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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2357 del 2024, proposto da: Co. Consorzio Ge. In., in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Ce., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; contro Comune di Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Ma., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; nei confronti Sa. - Se. per l'a. S.r.l., in liquidazione, non costituita in giudizio; per l'annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione sesta, n. 1272/2024. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Caserta; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 105, comma 2 e 87, comma 3, cod. proc. amm.; Relatore il Cons. Laura Marzano; Uditi, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, l'avvocato Pa. Ce. e l'avvocato Ma. Me. in sostituzione dell'avvocato Pa. Ma.; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Co., Consorzio Ge. In. in liquidazione (per brevità "Consorzio"), ha impugnato la sentenza n. 1272 del 26 febbraio 2024 con cui il Tar Campania, sezione VIII, ha dichiarato il difetto di giurisdizione sul ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto per l'annullamento dell'ordinanza del comune di Caserta n. 54542 del 3 maggio 2023 di sgombero e rilascio del compendio immobiliare denominato "parcheggio interrato di Piazza (omissis)" ubicato in Caserta, al Viale (omissis) e della nota n. 61752 del 19 maggio 2023 a firma del dirigente ing. Lu. Vi.. Il Comune appellato si è costituito nel presente grado di giudizio eccependo l'inammissibilità dell'appello. Alla camera di consiglio del 28 maggio 2024, sentiti i difensori presenti, la causa è stata trattenuta in decisione. Devono essere tratteggiati i fatti di causa. 2. Il Consorzio, costituito nel 1990, a seguito di procedura ad evidenza pubblica si è aggiudicato il servizio di progettazione, costruzione e successiva gestione - in regime di concessione - dell'infrastruttura di parcheggio sotterraneo attualmente ubicata sotto il piazzale del museo Reggia di Caserta. Il comune di Caserta, nella qualità di ente procedente, avendo adottato i provvedimenti volti a regolare i rapporti e le obbligazioni tra le parti, affermava di avere disponibilità dei luoghi e di essere titolare del potere di definirne la destinazione e l'utilizzo. L'amministrazione comunale, infatti, promuoveva e ratificava ogni iniziativa relativa all'utilizzo e alla destinazione ad uso pubblico del bene. In virtù di tanto, la società realizzava l'infrastruttura e ne avviava la gestione, proseguita negli anni fino ad oggi. Nello specifico, la vicenda ha avuto il seguente svolgimento. Con delibere CIPE del 3 agosto 1988 e 29 marzo 1990 venivano stanziati i fondi relativi alla realizzazione dei progetti per due parcheggi sotterranei da ubicare in via (omissis) ed in piazza (omissis) a Caserta. Con successiva delibera del Consiglio comunale n. 106 del 18 ottobre 1990, integrata con delibera di Giunta n. 807 del 21 giugno 1991, l'amministrazione decideva di unificare i due parcheggi e deliberava di affidare la realizzazione del Piano parcheggi e viabilità connessa all'Associazione te. d'I. costituita dalla società It. spa (subentrata all'I. spa, entrambi soggetti interamente pubblici) e dal Consorzio CO.: in esecuzione delle menzionate delibere il comune di Caserta, con atto notarile n. 76636 del 10 ottobre 1991, stipulava apposita convenzione con la suddetta ATI. Con convenzione n. 197/90, stipulata il 13 marzo 1992 tra il comune di Caserta e l'Agenzia per la promozione dello sviluppo del mezzogiorno, veniva finanziato il progetto per la realizzazione del parcheggio sotterraneo sito in Caserta, alla piazza (omissis). In particolare, in tale atto il comune di Caserta assicurava, sotto la propria responsabilità, che "per l'esecuzione dell'opera come risultante dal progetto esecutivo non sussistevano impedimenti di sorta per l'espletamento di tutti gli adempimenti di legge e regolamentari per consensi, autorizzazioni, permessi, pareri di qualunque Autorità, di Enti o di terzi comunque in causa per le opere di che trattasi". Nella stessa convenzione era previsto, all'art. 2, che "il Concessionario provvederà in primo luogo alla realizzazione ed alla successiva gestione del parcheggio ubicato in Piazza (omissis), quale risulta dall'unificazione dei precedenti progetti di due distinti parcheggi in Piazza (omissis) e Via (omissis) ai sensi della predetta delibera consiliare del 18 ottobre 1990, n. 106". Ancora prima del completamento delle opere il comune aveva richiesto al Consorzio di avviare le attività di gestione del parcheggio ed aveva riconosciuto in favore di quest'ultimo il diritto al rimborso di alcuni oneri conseguenti alla gestione in perdita dello stesso. Nell'attesa della sottoscrizione degli atti aggiuntivi alla convenzione di concessione, su espressa richiesta del comune, nel 2001, veniva avviata la gestione provvisoria del parcheggio. L'amministrazione comunale, tuttavia, non provvedeva a stipulare gli atti aggiuntivi previsti dall'atto di concessione, né si adoperava per costituire il diritto di superficie previsto in convenzione, talché il Consorzio - viste le difficoltà finanziarie causate dai ritardati pagamenti da parte del comune - era costretto a sospendere la gestione del parcheggio. Il comune di Caserta richiedeva però immediatamente la riattivazione del servizio, ritenendo "assolutamente necessario che tutte le attività connesse alla gestione del parcheggio non vengano interrotte". In particolare, con nota del 28 aprile 2008, il comune rappresentava al consorzio appellante che "data la complessità del rapporto e le notevoli implicazioni che la gestione del parcheggio comporta nel sistema della mobilità cittadina appare non opportuno prevedere la sua chiusura". A seguito di numerosi solleciti volti a compulsare la costituzione del diritto di superficie, con Protocollo di intesa del 21 luglio 2009, il comune di Caserta e il Demanio si impegnavano ad effettuare una permuta di edifici ed aree delle loro rispettive proprietà : tra i beni oggetto dell'accordo figuravano anche cui l'area denominata "campetti antistanti la Reggia" e il "sottostante parcheggio interrato a due piani", che venivano inclusi tra i beni demaniali da trasferire all'ente locale. Solo in quel momento emergeva, dunque, che il comune di Caserta, fin dagli anni '90, aveva compiuto atti di disposizione di un suolo di proprietà del demanio statale e che, in assenza di un trasferimento da parte dello Stato, il comune mai avrebbe potuto legittimamente costituire il diritto di superficie in favore del concessionario, né adottare una serie di provvedimenti relativi alla definizione dei rapporti con il concessionario. In data 5 giugno 2012, il comune di Caserta trasmetteva al concessionario una nota con cui l'Agenzia del demanio aveva richiesto al comune "la riconsegna del menzionato complesso demaniale libero di persone e cose". Con successivo provvedimento prot. n. 61463 del 31 luglio 2012, il comune di Caserta disponeva "di annullare l'atto di concessione della gestione del parcheggio; di dichiarare che tale atto è comunque nullo per le ragioni sopra indicate; di dichiarare risolta e comunque priva di validità e di effetti, per le ragioni di cui in premessa, la convenzione del 1991; in ogni caso, per le ragioni indicate nel paragrafo sugli inadempimenti e sulle violazioni del Consorzio Co., di dichiarare la decadenza della concessione di gestione e della convenzione accessiva; di ordinare al Consorzio Co. di liberare il parcheggio sotterraneo di piazza (omissis) e di restituirlo al Comune di Caserta entro 60 giorni dalla notifica e comunicazione del presente provvedimento; di riservarsi ogni determinazione in ordine ai rapporti patrimoniali con il Consorzio Co. all'esito di una più approfondita verifica anche in ordine allo stato del parcheggio al momento della sua restituzione". In sintesi, l'Agenzia del demanio, in qualità di proprietaria dei suoli, chiedeva la riconsegna dell'immobile; viceversa, il comune ne chiedeva la restituzione in proprio favore. Di fatto, nella vigenza del rapporto concessorio con il comune di Caserta e stante la confusione circa la proprietà del bene alla luce del Protocollo di intesa del 2009, il concessionario non avrebbe potuto retrocedere l'infrastruttura ad un ente terzo, pena la violazione degli obblighi contrattualmente assunti con la convenzione stipulata nel 1991. La situazione restava invariata sino al 2017, allorquando - nella pendenza di alcuni giudizi - l'Agenzia del demanio dava parere favorevole al trasferimento della proprietà in favore del comune di Caserta, che dava atto dell'acquisizione del bene al proprio patrimonio con delibera consiliare del 12 luglio 2017, n. 71. Poco dopo, con delibera del Consiglio comunale n. 24 del 17 aprile 2018, il comune di Caserta approvava il "Piano delle Alienazioni e delle Valorizzazioni del patrimonio immobiliare disponibile non strumentali all'esercizio delle funzioni istituzionali", inserendo tra gli immobili suscettibili di alienazione l'infrastruttura adibita a parcheggio ed oggetto del provvedimento per cui è causa. La pendenza del contezioso in ordine alla legittimità dell'annullamento in autotutela dell'atto di concessione - conclusosi solo nell'anno 2021 - e l'incertezza sulla validità o meno degli impegni contrattuali assunti, hanno impedito al concessionario (ma anche al comune) di assumere determinazioni in ordine al rilascio dell'infrastruttura, perdurando la vigenza degli impegni contrattuali - la cui nullità è stata accertata in via definitiva solo nel 2021 - che imponevano la prosecuzione nella gestione per ragioni di interesse pubblico. Il comune, peraltro, dall'avvenuta adozione del menzionato provvedimento di annullamento in autotutela del 2012 fino alla notifica dell'ordinanza di sgombero oggetto del presente giudizio - dunque per oltre 10 anni - ha consentito la prosecuzione della gestione dell'infrastruttura, pur avendo annullato l'atto concessorio. Il provvedimento di annullamento in autotutela veniva impugnato innanzi al Tar Campania il quale accertava che l'amministrazione comunale di Caserta non aveva titolo per disporre delle aree in questione e che pertanto tali beni erano insuscettibili di formare oggetto di atti di disposizione materiale e giuridica da parte del comune stesso: pertanto con sentenza n. 2661 del 14 maggio 2014, il Tar respingeva il ricorso e affermava, tra l'altro che "le obbligazioni assunte dal Comune concedente in ordine alla costituzione di un diritto di superficie, indispensabile per la costruzione e la successiva gestione del parcheggio, hanno geneticamente un oggetto giuridicamente impossibile, attesa la natura demaniale dell'immobile, non rientrante nella disponibilità dell'ente comunale. Pertanto, la relativa convenzione risulta affetta da nullità per impossibilità dell'oggetto, in base agli artt. 1418 e 1346 c.c." e osservava che "il comportamento delle amministrazioni dello Stato nel corso degli anni, pur manifestando la conoscenza dell'iniziativa fin dalla sua origine, palesa una tollerante inerzia per le iniziative del Comune e, tutt'al più, la disponibilità ad esplorare possibili soluzioni, senza tuttavia mai pervenire all'adozione di atti definitivi dai quali sia possibile evincere una manifestazione espressa di volontà equipollente ad una cessione o concessione dell'area in questione". In sintesi, il Tar Campania affermava la legittimità del provvedimento di annullamento in autotutela stante la indisponibilità del bene oggetto di convenzione e accertava che tale circostanza era ben nota a tutte le amministrazioni resistenti fin dal momento della stipula della convenzione con il concessionario. La sentenza veniva sostanzialmente confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 5231 del 24 luglio 2019, ancorché con motivazione parzialmente diversa da quella del primo giudice. Ulteriore conferma della statuizione avveniva a seguito di ricorso per cassazione, concluso con ordinanza di rigetto n. 36595/2021. In definitiva, all'esito dell'intero contenzioso, veniva accertato che il comune non aveva disponibilità delle aree oggetto di affidamento in concessione e che pertanto la progettazione, costruzione e gestione del parcheggio era avvenuta, ab origine, sine titulo. A seguito della cessazione del rapporto concessorio e fino all'adozione dell'ordinanza impugnata nel primo grado di giudizio, il comune di Caserta non ha assunto determinazioni chiare in ordine alla natura e all'uso cui intende destinare il bene. Il parcheggio, infatti, è stato inserito tra gli immobili suscettibili di alienazione e facenti parte del patrimonio disponibile non strumentale all'esercizio di funzioni istituzionali. Il nuovo Piano delle alienazioni e valorizzazioni adottato nel mese di gennaio 2022 e relativo al triennio 2022-2024 ha poi qualificato il bene come suscettibile di valorizzazione. L'infrastruttura, in seguito, è stata sottoposta a procedura esecutiva da parte della società Sa. in liquidazione, che vantava crediti nei confronti del comune per un ammontare complessivo di circa 43 milioni di euro ed aveva pertanto individuato nell'area in questione il bene da sottoporre ad esecuzione forzata. Il relativo pignoramento immobiliare veniva regolarmente trascritto nel mese di gennaio 2023, per poi cessare i propri effetti in conseguenza dell'adempimento parziale da parte Comune. Tali essendo gli antefatti, con ordinanza dirigenziale n. 5454 del 3 maggio 2023 il comune di Caserta premesso che "è interesse dell'ente comunale rientrare nel possesso e nella disponibilità del parcheggio interrato nell'area sottostante Piazza (omissis), bene immobile che il Comune intende valorizzare mantenendone in ogni caso l'uso pubblico" ed osservato che "l'articolo 283 comma 2 del codice civile, nel disciplinare la condizione giuridica del demanio pubblico stabilisce che spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del patrimonio dello stesso, e che essa alla facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso" ed ancora che "l'autotutela patrimoniale delle amministrazioni pubbliche è esercitabile nei confronti dei beni appartenenti anche al demanio e al patrimonio indisponibile dell'ente comunale per effetto del combinato disposto degli articoli 826 comma 3 e 828 (...) la facoltà di autotutela esecutiva amministrativa per rientrare nel possesso della disponibilità del bene", ha ordinato al Consorzio il rilascio dell'area denominata "Parcheggio interrato di piazza Carlo 12 III", ubicato in Caserta, viale (omissis) intimando "di lasciare entro 15 giorni il compendio immobiliare libero da cose e/o persone al fine di consentirne il pieno e libero utilizzo da parte del Comune di Caserta per le proprie finalità pubbliche". Infine avvertiva che, decorso inutilmente il termine di 15 giorni dalla data della notifica del provvedimento, l'amministrazione avrebbe proceduto all'esecuzione forzata con l'ausilio della forza pubblica. Ancora, in data 8 maggio 2023, la società Sa., stante il perdurante inadempimento del comune di Caserta, provvedeva a notificare un nuovo pignoramento per la parte residua del credito: la procedura esecutiva veniva poi rinnovata con notifica del precetto e pignoramento del 29 febbraio 2024. 3. Con il ricorso introduttivo del giudizio incardinato innanzi al Tar Campania l'appellante, nella qualità di gestore di fatto del parcheggio interrato sito in Caserta, alla piazza (omissis) di Borbone, ha impugnato l'ordinanza dirigenziale di sgombero adottata dal comune di Caserta in data 3 maggio 2023, n. 5454, chiedendone l'annullamento. Tra i motivi di ricorso deduceva l'illegittimità del provvedimento in quanto, a suo dire, il potere di polizia demaniale sarebbe stato esercitato su un bene immobile facente parte del patrimonio disponibile dell'amministrazione: sarebbe mancato pertanto il presupposto per l'esercizio del potere autoritativo. Osservava che la natura disponibile del bene si evincerebbe dagli atti di pianificazione delle risorse, adottati dall'amministrazione comunale, che ha inserito il cespite nel Piano delle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare, sicché sarebbe provato che l'immobile in questione ha natura di bene disponibile e non strumentale all'esercizio delle funzioni. Con ordinanza n. 902 del 25 maggio 2023, il Tar accoglieva la domanda cautelare rilevando che, "ad un primo sommario esame, sembra sussistere la giurisdizione del giudice amministrativo, non essendo in contestazione il difetto di attribuzione in capo al Comune quanto, piuttosto, il non corretto esercizio, in relazione ai presupposti di fatto, del potere in concreto esercitato"; e che "sembra fondata la censura con la quale parte ricorrente lamenta che, a fronte di un bene appartenente al patrimonio disponibile del Comune (come sembrerebbe evincersi dall'inclusione dello stesso nel Piano delle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare disponibile di cui alla delibera di G.C. n. 14 del 28 gennaio 2022 e, prima ancora, alla delibera di C.C. n. 24/2018 - cfr. art. 58, comma 2 del d.l. n. 112/2008), l'attivazione del potere di autotutela esecutiva ex art. 823, comma 2 c.c. non era consentita". Il comune di Caserta, nel costituirsi in giudizio in primo grado, ha depositato l'atto, adottato il 19 maggio 2023 dal dirigente dell'ente locale ing. Vi., in cui si afferma che "da verifiche effettuate è emerso che l'impianto denominato Piazza (omissis) è inserito nell'inventario come beni immobili di uso pubblico per natura o destinazione e pertanto lo stesso non ricade nei beni immobili patrimoniali disponibili". L'atto richiama, sul punto, la delibera di Giunta comunale n. 183/2019, successivamente impugnata con ricorso per motivi aggiunti. Con la sentenza n. 1272 del 26 febbraio 2024 il Tar ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, individuando quale giudice munito di giurisdizione quello ordinario: la motivazione si fonda sul richiamo dell'ordinanza regolatoria delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 255 del 4 gennaio 2024. 4. L'appello è affidato a due motivi. Con il primo motivo si deduce error in iudicando in relazione alla declinatoria di giurisdizione. In sintesi l'appellante fa presente che uno dei motivi di ricorso investiva l'illegittimità del provvedimento impugnato per carenza dei presupposti per l'esercizio del potere: si trattava, infatti, di un provvedimento emanato dall'amministrazione comunale nell'esercizio del potere autoritativo di polizia demaniale su un bene facente parte del patrimonio disponibile e che a fronte di un siffatto provvedimento, il destinatario dell'atto non può che assumere una posizione giuridica di interesse legittimo. Quindi lamenta che, nella sentenza, il Tar avrebbe declinato la giurisdizione richiamando un precedente delle sezioni unite della Corte di Cassazione, che avrebbe deciso una fattispecie del tutto diversa da quella in esame. Nel caso di specie infatti non sarebbe possibile affermare che il provvedimento impugnato sia stato adottato dall'amministrazione nella gestione di un rapporto iure privatorum, né potrebbe esservi ricondotto in via esegetica qualificandolo, a posteriori, come mera "diffida". In definitiva ritiene che il provvedimento impugnato in primo grado si configuri come atto autoritativo illegittimo, in quanto viziato per carenza di potere in concreto, con conseguente radicamento della giurisdizione amministrativa. Con il secondo motivo sono riproposti i motivi formulati in primo grado. 5. L'appello è fondato. La narrazione dei fatti di causa si è resa necessaria per perimetrare l'oggetto del presente giudizio e per chiarire quale sia l'origine del provvedimento impugnato in primo grado. L'ordinanza dell'11 maggio 2023, adottata dal dirigente del comune di Caserta, rappresenta l'atto conclusivo di un rapporto concessorio che, essendo stato dichiarato nullo dal giudice amministrativo, impone al comune di rientrare nella disponibilità del bene concesso. Osserva il Collegio che, nel caso di specie, il comune non ha agito in posizione paritetica con il concessionario bensì esercitando poteri chiaramente autoritativi: la differenza tra la vicenda esaminata dalle sezioni unite e la fattispecie in esame è, peraltro, agevolmente ricavabile proprio dall'ordinanza richiamata dal Tar, di cui si dirà nel prosieguo. Dal provvedimento impugnato in primo grado risulta testualmente che lo stesso è stato adottato ai sensi dell'art. 823, comma 2, del codice civile, il quale nel disciplinare la condizione giuridica del demanio pubblico stabilisce che "spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che ne fanno parte del demanio pubblico. Essa ha la facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso, regolati dal presente codice". Richiamata e trascritta la suddetta norma il dirigente prosegue ricordando: "che l'autotutela patrimoniale delle Amministrazioni pubbliche è esercitabile nei confronti di beni appartenenti anche al patrimonio indisponibile dell'ente comunale per effetto del combinato disposto degli artt. 826, comma 3, e 828 c.c."; che "nella fattispecie, ricorre la facoltà di autotutela esecutiva amministrativa per rientrare nel possesso della disponibilità del bene sopra citato"; che "l'art. 21ter, comma 1, della legge n. 241/90, prevede che "nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l'adempimento degli obblighi nei loro confronti. Il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità dell'esecuzione da parte del soggetto obbligato. Qualora l'interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all'esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge"". Dunque il dirigente ha inteso spendere il potere di autotutela esecutiva sul presupposto, affermato nel provvedimento, che il bene di cui è ordinato lo sgombero appartenga al patrimonio indisponibile del comune. La ricorrente, invece, già in primo grado sosteneva che il bene in questione apparterrebbe al patrimonio disponibile del comune, ricavando tale qualificazione dal "Piano delle Alienazioni e delle Valorizzazioni del patrimonio immobiliare disponibile non strumentali all'esercizio delle funzioni istituzionali", approvato con delibera del Consiglio comunale n. 24 del 17 aprile 2018, in cui l'infrastruttura adibita a parcheggio ed oggetto del provvedimento per cui è causa risulta inserita tra gli immobili suscettibili di alienazione (detta circostanza è, peraltro, contestata dal comune nelle sue difese, richiamando la delibera di Giunta comunale n. 183 dell'11 novembre 2019 che riporterebbe una diversa collocazione del bene in questione nell'elenco dei beni comunali appartenenti al patrimonio disponibile ed indisponibile dell'Ente), con la necessaria conseguenza dell'impossibilità per il comune di avvalersi dell'autotutela esecutiva, dovendo viceversa, a suo dire, procedere con gli ordinari rimedi civilistici a tutela della proprietà e del possesso. Dunque l'oggetto del giudizio postula un duplice accertamento: quello riguardante la legittimità del potere esercitato in concreto e quello riguardante la natura del bene di che trattasi: se appartenente al patrimonio disponibile, l'autotutela non poteva essere esercitata, se appartenente al patrimonio indisponibile, come affermato nel provvedimento dal dirigente, l'autotutela era ammissibile. Osserva il Collegio che il principio affermato dalle sezioni unite della Corte di cassazione nell'ordinanza n. 255/2024, richiamata dal Tar, è pienamente condiviso dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. tra le tante, sez. VII, 16 aprile 2024, n. 3449; id., 30 aprile 2024, n. 2980), tanto che l'incipit del principio affermato dalle sezioni unite, non riportato dal Tar nel virgolettato, è il seguente: "Costituisce principio acquisito, tanto nella giurisprudenza della Suprema Corte, quanto nella giurisprudenza amministrativa, che il potere di autotutela....". É infatti pacifico, come afferma la citata ordinanza, che il potere di autotutela, attribuito all'amministrazione in relazione ai beni demaniali, è esteso, in virtù del combinato disposto degli artt. 823 e 825 c.c., ai beni del patrimonio indisponibile, mentre resta escluso per la tutela dei beni del patrimonio disponibile, rispetto ai quali l'amministrazione potrà avvalersi solo delle ordinarie azioni a tutela della proprietà e del possesso. Pertanto, in presenza di beni del patrimonio disponibile di proprietà del comune, occupati sine titulo, gli atti posti in essere dall'amministrazione comunale non possono ritenersi riconducibili all'esercizio di un potere autoritativo a tutela di un bene pubblico, quale è quello attribuito dall'art. 823 con riferimento ai beni demaniali e ai beni patrimoniali indisponibili, quanto piuttosto all'esercizio di un potere di autotutela del patrimonio immobiliare, posto in essere iure privatorum. L'affermazione consequenziale contenuta nell'ordinanza in rassegna, secondo cui "Si tratta, in altre parole, di atti di diffida di natura paritetica volti alla tutela della proprietà comunale, a fronte dei quali sussistono posizioni di diritto soggettivo, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario sulle relative controversie", sulla quale il Tar ha fatto acriticamente leva per declinare la giurisdizione, è tuttavia correlata alla fattispecie concreta ivi dedotta in giudizio che, come risulta dalla parte in fatto della stessa ordinanza, riguardava una "azione di manutenzione nel possesso di un fabbricato e di terreni", in relazione ai quali il comune proprietario aveva ordinato "di rimuovere dalle dette particelle... qualsiasi oggetto e bene di proprietà entro 10 giorni dal ricevimento; con avvertenza che decaduto tale termine il Comune di... provvederà a rimuovere la recinzione della particella sopra citata nonché il manufatto esistente" aggiungendo che, in riferimento a tale missiva, il ricorrente aveva dedotto "che l'ordine con essa rivolto non trovava giustificazione nell'esercizio di un potere autoritativo dell'ente, costituendo, pertanto, una molestia al proprio possesso, nel quale chiese di essere mantenuto". Nel caso di specie, invece, è del tutto evidente che non si tratti di azione possessoria bensì di ordinanza di sgombero di un immobile di proprietà pubblica, adottato nell'esercizio di poteri autoritativi. Ciò posto, premesso che l'autorità amministrativa è titolare, in astratto, dei poteri di autotutela esecutiva, come ricordato anche dalle sezioni unite, ciò che discrimina la legittimità dell'uso di tale potere in concreto, è la natura del bene a tutela del quale esso viene esercitato. Nel declinare la giurisdizione il Tar ha compiuto un salto logico, omettendo di accertare proprio la natura del bene di cui è stato ordinato lo sgombero, al fine di verificare "se" quel potere concretamente esercitato, potesse essere esercitato oppure no. In altri termini il primo giudice, che sembrerebbe essersi orientato nel senso di ritenere l'ordinanza impugnata come riferibile ad un bene del patrimonio disponibile, quindi emessa in carenza di potere in concreto, anziché rispondere alla domanda di giustizia formulata dalla parte ricorrente, che sosteneva appunto tale tesi, erroneamente si è spogliato della giurisdizione. Osserva il Collegio che la risposta che, in questo caso, il giudice amministrativo deve dare è se il comune, nel caso di specie, possa esercitare i poteri autoritativi. Se la risposta dovesse essere positiva perché il bene viene fatto rientrare nel patrimonio indisponibile dell'ente, il ricorso (salvo l'esame delle ulteriori censure non scrutinate) andrebbe respinto in quanto, una volta verificato che l'area continua ad essere abusivamente adibita ad uso privato, legittimamente e doverosamente il comune deve attivare il proprio potere di autotutela esecutiva di cui all'art. 823 del codice civile, esercitabile anche a tutela dei beni del patrimonio indisponibile (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 2015, n. 4554). Siffatto provvedimento avrebbe natura doverosa e vincolata e non necessiterebbe né della preventiva comparazione con gli interessi del privato occupante, non potendosi giammai ingenerare un affidamento "legittimo" in presenza di una situazione connotata da evidente abusività, né di specifica motivazione, se non quella necessaria a dare atto dell'accertamento dell'abusiva occupazione e nei confronti del quale non è configurabile il vizio di eccesso di potere, perché l'esercizio del potere di autotutela esecutiva si giustifica unicamente in ragione della perdurante occupazione sine titulo del bene pubblico (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 29 gennaio 2024, n. 862). Né, in tal caso, rileverebbe una eventuale iniziale tolleranza in merito all'occupazione del bene (tolleranza tutt'altro che sussistente nel caso di specie) non radicando un simile contegno dell'amministrazione alcuna posizione di diritto o di interesse legittimo in capo