo militare della CRI si ponga in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. Secondo la Corte, il trasferimento al ruolo civile del personale militare risulta anzi coerente con la trasformazione del regime giuridico della CRI, posto che il nuovo inquadramento nel rapporto di impiego accede alla diversa configurazione del datore di lavoro, che da soggetto pubblico muta in associazione di diritto privato regolata dal Libro I, Titolo II, Capo II, del codice civile. Tali scelte di fondo comportano inevitabilmente modifiche delle modalità di sviluppo delle carriere, che perciò stesso si sottraggono alle censure di illegittimità . 5.? Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite del doppio grado di giudizio, in considerazione delle particolarità e novità della questione. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado. Compensa tra le parti le spese di lite del doppio grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2023 con l'intervento dei magistrati: Oberdan Forlenza - Presidente Dario Simeoli - Consigliere, Estensore Giovanni Sabbato - Consigliere Francesco Frigida - Consigliere Cecilia Altavista - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso per ottemperanza iscritto al numero di registro generale 9600 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Da. Gr., con domicilio digitale come da PEC Registri di giustizia; contro Comune della Spezia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati St. Ca., Ma. Pr. e Gi. Co., con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via (...); nei confronti -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per l'ottemperanza della sentenza del Consiglio di Stato - Sez. V n. 8684/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso per ottemperanza ed i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di La Spezia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2023 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati Gr., Ca. e Pr.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con istanza prot. 69925 del 18 luglio 2020, il dott. -OMISSIS-, dipendente con qualifica di dirigente della Polizia locale di Roma Capitale, venuto a conoscenza del fatto che si sarebbe reso vacante il posto di dirigente con funzioni di Comandante della Polizia locale del Comune di La Spezia, chiedeva il "trasferimento/comando (...) tramite procedura di mobilità volontaria, comando o distacco ai sensi dell'art. 30 del d.lgs. n. 165/2001" presso il detto Ente locale (c.d. mobilità per passaggio diretto dai ruoli di un'amministrazione all'altra). A seguito dell'istanza, con deliberazione di Giunta n. 221 del 24 agosto 2020, il Comune di La Spezia deliberava l'esperimento di una procedura di mobilità preconcorsuale, ai sensi dell'art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001, per la copertura del detto posto di Comandante del Corpo di Polizia municipale. Con successiva deliberazione di Giunta n. -OMISSIS-, però, il medesimo Comune tornava sui suoi passi, ritenendo "più opportuno" avvalersi di una figura dirigenziale a tempo determinato da individuare mediante una procedura selettiva ai sensi dell'art. 110 del d.lgs. n. 165 del 2001, in luogo della mobilità in precedenza stabilita. Per l'effetto, in data 17 novembre 2020 adottava l'avviso pubblico per la formazione di un elenco di candidati idonei al conferimento di un incarico a tempo determinato in qualità di dirigente con funzioni di Comandante del Corpo di Polizia locale, ai sensi (stavolta) dell'art. 110 ult. cit. In data 21 novembre 2020, venuto casualmente a conoscenza della delibera, il dott. -OMISSIS- avanzava cautelativamente la propria candidatura per l'inserimento nel suddetto elenco. Quindi, con ricorso al Tribunale amministrativo della Liguria, sul presupposto di non aver ricevuto alcun espresso riscontro all'originaria istanza di trasferimento/comando ex art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001, lo stesso chiedeva: - l'accertamento dell'illegittimità del silenzio-inadempimento serbato dal Comune sulla sua istanza di mobilità, con condanna dell'amministrazione a provvedere avviando il relativo procedimento e con nomina di un commissario ad acta in caso di ulteriore inerzia dell'Ente; - l'annullamento dell'avviso pubblico e degli atti presupposti, con particolare riferimento alla DGC n. -OMISSIS-, previa sospensione dell'efficacia; - la condanna al risarcimento del danno. In seguito, preso atto dell'intervenuta conclusione, nelle more, della procedura selettiva ex art. 110 d.lgs. n. 165 del 2001 avviata dal Comune, nella quale il dott. -OMISSIS- non risultava vincitore ma soltanto idoneo, con un primo atto di motivi aggiunti lo stesso impugnava il decreto del Sindaco del Comune della Spezia n. -OMISSIS-, con cui era stato individuato il soggetto cui conferire l'incarico a tempo determinato di dirigente. Con ulteriori motivi aggiunti venivano quindi dedotte ulteriori ragioni a sostegno delle domande già presentate. Con sentenza 10 novembre 2021, n. 947, il giudice adito dichiarava inammissibile la domanda di accertamento dell'illegittimità del silenzio inadempimento dell'amministrazione sull'istanza di mobilità del 18 luglio 2020, sul presupposto che, ancorché in assenza di un formale riscontro all'istanza medesima (n quanto non direttamente comunicato al ricorrente), purtuttavia la successiva adozione della delibera di Giunta n. -OMISSIS-, pubblicata nelle forme di legge dovute per le delibere di giunta anteriormente alla proposizione del ricorso, doveva intendersi alla stregua di un provvedimento implicito di diniego; nel merito respingeva la domanda di annullamento della d.G.C. n. -OMISSIS-, sul presupposto che dopo l'entrata in vigore della legge n. 56 del 2019 e sino al 2024 (in forza dell'estensione operata dal d.l. n. 80 del 2021, convertito nella legge. n. 113 del 2021), l'esperimento della procedura di mobilità ai sensi dell'art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001 fosse solamente una facoltà (non già un obbligo) per le amministrazioni, che quindi sarebbero state libere di ricorrervi così come di preferire un altro canale di reclutamento, pur dovendo adeguatamente motivare al riguardo. Dichiarava inoltre inammissibili, per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo del ricorso introduttivo. Avverso tale decisione il dott. -OMISSIS- interponeva appello, deducendo: 1) l'erroneità della sentenza laddove aveva riconosciuto all'amministrazione una generica possibilità di optare discrezionalmente tra la procedura di mobilità e quella ex art. 110 d.lgs. n. 165 del 2001, avendo in realtà l'art. 3 della l. n. 56 del 2019 ancorato la scelta di non procedere all'esperimento della procedura di mobilità solo "al fine di ridurre i tempi di accesso al pubblico impiego; 2) la contraddittorietà estrinseca tra la D.G.C. 24 agosto 2020, n. 221 e la successiva D.G.C. -OMISSIS-, giungendo tali delibere a conclusioni diametralmente opposte in ordine alla procedura da adottare, pur essendo supportate dal medesimo - testuale -supporto motivazionale; 3) l'eccesso di potere per sviamento, avendo il Comune di La Spezia, una volta irragionevolmente obliterata la procedura di mobilità, optato - anziché per una selezione concorsuale, nel rispetto dell'art. 97, comma 4, Cost - per l'esperimento di un procedimento ex art. 110 T.U.E.L., con ciò affidando (come già riconosciuto dal TAR) all'insindacabile giudizio del Sindaco la scelta, intuitu personae, del candidato. Con sentenza 11 ottobre 2022, n. 8684, la V Sezione del Consiglio di Stato accoglieva l'appello, "nei termini di cui in motivazione", altresì precisando che "una volta annullata (in questa sede di appello) la delibera di Giunta n. -OMISSIS-, automaticamente verrà a sorgere l'obbligo per l'amministrazione di rideterminarsi: tutte le eventuali sopravvenienze (ove anche sottratte alla giurisdizione del giudice amministrativo) saranno infatti destinate a perdere di efficacia, una volta caduto il provvedimento presupposto; e ciò in conseguenza dell'effetto caducatorio automatico degli atti strettamente esecutivi della delibera annullata". Con successivo ricorso ex art. 112ss. Cod. proc. amm. il dott. -OMISSIS- lamentava il silenzio serbato dal Comune di La Spezia a fronte della notifica di un atto di significazione e diffida ad esperire, in esecuzione della predetta sentenza n. 8684 del 2022, la procedura di mobilità per la copertura del posto di Dirigente con funzioni di Comandante del Corpo di Polizia Locale, chiedendo al giudice amministrativo di "indicare il procedimento da espletarsi per la copertura del posto di Dirigente con funzioni di Comandante di polizia municipale e/o le corrette modalità di esecuzione della predetta sentenza n. 8684/2022". Proponeva quindi "azione per la declaratoria di nullità ai sensi dell'art. 114, comma 4, lett. b), c.p.a.", in relazione agli atti "adottati in violazione e/o elusione della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 11 ottobre 2022, n. 8684" ed in particolare al "decreto del Sindaco della Spezia n. -OMISSIS- e la conseguente Determina dirigenziale del C.d.R. personale del Comune della Spezia n. -OMISSIS-. Il predetto Decreto, infatti, si pone in netto contrasto, ossia in violazione e/o elusione, della sentenza di Codesto Ecc.mo Consiglio di Stato, in quanto ha prorogato la durata dell'incarico affidato al Dott. -OMISSIS- sulla base della procedura ex art. 110 TUEL dichiarata illegittima dalla predetta sentenza". Tale decreto, inoltre, avendo sopperito - quantomeno temporaneamente - all'esigenza di copertura del posto di Dirigente con funzioni di comandante della Polizia municipale del Comune della Spezia, avrebbe impedito la riedizione della procedura di mobilità per la copertura di tale posto, di fatto già occupato e non più vacante. Deduce il ricorrente che, recando nelle premesse l'assunto per cui "Considerato che l'iter di individuazione del soggetto cui conferire l'incarico di Comandante del Corpo di Polizia Locale è già stato effettuato con la procedura di evidenza pubblica di cui sopra", il detto decreto n. -OMISSIS- si fonderebbe proprio sugli atti annullati dalla sentenza di cui si chiede l'ottemperanza, con la conseguenza che anch'esso dovrebbe considerarsi automaticamente caducato (o perlomeno infirmato da illegittimità derivata). Costituitosi in giudizio, il Comune di La Spezia eccepiva innanzitutto l'inoppugnabilità del decreto del Sindaco della Spezia n. -OMISSIS-, in quanto a suo tempo non impugnato dall'odierno ricorrente e, quindi, la non riconducibilità dello stesso nel novero degli atti di cui all'art. 114, comma 4 lett. b) Cod. proc. amm. poiché intervenuto prima della pubblicazione della sentenza d'appello, non potendo in tal modo parlarsi di violazione e/o elusione del decisum. Il ricorso è inammissibile, vertendo su un aspetto estraneo al perimetro del giudizio di ottemperanza. Invero, il decreto sindacale del -OMISSIS- era stato adottato alcuni mesi prima dell'udienza di discussione della causa RG n. 10537 del 2021, all'esito della quale veniva pronunciata la sentenza della quale si chiede oggi l'ottemperanza: trattandosi per tabulas di un nuovo provvedimento di nomina - ancorché di contenuto ana a quello precedentemente venuto a scadenza - non può qualificarsi come mera "sopravvenienza" di quello originariamente impugnato, essendo autonomo - e non già logicamente consequenziale o meramente esecutivo - rispetto a quest'ultimo. Il provvedimento di nomina originario, annullato per effetto della sentenza n. 8684 del 2022 della Sezione, non costituiva dunque il presupposto necessario di quello del quale oggi si chiede (a sua volta) l'annullamento: come già detto, infatti, si trattava di due provvedimenti concettualmente autonomi, né il semplice rinvio per relationem contenuto nel suo preambolo - ai fini dell'istruttoria procedimentale - ad alcuni atti interni della precedente procedura selettiva era sufficiente ed idoneo ad integrare il nesso di consequenzialità necessaria proprio dei provvedimenti sopravenuti (a quello annullato) destinati a caducazione automatica. L'estraneità del decreto sindacale del -OMISSIS- all'ambito dell'ottemperanza della sentenza 11 ottobre 2022, n. 8684 della Sezione determina altresì l'inammissibilità, per difetto di interesse, del primo motivo di ricorso, non sussistendo allo stato - come a rigore riconosciuto dallo stesso ricorrente - le condizioni per espletare un "procedimento (...) per la copertura del posto di Dirigente con funzioni di Comandante di polizia municipale", non essendo tale posizione vacante. Alla luce dei rilievi che precedono, il ricorso va dunque dichiarato inammissibile. La particolarità delle questioni esaminate giustifica peraltro, ad avviso del Collegio, l'integrale compensazione tra le parti delle spese di lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Rosanna De Nictolis - Presidente Valerio Perotti - Consigliere, Estensore Stefano Fantini - Consigliere Giovanni Grasso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ROMA I SEZIONE LAVORO Il Giudice dott.ssa Paola Giovene di Girasole, presso il Tribunale di Roma, in funzione di Giudice del Lavoro, ha pronunciato la seguente sentenza all'esito dell'udienza del 20 aprile 2023, tenutasi mediante trattazione scritta, nella causa iscritta nel ruolo generale degli affari contenziosi, al n. 19690/2021 TRA (...), rappresentato e difeso dall'avv. Ca.Vo., ed elett.te domiciliato presso il suo studio in Roma, al viale (...), per mandato in atti; ricorrente e Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Direzione Interregionale per il Lazio e per l'Abruzzo, in persona del Direttore p.t., e Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro p.t., rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, e domiciliati in Roma, alla via (...); resistenti FATTO E DIRITTO Con ricorso depositato il 18.7.21 il ricorrente in epigrafe, ex dipendente in pensione dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ha chiesto accertare e dichiarare illegittime ed illecite una serie di condotte datoriali analiticamente descritte in ricorso, ritenendole riconducibili ad un'unica azione integrante mobbing, o in subordine "straining" o, in ulteriore subordine, determinante una situazione di stress lavoro-correlato. Ha quindi chiesto condannare le convenute, a titolo contrattuale e/o extracontrattuale, al risarcimento in favore del ricorrente di tutti i pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali, ex art. 2059 c.c. personalizzati (sotto i profili professionale, all'immagine, alla dignità, biologico, esistenziale, morale soggettivo). In particolare, ha chiesto: "condannare l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e/o il Ministero dell'Economia e delle Finanze al risarcimento dei danni subiti e/o subendi dal ricorrente in dipendenza delle condotte datoriali e dei fatti per cui è causa, da liquidarsi nella accertanda misura non inferiore all'equivalente del 100% degli emolumenti spettanti all'istante dall'inizio della condotta illecita, come dedotta in fatto, dal luglio 2003 e, comunque, dalla "riammissione" presso l'Agenzia delle Dogane, avvenuta il 2 novembre 2007 o in misura percentuale rispetto ad essi, da quantificarsi, anche mediante disponenda CTU e/o anche in via equitativa, o comunque con riferimento alla tabella 2021 del Tribunale di Milano, per il risarcimento del danno non patrimoniale (allegata al presente ricorso) e da liquidarsi come segue in caso di adozione del criterio tabellare: a) sotto il profilo del c.d. danno biologico ovvero all'integrità psicofisica, tenuto conto della suddetta Tabella del Tribunale di Milano, della percentuale di invalidità permanente accertata e all'età del ricorrente, liquidare la somma di Euro 97.612,00 e, comunque, non inferiore ad Euro 69.228,00, oltre all'invalidità temporanea ovvero liquidare la diversa somma personalizzata sino alla misura di Euro 150.000,00 ovvero la somma maggiore o minore ritenuta congrua e di giustizia, in ogni caso, tenendo conto dell'ampia durata e degli esiti dell'illecito; b) sotto il profilo del c.d. danno esistenziale (anche nell'accezione dei pregiudizi non patrimoniali, qui richiesti anche in via autonoma, alla dignità e alla personalità del lavoratore, quali diritti inviolabili ex artt. 1,2,3,4 cost., intesi anche all'esterno, "nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità", art. 2), da liquidarsi nella somma pari ad Euro 266.700,00, ossia in misura pari al doppio della indennità temporanea giornaliera, moltiplicata per i giorni dall'ingresso nell'Agenzia delle Dogane alla quiescenza, ovvero nel periodo 2 novembre 2007 - 1 giugno 2018, oltre alle successive somme eventualmente dovute sino alla sentenza, o nell'altra misura ritenuta provata e di giustizia, anche in via equitativa, ex art. 1226 c.c.; c) sotto il profilo del danno morale (anche nell'accezione di pregiudizio non patrimoniale alla personalità morale del lavoratore, quale ipotesi di risarcibilità da inadempimento contrattuale prevista dal Legislatore, ex art. 2087 c.c., ed anche uti singulus, ex art. 2 Cost.) da liquidarsi in misura non inferiore al 50% del danno esistenziale, ovvero ad Euro 130.000,00, o, in subordine al 50% del danno biologico, comunque non inferiore ad Euro 69.228,00, come da valori "Standard" della Tabella in esame, per la somma di Euro 35.000,00 o ancora, nella diversa somma, maggiore o minore, ritenuta equa e di giustizia; d) sotto il profilo del danno alla professionalità (costituente, anch'esso, diritto inviolabile ex art. 35 Cost.), sia patrimoniale che non patrimoniale, per perdita di chance, all'immagine, all'identità professionale ed alla reputazione, da liquidarsi in misura equivalente ad Euro 292.100,00, pari alle retribuzioni percepite dal 2 novembre 2007 al primo giugno 2018 (127 mesi), parametrate alla media delle ultime retribuzioni percepite, oltre al mancato adeguamento/perdita sostanziale di fascia economica anche quale perdita di chance, pari ad Euro 23.000,00, per un totale di Euro 315.100,00 oltre alle successive somme eventualmente dovute sino alla sentenza, ovvero liquidare l'altra maggiore o minore somma ritenuta di giustizia, eventualmente in misura percentuale alla retribuzione; e) In ogni caso, liquidarsi i titoli di cui sopra in quelle altre somme maggiori o minori ritenute provate, o di giustizia ovvero eque, ex art. 1226 c.c.; f) il tutto oltre rivalutazione ed interessi dal fatto al saldo. Con vittoria di spese". A sostegno della domanda ha dedotto di essere stato assunto nel 1987, come vincitore di concorso pubblico, "Riservato ai laureati in ingegneria" presso l'Azienda (...) di Stato, con la qualifica di dirigente tecnico della VII qualifica funzionale; che nel 1998 l'Azienda (...) di Stato era stata oggetto di trasformazione, a seguito di un processo di privatizzazione, divenendo "Ente Tabacchi Italiani", e poi ancora "(...) s.p.a."; che il ricorrente era stato quindi distaccato presso il nuovo ente per esservi poi, a luglio 2002, formalmente trasferito ed inquadrato, a seguito di comparazione del livello già posseduto presso l'amministrazione dei Monopoli di Stato, come 1 livello "impiegato direttivo" super (Quadro) del CCNL per i lavoratori dell'industria alimentare; che a gennaio 2004 la società (...) comunicava all'ing. (...) di avere personale in esubero rispetto ai fabbisogni aziendali; che a novembre 2007 l'ing. (...) era stato quindi ricollocato presso l'Agenzia delle Dogane, ed assegnato alla Direzione interregionale per il Lazio e l'Umbria, con sede di lavoro presso la Sezione di Fiumicino Porto e inquadrato nella terza area, fascia economica F4; che da febbraio 2009 il ricorrente era stato assegnato presso la sede centrale dell'Ufficio delle dogane di Roma 2 (struttura da cui dipende la Sezione di Fiumicino Porto), permanendovi in servizio sino all'anno 2017; che nel 2017, a seguito di procedura di mobilità volontaria, era stato assegnato all'Ufficio Acquisti della Direzione centrale Pianificazione, Amministrazione e Sicurezza sul Lavoro, sino al 1 giugno 2018, data in cui era stato collocato a riposo per raggiunti limiti di età. Il ricorrente lamenta di non essere stato inquadrato correttamente dall'Agenzia all'atto del suo trasferimento, di aver ottenuto tardivamente il riconoscimento della qualifica di ingegnere e di aver perso, così, opportunità di carriera. Afferma comunque di avere svolto, presso i vari uffici, mansioni inferiori alla sua qualifica, di essere stato costretto a lavorare in ambienti insalubri. Per quanto riguarda il periodo passato presso l'Ufficio centrale, l'ing. (...) lamenta comunque la scarsa considerazione maturata nei suoi confronti, oltre che la mancata assegnazione di alcuna mansione specifica. Si sono costituite in giudizio l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ed il Ministero dell'Economia e delle Finanze contestando la domanda e chiedendone il rigetto. Il Ministero ha altresì eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva. Anche l'Agenzia ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva per il periodo precedente al trasferimento del ricorrente presso essa. Quindi, rigettate le richieste istruttorie di parte ricorrente, perché relative a circostante documentalmente provate, o generiche ed irrilevanti, o valutative, concesso termine per il deposito di note, disposta la trattazione scritta ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c., la causa è stata decisa come da dispositivo e contestuale motivazione. La domanda è infondata e va pertanto rigettata. Il D.Lgs. n. 283 del 1998 ha istituito l'Ente Tabacchi Italiani per lo svolgimento delle attività produttive e commerciali già riservate all'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (compresa la produzione del sale). L'art. 4 del medesimo d.lgs. ha stabilito che "il personale già appartenente all'Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato e addetto alle attività di cui all'art. 1 co. 2, è inserito in un ruolo provvisorio ad esaurimento del Ministero delle finanze e distaccato temporaneamente presso l'Ente nel numero necessario per l'avvio e la prosecuzione dell'attività dell'Ente medesimo. Il predetto personale, in tutto o in parte, viene progressivamente trasferito all'ente in base ai fabbisogni previsti dalle determinazioni riguardanti i programmi generali, produttivi e commerciali e i processi di ristrutturazione di cui all'art. 2 co. 2". In forza di siffatta disposizione, il personale facente parte dell'AMMS e addetto alle funzioni trasferite all'ETI, è stato in un primo momento integralmente distaccato all'ETI e inserito in una sezione speciale del ruolo del MEF. Successivamente, una parte di tale personale è stata definitivamente trasferita all'ente, con conseguente cancellazione della stessa dal ruolo del MEF e la nascita di un rapporto di lavoro privatistico con l'ETI stesso, disciplinato dalle norme del diritto privato e dalla contrattazione collettiva di settore, come previsto dal comma 2 dell'art. 4 del D.Lgs. n. 283 del 1998. Il comma 4 del suddetto art. 4 del D.Lgs. n. 283 del 1998 ha poi previsto il diritto del personale trasferito all'Ente o alle società per azioni in cui quest'ultimo è stato trasformato, che fosse risultato in esubero a seguito di ristrutturazioni aziendali eventualmente verificatesi anche nei nove anni successivi alla data di trasformazione dell'ente in S.p.A., di essere riammesso nei ruoli dell'amministrazione finanziaria e in quelli di altre p.a., mantenendo la stessa qualifica giuridica e il livello economico che possedeva nel momento in cui l'Ente era stato trasformato in S.p.A. Ciò posto, l'Amministrazione Autonoma, con Provv. del 5 febbraio 1999, ha provveduto al distacco presso l'ETI del personale in servizio. In particolare, per quanto concerne la posizione del ricorrente, assunto originariamente presso l'AAMS, lo stesso è stato collocato nel ruolo provvisorio a settembre 1998, e distaccato all'E.T.I. nel febbraio 1999, trasferito definitivamente all'(...) nel luglio 2002 e poi riammesso nella P.A., grazie alla clausola di salvaguardia, nel novembre 2007, per essere infine assegnato all'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Il trasferimento dell'ing. (...) nella Pubblica Amministrazione è avvenuto con l'attribuzione della medesima qualifica funzionale di inquadramento acquisita presso l'Amministrazione (...) di Stato, così come previsto dall'art. 4, comma 4, D.Lgs. n. 283 del 1998, secondo cui in caso di ricollocamento presso la p.a. al dipendente spettano il riconoscimento dell'anzianità corrispondente al servizio prestato e la posizione economica conseguita presso l'amministrazione finanziaria al momento della sua trasformazione in società per azioni. Alla luce della ricostruzione effettuata, deve dunque preliminarmente dichiararsi il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell'Economia e delle Finanze, che non ha mai assunto la qualifica di datore di lavoro del ricorrente, che è stato solo per un periodo inserito nel ruolo provvisorio ad esaurimento, denominato Sezione speciale 1/G del Ministero delle Finanze (ora MEF), ai sensi dell'art. 4, comma 1, L. n. 283 del 1998 innanzi citata. Non possono poi ascriversi ad Agenzia delle Dogane e dei Monopoli eventuali condotte datoriali realizzate nel periodo antecedente al trasferimento dell'ing. (...) presso la stessa, e dunque prima del 2 novembre 2007, data in cui il ricorrente ha preso servizio presso l'Agenzia attuale resistente, laddove prima di tale data egli era in servizio presso altri enti, estranei al presente giudizio. Pertanto, circoscritto l'esame al periodo decorrente dal 2 novembre 2007, l'ing. (...), da quella data, a seguito della ricollocazione presso l'Agenzia delle Dogane, risulta pacificamente aver preso servizio presso il SOT di Fiumicino Porto, con inquadramento nella III Area F4, profilo di "funzionario doganale". In quel periodo era infatti vigente il CCNL relativo al personale del Comparto delle Agenzia fiscali, per il quadriennio normativo 2002-2005 e biennio economico 2002-2003, il quale prevedeva, all'art. 20, una divisione del personale in fasce retributive all'interno delle aree. L'attribuzione della fascia economica all'interno dell'area di appartenenza era operata sulla base di una tabella (tabella B) di trasposizione automatica, che teneva conto del precedente sistema classificatorio. Pertanto, correttamente l'ing. (...), che nel precedente sistema di classificazione dei livelli era inquadrato nella posizione C3, automaticamente è stato inquadrato, per equivalenza, nella terza area, fascia economica F4, come peraltro richiamato dall'art. 17 del precitato CCNL (doc. 2 prod. Agenzia delle Dogane). Il ricorrente lamenta tuttavia che, a causa del ritardo con cui l'Amministrazione ha provveduto alla sua "riammissione" presso l'Agenzia delle Dogane, ossia dopo circa quattro anni dalla sua richiesta, risalente al febbraio 2004, avrebbe subito un rallentamento della progressione economica rispetto ad altri colleghi non trasferiti ad ETI/(...), o trasferiti ma riammessi prima di lui, i quali, pur avendo il suo stesso livello di inquadramento presso i Monopoli dello Stato, avevano potuto beneficiare del passaggio dal livello C3 al livello C3 Super mentre lui si trovava ancora presso (...), ed avevano così potuto conseguire la fascia economica F6, mentre il ricorrente a fine carriera aveva potuto conseguire solo la fascia F5. Sul punto si osserva che l'individuazione del personale da trasferite ad ETI è stata a suo tempo effettuata in base a specifici criteri fissati dal D.Lgs. n. 283 del 1998, né peraltro il ricorrente ha all'epoca impugnato il proprio trasferimento, sicchè certamente non può dolersene solo ora. Per quanto riguarda invece il suo rientro presso la PA, la missiva del 26.1.04, con cui la Società (...) ha comunicato all'ing. (...) l'esubero dell'attività svolta dal medesimo rispetto ai fabbisogni aziendali, afferma che egli, ai sensi dell'art. 4, D.Lgs. n. 283 del 1998, sarebbe stato "ricollocato nell'ambito della P.A. (...), nei tempi necessari e con le modalità previste sia dal predetto Decreto che dagli Accordi a suo tempo sottoscritti con le Organizzazioni sindacali nazionali e con il ministero dell'Economia e delle Finanze" (doc. 18 prod. ricorr.). L'art. 4 del suddetto D.Lgs. n. 283 del 1998, prevede in particolare che "Il personale trasferito all'Ente e alle società per azioni in cui quest'ultimo viene trasformato ai sensi dell'articolo 1, comma 6, che risultasse in esubero a seguito di ristrutturazioni aziendali eventualmente verificatesi anche nei nove anni successivi alla data di trasformazione dell'ente in società per azioni, ha diritto di essere riammesso, su domanda da presentare entro sessanta giorni dalla comunicazione di esubero, nei ruoli dell'amministrazione finanziaria, ai sensi dell'articolo 3, comma 232, della L. 28 dicembre 1995, n. 549, come modificato dall'articolo 8 del D.L. 8 agosto 1996, n. 437, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 ottobre 1996, n. 556, e in quelli di altre pubbliche amministrazioni. A tal fine, all'atto della trasformazione, viene presentato un piano di utilizzazione del personale. La riammissione avviene a seguito di procedure finalizzate alla riqualificazione professionale del personale, attivate ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettera s), della L. 15 marzo 1997, n. 59". Nel caso specifico, a fronte di una procedura di riammissione rigidamente regolata dalla legge e da appositi Accordi, non si conoscono le tempistiche di comunicazione dell'esubero agli altri colleghi del ricorrente, né quale sia stato il percorso necessario all'ing. (...) ed ai suoi colleghi per potersi far luogo alla loro riammissione presso Agenzia delle Dogane. Ne consegue l'assoluta genericità di tale doglianza e, quindi, anche l'infondatezza delle censure del ricorrente circa il fatto di non aver potuto partecipare, a causa del suo trasferimento ad Eti prima, e della ritardata "riammissione" presso la PA dopo, ai concorsi pubblici nel frattempo indetti, ed alle procedure selettive per acquisire il passaggio, all'interno della terza area, da F5 a F6, ed anche per il passaggio dal livello C3 a quello C3S. Passando all'esame delle affermazioni relative al presunto demansionamento, deve rilevarsi come effettivamente l'Agenzia resistente abbia tardivamente riconosciuto, solo nel 2016, il diritto del ricorrente ad essere inquadrato nel profilo di ingegnere, piuttosto che di funzionario doganale. A tal proposito si osserva che il Contratto collettivo nazionale integrativo del 29 luglio 2008 ha introdotto alcune nuove figure professionali: "funzionario doganale, chimico ed ingegnere" (doc. 38 prod. ricorr.). Il successivo 31 marzo 2009 è stato firmato l'Accordo sindacale sulla declaratoria dei profili professionali, in base al quale "ogni dipendente è tenuto a svolgere tutte le mansioni considerate equivalenti all'interno dell'area di appartenenza, fatte salve quelle per il cui espletamento sono richieste specifiche abilitazioni professionali" (doc. 39 prod. ricorr.). La determinazione del Direttore centrale dell'Agenzia, prot. (...) del 11.11.2011 stabiliva alla lettera d) che "al personale inquadrato nella terza area è attribuito il profilo di funzionario doganale, salvo che possieda i titoli di studio, abilitativi e professionali richiesti per il profilo di chimico o di ingegnere" (doc. 40 prod. ricorr.). Tanto premesso, la stessa Agenzia resistente ammette in memoria difensiva di aver svolto un monitoraggio tra i dipendenti acquisiti, interessati ad essere inquadrati nel nuovo profilo professionale, e che dal sistema informatico degli stati matricolari Oracle HR non risultava l'iscrizione all'albo degli ingegneri dell'ing. (...), sicché ha dovuto richiedere all'interessato il possesso di tale requisito. Pertanto solo dopo il positivo riscontro dell'interessato, l'Agenzia, con nota della ex Direzione Interregionale per il Lazio e l'Abruzzo del 12.12.2016, ha provveduto all'aggiornamento della scheda matricolare dell'ing. (...) nel sistema Oracle HR, inserendo il requisito dell'iscrizione all'Albo degli Ingegneri, sebbene questi già lo possedesse dal 1983, e fosse stato assunto a suo tempo presso i Monopoli di Stato nel 1987 come ingegnere, svolgendovi attività di Direttore Tecnico, Ingegnere Capo e Collaudatore (doc. 116 prod. ricorr.). Ciò posto, si osserva tuttavia che l'art. 52 del D.Lgs. n. 165 del 2001, e succ. mod., in materia di mansioni, contiene il principio c.d. di "equivalenza formale", stabilendo che "Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell'ambito dell'Area di inquadramento, ovvero quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all'art. 35, comma 1, lettera a) ...". Ne consegue che il datore di lavoro pubblico è tenuto esclusivamente al rispetto dell'assegnazione di mansioni proprie dell'Area di inquadramento, ed al rispetto dell'equivalenza c.d. "formale" prescindendo, quindi, dalla professionalità acquisita. Su tali basi, la giurisprudenza di legittimità ha quindi avuto modo di affermare che "L'art. 52 comma 1, D.Lgs. n. 165 del 2001, che disciplina il mutamento di mansioni nell'ambito del lavoro pubblico privatizzato, ricollega espressamente e formalmente l'equivalenza professionale delle mansioni del pubblico dipendente alla classificazione prevista dai contratti collettivi. Questa nozione di equivalenza "formale", alla quale il giudice è vincolato, è in grado di realizzare la corrispondenza tra mansioni e posto in organico che caratterizza l'ente pubblico - datore di lavoro, tuttora condizionato da vincoli di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria generale" (Cass. 2011/17, Cass. 17214/16, Cass. 12109/16, Cass. 7106/14, Cass. 18283/10, Cass. 11835/09, Cass. 11405/10). Il ricorrente non può pertanto lamentare di essere stato assegnato a mansioni doganali, estranee alla propria professionalità di ingegnere, laddove la qualifica di funzionario doganale, riconosciutagli fino al 2016, comprende comunque attività appartenenti alla III Area del CCNL. Né tale diritto discende dalla previsione dell'Acc. sindacale del 31 marzo 2009 innanzi richiamata (ogni dipendente è tenuto a svolgere tutte le mansioni considerate equivalenti all'interno dell'area di appartenenza, fatte salve quelle per il cui espletamento sono richieste specifiche abilitazioni professionali), la quale implica solo che, com'è ovvio, all'interno della medesima Area non è possibile svolgere mansioni che richiedano specifiche abilitazioni professionali, ma non anche che chi le possieda non possa svolgere mansioni che non le richiedano. In ogni caso l'iniziale errato inquadramento non risulta aver comportato negative ripercussioni sulla carriera del ricorrente, dal momento che comunque gli incarichi attribuiti all'ing. (...) al suo rientro presso l'Agenzia resistente appaiono in linea con quanto previsto dal CNLC, che prevede le seguenti mansioni, per il personale appartenente alle terze aree: "... può dirigere o coordinare unità organiche anche di rilevanza esterna, la cui responsabilità non è riservata ai dirigenti, può svolgere attività ispettive, di valutazione, di verifica, di controllo, di programmazione e di revisione; può essere adibito a relazioni esterne dirette con il pubblico di tipo complesso ..., può effettuarestudi e ricerche, può collaborare ad attività specialistiche, in considerazione dell'elevato livello professionale posseduto ..." Con specifico riferimento all'attività svolta dal ricorrente prima presso la SOT Fiumicino Porto, e poi, dall'1 febbraio 2009, presso la sede centrale dell'ufficio delle dogane di Roma 2, "Ufficio segreteria ed audit interno", esse includevano, secondo quanto affermato anche dallo stesso ricorrente, il rilascio delle autorizzazioni di cui all'art. 19 del D.Lgs. n. 374 del 1990, la distribuzione dei contrassegni di Stato, la tenuta della relativa contabilità e redazione del conto giudiziale e, presso l'Ufficio segreteria ed audit interno, anche attività di segreteria del dirigente, e verifiche di cassa. Siffatte attività trovano conferma nella documentazione in atti. In particolare, dalla nota prot. (...) del 14/12/2010, emergono le attività alle quali erano preposti i funzionari della segreteria Audit interno e d'impresa, e tra questi l'ing. (...), il quale, specificamente, "cura l'espletamento dei procedimenti per il rilascio delle autorizzazioni di cui all' ex articolo 19 del D.L. n. 374 del 1991, provvede alla custodia ed alla distribuzione dei contrassegni di stato, nonché all'aggiornamento della relativa contabilità e redazione del conto giudiziario; partecipa all'attività di vigilanza e controllo sul corretto e regolare andamento degli uffici e servizi dipendenti nonché sulla osservanza del codice comportamentale dei dipendenti pubblici ed in merito alla deontologia professionale del personale; svolge attività di verificatore di cassa" (doc. 4 prod. resist.). Le suddette attività denotano poi la prevalenza di compiti autorizzativi ed ispettivi, conformi all'area di appartenenza del ricorrente. Comunque le attività connesse al rilascio delle autorizzazioni previste dall'art. 19 del D.Lgs. n. 374 del 1990 (Riordinamento degli istituti doganali e revisione delle procedure di accertamento e controllo), lungi dall'essere scarsamente qualificanti, richiedono capacità e professionalità. Ed infatti il suddetto art. 19 (Edifici in prossimità della linea doganale e nel mare territoriale) disciplina l'autorizzazione della dogana per eseguire costruzioni ed altre opere di ogni specie o stabilire manufatti galleggianti, in prossimità della linea doganale e nel mare territoriale (doc. 5 prod. resist.). Dall'1 gennaio 2013, con disposizione di servizio prot. (...) del 31/12/2012, all'ing. (...) è stato poi conferito l'incarico di responsabile dell'ufficio segreteria, audit interno e d'impresa. Successivamente, con disposizione di servizio prot. (...) del 29/12/2014, il ricorrente è stato assegnato all'ufficio contabilità operatori dell'Area gestione tributi, nel quale ha sostituito il capo ufficio in caso di sua assenza (doc. 7 prod. resist.); nel frattempo, ha continuato ad essere il consegnatario dei contrassegni di Stato, ad effettuare verifiche esterne in materia di accise con l'incarico di capo verifica, e sopralluoghi di primo impianto ed è stato il responsabile della cooperazione amministrativa. Con disposizione prot. (...) del 20/12/2016 è stato assegnato all'Area verifiche e controlli - Ufficio controlli e verifiche tecniche e nominato referente per il settore accise (doc. 8 prod. resist.). Sicchè in definitiva, dall'esame di quelli che sono stati i compiti pacificamente svolti nel tempo dal ricorrente, emerge che la sua carriera lavorativa, al contrario di quanto sostenuto, è stata caratterizzata da un susseguirsi di incarichi di responsabilità e da mansioni connotate da elevate doti professionali, consone a quelle "attività ispettive, di valutazione, di verifica, di controllo, di programmazione e di revisione" connaturati alla III area di appartenenza, ed alla qualifica di funzionario tributario prima, e di ingegnere poi. Laddove sicuramente riduttiva, e non conforme ai compiti svolti dal ricorrente presso l'Agenzia resistente, risulta la declaratoria della II area contrattuale, cui il ricorrente vorrebbe ricondurre le attività assegnategli presso la resistente, ed a cui appartengono "... i lavoratori che, nel quadro di indirizzi definiti, in possesso di conoscenze teoriche e pratiche, svolgono attività operative che richiedono specifiche conoscenze dei processi operativi e gestionali ovvero svolgono funzioni specialistiche nei vari campi di applicazione". Trattasi di attività meramente esecutive, sicuramente estranee ai poteri di rilascio di autorizzazioni di cui all'art. 19 D.Lgs. n. 374 del 1990, ed altresì ai poteri di vigilanza e controllo espressamente attribuitigli nella nota n. 1450 del 14/12/2010, ed ancora al ruolo di sostituto del responsabile di sezione Ma.Ce., e poi di Capo Ufficio Audit nel tempo ricoperti. Del tutto generiche e prive di richiamo a dati specifici risultano poi le doglianze del ricorrente di aver dovuto far fronte ad un eccessivo carico di lavoro, senza il supporto di un adeguato numero di collaboratori, ed altresì operando in un ambiente lavorativo insalubre per quanto attiene il periodo svolto presso la SOT Fiumicino Porto. Ed infatti siffatte problematiche riguardano, per comune esperienza, la generalità dei pubblici dipendenti, e non possono assurgere a fonte di responsabilità datoriale laddove non siano sorrette dal richiamo a fatti circostanziati, sia in relazione al carico di lavoro, che ad eventuali violazioni attinenti gli obblighi di tutela della salute e sicurezza sul luogo di lavoro. Il che non è avvenuto nel caso di specie. L'ing. (...), con Ordine di servizio n. 59 del 3/10/2017, è stato infine assegnato all'Ufficio Acquisti, dove ha lavorato presso la ex Direzione centrale, Pianificazione, Amministrazione e Sicurezza sul lavoro dal 2 ottobre 2017 al 31 maggio 2018e, data del suo pensionamento. Il ricorrete lamenta la mancata assegnazione di "alcuna mansione specifica, rimanendo quasi tutta la giornata in inattività". Tuttavia la documentazione in atti smentisce tale assunto dimostrando come invece l'ing. (...) presso il suddetto Ufficio sia stato coinvolto in maniera continuativa nella relativa attività, dove risulta essere stato impegnato in almeno 5 procedure di gara (doc. 9 prod. resist.). Inoltre dalla nota della ex Direzione Interregionale per il Lazio e l'Abruzzo, prot. (...) del 21/11/2017, emerge come l'ing. (...) sia stato impegnato, in quella data, nelle operazioni di verifica presso la ditta (...) di (...), e che nei successivi giorni avrebbe operato presso il deposito Maxoil di Fiumicino (doc. 10 prod. resist.). Il che denota come il ricorrente anche in tale periodo abbia svolto compiti confacenti al proprio livello di inquadramento. Passando all'esame della domanda di risarcimento danni per mobbing o straining o stress lavoro-correlato, si osserva che secondo l'ormai consolidato orientamento della Corte di Cassazione, per mobbing si intende "una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano posti in essere in modo miratamene sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio" (Cass. n. 26684/2017). L'elemento qualificante del mobbing va ricercato dunque non nella legittimità o illegittimità dei singoli atti e comportamenti - giuridici o meramente materiali - bensì nell'intento persecutorio o emulativo che li unifica, che deve essere provato da chi assume di avere subito la condotta vessatoria e che spetta al giudice del merito accertare o escludere, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto. In particolare, "ai fini della configurabilità di una ipotesi di "mobbing", non è condizione sufficiente l'accertata esistenza di una dequalificazione o di plurime condotte datoriali illegittime, essendo a tal fine necessario che il lavoratore alleghi e provi, con ulteriori e concreti elementi, che i comportamenti datoriali siano il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione" (Cass. 10992/2020). Ricorrendo gli elementi costitutivi sopra descritti, il datore di lavoro deve ritenersi responsabile nei confronti del lavoratore per tutti i danni cagionati in conseguenza delle condotte poste in essere, poiché il mobbing integra un'ipotesi di inadempimento datoriale che trova il suo fondamento normativo nell'art. 2087 cod. civ., che impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità psico - fisica e la personalità morale del lavoratore, per garantirne la salute, la dignità ed i diritti fondamentali di cui agli articoli 2,3 e 32 Cost. (Cass. n. 18927/2012). Per quanto riguarda lo straining, questo consiste in una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, "in cui la vittima, posta in persistente inferiorità rispetto alla persona che lo attua, subisce almeno un'azione caratterizzata da forte stress e posta in essere con l'intento specifico di discriminarla e di provocare un peggioramento costante e permanente della sua condizione lavorativa, o di quella di tutte le persone coinvolte. Lo straining, in sostanza, si pone a metà a strada tra il normale stress occupazionale, connaturato alle ordinarie interazioni aziendali lavorative ed il mobbing, rispetto al quale ha sicuramente in comune l'alta componente intenzionale e discriminatoria delle azioni ma se ne allontana per la carenza in esso della continuità e frequenza degli atti persecutori, essendo sufficiente anche una sola azione, purché ad effetti duraturi, che del mobbing sono, viceversa, componente essenziale." (Trib. Milano, Sez. Lavoro, Sent. 23.06.2021). Nel caso di specie, nei confronti del ricorrente non sono stati assunti in alcun modo comportamenti riconducibili al mobbing o allo straining da parte dell'Agenzia datrice di lavoro. Ed infatti, come emerge dalla stessa narrazione fatta dal ricorrente, le presunte azioni vessatorie sarebbero da ricollegare ad una sgradita assegnazione di sede lavorativa, in locali insalubri, all'adibizione a mansioni non conformi alla professionalità del dipendente, ad un presunto eccessivo carico di lavoro, al ritardo con cui gli è stato consentito il rientro in P.A.. Tutti elementi che, a detta del ricorrente, denoterebbero un atteggiamento persecutorio e vessatorio artatamente realizzato nei suoi confronti. Tuttavia quanto innanzi osservato circa la mancanza di concreti elementi da cui desumere l'esistenza di un colpevole ritardo nella riammissione dell'ing. (...) presso l'Agenzia resistente, ed altresì la mancanza di elementi idonei a ritenere che effettivamente sia stato realizzato un illegittimo demansionamento nei suoi confronti, escludono già di per sé la sussistenza del mobbing o dello straining, che si fonda proprio su tali assunti. In ogni caso mancano totalmente nella fattispecie in esame elementi tali da far ritenere esistente un intento persecutorio specificamente realizzato nei confronti del ricorrente. In primo luogo il ricorrente non ha individuato alcun nominativo cui imputare i comportamenti di cui si duole, che peraltro avrebbero riguardato tutto il periodo lavorativo successivo al rientro in P.A., in ben tre diverse sedi lavorative. Inoltre gli episodi consistenti nell'insalubrità di alcuni luoghi di lavoro (SOT di Fiumicino Porto), e l'eccessivo carico di lavoro, a prescindere dalla innanzi rilevata genericità delle relative deduzioni, certamente non possono essere significativi della volontà di vessare il ricorrente, riguardando eventualmente anche tutti gli altri addetti alla medesima sede. E così anche gli altri episodi attinenti a presunti ritardi nella sua riammissione in P.A., o al ritardo (effettivo) con cui gli è stato infine riconosciuto il profilo di ingegnere, pur costituendo eventualmente espressione di una non ottimale gestione amministrativa, non dimostrano, di per sé, l'esistenza di un intento persecutorio volutamente realizzato (da chi?) nei confronti dell'ing. (...). Circostanza, quest'ultima, essenziale ad integrare il mobbing o lo straining. Pertanto, attesa la mancata allegazione e prova di condotte poste in essere dall'amministrazione integranti molestie, boicottaggi e persecuzioni psicologiche ai danni del ricorrente, anche la domanda giudiziale di risarcimento danni per mobbing o straining dev'essere rigettata. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Definitivamente pronunciando, rigetta la domanda e condanna il ricorrente al pagamento dei compensi di lite a favore delle resistenti, che liquida in complessivi Euro 6.500,00, oltre spese generali in misura del 15%, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Roma il 26 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7703 del 2022, proposto da Ministero dell'Economia e delle Finanze e Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico in Roma, via dei Portoghesi, 12; contro -OMISSIS-rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Pu., -OMISSIS-, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione staccata di -OMISSIS- (Sezione Seconda), n. -OMISSIS-resa tra le parti;   Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di-OMISSIS- Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 marzo 2023 il Cons. Fabrizio D'Alessandri e udito, per la parte appellata, l’avvocato Da. D'Ag., in sostituzione di Al. Pu.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.   FATTO Le amministrazioni appellanti hanno impugnato la sentenza del T.A.R. Campania -OMISSIS- n.-OMISSIS-resa inter partes. In particolare, l’appellato, in data 23 maggio 2018, è stato trasferito, temporaneamente per tre anni, ai sensi dell’art. 42 bis del D. Lgs. n. 151/2001, dal Nucleo pef di -OMISSIS-alla Compagnia di -OMISSIS- a seguito della sentenza del T.A.R. -OMISSIS-n.-OMISSIS- Nelle more della vigenza del trasferimento, in data 25 giugno 2020, il medesimo appellato ha presentato, ai sensi della circolare del Comando Generale n. 379389/Ed. 2013, una domanda di conferimento finalizzata alla presentazione di un’istanza di trasferimento “per situazioni straordinarie” dal citato Nucleo pef di -OMISSIS-al Comando Regionale Campania – provincia di -OMISSIS- al fine di prestare adeguata assistenza alla consorte e al figlio primogenito. Il Comandante Interregionale dell’Italia Meridionale, con determinazione n. 465351 datata 8 ottobre 2020, ha rigettato l’istanza. Il provvedimento è stato impugnato dall’odierno appellato con ricorso al T.A.R. Campania -OMISSIS- che, con la sentenza gravata in questa sede. ha accolto il ricorso. La sentenza così motiva l’accoglimento: “Ad avviso del Collegio, sono fondate le censure con cui il ricorrente fa valere la violazione della circolare n.379389/09, Capitolo VI e l’eccesso di potere in cui è incorsa l’amministrazione sotto il profilo del difetto di istruttoria e di motivazione. La motivazione resa dall’amministrazione, nella misura in cui si esaurisce nel mero richiamo alla semplicistica soluzione alternativa del trasferimento dell’intero nucleo familiare a -OMISSIS-senza eccepire alcuna ragione di interesse pubblico prevalente obiettivamente apprezzabile dal Tribunale, non tiene in adeguata considerazione la delicatezza e la complessità della situazione familiare del ricorrente per come emerge dalle circostanze rappresentate in sede procedimentale e attraverso la documentazione depositata agli atti, la quale dimostra come tanto la coniuge, quanto il primogenito, siano affetti da patologie e disturbi di rilevante gravità e tali da necessitare, da un lato, della sua presenza costante, dall’altro, in considerazione della peculiarità delle patologie sofferte dai familiari, della prosecuzione dei trattamenti sanitari intrapresi presso strutture e professionisti con i quali nel tempo ben può essersi instaurato un solido rapporto di fiducia e collaborazione. Dette circostanze erano già state valutate favorevolmente dall’Amministrazione in sede consultiva. Il Comandante della Compagnia di -OMISSIS-, il Comandate del Gruppo -OMISSIS- (parere del 02.07.2020), il Comandante Provinciale (parere 10.07.2020) e il Comandante Regionale (parere del 23.07.2020) hanno tutti espresso parere favorevole al trasferimento per circostanze eccezionali, laddove nel provvedimento impugnato non si dà conto di tali risultanze istruttorie. Un onere motivazionale rafforzato in fattispecie quali quella in esame è richiesto dalla giurisprudenza, che ha affermato come “il diniego di una richiesta avanzata da un militare della guardia di finanza, di trasferimento eccezionale per la cura del coniuge malato e per l’assistenza del figlio minore è in via generale illegittimo, poiché incide su rapporti familiari tutelati da precisi precetti costituzionali e deve quindi essere motivato in modo idoneo” (Consiglio di Stato, sez. II, n.7510/2020). Inoltre, ravvisa il Collegio evidenti profili di contraddittorietà nelle decisioni via via assunte dall’amministrazione: come anticipato nella premessa in fatto, dopo il primo trasferimento temporaneo il ricorrente ne ha ottenuti altri due di 180 giorni ciascuno, accordati dallo stesso Comando Generale. La determina n. 0225286/2021 dell’11.08.2021 (e la sua proroga con determina n. 0068395/2022 del 08.03.2022) riconosce l’eccezionalità della situazione affermando che “le problematiche … riconducibili alle gravi condizioni di salute della coniuge bisognevole, risultino idonee a giustificare l’adozione del provvedimento di impiego richiesto, configurandosi le ipotesi di cui al C.V.T.U., l’imprescindibilità della presenza del richiedente presso la sede ambita ravvisabile nella temporaneità delle necessità addotte, nonché nella delicatezza e nella complessità del contesto partecipato, pur essendovi familiari in loco”, sicché appare, anche in ragione del numero e delle ragioni a sostegno dei movimenti temporanei, maggiormente necessario che l’amministrazione provveda all’integrale rivalutazione dell’istanza del ricorrente, esplicitando le ragioni di interesse pubblico prevalenti che ostano al suo accoglimento, tenuto conto dei rilievi contenuti nella presente sentenza”. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Comando Generale della Guardia di Finanza hanno proposto appello avverso la suddetta sentenza, evidenziando l’eccezionalità del trasferimento “straordinario” ai sensi della circolare del Comando Generale n. 379389/09 – Ed. 2013, che opera in deroga ai trasferimenti disposti in via ordinaria, con cadenza annuale, con una procedura concorsuale a livello nazionale (c.d. “Piano degli impieghi”), ed è riservato a situazioni straordinarie che non siano risolvibili attraverso il ricorso agli ordinari istituti di mobilità volontaria del personale e connotato da ampi margini valutativi di discrezionalità da parte dell’Amministrazione, comunque subordinate all’insussistenza di ostative ragioni di servizio. Deduce che nel caso di specie le prospettate problematiche familiari, pur meritevoli di attenzione, non dovevano essere considerate idonee a integrare i presupposti per adottare il provvedimento di trasferimento per “situazioni straordinarie”. Sarebbero stati assenti i presupposti, definiti anche in via giurisprudenziale: - dell’assoluta indispensabilità della presenza del richiedente presso la sede di servizio ambita; - dell’esistenza di “situazioni straordinarie” idonee a giustificare il trasferimento considerato anche che non vi erano impedimenti validi al trasferimento dell’intero nucleo familiare alla sede milanese, in quanto le patologie sofferte dai congiunti avrebbero potuto essere trattate adeguatamente presso le strutture sanitarie presenti a quella sede. L’amministrazione evidenzia che il coniuge sarebbe affetto da “-OMISSIS-” per il quale sarebbe stato consigliato un “percorso di psicoterapia e supporto farmacologico” di cui, tuttavia, non vi sarebbe riscontro nella documentazione prodotta; il medesimo coniuge avrebbe subito un intervento di “tiroidectomia totale”, eseguito in data 29 luglio 2020, per il quale nei suoi confronti risultano prescritti, come emerge dal certificato rilasciato, in data 11 settembre 2020, taluni approfondimenti concernenti esami diagnostici, nonché controlli periodici presso l’endocrinologo e una consulenza oncologica; al figlio sarebbero stati certificati, in data 20 febbraio 2020, alcuni disturbi del sonno (-OMISSIS-) associati a stato ansioso ricorrente durante le ore notturne, da attribuire perlomeno in parte ad ansia da separazione dal padre, ma non risulterebbe in trattamento farmacologico, come emergerebbe dall’indicato certificato. Ha dedotto, altresì, che non configurerebbero comunque “situazioni straordinarie”: - “la volontà di ricongiungimento al proprio nucleo familiare qualora la condizione di disagio connessa alla lontananza sia conseguente ad autonoma decisione o, in caso di scelta necessitata, esistano in loco soluzioni alternative alla asserita indispensabilità della presenza del militare”; - “le problematiche connesse allo stato di salute del militare o di un componente del suo nucleo familiare che comportino la prolungata necessità di assistenza e cura presso particolari strutture sanitarie, comunque presenti anche nell’ambito della Regione ove abbia sede il Reparto di appartenenza”. Inoltre, le ragioni correlate al fatto che la consorte del militare per trasferirsi a -OMISSIS-dovrebbe rinunciare al posto di lavoro è un aspetto che non può trovare soluzione attraverso la procedura delle “situazioni straordinarie”, ma ricorrendo, al maturare dei requisiti, al “piano degli impieghi” che costituisce, come precisato dalla richiamata circolare, l’istituto cardine e principale dei trasferimenti, a domanda, dei ruoli I.S.A.F.. Inoltre, non vi era “l’impossibilità del richiedente di accedere al «piano degli impieghi»” e “l’assenza dei presupposti richiesti per inoltrare qualsiasi altra tipologia di istanza”, ciò anche in considerazione del fatto che, successivamente al diniego gravato, il militare ha chiesto e ottenuto la conferma a carattere temporaneo, con successiva proroga per la medesima destinazione, nonché il trasferimento per la sede di-OMISSIS- nell’ambito della procedura concorsuale del Piano impieghi. La concessione del trasferimento si sarebbe tradotta, quindi, in un illegittimo aggiramento dell’usuale sistema di assegnazione del personale tramite procedure concorsuali. Inoltre, le esigenze familiari manifestate, risultando comuni a molti appartenenti alla Guarda di Finanza in quanto connaturate alla specificità d’impiego e al relativo status di appartenente a un Corpo di polizia a ordinamento militare, non sono idonee a configurare alcuna specifica situazione giuridica tutelabile in relazione alla sede di servizio. Come ulteriore censura gli appellanti deducono che la sentenza sarebbe erronea nella parte in cui evidenzia “profili di contraddittorietà nelle decisioni via via assunte dall’amministrazione: come anticipato nella premessa in fatto, dopo il primo trasferimento temporaneo il ricorrente ne ha ottenuti altri due di 180 giorni ciascuno, accordati dallo stesso Comando Generale”. Sarebbe errata la valutazione di illegittimità effettuata dal T.A.R. in base alla contestazione che l’Amministrazione avrebbe deciso in maniera diametralmente opposta l’istanza di trasferimento definitivo in discussione rispetto a quella relativa al trasferimento temporaneo (e la successiva proroga) accordatogli nella considerazione che il presupposto per la concessione delle citate tipologie di impiego del personale risulterebbe il medesimo (anche in occasione della richiesta di concessione del trasferimento temporaneo le motivazioni si fondavano sulla necessità di assistere la consorte). In realtà i presupposti dei due trasferimenti sono diametralmente diversi. Il trasferimento per situazioni straordinarie può essere concesso in presenza di “situazioni del tutto eccezionali, connotate da estrema delicatezza o gravità - che non siano risolvibili attraverso il ricorso agli ordinari istituti di mobilità volontaria del personale”. Non è ravvisabile, quindi, alcun profilo di contraddittorietà dell’azione amministrativa nell’aver concesso al militare (successivamente alla richiesta del trasferimento straordinario) un movimento “a tempo determinato” poiché la decisione è stata adottata esclusivamente per la “temporaneità delle necessità addotte” in ordine alle prospettate condizioni contingenti di salute della congiunta che rientravano nei casi tassativi previsti dal Testo Unico in materia, “al fine di venire incontro alle immediate e pressanti necessità dei richiedenti”, in quanto risolvibili in un periodo ben determinato. Non può essere eccepita nessuna contraddittorietà del provvedimento impugnato rispetto ai due trasferimenti “a tempo determinato” disposti nei suoi confronti, poiché in quest’ultimi è stato chiaramente evidenziato che “all’accoglimento della domanda non ostano «esigenze di servizio» atteso che si tratta di un avvicendamento limitato nel tempo che, pertanto, non incide sulla situazione forza dei reparti interessati”. Infine, le Amministrazioni appellanti contestano che possa configurare un elemento di illegittimità la mancata osservanza dei pareri favorevoli espressi in merito dalla gerarchia locale, in quanto questi ultimi sono stati rilasciati dai vari Comandanti intermedi avvalendosi di un quadro istruttorio parziale, mentre il provvedimento impugnato è stato adottato dal Comandante Interregionale dell’Italia Meridionale dopo uno specifico momento di conferimento individuale con il militare, che ha evidenziato la mancanza dei presupposti tassativamente previsti dalla disciplina interna per l’accoglimento del richiesto beneficio straordinario. I suindicati pareri non hanno affatto carattere vincolante e non hanno l’effetto di “impegnare” i superiori livelli gerarchici. Si è costituito in sede di appello il militare appellato, in data 7.11.2022, dichiarando di essersi costituito unicamente al fine di eccepire l’inesistenza della notificazione dell’atto di appello e ottenere la dichiarazione di inammissibilità del gravame. Ha dedotto al riguardo che nel procedimento di primo grado l’appellato era stato difeso dall’Avv. -OMISSIS-, deceduto in data 22.06.2022 e cancellato dall’albo di -OMISSIS- con provvedimento notificato agli Eredi, all’Albo speciale dei Cassazionisti ed al Procuratore della Repubblica in data 1.08.2022. La sentenza è stata pubblicata in data -OMISSIS- e notificata alla p.e.c. del militare che si è rivolto all’Avv. -OMISSIS- conferendogli la procura alle liti al fine di notificare la sentenza all’Amministrazione, il che avveniva in data 21.07.2022 tramite la p.e.c. -OMISSIS- al Ministero dell'Economia e delle Finanze, nonché alla Guardia di Finanza Comando Interregionale dell’Italia Meridionale alla pec dell’Avvocatura di Stato costituita in giudizio con p.e.c. [email protected]. Nella relazione di notificazione si legge testualmente: “Io sottoscritto Avvocato -OMISSIS- c.f. -OMISSIS-, avente studio professionale in 04015 -OMISSIS-, difensore per il processo esecutivo come da procura allegata, succeduto al precedente difensore Avvocato -OMISSIS-, dell’ App. -OMISSIS- Salvatore…”. Inoltre, nella procura legale sottoscritta si legge che il Sig. -OMISSIS- elegge domicilio presso lo studio legale dell’Avv. -OMISSIS- con esplicita indicazione di voler ricevere atti e comunicazioni alla p.e.c. -OMISSIS-. A partire dalla data del 21.07.2022 l’Amministrazione e l’Avvocatura di Stato avevano la conoscenza legale del nuovo difensore. L’atto d’appello, tuttavia, non è stato notificato alla p.e.c. dell’Avv. -OMISSIS- (-OMISSIS-) e neppure alla p.e.c dell’Avv. -OMISSIS- (-OMISSIS-) e risulterebbe, pertanto, inesistente. La PA ha notificato l’atto di appello in data 7/10/2022 a -OMISSIS-, considerandolo ancora difensore. L’appellato si è costituito nuovamente in giudizio, in data 18.11.2022, reiterando l’eccezione di inesistenza della notifica e, in subordine, difendendosi nel merito. A quest’ultimo riguardo ha dedotto l’inammissibilità dell’appello per genericità, stante l’asserita mancata indicazione dei capi della sentenza che s’intendono impugnare, proposizione di domande nuove, violazione dell’art. 101 e 104 c.d.a.. Ha ribadito la correttezza della sentenza di primo grado nella parte in cui ha rilevato il difetto di motivazione del provvedimento di diniego e ribadito la contraddittorietà tra i pareri espressi dalle varie linee di comando gerarchico e la decisione finale. All’udienza pubblica del 7 marzo 2023, l’appello è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 1) L’appello si palesa fondato. 