Sentenze recenti omicidio preterintenzionale

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. MOROSINI Elisabetta M. - Consigliere Dott. SGUBBI Vincenzo - Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovanni - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 16/02/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di BARI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FRANCOLINI GIOVANNI; letta la requisitoria scritta presentata - Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, ex articolo 23, comma 8, conv. con modif. dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 - dal Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Dott. VENEGONI ANDREA, che ha chiesto di dichiarare inammissibile o di rigettare il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 16 febbraio 2020 la Corte di assise di appello di Bari, a seguito del gravame interposto nell'interesse di (OMISSIS), ha confermato la pronuncia in data 8 marzo 2021 con la quale il G.i.p. del Tribunale di Bari, all'esito di giudizio abbreviato, aveva affermato la responsabilita' del medesimo imputato per l'omicidio preterintenzionale di (OMISSIS) (aggravato perche' commesso per futili motivi: articoli 584, 585 c.p., e articolo 577 c.p., comma 1, n. 4, in relazione all'articolo 61 c.p., comma 1, n. 1) e, concesse le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza, lo aveva condannato alla pena di sette anni di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere durante la custodia cautelare. 2. Avverso la sentenza di appello il difensore dell'imputato ha proposto ricorso per cassazione, articolando sette motivi (di seguito enunciati, nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1). 2.1. Con il primo motivo e' stato denunciato il vizio di motivazione, anche per la mancanza di argomentazione sulle specifiche doglianze prospettate con l'atto di appello, in relazione: - alla sussistenza dell'elemento psicologico del delitto (da ravvisarsi nel dolo misto a colpa e che richiedere la concreta prevedibilita' della morte della persona offesa, che nella specie non ricorrerebbe), soggiungendo che dalla veritiera narrazione offerta dal (OMISSIS) si trarrebbe il difetto di prova di esso poiche', nell'occorso, egli intendeva solo chiedere spiegazioni al (OMISSIS) che aveva minacciato il figlio di quattro anni dell'imputato e non si potrebbe ritenere che l'uso di guanti, da parte dello stesso (OMISSIS), sia dimostrativo della sua intenzione di eludere le indagini, essendosi presentato in loco con la propria auto; - al rapporto di causalita' tra la condotta del (OMISSIS) e il decesso del (OMISSIS), fondato sulla relazione del consulente del pubblico ministero, il quale tuttavia ha affermato solo in via ipotetica che le lesioni subite dalla persona offesa siano derivate dall'impatto con il suolo del suo capo, senza dare alcuna certezza sulla causazione dell'evento, soprattutto rispetto all'esito dell'intervento dei sanitari (qualora il personale medico avesse avuto conoscenza del trauma cranico del (OMISSIS) subito dopo il suo ricovero). 2.2. Con il secondo motivo e' stato addotto il vizio di motivazione, anche per non aver argomentato sulle specifiche doglianze prospettate con l'atto di appello, con riguardo alla sussistenza della circostanza aggravante dei motivi futili, di cui - in ossequio ai principi posti dalla giurisprudenza - non ricorrerebbero i presupposti in quanto il (OMISSIS) ha costantemente affermato di aver agito perche' preoccupato per l'incolumita' del figlio (oggetto delle minacce del (OMISSIS) che, senza motivo alcuno, aveva rappresentato che lo avrebbe fatto sparire) e che il Giudice di appello avrebbe ritenuta senza una chiara argomentazione. Inoltre, la Corte di merito erroneamente avrebbe affermato che il (OMISSIS) ha riferito delle minacce solo in un momento successivo (avendole egli riportate gia' in sede di spontanee dichiarazioni il 26 agosto 2020 e quando e' stato ascoltato lo stesso giorno in presenza del suo difensore) e, comunque, in maniera contraddittoria avrebbe creduto all'imputato quando ha ammesso la propria responsabilita' e non quanto ha narrato di esse. 2.3. Con il terzo motivo e' stato denunciato il vizio di motivazione, anche per mancanza di argomentazione sulle specifiche doglianze prospettate con l'atto di appello, in relazione alla sussistenza del nesso di causalita' tra l'azione dell'imputato e il decesso della persona offesa, tenuto conto del fatto che - a fronte dell'affermazione da parte di quest'ultima in sede di anamnesi - di non aver subito traumi, solo molto tempo dopo il ricovero (avvenuto alle ore 21:55) e' stata eseguita la TAC che ha evidenziato un'emorragia cerebrale (dopo le 23:30) e il (OMISSIS) e' stato sottoposto a intervento chirurgico (alle ore 3:34). Su tali elementi la Corte di merito non avrebbe argomentato, riportandosi alla relazione del consulente del pubblico ministero che - come gia' esposto - si e' espressa in termini ipotetici e per nulla esaustivi. 2.4. Con il quarto motivo e' stato addotto il vizio di motivazione, anche per mancanza di argomentazione sulle specifiche doglianze prospettate con l'atto di appello, in relazione alla chiesta derubricazione del fatto in omicidio colposo. Ad avviso della difesa, infatti, occorrerebbe distinguere due segmenti della condotta, ossia i colpi inferti dal (OMISSIS) al (OMISSIS) (con la volonta' di causare un danno) e il successivo sgambetto (dettato dalla sola intenzione di fermare la vittima per ottenere un chiarimento che, dunque, costituirebbe una condotta negligente o imprudente). 2.5. Con il quinto motivo e' stato prospettato il vizio di motivazione, anche per mancanza di argomentazione sulle specifiche doglianze prospettate con l'atto di appello, in ordine al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto - in ossequio ai principi posti dalla giurisprudenza - della condotta positiva dell'imputato (che ha chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato e si e' spontaneamente presentato in Questura ammettendo la propria responsabilita', collaborando sin dalle prime fasi delle indagini), non potendo negarsi rilievo - come contraddittoriamente ha fatto la Corte di merito - alla confessione sol perche' la polizia giudiziaria era sulle tracce del colpevole (atteso che, comunque, gli operanti disponevano solo della targa della vettura condotta dal reo, di proprieta' non dell'imputato ma del padre), difettando un riferimento alle dichiarazioni spontanee del (OMISSIS) innanzi al Giudice di appello (ove ha chiesto scusa per il proprio comportamento, comprendendone la gravita') e, infine, avendo la Corte distrettuale argomentato in maniera contraddittoria allorche' ha escluso segnali concreti e affidabili di resipiscenza. 2.6. Con il sesto motivo e' stato addotto il vizio di motivazione, anche per mancanza di argomentazione sulle specifiche doglianze prospettate con l'atto di appello, in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione (con giudizio di prevalenza), nonostante le minacce del (OMISSIS) riguardanti il figlio dell'imputato. 2.7. Con il settimo motivo e' stato denunciato il vizio di motivazione, per mancanza di argomentazione sulle specifiche doglianze prospettate con l'atto di appello, con riferimento alla determinazione della pena base, che la Corte di merito si sarebbe limitata a ritenere congrua ed adeguata senza alcuna specifica motivazione nonostante sia stata irrogata in misura superiore al minimo, rendendo in tal modo "praticamente (...) inoperante" la riduzione per il rito. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' nel complesso infondato. 1. Il primo e il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente. 1.1. La prospettazione relativa alla elemento psicologico del delitto e' nel complesso infondata. La Corte territoriale, in relazione alle censure prospettate con l'atto di appello, ha richiamato l'orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimita' secondo cui, "l'elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale non e' costituito da dolo e responsabilita' oggettiva ne' dal dolo misto a colpa (...), ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all'articolo 43 c.p. pone una valutazione ex lege quanto alla prevedibilita' dell'evento da cui dipende l'esistenza del delitto, ritenendo l'assoluta probabilita' che da una azione violenta contro una persona possa derivare la morte della stessa" (cosi', in motivazione, Sez. 5, n. 25940 del 30/06/2020, M., Rv. 280103 - 01, 280103 - 02; cfr. pure, tra le altre, Sez. 5, n. 44986 del 21/9/2016, Mule', Rv. 268299; Sez. 5, n. 791 del 18/10/2012, dep. 2013, Palazzolo, Rv. 254386; Sez. 5, n. 40389 del 17/5/2012, Perini, Rv. 253357). Purtuttavia, la decisione - al di la' del detto richiamo - e' conforme anche al principio, piu' di recente espresso, secondo cui "in tema di reati contro la persona, l'omicidio preterintenzionale si configura allorquando la morte della vittima sia eziologicamente legata alla condotta diretta soltanto a percuotere o a ledere e costituisca l'evento non voluto e non previsto, pur se in concreto ragionevolmente prevedibile, che concretizza la specifica situazione di rischio generata dal reo con il suo illecito" (Sez. 5, n. 46467 del 27/09/2022, D., Rv. 283892 - 01): la Corte distrettuale ha, infatti, evidenziato, con particolare riferimento alla fase finale dell'aggressione (ricostruita per il tramite della visione delle immagini riprese dalla videosorveglianza, della deposizione del (OMISSIS), oltre che delle risultanze medico-legali), come l'imputato abbia non solo colpito violentemente al corpo il (OMISSIS) ma lo abbia sgambettato proprio per fermarlo farlo rovinare al suolo e "portare a termine il suo disegno lesivo". Nel resto, la difesa si e' affidata ad asserti del tutto generici, reiterando in ampia misura quanto esposto nell'atto di appello senza neppure denunciare il travisamento della prova, finendo per perorare irritualmente un diverso apprezzamento degli elementi in atti, segnatamente, alla luce della deposizione dell'imputato (Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268360 - 01), che la Corte di merito ha disatteso con una motivazione congrua e logica, fondata su elementi di fatto (come in parte anticipato, in particolare, le videoriprese e le dichiarazioni del (OMISSIS)) neppure menzionati dalla difesa. 1.2. E', invece, manifestamente infondata e priva di specificita' la prospettazione difensiva (contenuta nel primo e nel terzo motivo di ricorso) relativa al rapporto di causalita' tra la condotta del (OMISSIS) e il decesso del (OMISSIS), anche in relazione all'intervento dei sanitari. "Ai fini dell'integrazione dell'omicidio preterintenzionale e' necessario che l'autore dell'aggressione abbia commesso atti diretti a percuotere o ledere la vittima, che esista un rapporto di causa ed effetto tra gli atti predetti e l'evento letale e che eventuali cause sopravvenute non siano da sole sufficienti a determinare l'evento, ma lo abbiano causato in sinergia con la condotta dell'imputato, per cui, venendo a mancare una delle due, l'evento non si sarebbe verificato" (Sez. 5, n. 6918 del 08/01/2016, Avram, Rv. 266614 - 01). Difatti, a mente dell'articolo 41 c.p., comma 3, "il nesso causale tra la condotta dell'agente e l'evento puo' ritenersi interrotto solo quando le cause sopravvenute siano tali da essere state, per se' sole, sufficienti a determinare l'evento, escludendo in tal modo il rapporto di causalita' tra la condotta dell'imputato (fatto remoto) e l'evento stesso, il quale, a questo punto, si collega direttamente (e solo) al fatto piu' recente" (ivi; cfr., Cass., Sez. 5, n. 35709 del 02/07/2014, Desogus, Rv. 260315). In altri termini, "la causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento e' certamente anche quella che, pur inserendosi nella serie causale dipendente dalla condotta dell'imputato, agisce per esclusiva forza propria nella determinazione dell'evento stesso, in modo che la condotta dell'imputato, pur costituendo un antecedente necessario per l'efficacia delle cause sopravvenute, assume rispetto all'evento non il ruolo di fattore causale, ma di semplice occasione" (ivi). Ragion per cui "sono cause sopravvenute o preesistenti, da sole sufficienti a determinare l'evento, quelle del tutto indipendenti dalla condotta dell'imputato, sicche' non possono essere considerate tali quelle che abbiano causato l'evento in sinergia con la condotta dell'imputato stesso, atteso che, venendo a mancare una delle due, l'evento non si sarebbe verificato" e "non sono dunque cause da sole sufficienti a determinare l'evento quelle che operano "in unione" con la condotta dell'imputato" (Sez. 5, n. 6918/2016, cit.). Cio' e' a dirsi anche qualora sia stato il "comportamento della vittima" ad aver "contribuito ad aggravare le conseguenze del reato (ivi). Sotto il profilo in discorso, la prospettazione difensiva, per il tramite di enunciati meramente assertivi, ha mosso censure alla ricostruzione tratta dalla relazione di consulenza del pubblico ministero che, alla luce di quanto riportato nella sentenza impugnata (oggetto di apodittica contestazione nel ricorso), non si e' affatto espresso in maniera ipotetica nell'indicare la causa del decesso dell'offeso nel trauma cranioencefalico derivante dall'urto con il suolo per effetto della caduta determinata dall'azione dell'imputato, ed anzi ha puntualizzato che proprio per l'entita' e la natura delle lesioni riscontrate, se anche il (OMISSIS) fosse stato sottoposto a intervento chirurgico appena giunto nel nosocomio, l'evoluzione del quadro patologico sarebbe stata analoga; e cio' contrariamente a quanto genericamente dedotto nel ricorso che si e' limitato ad ipotizzare un diverso decorso causale in relazione alla condotta dei sanitari che hanno avuto in cura la persona offesa, senza neppure avere riguardo ai principi appena richiamati in ossequio ai quali puo' ravvisarsi una causa sopravvenuta da sola sufficiente. 2. Il secondo motivo, inerente alta ritenuta sussistenza dell'aggravante dei motivi futili, e' inammissibile. Esso in realta', riproponendo ampiamente quanto gia' dedotto con l'atto di appello (in ampia parte trascritto), ha prospettato irritualmente un diverso apprezzamento del fatto sulla scorta della narrazione dell'imputato; e non ha dedotto utilmente il travisamento della prova (segnatamente, allorche' ha escluso che il (OMISSIS) avesse gia', nel corso delle prime dichiarazioni, indicato il motivo del suo agire), non soltanto perche' la sentenza impugnata ha dato atto dell'immediata rappresentazione da parte dell'imputato che la vittima aveva spinto il figlio (pur rilevando le "aggiunte susseguenti", ossia nel corso delle successive audizioni) e il travisamento e' stato dedotto senza la necessaria specificita' ma con asserti generici (Sez. 2, n. 46288/2016, cit.), ma soprattutto per la dirimente considerazione che la Corte di merito (alla luce della dinamica del fatto ricostruita per il tramite delle riprese delle telecamere presenti in loco, della deposizione del (OMISSIS) e del fatto che l'imputato si sia presentato munito di guanti - da cui il Giudice distrettuale ha inferito che egli fosse a conoscenza della positivita' all'HIV della persona offesa), ha ritenuto in maniera congrua e logica che quanto accaduto prima dell'aggressione abbia comunque rappresentato un mero pretesto che ha condotto il (OMISSIS) a dare sfogo ai propri impulsi violenti, cosi' argomentando in maniera conforme alla giurisprudenza (cfr. Sez. 5, n. 25940 del 30/06/2020, M., Rv. 280103 - 02: "a circostanza aggravante dei futili motivi sussiste ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levita', banalita' e sproporzione, rispetto alla gravita' del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l'azione criminosa, tanto da potersi considerare, piu' che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento"); e con tale iter il ricorso non si e' confrontato effettivamente. 3. Il quarto motivo - relativo alla mancata derubricazione del fatto in omicidio colposo - e' inammissibile. Anch'esso, oltre a riprodurre quasi integralmente quanto prospettato con l'atto di appello, contiene asserti generici e finisce col prospettare irritualmente un diverso apprezzamento di fatto rispetto a una motivazione che ha compiutamente esposto le ragioni per cui il fatto e' stato qualificato come omicidio preterintenzionale (cfr. retro, par. 1.), chiarendo dunque - mediante il detto iter - il perche' non si e' determinata per la chiesta derubricazione (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575 - 01). 4. Il quinto e il sesto motivo, relativi alle circostanze attenuanti e al bilanciamento, possono essere trattati congiuntamente. Deve osservarsi che: - la Corte distrettuale ha escluso i presupposti della provocazione facendo corretta applicazione del principio di diritto secondo cui essa e' incompatibile con la circostanza aggravante dei futili motivi (cfr. Sez. 1, n. 13740 del 06/03/2020, Musto, Rv. 278896 - 01: "la circostanza aggravante dei futili motivi e' incompatibile con l'attenuante della provocazione, non potendo coesistere, nel compimento della stessa azione, stati d'animo contrastanti, dei quali l'uno esclude l'ingiustizia dell'azione dell'antagonista"), il che esime dal dilungarsi per rimarcare la genericita' delle censure difensive al riguardo (affidate alla mera riproposizione di quanto esposto nell'atto di appello); - la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e' stata esclusa evidenziando, rispetto a quanto prospettato con l'atto di appello, come l'imputato al momento del fatto fosse un soggetto maturo (di ventisei anni) che ha dato dimostrazione di spiccata capacita' criminale sia nel caso di specie (avendo la Corte fatto riferimento nuovamente all'iter criminis e alla sua programmazione) sia in precedenza (avendo riportato precedenti condanne irrevocabili), e chiarendo le ragioni per cui la confessione del (OMISSIS) (ritenuta, non del tutto affidabile alla luce del compendio probatorio) e la sua presentazione spontanea non potessero condurre a un giudizio di prevalenza (anche tenuto conto delle facilita' di risalire al veicolo impiegato nell'occorso, intestato al padre dell'imputato, nonche' a quest'ultimo, essendo egli stato ripreso dai sistemi di videosorveglianza della zona) ed affermando che le generiche scuse rese in udienza non palesassero concreti e affidabili segni di resipiscenza; si tratta di un'argomentazione congrua e logica, con la quale il Giudice di appello ha dato conto degli elementi su cui ha fondato l'esercizio del proprio potere discrezionale (cfr. Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 - 02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269 - 01) e che non puo' essere qui sindacato sulla scorta del diverso apprezzamento prospettato dal ricorso (peraltro, in ampia misura per il tramite della mera trascrizione dell'atto di appello, senza censurare la decisione impugnata con la necessaria specificita'), che ha pure addotto erroneamente, quale elemento da apprezzare, la scelta del rito abbreviato (cui ex lege consegue la riduzione della pena, dopo la sua corretta determinazione: cfr. Sez. 3, n. 46463 del 17/09/2019, Di Puccio, Rv. 277271 - 01). 5. Il settimo motivo - relativo alla determinazione della pena base - e' inammissibile. La sentenza ha compiutamente argomentato al riguardo evidenziando la congruita' della pena in ragione del grado di violenza esercitata, all'intensita' dell'aggressione e alle rimanenti modalita' del fatto, cosi' rendendo una motivazione senz'altro congrua, anche a prescindere dal fatto che la pena e' stata irrogata in misura ben inferiore al medio edittale (Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, Torre, Rv. 276932 - 01; Sez. 5, n. 11329 del 09/12/2019 - dep. 2020, Retrosi, Rv. 278788 - 01; Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288 - 01) ed anzi prossima al minimo (poiche' determinata in anni dieci e mesi sei di reclusione). 6. Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. SIANI Vincenzo - rel. Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere Dott. CAPPUCCIO Daniele - Consigliere Dott. GALATI Vincenzo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 27/05/2022 della CORTE APP.SEZ.MINORENNI di BARI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO SIANI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, DALL'OLIO MARCO, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso; uditi i difensori: l'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso; l'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Bari II 15 ottobre 2021, (OMISSIS) era stato giudicato con rito abbreviato in ordine ai seguenti reati: - furto aggravato anche dall'effrazione, in concorso con altri, della Fiat Punto di proprieta' di (OMISSIS), poi utilizzata nella commissione del reato seguente, furto consumato in (OMISSIS) (capo A); - reato continuato di rapina aggravata e di porto ingiustificato di coltello commessi, in concorso con altri, nel bar tabaccheria (OMISSIS) di (OMISSIS), in (OMISSIS) (capo B); - reato di omicidio aggravato dal nesso teleologico con la rapina di cui al capo precedente commesso in concorso con altri in danno di (OMISSIS), colpito da diverse coltellate sferrate da (OMISSIS), una delle quali rivelatasi letale, con condotta perpetrata in Foggia il 17/09/2020 e decesso avvenuto ivi, il successivo 9/10/2020 (capo C); - reato continuato di detenzione e cessione illegali, in concorso con il fratello (OMISSIS), maggiorenne, e con altro soggetto, di quantita' non modiche di sostanza stupefacente del tipo eroina, commesso in (OMISSIS) (capo D). Il primo giudice aveva dichiarato l'imputato colpevole dei reati ascrittigli, avvinti in continuazione, e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e l'attenuante della minore eta', in regime di equivalenza alla circostanza aggravante di cui all'articolo 61 c.p., comma 1, n. 2, nonche' computata la riduzione per il rito, aveva condannato (OMISSIS) alla pena di anni sedici di reclusione, con la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. 1.1. Appellata la suddetta decisione dall'imputato, la Sezione per i minorenni della Corte di appello di Bari, con sentenza del 27 maggio 2022, ha confermato la sentenza di primo grado. 1.2. Le conformi decisioni di merito hanno accertato che, nel primo pomeriggio del (OMISSIS), alla Via (OMISSIS), quattro individui erano giunti davanti al bar - tabaccheria denominato "(OMISSIS)", a bordo di un'auto Fiat Panda; tre dei quattro soggetti - tutti travisati da passamontagna, uno gia' armato di coltello e gli altri due muniti ciascuno di una busta di colore nero - erano entrati nel suddetto locale, mentre il quarto era restato a bordo del veicolo; due dei rapinatori, tra cui quello munito di coltello, si erano portati verso il bancone del locale, in corrispondenza del registratore di cassa, ove si trovavano il titolare (OMISSIS) e la dipendente (OMISSIS); (OMISSIS) per bloccare i rapinatori aveva lanciato contro di loro un contenitore da banco e si era posto tra i rapinatori (che stavano tentando di accedere allo spazio retrostante al banco di vendita) e il registratore di cassa, consentendo alla dipendente di allontanarsi dal banco; pero', (OMISSIS) era stato sopraffatto dai malviventi, i quali lo avevano colpito e sbattuto contro il bancone e poi lo avevano ferito al volto con il coltello, impugnato da uno dei rapinatori, lo avevano buttato a terra e lo avevano colpito anche con calci; vinta la resistenza della persona offesa, rimasta inerme in terra, i rapinatori si erano impossessati del contenuto del registratore di cassa e di alcuni tagliandi del "gratta e vinci" collocati sul bancone; intanto, il terzo complice, restato all'ingresso del locale commerciale, teneva a bada (OMISSIS) e l'altro dipendente (OMISSIS), scagliando contro di loro un posacenere in metallo; indi, conclusa l'azione, i tre rapinatori erano usciti risalendo a bordo del veicolo e dileguandosi insieme al quarto complice. La Fiat Panda, la sera dello stesso giorno, era stata ritrovata in localita' "(OMISSIS)" incendiata e se ne era accertata la provenienza furtiva, in quanto il veicolo era stato oggetto di furto perpetrato la sera precedente, alla via (OMISSIS), a (OMISSIS). Poi (OMISSIS), nonostante il pronto ricovero in Ospedale e i trattamenti sanitari ricevuti, era deceduto il successivo 9 ottobre 2020 in conseguenza del trauma patito con la pugnalata al volto. Il primo giudice - non concessa all'imputato la sospensione del processo con ammissione alla messa alla prova da lui richiesta - aveva ritenuto accertata la penale responsabilita' di (OMISSIS) in ordine a tutti i reati a lui ascritti, secondo la qualificazione giuridica formulata nelle imputazioni, e aveva raggiunto l'epilogo decisorio suindicato ponendo, fra le altre prove, a base della sua valutazione le riprese ottenute dai sistemi di videosorveglianza collocati all'interno e all'esterno del bar tabaccheria e dagli altri installati lungo le vie della citta' di Foggia, gli esiti degli appostamenti e delle intercettazioni telefoniche e ambientali, con esame dei flussi telefonici e dei dati, nonche' l'esame autoptico sul cadavere della vittima, effettuato dal consulente del Pubblico ministero, prof. (OMISSIS). Successivamente, la Corte territoriale, all'esito della rivalutazione dei capi e punti presi in considerazione dalla difesa con l'appello, ha raggiunto il riferito approdo di segno sovrapponibile a quello di primo grado. 2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso il difensore di (OMISSIS) chiedendone l'annullamento e affidando l'impugnazione a otto motivi. 2.1. Con il primo motivo si prospettano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, articolo 28 e l'illogicita' della motivazione derivante da travisamento della prova per il diniego, confermato dalla Sezione per i minorenni della Corte di appello, della sospensione del processo con ammissione dell'imputato alla messa alla prova. Muovendo dal presupposto secondo cui la valutazione degli elementi relativi alla suddetta sospensione e' riservata al giudice del merito, la difesa sottolinea che, in ogni caso, l'insindacabilita' in sede di legittimita' della valutazione stessa e' subordinata alla sussistenza di adeguata motivazione a fondamento del corrispondente diniego, motivazione che, in particolare, deve prendere in esame gli elementi sintomatici dell'evoluzione graduale della personalita' dell'imputato. Invece - si evidenzia - i giudici di appello hanno basato la conferma dell'esclusione dell'imputato dalla messa alla prova soltanto sulla gravita' astratta del reato, di per se' non preclusiva del beneficio, mutuando i parametri di riferimento da casi in cui molto piu' grave ed efferato era risultato l'episodio criminoso: la soluzione offerta nella sentenza impugnata non e' percorribile, in quanto l'articolo 28 cit. non prevede limitazioni oggettive alla messa alla prova. In secondo luogo, si lamenta la contraddittorieta' del ragionamento espresso dai giudici di appello in punto di valutazione della personalita' dell'imputato e del percorso da lui intrapreso, ragionamento che, pur dopo aver dato atto del corretto comportamento di (OMISSIS) e del suo affermato pentimento per i crimini commessi, ne sostiene l'inadeguatezza: si e' omessa, pero', la valutazione delle note positive riferite dalla relazione di sintesi del 26/02/2021, sia in riferimento all'incensuratezza dell'imputato e al suo ruolo nella famiglia di origine, sia in ordine al percorso trattamentale intrapreso, e quelle desumibili dalla relazione di sintesi del 20/09/2021, in punto di prosieguo proficuo del percorso rieducativo, dimostrativo anche a posteriori della scarsa consapevolezza dei rischi ai quali si andava esponendo nutrita dall'imputato al momento del fatto, essendosi trovato soverchiato in un contesto criminale connotato da indubbia pericolosita' sociale. Ebbene - lamenta la difesa - questi elementi di prova significativi per l'approfondimento della personalita' del minore e della sua positiva sottoposizione al trattamento sono stati pretermessi dai giudici di secondo grado. Ne' - si aggiunge - la Corte territoriale ha mostrato di aver concretamente considerato la confessione dell'imputato, la quale aveva, invece, consentito di addivenire all'individuazione di tutti gli autori dei reati e costituiva, quindi, un indicatore rilevante per la valutazione della possibilita' di recupero di (OMISSIS). Ancora, si contesta da parte del ricorrente l'affermazione di non occasionalita' del, pur grave, comportamento oggetto di contestazione: la motivazione economica del fatto, su cui i giudici di secondo grado hanno convenuto, contraddice l'approdo suddetto. In ogni caso, la difesa sottolinea che l'occasionalita' del comportamento non e' requisito posto dall'articolo 28 cit. per l'ammissione alla messa alla prova, essendo invece, il medesimo, necessario per addivenire alla - diversa - pronuncia di improcedibilita' per irrilevanza del fatto. Infine, si lamenta il riferimento soltanto formale all'ultima relazione di sintesi, quella del 24/05/2022, il cui contenuto, comparato con quello delle precedenti relazioni, dimostrava il miglioramento del percorso educativo e il grado di pentimento e resipiscenza raggiunti da (OMISSIS). Stanti tali elementi, il diniego della sospensione con messa alla prova e l'irrogazione della pena detentiva sacrificherebbero ingiustamente, per la difesa, le esigenze educative e di inserimento sociale del minore, la formazione della cui personalita' esige la sua sottrazione al circuito carcerario onde permettergli di dispiegare la sua volonta' di rivalsa positiva in seno alla famiglia e alla societa'. 