all'occupante sine titulo (cfr., per il principio, Cons. Stato, sez. V, 26 settembre 2013, n. 4775). Se, viceversa, la risposta dovesse essere negativa, l'atto impugnato non potrebbe che essere annullato. Soltanto sulla successiva attività che il comune dovesse porre in essere affidandosi (questa volta correttamente) agli ordinari rimedi civilistici, mediante azioni petitorie o possessorie, si radicherebbe correttamente la giurisdizione del giudice ordinario: si tratta, tuttavia, di attività che, nel caso di specie, non risulta ancora posta in essere e che, esula, quindi dal thema decidendum. A maggior chiarimento di quale sia l'accertamento che il giudice deve compiere, valga richiamare una recente pronuncia (Cons. Stato, sez. V, 9 febbraio 2024, n. 1337), che ha affrontato il tema della corretta qualificazione del potere esercitato dal comune, in una fattispecie in cui era stato ingiunto lo sgombero di un immobile acquisito al patrimonio pubblico. Nella fattispecie ivi esaminata il Tar aveva accolto il ricorso sull'assorbente rilevo dell'illegittimo ricorso all'autotutela esecutiva con riferimento a un bene del patrimonio disponibile, sicché il comune non avrebbe potuto esercitare poteri autoritativi, ma avrebbe dovuto agire innanzi al giudice ordinario, ricorrendo agli strumenti previsti dalla legge per la tutela della proprietà e del possesso. Il Consiglio di Stato ha innanzitutto sciolto il dubbio sulla giurisdizione con le seguenti argomentazioni: - il provvedimento con il quale l'amministrazione comunale ordina lo sgombero di un immobile abusivamente realizzato, acquisito al patrimonio pubblico a seguito di inottemperanza all'ordine di demolizione, "costituisce esercizio di poteri pubblicistici di repressione dell'abusivismo e conseguentemente la giurisdizione appartiene al Giudice amministrativo" (C.g.a., sez. giur., 20 marzo 2020 n. 194); - l'atto di sgombero dell'immobile abusivo che sia stato acquisito al patrimonio comunale per inottemperanza all'ordine di demolizione notificato al privato - che si inserisce nell'ambito dei provvedimenti repressivi dell'abusivismo ordinariamente di competenza dirigenziale - ha dunque natura provvedimentale e autoritativa, essendo riconducibile all'esercizio di poteri pubblicistici dell'ente locale, il che dà luogo alla potestas iudicandi del giudice amministrativo sulle relative controversie; - a tal riguardo le sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 19889 del 22 settembre 2014, hanno chiarito che: "la giurisdizione in relazione al provvedimento di demolizione (e, per quel che concerne la fattispecie in esame, in relazione a quello "propedeutico" di sgombero) adottato dalla P.A. spetta al giudice amministrativo, e ciò a prescindere dalle ragioni addotte in tale provvedimento - che saranno eventualmente sindacate dinanzi a quel giudice - onde ogni eventuale contestazione circa la spettanza del relativo potere in capo alla Amministrazione che ha adottato il provvedimento ovvero circa le modalità con cui esso è stato esercitato (...) configura questione devoluta al giudice amministrativo"; - la giurisprudenza (cfr. C.g.a., sez. giur. 3 aprile 2018, n. 178), muovendo dalla considerazione per cui l'art. 823 c.c. ammette il ricorso dell'amministrazione all'esercizio dei poteri amministrativi al solo fine di tutelare i beni del demanio pubblico e del patrimonio indisponibile, ha affermato che il potere di autotutela esecutiva presuppone il previo accertamento della natura del compendio immobiliare oggetto di tutela recuperatoria, sicchè "l'Amministrazione può, ove richiesto, adottare solo i rimedi di carattere ordinario. Ipotesi che ricorre nella controversia oggetto dell'appello, non avendo l'immobile di cui si discute i requisiti che ne consentirebbero la qualificazione come bene appartenente al patrimonio indisponibile. Con la conseguenza che appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia in ordine all'ordinanza di sgombero di un immobile che si colloca nell'alveo del patrimonio disponibile del comune, essendo stata tale ordinanza emessa in carenza assoluta di potere e, pertanto nulla, con conseguente lesione di diritti soggettivi tutelabili innanzi al giudice ordinario" (C.g.a., 3 aprile 2018, n. 178; anche Cons. Stato, sez. VII, 19 maggio 2023, n. 4987; Cons. Stato, sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5934); - non sembra dubitabile che ogni qualvolta in cui l'atto di sgombero costituisca "nient'altro che il terminale esecutivo dei provvedimenti di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale dell'opera abusiva, di per sé dotati, in quanto estrinsecazioni dei poteri di vigilanza e di repressione urbanistico-edilizia sul territorio (cfr. art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001), del connotato dell'esecutorietà, ossia della possibilità di essere portati ad esecuzione coattivamente ad opera della stessa amministrazione e senza l'intermediazione dell'autorità giudiziaria" (Cons. Stato, sez. VI, 26 gennaio 2015 n. 316), esso viene a configurarsi a guisa di vero e proprio provvedimento amministrativo, esecutivo di precedenti misure repressive di opere abusive, attratto, come tale, al sistema tipizzato delle sanzioni in materia edilizia, vertendosi in un'ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti in materia urbanistica ed edilizia ai sensi dell'art. 133, lett. f), c.p.a. (cfr. C.g.a., n. 194 del 2020 cit.). Ciò posto, la sentenza ha confermato la decisione del Tar attraverso i seguenti snodi argomentativi: - sebbene, come detto, l'amministrazione possa legittimamente agire seguendo le regole proprie dell'esercizio dei poteri autoritativi di sgombero nell'ambito del procedimento repressivo-ripristinatorio degli abusi edilizi così come tratteggiato dalla disciplina del d.P.R. n. 380 del 2001 al fine di ottenere il rilascio dell'immobile occupato da soggetti privati (il più delle volte gli ex proprietari), onde eseguire concretamente l'immissione in possesso finalizzata alla successiva demolizione dello stesso oppure, a determinate condizioni, al suo utilizzo per fini pubblici, di tanto, però, non vi è alcuna evidenza nell'ordinanza di sgombero impugnata; - se è vero che l'atto di sgombero è certamente strumento idoneo a perseguire il mancato rilascio dei beni, spesso occupati, anche dopo l'acquisizione, dagli stessi soggetti che hanno perpetrato l'illecito edilizio, deve, tuttavia, rilevarsi come il provvedimento impugnato non contenga alcun riferimento all'esercizio dei poteri repressivi in materia edilizia ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. 380 del 2001, né cenno alcuno all'abusività dei manufatti o a eventuali ordinanze di demolizione che non risultano nel frattempo neanche adottate (né la difesa dell'amministrazione ha dato prova contraria), avendo il comune soltanto disposto che l'ufficio tecnico avesse cura di provvedere alla loro adozione; - l'ordinanza di sgombero si limita, infatti, a enunciare che sui lotti occupati senza titolo dei ricorrenti in cui è suddiviso il terreno "vi sono dei manufatti edili diversi tra loro per tipologia, forma e utilizzo di materiali costruttivi con annessa strada interpoderale delimitata da due cancelli metallici, uno posizionato in corrispondenza della complanare, l'altra a delimitazione della spiaggia" e a richiamare succintamente alcune risalenti ordinanze con le quali, rispettivamente, si vietò di disporre con atto tra vivi dell'immobile, se ne dispose l'acquisizione di diritto al patrimonio del comune e si ordinò, a suo tempo, lo sgombero dell'area già occupata; ma non contiene il benché minimo riferimento alla commissione di abusi edilizi o indicazione sulla loro concreta consistenza; - solo in sede di giudizio, con le deduzioni processuali contenute negli atti di causa, il comune ha sostenuto che l'impugnata ordinanza di sgombero sia riconducibile ad attività esecutiva del procedimento repressivo e sanzionatorio di illeciti edilizi avviato nel 1992 con l'acquisizione del bene al patrimonio disponibile a seguito del contestato frazionamento per finalità edificatorie, viceversa il provvedimento non contiene alcun riferimento che consenta di ricondurlo all'esercizio dei poteri pubblicistici afferenti alle funzioni di controllo e sanzione in materia edilizia, avendo soltanto ordinato il rilascio del bene disponibile di sua proprietà occupato sine titulo, dichiarando espressamente di agire con lo strumento in parola per far fronte alla "occupazione di immobile di proprietà comunale"; - in assenza di elementi che consentano di configurare l'ordinanza in questione come il terminale esecutivo dei provvedimenti di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale dell'opera abusiva, di per sé dotati, in quanto estrinsecazioni dei poteri di vigilanza e di repressione urbanistico-edilizia sul territorio (cfr. art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001), del connotato dell'esecutorietà, "non resta che ricondurre l'azione intrapresa dal comune, per come concretamente esercitata, ai poteri di autotutela disciplinati dall'art. 823 comma 2 del codice civile"; - "in tal caso, tuttavia, al cospetto di un bene al patrimonio disponibile del comune - quale pacificamente è il terreno oggetto della presente controversia acquisito gratuitamente al patrimonio dell'ente a seguito dell'illegittimo frazionamento per pretese finalità edificatorie contestato ai ricorrenti - il comune non avrebbe potuto esercitare l'autotutela amministrativa per le ragioni correttamente indicate dal primo giudice ma il recupero del bene avrebbe dovuto seguire, invece, le vie contrassegnate dagli strumenti giurisdizionali ordinari, a mezzo delle azioni possessorie o della rei vindicatio civilistica (Cons. Stato, sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5934)"; - "i poteri di tutela esecutoria dell'amministrazione in presenza di occupazioni da terzi sono da ritenersi sine titulo quando la pubblica amministrazione agisca in area appartenente al patrimonio disponibile, dove l'esercizio di tale potere autoritativo non trova fondamento: l'autotutela demaniale si collega, infatti, al regime dominicale del bene pubblico, in coerenza con le funzioni amministrative di disciplina, ordinata gestione e uso del bene medesimo e con l'esigenza di "reagire" rispetto a condotte appropriative o usurpative di carattere privato". Quindi la sentenza ha concluso che sussiste una effettiva e comprovata divergenza, nei sensi sopra indicati, fra l'atto di sgombero e la sua funzione tipica, essendo stato il potere esercitato per finalità diverse da quelle enunciate dalla norma di cui all'art. 823 c.c., attributiva dello stesso. Come si evince (anche) dalla decisione innanzi riportata, l'accertamento del giudice, ove si controverta di esercizio dei poteri di autotutela esecutiva, va svolto "in concreto", avendo riguardo alla fattispecie dedotta in giudizio e alle caratteristiche degli atti adottati. In conclusione l'appello è fondato e va accolto. Come noto, laddove sussista la giurisdizione del giudice amministrativo, declinata in primo grado dal Tar, il giudice di secondo grado non può che annullare la sentenza impugnata, senza ulteriore trattazione della causa (cfr. tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7510), poiché, nel caso di erronea declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nella sentenza di primo grado, la causa deve essere rimessa al Tar e da questi decisa, ai sensi dell'art. 105 c.p.a. (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 dicembre 2011, n. 6492). Pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al giudice di primo grado, secondo le modalità di cui all'art. 105, comma 3, del codice del processo amministrativo, non potendo il Consiglio di Stato pronunciarsi nel merito (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 847). 5. In ragione della particolarità della questione di giurisdizione esaminata, si può disporre l'integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo e annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tar della Campania, dinanzi al quale il giudizio dovrà essere riassunto entro il termine di novanta giorni dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione della presente sentenza. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7564 del 2023, proposto da: Ca. Eu. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ca. Pe. e Cr. Be., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ni. Za., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; nei confronti Tu. Fu. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Co. e Gi. Gi., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo, sezione staccata di Pescara, n. 95/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di Tu. Fu. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore il Cons. Laura Marzano; Nessuno presente per le parti nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società appellante ha impugnato la sentenza del 20 febbraio 2023, n. 95 con cui il Tar Abruzzo, sezione staccata di Pescara, ha respinto il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza n. 150 del 18 aprile 2019, emessa dal Comune di (omissis), ex art. 35 del d.P.R. n. 380 del 2001 e artt. 54 e 1161 del codice della navigazione, di ingiunzione allo sgombero di un'area di mq.460, appartenente al demanio marittimo e occupata sine titulo, con obbligo di ripristino dello stato dei luoghi. Il Comune di (omissis) si è costituito con atto formale. La controinteressata, Tu. Fu. s.r.l. si è costituita depositando memoria difensiva e documentazione ed ha chiesto la reiezione dell'appello. In vista della trattazione, il comune e la controinteressata hanno depositato memorie conclusive, alle quali l'appellante ha replicato con memoria del 7 maggio 2024. Con separati atti tutte le parti costituite hanno chiesto la decisione della causa sugli scritti. All'udienza pubblica del 28 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 2. L'appellante, gestore di un campeggio in (omissis), lungo la SS 16 sud, ha impugnato in primo grado il suindicato provvedimento censurandolo per violazione dell'art. 35 del d.P.R. n. 380 del 2001, degli artt. 32, 54, 1161 del codice della navigazione, dei principi dell'affidamento e di proporzionalità nonché per eccesso di potere sotto il profilo del difetto di presupposti, di istruttoria e di motivazione, del travisamento dei fatti, dello sviamento. In particolare sosteneva l'erroneità del richiamo all'art. 35 del d.P.R. n. 380 del 2001, non essendo state segnalate opere abusive per le quali, comunque, non avrebbe avuto responsabilità avendo assunto la gestione del campeggio nel 1993, con l'area già occupata e osservando che il decorso del tempo avrebbe ingenerato l'affidamento sul consolidarsi della situazione. Sosteneva inoltre: che non sussistesse l'occupazione abusiva; che l'Agenzia del demanio non avesse prodotto un circostanziato atto di accertamento sul punto; che non fosse stato considerato l'atto di donazione del 7 febbraio del 1934; che non fosse stato allegato il menzionato verbale del 22 febbraio 2018 dell'Ufficio circondariale marittimo; che fosse mancato il contraddittorio procedimentale; che sarebbero intervenuti fenomeni naturali di spostamento del demanio, con esondazione tra l'altro del torrente Bu.; che vi sarebbe stato un processo di urbanizzazione; che sarebbe stato apposto un termine; che le mappe catastali non sarebbero aggiornate e, comunque, non sarebbero indicati foglio e particella; che si sarebbe dovuto attivare il procedimento di cui all'art. 32 del codice della navigazione. 3. Il Tar ha respinto il ricorso osservando in sintesi: che il riferimento all'art. 35 del d.P.R. n. 380 del 2001 appare pertinente, in quanto sia nell'ordinanza di sgombero sia negli atti endoprocedimentali è fatto riferimento a opere edilizie abusive; che il provvedimento costituisce misura a carattere reale, da indirizzarsi come tale all'attuale occupante, in relazione materiale con la cosa, in grado di ricondurre a legittimità lo stato di fatto, prescindendo quindi dai profili di responsabilità ; che in ogni caso la attuale occupante dell'area è anche responsabile della sottrazione dell'immobile al soggetto pubblico, legittimo proprietario; che, trattandosi di opere abusive su suolo pubblico demaniale, l'atto di sgombero assume carattere strettamente vincolato, a nulla rilevando dunque il decorso del tempo dalle condotte abusive, che peraltro permangono, con inconfigurabilità di un affidamento tutelabile volto alla conservazione di una situazione di illecito permanente. Il primo giudice ha, poi, rilevato che non risulta comprovata l'assenza di occupazione abusiva, considerato che la relazione tecnica prodotta dalla parte ricorrente non appare sufficiente, per difetto di chiarezza (cfr. in particolare pag. 6, deposito del 22 dicembre 2022) e che anche le risultanze catastali, in quanto predisposte per fini essenzialmente fiscali, non rivestono carattere dirimente ai fini dell'individuazione dei profili proprietari, avendo valore meramente indiziario. Inoltre il Tar ha osservato: che l'atto di sgombero risulta emesso all'esito di una compiuta e articolata istruttoria, comprendente sopralluoghi, verbali e relazione tecnica d'ufficio nonchè interventi dell'Ufficio circondariale marittimo e dell'Agenzia del demanio, oltre che dell'amministrazione comunale; che l'ordinanza impugnata è stata preceduta da comunicazione di avvio del procedimento del 26 marzo 2019, circostanziata e corredata di allegati, cui sono seguite le osservazioni controdeduttive del privato dell'8 aprile 2019, dunque nel pieno rispetto del contraddittorio procedimentale. Infine ha affermato: che l'atto di donazione del 7 febbraio 1934 non appare idoneo a sovvertire le risultanze emerse dall'attività istruttoria dell'amministrazione, essendo stata prodotta solo una nota di trascrizione, molto risalente nel tempo, riferita a soggetti dell'epoca, non sufficientemente circostanziata e specifica in ordine all'oggetto; che non possono assumere rilievo non meglio precisati fenomeni naturali, di urbanizzazione, di apposizione di un termine di confine; che l'avvio del procedimento di delimitazione delle zone del demanio marittimo, ex art. 32 del codice della navigazione, è rimesso a valutazioni eminentemente discrezionali dell'amministrazione, qualora sussistano obiettivi profili di incertezza sul punto, precisando che appartengono alla giurisdizione del Giudice ordinario le liti in tema di accertamento di confini. 4. L'appello è affidato ad un unico motivo di "Travisamento dei fatti e dei presupposti; errata individuazione della fattispecie oggetto di ricorso. Violazione/falsa applicazione dell'art. 35 TU Edilizia - Violazione/falsa applicazione degli artt. 54 e 1161 del codice di navigazione - Eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, difetto dei presupposti e sviamento. Omessa pronuncia". In sintesi l'appellante sostiene che la sentenza sarebbe errata nella parte in cui ha disatteso le contestazioni di indeterminatezza mosse all'ordinanza di sgombero. Ricorda che l'ordinanza di sgombero si fonda su un asserito sconfinamento ("occupazione abusiva di una porzione di circa mq 460 di area demaniale marittima di forma pressochè triangolare") senza, tuttavia, descrivere l'ubicazione dell'area occupata, non essendo indicato il foglio di mappa né la particella. Insiste sulla censura di difetto di istruttoria non essendo, a suo dire, sufficienti gli atti rinvenuti in sede di accesso (nota Agenzia del demanio del 16 marzo 2019 prot. 2019/3606; nota Agenzia del demanio del 6 marzo 2019 prot. 2019/2596; nota dell'Ufficio circondariale marittimo del 22 febbraio 2018). Inoltre gli atti depositati dal comune cui la sentenza fa riferimento non includerebbero alcun verbale di sopralluogo e riguarderebbero un diverso procedimento. Ripropone la censura di difetto di motivazione in quanto, a suo dire, il riferimento ad altri atti o documenti contenuto nell'ordinanza non sarebbe stato reso intellegibile mediante la doverosa allegazione degli atti richiamati. Contesta che, al fine di individuare l'area abusivamente occupata, possa tornare utile la relazione tecnica depositata in atti dal comune il 19 novembre 2018 redatta dalla responsabile della Pianificazione edilizia e ambiente, relativa al diverso procedimento che ha condotto alla revoca dell'autorizzazione amministrativa oggetto di separato ricorso, non essendo tale relazione agli atti del procedimento che ha condotto all'ordinanza di sgombero: si tratterebbe, dunque, di motivazione postuma inammissibile. Senza prestare acquiescenza a detta allegazione postuma, l'appellante osserva, in ogni caso, che dalla stessa parrebbe che l'occupazione demaniale abusiva ivi descritta sia connessa al mancato rispetto della fascia di rispetto della strada statale SS 16 e dell'area ove insiste il bocciodromo: nel precisare che tale area non è triangolare e non è ricompresa in una fascia di mq 460, fa presente che il camping vanta un regolare contratto per l'utilizzo delle aree lungo tutto la fascia stradale (concessione ANAS prot. 11378/1994). Inoltre sostiene che la fascia di rispetto sarebbe di 5 metri e risulterebbe rispettata anche per il bocciodromo. Contesta che sia stato eseguito un sopralluogo e fa presente che, in ogni caso, lo stesso sarebbe dovuto avvenire in contraddittorio con la titolare del diritto di superficie, e con i vari proprietari dell'area costituente il campeggio Europa. Inoltre contesta che vi siano opere abusive e che vi sia stato sconfinamento e, sul punto, torna a richiamare gli atti di provenienza della proprietà . Lamenta l'omessa pronuncia, da parte del Tar, sulla richiesta di verificazione che accertasse la demanialità o meno dell'area in questione. Sostiene che l'ordinanza ex art. 35 del testo unico dell'edilizia possa essere legittimamente adottata soltanto nei confronti del responsabile dell'abuso, a differenza di quella di cui all'art. 31, d.P.R. n. 380 del 2001, che può essere adottata, oltre che nei confronti del responsabile dell'abuso, anche nei confronti del proprietario non responsabile. 5. Il Comune di (omissis) ha ribadito l'eccezione, già sollevata in primo grado, di inammissibilità del ricorso introduttivo per omessa notifica alle altre amministrazioni interessate, coinvolte nell'accertamento che ha condotto all'emanazione dell'ordinanza impugnata (e i cui atti si censurano anche nell'appello), ovvero l'Ufficio circondariale marittimo di (omissis) e l'Agenzia del demanio di Pescara; in ogni caso ha dedotto l'infondatezza dell'appello e del ricorso introduttivo osservando che le censure dell'appellante non sarebbero idonee a incidere sulla correttezza della sentenza impugnata. La controinteressata Tu. Fu. s.r.l. - proprietaria di due sezioni di terreno (p.lla (omissis) sub (omissis) e p.lla (omissis) e p.lla (omissis) sub (omissis)) direttamente confinanti con l'area demaniale marittima indebitamente occupata dall'appellante, nonché del complesso alberghiero denominato "Hotel Ex.", ai cui clienti, a causa di tale abusiva occupazione, è precluso di accedervi liberamente e di raggiungere non solo la spiaggia, ma anche la porzione di sua concessione in corrispondenza di quella zona - ha eccepito l'inammissibilità del ricorso introduttivo chiedendone comunque la conferma di rigetto. In punto di fatto ha ricordato che l'area demaniale marittima di che trattasi è ricompresa all'interno del sito di interesse comunitario denominato "Marina di (omissis)" che, con legge regionale dell'Abruzzo n. 5 del 30 marzo 2007 è divenuta anche riserva naturale regionale, ove sono presenti le ultime formazione dunali della costa abruzzese di notevole valenza naturalistica e delle rarissime specie vegetali e animali in via estinzione, la cui integrità rischia di essere definitivamente pregiudicata nel caso in cui l'indebita occupazione dovesse protrarsi ulteriormente. In diritto fa presente che sarebbe illegittima non solo l'occupazione dell'anzidetta area demaniale marittima, ma l'intero campeggio, poiché - come accertato a seguito di ulteriori sopralluoghi eseguiti sempre dall'Ufficio circondariale marittimo di (omissis) congiuntamente all'Agenzia del demanio e all'ufficio urbanistica del Comune di (omissis) - la pressoché totalità delle strutture ivi esistenti sono prive di qualsiasi titolo abilitativo e ricadenti all'interno della fascia di inedificabilità assoluta del locale torrente "Bu." e di quella di rispetto della S.S. 16 Adriatica. 6. Si può prescindere dall'esame delle eccezioni preliminari, essendo l'appello infondato. Come rilevato dal Tar non è ravvisabile il dedotto difetto di istruttoria. Nel corso del procedimento avviato a seguito dell'accertamento compiuto dall'Ufficio circondariale marittimo, l'appellante il 5 aprile 2019 ha formulato le proprie osservazioni dimostrando di avere compreso quale fosse l'area a cui faceva riferimento l'ufficio, invocando una situazione "consolidata da tempo" e chiedendo la sospensione del procedimento essendo in corso accertamenti nell'ambito di non meglio identificate istanze di sanatoria presentate; non ha invece fornito alcune documentazione per smentire quanto accertato dall'ufficio. Nel corso dei sopralluoghi congiunti svolti, nei giorni 26 settembre 2018 e 9 ottobre 2018, dal Settore urbanistica del comune, dall'Ufficio circondariale marittimo e dall'Agenzia delle dogane, sono stati rilevati due profili di illegittimità : ossia una serie di irregolarità edilizie e l'occupazione di area non riconducibile a quelle indicate in progetto. Sono seguite, dunque, due attività provvedimentali: l'una diretta allo sgombero dell'area demaniale illegittimamente occupata e alla rimozione delle opere edilizie abusive ivi insistenti e una diretta alla revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio. Il presente giudizio riguarda la prima delle indicate attività che, al pari della seconda, risulta ben esplicata nella relazione tecnica a firma del responsabile della Pianificazione edilizia e ambiente del comune in cui, dopo aver elencato i titoli rilasciati e le richieste di sanatoria, si conclude che "Dall'esame delle pratiche sopra richiamate si evince che, ad oggi, il Campeggio non dispone di alcun titolo autorizzatorio, ed è, pertanto interamente abusivo, fatta salva la definizione dei condoni richiesti". Nella relazione si dà atto che non è stato possibile effettuare un rilievo puntuale dei manufatti esistenti e non autorizzati, a causa dell'assenza dei titolari delle aree. All'esito di tali verifiche è emerso anche che "Alcune delle opere abusive (bocciodromo e suo ampliamento) insistono sulla proprietà Demanio dello Stato ramo Strade, mentre le stesse strutture abusive descritte al punto 3°, ricadono, in parte nella fascia di rispetto della Strada Statale SS 16 (30 metri)...". A ciò è conseguita da una parte la diffida alla demolizione delle opere abusive, inviata a tutti i soggetti proprietari del camping, e le successive ordinanze di demolizione e di ripristino (nn. 120, 121, 144, 145, 213, 214 del 21 maggio 2019) e, dall'altra, l'ordinanza di sgombero dell'area demaniale per cui è causa, inviata al sig. Ma. Ni., quale legale rappresentante della ditta Ca. Eu.. Quindi l'ordinanza di sgombero è stata adottata all'esito dell'unica attività istruttoria, riguardante i due evidenziati profili di illegittimità, pertanto non coglie nel segno la doglianza per cui gli atti su cui si fonda l'ordinanza sarebbero riferibili ad un diverso procedimento. A ciò deve aggiungersi che tale provvedimento ha natura doverosa e vincolata e va emesso sulla base del mero accertamento di fatto dell'occupazione sine titulo, nel caso di specie sostanzialmente incontestato, sicchè anche sotto tale profilo non è configurabile il dedotto difetto di istruttoria né è richiesta una particolare motivazione. Né, a fronte dell'illegittima occupazione di beni demaniali, può rilevare il tempo trascorso non essendo configurabile alcun affidamento "legittimo" a fronte di una occupazione chiaramente "illegittima", protrattasi per mera inerzia dell'amministrazione. Il provvedimento impugnato nel presente giudizio è finalizzato allo sgombero e al ripristino dell'area demaniale, sicchè lo stesso legittimamente è adottato nei confronti del soggetto che abbia la materiale disponibilità dell'area: pertanto è irrilevante che, in ipotesi, l'occupazione sia avvenuta prima che lo stesso assumesse la gestione del campeggio. Nel caso di specie si sovrappongono i due rilevati profili di illegittimità : l'occupazione abusiva di area demaniale e la realizzazione sulla stessa di opere abusive. In caso di abuso realizzato su suolo di proprietà pubblica, operando la regola dell'accessione, non si pone un'esigenza di coinvolgimento di chi ha la materiale disponibilità del bene, che in alcun modo può ostacolare il ripristino dello stato di un luogo che non gli appartiene; al contrario, se l'abuso è stato realizzato su proprietà privata, e il responsabile dello stesso non è reperibile, in quanto ad esempio neppure più in vita, ovvero, più banalmente, è venuto meno ogni suo rapporto con il bene, il coinvolgimento del proprietario è indispensabile per accedere allo stesso, consentendogli anche, in via preferenziale, di demolire spontaneamente, ove preferisca evitare l'esecuzione d'ufficio (Cons. Stato, sez. II, 15 novembre 2023, n. 9799). Dunque, stante la stretta connessione tra i due accertati profili di abusività, non coglie nel segno nemmeno l'ulteriore censura con cui l'appellante sostiene che l'unico legittimato passivo contemplato dall'art. 35, del d.P.R. n. 380/2001 sarebbe il responsabile dell'abuso e non anche i soggetti che a qualunque titolo acquistino successivamente la disponibilità dell'area demaniale. L'art. 35 del testo unico dell'edilizia, utilizzando il riferimento al solo "responsabile" dell'abuso, ha chiaramente a mente che il responsabile non può in alcun modo divenire proprietario, in quanto, appunto, ha costruito su suolo pubblico. Da qui la piana soluzione interpretativa secondo la quale "nella particolare ipotesi relativa alla sanzione degli abusi realizzati sul demanio e sui beni appartenenti al patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il proprietario è esonerato totalmente dal coinvolgimento nel procedimento sanzionatorio. In questi casi specifici le sanzioni demolitorie possono essere legittimamente irrogate unicamente nei confronti del responsabile dell'abuso" (Cons. Stato, sez. VI, 4 maggio 2015, n. 2211): questo è il senso da attribuire, in fattispecie di questo tipo, alla nozione di "responsabile". Quantunque non riproposta ma meramente menzionata, anche la censura concernente le risultanze catastali è infondata atteso che secondo un consolidato orientamento, ai fini della determinazione dell'effettiva proprietà del bene, alle risultanze catastali "non può essere riconosciuto un definitivo valore probatorio, bensì una valenza meramente sussidiaria rispetto a quanto desumibile dagli atti traslativi" (Cons. Stato, Sez. II, 27 dicembre 2023, n. 11249). Infine si deve convenire con il Tar che la nota di trascrizione prodotta, assai risalente, non presenta elementi di tale specificità e chiarezza idonei a suffragare le tesi dell'appellante che, pertanto, risultano del tutto indimostrate e infondate. Conclusivamente, per quanto precede, esaminate tutte le censure pertinenti, che esauriscono il tema dedotto in giudizio, l'appello deve essere respinto. 7. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio, nella misura di Euro 2.000,00 (duemila) in favore di ciascuna parte costituita, oltre oneri di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1126 del 2023, proposto da Vi. Br. e Gr. Ro., rappresentati e difesi dagli avvocati Or. Cu. e Mo. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'Avvocato Or. Cu. in Firenze, (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in (...), largo (...); per l'annullamento del Decreto motivato di occupazione di urgenza del Comune di (omissis), Area Tecnica, a firma del Responsabile pro-tempore, Dr. Fa. Al., numero 1 del 25 gennaio 2023, notificato in data 3 febbraio 2023 (AG 78772644938-2 e AG 78772644931-4, emesso ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 22-bis del DPR numero 327 del 2001; nonché di tutti gli atti presupposti, connessi, conseguenti, ancorché incogniti, comprese le Delibere di approvazione del progetto della Giunta del Comune di (omissis) n. 123 del 17 novembre 2022 e n. 124 del 29 novembre 2022 e il silenzio sulla richiesta di annullamento in autotutela, con conseguente inefficacia del Verbale di immissione in possesso del 9 febbraio 2023. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il dott. Giovanni Ricchiuto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO I Sig. Vi. Br. e Gr. Ro. hanno impugnato con ricorso straordinario al Presidente della repubblica il decreto di occupazione di urgenza n. 1 del 25 gennaio 2023, emesso del Comune di (omissis), ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 22 bis del DPR n. 327/2001, nonché le precedenti delibere di approvazione del progetto della Giunta del Comune di (omissis) n. 123 del 17 novembre 2022 e n. 124 del 29 novembre 2022 e il silenzio sulla richiesta di annullamento in autotutela, con conseguente inefficacia del verbale di immissione in possesso del 9 febbraio 2023. Nel ricorso si è avuto modo di evidenziare che il terreno di cui sono proprietari gli attuali ricorrenti è ubicato nel Comune di (omissis), di cui al Foglio (omissis) del N.C.T., particella n. (omissis), ed è stato oggetto di una prima approvazione del progetto definitivo di cui alla delibera della Giunta Comunale n. 76 del 30 giugno 2022 e della deliberazione di avvio del procedimento, n. 100 del 27 settembre 2022, relativa alla realizzazione di un'area dedicata a sport equestri dove ricavare una pista per corse di cavalli e maneggio. Il relativo progetto è stato poi sostituito da un ulteriore progetto prima definitivo e poi esecutivo, contenuto rispettivamente nella delibera n. 123 e 124 del 17 novembre e del 29 novembre 2022, entrambe dirette a consentire la realizzazione di un'area dedicata a sport equestri dove ricavare una pista per corse di cavalli e maneggio, da utilizzare anche per la corsa del Palio delle Contrade. Detti provvedimenti prevedevano l'esproprio di una superficie 1310 mq e, quindi, di una parte del terreno così come previsto dal piano particellare, con la proposta di un'indennità provvisoria di 1310 euro, senza tuttavia specificare i parametri di riferimento. Il successivo decreto del 25 gennaio 2023, n. 1 ha così disposto l'occupazione anticipata di tutta la particella (omissis) per complessivi 2486 mq (senza che questo fosse previsto dalla dichiarazione di pubblica utilità di cui alla Delibera n. 123 del 17 novembre 2022) e un'indennità in via provvisoria per l'intera particella calcolata peraltro sempre per l'importo di Euro 1310,00. In particolare nell'impugnare i provvedimenti sopra citati si sostiene l'esistenza dei seguenti vizi: 1. la violazione degli artt. 1 e 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, degli articoli 20, 21 e 22-bis DPR 327 del 2001, degli artt. 41 e 42 Cost. e l'emergere di diversi profili di eccesso di potere, in quanto il decreto non comprende l'indicazione delle ragioni di urgenza essendo presente solo un generico rinvio alla necessità di rispettare i tempi del previsto finanziamento; 2. la violazione degli artt. 1, 3, 7 e 8 della L. 7 agosto 1990, n. 241, degli artt. 16 e 17 DPR 327 del 2001 e la violazione degli artt. 41 e 42 Cost., oltre vari profili di eccesso di potere, in quanto la delibera n. 123 del 17 novembre 2022 sarebbe stata approvata senza alcuna comunicazione di avvio del procedimento; una volta che è stato riapprovato il progetto definitivo con la delibera 123 del 17 novembre 2022, l'Amministrazione avrebbe dovuto comunicare il relativo avvio del procedimento ai ricorrenti; 3. la violazione degli artt. 1 e 3 L. 7 agosto 1990, n. 241 e l'eccesso di potere, in quanto il decreto n. 1 del 25 gennaio 2023, risulta divergere da quanto previsto dalla precedente delibera 123 del 17 novembre 2023 che non avrebbe legittimato un'occupazione sine titulo sull'intera particella; 4. l'eccesso di potere per irragionevolezza, contraddittorietà, la violazione del principio di proporzionalità e necessarietà e del principio del legittimo affidamento. Il Comune di (omissis) si è opposto al ricorso straordinario promosso dai ricorrenti che è stato poi trasposto presso questo Tribunale. Lo stesso Comune, nel costituirsi, ha eccepito l'inammissibilità del ricorso in quanto trasposto tardivamente e in violazione dei termini previsti dal combinato disposto di cui agli art. 11 e 119 del cpa. L'inammissibilità del ricorso sussisterebbe anche in considerazione di un altro profilo, in quanto sussisterebbe l'inammissibilità del ricorso per non essere stata impugnata tempestivamente la deliberazione di Giunta Comunale n. 123 del 17 novembre 2022, con la quale è stata dichiarata la pubblica utilità dell'opera. Nel merito si sono contestate le argomentazioni dedotte chiedendo il rigetto del ricorso. In particolare il Comune ha evidenziato che sussisterebbero le ragioni di urgenza alla base dell'adozione del provvedimento di occupazione in quanto nel mese di giugno 2023 sarebbero iniziate le attività prodromiche al Palio delle Contrade, la cui gara ufficiale è fissata per il 18 agosto 2023 e, ancora, in ragione della necessità di non perdere il finanziamento, per una quota pari ad euro 360.000,00 con contributo di Regione Toscana, nella parte in cui si richiede che i lavori devono essere terminati entro il 30/11/2023. Nel corso del giudizio tutte le parti hanno presentato memorie, anche in replica alle eccezioni dedotte. In particolare la ricorrente ha eccepito l'illegittimità costituzionale dell'art. 48 c.p.a. nella parte in cui prevede il termine di sessanta giorni per la trasposizione, perché laddove fosse interpretato come termine dimezzato sia per la notifica del ricorso che del relativo deposito si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Detta interpretazione avrebbe l'effetto di costituire un'implicita abrogazione dell'art. 10 del DPR 1199 del 1971 che legittima i controinteressati e le Amministrazioni a proporre opposizione per la trasposizione in sede giurisdizionale. In questi termini, e all'udienza del 16 maggio 2024, il ricorso è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 1. Il ricorso è irricevibile per tardività della trasposizione del ricorso straordinario in questa sede giurisdizionale, in violazione dei termini previsti dal combinato disposto degli art. 11 e 119 del cpa. 1.1 E' dirimente constatare che il presente giudizio rientra tra le controversie soggette alla dimidazione dei termini processuali di cui all'art. 119 c.p.a., nella parte in cui detta disposizione prevede che "le disposizioni di cui al presente articolo si applicano nei giudizi aventi ad oggetto le controversie relative a... f) i provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità e i provvedimenti di espropriazione delle invenzioni adottati ai sensi del codice della proprietà industriale". In tali procedimenti (in questo senso è il comma 2) "tutti i termini processuali ordinari sono dimezzati salvo, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti, nonché quelli di cui all'articolo 62, comma 1, e quelli espressamente disciplinati nel presente articolo". 1.2 Ai fini di dimostrare la tardività della riassunzione è necessario premettere che il ricorso straordinario è stato notificato il 5 giugno 2023. L'Amministrazione si è opposta al ricorso straordinario con atto del 29 giugno 2023, notificato il 24 luglio 2023, mentre i ricorrenti hanno notificato e depositato il ricorso in riassunzione solo il 23 ottobre 2023, e, quindi, sessanta giorni dopo l'atto di opposizione, al netto della sospensione feriale. Tuttavia, stante la dimidiazione del termine per operare la trasposizione, la successiva notifica del presente ricorso sarebbe dovuta avvenire entro il 23 settembre 2024. 1.3 L'applicabilità del termine dimidiato di trenta giorni per effettuare la trasposizione in sede giurisdizionale di un ricorso al Presidente della Repubblica è stata sancita da un costante orientamento giurisprudenziale, nella parte in cui ha evidenziato che "ragioni di ordine logico, oltre che di sistematicità, impongono di ritenere applicabile la dimidiazione del termine anche nel caso della trasposizione... Alla stessa soluzione si addiviene anche in forza della lettura della norma alla luce della sua ratio, che è quella di garantire il diritto alla difesa, assicurando il mantenimento dell'ordinario termine decadenziale per esercitare l'accesso alla giustizia, nonostante il dimezzamento di tutti gli altri termini endogiudiziali, tra cui quello per la trasposizione. Essa, infatti, non integra una nuova esplicazione del diritto alla difesa, se non mediante la mera riassunzione, che non richiede alcun particolare adempimento giustificante l'equiparazione alla proposizione del ricorso e, dunque, il più lungo termine di sessanta giorni" (T.A.R. Lombardia, sezione staccata di Brescia, sent. n. 371 del 18 maggio 2020; T.A.R. Lombardia, sezione staccata di Brescia, sez. I, sent. n. 204 del 6 marzo 2023). 1.4 In altre pronunce è stato statuito che "...il termine per la trasposizione del ricorso straordinario al Capo dello Stato costituisce termine processuale, soggetto come tale a dimezzamento degli ordinari sessanta giorni, previsti dall'art. 10 d.p.r. 1199, a trenta (Cons. Stato, Sez. VI, 20 agosto 2019, n. 5771; T.A.R. Lazio, sez. I, sent. n. 7674 del 10 giugno 2022). Ancora più chiaramente si è sancito che per le materie soggette all'art. 119 c.p.a., il deposito dell'atto di costituzione, di cui all'art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971, avanti al Tribunale deve eseguirsi nel termine dimidiato di 30 giorni (Cons. St., sez. VI, 20 agosto 2019, n. 5771). 1.5 L'art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971 si limita a sancire l'obbligo di riproporre il ricorso davanti alla sede giudiziaria così come individuata, senza che lo stesso ricorso possa essere integrato o modificato nei motivi e nelle conclusioni, obbligando inoltre la stessa parte che intende riassumere il giudizio a notificare, alle altre parti e a pena di inammissibilità, il successivo avviso di voler insistere nel ricorso. 1.7 Ne consegue che l'atto di trasposizione in nessun modo può essere equiparato alla proposizione del ricorso già introdotto, così come nemmeno l'avviso di voler insistere nel ricorso può essere assimilato alla notificazione del ricorso introduttivo in primo grado (Cons. Stato, sez. VII, sent. n. 1443 del 9 febbraio 2023). 1.8 Si consideri, ancora, che secondo precedenti pronunce, quale che sia la sequenza degli adempimenti formali compiuti per la trasposizione del ricorso straordinario, deve essere osservato per entrambi gli adempimenti (deposito e notifica) il termine perentorio di trenta giorni, laddove risulti operante (come nel caso di specie) l'istituto della dimidiazione di cui all'art. 119, comma 2), termine quest'ultimo che decorre dal perfezionamento, per l'originario ricorrente, della notificazione dell'atto di opposizione (Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 6124 del 26 ottobre 2018 Tar Lazio, Roma, Sez. Terza, 31 maggio 2023, n. 9253). 1.9 L'esistenza delle pronunce sopracitate, oltre il carattere inequivoco dell'art. 119 cpa, consente di ritenere insussistenti i presupposti dell'istituto dell'errore scusabile di cui all'art. 37 cpa, sussistendo la violazione dei termini per operare la trasposizione del ricorso presentato in sede amministrativa. 2. Le argomentazioni sopra citate e dirette a confermare il fondamento dell'eccezione di tardività del ricorso, sono sufficienti anche per ritenere insussistenti anche i profili di illegittimità costituzionale dell'art. 48 cpa. Il ricorrente sostiene che l'art. 48 c.p.a. sarebbe incostituzionale, laddove detta disposizione fosse interpretata applicando anche alla trasposizione e nelle materie di cui all'art. 119 il termine dimezzato, sia per la notifica che per il deposito del ricorso che si intende riassumere. Detta disposizione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, legittimando un'implicita abrogazione dell'art. 10 del DPR 1199 del 1971 nella parte in cui consente ai controinteressati e alle Amministrazioni di proporre opposizione e di consentire la trasposizione in sede giurisdizionale entro il termine di sessanta giorni. A parere del ricorrente, poiché l'abbreviazione dei termini disposta dall'art. 119 c.p.a. non riguarda il termine per la proposizione del ricorso (salvo le disposizioni specifiche dettate dall'art. 120, comma 2 e 5 per le materie di cui all'art. 119, lett. a)), è da ritenere che non si applichi nemmeno all'atto di trasposizione, in quanto esso includerebbe una domanda del soggetto interessato che sarebbe assimilabile al ricorso introduttivo. 2.1 Dette argomentazioni non sono condivisibili, non sussistendo i presupposti di sospetta incostituzionalità . 2.2 Le pronunce sopra citate hanno evidenziato come sussista una sostanziale differenza (per le caratteristiche proprie degli stessi atti) tra l'atto di proposizione del ricorso e la riassunzione a seguito dell'opposizione per la trasposizione in sede giudiziale. 2.3 La trasposizione di un ricorso in origine presentato innanzi al Presidente della Repubblica non integra una nuova esplicazione del diritto alla difesa, ma solo il compimento di alcuni adempimenti processuali, circostanza quest'ultima che è di ostacolo a consentire un'equiparazione con l'atto di proposizione del ricorso e, dunque, anche il termine proprio di quest'ultimo e pari a sessanta giorni. 2.4 Come si è avuto modo di anticipare è, infatti, con l'opposizione che si apre la fase del giudizio in sede giurisdizionale, circostanza quest'ultima che trova conferma proprio nel tenore dell'art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971, laddove il Legislatore ha avuto modo di precisare che, con l'atto di trasposizione, ci si limita a riproporre il ricorso in origine presentato in sede amministrativa, senza che quest'ultimo possa essere integrato o modificato nei motivi e nelle conclusioni. 2.5 Si consideri, inoltre, che il ricorso straordinario è "alternativo" rispetto al ricorso giurisdizionale, secondo quanto previsto dall'art. 8 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 e che, ancora, il ricorso straordinario diviene improcedibile qualora quest'ultimo sia stato erroneamente trasposto in sede giurisdizionale (in questo senso è l'art. 10 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199). 2.6 A conferma di dette considerazioni è possibile far riferimento anche alle conclusioni alle quali è pervenuta di recente l'Adunanza Plenaria n. 11/2024 che, pronunciandosi in merito alla natura del ricorso straordinario, lo ha qualificato come un rimedio "giustiziale alternativo a quello giurisdizionale, di cui condivide solo alcuni tratti strutturali e funzionali". 2.7 Ai fini di operare detta qualificazione l'Adunanza Plenaria ha considerato dirimente l'applicazione del principio di alternatività di cui all'art. 8 sopra citato, in quanto la scelta di optare per la trasposizione impedisce il proseguimento dell'esame della controversia innanzi al Presidente della Repubblica e, ciò, con l'effetto che "la decisione resa su ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, sebbene il giudizio fosse stato ritualmente trasposto in sede giurisdizionale, è nulla ai sensi dell'art. 21-septies del c.p.a., in quanto emanata in difetto assoluto di attribuzione". 2.8 Affermare di fatto l'esistenza di un'unica controversia che, iniziata presso una sede "giustiziale" prosegue (dopo l'opposizione) presso un organo giurisdizionale, ha l'effetto di confermare che l'atto di riassunzione non è suscettibile di essere equiparato all'originaria proposizione del ricorso già introdotto. Ne consegue che la trasposizione si sostanzia nel compimento di una serie di atti (deposito del ricorso e avviso) che hanno la sola finalità di consentire la prosecuzione di un giudizio di fatto già instaurato. 2.9 Ulteriore conseguenza è quella che deve ritenersi ammissibile (senza che risultino esistenti i dedotti profili di sospetta incostituzionalità ) anche la previsione di termini differenti e, quindi, sia per quanto riguarda l'iniziale proponimento di un ricorso sia, ancora, con riferimento all'atto di riassunzione in una sede giurisdizionale e, ciò, nelle materie di cui all'art. 119 c.pa. che risultano disciplinate da un rito che prevede la compressione e la riduzione di tutti i termini processuali. 3. Si consideri, da ultimo, che gli art. 48 e 119 cpa, nella parte in cui prevedono la dimidiazione dei termini in particolari materie come quella in esame e in quanto disposizioni contenute nel codice del processo del 2010, sono disposizioni successive che possono ben incidere su una disciplina speciale e ad esso antecedente, come è appunto il d.P.R. n. 1199 del 1971. 3.1 In conclusione il ricorso va dichiarato irricevibile ai sensi dell'art. 35 comma 1 lett. a), mentre la novità della fattispecie esaminata consente la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile nei termini così precisati in parte motiva. Compensa le spese tra le parti costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Riccardo Giani - Presidente Giovanni Ricchiuto - Consigliere, Estensore Nicola Fenicia - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. BORSELLINO M. D. - rel. Consigliere Dott. COSCIONI Giuseppe - Consigliere Dott. D'AURIA Donato - Consigliere Dott. SARACO Antonio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza resa il 22 giugno 2022 dalla CORTE di APPELLO di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MARIA DANIELA BORSELLINO; sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Guerra Mariaemanuela, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso; sentite le conclusioni dell'avv. (OMISSIS), che insiste nei motivi di ricorso e nella richiesta di dichiarare prescritto il reato di cui alla memoria trasmessa. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza resa dal Tribunale di Roma il 4 gennaio 2018 che ha dichiarato la responsabilita' di (OMISSIS) in ordine al reato di invasione arbitraria e lo ha condannato alla pena di 400 Euro di multa. 2. Avverso la detta sentenza propone ricorso l'imputato, tramite difensore di fiducia deducendo: 2.1 violazione di legge penale e vizio di motivazione poiche' dall'analisi degli atti e' emersa l'assenza del requisito dell'arbitrarieta' della condotta di occupazione abusiva in quanto l'imputato e' stato rinvenuto ad abitare in un alloggio popolare assegnato ad una persona ormai deceduta, che aveva ospitato per un periodo di tempo abbastanza lungo la di lui figlia (OMISSIS), e veniva assistita dalla predetta che aveva anche la copia delle sue chiavi di casa; dopo la morte del (OMISSIS) la donna era rimasta a vivere nell'alloggio popolare e aveva ospitato il padre che si era trattenuto nell'appartamento quando la figlia si era trasferita. 2.2 Deduce inoltre che l'imputato avrebbe dovuto essere assolto per la sussistenza della scriminante dello stato di necessita' avendo agito al fine di evitare un danno grave alla persona. 2.3 Deduce infine che in ragione della personalita' dell'imputato la pena avrebbe dovuto essere contenuta nei limiti inferiori previa concessione delle attenuanti generiche e con il beneficio della sospensione condizionle. 3. Con memoria trasmessa il 6 aprile 2023, la difesa ha insistito nei motivi di ricorso e invocato la prescrizione del reato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso e' infondato e va respinto. Dalla lettura della sentenza di primo grado emerge che l'effettivo assegnatario dell'immobile era tale (OMISSIS), deceduta nel (OMISSIS). Dopo la sua morte, l'alloggio era stato occupato dal 1995 da tale (OMISSIS), deceduto il (OMISSIS) che era assistito da (OMISSIS), nella veste di badante. La donna, alla morte del (OMISSIS), permaneva nel possesso dell'appartamento e nel mese di (OMISSIS) denunziava la propria occupazione. All'atto dell'accesso si accertava la presenza del padre. Il primo motivo di ricorso e' infondato, in punto di fatto, poiche' neppure la figlia dell'imputato aveva ricevuto la disponibilita' dell'alloggio da parte del legittimo assegnatario, e in punto di diritto, poiche' l'asserita consegna dell'immobile da parte di chi lo occupa abusivamente non appare idonea a scriminare la condotta dell'imputato, che si era introdotto nell'immobile permanendovi sine titulo. Ai fini della configurabilita' del reato di invasione di terreni o edifici, la nozione di "invasione" non richiede modalita' esecutive violente, che possono anche mancare, ma si riferisce al comportamento arbitrario, tipico di chi si introduce nell'altrui proprieta' "contra ius", in quanto privo del diritto di accesso. (Nella fattispecie la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione che aveva configurato il reato di cui all'articolo 633 c.p. nell'ipotesi di occupazione di un alloggio di proprieta' dello IACP da parte di soggetto non assegnatario dell'alloggio, evidenziando come non avesse alcun rilievo il mancato accertamento dell'azione di spoglio violento in danno dell'avente diritto). (Sez. 2, Sentenza n. 53005 del 11/11/2016 Ud. (dep. 14/12/2016) Rv. 268711 - 01). Ne' puo' sostenersi che l'imputato abbia acquisito legittimamente il possesso dell'appartamento dalla figlia, perche' quest'ultima non aveva alcun titolo per detenere l'immobile. 3. La Corte ha reso adeguata motivazione in ordine al secondo motivo di ricorso richiamando e facendo corretta applicazione della giurisprudenza di legittimita' sul punto e ha respinto la richiesta di riconoscimento della causa scriminante dello stato di necessita' perche' non adeguatamente dimostrata. Per integrare detta scriminante occorre dimostrare la sussistenza di un pericolo attuale di un danno grave alla persona, che non coincide con la difficolta' di reperire un mero alloggio. 4. Quanto al trattamento sanzionatorio, il collegio ha correttamente osservato che la pena e' stata molto contenuta, essendo determinata in 400 Euro di multa. Le attenuanti generiche non sono state invocate con i motivi di appello, sicche' la richiesta di ulteriore mitigazione del trattamento sanzionatorio e' manifestamente infondata e inammissibile. 5. Si impone pertanto il rigetto del ricorso con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Il reato, accertato come permanente fino al (OMISSIS), non e' ancora prescritto. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - rel. Consigliere Dott. DI GIOVINE Ombretta - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso l'ordinanza emessa il 24/1/2023 dal Tribunale di Latina; visti gli atti, l'ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere Paolo Di Geronimo; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Perla Lori, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso; udito l'avvocato (OMISSIS), anche in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS), il quale ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale del riesame di Latina, pronunciando in sede di rinvio, confermava il sequestro preventivo dell'immobile di proprieta' dell'(OMISSIS), int.43, ritenendo sussistente il fumus commissi delitti in relazione al reato di cui agli articoli 633 e 639-bis c.p.. Tale pronuncia interveniva dopo che la precedente ordinanza di rigetto era stata annullata da questa Corte (Sez.2, n. 38384 del 5/7/2022), che aveva rilevato sia l'erronea dichiarazione di tardivita' del primo riesame proposto da (OMISSIS), sia la ritenuta carenza di interesse desunta dal Tribunale sul presupposto che la ricorrente non potesse vantare il diritto alla restituzione dell'immobile. La Cassazione, in particolare, demandava al giudice del rinvio di accertare in concreto le modalita' e l'epoca in cui l'alloggio ATER era stato assegnato alla (OMISSIS), al fine di stabilire la configurabilita' del reato di invasione di edifici. Il Tribunale del riesame dava atto che l'alloggio era stato assegnato fin dal 1998 alla (OMISSIS); che nel 2014 era stata dichiarata la decadenza dall'assegnazione; che nel 2015 l'assegnazione del medesimo appartamento veniva prima confermata e, subito dopo, revocata con provvedimento del (OMISSIS). 2. Avverso tale decisione, la ricorrente ha formulato uri unico motivo di ricorso, con il quale censura la violazione dell'articolo 633 c.p., nella misura in cui il Tribunale ha ritenuto astrattamente configurabile il reato di invasione di edifici, nonostante l'immobile le fosse stato legittimamente assegnato. Si assume che il Tribunale, pur avendo ricostruito puntualmente l'iter amministrativo, aveva sostanzialmente equiparato l'omesso rilascio dell'immobile a seguito della decadenza dell'assegnazione alla condotta di invasione di edifici altrui. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato. 2. Al Tribunale del riesame era stato espressamente demandato il compito di verificare l'interesse della ricorrente ad impugnare il sequestro, previa verifica delle modalita' e dell'epoca in cui l'occupazione dell'alloggio sia risultata prima di legittimazione. Nel compiere tale verifica, il Tribunale ha compiutamente ricostruito i dati salienti, accertando che l'assegnazione dell'immobile e' avvenuta fin dal 1998 e che solo nel 2014 il Comune di Latina contestava per la prima volta la decadenza, in quanto la (OMISSIS) non risulta risiedere abitualmente nell'immobile. Successivamente interveniva un nuovo provvedimento di assegnazione (in data (OMISSIS)) e, immediatamente dopo, la revoca della stessa (il (OMISSIS)), con l'assegnazione del termine di 10 giorni per il rilascio. Sulla base di tali elementi di fatto - accertati dal Tribunale e non oggetto di contestazione - deve ritenersi che la ricorrente e' legittimamente entrata nella disponibilita' dell'immobile, pur non avendo ottemperato al successivo provvedimento di revoca ed alla richiesta di rilascio del bene. 3. A fronte dei dati fattuali sopra indicati, la valutazione in diritto operata dal Tribunale del riesame non risulta conforme ai principi giurisprudenziali elaborati in relazione al reato di cui all'articolo 633 c.p., rispetto ai quali il giudice del merito non si e' in alcun modo confrontato. Per consolidata giurisprudenza, la condotta tipica del reato di invasione di terreni o edifici consiste nell'introduzione dall'esterno in un fondo o in un immobile altrui di cui non si abbia il possesso o la detenzione, sicche' l'invasione non ricorre laddove il soggetto, entrato legittimamente in possesso del bene, prosegua nell'occupazione contro la sopraggiunta volonta' dell'avente diritto (Sez.2, n. 51754 del 3/2/2013, Rv. 258063; Sez.2, n. 15874 del 30/1/2019, Sannais, Rv. 278416). La norma incriminatrice sanziona esclusivamente "l'invasione" e non anche qualsivoglia forma di detenzione sine titulo, quale potrebbe essere quella derivante dal mancato rilascio di un immobile precedentemente legittimamente posseduto. In quest'ultima fattispecie, infatti, sara' al piu' configurabile un illecito civilistico o una violazione rilevante ai fini del procedimento amministrativo, ma si e' necessariamente al di fuori della previsione tipica dettata dall'articolo 633 c.p.. 3.1. Tanto meno puo' dubitarsi della sussistenza dell'interesse all'impugnazione, sul presupposto che la decadenza dall'assegnazione non determinerebbe la possibilita' per la ricorrente di tornare nel possesso del bene. Invero, l'interesse sussiste per il semplice fatto che la ricorrente, al momento del sequestro, aveva il possesso del bene, non risultando l'avvenuto rilascio, ne' l'esecuzione coattiva dello stesso, dovendosi precisare che l'iter amministrativo e' del tutto ininfluente rispetto al procedimento penale, ne' la misura cautelare reale puo' essere surrettiziamente utilizzata per eseguire il provvedimento amministrativo di decadenza. L'accertamento della legittimita' e della esecutivita' del provvedimento di decadenza e' questione che esula dall'oggetto del procedimento penale, posto che la misura cautelare e' funzionalmente collegata alla sola sussistenza del fumus commissi delicti che, una volta escluso, impedisce il mantenimento della misura. In definitiva, quindi, deve ritenersi sussistente l'interesse all'impugnazione, salvo restando che il procedimento amministrato potra' autonomamente condurre all'esecuzione coattiva del rilascio dell'immobile. 4. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso va accolto con conseguente annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata e restituzione alla ricorrente dell'immobile oggetto di sequestro. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e il provvedimento di sequestro emesso il 9 novembre 2021 dal GIP del Tribunale di Latina, disponendo la restituzione all'avente diritto dell'appartamento sito in (OMISSIS). Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 626 c.p.p..