2) In via preliminare il Collegio deve scrutinare l’eccezione di inammissibilità formulata dall’appellato per inesistenza della notifica dell’appello. Quest’ultimo ha dedotto che al momento della notifica dell’appello presso l’indirizzo PEC del difensore costituito in primo grado e indicato nella sentenza, il medesimo difensore era deceduto. Il decesso era intervenuto successivamente al passaggio in decisione della controversia di primo grado. La parte appellata si è costituita in giudizio due volte, la prima volta solo per eccepire l’inesistenza della notifica, la seconda per difendersi anche nel merito. Il Collegio rileva che ben nota è la distinzione a livello di effetti processuali di regime tra inesistenza della notifica e nullità, in quanto la seconda, a differenza della prima, rientra nell’ambito di operatività del principio posto dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 148/2021, che, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 44, comma 4, c.p.a., ha ritenuto non possa essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso nei casi di notifica nulla anche qualora la nullità sia imputabile al notificante, dovendo disporsi la rinnovazione della notificazione. Allo stesso tempo alla notifica nulla - e non a quella inesistente - è applicabile il principio di sanatoria per raggiungimento dello scopo, secondo cui la costituzione in giudizio dell'intimato sana la nullità della notificazione del ricorso producendo - ai sensi dell'art. 44, comma 3, c.p.a. nella formulazione risultante a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 26 giugno 2018, n. 132 - effetti ex tunc. Peraltro la sanatoria per raggiungimento dello scopo opera anche se la costituzione in giudizio dell'intimato è stata effettuata al solo fine di eccepire la nullità (T.A.R. Campania -OMISSIS- Sez. I, 21/05/2021, n. 1278). Al riguardo, il Collegio rileva come costituisca principio processuale generale, applicabile anche al processo amministrativo, quello secondo cui l'inesistenza della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio o dell'atto d'impugnazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di mancanza materiale dell'atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un'attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità Ciò precisamente nei casi: a) di attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall'ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, "ex lege", eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l'atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa (Cons. Stato Sez. V, 28/12/2022, n. 11427). In tal senso, sinanche il caso in cui la notificazione dell'appello non venga effettuata presso il difensore nel domicilio eletto per il giudizio e risultante dalla sentenza integra non già un'ipotesi di inesistenza, bensì di nullità (Cons. Stato Sez. II, 30/10/2020, n. 6676). Venendo al caso in esame, è indubbio che la notifica è stata effettuata a mezzo PEC presso un difensore domiciliatario non più in vita al momento della notifica. Si deve quindi applicare il principio secondo cui la morte del domiciliatario produce l'inefficacia della dichiarazione di elezione di domicilio, con la conseguenza dell’inesistenza della notifica. Tale principio trova, infatti, deroga nella sola ipotesi in cui l'elezione di domicilio sia stata effettuata con riferimento allo studio ove il professionista opera, se l'organizzazione del procuratore continua ad esistere anche dopo il decesso, in quanto in questo caso la notifica non è inesistente bensì nulla (ma nel caso di specie non risulta ricorra quest’ultima ipotesi) (Cass. civ. Sez. VI - 5 Ord., 14/05/2013, n. 11486; Cass. civ. Sez. II Sent., 07/01/2010, n. 58; Cass. Sez. 3, 04/03/2002, n. 3102). Il Collegio ben è conscio del fatto che, in tema di vizi di validità della notifica, si tende ad ampliarne a livello interpretativo il novero delle ipotesi, a scapito dei casi di inesistenza, per la minore gravosità degli effetti della prima, in considerazione della possibile sanabilità di quest’ultima e, in ultimo, del disposto dell’indicata decisione della Corte Costituzionale n. 148/2021, anche per le ragioni in quest’ultima evidenziate. Ad esempio, si considera nulla e non inesistente (e di conseguenza sanabile con la costituzione dell’appellato) la notificazione dell'appello non effettuata presso il domicilio eletto in primo grado e, quindi, in violazione dell'art. 330 c.p.c. (Cons. Stato Sez. VI, 09/03/2007, n. 1119), così come la notificazione dell'atto di appello effettuata con deposito in cancelleria anziché all'indirizzo p.e.c. del difensore costituito (Cass. civ. Sez. VI - 1 Ord., 08/11/2017, n. 26488) D’altra parte, questo Collegio ritiene del tutto coerente con quanto sinora rappresentato che si debba considerare inesistente (e non “semplicemente” nulla) la notifica dell’appello effettuato nei confronti di un soggetto non più esistente in vita. Al riguardo, occorre inoltre riflettere sulla circostanza che l’effettuazione della notifica a mezzo di posta elettronica certificata può comportare alcune discrasie rispetto alla tradizionale notifica cartacea. La notifica tradizionale comportava una relata di notifica effettuata materialmente dall’ufficiale giudiziario o dall’agente postale, che ne riportava l’esito, potendo attestare le cause di mancato perfezionamento della stessa, così i casi in cui il destinatario era assente, trasferito o non più esistente (indicando ad esempio l’intervenuto decesso del domiciliatario presso cui la notifica veniva effettuata). La modalità PEC, pur comportando degli indubbi vantaggi in termini di velocità e costi, comporta che la notifica risulterà effettuata, ovverosia consegnata nella casella PEC del destinatario, sino a che quest’ultima sarà esistente, indipendentemente dalle vicende inerenti al soggetto che ne è intestatario. Nel caso di specie, la PEC è stata regolarmente ricevuta dalla casella PEC dell’Avvocato defunto, senza che il notificante potesse avere avviso, dalla notifica, della sua scomparsa. Tali possibili “inconvenienti” rispetto alla mancata emersione, in sede di notifica PEC, delle vicende del destinatario della stessa o del suo domiciliatario (prima fra tutti della sua esistenza in vita), può comportare la necessità di adattare gli strumenti interpretativi al fine di scongiurare il verificarsi di conseguenze “inique” e violative del diritto di difesa, peraltro non in linea con l’intento di ridurre, anche nel processo amministrativo, i casi di inammissibilità dovuti al difetto di notifica che costituisce, in ultima analisi, la ratio della sentenza di Corte Costituzionale n. 148/2021. In tali casi, il “rimedio” deve essere ravvisato nell’istituto dell’errore scusabile, di cui all'art. 37 del c.p.a., che può essere disposto anche d'ufficio. Nel caso di specie, infatti, il difensore domiciliatario è deceduto in data 22.06.2022, il giorno successivo all’udienza nella quale la causa è stata trattenuta in decisione, e prima della pubblicazione della sentenza (-OMISSIS-). Ciò comporta che non operi l’istituto dell’interruzione. La sentenza gravata riporta come domicilio dell’appellato l’indirizzo PEC risultante da pubblici registri del difensore, che non era ancora deceduto al momento del passaggio in decisione. L’art. 93, comma 1, c.p.a. prevede che “l'impugnazione deve essere notificata nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto dalla parte nell'atto di notificazione della sentenza o, in difetto, presso il difensore o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio e risultante dalla sentenza”. Nell’ipotesi in esame la parte appellante ha notificato l’appello all’indirizzo PEC risultante dalla sentenza impugnata, né vi è evidenza che alle Amministrazioni appellanti sia stato comunicato ufficialmente il decesso. Il dato da cui poteva essere desunto il venir meno della possibilità di utilizzare la casella PEC del difensore defunto, sarebbe potuta essere la cancellazione del relativo indirizzo PEC dal Reginde, ovverosia dal registro ufficiale delle PEC inerente agli avvocati, in seguito a un suo aggiornamento, di cui tuttavia non è stata data nessuna evidenza, né sull’an e tantomeno sul quando. Vero è che, come sostiene l’appellato, la sentenza è stata notificata all’Amministrazione da un diverso avvocato, che oggi difende l’appellante, ma in sede di notifica della sentenza non è fatta alcuna formale elezione di domicilio e non è, quindi, applicabile l’art. 93, comma 1, c.p.a. Né può supplire in modo postumo a tale assenza l’elezione di domicilio effettuata nella procura rilasciata al nuovo legale che non compare nella notifica della sentenza. Non si ravvisa, pertanto, alcuna possibile causa di inescusabilità per la notifica presso un soggetto non più esistente in vita e, in questi casi, la concessione del rimedio dell’errore scusabile è idonea a evitare il possibile effetto distorsivo derivante dalla modalità PEC di notifica che, come indicato, può non consentire di rilevare il venir meno del domiciliatario, pur nella permanenza della sua casella di posta elettronica certificata. Quanto agli effetti del riconoscimento dell’errore scusabile non è necessario disporre la remissione in termini per la nuova notifica dell’appello, per essersi l’appellato già costituito in giudizio difendendosi anche nel merito. 3) Da rigettare è anche l’eccezione di inammissibilità dell’appello per genericità e mancata indicazione dei capi della sentenza che s’intendono impugnare, proposizione di domande nuove, violazione dell’art. 101 e 104 c.d.a.. L’appellato deduce che la sentenza è stata solo genericamente impugnata dalla controparte, infatti non si ravvisano nell’atto di appello i passi specifici che s’intendono censurare, nessun preciso riferimento ai passi della sentenza è stato esposto. Inoltre, viene lamentato in via generica che l’amministrazione ha ampliato il tema della decisione, tentando di far entrare nel processo questioni non eccepite nel primo grado. Al riguardo, il Collegio rileva che il principio di specificità dell’appello è stato rispettato dall’appellante che ha richiamato le parti della sentenza ritenute erronee e ha formulato specifici motivi di censura alla sentenza gravata, mentre è del tutto generica l’eccezione relativa al supposto allargamento del thema decidendum da parte dell’appellante, di cui peraltro il Collegio non ravvisa gli estremi. La mancata puntuale indicazione dei capi della sentenza non ha rilevanza, dovendosi intendere il requisito di specificità dei motivi di appello in senso sostanziale, stante peraltro che nel caso di specie l’appellante ha anche riportato gli assunti della sentenza ritenuti erronei. 4) Nel merito l’appello è fondato. Il Collegio ritiene sia utile premettere, in punto di diritto, quelli che, secondo consolidati indirizzi giurisprudenziali, sono i presupposti per disporre un trasferimento della tipologia qui in esame. L’istituto del trasferimento per situazioni straordinarie ha natura eccezionale ed è subordinato a stringenti e rigorosi requisiti (Cons. Stato, sez. IV, 28 marzo 2012, n. 1828; Cons. Stato, ord., sez. IV, 31 gennaio 2020, n. 397; Cons. Stato, sez. IV, 20 giugno 2020, n. 5155; Cons. Stato, sez. II, 8 aprile 2022, n. 2635) Tale natura dell’istituto consente di derogare alle periodiche procedure di mobilità - che rappresentano la norma per i movimenti del personale del Corpo - nei casi di assoluta gravità, la cui urgenza, delicatezza ed indifferibilità: a) da un lato rende oggettivamente impossibile seguire i tempi e le procedure dell’ordinario iter; b) dall’altro giustifica lo “scavalcamento” nell’ordine di priorità nei movimenti, favorendo l’interessato a scapito di altri colleghi potenzialmente interessati, in ipotesi in possesso pure di titoli poziori (per anzianità o merito) (Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 2020, n. 4139 ; Cons. Stato, sez. IV, 20 giugno 2020, n. 5155; Cons. Stato, sez. II, 8 aprile 2022, n. 2635). Al fine, dunque, di disporre la richiesta mobilità per esigenze straordinarie occorre: - in primo luogo, l’effettiva ed oggettiva esistenza di una situazione di “straordinarietà”, desumibile sia dal bisogno oggettivo di assistenza da parte di soggetto che non è in grado di provvedere da sé alle elementari esigenze di vita o che abbisogna di indispensabile assistenza strumentale alla stessa sottoposizione a terapie; - in secondo luogo, l’impossibilità di trovare soluzioni alternative nell’ambito del nucleo, sia pure ristretto (legame entro il III grado), di parenti ed affini, impossibilità che non può derivare da impedimenti (di lavoro, distanza o simili) analoghi a quelli che connotano la posizione dell’istante; - in terzo luogo, l’assenza di esigenze di pubblico interesse proprie dell’amministrazione di appartenenza, che, nella comparazione di interessi, impediscono il soddisfacimento dell’istanza (Cons. Stato, Sez. IV, 28 marzo 2012, n. 1828). L’istituto, più in particolare, richiede che l’esigenza da soddisfare sia connotata da un’oggettiva straordinarietà, da intendersi come effettiva eccezionalità, e che il movimento immediato extra ordinem costituisca l’unica possibile modalità per fronteggiarla (Cons. Stato, sez. IV, 20 giugno 2020, n. 5155). La concessione del trasferimento presuppone l’esercizio di una ampia discrezionalità amministrativa, essendo esso il frutto di un delicato bilanciamento di interessi pubblici e privati e subordinato a stringenti limiti; un onere motivazionale rinforzato è, semmai, predicabile per il caso di accoglimento dell’istanza, anche in considerazione dell’alterazione dell’ordine dei trasferimenti che ne deriva (Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 2020, n. 4139). Considerata la natura eccezionale del trasferimento ex art. 398 R.G.A., le valutazioni al riguardo rimesse all'amministrazione sulle relative istanze sono connotate da ampia discrezionalità, oltre ad essere soggette a criteri interpretativi restrittivi, propri di tutte le fattispecie derogatorie. Conseguentemente, il sindacato giurisdizionale è consentito nei limiti della sussistenza di gravi ed evidenti vizi di razionalità ed illogicità o di travisamento dei fatti. Nel bilanciamento degli interessi, i bisogni personali e familiari del privato restano subordinati alla cura dell'interesse pubblico affidato all'ente di appartenenza (Cons. Stato Sez. IV, 23 novembre 2017, n. 5452). Le scelte sottese a tali valutazioni discrezionali sono riservate all’Amministrazione militare sicché sono inammissibili le censure che sollecitano il giudice amministrativo a un sindacato sostitutivo al di fuori dei tassativi casi in cui è consentito l’esercizio della giurisdizione di merito ex art. 134 c.p.a. (Cons. Stato, Ad. plen. n. 5 del 2015; Cons. Stato, sez. IV, 20 giugno 2020, n. 5155). 5) Venendo al caso in esame, il Collegio rileva come, nell’ottica dei consolidati principi giurisprudenziali suesposti, questo giudice non può sindacare le valutazioni discrezionali effettuate dall’Amministrazione in ordine sia all’esistenza dell’eccezionalità delle ragioni del richiesto trasferimento, se non nel caso di irragionevolezza. Nessun profilo di irragionevolezza, né difetto di istruttoria, si riscontra nelle considerazioni espresse in motivazione dall’Amministrazione in ordine alle ragioni esposte dall’odierno appellante, prive del carattere di straordinarietà al fine di concedere un trasferimento extra ordinem. Il finanziere, inoltre, non ha dimostrato una situazione di assoluta indispensabilità della sua presenza presso la sede richiesta, stante le patologie attestate per i suoi familiari e l’ipotesi di trasferimento dell’intera famiglia a -OMISSIS-è solo una ipotesi formulata dall’Amministrazione in sede di rigetto per ovviare alla situazione di disagio, motivato dall’assenza della eccezionalità della situazione. Né il comprensibile desiderio di ricongiungimento al proprio nucleo familiare per ovviare alla attuale situazione di disagio, alleviabile con la presenza nella sede desiderata del militare, è sufficiente a giustificare questa tipologia di trasferimento, in deroga al piano degli impieghi, che richiede l’eccezionalità della situazione e la non ovviabilità con nessuna altra potenziale misura. L’Amministrazione, nel suo vasto ambito di discrezionalità connesso all’applicazione di questo eccezionale istituto, ha ritenuto che le esigenze familiari manifestate non presentino il requisito della straordinarietà e non siano idonee a configurare alcuna situazione giuridica tutelabile in relazione alla sede di servizio. L'Amministrazione intimata, ha sufficientemente motivato in fatto ed in diritto in ordine al diniego opposto, né è possibile ritenere che essa fosse soggetta ad un onere motivazionale rafforzato; al contrario, infatti, come già dianzi accennato, l’onere motivazionale rafforzato avrebbe dovuto essere ritenuto sussistente nel caso in cui l'Amministrazione avesse voluto valutare positivamente l'istanza, in considerazione del carattere eccezionale dell'istituto e dell'alterazione dell'ordine dei trasferimenti che ne deriva (T.A.R. Puglia Bari Sez. II, 1 agosto 2022, n. 1129; Cons. Stato., Sez. IV, 20 agosto 2020, n. 5155; Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 2020, n. 4139). A nulla vale in contrario rilevare la circostanza che i vari livelli della catena gerarchica del militare avevano espresso a livello istruttorio parere positivo al trasferimento (il Comandante della Compagnia di -OMISSIS-, il Comandate del Gruppo -OMISSIS-, il Comandante Provinciale e il Comandante Regionale). Come evidenziato dall’Amministrazione appellante, infatti, i Comandanti intermedi hanno espresso il loro parere avvalendosi di un quadro istruttorio parziale, mentre il provvedimento impugnato è stato adottato dal Comandante Interregionale dell’Italia Meridionale, unico organo competente per la decisione finale, che, dopo uno specifico momento di conferimento individuale con il militare, ha rilevato, evidenziandolo in motivazione, la mancanza dei presupposti previsti dalla disciplina interna per l’accoglimento del richiesto beneficio straordinario. I suindicati pareri non hanno carattere vincolante, ma sono meri atti endoprocedimentali, il cui dissenso da parte dell’Autorità militare competente all’adozione del provvedimento, non richiede specifica motivazione. D’altra parte è quest’ultima Autorità, anche in funzione di una “visuale” di più ampio respiro, che deve esprimersi sulla presenza o meno del requisito dell’eccezionalità dei motivi del trasferimento, una volta che queste ultime ragioni gli siano state correttamente rappresentate negli atti istruttori, tra cui i suddetti pareri. Peraltro, successivamente al diniego gravato in questa sede, il militare ha chiesto e ottenuto la conferma a carattere temporaneo nella sede di lavoro desiderata, anche con successive proroghe per la medesima destinazione, nonché, infine, il trasferimento per la sede di-OMISSIS- nell’ambito della procedura concorsuale del Piano impieghi. In proposito, non può dirsi, quindi, che l’Amministrazione non si sia fatta carico della situazione del militare, concedendo un trasferimento temporaneo di tre anni e la successiva proroga (peraltro sino a che il trasferimento “ordinario”, mediante il piano degli impieghi, ha ridotto la distanza). Nessun profilo di contraddittorietà si rinviene, invece, nelle decisioni assunte dall’amministrazione che dopo aver concesso un trasferimento temporaneo di tre anni, prorogato per due volte con due periodi da 180 giorni ciascuno, venendo incontro alle necessità del finanziere, ha negato il trasferimento eccezionale. La natura dei provvedimenti di trasferimento temporaneo concessi e di quello negato è, infatti, profondamente diversa, così come diversi sono i loro presupposti. Il trasferimento per situazioni straordinarie ha carattere definitivo e opera in deroga alle normali modalità di trasferimento ed è legato all’esistenza di presupposti di assoluta eccezionalità; al contrario il movimento “a tempo determinato” è una situazione temporanea che non incide direttamente sul piano degli impieghi ed è concesso “al fine di venire incontro alle immediate e pressanti necessità dei richiedenti”, risolvibili in un periodo ben determinato, concesso anche in funzione della temporaneità, in assenza di ragioni di servizio e non incidente sulla situazione forza dei reparti interessati. Il trasferimento temporaneo ha quindi presupposti diversi e non sovrapponibili. 6) Per le suesposte ragioni l’appello va accolto. Le specifiche circostanze inerenti al ricorso in esame costituiscono elementi che militano per l’applicazione dell’art. 92 c.p.c., come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a. e depongono per la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso instaurativo del giudizio di primo grado. Compensa le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Oberdan Forlenza, Presidente Giovanni Sabbato, Consigliere Francesco Guarracino, Consigliere Alessandro Enrico Basilico, Consigliere Fabrizio D'Alessandri, Consigliere, Estensore

  • Corte dei conti Sezione di controllo per la Regione siciliana Nella camera di consiglio del 18 aprile 2023, composta dai seguenti magistrati: Anna Luisa CARRA Presidente Giuseppe GRASSO Consigliere Tatiana CALVITTO Referendario Antonio TEA Referendario – relatore Giuseppe DI PRIMA Referendario ******** VISTO il T.U. delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con R.D. n. 1214 del 12 luglio 1934, e successive modificazioni e integrazioni; VISTO l’art. 23 del R.D. Lgs. 15 maggio 1946, n.455 (Approvazione dello Statuto della Regione siciliana); VISTO il D. Lgs. 6 maggio 1948, n. 655 (Istituzione di Sezioni della Corte dei conti Regione siciliana); VISTA la L. 14 gennaio 1994, n. 20, (Disposizioni in materia di controllo e giurisdizione della Corte dei conti); VISTO il D. Lgs. 18 giugno 1999, n. 200, (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana, recante integrazioni e modifiche al D. Lgs. n. 655 del 1948); VISTA la Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della Parte II della Costituzione); VISTO l’art. 7, comma 8, della Legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3); VISTA la deliberazione n. 32/2013/SS.RR./PAR, in data 30 settembre 2013 delle Sezioni riunite per la Regione siciliana in sede consultiva; VISTA la deliberazione n. 354/2013/PAR, in data 14 novembre 2013, della Sezione di controllo per la Regione siciliana; VISTA la richiesta di parere del Comune di (Omissis) (TP) acquisita in ingresso con prot. C.d.c. n. 3089 del 24 marzo 2023;  VISTO il decreto presidenziale n. 38/2023 di nomina del relatore, referendario Antonio Tea;  VISTA l’ordinanza presidenziale n. 42/2023 con la quale la Sezione è stata convocata per l’odierna Camera di consiglio; UDITO il magistrato relatore, referendario Antonio Tea; ha emesso la seguente DELIBERAZIONE Con la richiesta di parere citata in epigrafe, il Comune di (Omissis), all’esito di una articolata descrizione delle vicende che ne hanno caratterizzato l’istituzione (avvenuta, a seguito di apposito referendum, con legge regionale 10 febbraio 2021, n. 3, mediante scorporo dal Comune di Trapani) e della situazione attualmente in essere con particolare riferimento al personale in dotazione e a quello da reclutare, ha posto alla Sezione i seguenti quesiti: «1) se il Comune di (Omissis), prima di procedere con le immissioni in ruolo del personale, con le consuete modalità previste dalle norme, possa procedere ad attingere dal Comune di Trapani, in proporzione alla popolazione e al territorio dell’ente scorporato, mediante una procedura di mobilità volontaria riservata, diretta ad acquisire il consenso dei dipendenti, in base alla programmazione triennale del fabbisogno di personale e all’elenco annuale relativo all’annualità in corso; 2) se la mobilità volontaria riservata ai dipendenti del Comune di Trapani debba essere considerata nuova assunzione o - inquadrandosi nella più ampia scissione per scorporazione del Comune di (Omissis) dal più ampio territorio del Comune di Trapani, passaggio tra enti da realizzarsi ad invarianza dei saldi finanziari - si possa procedere al passaggio del personale anche nelle more dell’approvazione dei documenti contabili ed in particolare del bilancio di previsione 2023-2025 e del Conto Consuntivo 2022». In via preliminare, è necessario verificare la sussistenza delle condizioni soggettive ed oggettive di ammissibilità della riportata richiesta, secondo i noti e consolidati criteri enucleati dalla giurisprudenza contabile. Per quanto concerne l’aspetto soggettivo, la Sezione delle Autonomie, con la deliberazione n. 11/SEZAUT/2020/QMIG, ha chiarito che lo scrutinio rimesso alla Sezione regionale destinataria dell’istanza deve permettere di riscontrare sia l’appartenenza dell’ente istante al novero degli enti tassativamente elencati dall’art. 7, comma 8, della legge n. 131 del 2003 (c.d. legittimazione soggettiva “esterna”), sia la sussistenza del potere di rappresentanza in capo al soggetto che agisce in nome e per conto dell’ente nella richiesta di parere (c.d. legittimazione soggettiva “interna”). Nel caso in rassegna, l’istanza appare rispettare i richiamati presupposti, dal momento che proviene da un Comune della Regione siciliana ed è debitamente sottoscritta dal Sindaco (legale rappresentante dell’ente ai sensi dell’art. 50, comma 2, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267). Per quanto riguarda il secondo criterio, di ordine oggettivo, premesso che le Sezioni regionali della Corte dei conti non svolgono una funzione consultiva a carattere generale in favore degli enti locali, è necessario che la questione posta: a) rientri nel concetto di contabilità pubblica, come progressivamente delineato e precisato, in chiave nomofilattica, sia dalla Sezione delle Autonomie (con deliberazione n. 5/AUT/2006 e, più di recente, con deliberazione n. 17/SEZAUT/2020/QMIG) che dalle Sezioni riunite della Corte dei conti (cfr. delibera n. 54/CONTR/2010); b) non interferisca con altre funzioni intestate alla stessa Corte dei conti, ad altri organi giurisdizionali o a soggetti pubblici investiti dalla legge di funzioni di controllo o consulenza in determinate materie (Cfr. Sez. Riunite per la Reg. sic., par. n. 6/2011, Sezione delle Autonomie, deliberazioni n. 3/SEZAUT/2014/QMIG e n. 24/SEZAUT/2019/QMIG); c) sia formulata in termini sufficientemente generali e astratti, in linea con le coordinate esegetiche di cui alla citata delibera 17/SEZAUT/2020/QMIG, secondo la quale «L’esigenza che i quesiti siano formulati in termini generali e astratti non implica […] un’insostenibile interpretazione in astratto, che prescinda del tutto dalla considerazione dei fatti gestionali ai quali applicare le norme coinvolte dalla richiesta stessa e che quindi spezzi il necessario circolo interpretativo tra le esigenze del caso e quelle del diritto […]. Più semplicemente, il fatto, alla cui regolazione è destinata la norma da interpretare, non sarà un fatto storico concreto, come avviene nelle controversie da risolvere in sede giurisdizionale, ma la sua concettualizzazione ipotetica, restando in tal modo assicurata l’esclusione di un coinvolgimento della Sezione regionale in specifiche problematiche gestionali o addirittura strumentali». Il primo dei due quesiti posti con l’istanza all’odierno esame deve considerarsi inammissibile sotto il profilo oggettivo in quanto, da un lato, non attiene a problematiche relative al contenimento della spesa o al coordinamento della finanza pubblica, risultando quindi estraneo alla contabilità pubblica e, dall’altro, mira ad ottenere un pronunciamento non già in ordine a questioni interpretative di carattere generale e astratto, bensì sulla “possibilità” per il Comune di effettuare uno specifico e concreto atto gestionale («se il Comune di (Omissis), prima di procedere con le immissioni in ruolo del personale, con le consuete modalità previste dalle norme, possa procedere ad attingere dal Comune di Trapani, in proporzione alla popolazione e al territorio dell’ente scorporato, mediante una procedura di mobilità volontaria riservata, diretta ad acquisire il consenso dei dipendenti, in base alla programmazione triennale del fabbisogno di personale e all’elenco annuale relativo all’annualità in corso»). Il secondo quesito, per contro, pur facendo anch’esso riferimento, nella sua esposizione, a specifici e concreti atti gestionali, presenta i margini per essere esaminato astraendo dalle peculiarità del caso concreto. Esso, inoltre, appare riconducibile (in linea di principio) alla nozione di contabilità pubblica e non presenta elementi di potenziale interferenza o commistione con altre funzioni svolte dalla magistratura contabile o con le funzioni giurisdizionali o di controllo svolte in altre sedi dalle Autorità preposte. Il Collegio, pertanto, reputa di poter fornire alcune indicazioni ermeneutiche di carattere generale sulle disposizioni normative coinvolte e sulle questioni tecnico_giuridiche sottese al medesimo. In tale prospettiva di analisi, il Collegio osserva, nell’ordine, che: a) in materia di facoltà assunzionali, è da ritenere che nei confronti di un Comune di nuova istituzione (effettuata mediante scorporo da altro omologo ente locale) trovi tuttora applicazione la disciplina di cui all’art. 9, comma 36, del decreto-legge n. 78 del 2010 ai sensi del quale «Per gli enti di nuova istituzione non derivanti da processi di accorpamento o fusione di precedenti organismi, limitatamente al quinquennio decorrente dall'istituzione, le nuove assunzioni, previo esperimento delle procedure di mobilità, fatte salve le maggiori facoltà assunzionali eventualmente previste dalla legge istitutiva, possono essere effettuate nel limite del 50% delle entrate correnti ordinarie aventi carattere certo e continuativo e, comunque nel limite complessivo del 60% della dotazione organica. A tal fine gli enti predispongono piani annuali di assunzioni da sottoporre all'approvazione da parte dell'amministrazione vigilante d'intesa con il Dipartimento della Funzione Pubblica ed il Ministero dell'Economia e delle Finanze». Infatti, detta norma, secondo la Corte costituzionale, «non prevede alcun limite al proprio ambito soggettivo di applicabilità, riferendosi genericamente agli «enti di nuova istituzione», e non consente un’interpretazione che restringa l’operatività della disposizione ai soli enti statali» (cfr., Corte cost., sentenza n. 173 del 2012). Inoltre, l’applicabilità del menzionato precetto è stata riconosciuta, in precedenza, anche da altre Sezioni della Corte dei conti chiamate ad esprimersi in relazione a fattispecie analoghe a quella in esame (cfr., con riferimento all’istituzione del Comune di Mappano, Sez. Contr. Piemonte, deliberazione n. 75/2018/SRCPIE/PAR) con conclusioni che rimangono valide, ad avviso del Collegio, anche in seguito all’introduzione del nuovo criterio generale della c.d. “sostenibilità finanziaria” in luogo del precedente basato sul “turn over”. Infatti, trattandosi di disciplina di natura speciale, in ossequio al principio secondo cui «lex posterior generalis non derogat priori speciali», non pare ragionevole ipotizzare l’intervenuta abrogazione implicita della stessa per effetto della sostituzione della normativa generale in materia di assunzioni fondata sul criterio del turn over con quella ispirata al diverso modello della sostenibilità finanziaria (decreto-legge n. 34 del 2019), non rinvenendosi, nell’ambito di tale fenomeno successorio, «una latitudine della legge generale posteriore, tale da non tollerare eccezioni, neppure da parte di leggi speciali: che restano, in tal modo, tacitamente abrogate» (in senso analogo, sentenze n. 274 del 1997, n. 41 del 1992 e n. 345 del 1987)» (cfr., Corte cost., sentenza n. 95 del 2020), tenuto anche del fatto che la nuova disciplina generale, al pari della precedente, non contempla indicazioni specifiche rispetto alla particolare situazione degli enti di nuova istituzione (che, in quanto tali, non dispongono dei dati storici da cui ricavare, alla stregua dei criteri attualmente vigenti, i propri spazi assunzionali); b) per quanto concerne il rapporto tra la possibilità di effettuare assunzioni attraverso l’istituto della mobilità e l’approvazione dei documenti programmatici e consuntivi di bilancio, oltre ad osservare come, in linea generale, il reclutamento del personale presupponga la previa individuazione del relativo fabbisogno il quale, a sua volta, richiederebbe, secondo logica, che fossero definiti i rapporti tra gli enti coinvolti anche in ordine all’entità delle attività da compiere e dei servizi da rendere alle rispettive collettività amministrate, occorre considerare il disposto dell’art. 9, comma 1-quinquies, del decreto-legge n. 113 del 2016, secondo cui «In caso di mancato rispetto dei termini previsti per l'approvazione dei bilanci di previsione, dei rendiconti e del bilancio consolidato, nonché di mancato invio, entro trenta giorni dal termine previsto per l'approvazione, dei relativi dati alla banca dati delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 13 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, compresi i dati aggregati per voce del piano dei conti integrato, gli enti territoriali, ferma restando per gli enti locali che non rispettano i termini per l'approvazione dei bilanci di previsione e dei rendiconti la procedura prevista dall'articolo 141 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, non possono procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto, fino a quando non abbiano adempiuto. È fatto altresì divieto di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della disposizione del precedente periodo. Gli enti di cui ai precedenti periodi possono comunque procedere alle assunzioni di personale a tempo determinato necessarie a garantire l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, nonché l'esercizio delle funzioni di protezione civile, di polizia locale, di istruzione pubblica, inclusi i servizi, e del settore sociale nonché lo svolgimento delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 14, comma 27, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nei comuni delle isole minori con popolazione fino a 10.000 abitanti, ove nell'anno precedente è stato registrato un numero di migranti sbarcati superiore almeno al triplo della popolazione residente, nel rispetto dei limiti di spesa previsti dalla normativa vigente in materia». Tale disposizione, per quanto da assoggettare a stretta interpretazione in ragione della sua natura sanzionatoria-interdittiva (cfr., Sezione delle Autonomie, deliberazione n. 10/SEZAUT/2020/QMIG), contempla un divieto la cui operatività deve intendersi estesa, stante l’ampia formulazione impiegata («assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale»), anche alle assunzioni effettuate mediante mobilità (cfr., Sez. Contr. Abruzzo, deliberazione n. 103/2017/PAR); c) la possibilità di considerare finanziariamente neutrali le assunzioni per mobilità di personale proveniente da enti non assoggettati a criteri limitativi basati sul turn-over (quali sono gli enti locali a seguito dell’introduzione del regime improntato alla sostenibilità finanziaria) è stata esclusa sia dalla Corte dei conti (cfr., tra le altre, Sez. Contr. Lombardia, deliberazione n. 74/2020/PAR e Sez. Contr. Umbria, deliberazione n. 110/2020/PAR), sia dalla Circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica del 13 maggio 2020, sia della Ragioneria Generale dello Stato con il parere prot. n. 45220 del 12 marzo 2021 richiamato dallo stesso Comune istante; d) resta ferma l’esigenza di rispettare l’invarianza finanziaria dell’intera operazione, in forza di quanto previsto dall’art. 7 della legge regionale n. 3 del 2021 (secondo cui «All'attuazione della presente legge si provvede nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio della Regione») nonché dei principi espressi dalla Corte costituzionale con la sentenza n. n. 171 del 2014. P.Q.M. la Sezione di controllo per la Regione siciliana esprime parere nei termini di cui in motivazione. Copia della presente deliberazione sarà inviata, a cura della Segreteria, al Comune di (Omissis) nonché all’Assessorato regionale delle Autonomie Locali e della Funzione pubblica – Dipartimento delle Autonomie locali. Così deliberato in Palermo, nella camera di consiglio del 18 aprile 2023. IL RELATORE (Antonio Tea) IL PRESIDENTE  (Anna Luisa Carra) Depositato in Segreteria in data 18 aprile 2023  IL FUNZIONARIO RESPONSABILE  Boris Rasura

  • LA CORTE DEI CONTI SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER LA TOSCANA composta dai seguenti magistrati: Angelo Bax Presidente Andrea Luberti Consigliere Claudio Guerrini Consigliere - relatore ha pronunciato la seguente S E N T E N Z A nel giudizio di responsabilità, iscritto al numero 62421 del registro di segreteria, promosso dal Procuratore regionale presso la Sezione Giurisdizionale per la Regione Toscana della Corte dei conti nei confronti del sig. C. M. (C.F. -), nato a - il - e residente a -, rappresentato e difeso giusta procura in atti dall’avv. Ga. Vi., presso il cui studio, sito in Firenze, Viale (…), è elettivamente domiciliato, con il seguente indirizzo PEC indicato ai fini delle comunicazioni e delle notificazioni ai sensi dell’art. 28 c.g.c.: (omissis).it . Esaminati gli atti e i documenti della causa. Uditi, nell’udienza del 6 aprile 2022, svoltasi con l’assistenza del Segretario dott.ssa Simonetta Agostini, il magistrato relatore dott. Claudio Guerrini, il Pubblico Ministero nella persona del Procuratore regionale Acheropita Rosaria Mondera, nonché l’Avvocato Federica Sentenza 113 / 2023 Cr. per il convenuto su delega del relativo difensore. FATTO Con atto di citazione depositato in data 22 settembre 2021 e notificato il 6 ottobre 2021, preceduto dall’invito a dedurre di cui all’articolo 67 del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 175 (Codice di giustizia contabile_c.g.c.) notificato in data 1° luglio 2021, la Procura regionale presso questa Sezione giurisdizionale ha chiamato in giudizio l’Assistente della Polizia di Stato sig. C. M., chiedendone la condanna al risarcimento del danno in favore del Ministero dell’Interno, nella misura di euro 49.493,20 o della diversa somma ritenuta di giustizia, aumentata degli interessi legali a decorrere dal momento dell’effettivo depauperamento del patrimonio dell’Amministrazione danneggiata fino al relativo soddisfo, oltre al pagamento delle spese del giudizio. L’azione erariale trae origine dagli stessi fatti e condotte che hanno formato oggetto di un procedimento penale pendente nei confronti dell’odierno convenuto presso il Tribunale di Prato, della cui esistenza la Procura contabile è stata informata con nota prot. n. - del 14 settembre 2017 della Questura di Massa Carrara, comprendente anche copia dell’atto di costituzione in mora che la medesima ha notificato al convenuto in data 13 settembre 2017 ai fini della tutela del credito eventualmente risultante in esito ai procedimenti, rispettivamente, penale e contabile. Il giudizio penale di primo grado si è concluso con la sentenza del Giudice dell'udienza preliminare (G.U.P.) n. -, che ha riconosciuto la colpevolezza dell’imputato in ordine al reato di cui all'art. 640 comma 2 1 del codice penale (Truffa ai danni dello Stato), perché, con artifizi o raggiri consistiti nel mentire circa la sussistenza del dolore al ginocchio destro e nel camminare in modo claudicante, induceva in errore i medici che certificavano il prolungamento della malattia del medesimo, in tal modo ottenendo l’esonero dal prestare la propria attività lavorativa per un lasso di tempo considerevole (31 agosto 2014-14 dicembre 2015) e quindi procurandosi un ingiusto profitto pari ad euro 27.669,45, corrispondenti agli emolumenti percepiti nel corso della malattia, con pari danno per la pubblica amministrazione. Avverso detta sentenza il Sig. C. ha proposto appello, ad oggi ancora non pervenuto a decisione. Sulla base delle risultanze istruttorie del procedimento penale e dei fatti accertati nella menzionata sentenza di prime cure, la Procura contabile ravvisa l’esistenza nella fattispecie in esame degli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa imputabile al convenuto, stante il rapporto di servizio indubitabilmente esistente con la Pubblica Amministrazione. Sul piano della condotta rileva che l’Assistente di Polizia, per un lungo ed ininterrotto periodo (dal 31 agosto 2014 al 14 dicembre 2015), mentre risultava assente dal servizio per malattia, avendo prodotto ben 19 certificati medici da cui emergeva la necessità di riposo per curare un dolore al ginocchio, in realtà avrebbe disputato in plurime occasioni competizioni agonistiche e dilettantistiche di calcio nella veste di arbitro. Secondo lo stesso medico che, sulla base dei sintomi dichiarati dal paziente, ha redatto i certificati che prescrivevano il riposo e, quindi, l’assenza dal lavoro, detta attività di arbitraggio era assolutamente incompatibile con il preteso dolore al ginocchio. Riprendendo testualmente un passaggio della sentenza del G.U.P. n. -, l’attore erariale afferma inoltre che, se anche l’attività di arbitraggio fosse stata al contrario compatibile con il dolore lamentato dall’Assistente di Polizia, allora la medesima compatibilità sarebbe dovuta sussistere anche per l’attività lavorativa normalmente svolta dal medesimo, il quale, infatti, era assegnato al Nucleo Vigilanze Fisse della Questura di Massa Carrara, con mansioni non richiedenti un’attività fisica di grandi fatiche e sforzi. La Procura contabile, quindi, non contesta il fatto che ad agosto del 2014 il convenuto si sia fatto male ad un ginocchio, bensì la linea comportamentale dallo stesso assunta nel periodo successivo fino a dicembre 2015, in cui ha svolto sistematicamente l’attività di arbitro di calcio, con ciò impedendo o, comunque, ritardando la guarigione. Tale condotta, invero, sarebbe illecita in quanto, nel nostro ordinamento, un dipendente pubblico che versa in stato di malattia ha il diritto di assentarsi dal lavoro (pur percependo la retribuzione) per curarsi, riposarsi e recuperare un buon stato di salute, ma ha anche il dovere di non porre in essere attività che possano impedire o ritardare la guarigione. Dalla condotta delittuosa addebitata al convenuto, la Procura regionale fa derivare per nesso di causalità i seguenti danni per la Pubblica Amministrazione: - un danno patrimoniale diretto, ammontante a euro 27.669,45 e consistente nelle somme percepite dall’Assistente di Polizia, secondo la sentenza del G.U.P. n. - e la nota della Questura di Massa Carrara prot. n. - del 17.12.2020, durante tutto il periodo di assenza dal servizio (31 agosto 2014-14 dicembre 2015), senza effettuare alcuna attività lavorativa, attraverso una condotta accertata dal giudice penale come integrante il reato di truffa; - un danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, in conseguenza della risonanza della vicenda all’interno dell’Amministrazione e della diffusione della stessa a mezzo di organi di stampa (precisamente, nell’edizione de “Il Tirreno” del 10 gennaio 2018), quantificato in via equitativa in euro 20.000,00 sulla base di precisati criteri di valutazione e ritenuto imputabile in applicazione dell’articolo 55-quinquies del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, relativo alle ipotesi di assenteismo; - un danno da spese indirette di gestione e/o da disservizio, quantificato in euro 1.823,75 dalla Questura di Massa Carrara (nota prot. n. - del 23.3.2021), consistente nei costi sostenuti per il lavoro straordinario svolto dal personale della Questura nei confronti del convenuto, in conseguenza della condotta dallo stesso posta in essere. Il totale delle poste azionate porta quindi al riportato petitum erariale. Quanto all’elemento psicologico, la Procura contesta la sussistenza nel caso di specie del dolo, stante la volontaria e consapevole violazione degli obblighi di servizio. Il convenuto, che non ha svolto attività preprocessuale a riscontro dell’invito a dedurre notificatogli l’1 luglio 2021, si è costituito in giudizio con comparsa di risposta depositata il 17 marzo 2022, eccependo in via preliminare l’intervenuta prescrizione dell’azione di responsabilità. II.1 A questo riguardo, la difesa anzitutto nega che si versi nella fattispecie in ipotesi di doloso occultamento del danno, sostenendo non essersi verificato quel quid pluris rappresentato da un’attività volutamente ingannatrice e fraudolenta, diretta intenzionalmente ad occultare il fatto generatore del danno erariale già cagionato. Pertanto, il termine prescrizionale dell’azione erariale dovrebbe trovare decorrenza (dies a quo) dalla data di verificazione del fatto dannoso, nella specie da individuarsi nel periodo 30.08.2014-14.12.2015, con conseguente avvenuto completo decorso del periodo quinquennale in data antecedente all’esercizio della pretesa con invito a dedurre del giugno 2021. Anche nel caso che si ritenesse invece verificato l’occultamento doloso del danno, la decorrenza iniziale del termine prescrizionale in questione dovrebbe farsi risalire, al più tardi, al 12 novembre 2015, data della relazione redatta dalla stessa Questura di Massa, ovvero dall’Amministrazione danneggiata, in cui viene dato atto dei risultati delle indagini investigative compiute in termini di ricostruzione della fattispecie di illecito amministrativo e di individuazione delle linee essenziali del danno conseguente. Anche ancorandola a tale data, pertanto, la prescrizione quinquennale dell’azione erariale era già maturata all’epoca dell’invito a fornire deduzioni (29 giugno 2021). II.2 Il convenuto rileva comunque l’infondatezza nel merito della domanda risarcitoria per insussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa. Per quanto concerne il profilo oggettivo della condotta osservata, la difesa anzitutto sottolinea che la patologia lamentata dal convenuto, conseguenza dell’infortunio occorso in servizio, era da ritenersi effettiva e reale in quanto accertata con esami diagnostici e certificazioni mediche non oggetto di contestazione di falsità, come d’altronde risulta documentata anche la temporanea inidoneità al servizio che ne derivava, considerato anche che le mansioni a cui il convenuto era adibito non potevano essere ascritte esclusivamente a quelle comportanti una ridotta e scarsa mobilità, ma richiedevano talvolta notevoli sforzi motori non compatibili con il suo quadro clinico. A tal proposito, il convenuto chiede anche che questo Collegio, ai fini della verifica delle mansioni effettivamente svolte nel periodo immediatamente antecedente all’infortunio, disponga l’assunzione testimoniale del Responsabile Ufficio Servizi del Capo di Gabinetto della Questura di Massa e l’acquisizione degli ordini di servizio relativi all’attività dal medesimo svolta nel periodo immediatamente antecedente all’infortunio (3.09.2013-31.08.2014). Inoltre, a rafforzare e confermare la correttezza delle suddette valutazioni contenute nella documentazione medica relativa al periodo in contestazione, varrebbe anche l’esito conclusivo della successiva visita effettuata, su richiesta dell’amministrazione di appartenenza, dal Dipartimento Militare di Medicina Legale di La Spezia che, con verbale del 22.06.2016 lo giudicava “permanentemente non idoneo al servizio di istituto incondizionato a decorrere dal 22.06.2016. Sì impiegabile quale parzialmente inidoneo ai sensi del DPR 738/81 (idoneo al servizio limitatamente alle mansioni di ufficio)”. Diversamente, invece, l’inidoneità dichiarata non avrebbe riguardato le attività rientranti nello svolgimento della vita quotidiana, tra le quali andava ricompresa quella di arbitraggio nelle modalità concrete particolarmente leggere con cui è stata posta in essere. Tale attività, pertanto, da ritenere compatibile con l’assenza dal servizio, non può essere considerata integrativa di una condotta illecitamente preordinata a pregiudicare e/o ritardare la pronta e completa guarigione e, con essa, la sollecita ripresa dell’attività lavorativa. Tale ultima notazione vale per la difesa anche per escludere nella vicenda l’elemento soggettivo del dolo, che parte attrice vorrebbe invece dimostrato sulla base della presunzione per cui il dolore al ginocchio, dichiarato ai sanitari che conseguentemente rilasciavano le certificazioni mediche ai fini dell’assenza del servizio, fosse simulato e smentito dal compimento dell’attività di arbitraggio. Neanche l’elemento soggettivo potrebbe nella specie essere configurato in termini di colpa grave, visto che, secondo un giudizio prognostico, a fronte della prescrizione del potenziamento muscolare a fini di miglioramento della malattia, contenuta in alcune certificazioni mediche, al convenuto non può essere imputato il compimento di una “imprudenza imperdonabile” nel non essersi prefigurato il rischio di aggravamento o di ritardo nella guarigione della malattia come insito nell’attività di arbitraggio posta in essere. II.3 Il comparente contesta altresì che dalle proprie condotte scaturiscano danni per la Pubblica Amministrazione. Alcun danno patrimoniale diretto ricorrerebbe, posto che gli emolumenti a suo favore sono stati legittimamente riconosciuti in relazione ad assenza dal servizio giustificata dallo stato di salute acclarato con certificazioni mediche e non colpevolmente aggravato o ritardato nella sua guarigione. Per quanto concerne il danno all’immagine, risulterebbe anzitutto carente nella fattispecie il presupposto necessario per l’azionabilità della pretesa risarcitoria costituito dall’esistenza di una sentenza di condanna passata in giudicato per un reato del pubblico ufficiale commesso in pregiudizio della pubblica amministrazione, non essendo stato definito l’appello proposto contro la sentenza di primo grado e non essendo il delitto di truffa, ex art. 640, comma 2, n. 1, c.p. ricompreso tra i reati contro la pubblica amministrazione. Inoltre, neanche si sarebbe verificato l’ulteriore presupposto del clamore mediatico (clamor fori) derivante dalla condotta illecita del soggetto agente, così come individuato dalla pacifica giurisprudenza contabile, posto che a prova del medesimo non potrebbe essere ritenuta sufficiente la sola pubblicazione di un unico articolo di stampa. In ultimo sul tema, la difesa contesta che, ai fini della risarcibilità del danno all’immagine, si possa ricorrere all’applicazione della norma speciale di cui all’art. 55- quinquies, d.lgs. n. 165 del 2001, difettando nel caso in esame il necessario presupposto dell’avvenuta giustificazione dell'assenza dal servizio “mediante certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia”. Quanto all’ultima voce di danno addebitata, consistente nelle spese di gestione indirette e/o nel disservizio conseguenti alla condotta illecita del convenuto, l’infondatezza della pretesa viene affermata in relazione alle carenze di prove idonee ad attestarne la stessa sussistenza nonché il relativo rapporto di causalità. In ogni caso, in via subordinata la difesa deduce che la quantificazione del danno patrimoniale diretto e del danno all’immagine debba essere oggetto di riduzione. Per quanto attiene alla prima voce di danno, non è ritenuto congruo far corrispondere il danno con l’ammontare delle retribuzioni percepite per tutto il periodo di assenza per malattia, posto che non è posto in discussione che l’infortunio sia realmente accaduto e abbia determinato la patologia certificata in atti, ed è altrettanto pacifico che fino al 18 ottobre 2014 il convenuto non abbia effettuato alcun arbitraggio, con la conseguenza che, fino a tale data, non può aver posto in essere nessuna condotta illecita volta all’indebita percezione degli emolumenti di cui si chiede la restituzione, anche mediante comportamenti idonei a ritardare la guarigione e il rientro in servizio. In relazione alla seconda voce di danno, l’importo determinato in via equitativa viene considerato non giustificato nella sua notevole consistenza, in quanto nella relativa quantificazione non viene attribuita rilievo alla qualifica di Assistente della Polizia di Stato rivestita dal convenuto, alla dedotta assenza di dolo e alla trascurabile risonanza che la vicenda ha avuto all’esterno dell’amministrazione di appartenenza. Conclusivamente, la difesa del comparente chiede: in via preliminare, che venga accertata la prescrizione dell’azione per danno erariale; nel merito, in via principale, che venga respinta la domanda di risarcimento del danno, perché infondata in fatto ed in diritto, o, in via subordinata, che sia disposta una riduzione della quantificazione del danno, ferma restando la sopra precisata istanza in via istruttoria per accertamenti mediante assunzione testimoniale e acquisizioni documentali, nonché le conseguenti statuizioni in ordine alle spese di lite. III. All’udienza del 6 aprile 2022, il Pubblico Ministero afferma che nella fattispecie il doloso occultamento del danno sussiste in re ipsa nel comportamento del convenuto connotato da artifici e raggiri e precisa che l’azione di risarcimento del danno all’immagine per ingiustificata assenza dal servizio non ha come presupposto necessario la previa condanna penale irrevocabile del medesimo per reati contro la Pubblica Amministrazione. Ribadisce poi le altre argomentazioni già sviluppate nell’atto introduttivo di giudizio ed insiste per l’accoglimento della domanda. Il difensore del convenuto si sofferma sulla eccezione di prescrizione sollevata, affermando che nel comportamento del proprio assistito non vi fosse alcuna intenzione di nascondere la propria attività di arbitro e, quindi, nessuna azione diretta a occultare il fatto generatore del danno erariale. Nel merito, insiste con le deduzioni e conseguenti conclusioni formulate nella comparsa di costituzione. Al termine della discussione la causa viene trattenuta per la decisione. DIRITTO Questo Collegio è chiamato a valutare se l’odierno convenuto si sia reso responsabile, con dolo o colpa grave, delle condotte ascrittegli dalla Procura contabile sulla base delle risultanze istruttorie e degli esiti pur ancora non definitivi del procedimento penale instaurato nei suoi confronti presso il Tribunale di Prato e, in caso affermativo, se tali condotte possano essere considerate quale inadempimento di obblighi giuridici cui il medesimo era soggetto in virtù del rapporto di servizio con la Pubblica Amministrazione e come direttamente e immediatamente causative dei danni erariali esposti in narrativa. Ciò posto, occorre preliminarmente esaminare l’eccezione di prescrizione dell’azione risarcitoria proposta dalla difesa. Sul punto si considera anzitutto che, nella vicenda che ci occupa, le condotte contestate al convenuto hanno assunto un rilievo penale in relazione all’imputazione di fattispecie di reato (truffa aggravata ex art. 640, comma 2, n. 1) nelle quali, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, il volontario compimento di attività fraudolente dirette ad occultare il possibile conseguente danno erariale è da ritenersi in re ipsa, ovvero quale elemento costitutivo necessario (Sez. I centr. App., sent. n. 211/2021; Sez. III centr. App., sent. n. 14/2021; Sez. II centr. App., sent. n. 189/2018; Sez. giur. Toscana, sent. n. 429/2021; Sez. giur. Liguria, sent. n. 55/2016), potendosi realizzare anche nella forma del comportamento semplicemente omissivo ravvisabile nel dipendente autore dei fatti che serba maliziosamente il silenzio su talune circostanze del rapporto d’impiego, in violazione al dovere giuridico di farle conoscere al proprio datore di lavoro (Sez. II centr. App., sent. n. 165/2021 e n. 265/2020; Sez. giur. Sicilia, sent. n. 232/2022). In questo caso, pertanto, in base al dettato dell’articolo 2, comma primo, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, non trova applicazione il regime generale dell’exordium praescriptionis coincidente con la data di “verificazione” dell’evento dannoso, bensì lo specifico criterio per cui il termine prescrizionale decorre dalla data della “scoperta” del fatto da parte dei soggetti legittimati a far valere il diritto al risarcimento del danno. Quanto a siffatta evenienza rilevante (la scoperta del fatto dannoso), la giurisprudenza ha costantemente chiarito che essa si realizza, non tanto nel momento in cui l’evento viene meramente conosciuto o si rende conoscibile, bensì allorché esso “assume una sua concreta qualificazione giuridica, atta ad identificarlo come presupposto di una fattispecie dannosa” (cfr., ex multis, Sez. giur. Calabria, sent. n. 3/2021), eventualmente anche all’esito di indagini interne compiute dall’Amministrazione danneggiata che abbiano condotto ad una cognizione esaustiva ed affidabile dei fatti. Nel caso in esame, il raggiunto disvelamento del fatto dannoso va effettivamente fatto risalire, come sostenuto dalla difesa, alla relazione avente ad oggetto “Annotazione riepilogativa delle indagini svolte” redatta dalla Questura di Massa – Divisione Investigazioni Generali Operazioni Speciali del 12.11.2015, con la quale viene dato atto della puntuale ricostruzione fattuale e delle indagini investigative compiute, per giungere alla individuazione delle linee essenziali del danno e della sussistenza di una fattispecie di illecito amministrativo, così come determinata dalla “persistenza dell’assenza per una malattia non reale, dichiarata e documentata mediante dette certificazioni mediche” che “si traduce in un ingiusto profitto per il C. che, da giorno del presunto infortunio, ha percepito la retribuzione senza prestare attività lavorativa …”. Se dunque è da condividersi l’ancoraggio del dies a quo della prescrizione a tale momento (ovvero alla suddetta data del 12.11.2015), devesi tuttavia osservare che la difesa ha al contempo omesso di considerare che la stessa Questura di Massa Carrara, quale Amministrazione titolare dell’asserito credito risarcitorio, ha ritualmente messo in mora l’odierno convenuto con atto di diffida sottoscritto dal Questore pro-tempore (prot. - del 12.09.2017) e notificato in data 13.09.2017. Nessun dubbio può nutrirsi in ordine all’idoneità del predetto atto ad interrompere la prescrizione ai fini dell’azione per danno erariale, attesa la pacifica legittimazione in tal senso dell’Amministrazione danneggiata (in termini, tra le altre, Sez. giur. Toscana, sent. n. 164/2018; v., oggi, art. 52, comma 6, c.g.c.), nonché l’avvenuta esplicitazione, oltre che del soggetto obbligato (elemento soggettivo), dell’inequivocabile volontà del titolare del credito di ottenere dall’asserito debitore il soddisfacimento del proprio diritto che dovesse risultare all’esito dell’allora eventuale giudizio di responsabilità amministrativa presso la Corte dei conti (elemento oggettivo, come definito in Sez. III centr. App., sent. n. 316/2019 e Sez. II centr. App., sent. n. 257/2019, nonché in generale da Cass. sez. lav., sent. n. 24116/2016 e altri precedenti ivi richiamati). Come noto, in virtù della regola generale dell’art. 2945 del Codice civile, l’effetto degli atti interruttivi della prescrizione adottati dal creditore comporta la decorrenza di un nuovo termine per un periodo identico a quello originario (in questo caso quindi quinquennale), entro il quale anche il pubblico ministero contabile può esercitare l’azione erariale. Con riferimento al caso di specie deve di conseguenza osservarsi che, sia l’invito a dedurre emesso dalla Procura contabile e notificato in data 01.07.2021 sia l’atto di citazione notificato il 06.10.2021, risultano entrambi comunque tempestivi in quanto formalizzati prima della maturazione dei cinque anni decorrenti dalla suddetta data dell’atto di costituzione in mora della Questura di Massa Carrara (13.09.2017). In tema merita evidenziare la non applicabilità alla fattispecie in esame, connotata da eventi asseritamente dannosi verificatisi fino al 14.12.2015, dell’art. 66 c.g.c. il quale prevede la possibilità d’interruzione del termine prescrizionale per una sola volta soltanto per il Pubblico Ministero contabile (1° comma), nonché precisi limiti temporali sia per il periodo residuo computabile per raggiungere l’ordinario termine quinquennale dopo il primo atto interruttivo sia per la durata complessiva massima del termine prescrizionale dal suo esordio. Ciò senz’altro in base al chiaro tenore letterale dell’articolo 2, comma 2, dell’Allegato 3 (Norme transitorie e abrogazioni) al medesimo c.g.c., alla cui stregua “Le disposizioni di cui all'articolo 66 del codice si applicano ai fatti commessi e alle omissioni avvenute a decorrere dalla data di entrata in vigore del codice” (ovvero, il 7 ottobre 2016). Per quanto a questo punto superfluo, giova osservare che, a giudizio di questo Collegio, la disposizione in questione non potrebbe comunque venire in rilievo in relazione all’esaminata eccezione di prescrizione, posto che alla stessa, anche in ragione della sua collocazione nell’ambito della disciplina codicistica della fase pre-processuale del Pubblico Ministero, va riservata una lettura restrittiva e testuale tale da ritenerla operante unicamente agli atti interruttivi dell’organo requirente contabile, quale regime “speciale” derogatorio rispetto ai principi generali in materia di prescrizione che rimangono ordinariamente applicabili agli atti interruttivi dell’Amministrazione creditrice. Il che significa che, nonostante l’introduzione dell’art. 66 c.g.c., allorché il decorso del termine prescrizionale venga interrotto (come nel caso di specie) con atto dell’Amministrazione legittimata, il Pubblico Ministero contabile (e la stessa Amministrazione agendo in sede civile) dispone comunque di altri cinque anni per esercitare l’azione erariale. Ed ancora, per mera completezza può aggiungersi altresì che, l’eccezione di prescrizione risulterebbe ugualmente infondata anche se, per pura ipotesi, si volesse ritenere l’art. 66 c.g.c. integralmente applicabile anche all’atto di costituzione in mora della Questura di Massa Carrara del 13.09.2017, posto che l’esercizio dell’azione erariale da parte della Procura contabile è avvenuto, a fronte dell’iniziale decorrenza del termine prescrizionale quinquennale in data 12.11.2015, mediante atto di citazione del 06.10.2021, ovvero nel rispetto di tutti gli specifici limiti temporali stabiliti dalla ridetta disposizione. Per quanto sopra evidenziato, dunque, l’eccezione di prescrizione formulata dal convenuto risulta infondata e deve essere rigettata. Venendo al merito, la domanda attorea appare parzialmente fondata e merita parziale accoglimento nei limiti che saranno indicati. 3.1 Essendo indiscussa la sussistenza nella specie del rapporto di servizio quale presupposto della responsabilità erariale, avendo il convenuto agito nella qualità di dipendente del Ministero dell’Interno, occorre anzitutto valutare la condotta del medesimo, la quale risulta connotata da una chiara antigiuridicità. Tale profilo si evince dagli atti del fascicolo processuale relativo al procedimento penale pendente nei confronti dell’odierno convenuto (n. -.), comprensivo della sentenza di condanna del G.U.P. presso il Tribunale di Prato n. -. Ed invero, per quanto non sussistano nella fattispecie le condizioni di operatività dell’efficacia di cui all’articolo 651 del codice di procedura penale (c.p.p.), avendo l’imputato impugnato in appello la suddetta sentenza, nondimeno questo Collegio può valutare autonomamente e liberamente, con pienezza di cognizione e secondo il suo prudente apprezzamento (art. 95, comma 3, c.g.c.), i fatti emergenti dal suddetto fascicolo penale, in riferimento ai parametri del rapporto di servizio, della liceità del comportamento, dell’elemento soggettivo, del nesso causale e del danno erariale, profili che esulano dalla cognizione specifica del giudice penale. La vicenda può essere ricostruita nei termini seguenti. In data 31.8.2014, l’Assistente della Polizia di Stato sig. M. C. comunicava alla Questura di Massa Carrara presso cui prestava servizio il verificarsi di un infortunio mentre si recava al lavoro, da cui erano derivate lesioni sia al menisco che al legamento crociato anteriore del ginocchio destro. Dalla suddetta data, l’odierno convenuto ha protratto il congedo per malattia senza soluzione di continuità fino al 14.12.2015, producendo a tal fine n. 19 certificazioni mediche attestanti necessità di riposo. Durante detto arco di sospensione dell’attività lavorativa per malattia il medesimo ha svolto attività di arbitraggio in numerose gare dilettantistiche e amatoriali di calcio a 5 e a 7, segnatamente nelle seguenti date: 18.10.2014; 25.10.2014; 7.11.2014; 8.11.2014; 15.11.2014; 18.11.2014; 17.1.2015; 31.1.2015; 14.2.2015; 21.2.2015; 27.2.2015; 1.3.2015; 11.3.2015; 14.3.2015; 17.3.2015; 25.3.2015; 30.3.2015; 8.4.2015; 11.4.2015; 13.4.2015; 27.4.2015; 7.5.2015; 11.5.2015; 12.5.2015; 18.5.2015; 26.5.2015; 29.5.2015; 15.6.2015; 22.6.2015; 24.6.2015; 25.6.2015; 29.6.2015; 2.7.2015; 6.7.2015; 13.7.2015; 15.7.2015; 23.7.2015; 29.7.2015; 19.8.2015; 26.8.2015; 30.8.2015; 9.9.2015; 10.9.2015; 12.9.2015; 15.9.2015; 23.9.2015; 26.9.2015; 30.9.2015; 3.10.2015; 8.10.2015; 10.10.2015; 19.10.2015; 28.10.2015; 31.10.2015; 7.11.2015; 9.11.2015. Oltre ai fatti sin qui esposti, su cui non si registra alcuna contestazione, dalle risultanze esaminate si rilevano ulteriori elementi suscettibili di valutazione. Dai filmati in atti, relativi all’arbitraggio del 9.11.2015, si nota il convenuto camminare a passo spedito sul terreno di gioco ed effettuare frequenti cambi di direzione, come del resto è naturale nello svolgimento delle funzioni di arbitro. Peraltro, il personale medico della ASL n. 4 di Prato in data 21.1.2015, nel consigliare la pratica di attività che consentissero il potenziamento muscolare in scarico (piscina, bici, palestra), espressamente raccomandavano di evitare, tra l’altro, la corsa e bruschi cambi di direzione. Risultano poi le dichiarazioni rese dal dott. E. L., medico del convenuto e autore di quasi tutti i certificati medici in questione. Questi riferisce che durante le visite effettuate il convenuto lamentava sempre dolore al ginocchio destro (soprattutto nelle prove sotto sforzo o a passo veloce) mostrandosi talvolta anche claudicante, e comunque asseriva di non essere in grado di riprendere il lavoro. Cosicché, pur sottoponendo il paziente a visita completa, doveva infine prendere atto dei sintomi dichiarati dal medesimo e rilasciargli le prescrizioni dei giorni di riposo che sono state utilizzate a giustificazione delle assenze dal servizio. Il predetto medico afferma poi che le attività di arbitraggio svolte dal sig. M. erano incompatibili con le condizioni patologiche del ginocchio che venivano sostanzialmente certificate sulla base del dolore riferito dal medesimo e con i periodi di riposo che venivano raccomandati in esito alle visite mediche. Tanto rappresentato, occorre preliminarmente chiarire che nessun dubbio ricorre in ordine alla effettività dell’infortunio occorso al convenuto ed al fatto che da esso siano conseguite le lesioni al ginocchio riportate nelle certificazioni sanitarie. Ciò che invece costituisce motivo di contestazione e che riveste rilevanza ai fini delle odierne determinazioni, è la condotta successivamente assunta dal medesimo che ha dato luogo al prolungamento ininterrotto del congedo retribuito per malattia fino al 14.12.2015. Alla luce delle evidenze sopra riportate, deve infatti ritenersi che, all’atto delle visite mediche cui si sottoponeva, l’Assistente di Polizia in questione mentisse nel riferire la persistenza del dolore al ginocchio destro e, in alcune occasioni, fingesse una camminata claudicante, al fine di indurre in errore i medici che, sostanzialmente sulla base di tali sintomi così rilevati, prescrivevano cure comprendenti periodi di riposo, oltre che l’assunzione di antidolorifici. In buona sostanza, dunque, la dolorabilità del ginocchio e il passo claudicante venivano simulati quanto meno nell’intensità che poteva giustificare l’esonero totale dall’attività lavorativa che, infatti, il convenuto riusciva invece ad ottenere in esito alle visite mediche. La prova di tale evenienza è riscontabile ex se nello svolgimento dell’attività di arbitraggio da parte del sig. C. M. in tutto il periodo interessato. Al riguardo merita osservare che, come evidenziato in narrativa, le presenze in partite amatoriali/dilettantistiche non sono state affatto sporadiche, bensì assai numerose, continue e talvolta anche ravvicinate tra loro, a volte riscontrate in più giorni consecutivi. È stato inoltre documentato, mediante i filmati di una partita, come l’attività in questione comportasse continui spostamenti all’interno del perimetro dell’area di gioco, compiuti anche con camminate ad andatura veloce e con cambi di direzione frequenti e repentini. D’altro canto, detta evidenza visiva non può che confermare il convincimento per cui anche in tutte le altre occasioni, la direzione arbitrale degli incontri calcistici abbia implicato prestazioni fisiche non compatibili né con la presenza di dolori al ginocchio conseguenti alle lesioni precedentemente subite né con il passo claudicante manifestato durante le visite mediche. Sotto questo profilo, tale assunto può essere preso in considerazione, ex art. 95, comma 2, c.g.c., in quanto desumibile dalle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza, mentre la conforme dichiarazione del medico del convenuto, circa l’incompatibilità dell’attività di arbitraggio con le condizioni di dolorabilità del ginocchio accusate dal convenuto durante le visite, può costituire un ulteriore rafforzamento della sua fondatezza. La condotta osservata, consistente riassuntivamente nella simulazione sia di un forte dolore al ginocchio che del passo claudicante e nelle dichiarazioni di essere nelle condizioni per il rientro al lavoro, era dunque evidentemente finalizzata ad ottenere dalla propria Amministrazione il prolungamento del congedo straordinario dal servizio senza che ne ricorressero effettivamente i presupposti giustificativi di malattia, in tal modo potendo rimanere esentato dall’obbligo di prestare qualunque attività lavorativa pur continuando a riscuotere gli emolumenti stipendiali previsti. Così correttamente inquadrata, risulta irrilevante indagare su quali erano gli incarichi o le mansioni a cui il convenuto era preposto in condizioni ordinarie, ovvero se si trattasse solo delle attività lavorative non particolarmente impegnative sotto l’aspetto fisico presso il Nucleo Vigilanze Fisse cui era assegnato, oppure anche di ulteriori attività invece richiedenti notevoli sforzi motori. I comportamenti artificiosi messi in atto dal convenuto, infatti, erano tali da non lasciare ai medici che lo visitavano lo spazio per certificare stati di idoneità parziale, ovvero condizioni patologiche compatibili con lo svolgimento di una qualche attività lavorativa, anche ridotta, rientrante nelle competenze della qualifica rivestita, e così consentire il rientro in servizio sia pur previa dispensa da certi incarichi o prestazioni maggiormente gravose. Per questi motivi, va respinta l’istanza istruttoria del convenuto in quanto volta al superfluo accertamento delle mansioni effettivamente svolte nel periodo immediatamente antecedente all’infortunio, né può riconoscersi pregio difensivo, potendo anzi in astratto assumere valore contrario, il richiamo al verbale del Dipartimento Militare di Medicina Legale di La Spezia del 22.06.2016, ovvero successivo ai periodo in argomento, che ha giudicato il convenuto permanentemente non idoneo al servizio di istituto incondizionato, posto che al contempo ne ha certificato l’idoneità alle mansioni di ufficio. Ad avviso del Collegio, dunque, le descritte condotte complessivamente tenute dall’odierno convenuto, a prescindere dalla configurazione penalistica che subiranno in via definitiva nella competente sede giudiziaria, concorrono senza dubbio ad integrare corrispondenti fattispecie di assenze dal servizio obiettivamente ingiustificate, in quanto ottenute mediante condotte chiaramente fraudolente. 