2.2. Con il secondo motivo si denunciano la violazione degli articoli 43, 575 e 584 c.p. e il vizio della motivazione per mancata qualificazione del fatto omicidiario come preterintenzionale, anziche' volontario. L'affermazione, nella sentenza impugnata, della sussistenza alla base della condotta dell'imputato del dolo alternativo, volto a ledere o uccidere la vittima, basata sul numero dei colpi inferti, sulla forza caratterizzante il fendente letale e sull'avere lo stesso attinto organi vitali, deve essere sottoposta, secondo la difesa, a necessaria revisione critica. In tal senso il ricorrente osserva che gli stessi giudici di appello hanno rilevato che (OMISSIS) non aveva subito passivamente la rapina, ma aveva scagliato un contenitore contro gli aggressori, condotta a fronte della quale la sentenza in una parte della motivazione ha sostenuto che l'imputato aveva immediatamente reagito con il fendente mortale e in altra parte della motivazione ha segnalato la pluralita' dei fendenti portati da (OMISSIS): le affermazioni sono fra loro incompatibili, soprattutto in considerazione della tesi difensiva, secondo cui la pluralita' dei colpi, come descritta dal consulente medico-legale del Pubblico ministero, era stata motivata dalla volonta' di mero ferimento al fine di allontanare la persona offesa, lo stesso colpo mortale, per gli effetti prodotti, essendo sintomatico dell'uso di un coltello di piccole dimensioni. Su tale argomento, la difesa ritiene che la Corte territoriale abbia recepito in modo travisante l'esito dei rilievi del medico legale, il quale, descrivendo l'iter del colpo risultato mortale, aveva fatto emergere che esso non aveva attinto direttamente la zona sopraorbitale, ma era stata diretta alla regione frontale sinistra e soltanto dopo era scivolata nella cavita' orbitaria, al di sopra del bulbo oculare, rimasto sostanzialmente integro. Sicche', si desume, nel rispetto dello standard imposto dall'articolo 533 c.p.p., l'assenza del dolo omicidiario, in particolare di quello diretto, potendo considerarsi dimostrato il solo dolo di lesione e, di conseguenza, venendo in rilievo l'omicidio preterintenzionale, compatibile con il delitto di rapina. 2.3. Con il terzo motivo si deducono la violazione dell'articolo 61 c.p., comma 1, n. 2, e articolo 81 c.p. e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'aggravante teleologica e alla sua compatibilita' in concreto con la riconosciuta continuazione fra i reati. La difesa osserva che, se e' vero che non sussiste un'incompatibilita' logico-giuridica fra la suddetta aggravante e la continuazione, purtuttavia, nel caso di specie, era emersa la coincidenza fattuale fra gli elementi posti a fondamento dell'aggravante e quelli posti alla base della ritenuta continuazione: e cio' avrebbe dovuto imporre di escludere l'aggravante. Di conseguenza, dall'esclusione dell'aggravante teleologica derivava che l'elemento soggettivo alla base del fatto, anche a volerlo qualificare doloso, non era piu' che dolo d'impeto, non dolo caratterizzato da particolare intensita', qual e' invece quello nutrito in costanza di omicidio aggravato dal nesso teleologico. 2.4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione dell'articolo 62 c.p., comma 1, n. 5, per il concorso del fatto doloso della persona offesa. Premesso che il dolo afferente al fatto messo in essere dalla persona offesa non riguarda quello disciplinato dall'articolo 43 c.p., ma indica il connotato della volontarieta' della sua azione inserita nel meccanismo causale, il ricorrente sottolinea che il confliggente comportamento di (OMISSIS) si era innestato quale elemento della medesima serie causale, senza che esso fosse connotato da un rapporto di mera occasionalita' con la condotta degli aggressori. 2.5. Con il quinto motivo si denunciano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e il corrispondente vizio della motivazione per l'omessa qualificazione del reato di cui al capo D) come fatto di lieve entita' alla stregua dell'articolo 73, comma 5, Decreto del Presidente della Repubblica cit.. Il ricorrente rimarca che la fattispecie in esame, per modalita' della condotta e modicita' del quantitativo di stupefacente oggetto del reato, avrebbe dovuto essere senz'altro inquadrata fra quelle di lieve entita'. Inoltre, la difesa prospetta il travisamento della conversazione captata al prog. (OMISSIS), giacche' avrebbe dovuto evidenziarsi evidenziato che il debito di 100,00 Euro a carico del (OMISSIS) comparso nella conversazione riguardava il credito vantato dal fratello dell'imputato e che l'attivita' di spaccio era da questi svolta in surroga del fratello, vincolato dagli arresti domiciliari, a conferma dell'occasionalita' dell'iter criminis oggetto di processo. Inoltre, dalla captazione del 22 ottobre, si evinceva che il conversante (OMISSIS) ammoniva (OMISSIS) a cagione della scarsa qualita', molto tagliata, della sostanza, a conferma della diversita' della fattispecie concreta rispetto a quella regolata dal principio di diritto a cui si e' richiamata la Corte territoriale. 2.6. Con il sesto motivo viene prospettata la violazione dell'articolo 61 c.p., n. 2, articoli 62-bis, 69, 98 e 133 c.p. per l'erronea effettuazione del giudizio di bilanciamento fra le circostanze attenuanti e l'aggravante teleologica. Questa aggravante, secondo la difesa, non avrebbe potuto considerarsi in grado di suffragare il giudizio di equivalenza con le contrapposte attenuanti. Premesso che quel che rileva al riguardo e' l'intensita' in concreto delle varie circostanze, risultava evidente che l'aggravante teleologica, ove pure sussistente, non si caratterizzava per intensita' tale da legittimare il contestato giudizio di equivalenza, senza che la Corte territoriale abbia valutato gli elementi al riguardo evidenziati con l'atto di appello, con riferimento alla portata della confessione resa da (OMISSIS), al suo comportamento susseguente al reato, alla presa di distanza dalle condotte perpetrate e all'impostazione da parte sua del percorso trattamentale gia' ricordato. 2.7. Con il settimo motivo si deducono la violazione degli articoli 81 e 133 c.p. e il corrispondente vizio di motivazione. Si segnala da parte della difesa che, in contrasto con le indicazioni impartite dalla giurisprudenza di legittimita', all'applicazione della continuazione e alla fissazione dei singoli aumenti per i reati satellite non ha fatto riscontro da parte dei giudici del merito un'adeguata giustificazione della loro entita', essendosi impedito all'imputato di prendere posizione sui criteri commisurativi adottati. 2.8. Con l'ottavo motivo si denuncia l'omessa motivazione sulla durata fissata per la pena accessoria. Nell'applicare la pena accessoria stabilita dall'articolo 98 c.p., comma 2, la Corte di appello, secondo il ricorrente, non ha dato conto del criterio adottato nell'esercizio del potere discrezionale, da ancorare agli indici fissati dagli articoli 132 e 133 c.p.: in particolare, i giudici del merito non hanno spiegato per quali ragioni hanno scelto di irrogare la pena accessoria nella sua massima entita', cosi' pervenendo a un esito sproporzionato e omettendo di considerare la finalita' specialpreventiva riconnessa alla medesima; tale pena finirebbe, cosi', per essere afflittiva in via ulteriore se, dopo l'espiazione della pena principale, l'imputato dovesse trovarsi a non poter esercitare i propri diritti per altri cinque anni, a fronte del contenuto disvalore annesso al reato piu' grave, desumibile dal rilievo che per la fissazione della pena principale si era considerato il minimo edittale. 3. Successivamente il difensore di (OMISSIS) ha rassegnato memoria con cui ha ripreso e sviluppato il primo motivo di ricorso ribadendo che la sentenza impugnata ha violato il Decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, articolo 28 e ha reso una motivazione illogica e travisante in punto di negata sospensione del processo con ammissione dell'imputato alla messa alla prova. Il ricorrente ha sottolineato, in particolare, che la doglianza e' ammissibile, essendo demandato alla Corte di legittimita' il sindacato sulla motivazione che ha sorretto il diniego opposto dalla Corte territoriale, errata nell'interpretazione della norma e nella valutazione prognostica, oltre che illogica nella ponderazione delle, gia' richiamate, evidenze istruttorie. Si ribadisce, inoltre, l'incongrua dequotazione degli elementi positivi emersi con certezza, come gia' elencati nell'atto di impugnazione. Fra le considerazioni svolte con lo scritto illustrativo, la difesa rimprovera ai giudici del merito di non aver tenuto in adeguato conto le peculiarita' dell'istituto della messa alla prova nel processo minorile, previsto per tutti i reati, anche quelli di gravita' massima, siccome orientato verso finalita' puramente rieducative quante volte il giudice ritenga la messa alla prova uno strumento adeguato a superare il disagio di natura temporanea e il momento di devianza con l'impegno dell'imputato in un progetto di vita socialmente integrato, ben sostenuto dall'attivita' trattamentale e dall'assistenza dei servizi sociali: e il ragionato excursus del percorso inframurario svolto dall'imputato, come restituito dalle relazioni di sintesi rassegnate dal 26.02.2021 al 24.05.2022, non ha ricevuto, secondo la difesa, una valutazione logica e congrua dai giudici di appello, limitatisi, invece, a scarne argomentazioni, basate su concetti ed elementi non rispondenti al senso e al contenuto delle risultanze processuali. 4. Il Procuratore generale in vista della discussione orale ha rassegnato una memoria con preannunzio della richiesta di declaratoria di inammissibilita' dell'impugnazione, essendo stata - la sospensione del processo per la messa alla prova - negata dai giudici del merito con motivazione ampia e adeguata mentre non sostenibili, oltre che reiterativi, sono valutati i rilievi svolti dal ricorrente in tema di prospettato omicidio preterintenzionale, di negata sussistenza dell'aggravante teleologica, di dedotta emersione dell'attenuante del fatto doloso della vittima, di prospettata lieve entita' del delitto in materia di stupefacenti, di bilanciamento circostanziale e di commisurazione delle pene, principale e accessoria. Nel corso della discussione orale ha chiesto l'inammissibilita' dell'impugnazione sulla scorta delle argomentazioni gia' espresse nella memoria. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. L'impugnazione propone alcune questioni inammissibili e altre infondate, per cui essa va, nel suo complesso, rigettata. 2. In ordine al primo motivo, con cui si sostiene essersi verificate la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, articolo 28 e l'illogicita' della motivazione, vizi determinati dal confermato diniego della sospensione del processo con ammissione dell'imputato alla messa alla prova, le censure, pur come illustrate con la memoria susseguente, sono infondate. Mette conto ricordare che i giudici di appello, nella completa e lineare trattazione della questione, hanno condiviso la decisione del Tribunale di negare all'imputato l'accesso alla messa alla prova, con conseguente sospensione del processo, ex articolo 28 cit., spiegando che il corretto esercizio dei potere discrezionale affidato dalla norma al giudice non poteva prescindere dalla doverosa valutazione delle ragioni sottese alla consumazione dei reati, al fine di verificare in modo adeguato se esse fossero il frutto di una scelta deviante radicata o anche se esse fossero maturate in un contesto tale da non offrire affidabili appigli per il recupero del minore. In questa prospettiva, nella motivazione della sentenza impugnata, si osserva che, nonostante il corretto comportamento tenuto dall'imputato in regime detentivo e la sua affermazione di pentimento per i crimini commessi, una serie di elementi oggettivi e soggettivi deponevano in senso univocamente sfavorevole all'utile esperibilita' dell'istituto. La Corte di merito ha, al riguardo, specificato che, in primo luogo, sebbene la gravita' del reato non sia, in linea di principio, preclusiva dell'applicazione dell'istituto, essa va comunque valutata per stabilirne in concreto l'idoneita' al conseguimento dello scopo di rieducazione del minore, essendo innegabile che, quanto piu' grave e' il reato commesso, anche in considerazione delle modalita' di esecuzione dello stesso, tanto piu' improbabile si manifesta la possibilita' del serio e credibile ravvedimento del reo, e, in secondo luogo, l'applicazione della messa in prova risulta inopportuna e impraticabile quando - come nel caso di specie - a cagione dell'estrema gravita' dei delitti commessi e specialmente delle modalita' esecutive del delitto di omicidio, denotanti particolare efferatezza, aggressivita' e spietatezza, oltre all'assenza di qualsiasi motivazione diversa da quella di procurarsi un illecito guadagno, risulta essersi determinata una profonda frattura con la societa', il cui superamento richiede un tempo incompatibile con quello triennale previsto dalla norma per il compimento della prova. I giudici di secondo grado, hanno, in particolare, enucleato, quanto alle modalita' dell'azione criminosa e al perseguimento - a qualunque costo - del fine di lucro, due aspetti molto significativi: per un verso, le immagini delle video-riprese della scena del crimine rendevano pienamente condivisibili le considerazioni formulate dal Tribunale specialmente li' dove aveva sottolineato che la vittima non aveva tenuto alcuna reazione anomala, imprevedibile o violenta, al momento dell'irruzione dei rapinatori, mentre l'aggressione era stata estremamente violenta e connotata da rapida progressione criminosa, con la particolarita' che proprio (OMISSIS), al termine dell'aggressione, era anche tornato indietro, verso la vittima riversa e sanguinante, e aveva sferrato a (OMISSIS) un ultimo calcio sul corpo, sintomo di crudele accanimento; per altro verso, la ferrea determinazione dell'imputato nell'attuare il proposito criminoso era stata confermata dallo scambio di messaggi WhatsApp tra (OMISSIS) e la sua compagna ( (OMISSIS)), in cui - in epoca anteriore al fatto criminoso - egli, evidenziando di avere necessita' di danaro (per ragione non di natura vitale), a specifica domanda su come avrebbe fatto per procurarselo, aveva risposto "in tutti i modi basta che li faccio". La Sezione specializzata dalla Corte di appello ha aggiunto, nello stesso senso, la rilevante considerazione secondo cui i fatti criminosi in esame, ossia quelli consistiti nella rapina consumata il (OMISSIS), preceduta dal furto dell'auto e sfociata nell'omicidio di (OMISSIS), non sono risultati reati episodici: (OMISSIS), non solo ha continuato a delinquere successivamente, svolgendo l'attivita' di spaccio di sostanze stupefacenti, accertata in relazione all'imputazione di cui al capo D), nemmeno oggetto di appello in punto di responsabilita', ma e' stato coinvolto anche in un'altra rapina pluriaggravata, di poco anteriore (siccome riferita al 12 settembre 2020) a quella oggetto di processo, in danno di un'altra tabaccheria ubicata in Foggia. Sempre nella medesima direzione, si e' valutato che lo stesso contesto familiare dell'imputato non si appalesava particolarmente adatto a sorreggere una prognosi favorevole al suo recupero all'esito del periodo di messa alla prova, in presenza di plurimi modelli negativi di riferimento, dal momento che il fratello maggiore risultava pluripregiudicato e stava scontando una pena superiore ad anni cinque, mesi sei di reclusione, per delitti di associazione per delinquere, rapina aggravata, ricettazione, furto e violazioni in tema di armi, e pure gli zii materni dell'imputato risultavano essere stati coinvolti in attivita' illegali. Conclusivamente, per i giudici di appello, il percorso intrapreso dall'imputato in stato di detenzione, quand'anche apparentemente positivo, si e' configurato come insufficiente e poco attendibile, in ogni caso inidoneo a consentire di pronosticare il recupero del soggetto nei tempi prescritti dalla norma, considerando pure la maggiore eta' ormai raggiunta da (OMISSIS) nelle more del giudizio, nonostante l'ipotizzata spinta incentivante derivante dalla nascita della figlia, concepita pochi giorni dopo il consumato omicidio. La disamina e la valutazione compiute dalla Corte di appello - nello svolgimento del suo compito, esclusivamente di controllo della decisione del giudice di primo grado, onde verificare se il Tribunale avesse erroneamente omesso l'indagine sulla personalita' del minore e avesse ingiustificatamente rifiutato la sospensione del processo e la messa alla prova dell'imputato (sulla funzione affidata al giudice di secondo grado nello snodo in questione, fra le altre, Sez. 2, n. 11683 del 08/03/2016, I., Rv. 266352 - 01; Sez. 5, n. 21181 del 09/05/2006, Rizzi, Rv. 234206 - 01) - non e' posta in crisi dalle censure svolte dal ricorrente. Se e', infatti, vero che la gravita' del reato non costituisce, in punto di principio, indice preclusivo dell'ammissione alla messa alla prova in sede minorile, e' del pari certo che tale assunto e' stato adeguatamente considerato dai giudici del merito, i quali, tuttavia, hanno persuasivamente ragionato nel senso che la personalita' ormai matura dell'imputato, diciassettenne all'epoca del fatto, la catena di reati, anche antecedenti e successivi all'omicidio, le allarmanti modalita' del fatto e il complesso dei fattori, anche ambientali, ponderati nei sensi richiamati, concretavano indicatori convergenti verso la conclusiva valutazione - argomentata in modo congro e certamente non illogico dell'assenza di meritevolezza di (OMISSIS) in ordine all'ammissione al percorso inerente alla messa alla prova. Appare utile rammentare che, nell'ambito del giudizio minorile, l'ammissione alla messa alla prova dell'imputato, previa sospensione del processo, e' subordinata al vaglio discrezionale del giudice di merito circa la possibilita' di rieducazione e di inserimento del soggetto nella vita sociale ed e' espressione di un giudizio prognostico - insindacabile in sede di legittimita' se sorretto da adeguata motivazione - condotto sulla scorta di molteplici indicatori, che ineriscono sia al reato commesso e sia alla personalita' del reo, da lui manifestati anche in epoca successiva al fatto incriminato (Sez. 3, n. 28670 del 09/09/2020, C., Rv. 280276 - 01; Sez. 1, n. 37018 del 12/07/2019, A., Rv. 276940 - 01; Sez. 1, n. 13370 del 05/03/2013, R., Rv. 255267 - 01). Il complesso delle considerazioni rese dai giudici di merito ha evidenziato con compiutezza di argomenti gli indicatori deponenti in senso contrario all'ammissione dell'imputato alla messa alla prova. Non contrastano tale esito le censure di travisamento basate dal ricorrente in buona parte sul contenuto delle relazioni di sintesi redatte progressivamente dall'Istituto Penale per minorenni in cui (OMISSIS) e' stato detenuto in custodia cautelare. Per supportare queste critiche la difesa ha allegato all'originale del ricorso, per l'autosufficienza, tre relazioni di sintesi prospettandole come datate rispettivamente 26.02.2021, 28.09.2021 e 11.06.2022. Pero', all'esito della corrispondente consultazione, si rileva che l'unico atto prodotto in modo integrale, cosi' da renderne pienamente valutabile il contenuto, e' la relazione di sintesi datata 26.02.2021, composta di tre pagine, tutte accluse. Invece, la seconda relazione di sintesi, datata 28.09.2021, pur essendo composta da pagine numerate fino a 10, e' stata acclusa in copia che consta delle sole pagine 1, 2, 4, 6, 8, 10, ossia e' priva di quattro pagine e, di conseguenza, in guisa tale da palesare vuoti rilevanti della continuita' argomentativa. Del pari, la terza relazione, datata (non 11.06.2022, bensi') 24.05.2022, consta, nella copia acclusa, delle sole pagine 1, 2, 4, 6, 8 e 10, con l'emersione anche stavolta di determinanti cesure nel riscontro dell'analisi del percorso trattamentale del detenuto e delle sue prospettive. La sola relazione valutabile per verificare il prospettato travisamento della prova e', dunque, la prima, quella datata 28.09.2021, che e' anche l'unica che il Tribunale aveva potuto valutare: di essa non puo' ritenersi verificato alcun travisamento da parte dei giudici del merito, posto che nella medesima viene dato atto del carattere appena iniziale del percorso di osservazione e trattamento dell'imputato, in relazione all'evidente necessita' che aveva (OMISSIS), all'epoca poco propenso ad affrontare i fatti che lo avevano condotto n giudizio, di trascorrere un tempo ulteriore per analizzare e poi metabolizzare i pregressi comportamenti devianti. Delle altre due relazioni di sintesi, in carenza del riscontro del rispettivo testo integrale, non puo' ammissibilmente accedersi nemmeno alla verifica della dedotta lettura travisante del relativo contenuto; cio', a fronte del rilievo che la motivazione della sentenza di appello ha dato mostra di avere esaminato le relazioni anche successive a quella suindicata, fino a quella del 24.05.2022 (v. nota 2 a pag. 6 della sentenza di appello) derivandone il dato del corretto comportamento serbato da (OMISSIS) nel corso del processo, senza che, tuttavia, questo elemento abbia potuto costituire, nel complessivo contesto di argomenti poi valutati, un indicatore sufficiente a sorreggere l'ammissione dell'imputato alla messa alla prova. Pertanto, il comportamento dell'imputato susseguente ai reati qui in questione, ivi inclusa l'ammissione dei fatti (resa peraltro ineludibile dal coacervo probatorio emerso a suo carico), non e' stato trascurato dai giudici del merito, ma e' stata inserito e ponderato nel complesso degli indicatori oggetto di verifica, con conclusivo e motivato apprezzamento della sua minusvalenza a fronte di indicatori di maggior rilievo e di segno contrario. In questo senso, nemmeno si rivela fondata la censura inerente alla valenza eccessiva annessa dai giudici di merito all'intrinseca, elevatissima gravita' del delitto di omicidio, ricompreso fra reati commessi da (OMISSIS): per vero, la Corte di appello ha premesso che anche quel titolo di reato non era preclusivo, in via di principio, della messa alla prova minorile, ma ne ha inserito il rilievo nella complessiva, allarmante serie criminosa perpetrata dall'imputato (furto antecedente, omicidio e rapina, spaccio continuato di stupefacenti anche successivo a quei gravissimi reati), ha considerato l'emersione delle altre attivita' antigiuridiche ascritte a (OMISSIS), ha analizzato le componenti, anche ambientali, sottese alla sua devianza e - valutando l'insieme dei dati acquisiti, nessuno escluso - non ha ritenuto avviato un percorso pienamente risocializzante, ne' la maturazione dei presupposti per realizzarlo nell'arco temporale fissato dall'ordinamento per la prova, per cui si e' motivatamente orientata per l'assenza delle condizioni legittimanti la proficua ammissione dell'imputato al procedimento di messa alla prova. Nel resto, le critiche svolte dal ricorrente si risolvono nella prospettazione di una lettura rivalutativa dei dati presi in esame dai giudici del merito, lettura che, in dipendenza dell'avvenuta verifica delle congrue e coerenti considerazioni svolte in ordine agli stessi elementi da parte della Corte territoriale, e' preclusa in sede di legittimita'. 