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TARDIO Angela - Presidente Dott. LIUNI Teresa - rel. Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere Dott. FILOCAMO Fulvio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 06/05/2022 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. TERESA LIUNI; lette le conclusioni del Procuratore generale, Dr. MOROSINI PIERGIORGIO, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 6/5/2022 il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha respinto le istanze di affidamento in prova al servizio sociale ex articolo 47 O.P. e di detenzione domiciliare ex articolo 47 ter O.P. avanzate da (OMISSIS). Il Tribunale di sorveglianza ha preso atto che dall'indagine socio-familiare condotta dall'UEPE e' emerso che il condannato convive stabilmente con (OMISSIS), la quale risiede in un'abitazione appartenente al comune di Roma, da lei occupata abusivamente, ma con procedura di regolarizzazione in corso e con regolare pagamento del canone per l'uso dell'immobile. Tuttavia, si e' osservato che, in base al combinato disposto degli articoli 47 ter O.P. e articolo 284 c.p.p., comma 1 ter, la detenzione extra-muraria non si puo' eseguire in un immobile occupato abusivamente, e che la rilevata inidoneita' del domicilio assorbe qualunque ulteriore considerazione nel merito. 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del condannato, avv. (OMISSIS), lamentando violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento anche alla L. R. Lazio n. 1 del 2020, articolo 22 e al L. R. Lazio n. 27 del 2006, articolo 53. Rileva il ricorrente che l'impugnata ordinanza e' viziata dalla petizione di principio per cui (OMISSIS) e la sua convivente - occupante sine titulo di una casa popolare - verserebbero in una condizione di precarieta' abitativa tale da essere incompatibile con le misure alternative richieste. Invece, il Tribunale di sorveglianza non si e' fatto carico di verificare il reale spessore di tale situazione abitativa, alla luce della procedura di regolarizzazione in corso, e soprattutto di monitorare la condotta del condannato in ambiente domiciliare, gia' positivamente apprezzata dai servizi sociali, onde trarre elementi di conforto nella prospettiva della concessione delle invocate misure. Quanto al primo profilo, si sono enumerati i requisiti che la signora (OMISSIS) puo' vantare a suo favore al fine di ottenere l'assegnazione definitiva dell'alloggio occupato, a tenore della normativa regionale in materia. Sul secondo punto, si contesta l'affermazione dell'impugnata ordinanza per cui "l'inidoneita' del domicilio assorbe qualunque ulteriore considerazione nel merito", cosi' abdicando il Tribunale di sorveglianza ad effettuare quel giudizio prognostico di buon esito della prova che non puo' trovare un ostacolo pregiudi-, ziale ed astratto nell'irregolare situazione abitativa del (OMISSIS), specialmente alla luce del positivo giudizio gia' espresso nella relazione dei servizi sociali. 3. Il Procuratore generale, Dott. Piergiorgio Morosini, ha presentato requisitoria scritta nella quale ha chiesto il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato e deve essere respinto. 1.1. E' noto che la misura alternativa della detenzione domiciliare richiede in primo luogo l'esistenza di un domicilio idoneo, mentre la specifica situazione del (OMISSIS) risulta carente proprio sotto tale profilo, come ha rilevato il Tribunale di sorveglianza, indicando nell'inidoneita' del domicilio un prerequisito che impedisce di monitorare la condotta serbata dal condannato nella prospettiva di buon esito della prova e di prevenzione dal pericolo di recidiva. 1.2. Peraltro, l'indicazione legislativa e' chiara nel ritenere ostativa alla concessione di misure domiciliari l'assenza di un'abitazione idonea, dovendosi nel caso di detenzione domiciliare esecutiva avere riguardo al combinato disposto dell'articolo 284 c.p.p., comma 1-ter, introdotto nel 2018, con l'articolo 47 ter, comma 4, O.P., da cui emerge l'impossibilita' di ammettere alla misura alternativa chi risiede in immobile abusivamente occupato. 1.3. Del resto, l'impugnata ordinanza non poteva precorrere i tempi e ritenere un dato acquisito la sanatoria della situazione di precarieta' abitativa in favore della convivente del (OMISSIS), come invoca il ricorrente; ma tale possibilita' e' stata gia' intesa favorevolmente, essendosi affermato, nella chiusa della motivazione, il rilievo che potra' assumere la regolarizzazione dell'occupazione dell'immobile ovvero l'individuazione di una diversa collocazione domiciliare. 2. In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con le conseguenze di legge in ordine all'imputazione delle spese processuali, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p.. P.Q.M. A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 1/12/2022, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI Elisabetta - Presidente Dott. MESSINI D'A. Piero - Consigliere Dott. AIELLI Luca - rel. Consigliere Dott. PERROTTI Massimo - Consigliere Dott. LEOPIZZI Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato ad (OMISSIS) (OMISSIS), nata ad (OMISSIS) (OMISSIS), nata a (OMISSIS) avverso a sentenza della Corte d'appello di Napoli in data 16/2/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; preso atto che il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, convertito nella L. 18 dicembre 2020, n. 176 (cosi' come modificato per il termine di vigenza dal Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, articolo 16, convertito nella L. 25 febbraio 2022, n. 15); udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa AIELLI Lucia; letta la requisitoria con la quale il Sostituto Procuratore Generale Dott. PEDICINI Ettore, ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso; lette le conclusioni scritte dell'avv. (OMISSIS) con le quali ha chiesto l'annullamento del provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame alla Corte d'appello di Napoli. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 16/2/2022, la Corte d'appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale di Napoli, Sez. distaccata di Ischia, con la quale gli odierni ricorrenti sono stati dichiarati colpevoli dei reati di cui agli articoli 54, 1161 codice navale e articoli 633, 639 bis c.p., consistiti nell'avere occupato spazi demaniali in forza di una concessione demaniale illegittima ed occupato, rispetto ad essa, ulteriori spazi demaniali esorbitanti dalla originaria concessione sine titulo. 1.1. Lamentano, con il primo motivo, violazione dell'articolo 521 c.p.p. in relazione agli articoli 54 e 1161 c.n., nonche' articoli 110, 633 e 639 bis c.p., contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione. Deducono che la Corte d'appello non avrebbe correttamente valutato l'eccezione difensiva concernente il difetto di correlazione tra accusa e sentenza, posto che la motivazione addotta, circa l'illiceita' dell'occupazione del suolo demaniale, sarebbe stata desunta dalla assenza di autorizzazione paesistica e di permesso a costruire, sottintendendo un concorso formale di reati (con quelli di al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 e articolo 181 D.Lgs., 42/04), in violazione dell'articolo 521 c.p.p.. Posto che agli imputati non era stato contestato alcun illecito edilizio. 1.2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano l'omessa valutazione da parte della Corte d'appello della memoria depositata in vista dell'udienza del 16/2/2022 con la quale si articolavano motivi nuovi in relazione alla richiesta revoca della sanzione della rimozione delle opere in sequestro ed il ripristino dello stato dei luoghi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Le doglianze svolte dai ricorrenti appaiono generiche per aspecificita' in quanto non si confrontano con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata che confutano in maniera puntuale e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi, le identiche doglianze difensive svolte nei motivi di appello senza alcun apprezzabile elemento di novita' critica, esponendosi quindi al giudizio di inammissibilita'. Ed invero, e' pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che e' inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni gia' esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Rv. 253849). 2. Anzitutto, chiarito che l'oggetto della valutazione era circoscritto alla legittimita' o meno della condotta di perdurante occupazione delle aree demaniali da parte dei ricorrenti in carenza di concessione, sia quella originariamente, asseritamente, assentita e ritenuta dai giudici di merito priva di titolo (Dia e autorizzazione paesistica), sia quella ulteriormente realizzata mediante la collocazione di ombrelloni e sedie et similia per ulteriori 800 metri verso il fronte mare a meno di venti metri dalla battigia, e' da escludere una violazione dell'articolo 521 c.p.p. per difetto di correlazione tra accusa e sentenza. La giurisprudenza di questa Corte (Sez. Unite n. 36551 del 15/07/2010, Rv. 248051; Sez. 3, Sentenza n. 36817 del 14/06/2011, Rv. 251081; Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013, Rv. 254419; Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013, Rv. 254419; Sez. 2, n. 12328 del 24/10/2018, Rv. 276955), ha da tempo affermato che per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perche', vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione e' del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione. 3. Nel caso di specie, non puo' darsi ingresso ai rilevi difensivi poiche' i giudici di merito, nel valutare la complessiva condotta di occupazione abusiva del suolo demaniale tenuta dai ricorrenti, hanno delibato, solo in via incidentale, la sussistenza e legittimita' degli originari titoli autorizzatori senza che cio' abbia comportato qualsivoglia implicazione processuale diretta sulla contestazione elevata nei confronti dei. ricorrenti. E difatti, la verifica della responsabilita' degli imputati, avente ad oggetto la legittimita' dell'occupazione effettuata per mezzo dei beni ubicati su area demaniale marittima, implicava necessariamente allorche' nella prospettazione accusatoria l'occupazione abusiva del demanio marittimo si palesava come conseguenza della mancanza del titolo concessorio che la cognizione del giudice di merito si estendesse a verificare non solo l'esistenza ma anche la legittimita', sul piano di un accertamento sommario, dei provvedimenti che asseritamente legittimavano le opere insistenti sul demanio. D'altra parte la cognizione del giudice di merito allorche' deve valutare la sussistenza del reato deve intendersi ampia ed estesa anche alla verifica dei presupposti di fatto dell'imputazione; ne', in tal caso, ricorre alcuna violazione del principio del contraddittorio, atteso che alla difesa e' garantita la possibilita' di dedurre elementi concreti dai quali escludere la sussistenza dei profili di illegittimita' ovvero comunque la loro rilevanza. Ed invero, pacifico il fatto, ricostruito sulla base di emergenze probatorie oggettive (annotazione di p.g., rilievi fotografici e testimonianza del responsabile dell'Ufficio unico edilizia del Comune di Ischia), i giudici di merito hanno riscontrato la palese illegittimita' della concessione e dunque la sussistenza del presupposto integrante il reato sui cui fonda l'illecito penale tenendo conto della condotta complessivamente tenuta dai prevenuti, a prescindere dalla specifica contestazione relativa ai reati edilizi. Questa Corte ha affermato che al giudice penale e' preclusa la valutazione della legittimita' dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto dell'illecito penale qualora sul tema sia intervenuta una sentenza irrevocabile del giudice amministrativo, ma tale preclusione non si estende ai profili di illegittimita', fatti valere in sede penale, che non siano stati dedotti ed effettivamente decisi in quella amministrativa (Sez. 1, n. 11596 del 11/01/2011, Rv. 249871; Sez. 3, n. 44077 del 18/07/2014, Rv. 260612), 4. Quanto al secondo motivo di ricorso si rileva che effettivamente i ricorrenti presentarono una memoria contenente motivi nuovi, ma la Corte d'appello li ha esaminati rispondendo espressamente al par. 1.3 della sentenza impugnata, in termini di infondatezza. Il rilievo censorio sul punto si appalesa, dunque, generico oltre che manifestamente infondato. 5. Alla luce di tutto quanto premesso deve dichiararsi l'inammissibilita' dell'impugnazione; ne consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonche' al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 3000,00. P.Q.M. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE SANTIS Anna Maria - Presidente Dott. BORSELLINO Maria Daniel - Consigliere Dott. CIANFROCCA Pierlui - rel. Consigliere Dott. MINUTILLO T. Marzia - Consigliere Dott. NICASTRO Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); contro la sentenza del Tribunale di Marsala dell'8.2.2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. CIANFROCCA Pierluigi; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa GUERRA Mariaemanuela, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Marsala, giudicando in sede di appello, ha confermato la sentenza con cui, in data 6.5.2021 il Giudice di Pace di Marsala aveva riconosciuto (OMISSIS) e (OMISSIS) responsabili, in concorso, del delitto di cui all'articolo 633 c.p. per aver occupato l'appartamento di proprieta' di tale (OMISSIS), sito in (OMISSIS), e li aveva condannati alla pena di Euro 600 ciascuno oltre al pagamento delle spese processuali; 2. ricorrono per cassazione, con distinti ricorsi, uno a firma dell'Avv. (OMISSIS) e l'altro a firma dell'Avv. (OMISSIS), dal contenuto tuttavia identico, entrambi deducendo che il processo avrebbe dovuto concludersi con la assoluzione per effetto dell'esimente dello stato di necessita' ovvero per non punibilita' ai sensi dell'articolo 131-bis c.p.: che la sentenza di merito non ha ritenuto rilevante che l'appartamento non era, in realta', di proprieta' del (OMISSIS), ma dell'IACP e che il (OMISSIS) aveva dovuto lasciarlo in quanto non in regola con il pagamento dei canoni; segnalano, percio' come il fatto fosse diverso da quello contestato avendo peraltro consentito al (OMISSIS) di costituirsi parte civile, salvo successivamente avervi rinunciato; aggiungono che, all'atto dell'accesso degli operanti, la (OMISSIS) era in stato interessante, il che avrebbe dovuto indurre il giudicante a valutare la sussistenza degli estremi della causa scriminante dello stato di necessita', invece laconicamente esclusa ma che avrebbe invece potuto essere riconosciuta anche ai sensi dell'articolo 530 c.p., comma 2; rilevano, infine, la erroneita' della decisione laddove il Tribunale ha escluso l'applicazione della causa di non punibilita' di cui all'articolo 131-bis c.p.; 4. la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8 concludendo per l'inammissibilita' del ricorso: rileva come i motivi di ricorso riproducano le doglianze gia' avanzate e correttamente esaminate in appello; segnala, peraltro, come del tutto legittima fosse stata la querela proposta dal conduttore laddove nessuna efficacia scriminante poteva essere attribuita allo stato di gravidanza della (OMISSIS) a fronte di una occupazione protrattasi per piu' di quattro anni. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi sono inammissibili in quanto articolati su censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede. 1. Il rilievo concernente la diversita' del fatto contestato rispetto a quello per cui e' intervenuta la sentenza di condanna, e' manifestamente infondato. Secondo la difesa, infatti, nel corso del giudizio di primo grado era emerso che l'appartamento occupato dagli odierni ricorrenti non era di proprieta' di (OMISSIS), come riportato nel capo di imputazione, ma di proprieta' dell'IACP e che, anzi, il (OMISSIS), che era mero assegnatario, non era in regola con il pagamento dei canoni. Rileva il collegio che siffatta circostanza non e' tale da aver comportato uno stravolgimento del fatto accertato rispetto a quello contestato e da avere, percio', compromesso la possibilita' degli imputati di articolare una compiuta ed efficace linea difensiva. La condotta, infatti, e' rimasta esattamente quella di essersi introdotti, sine titulo, all'interno di un immobile altrui al fine di occuparlo, risultando evidentemente secondario che esso fosse di proprieta' dell'IACP e non gia' del (OMISSIS), mero assegnatario. Ed e' appena il caso di ribadire che, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perche', vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione e' del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (cfr., Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051 - 01). 2. Manifestamente infondata e, in realta', meramente reiterativa e', inoltre, la doglianza incentrata sul mancato riconoscimento della esimente dello stato di necessita', poiche' il giudice di appello, con gli argomenti evidenziati in motivazione, ha gia' esposto come non potessero configurarsi gli estremi per il riconoscimento della invocata scriminante, stante la non attualita' del pericolo: lo stato di necessita', si e' correttamente sottolineato, non puo' ricorrere allorche' l'abusiva occupazione venga realizzata per risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa, venendo in tal caso meno, infatti, la situazione di estremo bisogno che connatura la causa di giustificazione. La censura, in definitiva, ripropone le stesse ragioni gia' discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, con conseguente difetto di specificita' della censura che infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericita', come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, che non puo' ignorare le considerazioni svolte nel provvedimento impugnato senza cadere nel vizio di aspecificita' conducente, a mente dell'articolo 591, comma 1, lettera c), all'inammissibilita' (Sez. 4, Sentenza n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo Rv. 253849; Sez. 6, Sentenza n. 23014 del 29/04/2021 Rv. 281521; Sez. 2, Sentenza n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour Sami Rv. 277710). In ogni caso, i giudici di merito, con valutazione non sindacabile in sede di legittimita' in quanto congruamente motivata, hanno operato un apprezzamento fondato sui dati di fatto messi a loro disposizione e che, in diritto, risulta assolutamente corretta avendo piu' volte questa Corte chiarito che l'illecita occupazione di un bene immobile e' scriminata dallo stato di necessita' conseguente al danno grave alla persona, che ben puo' consistere anche nella compromissione del diritto di abitazione, sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell'illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi della scriminante, quali l'assoluta necessita' della condotta e l'inevitabilita' del pericolo (cfr., Sez. 2, n. 19147 del 16/04/2013, Papa, Rv. 255412 - 01, che ha affermato questo principio in un caso nel quale gli imputati avevano stabilmente occupato un immobile trasformandolo nella propria residenza abituale, la Corte ha affermato che lo stato di necessita', nella specifica e limitata ipotesi dell'occupazione di beni altrui, puo' essere invocato solo per un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessita' di trovare un alloggio al fine di risolvere, in via definitiva, la propria esigenza abitativa; cfr., Sez. 2, n. 9655 del 16.1.2015, Cannalire, Rv. 263296-01 secondo cui, in tema di occupazione abusiva di alloggi di edilizia economica e popolare, lo stato di necessita' puo' essere invocato solo per un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessita' di trovare un alloggio al fine di risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa, tanto piu' che l'edilizia popolare e' destinata a risolvere le esigenze abitative dei non abbienti, attraverso procedure pubbliche e regolamentate ed in cui la Corte ha escluso la sussistenza della scriminante, invocata dal ricorrente in ragione dello stato di gravidanza del coniuge e ha, altresi', ritenuto irrilevante la circostanza che il precedente assegnatario dell'immobile lo avesse liberato in favore dell'imputato, spettando tale funzione all'ente pubblico preposto; conf., ancora, Sez. 2, n. 28067 del 26/03/2015, Antonuccio, Rv. 264560 - 01). Piu' recentemente, peraltro, si e' condivisibilmente affermato che l'abusiva occupazione di un bene immobile e' scriminata dallo stato di necessita' conseguente al pericolo di danno grave alla persona, che ben puo' consistere anche nella compromissione del diritto di abitazione ovvero di altri diritti fondamentali della persona riconosciuti e garantiti dall'articolo 2 Cost., sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell'illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi della scriminante, quali l'assoluta necessita' della condotta e l'inevitabilita' del pericolo; ne consegue che la stessa puo' essere invocata solo in relazione ad un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessita' di reperire un alloggio al fine di risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa (cfr., Sez. 2 -, n. 10694 del 30/10/2019, Tortorici, Rv. 278520 - 01). Nel caso in esame, percio', in maniera assolutamente corretta il Tribunale ha escluso la possibilita' di configurare la esimente dello stato di necessita' sul rilievo secondo cui "... gli appellanti non hanno neppure allegato... la sussistenza di tale pericolo attuale e transitorio giustificante la condotta, tantomeno in relazione alla durata della stessa, protrattasi per oltre 4 anni, chiaro essendo che lo stato di gravidanza di un non meglio precisato componente del nucleo familiare occupante, non avrebbe giustificato, secondo i suddetti principi, tale occupazione" (cfr., pag. 4 della sentenza in verifica). 3. Il dato della durata della occupazione, protrattasi almeno sino alla data dell'accesso della Polizia Municipale, ha infine correttamente indotto il Tribunale ad escludere la applicazione della pur invocata causa di non punibilita' di cui all'articolo 131-bis c.p. (cfr., Sez. 3 -, n. 15029 del 12/03/2021, Ferrara, Rv. 281606 - 01; Sez. 2 -, n. 16363 del 13/02/2019, Bevilacqua, Rv. 276096 - 01, che hanno per l'appunto escluso di poter ritenere il fatto di particolare tenuita' nel caso di persistente abusiva occupazione). 4. L'inammissibilita' dei ricorsi comporta percio' la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende non ravvisandosi ragione alcuna d'esonero. P.Q.M. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FRASCA Raffaele - Presidente Dott. SCRIMA Antonietta - Consigliere Dott. IANNELLO Emilio - rel. Consigliere Dott. GIANNITI Pasquale - Consigliere Dott. TASSONE Stefania - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 33592/2019 R.G. proposto da: (OMISSIS), rappresentato e difeso dall'Avv. (OMISSIS) (p.e.c. indicata: (OMISSIS)); - ricorrente - contro (OMISSIS) S.p.a., (in sigla, " (OMISSIS) S.p.a.") e (OMISSIS) S.p.A. (in sigla " (OMISSIS) S.p.a.), entrambe rappresentate e difese dall'avv. (OMISSIS) (p.e.c. indicata: (OMISSIS)), con domicilio eletto in (OMISSIS); - controricorrenti e ricorrente incidentale - avverso la sentenza della Corte d'appello di Salerno n. 853/2019 depositata il 20 giugno 2019; Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 4 aprile 2023 dal Consigliere Emilio Iannello; Lette le conclusioni motivate del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio Troncone, formulate ai sensi e con le modalita' previste dal Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, in combinato disposto con il Decreto Legge 29 dicembre 2022, n. 198, articolo 8, comma 8, convertito con modificazioni dalla L. 24 febbraio 2023, n. 14, con le quali si chiede che la Corte voglia "rigettare il ricorso principale; accogliere il primo motivo del ricorso incidentale, con assorbimento del restante, con le conseguenze di legge". FATTI DI CAUSA 1. Con atto di citazione notificato in data 21 marzo 1997, l'allora Ferrovie dello Stato S.p.a. convenne in giudizio avanti il Tribunale di Vallo della Lucania (OMISSIS) chiedendone la condanna al rilascio di un alloggio sito nel Comune di Casalvelino destinato a casa cantoniera della linea ferroviaria Battipaglia/Reggio Calabria, sull'assunto che fosse dal convenuto detenuto senza titolo. L'ente espose che: - con convenzione n. 107/1975, aveva concesso in uso l'alloggio innanzi descritto alla sig.ra (OMISSIS), madre del convenuto, per la durata di tre anni; - successivamente, con nota del 5 novembre 1983, tale concessione era stata revocata e la (OMISSIS) diffidata alla rimessione in pristino del terreno, essendo stata accertata la realizzazione abusiva di un corpo aggiunto alla casa cantoniera, edificato su un adiacente suolo ferroviario; - nel luglio 1995 la (OMISSIS) S.p.a., quale mandataria con rappresentanza di (OMISSIS) S.p.a., aveva accertato che l'immobile era stato occupato da (OMISSIS), figlio della (OMISSIS), morta il 29 marzo 1985; - con nota del 15 maggio 1996 il Dirigente Tronco Lavori di Agropoli contesto' al predetto di avere occupato abusivamente una porzione dimessa di area di proprieta' delle Ferrovie dello Stato adiacente alla casa cantoniera oggetto della concessione, con la realizzazione di una pavimentazione in calcestruzzo cementizio, e di avervi abusivamente realizzato una tettoia con struttura in legno e copertura in lamiere nonche' un altro piccolo corpo aggiunto ad uso locale caldaia. Costituendosi in giudizio (OMISSIS) resistette alla domanda deducendo di essere legittimamente subentrato nel rapporto, in quanto di natura locativa, e chiese in via riconvenzionale la condanna dell'ente al rimborso delle spese sostenute per la ristrutturazione dell'immobile. 