3.2 Nelle stesse si riscontra la violazione degli obblighi di servizio incombenti sul medesimo quale Assistente della Polizia di Stato, in primis dei doveri derivanti dalle regole generali di comportamento che attengono al rapporto tra pubbliche amministrazioni e soggetti impiegati presso di esse per il perseguimento di finalità istituzionali. L’attività lavorativa di tutti i dipendenti pubblici, invero, deve svolgersi in conformità ai principi di onestà, diligenza e legalità, come discendenti dagli articoli 54 e 97 della Costituzione, nonché dall’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, ovvero “curando, in conformità delle leggi, con diligenza e nel miglior modo, l'interesse dell'Amministrazione per il pubblico bene”, nonché assicurando nella propria condotta il rispetto del “dovere di servire esclusivamente la Nazione, di osservare lealmente la Costituzione e le altre leggi e non deve svolgere attività incompatibili con l'anzidetto dovere”. Sempre in via generale viene ovviamente in rilievo l’obbligo di eseguire i compiti assegnati secondo i canoni di lealtà e correttezza richiesti in virtù del trattamento economico ricevuto come corrispettivo. Più specificamente, inoltre, l’azione del convenuto si pone in chiaro contrasto con l’articolo 55-quinquies, comma 1, d.lgs. n. 165/2001, come inserito dall'articolo 69, comma 1, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, il quale sancisce la responsabilità risarcitoria, oltre che penale e disciplinare, del lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che pone in essere condotte fraudolente finalizzate ad ottenere attestazioni di uno stato di malattia. 3.3 In base alla rappresentazione sopra operata, le considerate condotte illecite del convenuto risultano connotate da una natura dolosa, in quanto realizzate con la piena coscienza di trasgredire gli ordinari e ben conosciuti obblighi e doveri verso l’Amministrazione di appartenenza dianzi evidenziati e con la precisa intenzione di compiere ugualmente le azioni fraudolente in quanto finalizzate ad evitare il rientro in servizio e a mantenere al contempo la possibilità di percepire integralmente, nonostante le assenze ingiustificate, la retribuzione stipendiale quale Assistente della Polizia di Stato. Secondo la pacifica giurisprudenza contabile, infatti, occorre in materia rifarsi alla nozione di “dolo contrattuale” o “in adimplendo” per cui, affinché possa configurarsi in concreto l’elemento soggettivo imputabile nella forma in questione, è sufficiente che emerga la volontà di dar luogo all’azione illecita nonostante la consapevolezza dell’inadempimento che viene a determinarsi rispetto ad un’obbligazione derivante dal rapporto di servizio con l’Amministrazione (cfr., ex multis: Sez. I centr. App., sent. 303/2018 e sent. n. 220/2018). 3.4 Come correttamente osservato dall’attore pubblico nell’atto introduttivo di giudizio, la descritta condotta dell’odierno convenuto, riguardata specificamente con riferimento allo svolgimento sistematico dell’attività di arbitro di calcio durante il periodo di convalescenza con fruizione del congedo straordinario retribuito per malattia, deve comunque considerarsi oggettivamente illecita in quanto atta a compromettere o mettere a rischio il recupero definitivo e, con esso, la sollecita ripresa dell’attività lavorativa. Ed invero, nel nostro ordinamento, un dipendente pubblico che versa in stato di malattia ha il diritto di assentarsi dal lavoro (pur percependo la retribuzione) per curarsi, riposarsi e ristabilirsi, ma ha anche il dovere di non porre in essere attività e/o condotte che possano impedire o ritardare la guarigione. È questo un principio di diritto ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui l’espletamento da parte del lavoratore di altra attività, lavorativa o extra-lavorativa, durante lo stato di malattia, è idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell’adempimento dell’obbligazione, laddove si riscontri che l’attività espletata costituisca indice di “una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione” (Cass. civ. VI, sent. n. 13980/2020) e anche quando “la ripresa è solo messa in pericolo dalla condotta imprudente” (Cass. civ. sez. lav., sent. n. 6047/2018). Nel caso di specie, sia l’idoneità dell’attività di arbitraggio ad integrare la violazione del dovere di adoperarsi per guarire e tornare a rendere la controprestazione lavorativa alla Amministrazione di appartenenza, sia l’imputabilità di tale comportamento antigiuridico a titolo di colpa grave, sono comprovati dalla circostanza per cui, come riferito in narrativa, la prescrizione di evitare lo svolgimento di attività che, come quella in questione, comportassero ripetuti cambi di direzione, era espressamente contenuta in certificazioni sanitarie rilasciate in esito a visite mediche effettuate nel periodo osservato. Al convenuto va conseguentemente addebitato il compimento di una imprudenza inescusabile nel non essersi prefigurato il rischio di aggravamento o di ritardo nella guarigione della malattia come insito nell’attività di arbitraggio posta in essere. Sono, pertanto, da respingere le deduzioni difensive con cui si è inteso affermare che, per il tipo di movimenti particolarmente leggeri con cui è stata posta in essere, l’attività di arbitraggio sarebbe stata compatibile sia con lo stato di inidoneità in cui si sarebbe asseritamente trovato il convenuto, sia con la necessità di praticare esercizi di potenziamento muscolare a fini di miglioramento della malattia, affermata in alcune certificazioni mediche, 3.5 Nessun dubbio ricorre in ordine all’esistenza nella fattispecie del nesso di causalità tra le condotte illecite del convenuto, sfocianti nella prolungata assenza ingiustificata dal servizio e oggetto di clamor mediatico oltre che presumibilmente interno alla Amministrazione di appartenenza, ed i pregiudizi erariali di triplice natura che verranno di seguito esaminati, sofferti dalla stessa suddetta Amministrazione in ragione, rispettivamente, dei corrispettivi ugualmente erogati a fronte di prestazioni lavorative non svolte, dei costi supplementari e straordinari sostenuti a seguito della condotta, nonché, infine, del detrimento del proprio profilo reputazionale di pubblica amministrazione asservita al perseguimento di fondamentali interessi della collettività. 3.6 Quale nocumento direttamente conseguente alle condotte dell’odierno convenuto si configura quindi anzitutto un “danno patrimoniale diretto da assenteismo”, correlato alla perdita patrimoniale subita dal Ministero dell’Interno in ragione degli emolumenti retributivi erogati per i periodi in cui si sono verificate le assenze dal lavoro non giustificate. È appena il caso di rilevare come “costituisca ius receptum nella giurisprudenza della Corte dei conti l’affermazione secondo cui la retribuzione corrisposta al pubblico dipendente con riferimento ai periodi di assenza dal servizio non giustificata o giustificata mediante la certificazione di malattie in realtà inesistenti comporti un danno per la pubbliche finanze” (Sez. giur. Veneto, sent. n. 55/2016). L’obbligo per l’autore delle assenze illecite di risarcire tale danno erariale, già ravvisabile in base ai principi civilistici generali in tema di alterazione funzionale dei rapporti a prestazioni sinallagmatiche come quello di lavoro, risulta oggi espressamente sancito dal dettato di cui al comma secondo del citato art. 55-quinquies, d.lgs. n. 165/2001, norma che definisce anche la misura della lesione patrimoniale da ristorare, che è “pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione”. Nella specie, la Procura contabile ha contestato tale posta di danno nella misura di euro 27.669,45, corrispondente alla quantificazione operata dalla sentenza del G.U.P. n. - e dalla Questura di Massa Carrara quale importo complessivo degli emolumenti stipendiali pagati con riferimento all’intero periodo di assenza per malattia dal 31.8.2014 al 14.12.2015. Al riguardo, questo Collegio rileva che la prova delle condotte illecite imputabili al convenuto, nei descritti termini della simulazione di condizioni del ginocchio incompatibili col rientro in servizio e della colpevole esecuzione di attività impedenti o ritardanti la guarigione, può ritenersi dimostrata non prima del 18.10.2014, ovvero della data in cui risulta documentato il primo arbitraggio in gara calcistica. Solo da tale momento, dunque, può essere affermata l’ingiustificata mancata prestazione lavorativa e la conseguente percezione indebita di emolumenti per cui è legittima la richiesta di restituzione. In ragione di ciò, la considerata voce di danno patrimoniale diretto deve essere proporzionalmente ridotta tenendo conto soltanto del lasso temporale decorrente dal 18.10.2014 fino al 14.12.2015, pari a giorni n. 423, a fronte del periodo complessivo cui si è riferita la quantificazione attorea del danno in euro 27.669,45, pari a giorni n. 471. L’operazione algebrica (27.669,45 / 471 x 423) conduce quindi a liquidare detto danno da rifondere all’Amministrazione di appartenenza in euro 24.849,63. 3.7 Vanno posti a carico dell’odierno convenuto, a titolo di “danno da spese indirette di gestione e/o da disservizio” anche i costi aggiuntivi sostenuti dall’Amministrazione danneggiata che ha dovuto distogliere risorse, in specie umane, dal perseguimento dei fini istituzionali per concentrarle nelle attività straordinarie volte a sanzionare il dipendente convenuto e a ripristinare la regolarità del funzionamento dell’ufficio (Sez. II centr. App., sent. n. 43/2020; in termini analoghi, ex multis, Sez. II centr. App., sent. n. 301/2018). Nel caso in esame, il danno è stato correttamente determinato sulla base delle complessive ore di lavoro straordinario (n. 134) effettuate, tra novembre 2015 e gennaio 2016, da n. 4 unità di personale della Questura di Massa Carrara per lo svolgimento delle attività di indagine nei confronti dell’Assistente sig. C. M., moltiplicate per il rispettivo compenso orario, con aggiunta delle indennità per i servizi esterni e dei buoni pasto riconosciuti. 3.8 Ulteriore posta da porre a carico del sig. C. M. a titolo risarcitorio è costituita dal c.d. “danno non patrimoniale all’immagine da assenteismo“ che è scaturito dalle sue condotte illecite, la cui perseguibilità trova fondamento normativo espresso nell’art. 55- quinquies, comma 2, d.lgs. n. 165/2001. Come chiarito fin da subito da univoca giurisprudenza contabile, tale disposizione, che sanziona determinate fattispecie tipizzate di assenteismo arbitrario o fraudolento dei pubblici dipendenti, ha positivizzato una figura di danno erariale all’immagine della Pubblica Amministrazione, autonoma e derogatoria rispetto a quella generale prevista dall’articolo 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, convertito dalla legge 3 agosto 2009, 102 (Sez. riun. giur., sent. n. 8/2015; Sez. I centr. App., sent. n. 476/2015 e sent. n. 825/2014; Sez. II centr. App., sent. n. 662/2017; Sez. III centr. App., sent. n. 542/2016; Sez. giur. Toscana, sent. n. 4/2022, n. 7/2020 e n. 313/2019). In particolare, la specifica ipotesi in esame si distingue perché l’azionabilità del diritto al ristoro del danno all’immagine è svincolata dalla previa pronuncia definitiva di condanna del responsabile per determinati reati contro la pubblica amministrazione (Sez. riun. giur., ord. n. 6/2018; Sez. II centr. App., sent. n. 140/2020; Sez. I centr. App., sent. n. 391/2018; Sez. giur. Toscana, sent. n. 7/2022). La giurisprudenza contabile ha altresì avuto modo di indagare i riflessi che sulla disciplina concreta della fattispecie di danno in questione sono conseguiti alla sentenza della Corte costituzionale n. 61/2020 che ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità costituzionale del secondo, terzo e quarto periodo dell’articolo 55- quater, comma 3-quater, del d.lgs. n. 165/2001. La conclusione univocamente raggiunta è stata che la suddetta pronuncia ha lasciato inalterato, in generale, il diritto al risarcimento della lesione all’immagine da condotte assenteistiche di cui al considerato art. 55-quinques dello stesso d.lgs. n. 165/2001, incidendo esclusivamente sulle modalità di quantificazione del danno azionabile, da individuarsi in base agli ordinari strumenti interpretativi propri del giudice, tra i quali l’impiego del potere di determinazione equitativa del danno ai sensi degli art. 1226 e 2056 c.c. (Sez. II centr. App., sent. n. 208/2020 e n. 146/2020; Sent. giur. Toscana, sent. n. 3/2022). A questo proposito va rammentato che, secondo la Corte di Cassazione, può farsi ricorso alla determinazione equitativa del danno non soltanto quando sia assolutamente impossibile stimare con precisione l’entità dello stesso, ma anche qualora, in relazione alle peculiarità del caso concreto, la precisa determinazione del pregiudizio patrimoniale si appalesi particolarmente difficile (Cass. 32476/2018); peraltro, nell'operare la valutazione equitativa, il giudice non è tenuto a fornire una dimostrazione minuziosa e particolareggiata della corrispondenza tra ciascuno degli elementi esaminati e l'ammontare del danno liquidato, essendo necessario e sufficiente che il suo accertamento sia scaturito da un esame della situazione processuale globalmente considerata (Sent. giur. Toscana, sent. n. 7/2022). Ciò posto, vengono dunque in rilievo le pronunce dei giudici contabili che hanno nel tempo sviluppato l’elaborazione dei parametri in base ai quali procedere alla valutazione del danno all’immagine subito da una pubblica amministrazione (v. in particolare, i principi enunciati da Sez. riun. giur. n. 10/QM/2003 e richiamati dalla giurisprudenza contabile successiva) e che hanno ancorato tale operazione a diversi criteri di natura, segnatamente, oggettiva (inerenti alla natura del fatto, alle modalità di perpetrazione dell’evento pregiudizievole, alla reiterazione dello stesso), soggettiva (legati al ruolo del pubblico dipendente nell’ambito della pubblica amministrazione) e sociale (connessi alla negativa impressione suscitata nella opinione pubblica locale e all’interno della stessa pubblica amministrazione). Venendo al caso di specie, riscontrata come detto la sussistenza in concreto dei presupposti per l’applicazione del ridetto art. 55-quinquies, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, si ritiene che la Procura attrice si sia conformata ai cennati parametri nel basare la quantificazione del danno inferto dal convenuto all’immagine dell’Amministrazione di appartenenza sulla valutazione dei seguenti elementi di rilievo: a) qualifica di poliziotto del responsabile, ovvero il ruolo rivestito dal dipendente nel suo ambito lavorativo, quale Assistente della Polizia di Stato; b) dolosità del comportamento; c) rilevanza penale della condotta, in quanto posta in essere da un soggetto che era incardinato in un ambito lavorativo (la Polizia di Stato) cui si riconnette la funzione di reprimere comportamenti illeciti e non di provocarli deliberatamente determinando un danno all’Amministrazione di appartenenza per un lungo periodo; d) la reiterazione dei fatti delittuosi, protrattisi in lasso temporale piuttosto esteso; e) la risonanza della vicenda all’esterno e anche all’interno dell’Amministrazione danneggiata, in specie entro la Questura di Massa Carrara che ha conservato in atti l’articolo di stampa pubblicato sulla vicenda. Questo Collegio, tuttavia, aderendo alla deduzione formulata dalla difesa del convenuto, reputa che la determinazione in euro 20.000,00 del quantum da risarcire a titolo di danno all’immagine, per quanto in massima parte giustificata in relazione ai criteri a), b) e c) di cui sopra, non tenga sufficientemente conto della circostanza che il clamor fori è ricollegabile ad un solo articolo di stampa, peraltro risalente ad un momento nel quale la notizia divulgata poteva dare risalto soltanto alle indagini compiute e al rinvio a giudizio, non essendo ancora intervenuta alcuna sentenza di condanna. Per tale ragione, la consistenza del danno all’immagine suscettibile di risarcimento viene ridotta in via equitativa in euro 15.000,00. Conclusivamente, per i motivi esposti, questo Collegio ritiene sussistenti nella fattispecie tutti gli elementi della responsabilità amministrativa contestati al sig. C. M., il quale pertanto è tenuto a risarcire al Ministero dell’Interno, quale Amministrazione lesa, il danno erariale complessivo di euro 41.673,38, composto dal “danno patrimoniale diretto da assenteismo” pari a euro 24.849,63, dal danno “da spese indirette di gestione e/o da disservizio” pari a euro 1.823,75 e dal “danno non patrimoniale all’immagine da assenteismo” pari a euro 15.000,00. Sulla somma così individuata, da considerarsi già comprensiva di rivalutazione monetaria, vanno computati gli interessi legali dal deposito della sentenza sino al soddisfo. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in favore dell’Erario come da dispositivo. P.Q.M. La Corte dei conti - Sezione giurisdizionale regionale per la Toscana, definitivamente pronunciando con riferimento al giudizio iscritto al n. 62421 del registro di segreteria, in parziale accoglimento della domanda proposta dalla Procura regionale, condanna il sig. C. M. al pagamento in favore del Ministero dell’Interno, della somma di euro 41.673,38, da intendersi già comprensiva di rivalutazione monetaria e da incrementarsi degli interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino all’effettivo soddisfacimento del credito. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in €. 347,76.= . Manda alla Segreteria per gli adempimenti di rito. Così deciso in Firenze, nella camera di consiglio del 6 aprile 2022.  L’estensore  Claudio Guerrini Firmato digitalmente  Il Presidente  Angelo Bax  Firmato digitalmente Depositata in Segreteria il 17 aprile 2023 Il Funzionario Simonetta Agostini Firmato digitalmente Il giudice, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’articolo 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, dispone che a cura della Segreteria venga apposta l’annotazione di cui al comma 3 di detto articolo 52.  L’estensore  Claudio Guerrini Firmato digitalmente  Il Presidente  Angelo Bax  Firmato digitalmente In esecuzione del provvedimento del Presidente, ai sensi dell’articolo 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri elementi identificativi del convenuto e degli altri interessati. Firenze, 17 aprile 23 Il Funzionario  Simonetta Agostini Firmato digitalmente

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI ROMA V SEZIONE LAVORO composta da dr. Stefano Scarafoni - Presidente rel. dr.ssa Maria Antonia Garzia - Consigliere dr.ssa Sabrina Mostarda - Consigliere all'udienza di discussione del 31/3/2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello n. 3501/2021 TRA (...) rappresentata e difesa dall'avv. Fa.Co. ed elettivamente domiciliata in Roma, Piazza (...); APPELLANTE E (...) - C.N.R. rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato per legge in Roma, Via (...); APPELLATO OGGETTO: appello avverso sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Roma n. 4808/2021 del 19 maggio 2021. FATTO E DIRITTO 1. (...) ricorre al giudice del lavoro del Tribunale di Roma rappresentando di essere dipendente a tempo indeterminato del C.N.R. (di seguito per brevità (...)), a far data dal 1 maggio 2011, a seguito di trasferimento dall'Istituto Case Popolari di Caserta (di seguito per brevità IACP), inquadrata provvisoriamente, all'atto del trasferimento, come tecnologo III livello, prima fascia retributiva. Allega che il trasferimento dallo IACP al (...) ha avuto origine dalla domanda di mobilità volontaria presentata dalla ricorrente, in data 4 novembre 2010, contestualmente alla dipendente del (...) (...), tecnologo di III livello, che ha richiesto la mobilità dal (...) allo IACP. Allega che presso lo IACP di Caserta era dipendente a tempo indeterminato con decorrenza dal 1 gennaio 1996 ed era inquadrata nel profilo professionale di "Funzionario Avvocato" (cat. (...) CCNL Comparto Regioni e Autonomie Locali), con il ruolo di Responsabile dell'ufficio legale dell'ente. Evidenzia che l'ufficio legale dello IACP di Caserta era composto, oltre alla ricorrente che ne era la responsabile, da quattro unità di personale, con la collaborazione di un ausiliario e di due unità di personale di segreteria. Allega che, quale unico avvocato dello IACP, è stata iscritta, fin dal 1 dicembre 2000, all'Ordine degli avvocati di S. Maria C.V., elenco speciale avvocati degli enti pubblici, ed in ragione di tale iscrizione ha rappresentato giudizialmente l'Istituto dinanzi a tutte le autorità giudiziarie fino al trasferimento presso il (...). Allega che l'attività svolta, propria del profilo di "avvocato" dell'ente, era caratterizzata da piena autonomia ed indipendenza, anche gerarchica, in quanto rispondeva direttamente ai vertici decisionali dell'Istituto. Rappresenta che al momento del trasferimento presso il (...) percepiva un trattamento retributivo complessivo pari ad Euro 54.173,57 di cui Euro 33.395,14 a titolo fisso e continuativo, Euro 516,45 a titolo di retribuzione di risultato, Euro 614,00 a titolo di quota retributiva di buoni mensa ed Euro 19.648,00 come retribuzione per l'attività svolta quale avvocato. Evidenzia che nel corso dei rapporti intercorsi con il (...) prima del trasferimento, ha appreso che l'ente le avrebbe inizialmente riconosciuto il profilo di tecnologo nel livello e nella fascia retributiva iniziale (III livello, I fascia), come se si trattasse di una nuova assunzione, seguendo la prassi fino ad allora utilizzata nell'ipotesi di mobilità intercompartimentale. Detto inquadramento sarebbe stato, però, "provvisorio" e sarebbe stato rivisitato alla luce dei criteri dettati dal DPCM in materia di mobilità intercompartimentale di prossima emanazione, come imposto dall'art. 29 del D.Lgs. n. 165 del 2001. Per tale motivo, nel contratto individuale di lavoro, sottoscritto in data 2 maggio 2011 con effetto dal 1 maggio 2011, la ricorrente è stata inquadrata nel profilo professionale di tecnologo III livello, I fascia stipendiale, con la precisazione che l'inquadramento sarebbe stato però soggetto "a rivisitazione successivamente all'emanazione delle tabelle di equiparazione per il personale trasferito in mobilità proveniente da altri comparti di contrattazione ex art. 29 bis del D.Lgs. n. 165 del 2001". Nell'occasione le è stata, infine, riconosciuta l'anzianità di profilo e di livello, ai soli fini giuridici ma non anche economici, dal 1 dicembre 2004 (data del suo inquadramento come funzionario avvocato presso lo IACP) ed è stata assegnata all'ufficio del contenzioso del lavoro, privo di rappresentanza giudiziale (in quanto l'ente è assistito ex lege dall'Avvocatura dello Stato). Allega di avere richiesto, con note dell'11 marzo 2013 e del 12 dicembre 2014, la rettifica dell'inquadramento giuridico ed economico provvisoriamente effettuato dal (...), ma di avere avuto risposta negativa dal dirigente del personale che, comunque, ribadiva l'intenzione dell'ente di provvedere alla "rivisitazione dell'inquadramento successivamente all'emanazione delle tabelle di equiparazione per il personale trasferito in mobilità proveniente da altri comparti di contrattazione". In data 26 giugno 2015 è stato emanato il DPCM avente ad oggetto la "Definizione delle tabelle di equiparazione fra i livelli di inquadramento previsti dai contratti collettivi relativi ai diversi comparti di contrattazione del personale non dirigenziale", in attuazione di quanto previsto dall'art. 29 del D.Lgs. n. 165 del 2001, che, tuttavia, esclude espressamente dal proprio ambito normativo i professionisti interni delle pubbliche amministrazioni ed i tecnologi e ricercatori degli enti di ricerca precisando che, in caso di loro trasferimento, si applica la disciplina generale in materia di mobilità e, ove compatibili, i criteri generali del suddetto DPCM. La ricorrente ha, quindi, nuovamente chiesto che il (...) proceda alla revisione del suo inquadramento in attuazione dei principi generali dettati dal citato DPCM, ma anche tale richiesta è rimasta priva di riscontro. Rappresenta, infine, che il (...), in una del tutto simile procedura di mobilità per interscambio, ha riconosciuto ad altra dipendente trasferita un inquadramento più favorevole. In data 13 marzo 2017 la ricorrente ha, quindi, presentato un nuovo esposto/istanza al Presidente del (...) ed al Direttore generale, reiterato in data 6 novembre 2017 per ottenere la revisione del proprio inquadramento che, però, non hanno avuto esito positivo. Tanto premesso conclude come in epigrafe. Si costituisce il (...) che osserva che il trasferimento è avvenuto in virtù di mobilità compensativa o per interscambio ai sensi dell'art. 7 del D.P.C.M. n. 325 del 5 agosto 1988. In particolare, la ricorrente ha chiesto espressamente, ed ottenuto, dal (...) il trasferimento in applicazione dell'istituto della mobilità compensativa con (...), avvocato dipendente del (...) con profilo di tecnologo III Livello, assegnata all'ufficio del contenzioso del lavoro. Conseguentemente, all'atto del trasferimento alle dipendenze del (...), la ricorrente è stata inquadrata con profilo di tecnologo III Livello ed assegnata presso l'ufficio del contenzioso. Deduce, quindi, che l'inquadramento è stato correttamente operato dal (...) tenendo conto delle mansioni, dei compiti, delle responsabilità, dei titoli di accesso ai profili professionali nonché sulla base del criterio della prossimità degli importi del trattamento tabellare del comparto di provenienza. Osserva che i profili di inquadramento di I tecnologo e dirigente tecnologo appaiono superiori a quello di provenienza della ricorrente sotto tutti i punti di vista (mansioni, requisiti accesso, retribuzioni). Inoltre, gli stessi appartenendo al particolare profilo del tecnologo risultano accessibili a chi abbia maturato esperienza nel relativo comparto. Deduce che ai sensi dell'art. 13 del D.P.R. n. 171 del 1991 l'ordinamento del personale degli enti e delle istituzioni di ricerca e sperimentazione è articolato su 10 livelli professionali e che la tipologia professionale dei ricercatori e tecnologi è una speciale categoria appartenente al solo comparto ricerca dotata di totale autonomia e responsabilità nello svolgimento della propria attività. Rappresenta che, in base alle declaratorie dei livelli di tecnologo, risulta evidente la carenza in capo all'odierna ricorrente, al momento della mobilità, dei requisiti di accesso ai profili di dirigente tecnologo e I tecnologo, caratterizzati dalla necessità di pregressa specifica esperienza rispettivamente di 12 e 8 anni nel (...) o quantomeno nel comparto di appartenenza. Deduce che nel trasferimento non si è verificata una disparità di retribuzione, essendo fatto notorio che, ai fini dell'inquadramento a seguito di mobilità, devono considerarsi nel calcolo del trattamento economico esclusivamente le voci con carattere di generalità e natura fissa e continuativa non correlate allo specifico profilo di impiego nell'ente di provenienza, come chiaramente desumibile dall'articolo 3 del D.P.C.M. 26 giugno 2015. In merito all'illegittimità dell'operato del (...) per l'asserita disparità di trattamento rispetto ad altra dipendente, osserva che tanto la ricorrente quanto la controinteressata sono state inquadrate, all'esito delle due distinte ed autonome procedure di mobilità, nel medesimo profilo di tecnologo III livello. Con riferimento all'anzianità di servizio, osserva che l'inquadramento della (...) nella prima fascia retributiva del profilo è stato correttamente operato in quanto, in conformità a quanto espressamente stabilito dalla contrattazione collettiva nonché dalla prassi interna del (...), la progressione di livello viene riconosciuta a seguito e come conseguenza dell'anzianità di servizio sull'assunto della maggiore esperienza scientifico-professionale maturata in materia attinente. Per tale motivo, l'esperienza della ricorrente, pur qualificata da un punto di vista giuridico, non lo era però con riguardo alle competenze del (...). Eccepisce, da ultimo, la prescrizione della domanda avente ad oggetto le differenze retributive. Tanto premesso, conclude per il rigetto del ricorso. Il processo è istruito con i documenti prodotti dalle parti. 2. Con la sentenza impugnata il Tribunale di Roma ha respinto le domande di (...) sul rilievo che, stipulato il contratto di mobilità intercompartimentale, è precluso qualsiasi spazio per la contestazione, da parte del lavoratore, dell'inquadramento riconosciutogli dall'amministrazione di destinazione, pena la vanificazione delle esigenze di efficienza, buon andamento e contenimento della spesa complessiva che le norme sul pubblico impiego mirano ad assicurare in attuazione dei principi dell'articolo 97 della Costituzione. Osserva, poi, come ragione concorrente della decisione, il corretto inquadramento operato dal (...) rispettando il criterio dell'omogeneità, sotto il profilo professionale e contenutistico, della qualifica rivestita dalla (...) presso lo IACP di Caserta con quella attribuitagli dal (...). Rileva, poi, che la (...), al momento della mobilità, era carente dei requisiti di accesso ai profili di dirigente tecnologo e di I tecnologo, caratterizzati dalla necessità di pregressa specifica esperienza nel (...) di 12 e 8 anni o, quantomeno, nel comparto di appartenenza e le è stato attribuito l'inquadramento di tecnologo di III livello anche in ragione del fatto che il trasferimento nei ruoli del (...) si era reso possibile esclusivamente nell'ambito del procedimento di mobilità per interscambio con (...), già dipendente del (...) con il medesimo profilo. Avverso tale decisione propone l'odierno appello (...) sulla base di tre motivi d'impugnazione cui resiste il (...). 3. Con il primo motivo d'impugnazione contesta la fondatezza del rilievo della sentenza impugnata sulla preclusione della possibilità di contestare l'inquadramento riconosciuto dal (...) a fronte della sottoscrizione del contratto di lavoro. Con il secondo motivo contesta l'accertamento relativo alla correttezza dell'inquadramento riconosciuto dal (...). Con il terzo motivo si duole dell'omessa pronuncia sulla domanda relativa alla mancata attribuzione di valenza retributiva all'anzianità di servizio maturata prima del trasferimento al (...). I tre motivi possono essere trattati unitariamente essendo attinenti a questioni strettamente connesse. Gli stessi sono fondati nei limiti di cui alla seguente motivazione. 4.In primo luogo non può essere condivisa l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata che l'avvenuta stipula del contratto di lavoro per mobilità intercompartimentale precluda la possibilità, per il lavoratore, di contestare l'inquadramento riconosciutogli dall'amministrazione di destinazione. Nella richiesta di mobilità volontaria compensativa del 4 novembre 2010 (doc. 1 del fascicolo di primo grado di parte ricorrente), (...) ha chiesto il trasferimento presso il (...), con contestuale mobilità verso lo IACP di Caserta di (...), facendo presente di essere inquadrata con qualifica di funzionario avvocato categoria giuridica (...), categoria economica (...), del CCNL regioni ed autonomie locali. Successivamente, con nota del 20 gennaio 2011 (doc. 2 del medesimo fascicolo), (...) ha trasmesso al (...) il certificato rilasciato dallo IACP di Caserta relativo al suo status giuridico ed economico. Il predetto certificato, oltre ad attestare l'inquadramento giuridico ed economico dichiarato dalla (...) all'atto della domanda di mobilità volontaria, attesta altresì la sua iscrizione, dal 6 ottobre 2000, all'albo dell'Ordine degli avvocati di S. (...) Capua Vetere, elenco speciale degli avvocati degli enti pubblici, e la titolarità, dal 9 dicembre 2002, di incarico di responsabilità c.d. "posizione organizzativa" ai sensi dell'articolo 8 del CCNL regioni e autonomie locali del 31 marzo 1999. L'articolo 8 del citato CCNL, rubricato "Area delle posizioni organizzative", prevede quanto segue: "1. Gli enti istituiscono posizioni di lavoro che richiedono, con assunzione diretta di elevata responsabilità di prodotto e di risultato: a) lo svolgimento di funzioni di direzione di unità organizzative di particolare complessità, caratterizzate da elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa; b) lo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione correlate a diplomi di laurea e/o di scuole universitarie e/o alla iscrizione ad albi professionali; c) lo svolgimento di attività di staff e/o di studio, ricerca, ispettive, di vigilanza e controllo caratterizzate da elevate autonomia ed esperienza. 2. Tali posizioni, che non coincidono necessariamente con quelle già retribuite con l'indennità di cui all'art. 37, comma 4, del CCNL del 6 luglio 1995, possono essere assegnate esclusivamente a dipendenti classificati nella categoria (...), sulla base e per effetto d'un incarico a termine conferito in conformità alle regole di cui all'art. 9.". La certificazione della titolarità di posizione organizzativa conferma, quindi, che dal dicembre 2002 (...) ha assunto la responsabilità dell'ufficio legale dello IACP di Caserta. Il contratto stipulato in data 2 maggio 2011 tra (...) ed il (...) all'articolo 1, relativo all'inquadramento giuridico e retribuzione, reca la seguente premessa: "Soggetto a rivisitazione successivamente all'emanazione delle tabelle di equiparazione per il personale trasferito in mobilità proveniente da altri comparti di contrattazione (art. 29/bis - mobilità intercompartimentale - D.Lgs. n. 165 del 2001 nel testo inserito dall'art. 48 del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150)". Quanto premesso all'articolo 1 del contratto evidenzia che l'inquadramento disposto di tecnologo di III livello era meramente provvisorio, soggetto a rivisitazione, circostanza che conferma appieno quanto allegato dalla ricorrente che, nel corso dei rapporti intercorsi con il (...) prima del trasferimento, aveva appreso che l'ente le avrebbe inizialmente riconosciuto il profilo di tecnologo nel livello e nella fascia retributiva iniziale (III livello, I fascia), come se si trattasse di una nuova assunzione, seguendo la prassi fino ad allora utilizzata nell'ipotesi di mobilità intercompartimentale, ma che si trattava di inquadramento "provvisorio" che sarebbe stato rivisitato alla luce dei criteri dettati dal DPCM in materia di mobilità intercompartimentale. E' dunque errata, nel caso di specie, l'affermazione che, a passaggio avvenuto, sarebbe preclusa qualsiasi possibilità di contestazione, da parte del lavoratore, dell'inquadramento riconosciutogli dall'amministrazione di destinazione, perché è proprio il contratto intercorso tra le parti a qualificare l'inquadramento come meramente provvisorio e ad aprire la strada ad una successiva rivisitazione alla luce dei criteri dettati dal DPCM sulla mobilità intercompartimentale. Ciò dimostra che non vi è stata accettazione piena e incondizionata dell'inquadramento da parte della (...), che lo ha invece accolto solamente in via provvisoria, nelle more di una successiva più puntuale definizione della sua posizione dal punto di vista della qualifica e delle retribuzione: tanto è vero che, già dal marzo 2013, ancor prima che venisse emanato il DPCM sulla mobilità intercompartimentale, ha richiesto all'ente la rivisitazione del suo inquadramento. Ciò dimostra, ulteriormente, che nemmeno il (...) era certo della correttezza dell'inquadramento disposto ed era disponibile ad una successiva modificazione. 4.1.Superata, quindi, la preclusione alla possibilità di contestare il disposto inquadramento, affermata invece dal giudice di primo grado, è necessario affrontare la seconda questione posta dall'odierna appellante, ovvero la correttezza dell'inquadramento disposto dal (...). In proposito, i principi che regolano la mobilità volontaria intercompartimentale sono efficacemente riassunti in una recente pronuncia della Suprema Corte che ha affermato: "3.5. del resto, secondo il principio più volte affermato da questa Corte, in caso di mobilità del personale, va garantita l'equivalenza fra l'inquadramento goduto dal lavoratore nell'ente di provenienza e quello spettategli presso l'amministrazione di destinazione e quest'ultimo deve essere individuato in quello 'maggiormente corrispondente', nell'ambito della disciplina legale e contrattuale applicabile nell'ente ad quem, all'inquadramento in essere presso l'ente a quo (v. Cass., Sez. Un., 12 gennaio 2011, n. 503; Cass. 27 agosto 2014); 3.6. inoltre, vertendosi, con la mobilità volontaria, nell'ambito della fattispecie della cessione del contratto e cioè di modificazione meramente soggettiva del rapporto, con continuazione, quindi, del suo contenuto, ossia del complesso unitario di diritti ed obblighi derivanti dal contratto, restando immutati gli elementi oggettivi essenziali, tra i quali la posizione previdenziale, quella retributiva e, necessariamente, l'inquadramento presso l'ente di destinazione, nella verifica della correttezza di tale inquadramento, inteso quale inquadramento "maggiormente corrispondente" a quello presso l'ente di provenienza, è determinante tanto l'area funzionale quanto la posizione economica; 3.7. ciò emerge anche dalla generale previsione di cui all'art. 30, comma 2 bis, del D.Lgs. n. 165 del 2001 regolante il passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse secondo il quale "il trasferimento è disposto, nei limiti dei posti vacanti, con inquadramento nell'area funzionale e posizione economica corrispondente a quella posseduta presso le amministrazioni di provenienza"; 3.8. e la posizione economica non può certo intendersi, come vorrebbe l'appellante, a valenza meramente retributiva e cioè prescindendo da criteri nominalistici e confrontando il valore del trattamento stipendiale previsto dai c.c.n.l. per le posizioni di appartenenza e di destinazione, evitando che dall'inquadramento consegua la confluenza in una fascia superiore ovvero un differenziale positivo sul trattamento stipendiale per effetto del passaggio in mobilità, atteso che, di fatto, il passaggio da una posizione economica all'altra costituisce la normale progressione di carriera di un dipendente pubblico, propedeutica ai successivi passaggi di area" (Cass. 14506/2019). La mobilità volontaria dà luogo ad una cessione del contratto, e quindi ad una modificazione meramente soggettiva del rapporto, con la conseguente necessità che debba essere garantita l'equivalenza fra l'inquadramento goduto dal lavoratore nell'ente di provenienza e quello spettategli presso l'amministrazione di destinazione e quest'ultimo deve essere individuato in quello 'maggiormente corrispondente', nell'ambito della disciplina legale e contrattuale applicabile nell'ente ad quem. In base a tali principi va quindi valutato l'inquadramento della (...) disposto dal (...) come tecnologo di III livello, prima fascia retributiva. In proposito, per valutare se sia stata conservata l'integrità della posizione contrattuale trasferita, è necessario prendere in considerazione le allegazioni, non contestate, della (...) riguardo alle mansioni svolte presso l'ufficio legale dello IACP di Caserta. Allega, in proposito, l'odierna appellante che, in qualità di funzionario avvocato: - aveva il ruolo di Responsabile dell'ufficio legale dello IACP di Caserta che era composto, oltre alla ricorrente, da quattro unità di personale, con la collaborazione di un ausiliario e di due unità di personale di segreteria; - quale unico avvocato dello IACP, è stata iscritta, fin dal 1 dicembre 2000, all'ordine degli avvocati di S. Maria C.V., elenco speciale avvocati degli enti pubblici, ed in ragione di tale iscrizione ha rappresentato giudizialmente l'Istituto dinanzi a tutte le autorità giudiziarie fino al trasferimento presso il (...); - l'attività svolta, propria del profilo di "avvocato" dell'ente, era caratterizzata da piena autonomia ed indipendenza, anche gerarchica, in quanto rispondeva direttamente ai vertici decisionali dell'Istituto con assunzione in via diretta della responsabilità professionale del proprio operato; - l'attività svolta, inoltre, era connotata da una rilevante complessità perché, quale unico avvocato interno e responsabile dell'ufficio legale, riguardava non solo la cura di tutte le vertenze giudiziali e stragiudiziali, ma anche la prestazione di consulenza in favore degli organi dell'amministrazione sulle questioni più rilevanti e complesse. Bisogna, inoltre, tener conto, per il contenuto della posizione contrattuale, dell'attribuzione della "posizione organizzativa" all'odierna appellante ed il contenuto di tale posizione quale definito dall'articolo 8 del CCNL regioni ed autonomie locali in precedenza richiamato. Ebbene, tenuto conto della posizione contrattuale rivestita da (...) all'interno dello IACP, è necessario adesso valutare se l'inquadramento operato dal (...) sia corretto in base alle declaratorie dell'area del tecnologo recate dal D.P.R. n. 171 del 1991 recante il "Recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo per il triennio 1988 - 1990 concernente il personale delle istituzioni e degli enti di ricerca e sperimentazione di cui all'art. 9 della L. 9 maggio 1989, n. 168" (doc. 5 del fascicolo di primo grado del (...)). La declaratoria del dirigente tecnologo, primo livello professionale, prevede i seguenti requisiti di accesso: "Capacità acquisita di svolgere in piena autonomia funzioni di progettazione, di elaborazione e di gestione correlate ad attività tecnologiche e/o professionali di particolare complessità e/o di coordinamento e di direzione di servizi e di strutture tecnico/scientifiche complesse di rilevante interesse e dimensione anche in settori in cui è richiesto l'espletamento di attività professionali.". La declaratoria del primo tecnologo, secondo livello professionale, prevede i seguenti requisiti di accesso: "Capacità' acquisita di svolgere autonomamente funzioni di progettazione, di elaborazione e di gestione correlate alle attività tecnologiche e/o professionali e/o di coordinare a tali fini competenze tecniche, anche in settori in cui è richiesto l'espletamento di attività professionali.". La declaratoria del tecnologo, terzo livello professionale, prevede i seguenti requisiti di accesso: "Capacità acquisita di svolgere compiti di revisione di analisi, di collaborazione tecnica correlata ad attività tecnologiche e/o di svolgere attività professionale nelle strutture dell'Ente e di svolgere compiti di revisioni di analisi.". 4.2.Ritiene questa Corte che l'inquadramento come tecnologo di III livello non valga a garantire l'equivalenza fra l'inquadramento goduto dalla lavoratrice nell'ente di provenienza e quello spettategli presso l'amministrazione di destinazione. In proposito, la declaratoria del tecnologo III livello è mancante di due elementi fondamentali rispetto alla pregressa posizione contrattuale della (...): l'autonomia e l'attività di gestione e coordinamento di un ufficio. L'odierna appellante, come avvocato dell'ente, aveva autonomia, e correlata responsabilità, nella gestione degli affari legali dello IACP, mentre il tecnologo di III livello non è dotato di autonomia, bensì svolge esclusivamente "attività professionale nelle strutture dell'Ente" e certamente non assume la responsabilità del proprio operato. Al contempo, presso lo IACP di Caserta la (...) aveva la funzione di Responsabile dell'ufficio legale dell'ente che era composto, oltre a lei, da quattro unità di personale, con la collaborazione di un ausiliario e di due unità di personale di segreteria, e gestiva tutte gli affari giudiziali e stragiudiziali e anche l'attività di consulenza in favore dei vertici dell'Istituto. Nella declaratoria del tecnologo di III livello è del tutto mancante il profilo della gestione e del coordinamento di altre competenze professionali. Si tratta di aspetti qualificanti della posizione contrattuale rivestita dalla (...) all'interno dello IACP, sicché l'inquadramento ricevuto presso il (...) non vale a garantire che, nella cessione del contratto, sia rimasto immutato il complesso unitario di diritti ed obblighi dallo stesso derivanti. Ritiene questa Corte che, invece, l'inquadramento idoneo a garantire che nel trasferimento sia immutata la posizione contrattuale dell'odierna appellante sia quello di tecnologo di II livello. La declaratoria di tale profilo professionale prevede la "Capacità acquisita di svolgere autonomamente funzioni ... professionali e/o di coordinare a tali fini competenze tecniche, anche in settori in cui è richiesto l'espletamento di attività professionali". In tale declaratoria sono, quindi, presenti i due aspetti qualificanti dell'attività svolta dalla (...) presso lo IACP, l'autonomia professionale - con la correlata responsabilità - e il coordinamento di competenze tecniche nei settori in cui è richiesto l'espletamento di attività professionali (quale è il settore legale cui è attualmente addetta presso il (...)). Non ritiene, invece, questa Corte che possa attagliarsi all'appellante il profilo professionale di tecnologo di I livello che richiede la capacità acquisita di svolgere in piena autonomia funzioni di progettazione, di elaborazione e di gestione correlate ad attività professionali di particolare complessità e, soprattutto, di coordinamento e di direzione di servizi e di strutture tecnico/scientifiche complesse di rilevante interesse e dimensione anche in settori in cui è richiesto l'espletamento di attività professionali, requisiti che l'odierna appellante non ha maturato nel precedente servizio presso lo IACP di Caserta ove era responsabile di un ufficio legale di modeste dimensioni. L'inquadramento corretto è, quindi, quello relativo al tecnologo di II livello. 4.3. Il (...) sostiene la correttezza dell'inquadramento effettuato anche sotto il profilo stipendiale, tenuto conto che la retribuzione tabellare percepita dalla (...) presso lo IACP di Caserta corrisponde a quella del tecnologo di III livello. Anche tale affermazione non merita di essere condivisa. In primo luogo si deve evidenziare che è errato il richiamo fatto nella sentenza impugnata alla necessità della pregressa esperienza di 12 e 8 anni nel (...) o nel comparto per accedere, rispettivamente, alla qualifica di tecnologo di I livello e di II livello. Tale richiamo si riferisce all'ordinamento professionale, non più esistente, dettato dal D.P.R. n. 171 del 1991 in cui i tre livelli di tecnologo costituivano aree distinte cui si accedeva per concorso. Attualmente, invece, come statuito dalla Corte di Cassazione a sezioni unite con la pronuncia n. 8985/2018, quella dei tecnologi costituisce un'area professionale unica ed il passaggio da un livello a quello superiore dà luogo ad una mera progressione orizzontale e non verticale. La pronuncia della Suprema Corte sopra richiamata attiene al CCNL dell'Agenzia spaziale italiana del 29 novembre 2007, ma riguarda anche il CCNL degli enti di ricerca il cui contenuto è stato interamente trasfuso nel primo contratto. Afferma la Corte Suprema: "10. Come si è detto, nella specie, la selezione per il passaggio da un livello a quello immediatamente superiore nel profilo di tecnologo è stata bandita dall'ASI "ai sensi dell'art. 15 del CCNL ASI del 29 novembre 2007". Questa Corte - sia pure esaminando fattispecie concorsuali con bandi antecedenti all'art. 15 del CCNL del 7 aprile 2006 per gli Enti di ricerca (di contenuto analogo all'art. 15 del CCNL ASI del 29 novembre 2007) - ha affermato che l'art. 15 del primo dei suddetti CCNL ha introdotto per la prima volta l'unicità dell'organico dei ricercatori prevedendo una disciplina conforme ai principi stabiliti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, rispetto alla quale è da considerare incompatibile quella di cui al D.P.R. 12 febbraio 1991, n. 171 (alla quale facevano riferimento tutti i precedenti contratti del Comparto), il cui art. 13, contemplava tre livelli di ricercatori (III, II e I livello: ricercatore, primo ricercatore e dirigente di ricerca), ciascuno dei quali era configurato come una distinta area, accessibile attraverso un concorso pubblico nazionale (Cass. SU 12 ottobre 2009, n. 21558; Cass. SU 9 aprile 2010, n. 8424 e n. 8425: Cass. 13 giugno 2011, n. 12900). 11. Lo stesso può dirsi, per i tecnologi, con riguardo al primo CCNL ASI stipulato il 29 novembre 2007, quindi in epoca di molto antecedente rispetto al bando n. 9/2009 di cui si tratta. In effetti, l'art. 15 di quest'ultimo CCNL contiene disposizioni molto innovative circa la classificazione dei tecnologi, rispetto agli artt. 63 e 64 del precedente CCNL 21 febbraio 2002 del Comparto Enti di ricerca, in quanto prevede, al comma 2, che "Il profilo dei tecnologi è .... caratterizzato da un'omogenea professionalità e quindi da un unico organico, articolato su tre livelli, denominati: 1 - Dirigente tecnologo; 2 - Primo tecnologo; 3 - Tecnologo"; precisa, al comma 3, che "Il numero complessivo dei posti riferibili agli organici predetti è determinato dall'ASI in sede dì approvazione del bilancio di previsione nel rispetto dei vincoli di legge" (il che vuol dire che le previsioni di organico devono riferirsi alla categoria dei tecnologi nel suo complesso); prevede, ai commi 5 e 6, che l'accesso al II e al III livello avvenga anche attraverso procedure selettive finalizzate ad accertare il merito tecnologico, attivate con cadenza biennale all'interno del profilo immediatamente inferiore, quale è quella di cui si tratta. Ne deriva che - diversamente da quanto affermato dalla Corte d'appello - anche in questo caso (come per gli Enti di ricerca) non può trovare applicazione la disciplina precedente (di cui al D.P.R. n. 171 del 1991) richiamata nella sentenza impugnata. Infatti per il mansionario allegato a tale ultimo decreto i tre livelli dei tecnologi costituivano aree distinte e il passaggio dall'una all'altra doveva avvenire con concorso pubblico nazionale, perché la suddetta tale classificazione era finalizzata ad integrare l'art. 13 del D.P.R. n. 171 del 1991 stesso (Ordinamento del personale), prevedente una propria articolazione dei profili professionali, "in applicazione dell'art. 9 della L. 9 maggio 1989, n. 168". Ebbene, non solo tale ultima disposizione è stata abrogata dal D.Lgs. n. 29 del 1993 (e l'abrogazione è stata confermata dal D.Lgs. n. 165 del 2001) ma comunque la articolazione ivi stabilita è stata superata dal suddetto contratto collettivo. Quindi, anche da questo punto di vista, resta confermato il carattere innovativo dell'art. 15 cit. e la non configurabilità come "progressione verticale" in senso proprio della selezione di cui si tratta.". Il riconoscimento della posizione di tecnologo di II livello, al posto dell'inquadramento contrattuale al III livello, costituisce, quindi, una mera progressione orizzontale, che non necessita di concorso per l'accesso, e può essere oggetto di pronuncia giudiziale, né costituisce un limite a tale pronuncia la circostanza che lo stipendio tabellare del II livello è superiore a quello tabellare percepito dalla (...) presso lo IACP, atteso che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che "la posizione economica non può certo intendersi, come vorrebbe l'appellante, a valenza meramente retributiva e cioè prescindendo da criteri nominalistici e confrontando il valore del trattamento stipendiale previsto dai c.c.n.l. per le posizioni di appartenenza e di destinazione, evitando che dall'inquadramento consegua la confluenza in una fascia superiore ovvero un differenziale positivo sul trattamento stipendiale per effetto del passaggio in mobilità, atteso che, di fatto, il passaggio da una posizione economica all'altra costituisce la normale progressione di carriera di un dipendente pubblico, propedeutica ai successivi passaggi di area" (Cass. 14506/2019). La corrispondenza della posizione economica non può, quindi, essere ancorata al criterio meramente formale della corrispondenza del valore del trattamento stipendiale previsto dai CCNL per le posizioni di appartenenza e di destinazione, evitando che dall'inquadramento consegua la confluenza in una fascia superiore ovvero un differenziale positivo sul trattamento stipendiale per effetto del passaggio in mobilità, dovendosi, invece, tenere conto anche della normale progressione di carriera di un dipendente pubblico e, quindi, della possibilità che, nel trasferimento per mobilità, si determini un differenziale positivo sul trattamento stipendiale, se quest'ultimo deriva dalla corretta trasposizione nell'ente di destinazione della posizione contrattuale goduta in quello di provenienza. Da ultimo si osserva che non è di ostacolo al riconosciuto inquadramento nemmeno l'articolo 7 del D.P.C.M. n. 325 del 1988, in forza del quale è avvenuta la mobilità compensativa, che prevede che "E' consentita in ogni momento, nell'ambito delle dotazioni organiche di cui all'art. 3, la mobilità dei singoli dipendenti presso la stessa od altre amministrazioni, anche di diverso comparto, nei casi di domanda congiunta di compensazione con altri dipendenti di corrispondente profilo professionale, previo nulla osta dell'amministrazione di provenienza e di quella di destinazione.". La rilevata unicità dell'area professionale del tecnologo, fa sì che, nel caso di specie, sussista la corrispondenza del profilo professionale anche se (...), la dipendente del (...) transitata allo IACP di Caserta, rivestiva la qualifica di tecnologo di III livello. Infatti, il riconoscimento dell'unicità dell'area deriva dalla riconosciuta omogeneità dei tre profili professionali di I, II e III livello: nella sostanza, le tre qualifiche esistenti all'interno dell'area sono comunque riconducibili ad una sostanziale omogeneità professionale che fa sì che, anche con il riconoscimento dell'inquadramento della (...) al II livello, persista il requisito della corrispondenza del profilo professionale richiesto dalla citata disposizione. 5. L'appello, quindi, deve essere parzialmente accolto con il riconoscimento del diritto di (...) all'inquadramento come tecnologo di II livello dalla data dell'assunzione presso il (...) (1 maggio 2011) e la conseguente condanna dell'ente appellato al pagamento delle relative differenze retributive. Il (...) ha eccepito l'intervenuta prescrizione quinquennale delle stesse. L'eccezione non merita accoglimento. Con nota dell'11 marzo 2013 (...) ha richiesto al (...) la rettifica dell'inquadramento giuridico ed economico, richiesta reiterata con successive note del 12 dicembre 2014, del 23 dicembre 2015 e, da ultimo, con l'esposto del 13 marzo 2017. Appare evidente che nessuna prescrizione quinquennale può essere maturata. Il riconoscimento dell'inquadramento al II livello dalla data dell'assunzione presso il (...) determina l'assorbimento del terzo motivo d'appello relativo al mancato riconoscimento dell'anzianità di servizio pregressa anche ai fini retributivi. 