3. Per quanto concerne il secondo motivo, relativo alla denuncia di violazione di legge e vizio di motivazione, per mancata qualificazione dell'omicidio come preterintenzionale, si osserva che il tema risulta adeguatamente sviluppato nella sentenza impugnata. In sintesi, la Corte di merito ha ribadito l'avvenuto accertamento del dolo omicidiario diretto, in forma alternativa, alla base della condotta dell'imputato, illustrando in modo molto dettagliato le ragioni della condivisione dell'approdo gia' raggiunto dal primo giudice nell'escludere l'omicidio preterintenzionale. In particolare, la descrizione precisa dell'articolazione dell'azione lesiva messa in essere dall'imputato, resa certa dalla ricognizione delle immagini restituite dal sistema di video-sorveglianza, e l'analisi delle considerazioni medico-legali espresse nell'elaborato del consulente del Pubblico ministero hanno supportato il convincimento dei giudici del merito circa il fatto che (OMISSIS) brandendo con la mano destra il coltello e, senza mostrare alcun indugio, con lo stesso colpendo al volto in modo estremamente violento e letale la vittima, fino a penetrarne la cavita' encefalica - aveva agito avendo di mira, in modo indifferenziato, la lesione e l'uccisione di (OMISSIS), essendo del resto emerso che quello letale non era stato l'unico fendente vibrato alla persona offesa dall'imputato, ma ne erano stati vibrati plurimi ed erano stati, tuttavia, schivati o parati con la mano sinistra (risultata ferita) dalla vittima; il tutto, in un quadro circostanziale con riferimento al quale la reazione di difesa tentata inizialmente da (OMISSIS) - consistita nel vano lancio di un contenitore da banco verso gli aggressori e nell'essersi poi parato con il proprio corpo di fronte ai medesimi per non farli accedere dietro il banco di vendita - non e' stata ritenuta affatto condotta di natura imprevedibile o aggressiva; a ulteriore conferma del carattere indiscriminatamente violento, cosi' da corroborare il rilievo che l'omicidio era stato posto dall'agente nel novero delle conseguenze volute, e' stato segnalato che, oltre alle coltellate, (OMISSIS) aveva preso per il collo la vittima e l'aveva atterrata, nonche', pur dopo aver inferto il fendente rivelatosi letale e avere portato a compimento la rapina, aveva infierito contro la stessa, oramai sopraffatta, riaggredendola a calci. Quanto alla deduzione inerente alla lettura travisante dell'elaborato del consulente tecnico, in punto di verifica della deviazione che avrebbe determinato il percorso della coltellata letale, deve anzitutto considerarsi che la Corte di appello ha escluso la fondatezza dell'assunto difensivo sulla scorta dell'analisi dell'intero quadro probatorio, ivi inclusi i dati scaturenti dalla prima versione fornita dall'imputato, in base a cui e' stato accertato che il fendente era stato vibrato da (OMISSIS) a (OMISSIS) proprio in principio di scontro quando i corpi degli antagonisti non erano ancora venuti a contatto, sicche' l'interpretazione del gesto violento e' incensurabilmente maturata nel senso che il colpo era stato portato, non per intimorire, ma per neutralizzare la vittima. A parte il rilievo ora svolto, gia' dirimente, sarebbe stato in ogni caso problematico aderire alla tesi del ricorrente in punto di travisamento della relazione di consulenza suindicata, giacche' e' manifestamente destituita di fondamento la prospettazione volta a basare la natura preterintenzionale dell'omicidio adducendo la natura travisante della lettura della consulenza medico-legale, per essersi il colpo letale - che aveva determinato l'effetto che la lama si era conficcata fin nella teca cranica - determinato a causa di una sorta di scivolamento non voluto del fendente. Tale prospettazione si risolve piuttosto in una proposta di rivalutazione del merito, dal momento che la consultazione della relazione, dalla difesa allegata al ricorso per l'autosufficienza, rende chiaro che, all'esito di un percorso argomentativo complesso, l'ausiliare del Pubblico ministero aveva concluso nel senso che l'accertamento della direzione della coltellata orientava l'interprete a ritenere che, a fronte di un soggetto che aveva esposto all'aggressore la regione orbitaria, la produzione del danno determinato dal colpo era indicativa del fatto che la coltellata era stata portata con estrema violenza, decisione e volonta', tanto da determinare la produzione di un danno intraosseo penetrante sino all'interno della cavita' encefalica, per cui l'ausiliare aveva espresso la conclusiva valutazione che il decesso di (OMISSIS) poteva essere inquadrato nell'ambito di una dinamica omicidiaria. Deve, quindi, osservarsi che la qualificazione dell'omicidio come volontario, e non preterintenzionale, si e' basata su una motivazione adeguata e non illogica, con specifica individuazione del dolo omicidiario diretto, di natura alternativa, n linea con i principi posti a presidio dell'esatto discrimine fra le due figure di reato dall'elaborazione ermeneutica, dovendo, sull'argomento, darsi continuita' al principio di diritto secondo cui si configura il delitto di omicidio volontario - e non quello di omicidio preterintenzionale, caratterizzato dalla totale assenza di volonta' omicida - quando la condotta, alla stregua delle regole di comune esperienza, dimostri la consapevole accettazione da parte dell'agente anche solo dell'eventualita' che dal suo comportamento possa derivare la morte del soggetto passivo. (Sez. 5, n. 11946 del 09/01/2020, Caciula, Rv. 278932 - 01; Sez. 1, n. 3619 del 22/12/2017, dep. 2018, Marini, Rv. 272050 - 01), con la conseguente specificazione che il criterio distintivo tra l'omicidio preterintenzionale e l'omicidio volontario risiede nel fatto che, nel primo caso, la volonta' dell'agente esclude ogni previsione dell'evento morte, mentre, nel secondo, la previsione dell'evento e' necessaria e deve essere accertata in concreto, non essendo sufficiente la semplice prevedibilita' dello stesso (Sez. 1, n. 4425 del 05/12/2013, dep. 2014, Cutrufello, Rv. 259014 - 01). Il ricorrente con tali argomenti non si e' effettivamente confrontato: la doglianza si rivela, quindi, inammissibile. 4. Trascorrendo all'esame del terzo motivo, con riguardo al quale si sono lamentati la violazione di legge e il vizio della motivazione in punto di non rilevata incompatibilita' in concreto fra la riconosciuta continuazione fra i delitti accertati e la, pure applicata, circostanza aggravante teleologica, e' da considerare, in premessa, che i giudici di appello hanno affrontato l'argomento e hanno concluso per la compatibilita', anche in concreto, dell'aggravante teleologica annessa al delitto di omicidio e il medesimo disegno criminoso che, in virtu' della riconosciuta continuazione, risulta avere avvinto tutti i reati, ivi incluso l'omicidio. Posta la compatibilita' (non negata dallo stesso ricorrente) in punto di principio dell'aggravante in parola con il reato continuato, i giudici di secondo grado hanno osservato che, nel caso in esame, la sussistenza in concreto dei nesso teleologico tra il delitto di omicidio e quello di rapina risultava, corroborata dalla dinamica stessa della complessiva azione criminosa, nella quale l'aggressione fisica nei confronti di (OMISSIS), culminata nel suo ferimento mortale in conseguenza dell'accoltellamento, aveva consentito agli autori della rapina, per un verso, di portare a termine la sottrazione e l'impossessamento della refurtiva ai danni del legittimo proprietario e, per altro verso, di allontanarsi dal luogo del delitto, dandosi alla fuga. Al riguardo, la Corte territoriale ha esteso la stessa riflessione al furto, egualmente aggravato dal nesso teleologico, atteso che la Fiat Panda era stata rubata al fine di essere poi utilizzata per raggiungere l'esercizio commerciale teatro della rapina e poi allontanarsene con la refurtiva. La considerazione posta alla base di questo ragionamento dei giudici di appello, oltre che connotata da congrua e coerente trama argomentativa, si rivela incensurabile sotto il profilo giuridico: invero e' da ribadirsi che non sussiste incompatibilita' logico-giuridica tra la continuazione e la circostanza aggravante del nesso teleologico, in quanto l'istituto della continuazione opera sul piano della riconducibilita' di piu' reati a un comune programma criminoso, mentre la particolarita' circostanziale contemplata dall'articolo 61 c.p., comma 1, n. 2, attiene al distinto piano di valutazione relativo alla strumentalita' di un reato rispetto a un altro (Sez. 1, n. 16881 del 11/10/2017, dep. 2018, Musso, Rv. 273117 - 01; Sez. 2, n. 46638 del 09/11/2012, Romano Monachelli, Rv. 253901 - 01). Circa, poi, l'aggiunta giustificativa articolata dai giudici di appello in ordine all'addotta compatibilita' dell'aggravante teleologica con il dolo d'impeto, siccome essa ha integrato un argomento svolto espressamente ad abundantiam ("quand'anche esso fosse stato in concreto configurabile"), non mette conto verificare la relativa affermazione, evidentemente non necessaria ai fini del decidere, essendosi esclusa l'evenienza di quella forma di dolo nell'assetto argomentativo posto a base della decisione. Il motivo e', pertanto, da ritenersi infondato. 5. In ordine al quarto motivo, che ha lamentato la violazione dell'articolo 62 c.p., comma 1, n. 5, e' da rilevare che nella sentenza di secondo grado si e' spiegata la ragione per la quale non si e' riconosciuta la circostanza attenuante in parola (la quale e' integrata dal concorso a determinare l'evento, insieme con l'azione o l'omissione del colpevole, del fatto doloso della persona offesa): si e' escluso che la condotta di (OMISSIS), il quale si era opposto con una minima e insignificante reazione volta a evitare la rapina lanciando un contenitore da banco in direzione dei rapinatori, potesse essere qualificata come fatto doloso della persona offesa concorrente con quello dell'imputato, non avendo la vittima in nessun modo messo in conto la possibilita' di soccombere in conseguenza del suo comportamento e dovendo, invece, ricollegarsi la sua morte soltanto all'azione efferata e violenta dei rapinatori. Posto cio', gli argomenti svolti dal ricorrente per criticare l'esclusione dell'attenuante di cui si tratta non si profilano in nessun modo idonei a incrinare l'approdo censurato, essendo da evidenziare, piuttosto, che il mero tentativo di difendersi messo in atto dalla vittima non rileva ai fini della prospettata integrazione della situazione contemplata dalla norma di cui il ricorrente lamenta la violazione, essendo risultato accertato da parte dei giudici del merito che la volonta' di (OMISSIS) - nell'attuare il tentativo difensivo concretato nel lancio del contenitore all'indirizzo dell'aggressore - era (ovviamente) tesa a evitare l'evento che l'agente stava determinando in suo danno, non certo ad assecondarne la realizzazione. Merita piuttosto richiamare, ribadendolo, il principio di diritto secondo cui la circostanza attenuante del concorso del fatto doloso della persona offesa richiede, ai fini della sua sussistenza, l'integrazione di un elemento materiale, quale e' l'inserimento del comportamento della persona offesa nella serie delle cause determinatrici dell'evento, e di un elemento psichico, consistente nella volonta' di concorrere a determinare il medesimo evento antigiuridico voluto dall'agente (Sez. 2, n. 25915 del 02/03/2018, Bul., Rv. 272945 - 01; Sez. 1, n. 14802 del 07/03/2012, Sulger, Rv. 252265 - 01; Sez. 1, n. 29938 del 14/07/2010, Meneghetti, Rv. 248021 - 01). All'opposto, i confliggenti tentativi della persona offesa di opporsi alla perpetrazione del reato - non essendo una concausa efficiente del reato - non costituiscono elementi della medesima serie causale di produzione dell'evento antigiuridico, ma si configurano in rapporto di mera occasionalita' con essa: essi, dunque, concretano soltanto la reazione della persona offesa, vale a dire non piu' che un antecedente oppositivo dell'evento criminoso ascritto all'agente. La doglianza e', quindi, manifestamente infondata, come tale inammissibile. 6. Con riferimento al quinto motivo, volto a dedurre la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, e il corrispondente vizio della motivazione, anche per travisamento della prova, il ragionamento della Corte territoriale resiste senz'altro alla censura. Mette conto rilevare che, quanto alla qualificazione del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, i giudici di appello, per escludere l'applicazione del comma 5 della norma, hanno evidenziato come, alla luce delle intercettazioni ambientali acquisite agli atti e dettagliatamente richiamate nella sentenza di primo grado, fosse risultato provato che l'attivita' antigiuridica di (OMISSIS) non si era per nulla risolta in un'azione episodica, ma era stata ripetuta e. per giunta, essa si era ben inserita in un piu' ampio contesto organizzativo di tipo familiare dell'attivita' illecita, svolta dall'imputato anche per conto del fratello, siccome questi era detenuto in carcere. L'approfondita disamina di questi elementi ha condotto la Corte di merito a escludere la marginalita' e la scarsa rilevanza degli illeciti accertati e, quindi, a negare in modo congruo e non illogico la ricorrenza dell'ipotesi attenuata invocata dalla difesa. Occorre evidenziare, peraltro, che la motivazione fornita sul punto nella sentenza di primo grado (contemplante l'analisi specifica delle conversazioni captate, alle pagine da 38 a 48), puntualmente richiamata dalla sentenza emessa dalla Corte di appello, e' insuscettibile di essere vulnerata dalla deduzione di travisamento delle risultanze probatorie formulata dal ricorrente, posto che questi, con essa, ha inteso - inammissibilmente - sollecitare una diversa interpretazione del senso delle conversazioni captate. Va, del resto, svolta la precisazione - non irrilevante - che nel corrispondente motivo di appello (OMISSIS) aveva contestato la qualificazione giuridica annessa al reato dal primo giudice, ma non aveva evidenziato con la necessaria specificita' il travisamento ora prospettato. Anche sotto tale aspetto la deduzione di travisamento si rivela inammissibile. D'altro canto, sotto il profilo logico, che l'attivita' di spaccio delle sostanze stupefacenti fosse dall'imputato realizzata in concorso con il fratello, oltre a non aver integrato una novita' emersa nel corso del processo (essendo tale rapporto contemplato in imputazione), nemmeno puo' configurarsi come un'esimente o un'attenuante in relazione alla condotta antigiuridica in ogni caso serbata dall'imputato con piena consapevolezza e volonta'. Ne' sussistono elementi di effettivo contrasto agli argomenti addotti dalla Corte territoriale per negare il riconoscimento della fattispecie della lieve entita', a sua volta contrassegnata da una non modesta continuazione interna, dovendo al riguardo considerarsi che, in tema di continuazione tra reati in materia di stupefacenti, la necessita' di valutare in modo non atomistico "mezzi, modalita' e circostanze" di commissione dei singoli reati, ai fini del riconoscimento della lieve entita' del fatto Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 73, comma 5, consente di valorizzare le peculiarita' delle singole condotte, la comunanza di elementi significativi e le loro eventuali reciproche correlazioni al fine di ricostruire una cornice complessiva in concreto idonea a escludere un giudizio di lieve entita' rispetto ai fatti contestati (Sez. 3, n. 13115 del 06/02/2020, Suriano, Rv. 279657 - 01). Pertanto, la doglianza risulta in parte aspecifica e in parte manifestamente infondata, nel suo complesso inammissibile. 7. Il sesto motivo, finalizzato a censurare il giudizio di bilanciamento confermato dalla Corte di appello nel senso della valutazione di equivalenza espressa dal giudice di primo grado, si infrange sulla congrua ponderazione della concreta valenza delle contrapposte circostanze operata nella prima decisione e ribadita dai giudici di appello, i quali, dopo aver valutato, da un lato, la portata accentuante la gravita' del reato di omicidio e del reato di furto determinata dal nesso teleologico con la rapina aggravata e, dall'altro, l'efficacia da annettersi alla circostanza attenuante della minore eta' dell'agente e a quelle generiche, ha specificato, anche mediante il richiamo all'ancora piu' analitica disamina svolta sull'argomento dal Giudice dell'udienza preliminare minorile, che alle ammissioni dell'imputato - circoscritte, seguite alla gia' compiuta emersione dell'effettivo andamento del fatto e, in parte, smentite dalle immagini videoregistrate - non poteva annettersi rilevanza piu' incisiva, cosi' come non erano da obliterarsi le allarmanti modalita' della condotta e le connotazioni della personalita' del reo, pur se minorenne, con l'effetto che l'esito della comparazione non poteva attestarsi su un conclusivo bilanciamento circostanziale piu' favorevole dell'equivalenza. L'adeguatezza del discorso giustificativo posto dai giudici del merito alla base della riferita opzione valutativa rende il relativo approdo incensurabile in questa sede, dovendo sul punto considerarsi che, in tema di circostanze, il giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti costituisce esercizio del potere valutativo riservato al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimita', ove congruamente motivato alla stregua anche soltanto di alcuni dei parametri previsti dall'articolo 133 c.p., senza che occorra un'esposizione analitica dei criteri posti a base dell'estrinsecata ponderazione (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838 - 02), ogni piu' dettagliata precisazione delle ragioni che hanno indotto il giudice all'effettuazione del bilanciamento in concreto prescelto essendo esigibile soltanto quando emerga una specifica richiesta della parte, corredata dall'indicazione di circostanze di fatto tali da legittimare la richiesta stessa (Sez. 7, ord., n. 11210 del 20/10/2017, dep. 2018, Z, Rv. 272460 - 01). Ebbene, in relazione alla pur non superficiale critica introdotta sull'argomento da (OMISSIS) con l'atto di appello, la risposta fornita dalla Corte territoriale non risulta avere trascurato, analizzato e congruamente contrastato alcuno degli argomenti dedotti nel gravame. Pertanto, deve concludersi che la valutazione della decisione impugnata debba si colloca nel solco, gia' tracciato altre volte dalla giurisprudenza di legittimita', in base al quale, nel bilanciamento delle circostanze eterogenee, non incorre nel vizio di motivazione il giudice di appello che, nel confermare il giudizio di equivalenza fra le circostanze operato dal giudice di primo grado, dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nell'articolo 133 cod pen. e gli altri dati significativi, apprezzati in modo logico e coerente rispetto a quelli concorrenti di segno opposto (Sez. 1, n. 17494 del 18/12/2019, dep. 2020, Defilippi, Rv. 279181 - 02). La doglianza e', quindi, da reputarsi infondata. 8. Passando al settimo motivo, con cui e' lamentata la mancanza di motivazione in merito alla quantificazione della pena scaturente dall'applicazione del vincolo della continuazione fra i delitti ascritti all'imputato, l'analisi della motivazione della sentenza di primo grado e di quella di appello conduce alla conclusione che il relativo percorso argomentativo e' immune da vizi. Sono stati, invero, enucleati con precisione i singoli aumenti, senza che rispetto ad alcuno fra quelli indicati la difesa abbia - prima, con l'atto di appello, poi, con il ricorso in questa sede - mosso una qualche contestazione specifica in ordine all'eventuale eccessivita' o incongruita' della corrispondente misura. L'articolazione della quantificazione dei singoli aumenti si e' collocata a livelli molto contenuti: alla pena base di anni ventuno di reclusione per l'omicidio sub C), attestatasi al minimo edittale, si sono sommati: mesi sedici di reclusione per tutti i reati di detenzione e spaccio, gia' contestati in guisa di reato continuato, di cui al capo D); mesi quindici di reclusione per la rapina e mesi due di reclusione per il porto ingiustificato di coltello di cui al capo B); mesi tre di reclusione per il furto di cui al capo A); il tutto per un aumento di mesi 36 di reclusione, da sommarsi alla pena base, individuata nel gia' richiamato minimo edittale di anni ventuno di reclusione, per complessivi anni ventiquattro di reclusione; sicche', applicata la diminuente di cui all'articolo 442 c.p.p., la pena finale e' risultata confermata in quella di anni sedici di reclusione. In sostanza, al pari della pena base, l'entita' degli aumenti si e' attestata a livelli da considerarsi tutti di entita' circoscritta e, in ragione della loro uniformita', la complessiva giustificazione della loro determinazione fornita dai giudici del merito non puo' reputarsi assente o insufficiente, in relazione ai parametri citati con il richiamo ai criteri di cui all'articolo 133 c.p. ritenuti in concreto preminenti, quali, specificamente, la gravita' dei singoli reati, la personalita' dell'imputato, le modalita', particolarmente violente, dell'azione, nonche' il comportamento di (OMISSIS) successivo al fatto, non pienamente collaborativo. Si muove, dunque, dal condiviso assunto secondo cui, una volta deliberata la sussistenza della continuazione, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre a individuare il reato piu' grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, con la precisazione che il grado di impegno motivazionale richiesto per i singoli aumenti di pena e' correlato all'entita' degli stessi, in modo che esso sia tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall'articolo 81 c.p. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269 - 01; Sez. U, n. 7930 del 21/04/1995, Zouine, Rv. 201549 - 01). Deve constatarsi che il discorso giustificativo posto dalla Corte territoriale alla base del computo analitico suindicato rispetta tutti i canoni espressi nei principi di diritto cosi' ribaditi. Tale approdo determina l'infondatezza del motivo. 9. Venendo alla disamina dell'ottava e ultima doglianza, inerente all'avvenuta irrogazione della pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata di anni cinque, si rileva che il Giudice dell'udienza preliminare minorile aveva considerato la norma specificamente disciplinante la fattispecie in esame, che vede imputato un soggetto minore di eta', ossia l'articolo 98 c.p., comma 2, (al lume del quale, quando - come nel caso in esame - la pena principale irrogata e' uguale o superiore a cinque anni di reclusione, la condanna importa l'interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore a cinque anni e, nei casi stabiliti dalla legge, la sospensione dall'esercizio della responsabilita' genitoriale) e aveva ritenuto di dover irrogare la sola interdizione temporanea dai pubblici uffici, individuandone la durata in quella massima prevista dalla norma. La Corte di appello, esaminata l'impugnazione dell'imputato sul punto, ha considerato che la, certo rilevante, misura della pena accessoria era giustificata da alcuni specifici parametri valutativi, ossia la gravita' della fattispecie delittuosa ascritta a (OMISSIS) e la personalita' - valutata in senso negativo - del reo; il tutto, ponderato anche in relazione alla durata molto rilevante della pena detentiva: fattori - ritenuti concretamente giustificativi della pena accessoria determinata dal primo giudice - a fronte dei quali la contestazione sollevata dall'appellante e' stata considerata non piu' che generica. La censura articolata in questa sede, reiterando la critica svolta con l'atto di appello, per un verso, non si confronta con la portata degli indicatori ritenuti determinanti dalla Corte di merito al fine della concreta determinazione della durata della pena accessoria e, per altro verso, adduce a sostegno della critica la considerazione degli inconvenienti per il susseguente esercizio dei diritti dell'imputato derivanti dalla sua applicazione: cio' che, tuttavia, costituisce un posterius rispetto alla quantificazione della pena, laddove la motivazione inerente alla determinazione della sua durata, ricollegata a criteri valutativi di indubbio spessore, e' risultata sussistente e adeguata. In tal senso, se e' vero che la pena base per il reato piu' grave di omicidio - parametro di riferimento da considerare ex articolo 77 c.p. - e' stata individuata nel minimo, e' del pari vero che tale minimo, prima della riduzione per la scelta del rito, e' risultato pari ad anni ventuno di reclusione (diminuito, poi, ex articolo 442 c.p.p., ad anni quattordici di reclusione): si e' trattato, quindi, di una pena principale tale da corroborare la valutazione di estrema gravita' del fatto espressa dai giudici del merito, i quali hanno poi considerato in modo parimenti negativo la personalita' del reo, senza che le considerazioni a supporto delle relative conclusioni possano dirsi eccentriche o incoerenti; sicche', alla luce del complessivo quadro tratteggiato nella sentenza impugnata, la quantificazione della durata della pena accessoria in quella di anni cinque si profila l'esito di una valutazione discrezionale dei giudici di merito incensurabile in questa sede, in quanto non incongrua, ne' manifestamente illogica. Di conseguenza, il motivo non merita accoglimento. 10. In conclusione, il ricorso deve essere, nel suo complesso, rigettato. Alla statuizione di rigetto, considerato che i reati oggetto di scrutinio sono stati commessi da minorenne, non segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, trovando applicazione la disciplina di favore dettata dal Decreto Legislativo 28 luglio 1989, n. 272, articolo 29. 11. Secondo quanto stabilisce il Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 deve disporsi, in relazione all'eta' dell'imputato, minorenne all'epoca dei fatti, che in caso di diffusione del presente provvedimento dovranno omettersi le generalita' e gli altri dati identificativi corrispondenti. P.Q.M. Rigetta il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. BIANCHI Michele - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - rel. Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere Dott. LANNA Angelo V. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 09/12/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di LECCE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere BARBARA CALASELICE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PERELLI SIMONE, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. udito il difensore, avvocato (OMISSIS) del foro di LECCE, in difesa di (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di assise d'appello di Lecce, ha riformato la condanna, emessa dalla Corte di assise in sede, in data 3 dicembre 2020, riducendo la pena irrogata a (OMISSIS), in quella di anni ventidue di reclusione in relazione al reato ascrittogli, di cui all'articolo 575 c.p. e articolo 576 c.p., n. 2. 1.1.Il primo giudice aveva ritenuto l'imputato colpevole del delitto di omicidio aggravato posto in essere ai danni del padre, provocato attraverso lo spruzzo di alcol denaturato, addosso alla vittima, all'altezza del tronco mentre questa si trovava ai fornelli, provocando ustioni, per effetto delle fiamme sprigionatesi dal contatto dell'alcol con il fuoco, morte intervenuta per ustione di secondo e terzo grado e per ampie aree di carbonizzazione, estese a gran parte della superficie corporea della parte lesa. Il primo giudice ha inserito il fatto in un contesto relazionale conflittuale, escludendo la presenza di un vero e proprio disturbo di personalita' nell'imputato, a seguito di perizia psichiatrica svolta in sede di incidente probatorio. Gli elementi a carico, su cui si fonda la sentenza di primo grado, recepiti anche da quella di appello, attengono all'esame dei testi di polizia giudiziaria, intervenuti sul posto su segnalazione dello stesso imputato, convivente all'epoca dei fatti con il padre, vittima dell'omicidio. (OMISSIS) era stato trovato seduto su gradini esterni all'abitazione all'interno della quale era stato reperito il cadavere bruciato, sia sul corpo che sugli indumenti, del padre. In un primo momento, l'imputato aveva riferito di un incidente ma le indagini e la consulenza medico legale di cui aveva reso conto, in dibattimento, il medico legale, avevano consentito di acclarare che a bruciare, peraltro a lungo, non era stato un cadavere ma una persona ancora in vita, stante il rinvenimento di impronte sulle piastrelle del bagno ove la vittima era stata trovata, l'aspetto delle lesioni riscontrate, nonche' l'accertata inalazione di monossido di carbonio, a dimostrazione che questa, dunque, ancora respirava mentre bruciava. Si era concluso, comunque, nel senso che la vittima era deceduta, tra le sei e le dieci ore prima rispetto ai primi rilievi eseguiti sul posto, per gli effetti del fuoco e del calore che avevano prodotto ustioni di secondo e terzo grado e ampie aree di carbonizzazione, estese a gran parte della superficie corporea. I dati raccolti avevano consentito di acclarare che la vittima aveva bruciato a lungo, mentre era in piedi e si muoveva nell'ambiente e che, infine, era deceduta cadendo nel bagno mentre era in piedi e si muoveva ancora nell'ambiente circostante. Tanto che, cadendo, il corpo aveva riportato un trauma contusivo che aveva determinato contusione nella regione postero laterale dell'emitorace sinistro. 