2. Venne assunta prova per testi ed espletata c.t.u., dalla quale emerse che: a) i lavori eseguiti sull'immobile ammontavano ad un importo di Euro 7.186,51 ed avevano migliorato l'immobile; b) il (OMISSIS) aveva costruito, nell'area adiacente (anch'essa di proprieta' delle Ferrovie), un'intera struttura (di circa 524 mq) all'interno della quale era svolta attivita' di ristorazione. Sulla scorta di detti elementi il Tribunale di Vallo della Lucania pronuncio' sentenza (n. 79/2015 del 20 febbraio 2015) con la quale: - dichiaro' (OMISSIS) detentore sine titulo dell'immobile; - lo condanno' al pagamento, in favore della societa', di una somma pari al canone previsto nella convenzione del 1975 per ogni mese trascorso dalla notifica della citazione (aprile 1997) alla notifica della sentenza; - lo condanno' altresi' ad eliminare l'ampliamento strutturale adibito a ristorante, non avendo egli provato di essere stato autorizzato a realizzarlo; - condanno' la societa' a pagare al convenuto la somma di Euro 7.186,51, ai sensi dell'articolo 936 c.c., per le migliorie apportate all'immobile; - compenso' le spese. Ritenne infatti che l'immobile (ex casello ferroviario) non aveva subito alcuna dichiarazione di sdemanializzazione (ne' espressa, ne' tacita) e che, pertanto, era nella piena discrezionalita' delle FF.SS. sia farne oggetto di apposita concessione sia revocare la stessa, con la conseguenza che sin dal momento della revoca della concessione (nel 1983), l'occupazione era da ritenersi sine titulo. 3. Con sentenza n. 853/2019 del 20 giugno 2019, la Corte d'appello di Salerno ha rigettato sia l'appello principale del (OMISSIS) (che insisteva nel sostenere che l'immobile occupato faceva parte del patrimonio disponibile dell'ente e che gli immobili costruiti sul suolo adiacente erano estranei alla concessione-contratto), sia quello incidentale proposto da (OMISSIS) S.p.a. e (OMISSIS) S.p.a. (le quali, subentrate alla estinta (OMISSIS) S.p.a., si dolevano della condanna al rimborso delle spese sostenute per la ristrutturazione dell'immobile), confermando integralmente la sentenza di primo grado e compensando le spese del grado. 3.1. Con riferimento all'appello principale del (OMISSIS) ha infatti osservato che: - contrariamente a quanto dallo stesso sostenuto, gli ex caselli ferroviari, per giurisprudenza costante, sono considerati beni del demanio ferroviario in quanto pertinenze della linea ferroviaria presso cui sono situati (Cass. n. 8406 del 1996; n. 16226 del 2007); - l'immobile non puo' considerarsi oggetto di sdemanializzazione tacita, dovendo questa risultare da comportamenti univoci e concludenti da cui emerga con certezza la rinuncia alla funzione pubblica del bene: presupposto nella specie mancante non potendo esso desumersi dal fatto che, dal 1975, era stato messo in esercizio un nuovo tracciato, cio' non implicando che la linea Battipaglia/Reggio Calabria non possa, in futuro, essere ripristinata; - l'immobile, dunque, e' da considerare bene demaniale, con la conseguenza che il rapporto non puo' essere configurato come locativo; - essendo stata l'iniziale convenzione del 1975 revocata nel 1983, da quest'ultima data (OMISSIS) va considerato detentore sine titulo dell'immobile; - il terreno adiacente l'immobile e' risultato, dalla c.t.u., essere di proprieta' delle Ferrovie dello Stato (circostanza poi confermata anche dall'appellato) e non vi e' stata alcuna autorizzazione, da parte dell'ente proprietario, a realizzare la struttura su di esso fabbricata. 3.2. Il rigetto dell'appello incidentale e' poi cosi' testualmente motivato: "In virtu' dell'articolo 936 c.c., (OMISSIS), proprietario dell'immobile, aveva diritto, con riguardo alle migliorie apportate all'immobile da parte del (OMISSIS), di ritenerle o di obbligare colui che le ha fatte a levarle. Tuttavia, (OMISSIS) non ha chiesto al (OMISSIS), nell'appello incidentale, di toglierle, ritenendo, esclusivamente, di non essere tenuto a pagarle in virtu' delle convenzioni stipulate, nelle quali le spese necessarie a rendere l'immobile abitabile venivano poste a carico del (OMISSIS). "L'articolo 936 c.c., in quanto norma non imperativa, e' sicuramente norma derogabile dalle parti. "Tuttavia, le convenzioni riportate (del 1967 e del 1975) non sono applicabili al caso de quo. Dalla c.t.u. (pag. 6) risulta che tali migliorie sono state realizzate tra il 1992 e il 1996, in epoca successiva, quindi, alla revoca della concessione (1983). Pertanto, a tali opere non e' applicabile l'imputazione pattizia delle spese delle opere in quanto le stesse sono state realizzate quando il (OMISSIS) era gia' qualificabile come detentore sine titulo dell'immobile". 4. Avverso tale decisione (OMISSIS) propone ricorso per cassazione articolando tre motivi, cui resistono le societa' intimate, depositando controricorso, con il quale propongono ricorso incidentale, affidato a due motivi. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte. Le ricorrenti incidentali hanno depositato memoria. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Si da' atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in camera di consiglio, senza l'intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, in combinato disposto con il Decreto Legge 29 dicembre 2022, n. 198, articolo 8, comma 8, convertito con modificazioni dalla L. 24 febbraio 2023, n. 14, che ne ha prorogato l'applicazione "alle udienze e alle camere di consiglio da svolgere fino al 30 giugno 2023", non avendo alcuna delle parti ne' il Procuratore Generale fatto richiesta di trattazione orale. 2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, "violazione e falsa applicazione di principi di diritto processuale conseguenti (al)la natura della decisione sussistendo la giurisdizione del giudice amministrativo; violazione e falsa applicazione della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, articolo 5, comma 1" (cosi' nell'intestazione). Sostiene in sintesi che, avendo ritenuto la natura demaniale del bene, la Corte di merito avrebbe per cio' stesso anche dovuto rilevare il difetto di giurisdizione dell'adito giudice ordinario a conoscere della controversia, in favore di quello amministrativo. 3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, vizio di motivazione apparente, in violazione dell'articolo 132 c.p.c. e articolo 118 disp. att. c.p.c., in relazione alla esclusa configurabilita' di un processo di sdemanializzazione tacita avente ad oggetto l'immobile in questione. Lamenta il carattere apodittico dell'assunto, posto in sentenza a giustificazione di tale convincimento, secondo cui, in futuro, potrebbe essere ripristinata la vecchia linea. Rileva di contro che la sdemanializzazione tacita non abbisogna di provvedimento alcuno a supporto e che, nella specie, per convincersi della dismissione della linea ferrata su quel tratto e dell'avvenuto asporto di tutti i beni materiali che la componevano bastava consultare la relazione di c.t.u.. 4. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, "erronea e falsa applicazione della L. n. 210 del 1985, articolo 15, comma 1 quale norma di diritto pubblico in luogo di norme di diritto privato L. n. 392 del 1978 e successive modificazioni; erronea e falsa qualificazione del bene oggetto del contratto". Il motivo e' diretto a contestare la ritenuta insussistenza di una sdemanializzazione tacita sulla base di argomenti di critica che possono cosi' sintetizzarsi: - contraddittoriamente la Corte d'appello riferisce la sdemanializzazione tacita a casi in cui la P.A. aveva emesso un provvedimento di smantellamento e soppressione della linea (dal momento che piuttosto in tali casi si era al cospetto di sdemanializzazione espressa); - "vi era una consulenza abbastanza chiara sullo stato dei luoghi che evidenziava la mancanza sui luoghi di binari, di pali e di corrente e quindi di impianto elettrico utile a far funzionare la linea idonea per i passaggi dei treni, perche' dismessa"; - come stabilito dalle Sezioni Unite della S.C. con sentenza n. 4269 del 2006, in forza della L. n. 210 del 1985, articolo 15, comma 1 tutti i beni mobili ed immobili dell'Ente (OMISSIS) sono assoggettati ad un regime di piena disponibilita' negoziale di diritto privato, ancorche' destinati all'esercizio di un pubblico servizio; cio' vale, secondo il ricorrente, anche per le pertinenze delle strade ferrate in quanto aventi autonoma destinazione economica; - nell'interpretare la natura del contratto la Corte d'appello "avrebbe dovuto tener conto dello scopo che il godimento di beni pubblici deve realizzare, con una concessione, solo se trattasi di interessi pubblici concreti e non ipotetici e futuribili"; nella specie il soggetto cui concedere il godimento del bene non era stato scelto entro limiti e per utilita' diverse da quelle private, abitative, tuttora persistenti. 5. Con il primo motivo del ricorso incidentale, (OMISSIS) S.p.a. e (OMISSIS) S.p.a. denunciano, con riferimento all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell'articolo 936 c.c.. Lamentano che erroneamente la Corte campana ha ricondotto nell'ambito di applicazione dell'articolo 936 c.c. le opere eseguite dalla controparte, in quanto consistite in migliorie del manufatto preesistente, valevoli al piu' come mera manutenzione del bene. 6. Con il secondo motivo le ricorrenti incidentali denunciano "omessa valutazione dello ius tollendi in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5". Lamentano, in subordine, che la Corte d'appello ha erroneamente ritenuto che la societa' proprietaria non avesse esercitato lo ius tollendi rispetto alle opere realizzate dall'occupante abusivo. Rilevano di contro che la domanda tesa alla eliminazione delle opere era stata "compiutamente esplicitata in primo grado ed articolata, seppure nella sua portata piu' ampia, sin dalle conclusioni formulate con l'atto introduttivo del giudizio, la' dove venne chiesto di condannare il (OMISSIS) "ad eliminare tutte le opere abusive realizzate da lui e dalla propria madre... ripristinando lo stato dei luoghi cosi' come ad origine era concesso a titolo precario per uso abitazione..."". 7. Il primo motivo del ricorso principale e' inammissibile e, comunque, infondato. 7.1. Giova rammentare in premessa che, secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 1599 del 19/01/2022, "l'articolo 374 c.p.c., comma 1, deve essere interpretato nel senso che, tranne nei casi di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, i ricorsi che pongono questioni di giurisdizione possono essere trattati dalle sezioni semplici quando sulla regola finale di riparto della giurisdizione "si sono gia' pronunciate le sezioni unite", nonche' quando sussistono ragioni di inammissibilita' inerenti alle modalita' di formulazione del motivo (ad esempio, per inosservanza dei requisiti di cui all'articolo 366 c.p.c., difetto di specificita', di interesse, ecc.) e all'esistenza di un giudicato sulla giurisdizione (esterno o interno, esplicito o implicito), costituendo questione di giurisdizione anche la verifica in ordine alla formazione del giudicato". Nella specie sussistono ampiamente le condizioni perche' questa Sezione Semplici possa pronunciare sulla questione posta, nei sensi sopra detti. 7.2. Sotto il primo profilo (inammissibilita') la censura deve dirsi infatti preclusa dal giudicato implicito formatosi, circa l'attribuzione della controversia al giudice ordinario, per effetto della mancata impugnazione, con l'appello, della statuizione in tal senso implicita nella decisione di primo grado che, poiche' motivata da considerazioni di merito, ancorche' sfociate poi in una decisione di rigetto, per cio' stesso presuppone il riconoscimento da parte del primo giudice della propria giurisdizione. Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, invero, "il giudicato interno sulla giurisdizione si forma tutte le volte in cui il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando anche implicitamente la propria giurisdizione, e le parti abbiano prestato acquiescenza a tale statuizione, non impugnando la sentenza sotto questo profilo, sicche' non puo' validamente prospettarsi l'insorgenza sopravvenuta di una questione di giurisdizione all'esito del giudizio di secondo grado, perche' tale questione non dipende dall'esito della lite, ma da due invarianti primigenie, costituite dal petitum sostanziale della domanda e dal tipo di esercizio di potere giurisdizionale richiesto al giudice" (Cass. Sez. U. n. 10265 del 27/04/2018; Cass. n. 13750 del 22/05/2019; v. anche Cass. Sez. U. n. 25937 del 16/10/2018; Id. n. 9680 del 05/04/2019; v. anche Cass. Sez. U. n. 24883 del 09/10/2008 che - come ricorda il P.M. nella sue conclusioni - nel confermare che il giudicato implicito sulla giurisdizione puo' formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, ha precisato che da tale regola vanno escluse "le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l'affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l'unico tema dibattuto sia stato quello relativo all'ammissibilita' della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l'evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed abbia indotto il giudice a decidere il merito per saltum, non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito": ipotesi nella specie certamente non ravvisabile). 7.3. Sotto il secondo profilo mette conto comunque evidenziare che, ove la questione fosse stata prospettabile nella presente sede perche' non preclusa da giudicato interno, la stessa avrebbe dovuto dirsi comunque infondata - anche da questa Sezione semplice, ai sensi dell'articolo 374 c.p.c., comma 1, - alla luce del principio affermato da Cass. Sez. U. n. 9652 del 17/07/2001, secondo cui "sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla controversia originata dalla domanda proposta dalla pubblica amministrazione che, alla mancata restituzione volontaria del bene gia' concesso, ha reagito chiedendo il pagamento di un'indennita' e la condanna alla restituzione del bene" (in senso conforme v. anche, Cass. 29/11/2000, n. 15301, con riferimento all'articolo 1591 c.c., per danni da ritardata restituzione; Cass. Sez. U. 03/02/1993, n. 1314; Id. 18/11/1992, n. 12313, secondo cui la pubblica amministrazione puo' avvalersi dei mezzi ordinari a difesa della proprieta' - senza ricorrere ai poteri autoritativi di tutela di cui pure e' titolare - con conseguente devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione ordinaria, presso la quale l'amministrazione stessa puo' altresi' esercitare l'azione di arricchimento indebito, ex articolo 2041 c.c., al fine di ottenere un indennizzo adeguato; Cass. 18/10/1986, n. 6129, che afferma il carattere di principio generale di quanto espresso dall'articolo 823 c.c., comma 2, e cioe' il carattere alternativo dell'autotutela amministrativa rispetto ai mezzi ordinari a difesa della proprieta' o del possesso). Tanto piu' la giurisdizione ordinaria e' stata correttamente postulata nella specie dai giudici di merito, avuto riguardo al petitum sostanziale ed al tema di lite, il quale non chiedeva di accertare se, a fondamento della pretesa, vi fosse o meno una concessione di diritto amministrativo, ne' se questa fosse valida ed efficace, deducendosi soltanto, dall'ente pubblico, l'inesistenza di alcun titolo a fondamento della detenzione dell'immobile da parte del convenuto e, all'opposto, da quest'ultimo, l'esistenza invece di un rapporto locativo: entrambe prospettazioni che non implicavano affatto il sindacato su atti o provvedimenti della P.A. ma questa coinvolgevano nel suo agire iure privatorum. 8. Il secondo motivo e' parimenti inammissibile. Secondo pacifico indirizzo e' denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in se', purche' il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Cass. Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014; Cass. n. 21257 del 2014; n. 23828 del 2015; n. 23940 del 2017; n. 22598 del 2018). Nella specie e' evidente che la motivazione addotta nella sentenza impugnata soddisfa il minimo costituzionale richiesto per non incorrere nel vizio denunciato, in essa dandosi ampio conto, alla stregua di argomentazione coerente e lineare, del convincimento raggiunto sulla scorta di un esaustivo esame degli elementi raccolti. Nel motivo si intende ricondurre inammissibilmente a tale ipotesi la dedotta erroneita', per ragioni di fatto e di diritto, del convincimento espresso, non la sua incomprensibilita'. 9. Il terzo motivo e' inammissibile, ai sensi dell'articolo 360-bis c.p.c., n. 1, avendo la Corte d'appello deciso la questione di diritto posta al suo esame dalla parte appellante in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l'esame del motivo non offre elementi per confermare o mutare l'orientamento della stessa. Costituisce invero jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte l'affermazione - posta dai giudici di merito quale regola di giudizio nella valutazione del caso - secondo cui "il semplice fatto della cessazione dell'esercizio di una linea ferroviaria non ne determina la cosiddetta sdemanializzazione tacita, ravvisabile solo in presenza di atti e fatti che evidenzino in maniera inequivocabile la volonta' dello Stato, delle Regioni, delle Province e dei Comuni di sottrarre il bene medesimo a detta destinazione pubblica e di rinunciare definitivamente al suo ripristino" (Cass. n. 26899 del 2008; n. 3742 del 2007; n. 4089 del 1996; n. 5400 del 1977; cfr. anche, con riferimento ad altri beni demaniali, Cass. Sez. U. n. 11101 del 2002; Id. n. 12062 del 29/05/2014). Non pertinente e' di contro il riferimento, in ricorso, al principio affermato da Cass. Sez. U. n. 4269 del 2006 secondo cui "la L. 17 maggio 1985, n. 210, articolo 15 istitutiva dell'Ente (OMISSIS) (successivamente trasformato in societa' per azioni, in forza del Decreto Legge 11 luglio 1992, n. 333, articolo 18 convertito in L. 8 agosto 1992, n. 359), ha sottratto i beni mobili ed immobili gia' appartenenti alla Azienda Autonoma (OMISSIS) e trasferiti al nuovo ente, ai sensi dell'articolo 1, alla originaria condizione giuridica propria dei beni appartenenti al patrimonio degli enti pubblici non territoriali dettata dall'articolo 830 c.c. e li ha sottoposti ad un regime di piena disponibilita' negoziale di diritto privato, in quanto ha previsto che essi costituiscono patrimonio giuridicamente ed amministrativamente distinto dai restanti beni delle amministrazioni pubbliche e di essi l'ente ha piena disponibilita' secondo il regime civilistico della proprieta' privata, salvi i limiti su di essi gravanti per le esigenze della difesa nazionale: ne deriva che in caso di concessione del godimento di essi ad un privato, dietro pagamento di un canone, si instaura un rapporto di locazione soggetto al regime ordinario privatistico, con la conseguente devoluzione delle eventuali controversie alla giurisdizione del giudice ordinario" (v. gia' in tal senso Cass. Sez. U. n. 1391 del 1993; n. 8415 del 1992). Come pure esplicitamente evidenziato nel richiamato precedente, tale principio fa riferimento a beni che non costituivano pertinenze delle strade ferrate, in quanto aventi autonoma destinazione economica e che, come tali, erano, anche in epoca precedente alla trasformazione dell'ente (OMISSIS), ricondotte nell'ambito dei beni patrimoniali disponibili; a tale novero non puo' dunque certamente ricondursi l'immobile destinato a casello ferroviario (cfr. Cass. n. 5400 del 1977). 10. Separato scrutinio merita sul punto un argomento di critica che, nell'ambito dello stesso terzo motivo, investe piu' specificamente il giudizio espresso in sentenza circa l'insussistenza dei presupposti di una sdemanializzazione tacita (v. supra par. 4, secondo alinea). Occorre al riguardo rammentare che, secondo pacifico indirizzo, perche' possa ritenersi realizzata una sdemanializzazione tacita occorrono atti univoci e concludenti incompatibili con la volonta' della pubblica amministrazione di conservare la destinazione del bene all'uso pubblico e circostanze cosi' significative da rendere non configurabile una ipotesi diversa dalla definitiva rinuncia, da parte della p.a. al ripristino della pubblica funzione del bene stesso (v. ex multis Cass. n. 1480 del 1996; n. 2635 del 1993); nello stesso senso si e' ulteriormente precisato che nemmeno il disuso da tempo immemorabile o l'inerzia dell'ente proprietario possono essere invocati come elementi indiziari dell'intenzione di far cessare la destinazione, anche potenziale, del bene demaniale all'uso pubblico, poiche' a dare di cio' la prova e' pur sempre necessario che tali elementi indiziari siano accompagnati da fatti concludenti e da circostanze cosi' significative da rendere impossibile formulare altra ipotesi se non quella che la pubblica amministrazione abbia definitivamente rinunziato al ripristino della pubblica funzione del bene medesimo (Cass. n. 17387 del 2004). La relativa indagine e' rimessa al giudice del merito, il cui accertamento e' censurabile come tale in sede di legittimita' solo nei limiti in cui lo e' il giudizio di fatto (v. Cass. n. 2635 del 1993) e, dunque, nel vigente regime processuale, nei limiti dell'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e' stato oggetto di discussione tra le parti ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, o per l'eventuale violazione dei criteri legali che presiedono il ragionamento presuntivo. Nella specie, la censura che, come si e' detto, sembra investire tale parte della motivazione si muove su di un piano meramente fattuale totalmente estraneo ai suindicati paradigmi censori. L'assunto invero secondo cui "vi era una consulenza abbastanza chiara sullo stato dei luoghi che evidenziava la mancanza sui luoghi di binari, di pali e di corrente e quindi di impianto elettrico utile a far funzionare la linea idonea per i passaggi dei treni, perche' dismessa", oltre a risultare di non facile lettura sul piano sintattico, si appalesa comunque inosservante dell'onere di specifica indicazione dell'atto richiamato (la relazione di c.t.u.), del quale non viene riportato il contenuto ne' la relativa localizzazione nel fascicolo di causa cosi' come pervenuto all'esame di questa Corte, in palese inosservanza degli oneri imposti, a pena di inammissibilita', dall'articolo 366 c.p.c., n. 6 e dall'articolo 369 c.p.c., n. 45. 11. Venendo dunque all'esame del ricorso incidentale, se ne deve parimenti rilevare l'inammissibilita'. Entrambi i motivi che ne sono posti a fondamento, invero, prospettano questioni di natura innegabilmente anche fattuale (il primo: la riconducibilita' dei lavori effettuati dalla controparte sull'immobile detenuto sin titulo, alle opere cui e' riferita la disciplina dettata dall'articolo 936 c.c.; il secondo: l'avvenuto esercizio dello jus tollendi) che non risultano dedotte con l'appello, ne' tanto meno esaminate dalla Corte territoriale. Le stesse ricorrenti incidentali, nella premessa espositiva del proprio controricorso-ricorso incidentale, affermano che, con l'appello incidentale, esse avevano dedotto (soltanto) che, da un lato, le opere non erano mai state autorizzate dalla proprieta', dall'altro, l'originaria concessionaria aveva assunto l'obbligo di provvedere a propria cura e spese ad ogni lavorazione necessaria a rendere abitabile l'immobile. Va al riguardo ribadito che, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, e' onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilita' per novita' della censura, non solo di allegare l'avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificita' del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo a questa Corte di controllare ex actis la veridicita' di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (tra le tante, Cass. n. 15430/2018). Difatti, il giudizio di cassazione ha, per sua natura, la funzione di controllare la difformita' della decisione del giudice di merito dalle norme e dai principi di diritto, sicche' sono precluse non soltanto le domande nuove, ma anche nuove questioni di diritto, qualora queste postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito che, come tali, sono esorbitanti dal giudizio di legittimita' (v., tra le molte, Cass. n. 31227 del 2019; n. 15196 del 2018). 12. Per le considerazioni che precedono entrambi i ricorsi devono, in definitiva, essere dichiarati inammissibili. Considerata la reciproca soccombenza, le spese possono essere interamente compensate tra le parti. 13. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte sia del ricorrente principale che delle ricorrenti incidentali, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell'articolo 1-bis, stesso articolo 13. P.Q.M. dichiara inammissibili sia il ricorso principale che quello incidentale. Compensa integralmente le spese processuali. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da' atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e delle ricorrenti incidentali, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell'articolo 1-bis, stesso articolo 13.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. BORSELLINO Maria Daniela - Consigliere Dott. PACILLI G.A.R. - Consigliere Dott. DI PISA Fabio - rel. Consigliere Dott. NICASTRO Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 07/02/2022 della CORTE di APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO DI PISA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GARGIULO RAFFAELE che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' dei ricorsi; udito l'Avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS) il quale ha concluso per l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'appello di Milano, con sentenza in data 07/02/2022, confermava la sentenza emessa dal G.I.P. del Tribunale di Milano, all'esito di giudizio abbreviato in data 25/11/2020; in forza della quale (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati condannati alla pena ritenuta di giustizia per il reato di ricettazione di una ingente somma di denaro di provenienza illecita. 2. Contro detta sentenza propongono ricorsi per cassazione tutti e due gli imputati, a mezzo del medesimo difensore di fiducia e con un unico atto, deducendo i seguenti motivi. 2.1. Con il primo motivo lamentano, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), vizio di motivazione anche per travisamento della prova quanto all'affermazione di responsabilita' in relazione al reato di ricettazione contestato. Osservano che la Corte di appello non aveva adeguatamente esaminato gli specifici motivi di censura, omettendo di valutare compiutamente le complessive emergenze istruttorie idonee a dimostrare la legittima detenzione delle somme in questione da parte dei ricorrenti. Rilevano, in particolare, che sia il giudice di primo grado (il quale era incorso in un vero e proprio travisamento in relazione all'ammontare delle somme donate agli imputati quantificate in Euro 1.700,00 a fronte di una documentazione difensiva che attestava che i coniugi (OMISSIS) erano partiti dall'Albania con una provvista di denaro del valore di Euro 25.500,00) che la Corte di merito non avevano considerato i documenti prodotti dalla difesa (due dichiarazioni, con traduzione giurata; documentazione bancaria ed atto notarile con relativa dichiarazione giurata) comprovanti la legittima provenienza delle somme in questione. 2.2. Con il secondo motivo deducono, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), violazione di legge in relazione al disposto di cui all'articolo 192 c.p.p.. Osservano che i giudici territoriali, nel pervenire alla conferma del giudizio âEuroËœdi colpevolezza, avevano valorizzato del tutto illogicamente una serie di elementi, ritenendo non decisive le prospettazioni difensive e senza preoccuparsi di confutarle con adeguata motivazione, finendo per attribuire valenza probatoria ad elementi del tutto irrilevanti ovvero incorrendo in evidenti travisamenti probatori. Con il terzo motivo (erroneamente indicato quale motivo sub. "VI") lamentano, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), violazione di legge in relazione all'articolo 648 c.p.. Assumo che nella specie mancava la prova del reato presupposto non avendo i giudici di merito chiarito, con ragionevole certezza, l'attivita' delittuosa di cui la somma in questione costituiva il provento. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi vanno accolti per le ragioni appresso specificate. 2. Osserva questo Collegio cha appare, in primo luogo, fondata la contestazione di parte ricorrente secondo cui i giudici di appello non avrebbero esaminato le specifiche censure formulate dagli imputati i quali, a fronte di un vero e proprio travisamento in cui era incorso il primo giudice, avevano allegato documentazione volta a dimostrare la provenienza lecita del denaro sequestrato. I giudici territoriali, a fronte del grave errore cui era incorso il primo giudice - il quale aveva affermato che i coniugi (OMISSIS) avevano ricevuto solamente la somma di Euro 1.700,00,laddove la documentazione difensiva riguardava importi pari ad Euro 25.500,00 di cui i coniugi (OMISSIS) avrebbero avuto la disponibilita' allorquando erano partiti dall'Albania - si sono limitati a richiamare per relationem le argomentazioni della pronunzia di primo grado senza prendere in esame, come sarebbe stato loro onere, i singoli documenti versati in atti dagli imputati e la loro valenza. 