6. Al parziale accoglimento dell'appello consegue la compensazione per 1/3 delle spese di lite di entrambi i gradi del giudizio, liquidate come in dispositivo sulla base del valore della controversia, e la condanna del (...) al pagamento dei 2/3 residui. P.Q.M. Accoglie parzialmente l'appello e, in riforma della sentenza impugnata, dichiara il diritto di (...) ad essere inquadrata dal 1 maggio 2011, data di assunzione da parte del C.N.R., quale tecnologo di II livello e, per l'effetto, condanna il C.N.R. a procedere all'indicato inquadramento dalla data indicata ed a pagare alla parte appellante le relative differenze retributive, oltre agli interessi legali dalla data di decorrenza dei singoli crediti sino all'effettivo soddisfo. Compensa per 1/3 le spese di lite di entrambi i gradi del giudizio che liquida per l'intero, quanto al primo, nella somma di Euro 2.500,00 per compenso e, quanto al presente appello, nella somma di Euro 3.800,00 per compenso, oltre iva, c.p.a. e spese generali al 15%, e condanna il C.N.R. a rimborsare a parte appellante la residua quota dei 2/3. Così deciso in Roma il 31 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 6 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7722 del 2018, proposto da Ministero dell'Interno, Dipartimento Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile, Comando Provinciale Vigili del Fuoco di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); contro -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti -OMISSIS-, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda n. -OMISSIS-, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2023 il Pres. Michele Corradino e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO L'odierno appellato ha impugnato dinanzi al Tar Sardegna la graduatoria e i il presupposto procedimento di mobilità attuato dal Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di -OMISSIS-, ove veniva collocato al quinto posto, con punti sei, con conseguenziale assegnazione alla sede di seconda scelta, 45 km distante dal proprio luogo di residenza. I posti disponibili per la mobilità erano, infatti, sette, di cui soltanto quattro a -OMISSIS-, sede di prima scelta dell'interessato. Il ricorrente ha censurato i richiamati provvedimenti denunciando la violazione ed errata applicazione dei criteri di cui all'Accordo integrativo nazionale del 31 luglio 2013 e delle circolari del Dipartimento dei Vigili del Fuoco -OMISSIS-; l'illogicità e contraddittorietà manifesta; la violazione del principio di buona amministrazione e la violazione dell'art. 44 del d.P.R. n. 64/2012, nonché l'eccesso di potere per mancanza di presupposti di fatto e di diritto. In particolare, il ricorrente ha contestato l'applicazione del criterio della residenza del nucleo familiare nel territorio operativo, fatto proprio dagli Ordini del Giorno n. -OMISSIS- e n. 343/2017, con i quali il Comandante provinciale di -OMISSIS- avrebbe reso rilevante la residenza protratta per 24 mesi (stabilendo, in questo caso, l'attribuzione di 2 punti), in aggiunta a quella semplice già prevista dall'Accordo nazionale integrativo, che avrebbe determinato l'attribuzione di un solo punto. L'applicazione del criterio determinato a livello provinciale, in aggiunta al diverso e meno favorevole criterio definito a livello nazionale, avrebbe comportato non solo la mancata attribuzione al ricorrente di due punti aggiuntivi, essendo il suo nucleo familiare residente a -OMISSIS- da soli 22 mesi, ma anche il conseguimento di un maggior punteggio dei controinteressati. Il ricorrente ha essenzialmente evidenziato che, laddove fosse stato applicato il solo criterio della residenza definito dall'Accordo integrativo nazionale del 31 luglio 2013 (con attribuzione di 1 punto), lo stesso sarebbe passato, per effetto del minor punteggio assegnato agli altri concorrenti, dal sesto al terzo posto, ottenendo l'assegnazione nella sede di prima scelta, -OMISSIS-. Il Tar adito ha accolto il ricorso, considerando che nella fattispecie de qua si fosse venuto a costituire un illegittimo conflitto tra quanto definito in sede di Accordo integrativo nazionale del 2013 e l'Ordine del Giorno del Comandante di -OMISSIS- del 2016. Secondo il primo Giudice, i criteri previsti dall'Accordo integrativo nazionale del 2013 avrebbero dovuto essere applicati su tutto il territorio nazionale, non essendo previsto che ciascun Comando potesse derogarvi, innovando o modificando la griglia riferita ai criteri e punteggi rilevanti. Ciò, al fine di consentire, anche a livello provinciale, una omogeneità di valutazione e giudizio in materia di esecuzione in concreto della mobilità . Il Tar, dopo aver richiamato l'art. 44 del d.P.R. n. 64/2012, ha ritenuto che nel caso di specie mancasse il "doppio requisito" per poter derogare ai criteri per la mobilità del personale dettati a livello nazionale. In particolare, non solo sarebbe mancata la stipula di un formale accordo decentrato, non essendo gli Ordini del Giorno del Comando provinciale di -OMISSIS- n. -OMISSIS- e n. 343/2017 applicativi di Accordi stipulati a livello locale, ma sarebbero altresì mancate le esigenze di organizzazione e disciplina degli uffici richieste dalla disposizione cui si è fatto cenno ai fini dell'ammissibilità della deroga. L'elevazione del punteggio da 1 a 2 punti in caso di residenza del nucleo familiare nel territorio operativo per oltre 24 mesi ha determinato, ad avviso del Tar, una influenza determinante nella redazione della graduatoria e nelle concrete assegnazioni di prima scelta per mobilità, in quanto il ricorrente, con l'applicazione dei criteri definiti a livello nazionale, avrebbe ottenuto come nuova sede di servizio la prima preferenza, -OMISSIS-. Il Ministero dell'Interno ha impugnato la sentenza, censurando la verifica operata dal primo Giudice in ordine alla sussistenza dei profili del "doppio requisito" previsto dall'art. 44 del d.P.R. n. 64/2012. In primo luogo, secondo la difesa erariale il primo Giudice avrebbe errato nel considerare inesistente, sotto il profilo formale, un accordo decentrato in sede locale, essendovi stata, invero, una concertazione sindacale, come si evincerebbe dal verbale di consultazione sindacale del 26 giugno 2017, in occasione della quale tutte le organizzazioni sindacali presenti avrebbero accettato il criterio dell'anzianità di residenza biennale. In secondo luogo, il primo Giudice avrebbe errato nel ritenere insussistente, nel caso di specie, il presupposto della finalità di organizzazione e disciplina degli uffici richiesta dall'art. 44 del d.P.R. n. 64/2012 ai fini della deroga ai criteri per la mobilità dettati a livello nazionale. Si obietta che la definizione del criterio dell'anzianità di residenza biennale, fissato in aggiunta al diverso criterio della residenza semplice definito a livello nazionale, risponderebbe all'esigenza di ovviare a una problematica espressa dai sindacati e verificatasi nelle precedenti mobilità, consistente nello spostamento repentino della residenza con il solo scopo di avversare il trasferimento di colleghi invisi e ottenere titoli ulteriori creati ad hoc. Si è costituito in giudizio l'appellato, controdeducendo a tutti i motivi di gravame ed instando per la infondatezza nel merito dell'appello. Alla pubblica udienza del 9 febbraio 2023, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO L'appello è infondato. Il Ministero appellante, nel censurare la sentenza del Tar oggetto di gravame, sostiene che l'Accordo nazionale del 31 luglio 2013, recante i criteri per la formazione delle graduatorie nazionali di mobilità volontaria a domanda del personale non direttivo e non dirigente, non sia vincolante per quanto concerne le mobilità territoriali che intervengono nell'ambito di competenza dei Vigili del Fuoco, in relazione alle quali sarebbero ammissibili deroghe ai criteri dettati a livello nazionale, in linea con l'art. 44 del d.P.R. n. 64/2012. L'assunto non è condivisibile. L'art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 64/2012, prevede che "i criteri per la mobilità interna agli uffici centrali di livello dirigenziale generale, ubicati in sedi diverse, sono individuati in sede di contrattazione decentrata a livello centrale; i criteri per la mobilità del personale nell'ambito delle rispettive articolazioni territoriali delle direzioni regionali ed interregionali e dei comandi provinciali sono individuati in sede di contrattazione decentrata a livello periferico, sulla base dell'organizzazione e della disciplina degli uffici". Sulla scorta di tale dato normativo, si comprende come la deroga ai criteri per la mobilità dettati a livello nazionale sia ammessa soltanto se prevista in sede di contrattazione decentrata a livello periferico e sempre che tale deroga sia subordinata a esigenze di organizzazione e disciplina degli uffici. La previsione del doppio requisito, che restringe sostanzialemente la possibilità di derogare ai criteri delineati in sede di contrattazione collettiva nazionale, si comprende in ragione dell'esigenza di assicurare una uniformità di indirizzo tra le modalità di gestione delle procedure di mobilità effettuate in sede locale rispetto a quelle nazionali. Sul punto, infatti, l'Amministrazione Centrale ha ribadito con le circolari n. -OMISSIS- il carattere vincolante delle disposizioni contenute nell'Accordo collettivo del 16 aprile 2016 anche per quel che concerne la definizione dei criteri per la mobilità del personale nell'ambito delle rispettive articolazioni territoriali delle Direzioni regionali e dei Comandi Provinciali. Chiarita la natura vincolante dell'Accordo collettivo del 16 aprile 2016, è sottoposta all'esame di questo Collegio la questione se l'Ordine del Giorno n. -OMISSIS- abbia legittimamente o meno adottato criteri per la mobilità differenti - e in aggiunta - rispetto a quelli previsti a livello nazionale. Sul punto, la difesa erariale sostiene che, nel caso di specie, la definizione a livello locale del criterio dell'anzianità di residenza biennale sia avvenuto nel pieno rispetto dell'art. 44 del d.P.R. n. 64/2012, essendo stato posto in essere un accordo sindacale integrativo, benché non redatto con lo specifico nomen iuris, ed essendo stata la previsione di un siffatto criterio giustificata in relazione a specifiche esigenze di organizzazione e disciplina degli uffici, ravvisabili nella necessità di scongiurare fenomeni di fittizio e repentino cambiamento di residenza, al solo scopo di avversare il trasferimento di colleghi invisi e ottenere titoli ulteriori creati ad hoc. Il motivo è destituito di fondamento. In primo luogo, il Collegio ritiene che il verbale di consultazione sindacale del 5 aprile 2016, contrariamente a quanto vorrebbe la difesa erariale, non può essere equiparato a un contratto decentrato tra i Comandi provinciali e le organizzazioni sindacali che, solo, può derogare ai criteri in materia di procedure di mobilità interna definiti dall'Accordo integrativo nazionale. Va infatti chiarito che la consultazione sindacale è attività di confronto, diretto o mediato, attraverso la quale le parti del rapporto di lavoro acquisiscono o arricchiscono la consapevolezza delle reciproche esigenze di svolgimento del rapporto stesso. Ne deriva che la consultazione è attività prodromica, obbligatoria ove prevista dalla legge o dai Contratti collettivi nazionali, ma non sostitutiva dell'Accordo sindacale integrativo a livello decentrato. Infatti, soltanto un accordo formale stipulato a livello locale garantisce la definizione ponderata di criteri per la mobilità differenti rispetto a quelli definiti a livello nazionale, tanto più nei casi, come quello che qui interessa, in cui la possibilità di derogare all'Accordo del 31 luglio 2013 deve essere intesa come ipotesi di stretta interpretazione, in modo da garantire il più possibile l'uniformità di indirizzo tra le modalità di gestione delle procedure di mobilità effettuate in sede locale rispetto a quelle nazionali. Pertanto, il Collegio ritiene che nel caso in discussione sia mancata una contrattazione nei modi di legge, dovendosi escludere il raggiungimento di un accordo formale in sede locale sui criteri da adottare in seno alle procedure di mobilità del personale, in deroga a quelli delineati a livello nazionale. Condivisibilmente, controparte sostiene che il verbale di consultazione cui si è fatto cenno rivela soltanto la proposta fatta dai rappresentanti sindacali della CGIL, ma non consente di affermare che fosse stato raggiunto o sottoscritto alcun accordo riguardante criteri in deroga alla disciplina generale sulla mobilità a domanda del personale in servizio. Consegue che, sotto un primo profilo meramente formale, il Comando provinciale dei Vigli del Fuoco di -OMISSIS- ha illegittimamente recepito nell'Ordine del Giorno n. -OMISSIS- la proposta della CGIL, modificando in modo significativo i criteri ordinari dettati a livello nazionale, sebbene mancasse un formale accordo con le associazioni sindacali, in violazione di quanto dispone l'art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 64/2012. In secondo luogo, l'Ordine del Giorno n. -OMISSIS- si rivela illegittimo anche dal punto di vista sostanziale, mancando nel caso di specie quella esigenza dell'organizzazione e della disciplina degli uffici, prevista quale presupposto per derogare ai criteri di mobilità definiti a livello nazionale. Sul punto, la difesa erariale sostiene che tale presupposto sia integrato dalla necessità di scongiurare quanto avvenuto nelle mobilità precedenti, in cui si era riscontrato un fittizio cambiamento di residenza strumentale ad avversare il trasferimento di colleghi invisi o a ottenere titoli ulteriori creati ad hoc, con il conseguente crearsi di un ambiente di lavoro ostile e tale da inficiare l'efficienza dell'apparato di soccorso, di contro caratterizzato da una necessaria collaborazione di gruppo nell'espletamento del servizio. L'argomento non è convincente, disvelando, al contrario, la debolezza dell'impianto motivazionale su cui si fonda la previsione di criteri in deroga a quelli definiti in sede di contrattazione collettiva nazionale. Questo Collegio condivide la considerazione del primo Giudice, secondo cui la previsione di un punteggio aggiuntivo, correlato a un periodo prolungato di residenza, non è in grado di incidere sull'organizzazione e sulla disciplina degli uffici, come invece imporrebbe l'art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 64/2012. Né, a ben vedere, tale obiettivo risulta coerente con la ragione esposta dalla difesa erariale. La previsione del requisito di anzianità di residenza è ancor più contraddittoria e arbitraria se si considera che, come evidenziato dalla controparte, il criterio cui si è fatto cenno non compare né nell'Ordine del Giorno n. -OMISSIS- né nel verbale di contrattazione del 4 giugno 2019 decentrata, ove - al contrario - si è ritenuto sufficiente prevedere, al fine di scongiurare modifiche di residenza "last minute" non corrispondenti a una reale situazione personale, che la mancata coincidenza della sede di residenza con quella dichiarata all'atto dell'assunzione fosse giustificata da un valido motivo. Ciò conferma l'illegittimità, anche dal punto di vista sostanziale, della previsione di un limite temporale di rilevanza del requisito della residenza ai fini dell'attribuzione di un punteggio aggiuntivo. In conclusione, per i suesposti motivi, l'appello va respinto. Attesa la novità della questione, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Michele Corradino - Presidente, Estensore Pierfrancesco Ungari - Consigliere Giovanni Pescatore - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere Antonella De Miro - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Silvana SCIARRA; Giudici : Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,   ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 16 e 17, comma 1, lettera a), della legge della Provincia autonoma di Trento 27 dicembre 2021, n. 22 (Legge provinciale di stabilità 2022), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 25 febbraio 2022, depositato in cancelleria il 25 febbraio 2022, iscritto al n. 14 del registro ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2022. Visto l’atto di costituzione della Provincia autonoma di Trento; udito nell’udienza pubblica del 10 gennaio 2023 il Giudice relatore Giulio Prosperetti; uditi l’avvocato dello Stato Gianna Galluzzo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Sabrina Azzolini per la Provincia autonoma di Trento; deliberato nella camera di consiglio del 10 gennaio 2023.   Ritenuto in fatto 1.– Con ricorso notificato e depositato il 25 febbraio 2022 (reg. ric. n. 14 del 2022) il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 16 e 17, comma 1, lettera a), della legge della Provincia autonoma di Trento 27 dicembre 2021, n. 22 (Legge provinciale di stabilità 2022), in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, e agli artt. 4 e 8 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). 1.1.– Il ricorrente rappresenta che l’art. 16 della legge prov. Trento n. 22 del 2021 dispone: «[n]el comma 1 dell’articolo 31 della legge provinciale n. 7 del 2021 le parole: “sono prorogati al 30 giugno 2022” sono sostituite dalle seguenti: “e nel corso dell’anno 2022 sono prorogati al 31 marzo 2023”», e che, per effetto di tale modifica, il comma 1 dell’art. 31 della legge della Provincia autonoma di Trento 17 maggio 2021, n. 7 (Prime misure del 2021 connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 e conseguente variazione al bilancio di previsione della Provincia autonoma di Trento per gli esercizi finanziari 2021-2023), stabilisce: «[i] termini di validità delle graduatorie per le assunzioni di personale provinciale a tempo indeterminato relative al comparto autonomie locali in scadenza entro il 31 dicembre 2021 e nel corso dell’anno 2022 sono prorogati al 31 marzo 2023». Ad avviso della difesa statale, la disposizione impugnata viola i «principi di uguaglianza, buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione», la competenza legislativa statale esclusiva nella materia «ordinamento civile» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., nonché gli artt. 4 e 8 dello statuto speciale, «in relazione all’art. 35, comma 5-ter, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, ante novella operata dall’art. 1, comma 149, l. 27 dicembre 2019, n. 160», e all’art. 91 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali). Il ricorrente ricorda la costante giurisprudenza costituzionale secondo cui la disciplina delle graduatorie concorsuali e della loro durata è riconducibile alla competenza legislativa residuale delle regioni in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa di cui all’art. 117, quarto comma, Cost., e che tale competenza deve essere esercitata «nel rispetto dei canoni costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione (artt. 3 e 97 Cost.), a tal fine garantendo il reclutamento imparziale degli idonei, nonché verificando la perdurante attitudine professionale degli stessi». Tuttavia, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che la disciplina delle graduatorie dei concorsi nella pubblica amministrazione andrebbe valutata in una «diversa prospettiva interpretativa, di tipo sistematico-evolutivo, che lasci cioè emergere le diverse declinazioni che i citati canoni costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione possono assumere e, in conseguenza, le differenti possibili violazioni che, dall’accogliere questa o quella prospettiva ermeneutica, possono scaturire», tenuto altresì conto delle recenti novità in materia di disciplina della mobilità nell’ambito del pubblico impiego. In particolare, assume che «una disciplina delle graduatorie non uniforme su tutto il territorio nazionale, poiché rimessa, sotto il profilo dei termini di durata e di validità, alla regolamentazione di ciascuna Regione, determina una frammentazione parimenti idonea a generare una disciplina differenziata in relazione a situazioni del tutto analoghe, senza fornire adeguata motivazione del diverso e più favorevole trattamento». Al riguardo, la difesa dello Stato evidenzia che il «personale reclutato dalle regioni assume a tutti gli effetti la qualifica di dipendente pubblico, potendo di fatto transitare anche nei ruoli di amministrazioni centrali, per cui, anche sotto questo ulteriore profilo, non si comprende il motivo della disparità di trattamento che discenderebbe dal persistente orientamento che ammette criteri non uniformi sull’intero territorio nazionale». Il ricorrente pone l’accento sulle modifiche in materia di mobilità del personale introdotte dall’art. 3 del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, recante «Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia», convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2021, n. 113, che «hanno fatto venir meno l’obbligo del previo nulla osta dell’amministrazione di provenienza, rendendo omogenea la disciplina della mobilità per tutti i dipendenti pubblici, compresi i dipendenti regionali e degli enti locali». Secondo la difesa statale, «[i]n tale contesto di riforma, le disposizioni statali sulla durata delle graduatorie concorsuali devono essere concepite e quindi applicate in termini uniformi sull’intero territorio nazionale, ponendosi nella prospettiva di una progressiva limitazione di operatività temporale delle graduatorie stesse». In caso contrario, vi sarebbe «il rischio che il personale di talune amministrazioni regionali possa essere surrettiziamente ammesso, per la peculiarità della disciplina ad esso applicabile, ai generali procedimenti, volontari o obbligatori, di mobilità verso le altre amministrazioni regionali o statali». Per quanto così rilevato, il ricorrente ritiene che la fattispecie delle graduatorie concorsuali sia riconducibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, «trattandosi di una fase prodromica e funzionale all’instaurazione del rapporto di lavoro». In ordine alle disposizioni statali relative alla efficacia temporale delle graduatorie, la difesa statale rappresenta che essa è sottoposta al regime di validità triennale, sia ai sensi della formulazione dell’art. 35, comma 5-ter, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nel testo precedente la modifica recata dall’art. 1, comma 149, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), «che dell’art. 91 del TUEL che, nella sua formulazione vigente, ne prevede la validità triennale per gli Enti Locali». Da ultimo, il ricorrente afferma che la disposizione provinciale impugnata, nel violare la competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., esula dalle attribuzioni conferite alla Provincia autonoma di Trento dagli artt. 4 e 8 dello statuto speciale. 1.2.– Il ricorrente impugna altresì l’art. 17, comma 1, lettera a), della legge prov. Trento n. 22 del 2021, per lesione della competenza legislativa statale esclusiva nella materia «ordinamento civile» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., e degli artt. 4 e 8 dello statuto speciale, in relazione all’art. 113, commi 2 e 3, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici). La disposizione impugnata modifica il comma 1 dell’art. 5-bis della legge della Provincia autonoma di Trento 9 marzo 2016, n. 2 (Recepimento della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, e della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici: disciplina delle procedure di appalto e di concessione di lavori, servizi e forniture e modificazioni della legge provinciale sui lavori pubblici 1993 e della legge sui contratti e sui beni provinciali 1990. Modificazione della legge provinciale sull’energia 2012), inserendo, dopo le parole «e ai componenti della commissione tecnica», il seguente periodo: «[l]a contrattazione collettiva provinciale può individuare altre funzioni per il cui svolgimento sono riconosciute retribuzioni incentivanti ai sensi di questo comma». Secondo il ricorrente, la disposizione scrutinata si porrebbe in contrasto con le previsioni dei commi 2 e 3 dell’art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016, che individuano tassativamente le attività svolte delle amministrazioni aggiudicatrici di appalti pubblici per le quali sono riconosciuti gli incentivi per funzioni tecniche (comma 2) e che assegnano alla contrattazione decentrata integrativa del personale il solo compito di definire le modalità e i criteri per la ripartizione delle risorse finanziarie del fondo appositamente istituito per corrispondere tali incentivi, sulla base di apposito regolamento adottato dalle amministrazioni secondo i rispettivi ordinamenti (comma 3). La difesa statale afferma che solo il legislatore statale può intervenire nella materia della retribuzione per gli incentivi per funzioni tecniche corrisposte ai pubblici dipendenti per attività nell’ambito degli appalti, atteso il richiamato carattere tassativo dell’elenco delle predette attività. Rappresenta che la predetta tassatività è stata ribadita dalla giurisprudenza contabile a ragione del carattere derogatorio degli incentivi in oggetto rispetto al «principio di onnicomprensività del trattamento economico dei dipendenti pubblici ex art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001 e della perentoria struttura della retribuzione per gli stessi stabilita dai contratti collettivi, ex art. 45, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 165 del 2001 (cfr. ex multis Corte Conti, sez. contr. Veneto, deliberazione n. 121/2020)». Secondo il ricorrente, il carattere tassativo delle attività in oggetto preclude non solo alla contrattazione collettiva, ma alla stessa legge provinciale la possibilità di individuare «ulteriori funzioni per il cui svolgimento sono riconosciute retribuzioni incentivanti in materia di contratti pubblici», poiché «le disposizioni della normativa statale in materia di appalto si impongono anche alle Province autonome (art. 2, comma 3, d.lgs. 50/ 2016)». La disposizione impugnata, pertanto, nel collidere con la disciplina statale evocata come parametro interposto, invaderebbe, conseguentemente, la sfera dell’ordinamento civile riservato alla legislazione esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., «discostandosi dalle norme che a tale ordinamento si riconducono nel caso di specie ed alle quali sono tenute ad adeguarsi anche le Province autonome in base alle specifiche disposizioni di legge e consolidato orientamento della Corte Costituzionale (cfr. in materia di pubblico impiego, art. 1, comma 3 del d.lgs. 165/2001 e Corte Cost. sent. n. 16/2020; in materia di contratti pubblici, art. 2, comma 3 del d.lgs. 50/2016 e Corte Cost. sent. n. 269/2014)». La lesione del predetto parametro afferente alla competenza legislativa statale determina, secondo il ricorrente, la conseguente violazione degli artt. 4 e 8 dello statuto speciale, laddove prevede che la legislazione regionale e delle province autonome debba svolgersi in armonia con la Costituzione, con i principi dell’ordinamento giuridico e con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, di cui le norme richiamate costituiscono espressione. 2.– La Provincia autonoma di Trento si è costituita in giudizio, con atto depositato il 30 marzo 2022, contestando le censure del ricorrente e chiedendo di dichiarare non fondato il ricorso. 2.1.– In ordine alla questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 16 della legge prov. Trento n. 22 del 2021, la difesa provinciale confuta l’assunto del ricorrente secondo cui la disposizione sarebbe lesiva della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile». La resistente premette di essere «titolare di una competenza legislativa primaria in materia di “ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto” ex art. 8, num. 1, dello Statuto speciale di autonomia della Reg. Trentino-Alto Adige» e che, inoltre, le «spetta la più ampia competenza legislativa residuale nella materia “ordinamento e organizzazione amministrativa regionale” di cui all’art. 117, quarto comma, della Costituzione, in virtù della clausola di maggior favore contenuta nell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3». La Provincia resistente afferma di aver disciplinato, nell’esercizio di tale autonomia legislativa, «l’efficacia delle graduatorie concorsuali nel regolamento previsto dall’art. 40 della L.P. sul personale della Provincia 3 aprile 1997, n. 7 e, in particolare, all’art. 26, comma 1, del D.P.P. 12/10/2007, n. 22-102/Leg. [“Regolamento per l’accesso all’impiego presso la Provincia Autonoma di Trento e per la costituzione, il funzionamento e la corresponsione dei compensi delle commissioni esaminatrici (articoli 37 e 39 della legge provinciale 3 aprile 1997, n. 7)”], il quale dispone: “La graduatoria finale di concorso conserva validità per un periodo di tre anni dalla data di approvazione e può essere escussa per eventuali coperture di posti che successivamente al concorso si rendessero disponibili entro tale periodo”». Ciò premesso, la difesa provinciale richiama la costante giurisprudenza costituzionale che riconduce la disciplina dell’efficacia delle graduatorie per l’assunzione del personale alla materia dell’ordinamento e dell’organizzazione della regione, in quanto riguarda profili pubblicistico-organizzativi dell’impiego pubblico regionale e non quelli privatizzati del relativo rapporto di lavoro rispetto ai quali è ravvisabile la competenza legislativa esclusiva dello Stato (sono citate, tra le più recenti, le sentenze n. 58 del 2021, n. 273 e n. 126 del 2020). Rileva, inoltre, che il ricorrente non contesta questo criterio di discrimine, ma ritiene che l’esigenza di uniformità della disciplina dettata dagli artt. 3 e 97 Cost. possa comportare la sottrazione di un istituto pubblicistico dalla materia dell’organizzazione regionale e/o provinciale e la sua riconduzione nella materia dell’ordinamento civile. Tuttavia, secondo la resistente, tale assunto sarebbe infondato poiché «il giudizio della riconducibilità al perimetro del diritto civile di un istituto della disciplina del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni si svolge in virtù della disciplina delle fonti dettata dall’art. 5 D.Lgs. 165/2001, tenuto conto della natura giuridica di ciascun istituto e del riparto della giurisdizione declinato nell’art. 63 del medesimo decreto legislativo, e non può essere condizionato dalla esigenza di uniformità della disciplina ai sensi degli artt. 3 e 97 della Costituzione». In proposito, la difesa della Provincia evidenzia che lo stesso legislatore statale ha escluso, in ragione della competenza legislativa primaria riconosciuta dagli statuti speciali a regioni e province autonome, quell’esigenza di uniformità della disciplina delle procedure concorsuali asserita dal ricorrente, poiché l’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001 stabilisce che non le singole disposizioni ma soltanto «i principi desumibili dall’art. 2 della legge n. 421 del 1992 […] costituiscono […] per le Regioni a statuto speciale e per le Province autonome di Trento e di Bolzano, norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica». 2.1.1.– Quanto alla dedotta lesione dell’art. 3 Cost., la resistente rileva che questa Corte, a fronte di analoga censura, ha osservato che il riconoscimento stesso della competenza legislativa della regione comporta l’eventualità, legittima alla stregua del sistema costituzionale, di una disciplina divergente da regione a regione, nei limiti dell’art. 117 Cost. Ad avviso della difesa della Provincia, l’esigenza rappresentata dal ricorrente di uniformità della disciplina dell’efficacia delle graduatorie concorsuali, pertanto, «non costituisce la ragione giustificatrice della sussunzione di un particolare istituto o profilo nella materia dell’ordinamento civile». 2.1.2.– Relativamente alla congruità della durata complessiva di efficacia delle graduatorie per effetto della disposizione impugnata, la difesa provinciale, in via preliminare, sottolinea che lo stesso legislatore statale ha consentito l’utilizzo fino al 30 settembre 2020 delle graduatorie approvate negli anni dal 2012 al 2017, senza prevedere a tal fine l’espletamento di corsi di aggiornamento professionale e di colloqui finalizzati ad accertare la perdurante idoneità del personale (art. 1, comma 147, lettera b, della legge n. 160 del 2019). Con specifico riferimento alla valutazione degli effetti recati dalla disposizione impugnata in termini di rispetto del principio del buon andamento, la difesa della resistente rappresenta che la norma proroga cinque graduatorie non attualmente esaurite, approvate a partire dal mese di giugno 2018: «1. la graduatoria per Operaio qualificato stradale, approvata con deliberazione n. 1065 di data 22 giugno 2018 […], modificata con deliberazione n. 1195 di data 13 luglio 2018 […], con scadenza originaria al luglio 2021, già prorogata al 30 giugno 2022 ex art. 30 L.P. 7/2021, nella versione previgente rispetto alle modifiche apportate dall’art. 16 della L.P. 22/2021, impugnata in questo giudizio; 2. la graduatoria per Assistente indirizzo socio/assistenziale approvata con deliberazione n. 1153 di data 6 luglio 2018 […], con scadenza originaria al luglio 2021, già prorogata al 30 giugno 2022 ex art. 30 L.P. 7/2021, nella versione previgente rispetto alle modifiche apportate dall’art. 16 della L.P. 22/2021, impugnata in questo giudizio; 3. la graduatoria per Coadiutore di volo approvata con deliberazione n. 432 di data 29 marzo 2019 […], in scadenza al 29 marzo 2022 (due candidati idonei); 4. la graduatoria per Funzionario abilitato geologo, approvata con delibera n. 1133, di data 1 agosto 2019 […], in scadenza il giorno 1 agosto 2022 (quattro candidati idonei); 5. la graduatoria per Agente forestale approvata con delibera n. 456 di data 29 marzo 2019 […], già prorogata con deliberazione n. 394 di data 19 marzo 2021 fino al 29 marzo 2022 […]». La difesa della Provincia evidenzia che le prime due graduatorie vedono l’originaria efficacia triennale prorogata prima di circa undici mesi e mezzo (fino al 30 giugno 2022) e poi di ulteriori nove mesi (fino al marzo 2023), per una durata complessiva di efficacia della graduatoria pari a 4 anni e 9 mesi, ma sottolinea «che trattasi di professioni rispetto alle quali si pongono in misura meno pressante quelle esigenze di periodico aggiornamento professionale derivanti dalle “frequenti innovazioni normative” tenute in considerazione nella giurisprudenza costituzionale (C. Cost. 241/2018 par. 6 del Considerato in Diritto)». In ordine alle altre graduatorie, la difesa della resistente rappresenta che: quella di coadiutore di volo è prorogata di un solo anno per un’efficacia complessiva pari a 4 anni; quella per funzionario abilitato geologo è prorogata di soli 8 mesi per un’efficacia complessiva pari a circa 3 anni e 8 mesi; infine, quella per agente forestale avente un’originaria efficacia biennale, già prorogata di un anno, è prorogata di un ulteriore anno, per un’efficacia complessiva pari a 4 anni. Quanto alle argomentazioni svolte dal ricorrente in riferimento alla disciplina della mobilità dei pubblici dipendenti, la difesa provinciale afferma che «[i]n ogni caso le diverse forme di mobilità del personale dipendente delle pubbliche amministrazioni non pongono quell’esigenza di uniformità della disciplina delle procedure concorsuali e dell’efficacia delle graduatorie che intravede il Ricorrente in ragione del rispetto dei principi dettati dagli artt. 3 e 97 della Costituzione». Sono richiamate le numerose disposizioni statali che negli anni hanno promosso fortemente la mobilità volontaria del personale nelle sue diverse forme, «nel presupposto implicito della pari capacità selettiva delle procedure concorsuali indette dalle regioni e dalle province autonome, oltre che in considerazione dell’obbligo, a carico dell’amministrazione di destinazione, di provvedere in ogni caso alla “riqualificazione dei dipendenti la cui domanda di trasferimento è accolta” (comma 1-bis inserito dall’art. 4, comma 1, del D.L. 90/2014)». In tale contesto, secondo la stessa difesa provinciale, non si comprenderebbe l’assunto del ricorrente secondo cui l’asserita esigenza di uniformità nella disciplina della validità delle graduatorie dei concorsi indetti dalle pubbliche amministrazioni sarebbe stata accentuata dall’art. 3, comma 7, del d.l. n. 80 del 2021, come convertito, che ha eliminato, in via generale, la necessità del previo assenso dell’amministrazione di appartenenza al passaggio diretto del dipendente presso altra amministrazione. Ciò perché il ricorso non avrebbe spiegato come il predetto assenso possa costituire una garanzia della conformità dell’assunzione del dipendente ai principi dettati dagli artt. 3 e 97 Cost. In ogni caso, poiché il citato art. 3, comma 7, non ha in alcun modo modificato la natura giuridica pubblicistica del provvedimento di approvazione della graduatoria conclusiva, il timore prospettato dal ricorrente non giustificherebbe, secondo la difesa della Provincia, il superamento della ricordata giurisprudenza costituzionale in materia di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome in materia di procedure concorsuali per l’assunzione del personale e, in particolare, in ordine allo specifico profilo della durata dell’efficacia delle graduatorie. Da ultimo, la difesa della resistente evidenzia che l’indicato art. 3, comma 7, interviene su un istituto di diritto civile, quale è quello della mobilità volontaria, «che presuppone la pari capacità selettiva delle procedure concorsuali disciplinate e indette dalle regioni e dalle province autonome in conformità ai principi dettati dagli artt. 3 e 97 della Costituzione». 2.2.– La difesa della Provincia confuta, altresì, la fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, lettera a), della legge prov. Trento n. 22 del 2021, promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione ai commi 2 e 3 dell’art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016. Richiamati i contenuti delle disposizioni dettate dai primi tre commi della predetta disposizione statale, la difesa della resistente rileva che l’avverbio «esclusivamente», impiegato dal legislatore statale nel comma 2 per individuare le attività per funzioni tecniche svolte dai dipendenti pubblici, retribuibili con lo specifico incentivo previsto dalla stessa disposizione di legge e finanziato dall’apposito fondo costituito ai sensi del comma 1, sembrerebbe effettivamente deporre per il carattere tassativo dell’elencazione delle predette attività, ma che lo stesso comma 2 non prevede l’istituzione del predetto fondo da parte di quelle amministrazioni aggiudicatrici per le quali sono in essere contratti o convenzioni che prevedono modalità diverse per la retribuzione delle funzioni tecniche svolte dai propri dipendenti. Quanto alla lesione del principio di onnicomprensività della retribuzione dei pubblici dipendenti dedotta dal ricorrente, la difesa della Provincia rileva che esso trova applicazione per il solo personale dirigenziale. In ogni caso la resistente afferma che, in considerazione dei titoli di competenza provinciale e delle previsioni dello statuto speciale, spetta alla Provincia stessa disciplinare le modalità di perseguimento dell’obiettivo di contenimento della spesa per incarichi tecnici posto dall’art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016. In proposito viene richiamata, altresì, la giurisprudenza costituzionale in materia di coordinamento della finanza pubblica, secondo cui il legislatore statale può stabilire per le autonomie speciali solo un limite complessivo che lasci ad esse ampia libertà di allocazione tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa (è citata, in particolare, la sentenza n. 43 del 2016). Alla luce di tali considerazioni, la difesa della Provincia afferma che il richiamato art. 113 «non reca un elenco tassativo delle funzioni incentivabili dettato esercitando la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile ex art. 117, comma II, lett. l), della Costituzione, bensì reca un vincolo di destinazione finanziaria, da applicare in caso di mancata previsione di retribuzioni incentivanti nell’ambito della contrattazione collettiva, la cui diretta applicabilità alle province autonome deve ritenersi comunque esclusa ai sensi dell’art. 2, comma 3, del D.Lgs. 50/2016, trattandosi di una disciplina di dettaglio di uno strumento specifico di perseguimento del ridetto obiettivo». Secondo la difesa della Provincia, la disposizione impugnata sarebbe, comunque, «pienamente conforme al sistema delle fonti in materia di trattamento del personale alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni», come delineato dalle disposizioni dettate dagli artt. 2, comma 3, 40 e 45 del d.lgs. n. 165 del 2001, che demandano alla contrattazione collettiva la definizione dei trattamenti economici. Pur riconoscendo che il delineato sistema si impone quale normativa fondamentale di riforma economico-sociale anche nei confronti delle regioni a statuto speciale, la difesa della resistente rappresenta che la Provincia autonoma di Trento «è abilitata alla contrattazione collettiva dall’art. 46, comma 13, del D.Lgs. 165/2001 il quale prevede che “[l]e regioni a statuto speciale e le province autonome possono avvalersi, per la contrattazione collettiva di loro competenza, di agenzie tecniche istituite con legge regionale o provinciale [...]”» e che, pertanto, nella fattispecie, il legislatore provinciale avrebbe correttamente «rimesso alla contrattazione collettiva la disciplina del trattamento economico accessorio spettante al personale provinciale che assume lo svolgimento di funzioni tecniche relative ad appalti di lavori, servizi e forniture». In riferimento al perimetro delle funzioni incentivabili definito dalla disposizione impugnata, la difesa della Provincia afferma che essa «si inserisce, in coerenza con quanto disposto dall’articolo 113 del D.Lgs. 50/2016, nell’ambito dell’articolo 5-bis della L.P. 2/2016, il cui ambito di applicazione, come emerge dalla stessa rubrica, è limitato agli incentivi per lo svolgimento di “funzioni tecniche” nell’ambito degli appalti di lavori, servizi e forniture». Ciò troverebbe conferma nello stesso tenore letterale della disposizione impugnata laddove, nel rimettere alla contrattazione collettiva l’individuazione di ulteriori funzioni incentivabili, limita l’ambito di intervento alla individuazione di «competenze e responsabilità che siano legate, o comunque connesse, allo svolgimento di funzioni tecniche nell’ambito della procedura di gara, nel rispetto della finalità propria dell’istituto delle retribuzioni incentivanti». 2.3.– Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la difesa della Provincia autonoma, nel ribadire e precisare quanto già affermato nell’atto di costituzione, ha sollevato due eccezioni di inammissibilità: in ordine alla questione promossa nei confronti dell’art. 16 della legge prov. Trento n. 22 del 2021, ha eccepito la mancanza di motivazione della censura riferita alla violazione degli artt. 4 e 8 dello statuto speciale; riguardo alla questione concernente l’art. 17, comma 1, lettera a), della medesima legge provinciale, ha affermato che il ricorrente non avrebbe motivato le ragioni per le quali la disposizione dovrebbe conformarsi alle previsioni dell’art. 113, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016.   Considerato in diritto 1.– Con il ricorso in epigrafe (reg. ric. n. 14 del 2022), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale di due disposizioni della legge prov. Trento n. 22 del 2021. 1.1.– È innanzitutto impugnato l’art. 16 della predetta legge provinciale che proroga al 31 marzo 2023 i termini di validità delle graduatorie per l’assunzione di personale provinciale a tempo indeterminato relative al comparto autonomie locali in scadenza entro il 31 dicembre 2021 e nel corso dell’anno 2022. Secondo il ricorrente, la disposizione impugnata violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. – in relazione all’art. 35, comma 5-ter, del d.lgs. n. 165 del 2001 (nel testo precedente alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 149, della legge n. 160 del 2019) e all’art. 91 del d.lgs. n. 267 del 2000 – in quanto interviene sulla disciplina delle graduatorie concorsuali, riconducibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile», trattandosi di una fase prodromica e funzionale all’instaurazione del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato. Sarebbero, altresì, violati gli artt. 3 e 97, secondo comma, Cost., poiché la disposizione impugnata, nel prevedere una disciplina diversa da quella statale di cui al parametro interposto, lederebbe i principi di uguaglianza, di buon andamento e di imparzialità della pubblica amministrazione, senza fornire adeguata motivazione in ordine al più favorevole trattamento così disposto relativamente alla durata della validità delle graduatorie concorsuali e senza contemplare la verifica della perdurante attitudine professionale degli idonei. Infine, la disposizione impugnata, nel disciplinare una materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato, esulerebbe dalle attribuzioni conferite alla Provincia autonoma di Trento dagli artt. 4 e 8 dello statuto di autonomia della Regione Trentino-Alto Adige. 1.2.– È, altresì, impugnato l’art. 17, comma 1, lettera a), della medesima legge prov. Trento n. 22 del 2021 che, nel modificare l’art. 5-bis, comma 1, della legge prov. Trento n. 2 del 2016, consente alla contrattazione collettiva provinciale di individuare altre funzioni nell’ambito dei contratti pubblici per il cui svolgimento possono essere riconosciuti incentivi per funzioni tecniche, oltre a quelle già individuate dalla originaria previsione della legge provinciale novellata. Secondo il ricorrente, sarebbe violato l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione alle disposizioni dettate dall’art. 113, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 50 del 2016, che individuano in modo tassativo le attività che costituiscono esercizio di funzioni tecniche relative agli appalti svolte dai dipendenti pubblici, per le quali può essere corrisposto lo specifico incentivo previsto, e demandano alla contrattazione collettiva la sola determinazione delle modalità e dei criteri di riparto delle risorse disponibili e non già l’individuazione di ulteriori attività o funzioni tecniche retribuibili con il predetto incentivo, come invece previsto dalla disposizione provinciale impugnata. Contestualmente, sarebbero altresì lesi gli artt. 4 e 8 dello statuto speciale, laddove prevedono che la legislazione regionale e delle province autonome deve svolgersi in armonia con la Costituzione, con i principi dell’ordinamento giuridico e con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, di cui le norme statali evocate come parametri interposti costituiscono espressione. 1.3.– La Provincia autonoma di Trento si è costituita in giudizio il 30 marzo 2022 e ha depositato il 20 dicembre 2022 una memoria conclusionale nella quale ha sollevato due eccezioni di inammissibilità delle questioni per difetto di motivazione e ha ribadito e integrato quanto dedotto nell’atto di costituzione. 2.– La prima questione è, dunque, promossa nei confronti dell’art. 16 della legge prov. Trento n. 22 del 2021. 2.1.– Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità della censura sollevata dalla difesa della Provincia autonoma a ragione della mancanza di motivazione della dedotta violazione degli artt. 4 e 8 dello statuto speciale. L’eccezione non è fondata. Secondo il ricorrente, la disposizione impugnata si pone «in contrasto con la riserva statale esclusiva in materia di ordinamento civile nella quale rientra la disciplina del pubblico impiego […] esulando, pertanto dalle attribuzioni conferite alla Provincia dallo statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige (artt. 8 e 4 del d.P.R. 670/72)». Come affermato da questa Corte in analoghe fattispecie, la censura, formulata in tali termini, esclude di per sé l’utilità di uno scrutinio e di una motivazione più pregnante, avendo il ricorrente ben presente che lo statuto speciale nulla dispone sulla competenza legislativa regionale nella materia «ordinamento civile» (ex plurimis, sentenze n. 11 del 2021 e n. 199 del 2020). 2.2.– La censura relativa alla lesione della competenza legislativa statale nella materia «ordinamento civile» ha un evidente carattere pregiudiziale rispetto a quelle riferite agli altri parametri (in tal senso, sentenze n. 267 del 2022 e n. 153 del 2021). Infatti, l’asserita violazione del predetto parametro assume carattere prioritario, poiché ad essa viene ricollegata eziologicamente non solo quella riferita al parametro statutario, ma anche quella degli artt. 3 e 97, secondo comma, Cost. 2.3.– In riferimento a tali ultimi parametri la questione va dichiarata inammissibile per carenza di adeguata motivazione. Questa Corte ha costantemente affermato che l’esigenza di una adeguata motivazione a fondamento dell’impugnazione si pone in modo ancor più rigoroso nei giudizi promossi in via principale rispetto a quelli instaurati in via incidentale, e che il ricorrente ha pertanto l’onere di fornire una illustrazione delle ragioni del contrasto con i parametri evocati (ex plurimis, sentenze n. 161 del 2022, n. 219, n. 95 e n. 2 del 2021). Nella odierna fattispecie tale onere non è stato assolto. Si è già rilevato che il ricorrente prospetta la lesione dei parametri in esame come mero effetto sostanziale della violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile». Il ricorrente non formula alcun rilievo sulla eventuale incidenza negativa sul buon andamento dell’amministrazione che tali proroghe potrebbero determinare per effetto della possibile obsolescenza della competenza professionale acquisita dal candidato risultato idoneo, per effetto del lasso temporale trascorso dall’approvazione della graduatoria stessa; in particolare, omette qualsiasi riferimento alle procedure concorsuali interessate dalla disposizione provinciale impugnata. 2.4.– La questione riferita alla lesione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. non è fondata. Questa Corte ha costantemente affermato che la disciplina delle graduatorie, in quanto provvedimento conclusivo delle procedure concorsuali pubblicistiche per l’accesso all’impiego regionale, afferisce a profili pubblicistico-organizzativi dell’impiego pubblico regionale e non a profili privatizzati del relativo rapporto di lavoro, che sono invece ricondotti alla materia dell’ordinamento civile, di competenza legislativa esclusiva statale. Pertanto, la disciplina in esame rientra nell’ambito della competenza legislativa della Regione in materia di organizzazione degli uffici, di cui all’art. 117, quarto comma, Cost. (sentenze n. 267 del 2022, n. 58 del 2021 per la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, n. 273 del 2020 per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e n. 42 del 2021 nei confronti della stessa Provincia autonoma di Trento; ex plurimis, anche le sentenze n. 126 del 2020 e n. 241 del 2018). L’esercizio di tale competenza deve, comunque, ottemperare ai principi costituzionali di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione. È stata, pertanto, esclusa la compatibilità costituzionale con tali principi di disposizioni regionali che hanno prorogato i termini di validità delle graduatorie quando il tempo trascorso dalla loro approvazione abbia determinato una perdita di professionalità degli idonei (ex plurimis, sentenze n. 58 del 2021, n. 273 e n. 126 del 2020, e n. 241 del 2018). È con tale quadro giurisprudenziale che si confronta l’odierna fattispecie. Il ricorrente ripropone la tesi secondo cui la disciplina della proroga dei termini di validità delle graduatorie relative alle procedure per il reclutamento di personale nelle pubbliche amministrazioni, comprese le regioni, è riconducibile alla materia «ordinamento civile», in quanto collegata all’instaurazione del rapporto di lavoro di pubblico impiego. Ma tale prospettazione è stata costantemente disattesa da questa Corte, da ultimo con la sentenza n. 267 del 2022, avente ad oggetto fattispecie analoga a quella oggi in esame. Nell’odierna questione non si ravvisano elementi per discostarsi da tale indirizzo. Il ricorrente adduce una motivazione sintetica e assertiva che si basa sul quid novi costituito dalle modifiche in materia di mobilità del personale nelle pubbliche amministrazioni recate dall’art. 3 del d.l. n. 80 del 2021, come convertito, che hanno fatto venir meno, in via generale, l’obbligo del previo nulla-osta dell’amministrazione di provenienza. Secondo il ricorrente, tale novità normativa enfatizzerebbe la necessità di una omogenea regolazione dei termini di validità della graduatoria ai fini di garantire l’accesso alla pubblica amministrazione in modo uniforme sotto il profilo del lasso temporale decorso dall’approvazione della graduatoria e, dunque, dall’accertamento dell’idoneità professionale del candidato. Tuttavia, la novità normativa non attiene, se non in via del tutto riflessa, alla disciplina in esame poiché opera sull’istituto della mobilità di cui questa Corte ha ripetutamente affermato la riconducibilità all’ordinamento civile in quanto correlato a un rapporto di pubblico impiego già in essere (ex plurimis, sentenze n. 39 del 2022, n. 150 del 2020 e n. 17 del 2014), laddove al contrario la norma impugnata interviene nella fase antecedente alla costituzione del rapporto. 3.– La seconda questione investe l’art. 17, comma 1, lettera a), della medesima legge prov. Trento n. 22 del 2021, in riferimento all’art. 117, comma secondo, lettera l), Cost., nonché agli artt. 4 e 8 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, in relazione all’art. 113, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 50 del 2016. 3.1.– Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa della Provincia autonoma che assume che il ricorrente non avrebbe spiegato le ragioni per cui ritiene che la disciplina dettata dalla disposizione impugnata debba conformarsi alle previsioni dell’art. 113, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, in specie là dove prevede che siano escluse dalla applicazione del vincolo di destinazione di risorse al fondo per l’incentivazione le «amministrazioni aggiudicatrici per le quali sono in essere contratti o convenzioni che prevedono modalità diverse per la retribuzione delle funzioni tecniche svolte dai propri dipendenti». In proposito, la difesa rappresenta che la Provincia «si è dotata di una disciplina del compenso incentivante per lo svolgimento delle attività tecniche previsto dall’art. 124 del CCPL 2016/2018». L’eccezione non è fondata. Il ricorrente ha ampiamente argomentato il profilo di contrasto della disposizione impugnata con quanto previsto dal comma 2 dell’art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016, nel mentre l’aspetto specifico richiamato dalla difesa della Provincia attiene a una previsione del medesimo comma 2, che non incide sulla questione nei termini prospettati dal ricorrente. 3.2.– Nel merito, la questione è fondata per violazione della competenza legislativa esclusiva statale nella materia «ordinamento civile». 3.2.1.– Punto essenziale e decisivo ai fini del presente giudizio è l’accertamento della materia cui ascrivere la disposizione provinciale impugnata, a fronte delle opposte prospettazioni delle parti: il ricorrente la riconduce all’ordinamento civile, di competenza legislativa esclusiva dello Stato; la resistente, invece, la attribuisce alla propria competenza in materia di ordinamento degli uffici provinciali e, dunque, alle proprie competenze statutarie e, comunque, a quella residuale concernente l’organizzazione e il funzionamento dell’amministrazione. 3.2.2.– La disposizione provinciale impugnata si inserisce nell’art. 5-bis della legge prov. Trento n. 2 del 2016, concernente gli «incentivi per funzioni tecniche» che possono essere riconosciuti ai dipendenti per lo svolgimento di specifiche attività inerenti ai contratti pubblici. Tale articolo declina, dunque, nell’ordinamento provinciale quanto previsto a livello statale dall’art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016, rubricato parimenti «incentivi per funzioni tecniche», i cui commi 2 e 3 sono evocati difatti dal ricorrente come parametri interposti. L’istituto degli incentivi per funzioni tecniche costituisce, pertanto, un aspetto peculiare della disciplina dei lavori pubblici dettata dal citato d.lgs. n. 50 del 2016, il cui art. 2, comma 1, stabilisce che «[l]e disposizioni contenute nel presente codice sono adottate nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, ordinamento civile, nonché nelle altre materie cui è riconducibile lo specifico contratto». Tuttavia, tale auto-qualificazione da parte dello stesso legislatore statale non è di per sé idonea a stabilire l’effettiva natura delle specifiche disposizioni dettate in materia di incentivi per funzioni tecniche. Questa Corte ha più volte affermato che la disciplina dei lavori pubblici non integra, in assenza di espressa indicazione nel nuovo art. 117 Cost., una vera e propria materia, sicché le diverse disposizioni vanno qualificate a seconda dell’oggetto cui afferiscono e conseguentemente possono essere ascritte, di volta in volta, a potestà legislative statali e regionali (ex plurimis, sentenze n. 43 del 2011 e n. 45 del 2010). A tal fine, è necessario ricorrere ai criteri stabiliti da questa Corte in riferimento alla individuazione della ratio della specifica disposizione scrutinata, della sua finalità e del suo contenuto (ex plurimis, sentenza n. 193 del 2022). Quanto al primo aspetto, la causa et ratio dell’istituto dell’incentivo per funzioni tecniche è ravvisabile, da un lato, nella valorizzazione delle competenze del personale impegnato nelle specifiche fasi di attività connesse agli appalti pubblici individuate dal legislatore, con attribuzione in funzione corrispettiva di un peculiare elemento della retribuzione di carattere incentivante, dall’altro, nel contenimento dei costi dei contratti pubblici che deriva da tale affidamento agli stessi dipendenti dell’amministrazione aggiudicatrice di attività che dovrebbero essere altrimenti esternalizzate. Quanto al dato testuale delle richiamate disposizioni recate dall’art. 113, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 50 del 2016, evocate dal ricorrente come parametri interposti, va precisato che il comma 2 prevede che le amministrazioni aggiudicatrici destinino ad un apposito fondo risorse finanziarie in misura non superiore al due per cento sull’importo dell’appalto per retribuire le funzioni tecniche svolte dai propri dipendenti «esclusivamente» per le seguenti attività: programmazione della spesa per investimenti; valutazione preventiva dei progetti; predisposizione e controllo delle procedure di gara e esecuzione dei contratti pubblici; responsabile unico del procedimento (RUP); direzione dei lavori ovvero direzione dell’esecuzione e collaudo tecnico-amministrativo ovvero verifica di conformità; collaudatore statico, ove necessario per consentire l’esecuzione del contratto nel rispetto dei documenti a base di gara, del progetto, dei tempi e costi prestabiliti. La disposizione stabilisce che il predetto fondo non è previsto per le amministrazioni aggiudicatrici che stabiliscono modalità diverse per la retribuzione delle funzioni tecniche svolte dai propri dipendenti. Il successivo comma 3 dispone: che l’ottanta per cento delle risorse finanziarie del fondo costituito ai sensi del comma 2 è ripartito, per ciascuna opera o lavoro, servizio, fornitura con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata integrativa del personale, sulla base di apposito regolamento adottato dalle amministrazioni secondo i rispettivi ordinamenti, tra il responsabile unico del procedimento e i soggetti che svolgono le funzioni tecniche indicate al comma 2 nonché tra i loro collaboratori; che la corresponsione dell’incentivo è disposta dal dirigente o dal responsabile di servizio preposto alla struttura competente, previo accertamento delle specifiche attività svolte dai predetti dipendenti; che gli incentivi complessivamente corrisposti nel corso dell’anno al singolo dipendente, anche da diverse amministrazioni, non possono superare l’importo del cinquanta per cento del trattamento economico complessivo annuo lordo; e che, infine, le disposizioni non si applicano al personale con qualifica dirigenziale. 3.2.3.– La disciplina recata dall’art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016 costituisce l’approdo di una complessa evoluzione normativa, le cui tappe salienti sono: l’art. 18 della legge 11 febbraio 1994 n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), concernente gli «incentivi per la progettazione»; le modifiche recate dal decreto-legge 3 aprile 1995, n. 101 (Norme urgenti in materia di lavori pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge n. 216 del 1995; la riformulazione dell’art. 18 della legge n. 109 del 1994 operata dall’art. 6, comma 13, della legge 15 maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo); le ulteriori novazioni al medesimo art. 18 introdotte dalla legge 16 giugno 1998, n. 191 (Modifiche ed integrazioni alle leggi 15 marzo 1997, n. 59, e 15 maggio 1997, n. 127, nonché norme in materia di formazione del personale dipendente e di lavoro a distanza nelle pubbliche amministrazioni. Disposizioni in materia di edilizia scolastica) e dalla legge 17 maggio 1999, n. 144 (Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all’occupazione e della normativa che disciplina l’INAIL, nonché disposizioni per il riordino degli enti previdenziali); infine la previsione dell’art. 92 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) che ha sostituito la normativa nei termini poi ripresi, da ultimo, dall’art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016, come poi integrata dall’art. 76 del decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56 (Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50). Di particolare rilievo ai fini in esame è l’evoluzione dell’originario impianto dell’istituto degli incentivi in questione per quanto riguarda la percentuale degli importi destinabili ai predetti incentivi, le attività per le quali essi sono riconosciuti, la dialettica fra le fonti regolatrici. A tale ultimo proposito, occorre evidenziare che l’attuale disciplina statale attribuisce alla fonte contrattuale – a cui in origine era demandata la possibilità di individuare gli incentivi in oggetto – il solo compito di disciplinare le modalità e i criteri di ripartizione delle risorse finanziarie destinate a tale scopo, oltretutto sulla base di un apposito regolamento adottato dalla singola amministrazione. 3.2.4.– Sul carattere tassativo delle attività individuate dal comma 2 dell’art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016 si sono ripetutamente espresse diverse sezioni di controllo della Corte dei conti (sezione regionale di controllo per il Veneto, deliberazione 2 marzo 2017, n. 134; sezione regionale di controllo per la Puglia, deliberazione 13 dicembre 2016, n. 204; sezione delle autonomie, deliberazione 13 maggio 2016, n. 18). In particolare, esse hanno più volte affermato che l’avverbio «esclusivamente» esprime l’intenzione del legislatore di riconoscere il compenso incentivante limitatamente alle attività espressamente previste, ove effettivamente svolte dal dipendente pubblico. 3.3.– Deve, dunque, affermarsi che gli incentivi per funzioni tecniche costituiscono indubbiamente un elemento specifico del trattamento economico del pubblico dipendente in termini di corrispettivo di determinate attività svolte nell’ambito degli appalti pubblici. Ne consegue che l’istituto in esame fa parte della disciplina del trattamento retributivo dei pubblici dipendenti che, secondo il costante indirizzo di questa Corte, va ricondotto all’ordinamento civile, anche per i dipendenti delle regioni e delle autonomie speciali, e pertanto appartiene alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (ex plurimis, da ultimo, sentenze n. 253 del 2022, punto 4.1.2. del Considerato in diritto, e sentenza n. 190 del 2022, punto 4.1. del Considerato in diritto). 3.4.– La disposizione provinciale impugnata lede pertanto la predetta competenza legislativa esclusiva dello Stato poiché consente alla contrattazione collettiva provinciale di ampliare il novero delle funzioni ammissibili alle retribuzioni incentivanti rispetto a quelle previste in modo tassativo dall’art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016. Conseguentemente non rileva il richiamo da parte della difesa provinciale alle competenze dell’ente in materia di contrattazione collettiva territoriale, poiché tali competenze devono comunque ottemperare all’assetto configurato dal legislatore statale in materia di trattamento economico dei pubblici dipendenti. Il profilo di contrasto della disposizione provinciale impugnata con l’assetto normativo statale emerge, del resto, dagli stessi lavori preparatori. Si può ricordare in proposito il parere negativo reso dal Consiglio delle autonomie locali della Provincia autonoma di Trento in data 15 novembre 2021 con la considerazione che la «previsione risulta incoerente con la disciplina nazionale e con l’elaborazione giurisprudenziale sul punto che mira ad individuare in modo più preciso possibile i soggetti destinatari delle retribuzioni incentivanti». Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, lettera a), della legge prov. Trento n. 22 del 2021. 4.– Restano assorbite le censure riferite alla lesione dei parametri statutari.   Per Questi Motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, lettera a), della legge della Provincia autonoma di Trento 27 dicembre 2021, n. 22 (Legge provinciale di stabilità 2022); 2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16 della legge prov. Trento n. 22 del 2021, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 97, secondo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe; 3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16 della legge prov. Trento n. 22 del 2021, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., e agli artt. 4 e 8 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2023. F.to: Silvana SCIARRA, Presidente Giulio PROSPERETTI, Redattore Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria Depositata in Cancelleria il 16 marzo 2023. Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DEI CONTI Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio Composta dai seguenti Magistrati: Dott. Tommaso MIELE Presidente Dott. Anna BOMBINO Consigliere Rel. Dott. Marco QUAGLINI Consigliere ha pronunciato la seguente  SENTENZA Nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 79201 del Registro di Segreteria, ad istanza del Procuratore regionale nei confronti di: X X , nato a Roma --------------- (------------ ----------) e residente a ---------------,--------- ----------, rappresentato e difeso congiuntamente e disgiuntamente dagli avvocati Lu. Co. e Ma. Ca. Ca. del Foro di Genova e dall’avv.to Fr. Al. Ma. del Foro di Roma presso lo studio del quale in Roma alla via (…) è elettivamente domiciliato; Visto l’atto di citazione e tutti i documenti di causa; Uditi alla pubblica udienza del 13 ottobre 2022, con l’assistenza del segretario dott. Faiola, il giudice relatore cons. Anna Bombino, il P.M. nella persona del VPG dott. Barbara Pezzilli, gli avv.ti Lu. Co. e Ma. Ca. Ca. per il convenuto, l’avv. Al. Ja. per l’interveniente Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili; Ritenuto in  FATTO 1.Con atto di citazione e contestuale istanza di sequestro conservativo, depositato il 10.11.2021, la Procura regionale conveniva in giudizio l’ing. X X per sentirlo condannare al pagamento, in favore del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti della somma complessiva di euro 539.827,35(cinquecentotrentanovemilaottocentoventise tte/35), o della diversa somma ritenuta di giustizia, per omesso riversamento alla Amministrazione di appartenenza dei compensi percepiti per lo svolgimento di incarichi extra-istituzionali (n.10), in assenza della prescritta autorizzazione di cui all’art. 53, commi 7,8,9 e 10 del D. Lgs. 165/2001. A sostegno della sua pretesa, il requirente richiamava la nota prot. ------- del 09.11.2019 della Guardia di Finanza, Nucleo di Polizia economico finanziaria di ------, integrata dalla successiva nota prot. ------- del 29.10.2021 (Doc. -- all.1-7), con le quali si esponevano gli esiti della complessa attività di indagine svolta su delega della Presidenza del Consiglio dei Ministri –Dipartimento della Funzione Pubblica, e della stessa Procura regionale nei confronti del dott. X X , OMISSIS Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, concernente l’attività extraistituzionale svolta dal 2010 al 2014, senza chiedere le previste autorizzazioni o darne comunicazione successiva al Ministero ed omettendo di riversare i relativi compensi nelle casse dell’Amministrazione di appartenenza. 3.Per dette reiterate condotte illecite, incompatibili con lo status di dipendente pubblico, il dipendente era stato sottoposto a procedimento disciplinare esitato con provvedimento n. ------- dell’8.7.2020, ed irrogata, a decorrere dal 10.7.2020, la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso (art. 9, comma 10 del CCNL 2006-2009 area Dirigenti, ora art. 36 comma 10 del CCNL 2016-2019). 4.Con nota prot. ------- dell’8.9.2020, l’Amministrazione intimava e diffidava il X alla restituzione della complessiva somma di euro 539.827,35, percepita per gli incarichi extraistituzionali non autorizzati, da destinare al fondo per la retribuzione di posizione e di risultato dei dirigenti. Per tali contestazioni, la Procura emetteva l’invito a dedurre in data 11 giugno 2021, notificato in data 22.6.2021, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., in merito al quale nulla controdeduceva l’ing. X . 6.Con il successivo atto di citazione, depositato il 10 novembre 2021, con contestuale istanza di concessione del sequestro conservativo ex art. 75 del c.g.c. fino alla concorrenza della somma di euro 539.827,35, concesso con il decreto dell’11 novembre 2021, parte attrice contestava all’ing. X , nella qualità di -----------------, precisamente di , giusto DPCM del 5 agosto 2009, (incarico prorogato, con DPCM del 27.9.2012 e 8.11.2013, sino al 5 agosto 2014), lo svolgimento costante e continuativo dell’ attività libero-professionale non autorizzata e non autorizzabile, in regime di partita IVA, con percezione, tra il 2009 e il 2018, oltre al reddito da lavoro dipendente, di ulteriori emolumenti dichiarati come “redditi da lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi” riferiti ai suddetti incarichi per attività extraistituzionali affidatigli da altri soggetti, pubblici e privati, di cui ometteva di riversare i relativi compensi nelle casse dell’Amministrazione di appartenenza (art. 53 comma 7 lgs. N. 165/2001). 7.Nello specifico, il requirente contestava i seguenti incarichi professionali (n.10,) conferiti da soggetti pubblici e privati, nel periodo 2009-2014: 1)Incarico di --- nell’arbitrato tra OMISSIS .: Contratto d’appalto del 13/07/1999 rep. n. ---. Ordinanza n.- del 18.3.2008.Privo di autorizzazione. - --- in arbitrato, del 18/03/2008, corrisposto da --------- ----- di euro lordi 36.000,00, netti euro 28.800,00, pagato il 27/07/2010; ---- in arbitrato del 18.3.2018,importo corrisposto da ----- di euro lordi 54.000,00, netti euro 43.200,00, pagato il 05/04/201. 2) Incarico di --- nell’ arbitrato tra OMISSIS .: (Contratto d’appalto n.------ del 21/12/1988 e lavori di completamento (28.02.1994 rep. n. -----). Ordinanza del 29.1.2007. Privo di autorizzazione. - X in arbitrato del 29.1.2007, importo corrisposto da ----- di euro lordi 40.000,00, euro netti 32.000,00, pagato il 07/09/2011; - X in arbitrato del 29.1.2007, importo corrisposto da ----- di euro lordi 20.000,00, euro netti 16.200,00, pagato il 03/02/201. 3) Incarico di --- nell’ arbitrato tra OMISSIS . Ordinanza del 08.10.2010. Privo di autorizzazione. - X in arbitrato dell’8.10.2010- importo corrisposto da ----------------- 60% dell’importo lordo di euro lordi 45.302,00, euro netti 38.102,40, pagato nel 2012. - X in arbitrato dell’8.10.2010 - importo corrisposto da ---------------- 40%, di euro lordi 32.882,09, euro netti 25.698,91, pagato il 08/07/2015. 