1.2.La Corte territoriale, nel confermare in punto di responsabilita' la pronuncia di primo grado, ha condiviso la ricostruzione dei fatti e la qualificazione giuridica agli stessi attribuita dalla Corte di assise. Secondo la Corte d'assise di appello era stato lo stesso imputato a descrivere gli avvenimenti del 29 maggio 2019, confermando, anche in sede dibattimentale, il gesto compiuto di gettare l'alcol sulla persona del padre, mentre questi si trovava ai fornelli, intento a cucinare. L'imputato aveva descritto il contesto familiare di particolare tensione e attrito con il genitore, che aveva dipinto come soggetto irascibile e che aveva una scarsa stima del figlio. Secondo il racconto dell'imputato questi, quel giorno, aveva in mano una bottiglietta di alcol per medicare una ferita che aveva alla mano, mentre il padre era intento a cucinare, momento in cui si era verificata un'accesa discussione tra i due, nel corso della quale il padre aveva inveito nei suoi confronti. Tale comportamento, secondo l'imputato, aveva provocato la sua reazione d'ira, istintiva, concretizzatasi nello spruzzare, premendo sulla bottiglietta, l'alcol sulla persona del padre, all'altezza del torace che corrispondeva all'altezza del fornello che in quel momento era acceso. Secondo lo stesso racconto dell'odierno ricorrente, questi, immediatamente, si era prodigato per spegnere le fiamme, ma non quelle che avevano colpito il corpo del padre, bensi' quelle che avevano investito brandelli di vestiti che erano nel corridoio, dove la vittima, ancora in vita, era passata scappando istintivamente verso il bagno. L'imputato, ammettendo di non avere dei fatti un preciso ricordo riguardo al momento in cui cio' si era verificato, secondo quanto riportato nella sentenza impugnata, aveva, comunque, dichiarato di aver gettato dell'acqua sul corpo del padre quando si trovava nel bagno. L'imputato aveva dichiarato, inoltre, di essere confuso, di aver preso la bottiglietta di alcol con la quale aveva spruzzato il contenuto sulla persona del padre svuotandola e, poi, di averla bruciata nel camino sito nel seminterrato dell'abitazione (ove residui di bruciatura della bottiglietta venivano successivamente rinvenuti dalla polizia giudiziaria). L'allarme ai Carabinieri, poi, secondo il racconto dell'imputato era stato dato da lui stesso, soltanto dopo aver mangiato nel tinello, mentre il padre giaceva per terra in bagno, intorno alle 16:30, orario diverso da quello indicato dai testi di polizia giudiziaria che hanno riferito di una chiamata intervenuta soltanto alle 17:35. La Corte di assise di appello, dunque, ha confermato la qualificazione del reato come omicidio volontario e non come omicidio preterintenzionale, tenuto conto che (OMISSIS) non si era limitato a lanciare la bottiglietta di alcol chiusa addosso al padre ma questa era stata premuta e spruzzata sulla persona del genitore che si trovava in una posizione estremamente rischiosa, perche' vicino ai fornelli accesi. Dunque, secondo i giudici di secondo grado, la volonta' dell'agente era stata proprio quella di provocare una fiammata che, poi, aveva avvolto mortalmente la persona del genitore, condotta attuata nella piena consapevolezza degli effetti che la spruzzata di alcol avrebbe potuto provocare, avendo questi svolto studi di ingegneria chimica. In tal caso la sentenza impugnata ravvisa l'esistenza di dolo alternativo cioe' della volonta' di ferire o uccidere indifferentemente o, comunque, eventuale, con previsione o rappresentazione dell'evento in termini di probabilita' e di accettazione del rischio, escludendo la configurabilita' della condotta di omicidio preterintenzionale. Si e' valorizzato poi, quanto all'animus necandi, il comportamento successivo dell'imputato. La Corte di assise di appello ha accolto soltanto il motivo relativo alla entita' della pena, sicche' con le gia' riconosciute circostanze attenuanti generiche equivalenti, la pena e' stata ridotta ad anni ventidue di reclusione, rilevando che la pena edittale, per il reato di omicidio e' non inferiore nel massimo a 21 anni dunque pari ad anni 24 di reclusione, cosi' riducendo la sanzione in una misura proporzionata alla gravita' dei fatti e alla personalita' dell'imputato. 2.Ricorre tempestivamente, avverso la descritta sentenza, l'imputato, per il tramite del difensore, avv. (OMISSIS), denunciando due vizi, di seguito riassunti nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1.Con il primo motivo si denuncia errata applicazione di legge penale in relazione all'articolo 575 c.p. e articolo 576 c.p., n. 2. Si contesta la motivazione operata dalla Corte territoriale per relationem. Si tratta, secondo la difesa, di motivazione che ha sostanzialmente replicato quella di primo grado, confermando la penale responsabilita' del ricorrente e riducendo soltanto la pena. Per confermare la qualificazione del reato di omicidio volontario e nel respingere la qualificazione proposta dalla difesa di omicidio preterintenzionale, la Corte territoriale ha valorizzato le stesse dichiarazioni del ricorrente, rese sin dalla immediatezza dei fatti attribuendogli valenza ricostruttiva. Quindi, a parere della difesa, da un lato la Corte territoriale attribuisce aderenza alla realta' dei fatti a quanto dichiarato dal ricorrente; per altro verso pero', la motivazione della Corte territoriale finisce per svilire la portata scriminante del narrato, reputando inverosimili e non veritiere le dichiarazioni in alcune parti. Cio', con particolare riferimento alla natura accidentale o inconsapevole del gesto dell'imputato che, invece, viene considerato espressione di piena coscienza e volonta' per essersi questi reso perfettamente conto del rischio cui esponeva il genitore, sotto il profilo dell'incolumita', nel momento in cui spruzzava l'alcol sulla sua persona. La motivazione adottata dalla Corte territoriale sarebbe, a parere della difesa, contraddittoria perche' non dimostrerebbe, al di la' di ogni ragionevole dubbio, l'esistenza in capo al ricorrente dell'animus richiesto dalla norma. E' stato infatti accertato che (OMISSIS) allorche' aveva colpito il padre con lo spruzzo di alcol, impugnava la bottiglia soltanto per frizionare piccole ferite alla mano destra e non perche' intenzionato ad uccidere l'anziano genitore. Si tratta, secondo il ricorrente, di ferite eritematose che hanno costituito oggetto di ispezione corporale da parte del medico legale intervenuto sul posto il giorno stesso del fatto. La difesa evidenzia che lo specialista ha dato conto degli esiti di tale ispezione corporale svolta nell'immediatezza dei fatti di causa sul locus commissi delicti, i cui esiti sono riportati in allegato al ricorso. Si tratta di circostanza che dunque e' data per acquisita e acclarata sin dalle indagini preliminari ed e' circostanza fattuale incontestabile che pero' non ha trovato adeguata valorizzazione nella sentenza impugnata. Il ricorrente, infatti, e' affetto da una grave forma del morbo di cooley che ha come sua conseguenza quella di incartapecorire la pelle. Questi, quindi, in quel momento si stava disinfettando la mano abrasa. Si tratta di condotta posta in essere d'impeto, per uno stato di ira provocato dall'atteggiamento dell'anziano genitore, senza avere avuto il tempo di rendersi conto di quello che stava facendo, trattandosi di un mero gesto repentino, di stizza con il quale si era diretto verso il padre e aveva indirizzato lo spruzzo della bottiglietta su di lui peraltro impugnata con la mano sinistra. In realta', secondo il ricorso, quello che si era verificato e' che il tappo della bottiglietta si era staccato, aumentando in modo esponenziale l'entita' dello spruzzo. Il ricorrente, quindi, in quel contesto non sarebbe stato in grado di prefigurarsi, stante la rapidita' e la meccanicita' del gesto, neanche come mera eventualita', la morte dell'anziano genitore. Va precisato, peraltro, secondo la difesa che la Procura procedente aveva tratto a giudizio, davanti alla Corte di assise, il (OMISSIS) soltanto per omicidio preterintenzionale, imputazione che e' mutata in corso di causa in quella di omicidio volontario per la quale e' stato condannato. L'imputato poi ha riferito spontaneamente di aver frequentato un corso di laurea in ingegneria chimica all'universita', ha riferito dei continui litigi col padre anziano, circostanze che sicuramente lo hanno svantaggiato rispetto a un possibile movente omicidiario. Questi, pero', ha anche riferito di non ricordare bene se avesse fatto immediatamente ricorso all'acqua in bagno per inondare il corpo del padre oppure no. In sostanza, si tratterebbe di narrato estremamente sincero, idoneo secondo la difesa ad escludere l'animus necandi. Del resto, si osserva che l'imputato avrebbe avuto tutto l'interesse a lasciare integro il locus commissi delicti, affinche' fossero visibili le tracce della conduzione dell'incendio e, invece, soltanto una spinta irrazionale lo aveva indotto a comportarsi in maniera incoerente. Le circostanze successive al decesso del padre, dunque, per il ricorrente non sarebbero idonee a trarre la prova dell'animus necandi. 2.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione. Si deduce che la motivazione della Corte territoriale per confermare il reato e lo scrutinio operato dal primo giudice, a carico del ricorrente, non prova l'esistenza della fattispecie di omicidio volontario aggravato dal grado di parentela ma e' contraddittoria perche' travisa le stesse dichiarazioni del ricorrente. 3. La difesa ha fatto pervenire a mezzo p.e.c. tempestiva richiesta di trattazione orale, accordata, Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, ex articolo 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, da ultimo prorogato, quanto alla disciplina processuale, in forza del Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, articolo 16 convertito, con modificazioni, nella L. 25 febbraio 2022, n. 15. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso e' infondato. 1.1.Entrambi i motivi di ricorso sono infondati. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita', puo' ritenersi nulla per difetto di motivazione la sentenza di appello che, a fronte di motivi di impugnazione specifici, con cui si contesti in maniera argomentata la ricostruzione operata dal giudice di primo grado, si limiti a "ripetere" la motivazione di condanna senza rispondere a ciascuna delle contestazioni adeguatamente mosse dalla difesa con l'atto di appello (tra le altre, Sez. 2, n. 56395 del 23/11/2017, Floresta, Rv. 271700). Coerentemente con l'indirizzo applicativo in materia di motivazione per relationem (Sez. 2, n. 55199 del 29/5/2018, Salcini, Rv. 274252), deve altresi' escludersi l'illegittimita' del richiamo della motivazione di altro provvedimento quando, tra l'altro, la motivazione stessa sia congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione, e il giudice abbia dimostrato di fare proprie le argomentazioni ivi contenute. Cio' premesso, si osserva che la motivazione offerta dalla Corte territoriale ha tenuto conto delle censure devolute e, sebbene abbia fatto rinvio, come legittimamente era consentito trattandosi di cd. doppia conforme affermazione di responsabilita', alla sentenza di primo grado quanto alle circostanze di fatto acclarate nel giudizio di merito, ha mostrato di aver valutato le deduzioni sottoposte al suo vaglio con il gravame, dando a queste risposte congrue, complete e non contraddittorie, immuni da illogicita' manifesta, anche in relazione alla sussistenza dell'animus necandi. 1.2.Va, poi, rilevato che e' pacifico l'indirizzo di questa Corte di legittimita', cui il Collegio intende dare continuita' (tra le altre, Sez. 1, n. 35369 del 04/07/2007, Zheng, Rv. 237685) quello secondo il quale il criterio distintivo tra l'omicidio volontario e quello preterintenzionale risiede nell'elemento psicologico, nel senso che nell'ipotesi della preterintenzione la volonta' dell'agente e' diretta a percuotere o a ferire la vittima, con esclusione assoluta di ogni previsione dell'evento morte, mentre nell'omicidio volontario la volonta' dell'agente e' costituita dall'animus necandi, ossia dal dolo intenzionale, nelle gradazioni del dolo diretto o eventuale, il cui accertamento e' rimesso alla valutazione rigorosa di elementi oggettivi desunti dalle concrete modalita' della condotta (il tipo e la micidialita' dell'arma, la reiterazione e la direzione dei colpi, la distanza dalla vittima, la parte vitale del corpo presa di mira e quella concretamente attinta). Dunque, secondo l'indirizzo assunto da questa Corte (Sez. 1, n. 4425 del 05/12/2013, dep. 2014, Cutrufello, Rv. 259014) il criterio distintivo tra l'omicidio preterintenzionale e quello volontario va ricercato nel fatto che, nel primo caso, la volonta' dell'agente esclude ogni previsione dell'evento morte, mentre, nel secondo, la previsione dell'evento e' necessaria e deve essere accertata in concreto, non essendo sufficiente la semplice prevedibilita' dello stesso. Ancora si deve rimarcare che il dolo (d'impeto) ben puo' sorgere (cfr., in motivazione, Sez. U, n. 40516 del 23/06/2016, Del Vecchio, Rv. 267628) in modo improvviso. Anzi, va rilevato che il dolo d'impeto designa un dato meramente cronologico, consistente nella repentina esecuzione di un proposito criminoso improvvisamente insorto e che si concreta in una risposta immediata, o quasi immediata, che non collide con una connessa e coeva ulteriore e contestuale intenzionalita', ovvero con un profilo di consapevolezza e previsione degli esiti della condotta voluta, in funzione del nesso causale che deve legare i due termini del fatto. In definitiva, la deliberazione illecita puo' ben essere fulminea, estemporanea ma al contempo fredda e ordinata. Del resto, secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimita', cui il Collegio intende dare continuita', non sussiste alcuna incompatibilita' logica e giuridica tra dolo d'impeto e dolo eventuale, posto che l'agire sulla spinta emotiva del momento non esclude la lucidita' mentale e le facolta' cognitive che consentono di prevedere ed accettare il rischio dell'evento come conseguenza della propria azione (Sez. 1, n. 23517 del 07/03/2013, Corbo, Rv. 256472; Sez. 1, n. 39791 del 30/09/2005, Masciovecchio, Rv. 232943). 2. Cio' premesso si osserva che, nel caso al vaglio, la Corte territoriale rende conto, con ragionamento non manifestamente illogico, dell'accertamento di fatto svolto in sede di merito, univoco e conducente nel senso della sussistenza dell'anumus necandi. La Corte territoriale, invero, valorizza il movente, rappresentato dalle continue liti tra padre e figlio, ripetutesi anche nel momento dell'omicidio nonche' il mezzo usato. Si tratta, secondo le sentenze di merito, di bottiglia di alcol indirizzata sulla persona, vicina ai fornelli intenta a cucinare, con direzione dello spruzzo all'altezza del torace, dunque in una zona piu' che prossima al fornello che era, in quel momento, acceso (come attestato dai resti rosolati di cibo trovati sul fondo di un pentolino: cfr. pag. 14 della sentenza di primo grado e 11 di quella di appello). Si descrive, dunque, una condotta che, anche a prescindere dalla tipologia di studi intrapresa dall'imputato (ingegneria chimica), conduce all'evidente prospettazione, quanto meno nella forma del dolo eventuale, al momento dell'azione, dell'evento morte. Viene, inoltre, valorizzato, con ragionamento immune da censure di ogni tipo e non contraddittorio, il comportamento successivo che lo stesso imputato descrive come non diretto, immediatamente, a prestare soccorso al genitore investito dalle fiamme. Tanto che, peraltro, soltanto diverse ore dopo si sollecita l'intervento dei Carabinieri (il fatto e' avvenuto nella tarda mattinata e la testimonianza resa dai Carabinieri, indica come orario della chiamata, le ore 17:30). Del resto, anche l'acqua sul corpo in fiamme, secondo la stessa versione dei fatti resa dall'imputato, viene gettata in un secondo momento, per essersi questo prima interessato di spegnere il fuoco che aveva investito i brandelli di vestiti trovati nel corridoio, perche' lasciati cadere dal genitore che era riuscito a toglierseli mentre scappava verso il bagno, avvolto dalle fiamme. Infine, si sottolinea il rilevante argomento del reperimento di materiale combusto nel camino sito nel seminterrato dell'abitazione dell'imputato che, secondo il ragionamento logico dei giudici di merito, non poteva essere stato allocato sul posto dalla vittima. Peraltro, appare argomento soltanto ipotetico e, comunque, versato in fatto, dunque non esaminabile in questa sede di legittimita', quello secondo il quale il tappo della bottiglia di alcol brandita dall'imputato si era allentato ed aveva ha fatto fuoriuscire una quantita' inaspettata di liquido infiammabile. Sul punto, si osserva che l'esito del giudizio di responsabilita' fondato, come nel caso in esame, su motivazione non manifestamente illogica ne' contraddittoria del giudice di appello, non puo' essere invalidato da prospettazioni alternative, che si risolvano in una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'autonoma assunzione di diversi parametri di ricostruzione e di valutazione, da preferirsi a quelli adottati dai giudici di merito, perche' indicati come piu' plausibili, o perche' assertivamente dotati di una migliore capacita' probatoria (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. 6, n. 456 del 21/09/2012, dep. 2013, Cena, Rv. 254226; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, Rv. 235507). Dunque, rispetto agli esaurienti argomenti sviluppati dal giudice del gravame, la censura devoluta con il primo ricorso appare non decisiva, nella parte in cui espone che non sarebbe stato tenuto in debito conto il narrato del (OMISSIS), ove questi ha affermato di avere brandito la bottiglia di alcol soltanto perche' doveva usarla per medicare delle ferite che aveva sulla mano, ferite effettivamente riscontrate nelle immediatezze. Si tratta, in definitiva, di argomento non idoneo ad escludere anche in caso di occasionalita' del possesso della bottiglia di alcol, l'esistenza del dolo, pur nato improvvisamente, quanto meno nella forma di quello eventuale, secondo i principi di diritto sin qui riportati. Infine, con riferimento al secondo motivo di ricorso, deve rilevarsi che coerente, rispetto al canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio, previsto dall'articolo 533 c.p.p., risulta la motivazione, sia nel contenuto che nella forma utilizzata dall'estensore. Il criterio di attribuzione della responsabilita', cui ha fatto ricorso la Corte territoriale si fonda infatti, su parametri del tutto in linea con quello normativo di indispensabile valutazione della colpevolezza penale. Si tratta, come e' noto, di parametro di verifica, obbligatoriamente prescritto dall'articolo 533 c.p.p. che, connesso alla presunzione di innocenza o non colpevolezza, richiede il superamento dell'oltre ogni ragionevole dubbio e non gia' la mera plausibilita' o la semplice verosimiglianza, sia pur dotata di forte plausibilita', della ricostruzione adottata, cosi' assicurando lo standard richiesto dal legislatore, in conformita' all'articolo 27 Cost. (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430, in motivazione). Proprio in adesione a tale canone di giudizio, i giudici di secondo grado hanno ragionato in termini di certezza della colpevolezza per il reato di omicidio volontario, senza accedere ad alcun dubbio. Certo, infatti, viene indicato il movente, stante la descritta particolare tensione e l'attrito tra genitore e figlio, confermato anche da stretti congiunti, nonche' la posizione del padre ai fornelli accesi al momento dell'ulteriore accesa lite tra i due, cosi' come certa e' la condotta materiale, concretizzatasi nello spruzzare l'alcol dalla bottiglia che (OMISSIS) aveva in mano, all'altezza del torace del genitore, quindi anche del fornello che, in quel momento, era acceso. Infine, in termini di certezza viene indicato il comportamento dell'imputato successivo all'azione, segnalando la Corte territoriale che soltanto dopo diverse ore erano stati chiamati i soccorsi e, comunque, evidenziando che nemmeno dopo che il padre, avvolto dal fuoco si era diretto, d'istinto, verso il bagno, il (OMISSIS) aveva provato a prestargli soccorso immediatamente. Sicche', ai fini della configurazione del reato ritenuto in sentenza, il ragionamento svolto non procede in termini di mera verosimiglianza, criterio insufficiente all'affermazione di responsabilita', ma conclude per la conferma della penale responsabilita' del ricorrente per il fatto contestato, in termini di assoluta certezza. 3.Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TARDIO Angela - Presidente Dott. MASI Paola - Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - rel. Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. LANNA Angelo Valerio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato in (OMISSIS); avverso la sentenza del 18/03/2022 della Corte di assise di appello di Brescia; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Francesco Centofanti; udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Di Leo Giovanni, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di assise di appello di Brescia confermava la decisione dibattimentale di primo grado, con cui (OMISSIS): - era stato dichiarato colpevole di concorso nell'omicidio di Muca Bajram, aggravato dal nesso teleologico (capo A della rubrica), e di concorso in rapina, aggravata dall'aver commesso il fatto con armi e in piu' persone riunite (capo B); - era stato condannato, per entrambi i reati, uniti in continuazione, e previo riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti, alla pena principale di ventidue anni di reclusione. 2. Nell'ambito del primo giudizio gli accadimenti erano stati ricostruiti, tramite testimonianze oculari, nei termini seguenti. All'interno di due tunnel, che correvano sotto la (OMISSIS), in territorio di Chiari, si era stabilita, nell'estate 1999, una piccola colonia di cittadini albanesi, irregolarmente soggiornanti, di cui faceva parte la vittima, (OMISSIS). Nella notte tra il 1 e il 2 settembre 1999 avevano fatto improvvisa comparsa in quei luoghi altri due suoi connazionali, tale " (OMISSIS)", poi identificato nell'imputato (OMISSIS), e tale "(OMISSIS)", mai identificato. Intorno a mezzogiorno del 2 settembre, costoro avevano iniziato a lamentare, in modo pretestuoso, la sparizione di un orologio prezioso, e di una somma contante, a loro dire custoditi in una borsa all'interno di uno dei tunnel. La sera, dopo aver vanamente perquisito i vari giacigli che ivi si trovavano, i due si erano fatti consegnare, sotto la minaccia di un coltello, il denaro in possesso degli astanti, con l'avvertenza che, se entro il giorno successivo non si fosse ritrovato l'orologio, i responsabili avrebbero fatto una brutta fine. Trascorreva cosi' la giornata del 3 settembre. Intorno alle ore 2.00 del 4 settembre, (OMISSIS) e (OMISSIS) erano tornati nel tunnel e avevano iniziato a picchiare i connazionali presenti; in particolare, i due si erano accaniti selvaggiamente contro (OMISSIS), (OMISSIS) e, appunto, (OMISSIS). Il pestaggio si era protratto a lungo, con calci e pugni diretti anche al volto dei malcapitati. Tutti erano rimasti sequestrati all'interno. Solo la mattina successiva (OMISSIS) e (OMISSIS) se ne erano andati, dopo aver minacciato di morte gli occupanti per impedire loro di chiamare la polizia. Allontanatisi gli aggressori, tutti gli albanesi si erano dati alla fuga, ad eccezione di (OMISSIS) e (OMISSIS), che non riuscivano a reggersi in piedi. Anche (OMISSIS) era riuscito infine ad abbandonare il tunnel. (OMISSIS) era rimasto quindi solo al suo interno, incapace di parlare e di muoversi, ma ancora vivo. L'allarme alle forze dell'ordine era giunto solo la sera del 4 settembre, con due consecutive telefonate al Servizio 112, effettuate da (OMISSIS), cugino di (OMISSIS), che rientrava tra i soggetti malmenati. Soccorso solo in questo momento, e trasferito in ospedale, a Brescia, (OMISSIS) decedeva nelle ore successive. 3. L'imputato era stato identificato gia' nel corso delle prime indagini, grazie alle impronte digitali rilevate sul posto. Contro di lui era stata emessa un'ordinanza di custodia in carcere, rimasta ineseguita per la latitanza dell'interessato, venendo poi revocata, molti anni piu' tardi, per carenza di attualita' e concretezza delle esigenze cautelari. Erano stati intanto eseguiti gli accertamenti autoptici del caso. La relativa consulenza tecnica, sottoscritta dal prof. (OMISSIS), depositata nel febbraio 2002, aveva escluso l'esistenza di un nesso causale tra il decesso di (OMISSIS) e il subito pestaggio. Il Pubblico ministero aveva quindi avanzato richiesta di archiviazione, limitatamente all'omicidio, non accolta tuttavia dal G.i.p., che aveva ordinato un approfondimento medico-legale. Quest'ultimo era eseguito, nell'agosto 2018, dal Dott. (OMISSIS). Il relativo elaborato affermava l'esistenza del nesso causale. Su questa base l'imputato era tratto a giudizio per rispondere anche della morte del suo connazionale. 4. La Corte di assise, nel definire il giudizio stesso, aveva affrontato la questione medico-legale e preso in esame la discordanza tra le due consulenze, pervenute a opposte conclusioni. Il prof. (OMISSIS) riteneva che la morte di (OMISSIS) non fosse imputabile al politraumatismo. Le lesioni a lui inferte, pur evidenti sul cadavere, erano considerate prive di efficacia nel determinismo del decesso, viceversa attribuito a "insufficienza cardio respiratoria inemendabile in soggetto in stato di corna con meningo-encefalite in fase di iniziale ascessualizzazione ed iniziale broncopolmonite". La causa della morte era dunque ricondotta, in via assorbente, a un processo infiammatorio di origine meningitica. Il Dott. (OMISSIS), invece, sosteneva che la morte fosse derivata da arresto cardio-respiratorio, secondario ad esiti emorragici (emorragia subaracnoidea e multipli focolai intraparenchimali) conseguenti a trauma cranico. Il Dott. (OMISSIS) non aveva rilevato la presenza nell'encefalo di materiale purulento, ne' aveva rintracciato alcun accumulo di cellule di globuli bianchi, che sarebbero dovute essere presenti se si fosse trattato di meningite. Questi elementi gli permettevano di escludere la diagnosi formulata nella prima consulenza. Il Dott. (OMISSIS) aveva valutato la documentazione clinica e gli allestimenti istologici raccolti all'epoca; aveva successivamente sottoposto a indagini immunoistochimiche i reperti ricavati dall'encefalo della vittima, ancora ottimamente conservato in formalina, nonostante fossero trascorsi diversi anni. I suoi studi erano stati condotti con l'ausilio dell'anatomopatologo prof. (OMISSIS), con il quale si era proceduto ad eseguire una nuova campionatura dell'encefalo, dal quale erano stati ricavati molti piu' reperti di quelli esaminati dalla precedente consulenza. Era stato anche possibile appurare, con particolari marcatori, come i globuli bianchi fossero presenti solo in corrispondenza delle raccolte ematiche, e non altrove; segno, questo, ritenuto espressivo in modo inequivoco del fatto che la loro presenza fosse correlata alle lesioni, e non a una meningite. Sulla base di queste risultanze, il Dott. (OMISSIS) riteneva che la morte di (OMISSIS) fosse stata causata dall'aggressione sferrata da (OMISSIS). La Corte di assise, valutati i due elaborati, aveva ritenuto non necessario disporre d'ufficio perizia. In proposito, essa aveva considerato che meritasse sicuro credito la seconda indagine, effettuata dal Dott. (OMISSIS), maggiormente approfondita e corroborata da piu' ampi e completi esami di laboratorio. A conferma di tale conclusione, la Corte di assise aveva sottolineato che, il 2 settembre 1999, (OMISSIS) si era recato al Pronto soccorso di Chiari accusando dolori al torace, e, dopo gli accertamenti eseguiti, era stato dimesso con la diagnosi di lombalgia. Non era stato riscontrato alcuno stato febbrile, come sarebbe stato invece lecito attendersi se, effettivamente, (OMISSIS) fosse stato affetto da una meningite in grado, solo due giorni dopo, di portarlo alla morte. Cosi' definita l'eziologia del decesso, i primi giudici avevano argomentato a sostegno dell'animus necandi; nonche', quanto alla rapina, e per i profili di ulteriore interesse nel processo, a sostegno delle aggravanti contestate. 5. L'appello dell'imputato aveva investito tali precisi aspetti, e anzitutto il profilo della causalita' rispetto alla morte. L'appellante aveva insistito perche' fosse disposta una perizia medico-legale, ritenendo in difetto preferibile la consulenza tecnica effettuata dal prof (OMISSIS), per due ordini di ragioni. In primo luogo, perche' solo il prof. (OMISSIS) aveva avuto diretto contatto con il cadavere, avendo eseguito personalmente e direttamente l'autopsia, nell'ambito della quale aveva constatato la presenza di pus a carico dell'encefalo, elemento macroscopicamente deponente per la diagnosi di meningite. In secondo luogo, perche' gli accertamenti del Dott. (OMISSIS) potevano essere stati condizionati dall'avvenuta conservazione dell'encefalo della vittima in formalina per lunghi anni, nel corso dei quali la sostanza giallastra, che era stata notata nell'ambito della prima consulenza, poteva essere scomparsa. 