2.1. Sotto altro profilo deve rilevarsi che la motivazione, come lamentato dai ricorrenti, risulta gravemente lacunosa in ordine alla individuazione del reato presupposto che appare essere rimasta priva di adeguato conforto probatorio. Osserva la Corte che la motivazione sul punto appare assai carente in quanto i giudici di appello non hanno adeguatamente chiarito la presumibile provenienza illecita del denaro e l'attivita' delittuosa, non riferibile ai ricorrenti, di cui tale somma avrebbe costituito il provento. Se, infatti, e' corretto il richiamo alla giurisprudenza che non ritiene necessaria la ricostruzione del delitto presupposto in tutti gli estremi storici e fattuali, cio' non esonera dall'individuare quale tipologia di delitto costituisca l'origine dei beni oggetto della contestata ricettazione, in quanto appunto di provenienza delittuosa, apparendo innegabile che motivazione della sentenza impugnata non fornisce elementi sufficienti per individuare l'ipotizzata provenienza delittuosa del denaro in questione, risultando insufficiente l'affermazione che il denaro detenuto dagli indagati dovesse necessariamente essere provento di attivita' delittuose, in ragione della scarsa capacita' reddituale degli indagati, potendosi in alternativa ipotizzare una serie di differenti causali a base della disponibilita' del denaro, di cui comunque non e' stata individuata la possibile provenienza delittuosa intesa come derivazione da una specifica ipotesi di reato e non anche come mera asserzione d'ingiustificato possesso del denaro (cfr. sul punto, Sez. 2, n. 39006 del 13/7/2018, Onaghise, non massimata; Sez. 2, n. 29074 del 22/5/2018, Ndoj, non massimata; Sez. 2, n. 26301 del 24/5/2016, Asia, non massimata; per un'analoga fattispecie in tema di sequestro di denaro ritenuto genericamente di provenienza delittuosa, Sez. 2, n. 26308 del 22/06/2010, Buonaurio, Rv. 247742: "La fattispecie criminosa di ricettazione e' configurabile non gia' con il riferimento, in contestazione, ad una provenienza delittuosa del bene non meglio identificata, poiche' e' necessario che il delitto presupposto, se pure non giudizialmente accertato, sia specificato"). In particolare i giudici di merito hanno richiamato elementi di per se' neutri (quali, ad esempio, la occupazione sine titulo dell'appartamento ove e' stata rinvenuto il denaro; il possesso di alcuni cellulari; il ritrovamento in casa di bustine di plastica trasparente ed un macchinario per confezionare in sottovuoto; il contatto con persone aventi precedenti assai risalenti - anno 2008 - per droga) senza tuttavia offrire elementi univoci attestanti la provenienza illecita del denaro. Va, dunque, disposto l'annullamento la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano che provvedera' a colmare le lacune motivazionali in questione sulla scorta dei principi sopra richiamati. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. PARDO Ignazio - rel. Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - Consigliere Dott. FLORIT Francesco - Consigliere Dott. NICASTRO Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 28/02/2022 della CORTE di APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PARDO IGNAZIO; letto il parere del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa MASTROBERARDINO PAOLA che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.1 La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 28 febbraio 2022, confermava la pronuncia del Tribunale di Milano del 28 settembre 2020 che aveva condannato (OMISSIS) alla pena di mesi 8 di reclusione ed Euro 80,00 di multa in ordine al reato di occupazione arbitraria di alloggio popolare. 1.2 Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l'imputata, tramite il proprio difensore avv.to (OMISSIS), deducendo con distinti motivi qui riassunti ex articolo 173 disp. att. c.p.p.: - inosservanza od erronea applicazione degli articoli 1, 2, 633 c.p. e difetto di motivazione in ordine alla mancata applicazione della legge piu' favorevole al reo trattandosi di reato istantaneo con effetti permanenti cessato alla data del 21 ottobre 2019 quando l'imputata aveva rilasciato l'alloggio popolare; al proposito si richiamava l'orientamento giurisprudenziale secondo cui l'elemento materiale del reato di cui all'articolo 633 c.p. e' integrato dalla invasione del terreno o dell'alloggio contra ius senza che avesse rilievo decisivo l'effetto della condotta e cio' al fine di individuare la sanzione applicabile posto che l'occupazione sine titulo doveva ritenersi situazione di fatto indipendente dalla consumazione del delitto; trattandosi pertanto di reato istantaneo ad effetti permanenti la disciplina applicabile doveva essere quella previgente la modifica introdotta dal Decreto Legge n. 113 del 2018 che prevedeva la sola pena alternativa; - inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 131 bis c.p., mancanza e manifesta illogicita' della motivazione con riferimento all'omessa valutazione del rilascio spontaneo dell'alloggio ai fini dell'applicabilita' della causa di non punibilita' per tenuita' del fatto; al proposito si sottolineava come gia' in sede di appello fosse stato sottolineato lo stato di incensuratezza della ricorrente e l'assenza di altri reati della stessa indole dalla stessa commessi. CONSIDERATO IN DIRITTO 2.1 I motivi proposti appaiono infondati ed il ricorso deve, pertanto essere respinto. Ed invero, quanto al primo motivo, in relazione alla pena applicabile al delitto di occupazione abusiva di alloggio popolare secondo il prevalente orientamento della Corte di cassazione cui si intende aderire il delitto di invasione di edifici, di cui all'articolo 633 c.p., ha natura permanente quando l'occupazione si protrae nel tempo, determinando un'immanente limitazione della facolta' di godimento spettante al titolare del bene, con la conseguenza che il termine di prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui cessa l'occupazione, con l'allontanamento dell'occupante dall'edificio (Sez. 2, n. 46692 del 02/10/2019, Rv. 277929 - 01). E si e' anche stabilito che il delitto di invasione di terreni demaniali di cui agli articoli 633 e 639-bis c.p. ha natura permanente, atteso che l'offesa al patrimonio demaniale perdura sino a che continua l'invasione arbitraria del terreno al fine di occuparlo o di trarne profitto, sicche' e' preclusa, sino a quando la permanenza non sia cessata, l'applicazione della causa di non punibilita' per la particolare tenuita' del fatto ex articolo 131 bis c.p., in ragione della perdurante compressione del bene giuridico per effetto della condotta delittuosa (Sez. 2, n. 16363 del 13/02/2019, Rv. 276096 - 01). Correttamente, pertanto, l'impugnata sentenza affermava che la protrazione della condotta penalmente illecita sino al 2019, data del rilascio dell'alloggio abusivamente occupato, comportava l'applicazione della pena congiunta come introdotta dal citato Decreto Legge n. 113 del 2018 posto che la permanenza all'interno dell'alloggio popolare non puo' qualificarsi, come sostenuto dal ricorso, conseguenza della iniziale condotta illecita bensi' perpetrazione attuale e reiterata dell'attivita' penalmente punibile che impedisce il godimento del bene da parte del titolare con compressione stabile del bene giuridico. 2.2 Quanto al secondo motivo deve essere ricordato come la corte di appello non appare essere incorsa in alcuno dei vizi dedotti con le censure proposte stante che, l'applicazione della causa di non punibilita', e' stata esclusa non in ragione della natura del reato bensi' in relazione alle specifiche circostanze riferite a pagina 3 della sentenza e con le quali si e' sottolineata la gravita' del danno arrecato mediante un'occupazione pluriennale. Cosi' che ne deriva affermare non sussistere ne' violazione di legge ne' difetto di motivazione avuto riguardo all'assenza di qualsiasi illogicita' nelle predette considerazioni che hanno tenuto correttamente conto delle particolari modalita' di consumazione dei fatti con valutazione non sindacabile nella presente sede. In conclusione, l'impugnazione deve ritenersi infondata a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 3; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Sentenza a motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RICCIARELLI Massimo - Presidente Dott. COSTANZO Angelo - Consigliere Dott. CAPOZZI Angelo - rel. Consigliere Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso il decreto del 29/10/2021 della Corte di appello di Reggio Calabria; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal componente Dr. Angelo Capozzi; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Giorgio Lidia, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con il decreto in epigrafe la Corte di appello di Reggio Calabria, a seguito di ricorso in appello dei proposti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e dei terzi interessati, per quanto in questa sede di interesse, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso il decreto emesso il 4 marzo 2020 dal locale Tribunale con il quale era stata disposta la confisca di un terreno sito in (OMISSIS) del comune di Reggio Calabria, identificato al foglio di mappa 20 particella 435 con annesse strutture murarie annesse, a seguito di giudizio di pericolosita', ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, comma 1 lettera b), di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in quanto indiziati di concorso in estorsione commessa con metodo mafioso. 2. Avverso il decreto ha proposto ricorso per cassazione il difensore dei predetti proposti e terzi interessati con unico atto con il quale si deduce: 2.1. Con il primo motivo violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4 essendo la decisione basata sia su una sopravvalutazione del dichiarato dell' (OMISSIS) e del (OMISSIS) sia da una ipovalutazione del dato documentale in atti. Le dichiarazioni dei primi sono imprecise, erronee e inconducenti rispetto alla verifica dei presupposti della misura ablatoria, facendo l' (OMISSIS) generico riferimento alla occupazione delle aree di proprieta' della sua famiglia alle famiglie (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nonostante egli fosse costituito in giudizio nel procedimento civile per usucapione ritualmente instaurato dai (OMISSIS) nei suoi confronti e che egli aveva vinto nei due gradi di giudizio. Del resto tale giudizio e l'accordo transattivo sono in contrasto con la asserita condotta estorsiva ipotizzata a carico dei proposti nei confronti prima dell' (OMISSIS) e poi del (OMISSIS). Anche l'argomento secondo il quale sarebbero stati ceduti 770 mq a fronte dei 500mq indicati dall' (OMISSIS) nel rogito, doveva essere confrontato con l'oggetto della citazione per usucapione riguardante 1050mq di terreno ed in ragione della presenza sui 770mq di terreno di manufatti abusivi che avrebbero creato difficolta' ed oneri al (OMISSIS). Il coinvolgimento dei (OMISSIS) nelle "pregresse condotte intimidatorie" e' fondato sul solo legame parentale dei predetti con la famiglia (OMISSIS), senza che alcun ruolo attivo sia stato individuato a loro carico, essendosi limitati a stipulare un accordo transattivo a definizione del procedimento civile per l'acquisto a titolo originario della proprieta' di un terreno di modesto valore economico e di cui erano possessori i loro genitori da vari decenni, come del resto dimostra la condotta liberamente tenuta dell' (OMISSIS) sia in sede civile che transattiva nei confronti del (OMISSIS), di cui la Corte adita non tiene conto. Cosicche' il presupposto criminoso della ritenuta pericolosita' sociale si fonda su elementi insussistenti. 2.2. Con il secondo motivo violazione ai sensi dell'articolo 11 Cost., comma 6, articolo 125 c.p.p., comma 3, e Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 7, comma 1, in quanto il decreto impugnato consta nella mera reiterazione delle argomentazioni rese dal primo giudice ed esposizione delle ragioni difensive, alle quali seguono poche e scarne argomentazioni, del tutto assenti con riguardo alla posizione dei terzi interessati. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono inammissibili. 2. Il primo motivo e' genericamente proposto per ragioni in fatto non deducibili in sede di legittimita'. 2.1. E' nota, invero, la limitazione del ricorso in materia al solo vizio di violazione di legge secondo il principio per il quale nel procedimento di prevenzione, secondo il disposto della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, articolo 4, richiamato dalla L. 31 maggio 1965, n. 575,, articolo 3-ter, comma 2, il ricorso per cassazione e' ammesso soltanto per violazione di legge, nozione nella quale va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio(Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016 Rv. 270080); cosicche' le doglianze relative alla consistenza indiziaria ed alla valutazione dell'attualita' della pericolosita' sono inammissibili potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiche' qualificabile come violazione dell'obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d'appello dal comma 9 del predetto articolo 4, L. n. 1423 del 56 (ora Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 10, comma 2), il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246, che, in motivazione, ha ribadito che non puo' essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realta', siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato). Inoltre, deve essere ribadito, secondo quanto costantemente affermato da questa Corte, che il giudice della prevenzione non e' vincolato dall'esistenza di un giudizio penale ed e' invece abilitato, alla luce del principio, comunemente ricevuto, di autonomia del giudizio di prevenzione, ribadito anche in esito alla introduzione del codice antimafia (Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 28 e 29), a ricostruire, motu proprio ed anche in assenza di un procedimento penale correlato, gli episodi storici portati alla sua attenzione (cfr. da ultimo, Sez. 1, n. 36080 dellll/09/2020, Rv.280207). 2.2. Ritiene questo Collegio che la Corte di merito ha dato incensurabile conto delle ragioni dell'ablazione attraverso la complessa ricostruzione della articolata vicenda posta ineccepibilmente a base del giudizio di pericolosita' dei proposti. Il provvedimento impugnato ha avallato la prima decisione confermando l'incidentale affermazione di pericolosita' dei proposti, in base al quadro fattuale emergente dalle sovrapponibili dichiarazioni dell' (OMISSIS) e del (OMISSIS), di cui era saggiata la credibilita' soggettiva, e del riscontro documentale in atti. Ha quindi correttamente affermato che la consapevolezza da parte dell' (OMISSIS) e di suo padre del notorio spessore criminale del clan (OMISSIS) (essendo i (OMISSIS) cugini del boss (OMISSIS)) "abbia costituito un'efficace fonte di messaggio intimidatorio "silente", consentendo "ad esponenti della famiglia (OMISSIS) (come pure della famiglie (OMISSIS) e (OMISSIS)) il ricorso al metodo mafioso della forza intimidatoria non ricollegabile ad una specifica ed attuale condotta, ma ad una situazione creata da una risalente nel tempo, ma tuttora attuale, carica intimidatrice della cosca di âEuroËœndrangheta". Ha individuato l'estorsione aggravata dal metodo mafioso nella costrizione di (OMISSIS) prima e del figlio (OMISSIS) poi "a tollerare l'occupazione di fatto, da parte dei (OMISSIS), di consistenti porzioni dell'esteso terreno di loro proprieta' (complessivamente di 100mila mq), senza opporsi in alcun modo, per timore di ritorsioni, e senza rivolgersi alla Autorita' giudiziaria per tutela dei propri diritti". "Tale situazione, protrattasi nel corso degli anni anche dopo che la proprieta' dell'esteso terreno era stata trasferita da (OMISSIS) al figlio (OMISSIS), ha fatto si' che quest'ultimo - dopo aver vanamente tentato di alienare i fondi limitrofi alla c.d. (OMISSIS) al loro valore di mercato - si sia determinato a vendere (o meglio a svendere) tali terreni a (OMISSIS) - ad un prezzo di gran lunga inferiore al loro valore venale". Il (OMISSIS), imprenditore quantomeno contiguo alla locale criminalita' organizzata (risulta rinviato a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa dei (OMISSIS)) aveva accettato come risulta dallo stesso atto di compravendita del 2007 con l' (OMISSIS), ineccepibilmente considerato "legale consacrazione" della risalente occupazione sine titulo dei terreni in danno dell' (OMISSIS) - di farsi carico delle pretese delle famiglie mafiose che avevano occupato ampie porzioni del fondo, trasferendo ad alcuni loro esponenti - con formali atti di transazione - la proprieta' di terreni ancor piu' estesi di quelli che risultavano occupati in forza dell'atto di compravendita stipulato con (OMISSIS). Cosi' - prosegue la Corte "correttamente i proposti sono stati ritenuti concorrenti nell'estorsione aggravata dal metodo mafioso avendo stipulato e sottoscritto l'atto di transazione con cui e' stata loro trasferita la proprieta' del terreno" in quanto "pur intervenendo nella fase finale della complessa vicenda estorsiva, articolatasi nel corso di decenni, hanno fornito un contributo necessario al compimento dell'attivita' delittuosa, consentendo la formalizzazione dell'acquisto della proprieta' di un immobile da decenni abusivamente occupato di fatto dai (OMISSIS)", essendo "pacifico che integri il concorso nell'estorsione anche la partecipazione alla sola fase finale della riscossione dell'illecito provento dell'attivita' delittuosa". 2.3. E' evidente che l'argomentare della Corte appena richiamato non possa essere attaccato dalle inammissibili censure di merito sul portato delle dichiarazioni dell' (OMISSIS) e del (OMISSIS) oltre che della vicenda relativa al procedimento civile in materia di usucapione intentato dai (OMISSIS) nei confronti dell' (OMISSIS) e dell'accordo transattivo del 15 luglio 2009 stipulato in pendenza del giudizio di appello dal (OMISSIS). 3. Il secondo motivo e' manifestamente infondato oltre che genericamente proposto. Per quanto riguarda i proposti, deve farsi rinvio a quanto gia' sopra detto considerando la sostanziale reiterazione delle doglianze mosse in appello. Quanto alla posizione dei terzi interessati il provvedimento richiama il primo provvedimento (v. pg. 20) secondo il quale i terzi interessati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), titolari pro quota dei diritti sul terreno confiscato, "hanno acquistato tali diritti in conseguenza dell'avvenuto riconoscimento, a mezzo di scrittura privata, dell'acquisizione per usucapione del terreno che costituisce oggetto del diritto medesimo da parte dei rispettivi coniugi (poiche' in regime di comunione legale) o di un genitore (quindi a titolo di successione dalla madre, a sua volta in regime di comunione legale con il genitore acquirente)": un acquisto, quindi, a titolo gratuito correttamente considerato viziato da una condotta estorsiva e, pertanto, travolto nella sua interezza tanto da legittimare l'ablazione, dovendosi escludere la sussistenza dei presupposti per l'usucapione del terreno in ragione dell'esercizio della violenza nel conseguimento del possesso. 4. Alla declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equo determinare in Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila alla Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI PAOLA Sergio - Presidente Dott. DI PISA Fabio - Consigliere Dott. SGADARI G. - est. Consigliere Dott. PACILLI G.A.R. - Consigliere Dott. MINUTILLO TURTUR M. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 21/03/2022 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione della causa svolta dal consigliere Giuseppe Sgadari; lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, nella persona dell'Avvocato generale Piero Gaeta, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale di Napoli emessa il 3 maggio 2019 che aveva condannato il ricorrente alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno nei confronti della parte civile in relazione al reato di invasione arbitraria di un edificio di mq. 75 da lui stesso realizzato su suolo pubblico (articoli 633 e 639-bis c.p.). 2. Ricorre per cassazione (OMISSIS), deducendo: 1) violazione di legge in ordine alla ritenuta responsabilita'. Secondo il ricorrente, la Corte non avrebbe tenuto in considerazione una circostanza decisiva, costituita dal fatto che il terreno sul quale il ricorrente aveva costruito il manufatto abusivo fosse di proprieta' della Protezione Civile al momento della occupazione di esso da parte dell'imputato, e tale ente non aveva mai denunciato l'occupazione abusiva, sicche' al momento del successivo esproprio effettuato dal Comune di Pozzuoli egli era gia' nel possesso del terreno e non poteva realizzare alcuna arbitraria occupazione del manufatto abusivo da lui costruito e per il quale nel 1995 aveva presentato domanda di condono; 2) violazione di legge per non avere la Corte rilevato l'intervenuta prescrizione del reato, dovendosi far decorrere l'occupazione dal 1993, allorquando era avvenuta l'occupazione del terreno, trattandosi di reato istantaneo ad effetti permanenti; 3) violazione di legge e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' infondato. 1. Quanto al primo motivo, deve ricordarsi il pacifico principio di diritto secondo il quale, la condotta tipica del reato di invasione di terreni o edifici consiste nell'introduzione dall'esterno in un fondo o in un immobile altrui di cui non si abbia il possesso o la detenzione, atteso che la norma di cui all'articolo 633 c.p. non e' posta a tutela di un diritto, bensi' di una situazione di fatto, dovendosi escludere il reato ogni qualvolta l'autore sia entrato legittimamente in possesso del bene (Sez. 2, n. 40571 del 21/05/2013, Pispicia, Rv. 257328; Sez. 2, n. 51754 del 03/12/2013, Papasidero, Rv. 258063). Nel caso in esame, il ricorrente non contesta la circostanza che egli aveva occupato abusivamente il terreno sul quale aveva poi costruito il manufatto abusivo da lui abitato. Il terreno era, comunque, di proprieta' pubblica, poco importando che al momento della invasione arbitraria fosse di proprieta' della Protezione Civile (come sostiene il ricorrente) e successivamente del Comune di Pozzuoli (sul punto, Sez. 7, ordinanza n. 27249 del 17/05/2022, Falleti, Rv. 283323, secondo cui, ai fini della perseguibilita' di ufficio del delitto di invasione di terreni o edifici, devono considerarsi "pubblici" - secondo la nozione che si ricava dagli articolo 822 e ss. c.c., mutuata dal legislatore penale - i beni appartenenti a qualsiasi titolo allo Stato o ad un ente pubblico, e quindi non solo i beni demaniali ma anche quelli facenti parte del patrimonio disponibile o indisponibile degli enti predetti, e "destinati ad uso pubblico" quelli che appartengono a privati e detta destinazione abbiano concretamente avuto). La Protezione Civile e' un servizio pubblico nazionale istituito con la L. 24 febbraio 1992, n. 225. E' irrilevante, altresi', il fatto che tale organismo pubblico, come sostiene il ricorrente, avesse prestato iniziale acquiescenza, mai denunciando l'occupazione arbitraria del terreno. Tale circostanza non scrimina il comportamento contro la legge (cfr. Sez. 2, n. 40822 del 09/10/2008, Iaccarino, Rv. 242242, a proposito della occupazione sine titulo di un alloggio di proprieta' dell'Istituto Autonomo Case Popolari). Ne consegue che allorquando il ricorrente aveva costruito il manufatto abusivo sul terreno arbitrariamente occupato, aveva continuato nella sua originaria occupazione illegittima del fondo, addirittura aggravandola attraverso la condotta che gli viene contestata costituita dalla occupazione dell'abitazione illecitamente costruita. Nel che, la rilevanza penale del fatto. 2. E' infondato anche il secondo motivo. L'oramai consolidata giurisprudenza di legittimita' ritiene che, il delitto di invasione di edifici, di cui all'articolo 633 c.p., ha natura permanente quando l'occupazione si protrae nel tempo, determinando un'immanente limitazione della facolta' di godimento spettante al titolare del bene, con la conseguenza che il termine di prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui cessa l'occupazione, con l'allontanamento dell'occupante dall'edificio (Sez. 2, n. 46692 del 02/10/2019, Tomasello, Rv. 277929; Sez. 2, n. 29657 del 27/03/2019, Cerullo, Rv. 277019; Sez. 2, n. 16363 del 13/02/2019, Bevilacqua, Rv. 276096). E' pacifico che, nel caso in esame, la condotta del ricorrente si sia protratta nel tempo, attraverso l'occupazione arbitraria dell'immobile abusivo riscontrata ancora nel 2010 dal personale della Polizia di Stato, secondo quanto evidenziato a fg. 3 della sentenza impugnata. Il ricorrente non ha provato di essersi allontanato dall'immobile in una data significativa ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, sicche', tenuto conto della contestazione accusatoria "aperta" ("dal 2010 con condotta perdurante"), deve ritenersi che l'illecito si sia protratto fino alla data della sentenza di primo grado (3 maggio 2019) e non e' caduto in prescrizione. In questo senso, Sez. 2, n. 40771 del 19/07/2018, Vetrano, Rv. 274458. 3. E' manifestamente infondato il terzo motivo. La Corte ha negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche avuto riguardo alla gravita' del fatto, specificamente ancorata alla modalita' della condotta perdurante nel tempo. Si e' fatto espresso riferimento, quindi, ad uno dei parametri di cui all'articolo 133 c.p., dovendosi rammentare che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche e' sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato ed alle modalita' di esecuzione di esso puo' essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime (da ultimo, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 2, n. 4790 del 16.1.1996, Romeo, rv. 204768). Inoltre, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimita', ai fini della determinazione della pena, il giudice - cosi' come si e' verificato nel caso in esame - puo' tenere conto di uno stesso elemento (nella specie la gravita' della condotta) che abbia attitudine ad influire su diversi aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato piu' volte sotto differenti profili per distinti fini senza che cio' comporti lesione del principio del "ne bis in idem" (Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, P.G., Rv. 264378; Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, dep.2014, Debbiche Elmi, Rv. 258011). Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. CERRONI Claudio - rel. Consigliere Dott. GAI Emanuela - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 3. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 4. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 5. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 6. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 7. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 30/12/2021 del Tribunale di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Claudio Cerroni; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Tampieri Luca, che ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 30 dicembre 2021 il Tribunale di Napoli, quale Giudice dell'esecuzione, ha rigettato la richiesta di revoca ovvero di sospensione dell'ordine di demolizione emesso nei confronti di (OMISSIS), poi deceduto, in esecuzione della sentenza del 12 febbraio 1993 del Tribunale di Napoli, confermata con sentenza del 3 febbraio 1994 della Corte di Appello di Napoli. 2. Avverso il predetto provvedimento gli odierni ricorrenti hanno proposto articolato ricorso per cassazione su sette distinti profili. 2.1. In primo luogo i ricorrenti hanno osservato che la condanna penale era intervenuta nei confronti del loro ascendente (OMISSIS), mentre la procedura esecutiva - in spregio a tutti i principi circa la personalita' della responsabilita' - veniva ad attingere i discendenti dell'unico responsabile. Tutto cio' con violazione di legge e vizio motivazionale. 2.2. In secondo luogo i ricorrenti hanno osservato che doveva applicarsi - in ossequio al principio di specialita' - solamente la sanzione amministrativa di competenza dell'Amministrazione comunale, con revoca della sanzione disposta dal Giudice penale, il quale tra l'altro aveva invero conferito al Comune di Napoli, e non alla Procura della Repubblica, l'incarico di demolizione delle opere abusive. 