4)-7) Incarichi prestazioni professionali conferiti dall’-------. - Accertamento regolare esecuzione dell’immobile acquistato dalla società ------------------, da adibire a Caserma dei Carabinieri Lettera incarico -----/03 del 13/11/2003, compenso lordo di euro 8.200,00, netto di euro 6.560,00, pagato il 16/12/2011. - Accertamento regolare esecuzione dell’immobile acquistato dalla ------------------- sito in ------ --- con destinazione di cui alla L. 270/97. Lettera di incarico del 02/02/2001, compenso di euro lordi di 8.779,00, di euro netti 7.023,20, pagato il 19/10/2012. - Accertamento regolare esecuzione dell’immobile acquistato dalla ---------------------------------- ------------- con destinazione di cui alla L. 270/97. Lettera di incarico del 02/02/2001, compenso lordo di euro 7.500,00, netto di euro 6.000,00, pagato il 20/02/2012. -Accertamento regolare esecuzione dell’immobile acquistato dalla ---------------------------------- ---------------------- con destinazione di cui alla 270/97 - Lettera di incarico n. ----------- del 6/8/2003, compenso lordo di euro 13.900,00, netto di euro 11.120,00, pagato il 17/11/2014. Il compenso complessivo lordo è pari ad € 38.379,00. Gli incarchi sono privi di autorizzazione. 8) Incarico professionale di componente della Commissione di collaudo nominato da -------------. -Incarico di -------------------------------- collaudo opere di realizz.ne strada collegamento -- ----------------------- e coll.re statico strutture ex L. 5.11.1971 n.1086. Lett. n.----------------- del 25.1.2008 ----------- durata dal 25.01.2008- 18.09.2014, compenso lordo complessivo di euro 119.738,46 e netto di euro 95.790,77, pagato il 31/07/2013, 19/09/2013, 22/10/2013 31/01/2014, 21/02/2014, 12/05/2014, 09/09/2014. L’incarico è privo di autorizzazione. 9) Incarico professionale di componente della Commissione di accordo per la risoluzione della controversia -------------------- ----, con verbale di riunione n.-- del 13.9.2011. -Componente commissione di accordo bonario ex art. 240 D. L.vo 163/2006 del 13/09/2011, compenso di euro lordi di 15.493,70, di euro netti 12.394,96, pagato il 18/11/2013. L’incarico è privo di autorizzazione. 10) Incarico professionale di --------------------- di collaudo tecnico-amministrativo nominato dalla - -------------------------------, n. ----- del 18.12.2007. - Incarico collaudo lavori collegamento stradale tra OMISSIS . Lett.comunicazione. n. ------ del 1.8.2008, periodo di svolgimento 27/05/2008 15/05/2012, compenso di euro lordi di 62.805,63, euro netti 50.244,48, pagato il 25/02/2014. L’incarico è privo di autorizzazione. 8) Richiamata la disciplina normativa generale in materia di incarichi esterni (art. 60, T.U. n. 3/1957; art. 53, d.lgs. n. 165/2001), oltre a quella propria delle libere professioni di cui all’ art. 62 del Regio Decreto 23 ottobre 1925 n. 2537 (Regolamento per le professioni d'ingegnere e di architetto), come recepita nelle circolari e direttive nonchè nel Codice di comportamento (DM 192/2014), adottati dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, l’organo requirente contestava al convenuto di aver espletato un’attività lavorativa esterna in violazione delle disposizioni vigenti in materia di incompatibilità dell’impiego pubblico. Il ------ ---- avrebbe infatti espletato incarichi extra_istituzionali, senza aver richiesto preventivamente le prescritte autorizzazioni, né presentato alcuna comunicazione al Ministero delle Infrastrutture, precludendo alla medesima ogni controllo e verifica circa le modalità di svolgimento dell’attività extraistituzionale. 9.Con riguardo all’attività extraistituzionale sopra descritta, la Procura ha ipotizzato la fattispecie di danno conseguente all’omesso riversamento dei compensi, in favore dell’amministrazione di appartenenza, percepiti dall’attività indebitamente svolta, pari all’importo complessivo di euro 539.827,35. 10.Il convenuto si costituiva (formalmente) in giudizio con atto del 15.12.2021 con i patrocinanti avv.ti Cucchi Carbonaro e Magni. 10.1.Va premesso, per completezza, che il convenuto ha depositato memorie difensive sia nella fase cautelare di convalida del sequestro conservativo (memorie 19.12.2021; 19.1.2022) e di reclamo ex art. 76 cgc (Memoria del 14.3.2022), nonché in quella di merito (Memorie 18.1.2022; del 22.9.2022; 10.10.22), nelle quali ha dispiegato le proprie eccezioni, deduzioni e difese respingendo gli addebiti contestatigli. 10.2.Riassuntivamente, la difesa eccepiva e deduceva quanto segue: -Difetto di giurisdizione Il convenuto ha sostenuto che gli incarichi extra istituzionali sono stati effettuati durante l’incarico di -------------------, quindi in posizione (formale) di fuori ruolo, ma in realtà in posizione di “aspettativa senza assegni”, in forza del rapporto di lavoro instaurato con la società ------------, di cui era dipendente ad ogni effetto di legge, e quindi sottratto al vincolo di esclusività che caratterizza la disciplina del regime dell’incompatibilità previsto dalle disposizioni asserite violate e poste a fondamento della richiesta di condanna ( art. 60 DPR 10.1.1957 n.3 e dell’art. 53 comma 7 bis del D. Lgs 165/2001), (Memorie 19.12.2021; 19.1.2022; 18.1.2022). - Nullità e/o inammissibilità dell’atto di citazione e dell’azione erariale per omessa notifica dell’invito a dedurre (Memoria del 18.1.2022). Sul punto, la difesa evidenziava che l’ufficiale giudiziario dell’UNEP di -------- non aveva correttamente compiuto gli adempimenti previsti dall’art. 140 c.p.c., in quanto, nella impossibilità di effettuare la notifica ai sensi dell’art. 138, c.p.c., non avrebbe affisso l’avviso di notifica ex art. 140 c.p.c. alla porta dell’abitazione di residenza o domicilio del convenuto, sito in ------ ------, -----------------, ma sul citofono relativo ad un immobile, sito in ------------, ------------- -, senza effettuare opportune ricerche e senza accedere al fabbricato interno, non avendo rinvenuto il destinatario nel luogo di residenza risultante dal certificato anagrafico (Cass. Ord. N.----/2021; Cass. ----/1998). Diversamente, detti adempimenti sono stati correttamente compiuti per la notifica del successivo atto di citazione. Rappresentava inoltre di non avere potuto neppure ritirare tempestivamente nei giorni successivi l’atto presso l’Ufficio postale per chiusura dello sportello per ferie dal 22 al 27 luglio 2021, come da comunicazione esposta nei locali del Comune di ------------ solo in data 28.7.2021, mentre sull’avviso la compiuta giacenza risultava indicata nel giorno 29.7.2021 e non il 24.7.2021. La violazione dell’art. 140 c.p.c. per errata affissione dell’avviso presso un indirizzo diverso da quello di residenza del convenuto e l’impossibilità di ritirare la raccomandata informativa avrebbe quindi precluso all’ing. X di conoscere legalmente ed effettivamente l’atto da cui è scaturita l’asserita nullità dell’atto di citazione del presente giudizio e/o l’improcedibilità dell’azione erariale. -Eccezione di prescrizione dell’azione erariale. Evidenziava la difesa che l’azione risulta prescritta in mancanza di atti interruttivi sia che si faccia decorrere il dies a quo dal conferimento dell’incarico, dal termine di svolgimento dell’attività contestata, dall’ultimo pagamento eseguito nel 2014; escludeva altresì l’ipotesi dell’occultamento doloso per giustificare il decorso del termine prescrizionale dalla relazione della Guardia di Finanza atteso che al Ministero erano noti gli incarichi contestati, per le ragioni ampiamente illustrate nelle memorie del 19.12.2021 e del 19.1.2022 (segnalazioni ----, segnalazioni della ---, aggiornamento dei curricula, incarichi conferiti dallo stesso Ministero; trasmissione schede all’Anagrafe del ----, apertura della partita IVA, invio dei curricula per le procedure di interpello), diversamente manca in atti la prova dell’ eventuale condotta omissiva finalizzata all’occultamento doloso degli incarichi extraistituzionali, rimarcando, invece, la natura pubblica e quindi la compatibilità degli incarichi con l’art. 53 d. lgs 165/2001, come nel caso di ---. -Merito La difesa sosteneva la sussistenza delle autorizzazioni per gli incarichi svolti in favore di soggetti pubblici e privati, deducendo quanto segue: -Per gli incarichi n. 1, 2, 3 (nomina ---), escludeva la preventiva autorizzazione, attesa la natura di munus pubblico dell’incarico de quo né l’Amministrazione aveva mai fornito indicazioni diverse in tal senso, inducendo il soggetto a ritenere la sua buona fede e l’assoluta correttezza del suo comportamento avvalorati dalla circostanza che gli incarichi erano pure indicati nei curricula presentati nelle procedure di interpello per l’accesso agli incarichi dirigenziali di 1^ fascia, valutati dall’Amministrazione. -Per gli incarichi n. 4, 5, 6, 7, svolti per conto dell’-----, la difesa deduceva che l’ing. X era stato designato dal Ministro del Lavori Pubblici pro-tempore, quale componente della Commissione di congruità del prezzo di acquisto degli immobili e i compensi erano stati comunicati dall’----- al Ministero, che ha disconosciuto detta circostanza. -Per l’incarico n. 8 (collaudo) conferito dalla --- ---------------------, l’Ing. X avrebbe richiesto la preventiva autorizzazione, con domanda dell’8 gennaio 2010, come da certificato di collaudo sottoscritto in data 8 aprile 2013, che si è svolto ed è stato remunerato nel periodo in cui il dipendente era in posizione di aspettativa senza assegni, con interruzione di ogni rapporto di servizio con l’Amministrazione di appartenenza. -Per l’incarico n.9, di -------------------------- di accordo bonario, tipizzato quanto ai requisiti richiesti, dall’art. 240 comma 9/bis del D.lgs. n. 163 del 2006, conferito nell’anno 2011 (all.13) e concluso il 5.06.2013 (all.14), escludeva la necessaria autorizzazione stante la mancanza del rapporto di servizio con il Ministero. -Per l’incarico n. 10 relativo al collaudo conferito dalla --------------------, l’ing. X sosteneva di avere agito in rappresentanza del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, giusta determina dirigenziale n.----- del 18 dicembre 2007 (all.16), seguita dalla deliberazione a contrarre n. ---- del 3.08.2011 (all. 17), mentre l’incarico è stato sottoscritto in data 14 maggio 2012 (all.18), nel periodo in cui l’Ing. X non era legato da un rapporto di servizio con il MIT. Puntualizzava la difesa, che l’ing. X , aveva svolto gli incarchi extraistituzionali contestati nel periodo in cui aveva assunto l’incarico di OMISSIS collocato in posizione di fuori ruolo, solo formalmente, in quanto non avrebbe potuto svolgere attività lavorativa a favore di ----------- assolutamente incompatibile ai sensi dell’art. 60 DPR n.3 del 10.1.1957, se non in forza della deroga di cui all’art.23 bis del D. Lgs 165/2001, ovvero in posizione di “aspettativa senza assegni”, con conservazione della qualifica posseduta all’atto del collocamento fuori ruolo. Tale posizione gli avrebbe consentito -a suo dire- di potere svolgere gli ulteriori incarichi professionali, senza versare in situazioni di incompatibilità, alla stregua dell’incarico svolto presso ----------, da cui ha regolarmente percepito il relativo trattamento economico e previdenziale (TFR). -Elemento soggettivo Sotto il profilo soggettivo, escludeva l’occultamento doloso avendo l’accusa ritenuto ininfluenti le circostanze di cui risulta essere stato a conoscenza il Ministero sin dal 2000, quali il possesso della partita IVA, l’inserimento degli incarichi professionali nei curricula valutati dall’Amministrazione sebbene per diversi fini, condotte che dimostrerebbero l’assenza del dolo, non provato, dall’accusa, unitamente alla mancanza di volontà di causare un danno. L’Amministrazione avrebbe invece mantenuto un comportamento inerte ed omissivo nei confronti del dipendente pur emergendo lo svolgimento di attività extraistituzionali dalle indagini condotte sia dall’---- (incarichi ---- estesa anche ad altri soggetti), sia dalla Guardia di Finanza per conto dell’Ispettorato della Funzione Pubblica, nel 2017, sino all’avvio del secondo procedimento disciplinare (il primo concluso con una sanzione pecuniaria), avviando tardivamente l’azione erariale con l’invito notificato il 22.6.2021, soltanto dopo la relazione della Guardia di Finanza di ------, depositata nell’anno 2019 (integrata con la relazione finale depositata il 2021). -Danno Quanto alla tipologia di danno ipotizzato coincidente con i compensi indebitamente percepiti e non riversati al Ministero, ne escludeva l’attualità coincidendo tale danno in una mera violazione del sinallagma contrattuale, sia per mancanza di una valida richiesta da parte dell’Amministrazione danneggiata in quanto la nota di diffida è stata trasmessa ad un indirizzo pec non utilizzato dal convenuto. Chiedeva di restituire, in caso di condanna, le somme percepite, al netto degli oneri fiscali. 11.La Procura regionale controdeduceva alle eccezioni, deduzioni e difese di parte convenuta ritenute tutte destituite di qualsiasi fondamento in fatto e in diritto, insistendo per l’accoglimento della domanda e la condanna del responsabile per l’intero importo ivi richiesto (Memoria del 18.1.2022; 18.2.2022; 29.3.2022; 30.3.2022). 12.Il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili si costituiva in giudizio con atto di intervento ad adiuvandum, depositato il 22. 9.2022, nel quale ha sostanzialmente condiviso la prospettazione accusatoria circa l’esistenza del danno erariale per omesso riversamento dei compensi percepiti o percipiendi, confermando le ragioni poste a base della determinazione n. ---/UD dell’8.7.2020 di licenziamento disciplinare dell’ex dipendente in relazione alle reiterate condotte illecite riguardanti l’espletamento di molteplici incarichi professionali non autorizzati, ravvisando un occultamento doloso nella condotta omissiva del dipendente. Evidenziava che la posizione di fuori ruolo del dipendente non ha dato luogo allo scioglimento del rapporto di servizio tra il dipendente e l’amministrazione di appartenenza, ma alla risoluzione consensuale del rapporto individuale di lavoro in essere, da ripristinare al termine dell’incarico conferito. Si opponeva all’eccezione di prescrizione, dovendosi fare riferimento quale momento di conoscenza degli illeciti agli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza, in mancanza delle richieste di autorizzazione all’Amministrazione da parte del dipendente. Né la conoscenza degli illeciti può essere attinta dal curriculum professionale del medesimo contenendo informazioni di carattere generico e per diversi fini. Con riferimento al quantum, l‘interveniente Ministero rilevava che il Collegio del reclamo nell’ordinanza n.---/22 ha ritenuto legittimo l’incarico conferito all’ing. X da ------------- ---, in data 25 gennaio 2008, sulla base di una richiesta di autorizzazione presentata l’8 gennaio 2010, indirizzata al ------------------------------ -------, che risulta priva di qualsiasi protocollo e/o visto di ingresso e non rinvenuta negli atti del Ministero. In ogni caso, l’istanza sarebbe tardiva (2010), non avallata dall’Amministrazione, dal momento che la --- non ha dato riscontro alcuno alla richiesta, né rientrava nelle sue competenze non essendo detto organo inserito nel Ministero. L’incarico è stato conferito all’ing. X esclusivamente dalla società ---------------------- -----. Insisteva per l’accoglimento integrale dell’atto di citazione. 13.Alla udienza del 21.1.2022, il G.D. con ordinanza n.--/2022 (corretta dalla successiva ordinanza n.-- /22) confermava il sequestro autorizzato ante causam con decreto presidenziale dell’11 novembre 2021 per la complessiva somma di euro 539.827,35, oltre accessori in favore del Ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili. 14.L’udienza del 13 marzo 2022 fissata per la discussione del merito veniva rinviata d’ufficio alla udienza del 19 maggio 2022. Alla udienza del 1 aprile 2022, il Collegio accoglieva parzialmente il reclamo avverso l’ordinanza di convalida n. --/22, e rideterminava con ordinanza ---/2022 (corretta con ord. ---/22) l’importo sequestrabile fino alla concorrenza di euro 420.088,89, escludendo il compenso percepito per l’incarico conferito dalla società ------------------ --, dell’importo di euro 119.738,46, asserito legittimo in base alla richiesta di autorizzazione dell’8 gennaio 2010. 13.L’udienza del 19 maggio 2022, su richiesta del difensore, veniva rinviata alla udienza del 13 ottobre 2022. In prossimità dell’udienza la difesa del convenuto depositava con atto del 22.9.2022 la sentenza del tribunale civile n.----/22 che ha annullato il provvedimento di licenziamento disciplinare intimatogli dall’Amministrazione per mancato rispetto del termine perentorio per la contestazione degli addebiti, risalendo la conoscenza degli incarichi extraistituzionali negli anni precedenti alla data della contestazione del 21.11.2019. Ribadiva quindi l’insussistenza dell’occultamento doloso riguardo agli incarichi extraistituzionali espletati per conto di soggetti terzi, rafforzando la valenza giuridica attribuita dal Ministero ai curricula vitae richiesti per l’accesso ad incarichi aggiuntivi (Circ. Mit n.---- /RU del 23.3.2009). Contestava le ulteriori indagini condotte dalla Procura dopo l’emissione dell’atto di citazione per dimostrare la validità della notifica dell’invito a dedurre, per le ragioni ampiamente illustrate nella memoria depositata il 29.3.2022. Nella ulteriore memoria prodotta in data 10.10.2022, la difesa del convenuto replicava all’intervento adesivo del Ministero, opponendosi alla produzione tardiva di documentazione, insistendo nelle conclusioni già rassegnate. 15.Nella udienza dibattimentale del 10.10.2022, le parti si sono riportate alle difese già illustrate nei rispettivi scritti difensivi; la difesa del convenuto insisteva nell’eccezione di difetto di giurisdizione, di nullità della domanda per mancata notifica dell’invito, di prescrizione dell’azione, e nel merito, nella insussistenza dei presupposti dell’azione erariale; la Procura respingeva tutte le eccezioni e controdeduzioni di parte convenuta insistendo per l’accoglimento integrale della domanda. La causa veniva trattenuta in decisione. Considerato in  DIRITTO 1.La questione sottoposta al vaglio del Collegio attiene alla ipotesi di danno erariale per l’espletamento di attività extra-istituzionale non autorizzata né autorizzabile posta in essere dal convenuto, legato da un rapporto di lavoro a tempo pieno ed esclusivo con il Ministero delle Infrastrutture. La Procura, infatti, ha contestato all’ing. X di avere svolto attività extraistituzionale incompatibile con il rapporto a tempo pieno e di esclusiva, e quindi non autorizzabile, nel periodo in cui era stato collocato fuori ruolo (2009-2014), a seguito della nomina a -------------------------- ----------------------, percependo compensi, da soggetti pubblici e privati, pari ad euro 539.827,35. Da tale fatto sarebbe derivato, secondo la prospettazione attorea, un danno da violazione dell’obbligo di riversamento delle somme riscosse per l’attività extraistituzionale svolta non autorizzata e non autorizzabile ai sensi dell’art. 53, comma 7 del d. lgs 165/2001, pari all’importo di euro 539.827,35 (mancata entrata). 2.Giurisdizione 2.1.In via preliminare, deve affermarsi la giurisdizione del giudice contabile con riferimento al danno da violazione dell’art. 53, comma 7 del d. lgs 165/2001, eccepita dal convenuto. Secondo l’interpretazione maggioritaria, l’art. 53, comma 7 del D. lgs n.165/2001 costituisce la lex generalis vigente per ogni pubblico dipendente, applicabile sia alle incompatibilità relative che assolute (cfr. SS.RR. n.26/2019/QM). Invero, la condotta del pubblico dipendente che svolga incarichi non autorizzati senza riversare i compensi all’amministrazione di appartenenza è fonte di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei Conti (Cass. Ss.uu. 22.12.2015 n. 25769), atteso che l’omesso riversamento dei compensi all’Amministrazione costituisce danno erariale con conseguente sottoposizione alla giurisdizione della Corte dei Conti (Cass. ss. uu. ord. N.19072/2016; Sez. Lombardia n.52 del 2015). Egli è tenuto quindi a risarcire l’Amministrazione di appartenenza di quanto indebitamente acquisito in forza dell’art. 53 lgs 16572001 (Sez. Lombardia n. 14/2017; Sez. I n.13/2018; Sez. Lazio n. 108/2022). 2.2. La difesa del convenuto ha asserito di non trovarsi, negli anni di riferimento (2009-2014), nella posizione di pubblico dipendente ma di avere svolto attività lavorativa presso --------, corrispondendogli la retribuzione e le spettanze previdenziali, interrompendo così il rapporto di servizio con l’Amministrazione di appartenenza. 2.3.Invero, dalla documentazione in atti, è emerso che l’ing. X è stato designato “---------------- ------------------------------", ai sensi dell’art. 20 del D.l. 185 del 29 novembre 2008, convertito nella legge n. 2/2009, e collocato in posizione di fuori ruolo istituzionale, ai sensi del comma 5 dello stesso art. 20. Ciò ha comportato-ex lege- la risoluzione consensuale del contratto individuale di lavoro con il quale è stato definito il trattamento economico correlato alla funzione dirigenziale (--- -----------------------------), mantenendo il rapporto organico con l’Amministrazione di appartenenza, nei cui ruoli è rientrato alla scadenza dell’incarico il 5.8.2014 e sino alla data del licenziamento disciplinare avvenuto il 10.7.2020. Secondo quanto previsto dall’art. 20, comma 9, i criteri per la corresponsione dei compensi spettanti ai Commissari straordinari delegati sono stabiliti con decreti del Presidenza del Consiglio, su proposta del Ministro competente per materia in relazione alla tipologia degli interventi, di concerto del Ministero dell’Economia e delle finanze e la relativa spesa grava nell’ambito delle risorse assegnate per la realizzazione dell’intervento, secondo le indicazioni contenute nella Delibera CIPE n. 77/2010. Ne deriva quindi che le prestazioni retributive del dipendente fuori ruolo- che generalmente sono corrisposte dall’amministrazione che si avvantaggia della prestazione- salvo quanto diversamente pattuito tra le due amministrazioni_nel caso dei Commissari straordinari pur essendo a carico delle risorse pubbliche assegnate alla realizzazione dell’intervento (Legge obiettivo 2001), esse sono materialmente versate a cura dei soggetti aggiudicatori dell’intervento (nel caso -- -). Appare destituita di qualsiasi fondamento la prospettazione di parte convenuta secondo cui il X era stato posto in “aspettativa senza assegni” ex art. 23 bis D. lgs 165/2001, e tale posizione gli avrebbe consentito lo svolgimento di attività extraistituzionale alla stregua dei dipendenti con impegno a tempo parziale non superiore al 50%, con esclusione dell’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 53 del D. lgs 165/2001 in luogo di quelle indicate all’art. 60 DPR 3/1957. La tesi è infondata, oltretutto sconfessata dalla documentazione in atti, in quanto correlata impropriamente alla valorizzazione degli aspetti economici del rapporto con --------, nel tentativo di rappresentare una situazione difforme dalla gestione commissariale in cui versava il X al fine di sottrarsi ai doveri e agli obblighi connessi alla permanenza del rapporto di lavoro subordinato con l’Amministrazione di appartenenza. Invero, con il DPCM del 5 agosto 2009 di nomina dei Commissari straordinari per gli interventi di cui alla Legge 21.12.2001 n.---(Legge obiettivo), tra cui è compreso anche l’ing. X , è stato disposto il collocamento fuori ruolo dei Commissari, i quali sono tenuti ad operare sotto il coordinamento e la vigilanza del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti che esplica le relative attività delegate avvalendosi della competente ---------------------- --, ed al quale i Commissari sono tenuti ad inviare relazioni semestrali sull’andamento del processo di realizzazione delle opere assegnate (art.7). La stessa norma di cui all’art. 23 bis d. lgs 165/2001, richiamata dal convenuto, fa salva la disciplina vigente in materia di collocamento fuori ruolo, avvalorando la sostanziale diversità giuridica tra i due istituti(Cass. SS.UU. 1012/21). Quanto al trattamento economico, vale richiamare la disposizione di cui all’art. 24, c. 7 D. lgs 165/2001 secondo il quale “I compensi spettanti in base a norme speciali ai dirigenti dei ruoli di cui all'articolo 23 o equiparati sono assorbiti nel trattamento economico attribuito ai sensi dei commi precedenti”. Pertanto, l’eccezione va respinta e confermata la giurisdizione contabile, in ordine alla fattispecie di danno erariale ipotizzata nella domanda (art. 53, c.7 D. lgs 165/01). 3.Nullità della domanda per nullità dell’invito a dedurre. Il convenuto ha eccepito la nullità della notifica dell’invito a dedurre per asserite violazioni agli adempimenti di cui all’art. 140 c.p.c. e precisamente: 1)L’Ufficiale giudiziario non avrebbe compiuto alcuna ricerca, non trovando il destinatario presso il domicilio di -----------------, --------------; 2)l’Ufficiale giudiziario non avrebbe affisso l’avviso di avvenuto deposito della notifica alla porta dell’abitazione di residenza e domicilio in ---------------, ma all’”ingresso condominiale” ubicato in --------------; 3)ricevuto in data 22.6.2021 l’avviso di giacenza della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito, al destinatario non è stato possibile ritirare il plico nei trenta giorni successivi in quanto l’Ufficio postale nei giorni 23 e 24 luglio 2021 è rimasto chiuso (memoria depositata il 18.1.2022). 3.1.La Procura ha eccepito la tardività oltre che l’infondatezza dell’eccezione di nullità per essere la stessa formulata dopo la costituzione in giudizio (Memoria del 15.12.2021, integrata dalle memorie del 19.12.2021 e 21.12.2021). 3.2.Sul punto il Collegio ritiene tempestiva l’eccezione considerato che con il decreto presidenziale dell’11 novembre 2021 sono state fissate l’udienza del 21 dicembre 2021 (rinviata al 20.1.2022) per la fase cautelare di convalida del sequestro e l’udienza del 10 marzo 2022, per il merito, e indicato il termine di 20 gg. per il deposito di atti e documenti con l’avvertenza delle eventuali decadenze di cui all’art. 90 c.g.c. L’eccezione di nullità è stata proposta nella memoria di costituzione del 18 febbraio 2022, depositata nel termine di 20 gg. antecedente all’udienza di trattazione del 10 marzo 2022, per cui è da ritenere tempestiva. 3.3.Nel merito l’eccezione è infondata oltre che non provata. In sede di reclamo, il Collegio giudicante ha affermato che “la Procura abbia fornito idonei elementi a supporto a supporto del perfezionarsi della notificazione dell’invito”. Non v’è dubbio che gli opportuni accertamenti disposti dalla Procura circa la situazione dei luoghi e la documentazione probatoria riversati in atti (fotografie, visure catastali, accertamenti della Guardia di Finanza effettuati presso l’Ufficio tecnico del Comune di ---------------) avvalorano tale convincimento circa la regolarità della notifica dell’invito a dedurre. La notifica è stata effettuata presso l’abitazione effettiva del convenuto che coincide nel luogo di residenza anagrafica dello stesso, come è risultato dalle diligenti ricerche effettuate sul luogo dall’Ufficiale giudiziario. Nel caso di specie, l’immobile è situato all’intersezione tra -------- ------, del Comune di -------------- (già --------- ----- sino al 10.10.2011). L’immobile ha le caratteristiche di un’unica villa, con ampio giardino, al quale si può accedere dai cancelli installati su entrambe le vie, di cui quello su --- -------------, privo di citofono e di indicazioni del nominativo del residente, e quello di --------- ----, munito di citofono sul quale l’Ufficiale giudiziario ha affisso l’avviso dopo avere constatato che la villa avesse un doppio ingresso. E’ risultato altresì che il convenuto utilizzava entrambi gli indirizzi per la corrispondenza personale e professionale (Scia, domanda di pensione, fatture).Si appalesa quindi del tutto inconferente la citata giurisprudenza (Cass. 19522 del 30.6.2016) che prevede per la regolarità della notifica dell’atto al destinatario assente, l’affissione dell’avviso di deposito della raccomandata sul portone dell’abitazione del medesimo e non già sul portone di ingresso dell’edificio condominiale, situazione che non ricorre nella fattispecie. Né si comprende quali ricerche avrebbe dovuto effettuare l’Ufficiale giudiziario avendo trovato chiuso il cancello su -- ----------------- ed avendo ricevuto rassicurazioni dagli operai che l’ing. X era momentaneamente assente e che anche il cancello di ------------- fosse utilizzato per accedere all’unico fabbricato posto nell’area interna e non già in un “condominio” inesistente. In ogni caso, il procedimento notificatorio è da ritenersi perfezionato per raggiungimento dello scopo per ricezione della raccomandata con la quale viene dato avviso del deposito presso la casa comunale (cd CAD), ovvero, in caso di mancato ritiro, dal decorso di dieci giorni dalla spedizione di questa (cd. compiuta giacenza) (Cass. 19772/2015; 19522/2016). Le ulteriori doglianze del convenuto circa i disguidi che gli hanno impedito il ritiro della raccomandata informativa per la chiusura dell’Ufficio postale di ------------ per ferie, sono del tutto pretestuose atteso che è indubbio che il predetto ha ricevuto l’avviso di giacenza della raccomandata informativa in data 22 giugno 2022 e che non si è premurato di ritirarla nei successivi 10 giorni (2 luglio), con la conseguenza che la notifica si è perfezionata nei suoi confronti da tale data, essendo del tutto estranea al completamento del procedimento notificatorio la circostanza che l’atto sia stato restituito al mittente alla data del 29 luglio 2022 “per compiuta giacenza” per omesso ritiro nei 10 gg. successivi all’invio, termine ampiamente decorso (2.7.2022). L’eccezione va rigettata e confermata la regolarità della notifica dell’invito a dedurre (cfr. Memoria Procura del 29.3.2022) 4.Sempre in via preliminare, deve essere rigettata l’eccezione di prescrizione, ritenendosi infondate le diverse prospettazioni articolate dalla difesa. 4.1. La difesa si sofferma sull’asserita assenza dell’occultamento doloso nonché sulla conoscenza che l’Amministrazione avrebbe avuto dello svolgimento da parte sua degli incarichi tutti asseritamente autorizzati o non necessitanti l’autorizzazione trovandosi in “aspettativa senza assegni”. 4.2.Preliminarmente, va ribadito che il convenuto, diversamente da quanto più volte asserito nelle sue difese, era tenuto a richiedere le preventive autorizzazioni (anche da parte del soggetto conferente) pur trovandosi collocato, nel periodo di riferimento, in fuori ruolo, a seguito del conferimento della nomina di ---------------------- --------------------------, (e non già in “aspettativa senza assegni”), al fine di consentire all’amministrazione la verifica circa l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi (art. 53, 7 c.). 4.3.Al riguardo corre l’obbligo richiamare il comma 10 dell’art. 53 del d. lgs 165/2001 secondo il quale: L'autorizzazione, di cui ai commi precedenti, deve essere richiesta all'amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire l'incarico; puo', altresi, essere richiesta dal dipendente interessato. L'amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta stessa. Per il personale che presta comunque servizio presso amministrazioni pubbliche diverse da quelle di appartenenza, l'autorizzazione e' subordinata all'intesa tra le due amministrazioni. In tal caso il termine per provvedere è per l'amministrazione di appartenenza di 45 giorni e si prescinde dall'intesa se l'amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio non si pronunzia entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta di intesa da parte dell'amministrazione di appartenenza. Decorso il termine per provvedere, l'autorizzazione, se richiesta per incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche, si intende accordata; in ogni altro caso, si intende definitivamente negata”. Detto obbligo è confermato dall’art. 62 del Regolamento per le professioni d’ingegnere ed architetto (RD 2537/1925) e dalle circolari emanate annualmente dal Ministero delle Infrastrutture, recanti la specifica regolamentazione e procedura per il conferimento degli incarchi aggiuntivi ai propri dipendenti, tra cui la direttiva Di Pietro, richiamata dalla difesa prot. 7263 del 25.5.2007, riferita all’art. 53 d. lgs 165/2001. 4.4.Dalla documentazione agli atti emerge inequivocabilmente che il X non solo ha tenuto una condotta dolosa nei confronti del datore di lavoro, laddove ha posto in essere attività extraistituzionale, violando intenzionalmente l’art. 53 del d. lgs 165/2001, ma per taluni incarichi ha falsamente dichiarato di non trovarsi in nessuna situazione di incompatibilità individuate dall’art. 53 citato, per presunta cessazione del rapporto di lavoro con il Ministero, da cui non percepiva alcuna retribuzione, ovvero si impegnava a richiedere l’autorizzazione alla propria amministrazione, non prodotta, dimostrando di essere ben consapevole dell’onere a suo carico e dell’iter da seguire, tanto è vero che, nello stesso periodo, risultano espletati altri incarichi professionali per i quali risulta avere ottenuto l’autorizzazione, come è emerso dalle evidenze probatorie versate in atti. Si osserva che la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che l’attività fraudolenta richiesta dal legislatore al fine di traslare l’exordium praescriptionis alla data della scoperta del danno può essere realizzata anche attraverso un comportamento omissivo del dipendente autore del fatto “avente ad oggetto un atto dovuto, cioè un atto cui il debitore sia tenuto per legge” (C.Conti Sez. III 21.7.2016 n. 345;Sez. I 30.3.2004 n.124). La Cassazione ha chiarito che il semplice silenzio, “serbato maliziosamente su alcune circostanze da chi abbia il dovere di conoscerle”, può integrare l’artificio o il raggiro richiesto per la sussistenza del reato di truffa, in quanto “..il comportamento dell’agente in tal caso non può ritenersi meramente passivo ma artificiosamente preordinato a perpetrare l’inganno….” (Cass. Sez. pen. N. 41717/2009). A tali principi si è richiamata la giurisprudenza contabile nelle ipotesi di danno da svolgimento di attività extraistituzionale in violazione del principio di esclusiva sottolineando che “l’Amministrazione non era certamente in grado di far valere il suo diritto al riversamento degli introiti aliunde percepiti dall’appellata, che ha intenzionalmente omesso di richiedere l’autorizzazione per le attività extraistituzionali di cui è causa, con conseguente impossibilità di decorso del termie prescrizionale”. L’assunto del convenuto secondo cui l’Amministrazione sarebbe stata aliunde a conoscenza degli incarichi contestati sin dal 8.2.2017, a seguito della comunicazione ---- è smentito dal fatto che detta comunicazione seguita dal primo procedimento disciplinare a carico dell’ing. X ha riguardato specificatamente gli incarichi conferiti da ---- ad alcuni dipendenti, tra cui il X , al quale è stata irrogata la sanzione pecuniaria di 500 euro, per incarichi diversi da quelli oggi contestati, per i quali era stato autorizzato, ma omettendo di comunicare all’Amministrazione l’ammontare dei compensi percepiti per dette attività extraistituzionali. Soltanto a seguito delle indagini della GdF di ------- su richiesta dell’Ispettorato per la Funzione pubblica sono emersi, attraverso l’esame dei redditi dichiarati dal dipendente, ulteriori e numerosi incarichi professionali, non autorizzati, per cui è stato attivato il secondo procedimento disciplinare concluso con la sanzione del licenziamento per violazione dell’art. 53 c. 7 d. lgs 165/2001 (nota prot. n. ---/UD del 15 luglio 2020; provvedimento n.---UD dell’8.7.2020). L’accoglimento del ricorso avverso il licenziamento non travolge l’impostazione attorea e i principi sui quali essa è fondata, attesa l’autonomia e la separatezza tra i due procedimenti. 4.5.In considerazione di ciò, non è revocabile in dubbio che nella fattispecie sia configurabile un “occultamento doloso” atteso quanto dichiarato nei contratti di conferimento di ciascun incarico, ma anche perché il X ha consapevolmente omesso di comunicare al proprio datore di lavoro l’attività extraistituzionale svolta in favore di soggetti pubblici e privati, ai quali ha altresì rappresentato, in modo contraddittorio, negli atti di accettazione degli incarchi stessi, di non essere tenuto a richiedere le preventive autorizzazioni al Ministero, avendo interrotto qualsiasi rapporto di lavoro con l’Amministrazione di appartenenza, ovvero ad impegnarsi di produrre l’atto di assenso della propria amministrazione, in realtà mai prodotto al soggetto conferente l’incarico. Il dies a quo del termine prescrizionale, deve quindi coincidere con la “scoperta del fatto”, avvenuta con la trasmissione alla Procura dell’informativa della Guardia di Finanza (prot. n. -------- del 9.11.2019). 4.6.La difesa, sempre al fine di eccepire la prescrizione dell’azione contabile, ha sostenuto, nelle varie memorie, che il X ha sempre notiziato il Ministero sia con l’invio e l’aggiornamento dei curricula, sia con note con cui ha comunicato lo svolgimento dell’attività, sin dal 2014, per partecipare a procedure d’interpello degli anni 2013 e 2014, sia per la pubblicazione nell’Ufficio Anagrafe del MIT, sia per il possesso del regime fiscale IVA, conosciuto sin dal 2000, e che tali circostanze avrebbero dovuto indurre il Ministero ad effettuare opportune verifiche sull’attività professionale del dipendente, rimanendo invece inerte. 4.7. Tali ulteriori argomentazioni non appaiono convincenti ai fini di sostenere l’eccezione di prescrizione. In primo luogo si evidenzia che dalla disamina della documentazione allegata dalla difesa, riferita a ciascun incarico, manca un riscontro documentale dei curricula trasmessi al Ministero negli anni di riferimento, da cui rilevare singulatim gli incarichi effettivamente svolti ed autorizzati dal momento che la stessa difesa ha espressamente sostenuto che i curricula sono stati trasmessi per partecipare alle procedure di interpello indette dal Ministero per gli anni 2013 e 14, mentre la maggior parte degli incarichi contestati è stata svolta negli anni precedenti (dal 2008 e successivi) e che gli stessi (come meglio si approfondirà nel prosieguo) non necessitavano comunque di autorizzazioni preventive; quanto al regime fiscale, il convenuto ha continuato a mantenere la partita IVA disobbedendo alle circolari emanate dal Ministero con richiesta di cessazione di tali posizioni incompatibili con lo status di dipendente pubblico (salvo eccezioni es. ---. In ogni caso, deve escludersi che la pubblicazione del curriculum possa equivalere come comunicazione degli incarichi extraistituzionali all’Amministrazione, in presenza di dichiarazione falsa attestante l’assenza di cause di incompatibilità, considerato altresì che il curriculum è trasmesso a vari uffici per scopi diversi. 4.8.Riguardo al compenso percepito per l’incarico svolto, quale componente della -------------------- -----------------, nel periodo 2008-2014- nell’ordinanza n. ---/22, il Collegio ha evidenziato che nel provvedimento di licenziamento ( prot. n. - --/UD MIT dell’8 luglio 2020) si è fatto riferimento alla presentazione in data 8 gennaio 2010 di una richiesta di autorizzazione allo svolgimento di detto incarico, escludendo per esso, la configurabilità di un doloso occultamento, con il conseguente decorso della prescrizione dalla data della presentazione di tale istanza. 4.9. Sul punto, i rilievi mossi dal Ministero interveniente (assenza di data di protocollo, tardività della stessa, incompetenza della STM),- pur condivisibili sul piano formale-, non elidono il contenuto sostanziale dell’atto il quale contiene l’espresso riferimento al conferimento all’ing. X , dell’incarico di ------------------- (nota ---- DAC/119 del 25.1.2008), senza che né la STM né il competente Ministero abbiano espresso il loro parere o il loro assenso in merito alla compatibilità o meno dello stesso con il ruolo di Commissario straordinario rivestito, all’epoca, dal richiedente. Rispetto allo svolgimento di tale incarico, non può perciò configurarsi alcun occultamento doloso, non potendo il Ministero_tramite la STM- non sapere che il proprio dirigente, nello stesso periodo in cui svolgeva l’importante incarico di ---------------, svolgeva anche l’incarico di ------------------------------ --- per il quale ha percepito l’elevato compenso di euro 119.738,46. 4.10. Alla luce delle suesposte considerazioni, ad eccezione dell’introito percepito dalla ----------- ------------- spa per il quale il danno è da ritenersi prescritto, per il resto, l’atto di citazione è tempestivo in quanto la notitia criminis è stata trasmessa alla Procura regionale solo in data 14 novembre 2019, a conclusione di una articolata e complessa attività di indagine della Guardia di Finanza -Nucleo di Polizia economico_finanziaria di -----. Il termine di prescrizione ad oggi non è ancora decorso. 5.Merito L’atto di citazione deve essere accolto per quanto di ragione. La Procura ha contestato al convenuto il danno erariale per mancato riversamento dei proventi percepiti per gli incarichi extraistituzionali non autorizzati svolti in favore di soggetti pubblici e privati negli anni 2009-2014. 5.1. Al fine di inquadrare correttamente la fattispecie, occorre svolgere alcune considerazioni in ordine al ruolo rivestito dal convenuto nel periodo in cui ha svolto gli incarichi extraistituzionali e alla disciplina del regime delle incompatibilità previsto per i pubblici dipendenti. 5.1.2.E’ opportuno premettere che la disciplina principale del collocamento fuori ruolo è ancora delineata agli artt. 58 e 59 DPR 3/1957, peraltro richiamati negli accordi collettivi di comparto, a fronte della transizione al regime privatistico imposto dal artt. 2 ,69 e 71 del d. lgs 165/2001. Il tratto saliente dell’istituto è stato ravvisato nella preordinazione al disimpegno di funzioni dello Stato e di altri enti pubblici attinenti agli interessi dell’amministrazione che lo dispone e che non rientrino nei compiti istituzionali dell’amministrazione stessa (art. 58 c1 DPR 3/57). La mobilità temporanea è tesa prima facie al soddisfacimento dell’interesse prevalente dell’amministrazione di appartenenza del dipendente nella quale però non risultano preordinati uffici per l’espletamento delle attività in cui quell’interesse si concretizza; dall’altra, l’amministrazione di destinazione potendo disporre di personale già qualificato, ne trae un sicuro vantaggio per la realizzazione dei propri interessi. Il collocamento fuori ruolo determina una temporanea ed eccezionale modificazione funzionale del rapporto di servizio, di ampia portata che può dar luogo a vicende complesse e tali da incidere anche sul ruolo organico della amministrazione di origine e sull’articolazione interna della stessa. Con l’istituto de quo il dipendente è posto al di fuori della struttura cui continua ad appartenere, conservandone invariati status e qualifica. Il dipendente collocato fuori ruolo perde l’ufficio di titolarità e mantiene il diritto al rientro nella medesima amministrazione una volta che sia venuta meno l’esigenza che ha determinato la mobilità. La prestazione di lavoro deve omologarsi alla nuova organizzazione, pur assicurando al dipendente fuori ruolo la conservazione di prerogative e compiti (es. rientro nell’amministrazione sebbene in soprannumero). Distinta dalla posizione di fuori ruolo speciale, testè descritta, è l’istituto invocato dalla difesa del dipendente previsto dall’art. 23-bis del d. lgs 165/2001, ovvero di “aspettativa senza assegni” introdotto dall’art. 7 lgs 145/2002 di riforma della dirigenza, norma contenente “Disposizioni in materia di mobilità tra pubblico e privato” , il cui scopo primario è quello di favorire ed agevolare i percorsi di mobilità dei dirigenti, arricchendone quindi il loro bagaglio di professionalità spendibile nello svolgimento del proprio incarico, attraverso due distinte forme di mobilità, di cui la prima è quella del collocamento in aspettativa e l’altra è l’assegnazione temporanea. Nella prima ipotesi si persegue l’interesse del dipendente a svolgere a tempo definito una nuova esperienza lavorativa presso altra amministrazione o datore di lavoro privato; nella seconda, la prevalenza dell’interesse dell’amministrazione di appartenenza in relazione alla necessità di svolgere progetti di interesse specifico (art. 19 d. lgs 165/2001). In merito al trattamento economico spettante, l’art. 57 DPR 3/57 prevede che esso sia a carico dell’amministrazione statale, se il dipendente è destinato ad una amministrazione pubblica; nel caso di ente pubblico rimane a carico dell’ente di destinazione, il quale è tenuto inoltre a “versare all’amministrazione statale cui il personale appartiene l’importo dei contributi e delle ritenute sul trattamento economico previsti dalla legge” (art. 57,c. 3). In ogni caso l’art. 70, comma 12 del lgs 165/2001 fissa il principio secondo cui gli oneri del personale in temporanea utilizzazione presso altre amministrazioni competono alle stesse, ma limitatamente al trattamento economico fondamentale, secondo un meccanismo di rimborso ex post, a favore dell’amministrazione di appartenenza, incombendo il maggior carico della spesa sull’amministrazione di destinazione in vista della realizzazione dell’interesse prevalente della medesima (nella specie --------------). Alla luce del quadro normativo testè descritto, si appalesa fallace, inconferente e pretestuoso l’invocato istituto previsto dall’art. 23-bis attraverso la valorizzazione del trattamento economico corrisposto da ----------, quale ente di natura privata, per sostenere la tesi della inapplicabilità al dirigente della disciplina del regime delle incompatibilità connesse al rapporto di lavoro con la P.A. Invero, le problematiche relative agli aspetti economici del rapporto con --- riguardano la ripartizione del carico della spesa connessa all’incarico di Commissario straordinario dell’opera pubblica de qua di cui la società era gestore, ma non incidono sul rapporto organico con l’Amministrazione di appartenenza del dipendente, compreso il mantenimento dei doveri connessi allo status di dipendente pubblico, e, nella fattispecie, il regime delle incompatibilità di cui all’art. 53 lgs.165/2001. 5.1.3. Il c.d. “regime delle incompatibilità” previsto per i pubblici dipendenti, a differenza di quello privato, storicamente esclude la possibilità di svolgere attività extralavorative, sia pure entro determinati i limiti di legge. La ratio del divieto va rinvenuta nel principio costituzionale di esclusività della prestazione lavorativa a favore del datore pubblico (art. 98 Cost.) per preservare le energie del lavoratore e tutelare il buon andamento della p.a., che risulterebbe compromesso dall’espletamento da parte dei propri dipendenti di attività imprenditoriali e non, continuative, abituali e professionali, pregiudicando così sia la regolarità del servizio, sia l’indipendenza del lavoratore pubblico che il prestigio della P.A. L’art. 53 del d. lgs 165/01 individua al primo comma situazioni di incompatibilità assoluta (sancito dall’art. 60 e segg. DPR 10.11.1957 n. 3 per lo svolgimento di attività imprenditoriali, agricole, commerciali, libero-professionali ed altri lavori pubblici e privati), il cui espletamento porta alla sanzione della decadenza dall’impiego previa diffida, al comma 7 prevede attività occasionali espletabili dal dipendente pubblico previa autorizzazione datoriale ed anche attività “liberalizzate “, ovvero esercitabili senza previa autorizzazione, in quanto manifestazione di libertà fondamentali (art. 53, c.6). Il legislatore ha previsto l’obbligo del riversamento nelle casse dell’Amministrazione di appartenenza dei proventi connessi alle attività extraistituzionali espletabili dal dipendente, previa autorizzazione del datore di lavoro. Recita infatti l’art. 53,c. 7 d. lgs 165/01 che “Il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato a cura dell’erogante o, in difetto, dal percettore, in conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo d produttività o di fondi equivalenti”. Ed ancora il comma 7 bis del d. lgs 165/01 (introdotto dalla legge 190 del 2012) afferma che “L’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di danno erariale soggetta alla giurisdizione della Corte conti”, norma ritenuta ricognitiva dell’orientamento giurisprudenziale pregresso (Cass. Sez. un. 2.11.2011 n.22688) tendente a radicare la giurisdizione in capo alla Corte, nei limiti della prescrizione quinquennale, escludendo quella del giudice ordinario. La disciplina recata dall’art. 53 del d. lgs 165/01 è richiamata anche nelle circolari ministeriali emanate annualmente dal Ministero per il conferimento degli incarichi aggiuntivi ai propri dipendenti ( direttiva Di Pietro del 25.5.2007) e nel “Codice di comportamento del Ministero delle Infrastrutture e trasporti” (D.M. 192/2014), la cui inosservanza ha impedito all’Amministrazione di esercitare gli obblighi di comunicazione dei dati degli incarichi aggiuntivi al Dipartimento della Funzione pubblica e la pubblicazione degli stessi sul web “Amministrazione trasparente”, nonché esercitare ogni controllo e vigilanza tempestiva sulla posizione lavorativa del dipendente. In disparte la vicenda giudiziaria connessa al licenziamento “in tronco” disposto dal Ministero all’esito del secondo procedimento disciplinare, dopo il rientro in ruolo, motivato da plurime condotte illecite poste in essere dal dirigente negli anni 2009-2014, il Collegio ritiene che, nel caso in esame non si verta né nella prima ipotesi (attività assolutamente vietate ex art. 53 c. 1 d.lgs 165/01), né nella seconda ipotesi ( attività liberalizzate ex art. 53, c. 6), non rientrando le attività svolte dal convenuto nel numerus clausus di quelle che non richiedono l’autorizzazione. Pertanto, nella specie, la condotta dell’ing. X rientra pacificamente nella terza tipologia, ossia tra quelle attività espletabili (ergo non vietate in modo assoluto) da svolgersi in modo saltuario e occasionale autorizzabili e non autorizzati. Tuttavia, a fronte di incarichi astrattamente autorizzabili, -come evidenziato dall’attore-, l’attività extraistituzionale svolta dall’ing. X , dal 2009 al 2014, è stata continuativa (stante l’elevato numero di incarichi autorizzati e non, conferiti da soggetti pubblici e privati), non meramente saltuaria ed occasionale, con ricavi economici particolarmente elevati pari a complessivi euro 539.827,35 (da cumularsi alle somme incassate per gli incarichi autorizzati dal Ministero negli stessi anni), di natura professionale, con titolarità di partita IVA, e regime fiscale ordinario per dichiarare i relativi compensi, con iscrizione nel relativo albo degli ingegneri, per il quale sussiste il generale divieto posto ex lege (art. 62 R.D. 23.10 1925 n. 2537 Regolamento per le professioni d’ingegnere e di architetto), “salva necessaria ed espressa autorizzazione dei capi gerarchici nei modi stabiliti dagli ordinamenti dell’amministrazione da cui il funzionario dipende”, autorizzazione peraltro rinvenuta per altri incarichi extraistituzionali. 5.2. Con riferimento alle argomentazioni postulate dalla difesa relativamente ai compensi percepiti per ciascuno incarico denunciato nell’atto di citazione, il Collegio condivide i pertinenti rilievi espressi dalla Procura regionale (Memoria del 18.2.2022), che confermano l’impianto accusatorio. A)- -- (1,2,3). Il convenuto ha espletato vari incarichi di --- (invero --) per la definizione di controversie insorte tra ----- e imprese aggiudicatrici, su designazione dei collegi arbitrali, costituiti per volontà delle parti, i quali non possono essere assimilati alle - -- conferite dalla --- (art. 61 e 63 del c.p.c. o art. 221 c.p.p, art. 359 c.p. art. 348 c.p.) nelle quali, il consulente è un ausiliario del giudice chiamato a svolgere una funzione pubblica nell’interesse dell’amministrazione della giustizia. L’ing. X ha svolto meri incarichi di -- conferiti da soggetti diversi dall’Amministrazione di appartenenza per i quali ha percepito compensi per euro 228.184,09, in assenza di preventiva autorizzazione da parte del Ministero di appartenenza, al quale non ha comunicato i relativi compensi. B)Incarichi ----- (n.4,5,6,7,) Il convenuto ha svolto, nel 1995, l’incarico di componente della commissione incaricata di esprimere il parere di congruità dei negozi da concludere nel campo degli investimenti immobiliari, per i quali ha ricevuto dall’Istituto i relativi compensi (gettoni di presenza). Invero, la documentazione prodotta in giudizio è palesemente inconferente sia perché gli incarchi contestati sono stati svolti negli anni successivi (dal 2001 al 2010), ed attribuiti personalmente al convenuto, in via esclusiva, come si evince dalle lettere d’incarico dell’Ente acquisite in atti ( prot. n. ----/03; n.- --- del 6.8.2003), per i quali ha percepito compensi per euro 38.379 (v. fatture), il cui ammontare è di gran lunga superiore alle indennità corrisposte quale componente della originaria Commissione tecnica di congruità inserita nelle procedure amministrative per l’ acquisito degli immobili da parte dell’------. C)Componente commissione accordo bonario ex art. 240 lgs 163/2006 (n. 9) Il convenuto ha svolto l’incarico di componente della Commissione di accordo bonario come da verbale n.- del 13.9.2011, percependo i relativi compensi da -- --- per l’importo di euro 15.493,70, risultato privo di autorizzazione. D) OMISSIS (n.10) L’incarico è stato conferito dalla Provincia di --- ---- con determinazione n.---- del 18.12.2007 per il quale è stato elargito un compenso di euro 62.805,63, come da fattura n.-/2014 emessa dal percipiente in favore dell’Ente conferente, senza autorizzazione. E) Componente ---------------------------------------- ---- (n. 8). L’ing. X ha rappresentato la società -------------------------- -, giusta nota ------------------------ del 25.1.2008, incarico ritenuto regolare dal giudice del reclamo nell’ordinanza n.---/2022, sulla base della comunicazione dell’Ing. X inviata alla STM, per cui, ha escluso l’occultamento doloso, ritenendo lecito l’incarico e riducendo l’importo sequestrabile fino alla concorrenza di euro 420.088,89. Per tale posta di danno, l’azione è prescritta sia con riferimento alla data di conferimento dell’incarico (25.8.2008) ovvero alla data di pagamento (9.9.2014), essedo stato l’invito a dedurre notificato in data 22.6.2021. 5.3.Alla luce di quanto sin qui evidenziato, il convenuto, nel periodo dal 2009 al 2014, pur essendo in posizione di fuori ruolo, era comunque legato da un rapporto organico istituzionale con il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e quindi sottoposto alla disciplina del regime delle incompatibilità relative al rapporto di pubblico impiego, in forza della quale era tenuto a compiere tutti gli adempimenti relativi allo svolgimento di incarichi professionali extraistituzionali aggiuntivi, tra cui l’obbligo di richiedere le autorizzazioni da rilasciarsi, nella ipotesi di fuori ruolo, d’intesa da entrambe le amministrazioni (art. 53, c. 7, 10 d. lgs 165/2001). Conseguentemente va accolta la domanda risarcitoria con riferimento alla richiesta di danno da mancato riversamento nelle casse del Ministero dei compensi indebitamente percepiti per l’attività extraistituzionale svolta in assenza di autorizzazione. 5.4.La condotta posta in essere dal convenuto è caratterizzata dalla volontaria e cosciente violazione di un obbligo di legge al fine di lucrare indebitamente compensi da attività libero_professionale, come è desumibile dal chiaro precetto normativo, contenuto nell’art. 58 del d. lgs 29/1993 e poi nell’art. 53 c. 1 del più volte citato d. lgs 165/2001. La chiara formulazione, rende non ipotizzabile una buona fede (1175 c.c., 1375 c.c.) del convenuto per mancata divulgazione a dire della difesa delle circolari interne riferite agli incarichi esterni da parte del datore di lavoro, opportuna ma non doverosa), per l’esistenza di un procedimento disciplinare per violazione delle norme sugli incarichi esterni, definito con l’applicazione di una sanzione pecuniaria, per le dichiarazioni contenute nelle lettere di accettazione degli incarichi rappresentative di una condizione giuridica con l’Amministrazione di appartenenza non veritiera che escludeva quindi la necessità di richiedere la preventiva autorizzazione, e nel contempo, in modo contraddittorio, poneva tale incombente a carico dell’ufficio conferente l’incarico stesso unitamente anche all’obbligo di comunicazione del compenso elargito alla Amministrazione di appartenenza. In ordine alla sussistenza del danno erariale, è incontestato che le attività extralavorative del convenuto si sono svolte nel periodo di riferimento, di cui l’Amministrazione è venuta a conoscenza all’esito delle indagini condotte dalla Guardia di finanza di ----- su incarico dell’Ispettorato della Funzione pubblica, avendo l’interessato omesso di richiedere all’amministrazione di appartenenza il rilascio di atti autorizzativi e di comunicare, poi, i relativi compensi, non risultando provata l’inclusione degli incarichi contestati nei vari curricula trasmessi dal dipendente al Ministero, negli anni 2012 e 2014, in occasione di procedure di interpello per ottenere eventuali incarichi aggiuntivi, precludendo al datore di lavoro qualsiasi verifica circa la sussistenza di situazioni di sola o ipotetica conflittualità con gli interessi dell’amministrazione e quindi con le funzioni assegnate al dipendente (nella specie di - -------------------------------------------------- -----------); la compatibilità del nuovo impegno con il carico di lavoro connesso alle funzioni di commissario straordinario, per il quale avrebbe dovuto interpellare anche ---, tenuto ad esprimere il proprio parere o assenso circa la concessione dell’autorizzazione richiesta; la occasionalità o saltuarietà del nuovo impegno e la sua durata; la specificità della posizione del dipendente stesso (destinatario nella specie di numerosi incarichi aggiuntivi), tutto ciò in ossequio al principio di esclusività (98 Cost.) e di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa (97 Cost.). 6.1.Venendo alla quantificazione del danno, va esclusa la posta di danno costituita dai compensi ricevuti per l’incarico di collaudo conferito dalla --------- (n.8), per intervenuta prescrizione quinquennale, risultando agli atti la richiesta di autorizzazione alla amministrazione di appartenenza, sebbene non formalmente riscontrata né dal datore di lavoro né da ---. Per il restante danno, alla luce del criterio dell’art. 2935 c.c., in uno all’art. 1, c. 2 della legge n.20/1994, la “conoscibilità obiettiva” del danno arrecato dal convenuto da parte dell’amministrazione danneggiata va confermata, come sopra evidenziato, nella relazione ispettiva della Guardia di Finanza del 2019. Le vicende pregresse che hanno riguardato il convenuto sfociati sia nella indagine dell’-----, del 2017,(incarichi -----), sia nel procedimento disciplinare definito con l’applicazione della sanzione pecuniaria, non possono ritenersi indicative di una pregressa conoscenza da parte del datore di lavoro degli incarichi indicati nella relazione informativa dalla Guardia di Finanza del 9.11.2019 prot n. ----------, sulla base della quale l’Amministrazione ha, poi, inviato al dipendente la formale diffida e messa in mora con nota prot. n. ------- dell’8.9.2020 ed avviato, sul piano amministrativo, una nuova procedura disciplinare esitata con il licenziamento senza preavviso del dipendente (---/UD dell’8.7.2020). Pertanto, l’importo introitato contra legem, che andava riversato all’amministrazione ex art. 53, c 7 d. lgs 165/2001, va rideterminato in euro 420.388,89 lordi, detratto il compenso di euro 119.738,46 (n.8), comprensivo di rivalutazione monetaria, oltre interessi legali dal deposito della sentenza al saldo effettivo. 6.2. In conclusione, l’atto di citazione va parzialmente accolto con riferimento al danno derivato dall’espletamento degli incarichi extraistituzionali non autorizzati da parte del convenuto, rideterminato in euro 420.388,89, comprensivo di rivalutazione monetaria ed interessi legali. Detto importo va corrisposto al lordo delle ritenute fiscali come stabilito dalla Corte dei Conti SS.RR. 11 ottobre 2021 n. 13/QM/Sez. Il convenuto deve essere altresì condannato al pagamento delle spese di giudizio, liquidate come da dispositivo. 6.3.Per effetto della presente decisione-ai sensi dell’art. 686 c.p.c. richiamato dall’art. 80 del codice di giustizia contabile- i sequestri disposti a carico del convenuto X con ordinanze --/22 e ---/22 si convertono in pignoramento, nei limiti della somma per cui è condanna, pari ad euro 420.388,89.  P.Q.M. La Corte dei conti-Sezione Giurisdizionale per la regione Lazio, definitivamente pronunciando, -Respinge l’ eccezione pregiudiziale di difetto di giurisdizione, e le eccezioni preliminari di nullità della domanda, di prescrizione formulate dal convenuto; -Accoglie parzialmente la domanda e, per l’effetto, condanna il convenuto al risarcimento in favore del Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità sostenibili del danno patrimoniale di euro 420.388,89 (euro quattrocentoventimilatrecentoottantotto//89), comprensivo di rivalutazione monetaria, oltre agli interessi legali dalla data del deposito della sentenza all’effettivo soddisfo. -Nulla per le competenze legali del terzo interveniente Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità sostenibili. - Condanna il convenuto alle spese di giudizio, in favore dello Stato che si liquidano nell’importo di euro 1.018,03 (millediciotto/03). -Dispone la conversione del sequestro conservativo, disposto a carico del convenuto con le ordinanze n. --/22 e ---/22, in pignoramento, nei limiti della somma per cui è condanna, pari ad euro 420.088,89. Ai sensi del combinato disposto dell'art. 52 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, recante il “Codice in materia di protezione dei dati personali” (Codice della privacy), e dell'art. 22, comma 1, del d.lgs. 101/2018, a tutela dei diritti e della dignità dei soggetti interessati dalla presente sentenza, e, in particolare, a tutela del loro diritto alla riservatezza dei dati personali, si dispone in particolare che, in caso di riproduzione della sentenza stessa in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, venga opportunamente omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi dei soggetti interessati riportati nella sentenza. A tal fine la Segreteria della Sezione applicherà la disposizione di cui al comma 3 dello stesso art. 52 del d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice della privacy). Manda alla Segreteria per i conseguenti adempimenti di rito. Così deciso in Roma, nelle camere di consiglio del 13 ottobre 2022 e 16 dicembre 2022 L’Estensore Anna Bombino F.to Digitalmente Il Presidente Tommaso Miele F.to Digitalmente  Depositatain Segreteria 13 marzo 2023  IL DIRIGENTE  LUCIANA TROCCOLI  F.to digitalmente