6. La Corte di assise di appello disattendeva tali censure. Con riferimento alla prima obiezione, il giudice di appello osservava che, quantunque il Dott. (OMISSIS) non si fosse trovato a diretto contatto con il cadavere, egli si era pur sempre basato sulla stessa documentazione sanitaria utilizzata dal prof. (OMISSIS) e sugli stessi rilievi autoptici da lui eseguiti. E maggiormente affidabile doveva considerarsi la consulenza tecnica del Dott. (OMISSIS), sulla base del fatto che essa poggiava su specifiche e nuove analisi di laboratorio, oggettivamente valutabili, in grado di prevalere sulla mera percezione visiva che aveva avuto il prof. (OMISSIS). Con riferimento alla seconda osservazione, la Corte distrettuale richiamava le dichiarazioni rese in primo grado dal Dott. (OMISSIS) e dal prof. (OMISSIS), che avevano riferito come i preparati ricavati dall'encefalo fossero ancora in perfetto stato di conservazione, nonostante il tempo trascorso. Era pertanto da escludere che nei vetrini originari fossero presenti elementi non piu' visibili al tempo della rinnovata consulenza medico-legale. Le cellule della serie bianca erano visibili, ma nelle sedi di emorragia; se fossero state presenti anche in altre sedi, sarebbero state ancora rilevabili. Due, dunque, erano stati gli elementi valorizzati dal Dott. (OMISSIS): il fatto che nei preparati realizzati nel 1999 non vi fosse traccia di una infiammazione meningitica, e il fatto che dagli stessi risultassero pero' cellule della serie bianca, perfettamente conservate e riconoscibili. Questo aveva permesso al Dott. (OMISSIS) di affermare che, se le cellule tipiche del pus di cui aveva parlato il prof. (OMISSIS) fossero state presenti ai tempi della prima consulenza medico-legale, esse sarebbero state rilevate anche successivamente. 7. La difesa appellante aveva anche valorizzato l'assenza di fratture sul cranio della vittima, e aveva segnalato la contraddittorieta' tra questo dato e le conclusioni raggiunte dal Dott. (OMISSIS), secondo le quali l'arresto cardiocircolatorio sarebbe stato secondario a un trauma cranico. Non vi sarebbe stata neppure traccia radiologica, o autoptica, di trauma cranico. In replica, la Corte di assise di appello notava che un'emorragia cerebrale poteva prodursi anche per traumi che non avessero provocato vere e proprie fratture delle ossa craniche. E la TAC aveva infatti rilevato "plurimi focolai contusivi". L'esistenza del trauma cranico era innegabile. Sulla base di questi rilievi, la Corte di Assise di appello riteneva non necessario disporre la rinnovazione dell'istruttoria per l'esperimento di perizia medico-legale, aderendo nel resto all'impostazione della pronuncia gravata. 8. L'imputato ricorre per cassazione, con il ministero del suo difensore di fiducia. Il ricorso e' strutturato in tre motivi. 8.1. Con il primo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), della mancata assunzione di prova decisiva. Il motivo rammenta che, nell'atto di appello, la difesa aveva chiesto che la Corte distrettuale nominasse un perito, in modo che potesse essere composto il dissidio esistente tra i consulenti tecnici. La Corte di Assise di appello non aveva dato seguito a questa indicazione. Il ricorrente reputa, viceversa, che l'effettuazione della perizia fosse ineludibile, essendo la motivazione della sentenza impugnata, in tema di nesso causale, non convincente. Il giudice di appello non avrebbe operato valutazioni proprie, ma si sarebbe limitato ad accordare preferenza alla seconda consulenza medico-legale, apprezzando le moderne tecnologie utilizzate in essa, senza pero' elaborare una propria valutazione logico-deduttiva. La difesa evoca la giurisprudenza di questa Corte di cassazione, a suo dire attestata nel senso che, a fronte di consulenze tecniche difformi, il giudice dovrebbe effettuare una valutazione ponderata, riguardante la stessa validita' dei metodi scientifici implicati, della quale dovrebbe dare conto in motivazione. La difesa ritiene che non sia possibile, allo stato, affermare con certezza che le moderne tecniche di immunoistochimica, utilizzate della seconda consulenza medico-legale, siano idonee a rilevare anche a distanza di vent'anni la presenza di cellule infiammate da una patologia in corso al momento del decesso. Sarebbero almeno due gli aspetti che i nuovi consulenti tecnici non sarebbero stati in grado di chiarire: se una sostanza virulenta come il pus potesse conservarsi in formalina per decenni, e se i sintomi patologici della meningite fossero o meno riscontrabili con esame istologico. Il giudice di appello avrebbe dovuto, in definitiva, nominare un perito avente tali specifiche competenze, invece di accordare cieca e immotivata fiducia alla consulenza del Dott. (OMISSIS). 8.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la mancanza, contradditorieta' e manifesta illogicita' della motivazione, in relazione alla mancata qualificazione dell'omicidio come preterintenzionale. Dopo aver ribadito che la causa della morte andava ricondotta alla meningite, il ricorrente contesta l'avvenuto rilievo dell'animus necandi. Il fatto che non fosse stato prestato alla vittima il soccorso necessario non sarebbe dipeso dal comportamento dell'imputato e del correo, allontanatisi dal tunnel gia' la mattina seguente al pestaggio. Il ricorrente nega la configurabilita' del dolo anche solo eventuale, dal momento che, secondo la piu' recente giurisprudenza di legittimita', esso dovrebbe essere indefettibilmente connotato da una componente volontaristica, che mancherebbe nel caso di specie. L'obiettivo dei due agenti sarebbe stato infatti quello di rapinare i connazionali, non certo di ucciderli. 8.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la mancanza, contradditorieta' o manifesta illogicita' della motivazione, in relazione alla mancata esclusione delle aggravanti della rapina, da cui conseguirebbe la prescrizione del reato. Il ricorrente sostiene che i testimoni abbiano riferito circostanze diverse da quelle verbalizzate, e che la discrasia sarebbe dovuta alla loro difficolta' di esprimersi in italiano. Avrebbero dovuto essere ascoltati con l'ausilio di un interprete. Molti di loro avevano affermato di essere stati picchiati senza l'impiego di armi. Sul posto non sarebbero stati trovati ne' coltelli, ne' bastone, come testimoniato dal maresciallo dei Carabinieri ivi intervenuto. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. La disamina del ricorso puo' senz'altro muovere dal primo motivo, a proposito del quale occorre preliminarmente rilevare che il vizio, in esso dedotto, non e' inquadrabile nello schema di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d) ("mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso dell'istruzione dibattimentale limitatamente ai casi previsti dall'articolo 495, comma 2"). Anzitutto, come il dato testuale della disposizione rende evidente, la censura corrispondente postula che la prova, della cui mancata ammissione ci si duole, fosse stata richiesta in primo grado, anche in corso di istruttoria, come qui pacificamente non e' avvenuto. La mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nel giudizio di appello puo' costituire violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), solo nel caso - qui non confacente - di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado (Sez. 1, n. 40705 del 10/01/2018, Capitanio, Rv. 274337-01; Sez. 1, n. 3972 del 28/11/2013, dep. 2014, Ingui', Rv. 259136-01; Sez. 5, n. 34643 del 08/05/2008, De Carlo, Rv. 240995-01). In secondo luogo, la mancata effettuazione di un accertamento peritale non potrebbe mai essere denunciato ai sensi della menzionata disposizione, in quanto la perizia non puo' ricondursi al concetto di prova "decisiva", trattandosi di mezzo istruttorio neutro, sottratto alla disponibilita' delle parti e rimesso alla discrezionalita' del giudice (Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A., Rv. 270936-01). La denegata applicazione dell'articolo 603 c.p.p., comma 1, puo' invece integrare il vizio di motivazione, previsto dal medesimo articolo 606, comma 1, lettera e) ove il rifiuto di procedere alla nuova istruttoria richiesta non sia adeguatamente giustificato (sempre che la prova negata, confrontata con le ragioni addotte a sostegno della decisione, sia di natura tale da poter determinare una diversa conclusione del processo: Sez. 2, n. 44313 del 11/11/2005, Picone, Rv. 232772-01). La decisione giudiziale puo' dunque essere saggiata, in tal caso, sotto il profilo della tenuta motivazionale, previa opportuna riqualificazione del motivo proposto, a questa Corte consentita (Sez. 1, n. 15559 del 07/02/2022, Brogno, § 4.2. del Considerato in diritto). 2. Puo' definirsi adeguata la giustificazione giudiziale al riguardo, se essa da' giusto conto della possibilita' di decidere il processo allo stato degli atti, indipendentemente dall'assunzione del nuovo mezzo di prova (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820-01). Quando quest'ultimo consiste in una perizia, essendo il suo espletamento frutto di apprezzamento discrezionale nei termini gia' richiamati, sono proponibili solo censure che ne evidenzino aspetti di manifesta illogicita' (Sez. 3, n. 7259 del 30/11/2017, dep. 2018, S., Rv. 27365301). E' infatti consueta, nella giurisprudenza di questa Corte, l'affermazione per cui costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimita', la scelta operata dal giudice, tra le diverse tesi prospettate dal perito e dai consulenti delle parti, o dai diversi consulenti, di quella che ritiene maggiormente condivisibile, ove la decisione rappresenti, con motivazione appropriata, le ragioni di tale scelta, dopo aver esposto il contenuto dell'opinione disattesa e le deduzioni contrarie delle parti (da ultimo, Sez. 5, n. 43845 del 14/10/2022, Figliano, Rv. 283807-01). In tema di valutazione delle risultanze tecniche e peritali, il giudice di merito puo' fare legittimamente propria, allorche' sia necessario e opportuno, l'uno piuttosto che l'altro responso scientifico, dando congrua ragione dell'opzione esercitata e dimostrando di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire (Sez. 4, n. 11235 del 05/06/1997, Marinato, Rv. 20967501). 3. Cio' posto, il primo motivo, come riqualificato, risulta infondato, perche' i giudici di merito, con valutazione perfettamente collimante, saldamente ancorata a indagini tecnico-scientifiche svolte con estremo rigore, hanno spiegato in termini realmente esaurienti le ragioni della maggiore affidabilita' degli esiti attinti dalla rinnovata consulenza, eseguita tra l'altro con l'ausilio di metodiche aggiuntive e piu' sofisticate, su dati di laboratorio perfettamente conservati (come perfettamente risultante dagli atti). In tema di causalita' omicida, rileva peraltro, come e' noto, qualunque condizione in grado di influire sull'evento morte, cosi' come verificatosi hic et nunc, quindi anche nel senso di un apprezzabile anticipazione (in termini generali, v. Sez. 4, n. 988 del 11/07/2002, dep. 2003, Macola, Rv. 227001-01). In materia si impone, dunque, un elementare rinvio alle regole, con cui e' regolamentata l'imputazione oggettiva degli eventi causati dall'autore di un reato; viene cioe' in gioco l'articolo 41 c.p., comma 1, a mente del quale eventuali patologie preesistenti o concomitanti non interrompono, di regola, il nesso di causalita' tra la condotta lesiva e la morte, potendo semmai assurgere a concausa di quest'ultima, inidonea a rendere irrilevante il fatto violento dell'agente (Sez. 6, n. 4121 del 16/05/2019, dep. 2020, A., Rv. 278194-02). Non era dunque ragionevolmente necessaria alcuna perizia, per confermare il dato di evidenza della derivazione, quanto meno concausale, del decesso della vittima, nei tempi e nei modi in cui e' avvenuto, dal brutale e prolungato pestaggio cui fu poche ore prima sottoposta, sfociato in un politraumatismo cranico eziologicamente efficiente. 4. Manifestamente infondato risulta, poi, il secondo motivo di ricorso. Il criterio distintivo tra l'omicidio volontario e l'omicidio preterintenzionale risiedei come noto, nell'elemento psicologico, nel senso che nell'ipotesi della preterintenzione la volonta' dell'agente e' diretta a percuotere o a ferire la vittima, con esclusione assoluta di ogni previsione e accettazione dell'evento morte, mentre nell'omicidio volontario la volonta' dell'agente e' costituita dall'animus necandi, ossia dalla volonta' di uccidere nelle sue gradazioni di dolo intenzionale, diretto o eventuale; il suo accertamento e' rimesso alla valutazione di elementi oggettivi desunti dalle concrete modalita' della condotta (Sez. 5, n. 11946 del 09/01/2020, Caciula, Rv. 278932-01; Sez. 1, n. 4425 del 05/12/2013, Cutrufello, Rv. 259014-01; Sez. 5, n. 36135 del 26/05/2011, S., Rv. 250935-01), quali i mezzi usati, la direzione e l'intensita' dei colpi, la distanza del bersaglio, la parte del corpo attinta, le situazioni di tempo e di luogo che abbiano favorito l'agire cruento (Sez. 1, n. 28175 del 08/06/2007, Marin, Rv. 237177-01). L'elemento psicologico del dolo omicida e' stato, nella specie, inappuntabilmente ricavato da indici rivelatori di tal fatta. L'imputato, come sottolineato dalla sentenza impugnata, era intenzionato ad uccidere la vittima, o aveva almeno previsto e accettato tale esito, avendola colpita con intensita' e pervicacia in parti vitali del corpo, non avendo arrestato l'azione a fronte dei visibili e gravissimi effetti che si stavano producendo, ed avendo anzi lasciato (abbandonando irresponsabilmente i luoghi) che il tragico epilogo si compisse. Da tali elementi, compiutamente e sinergicamente valutati, la sentenza impugnata ha tratto il logico convincimento della volonta' omicida, nella forma del dolo diretto o almeno eventuale. 5. Non occorre, infine, esaminare il terzo motivo. Il delitto di rapina, di cui al capo B) - quantunque aggravato ai sensi dell'articolo 628 c.p., comma 3, e a prescindere, dunque, dalla attribuzione delle relative circostanze - risulta infatti ad oggi prescritto, in applicazione della disciplina applicabile ratione temporis, piu' favorevole al reo. In base al combinato disposto dell'articolo 157 c.p., comma 1, n. 2), e articolo 160 c.p., comma 2, (testo vigente ante L. 5 dicembre 2005, n. 251), il termine massimo di prescrizione e' pari a ventidue anni e sei mesi, interamente decorso, anche tenuto conto dei 64 giorni di sospensione, di cui al Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, articolo 83, comma 2, conv. dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, e succ. mod. e integr.. 6. La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata, limitatamente al reato di rapina di cui al capo B), perche' estinto per prescrizione. La relativa quota parte di pena, pari ad un anno di reclusione, deve essere eliminata. Il ricorso deve essere respinto nel resto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al rato di rapina di cui al capo B), perche' estinto per prescrizione, ed elimina la relativa pena pari ad anni uno di reclusione. Rigetta il ricorso nel resto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE prima PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TARDIO Angela - Presidente Dott. MASI Paola - Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - rel. Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. LANNA Angelo V. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza del 04/04/2022 della Corte di assise di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Francesco Centofanti; udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Di Leo Giovanni, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi; udito, per le parti civili costituite, l'avvocato (OMISSIS), che si e' associato alle conclusioni del Pubblico ministero e ha chiesto la liquidazione delle spese di lite; udito, in difesa degli imputati, l'avvocato (OMISSIS), che ha chiesto l'accoglimento dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di assise di appello di Napoli confermava la decisione dibattimentale di primo grado, con cui: - (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati dichiarati colpevoli, in concorso tra loro, l'uno quale esecutore materiale, l'altra come istigatrice, dell'omicidio di (OMISSIS) (capo A della rubrica) e del tentato omicidio di (OMISSIS) e (OMISSIS) (capo B), aggravati da futili motivi; - il solo (OMISSIS) era stato dichiarato colpevole, altresi', del connesso reato di porto illegale di arma comune da sparo; - entrambi erano stati condannati, per i reati suddetti, in riconosciuta continuazione tra loro, alla pena principale dell'ergastolo, con isolamento diurno per la durata di un anno. 2. Nell'ambito del primo giudizio gli accadimenti erano stati ricostruiti -tramite le deposizioni delle persone offese, altre testimonianze oculari e i rilievi tecnici e scientifici effettuati sul luogo- nei termini seguenti. L'antefatto era rappresentato dai pessimi rapporti di vicinato esistenti tra gli imputati, marito e moglie, e la famiglia delle vittime. (OMISSIS) era titolare, in (OMISSIS), di un'attivita' commerciale, svolta all'interno dello "(OMISSIS)", posto alle spalle dell'abitazione in cui i due coniugi risiedevano. La sera del (OMISSIS) (OMISSIS), armato di pistola carica (una Guardian North American Arms, calibro 9), si era recato con la moglie presso il chiosco, lamentandosi del rumore e del parcheggio abusivo delle automobili dei clienti davanti al proprio cancello di casa. Era quindi insorta un'animata discussione tra lui e (OMISSIS), genero del titolare dell'esercizio. In essa erano intervenuti alcuni astanti ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) e, in un secondo momento, lo stesso (OMISSIS) con la figlia (OMISSIS), nel tentativo di riportare (OMISSIS) alla calma. Senonche' questi, a un certo punto - incitato dalla moglie, che, nell'atto di colpire con un bastone (OMISSIS), si era sbilanciata ed era caduta a terra - aveva iniziato a sparare all'indirizzo di padre, figlia e genero, uccidendo (OMISSIS) e ferendo gli altri due in piu' parti del corpo, tra cui il torace. 3. La Corte di assise, nel ritenere il dolo omicida a carico di (OMISSIS), escludeva che egli avesse reagito ad un'aggressione fisica mossagli da (OMISSIS). Di contatto fisico diretto non aveva parlato alcun testimone. Non vi era alcun segno di violenza sul corpo dell'imputato e le dichiarazioni sue e del coniuge apparivano al riguardo contradditorie. La Corte di assise giudicava sussistere la responsabilita' di (OMISSIS) a titolo di concorso morale, ritenendo che la donna avesse dapprima attivamente partecipato alla discussione con insulti e minacce, per poi incitare il marito a sparare contro gli avversari nel momento di maggiore animosita'. La donna era di certo a conoscenza dell'esistenza della pistola, avendo istigato il marito ad usarla, e quest'ultimo aveva sparato solo dopo l'incitamento della moglie. Quand'anche si volesse escludere il previo accordo criminoso, l'attiva partecipazione di (OMISSIS) alla lite e il suo ruolo, condizionante il tragico sviluppo, mettevano l'imputata nella posizione di un soggetto che aveva determinato l'azione delittuosa. 4. La Corte di assise di appello, adita dai due imputati, respingeva tutti i motivi di gravame, diretti, per (OMISSIS), ad ottenere l'assoluzione, e per (OMISSIS) ad ottenere, in punto di responsabilita', il riconoscimento dell'eccesso colposo in legittima difesa, reale o putativa, ovvero la derubricazione in omicidio preterintenzionale. 5. Con riferimento alla posizione di (OMISSIS), la sua condotta di partecipazione ideale risultava, per il giudice di appello, dalle deposizioni di tutti i presenti. (OMISSIS) e (OMISSIS) non l'avevano coinvolta nelle iniziali dichiarazioni solo perche', come da loro stessi spiegato in dibattimento in risposta alla corrispondente contestazione, nell'immediatezza dei fatti la loro attenzione si era concentrata sull'autore materiale dell'azione, responsabile della morte del loro congiunto. Non rilevava, in senso contrario, il fatto che il teste (OMISSIS) non avesse sentito (OMISSIS) incitare il marito a sparare, ne' l'avesse vista cadere prima a terra, dal momento che egli aveva dichiarato di essersi gia' defilato dalla scena al momento degli spari. In quel momento egli era lontano alcuni metri e girato di spalle, ed era perfettamente plausibile che potesse non aver sentito le parole di (OMISSIS). Non rilevava neppure il fatto che il teste (OMISSIS), nel confermare che (OMISSIS) avesse sparato su incitamento della moglie, avesse riportato le relative parole in termini non letteralmente coincidenti con quelle riferite da altri testimoni. La lieve divergenza era sintomo di veridicita' e genuinita' del racconto, stando a dimostrare l'assenza di versioni di comodo, concordate, tra i dichiaranti. Il senso di quanto narrato non cambiava. La condotta di (OMISSIS) era causalmente efficiente. (OMISSIS) aveva fatto fuoco, a seguito della sua istigazione. Sino a quel momento egli, quantunque armato, non aveva sparato. L'incitamento della moglie aveva avuto efficacia eziologica determinante. 6. Con riferimento alla posizione di (OMISSIS), la Corte di assise di appello riteneva che l'omicidio preterintenzionale fosse da escludere, dal momento che risultava accertato che (OMISSIS) aveva sparato all'altezza di organi vitali, e non delle sole gambe. L'arma utilizzata, seppure di piccole dimensioni, aveva comunque un calibro micidiale. Erano in essa presenti sette colpi, eccedenti la capacita' del caricatore (il colpo aggiuntivo era gia' in canna). Il dolo poteva qualificarsi d'impeto in capo a (OMISSIS), dal momento che egli, facendo fuoco con le descritte modalita', era pienamente consapevole della potenziale letalita' del suo agire. La legittima difesa era da escludere, dal momento che, quando (OMISSIS) aveva iniziato a sparare, la lite era solo verbale. Era accertato che egli non presentava alcun segno di patita aggressione. Non vi era alcun motivo, ne' reale ne' supposto, per ritenere che (OMISSIS) potesse temere per l'incolumita' propria o della moglie. Nonostante (OMISSIS) fosse caduta a terra, nessuno aveva mai anche solo minacciato azioni violente contro di lei. Inoltre, il corpo della vittima non riportava segni di affumicatura, quindi il colpo era stato esploso da una distanza di circa 50 centimetri. Anche questa circostanza valeva ad escludere la legittima difesa, anche putativa. Lo stesso imputato aveva avvalorato le parole dei testimoni, quando questi avevano affermato che, al momento degli spari, (OMISSIS) era trattenuto da ben due persone ( (OMISSIS) e (OMISSIS)). Tutti i presenti, al di fuori dell'imputato, erano disarmati. 7. Gli imputati ricorrono per cassazione, mediante unico atto, sottoscritto dal comune difensore di fiducia. I ricorsi sono strutturati in cinque motivi" che di seguito si sintetizzano nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 7.1. Primo motivo, nell'interesse di (OMISSIS). Vizio di motivazione. La Corte di assise di appello avrebbe motivato solo per relationem alla pronuncia di primo grado, integrandola con argomenti che, in ordine alla pretesa istigazione omicida, sarebbero elusivi delle censure sollevate con i motivi di appello, con i quali si era evidenziata contradditorieta' delle dichiarazioni rese dalle persone offese. La difesa aveva chiesto l'assoluzione di (OMISSIS), ritenendo che l'ergastolo non potesse fondarsi su dichiarazioni testimoniali connotate da insuperabili discrasie. Le persone offese non avevano parlato di un incitamento proveniente dall'imputata, nelle dichiarazioni rese nell'immediatezza dei fatti, indicandola solo come partecipe alla contesa verbale. Solo successivamente, una volta avvenuta la nomina del difensore di fiducia, avevano reso nuove dichiarazioni, che coinvolgevano (OMISSIS), attribuendole il ruolo di soggetto determinatore dell'azione. A parere della difesa, era implausibile che le parti lese avessero dimenticato congiuntamente di riferire il tentativo di (OMISSIS) di colpire (OMISSIS) con il bastone, la sua caduta e il successivo invito a fare fuoco. Inoltre, a parere della difesa ricorrente, (OMISSIS) aveva reiteratamente escluso, nel suo esame dibattimentale, l'intervento istigatore della ricorrente. Tale preteso ruolo neppure troverebbe riscontro nelle dichiarazioni dei due testi oculari ( (OMISSIS) e (OMISSIS)). (OMISSIS) aveva infatti escluso di aver assistito alla bastonata, alla caduta e all'istigazione da parte di (OMISSIS), mentre (OMISSIS), pur confermando la prospettazione accusatoria, aveva dichiarato di aver udito un'espressione di incitamento diversa rispetto a quella riferita dalle persone offese. La motivazione offerta dalla Corte di secondo grado, in risposta a queste censure, sarebbe manifestamente illogica e contraddittoria. 7.2. Secondo motivo, nell'interesse di (OMISSIS). Vizio di motivazione e travisamento della prova. La motivazione della Corte di secondo grado sarebbe solo apparente, nella parte in cui non sarebbe stato considerato che (OMISSIS) aveva, in cinque momenti diversi, ricollegato gli spari di (OMISSIS) all'intervento del padre nella discussione tra il coimputato e (OMISSIS), e non all'incitazione di (OMISSIS). In cinque diversi passaggi dichiarativi, che la ricorrente riproduce per stralcio, (OMISSIS) avrebbe dichiarato che (OMISSIS) aveva iniziato a sparare nell'istante in cui il padre si era inserito nella discussione, escludendo un incitamento o un'istigazione da parte della moglie. La sentenza impugnata non si sarebbe confrontata con tali rilievi, gia' oggetto dei motivi di appello. Lo stesso sarebbe accaduto con riferimento alle dichiarazioni di (OMISSIS), che aveva piu' volte confermato che gli spari erano iniziati nel momento in cui era intervenuto sulla scena (OMISSIS), screditando il ruolo rivestito da (OMISSIS) e allineandosi alla versione della propria moglie. La Corte avrebbe mancato di confrontarsi anche con queste dichiarazioni. 7.3. Terzo motivo, nell'interesse di (OMISSIS). Vizio di motivazione e travisamento della prova. Il teste (OMISSIS) non aveva mai riferito ne' della bastonata, ne' della caduta di (OMISSIS), ne' della sua istigazione a uccidere, e si era limitato a collocare l'imputata sulla scena del delitto. La Corte di assise di appello, cio' nonostante, avrebbe utilizzato la deposizione del testimone addirittura come riscontro, ritenendo che la discrasia tra quanto da lui riferito e quanto giudizialmente accreditato non fosse cosi' rilevante, essendo plausibile che (OMISSIS) non avesse sentito la frase istigatrice proferita dalla ricorrente per essersi gia' allontanato di quattro o cinque metri dal teatro dei crimini. In questa parte, a parere della difesa, la sentenza e' incorsa in un grave travisamento probatorio per prova inesistente, dal momento che la testimonianza di (OMISSIS) porterebbe a un risultato probatorio del tutto diverso rispetto a quello acquisito in sentenza. La Corte avrebbe mancato di confrontarsi con le censure sollevate in appello, che avevano riportato il reale significato della deposizione di (OMISSIS). Egli aveva infatti dichiarato di non essersi mai allontanato dalla scena e di essersi soltanto voltato per un attimo quando veniva esploso il primo colpo. Una volta avvertito lo sparo, si sarebbe, subito, nuovamente girato e avrebbe visto (OMISSIS) con la pistola in pugno esplodere i colpi successivi. Il riferimento del teste ai quattro o cinque metri non sarebbe stato fatto per indicare la sua distanza dai litiganti, ma il ristretto campo in cui si era sviluppata la condotta degli imputati. 