2.3. In ogni caso, secondo parte ricorrente, sussisteva incompatibilita' tra la situazione del manufatto e l'ordine di demolizione, ancorche' l'Amministrazione comunale avesse infine disatteso la richiesta di sanatoria. Al riguardo, infatti, l'immobile era stato edificato in un periodo in cui non esistevano i vincoli derivanti dall'esistenza della cd. zona rossa vesuviana e dalla fascia di rispetto cimiteriale, introdotti rispettivamente nel 2003 e nel 2002 (mentre il manufatto risaliva ai primi anni Novanta dello scorso secolo). Ne' tali norme restrittive potevano ricevere applicazione retroattiva, ed al riguardo il Tribunale amministrativo regionale per la Campania aveva accolto la domanda di tutela cautelare nell'attesa di chiarimento circa il regime edificatorio. Mentre in ogni caso il Giudice dell'esecuzione non aveva richiesto i dovuti elementi chiarificatori all'ente pubblico locale, ed erano state ignorate le richieste di attuazione di percorsi alternativi alla demolizione. 2.4. Oltre a cio', il consulente di parte aveva accertato che il manufatto era stato oggetto di trasformazione in aderenza, per cui l'abbattimento del fabbricato avrebbe provocato danni alle costruzioni contigue. In tal senso doveva quindi provvedersi a norma del Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 34, comma 2, ma al riguardo il Giudice dell'esecuzione non aveva speso alcuna riga nel provvedimento, altresi' disattendendo la richiesta di consulenza d'ufficio. Parte ricorrente ha altresi' osservato che non vi era stata notificazione dell'ingiunzione a demolire a (OMISSIS), comproprietaria del manufatto, mentre il Giudice aveva sottolineato l'irrilevanza della notificazione nei riguardi appunto della consorte dell'originario proprietario. 2.5. Vi era poi palese sproporzione tra l'ordine di demolizione e lo scopo perseguito dal legislatore nella materia urbanistica, dal momento che il Giudice non aveva tenuto conto della documentazione esibita in relazione alle condizioni di salute di (OMISSIS), alla residenza nel manufatto di tre nuclei familiari dei (OMISSIS) ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) con la presenza di quattro figli minori e con la materiale impossibilita' economica di acquistare ovvero di assumere in locazione un immobile. Ne' l'Amministrazione comunale interessata era stata in grado, nonostante il lunghissimo tempo intercorso, di accedere alla richiesta di sistemazione abitativa alternativa. In tal modo non era stato rispettato il principio di proporzionalita' ne' il diritto alla tutela dell'abitazione, di cui all'articolo 8 Cedu, stante l'omesso bilanciamento tra il diritto del privato alla tutela dell'abitazione e l'interesse pubblico al regolare assetto del territorio. 2.6. Per quanto poi riguardava il lasso di tempo intercorso tra la data d'irrevocabilita' della sentenza (8 aprile 1994) e la data dei provvedimenti con i quali era stata ordinata la demolizione (19 agosto 2014 e 6 dicembre 2016), doveva considerarsi sussistente il legittimo affidamento del privato circa la legittimita' dell'opera e il disinteresse dell'Amministrazione all'abbattimento del fabbricato, stante la pluriennale inerzia di quest'ultima. 2.7. In ordine infine al decorso del tempo, e della natura penale dell'ordine di demolizione, doveva ritenersi maturato il termine di prescrizione, da intendersi come quinquennale trattandosi di reato contravvenzionale, laddove erano invece ormai decorsi 27 anni dal passaggio in giudicato della sentenza. Era infine richiesta la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e alla Corte Europea dei diritti dell'uomo. 3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell'inammissibilita' dei ricorsi. CONSIDERATO IN DIRITTO 4. I ricorsi sono inammissibili. 4.1. In relazione al primo motivo di censura, e' nozione ribadita di questa Corte di legittimita' - con la conseguente manifesta infondatezza della doglianza che l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, disposto con la sentenza di condanna per reato edilizio, non e' estinto dalla morte del reo sopravvenuta alla irrevocabilita' della sentenza, non avendo natura penale ma di sanzione amministrativa accessoria (Sez. 3, n. 30406 del 08/04/2016, Federico, Rv. 267333). Infatti l'ordine di demolizione dell'opera abusiva, avendo natura di sanzione amministrativa di carattere reale a contenuto ripristinatorio, conserva la sua efficacia anche nei confronti dell'erede o dante causa del condannato o di chiunque vanti su di esso un diritto reale o personale di godimento, potendo essere revocato solo nel caso in cui siano emanati, dall'ente pubblico cui e' affidato il governo del territorio, provvedimenti amministrativi con esso assolutamente incompatibili (Sez. 3, n. 42699 del 07/07/2015, Curcio, Rv. 265193). L'esecuzione di tale ordine, impartito dal giudice a seguito dell'accertata edificazione in violazione di norme urbanistiche, non e' escluso altresi' dall'alienazione del manufatto abusivo a terzi, anche se intervenuta anteriormente all'ordine medesimo (l'ordine di demolizione, avendo carattere reale, ricade direttamente sul soggetto che e' in rapporto con il bene a prescindere dagli atti traslativi intercorsi, con la sola conseguenza che l'acquirente, se estraneo all'abuso, potra' rivalersi nei confronti del venditore a seguito dell'avvenuta demolizione)(Sez. 3, n. 45848 del 01/10/2019, Cannova, Rv. 277266). 4.2. Per quanto riguarda il secondo motivo, e' parimenti orientamento del tutto consolidato che l'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, non ha finalita' punitive ed ha carattere reale, con effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non e' l'autore dell'abuso, con la conseguenza che non puo' ricondursi alla nozione convenzionale di "pena" nel senso elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU (ad es. Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Cerra srl, Rv. 275850). La ratio della previsione, infatti, non e' quella di sanzionare ulteriormente (rispetto alla pena irrogata) l'autore dell'illecito, ma quella di eliminare le conseguenze dannose della condotta medesima, rimuovendo cosi' la lesione del territorio verificatasi e ripristinando quell'equilibrio urbanistico-edilizio che i vari enti preposti, ciascuno per la propria competenza, hanno voluto stabilire, al punto che tale ordine, quando imposto dall'Autorita' giudiziaria in uno con la sentenza di condanna, non si pone in rapporto alternativo con l'omologo ordine emesso dall'Autorita' amministrativa, ferma restando la necessita' di un coordinamento tra le due disposizioni in sede esecutiva. Ne', ovviamente, rileva che nell'ordine di demolizione sia conferito al Comune di Napoli l'incarico per l'esecuzione dell'incombente. Invero l'ordine di demolizione previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 31, u.c., costituisce atto dovuto, espressivo di un potere autonomo e non meramente suppletivo del giudice penale. Esso pertanto, ferma restando l'esigenza di coordinamento in fase esecutiva, non si pone in rapporto alternativo con l'ordine omologo impartito dalla Pubblica Amministrazione (Sez. 3, n. 55295 del 22/09/2016, Fontana, Rv. 268844; Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013, dep. 2014, Russo, Rv. 258518). In tal senso deve cosi' considerarsi legittimo il provvedimento con cui il Pubblico ministero, in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna per reato edilizio, affidi l'intervento demolitorio del 4 manufatto abusivo all'Amministrazione comunale, non comportando cio' la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articoli 61 e 62 e della relativa Convenzione ministeriale 15 dicembre 2005, in quanto detto affidamento integra una mera richiesta di collaborazione e non una delega ad un organo terzo nell'esecuzione dell'ordine di demolizione (Sez. 3, n. 11993 del 04/03/2014, Ayala Flores, Rv. 258706). 4.3. Avuto poi riguardo al terzo profilo di doglianza, si presenta del tutto corretto il riferimento compiuto altresi' alla giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte Cost. n. 181 del 7 luglio 2021), circa la legittimita' di successivi vincoli ostativi alla concessione del condono (cfr. altresi' da ult. Tar Lazio n. 5718 del 2022), nel quadro di una tutela di valori che presentano precipuo rilievo costituzionale, quali quelli paesaggistici, ambientali, idrogeologici e archeologici. Ne' si presenta irragionevole, nel bilanciamento degli interessi in gioco, una scelta di loro maggiore protezione. Invero e' stato correttamente osservato che sussiste - per definizione - una generale impossibilita' di riconoscere, di per se', un legittimo affidamento in capo a chi versi, non incolpevolmente, in una situazione antigiuridica, qual e' quella della realizzazione di un'opera edilizia abusiva, per cui non puo' che ripercuotersi su detto soggetto l'alea connessa all'eventualita' di una possibile successiva apposizione di un vincolo sull'area di insistenza dell'opera abusiva. D'altronde l'invocata sospensione giurisdizionale amministrativa e' stata ottenuta (cfr. motivazione del Tar Campania, prodotta dai ricorrenti) a fronte del solo lamentato vincolo cimiteriale, e non in relazione all'inibizione derivante dall'esistenza della cd. zona rossa vesuviana (tutto cio', naturalmente, a prescindere dalla notoria estrema pericolosita' dell'edificazione, particolarmente abusiva, nell'area a ridosso del vulcano). Al riguardo, ed in considerazione altresi' della prospettata carenza di indagine del Giudice dell'esecuzione, l'ordinanza impugnata ha dato atto delle determinazioni del Comune di Napoli circa l'impossibilita' di condono del manufatto, proprio in ragione di tutti i sussistenti vincoli di non edificabilita'. Il provvedimento impugnato ha cosi' osservato, non illogicamente, che in tal modo non era prevedibile - quantomeno, tra l'altro, in tempi ragionevolmente brevi - l'emanazione di provvedimenti amministrativi incompatibili con l'ordine giudiziale di demolizione. E' infatti nozione comune che l'ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna e' suscettibile di revoca quando risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorita', che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l'abusivita' (fermo restando il potere-dovere del giudice dell'esecuzione di verificare la legittimita' dell'atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio) (ad es. Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci e altro, Rv. 260972). L'accordato privilegio alla tutela di valori che presentano precipuo rilievo costituzionale, quali quelli paesaggistici, ambientali, idrogeologici e archeologici, non appare quindi in alcun modo censurabile. 4.4. Per quanto poi concerne l'invocata applicazione della norma di cui all'articolo 34 del Testo Unico n. 380 del 2001, per un verso detta disciplina trova applicazione, in via esclusiva, per gli interventi eseguiti in parziale difformita' dal permesso di costruire, e non equivale ad una "sanatoria" dell'abuso edilizio, in quanto non integra una regolarizzazione dell'illecito e non autorizza il completamento delle opere realizzate (Sez. 3, n. 28747 del 11/05/2018, Pellegrino, Rv. 273291). Per altro verso parte ricorrente non ha fornito alcun elemento per ritenere l'applicabilita' in specie di siffatta eccezionale ipotesi (si' che il silenzio dell'ordinanza non rileva, trattandosi di questione, in tal senso proposta, inammissibile ab origine). 4.4.1. In relazione poi alla pretesa mancata notificazione dell'ordine di demolizione alla comproprietaria e coerede (OMISSIS), e' stato gia' osservato da questa Corte che, in tema di esecuzione dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo, il responsabile dell'abuso, destinatario del provvedimento, non e' portatore di un interesse giuridicamente rilevante a dedurre la nullita' derivate dalla mancata notifica dello stesso al proprietario del bene, non determinando tale omissione alcuna limitazione al suo diritto di interloquire nel procedimento di esecuzione per far valere le eccezioni difensive relative alla sua posizione (ad es. Sez. 3, n. 8998 del 19/11/2019, dep. 2020, Lamagna, Rv. 278417). 4.4.2. Ne', infine, quanto al paventato rischio di incidere sulle proprieta' circostanti, va dimenticato che questa Corte - in fattispecie del tutto sovrapponibile, in cui secondo parte ricorrente il giudice dell'esecuzione avrebbe disatteso le considerazioni tecniche esposte nel corso dell'incidente di esecuzione, ed aventi ad oggetto l'oggettiva impossibilita' di procedere alla demolizione senza arrecare grave pregiudizio statico e strutturale al resto dell'edificio ed alle costruzioni ad esso adiacenti - ha gia' avuto modo di rilevare che, con riferimento ad ipotesi di sospensione condizionale della pena subordinata alla demolizione del manufatto abusivo, l'impossibilita' tecnica di provvedervi non rileva come motivo di revoca del beneficio solo se non dipenda da causa imputabile al condannato (Sez. 3, n. 19387 del 27/04/2016, Di Dio, Rv. 267108; Sez. 3, n. 35972 del 22/09/2010, Lembo, Rv. 248569; Sez. 3, n. 32706 del 27/04/2004, Giardina, Rv. 229388), ritenendo tale il caso in cui sia stato il medesimo a realizzare l'abuso sull'iniziale manufatto, o, comunque, a tollerare la realizzazione delle opere (cosi', Sez. 3, n. 28740 del 27/04/2018, Ferrante, non mass.). Infatti anche l'impossibilita' tecnica di dare esecuzione all'ordine di demolire un manufatto abusivo senza danneggiare la parte lecita del fabbricato, oltre a dover essere dimostrata, non rileva quando dipende da causa imputabile al condannato (Sez. 3, n. 7789 del 09/02/2021, Severino, Rv. 281474). In specie, per definizione la situazione denunciata non puo' che ascriversi alla parte responsabile dell'abuso, ed a prescindere dalla dimostrazione della pretesa impossibilita' tecnica. 4.5. Per cio' che concerne l'invocato rispetto del principio di proporzionalita', vero e' che il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, e' tenuto a rispettare il principio di proporzionalita' enunciato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze della Corte EDU Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria del 21/04/2016 e Kaminskas c. Lituania del 04/08/2020, valutando la disponibilita', da parte dell'interessato, di un tempo sufficiente per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile o per risolvere, con diligenza, le proprie esigenze abitative, la possibilita' di far valere le proprie ragioni dinanzi a un tribunale indipendente, l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui sarebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola, nonche' l'eventuale consapevolezza della natura abusiva dell'attivita' edificatoria (cosi' Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022, D'Auria, Rv. 282950; cfr. altresi' Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Leoni, Rv. 280270). 4.5.1. Come e' stato peraltro ricordato dalla stessa ordinanza impugnata, l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all'articolo 8 CEDU, posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto "assoluto" ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perche' casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettivita' a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l'equilibrio urbanistico-edilizio violato (Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Ferrante, Rv. 273368). In specie, ancorche' sinteticamente ma con motivazione non illogica e facilmente evincibile, il Giudice dell'esecuzione ha ampiamente dato conto (cfr. pag. 9 del provvedimento censurato), da un lato, della piena consapevolezza dell'illegalita' della situazione urbanistica e, dall'altro, del tempo trascorso dalla definitivita' del giudizio di cognizione, invero risalendo l'irrevocabilita' della condanna del dante causa dei ricorrenti addirittura al 1994. Laddove tra l'altro, dall'esame della documentazione allegata al ricorso (che questa Corte puo' pertanto esaminare), solamente nel 2021 risulta avanzata dalla difesa dei ricorrenti una, informale, richiesta all'Amministrazione comunale (nell'ambito di una procedura di invocato condono, che alla luce delle stesse considerazioni del provvedimento impugnato appare allo stato priva di sbocchi) di verificare l'eventualita' di soluzioni abitative alternative nell'ipotesi di demolizione del manufatto abusivo, oggetto dell'abitazione dei nuclei familiari dei ricorrenti, eredi del responsabile dell'abuso edilizio. Va da se' che siffatte considerazioni oggettive (tra l'altro, per quanto rileva, non risulta spiegata neppure la residenza in Salerno della ricorrente (OMISSIS), le cui condizioni di salute sono state allegate come fattore ostativo all'iter demolitorio) sono state ritenute non illogicamente assorbenti, proprio in ragione altresi' degli evidenziati accorgimenti (pag. 11 dell'ordinanza impugnata) idonei a favorire la tutela anche degli interessi privati, infine ritenuti complessivamente recessivi (cfr. al riguardo, anche Sez. 3, n. 2532 del 12/01/2022, Esposito, non mass.). 4.6. In ordine poi al preteso affidamento sulla legittimita' del manufatto, la materia dell'edilizia - ben lungi dal tutelare un inesistente affidamento nei termini appena ricordati - e' retta dal principio secondo cui deve disporsi la demolizione di un immobile abusivo senza che la tardiva adozione di detto provvedimento (id est il lungo lasso di tempo tra la realizzazione dell'abuso e l'adozione del provvedimento di demolizione), a causa della mera inerzia da parte della P.A. nell'esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalita' di interesse pubblico, valga a far divenire legittimo cio' che (l'edificazione sine titulo) e' sin dall'origine illegittimo. In specie, e' stato altresi' analiticamente rievocato - senza rilievi di sorta da parte ricorrente, limitatasi all'evidenza a pluriennale mera inerzia - il percorso garantito e garantista tramite il quale e' stata assicurata agli odierni ricorrenti (ben consapevoli ormai da decenni della mera precarieta' dell'occupazione del manufatto ormai dichiarato abusivo) anche la possibilita' dell'autodemolizione dell'immobile. Mentre, in ogni caso, non sussiste alcun diritto "assoluto" alla inviolabilita' del domicilio, desumibile dalle decisioni della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, tale da precludere l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo, finalizzato a ristabilire l'ordine giuridico violato (con l'ulteriore osservazione che dalla giurisprudenza CEDU si ricava, al contrario, l'opposto principio dell'interesse dell'ordinamento all'abbattimento - in luogo della confisca - delle opere incompatibili con le disposizioni urbanistiche)(Sez. 3, n. 18949 del 10/03/2016, Contadini e altro, Rv. 267024). 4.7. Per cio' che concerne infine l'invocata prescrizione, anche in tal caso questa Corte di legittimita' si e' ripetutamente espressa (ne' in proposito si ravvisano ragioni per abbandonare siffatto orientamento del tutto consolidato) nel senso che (v. anche supra) l'ordine di demolizione del manufatto abusivo non e' sottoposto alla disciplina della prescrizione stabilita dall'articolo 173 c.p. per le sanzioni penali, avendo natura di sanzione amministrativa a carattere ripristinatorio, priva di finalita' punitive e con effetti che ricadono sul soggetto che e' in rapporto col bene, indipendentemente dal fatto che questi sia l'autore dell'abuso (con la precisazione che tali caratteristiche dell'ordine di demolizione escludono la sua riconducibilita' anche alla nozione convenzionale di "pena" elaborata dalla giurisprudenza della Corte EDU) (Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Delorier, Rv. 265540; Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Cerra srl, Rv. 275850; cfr. altresi' Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Porcu, Rv. 267977, circa la manifesta infondatezza al riguardo di questioni di legittimita' costituzionale, anche in questa sede, ancorche' genericamente, riproposte). 5. Non puo' quindi che concludersi, data la ricordata manifesta infondatezza del complesso delle censure formulate, nel senso della inammissibilita' dei ricorsi. Tenuto altresi' conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", alla declaratoria dell'inammissibilita' medesima consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p. e a carico dei ricorrenti, l'onere delle spese del procedimento nonche' quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio - rel. Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro M - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI TERAMO; nei confronti di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 14/04/2022 del TRIB. LIBERTA' di TERAMO; udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSIO SCARCELLA; lette le conclusioni del PG PASQUALE FIMIANI, che ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata; lette le memorie difensive dell'Avv. (OMISSIS), con cui, in replica al ricorso del Pubblico Ministero ed alle conclusioni scritte del PG, ha chiesto il rigetto del ricorso e la conferma del provvedimento impugnato. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza 14.04.2022, il tribunale del riesame di Teramo ha accolto il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), quale legale rappresentante della soc. (OMISSIS) s.n.c. avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP/Tribunale di Teramo in data 18.03.2022 avente ad oggetto le opere ricadenti in area demaniale marittima senza valido titolo autorizzatorio, il tutto presso il ristorante pub ad insegna "(OMISSIS)" di proprieta' della predetta societa', e nelle sue aree di pertinenza, corrente in (OMISSIS). 2. Avverso l'ordinanza impugnata nel presente procedimento, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Teramo propone ricorso per cassazione, deducendo un unico ed articolato motivo, di seguito sommariamente indicato. 2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all'articolo 1161 c.n. In sintesi, il ricorso evidenzia come la concessione demaniale marittima denominata "(OMISSIS)" risultava in capo alla societa' dell'indagato in forza del titolo rilasciatogli in data 18.03.2002, titolo che, rilasciato per la durata di sei anni, aveva una validita' dal 1.01.2002 al 31.12.2007. Nel predetto titolo concessorio era presente la clausola di rinnovo automatico in forza del Decreto Legge 400 del 1993 articolo 1, comma 2, conv. con modd. in L. 494 del 1993, come sostituito dall'articolo 10, L. n. 88 del 2001. Al punto 10 delle condizioni indicate nella concessione demaniale in questione veniva specificato che il tacito rinnovo della concessione in questione era subordinato al pagamento dei canoni e al versamento dei depositi cauzionali entro il termine stabilito, a pena di decadenza e con l'onere di sgombero e riconsegna. Orbene, rileva il PM ricorrente che dalle indagini svolte e' emerso che il canone del 2009 non risultava pagato e lo stesso risultava essere stato richiesto dall'autorita' competente alla ditta concessionaria con nota 1.09.2009. Ne consegue, quindi, che deve escludersi che possa essersi verificato il tacito rinnovo della concessione demaniale in questione, atteso che il pagamento del canone del 2009 aveva impedito il rinnovo della concessione demaniale in questione, donde la stessa e' da ritenersi spirata prima dell'entrata in vigore delle norme che hanno introdotto il regime delle proroghe tacite delle concessioni demaniali marittime turistico - ricreative, di cui all'articolo 18, Decreto Legge 194 del 2009, conv. con modd. in L. 25 del 2010, e successive modifiche ed integrazioni, dovendosi pertanto ritenere fondata l'occupazione arbitraria in totale carenza di un valido titolo demaniale marittimo. Il tribunale, dunque, aderendo alla tesi difensiva proposta in sede di riesame, non avrebbe adeguatamente effettuato quell'indispensabile attivita' critica che avrebbe dovuto essere svolta. A tal fine, il PM ricorrente, dopo aver operato un'ampia e dettagliata ricognizione normativa e giurisprudenziale sul tema delle proroghe tacite delle concessioni demaniali marittime, osserva come il tribunale del riesame avrebbe errato nel configurare il rinnovo automatico come una vera e propria protrazione del medesimo rapporto concessorio, senza soluzione di continuita', essendo giunto a tale soluzione senza analizzare i presupposti dell'istituto del rinnovo, insistendo sull'assunto che, rinnovata automaticamente, la concessione demaniale in questione sarebbe stata prorogata. In altri termini, sarebbe stato erroneamente applicato il principio secondo cui, in sede di proroga, e non quindi in sede di rinnovo alla data della scadenza del 31.12.2007, vi fosse l'esonero dell'Amministrazione dall'istruire qualsiasi procedimento di rinnovo, nonche' l'esonero di attivita' istruttorie finalizzate a qualsiasi accertamento di carattere ammi-nistrativo/finanziario, anche in relazione alla pretesa correttezza del concessionario nel pagamento dei canoni concessori dovuti. Diversamente, ribadisce il PM ricorrente, nel caso in esame non sussisterebbero le condizioni del c.d. rinnovo automatico, attesa l'assenza dei requisiti richiesti dalla normativa, tra cui la regolarita' della corresponsione dei canoni dovuti alla data di scadenza, nonche' la sottoscrizione e registrazione di un titolo valido, che ove esistente e regolarmente formalizzato, avrebbe eventualmente dato accesso al regime di proroga. Sul punto, evidenzia come la regione Abruzzo, ufficio demanio marittimo, con nota 9.02.2021 aveva evidenziato che la societa' riferibile all'indagato non aveva effettuato il pagamento dei canoni demaniali marittimi dal 2009 ad oggi, per una somma totale di quasi 364.000 Euro, senza nemmeno pagare le imposte regionali, pari al 10% del canone, per una somma di poco inferiore ai 42.000 Euro. Operata, infine, una puntualizzazione sulle differenze tra "proroga" e "rinnovo", in cui si anniderebbe l'errore dei giudici del riesame, ribadisce il PM che detta tesi sarebbe stata suffragata anche da plurime decisioni del giudice amministrativo, richiamando quattro sentenze del Consiglio di Stato pronunciate in data 3.12.2018 e riguardanti l'accoglimento di ricorsi in appello promossi proprio dall'Agenzia del Demanio di Pescara contro le opposizioni proposte rispettivamente da altrettanti stabilimenti balneari del teramano. Di conseguenza, nessun procedimento amministrativo preordinato alla decadenza della concessione avrebbe dovuto essere instaurato dalla Regione Abruzzo, in quanto il descritto istituto cadu-catorio presuppone la sussistenza di un rapporto giuridico valido ed efficace e non, come nel caso in esame, una situazione scaduta e quindi definitivamente esaurita. Da ultimo, infine, si duole il PM ricorrente per aver i giudici del riesame operato un distinguo delle difformita' edilizie accertate in sede di ispezione demaniale alla concessione, parte delle quali derubricata ad innovazioni anziche' ad abusi, atteso che, diversamente, la prospettazione accusatoria sarebbe confermata dalla circostanza per la quale, in assenza di un provvedimento mai formalmente rinnovatosi, e quindi mai prorogato di validita', permarrebbe la piena operativita' del reato di cui all'articolo 1161 c.n., nei termini dell'abusiva occupazione dell'intera area assentita in concessione, illecito penale posto a base del carattere permanente della fattispecie e del requisito del periculum in mora ravvisato dal GIP, dovendosi in ultima analisi ritenere che il periculum risulterebbe in re ipsa. Sarebbe, conseguentemente, superato il dubbio espresso dal Tribunale circa la maggiore occupazione della superficie demaniale (1610 mq. anziche' 1530 mq.) condizione che da sola aveva determinato il tribunale a disporre l'annullamento del decreto di sequestro, atteso che l'indagato dal 2009 non aveva effettuato alcun pagamento dei canoni demaniali, e che l'ultimo titolo concessorio demaniale marittimo rilasciato era quello scaduto il 31.12.2007. Erroneamente, pertanto, i giudici del riesame avrebbero ritenuto insussistenti le esigenze cautelari solo in ragione dell'incerta perimetrazione delle maggiori aree occupate, trascurando invece le occupazioni del demanio marittimo constatate dalla PG e contestate nel capo b) dalla lettera b) alla lettera k). 