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO sezione IV CIVILE Il giudice dr.ssa Valeria Di Donato ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al N.R.G. 2184 dell'anno 2018 TRA R.T. (C.F. (...)) e D.G.F. (C.F. (...)), con l'avv. (...) ATTORI E G. SOCIETA' PER AZIONI DI ASSICURAZIONI S.P.A. (C.F. (...)) e per essa quale mandataria la V.A. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, con l'avv. (...) CONVENUTA E V.A. SPA (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con l'avv. (...) INTERVENIENTE VOLONTARIA E R.P. CONVENUTO CONTUMACE OGGETTO: sinistro stradale - risarcimento danni rassegnate dalle parti le seguenti RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO Con atto di citazione regolarmente notificato R.T. e D.G.F. hanno evocato in giudizio R.P. e la G. S.p.a. per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni patrimoniali subiti dalla prima - in qualità di proprietaria del veicolo VW Touran tg (...) - e dei danni non patrimoniali patiti dal secondo - in qualità di conducente del veicolo di proprietà della T. - in conseguenza del sinistro verificatosi in data 23.07.2016 in Rivoli, corso Primo Levi. In particolare, gli attori hanno esposto che, alle 06.00 circa, mentre D.G.F. si trovava alla guida del veicolo VW Touran in direzione Rivoli, dall'opposta direzione di marcia sopraggiungeva il veicolo Mercedes di proprietà e condotto da R.P. che, procedendo con traiettoria irregolare a "zig zag", entrava in violenta collisione con il veicolo dell'attrice, il quale terminava la propria corsa sull'appezzamento di terreno adiacente alla carreggiata. Le richieste di risarcimento stragiudiziali, pur emergendo l'esclusiva responsabilità nella produzione del sinistro del conducente del veicolo Mercedes al quale veniva contestata la violazione dell'art. 186 comma 2 C.d.S. per guida in stato di ebbrezza, non venivano soddisfatte. R.P. e la G. s.p.a., ritualmente citati in giudizio rispettivamente in qualità di proprietario del veicolo e di compagnia di assicurazione per la RCA (responsabilità civile da circolazione stradale), non si sono costituiti e ne è stata dichiarata la contumacia. In data 23.04.2018 si è, però, costituita in giudizio la V.A. S.p.a., compagnia assicurativa del veicolo VW Touran di proprietà dell'attrice, in qualità di mandataria di G. S.p.a. in forza di mandato di rappresentanza irrevocabile prodotto in atti, e contestualmente ha spiegato intervento litisconsortile autonomo ai sensi dell'art. 105 c.p.c., deducendo di essere portatrice di un interesse proprio alla partecipazione nella causa. Nel merito, ha contestato la dinamica del sinistro prospettata dagli attori ritenendo esclusivamente responsabile dell'occorso il conducente del veicolo VW Touran, il quale avrebbe invaso la carreggiata su cui viaggiava il P. causando uno scontro frontale tra i mezzi; ha contestato, inoltre, la quantificazione del danno patrimoniale e non patrimoniale nonché la richiesta di liquidazione autonoma di danno morale. Ha chiesto, pertanto, respingersi la domanda e, in subordine, limitarsi la condanna all'entità dei danni provati in giudizio. Con memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c., parte attrice ha evidenziato di aver correttamente agito nei confronti del responsabile civile e della sua compagnia assicurativa ai sensi dell'art. 144 CDA in quanto tale azione è alternativa rispetto all'azione diretta che può essere esperita nei confronti del proprio assicuratore ex art. 149 CDA. Ha eccepito, inoltre, l'inammissibilità della costituzione in giudizio di V.A. S.p.a. quale mandataria della G. S.p.a. in quanto non presente in atti la procura a tal fine rilasciata dalla convenuta, nonché l'inammissibilità dell'intervento volontario ex art. 105 c.p.c. spiegato in quanto in capo alla V.A. S.p.a. non sarebbe ravvisabile un interesse proprio alla partecipazione al giudizio e poiché la stessa sarebbe in conflitto di interessi con il proprio assicurato. Preliminarmente occorre esaminare la questione relativa all'ammissibilità della costituzione della V.A. S.p.a., in qualità di mandataria della G. S.p.a. in forza della Convenzione CARD - Convenzione tra assicuratori per il risarcimento diretto - e dell'intervento spiegato volontariamente in quanto, a suo dire, portatrice di un interesse giuridicamente apprezzabile proprio diretto a partecipare al giudizio al fine di far valere nei confronti degli attori le proprie ragioni, essendo il soggetto concretamente tenuto, in caso di eventuale condanna, all'esborso dovuto ai danneggiati a titolo di risarcimento (pag. 11-12 memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c.). Quanto al primo profilo si osserva che la V.A. S.p.a. si è costituita nel presente giudizio in qualità di mandataria della G. S.p.a. in forza di mandato di rappresentanza (prodotto sub doc. 1) alla stessa conferito per effetto "dell'adesione alla Convenzione tra imprese di assicurazione per il risarcimento diretto e per il risarcimento deiterzi trasportati - CARD, prevista dagli articoli 141 e 149 del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209 e dal D.P.R. n. 254 del 18 luglio 2006". Come condivisibilmente già evidenziato dalla giurisprudenza di merito (cfr. ex multis, Tribunale Napoli sez. IX, 24/06/2021, n. 5913 Tribunale Torino sez. III, 24/11/2017, n. 5739), la convenzione CARD (Convenzione tra assicuratori per il risarcimento diretto) è un accordo stipulato tra agenzie assicuratrici al fine di gestire il sistema del risarcimento diretto del danno e trova una specifica disciplina nell'art. 13 D.P.R. 18 luglio 2006, n. 254, il quale, al comma primo, prevede che: "Le imprese di assicurazione stipulano fra loro una convenzione ai fini della regolazione dei rapporti organizzativi ed economici per la gestione del risarcimento diretto". In particolare, la convenzione CARD riveste un ruolo rilevante in relazione alla procedura di risarcimento diretto, trattandosi di un accordo al quale aderiscono obbligatoriamente le imprese assicuratrici con sede legale in Italia allo scopo di "definire le regole di cooperazione tra imprese assicuratrici in ordine alla organizzazione ed alla gestione del sistema di risarcimento diretto, e ai rimborsi ed alle compensazioni conseguenti ai risarcimenti operati ai sensi degli articoli 141,149 e 150 del Codice delle Assicurazioni e del D.P.R. n. 254 del 18 luglio 2006". (art. 1 CARD). L'impresa assicuratrice aderente a tale convenzione assume, pertanto, una duplice veste: è definita "Gestionaria", quando risarcisce il danneggiato in tutto o in parte per conto dell'impresa assicuratrice del veicolo civilmente responsabile del sinistro; è, invece, definita "Debitrice" nell'ipotesi in cui i danni provocati dal proprio assicurato responsabile vengono risarciti per suo conto dall'impresa del danneggiato. I poteri di rappresentanza dell'impresa assicuratrice che assume la veste di Gestionaria sono regolari dall'art. 1 bis CARD, ai sensi del quale "Con la sottoscrizione della presente Convenzione le imprese aderenti riconoscono e comunque dichiarano di ritenere la procedura di risarcimento diretto come obbligatoria. Alla luce di quanto sopra, ciascuna impresa, per il solo fatto di aver ricevuto la richiesta di risarcimento del proprio assicurato, ancorché inviatale soltanto per conoscenza, è obbligata, ai sensi dell'art. 149 comma 3 ed in presenza dei presupposti di applicabilità della procedura di risarcimento diretto, ad assumere la gestione stragiudiziale del sinistro in veste di Gestionaria. Specularmente ciascuna impresa assicuratricedel responsabile civile deve astenersi, in veste di Debitrice, dalla trattazione del sinistro medesimo. Anche nelle diverse ipotesi in cui il danneggiato, pur in presenza dei presupposti di applicabilità dell'art. 149, ritenga di rivolgere la propria richiesta di risarcimento alla sola impresa Debitrice, sarà la Gestionaria ad assumere la gestione stragiudiziale del sinistro, in proprio ovvero, in forza di quanto previsto dal comma seguente, in nome e per conto della Debitrice". Al fine di consentire alle imprese assicurative Gestionarie di assumere la gestione del sinistro nei casi indicati, la disposizione prevede che "le imprese aderenti conferiscono, sin d'ora, le une alle altre, con reciproca accettazione, il mandato irrevocabile di cui all'allegato riportato in calce al presente articolo". In ordine ai poteri di rappresentanza processuale della Gestionaria, l'art. 1 bis CARD specifica che "Per le stesse ipotesi e alle medesime condizioni di cui ai commi precedenti, oltre alla rappresentanza sostanziale, ogni impresa aderente conferisce sin d'ora, per tutti i casi in cui si troverà ad assumere la veste di Debitrice, ad ogni altra impresa aderente che verrà correlativamente ad acquistare il ruolo di Gestionaria il potere di rappresentarla in giudizio, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 77 c.p.c., in tutte le vertenze relative alla gestione del sinistro, in ogni grado di giudizio, con facoltà di nominare avvocati, periti e arbitri, revocarli e sostituirli. Ciascuna impresa accetta sin d'ora il conferimento della rappresentanza processuale e si obbliga a costituirsi in giudizio in nome e per conto della Debitrice." Per effetto di tale accordo, dunque, la Gestionaria si impegna a compiere ogni attività necessaria alla gestione del sinistro ed alla liquidazione del danno in forza di un mandato irrevocabile, conferito da ciascuna impresa alle altre al momento dell'adesione alla convenzione CARD, il quale attribuisce alla Gestionaria sia la rappresentanza sostanziale, sia quella processuale della Debitrice. Ciò posto, si osserva che in relazione alla natura di tale mandato ed ai poteri che esso conferisce alla Gestionaria, in giurisprudenza si sono registrati diversi orientamenti. La questione assume particolare rilevanza nell'ipotesi - quale quella in esame - in cui il danneggiato (nel caso di specie, i danneggiati) abbia deciso di agire in giudizio nei confronti del responsabile civile e dell'impresa di assicurazione di costui e l'impresa assicuratrice del danneggiato si costituisca in giudizio quale sua rappresentante. Infatti, come evidenziato nella giurisprudenza di merito citata, per un verso, vi è la necessità di tutelare l'interesse del danneggiato ad avere in giudizio la compagnia di assicurazione effettivamente convenuta, per un altro quello delle compagnie di assicurazione firmatarie della convenzione CARD di vedersi riconosciuto il diritto sancito all'art. 1 bis di tale convenzione. Parte della giurisprudenza ha escluso che la Gestionaria abbia la facoltà di intervenire nel giudizio instaurato dal danneggiato nei confronti del responsabile civile e della sua assicurazione sulla base di considerazioni di carattere sostanziale, quale la nullità del mandato ai sensi degli artt. 1343,1344 e 1418 c.c. per illiceità della causa, e di carattere processuale, in quanto il mandato sarebbe nullo per contrasto con l'art. 81 c.p.c. (cfr. ex multis Trib. Torre Annunziata, 10 novembre 2016, n. 2830; Trib. Bologna, 16 aprile 2014, n. 20653; Trib. Genova, 10 giugno 2011, n. 2415.) Tuttavia, questa giudice ritiene di aderire all'indirizzo giurisprudenziale maggioritario e di recente condiviso anche dal giudice di legittimità, il quale invece riconosce l'ammissibilità della costituzione della Gestionaria in nome e per conto della compagnia di assicurazione del danneggiante (cfr. ex multis Cass. civ., 28/08/2019, n. 21761; Cass. civ., 14/02/2019, n. 4305; Cass. civ., 11/12/2018, n. 31965; Cass. civ., 01/08/2018, n. 20383; Cass. civ., ord. 01/03/2017, n. 5267; Cass. civ., 11/10/2016, n. 20408). Sul punto la S.C. ha chiarito come la Compagnia mandataria agisca a tutela di un diritto della mandante e non in proprio e, pertanto, le conseguenze di un'eventuale sentenza di condanna si produrranno solo nella sfera giuridica della mandante. Né si può ritenere, prosegue la S.C., che "la costituzione nel processo della mandataria, compagnia del danneggiato, pregiudichi il diritto del medesimo (individuato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 180/2009) di scegliere il soggetto nei confronti del quale far valere la sua pretesa, in quanto la pronuncia di condanna spiega comunque i suoi effetti nei confronti del soggetto individuato dal danneggiato". È stato, inoltre, "escluso che un mandato di questo tipo possa essere ritenuto nullo per illiceità della causa ex art. 1343 c.c., in quanto volto ad eliminare la facoltà concessa al danneggiato di agire direttamente contro l'assicuratore del responsabile civile. Infatti nell'ambito delle diverseprocedure di risarcimento regolate dal D.Lgs. n. 209 del 2005, è ben possibile che la compagnia di assicurazione del danneggiato si costituisca in giudizio quale rappresentante volontaria di quella del danneggiante sulla base del mandato da quest'ultima conferitole, senza che ciò pregiudichi il diritto del danneggiato di scegliere il soggetto nei cui confronti fare valere la propria pretesa e fermo restando che gli effetti di una eventuale pronuncia si producono soltanto nella sfera giuridica della mandante (Cass. civ. Sez. III, ord. 11-12-2018, n. 31965; Cass. civ. Sez. III, 11-10-2016)" (cfr. già cit. Cass. n. 21761/2019). In ordine al potere di rappresentanza processuale della Gestionaria, sulla base del presupposto per cui tale potere può essere riconosciuto soltanto in capo a colui che sia investito del potere rappresentativo di natura sostanziale in relazione al rapporto dedotto in giudizio, la Suprema Corte ha chiarito che: "La norma processuale in forza della quale si costituisce la compagnia gestionaria in nome e per conto della debitrice deve essere individuata nell' art. 77 cod. proc. civ" (Cass. sez. III, 11/10/2016, n.20408). Tale disposizione è, infatti, espressamente richiamata dall'art. 1 bis CARD in virtù del quale le imprese firmatarie si attribuiscono reciprocamente il potere di rappresentanza sostanziale e, quindi, legittimamente, anche quella processuale in merito ai sinistri per i quali è prevista la procedura di indennizzo diretto. Alla luce di tale regolamentazione, la mandataria deve dunque ritenersi legittimata a resistere all'azione proposta dal danneggiato in nome e per conto della debitrice, facendo valere tutte le eccezioni relative al rapporto risarcitorio dedotto in giudizio. Peraltro, il Giudice di Legittimità ha ancora chiarito che la Gestionaria può svolgere una difesa che sia in contrasto con le pretese avanzate dal danneggiato, pur essendo essa l'impresa di assicurazione con la quale è stato stipulato il contratto di assicurazione relativo al veicolo utilizzato, in quanto tale possibilità non è estranea al sistema: "nella procedura di risarcimento diretto, infatti, la possibilità riconosciuta al danneggiato di promuovere il giudizio contro la propria assicurazione non significa affatto che questa sia obbligata a pagare senza contestare alcunché o che non sia immaginabile una situazione di contrasto tra le due parti (v., in argomento, oltre all'ordinanza 9 ottobre 2015, n. 2037-1, anche l'ordinanza 11 luglio 2017, n. 17128). Né i termini del problema vengono a mutare per il fatto che, avviata la consueta procedura risarcitoria nei confronti del conducente antagonista e del suo assicuratore,quest'ultimo decida di delegare l'assicurazione del danneggiato per la gestione della lite (com'è avvenuto nella specie)." (Cass. civ., 1/08/2018, n. 20383). Quanto all'ammissibilità della costituzione della compagnia del danneggiato quale Gestionaria della Debitrice, compagnia assicurativa del responsabile civile, anche nei giudizi azionati ex art. 144 CDA, in linea con l'orientamento maggioritario dalla giurisprudenza di merito (c.f.r. Tribunale Ferrara, 20/03/2018, n. 193; Tribunale Torino sez. III, 24/11/2017, n. 5739), si ritiene che il mandato conferito dalla Debitrice è valido ed operante in qualsiasi caso in cui si sia verificato un sinistro tra due veicoli a motore identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria (art. 149 CDA), essendo irrilevante in quest'ultimo caso il fatto che l'attore agisca ai sensi della procedura prevista dagli art. 144 e 148 o dell'art. 149 CDA. Tale conclusione è supportata dalla lettera dell'art. 1 bis CARD il quale, come già evidenziato, stabilisce espressamente: "Anche nelle diverse ipotesi in cui il danneggiato, pur in presenza dei presupposti di applicabilità dell'art. 149, ritenga di rivolgere la propria richiesta di risarcimento alla sola impresa Debitrice, sarà la Gestionaria ad assumere la gestione stragiudiziale del sinistro, in proprio ovvero, in forza di quanto previsto dal comma seguente, in nome e per conto della Debitrice". Tale disciplina è riportata nel mandato irrevocabile di rappresentanza (nel caso di specie prodotto sub doc. 1 dalla V.A. s.p.a.) in cui si precisa che la Debitrice conferisce all'impresa Gestionaria "un mandato irrevocabile a compiere ogni attività, nessuna esclusa, che si rende necessaria per la gestione e la liquidazione del danno nei sinistri rientranti nell'ambito di applicazione degli articoli 141 e 149 del Codice delle Assicurazioni, ferma la successiva regolazione dei rapporti economici tra imprese secondo quanto previsto dall'art. 13 del D.P.R. n. 254 del 2006." Come condivisibilimente osservato dal Tribunale di Torino "La formulazione del mandato in questi termini, induce a ritenere che oggetto del potere di rappresentanza conferito non sia la gestione delle controversie ex art. 149 codice delle assicurazioni, quanto piuttosto la gestione dei sinistri che, qualsiasi sia l'azione scelta dal danneggiato, comunque potrebbero rientrare nell'ambito di applicazione dell'art. 149 CdA. Il richiamo all'articolo 149 del codice delle assicurazioni dunque non fa riferimento al tipo di azione prescelto, ma al tipo di sinistro chedovrà essere gestito. In sostanza: se un sinistro rientra nelle ipotesi di cui all'art. 149 CdA e cioè se potrebbe anche solo astrattamente essere gestito con il risarcimento diretto, allora opera il mandato e la assicurazione mandataria può compiere ogni tipo di attività per gestire il sinistro; (Tribunale Torino sez. III, 24/11/2017, n. 5739). Pertanto, alla luce delle considerazioni esposte, questa giudice ritiene che il mandato conferito da G. S.p.a. a V.A. S.p.a. sia valido e non sia limitato alla gestione e liquidazione del danno nei soli casi in cui il danneggiato azioni il risarcimento diretto ex art. 149 CDA, ma, al contrario, sia esteso anche alle ipotesi di azione per il risarcimento ordinario, astrattamente rientranti nell'ambito di applicazione dell'art. 149 CDA. Sul punto, si osserva che nel presente giudizio, il danneggiato D.G.F. agisce per il risarcimento del danno biologico subito a seguito del sinistro per cui è causa (in quanto conducente del veicolo di proprietà dell'attrice R.T.) quantificato in atti in misura pari al 3-4%, percentuale contenuta nel limite previsto dall'art. 139 CDA, espressamente richiamato dall'art. 149 CDA e rientrando, dunque, astrattamente nell'ambito di applicazione di tale disposizione. In definitiva, tali considerazioni consentono di ritenere senz'altro ammissibile la costituzione di V.A. S.p.a. quale mandataria di G. S.p.a. nel presente giudizio promosso dai danneggiati ex art. 144 CDA nei confronti del responsabile civile e della sua compagnia assicurativa in quanto il sinistro per cui è causa rientra astrattamente nell'ambito di applicazione dell'art. 149 CDA; ne consegue che deve essere revocata la dichiarazione di contumacia della convenuta G. S.p.a., pronunciata con provvedimento reso a verbale all'udienza del 15.05.2018. Sempre in via preliminare, occorre inoltre evidenziare che deve ritenersi ammissibile anche l'intervento volontario ex art. 105 c.p.c. spiegato in proprio nel presente giudizio dalla V.A. S.p.a., essendo il soggetto concretamente tenuto, in caso di eventuale condanna, all'esborso dovuto ai danneggiati a titolo di risarcimento, alla luce della regolamentazione contenuta nella già citata Convenzione CARD. Quanto all'ammissibilità dell'intervento dell'impresa di assicurazione del danneggiato nell'ambito dell'azione risarcitoria da quest'ultimo proposta nei confronti del responsabile civile e della sua compagnia di assicurazione, la questione si è posta soprattutto a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 180 del 2009 con la quale l'azione diretta prevista dall'art. 149 C.D.A. contro il proprio assicuratore è stata configurata "come una facoltà" e non un obbligo e, dunque, "un'alternativa all'azione tradizionale per far valere la responsabilità dell'autore del danno", nell'ottica della finalità del legislatore di "rafforzare la posizione dell'assicurato rimasto danneggiato, considerato soggetto debole, legittimandolo ad agire direttamente nei confronti della propria compagnia assicuratrice, senza peraltro togliergli la possibilità di fare valere i suoi diritti secondo i principi della responsabilità civile dell'autore del fatto dannoso". Orbene, mentre nell'ambito della procedura di cui all'art. 149 C.D.A. allorquando il danneggiato abbia agito nei confronti dell'impresa di assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato, è espressamente consentito e disciplinato l'intervento dell'assicuratore del responsabile al fine di estromettere la compagnia del danneggiato, nel caso in cui l'azione sia stata esperita nei confronti del responsabile e della sua compagnia assicurativa, pur sussistendo i presupposti applicativi di cui all'art. 149 C.D.A., conformemente a quanto sancito dalla Corte Costituzionale con la richiamata pronuncia, l'intervento dell'assicuratore del danneggiato non è espressamente previsto, ragione per la quale si è posto il problema dell'ammissibilità di detto intervento. In proposito, questa giudice ritiene di condividere, ancora una volta, l'orientamento maggioritario recentemente registrato nella giurisprudenza di merito secondo cui "l'intervento dell'impresa assicuratrice del danneggiato va qualificato come intervento adesivo autonomo che non danneggia la posizione processuale o sostanziale del danneggiato perché per effetto della delegazione il debitore originario non è liberato dalla sua obbligazione, salvo che il creditore dichiari espressamente di liberarlo." (Tribunale Milano sez. VI, 26.01.2021, n. 522). Dal punto di vista causale, l'intervento in proprio della Gestionaria si giustifica sulla base degli impegni assunti dalle imprese assicuratrici con la convenzione CARD. Più nel dettaglio, le norme operative dettate con riferimento all'art. 20 CARD prevedono che la Gestionaria è convenzionalmente tenuta alla gestione del contenzioso in qualità di sostituto processuale della Debitrice e che le citazioni indirizzate esclusivamente alla Debitrice debbano essere notificate alla Gestionaria in tempo utile per consentirle un intervento volontario nel processo. L'interesse giuridico della Gestionaria alla partecipazione in proprio nel giudizio emerge poi con ogni evidenza dalla disciplina dettata dalle norme operative nell'eventualità in cui l'intervento della Gestionaria non sia accettato dal giudice: in tal caso, successivamente alla comunicazione da parte della Gestionaria, la Debitrice dovrà costituirsi in giudizio al fine di definire la controversia ma l'importo del danno successivamente risarcito dalla Debitrice sarà addebitato all'impresa Gestionaria. Conformemente alla ricostruzione operata dal Tribunale di Milano con sentenza 28.10.2011, n. 13052 e ripresa anche recentemente dalla successiva giurisprudenza di merito (c.f.r. Tribunale Vicenza, 04.11.2022, n. 1859; Tribunale di Monza, 20.5.2022 n. 1134; Tribunale Cassino, 16.01.2017, n. 55), lo schema giudico creato per effetto dalle citate disposizioni della CARD è riconducibile alla figura della delegazione cumulativa, disciplinata dagli artt. 1268 ss. c.c. Come condivisibilmente osservato dal Tribunale Cassino, 16.01.17, n. 55 "La delegazione, che sorge allorché un debitore assegna al creditore un nuovo debitore che si obbliga verso il creditore, oltre al c.d. rapporto di valuta in favore del creditore, presuppone l'esistenza di un rapporto di provvista tra debitore originario e nuovo debitore. Nella fattispecie, il rapporto di provvista tra assicuratore del responsabile (delegante) e assicurazione del danneggiato (delegato) sussiste e rinviene la sua causa propria nella convenzione CARD conclusa tra le imprese, in virtù della quale ciascuna delle partecipanti deve assumere la "veste... di Gestionaria, quando il risarcimento viene effettuato, in tutto o in parte, per conto dell'impresa assicuratrice del veicolo civilmente responsabile del sinistro". L'esistenza, sul piano del diritto sostanziale, di un simile rapporto di provvista giustifica l'assegnazione - da parte dell'impresa del responsabile, nei confronti della quale il danneggiato abbia esperito l'azione risarcitoria - dell'impresa del danneggiato quale nuovo debitore e ciò, sul piano processuale, vale a fondare l'interesse di quest'ultima compagnia a resistere alla domanda attorea e, in ultima analisi, a legittimarne l'intervento. L'intervento dell'impresa del danneggiato è, dunque, da qualificarsi in termini di intervento adesivo autonomo (detto anche litisconsortile), che non pregiudica minimamente la posizione processuale o sostanziale del danneggiato la quale, al contrario, neviene fuori rafforzata, se si considera che, per effetto della delegazione, "il debitore originario non è liberato dalla sua obbligazione, salvo che il creditore dichiari espressamente di liberarlo" (delegazione cumulativa) e che, sul piano processuale, l'intervento volontario del terzo produce l'automatica estensione nei suoi confronti, anche in assenza di espressa istanza, della domanda originaria (Cfr. Cassazione, sentenza 1 luglio 2008, n. 17954)." Alla luce di tale ricostruzione e considerate assorbite le ulteriori eccezioni sollevate da parte attrice sul punto, l'intervento volontario ex art. 105 c.p.c. spiegato da V.A. nel presente giudizio si ritiene ammissibile, in quanto sostenuto da un interesse giuridico apprezzabile alla partecipazione. Entrando nel merito della controversia, si osserva che il fatto illecito dedotto in giudizio a fondamento della domanda risarcitoria è lo scontro tra due veicoli in circolazione su corso Primo Levi in prossimità del km 7, in Rivoli, pacificamente avvenuto il 23.07.2016. L'art. 2054 comma 2 cod. civ. in caso di scontro tra veicoli pone una presunzione di pari responsabilità dei conducenti nella produzione del danno, fino a prova contraria; tale presunzione, tuttavia, ha natura sussidiaria e opera solo se non sia possibile accertare le modalità e la dinamica del sinistro e le rispettive responsabilità o l'incidenza delle singole condotte colpose nella produzione dell'evento (cfr. Cass. n. 10304/2009; n. 29883/2008) Ove sia possibile sulla base del materiale probatorio raccolto individuare in concreto un grado di colpa dei conducenti coinvolti nel sinistro, occorre procedere alla graduazione della colpa di ciascuno di essi, tenendo conto del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui l'accertamento in concreto della colpa di uno dei due soggetti non esclude la presunzione di colpa concorrente dell'altro, ove non sia stata da quest'ultimo fornita la prova liberatoria dell'assenza di ogni possibile addebito a suo carico, ossia la prova di essersi uniformato alle norme sulla circolazione stradale e a quelle di comune prudenza (cfr. Cass. n. 18631/2015; n. 29883/2008). L'accertata violazione di norme del codice della strada in capo ad uno dei conducenti non dispensa, dunque, il giudice dal verificare il comportamento dell'altro conducente al fine di "stabilire se quest'ultimo abbia a sua volta violato o meno le norme sulla circolazione stradale ed i normali precetti di prudenza, potendo l'eventuale inosservanza di dette norme comportarel'affermazione di una colpa concorrente" (Cass. civ., n. 3696/2018; Cass. civ., n. 124/2016; Cass. civ., n. 8051/2016) Quanto al rigore dell'onere probatorio per il superamento della presunzione posta dall'art. 2054 comma 2 cod. civ., va precisato che se è pur vero che in caso di sinistro stradale l'infrazione commessa da un conducente non dispensa il giudice dal verificare l'eventuale concorso di colpa dell'altro soggetto coinvolto, è altrettanto vero che per quest'ultimo la prova liberatoria può scaturire anche in modo indiretto dall'accertamento che la condotta del conducente trasgressore è legata da un esclusivo rapporto di causa - effetto all'evento dannoso (cfr. Cass. n. 14064/2010; n. 9550/2009; 5226/2006). Con riguardo all'applicazione e all'interpretazione della norma in esame, la giurisprudenza di legittimità ha confermato questa tendenza "riequilibratrice" precisando che l'accertamento della colpa esclusiva di uno dei conducenti nella determinazione causale del sinistro libera l'altro dalla presunzione della concorrente responsabilità di cui all'art. 2054 comma 2 cod. civ. nonché dall'onere di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno e la prova liberatoria per il superamento di detta presunzione di colpa non deve necessariamente essere fornita in modo diretto - cioè dimostrando di non aver arrecato apporto causale alla produzione dell'incidente - ma può anche indirettamente risultare tramite l'accertamento del collegamento eziologico esclusivo o assorbente dell'evento dannoso con il comportamento dell'altro conducente (cfr. Cass. n. 6039/2017; n. 9550/2009; n. 5226/2006). In particolare, "ove sia stato accertato in concreto che uno dei due conducenti ha tenuto una condotta inequivocabilmente idonea a cagionare il danno (come, ad esempio, la perdita di controllo del veicolo e la conseguente invasione dell'opposta corsia di marcia), l'impossibilità per l'altro conducente di fornire la prova liberatoria, non implica l'automatico addebito a quest'ultimo di un concorso di colpa, rischiandosi altrimenti che l'applicazione dell'art. 2054 cod. civ. assuma l'impropria valenza di clausola limitativa della responsabilità piuttosto che di norma volta a sollecitare la cautela dei conducenti e a risolvere i casi dubbi" (cfr. Corte d'Appello Campobasso sent. 10/1/2017 che richiama Cass. n. 12408/2011). In sintesi, secondo i principi espressi dalla S.C. qualora sia accertato che la condotta colposa di un conducente sia stata di per sé idonea a cagionare autonomamente il sinistro, la prova liberatoria che grava sull'altro conducente è sostanzialmente assorbita e insita nell'accertamento della riconducibilità eziologica dello scontro esclusivamente alla condotta gravemente colposa dell'altro. Ciò premesso, nella fattispecie in esame, alla luce del quadro probatorio formatosi in corso di causa, deve ritenersi superata la presunzione di pari responsabilità di entrambi i conducenti prevista dall'art. 2054 comma 2 cod. civ., essendo emersi sufficienti elementi di fatto idonei alla ricostruzione del sinistro che conducono all'addebito della responsabilità in capo a R.P. nella prevalente misura dell'80% e in capo a (...) F. per il residuo 20%. In particolare, sulla base degli accertamenti eseguiti dagli agenti intervenuti sul posto al momento del sinistro, delle dichiarazioni rese dal testimone accorso sul luogo poco dopo l'accaduto e dagli stessi conducenti dei mezzi, deve ritenersi provato che l'incidente sia stato causato dalla condotta di guida tenuta da R.P. che, in violazione delle norme di cui agli artt. 186 comma 2 e 141 del CDS si è posto alla guida del proprio veicolo in stato di ebbrezza e successivamente ne ha abbandonato immotivatamente e totalmente il controllo, e (in minor misura) dal fatto che F., in violazione del disposto dell'art. 143 Codice della Strada (C.d.S.), procedesse senza mantenere rigorosamente la destra e si trovasse, dunque, al momento dello scontro verso il centro della carreggiata in prossimità della linea di mezzeria. Dalla Relazione di incidente stradale redatta dai CC della Compagnia di Rivoli (doc. n. 1) risulta che: - lo scontro tra i due veicoli è avvenuto in corso Primo Levi del Comune di Rivoli, in prossimità del km 7, e ha interessato la parte frontale e laterale sinistra di entrambi i mezzi; - il veicolo "A" del P. viaggiava in direzione Villarbasse mentre il veicolo "B" condotto dal F. percorreva corso Primo Levi in direzione Torino; - i veicoli sono stati rinvenuti nella posizione statica assunta nella fase terminale dell'evento, come rappresentata nello schizzo planimetrico allegato alla Relazione; Questi gli elementi oggettivi certi e non contestati. In ordine alla ricostruzione della dinamica del sinistro, a seguito degli accertamenti effettuati sul posto anche in relazione alla posizione finale dei veicoli e ai danni riportati dagli stessi, gli agenti concludevano che: "Il conducente del veicolo "A" percorreva corso Primo Levi (S.P. 7) del Comune di Rivoli con direzione di marcia Rivoli verso Villarbasse. Giunto all'altezza del km 7+500, come si evince dal presunto punto d'urto, giungeva dal senso opposto con direzione di marcia Villarbasse verso Rivoli il veicolo "B", il quale invadendo parte della corsia di sinistra collideva con la parte anteriore sinistra contro la parte anteriore sinistra del veicolo "A". A seguito del violento impatto entrambi i conducenti perdevano il controllo dei mezzi...". Come chiarito dal teste C.D.G.C., agente che ha collaborato ai rilievi sul luogo del sinistro, il punto d'urto indicato nella Relazione dell'incidente viene in genere individuato sulla base della posizione assunta dai detriti all'esito dello scontro tra i veicoli ("il punto di impatto in genere lo individuiamo nel punto in cui troviamo la maggior parte dei detriti"). Tuttavia, le posizioni dei frammenti e dei detriti rinvenuti dagli agenti a seguito dell'occorso non sono indicate nel verbale - pur presenti come visibile nella documentazione fotografica allegata alla perizia di parte attrice - così come non sono individuate eventuali tracce di frenata o di scarrocciamento nel tratto stradale precedente rispetto alla posizione dei veicoli post urto (cfr. relazione incidente "Al suolo, asciutto, non erano visibili tracce di frenata interessanti gli pneumatici dei veicoli coinvolti"). Il verbale redatto dai CC intervenuti non ha fornito, dunque, elementi certi sul punto d'urto tra i due veicoli, considerato che gli agenti hanno dedotto l'invasione della corsia opposta da parte del veicolo "B" condotto dal F. solamente dalla posizione dei detriti. Si è reso, pertanto, necessario disporre una CTU cinematica all'esito della quale è emerso che, sebbene la posizione dei detriti sia un'informazione geometrica utile ai fini ricostruttivi e alla ricerca della posizione del punto d'urto, in generale la posizione in cui frammenti vengono rinvenuti all'esito di una collisione non può essere ritenuta rappresentativa della effettiva e precisa posizione della zona d'urto. Sul punto il CTU ha chiarito che "È utile, infatti, forse ricordare come una quota dell'energia dissipata nell'urto tra veicoli concorra sia alla formazione, sia alla proiezione di detriti nell'intorno del punto ove avviene la collisione; senza contare che il moto caotico complessivo conseguente all'impatto ne può alterare la traiettoria o far sì che vengano rilasciati dal veicolo solo qualche istante dopo dalla loro formazione e, dunque, a distanza dall'effettiva zona di formazione (zona d'urto). Ritenere dunque che i frammenti cadano nell'esatta posizione in cui avviene la collisione è foriero di possibili errori e di insidiosi fraintendimenti che allontanano dalla verità tecnica del fatto realmente accaduto." In assenza di ulteriori elementi oggettivi (tracce di frenata, incisioni dell'asfalto, segni sui margini erbosi sul lato strada), il CTU ha condivisibilmente evidenziato che "la posizione dei detriti e dei frammenti osservabile nelle immagini in Atti consente di affermare che la collisione è avvenuta in prossimità della linea di mezzeria, data la vicinanza geometrica al tratto di segnaletica orizzontale. Non vi è modo, tuttavia, di stabilire con certezza o adeguata confidenza tecnica in quale delle due corsie l'urto si sia effettivamente concretizzato, se nella corsia ove si osservano i frammenti di maggiore dimensione (corsia dir. Villarbasse, percorsa dalla MERCEDES: ipotesi convenuta) o se in quella adiacente (corsia dir. Torino, percorsa dalla VW TOURAN, ipotesi attorea), né le ragioni addotte in Atti dalle Parti sono sufficienti ad argomentare le rispettive tesi." In definitiva, considerato pacifico tra le parti che il sinistro sia stato causato dall'invasione della corsia opposta da parte di una delle due vetture e articolandosi il contrasto su quale dei due conducenti abbia oltrepassato la linea di mezzeria, il CTU ha concluso che la zona d'urto "certamente si concretizzò in prossimità della linea di mezzeria della carreggiata" ma che "Gli elementi tecnici in Atti e l'assenza di testimoni al fatto, tuttavia, NON consentono di dirimere in via tecnica la controversia, di identificare la vettura fuori corsia e, tanto meno, la causa alla base della traiettoria errata." Pur in assenza dell'individuazione certa del punto d'urto tra i veicoli, è possibile trarre elementi utili per la ricostruzione della condotta tenuta delle parti immediatamente prima dello scontro dal compendio probatorio in atti e, in particolare dagli ulteriori accertamenti sulla persona svolti dai CC intervenuti e da quanto dichiarato dalle parti agli stessi. Infatti, come si legge nella Relazione dell'incidente, entrambi i conducenti dei veicoli sono stati sottoposti ad alcol test, in esito al quale R.P. è risultato positivo (cfr. doc. 25 di parte attrice) con conseguente contestazione della violazione dell'art. 186, comma 2 C.d.S.; gli accertamenti svolti sulla persona del F. davano, invece, esito negativo. Lo stato psico-fisico alterato del P. è inoltre confermato da quanto riportato dal teste S.S., non presente sul luogo al momento del sinistro ma accorso successivamente, il quale afferma; "non ho assistito al sinistro ma sono arrivato per primo in assoluto sul posto, chiamato da mio cognato che mi ha avvertito dell'incidente...Il conducente era in evidente stato confusionale e diceva "mi dispiace tanto. Mettiamoci d'accordo e non chiamiamo nessuno". Sulla dedotta grave violazione delle norme sulla circolazione stradale e degli ordinari e più banali precetti di prudenza da parte del P. paiono dirimenti le dichiarazioni spontanee rese dallo stesso agli agenti intervenuti sul luogo del sinistro: "Quando dal senso di marcia opposto al mio, notavo un veicolo che invadeva la mia corsia, a quel punto, visto che non potevo fare altre manovre, mi coricavo trasversalmente sul sedile del trasportato". Lo stato di alterazione psico-fisica del P. e la scelta di abbandonare il controllo del veicolo anziché porre in essere eventuali manovre di emergenza necessarie per evitare l'impatto con il veicolo attoreo, come richiesto dall'art. 2054, comma 1 c.c., sono circostanze sufficienti a integrare la colpa grave del convenuto nella propria condotta di guida e idonee a causare il sinistro, oltre che compatibili con le dichiarazioni rese dall'attore nell'immediatezza. Sul punto, in particolare, si richiamano le dichiarazioni rese ai CC nelle ore immediatamente successive al sinistro da F., conducente del veicolo VW Touran: "....notavo un'autovettura Mercedes di colore grigio che proveniva dal senso opposto che invadeva la mia corsia di marcia e mi impattava sul lato sx dell'autovettura a me in uso"; tale dichiarazione è stata integrata in data 05.08.2016, avendo il conducente successivamente precisato di aver visto sopraggiungere il veicolo con il quale è avvenuto lo scontro "uscire dalla semicurva e invadere sbandando più volte a destra e a sinistra, mettendomi in condizioni di dover evitare lo scontro con manovre a zig zag anche da parte mia." A ciò si aggiunga che, a fonte del quadro probatorio formatosi nel corso del giudizio, la mancata risposta all'interrogatorio formale da parte di P. costituisce un comportamento processuale qualificato destinato a fornire elementi di valutazione idonei ad integrare il convincimento del giudice sulle circostanze articolate nei singoli capitoli. Pertanto, i richiamati riscontri unitamente alla mancata presentazione di P. a rendere interrogatorio formale senza giustificato motivo inducono questa giudice a ritenere senz'altro provata la condotta gravemente colposa tenuta del P., il quale in violazione dell'art. 186, comma 2 e 141 C.d.S. e delle regole di comune prudenza si è posto alla guida del proprio veicolo in stato di ebbrezza e ne ha abbandonato volontariamente il controllo, causando lo scontro con la vettura condotta dal convenuto. Per altro verso, nonostante non sia possibile individuare con precisione il punto d'urto tra i veicoli, occorre rilevare che, sulla scorta di quanto concluso dal CTU, può ritenersi accertato che entrambi i veicoli viaggiassero al centro della carreggiata in violazione dell'art. 143 C.d.S.: "la collisione avveniva con certezza in prossimità della linea di mezzeria, posta a separazione tra le due corsie di marcia della carreggiata. L'esatta posizione della zona d'urto in senso trasversale alla carreggiata NON è determinabile con certezza, attesa la prossimità alla linea di mezzeria dei detriti rimasti a terra...non è dunque allo stato determinabile in via tecnica quale delle due vetture abbia oltrepassato la linea di mezzeria; è altresì certo, sempre in ragione della posizione dei detriti, che anche la vettura antagonista transitava comunque in prossimità della linea di separazione tra le due corsie e non del margine destro." Alla luce di tali risultanze, sebbene l'invasione di corsia da parte del veicolo condotto da F., ipotizzata dai CC intervenuti, non abbia trovato riscontri certi nei risultati della CTU cinematica esperita, si ritiene che l'attore non abbia fornito la prova liberatoria dell'assenza di ogni possibile addebito a suo carico, ossia la prova di essersi uniformato alle norme sulla circolazione stradale e a quelle di comune prudenza. Invero, F. in un primo momento ha dichiarato che una vettura proveniente dal suo opposto senso di marcia invadeva la sua corsia impattando sul lato sinistro della sua vettura, senza nulla specificare in merito a una pregressa andatura a "zig zag". Solo successivamente, a distanza di oltre due settimane dal sinistro, F. presentatosi spontaneamente presso gli uffici del N.O.R. rilasciava dichiarazioni integrative sulla dinamica del sinistro precisando che era stato costretto a tenere un'andatura a zig-zag al fine di evitare l'impatto con il veicolo del convenuto, il quale avrebbe invaso la sua corsia dopo ripetuti sbandamenti. Ebbene, a prescindere dalla valenza probatoria di tali dichiarazioni aggiuntive, ritiene questo Tribunale che la manovra di "emergenza" approntata dal F. debba considerarsi imprudente e non efficace in quanto l'andatura a "zig-zag", asseritamente posta in essere, non ha consentito di evitare l'impatto e, anzi, ha contribuito alla produzione dell'evento, portando il veicolo in prossimità della linea di mezzeria, in violazione di quanto disposto dall'art. 143 C.d.S. In ogni caso, anche a prescindere dall'andatura tenuta dai due veicoli prima dello scontro, il dato certo è che lo stesso sia avvenuto in prossimità della linea di mezzeria e che, pertanto, entrambi i veicoli non rispettavano l'obbligo di circolare in prossimità del margine destro. Ne consegue che deve ritenersi accertata la violazione anche da parte del conducente F. del disposto dell'art. 143 C.d.S. nella parte in cui prescrive che "I veicoli devono circolare sulla parte destra della carreggiata e in prossimità del margine destro della medesima, anche quando la strada è libera. 2. I veicoli sprovvisti di motore e gli animali devono essere tenuti il più vicino possibile al margine destro della carreggiata. 3. La disposizione del comma 2 si applica anche agli altri veicoli quando si incrociano ovvero percorrono una curva o un raccordo convesso, a meno che circolino su strade a due carreggiate". Pare opportuno precisare che l'art. 143 C.d.S., comma 1 prescrive al conducente di un veicolo a motore non solo di tenere la mano destra della carreggiata, ma di tenersi vicino al margine destro (cfr. Cass. n. 1663 del 1994), si che, pur non dovendolo rasentare onde lasciare alla propria destra uno spazio per consentire un sufficiente margine di manovra da utilizzare in ogni evenienza, lo spazio da lasciare non può tuttavia esser tale da consentire al veicolo, avuto riguardo alle sue dimensioni e a quelle della carreggiata di sua pertinenza, di viaggiare rasente alla linea di mezzeria, e così di fatto vanificare la suddetta prescrizione. La collisione è, pertanto, seppur in minima parte, causalmente imputabile anche alla condotta tenuta da F. che non rispettando l'obbligo della rigorosa tenuta della mano destra ha violato il precetto di cui all'art. 143 C.d.S. e non ha fornito la prova liberatoria richiesta dall'art. 2054 cod. civ., non avendo provato di avere integralmente conformato la propria condotta di guida a tutte le regole cautelari vigenti. F. avrebbe, difatti, dovuto procedere lungo il margine destro della carreggiata, ancor più nell'approssimarsi del veicolo del convenuto con traiettoria irregolare potendo in tal caso ragionevolmente tentare di evitare l'impatto rallentando o approntando una efficace manovra di emergenza, sicché, questi deve ritenersi responsabile della causazione del sinistro, con contributo valutabile in una percentuale del 20%. La maggiore quota di responsabilità deve essere attribuita a P. che ponendosi alla guida in stato di ebbrezza e successivamente abbandonandone ingiustificatamente il controllo ha creato un'improvvisa situazione di pericolo per le auto provenienti dall'opposta corsia di marcia di non agevole neutralizzazione. Quanto alla natura e all'entità delle lesioni riportate da F., si è resa necessaria la nomina di un CTU, in persona della dott.ssa G.V. (specialista in medicina legale) che, dopo aver esaminato il paziente e la documentazione medica prodotta, con argomentazioni che si condividono integralmente, in quanto lineari e immuni da vizi logici, in accordo con i CTP che non hanno presentato osservazioni, ha accertato che a seguito del sinistro in oggetto l'attore, conducente del veicolo VW Touran, riportò "la distorsione del rachide cervicale, la frattura scomposta di clavicola sinistra e la contusione di polso destro", con conseguente applicazione di un "bendaggio a otto" presso l'Ospedale di Rivoli e successivi trattamenti fisioterapici. Ritenuti i postumi stabilizzati e non migliorabili, il CTU ha, dunque, stimato un danno biologico permanente computabile nella misura del 3% (già tenuto conto della riscontrata pregressa frattura della clavicola sinistra) e un danno biologico di natura temporanea protrattosi per complessivi 65 giorni di cui: - 15 gg. di ITP al 75% - 25 gg. di ITP al 50% - 25 gg. Di ITP al 25% Il CTU ha, poi, precisato che le lesioni riscontrate sono in rapporto di causalità con il sinistro per cui è causa e che la valutazione dei postumi residuati tiene conto dell'incidenza della menomazione sulle attività ordinarie intese come "aspetti dinamico-relazionali comuni a tutti", senza pregiudizi a carico di aspetti dinamico-relazionali personali, non documentati. Le spese sanitarie documentate per fini di diagnosi e terapia ritenute congrue e necessarie sono state quantificate in Euro 548,58 (docc. 13, 20 e 22). Ciò posto, ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale, appare opportuno ricordare che in base ai principi dettati dalla ormai nota pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Unite n. 26972/2008, il danno risarcibile in conseguenza di un fatto illecito si distingue in danno patrimoniale e danno non patrimoniale e il secondo va riconosciuto solo nei casi determinati dalla legge, o "in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionalmente inviolabili, nei casi di danno prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione". Il cd. danno biologico, che ha trovato una definizione suscettibile di applicazione generalizzata nella normativa dettata dagli artt. 138 e 139 del D.Lgs. n. 209 del 2005 - quale "lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico - relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla capacità di reddito" - non è altro che una formula sintetica descrittiva del danno alla salute e va risarcito in quanto danno non patrimoniale tutelato dall'art. 32 della Costituzione cui rinvia l'art. 2059 cod. civ.. Nella fattispecie in esame, poiché le lesioni riportate dall'attore non superano il 9% trovano applicazione i parametri dettati dall'art. 139 del D.Lgs. n. 209 del 2005, aggiornati al D.M. 8 giugno 2022, per il risarcimento dei danni di lieve entità derivanti dai sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti. In base a tali tabelle il danno non patrimoniale di natura permanente, considerata la percentuale di invalidità del 3% e l'età del danneggiato al momento del sinistro (48 anni), deve essere liquidato in Euro 2.539,75, cui va aggiunto l'importo complessivo di Euro 1.523,71 per invalidità temporanea, dato dalla somma di Euro 571,39 per ITP al 75%, Euro 634,88 per ITP al 50% e Euro 317,44 per ITP al 25%. Quanto alla richiesta di riconoscimento di un'ulteriore somma a titolo di danno cd. morale, va preliminarmente osservato che, sulla scorta della ormai nota sentenza della Suprema Corte a Sezioni Unite n. 26972/2008, il danno risarcibile in conseguenza di un fatto illecito si distingue in danno patrimoniale e danno non patrimoniale e il secondo va riconosciuto solo nei casi determinati dalla legge, o "in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionalmente inviolabili, nei casi di danno prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione". Il cd. danno biologico, che ha trovato una definizione suscettibile di applicazione generalizzata nella normativa dettata dagli artt. 138 e 139 del D.Lgs. n. 209 del 2005, quale "lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico- relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla capacità di reddito", non è altro che una formula sintetica descrittiva del danno alla salute e va risarcito in quanto danno non patrimoniale tutelato dall'art. 32 della Costituzione cui rinvia l'art. 2059 cod. civ.. La riconduzione della risarcibilità del danno biologico nell'ambito della previsione dell'art. 2059 cod. civ. e non più in base al collegamento tra l'art. 2043 cod. civ. e 32 Cost. si impone anche per il cd. danno morale, la cui definizione di turbamento transeunte cagionato da reato deve ritenersi del tutto superata. La formula "danno morale", precisa la Corte, "non individua un'autonoma categoria di danno ma descrive, tra i possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata; sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini dell'esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento". Le pronunce successive della Suprema Corte hanno, poi, precisato che " Il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile "esistenziale", e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l'illecito abbia violato diritti fondamentali della persona) costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili; né tale conclusione contrasta col principio di unitarietà del danno non patrimoniale, sancito dalla sentenza n. 26972 del 2008 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, giacché quel principio impone una liquidazione unitaria del danno, ma non una considerazione atomistica dei suoi effetti" (cfr. Cass. n. 20292/2012) e che "La liquidazione del danno non patrimoniale deve essere complessiva e cioè tale da coprire l'intero pregiudizio a prescindere dai "nomina iuris" dei vari tipi di danno, i quali non possono essere invocati singolarmente per un aumento della anzidetta liquidazione. Tuttavia, sebbene il danno non patrimoniale costituisca una categoria unitaria, le tradizionali sottocategorie del "danno biologico" e del "danno morale" continuano a svolgere una funzione, per quanto solo descrittiva, del contenuto pregiudizievole preso in esame dal giudice, al fine di parametrare la liquidazione del danno risarcibile." (cfr. Cass. n. 687/2014). In sostanza, sebbene la liquidazione del danno debba essere unitaria al fine di evitare ingiustificate e illegittima duplicazioni risarcitorie ciò non esclude che vadano considerate come parametri per la quantificazione tutte le conseguenze negative del pregiudizio subito, affinché il ristoro sia integrale ed effettivo, inclusa, per quanto attiene alla fattispecie in esame, l'eventuale sofferenza soggettiva subita dal danneggiato a causa dell'illecito, ove adeguatamente allegata e provata, anche in via presuntiva. Ciò posto, per le lesioni cd. micro permanenti derivanti da sinistri stradali l'art. 139 dispone che "Il risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entità, derivanti da sinistri stradali venga effettuato secondo i criteri dettati dalla normativa stessa, integrata con gli aggiornamenti periodici dei decreti ministeriali." Il legislatore ha, dunque, definito il danno biologico come "lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito.", consentendo, sotto il profilo della quantificazione del danno, un aumento dell'ammontare del danno biologico liquidato secondo i predetti criteri nella misura non superiore a un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato. Vi è da chiedersi, preliminarmente, se l'aumento del quinto sia previsto esclusivamente in ragione del riportato danno biologico e, dunque, come mezzo di personalizzazione del danno all'integrità psicofisica e alla vita di relazione, nell'accezione legislativamente indicata, ovvero come strumento di riconoscimento di un danno non patrimoniale ulteriore e diverso rispetto a quello già contemplato dalla norma e, dunque, incluso nella liquidazione eseguita in base ai parametri di legge, tra cui il cd. danno morale. Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale che, chiamata a decidere sulla questione di legittimità del citato art. 139 cod. ass., ne ha dichiarato l'infondatezza statuendo che "È pur vero, infatti, che l'art. 139 cod. ass. fa testualmente riferimento al "danno biologico" e non fa menzione anche del "danno morale". Ma, con la sentenza n. 26972 del 2008, le sezioni unite della Corte di cassazione hanno ben chiarito (nel quadro, per altro, proprio della definizione del danno biologico recata dal comma 2 del medesimo art. 139 cod. ass.) come il cosiddetto "danno morale" ? e cioè la sofferenza personale suscettibile di costituire ulteriore posta risarcibile (comunque unitariamente) del danno non patrimoniale, nell'ipotesi in cui l'illecito configuri reato ? "rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. La norma denunciata non è, quindi, chiusa, come paventano i rimettenti, alla risarcibilità anche del danno morale: ricorrendo in concreto i presupposti del quale, il giudice può avvalersi della possibilità di incremento dell'ammontare del danno biologico, secondo la previsione, e nei limiti, di cui alla disposizione del citato comma 3." (cfr. Corte Cost. n. 235/2014). Dunque, non è esclusa la possibilità, anche per le lesioni di lieve entità, di riconoscere un'ulteriore somma rispetto a quella liquidabile secondo i parametri tabellari anche a titolo di danno cd. morale, ma tale aumento deve essere contenuto nei limiti di quanto previsto dal legislatore. Precisa sotto tale profilo la Corte che "in un sistema, come quello vigente, di responsabilità civile per la circolazione dei veicoli obbligatoriamente assicurata - in cui le compagnie assicuratrici, concorrendo ex lege al Fondo di garanzia per le vittime della strada, perseguono anche fini solidaristici, e nel quale l'interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi - la disciplina in esame, che si propone il contemperamento di tali contrapposti interessi, supera certamente il vaglio di ragionevolezza." Ciò premesso, nel caso in esame, si ritiene ricorrano in concreto i presupposti per riconoscere un incremento del danno biologico a titolo di danno cd. morale nella misura di un quinto tenuto conto della durata dell'invalidità temporanea quantificata dal CTU in complessivi 65 gg. e del conseguente periodo di riabilitazione nonché della peculiare dinamica del sinistro da cui può presumersi una condizione di paura dell'attore nell'immediatezza dei fatti. Il danno non patrimoniale deve essere, pertanto, liquidato nella somma complessiva di Euro 4.876,15, somma che è omnicomprensiva del danno non patrimoniale subito dall'attore e comprende sia gli aspetti anatomo - funzionali che quelli relativi alla vita di relazione e alle attività quotidianamente svolte dal soggetto, nonché la sofferenza legata al turbamento riportato (c.d. danno morale). Quanto al danno patrimoniale in favore di F. devono essere liquidate le spese sanitarie documentate per fini di diagnosi e terapia ritenute congrue e necessarie dal CTU quantificate in Euro 548,58 (docc. 13, 20 e 22) mentre si condivide il giudizio del CTU di non liquidazione delle spese sanitarie allegate di cui ai punti 7, 10 e 11 della consulenza, richiamando le motivazioni espresse a riguardo nell'elaborato peritale. Ad esse vanno aggiunte le spese per la consulenza medico legale svolta dal dott. M. per l'ammontare di Euro 250,10 (doc. n. 14) prodromica all'instaurazione del presente giudizio per la stima del danno nonché la somma di Euro 366,00 per l'attività prestata dal CTP nominato, come documentata in atti (doc. 28). Riguardo al danno patrimoniale subito dall'attrice R.T., proprietaria del veicolo VW Touran condotto da F., parte attrice si conforma alla quantificazione operata dal CTU nella consulenza tecnica esperita nel presente giudizio (cfr. pag. 6 comparsa conclusionale) pari ad Euro 16.534,73 IVA inclusa. Tale somma deve essere liquidata nei termini di cui alla consulenza tecnica, con ciò ritenendosi superate le eccezioni sul punto formulate da parte convenuta in comparsa di risposta (cfr. pag. 8) giacché la quantificazione del danno operata dal CTU si fonda su una valutazione autonoma dei costi di riparazione del veicolo attoreo per come visibile dalle immagini in atti (pag. 35 della consulenza). Va, altresì, respinta l'eccezione di parte convenuta sulla non debenza dell'IVA. Si richiama sul punto quanto statuito dalla S.C. secondo cui "poiché il risarcimento del danno si estende agli oneri accessori e consequenziali, se esso è liquidato in base alle spese da affrontare per riparare un veicolo, il risarcimento comprende anche l'IVA, pur se la riparazione non è ancora avvenuta - a meno che il danneggiato, per l'attività svolta, abbia diritto al rimborso o alla detrazione dell'IVA versata (cfr. Cass. n. 10023/1997; Cass. n. 1688/2010;- Cass. n. 14535/20,13)" (cfr. Cass. n. 21739/2019). Quanto al danno da fermo tecnico, giova richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui il danno da fermo tecnico "non è in re ipsa e non può essere ritenuto sussistente per il solo fatto che un veicolo non abbia circolato perché in riparazione" in quanto "nel nostro ordinamento non esistono danni in rebus ipsis e nessun risarcimento è mai esigibile se dalla lesione del diritto o dell'interesse non sia derivato un concreto pregiudizio", per cui "l'indisponibilità di un autoveicolo durante il tempo necessario per le riparazioni è un danno che deve essere allegato e dimostrato; la prova del danno non può consistere nella dimostrazione della mera indisponibilità del veicolo, ma deve consistere nella dimostrazione della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo, ovvero nella dimostrazione della perdita subita per aver dovuto rinunciare ai proventi ricavati dall'uso del mezzo". (ex multis Cass. n. 20620/2015). Il principio è stato ribadito anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità secondo cui "che il danneggiato non debba limitarsi a dimostrare di aver subito il fermo del veicolo, ossia a dimostrare la mera indisponibilità del mezzo di trasporto, è pacifico (oltre alla già citata Cass. n. 20620/ 2015; Cass. n. 124 del 2016, ed infine Cass. n.9348 del 2019, poi Cass. 17897/ 2020, nei motivi): egli deve dimostrare di aver sostenuto la spesa per il noleggio quale conseguenza del danneggiamento del suo veicolo" (cfr. Cass. n. 27389/2022). Nel caso di specie parte attrice non ha fornito prova di aver patito, a seguito del sinistro, una perdita patrimoniale non allegando alcun esborso necessario per ricorrere a forme di mobilità alternativa all'uso del veicolo danneggiato. All'esito dell'istruttoria in merito alla necessità di ricorrere a soluzioni alternative per far fronte alle esigenze di vita quotidiana, è stato dimostrato che gli attori hanno dovuto in più occasioni rivolgersi ad alcuni parenti per spostarsi perché privi dell'unica auto di cui avevano la disponibilità (cfr. deposizione dei testi S.S. e G.S.); tuttavia, ciò non ha determinato per gli stessi alcuna perdita patrimoniale. Va, invece, riconosciuto a favore di R.T. l'importo di Euro 915,00 per le spese di consulenza tecnica cinematica prodromica all'instaurazione del presente giudizio, come documentata in atti (doc. 28). In definitiva, per quanto attiene alla posizione di D.G.F., applicata la riduzione del 20% sull'importo complessivo di Euro 6.040,83, in ragione dell'apporto casuale dell'attore nella determinazione dell'evento dannoso, il danno non patrimoniale e patrimoniale risarcibile è pari a Euro 4.832,66. Su detta somma, previa devalutazione al momento del sinistro, va applicata la rivalutazione anno per anno secondo gli indici Istat e gli interessi legali (secondo i criteri dettati dalla Cass. S.U. n. 1712/1995, nonché Cass. n. 16039/2020) per l'importo finale di Euro 4.947,81. Su tale importo, che con la liquidazione diviene debito di valuta, maturano gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo. Per altro verso, per quanto attiene alla posizione di R.T., applicata la riduzione del 20% sull'importo complessivo di Euro 17.449,74, in ragione dell'apporto casuale dell'attore nella determinazione dell'evento dannoso, il danno patrimoniale risarcibile è pari a Euro 13.959,79. Calcolati la rivalutazione e gli interessi in base ai criteri già indicati, la somma finale è pari a Euro 14.292,54, cui vanno aggiunti gli interessi legali dalla presente pronuncia al saldo. Quanto alle spese stragiudiziali, costituisce principio consolidato della giurisprudenza di legittimità, confermato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite, quello per cui le stesse possano essere riconosciute quando la parte che ne chieda il rimborso giustifichi in modo esauriente l'utilità in concreto dell'intervento stragiudiziale di cui si è avvalsa, secondo una valutazione ex ante e cioè in vista di quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l'esito futuro del giudizio. (Cass. Civ., SS.UU., 10/07/2017, n. 16990 che richiama Cass. n. 6422/2017 e n. 997/2010). Le spese di assistenza legale stragiudiziale, ha ancora puntualizzato la S.C., hanno natura di danno emergente e la loro liquidazione, pur dovendo avvenire nel rispetto delle tariffe forensi, è soggetta agli oneri di domanda, allegazione e prova secondo le ordinarie scansioni processuali (cfr. già cit. Cass. S.U. 16990/2017; Cass. n. 2644/2018 secondo cui la quantificazione del compenso dovuto per l'attività stragiudiziale, se determinata in misura compresa tra i minimi e i massimi tariffari, costituisce oggetto di apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità; negli stessi termini, più recentemente, Cass. 24481/2020). La possibilità di ottenere il ristoro delle spese sostenute dal danneggiato per aver fatto ricorso all'assistenza di un legale per l'attività stragiudiziale diretta alla tutela di un proprio diritto, ove la pretesa risarcitoria sfoci in un giudizio nel quale il danneggiato risulti vittorioso, non si sottrae al giudizio di meritevolezza, ovvero va valutata considerando, in relazione all'esito della lite su tale aspetto, se la spesa sia stata necessitata e se appaia giustificata in funzione dell'attività di esercizio stragiudiziale del diritto al risarcimento (cfr. Cass. n. 17065/2014). Anche l'art. 20 del D.M. n. 55 del 2014 richiede pur sempre, ai fini della liquidazione, che l'attività legale prestata prima o al di fuori del giudizio rivesta "autonoma rilevanza" rispetto a quella propriamente giudiziale. Nel caso di specie, a sostengo dell'attività stragiudiziale prestata dai legali prima dell'instaurazione del giudizio risultano prodotte in atti le richieste risarcitorie inoltrate alla compagnia assicurativa e al proprietario del veicolo con raccomandate del 27.09.2016 (doc. 6) e del 11.01.2017 (doc. 9) e lo scambio di fax tra la difesa degli attori e la società convenuta per le quali è stata emessa una parcella dell'importo di Euro 500,00 (doc. 15). Risulta, dunque, documentata l'attività svolta dai legali prima dell'instaurazione del giudizio emergente anche in considerazione dell'arco temporale intercorso tra il verificarsi del sinistro, l'inoltro delle raccomandate e l'instaurazione del presente giudizio, nonché degli accertamenti svolti nelle more dalla compagnia convenuta che ha sottoposto a perizia tecnica il veicolo attoreo. Pertanto, deve essere riconosciuta la somma di Euro 500,00 in favore di G.D.F., quale soggetto intestatario della fattura prodotta. (doc. n. 15). Ne consegue che R.P. e la V.A. S.p.a., in qualità di mandataria della G. S.p.a. e in proprio, vanno condannati in solido al pagamento in favore di D.G.F. della somma di Euro 4.947,81 (oltre Euro 500,00 per spese stragiudiziali) e in favore di R.T. della somma di Euro 14.292,54, oltre interessi legali dalla data della presente pronuncia al soddisfo. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo sul valore del decisum (Cass. n. 197/2020) e in base ai parametri medi di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55. Giova richiamare sul punto il principio di diritto recentissimamente espresso dalla S.C. a Sezioni Unite secondo cui: "in tema di spese processuali, l'accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un'unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall'art. 92 c.p.c., comma 2". (cfr. Cass. Sez. Un. n. 32061/2022) Le spese di CTU sono poste a carico di parte attrice nella misura del 20% e delle parti convenute e dell'interveniente volontaria per il residuo 80%, tenuto conto che la consulenza si è resa necessaria soprattutto per l'individuazione del punto d'urto e del concorso causale attribuito alla parte attrice che ne è conseguito (cfr. Cass. n. n. 28849/2019; n. 17739/2016; "poiché le spese di c.t.u. rientrano fra tutti gli altri costi del processo suscettibili di regolamento ai sensi degli artt. 91 e 92 c.p.c., il giudice di merito che statuisca su di esse, compensandole in tutto o in parte separatamente dal resto, adotta null'altro che una variante verbale della tecnica di compensazione espressa per frazioni dell'intero ai sensi dell'art. 92 c.p.c., ammissibile anche in presenza di una parte totalmente vittoriosa"). P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da D.G.F. e R.T. contro R.P. e G. S.p.a., con l'intervento volontario di V.A. S.p.a., ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede: - Accoglie parzialmente la domanda e per l'effetto condanna R.P. e la V.A. S.p.a., in proprio e in qualità di mandataria della G. S.p.a., al pagamento della somma di Euro 14.292,54 in favore di R.T. e della somma di Euro 4.947,81 in favore di G.D.F., oltre interessi legali dalla presente pronuncia al saldo. - Condanna R.P. e la V.A. S.p.a., in proprio e in qualità di mandataria della G. S.p.a. al pagamento in favore di G.D.F. e R.T. delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 5.077,00, oltre a Euro 500,00 in favore di G.D.F. per spese stragiudiziali, nonché contributo unificato e marca, rimborso sulle spese generali nella misura del 15%, Iva e Cpa e successive occorrende. - Pone le spese di CTU definitivamente a carico di parte attrice nella misura del 20% e delle parti convenute e dell'interveniente volontaria per il residuo 80% Così deciso in Torino, il 22 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 22 febbraio 2023.

  • REPUBBICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO di TORINO SEZIONE I CIVILE SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA Composta da: Dott.ssa Gabriella Ratti - Presidente Relatore Dott.ssa Maria Luciana Dughetti - Giudice Dottor Enrico Astuni - Giudice Ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa promossa da: (...), rappresentato e difeso dall'Avv. (...); Parte attrice Contro (...), rappresentato e difeso dall'Avv. (...); Parte convenuta Conclusioni delle parti Parte attrice Piaccia all'Ill.mo Tribunale, ogni diversa e contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa e reietta e previo ogni più opportuno accertamento e declaratoria così giudicare: A) accertare: a) la natura "in house providing" del rapporto contrattuale intercorso tra il (...) e la propria partecipata per l'affidamento diretto del servizio di trasporto pubblico; b) la ricorrenza, nella fattispecie, del controllo esercitato dal (...) sulla propria partecipata (...) spa sia in termini di "controllo analogo" richiesto per l'affidamento in house providing del servizio pubblico locale di trasporto, sia in termini di controllo contrattuale, sia in termini di attività di direzione e coordinamento ai sensi dell'art. 24, 97 c.c. e ss; c) l'antieconomicità della gestione dell'attività caratteristica della (...) spa, imposta dall'ente controllante (...) nel perseguimento del proprio interesse allo svolgimento del servizio pubblico affidato; d)la responsabilità diretta del (...) quale soggetto controllante, per aver imposto nell'ambito del controllo di cui sopra sub b) il perseguimento del proprio interesse in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della controllata; e) la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della (...) spa della suddetta antieconomicità della gestione caratteristica, con particolare riferimento agli esercizi dal 2012 al 2015 sino alla messa in liquidazione; B) dichiarare (...) in relazione agli accertamenti di cui sopra la responsabilità del (...) per le obbligazioni sociali della controllata (...) spa corrispondenti alla massa passiva non soddisfatta nell'ambito della liquidazione del patrimonio della stessa, pari alle perdite determinate negli esercizi dal 2012 al 2015 sino alla messa in liquidazione e per l'effetto, condannare il (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, a risarcire al Fallimento ai sensi e per gli effetti dell'art. 2497 c.c. e ss il danno mediante condanna al pagamento della somma indicata nella Ctu agli atti del giudizio in euro 23.418.452,00 o di quel diverso importo che verrà ritenuto congruo e coerente con il titolo della responsabilità azionata, occorrendo anche in via equitativa, oltre rivalutazione ed interessi dal dovuto al saldo; C) in relazione ai fatti esposti al paragrafo 11 dell'atto di citazione accertare e dichiarare la responsabilità del (...) ai sensi dell'art. 1218 c.c. per le obbligazioni contrattuali ad oggi ancora inadempiute, pari, in gradato subordine: C1) alla differenza tra (i) l'importo di euro 7.248.920,29 pari ai crediti di (...) spa verso il (...), come incidentalmente accertato nel decreto che ha definito l'opposizione a stato passivo promossa dal (...) (ns doc. 34) e (ii) l'importo pari ai contro crediti riconosciuti dal fallimento per euro 3.893.916,14 oggetto della compensazione già operata in sede fallimentare e (iii) il pagamento parziale di euro 28.965,87 - e per l'effetto condannare il medesimo in persona del legale rappresentante pro tempore a pagare l'importo di euro 3.326.038,28, oltre ad interessi dal dovuto al saldo; C2) alla differenza tra l'importo di euro 5.639.407,11, come composto e riportato nella tabella a pag. 254 della CTU e l'importo pari ai contro crediti riconosciuti dal fallimento per euro 3.893.916,14 oggetto della compensazione già operata in sede fallimentare e il pagamento parziale di euro 28.965,87 - e per l'effetto condannare il (...) in persona del legale rappresentante pro tempore a pagare l'importo di euro 1.716.525,10, oltre ad interessi dal dovuto al saldo; D) in via istruttoria: occorrendo, sulla prova del credito di (...) verso il (...), si insiste per l'ammissione della prova per testi sulle seguenti circostanze: 1) Vero che le prestazioni descritte nelle fatture che mi si rammostrano (doc. 85) sono state eseguite; 2) Vero che richiesto di motivare il mancato pagamento delle stesse nei termini di scadenza il responsabile finanziario dell'ente ha comunicato che le stesse non trovano coperture nelle risorse finanziarie; 3) Vero che il (...) imputava i ritardi nel pagamento delle fatture emesse nei suoi confronti a ritardi nel trasferimento dei tributi regionali e provinciali; 4) Vero che l'autorizzazione all'emissione delle fatture a titolo di interessi per ritardato pagamento delle prestazioni è stata riconosciuta dal rag. (...), responsabile finanziario dell'ente, come riportato nella lettera 26.10.2015 che mi si mostra (doc. 32 (...)); indicandosi a teste i sigg. (...) e (...). Con vittoria di spese, competenze professionali, incluso il rimborso spese generali. Parte convenuta Il (...), ut supra, richiamata ogni precedente difesa, deduzione ed eccezione, precisa le proprie conclusioni affinché codesto ill.mo Tribunale, contrariis rejectis, voglia così giudicare; a) in via preliminare, ai sensi dell'art. 177 c.p.c., revocare e/o modificare l'ordinanza istruttoria dell'11 giugno 2020, negando l'acquisizione dei documenti già nella disponibilità del Fallimento, come di seguito elencati: docc. 91-94 (Relazione fallimentare e relativi allegati); docc. 113e, da n. 1 a n. 6 (Contratti di servizio); doc. 113e, da n. 7 a n. 12 (Provvedimenti adottati dal Comune); docc. 113e, n. 13 (Elenco del personale); docc. 113 e, da n. 14 a n. 21 (Bilanci di esercizio); docc. 113 e, da n. 22 a n. 32 (Ulteriori provvedimenti adottati dal Comune); docc. 113e, nn. 33 e 34 (Mandati di pagamento); docc. 113 e, da n. 35 a n. 46 (Rendiconti relativi ai contributi trasferiti ad (...) spa); doc. 113 e, n. 47 (Richiesta di documentazione); docc. 113e, da n. 48 a n. 50 (Atti del Comune indirizzati ad (...) spa, relativi ai contratti di servizio); docc. 113 e, da n. 51 a n. 55 (Verbali del Consiglio di Amministrazione di (...)); e per l'effetto, accertare e dichiarare la nullità della perizia di ufficio depositata il 29 ottobre 2020, ordinandone la rinnovazione con sostituzione del Collegio Peritale; b) subordinatamente, in via preliminare, qualora fosse respinta l'istanza di cui alla lettera a, accertare la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 295 c.p.c. e, per l'effetto, dichiarare la sospensione del presente giudizio per acquisire i provvedimenti che saranno assunti in sede penale, quantomeno in termini di rinvio a giudizio e di archiviazione delle indagini pendenti avanti alla Procura della Repubblica del Tribunale di Alessandria, RG 2994/2017; ovvero, nella denegata ipotesi in cui fossero ritenuti insussistenti i presupposti di cui all'art. 295 c.p.c., concedere al Comune adeguato termine per acquisire e produrre richiesta di archiviazione e l'ulteriore eventuale documentazione ostensibile concernente le riferite indagini, non appena disponibile; c) in via istruttoria, richiama tutta la produzione documentale del (...), nonché le deduzioni istruttorie riportate nelle memorie ex art. 183 comma 6 n. 2 e n. 3 c.p.c. e nelle osservazioni alla Ctu del 12 novembre 2020 e 29 gennaio 2021 depositate da parte Convenuta: 1) accertare e dichiarare la palese erroneità, illogicità, inidoneità di metodo ed insufficienza dell'elaborato peritale e, per l'effetto, disporre l'integrale rinnovazione della Ctu ai sensi dell'art. 196 c.p.c., con sostituzione del Collegio Peritale; 2) respingere la prova per testi richiesta da parte attrice in quanto i capitoli di prova ex adverso formulati sono inammissibili perché: generici; relativi a circostanze da provarsi documentalmente; valutativi; dedotti solo in sede di prova contraria, senza averne il relativo contenuto; 3) ferma la conclusione di cui alla lettera a), respingere l'avversaria produzione documentale. d) in ogni caso, in via preliminare: Raccertare e dichiarare l'inammissibilità dell'azione avversaria ex art. 2497 c.c.; ovvero accertare e dichiarare la relativa carenza di legittimazione passiva in capo al (...); 2) accertare e dichiarare l'inammissibilità dell'azione avversaria nella parte in cui pretende di ricavare dall'esercizio del preteso controllo analogo una responsabilità diretta del Comune verso i creditori sociali del Fallimento (...) spa; ovvero accertare e dichiarare la relativa carenza di legittimazione passiva in capo al (...); 3) accertare e dichiarare l'inammissibilità della domanda avversaria concernente il preteso danno subito a causa delle operazioni di scissione e fusione, rispettivamente del 2002 e del 2007, per intervenuta prescrizione; e) nel merito: accertare e dichiarare l'infondatezza dell'avversaria azione sotto ogni profilo e, segnatamente, nelle parti in cui pretende di ravvisare: 1) la natura "in house providing" del rapporto intercorso tra il (...) e (...) spa, con specifico riguardo all'affidamento del servizio di trasporto pubblico; 2) la sussistenza di un controllo esercitato dal (...) su (...) spa, sia in termini di controllo analogo, sia in termini di controllo contrattuale, sia in termini di attività di direzione e coordinamento ai sensi dell'art. 2497 c.c.; 3) l'anti-economicità della gestione dell'attività caratteristica svolta da (...) spa, asseritamente imposta dal (...) nel perseguimento del proprio interesse allo svolgimento del servizio pubblico affidato; 4)la responsabilità del (...), quale soggetto controllante, per aver asseritamente imposto il perseguimento del proprio interesse in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale; 5) una lesione all'integrità del patrimonio di (...) spa con particolare riferimento agli esercizi dal 2012 al 2015, sino alla messa in liquidazione. f) per l'effetto, nel merito, accertare e dichiarare l'infondatezza dell'avversaria domanda di accertamento della responsabilità del (...) per la massa passiva non soddisfatta nell'ambito della procedura fallimentare, ex adverso ritenuta pari alle perdite degli esercizi dal 2012 al 2015, sino alla messa in liquidazione; e, conseguentemente, respingere la domanda di condanna al risarcimento del danno ex art. 2497 c.c., quantificato da parte attrice in euro 22.000.000,00 o diverso importo accertato in corso di causa, oltre rivalutazione ed interessi; g) ancora nel merito: accertare e dichiarare l'infondatezza dell'avversaria domanda a titolo di responsabilità contrattuale; e, conseguentemente, respingere la pretesa condanna al pagamento di euro 3.326.038,28, oltre interessi; in ogni caso, accertando e dichiarando la fondatezza del contro credito eccepito in compensazione dal Comune e comunque ex adverso riconosciuto, pari ad euro 3.893.916,14; h) sempre nel merito: accertare e dichiarare l'infondatezza di qualsiasi altra pretesa avversaria, ivi inclusa la domanda di condanna alla rifusione delle spese di lite da parte del (...). Con vittoria di spese e competenze di giudizio. Materia del contendere e motivi della decisione 1. Con atto di citazione ritualmente notificato parte attrice ha introdotto il presente giudizio per ottenere la condanna del (...) al pagamento di euro 22 milioni (o diverso importo accertando) per avere cagionato il dissesto societario di (...) spa (di seguito (...)) e al pagamento di euro 3.922.882,01 per inadempimento ex art. 1218 c.c. di obblighi di pagamento. Più nel dettaglio, parte attrice ha chiesto al Tribunale di: A) accertare la ricorrenza, nella fattispecie, del controllo esercitato dal (...) sulla propria partecipata (...) spa sia in termini del cd "controllo analogo" richiesto per l'affidamento diretto "in house providing" del servizio pubblico locale di trasporto, sia in termini di attività di direzione e coordinamento ai sensi dell'art. 2497 c.c.; b) l'antieconomicità della gestione dell'attività caratteristica della (...) spa imposta dall'ente controllante (...) nel perseguimento del proprio interesse allo svolgimento del servizio pubblico affidato; c) la responsabilità diretta del (...) quale soggetto controllante per avere imposto nell'ambito del controllo sub a) il perseguimento del proprio interesse in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della controllata; d) la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della (...) spa dalla suddetta antieconomicità della gestione caratteristica, con particolare riferimento agli esercizi dal 2012 al 2015 sino alla messa in liquidazione; B) dichiarare in relazione agli accertamenti di cui sopra la responsabilità del (...) per le obbligazioni sociali della controllata (...) spa corrispondenti alla massa passiva non soddisfatta nell'ambito della liquidazione del patrimonio della stessa, pari alle perdite determinate negli esercizio dal 2012 al 2015 sino alla messa in liquidazione e per l'effetto condannare il (...) a risarcire al Fallimento ai sensi e per gli effetti dell'art. 2497 c.c. il danno mediante condanna al pagamento della somma di euro 22 milioni di euro o diverso importo accertato, occorrendo anche in via equitativa, oltre rivalutazione ed interessi dal dovuto al saldo; C) accertare e dichiarare la responsabilità del Comune convenuto ai sensi dell'art. 1218 c.c. per le obbligazioni contrattuali rimaste inadempiute (pari ad euro 7.248.929,29) e pertanto condannare il (...) a pagare - al netto della compensazione con i controcrediti riconosciuti dal Fallimento per euro 3.893.916,14 ed un pagamento parziale di euro 28.965,87 - l'importo di euro 3.922.882,01, oltre interessi. 1.1. A sostengo dalla domanda di condanna al pagamento di euro 22 milioni di euro (o altra somma accertata o liquidata anche in via equitativa), il Fallimento attore - che, tra l'altro, ha osservato che "lo squilibrio patrimoniale in cui versa (...) è dovuto all'applicazione di criteri gestori imposti dall'ente controllante per assecondare l'interesse pubblico del contenimento dei corrispettivi dei servizi piuttosto che criteri di sostenibilità economica degli stessi" e che "gli organi della procedura ritengono che non può ammettersi un modello legale nel quale un ente pubblico affidi lo svolgimento di un pubblico servizio a rilevanza economica ad una società di diritto privato, dallo stesso partecipata, senza dover rispondere del deficit patrimoniale causato dalla anti-economicità della gestione, che viene scaricata sulla collettività (erario, Inps, banche, fornitori privati)" - ha esposto quanto segue. (...) spa, di seguito (...) - di cui il Tribunale di Alessandria ha dichiarato il fallimento in data 4.7.2016 a seguito di istanza presentata in proprio da (...) spa - è stata costituita nel 1995 con l'originaria denominazione di (...), quale azienda speciale a norma della l. 1990 n. 142 per l'esercizio di attività di trasporto pubblico. A far tempo da giorno 1.1.2000, (...) è stata trasformata in società per azioni, mantenendo il tratto distintivo dell'origine di municipalizzata attraverso l'espressa disposizione statutaria per cui "la società potrà svolgere i propri servizi anche mediante affidamento (in house)". Anche dopo la trasformazione da azienda speciale in spa la società è sempre stata partecipata da enti pubblici. L'oggetto principale dell'attività in concreto svolta era rappresentato da 4 rapporti con i quali il (...) aveva affidata ad (...) il servizio pubblico di trasporto delle persone, degli alunni, dei disabili e la sosta a pagamento. Il (...), che già svolgeva questo servizio attraverso la propria azienda speciale (...), aveva continuato ad avvalersi della stessa (...) anche dopo la trasformazione in spa attraverso l'affidamento diretto del servizio secondo il modello "in house providing": "il servizio di trasporto urbano, suburbano e interurbano del (...) e Valenza viene effettuato da (...) in regime di affidamento in house" (programma di esercizio di trasporto pubblico locale allegato al contratto sub doc. n. 9), a prescindere da criteri di sostenibilità economica degli stessi, come peraltro, paradigmaticamente, la decisione di ridurre la tariffa di sosta, deliberata dal consiglio comunale e imposta ad (...) dalla giunta comunale (doc. n. 14). I bilanci depositati da (...) prima della dichiarazione di fallimento dimostravano che (...), oltre alla crisi finanziaria causata dai mancati o tardivi pagamenti dei crediti maturati verso il (...), soffriva di un costante deficit economico, determinato dal sopravanzo dei costi rispetto ai ricavi. Nella nota integrativa al bilancio 2014 si leggeva infatti che "i risultati settoriali dimostrano in maniera chiara che i corrispettivi assegnati per i servizi di scuolabus e disabili non sono sufficienti a coprire i costi, essendo stati ridotti del 45 per cento rispetto all'esercizio 2012, a parità di servizio svolto. Pertanto, per non essere costretti a ridurre il servizio svolto, occorre che il Comune, ormai in fase di uscita dal dissesto, ne riveda i corrispettivi. Si segnala inoltre il grave deficit prodotto dal parcheggio di via (...), sul quale grava un pesante mutuo, nonché elevati costi di gestione a fronte degli introiti eseguiti in attesa di una politica di viabilità e sosta che induca l'utenza all'utilizzo della struttura. L'investimento non fu una scelta esclusivamente aziendale ma fu il risultato di un preciso orientamento dell'Amministrazione Comunale. Di conseguenza sarebbe opportuno che la stessa si facesse carico della riduzione della perdita del parcheggio. Sempre in merito alla gestione parcheggi, si evidenzia ancora come il canone (...) sia ancora troppo oneroso per il bilancio aziendale e venga applicata per zone di sosta sulle quali il costo del lavoro degli ausiliari del traffico è a carico dell'azienda, mentre le contravvenzioni vengono interamente riscosse dal Comune". Da qui il richiamo dell'organo amministrativo che, a chiusura della relazione, sollecita la proprietà ad attuare ogni sforzo possibile sia in termini di liquidità che a livello di conto economico, ad esempio con aumento dei corrispettivi, per scongiurare il fallimento della società". Il fatto che i corrispettivi dei servizi resi da (...) fossero "assegnati" dal Comune e non invece il risultato di una contrattazione improntata alla sostenibilità economica e, più in generale, il fatto che le direttive impartite dall'ente controllante prevalessero sui richiami dell'organo amministrativo al rispetto delle regole di autosufficienza economica, trovavano plurime conferme nei rapporti intercorsi tra le parti. Ad esempio, alla richiesta del Comune di elaborare un piano di razionalizzazione e ristrutturazione, (...) chiedeva al medesimo ente controllante di "conoscere con immediatezza la quantità di risorse appostate a bilancio di previsione 2015, per l'espletamento dei contratti di servizio in essere tra (...) e (...)". Anni prima, nel 2011, nel piano di risanamento chiesto dagli organi di (...) e consegnato dal Comune, veniva tra l'altro rilevato che "riguardo al parcheggio di via Parma è necessario precisare che il Comune, a suo tempo, ha deciso di costruirlo, ha commissionato il progetto, l'ha approvato e l'ha fatto realizzare da (...) che lo gestisce applicando le tariffe decise dal Comune stesso. Questo parcheggio, però, è sicuramente utile nella viabilità del centro storico della società, non si è mai sostenuto economicamente con gli incassi (nel 2010: euro 137.593 euro) che non sono neppure sufficienti per pagare gli interessi passivi del debito contratto per finanziare la sua costruzione (nel 2010: euro 201.442). Sarebbe perciò corretto che il Comune non scaricasse sull'azienda i costi di gestione di questo parcheggio". Il medesimo piano chiudeva affermando che "il risanamento di questa azienda si ottiene semplicemente facendo cessare i comportamenti anomali adottati nei suoi confronti, negli ultimi tre anni, dal Comune, unico cliente e proprietario e ripristinando i normali rapporti che devono sussistere tra il cliente e il fornitore e tra la proprietà della società per azioni e il consiglio di amministrazione". Altri esempi potevano essere tratti dalla lettura del piano dei corrispettivi (che illustra il rapporto di soggezione di (...) alle direttive del (...) come pure dai continui ritardi nel pagamento delle fatture da parte del Comune, ancorché ciò rilevi più sul piano finanziario che su quello economico. Da ultimo, parte attrice - che ha precisato che "la responsabilità degli amministratori e sindaci non è oggetto del presente giudizio che invece riguarda esclusivamente il risarcimento della lesione patrimoniale delle direttive impartite dal socio della controllante" e la responsabilità ex art. 1218 c.c. per le obbligazioni rimaste inadempiute - ha sottolineato che, mentre a Torino la Giunta deliberava che per i debiti della società affidataria dei servizi in house risponde sempre l'Ente locale, ad Alessandria il Comune, chiamato a ricapitalizzare (...), (che, per conto del Comune, gestiva in regime di affidamento diretto il servizio pubblico del trasporto delle persone), se ne è astenuto provvedendo ad assicurare la continuità del servizio pubblico affidandolo (sempre con il modello in house) a società di nuova costituzione. Infatti, dopo aver deliberato di non coprire le perdite e di mettere conseguentemente la società in liquidazione, il (...) ha impartito l'ulteriore direttiva al liquidatore di (...) di procedere all'affitto dell'azienda alla neo costituita (...) spa, anch'essa partecipata dal Comune e prescelta come nuovo soggetto per il conferimento diretto in house providing. 1.2. Per quanto concerne la domanda relativa al pagamento di crediti portati da fatture, parte attrice ha riferito che, alla data della dichiarazione di fallimento, il debito del Comune ammontava a: (I) euro 7.248.929,29, di cui euro 1.876.796,13 per fatture emesse e riconosciute anche da controparte; (II) euro 344.273,02 oggetto di cessione a (...); (III) residui euro 3.891.028,80 per crediti riconosciuti sin dall'approvazione del bilancio 2014; (IV) euro 1.136.822,34 maturati dopo il 1 gennaio 2015 e riconosciuti con il prospetto prodotto da controparte in sede di opposizione. Detratti dunque i pagamenti parziali ricevuti dal Curatore (euro 28.965,87) e le compensazioni attuate per euro 3.893.916,14 con i controcrediti del Comune oggetto di domanda di ammissione al passivo fallimentare, si arriva ad euro 3.922.882,01. 2. Il (...) si è costituito in giudizio chiedendo al Tribunale: In via preliminare: (I) dichiarare l'inammissibilità dell'azione attorea ex art. 2497 c.c. e/o dichiarare la carenza di legittimazione passiva in capo al (...); (II) dichiarare l'inammissibilità dell'azione attorea nella parte in cui prevede di ricavare dell'esercizio del controllo analogo una responsabilità diretta del Comune verso i creditori sociali del Fallimento (...) spa e/o dichiarare la carenza di legittimazione passiva in capo al (...); (III) dichiarare l'inammissibilità della domanda avversaria concernente il preteso danno subito a causa delle operazioni di scissione e fusione, rispettivamente del 2002 e del 2007, per intervenuta prescrizione. Nel merito: (I) accertare e dichiarare l'infondatezza dell'azione avversaria nella parte in cui pretende di addebitare al Comune l'esercizio di un'attività di direzione e coordinamento ovvero di un controllo analogo a quello esercitato sui propri Uffici e, per l'effetto, respingere la domanda attorea di condanna al risarcimento dei danni quantificati in euro 22 milioni, oltre accessori; (II) accertare e dichiarare l'infondatezza dell'avversaria domanda di responsabilità contrattuale e, conseguentemente, respingere la domanda di condanna al pagamento della somma di euro 3.326.038,28 (erroneamente indicati nella misura di euro 3.922,882,01) oltre interessi e comunque accertare e dichiarare la fondatezza del controcredito eccepito in compensazione dal Comune per la somma di euro 3.891.028,80. 2.1. Dopo aver premesso, in via generale, che il Tribunale di Alessandria, in sede fallimentare, ha osservato che le prerogative del (...) nella fattispecie "non hanno nulla a che vedere con l'esercizio di un controllo pregnante paragonabile a quello esercitato da un ente pubblico che abbia statutariamente il potere di dettare le linee strategiche e di influenzare le scelte operative della società, assoggettando l'organo amministrativo ad un vero e proprio potere gerarchico", parte convenuta ha illustrato le eccezioni preliminari sopra riportate riferendo che: (I) ex art. 2497 c.c. la responsabilità è configurabile in capo "alle società o agli enti che, esercitando attività di direzione o coordinamento di società agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale delle società medesime" e che, pertanto, in capo all'ente pubblico difetta la possibilità di configurare un interesse imprenditoriale proprio o altrui, attese le "finalità necessariamente pubbliche e di interesse generale, ed in ogni caso non qualificabili in termini imprenditoriali perseguite dall'Ente pubblico. Finalità la cui connotazione pubblicistica non viene meno per effetto della mera interposizione di un soggetto diverso (la società partecipata) rispetto all'Ente partecipante: il quale, attraverso una attività di indirizzo e di controllo, sarà comunque tenuto a garantire che l'azione della propria partecipata sia costantemente orientata al raggiungimento delle finalità istituzionali dell'ente"; (II) l'Ente pubblico non svolge una attività di impresa ma semmai di servizio pubblico, rientrante nell'ambito dei propri compiti istituzionali, con il corollario che l'attività di direzione e coordinamento, astrattamente configurabile, finirebbe comunque per collocarsi al di fuori di un contesto imprenditoriale; (III) una simile conclusione è condivisa anche dal Comune di Torino (che parte attrice indica quale esempio virtuoso) atteso che la decisione 2011 della Giunta di ripianare le perdite della propria controllata non è stata assunta dal Comune a fronte del riconoscimento della propria responsabilità in termini di direzione e coordinamento ma per effetto dell'art. 194 comma 1, lett. c del Tuel (che prevede il riconoscimento dei debiti fuori bilancio per ricapitalizzazione di società di capitali costituite per l'esercizio di servizi pubblici locali); il Comune di Torino, inoltre, ha escluso espressamente l'attività di direzione e coordinamento da parte dell'ente pubblico; IV) l'azione introdotta da parte attrice è inammissibile anche nella parte in cui pretende di vedere accertata una presunta responsabilità del Comune per un altrettanto presunto esercizio di "controllo analogo" sulla propria partecipata e ciò in quanto le decisioni della Corte di Cassazione ex adverso citate hanno una portata diversa da quella indicata da parte attrice, limitandosi ad affermare che la qualificazione "in house" vale a fondare la responsabilità contabile degli organi sociali e sancendo che la scelta del modello societario porta alla creazione di un soggetto (la società partecipata) assolutamente autonomo e distinto rispetto all'Ente che lo partecipa. Nel merito, parte convenuta ha fatto presente (...) spa non ha mai presentato i tratti caratterizzanti delle società in house, atteso che (I) la partecipazione pubblica totalitaria è un elemento necessario ma non sufficiente; (II) non sussiste in capo all'Amministrazione comunale alcun potere di controllo diverso da quello che normalmente compete a qualsiasi socio; (III) lo Statuto (...), nelle varie versioni succedutesi nel tempo, non prevede alcuna prerogativa a favore dei soci e/o dell'assemblea dei soci e non contempla la creazione di organi deputati all'esercizio del controllo analogo, assegnando invece amplissimi poteri di autonomia all'organo amministrativo che risulta avere "i più ampi poteri per la gestione ordinaria e straordinaria della società senza eccezioni di sorta" e "la facoltà di compiere tutti gli atti che ritenga opportuni per l'attuazione e il raggiungimento degli scopi sociali"; (IV) lo Statuto non esclude in alcun modo la partecipazione dei privati, anzi implicitamente la ammette laddove dispone che "le azioni sono liberamente trasferibili, fatto salvo, per l'alienazione delle partecipazioni detenute da soggetti pubblici, il rispetto delle regole di evidenza pubblica ove prescritto dalla legge"; lo Statuto non pone limiti all'esercizio di attività anche a favore di soggetti diversi da enti pubblici partecipanti: al contrario, l'oggetto sociale è particolarmente ampio e, tra l'altro, consente lo svolgimento di attività di realizzazione di "impianti di manutenzione e riparazione di automezzi", la realizzazione e gestione di "impianti di distribuzione del gas metano e di carburanti in genere", "la gestione e l'amministrazione di immobili di qualsiasi natura ed a qualunque uso destinati". Parte convenuta ha poi contestato le prospettazioni attoree in punto di abuso di direzione e coordinamento e, in particolare, le vicende relative alla costituzione di (...) spa, (partecipata al 100 per cento da (...) spa tra i cui soci figura il (...), costituzione avvenuta in data 29.4.16) e relativa stipula del contratto di affitto del ramo d'azienda di (...), contratto stipulato in data 14.6.16 e relativo all'erogazione dei servizi di trasporto e sosta pubblica. A tale proposito, parte convenuta ha specificato che il divieto di cui al D.Lgs. 19.8.2016 n. 175 ("nei cinque anni successivi alla dichiarazione di fallimento di una società a controllo pubblico titolare di affidamenti diretti, le pubbliche amministrazioni controllanti non possono costituire nuove società, né acquisire o mantenere partecipazioni in società qualora le stesse gestiscano i medesimi servizi di quella dichiarata fallita") non è conferente in quanto la predetta norma è entrata in vigore successivamente, in data 23.9.16. 2.2. Con riferimento alla domanda attorea di pagamento crediti portati da fatture, il (...) - "fermo il riconoscimento già operato in sede di opposizione fallimentare" della somma di euro 1.876.796,13 - ha contestato la debenza di ulteriori somme e ha eccepito in compensazione i crediti vantati verso (...): "per il che, le somme ad oggi già corrisposte/compensate dal Comune (e quantificate dal Fallimento in euro 3.922.882,01) coprono ampiamente il debito riconosciuto (euro 1.876.796,13) nonché gli ulteriori importi oggetto di cessione a (...) (pari ad euro 344.273,02). Con il corollario che nulla più potrebbe essere preteso a titolo di responsabilità contrattuale". 3. Dopo l'assegnazione dei termini per il deposito delle memorie ex art. 183 c.p.c., la causa è stata mandata a decisione e successivamente rimessa in istruttoria con ordinanza collegiale 17.1.20 per espletamento di Ctu (a mezzo collegio peritale composto di tre membri). Al Collegio peritale sono stati posti i seguenti quesiti: "Il Collegio, visti gli atti e i documenti di causa e quelli che saranno eventualmente esibiti nel rispetto del contraddittorio e alle condizioni di cui all'art. 198 c.p.c., sentite le parti e i loro consulenti: 1) Descriva analiticamente, sulla base della documentazione in atti, le vicende societarie e gestionali di (...) spa, di seguito (...) spa, dalla data di costituzione alla data di dichiarazione di fallimento, precisi l'entità del passivo fallimentare e dica se, secondo il suo motivato parere, il (...) ha esercitato su (...) spa un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; 2) Descriva, sempre sulla base della documentazione in atti, i poteri che il (...) si è riservato sotto il profilo della direzione e coordinamento di (...) spa, verifichi le direttive impartite dal Comune e ricostruisca la riconducibilità in concreto delle scelte gestionali effettuate; 3) Dica se, secondo il suo motivato parere, eventuali direttive e scelte gestionali operate dal (...) sono coerenti con i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale di (...) spa; 4) In caso di risposta in tutto o in parte negativa al quesito che precede, esprima il suo motivato parere sul danno cagionato ai creditori di (...) spa; 5) Con riferimento alla domanda attorea di accertamento del proprio credito nei confronti del Comune convenuto (euro 7.248.929,29) e di condanna dello stesso al pagamento dell'importo di euro 3.326.038,28 al netto delle compensazioni per obbligazioni contrattuali inadempiute e alle eccezioni di compensazione formulate dal (...), esprima il suo motivato parere sui rapporti dare/avere tra le parti". Con istanza 29.5.20, parte attrice ha chiesto di essere autorizzata a depositare il fascicolo delle indagini preliminari depositato nel procedimento RG 2994/27 del Tribunale di Alessandria e relativo ad indagini penali coinvolgenti, fra l'altro, membri dell'organo amministrativo e dell'organo di controllo di (...) spa. Con decreto 11.6.20 il GI ha autorizzato il deposito della predetta documentazione. Con successiva istanza 24.6.20, parte convenuta ha chiesto la revoca/modifica del predetto decreto in quanto alcuni documenti dovevano già ritenersi nella disponibilità del Fallimento e dunque non sussistevano i presupposti per la rimessione in termini dell'attore. Dopo il deposito della relazione peritale e l'assegnazione di termine per il deposito di memorie di osservazione alla Ctu, la causa è stata mandata a precisazione delle conclusioni e trattenuta a decisione collegiale all'udienza figurativa del 14.5.21, previa assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito degli scritti conclusivi. 4. Le eccezioni preliminari di parte convenuta. 4.1. In via preliminare e ancora negli scritti conclusivi, il (...) ha eccepito la propria carenza di legittimazione passiva con riferimento all'azione ex art. 2497 c.c. attese le finalità pubbliche e in ogni caso non configurabili in termini imprenditoriali perseguite dall'Ente nella gestione di un servizio pubblico insopprimibile, presupposto soggettivo che, secondo la tesi, non è venuto meno neppure con la norma di interpretazione autentica dell'art. 2497 c.c. di cui all'art. 19 del d.l. 2009 n. 78, convertito nella l. 2009 n. 102. La difesa è infondata. Con l'art. 19 citato il legislatore ha infatti chiarito che "L'art. 2497, primo comma, del codice civile si interpreta nel senso che per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell'ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria" e cioè ha espressamente escluso solo lo "Stato-azionista" dalla nozione di "ente" contemplata dalla norma del codice civile e riferibile quindi solo a tutti gli altri "soggetti giuridici collettivi", detentori di partecipazioni sociali "nell'ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria". Rimane pertanto impregiudicata l'applicabilità della norma in tutti i casi in cui la costituzione della società in house o comunque la partecipazione in società degli Enti Pubblici - diversi, come nel caso, dallo Stato - sono attuate non solo per scopi lucrativi ma anche per la realizzazione di finalità istituzionali che richiedono lo svolgimento di attività economica o finanziaria da realizzare attraverso la società partecipata. 4.2. Parimenti infondata è anche l'eccezione di parte convenuta volta ad ottenere la declaratoria di inammissibilità dell'azione del Fallimento "nella parte in cui pretende di veder accertata una presunta responsabilità del Comune per altrettanto presunto esercizio di controllo analogo sulla partecipata", questione che attiene al merito del giudizio e di cui infra. 4.3. Parte convenuta ha altresì richiesto la sospensione ex art. 295 c.p.c. del presente giudizio nelle more delle indagini penali (procedimento RGNR 2017 n. 2994/Procura Repubblica presso il Tribunale di Alessandria) riguardanti amministratori e organi di controllo di (...) spa e sindaci/assessori/personale amministrativo del (...). (procedimento RGNR 2017 n. 2994/Procura Repubblica presso il Tribunale di Alessandria). Parte convenuta premette che "risulta che il PM abbia avanzato richiesta di archiviazione nei confronti degli amministratori e funzionari comunali coinvolti nelle indagini, alla luce della loro estraneità rispetto alle decisioni assunte dalla Società difettando qualsiasi ingerenza politica e/o amministrativa tale da influenzare l'operato degli amministratori e dei sindaci di (...)" e che "in occasione dell'udienza preliminare del 9 aprile 2021, il Pubblico Ministero ha confermato l'intenzione di procede re nei confronti degli amministratori e dei sindaci di (...), tra l'altro contestando il reato di bancarotta semplice ex artt. 217 e 224 Regio Decreto 267/1942", rileva che "è evidente che l'imputazione in sede penale presuppone l'esistenza di una condotta commissiva od omissiva causalmente connessa al dissesto societario, imputabile agli organi societari" e precisa che, a suo avviso, "il che si riflette direttamente sulla controversa responsabilità per le perdite registrate a bilancio, non potendosi prescindere da un accertamento dei profili di responsabilità civile degli amministratori e sindaci, quantomeno in termini di concorso di colpa". La richiesta è infondata e viene respinta. Come è noto l'art. 295 c.p.c. dispone che "il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa" e, in tema di rapporti tra giudizio civile e giudizio penale, la Suprema Corte ha ripetutamente precisato che "la sospensione necessaria del processo civile ai sensi degli artt. 295 c.p.c., 654 c.p.p. e 211 disp. att. c.p.p., in attesa del giudicato penale, può essere disposta solo se una norma di diritto sostanziale ricolleghi alla commissione del reato un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile ed a condizione che la sentenza penale possa avere, nel caso concreto, valore di giudicato nel processo civile. Perché si verifichi tale condizione di dipendenza tecnica della decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l'effetto giuridico dedotto in ambito civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto dell'imputazione penale". (Così, fra le tante, Cass. civ. Sez. VI - 3 Ord., 15/07/2019). In applicazione del predetto principio, la S.C. ha escluso la configurabilità di una relazione di pregiudizialità tecnica fra il giudizio civile di risarcimento danni proposto da una banca nei confronti del presidente del c.d.a. per l'attività finanziaria da questi illegittimamente svolta nei confronti del pubblico ed il giudizio di accertamento in sede penale della responsabilità di tale soggetto dovuta ad illecita attività finanziaria, svolta parallelamente a quella istituzionale e produttiva di un danno all'immagine della banca, ritenendo che tale accertamento non costituisse presupposto necessario per l'esperimento da parte della banca dell'azione generale di risarcimento del danno. Nello stesso senso, sono anche Cass. civ. Sez. VI - 2 Ord., 11/07/2018, n. 18202 ("Il giudizio civile può essere sospeso, ai sensi degli artt. 295 c.p.c., 654 c.p.p. e 211 disp. att. c.p.p., ove una norma di diritto sostanziale ricolleghi alla commissione del reato un effetto sul diritto oggetto di tale giudizio, purché la sentenza penale possa avere, nel caso concreto, valore di giudicato nel processo civile. Pertanto, per rendere dipendente la decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l'effetto giuridico dedotto in ambito civile sia collegato normativamente alla commissione del reato") e, da ultimo, Cass. civ. Sez. VI - 3 Ord., 01/06/2021, n. 15248 ("La sospensione necessaria del processo civile, ai sensi degli artt. 295 c.p.c., 654 c.p.p. e 211 disp. att. c.p.p., in attesa del giudicato penale, può essere disposta solo se una norma di diritto sostanziale ricolleghi alla commissione del reato un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile, e a condizione che la sentenza penale possa avere, nel caso concreto, valore di giudicato nel processo civile. Perché si verifichi tale condizione di dipendenza tecnica della decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l'effetto giuridico dedotto in ambito civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto dell'imputazione penale"). Nel caso di specie, invece, le vicende penali sopradescritte e l'eventuale esito del processo penale nei confronti dei membri degli organi amministrativi e di controllo di (...) spa sono del tutto ininfluenti ai fini della decisione, non essendovi alcun collegamento normativo tra il reato oggetto dell'imputazione penale e la responsabilità dell'Ente comunale fatta valere dal Fallimento attore in questa sede. Di conseguenza, si deve escludere che la eventuale sentenza di condanna abbia alcun valore di giudicato in questa sede, così come si deve escludere che l'eventuale assoluzione sia in contrasto con la responsabilità risarcitoria oggetto del presente giudizio. 4.4. Come riferito al precedente punto 3, con istanza 29.5.20 parte attrice ha chiesto e successivamente ottenuto di essere autorizzata a depositare il fascicolo delle indagini preliminari depositato nel procedimento RG 2994/27 del Tribunale di Alessandria. Il fascicolo in questione è stato depositato e reso disponibile dopo lo spirare, nel presente giudizio, dei termini per il deposito di documenti e la formulazione di istanze istruttorie e parte convenuta non contesta la sussistenza dei presupposti per la remissione in termini relativamente all'intero fascicolo in sé ma relativamente ad alcuni documenti contenuti nel fascicolo e che, secondo la tesi, erano già nella disponibilità delle parti e non erano stati prodotti tempestivamente in giudizio. Anche tale questione non è fondata. Premesso, in linea generale, che il fascicolo delle indagini penali in questione è un elemento unitario e che da ciò consegue che le parti non possono smembrarlo e selezionare i documenti da depositare in giudizio, osserva il Collegio che è pacifico in giurisprudenza anche di legittimità, che il Ctu può, sua sponte, compiere indagini non espressamente lui devolute e attingere notizie non rilevabili dagli atti processuali su fatti e situazioni che formano oggetto del suo incarico (cfr., ex multis, Cass. 2007 n. 24323 e Cass. 2007 n. 3936) e, più nel dettaglio, che "Il consulente tecnico d'ufficio, ai sensi dell'art. 194 c.p.c., può acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori, rientranti nell'ambito strettamente tecnico della consulenza e costituenti il presupposto necessario per rispondere ai quesiti formulati, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse" (così Cass. 2021 n. 21926; idem, fra le altre, Cass., 2013 n. 19816, Cass., 2012 n. 14577 e Cass., 2002 n. 5422), fermo restando che in sede di contraddittorio tecnico tutte le parti (come è avvenuto nel caso) devono avere la possibilità di visionare i documenti acquisiti dal Ctu e di interloquire sulla loro portata e rilevanza. Nel caso di specie, dunque, il collegio peritale ben poteva acquisire elementi per rispondere compiutamente ai quesiti di cui all'ordinanza 17.1.20 visionando anche solo spontaneamente e direttamente il fascicolo delle indagini preliminari del Tribunale di Alessandria atteso che alcuno degli elementi in esso contenuti costituisce di per sé atto o fatto posto direttamente a fondamento della domanda. Del resto, analizzando nel dettaglio la documentazione sulla quale il (...) appunta le sue doglianze, risulta che i bilanci di esercizio, relazione fallimentare e relativi allegati erano già stati tempestivamente prodotti dal Fallimento, così come erano stati già prodotti contratti di servizio (ancorché ulteriori rispetto a quelli menzionati nella relazione). I documenti non prodotti in causa si riducono dunque ad alcuni degli atti raggruppati sub 113e e, segnatamente, l'elenco del personale (113e n. 13) e provvedimenti adottati dal Comune (113e da n. 7 a n. 12 e da n. 22 a n.32), documenti che forniscono elementi di contorno della vicenda ma non certo e in quanto tali rappresentano elementi costitutivi della domanda. Tutte le doglianze e le richieste avanzate dal Comune convenuto relativamente a questo punto devono dunque essere respinte. 4.5. Da ultimo, deve essere respinta l'eccezione di prescrizione formulata da parte convenuta relativamente alle operazioni di scissione e fusione avvenute negli anni 2002 e 2008. La prospettazione attorea non è infatti volta alla declaratoria di illegittimità degli atti ma ad evidenziare (come del resto è risultato in causa, cfr. infra, punto 5.1. in particolare) che la fusione è stata una operazione meramente contabile e che la copertura delle perdite deliberata nel 2014 non è stata effettiva in quanto il capitale utilizzato non era esistente. 5. Le vicende di (...) ((...)) - dalla costituzione in forma di Azienda Speciale di Ente Locale (9.2.1996) fino alla dichiarazione di fallimento (18.7.2016) passando per la deliberazione dello stato di liquidazione volontaria (3.3.2016) - sono state analiticamente ricostruite dal Collegio peritale e possono essere sintetizzate come segue. (...) è stata costituita il 13.11.1995 in forma di Azienda speciale di Ente locale avente ad oggetto sociale "l'esercizio - diretto e/o per tramite di società o enti partecipati - delle attività inerenti all'organizzazione e alla gestione della mobilità nelle aree urbane ed extraurbane ed in particolare l'organizzazione, l'impianto, l'esercizio e la gestione complessiva del trasporto di persone", nonché attività complementari, strumentali e accessorie allo stesso. A seguito dell'operazione straordinaria di trasformazione, (...) assume dal 01 gennaio 2000, l'attuale forma sociale ed il capitale sociale inizialmente deliberato era pari a lire 8.145 milioni ed interamente assegnato al (...). Il capitale sociale viene ulteriormente aumentato in data 21.6.2000 e in data 11.7.2001 (lire 135.145 milioni poi trasformate in euro) e suddiviso in azioni totalmente di proprietà del (...). In data 9.4.2002 è stata deliberata l'operazione straordinaria di scissione parziale (con trasferimento di una parte del patrimonio netto a una società di nuova costituzione, (...) spa a far data dall'1.1.2003) e in tale occasione una parte delle azioni di (...) sono state trasferite alla Città di Torino. Alla data di efficacia della scissione parziale, il capitale sociale è stato ridotto ad euro 2.788.054,50, di cui il 95,44 per cento in titolarità del (...) ed il resto in titolarità del Comune di Torino. Tale capitale sociale è rimasto invariato sino al 2.1.2007, data di efficacia del conferimento d'azienda eseguito da (...) spa. A seguito di ciò il capitale sociale ammontava ad euro 2.918.050,59, di cui il 91,18 per cento in titolarità del (...), il 4,36 per cento in titolarità del Comune di Torino e il 4,45 per cento in titolarità del Comune di Valenza. In data 01 settembre 2008 è intervenuta la fusione tra la (...) e la (...) spa e il capitale post fusione ammontava ad euro 13.895.476,98 euro, il cui 94,54 per cento era in titolarità del (...), mentre del residuo erano titolari il Comune di Torino (4,52 per cento) e il Comune di Valenza (0.95 per cento). In data 26.6.2014, il capitale sociale è stato ridotto ad euro 544.364,00 euro, di cui euro 514.642 di titolarità del (...), euro 24.605 di titolarità del Comune di Torino ed euro 5.117 di titolarità del Comune di Valenza. (...) è stata posta in liquidazione volontaria in data 3.3.16 e, in sede di liquidazione, in data 14.6.2016, con scrittura privata autenticata, è stata concessa in affitto l'azienda della società (...) alla (...) anch'essa controllata dal (...) sino alla data del 31.12.2016. In data 18 luglio 2016 (...) è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Alessandria e il Collegio Peritale ha accertato uno stato passivo complessivo pari ad euro 34.076.610. 5.1. Quanto alle problematiche finanziarie, reddituali e patrimoniali che hanno determinato l'insolvenza e poi il fallimento di (...), il Collegio peritale ha segnalato che: 1. La società soffre di una costante crisi di liquidità di importo rilevante. Questo è il fattore negativo che caratterizza la gestione di (...). La ragione di questa crisi di liquidità è la diretta conseguenza dei mancati incassi dei crediti verso il (...)". 2. La società risulta costantemente sottocapitalizzata. Gli aumenti di capitale sono avvenuti solo con operazioni straordinarie (in particolare la fusione), senza apporto di liquidità". In relazione a questo punto, il Collegio Peritale ha sottolineato la valutazione che alcuni immobili - cioè l'intero complesso immobiliare presso cui (...) esercitava la propria attività - hanno avuto in sede di scissione parziale e costituzione della spa (...) (2002/2003) e successivamente in sede di fusione con la predetta SPRA (2008). Ebbene, "rispetto ai valori di carico che tali immobili avevano avuto nella contabilità di SPRA, euro 13.679.378, in seguito alla fusione con (...) i valori sono stati incrementati in modo sostanziale, euro 21, particolare la sede di (...) ha assunto un valore di iscrizione post-fusione di quasi 5 volte il valore contabile ante-fusione", e non mancando di precisare che come indicato anche nella consulenza tecnica ex art. 359 cpp, redatta dal prof. Dott. (...), in seno al procedimento penale n. 2994/2017 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Alessandria gli immobili erano di fatto privi della capacità di generare flussi di cassa attraverso il loro utilizzo. I flussi di cassa non erano prevedibili, neanche per mezzo di una loro riqualificazione e/o ricollocazione. Inoltre, la Società, sotto il profilo reddituale ed economico, non generava utili dalla gestione; pertanto, gli immobili avrebbero dovuto essere sottoposti a procedimento di verifica per la svalutazione". 3. La redditività tende allo zero se non alla negatività, come anche indicato nel verbale ispettivo del MEF (documento 69 di parte attrice, pag. 28) in conseguenza del fatto che l'ammontare dei corrispettivi pattuiti per l'esercizio delle varie attività in concessione erano in parte incerti, contributi regionali e provinciali da riversare ad (...) ed inoltre, per la restante parte, non modificabili da parte di (...), se non con l'assenso del Comune. L'unica leva gestionale utilizzabile da (...) era quella del massimo contenimento dei costi che, tuttavia, erano in larga parte fissi in quanto legati al personale dipendente. (...) non aveva, invece, alcuna possibilità di azione per un aumento dei ricavi dato che i corrispettivi per i servizi svolti su concessione comunale erano fissati nel contratto di servizio e la situazione di crisi di liquidità, avente anche conseguenze in merito al DURC (a fronte dei mancati/tardivi pagamenti dei contributi previdenziali) rendeva non praticabile, di fatto, l'avvio di altre attività in aggiunta a quelle già svolte da (...). Le direttive e scelte gestionali operate dal (...) hanno portato gli amministratori di (...), che si trovavano, come si evince dai documenti agli atti di causa, in una situazione di sudditanza di fatto nei confronti del Socio di maggioranza e del Sindaco del Comune che li aveva nominati, a) a sottoscrivere contratti di servizio a condizioni anti economiche, come riassunto nella tabella a pag. 39 della relazione peritale, che riporta l'evoluzione dei risultati gestionali di dettaglio, come risulta dai bilanci prodotti in causa da parte attrice e b) a non porre rimedio neppure nel corso degli anni alla antieconomicità di detti contratti, lasciando peraltro che il Comune gestisse i pagamenti dovuti in modo tale da aggravare la crisi di (...)". 4. La (scarsa) redditività era inoltre aggravata dagli interessi passivi sui debiti accesi per coprire lo stesso fabbisogno di liquidità". 5. "Infine, dal punto di vista patrimoniale, la già precaria situazione finanziaria e reddituale era aggravata da una situazione di sopravvalutazione dell'attivo patrimoniale e, quindi, del patrimonio netto, portata principalmente dalla sopravvalutazione e mancata svalutazione degli immobili. I risultati della gestione evidenziano sensibili perdite negli esercizi 2007, 2008, e 2010, peggiorando ulteriormente a partire dal 2012. Detto peggioramento è dovuto essenzialmente ai seguenti fattori: (1) esercizio 2012: svalutazione dei crediti esistenti al 31.12.2011 verso il Comune per euro 5.050.559 operata nel bilancio 2012 a fronte della dichiarazione di dissesto del Comune intervenuta nel luglio 2012. L'aver consentito al Comune da parte degli amministratori di (...) succedutesi nel tempo (a fronte della sudditanza che di fatto hanno costantemente avuto nei confronti del Comune (...) senza alcuna azione giudiziaria, di non pagare nei termini contrattuali i servizi resi da (...) ha determinato l'aumento dell'esposizione del Comune verso (...) con maggiori conseguenze negative sul recupero dei crediti a fronte dell'intervenuta dichiarazione di dissesto; (2) esercizi dal 2013: riduzione dei corrispettivi dei servizi contrattualizzati stabilita dal Comune nell'ambito della delibera della Giunta Comunale del 28.3.2013 (doc. 119-28679 pagg. 181-186 di parte attrice) ed accettata dagli amministratori di (...) a fronte della sudditanza che di fatto hanno costantemente avuto nei confronti del Comune, che ha portato ad una riduzione dei ricavi previsti per 3,5 milioni di euro circa nel 2013 e di 3,8 milioni di euro circa nel 2014 e 2015 (a consuntivo la riduzione è risultata superiore), cui si è aggiunta una riduzione dei contributi regionali per il (...), anche essa legata a scelte gestionali impartite dal Comune ad (...) (in seguito alla delibera della Giunta Comunale (...) - documento (...) di parte attrice, pagg. 140-144 e relazione sulla gestione al bilancio 2012 - sono venute meno le agevolazioni tariffarie con conseguente riduzione degli introiti degli abbonamenti che, a sua volta, ha determinato una riduzione della contribuzione regionale spettante ad (...). Quanto precede, senza possibilità per (...) di ridurre i servizi prestati ovvero di ridurre i costi fissi, principalmente legali al personale dipendente". 6. Nel documentato contesto sopra delineato il Curatore del Fallimento (...) ha formulato le domande risarcitorie riportate in epigrafe nei confronti del (...) - Comune che, per l'intera vita di (...), ha avuto il controllo della medesima, detenendo una quota di capitale sociale sempre superiore al 90 per cento - sottolineando che "la causa petendi dell'azione sta nel disposto dell'art. 2497 c.c. di cui il modello amministrativo in house providing può a ragione essere ritenuto un caso di specie: in questo senso il controllo analogo richiesto dal modello in house partecipa alla descrizione della fattispecie fondante la responsabilità dell'ente controllante". Replica il Comune convenuto rilevando che (...) spa non ha mai presentato i tratti essenziali del modello in house indicati anche dalla giurisprudenza comunitaria sin dalla sentenza della CGE 18.11.1999 (...) e che comunque non sussistono i presupposti sostanziali per l'attivazione dell'art. 2497 c.c. atteso che i vari statuti di (...) succedutisi nel tempo attribuivano al CdA di (...) spa "i più ampi poteri per la gestione ordinaria e straordinaria della società, senza eccezioni di sorta", oltre alla "facoltà di compiere tutti gli atti opportuni per l'attuazione e il raggiungimento degli scopi sociali". 6.1. Ritiene il Collegio che il richiamo al modello di società in house non sia conferente. Come è noto, la società in house è istituto di derivazione comunitaria, prima enunciato in sentenze della Corte di Giustizia e poi modellato nelle Direttive 2014 - 23/24 e 25 UE, con il preciso scopo di limitare le ipotesi che consentono di derogare alle regole della concorrenza del mercato mediante il ricorso a forme di affidamenti diretti di compiti relativi alla realizzazione di opere pubbliche o alla gestione di servizi pubblici. In sostanza, l'affidamento diretto non comporta alcuna lesione del principio di concorrenza se ed in quanto, in osservanza al principio di libera amministrazione delle pubbliche autorità di cui all'art. 2 della Direttiva 2014/23/Ue, esso non rappresenta una esternalizzazione ma una autoproduzione di servizi tramite un soggetto che, sostanzialmente - atteso che l'amministrazione aggiudicatrice esercita sul soggetto affidatario un controllo analogo a quello operato sui propri servizi - non è diverso dell'ente pubblico. Anche nell'ordinamento giuridico interno, già prima del TUSP e del Codice Appalti, la Suprema Corte - ai fini del riparto di giurisdizione (cfr., per esempio, Cass. SSUU 2013 n. 26283 e Cass. SSUU 2014 n. 22609) - ha qualificato la società in house come mera articolazione interna della PA (con la conseguenza che l'affidamento diretto alla società in house, posta in una situazione di delegazione organica/subordinazione gerarchica, deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa) e ne ha precisato i requisiti. Tali requisiti, come poi costantemente ribadito, "devono sussistere contemporaneamente e risultare da precise disposizioni statutarie in vigore all'epoca cui risale la condotta illecita": "a) il capitale sociale sia integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi, e lo statuto vieti la cessione delle partecipazioni ai soggetti privati, b) la società esplichi statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti, in modo tale che l'eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale, c) la gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici, con modalità e intensità di comando non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai sensi del codice civile" (Così, a ultimo, con richiami a pregressa e consolidata giurisprudenza di legittimità, Cass., SSUU 1.10.21 n. 26738). Nella fattispecie, la copresenza di tutte queste condizioni non è sussistente, mancando, in particolare, il divieto di apertura alla partecipazione al capitale da parte di altri soci (cfr. pag. 127 della relazione peritale che, ciononostante, mette in evidenza un controllo analogo di fatto). Vero è, però, come si dirà infra, che anche dopo la trasformazione di (...) da municipalizzata in (...) spa, il (...) ha continuato a considerarla come sua società in house (cfr., per es., la determina dirigenziale 17.4.15 n. 613) e ad utilizzarla per lo svolgimento di servizi propri come sua diretta emanazione al di fuori di ogni logica di mercato e comunque, come sopra già delineato, parte attrice ha agito in giudizio sulla base dell'art. 2497 c.c., norma pacificamente applicabile agli Enti Pubblici diversi dallo Stato quando, come nel caso, svolgono una attività economica o finanziaria attraverso una società di diritto comune, società che è assoggettata alle normali regole civilistiche di organizzazione e funzionamento comprese quelle concernenti la direzione e il coordinamento. 7. L'art. 2497 c.c. prevede infatti che le società e gli enti (diversi dallo Stato) che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, abbiano agito nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale delle società soggette all'attività di direzione e coordinamento sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale nonché, nei confronti dei creditori sociali, per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio sociale. E' pacifico che in caso di fallimento della società etero diretta l'azione spettante ai creditori sociali spetta al curatore fallimentare ed è altrettanto incontroverso che non opera la previsione del comma 3 della norma citata, dal momento che con il fallimento della società etero diretta si realizza automaticamente il requisito della sussidiarietà. Si richiama, ex multis, T. Palermo, sez. impresa, 28.4.2021: "l'onere della preventiva escussione non può sussistere nei confronti di società fallita atteso che nessuna escussione può realizzarsi, sicché sussiste da parte del fallimento il pieno diritto di procedere ai sensi dell'art. 2497 c.c." La natura della responsabilità ex art. 2497 c.c. - contrattuale o extracontrattuale - è controversa in dottrina e giurisprudenza, tuttavia, ad avviso del Collegio, la questione è priva di riflessi pratici in punto di onere probatorio, posto che l'attore è comunque tenuto a provare l'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento, l'antigiuridicità di tale condotta e l'evento dannoso (qui la lesione cagionata all'integrità del patrimonio sociale della società). 8. La direzione e coordinamento rilevante ex art. 2497 c.c. si realizza per il solo fatto del suo effettivo esercizio e l'art. 2497-sexies c.c. sancisce che tale attività si presume sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento del bilancio o che comunque controlla la società in questione ai sensi dell'art. 2359 c.c.; vengono dunque in rilievo il controllo esercitato disponendo "della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria", il controllo esercitato mediante "voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria" e "l'influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa", cioè ogni forma di potere effettivo e di ingerenza anche non tipizzati realizzati attraverso l'organizzazione societaria o attraverso la gestione di rapporti contrattuali e senza che sia necessaria alcuna spendita del nome della società etero diretta. 8.1. Nel caso di specie, il (...) è sempre stato socio maggioritario di (...) e ha sempre avuto il controllo della medesima, detenendo una quota di capitale sociale sempre superiore al 90 per cento (cfr. grafico a pag. 32 della relazione peritale). Il (...) è dunque sempre stato in una posizione di "controllo cd interno di diritto" di (...) spa ex art. 2359 n. 1 c.c. ("interno", in quanto basato sulla partecipazione azionaria e "di diritto" in quanto la misura della partecipazione è tale da attribuire, per legge, la maggioranza dei voti in assemblea) e quindi in grado di determinare la condotta imprenditoriale di (...) e di imporre agli organi di questa la propria direzione sia mediante atti unilaterali di indirizzo, sia mediante la unilaterale determinazione delle politiche creditizie e delle tariffe nei confronti degli utenti finali. 