7.4. Quarto motivo, nell'interesse di (OMISSIS). Vizio di motivazione. Secondo la difesa, la Corte di assise di appello ha posto la deposizione di (OMISSIS) a riscontro di quanto dichiarato dalle persone offese, nonostante egli avesse riportato un'espressione istigatrice del tutto diversa da quella riferita dagli altri presenti. Indebitamente, e paradossalmente, la Corte ha ritenuto che la divergenza dichiarativa potesse essere considerata indice di veridicita' e genuinita' del narrato. 7.5. Quinto motivo, nell'interesse di (OMISSIS). Vizio di motivazione e travisamento probatorio. Il riconoscimento dell'animus necandi in capo all'imputato sarebbe frutto di travisamento per falsificazione. La Corte di assise di appello avrebbe infatti sostenuto che (OMISSIS) avesse sparato mirando agli organi votali, in particolare all'addome, mentre dalla deposizione del medico legale, e dalla sua consulenza tecnica, emergerebbe come il colpo abbia avuto una traiettoria dall'alto verso il basso, in direzione della coscia, che non sarebbe organo vitale. La coscia sarebbe l'unico organo colpito, e proprio perche' (OMISSIS), come sottolineato dalla stessa Corte distrettuale, era un esperto tiratore, la traiettoria del colpo, cosi' come la zona attinta, dovevano essere stati frutto di una sua volonta' (non diretta ad uccidere), e non certo di un errore. 8. Sono state depositate, oltre il termine di quindici giorni, di cui all'articolo 611 c.p.p., comma 1, memorie nell'interesse di talune delle parti civili costituite. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I primi quattro motivi, tra loro connessi, sono passibili di esame congiunto. Poiche' essi a vario titolo confutano, quanto alla posizione di (OMISSIS), l'accertamento e l'apprezzamento dei fatti operato in sede di merito, tramite la rivisitazione del materiale istruttorio, nonche' la serrata critica del significato probatorio degli elementi che lo compongono e della loro conclusiva valenza, all'esame dei predetti motivi occorre anteporre alcune premesse di ordine metodologico. 1.1. Secondo il tradizionale insegnamento di questa Corte, accertamenti e apprezzamenti di questo tipo - che sostanziano il giudizio ricostruttivo e valutativo di spettanza del giudice di merito, cui questi sia pervenuto attraverso l'esame delle prove, sorretto da adeguata argomentazione, esente da travisamenti, o da altri-errori logici e giuridici - sono sottratti al sindacato di legittimita' e non possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorieta' della motivazione solo perche' contrari agli assunti del ricorrente (Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989, dep. 1990, Bianchesi, Rv. 182961-01). Tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso non rientrano dunque - salvo sempre il controllo sulla congruita' e logicita' del ragionamento giudiziale, e sulla sua aderenza al dato probatorio estrinseco - quelle relative alla valutazione del dato medesimo, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la connessa indagine sull'attendibilita' delle deposizioni, come pure delle relazioni tecnico-peritali, ovvero la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623-01; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362-01; Sez. 4, n. 8090 del 25/05/1981, Amoruso, Rv. 150282-01). 1.2. In questa cornice, la denuncia di travisamento probatorio e' appunto il mezzo, in forza del quale la Corte di cassazione e' sollecitata, senza dover procedere all'inammissibile rivalutazione del fatto, e degli elementi dimostrativi dello stesso, a prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti, allo scopo di verificare se essi siano stati trasfusi all'interno della decisione impugnata senza alterazione del loro contenuto estrinseco. Sussiste dunque l'anzidetto travisamento giusto quando il giudice di merito abbia fatto riferimento a un elemento di prova in realta' inesistente, o abbia inopinatamente e ingiustamente trascurato un elemento esistente e decisivo, o abbia fondato il proprio convincimento su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (da ultimo, Sez. 1, n. 7907 del 15/12/2021, dep. 2022, Buonanno). Il travisamento in discorso si risolve, dunque, nell'utilizzazione di un'informazione inesistente agli atti, nella omessa valutazione della prova esistente, o nella falsificazione del suo esito (da ultimo, Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, Borriello, Rv. 276567-01). A tale accertamento rimane totalmente estranea la rivisitazione delle modalita' con cui lo specifico mezzo istruttorio e' stato apprezzato nel giudizio di merito, e dei risultati di conseguenza attinti. Il vizio di travisamento, cosi' rettamente inteso, deve risultare da atti processuali chiaramente individuati, nonche' compiutamente allegati o riprodotti (Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, Borriello, Rv. 276567-01; Sez. 4, n. 14732 del 01/03/2011, Molinario, Rv. 250133-01). La giurisprudenza di questa Corte e' costante nell'affermare che, pur a seguito della novellazione disposta con la L. 20 febbraio 2006, n. 46, la denuncia di travisamento probatorio, per invenzione, omissione o falsificazione, richieda la distinta identificazione della risultanza processuale, veicolata dal corrispondente atto probatorio, con cui il provvedimento impugnato si porrebbe in insanabile contraddizione, giacche' il sindacato della Corte di cassazione si profila, pur sempre, come di sola legittimita', sicche' continua ad esulare dai poteri della Corte stessa quello della diretta rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, anche laddove venga dal ricorrente prospettata una abnorme valutazione delle emergenze processuali (Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, Vignaroli, Rv. 236893-01). La Corte di Cassazione, in definitiva, solo se investita di un ricorso che indichi in modo puntuale come il giudice di merito abbia, non gia' erroneamente interpretato, ma indiscutibilmente travisato il dato probatorio processuale, anche sotto l'aspetto dell'omessa considerazione di circostanze fondamentali, risultanti da atti specificamente indicati, portati all'attenzione della Corte stessa nella loro interezza, puo' -nei limiti di quanto dedotto e rappresentato- verificare l'eventuale esistenza del vizio, e adottare le statuizioni consequenziali (Sez. 4, n. 21602 del 17/04/2007, Ventola, Rv. 237588-01). 2. Cio' posto, i motivi in scrutinio sono infondati, nella parte in cui denunciano supposti travisamenti. La rilettura delle dichiarazioni della teste (OMISSIS), la cui trascrizione e' allegata al ricorso, non mette in evidenza alcuna contraddittorieta' estrinseca di motivazione, alcuna reale discrasia tra il significato della deposizione, quale giudizialmente ricostruito, e le risultanze obiettivamente verbalizzate. Non si assiste ad alcuna falsificazione del dato probatorio, ne' all'obliterazione di elementi decisivi. Alla pag. 8 del relativo verbale, la testimone testualmente riferisce della frase dialettale di istigazione ad uccidere, proferita da (OMISSIS), e afferma che, a seguito di essa, il correo estrasse la pistola e inizio' a sparare. Sul punto, la dichiarante, incalzata dal Presidente della Corte di assise, torna negli esatti termini a pag. 10, nonche', in modo inequivoco, durante il controesame del Pubblico ministero (pag. 30 e 31). In nessun altro passaggio dichiarativo la testimone ritratta questa versione. La deposizione (OMISSIS) (pag. 35 del verbale) e', poi, perfettamente in linea con il narrato di (OMISSIS), secondo cui l'imputata, dopo aver perso l'equilibrio, disse al marito, in vernacolo napoletano, che era il momento di uccidere; e questi, gia' armato, dette seguito all'istigazione. Una tale sequela di avvenimenti non e' contraddetta nel prosieguo della deposizione, in cui il teste, su sollecitazione difensiva, concentra piuttosto la narrazione su aspetti e momenti temporali della vicenda diversi dall'istigazione, in se' tuttavia mai piu' negata. Neppure la deposizione di (OMISSIS) appare oggetto di falsata lettura, ad opera dei giudici di merito, li' ove il teste dichiara di aver sentito il primo colpo di arma da fuoco dopo che aveva gia' voltato le spalle alla scena del crimine e si era allontanato di alcuni metri (pag. 20 del relativo verbale). Sicche', plausibilmente, i giudici stessi hanno ritenuto non particolarmente significativo il fatto che questo testimone non avesse percepito il tenore dell'istigazione e non avesse descritto gli eventi ad essa strettamente contestuali. 3. La sentenza impugnata non presta il fianco alle ulteriori censure esposte, in punto di apprezzamento e valutazione della prova. La Corte di assise di appello valuta appropriatamente la credibilita' ed attendibilita' dei dichiaranti, escludendo ingiustificati e sospetti ritardi quanto al riferito coinvolgimento di (OMISSIS) negli accadimenti. Riscontra l'obiettiva convergenza di tutti i narrati, ineccepibilmente osservando che anche il teste (OMISSIS) aveva sentito l'imputata (OMISSIS), da terra, ove era caduta, inveire contro la famiglia (OMISSIS) e urlare al marito che dovesse sparare, in cio' prontamente obbedita. E, correttamente, reputa quest'ultima versione sostanzialmente coincidente con quella fornita dai citati familiari, e idonea a riscontrarla, essendo identici la portata e il senso dell'espressione istigatrice (ancorche' da (OMISSIS) non riprodotta nella sua letteralita' dialettale). Si e', in definitiva, in presenza di un apparato argomentativo esauriente e coerente, privo di aporie logiche, che supera, in ordine all'affermata penale responsabilita' di (OMISSIS), doglianze che - esclusa l'esistenza dei denunciati travisamenti - appaiono unicamente incentrate su dissensi valutativi circa il valore delle testimonianze e su una rilettura in fatto delle risultanze processuali, non consentiti in questa sede. Tali rilievi inducono alla definitiva reiezione dei motivi in scrutinio. 4. Il quinto motivo, incidente sulla posizione dell'imputato (OMISSIS), e sul rilievo dell'elemento psicologico dell'omicidio da lui commesso, denuncia parimenti un travisamento istruttorio che, a conti fatti, non si rivela esistente. Le sentenze di merito non mettono in discussione che (OMISSIS) venne attinto da un unico colpo mortale, esploso a distanza non superiore al mezzo metro, da uno sparatore posto frontalmente, leggermente orientato a sinistra, con direzione di tiro lievemente obliqua verso il basso; in piena rispondenza con le risultanze della consulenza autoptica. Da quest'ultima risulta altresi', tuttavia, che il proiettile trafisse la regione iliaca destra dell'addome di (OMISSIS), prima di "indovarsi", a fine tragitto, nella muscolatura profonda della coscia; e, a livello addominale, il colpo determino' la grave lesivita', responsabile dell'anemia acuta metaemorragica all'origine del decesso. Proprio la direzione del colpo e l'esperienza del tiratore consentono di escludere che l'imputato avesse dunque inteso sparare solo alle gambe. Da questo logico rilievo, e dall'avvenuta esplosione all'impazzata degli ulteriori colpi, diretti -ad altezza d'uomo- verso gli altri esponenti della famiglia (OMISSIS), la sentenza impugnata ha ineccepibilmente desunto l'unitario dolo omicida; e cio', in fedele applicazione del principio per cui, in mancanza di altre evidenze, la prova dell'esistenza di detto dolo puo' essere raggiunta attraverso un procedimento logico d'induzione da altri fatti certi, quali i mezzi usati, la direzione e la ripetizione dei colpi, la distanza del bersaglio, la parte del corpo attinta, le situazioni di tempo e di luogo che abbiano favorito l'azione cruenta (Sez. 1, n. 28175 del 08/06/2007, Marin, Rv. 237177-01). 5. I proposti ricorsi devono essere, conseguentemente, respinti. Alla reiezione consegue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento; nonche' alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle costituite parti civili, che, tenuto conto dell'impegno defensionale profuso, si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, i ricorrenti alla rifusione in favore delle parti civili delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio, che liquida, quanto a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in complessivi Euro 5600,00, oltre accessori di legge; quanto a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in complessivi Euro 6400,00, oltre accessori di legge, e, quanto a (OMISSIS), in complessivi Euro 4000,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. RICCI A.L.A. - Consigliere Dott. MICCICHE' Loredana - rel. Consigliere Dott. CIRESE Marina - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 31/05/2022 della CORTE APPELLO di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere LOREDANA MICCICHE'; lette/sentite le conclusioni del PG che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso, letta la memoria depositata dall'Avvocatura Generale dello Stato che ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'Appello di Roma, con ordinanza del 31 maggio 2022, rigettava l'istanza di riparazione avanzata da (OMISSIS), per l'ingiusta detenzione carceraria subita per complessivi 24 giorni, essendo indagato per omicidio preterintenzionale perpetrato ai danni di (OMISSIS). Il Tribunale di Velletri lo aveva infatti definitivamente assolto ex articolo 530, comma 2, dall'imputazione contestata. 2. Il giudice della riparazione rigettava l'istanza ritenendo sussistente la colpa grave del ricorrente. Riteneva la Corte d'Appello, sulla base del compendio probatorio esaminato nel processo a carico del (OMISSIS), che, pur non essendo stata raggiunta alcuna prova circa la colpevolezza di quest'ultimo, erano state comunque accertate alcune circostanze di fatto che, congiuntamente esaminate, permettevano di ricostruire come gravemente colposo il comportamento del ricorrente, il quale aveva negligentemente causato l'erroneo convincimento della fondatezza del compendio indiziario raccolto a suo carico. 3. L'istante, a mezzo del proprio difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione. 4. Con unico motivo, il ricorrente lamenta, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), violazione di legge in relazione all'articolo 314 c.p.p., in ordine alla riconosciuta sussistenza della colpa grave in capo al ricorrente. I giudici di merito, infatti, avevano utilizzato, per affermare la condotta gravemente colposa del ricorrente, causa della detenzione subita, il compendio indiziario sul quale si erano basati i giudici della cautela rilevando che il (OMISSIS), non avrebbe provveduto a fornire, nel corso dell'interrogatorio di garanzia, adeguati chiarimenti in ordine alle circostanze accertate. Deduce il ricorrente la genericita', carenza e comunque illogicita' della motivazione, in quanto nel provvedimento impugnato non era stato indicato quali elementi, colposamente taciuti, avrebbero potuto portare alla esclusione del comportamento negligente. 5. L'Avvocatura Generale dello Stato ha depositato memoria in data 14 aprile 2023, con la quale ha concluso per l'inammissibilita' o, in subordine, l'infondatezza del ricorso. 6. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta ritualmente presentata, ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato, e pertanto deve essere rigettato. 2. Occorre richiamare il principio fondamentale che disciplina l'accertamento in tema di riparazione per ingiusta detenzione. Il giudice di merito, infatti, per stabilire se chi ha patito l'ingiusta detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante - e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito - non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorche' in presenza di errore dell'autorita' procedente, la falsa apparenza della sua configurabilita' come illecito penale (Sez. 4, n. 3359 del 22 settembre 2016, La Fornara, Rv. 268952; Sez. 4, n. 9212 del 13 novembre 2013, Maltese, Rv. 259082; Sez. Un., n. 34559 del 26 giugno 2002, De Benedictis, Rv. 222263). Piu' recentemente, Cass. n. 11475 del 2372/2021, Rv 280704 osserva che "(...) la nozione di colpa e' data dall'articolo 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto dell'articolo 314 c.p.p., comma 1, quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell'autorita' giudiziaria che si sostanzi nell'adozione di un provvedimento restrittivo della liberta' personale o nella mancata revoca di uno gia' emesso". E' stato altresi' precisato che la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all'indennizzo, rappresentata dall'avere il richiedente dato causa all'ingiusta carcerazione, puo' essere integrata anche da comportamenti quali le frequentazioni ambigue con i soggetti condannati nel medesimo procedimento, purche' il giudice della riparazione fornisca adeguata motivazione della loro oggettiva idoneita' ad essere interpretate come indizi di complicita', in rapporto al tipo e alla qualita' dei collegamenti con tali persone, cosi' da essere poste quanto meno in una relazione di concausalita' con il provvedimento restrittivo adottato. Sez. 4 -, Sentenza n. 53361 del 21/11/2018; Puro, Rv. 274498 - 01. 3. Cio' premesso, nel caso odierno il giudice della riparazione offre congrua motivazione del rigetto dell'istanza. Piu precisamente, la Corte romana sottolinea come dal compendio indiziario posto all'attenzione dei giudici di merito emergevano i seguenti fatti, non smentiti dalla sentenza di assoluzione: 1) la vittima del reato, (OMISSIS), colpito alla testa e agli arti inferiori, era stato trasportato in gravi condizioni al Pronto soccorso dell'ospedale di (OMISSIS), da un accompagnatore che poi si allontanava senza farsi identificare; 2) detto accompagnatore era stato identificato come (OMISSIS); 3) la notte dei fatti l'utenza telefonica del (OMISSIS), in orario immediatamente successivo al trasporto della vittima al pronto soccorso, aveva contattato il telefono in uso all'istante (OMISSIS), e altri contatti si erano rilevati con l'altro coindagato, (OMISSIS); 4) i contatti erano proseguiti per tutta la notte, fino alle sei del mattino; 5) ii (OMISSIS) aveva ammesso che, quella notte, egli stesso, la vittima (OMISSIS) e l'altro coindagato (OMISSIS) dovessero commettere un furto; 6) la circostanza relativa alla organizzazione del furto era stata riscontrata dagli inquirenti; 7) in orario mattutino, precisamente dalle 7.27 alle 8.37, le utenze telefoniche del (OMISSIS) e del (OMISSIS) avevano agganciato una cella telefonica in prossimita' dell'abitazione della vittima; 8) la famiglia della vittima aveva ostacolato le indagini. Tanto premesso, il provvedimento impugnato individua precisamente il comportamento negligente nel (OMISSIS), nell'essersi volontariamente e consapevolmente tenuto costantemente in contatto, nel corso di tutta la notte e fino alle sei del mattino, con due soggetti coinvolti in azione delittuosa (cfr. le ammissioni riscontrate del (OMISSIS) in ordine al furto), uno dei quali aveva trasportato in ospedale la vittima mortalmente ferita, e nell'essersi recato insieme ai predetti, nel corso della mattinata, presso l'abitazione della persona offesa. Si tratta di comportamenti oggettivamente idonei ad essere interpretati come indizi di complicita', attesa la inspiegabile frequenza dei contatti telefonici con il (OMISSIS) e il (OMISSIS), avvenuti in orario notturno, ossia certamente in un orario in cui e' del tutto inusuale scambiarsi continue comunicazioni, peraltro in coincidenza con il furto che costoro stavano organizzando e altresi' in coincidenza con il trasporto in ospedale della vittima, e l'altrettanto peculiare circostanza dell'avvicinamento presso l'abitazione dei familiari di quest'ultima insieme ai due coindagati. Le condotte imprudentemente poste in essere dal ricorrente al momento della applicazione della misura ben potevano dunque ingenerare la convinzione della fondatezza del compendio indiziario a suo carico. 5. Si impone pertanto il rigetto del ricorso, cui segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. 6. II ricorrente va altresi' condannato alla refusione delle spese del resistente Ministero dell'Economia e delle Finanze, che ha depositato memoria, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche' alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, che liquida in Euro mille.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TARDIO Angela - Presidente Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - rel. Consigliere Dott. MONACO Marco Maria - Consigliere Dott. GALATI Vincenzo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 15/04/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GIORGIO POSCIA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore TOCCI STEFANO, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' dei ricorsi. L'avv. (OMISSIS) conclude chiedendo la conferma della sentenza impugnata, deposita conclusioni e nota spese; L'avv. (OMISSIS) riportandosi ai motivi di ricorso ne chiede l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza in epigrafe la Corte di assise di appello di Napoli ha confermato quella emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Benevento (all'esito di giudizio abbreviato) in data 8 luglio 2020, con la quale (OMISSIS) era stato condannato alla pena di anni venti di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici, perche' riconosciuto colpevole degli omicidi di (OMISSIS) e (OMISSIS), da lui commessi il giorno (OMISSIS), mediante l'esplosione nei confronti delle vittime di tre colpi con un fucile da caccia illegalmente detenuto, e della relativa violazione della legge armi, reati uniti dal vincolo della continuazione. In particolare, le imputazioni a carico del (OMISSIS) erano le seguenti: a) reato di cui all'articolo 575 c.p., per avere cagionato il decesso di (OMISSIS) e di (OMISSIS), con i quali erano in corso pregresse vicende giudiziarie, allorche', avendoli incontrati sulla pubblica via, a bordo dell'autovettura Ford Focus targata (OMISSIS), scendeva dal furgone (OMISSIS), alla cui guida a sua volta circolava, e, impugnato un fucile da caccia sovrapposto, cal.12, marca Franchi, matricola 4137354, esplodeva tre colpi nei loro confronti, attingendo il (OMISSIS) in regione lombare ed il (OMISSIS) all'avambraccio destro e all'emitorace sinistro (tutti colpi mortali); si dava quindi a precipitosa fuga, costituendosi successivamente ai Carabinieri intervenuti; b) del reato di cui alla L. n. 494 del 1974, articoli 10, 12 e 14 e articolo 61 c.p., n. 2, perche' deteneva illegalmente un fucile da caccia sovrapposto, cal. 12, marca Franchi, matricola (OMISSIS) e lo portava illegalmente in luogo pubblico, al fine di commettere il reato sub a). In (OMISSIS). La pena era stata determinata dal primo giudice nel seguente modo: pena base, ritenuto piu' grave quello di omicidio, anni ventiquattro di reclusione, aumentata ex articolo 61 c.p., n. 2 ad anni ventisei di reclusione, aumentata di tre anni per la continuazione interna relativa al secondo omicidio e di un anno per la violazione della legge armi, e cosi' aumentata a trenta anni e poi ridotta di un terzo per il rito abbreviato. 1.1. La Corte di appello ha respinto l'appello proposto dall'imputato ed ha dichiarato inammissibili le impugnazioni proposte dalle parti civili. 1.2. I fatti sono stati ricostruiti da entrambi i giudici di merito nei seguenti termini: tra l'imputato e (OMISSIS) vi era un rapporto di astio sorto a seguito di un incidente stradale, verificatosi il giorno (OMISSIS), nel quale era stato coinvolto il primo e (OMISSIS) (figlio di (OMISSIS)) alla guida delle rispettive autovetture; tre giorni dopo tale sinistro (OMISSIS) aveva sporto denuncia nei confronti del (OMISSIS) sostenendo che quest'ultimo lo aveva minacciato, lo aveva costretto a sottoscrivere il modulo di constatazione amichevole di incidente (c.i.d.) per assumersi in via esclusiva la responsabilita' ed aveva chiamato in suo aiuto il padre ed altri familiari, che erano accorsi ed avevano percosso l'imputato provocandogli la frattura di una costola. Da cio' era nato un separato procedimento penale presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. (OMISSIS), che era sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel proprio comune di residenza, un mese dopo il fatto si era trasferito a (OMISSIS), dove (OMISSIS) viveva con la propria famiglia. Una settimana prima del duplice omicidio (esattamente il giorno (OMISSIS)) l'imputato e (OMISSIS) avevano avuto una violenta colluttazione nel bar (OMISSIS) di (OMISSIS) e, anche in questo frangente, (OMISSIS) era intervenuto in difesa del figlio; il giorno seguente tale colluttazione (OMISSIS) ed il figlio (OMISSIS) avevano sporto denuncia nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS). 1.3. Dalle relazioni di servizio redatte dai Carabinieri di (OMISSIS) il giorno dei fatti (ed acquisite agli atti in ragione della scelta del rito) e' risultato che l'imputato li aveva contattati diverse volte nel primo pomeriggio del (OMISSIS) riferendo loro che, mentre si trovava alla guida del proprio furgone, due uomini lo stavano inseguendo a bordo di un veicolo (ore 15:22); successivamente il (OMISSIS), parlando con l'appuntato Ciardiello, aveva dichiarato di non avere piu' bisogno dell'intervento dei militari dell'Arma. Alle ore 16:25 l'imputato aveva poi contattato i Carabinieri di Montesarchio, dichiarando di avere sparato alle due vittime, che si trovavano a terra in piazza (OMISSIS) e che non sapeva se gli stessi fossero morti. Ai militari intervenuti sul posto, ai quali si era arreso dopo essersi inizialmente rifugiato presso la casa canonica della locale chiesta, l'imputato aveva consegnato (smontato) il fucile calibro 12 Marca Franchi (che aveva precedentemente sottratto al fratello), da lui utilizzato per il duplice omicidio, ed aveva detto che egli era giunto al culmine della sopportazione e che era dispiaciuto per la propria famiglia, la quale ora avrebbe dovuto trasferirsi per ragioni di sicurezza. I Carabinieri avevano rinvenuto, in piazza (OMISSIS) in (OMISSIS), i corpi esanimi delle due vittime nel luogo indicato dal (OMISSIS) accanto ad una auto Ford Focus da loro usata, ferma nelle vicinanze del furgone di proprieta' dell'imputato. Secondo il medico legale Dott. (OMISSIS) (consulente del Pubblico ministero); il (OMISSIS) era stato attinto da due colpi di arma da fuoco (all'avambraccio ed al torace), con lo sparatore posizionato alla sinistra della vittima ad una distanza maggiore di sessanta centimetri, ma comunque entro un metro/un metro e mezzo al massimo, mentre il (OMISSIS) era stato raggiunto da un solo colpo mortale alla schiena nella regione lombare. Dai successivi accertamenti le lesioni inferte alle vittime erano risultate compatibili con il fucile sequestrato al (OMISSIS) allorquando egli si era consegnato alle forze dell'ordine; lo Stub effettuato sull'imputato, invece, era stato eseguito in modo non corretto a causa di un errore tecnico e, quindi, il relativo esito non era attendibile. 