3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato in data 28.11.2022 la propria requisitoria scritta con cui ha insistito per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. In particolare, il P.G. ha evidenziato: (a) che e' ormai consolidato l'orientamento di legittimita' il quale, partendo dalle pronunce della Corte Costituzionale (sentenze n. 213 del 2011, n. 340 del 2010, n. 233 del 2010 e n. 180 del 2010), ha affermato che le disposizioni che prevedono proroghe automatiche di concessioni demaniali marittime violano l'articolo 117 Cost., comma 1, per contrasto con i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario in tema di diritto di stabilimento e di tutela della concorrenza (c.d. Direttiva Bolkestein), con conseguente obbligo di disapplicazione delle norme (nazionali o regionali) che prevedono taciti rinnovi delle concessioni per il periodo in cui sono state in vigore, e relativa caducazione di tali taciti rinnovi in ragione del venire meno del presupposto normativo su cui si fondavano (in argomento, anche Sez. 3, sentenza n. 7267 del 09/01/2014 - dep. 14/02/2014, Granata e altri, Rv. 259294 - 01, secondo cui dalla immediata operativita' della direttiva CE sopra indicata consegue la disapplicazione del Decreto Legge n. 400 del 1993, come conv. e succ. modif., con l'effetto che le concessioni demaniali che scadevano il 31.12.2007, quale e' quella di specie, non potevano essere piu' prorogate automaticamente); (b) che la proroga legale dei termini di durata delle concessioni, prevista dall'articolo 1, comma 18, Decreto Legge n. 30 dicembre 2009, n. 194 (conv. in L. 26 febbraio 2010, n. 25), la quale, se applicabile alla concreta fattispecie, esclude la configurabilita' del reato di cui all'articolo 1161 c.n., presuppone la titolarita' di un provvedimento concessorio valido ed efficace ed opera solo per gli atti ampliativi successivi all'entrata in vigore del medesimo Decreto Legge n. 194 del 2009 (su cui si richiama anche Sez. 3, sentenza n. 29763 del 26/03/2014 - dep. 08/07/2014, Di Francia, Rv. 260108 - 01; succ. conformi, da ultimo, Sez. 3, sentenza n. 15676 del 13/04/2022 - dep. 22/04/2022, Galli, n. m.), mentre nella specie, al momento di entrata in vigore dell'articolo 1 citato, la concessione demaniale de qua era gia' scaduta, non operando cosi' il regime di rinnovo automatico; (c) il dictum di Sez. 3, sentenza n. 29105 del 16/09/2020 - dep. 21/10/2020, Longino, n. m., relativa ad analoga vicenda, peraltro nella stessa zona demaniale. 4. In data 21.10.2022 l'Avv. (OMISSIS), nell'interesse dell'indagato, ha fatto pervenire memoria difensiva, con cui, in replica al ricorso del Pubblico Ministero, ha chiesto il rigetto del ricorso e la conferma del provvedimento impugnato. Con successiva memoria datata 2.12.2022, il predetto difensore, in replica alla requisitoria scritta del PG, ha insistito per il rigetto del ricorso del PM. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso - in assenza di richiesta di discussione orale, trattato ai sensi dell'articolo 23, Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, e successive modifiche ed integrazioni e' fondato. 2. Al fine di meglio chiarire le ragioni che hanno determinato il Collegio a tale soluzione, e' utile ripercorrere, sebbene sinteticamente, la vicenda storico processuale al medesimo sottesa. 3. Il 9.02.2021 l'Ufficio Demanio Marittimo della Giunta Regionale abruzzese, Dipartimento Territorio - Ambiente, Servizio Pianificazione territoriale e Paesaggio segnalava alcune criticita' relative alla concessione demaniale accordata alla societa' " (OMISSIS) s.n.c.", di cui e' legale rappresentante l'indagato. In tale nota si rappresentava l'emersione, a seguito di alcuni sopralluoghi eseguiti negli anni 1997 e 2008, di tutta una serie di manufatti, abusivamente realizzati e connessi funzionalmente alla concessione in questione, e si disponeva la rettifica dei canoni demaniali in ragione dell'effettiva consistenza riscontrata. La nota veniva, poi, inoltrata all'Ufficio Circondariale Marittimo - Guardia Costiera di (OMISSIS), a sua volta richiesto di eseguire ulteriori accertamenti sulla regolarita' delle opere e sulla tempestivita' dei versamenti degli oneri concessori. In sede di attivita' compiuta in data 11.11.2021, la societa' dell'indagato non era in grado di esibire il titolo concessorio in corso di validita'; l'indagato negava di aver ricevuto solleciti di pagamento di canoni relativi alla concessione demaniale e non presentava documentazione inerente all'avvenuto pagamento delle imposte regionali dovute. A questo punto, l'Agenzia del Demanio di Pescara rimetteva una nota con cui evidenziava il mancato pagamento dei canoni demaniali dovuti per la concessione a partire dal 2009. Veniva, peraltro, acquisita ulteriore documentazione inerente al titolo concessorio demaniale, che veniva identificato nella concessione n. 29/2002 rilasciata dalla Capitaneria di Porto di Pescara. Tale concessione aveva una durata di sei anni, come previsto dal Decreto Legge n. 400 del 1993 articolo 1, comma 2, (poi abrogato dall'articolo 1, comma 1, lettera a), L. n. 217/2011 al dichiarato fine di favorire la rapida e favorevole definizione di procedure d'infrazione a carico dello Stato avviate dalla Commissione Europea). Il personale dell'Agenzia del Demanio, Direzione Regionale Abruzzo e Molise intraprendeva un'attivita' ispettiva nell'ambito della quale veniva esaminata la documentazione tecnico-amministrativa, veniva avviato il contraddittorio con l'indagato, e veniva espletato un sopralluogo sempre in data 11.11.2021: in questo contesto venivano acquisiti i titoli edilizi che assentivano gli interventi eseguiti sul compendio immobiliare oggetto di concessione (ossia dell'autorizzazione edilizia n. 114 del 12.09.1984, n. 103 del 04/05/1987, n. 384 del 16/06/1987 e n. 199 del 21/07/1987). All'esito dei rilievi venivano accertate: 1) attivita' di rilevanza edilizia poste in essere in assenza o in difformita' ai titoli edilizi (per cui si veda il capo a) d'imputazione); 2) rilevanti scostamenti dal titolo concessorio, ritenuto scaduto, quanto all'effettiva occupazione di spazi demaniali. In conseguenza di cio', in data 18.03.2022, il G.I.P. presso il Tribunale di Teramo disponeva il sequestro preventivo del ristorante/pub, con aree di pertinenza, ritenendo sussistente il fumus boni iuris in relazione ad entrambi i reati contestati in via provvisoria all'indagato. Quanto al capo a) della rubrica (reato p. e p. dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e s.m.i. articolo 35, 44 lettera c), Decreto Legislativo n. 42 del 2004 e s.m.i. articolo 142, comma 1 lettera a), articolo 146, commi 1 e 2, articolo 181, comma 1-bis lettera A)), risultava, infatti, essere stata accertata, in sede di sopralluogo presso i locali in uso all'impresa dell'indagato, la realizzazione di tutta una serie di opere, vuoi in totale difformita' dai titoli edilizi, vuoi in totale carenza degli stessi, da identificare, in ragione della natura demaniale del bene immobile destinato ad ospitare le opere, nel permesso a costruire. Quanto al capo b) della rubrica (reato p. e p. dagli articoli 54, 1161, comma 1, Regio Decreto n. 327/1942 - Codice della Navigazione), anche in questo caso (dopo aver operato una sintetica rassegna delle principali disposizioni e pronunce in materia) venivano ritenuti sussistenti gli elementi del fumus boni iuris in relazione al reato di occupazione arbitraria, poiche' avente ad oggetto superficie maggiore di quella assentita dai titoli demaniali e poiche' discendente da "innovazioni non consentite" ai sensi dell'articolo 1161 codice navale idonee a determinare un ampliamento dell'occupazione (risultando, infatti, che la concessione in favore dell'indagato consentiva l'occupazione di una superficie totale massima di 1530 mq, a fronte dell'effettiva occupazione di 1610 mq, in ragione evidentemente delle innovazioni non consentite). Infine, veniva ritenuto sussistente anche il periculum in mora, dato che "la realizzazione di numerosi interventi edilizi sine titulo, l'ampliamento per le vie di fatto dell'oggetto della concessione e l'omissione di pagamenti dei canoni concessori per vari anni (...) consentivano di ritenere assai probabile l'aggravamento delle conseguenze dell'illecito penale" (pag. 3 decreto di sequestro G.I.P. Teramo). In data 31.03.2022, l'indagato interponeva istanza di riesame avverso il provvedimento di sequestro, chiedendo in via principale l'annullamento del decreto di sequestro preventivo del 18.03.2022 oppure, in via subordinata, la sostituzione della misura con altra meno onerosa (sostenendosi peraltro, a pag. 12, come vi fosse una differenza tra la volumetria concessa, pari a 1530 mq, e quella effettivamente occupata, pari a 1610 mq). Erano due i motivi di riesame: il primo concernente l'asserita insussistenza del fumus boni iuris della misura cautelare reale (peraltro sollevando la questione relativa alla prescrizione dell'illecito di cui al capo a) di imputazione); il secondo relativo all'insussistenza del periculum in mora, indefettibile ai fini dell'adozione del provvedimento cautelare di sequestro preventivo. In data 14.04.2022, il Tribunale penale di Teramo, Sezione per il riesame nei provvedimenti di sequestro, accoglieva il ricorso e revocava il sequestro preventivo in essere (definitivamente disponendo il dissequestro lo stesso 14.04.2022, come da verbale di dissequestro ex articolo 263 c.p.p.). Difatti, richiamando l'impostazione e le argomentazioni difensive, il Giudice del Riesame affermava di non ritenere sussistente il fumus boni iuris che aveva portato all'emissione della misura da parte del G.I.P. in quanto, ai fini del rinnovo della concessione, non erano necessari gli incombenti di cui parlava l'accusa a carico dell'indagato, non sussistendo in definitiva il reato di occupazione arbitraria posta in totale carenza di titolo demaniale. Nessun argomento veniva speso in punto di periculum in mora e, conclusivamente, veniva operato un incerto riferimento a come "non sia possibile allo stato dei fatti determinare e circostanziare l'area che e' abusivamente occupata" (pag. 4 ord. Riesame Trib. Teramo). 4. Tanto premesso, puo' quindi procedersi nell'esame del ricorso del Procuratore della Repubblica che, come anticipato, e' fondato. 5. In punto di fatto, innanzitutto merita ricordare che la concessione demaniale marittima denominata "(OMISSIS)", presente nel Comune di (OMISSIS) ed oggetto del ricorso, risultava in Capo alla Ditta " (OMISSIS) s.n.c." di (OMISSIS) in forza del titolo concessorio n. 29 - Rep. 29710 in data 18.03.2002, redatto ai sensi del Codice della Navigazione e del relativo Regolamento, nonche' a quanto prescritto dalla L. n. 88/2001, che prevedeva da quattro a sei anni la durata dei titoli concessori. Di fatto, dunque, il titolo risultava rilasciato per la durata di sei anni, dal 01.01.2002 al 31.12.2007 (con la clausola secondo cui "alla scadenza si rinnova automaticamente per altri sei anni e cosi' successivamente ad ogni scadenza, salvo diverso provvedimento di revoca da parte dell'Amministrazione concedente ex articolo 42 del codice navale ovvero di decadenza ex articolo 47 del c.n., fermo restando il pagamento della tassa di registrazione da richiedersi a cura della medesima Amministrazione"), e la clausola di "rinnovo automatico della concessione demaniale marittima" sopra indicata veniva redatta nel titolo in forza dell'articolo 1, comma 2 del Decreto Legge n. 400/1993, poi sostituito dall'articolo 10 della L. n. 88/2001 (dall'esame del testo della concessione, peraltro, risultano le seguenti annotazioni: "Si rilascia la presente licenza subordinata oltre che alle discipline doganali e di pubblica sicurezza alle condizioni che seguono:", al cui successivo punto 10 si rileva che "il tacito rinnovo della presente concessione e' comunque subordinato al pagamento dei canoni ed al versamento dei depositi cauzionali entro il termine stabilito, sempre sotto pena di decadenza e con l'onere di sgombero e riconsegna di cui alle condizioni precitate"). Dall'attivita' di P.G. svolta, tuttavia, si rilevava che il canone del 2009 non risultava pagato e lo stesso risultava essere stato richiesto dall'Autorita' competente alla ditta concessionaria sopra indicata con nota protocollo n. 437/DE3 del 09.01.2009. Pertanto, a fronte di tale clausola ed al mancato pagamento del canone 2009, deve escludersi che possa considerarsi tacitamente rinnovata la concessione demaniale marittima in questione, oltre al fatto che non vi e' evidenza dei depositi cauzionali eseguiti ai fini del rinnovo della concessione demaniale. Quindi, se il mancato pagamento del canone 2009 ha impedito il rinnovo della concessione demaniale, la stessa e' da considerarsi spirata prima del regime normativo che stabilisce le tacite proroghe delle concessioni demaniali marittime turistico ricreative, disposta dall'articolo 18 del Decreto Legge n. 194/2009, convertito in L. n. 25/2010, dovendosi ritenere fondata l'arbitraria occupazione in totale carenza di un valido titolo demaniale marittimo. 6. In merito alla durata delle concessioni demaniali marittime, l'articolo 10, comma 1, L. n. 88 del 2001 ha introdotto il principio del c.d. "rinnovo automatico" di sei anni in sei anni alla scadenza del titolo concessorio e, contestualmente, l'articolo 37 del Codice della Navigazione, come modificato dal Decreto Legge n. 400 del 1993 ha enunciato il "diritto di insistenza" dei concessionari sui beni oggetto della concessione, stabilendo che in sede di rinnovo delle stesse, dovesse esser accordata preferenza al precedente concessionario. La disciplina normativa fin qui esaminata e' stata poi oggetto di attenzione da parte del Legislatore, il quale, in sede di approvazione della Legge Finanziaria 2007 (L. n. 296 del 2006) ha modificato l'articolo 3 del Decreto Legge n. 400 del 1993, tramite l'inserimento del comma 4-bis, che prevede la possibilita' di essere titolari di concessioni demaniali marittime per una durata non inferiore a 6 anni e non superiore a 20 anni "in ragione dell'entita' e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle Regioni" (articolo 1, comma 253). L'impianto normativo italiano pocanzi esaminato ha dovuto uniformarsi alla pronuncia della direttiva comunitaria del 12.12.2006 n. 2006/123/CE - Bolkestein, che (in particolare, ai §§ 1-2, articolo 12) ha ritenuto che nel comparto servizio-turismo la modalita' di assegnazione della concessione demaniale marittima debba essere assoggettata a gara, con la conseguente applicazione delle norme che sovrintendono le procedure ad evidenza pubblica. Lo strappo con il diritto comunitario e' divenuto cosi' inevitabile e nel 2008 la Commissione Europea, nel verificare il rispetto della Direttiva da parte dello Stato italiano, rilevata l'incompatibilita' con i principi in essa contenuti delle disposizioni rinvenibili nel Codice della Navigazione e del Decreto Legge n. 400/1993, attinenti il diritto di insistenza, ha formalmente ammonito l'Italia con la procedura d'infrazione n. 2008/4908, intimando la revisione dell'ordinamento giuridico interno al fine di armonizzare le disposizioni normative nazionali ai principi comunitari. Sul punto sono anche intervenute diverse pronunce della Giustizia Amministrativa (ex multis, Cons. St., 25.09.2009, n. 5765), che hanno affermato il principio giuridico in base al quale "alle concessioni di beni pubblici di rilevanza economica (specificamente le concessioni demaniali marittime), poiche' idonee a fornire una situazione di guadagno a soggetti operanti nel libero mercato, devono applicarsi i principi discendenti dall'articolo 81 del Trattato UE e dalle Direttive comunitarie in materia di appalti, quali quelli della loro necessaria attribuzione mediante procedure concorsuali, trasparenti, non discriminatorie, nonche' tali da assicurare la parita' di trattamento ai partecipanti" (TAR Campania, Napoli, Sez. VII, n. 3828/2009; occorrendo anche nell'assegnazione di un bene demaniale l'individuazione del soggetto maggiormente idoneo a consentire il perseguimento dell'interesse pubblico, garantendo a tutti gli operatori economici una parita' di possibilita' di accesso all'utilizzazione dei beni demaniali, sic TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 23.04.2010, n. 2085). Rebus sic stantibus, il Legislatore italiano e' intervenuto con il Decreto Legge n. 194 del 2009, convertito con L. n. 25/2010, il cui articolo 1, comma 18, ha abrogato il comma 2 dell'articolo 37 del c.n., disciplinante il "diritto di insistenza" e, contestualmente, disponendo una proroga sino al 31.12.2015 della scadenza di tutte le concessioni in essere alla data di entrata in vigore del decreto. Tale emendamento ha poi comportato l'apertura di una seconda procedura di infrazione comunitaria (la n. 2010/2734), legata al permanere della disposizione relativa al rinnovo automatico delle concessioni gia' esistenti. 7. Orbene, il Tribunale, aderendo sostanzialmente ai contenuti dell'istanza di riesame datata 31.03.2022, depositata dalla difesa dell'indagato in sede di riesame, non risulta aver adeguatamente effettuato quella indispensabile attivita' critica che doveva ineludibilmente essere operata nel caso di specie, se solo si considera che il richiamato giudizio si rivelava evidentemente incentrato su un taglio interpretativo della norma pro-assistito, che, sebbene offrisse un apprezzabile quadro generale della disciplina generale della materia trattata, trascurava alcuni passaggi critici indispensabili per delineare la corretta soluzione. Occorre, infatti, rilevare come il Collegio adito configuri il rinnovo automatico (il primo istituto in ordine cronologico reputato sussistente che, solo al suo concretizzarsi, avrebbe poi legittimato le successive proroghe riconosciute ai titoli concessori) come una vera e propria protrazione del medesimo rapporto conces-sorio, senza soluzione di continuita'. Tuttavia, tale conclusione e' offerta a fondamento della motivazione dell'ordinanza impugnata senza analizzare in alcuna maniera i presupposti dell'istituto del rinnovo, insistendo ulteriormente sull'assunto che, rinnovata automaticamente, la concessione in esame sia stata prorogata, con cio' richiamando il principio secondo cui in sede di proroga - e non di rinnovo (alla data della scadenza al 31.12.2007) - sussistessero i presupposti per l'esonero dell'Amministrazione dall'istruire qualsiasi procedimento di rinnovo, nonche' per l'esonero di attivita' istruttorie finalizzate a qualsivoglia accertamenti di carattere amministrativo/finanziario, anche in relazione alla pretesa correttezza del concessionario nel pagamento dei canoni concessori dovuti. Nel caso in esame, tuttavia, non sussistono le condizioni del c.d. rinnovo automatico, stante l'assenza dei presupposti richiesti dalla normativa; tra questi, proprio la regolarita' nella corresponsione dei canoni dovuti alla data di scadenza, nonche' la sottoscrizione e registrazione di un titolo valido che, qualora esistente e regolarmente formalizzato, avrebbe eventualmente dato in seguito accesso al regime di proroga. E invero, per il perfezionamento del citato iter procedimentale di rinnovo, la Regione Abruzzo e' tenuta, ineludibilmente, a riscontrare l'avvenuto pagamento dei canoni dovuti. Conformemente a tali disposizioni normative, la Regione Abruzzo - Servizio di Pianificazione Territoriale e Paesaggio - Ufficio Demanio Marittimo tramite la nota n. 48641 del 09.02.2021 evidenziava del resto che la societa' (OMISSIS) s.n.c. non aveva effettuato il pagamento dei canoni demaniali marittimi dell'anno 2009 ad oggi per una somma totale pari a Euro 363.915,17 e altresi' non aveva pagato le imposte regionali (10/0 del canone) per una somma totale pari a Euro 41.794,61. Nel caso di specie, invece, il mancato configurarsi di tali essenziali presupposti ha conseguentemente inibito la definizione del procedimento e, con esso, anche l'adozione e l'emanazione di un titolo concessorio valido, titolo che, qualora regolarmente formalizzato, avrebbe avuto poi accesso al gia' richiamato istituto della proroga. Infatti, sulla base della normativa richiamata, il distinguo tra l'istituto del rinnovo dell'atto concessorio e quello della mera proroga e' rappresentato dalla ineludibile circostanza che, mentre quest'ultima presuppone la continuazione di un rapporto in corso, il rinnovo, invece, incide, rivitalizzandolo, su un rapporto ormai esaurito. Perche' tale rivitalizzazione si concretizzi, non si puo' prescindere dal concretizzarsi degli estremi di una nuova concessione, che si sostituisce alla precedente gia' scaduta. In tal senso, si noti, anche alcune pronunce della giurisprudenza amministrativa riguardanti l'accoglimento di ricorsi in appello promossi proprio dall'Agenzia del Demanio di Pescara contro le opposizioni proposte dagli stabilimenti balneari del teramano (Cons. St., sentenze nn. 6850-6851-68526853/2018, tutte in data 03/12/2018). Di fatto, nella concreta fattispecie, nessun procedimento amministrativo, preordinato alla decadenza della concessione, doveva essere instaurato dalla Regione Abruzzo, in quanto tale istituto caducatorio presuppone inevitabilmente la sussistenza di un rapporto giuridico valido ed efficace e non, come in questo caso, una situazione gia' scaduta e, quindi, definitivamente esaurita. 8. Alla stregua di quanto sopra, poi, non rileva, a giudizio del Collegio, la questione relativa alla "proroga automatica" delle concessioni che, infatti, presuppone un titolo concessorio valido ed efficace e non, invece, un titolo scaduto, peraltro alla data del 31.12.2007, dunque antecedente alla normativa interna, succedutasi nel tempo (ossia Decreto Legge n. 194 del 2009articolo 1, comma 18, , che ha prorogato i termini di scadenza delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalita' turistico - ricreative dapprima al 31.12.2015; successivamente, le modifiche apportate dal Decreto Legge n. 18 ottobre 2012, convertito nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, sino al 31.12.2020 e, infine, per effetto dell'articolo 1, commi 682 e 683 della successiva L. n. 145/2018, sino al 31.12.2033), dichiarata incompatibile alla luce della Direttiva n. 2006/123/CE. Ed invero, va ricordato che Decreto Legge n. 400 del 1993articolo 1, comma 2, , abrogato dal L. 15 dicembre 2011, n. 217 articolo 11, comma 1, (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' Europee Legge comunitaria 2010) stabiliva che "le concessioni di cui al comma 1, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attivita', hanno durata di sei anni. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e cosi' successivamente ad ogni scadenza, fatto salvo l'articolo 42, comma 2, codice navale Le disposizioni del presente comma non si applicano alle concessioni rilasciate nell'ambito delle rispettive circoscrizioni territoriali dalle autorita' portuali di cui alla L. 28 gennaio 1994, n. 84". L'abrogazione di quella disposizione, come espressamente chiarito dalla L. n. 217 del 2011, che vi provvedeva, si era resa necessaria per chiudere la procedura di infrazione n. 2008/4908 avviata ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea e per rispondere all'esigenza degli operatori del mercato di usufruire di un quadro normativo stabile che, conformemente ai principi comunitari, consentisse lo sviluppo e l'innovazione dell'impresa turistico-balneare-ricreativa. L'instaurazione della procedura d'infrazione e la successiva abrogazione della norma erano conseguenza di un contrasto della normativa interna, oltre che con i principi del Trattato in tema di concorrenza e di liberta' di stabilimento, con la direttiva n. 2006/123/CE nella parte in cui, con l'articolo 12, comma 2, esclude il rinnovo automatico della concessione. 9. Conclusivamente, la concessione rilasciata alla 4G, con scadenza alla data del 31 dicembre 2007, non "esisteva" piu' al momento dell'entrata in vigore del Decreto Legge n. 194 del 2009 articolo 1, comma 18, , conv. in L. n. 25 del 2010, e come tale non poteva essere non solo oggetto di rinnovo (posto che il mancato pagamento del canone ex articolo 47, lettera d), c.n., ne comporta la decadenza, imponendo all'Amministrazione l'esercizio di un potere di discrezionalita' vincolata, con conseguente esclusione di ogni possibile bilanciamento tra l'interesse pubblico e le esigenze del privato concessionario: tra le tante, Cons. St., Sez. VI, n. 465 del 2 febbraio 2015) ne', tantomeno, oggetto di proroga. Sul punto, del resto, e' sufficiente in questa sede ricordare che in relazione allo svolgimento del rapporto concessorio conseguente al rilascio di una concessione demaniale marittima, la decadenza del concessionario per omesso pagamento del canone concessorio costituisce atto doveroso, unitamente alle altre ipotesi previste dall'articolo 47 del Codice della Navigazione, che (con l'esclusione della lettera f), che fa generico riferimento alla " inadempienza degli obblighi derivanti dalla concessione") rappresentano altrettante clausole risolutive espresse, integrate le quali la risoluzione opera di diritto (v., sul punto: Cass. civ., Sez. 2, sentenza n. 20854 del 02/10/2014, Rv. 632838 - 01), senza necessita' di provare la gravita' dell'inadempimento della controparte (T.A.R. Cagliari, Sardegna, sez. I, 18/09/2019, n. 746). La concessione demaniale in questione era scaduta e non prorogata ne' prorogabile; e cio' in quanto gia' Decreto Legge n. 30 dicembre 2009, n. 194, articolo 1, comma 18 conv. in L. 26 febbraio 2010, n. 25 prevedeva che il termine di durata delle concessioni "in essere" alla data di entrata in vigore del predetto decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 fosse prorogato fino al 31 dicembre 2020, con la logica conseguenza che la proroga dovesse intendersi come valevole solo per le concessioni "nuove" (nel senso di successive al Decreto Legge n. 194 del 2009 conv. in L. n. 25 del 2010) in quanto "in essere alla data di entrata in vigore del Decreto Legge n. 194 del 2009 e in scadenza" e tale non era la concessione originariamente emessa a favore della 4G (v., in senso conforme: Sez. 3, n. 29763 del 26/03/2014 - dep. 08/07/2014, Di Francia, Rv. 260108; Sez. 3, n. 32966 del 02/05/2013 - dep. 30/07/2013, Vita, Rv. 256411). Del tutto inconferente e' dunque il richiamo, da parte del Tribunale distrettuale e della difesa della 4G, dell'omessa attivazione, da parte dell'Amministrazione, del procedimento di decadenza dalla concessione per l'omesso pagamento del canone di concessione, di cui all'articolo 47, comma 1, lettera d), c.n., per l'assorbente ragione che, essendo la concessione scaduta, non era piu' in essere alcun rapporto giuridico tra l'amministrazione e la 4G. Ne', infine, risulta che la concessionaria abbia usufruito del c.d. condono balneare di cui all'articolo 100, di. 4 agosto 2020, n. 104, convertito con modificazioni dalla L. 13 ottobre 2020, n. 126. 10. Che, del resto, questa sia la conclusione corretta, era stato gia' affermato da questa stessa Sezione (Sez. 3, n. 29105 del 16 settembre 2020, dep. 21 ototbre 2020, PM in proc. Longino, n. m.). Va, infine, richiamata la giurisprudenza di legittimita' secondo cui il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale marittimo si configura anche in caso di occupazione protrattasi oltre la scadenza del titolo, a nulla rilevando l'esistenza della pregressa concessione e la tempestiva presentazione dell'istanza di rinnovo (da ultimo: Sez. 3, n. 34622 del 22/06/2011 - dep. 23/09/2011, P.M. in proc. Barbieri, Rv. 250976), attesa la natura costitutiva del diritto e non meramente autorizzatoria del provvedimento amministrativo di concessione. 11. Da ultimo, ritiene il Collegio che parimenti non abbia rilievo l'articolo 3, comma 3, L. 5 agosto 2022, n. 118 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021, in G.U. n. 188 del 12-8-2022), in vigore dal 27/08/2022, che ha disciplinato l'annosa questione delle concessioni demaniali marittime all'articolo 3, introducendo un inciso al comma 3 che impedisce di ritenere configurabile, fino al 31.12.2023 o, in presenza delle condizioni ivi indicate, fino al 31.12.2024, il reato di cui all'articolo 1161 c.n. Tale disposizione, che proroga ex lege l'efficacia, fino alle predette date, delle concessioni indicate dalla lettera a) della medesima disposizione, subordina infatti la proroga "a tempo" dell'efficacia alla condizione che la concessione sia "in essere alla data di entrata in vigore della presente legge sulla base di proroghe o rinnovi disposti anche ai sensi della L. 30 dicembre 2018, n. 145, e del Decreto Legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 ottobre 2020, n. 126", con la conseguenza che tale disposizione non trova applicazione, invece, a quelle concessioni che non sono in essere alla data del 27.08.2022, ossia data di entrata in vigore della L. 118/2022. E' quindi lo stesso Legislatore a prevedere espressamente che tale "beneficio" non possa estendersi alle concessioni scadute, tra cui vi rientra quella in esame, soggetta si' a rinnovo automatico in forza della clausola n. 10, ma subordinatamente alla condizione del regolare pagamento dei canoni concessori, non corrisposti a far data dal 2009, come emerge dagli atti, donde la stessa da tale data era da considerarsi scaduta perche' decaduta ex articolo 47, comma 1, lettera d), c.n., con conseguente permanenza dell'abusiva occupazione dello spazio demaniale marittimo, integrante l'illecito di cui all'articolo 1161 c.n. 12. L'impugnata ordinanza dev'essere pertanto annullata per nuovo giudizio davanti al tribunale di Teramo. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Teramo competente ai sensi dell'articolo 324, comma 5, c.p.p.

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