8.2. La titolarità del pacchetto di maggioranza è elemento sufficiente per integrare la presunzione di cui all'art. 2497 sexies c.c. e del resto parte convenuta non ha portato alcun elemento idoneo a superare la presunzione di legge. Al contrario, dall'esame degli atti di causa e dalla Ctu esperita, emerge che assessori del (...) sono stati costanti interlocutori di (...), intervenendo ripetutamente nella gestione della stessa e talvolta anche partecipando anche alle riunioni del CdA. Il (...) ritiene tale ingerenza non rilevante ai fini di causa perché, ex artt. 147 e sgg. Tuel, l'Amministrazione ha il compito di definire gli obiettivi gestionali cui deve tendere la partecipata, ma tale difesa è evidentemente pretestuosa dal momento che un conto è la definizione degli obiettivi ed altro conto è, come è avvenuto, l'intervento diretto o indiretto nella gestione per il perseguimento di un interesse diverso da quello sociale di (...) spa. 8.3. Questo documentato contesto conferma dunque l'esistenza di una subalternità di (...) spa alla direzione del (...) e il Collegio peritale ha comunque evidenziato che il (...) esercitava su (...) un controllo di fatto analogo a quello esercitato sui propri servizi rilevando le plurime circostanze di seguito indicate. Premesso che l'attività di (...) si sostanziava, di fatto, nell'erogazione del servizio di trasporto pubblico locale e servizi correlati per il territorio individuato, che la totalità degli amministratori non veniva designata totalmente e liberamente dall'assemblea ai sensi dell'art. 2380-bis c.c. ma che la delibera assembleare consisteva nella mera nomina formale dei soggetti effettivamente designati dal Sindaco del (...), (come previsto dall'art. 17 dello Statuto, secondo comma, in tutte le sue varie versioni), attraverso il semplice recepimento dei decreti da egli emanati, che il (...) ha promosso operazioni anche strategiche esercitando, nei fatti, un potere di etero direzione, "nonché influenzando anche la decisione relativa all'operazione straordinaria di fusione del 2008 (si vedano le delibere del CdA di (...) del 10.7.2007 e 27.7.2007 in cui l'operazione di fusione è promossa su proposta dell'Assessore Prof. (...) il quale comunica che in base ad un indirizzo maturato a livello comunale e in attuazione del programma elettorale della nuova amministrazione è necessario esaminare la proposta di riaccorpamento tra (...) e SPRA" (cfr. pag. 125 della relazione peritale) e che "il (...) considerava apertamente (...) come sua società in house (cfr. determina dirigenziale 17.4.15 n. 613)", il Collegio peritale ha infatti riferito come gli amministratori di (...) succedutisi nel tempo abbiano di fatto mantenuto una costante sudditanza nei confronti del Comune (che li ha nominati attraverso il Sindaco) accondiscendendo a porre in essere o subire le decisioni degli organismi comunali aventi effetti negativi sulla gestione di (...) e a tutto vantaggio del Comune. Si evidenziano, a tale riguardo, a titolo esemplificativo: i) la sottoscrizione da parte di (...) di contratti di servizio con il Comune a condizioni economicamente non sostenibili e senza tutela di sorta a) per il caso dei tardivi o mancati pagamenti da parte del Comune b) in caso di riduzione dei contributi regionali e provinciali indicati contrattualmente come stima, c) quanto agli oneri che sarebbero rimasti in capo ad (...) nel caso di risoluzione del contratto e di aggiudicazione a terzi ad esito della gara a rilevanza europea per la gestione del servizio (ad es. personale in esubero e oneri pluriennali sopportati) nonché d) circa le modalità e le condizioni economiche di passaggio dei propri assets in capo all'eventuale terza aggiudicataria dei servizi; ii) l'indicazione di come (...) avrebbe dovuto destinare gli incassi dei crediti verso il Comune (vedasi le indicazioni da parte del Comune sui pagamenti degli stipendi di giugno e agosto 2012, dei contributi rateizzati e del fornitore (...), quest'ultimo essenziale per la ricambistica che aveva minacciato di interrompere le forniture); iii) l'indicazione dell'Assessore (...), come evidenziata nel verbale del Consiglio di Amministrazione di (...) del 8 agosto 2011 di fare ricorso alla rateizzazione dei debiti contributivi a fronte dell'impossibilità del Comune di fare fronte ai propri debiti verso (...) onde ottenere il rilascio del Durc e lo sblocco della fattorizzazione dei crediti da parte di (...); iv) l'assenza di attività giudiziali per il recupero dei crediti verso il Comune da parte degli amministratori di (...) (è evidente dalla lettura dei verbali del Consiglio di Amministrazione di (...) come tale ipotesi sia sempre stata volutamente rimandata dai consiglieri di Amministrazione di (...) succedutisi nel tempo, nonostante la presa di coscienza di come fosse una iniziativa necessaria ed urgente); v) l'accettazione passiva da parte del Consiglio di Amministrazione di (...) della riduzione dei corrispettivi dei contratti posti in essere (piano di riduzione dei corrispettivi dei servizi per il 2013 e 2014) senza alcuna riduzione dei servizi prestati, con evidente aumento delle perdite. Le decisioni in ordine alla riduzione dei corrispettivi dei contratti riferiti ai servizi sono state prese unilateralmente dal Comune, motivando tale scelta con impostazioni della Corte dei Conti di non incrementare i costi di esercizio del Comune (ma non di ridurli). Al riguardo il Comune ne dava notizia ad (...), che recepiva le indicazioni nell'ambito delle delibere del Consiglio di Amministrazione, affinché provvedesse a porre in essere iniziative di efficientamento e razionalizzazione delle spese, disinteressandosi del fatto che tali iniziative fossero praticabili o meno; vi) affitto d'azienda alla (...), controllata dal Comune, a ridosso della richiesta di fallimento in proprio di (...)". 9. Gli elementi di cui sopra, oltre a provare una situazione fattuale di controllo da parte del Comune convenuto su (...) spa, evidenziano inoltre l'antigiuridicità di tale gestione, ossia l'esercizio di quella attività di direzione "nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale" previsto dall'art. 2497 c.c. 9.1. Come è noto, l'espressione "interesse imprenditoriale proprio o altrui" porta ad escludere dall'ambito di responsabilità ex art. 2497 c.c. solo le ipotesi nelle quali sia perseguito un interesse meramente privato (quale l'interesse personale degli amministratori/cariche pubbliche della società/ente controllante) e a ricomprendervi tutte le altre ipotesi in cui è stato perseguito un interesse extrasociale rispetto a quello della società etero diretta. Con l'art. 19 del d.l. 2009 n. 78, convertito nella l. 2009 n. 102, il legislatore ha chiarito che " l'art. 2497, primo comma del codice civile si interpreta nel senso che per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell'ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria" ed è stato ripetutamente osservato che l'ampiezza dell'espressione "finalità di natura economica o finanziaria" è tale da ricomprendere gli obiettivi che l'ente pubblico territoriale persegue attraverso la costituzione di società in house o comunque delle società cui partecipa (cfr. T. Napoli, Sez. Impresa 7.11.19 e T. Palermo, Sez. Impresa. 28.4.2021). Nella fattispecie, è dunque indubbia la sussistenza del presupposto in esame posto che è documentato che l'attività di (...) spa si sostanziava nell'erogazione del servizio di trasporto pubblico locale e servizi correlati per il territorio, cioè nello svolgimento di un servizio che era l'ente territoriale a dover espletare. Si richiamano, sul punto, anche le conclusioni del consulente del PM nel procedimento penale pendente presso il Tribunale di Alessandria, il quale ha fatto presente come: "l'intera attività di impresa di (...) fosse legata e derivasse dai rapporti di natura commerciale intrattenuti con il (...) e, conseguentemente, come la stessa potesse essere proficuamente portata avanti, da (...), solo a condizione di un efficiente incasso dei crediti nei confronti della controllante la pressione esercitata dal Comune sulla gestione della controllata, induce a ritenere che l'organo di gestione non abbia operato nell'interesse della società cui era preposto e, quindi che abbia operato nell'interesse proprio (seppure indirettamente, in quanto soggetti scelti dalla controllante) o altrui (della società controllante)". 9.2. Il parametro concernente i "principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale" impone il rispetto dei principi di diritto societario ricavabili dalle norme di legge e dallo statuto della controllata e preclude all'ente controllante di imporre, nell'interesse esclusivamente proprio, politiche aziendali o singole operazioni prive di sostenibilità economica eventualmente anche per assenza di vantaggi compensativi. La giurisprudenza ha pertanto ritenuto che per non incorrere nella violazione del parametro in esame, la controllante non deve "scardinare il necessario punto di equilibrio che deve essere perseguito, nell'esercizio dell'attività di direzione, tra il soddisfacimento degli interessi delle società controllate e di quelli della società controllante, tale da consentire la soddisfazione per tutti i soggetti coinvolti nelle operazioni realizzate" (T. Palermo, 15.6.2011) e che "la direzione e coordinamento devono essere caratterizzate, ex art. 2497 c.c., dall'osservanza di principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società controllate, nel senso che l'unitarietà della direzione non può giustificare l'utilizzo della gestione delle imprese controllate ad esclusivo beneficio dell'interesse delle società controllanti, bensì per il coordinamento degli interessi delle due", (T. Milano, 10.11.14) e in dottrina è stato sottolineato che ogni qualvolta l'interesse pubblico dell'ente controllante contrasti con l'economicità della gestione della società etero diretta deve comunque essere conseguito almeno il pareggio del bilancio della controllata. 9.3. Nel caso di specie, ancorché lo statuto di (...) non prevedesse specifici poteri in capo al (...) ma solo la facoltà di nomina da parte del Sindaco della totalità e/o della maggioranza dei membri del CdA, è emerso (come in parte già esposto ai precedenti punti) che i consiglieri di amministrazione - in posizione di completa sudditanza rispetto al Comune in ragione della nomina - hanno costantemente e supinamente recepito le direttive e gli atti di impulso del socio di maggioranza (cfr. tabella alle pagg. 210-228 della relazione peritale). Con la conseguenza che, nella sostanza, il (...) ha continuativamente etero diretto l'attività gestionale della controllata imponendo costantemente scelte economiche e operative nel proprio esclusivo interesse e a tutto danno di (...). Come dettagliatamente risultato in sede tecnica, l'ingerenza gestionale del Comune si è esplicitata attraverso: "I) direttive della Giunta Comunale che prevedono che (...) a) attuasse le modalità di gestione individuate dal Comune, risultate in larga parte antieconomiche per la controllata ovvero b) prendesse atto della riduzione dei corrispettivi contrattuali sulla base delle esigenze del Comune; II) la sottoscrizione da parte di (...) di contratti di servizio con il Comune a condizioni economicamente non sostenibili e senza tutela di sorta a) per il caso dei tardivi o mancati pagamenti da parte del Comune b) in caso di riduzione dei contributi regionali e provinciali indicati contrattualmente come stima, c) quanto agli oneri che sarebbero rimasti in capo ad (...) in caso di risoluzione del contratto o di aggiudicazione a terzi ad esito della gara a rilevanza europea per la gestione del servizio (ad es. personale in esubero ed oneri pluriennali sopportati) nonché d) circa le modalità e le condizioni economiche di passaggio dei propri assets in capo all'eventuale terza aggiudicataria dei servizi; III) l'indicazione di come (...) avrebbe dovuto destinare gli incassi dei crediti verso il Comune (vedasi le indicazioni da parte del Comune sui pagamenti degli stipendi di giugno e agosto 2012, dei contributi rateizzati e del fornitore (...), quest'ultimo essenziale per la ricambistica e che aveva minacciato di interrompere le forniture); IV) l'indicazione data dall'Assessore (...), come evidenziata nel verbale del Consiglio di Amministrazione di (...) del 9 agosto 2011 di fare ricorso alla rateizzazione dei debiti contributivi a fronte dell'impossibilità del Comune di far fronte ai propri debiti verso (...), onde ottenere il rilascio del Durc e lo sblocco della fattorizzazione dei crediti da parte di (...); V) l'assenza di attività giudiziali per il recupero dei crediti verso il Comune da parte degli amministratori di (...) (è evidente, dalla lettura dei verbali del Consiglio di Amministrazione di (...), come tale ipotesi sia sempre stata volutamente rimandata dai Consiglieri di Amministrazione di (...) succedutisi nel tempo, nonostante la presa di coscienza di come fosse un'iniziativa necessaria e urgente); vi) l'accettazione passiva da parte del Consiglio di Amministrazione di (...) della riduzione dei corrispettivi dei contratti in essere (piano di riduzione dei corrispettivi dei servizi per il 2013 e 2014) senza alcuna riduzione dei servizi prestati con evidente aumento delle perdite. Le decisioni in ordine alla riduzione dei corrispettivi dei contratti riferiti ai servizi sono state prese unilateralmente dal Comune, motivando tale scelta con imposizioni della Corte dei Conti di non incrementare i costi d'esercizio del Comune (ma non di ridurli). Al riguardo il Comune ne dava notizia ad (...), che recepiva le indicazioni nell'ambito delle delibere del consiglio di Amministrazione affinché provvedesse a porre in esser iniziative di efficientamento e razionalizzazione delle spese, disinteressandosi del fatto che tali iniziative fossero praticabili o meno; vii) affitto d'azienda alla (...), controllata del Comune, a ridosso della richiesta di fallimento in proprio di (...)". In sede di consulenza tecnica - e il Collegio concorda - è stato dunque evidenziato che la direttive e le scelte gestionali operate dal (...) non sono state mai coerenti con i principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale e ciò in quanto: (I) i principali contratti di servizio stipulati tra il Comune e (...) (sosta a pagamento, trasporto pubblico locale, trasporto alunni e trasporto disabili) e i corrispettivi dei servizi non contrattualizzati seppure prestati da (...) (bike sharing e manutenzione segnaletica stradale) - i cui corrispettivi e contenuti sono stati di fatto imposti dal Comune ad (...) a fronte della sudditanza dei componenti del CdA di (...), scelti dal Sindaco - hanno prodotto perdite gestionali in assenza di vantaggi compensativi, come risulta da relazioni sulla gestione del bilancio e dal conto economico di settore allegato ai bilanci di esercizio dal 2008 al 2014; (II) i tardivi e/o mancati pagamenti dei corrispettivi dei servizi da parte del Comune (ai quali (...) non ha mai opposto adeguati provvedimenti sempre a causa della predetta sudditanza agli organi comunali dei propri amministratori) hanno determinato ulteriori perdite a fronte degli oneri finanziari per la fattorizzazione e l'anticipazione dei crediti da parte del sistema bancario nonché delle sanzioni ed interessi dovuti al mancato o tardivo pagamento dei debiti erariali e contributivi; (III) anche la scelta del Comune di ridurre la tariffa di sosta e di ripristinare la sosta gratuita tra le 12.30 e le 14.30 ha determinato aggravi di costi e problematiche di ordine sindacale in capo ad (...). In sostanza, non si è trattato di qualche isolata direttiva ma di un sistema di gestione mirato e continuato che l'ente comunale ha posto in essere nei confronti di (...) per asservirla al perseguimento di interessi e fini propri afferenti l'esercizio del servizio di trasporto pubblico a prezzi contenuti e senza riguardo alcuno per l'integrità patrimoniale della (...) spa e tanto meno del pareggio del suo bilancio. In questo senso, sono significative anche le ultime vicende, dopo che (...) è stata posta in liquidazione volontaria (3.3.16), relative alla concessione in affitto dell'azienda di (...) ad (...) (anch'essa controllata dal (...)) in data 14.6.16. Ebbene, anche in relazione a tale vicenda la Ctu ha riferito che il contratto di affitto prevedeva il pagamento pressocchè immediato da parte del (...) ed in favore dell'affittuaria di tutti i canoni dei servizi relativi al periodo di affitto 2016 e stimato in euro 2.200.000 e ha osservato che "appare qui pertinente l'osservazione svolta dal consulente tecnico del PP.MM. nella propria relazione in cui viene evidenziato che "la circostanza, senza dubbio non può che fare riflettere, alla luce delle scarse disponibilità liquide del (...) e quindi nella piena consapevolezza che la destinazione di somme cospicue al pagamento di debiti futuri verso l'affittuaria, avrebbe reso ancor meno probabile la soddisfazione almeno parziale dei debiti già scaduti verso la concedente, con conseguente danno ai creditori di (...)". Resta ancora da aggiungere che l'assenza, per (...), di "vantaggi compensativi" è stata accertata anche dal Consulente del Pubblico Ministero quando scrive che "non può che essere confermata l'assenza di vantaggi compensativi, intesi come specifici benefici della (...) spa che fossero suscettibili di valutazione ex ante ed idonei a compensare gli effetti immediatamente negativi delle operazioni compiute, mediante operazioni di segno opposto, con nesso di consequenzialità e interdipendenza". 9.4. Risultano dunque totalmente infondate le difese di parte convenuta quando cerca di escludere o limitare il coinvolgimento dell'Ente, riferendo che si è trattato di "semplici suggerimenti, a carattere non vincolante" e di addebitare il dissesto societario di (...) spa ai suoi amministratori, presentati improvvidi rispetto alle emergenze ed inerti rispetto alle soluzioni da adottare, e comunque sostenendo che "se sudditanza vi è stata essa costituisce una responsabilità di mala gestio in capo agli amministratori, i quali sono e restano gli unici responsabili del proprio agire". L'etero direzione abusiva rilevante ex art. 2497 c.c. risulta infatti da tutte le circostanze sopra ricapitolate e i plurimi richiami del (...) allo Statuto di (...) e agli artt. 147 e sgg. Tuel non solo non sono utili alla tesi difensiva ma sono anche contraddittori. Da un lato, infatti, parte convenuta richiama lo Statuto di (...) e sottolinea che l'assemblea e i soci non avevano formalmente poteri gestori della partecipata e questa circostanza esteriore non può che imprime una coloritura ulteriormente negativa all'attività invece di fatto esercitata; dall'altro, il Comune evoca il proprio potere di definire gli obiettivi gestionali della partecipata, obliterando che tale circostanza nulla ha a che vedere con ciò che nei fatti è avvenuto e cioè la etero gestione comunale di (...), a prescindere dallo schermo formale statutario e ben oltre la formulazione degli obiettivi di cui alle disposizioni del Tuel. Il tutto, senza dimenticare che i controlli di cui all'art. 147 quater del Tuel non legittimano certo, per esempio, "la riduzione apodittica e unilaterale del servizio (senza che siano individuate e/o condivise le riduzioni del servizio prestato da (...) che rendano sostenibile detta riduzione dei corrispettivi), resa possibile dalla sudditanza degli amministratori". (relazione peritale pag. 316). Quanto alla posizione degli amministratori, sono le direttive illegittime impartite dalla parte controllante che determinano l'inadempimento degli amministratori della controllata e non il contrario. Che poi, accanto alla responsabilità dell'Ente controllante ex art. 2497 c.c., possa sussistere anche una responsabilità dell'organo amministrativo e/o di controllo della società controllata è dato pacifico ma qui non conferente atteso che "il creditore è libero di agire in giudizio contro qualunque debitore solidale, senza necessità di evocare in giudizio tutti o determinati debitori: ciò vale anche rispetto all'azione di responsabilità per abuso di direzione e coordinamento" (T. Torino, sez. Impresa, 2.12.19), che parte attrice ha agito in giudizio solo ex art. 2497 c.c. nei confronti di (...) e che parte convenuta non ha chiamato in causa alcuno dei soggetti che hanno fatto parte, nel tempo, degli organi societari di (...). Parimenti infondata e pretestuosa è la difesa di parte convenuta quando adombra che non avrebbe potuto agire diversamente perché "a fronte della situazione di dissesto e dell'approvazione del bilancio stabilmente riequilibrato, su imposizione della Corte dei Conti, l'Ente non poteva per legge rifinanziare la Società o comunque erogare ad (...) le somme necessarie a compensare la riduzione dei contributi pubblici, come preteso da Controparte. Tantomeno, il Comune poteva intervenire per ripianare integralmente le perdite registrate da (...); ostandovi altresì la disciplina euro-comunitaria e nazionale in materia di divieto di aiuti di Stato, che vieta il riconoscimento all'operatore incaricato del servizio di trasporto pubblico di misure economiche integrative per ripianare perdite che una gestione efficiente avrebbe evitato" e ciò in quanto oggetto del presente giudizio è la responsabilità del Comune per avere provocato le perdite e il dissesto di (...) e non già quello di non aver ripianato perdite cagionate da altri in coerenza con la normativa pubblicistica vigente. 10. La quantificazione del danno. In sede peritale, sono state formulate le tre ipotesi di seguito riassunte: (I) danno quantificato come differenziale tra passivo ed attivo della procedura concorsuale pari ad euro 26.353.802,40; (II) danno quantificato come totale dei saldi di gestione negativi e positivi dei vari settori in cui operava la società per il periodo decorrente dall'1.1.2007 alla data del fallimento e pari ad euro 23.701.901, importo a cui vengono sottratti euro 283.449 riferiti alle perdite della distribuzione metano e così pari ad euro 23.418.452; (III) danno quantificato come totale dei saldi positivi e negativi della gestione caratteristica dei vari settori in cui operava la società per il periodo dall' 1.1.2007 alla data del fallimento e pari ad euro 14.737,932, importo a cui vengono sottratti euro 283.449 riferiti alle perdite della distribuzione metano e così pari ad euro 14.454.483. Il collegio peritale ha ritenuto preferibile la seconda ipotesi in quanto coerente "con quanto evidenziato nella presente relazione, del danno ai creditori sociali di (...) ascrivibile alle scelte gestionali operate dal (...), sia quello più strettamente collegato al risultato dei bilanci d'esercizio, di euro 23.418.452 in quanto rappresentativi". Ad avviso del Collegio, per la quantificazione del danno causato dal Comune occorre ancora sottolineare che non si è trattato di meri atti di orientamento/indirizzo/direttiva isolati o sporadici ma di un sistema di etero gestione mirato e continuato posto in essere dall'Ente pubblico per anni ed anni e per fini propri e a prescindere dal fatto che (...) da municipalizzata fosse divenuta spa e quindi soggetta, come anche i suoi soci pubblici, alle regole codicistiche di diritto comune. In questo contesto, il danno subito dai creditori di (...) non può che essere quantificato in coerenza a quanto proposto da parte attrice, ossia avendo riguardo ai deficit reddituali in cui è incorsa la società fallita a partire dall'anno 2012, peraltro conformi ai dati rilevati in sede peritale e riportati nella tabella a pagina 299 della relazione e alle conclusioni sub sopra riferite, al netto delle perdite ante 2012. La sommatoria dei risultati negativi degli esercizi 2012, 2013, 2014 e 2015 ammonta ad euro 21.276.089,00 e, come emerge dagli atti e già evidenziato, solo l'artificiosa copertura delle perdite ha consentito di procrastinare l'epilogo fallimentare. A questo ultimo proposito, si richiama in particolare l' arbitraria e ingiustificata sopravalutazione degli immobili di (...) in sede di fusione (gli immobili erano privi di capacità di generare flussi di cassa attraverso il loro utilizzo, flussi di cassa non erano prevedibili neppure mediante la loro riqualificazione e dunque avrebbero dovuto eventualmente essere svalutati mentre invece il valore contabile degli stessi - pari ante fusione ad euro 13.679.378 - è passato ad euro 21.790.129, cfr. pag. 37 della relazione peritale), operazione che, unitamente alla quella di riduzione del capitale sociale del giugno 2014, ha consentito un apparente miglioramento delle voci patrimoniali della società ma solo fittizio in quanto senza apporto di liquidità e senza copertura delle perdite. Dall'importo di euro 21.276.089,00 devono però essere sottratte le perdite riferite alla distribuzione del metano e dunque - considerata la tabella a pag. 248 della relazione peritale e gli anni successivi al 2011 in essa indicati - euro 482.925, risultando invece estraneo alla limitazione della quantificazione del danno il versamento in conto capitale operato dal Comune come socio nel 2014. 10.1. Il danno ammonta dunque a complessivi euro 20.793.164,00 e - trattandosi di una obbligazione di valore - su tale importo devono essere corrisposti la rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat F.O.I. (famiglie, impiegati, operai) e gli interessi sulla somma via via rivalutata, equitativamente calcolati facendo riferimento al tasso legale di interesse, (operazione da effettuare anche in assenza di esplicita domanda, cfr. Cassazione civile, sez. I, 22/08/2011, n. 17444) e tenendo presente che il danno si è progressivamente prodotto negli anni dal 2012 alla data odierna. Si arriva così all'importo di euro 22.680.111,85, importo che il (...) deve essere condannato a pagare al Fallimento (...) spa in persona del Curatore Fallimentare, oltre interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo. 11. In relazione ai crediti commerciali di (...) e oggetto della domanda attorea di cui al punto "C" delle conclusioni in epigrafe, il Collegio rileva quanto segue. La Ctu, che pure ha dato atto che "dalla documentazione agli atti di causa risulta che il Fallimento, contabilmente, vanta un credito nei confronti del (...) pari a complessivi euro 7.249.929,29", ha analizzato in dettaglio la documentazione e ha riferito che: (i) alcune fatture contabilizzate da (...) per complessivi euro 828.945,12 non risultano presenti nella ricostruzione debitoria del prospetto del (...); (ii) altre fatture, oggetto di lettere di contestazione del Comune agli atti di causa, non risultano elencate nel prospetto del Comune e sono registrate nella contabilità di (...) per euro 740.405,83; (iii) n. 9 fatture contabilizzate da (...) - di importo non significativo e pari a complessivi euro 355,76 - risultano elencate ma non valorizzate nel prospetto del Comune; (iv) le fatture oggetto di richiesta di storno da parte del Comune sono pari ad euro 3.762.610,98; (v) le fatture che il Comune riconosce ancora dovute ad (...) sono pari ad euro 1.876.796,13. 11.1. Con riferimento alle fatture di cui ai punti (i), (ii) e (iii) il Collegio richiama quanto dettagliatamente esposto alle pagine 255-259 della relazione peritale. In sostanza, si tratta di crediti che non sono stati sufficientemente documentati da parte attrice, onerata di fornirne la prova, vuoi perché neppure risultano agli atti gran parte delle fatture, vuoi perché si tratta di fatture risalenti (una fattura è del 2005, altre sono antecedenti al 2011, alcune sono fatture del 2012) e non ricomprese nell'istanza di ammissione alla massa passiva del (...), nel 2012 è stato dichiarato il dissesto del (...), o comunque prive di documentazione che consenta di verificare la prestazione sottostante e la congruità dell'importo vantato. Si concorda dunque con il collegio peritale quando osserva che, in questo contesto, ai fini della prova del credito non è sufficiente l'allegazione della registrazione in contabilità, dovendosi ulteriormente aggiungere che le prove orali dedotte dal Fallimento e riportate in epigrafe - cfr. in particolare punto 1 - sono palesemente generiche e quindi non ammissibili. Il dato di cui al punto (v) è pacifico e per quanto concerne le fatture enucleate al punto (iv) il collegio peritale ha effettuato una disamina estremamente analitica delle stesse (cfr. relazione peritale, pag. 259 e sgg.), disamina dalla quale risulta che sono dovuti i corrispettivi concernenti i servizi di "bike sharing", "segnaletica" e "corrispettivo trasporto Comune". Il (...) non contesta infatti, nella sostanza, l'avvenuto e corretto espletamento del servizio e/o la quantificazione ma si limita a riferire che la spesa non è stata prevista nel bilancio dell'Ente, circostanza, all'evidenza, qui priva di rilievo. A diverso esito deve invece giungersi per le voci rubricate "trasferimenti da Provincia" e pari ad euro 1.289.776,80. Parte attrice ne reclama il pagamento perché, a suo avviso, "la motivazione addotta circa il mancato trasferimento dei fondi provinciali non è ragione sufficiente per escludere il credito per il corrispettivo contrattuale fatturato: l'art. 9 del contratto di trasporto pubblico ... parametra parte del corrispettivo annuo al provvedimento che sarà adottato dall'Amministrazione provinciale, rendendo così incerto l'ammontare complessivo, ma non condiziona il pagamento del corrispettivo, così determinato, con l'effettiva erogazione al Comune dei fondi provinciali". Il Collegio non concorda con tale impostazione e ciò per la preclusiva considerazione che, leggendo l'art. 9 del contratto di trasporto, emerge con evidenza che il compenso di (...) era formato da una parte fissa e da una parte variabile di pertinenza provinciale e che (...) avrebbe avuto diritto al trasferimento di quest'ultima solo ove/quando fosse avvenuto stanziamento da parte dell'Ente provinciale. Analoghe sono le conclusioni a cui si deve giungere per le voci, sempre ricomprese nel punto (iv), afferenti "interessi passivi" e "rimborso sanzioni e danni": in entrambi i casi - cfr. dettagli alle pagg. 264-268 della relazione peritale - la documentazione agli atti di causa non consente di determinare la congruità e correttezza degli importi indicati dal Fallimento e la quantificazione dell'ammontare richiesto a titolo di danni/sanzioni "non risultando prodotto alcun documento di addebito di sanzioni ad (...) e/o le cartelle di pagamento dell'Agenzia di Riscossione e/o i piani di rateizzazione dei debiti tributari e contributivi". Il credito del Fallimento nei confronti di parte convenuta ammonta dunque a complessivi euro 2.057.791,21 (debito riconosciuto dal Comune + corrispettivi per i servizi di "bike sharing", "segnaletica" e "corrispettivo trasporto Comune"), ma poiché il Comune (come riferito anche da parte attrice che - a pagina 36 dell'atto introduttivo - indica euro 3.891,028,80) vanta un credito nei confronti di (...) pari ad euro 3.893.916,05 non ammesso al passivo del Fallimento in quanto compensato con crediti di (...) nei confronti del Comune (cfr. pag. 273 dell'elaborato peritale), senza necessità di ulteriori approfondimenti istruttori non ammissibili e non rilevanti ai fini della decisione(1), la domanda attorea deve essere respinta. 12. Le spese del procedimento. Le spese del procedimento - liquidate nella misura che verrà indicata in dispositivo (valore del "decisum" ex art. 5 comma 1 del DM 2014 n. 55 e smi, scaglione da 16 a 32 milioni di euro, valori medi dello scaglione in ragione dell'importo riconosciuto, complessità alta) - seguono la soccombenza del (...). 14. Le spese di Ctu. Stante l'esito del giudizio ed il rigetto della domanda attorea relativa al pagamento di fatture, le spese di Ctu, come già liquidate con decreto 10.11.20, vanno poste a carico di entrambe le parti e così nella misura di un quinto a carico di parte attrice e di quattro quinti a carico di parte convenuta. Si richiama inoltre il principio giurisprudenziale in base al quale: "in tema di consulenza tecnica di ufficio, il compenso dovuto al consulente è posto solidalmente a carico di tutte le parti, atteso che l'attività posta in essere dal professionista è finalizzata alla realizzazione del superiore interesse della giustizia, che invece non rileva nei rapporti interni tra le parti, nei quali la ripartizione delle spese è regolata dal diverso principio della soccombenza". (così Cass. civ., Sez. II, 30/12/2009, n. 28094. Nello stesso senso: Cass. civ. Sez. VI, 05/11/2014, n. 23522 e Cass. civ. Sez. II Sent., 10/10/2018, n. 25047). P.Q.M. Il Tribunale di Torino, sezione specializzata in materia di impresa, ogni contraria domanda, istanza, eccezione o deduzione respinta o ritenuta assorbita, così provvede: Condanna il (...), in persona del Sindaco pro tempore, a pagare al Fallimento (...) spa, in persona del Curatore Fallimentare, la somma di euro 22.680.111,85, oltre interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo. Condanna il (...), in persona del Sindaco pro tempore, a rimborsare al Fallimento (...) spa, in persona del Curatore Fallimentare, le spese del giudizio, che liquida in euro 103.236,00, oltre CU, iva e c.p.a. come per legge e rimborso forfettario nella misura del 15 per cento. Pone le spese di Ctu, come già liquidate, a definitivo carico di parte attrice per un quinto e di parte convenuta per quattro quinti. Così deciso in Torino il 14 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 3 febbraio 2022. (1) (Prove testimoniali dedotte da parte attrice: capo 1: generico e quindi inammissibile; capi 2 e 3: non rilevante; capo n. 4: documentale).

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI VENEZIA- sezione Lavoro Composta dai Magistrati Dr. Luigi Perina - Presidente Dr. Annalisa Multari - Consigliere rel. Dr. Silvia Burelli - Consigliere SENTENZA Nella causa promossa in appello con ricorso in riassunzione ex art. 392 c.p.c. depositato in data 19 ottobre 2022 Da (...) ((...)) con l'avv. Se.Ga. ((...)), come da delega sul ricorso per cassazione, ricorrente in riassunzione Contro MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DELLA MOBILITA' SOSTENIBILI, con l'Avvocatura dello Stato Pec reginde: (...); (...) convenuto in riassunzione oggetto: giudizio di rinvio ex art. 392 c.p.c. a seguito della ordinanza n. 23161/22 della Corte di Cassazione depositata in data 25.07.22 che ha cassato con rinvio la sentenza resa in fase di appello n. 225/15 di questa Corte di Appello In punto: inquadramento a seguito di mobilità SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con la ordinanza n. 23161/22 pronunciata all'udienza del 25.05.22 e depositata in cancelleria il 25.07.22, la Corte Suprema di Cassazione, decidendo sul ricorso proposto da (...) avverso la sentenza n. 225 /15 di questa Corte di Appello che, su ricorso del Ministero, aveva riformato la sentenza del tribunale di Venezia di accoglimento della domanda proposta in primo grado dal (...), ha cassato la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e ha rinviato alla medesima Corte d'Appello, in diversa composizione, per decidere in applicazione dei principi indicati. La Corte di Cassazione a fronte di due motivi proposti dal ricorrente, li accoglieva entrambi, ritenendo errata la pronuncia del Collegio di secondo grado nel punto in cui i giudici di merito non avevano fatto corretta applicazione della norma contenuta nell'art. 30 TU 165/01 e del D.P.C.M. n. 446 del 2000, riconoscendo al (...), già dipendente di ente locale, il diritto a mantenere nel passaggio al Ministero lo stesso inquadramento economico e giuridico già acquisito per effetto delle progressioni realizzate presso l'ente di provenienza. La Cassazione evidenziava come nel caso di specie si verteva in fattispecie di cessione del contratto ex art. 1406 c.c., con diritto del (...) di conservare anche la posizione economica acquisita presso l'ente di provenienza al fine di evitare fenomeni striscianti di dequalificazione. Riassumeva la causa presso questa Corte il (...) insistendo per l'accoglimento del ricorso di primo grado alla luce di quanto statuito dalla Corte di Cassazione; in fase di discussione evidenziava di aver corrisposto all'Amministrazione le spese di lite ricevute in primo grado poiché la Corte di appello cassata ne aveva disposto la compensazione integrale e instava per la rifusione delle spese processuali con distrazione in favore del proprio difensore dichiaratosi anticipatario. Il Ministero convenuto, nonostante la rituale notificazione via pec del ricorso in riassunzione sia presso l'avvocatura centrale che presso l'avvocatura distrettuale di Venezia in data 7.11.22, non si costituiva e la Corte di Appello ne dichiarava la contumacia. Indi all'esito della discussione, all'udienza del 12 gennaio 2023 la causa era decisa come da separato dispositivo in atti. MOTIVI DELLA DECISIONE 3. Con unico motivo di ricorso il (...), riassunta la vicenda in fatto e in diritto, insisteva per l'accoglimento del ricorso di primo grado- già accolto dal tribunale di Venezia con la sentenza n. 328/12- e in particolare l'inquadramento richiesto in area II Fascia 4, corrispondente al precedente B3super, ex Ccnl Comparto Ministeri, in ragione di quanto previsto dalle tabelle di equiparazione di cui al D.P.C.M. n. 446 del 2000. Assumeva il ricorrente che i giudici di legittimità nell'inquadrare la fattispecie concreta - passaggio a seguito di mobilità volontaria dal comune di Trevignano ove era stato inquadrato come " istruttore tecnico" posizione economica C2 Ccnl enti locali- nella previsione normativa di cui all'art. 30 Tu 165/01 regolante la mobilità tra pubbliche amministrazioni, avevano stabilito il diritto al mantenimento dell'inquadramento economico e giuridico già conseguito presso l'Amministrazione di provenienza, senza detrimento professionale o patrimoniale. Inoltre avevano ritenuto legittimo, ai fini dell'inquadramento presso l'amministrazione di destinazione, l'utilizzo delle tabelle di equiparazione di cui al D.P.C.M. n. 446 del 2000. Evidenziava il (...) che la domanda giudiziale era stata azionata in primo grado perché all'epoca del passaggio al Ministero, nel contratto di assunzione presso l'ente ad quem, era stato inquadrato come istruttore tecnico II area, Fascia 3 corrispondente a B3 Ccnl comparto Ministeri, mentre in applicazione al D.P.C.M. n. 446 del 2000 avrebbe avuto diritto ad essere inquadrato in B3super corrispondente alla Fascia 4. 4. Questa Corte ritiene fondato il ricorso in riassunzione per le ragioni che seguono. Il tribunale di Venezia aveva già accertato il diritto del (...) ad essere inquadrato in area seconda F4 corrispondente a B3 super ex Ccnl Ministeri; sentenza poi riformata da questa Corte di Appello con la sentenza n. 225/15 con rigetto della domanda del (...) e compensazione integrale delle spese di lite. Nel cassare la pronuncia di appello i giudici di legittimità avevano stabilito che, in applicazione dell'art. 30 del D.Lgs. n. 165 del 2001 disciplinante il trasferimento del personale da un'Amministrazione ad un'altra, con conseguente modifica soggettiva del rapporto di lavoro, il dipendente avesse diritto al mantenimento dell'anzianità, qualifica e trattamento economico al pari di quanto avviene nel caso di cessione del contratto ex art. 1406 c.c.. In particolare rilevavano al punto motivazionale 4.2. quanto segue:"? 4.2. Osserva il Collegio che nella fattispecie in esame trova applicazione la giurisprudenza di legittimità (Cass., nn. 4619 del 2018 e 7652 del 2019, n. 86 del 2021) che ha affermato che l'Amministrazione statale non poteva, in sede di inquadramento successivo al passaggio diretto, fare applicazione dell'art. 17 del CCNL Comparto Agenzie Fiscali 2002/2005, riferibile, invece, al solo accesso "dall'esterno" nell'Area. Con le richiamate pronunce, alla cui motivazione si rinvia ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., si è osservato, in sintesi, che l'espressione di carattere atecnico "passaggio diretto", con-tenuta nell'art. 30 del D.Lgs. n. 165 del 2001, non qualifica un particolare tipo contrattuale civilistico, ma solamente, nel campo pubblicistico, uno strumento attuativo del trasferimento del personale, da una Amministrazione ad un'altra, trasferimento caratterizzato da una modificazione meramente soggettiva del rapporto e condizionato da vincoli precisi concernenti la conservazione dell'anzianità, della qualifica e del trattamento economico, che è inquadrabile nella fattispecie della cessione di contratto disciplinata dagli artt. 1406, ss., c.c., visto che comporta il trasferimento soggettivo del complesso unitario di diritti ed obblighi derivanti dal contratto, lasciando immutati gli elementi oggettivi essenziali; l'individuazione del trattamento giuridico ed economico da applicare ai dipendenti trasferiti - si è ancora aggiunto - deve essere effettuata, sulla base dell'inquadramento presso l'ente di provenienza, nell'ambito della disciplina legale e contrattuale propria del comparto dell'amministrazione cessionaria, ed a tal fine occorre tener conto anche delle posizioni economiche differenziate, attraverso le quali si realizza, sia pure all'interno dell'area, una progressione di carriera; del resto, la richiamata disposizione muove anche dalla concreta esigenza di evitare che l'istituto della mobilità tra enti pubblici diversi possa dare luogo a processi di dequalificazione"strisciante" del personale trasferito, atteso che, la stessa attribuzione della posizione retributiva,lungi dall'esprimere soltanto un valore economico, è direttamente funzionale alla progressione di carriera e propedeutica ai successivi passaggi di Area; non irrazionale è poi l'utilizzo, per il conseguente giudizio di comparazione, del D.P.C.M. n. 446 del 2000 apparendo logico che esso, riguardando la confluenza del personale dallo Stato agli enti locali, sia parametro del tutto idoneo quale riferimento per il passaggio inverso.". 5. In applicazione di questi principi ritenuto che per quanto emerso in giudizio il (...) era già inquadrato, prima di aderire al bando di mobilità del Ministero convenuto, presso il proprio ente di provenienza nel profilo di istruttore tecnico, area C, posizione economica C2, questa Corte osserva che, in ragione delle previsioni di cui al D.P.C.M. n. 446 del 2000 ed in particolare l'art. 5, ove era stabilito che nel passaggio da comparto Ministeri ad ente locale, il dipendente inquadrato in B3 super avesse diritto , presso regioni o comuni, ad essere inquadrato in categoria (...) posizione economica C2, la domanda azionata in primo grado dal (...) di essere inquadrato in B3 super e non in B3corrispondente per ccnl enti locali a categoria (...) posizione economica C2- come avvenuto nel caso di specie, era fondata. Il giudice di Venezia aveva infatti accolto la domanda accertando il diritto ad essere inquadrato- in ragione delle ulteriori modifiche contrattuali sopravvenute- dal 16 giugno 2010 in area seconda fascia 4 ( ex posizione economica B3 super). All'esito dell'esame del ricorso in riassunzione dunque l'originario appello proposto dall'odierno convenuto va rigettato, con conferma della sentenza di primo grado. 6. Il (...), a far data dal 16.06.10, aveva diritto ad essere inquadrato in area seconda , posizione economica F4 cui attualmente- nel nuovo sistema di classificazione introdotto dal contratto collettivo nazionale di lavoro del personale del comparto funzioni centrali triennio 2019-2021 prodotto in sede di discussione dal ricorrente- corrisponde l'area Assistenti ( cfr. tabella 2 di trasposizione automatica allegata al CCnl citato che non modifica i precedenti inquadramenti di cui al ccnl Ministeri, Agenzie Fiscali, EPNE, Cnel). All'inquadramento conseguono le differenze retributive cui il Ministero convenuto era già stato condannato in ragione del punto 2 del dispositivo di primo grado. 7. Parte ricorrente in sede di discussione ha rilevato di aver restituito al Ministero le spese di lite del primo grado poiché la Corte di Appello di Venezia aveva compensato le spese di entrambi i gradi. A fronte dell'odierna pronuncia e del rigetto dell'originaria impugnazione del Ministero, la sentenza del tribunale di Venezia, compreso il capo delle spese va per contro confermata. La presente sentenza costituirà quindi titolo per il (...) per ottenere dall'Amministrazione la restituzione delle spese di primo grado già rimborsate. Quanto agli ulteriori gradi di giudizio, la controvertibilità della questione interpretativa che, come si evince dalla ordinanza di rinvio, era stata definita in sede di legittimità soltanto in forza di pronunce sopravvenute rispetto alla sentenza di appello cassata (cfr. Cass. n. 4619/18; Cass. n. 7652/19; Cass. n. 86/21), costituisce motivo per disporre la compensazione di tutte le spese del giudizio di appello cassato, del giudizio di Cassazione ed anche dell'odierno giudizio di rinvio, considerata anche la condotta processuale del Ministero che non si è opposto in questa fase all'accoglimento delle richieste attoree. PER QUESTI MOTIVI Ogni contraria istanza eccezione domanda disattesa od assorbita, definitivamente pronunciando: - In accoglimento del ricorso in riassunzione, in applicazione del principio di diritto stabilito dalla Corte di Cassazione, rigetta l'appello proposto dal Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile, confermando la sentenza del tribunale di Venezia n. 328/12; - Compensa le spese del giudizio di appello cassato, del giudizio di cassazione e quelle della presente fase di rinvio. Così deciso in Venezia il 12 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI MESSINA SEZIONE LAVORO La Corte di Appello di Messina - Sezione Lavoro - riunita in camera di consiglio e composta dai Signori Magistrati: 1 Dott. Beatrice Catarsini - Presidente 2 Dott. Concetta Zappalà - Consigliere 3 Dott. Fabio Conti - Consigliere estensore In esito alla camera di consiglio svoltasi dopo la scadenza del termine per note di trattazione scritta del 24 gennaio 2023, assegnato ai sensi dell'art. 127ter c.p.c., ha pronunciato la seguente SENTENZA in grado di appello, nel procedimento iscritto al n. 575/21 R.G.L. e vertente TRA (...), c.f. (...), nata a S.'A. M. il (...) ed ivi residente in Via M. 252, elettivamente domiciliata in via (...), presso lo studio dell'Avv. Fr.Ni., c.f. (...), fax (...), pec (...), che la rappresenta e difende - Appellante CONTRO Ministero dell'istruzione, università e ricerca in persona del Ministro, anche nelle articolazioni territoriali (Ufficio scolastico regionale Sicilia e U.S.R. Sicilia Ambito territoriale Messina), contumace -Appellato E nei confronti di tutti i docenti classe di concorso (...), Scienze economico-aziendali (ex (...) - Discipline economico-aziendali) inseriti nelle relative graduatorie provinciali - elenco sostegno- e di Istituto, la cui posizione in graduatoria potrebbe subire una modifica per effetto dell'accoglimento del presente ricorso -Appellati OGGETTO: ricostruzione carriera- appello avverso la sentenza del Giudice del lavoro di Patti n. 443 pubblicata in data 12 aprile 2021 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso al Giudice del lavoro di Patti, (...), docente di ruolo, al tempo in servizio presso l'(...), assunta, a tempo indeterminato e con decorrenza giuridica ed economica 01.09.2015, quale vincitrice di concorso per titoli ed esami con qualifica di docente di scuola secondaria superiore classe di concorso (...), oggi (...) -Scienze economico-aziendali, lamentava che il Ministero dell'istruzione, nel ricostruire la di lei carriera, non ha tenuto conto di parte dei servizi prestati dall'anno scolastico 2009/09 al 2014/15 in quanto svolti presso istituti paritari. Chiedeva ordinarsi al Ministero dell'istruzione di riconoscere tali servizi, insistendo in particolare per il servizio nell'anno scolastico 2009/10 prima presso l'ITC paritario "(...)" di Caprileone (01.09.2009 - 23.01.2010) e poi presso l'ITIS "(...)" di Empoli (25.01.2010 - 16.6.2010), segnalando che quest'ultimo è istituto statale e che l'art. 11 comma 14 L. n. 124 del 1999 prevede che il servizio prestato ininterrottamente dall'1 febbraio al termine delle operazioni di scrutinio va considerato come anno scolastico intero. Chiedeva inoltre la condanna della datrice di lavoro a quella che riteneva la corretta ricostruzione della carriera ai fini retributivi, previdenziali e di punteggio, con conseguente correzione del punteggio ai fini della mobilità volontaria (provinciale) e di quella interna (d'Istituto), con modifica della posizione nella graduatoria provinciale elenco sostegno e in quella d'Istituto. Il ricorso veniva proposto, oltre che contro l'amministrazione (anche nelle sue articolazioni territoriali) anche nei confronti di "tutti i docenti classe di concorso (...), Scienze economico-aziendali (ex (...) -Discipline economico-aziendali) inseriti nelle relative graduatorie provinciali -elenco sostegno- e di Istituto, la cui posizione in graduatoria potrebbe subire una modifica per effetto dell'accoglimento del presente ricorso" Resistendo l'amministrazione, costituitasi ai sensi dell'art. 417bis con proprio dipendente, e nessuno essendosi costituito per i controinteressati, con sentenza n. 443 depositata in data 12 aprile 2021 il giudice di primo grado ha rigettato il ricorso compensando le spese. B. ha proposto appello con ricorso depositato in data 12 ottobre 2021. Nella contumacia del Ministero, con ordinanza a verbale del 20 dicembre 2022 la appellante è stata invitata a provare la notifica ai controinteressati sia in primo che in secondo grado. La causa è stata trattata con le forme dell'art. 127ter c.p.c. mediante sostituzione dell'udienza 24 gennaio 2023 con l'assegnazione di termine per note di trattazione scritta entro la medesima data. Sono state depositate note nel termine assegnato e la causa è stata posta in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE B. ha dimostrato di avere correttamente notificato in data 29 settembre 2022 al Ministero con mail indirizzata all'indirizzo pec istituzionale dell'Avvocatura dello Stato nonché ai corretti indirizzi pec delle sedi territoriali (...), tempestivamente rispetto alla prima udienza dell'8 novembre 2022. Altrettanto non può dirsi per i controinteressati, e ciò sia nel primo che nel secondo grado di giudizio. Con le note depositate il 23 gennaio 2023 la (...) ammette di non avere eseguito alcuna notifica nei confronti dei controinteressati neanche in primo grado. Giustifica l'omissione con la circostanza che il tribunale non ha riscontrato, al momento di fissare l'udienza di comparizione, la richiesta art. 151 c.p.c. stesa in calce al ricorso introduttivo intesa alla notifica per pubblici proclami. Evidenzia di non avere proposto appello nei confronti dei controinteressati proprio perché la sentenza è stata pronunciata solo nei confronti dell'amministrazione. Va innanzitutto rilevato che, in caso di mancata autorizzazione a forme alternative di notifica, il dovere di instaurare il contraddittorio non viene meno. (...) avrebbe dovuto quantomeno tentare la notifica e, in caso di mancato completamento della stessa nei termini, avrebbe potuto chiedere di essere autorizzato a ritentare, eventualmente insistendo per un provvedimento art. 151 c.p.c., mentre ella ha semplicemente ignorato la circostanza nei successivi scritti difensivi, dove anzi ha addirittura omesso di menzionare i controinteressati (cfr. note 26 novembre 2020), così (sicuramente senza dolo, ma di fatto) celando al tribunale una circostanza decisiva quale l'incompletezza del contraddittorio. Non è poi vero che la appellante abbia modellato l'atto di appello sull'esito del giudizio di primo grado, visto che il gravame è esplicitamente rivolto "nei confronti di tutti i docenti della classe di concorso ..." (cfr. pag. 2). L'estensione del contraddittorio era inoltre indispensabile perché la (...) non si limita a chiedere il risarcimento del danno e la ricostruzione della carriera, ma anche la modifica della graduatoria. Per giurisprudenza pacifica (per tutte Cass. sez. lav. 30245/2019), quando un lavoratore lamenti un punteggio inferiore al dovuto, il contraddittorio va esteso nei confronti degli altri concorrenti sulla cui posizione in graduatoria l'accoglimento della domanda potrebbe incidere. Si è pertanto verificata la seconda delle ipotesi tassative previste dall'art. 354 comma 1 c.p.c., cioè la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di una parte necessaria. Ne discende l'annullamento della sentenza impugnata e la rimessione al primo giudice. Nulla va disposto quanto alle spese, non essendosi costituita la parte appellata. Il contenuto della presente sentenza non rientra fra quelli contemplati dall'art. 13 comma 1quater T.U. 115 del 2002. P.Q.M. la corte d'appello di Messina, sezione lavoro, definitivamente pronunziando sull'appello proposto con ricorso depositato in data 12 ottobre 2021 da B., contro Ministero dell'istruzione, università e ricerca, avverso la sentenza del Giudice del lavoro di Patti n. 443 pubblicata in data 12 aprile 2021, dichiara la nullità della sentenza impugnata e rimette le parti al primo giudice assegnando all'uopo termine perentorio di tre mesi ai sensi dell'art. 353 c.p.c. Nulla per le spese. Così deciso in Messina il 31 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9757 del 2016, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fa. Pi. e Le. Sa., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Fa. Pi. in Roma, viale (...); contro Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via(...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima-ter n. 5273/2016, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2022 il Cons. Giovanni Tulumello e viste le conclusioni delle parti come in atti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma Sezione Prima-ter, ha respinto il ricorso proposto dal Comune di (omissis) per l'annullamento del provvedimento di diniego del trasferimento all'ente locale dei fondi relativi agli oneri concernenti il trattamento economico in godimento del personale sottoposto a mobilità ex l.n. 554/88 e d.p.c.m. n. 428/89. Il Comune di (omissis) ha impugnato l'indicata sentenza con ricorso in appello. Si è costituito in giudizio il Ministero dell'Interno. Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 15 dicembre 2022. 2. La vicenda attiene alla posizione della dott.ssa Lu. Sa. (Ragioniere VI° livello): dapprima dipendente del Comune di (omissis), quindi - a seguito di esubero - in servizio presso il Comune di (omissis), che comunicava al Ministero dell'interno l'assunzione per mobilità effettuata e chiedeva il trasferimento dei fondi relativi alla retribuzione di tale dipendente. La sentenza impugnata ha respinto il ricorso proposto dal Comune appellante per l'annullamento del provvedimento del Ministero dell'interno n. 75252 del 19.4.2002, di diniego di trasferimento all'ente locale di fondi relativi ad oneri per il trattamento economico in godimento del personale dell'ente sottoposto a mobilità di cui alla legge n. 554 del 1988 e al d.P.C.M. 22 luglio 1989, n. 428. 3. L'appello censura la sentenza gravata nella parte in cui, per escludere la sussistenza del vizio denunciato in primo grado, ha escluso la spettanza del beneficio rivendicato a causa del carattere (ritenuto non volontario) del trasferimento della dott.ssa Salvato. Il mezzo è fondato. Va anzitutto osservato che lo stesso T.A.R. espone che successivamente all'esubero presso il Comune di (omissis) (accertato con delibera consiliare n. 23 del 20.3.1990) "con decreto del Ministero della funzione pubblica del 20.6.1990 era stato approvato il bando per la copertura (secondo le procedure di mobilità ), fra altri, di un posto equivalente a quello coperto dalla Salvato presso il Comune ricorrente". Il trasferimento della dott.ssa Salvato è stato dunque conseguenza di una procedura di mobilità su base volontaria. 4. In ogni caso, anche a volerlo considerare non volontario ma conseguente ad esubero, l'elemento dirimente che secondo il T.A.R. preclude l'accoglimento delle ragioni del Comune di (omissis) sarebbe un altro "Si evince, invero, dal provvedimento impugnato che varie delibere del Comune ricorrente (assunte in stato di dissesto finanziario), relative al risanamento della gestione finanziaria dell'ente, non erano state approvate dalla competente Commissione centrale per gli organici degli enti locali. La Commissione, invece, ha poi approvato la delibera n. 64/1995 dell'ente, che ha rideterminato la sua pianta organica, con la quale sono stati soppressi 15 posti in esubero e tutti vacanti. Dunque, per effetto di tale delibera, nessun dipendente veniva posto autoritativamente in mobilità . Proprio per questo - se ne desume agilmente - il Ministero ha ritenuto, condivisibilmente, che non sussistessero i presupposti per accogliere la richiesta di fondi". Sul punto l'appellante deduce invece che nel caso di specie la rideterminazione non fosse volontaria ma obbligatoria (per superamento del rapporto tra numero dei dipendenti e numero degli abitanti), laddove a suo dire solo la prima ipotesi era soggetta ad approvazione da parte della Commissione ai sensi dell'art. 25, comma 5, del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66 (convertito dalla legge 24 aprile 1989, n. 144). L'argomento è fondato. La richiamata disposizione prevede infatti che "Per la riduzione delle spese (....) Potrà essere effettuata una rideterminazione della pianta organica, riduttiva delle dotazioni esistenti, da sottoporsi all'esame della commissione centrale per la finanza locale, la quale comunicherà alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, l'entità del personale appartenente ai profili professionali dichiarati in esubero, per i fini di cui alle disposizioni vigenti in materia di mobilità nel settore del pubblico impiego. La rideterminazione è obbligatoria nel caso in cui il rapporto dipendenti-abitanti superi quello medio della fascia demografica di appartenenza. Il personale soggetto alla mobilità potrà essere riammesso nell'organico dell'ente di provenienza qualora risultino vacanti posti di corrispondente qualifica e profilo professionale, rientranti nella pianta organica rideterminata, sempre che l'ente intenda ricoprirli". La Commissione nel caso di specie ha peraltro approvato solo l'ultimo segmento di attività . 5. Va ulteriormente osservato che, come dedotto dalla parte appellante, e non contestato, "il Ministero dell'Interno, Direzione generale, con nota n. 9491/93 del 20.10.1993 - inviata non solo al Comune di (omissis), ma anche alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alla Prefettura di Siena - aveva assicurato il pagamento delle somme dovute al Comune di (omissis) previa autorizzazione del Dipartimento della Funzione pubblica (doc. 7 fascicolo di primo grado), dando quindi atto espressamente della debenza di dette somme. Tuttavia, il Dipartimento della funzione pubblica non ha mai risposto alla richiesta di autorizzazione (sollecitata sia dal Comune di (omissis) sia dal Prefetto di Siena per oltre 8 anni), in quanto il Ministero, come si legge nel diniego impugnato (doc. 16 fascicolo di primo grado), non ha dato corso "allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che doveva disporre con decorrenza 1° febbraio 1991 il trasferimento per mobilità d'ufficio della sig.ra Lu. Sa.". Da ciò si ricava una contraddittorietà della complessiva condotta ministeriale culminata nel provvedimento impugnato in primo grado, in merito al riconoscimento della spettanza del beneficio rivendicato dal Comune appellante, che si aggiunge al profilo di illegittimità sopra accertato. 6. Il ricorso in appello è pertanto fondato e come tale deve essere accolto. Conseguentemente, in accoglimento del ricorso di primo grado va annullato il provvedimento con esso impugnato. Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate, avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie e al tempo trascorso dall'adozione del provvedimento gravato. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza gravata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla il provvedimento con esso impugnato. Compensa le spese del doppio grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Massimiliano Noccelli - Presidente FF Giovanni Pescatore - Consigliere Ezio Fedullo - Consigliere Umberto Maiello - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere, Estensore

Ricerca rapida tra migliaia di sentenze
Trova facilmente ciò che stai cercando in pochi istanti. La nostra vasta banca dati è costantemente aggiornata e ti consente di effettuare ricerche veloci e precise.
Trova il riferimento esatto della sentenza
Addio a filtri di ricerca complicati e interfacce difficili da navigare. Utilizza una singola barra di ricerca per trovare precisamente ciò che ti serve all'interno delle sentenze.
Prova il potente motore semantico
La ricerca semantica tiene conto del significato implicito delle parole, del contesto e delle relazioni tra i concetti per fornire risultati più accurati e pertinenti.
Tribunale Milano Tribunale Roma Tribunale Napoli Tribunale Torino Tribunale Palermo Tribunale Bari Tribunale Bergamo Tribunale Brescia Tribunale Cagliari Tribunale Catania Tribunale Chieti Tribunale Cremona Tribunale Firenze Tribunale Forlì Tribunale Benevento Tribunale Verbania Tribunale Cassino Tribunale Ferrara Tribunale Pistoia Tribunale Matera Tribunale Spoleto Tribunale Genova Tribunale La Spezia Tribunale Ivrea Tribunale Siracusa Tribunale Sassari Tribunale Savona Tribunale Lanciano Tribunale Lecce Tribunale Modena Tribunale Potenza Tribunale Avellino Tribunale Velletri Tribunale Monza Tribunale Piacenza Tribunale Pordenone Tribunale Prato Tribunale Reggio Calabria Tribunale Treviso Tribunale Lecco Tribunale Como Tribunale Reggio Emilia Tribunale Foggia Tribunale Messina Tribunale Rieti Tribunale Macerata Tribunale Civitavecchia Tribunale Pavia Tribunale Parma Tribunale Agrigento Tribunale Massa Carrara Tribunale Novara Tribunale Nocera Inferiore Tribunale Busto Arsizio Tribunale Ragusa Tribunale Pisa Tribunale Udine Tribunale Salerno Tribunale Verona Tribunale Venezia Tribunale Rovereto Tribunale Latina Tribunale Vicenza Tribunale Perugia Tribunale Brindisi Tribunale Mantova Tribunale Taranto Tribunale Biella Tribunale Gela Tribunale Caltanissetta Tribunale Teramo Tribunale Nola Tribunale Oristano Tribunale Rovigo Tribunale Tivoli Tribunale Viterbo Tribunale Castrovillari Tribunale Enna Tribunale Cosenza Tribunale Santa Maria Capua Vetere Tribunale Bologna Tribunale Imperia Tribunale Barcellona Pozzo di Gotto Tribunale Trento Tribunale Ravenna Tribunale Siena Tribunale Alessandria Tribunale Belluno Tribunale Frosinone Tribunale Avezzano Tribunale Padova Tribunale L'Aquila Tribunale Terni Tribunale Crotone Tribunale Trani Tribunale Vibo Valentia Tribunale Sulmona Tribunale Grosseto Tribunale Sondrio Tribunale Catanzaro Tribunale Ancona Tribunale Rimini Tribunale Pesaro Tribunale Locri Tribunale Vasto Tribunale Gorizia Tribunale Patti Tribunale Lucca Tribunale Urbino Tribunale Varese Tribunale Pescara Tribunale Aosta Tribunale Trapani Tribunale Marsala Tribunale Ascoli Piceno Tribunale Termini Imerese Tribunale Ortona Tribunale Lodi Tribunale Trieste Tribunale Campobasso

Un nuovo modo di esercitare la professione

Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.