1.4. Le indagini, oltre alla acquisizione della confessione dell'imputato, si erano basate su una serie di testimonianze, tra cui quella di (OMISSIS) (presso il quale l'imputato si era recato prima del fatto, in quanto inseguito ed allo scopo di contattare nuovamente i Carabinieri), che aveva accompagnato il (OMISSIS) a costituirsi. (OMISSIS), dal canto suo, aveva dichiarato di avere assistito al momento in cui l'imputato, armato del fucile, all'atto dell'arrivo nella piazza della vettura sulla quale viaggiavano le due vittime era sceso dal furgone; spaventato, il (OMISSIS) si era subito allontanato velocemente, ma aveva sentito prima l'esplosione di due colpi in rapida successione e poi, subito dopo, un terzo; (OMISSIS) (che abita proprio in piazza (OMISSIS)) aveva riferito che, mentre era in casa, aveva sentito i colpi di arma da fuoco e che, dal proprio appartamento, aveva scorto un uomo di circa settanta anni di eta' in ginocchio e con la mano destra appoggiata ad un furgone rosso, con il furgone del (OMISSIS) posto nelle vicinanze. Sceso nella piazza il (OMISSIS) aveva constatato che la persona, da lui prima vista in ginocchio, era stesa in terra con una vistosa macchia di sangue all'altezza del petto sul lato sinistro, mentre un'altra giaceva esanime; poco dopo erano sopraggiunti sul posto una giovane ed una donna che erano entrati nella autovettura delle vittime, ma il testimone non era stato in grado di riferire se avessero prelevato qualcosa dall'interno dell'auto. L'imputato, che aveva reso dichiarazioni in sede di interrogatorio e durante il giudizio abbreviato, aveva ammesso di avere rubato il fucile al fratello al solo scopo di tutelarsi perche' il giorno dei fatti egli aveva intenzione di controllare alcune trappole per cinghiali che aveva in precedenza predisposto. Mentre si trovava alla guida del proprio furgone aveva visto (OMISSIS) che lo seguiva ed aveva avuto l'impressione che lo seguissero anche altre persone della stessa famiglia a bordo di altre automobili; preoccupato di cio', aveva chiamato i Carabinieri, ma poi era riuscito a dileguarsi dagli inseguitori ed era giunto nella piazza dove poi sarebbe avvenuto il duplice omicidio; qui aveva incontrato il suo amico (OMISSIS) con il quale aveva iniziato a parlare. Nel mentre aveva visto sopraggiungere, contro mano, la Ford Focus con a bordo (OMISSIS) ed un'altra persona a lui sconosciuta ( (OMISSIS)); l'auto si era fermata e si erano aperti gli sportelli e l'imputato aveva visto che il (OMISSIS) impugnava una pistola mentre il (OMISSIS) aveva in mano un non meglio identificato oggetto lungo. L'auto gli aveva impedito ogni via di uscita, anche per la presenza di un altro furgone che bloccava quello dell'imputato e, pertanto, intimorito aveva preso dal furgone il fucile ed aveva sparato dapprima al (OMISSIS) e poi al suo accompagnatore. 1.5. La Corte territoriale ha respinto il gravame dell'imputato. facendo proprie le conclusioni del Giudice per le indagini preliminari rispetto alla sussistenza dei reati oggetto di contestazione; in particolare, e' stata evidenziata la mancanza di riscontri circa il fatto che le vittime fossero armate al momento dell'omicidio, in considerazione del contenuto delle intercettazioni telefoniche ed ambientali eseguite nei confronti dei parenti delle stesse vittime, nelle quali veniva commentato che, se gli uccisi fossero stati armati, le cose sarebbero andate diversamente; inoltre, lo stesso imputato, nelle intercettazione dei colloqui in carcere con i suoi parenti, non aveva riferito con certezza che le due vittime fossero armate e, negli stessi termini, si era espresso anche nel corso delle operazioni di fotosegnalamento in caserma, subito dopo il suo fermo, allorquando aveva spontaneamente dichiarato di non ricordare se le vittime avevano una pistola (annotazione di servizio dell'appuntato Compagnone). Inoltre, neppure (OMISSIS) era stato in grado di confermare se i parenti delle vittime avessero effettivamente prelevato qualcosa dall'interno dell'autovettura Ford Focus. La Corte territoriale ha poi respinto la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria mediante l'esame dell'appuntato (OMISSIS) dei Carabinieri (OMISSIS) e del titolare del bar dove era avvenuta la colluttazione tra l'imputato ed il figlio del (OMISSIS) una settimana prima dei fatti, ritenendo l'istruttoria completa ed esaustiva anche rispetto agli antefatti. Ha poi, escluso che le vittime fossero armate e di conseguenza ha ritenuto non configurabile l'ipotesi difensiva della legittima difesa (anche putativa) e neppure quella della provocazione c.d. "per accumulo"; quanto poi all'elemento soggettivo del reato, ha escluso il dolo eventuale, confermando il giudizio del primo giudice in ordine al dolo diretto desumibile dalle modalita' dell'azione, dalla circostanza che l'imputato si era procurato l'arma la mattina del giorno del fatto e che, dopo essere stato seguito dalle vittime, si era recato armato in piazza (OMISSIS) per attenderle. A conferma della volonta' di uccidere del (OMISSIS), poi, la Corte distrettuale ha dato risalto al fatto che, dopo avere esploso due colpi' da una distanza non superiore ad un metro e mezzo ed accortosi che il (OMISSIS) era ancora vivo, non aveva esitato a caricare ancora il fucile ed ad esplodere un terzo colpo per finire la vittima. Rispetto alla mancata concessione delle attenuanti generiche ed al trattamento sanzionatorio, la Corte di appello ha confermato la valutazione espressa dal primo giudice facendola propria, convenendo sulla assenza di elementi di carattere positivo in forza dei quali riconoscere le circostanze previste dall'articolo 62-bis c.p.. Infine, la Corte territoriale ha dichiarato inammissibili gli appelli proposti dalle parti civili in quanto relativi agli aspetti penalistici della vicenda e perche' riguardanti la quantificazione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno rimessa, dal Giudice per le indagini preliminari, al separato giudizio da svolgersi in sede civile. 2. Avverso la predetta sentenza (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, affidato a due separati atti, di seguito riprodotti nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. L'atto di ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS) e' affidato ad un unico ed articolato motivo con il quale si denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), l'erronea applicazione degli articoli 62-bis e 133 c.p. ed il relativo vizio di motivazione manifestamente illogica, con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche ed al trattamento sanzionatorio in genere, nonostante la sussistenza di tutti gli elementi di carattere positivo (elencati nell'impugnazione) che avrebbero dovuto indurre la Corte di appello Ya ridurre la pena mediante il riconoscimento delle invocate generiche. 2.2. L'atto di ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS) e' affidato a quattro motivi; con il primo si lamenta, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la violazione degli articoli 575, 52 e 47 c.p. e articolo 192 c.p.p. ed il vizio di motivazione illogica ed incompleta sulla sussistenza degli elementi di colpevolezza rispetto al delitto di omicidio volontario ed al mancato riconoscimento della legittima difesa (anche putativa) o, quanto meno, dell'eccesso colposo di legittima difesa. In particolare, secondo il ricorrente la Corte di assise di appello avrebbe acriticamente confermato la sentenza di primo grado,omettendo di considerare i numerosi elementi probatori (tra cui anche le intercettazioni telefoniche ed ambientali riguardanti i parenti delle vittime) dai quali era possibile ricavare la conferma della sussistenza della legittima difesa (anche putativa) o, almeno, dell'eccesso colposo di legittima difesa, visto, in particolare, i precedenti comportamenti violenti posti in essere dai Margillo in danno dell'imputato e l'inseguimento del giorno del fatto. 2.3. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), la violazione dell'articolo 62 c.p., n. 2 e articolo 47 c.p. e articolo 192 c.p.p. ed il vizio di motivazione rispetto al mancato riconoscimento dell'attenuante della provocazione, anche nella forma putativa, nonostante lo specifico motivo di appello e la sussistenza di tutti gli elementi a conferma della sussistenza di tale circostanza. 2.4. Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), la violazione dell'articolo 62-bis c.p., perche' la Corte territoriale non avrebbe spiegato le ragioni per le quali ha escluso il riconoscimento delle attenuanti generiche ed ha confermato il trattamento sanzionatorio fissato dal primo giudice. 2.5. Con l'ultimo motivo si lamenta, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), la violazione dell'articolo 81 c.p., poiche' la Corte territoriale nel confermare l'aumento di pena per la continuazione - non avrebbe tenuto conto della unicita' della condotta mediante la rapida successione dei colpi di fucile, mentre avrebbe dovuto fissare per tale ragione l'aumento di pena nel minimo edittale. 3. Infine, nel corso della discussione le parti hanno concluso nei termini sopra riportati. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso e' infondato e, pertanto, deve essere respinto. 2. Anzitutto, poiche' nel caso in esame si e' in presenza di una "doppia conforme", va ricordato il condivisibile principio in base al quale il travisamento della prova, per assumere rilievo nella sede di legittimita', deve, da un lato, immediatamente emergere dall'obiettivo e semplice esame dell'atto, specificamente indicato, dal quale deve trarsi, in maniera certa ed evidente, che il giudice del merito ha travisato una prova acquisita al processo, ovvero ha omesso di considerare circostanze risultanti dagli atti espressamente indicati; dall'altro, esso deve riguardare una prova decisiva, nel senso che l'atto indicato, qualunque ne sia la natura, deve avere un contenuto da solo idoneo a porre in discussione la congruenza logica delle conclusioni cui e' pervenuto il giudice di merito. 2.1. Invero, il vizio di travisamento della prova puo' essere dedotto con il ricorso per cassazione in ipotesi di doppia conforme sia nel caso in cui entrambi i giudici siano incorsi in travisamento della prova, sia in quello in cui il giudice di appello, per rispondere alle censure della difesa, abbia richiamato elementi probatori non esaminati dal primo giudice, ma in questo ultimo caso la preclusione opera comunque rispetto a quelle parti della sentenza che abbiano esaminato e valutato in modo conforme elementi istruttori comuni e suscettibili di autonoma valutazione (Cass. Sez. 5, 13/2/2017, Cadore, Rv. 269906), mentre, in relazione alla ipotesi di duplice travisamento, lo stesso deve emergere in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio tra le parti (Cass., Sez. 2, 09/01/2018, L. e altro, Rv.272018). 2.2. Cio' posto, si rileva che il ricorrente, soprattutto con il primo dei motivi dell'atto di ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS), sollecita questa Corte a realizzare, pur a fronte di motivazione specifica e non illogica contenuta nelle decisioni di merito, una non consentita rivalutazione della incidenza dei dati dimostrativi. Invero, con la sentenza impugnata e' stato spiegato - in modo adeguato e non contraddittorio - che osta al riconoscimento della legittima difesa (anche putativa), cosi' come dell'eccesso colposo e della provocazione, la circostanza che il (OMISSIS) (che ben avrebbe potuto recarsi a casa propria o presso i Carabinieri) aveva invece aspettato le vittime in piazza (OMISSIS) a bordo del proprio furgone gia' armato e, come riferito dal testimone oculare (OMISSIS), appena aveva visto le vittime aveva imbracciato il fucile e fatto fuoco; pertanto, e' stata coerentemente esclusa l'esistenza di una minaccia attuale per l'imputato, considerato anche che il (OMISSIS) (nemmeno conosciuto dall'odierno ricorrente) e' stato colpito alla schiena, cosi' come anche la proporzionalita' dell'azione omicidiaria rispetto al precedente inseguimento posto in essere dalle due vittime, le quali non risultano lo avessero minacciato prima di morire. Secondo consolidati principi, infatti, non e' ingiusta, ai fini della configurabilita' della legittima difesa, reale o putativa, soltanto la reazione di chi si stia a sua volta legittimamente difendendo, senza eccesso ex articolo 55 c.p., contro l'originario offensore, circostanza esclusa in modo coerente dalla Corte di appello nel caso in esame. Quanto all'elemento psicologico del reato, la Corte territoriale - sempre con motivazione congrua e non manifestamente illogica - ha considerato esistente quello intenzionale o diretto desumendolo dalla circostanza che egli aveva sottratto il fucile al fratello sin dal mattino,-'aveva aspettato le vittime nella piazza di (OMISSIS), che aveva diretto gli spari verso zone vitali e che aveva anche ricaricato l'arma per finire con il colpo mortale il (OMISSIS) e, per tali motivi, ha quindi escluso la configurabilita' dell'omicidio preterintenzionale o la sussistenza del dolo eventuale. Rispetto alla tesi difensiva secondo cui le vittime erano armate, la Corte territoriale ha osservato, con motivazione non manifestamente illogica, che essa e' rimasta priva di riscontro, non essendo stata confermata dal (OMISSIS) e nemmeno dal (OMISSIS) (il quale non ha confermato che i parenti delle vittime, intervenuti dopo il duplice omicidio, si erano impossessati di armi contenute nella Ford Focus) e che lo stesso imputato - in sede di foto segnalamento - non era stato in grado di confermare se gli antagonisti fossero effettivamente armati. Con riferimento proprio a tale ultima circostanza, si osserva che risulta inammissibile la differente valutazione delle intercettazioni delle conversazioni intercorse tra i parenti delle vittime dopo l'evento, come prospettata dal ricorrente; infatti, per costante orientamento interpretativo (ribadito da Sez. U. n. 22471 del 26.2.2015, Rv. 263715), e' iftitctti possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice del merito solo in presenza del travisamento della prova (indicazione del contenuto in modo difforme da quello reale) o in presenza di una manifesta illogicita' e irragionevolezza della motivazione espressa sul punto (tra le molte Sez.'L, n. 35181 del 22/05/2013 Rv. 257784; Sez. 6 n. 11189 del 08/03/2012, Rv. 252190). Si tratta di ipotesi che nel caso in esame manifestamente non sussistono, ne' i motivi evidenziano tale tipologia di vizio, preferendo non confrontarsi con tale parte del ragionamento probatorio contenuta in sentenza. 3. Non censurabile, poi, risulta la decisione di non rinnovare l'istruttoria dibattimentale,considerato che, per libera scelta dell'imputato, il procedimento si e' svolto nelle forme del rito abbreviato e che la Corte territoriale ha ritenuto l'istruttoria completa sulla base dell'ampio materiale entrato a far parte del fascicolo dibattimentale; inoltre, il ricorrente non deduce in modo specifico perche' l'eventuale nuovo esame del Dao e del (OMISSIS) (le cui dichiarazioni erano gia' state acquisite) avrebbero portato a differenti conclusioni. 3.1. Manifestamente infondati risultano, infine, le censure (contenute in entrambi gli atti di ricorso) riguardanti il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche ed il trattamento sanzionatorio in genere. 3.2. Con riguardo alle censure riguardanti le circostanze generiche basti rilevare che, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899). A tale principio la Corte di merito risulta essersi attenuta, facendo proprio il giudizio espresso dal primo giudice, avendo negato il beneficio in relazione ad indici, tanto di natura oggettiva (la gravita' della condotta) che soggettiva (la fredda lucidita' di programmazione della condotta, secondo cui il (OMISSIS) era pronto ad uccidere chiunque fosse sceso dalla macchina e la circostanza che egli non aveva esitato a ricaricare l'arma per sparare il colpo fatale al (OMISSIS)), non illogicamente valutati. 3.3. Inammissibili, perche' manifestamente infondati, risultano i motivi riguardanti l'entita' della pena considerato che la pena base e' stata fissata nella misura di anni ventiquattro e, quindi, in misura non di molto superiore rispetto al minimo edittale di anni ventuno. Orbene, la censura oblitera il principio, secondo cui, in tema di determinazione della misura della pena, il giudice del merito esercita la discrezionalita' che al riguardo la legge gli conferisce, attraverso l'enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o piu') dei criteri indicati nell'articolo 133 c.p. (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, Gasparri, Rv. 239754). Una valutazione siffatta e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia argomentata e non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142). Nel caso poi venga irrogata, come nella specie, una pena al di sotto della media edittale, non e' necessaria un'argomentazione specifica e dettagliata da parte del giudice e il parametro valutativo puo' essere desunto dal testo della sentenza nel suo complesso motivazionale e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena stessa (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949). 3.4. La sentenza impugnata, nel richiamare (sia pure ai fini del diniego delle attenuanti generiche) elementi di sicuro rilievo ai fini dell'articolo 133 c.p., quali le modalita' della condotta e la sua gravita', ha adempiuto in modo adeguato all'obbligo di motivazione richiesto nel caso specifico. Nello stesso modo gli aumenti fissati a titolo di continuazione per il secondo omicidio e la violazione della legge armi sono stati fissati in misura particolarmente contenuta e, pertanto, essi non richiedevano un particolare onere motivazionale. 4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e della rifusione delle spese di rappresentanza e difesa in favore delle parti civili nella misura indicata nel dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 7.200,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere Dott. BIANCHI Michele - Consigliere Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Consigliere Dott. ALIFFI Francesc - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), (DECEDUTO) nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 01/07/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di CATANZARO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; - all'udienza del 5 dicembre 2022: udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALIFFI FRANCESCO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa ZACCO FRANCA che ha chiesto: annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente a (OMISSIS) per essere i reati estinti per morte dell'imputato; dichiararsi inammissibili il ricorso di (OMISSIS) ed il rigetto dei ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS); uditi i difensori: - avv. (OMISSIS) in difesa della parte civile ASP Regione Calabria Azienda provinciale di Cosenza che si e' ripotato alle conclusioni scritte depositate insieme con la nota spese; - avv.ti (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS), sostituto processuale dell'avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), che hanno concluso chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso: - avv. (OMISSIS), sostituto processuale dell'avv. (OMISSIS), che si e' associata alle conclusioni del Procuratore generale chiedendo dichiararsi l'estinzione dei reati per morte dell'imputato. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza indicata nel preambolo, la Corte di assise di appello di Catanzaro, decidendo sull'appello del pubblico ministero (cosi' convertito ex articolo 580 c.p.p. l'originario ricorso per cassazione) e degli imputati, ha riformato la sentenza, in data 17 febbraio 2020, con cui la Corte di assise di Cosenza aveva dichiarato (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli dei reati di omicidio premeditato (capo A) e falso ideologico (capo B) ed il solo (OMISSIS) anche del delitto di furto aggravato (capo C) e, per l'effetto, li aveva condannati, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche: (OMISSIS) e (OMISSIS) alla pena di anni 23 di reclusione, (OMISSIS) alla pena di anni 25 di reclusione e (OMISSIS) a quella di anni 24; Piu' in dettaglio la Corte distrettuale: - ha dichiarato nulla la pronuncia nei confronti di (OMISSIS) e non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine al delitto di falso ideologico e del solo (OMISSIS) in ordine al delitto di furto aggravato; - ha rideterminato il trattamento sanzionatorio nelle pene della reclusione rispettivamente di anni 14 per (OMISSIS), anni 16 per (OMISSIS) ed anni 18 per (OMISSIS) ritenendo le gia' concesse attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti. 2. Nell'esaminare i motivi di appello la corte di Assise di appello ha, in premessa, ricostruito la complessa vicenda oggetto delle imputazioni, sulla base del materiale probatorio raccolto, costituito, oltre che da documentazione e dichiarazioni testimoniali, da informazioni ricavate dai tabulati telefonici e dalle risultanze dell'attivita' di intercettazione telefonica e ambientale eseguita in altro procedimento penale per plurimi delitti di falso e truffa commessi al fine di ottenere risarcimenti assicurativi ed erogazioni previdenziali attraverso false denunce di sinistri stradali e incidenti avvenuti sul luogo di lavoro. Secondo la conforme ricostruzione dei giudici del merito, l'interruzione della gravidanza di (OMISSIS), verificatisi la sera del (OMISSIS), e la morte del prodotto del concepimento rappresentano gli eventi conclusivi di un "piano voluto, ponderato e meditato da tutti gli imputati", che ha preso avvio per volere della (OMISSIS) e dell'amica (OMISSIS), gia' alla fine del mese di aprile dell'anno 2012, e che, a partire dei primi giorni del mese di maggio, si e' arricchito del contributo determinante di (OMISSIS) e del medico in servizio presso l'ospedale di (OMISSIS), (OMISSIS). In ordine cronologico le tappe fondamentali della vicenda son state sintetizzate nei termini che seguono. - Alla fine del mese di aprile del 2012 (OMISSIS) incontrava l'operatore sociosanitario, (OMISSIS), presso il bar gestito dal compagno della (OMISSIS) ma di proprieta' di (OMISSIS), chiedendogli informazioni sulla possibilita' di una sua amica, la (OMISSIS), incinta da piu' di tre mesi, di praticare in ospedale l'interruzione di gravidanza. (OMISSIS) informava la (OMISSIS) che l'aborto dopo il terzo mese non poteva essere eseguito in ospedale perche' illegale. - Nei giorni 1 e 3 maggio (OMISSIS), su sollecitazione di (OMISSIS), contattava telefonicamente la (OMISSIS) e la (OMISSIS); quest'ultima, immediatamente dopo l'ultima telefonata con il medico, richiamava, a sua volta la (OMISSIS) con la quale aveva una lunga conversazione. - Il 3 maggio, qualche ora dopo i contatti telefonici con la (OMISSIS) e (OMISSIS), la (OMISSIS) si recava presso il pronto soccorso dell'ospedale di (OMISSIS) riferendo ai sanitari di essere rimata ferita a causa di un incidente stradale e di lamentare dolori addominali. Sottoposta a visita, veniva riscontrato il regolare decorso della gravidanza, di cui veniva annotato l'inizio in coincidenza con l'ultima mestruazione del 22 novembre 2011, nonche' le condizioni di pieno benessere del feto. - Dal 3 al 6 maggio la (OMISSIS) rimaneva ricoverata nello stesso ospedale dove era in servizio (OMISSIS), sorpreso in una data imprecisata ma anteriore al (OMISSIS), da un ostetrica subito dopo avere trafugato dalla medicheria un farmaco abortivo il Cervedil, lo stesso che il (OMISSIS), qualche mese dopo, nel luglio, aveva proposto ad altra donna incinta, (OMISSIS), ricoveratasi per simulare lesioni cagionatale da un falso incidente stradale nell'ambito di una truffa alla compagnia di assicurazione, al fine di provocare l'interruzione di gravidanza da ascrivere tra gli effetti del sinistro e lucrare un piu' ingente indennizzo. - Dal 5 maggio i contatti e le telefonate tra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), spesso seguiti da lunghe conversazioni tra la (OMISSIS) e la (OMISSIS), si intensificano. - La mattina del 5 maggio, grazie all'intermediazione di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano un primo incontro de visu. - Nei giorni 8, 9 e 10 maggio, in piu' conversazioni la (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), sia pure con molta cautela, parlavano, sia per telefono che con messaggi, della necessita' di non procrastinare ma di risolvere il prima possibile il comune problema rappresentato dall'interruzione della gravidanza della (OMISSIS), che proprio il 10 maggio aveva superato l'eta' gestazionale massima oltre la quale l'aborto non e' piu' praticabile ( (OMISSIS) fa presente alla (OMISSIS) di avere individuato "l'unico modo per stopparsi che e' anche ottimo" incaricandola di informare (OMISSIS) perche' l'operazione doveva essere definita entro la sera perche' i "termini massimi erano agli "estremi"). - Nei giorni successivi i contatti telefonici fra (OMISSIS) e (OMISSIS) e fra (OMISSIS) e (OMISSIS) proseguivano. - La sera del 15 maggio venivano eseguite sulla (OMISSIS) le pratiche abortive. Per tale ragione i contatti telefonici fra la (OMISSIS) e la (OMISSIS), assai intensi nel corso della mattina, cessavano dalle 18.11 alle 23.30 e la (OMISSIS) si relazionava ripetutamente con persone in grado di fornire consigli medici (telefonava non solo l'operatore sanitario (OMISSIS) ma, a partire dalle 17.13, per tre volte al centralino dell'ospedale) e con (OMISSIS) cosi' interessato all'operazione in corso da essere contattato piu' volte specialmente dalle 20.48 alle 21.55, arco temporale in cui era avvenuto il travaglio ed il parto della (OMISSIS). - Alle 21.40 la (OMISSIS) e la (OMISSIS) giungevano insieme presso il Pronto soccorso dell'ospedale di (OMISSIS) dove i sanitari che per primi visitavano la (OMISSIS) avevano modo di notare "in mezzo alle gambe un feto nato pretermine perfettamente conformato ed attaccato al cordone ombelicale". - Nella qualita' di medico di turno al pronto soccorso interveniva (OMISSIS), il quale constatava la morte del feto senza tentare manovre rianimatorie e disponeva il ricovero della (OMISSIS) presso il reparto di ginecologia dove si verificava in modo spontaneo e completo l'espulsione della placenta (c.d. secondamento del parto); - La (OMISSIS), in sede di anamnesi, riferiva alla ginecologa di turno, Dott.ssa (OMISSIS), di essere rimasta vittima di un incidente stradale, provocato dalla condotta del conducente di un veicolo diverso da quello a bordo del quale viaggiava, e di essere stata costretta, dopo essere riuscita a risalire dalla scarpata dove era precipitata l'auto, a chiedere aiuto per telefono ad un'amica, la (OMISSIS) che, prontamente intervenuta sul posto, l'aveva accompagnata con la sua automobile in ospedale. - La Dott.ssa (OMISSIS) sollecitava immediatamente l'intervento della polizia giudiziaria, insospettita dall'inverosimiglianza della versione fornita dalla (OMISSIS) e dello stridente contrasto tra le ottime condizioni fisiche di quest'ultima e gli eventi traumatici riferiti nonche' dalle modalita' con cui era avvenuta l'espulsione del feto del tutto incompatibile con un aborto causato da un improvviso evento traumatico ma, al contrario, provocata da un vero e proprio travaglio di parto al quale era seguito in maniera fisiologica, spontanea e completa il secondamento. - La (OMISSIS) non riusciva ad indicare ai Carabinieri, portatisi al Pronto soccorso, il luogo in cui aveva soccorso l'amica ed entrava in uno stato di fibrillazione al punto da chiedere di ritornare in ospedale dove (OMISSIS) redigeva un certificato attestante il suo stato di ansia che impediva la sua collaborazione nella prosecuzione delle indagini. - Nei giorni successivi i contatti frenetici tra gli imputati si interrompevano drasticamente. 2.2. Alla luce delle indicazioni fornite dalla ginecologa (OMISSIS), degli accertamenti autoptici sul feto nonche' delle convergenti conclusioni dei consulenti delle parti e dei periti nominati nel dibattimento di primo grado e' circostanza pacifica ed incontestata che l'interruzione della gravidanza di (OMISSIS), con il conseguente decesso del feto prematuramente espulso, non e' stata cagionata dall'incidente stradale cui aveva nell'immediatezza fatto riferimento la (OMISSIS), ma si e' verificata a causa ed in conseguenza delle manovre meccaniche di "pinzamento", realizzate con l'ausilio di uno strumento chiamato "pinza di Martin" mediante le quali e' stata dilatato il collo dell'utero cosi' da indurre le contrazioni. Secondo la Corte distrettuale, dai medesimi accertamenti ed in particolare dalle risultanze della perizia collegiale eseguita dallo specialista in ostetricia e ginecologia prof. (OMISSIS) e dallo specialista in anatomia patologica Dott. (OMISSIS), avvalendosi degli ausiliari prof. (OMISSIS), anatomopatologo, e del medico legale (OMISSIS) risulta dimostrato, con altrettanta certezza, che: - la gravidanza di (OMISSIS) era iniziata il 21 novembre 2011 (come riferito dall'interessata nella prima visita in ospedale il 27 gennaio 2012 e ripetuto nelle visite successive) ed aveva avuto un decorso regolare (come confermato da tutti gli esami ecografici); - il feto al momento dell'induzione del parto si trovava in una condizione di totale benessere; - l'espulsione del feto e' avvenuta in ambiente domestico in cui non era possibile prestare attivita' specialistiche, rianimatorie ed assistenziali necessarie per mantenerlo in vita; - il feto espulso aveva, secondo il metodo di calcolo del cosiddetto regolo ostetrico che individua l'inizio della gravidanza con il primo giorno dell'ultima mestruazione, un'eta' gestazionale di 24 settimane + 4 giorni; - l'effettivo sviluppo e il livello di maturita' del feto erano, alla luce delle analisi e agli esami compiuti dai periti, perfettamente compatibili con l'eta' gestazionale calcolata in astratto sulla base della data dell'amenorrea; - alla data in cui la (OMISSIS) si e' volontariamente sottoposta alle manovre di interruzione di gravidanza, il feto di oltre 24 settimane di eta' gestazionale aveva raggiunto, secondo i criteri della scienza medica indicati nelle carte di Firenze e di Roma la "possibilita' di vita autonoma" in presenza della quale la L. n. 194 del 1978, articolo 7, comma 3, a prescindere dalla manifestazione di capacita' respiratoria extrauterina, rende obbligatoria l'adozione di ogni misura idonea a rianimarne e salvaguardarne la vita nel caso in cui si verifica o uno spontaneo parto prematuro o sia necessaria l'interruzione della gravidanza a causa di un grave pericolo per la vita della donna; - la morte del feto si e' verificata non prima dell'inizio del travaglio e a sacco chiuso, a causa di un improvviso gasping respiratorio e conseguente inalazione di liquido amniotico, ma dopo l'inizio del travaglio e a cagione dello stesso, quindi allorquando il prodotto del concepimento aveva gia' acquisito autonomia di vita, divenendo essere nascente che passa dalla vita uterina alla vita extrauterina. 2.3. In conclusione, ritengono i Giudici del merito che ciascun imputato abbia fornito, in puntuale esecuzione dell'inziale progetto criminoso, un contributo causale determinante ai fini della consumazione in concorso del reato omicidiario loro ascritto e dello strumentale reato di falso ideologico: - la (OMISSIS) si e' consapevolmente e volontariamente sottoposta alle manovre meccaniche traumatiche idonee ad innescare il travaglio a seguito del quale ha partorito il feto che aveva in grembo causandone la morte; - la (OMISSIS), dopo essere stata in costante contatto con la (OMISSIS) gia' dalle prime ore del mattino a partire dalle ore 18, ha assistito alle manovre abortive poste in essere a casa dell'amica e, a parto avvenuto, l'ha portata in ospedale, avvalorando la tesi, strumentale all'occultamento dell'aborto volontario, di averla soccorsa dopo un incidente verificatosi poco tempo prima. - (OMISSIS), oltre ad avere messo in contatto la (OMISSIS) e la (OMISSIS) con (OMISSIS), ha personalmente seguito tutte le fasi di esecuzione del piano, rimanendo in continuo collegamento telefonico con la (OMISSIS) non solo nelle ore fatidiche in cui sono state eseguite le manovre abortive, ma anche durante il ricovero ospedaliero della (OMISSIS); in quest'ultimo frangente, aveva supportato la (OMISSIS), costretta a fronteggiare l'imprevisto evento dell'arrivo dei carabinieri che le chiedevano conto di un incidente mai verificatosi. - (OMISSIS), oltre ad avere fornito tutte le istruzioni necessarie per l'esecuzione delle pratiche abortive, operando quale medico di turno presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale di (OMISSIS) ha immediatamente avallato la tesi del falso incidente statale diagnosticando la morte del feto, senza nemmeno compiere elementari verifiche e non ponendo ne' alla (OMISSIS) ne' alla (OMISSIS) alcuna domanda volta a chiarire la causa e le modalita' del tragico evento, e prontamente redigendo il verbale di pronto soccorso e i referti necessari per dare al racconto delle due complici un convincente supporto probatorio. 3. La Corte di assise di appello, in accoglimento dell'eccezione sollevata da (OMISSIS) ha dichiarato nulla la sentenza emessa dalla Corte di assise di Cosenza, in data 17 febbraio 2020 ed ha rimesso gli atti al giudice del primo grado. Osserva a ragione della decisione che la Corte di assise, preso atto che la (OMISSIS) era stata dichiarata irreperibile nella fase delle indagini preliminari in occasione della notifica dell'avviso ex articolo 415 bis c.p.p. e che era rimasta assente per tutto il dibattimento, avrebbe dovuto disporre la sospensione del processo e provvedere agli altri adempimenti previsti dagli articoli 420-quater e 420-quinquies c.p.p.. Si era, invece, limitata a disporre nuova notifica del decreto ex articolo 429 c.p.p. al difensore in applicazione dell'articolo 159 c.p.p.. La pacifica mancata ricezione da parte dell'imputata di una valida notifica dell'atto introduttivo del processo aveva determinato una nullita' assoluta della sentenza appellata che doveva, pertanto, essere dichiarata ex articolo 604 c.p.p., comma 4, con trasmissione degli atti relativi alla posizione processuale della (OMISSIS) alla Corte di assise, cui comunque era demandata la verifica sulla regolare instaurazione dell'udienza preliminare. 4. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso, per il tramite dei rispettivi difensori di fiducia, gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). 4.1. (OMISSIS) ha articolato due motivi. 4.1.1. Con il primo deduce violazione di legge processuale, in relazione agli articoli 179, 157, 169 e 419 c.p.p., nonche' vizio di motivazione. La Corte di assise di appello avrebbe dovuto trasmettere gli atti al Giudice dell'udienza preliminare e non alla Corte di assise. L'imputata non solo era stata destinataria della notificazione della richiesta di rinvio a giudizio e dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare eseguita in violazione degli articoli 157 e 169 c.p.p. - che, nel disciplinare la prima notificazione all'imputato non detenuto che non ha dichiarato o eletto domicilio, impongono di accertare il luogo di residenza o dimora del destinatario - ma era stata, gia' in precedenza, nella fase delle indagini preliminari, dichiarata illegittimamente irreperibile non avendo neanche il pubblico ministero compiuto tale indispensabile accertamento sul suo luogo di residenza. 4.1.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge processuale in relazione agli articoli 157, 419 e 420-quater c.p.p.. La procedura seguita per notificare gli atti di cui all'articolo 419 c.p.p. ha disatteso anche la disciplina prevista nell'articolo 420-quater c.p.p. In tema di assenza, applicabile al procedimento ai sensi della L. 28 aprile 2014, n. 67, articolo 15-bis in ragione dell'intervenuta emissione del decreto di irreperibilita'. 4.2. (OMISSIS) ha articolato tre motivi. 4.2.1. Con il primo denuncia violazione degli articoli 40, 110, 575 c.p. e articolo 577 c.p., comma 1, e dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, e articolo 533 c.p.p., comma 1, nonche' vizio di motivazione. Lamenta che la sentenza impugnata, dopo avere escluso qualsiasi responsabilita' a titolo di omissione, abbia, comunque, confermato la condanna pur in assenza di un sufficiente quadro indiziario in ordine al suo contributo ex articolo 110 c.p. nel cagionare la morte del feto. Entrambe le pronunce di merito hanno escluso, con accertamento su cui si e' formato il giudicato progressivo sostanziale, la sussistenza delle condotte omissive indicate nell'imputazione sicche' la tenuta logica della motivazione deve essere misurata solo sull'unica condotta attiva contestata: l'avere indicato le modalita' o la pratica da seguire per provocare l'espulsione del feto, avvenuta all'esterno dell'ospedale con pratica etero-indotta mediante intervento meccanico-iatrogeno. La Corte territoriale, su questo specifico punto e piu' in generale nella disamina del contributo fornito dal (OMISSIS) quale concorrente morale, ha valorizzato, in via esclusiva, le informazioni fornite dai tabulati telefonici ed il contenuto di alcune conversazioni, telefoniche e ambientali, senza adeguarsi ai rigidi standard probatori indicati dalla giurisprudenza di legittimita' anche a Sezioni unite attestandosi su affermazioni meramente assertive e presunzioni. In mancanza della conoscenza del contenuto delle conversazioni, la mera frequenza dei contatti telefonici di (OMISSIS) con i coimputati puo' essere valutata quale prova del contributo morale di quest'ultimo solo con il ricorso a congetture o a presunzioni di secondo grado, entrambe inutilizzabili nel giudizio di accertamento della responsabilita' penale. Non puo', infatti, escludersi che la (OMISSIS), con la quale il ricorrente non ha mai avuto contatti diretti, si sia determinata autonomamente ad effettuare l'interruzione di gravidanza con modalita' operative da lei stessa prescelte. Ne' in senso accusatorio puo' essere valorizzata la presenza di (OMISSIS) quale medico di turno del pronto soccorso la sera in cui la (OMISSIS) ebbe a presentarsi con il feto morto se si considera che quest'ultima aveva tenuto le stesse modalita' comportamentali gia' dodici giorni prima quando il (OMISSIS) non era di turno. 4.2.2. Con il secondo motivo denunzia violazione di legge, in relazione all'articolo 575 c.p. e L. 22 maggio 1978, n. 194, articolo 19 nonche' vizio di motivazione con riferimento all'affermata configurabilita' del delitto di omicidio nonostante le risultanze della perizia, correttamente interpretate, abbiano escluso la possibilita' di vita autonoma del feto. La sentenza impugnata, conformandosi a quella emessa in esito al primo grado del giudizio, ha ritenuto configurabile il reato di omicidio sul presupposto di fatto che la morte del feto si sia verificata dopo l'inizio e a cagione del travaglio, senza, tuttavia, confrontarsi con i rilievi difesivi che avevano messo in luce l'incertezza sul momento preciso in cui era avvenuto il decesso del feto. I periti non avevano in alcun modo chiarito se la morte del feto si era verificata nella fase attiva del travaglio o in quella di latenza o ancora prima; anzi, avevano ritenuto accertate circostanze che militavano in favore della tesi difensiva secondo cui la morte del feto era avvenuta in una fase precedente al travaglio. In tal senso depongono sia l'esame del preparato istologico, che ha accertato il decesso in epoca precedente alla rottura del sacco amniotico, quindi in ambente endouterino, sia la tecnica utilizzata per indurre il travaglio, di tipo meccanico e farmacologico, che determina sin dall'inizio uno stato di sofferenza del feto cosi' acuto da generare il meccanismo asfittico che ne ha cagionato il decesso. La configurabilita' dell'ipotesi di reato meno grave prevista dalla L. n. 194 del 1978, articolo 19 e' stata esclusa nonostante sia rimasta quanto meno dubbia l'eta' gestazionale del feto, stimata dai periti tra 23 e 24 settimane, e non sia stata adeguatamente dimostrata la capacita' di vita autonoma del prodotto del concepimento. La Corte distrettuale ha ritenuto superata la ventiquattresima settimana di gestazione ritenendo che il legislatore abbia attribuito rilevanza non ad un concetto giuridico ma ad un parametro medico, che individua come termine iniziale il primo giorno dell'ultima mestruazione, ed abbia inteso la "possibilita' di vita autonoma del feto" non come caratteristica soggettiva accertabile con giudizio ex post ed attribuibile ai feti che nascono vivi e manifestano in concreto capacita' respiratoria, ma come caratteristica accertabile con valutazione ex ante in tutti i feti che, per l'eta' gestazionale, decorso della gravidanza, assenza di patologie, hanno chance di vita extrauterina. Tali asserzioni sono erronee perche' fondate su un metodo di calcolo delle settimane di gestazione empirico ed approssimativo (il c.d. regolo ostetrico), anziche' sulle conclusioni scientifiche della perizia medico legale (OMISSIS) e (OMISSIS), secondo cui e' impossibile determinare l'eta' di sviluppo del nascituro e la sua conseguente idoneita' ad avere vita autonoma fuori dal ventre materno solo partendo dal giorno dell'ultima amenorrea. Le argomentazioni spese non sono neanche conformi ai criteri indicati dalla giurisprudenza di legittimita' nella sentenza Spallone per distinguere il reato di omicidio da quello di cui alla L. n. 190 del 1978, articolo 19. In tale pronuncia e' stato precisato che e' sempre necessario accertare se il nascituro, alla data dell'interruzione della gravidanza, ha acquistato chance di sopravvivenza fuori dall'utero materno perche' se difetta tale elemento e' sempre configurabile il reato di interruzione volontaria della gravidanza fuori dei casi consentiti dalla legge. La determinazione dell'eta' gestionale in 24 settimane + 4 giorni e' un errore frutto di una valutazione disancorata dal dato scientifico fornito dalla perizia, che la Corte territoriale ha ripetutamente affermato di avere condiviso. Secondo l'eta' gestazionale determinata dai periti il feto non aveva alcuna possibilita' di vita autonoma al di fuori dell'alveo materno. La sentenza ha trascurato l'accertamento peritale anche nella parte in cui ha evidenziato che il feto non aveva la maturita' necessaria a sopravvivere a causa del travaglio indotto. 4.2.3. Con il terzo motivo denunzia violazione di legge in relazione all'articolo 479 c.p. e articolo 129 c.p.p., comma 2, nonche' vizio di motivazione. Lamenta la mancata assoluzione nel merito dal reato di falsita' ideologica in atto pubblico per insussistenza del fatto. La Corte territoriale e' pervenuta alla declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione sul presupposto che l'imputato abbia redatto una falsa diagnosi. In realta' -, come si evince dal referto allegato al ricorso, (OMISSIS) si e' limitato a trascrivere quanto riferito dalla paziente. 4.3. (OMISSIS) ha articolato piu' motivi. 4.3.1. Con il primo denunzia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 110, 575 e 577 c.p. e articolo 521 c.p.p. nonche' vizio di motivazione. Lamenta che la sentenza impugnata abbia violato il principio di necessaria correlazione con l'imputazione ed abbia seguito un percorso motivazionale contraddittorio, violando il diritto di difesa e i canoni di valutazione della prova di cui all'articolo 192 c.p.p.. La Corte di assise appello, pur condividendo la tesi accusatoria recepita dal primo Giudice secondo cui il decesso del feto era stato l'evento conclusivo di un progetto condiviso da tutti gli imputati per simulare il sinistro stradale e adire la compagnia assicurativa per il risarcimento, ha individuato i ruoli dei singoli imputati in contrasto con le condotte descritte nel capo di imputazione. In particolare, ha attribuito alla (OMISSIS) il ruolo, non indicato nell'editto di accusa, di organizzatrice e promotrice dell'intero disegno criminale per di piu' in assenza di argomentazioni logiche a sostegno del mutamento. La sentenza impugnata e' incappata in piu' errori ed omissioni. Ha inserito tra i testimoni sentiti in dibattimento l'operatore sanitario (OMISSIS) che non risulta mai escusso nel giudizio. Ha attribuito valenza indiziante sia all'episodio del furto del farmaco abortivo ascritto a (OMISSIS), nonostante sia rimasto privo di precisa collocazione temporale, sia ad una telefonata tra (OMISSIS) e la (OMISSIS), asseritamente avvenuta in occasione del primo ricovero della (OMISSIS). Ha ignorato che dal servizio di intercettazione telefonica sulle utenze in uso alla (OMISSIS) e alla (OMISSIS) non e' emerso nulla di rilevante se non l'esistenza tra le due di un rapporto di amicizia. Ha valutato come anomala e compromettente la condotta tenuta da (OMISSIS) una volta accertato, quale medico del pronto soccorso, la morte del feto ignorando che era stato (OMISSIS) a chiamare i Carabinieri e a sollecitare tutti i necessari accertamenti ginecologici sulla madre e sul feto. Ha, piu' in generale, posto a fondamento dell'accertamento di responsabilita' indizi dal carattere neutro mai gravi e precisi, mentre ha trascurato significativi elementi a discarico, a cominciare dall'esito della perizia medico legale, pretendendo dagli imputati, in palese violazione della presunzione di innocenza, spiegazioni alternative a quella accusatoria del tutto inutili, rimanendo comunque fermo il dato fattuale pacifico che la (OMISSIS) aveva scelto di sottoporsi ad una interruzione volontaria di gravidanza oltre i termini stabiliti dalla legislazione vigente, inizialmente cercando di mascherarlo con il riferimento ad un inesistente incidente stradale. 4.3.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione all'articolo 575 c.p. e alla L. n. 190 del 1978 e vizio di motivazione per mancata assunzione di prova decisiva. La Corte territoriale ha attribuito eccessiva rilevanza alle propalazioni dei testimoni e non ha valutato correttamente le risultanze scientifiche. Conseguentemente, ha errato nella qualificazione giuridica dei fatti accertati non prestando la necessaria attenzione ai numerosi e specifici rilievi difensivi. Ha trascurato il contenuto della perizia e, soprattutto, i chiarimenti forniti dai periti nel corso dell'esame dibattimentale (allegato al ricorso ai fini dell'autosufficienza), i quali, in questa sede processuale, hanno precisato, senza incertezze, che il feto espulso dalla (OMISSIS), alla ventiduesima settimana di gestazione e non alla ventiquattresima ed a seguito di induzione meccanica di travaglio abortivo, non aveva mai respirato. Ne' sono stati riscontrati elementi tali da far ritenere vitale il feto nei momenti di pre-espulsione o comunque indicativi della capacita' di vita autonoma in una fase post-espulsione. I periti non hanno risposto al quesito relativo all'epoca della morte del feto rispetto alla rottura del sacco amniotico limitandosi ad individuare situazione potenziale di notevole stress come la emorragia retro placentare causata dalla pratica abortiva. Erroneamente la vicenda in esame e' stata considerata speculare a quella oggetto della sentenza Spallone in cui i feti abortiti avevano un'eta' gestazionale superiore alla ventiquattresima settimana ed in cui almeno uno aveva respirato autonomamente. Il feto della (OMISSIS), invece, e' morto quando ancora era all'interno dell'utero e non ha mai respirato. In assenza di vitalita' del feto non rileva che l'aborto sia stato praticato in assenza di un grave pericolo di vita per la donna. Non e' stato fatto buon governo dei principi dettati dalla giurisprudenza di legittimita' per distinguere il reato di interruzione di gravidanza di cui alla L. n. 194 del 1978, articolo 19 da quello di omicidio. Il criterio distintivo e' stato ormai pacificamente individuato nell'inizio del travaglio facendo coincidere la transizione dalla vita intrauterina a quella extra uterina con la rottura del sacco amniotico. Nel caso in esame, in cui il feto e' morto in utero precedentemente alla rottura delle membrane ed ancora prima di impegnare il canale uterino e non sono stati riscontrati elementi di natura scientifica ne' idonei a far ritenere vitale il feto nei momenti di pre espulsione ne' indicativi della sua capacita' di vita autonoma in una fase post espulsione, la condotta degli imputati doveva essere qualificata ai sensi della L. n. 194 del 1978, articolo 19 che sanziona tutte le condotte poste in essere in un momento precedente il distacco del feto dall'utero materno a prescindere dalle condizioni che rendono legittima l'interruzione della gravidanza previste dagli articoli 6 e 7 della legge da ultimo citata. In ogni caso, l'incertezza del dato scientifico sia sull'eta' gestazionale del feto, cui la Corte ha fatto discendere automaticamente la certezza di capacita' di vita autonoma del feto, sia sul preciso momento della sua morte all'interno dell'utero, escludono, sul piano giuridico, la possibilita' di qualificare la condotta come integrante il reato di omicidio per la mancanza del bene protetto, quanto meno in osservanza del fondamentale canone di giudizio della condanna dell'al di la' di ogni ragionevole dubbio di cui all'articolo 533 c.p.p.. 4.3.3. Con il terzo motivo denunzia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 43 e 575 c.p.. La Corte distrettuale non ha adeguatamente confutato la tesi difensiva secondo cui l'imputata non ha mai avuto la consapevolezza e la volonta' di uccidere ma solo quella di interrompere la gravidanza. Anzi ha espressamente affermato che la (OMISSIS) ha agito con l'elemento soggettivo tipico della fattispecie di cui alla L. n. 194 del 1978, articolo 19, decidendo di interrompere la gravidanza senza l'osservanza dei limiti previsti. La voluta pratica abortiva, realizzata in un momento precedente al distacco del feto dall'utero materno, e' stata causa dell'indotto travaglio che, a sua volta, ha determinato il decesso del feto 4.3.4. Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 116 c.p., comma 2. La sentenza impugnata non ha affrontato la richiesta difensiva di concedere all'imputata l'attenuante prevista in favore del concorrente animato dall'esclusiva volonta' di commettere un delitto, l'interruzione volontaria di gravidanza, meno grave di quello concretamente posto in essere, omicidio doloso, non previsto anche a causa di mancanza di diligenza in materia medica. 4.3.5. Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione in ordine all'applicazione della regola di giudizio dell'oltre ogni ragionevole dubbio. Sostiene il ricorrente che la condanna, anziche' fondarsi su evidenze probatorie certe in grado di superare il ragionevole dubbio, costituisca il frutto di ricostruzioni personalistiche. 4.4. (OMISSIS) ha articolato cinque motivi, alla cui esposizione ha premesso una sintesi, con cui stigmatizza la diversita' della condotta concorsuale contestata nel capo di imputazione rispetto a quelle accertate nelle due sentenze di merito. 4.4.1. Con il primo deduce vizio di motivazione per inosservanza sia delle regole di valutazione contenute nell'articolo 192 c.p.p., primi tre commi, con riferimento tanto alle prove indiziarie quanto alle dichiarazioni provenienti dal coimputato (OMISSIS), sia per l'utilizzo di argomentazioni congetturali nonche' per omessa risposta ai motivi di appello con conseguente inosservanza del principio devolutivo. Denunzia, altresi', travisamento del contenuto dei tabulati del traffico telefonico nonche' delle dichiarazioni rese dal coimputato (OMISSIS), in dibattimento e nelle conversazioni captate, nonche' della documentazione relativa ai procedimenti penali pendenti nei suoi confronti e della conversazione telefonica intercorsa alle ore 23.37 del giorno 8 maggio 2012 tra (OMISSIS) e l'avv. (OMISSIS). Evidenzia, con argomentazioni estremamente articolate ed analitiche, numerose criticita' ed incongruenze del percorso argomentativo della sentenza impugnata e, soprattutto, la mancanza di convincenti addentellati con il compendio probatorio acquisito ed il ricorso a presunzioni al fine di sopperire all'inidoneita' degli elementi indiziari a suffragare l'impianto accusatorio. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale non ha, adeguatamente ed esaustivamente, esaminato, nonostante la loro decisivita' i temi relativi: - alla compatibilita' del ruolo di intermediario attribuito a (OMISSIS) quale trait d'union tra (OMISSIS) e (OMISSIS) con l'accertata esistenza di numerosi contatti telefonici precedenti all'iniziativa di (OMISSIS); - alla reale causa dell'interruzione dei rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS) a partire dal 7 maggio, con successivi e ripetuti rifiuti di (OMISSIS) di incontrare il coimputato, non potendo al riguardo utilizzarsi la spiegazione fornita da (OMISSIS) rimasta priva di riscontri; - all'identificazione nella (OMISSIS) della "signora" che (OMISSIS) ha chiesto a (OMISSIS) di incontrare nei pressi di un bar, solo congetturalmente individuato nel Bar (OMISSIS) gestito di fatto dalla (OMISSIS) in un locale di proprieta' di (OMISSIS); - al reale motivo del risentimento apertamente manifestato dal (OMISSIS) e dalla compagna nei confronti di (OMISSIS) nella telefonata del giorno 8 maggio; - all'assenza nel verbale della conversazione del giorno 8 maggio tra (OMISSIS) e (OMISSIS) dell'espressione considerata decisiva ("ottimo modo per stopparsi"), carenza non superabile con le ammissioni implicite di (OMISSIS) in sede di esame dibattimentale; - all'inerenza delle questioni trattate da (OMISSIS) e (OMISSIS) nelle conversazioni intercettate a questioni diverse dal programmato aborto della (OMISSIS), a cominciare dalle condizioni di salute dello zio di (OMISSIS); - all'alibi fornito dall'imputato troppo sbrigativamente valutato, pur in presenza di convincenti conferme, come "costruito" anziche' come un alibi "fallito". 4.4.2. Con il secondo motivo denunzia vizio di motivazione in relazione all'articolo 40 c.p., comma 2, articolo 43 c.p., comma 1, e articolo 110 c.p.. La Corte territoriale si e' ingiustificatamente discostata dal consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale il giudice deve necessariamente individuare, anche in presenza della contestazione del concorso di persone, l'autore o il coautore dell'azione materiale tipica. Non ha indicato in modo adeguato quale sarebbe stato la concreta e specifica condotta attraverso la quale (OMISSIS) avrebbe fornito, successivamente alla fase organizzativa del reato di procurato aborto illegale, anche un ulteriore contributo causalmente rilevante per la consumazione del nuovo e diverso reato di omicidio commesso dalla (OMISSIS) in concorso con medici rimasti ignoti dopo l'inizio del travaglio, anche con l'omissione delle cure necessarie per la sopravvivenza del feto. Neanche il dolo e' stato approfondito, se non attribuendo rilevanza ad una conversazione dalla quale e' stata congetturalmente desunta la consapevolezza di (OMISSIS) sul superamento da parte del feto dell'eta' gestazionale idonea ad interrompere legalmente la gravidanza. Non puo' neanche ipotizzarsi che il ricorrente avesse la consapevolezza che il feto, a prescindere dall'eta' gestazionale, avrebbe avuto concrete possibilita' di superare il travaglio indotto. 4.4.3. Con il terzo motivo denunzia erronea qualificazione giuridica del fatto per erronea applicazione dell'articolo 575 c.p. e della L. n. 194 del 1978, articolo 19 e dell'articolo 41 c.p., commi 2 e 3. La Corte di assise di appello ha fornito una motivazione difforme dai principi espressi dalla pur richiamata sentenza della Corte di cassazione nel processo Spallone in tema di nesso causale tra condotta concorsuale ed evento morte del feto. Si e' limitata ad ipotizzare, sulla scorta di conversazioni tra il ricorrente e la (OMISSIS), il cui contenuto non e' noto, un suo concorso morale anche dopo l'induzione del travaglio ovvero dal momento in cui poteva essere fornito un contributo agevolatore all'omicidio. Non possono valorizzarsi i pregressi contatti telefonici, anche se ricondotti all'organizzazione dell'aborto illegale, non avendo alcuna efficacia causale sulla successiva e diversa condotta della (OMISSIS), la quale avrebbe potuto decidere autonomamente di mantenere in vita il feto. La condotta deliberata ed eseguita dalla (OMISSIS) dopo l'inizio del travaglio ha quindi interrotto il contributo causale di (OMISSIS) ai sensi dell'articolo 41 c.p. trattandosi di fatto illecito altrui sopravvenuto da solo sufficiente a determinare l'evento lesivo. 4.4.4. Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione in relazione all'accertamento della capacita' di vita autonoma del feto al momento dell'induzione del travaglio e al nesso di causalita' tra condotta concorsuale ascritta all'imputato ed evento mortale. La Corte di assise di appello ha ritenuto il feto vitale al momento dell'inizio del travaglio in assenza di approfondimenti tecnici e scientifici sul punto. E' altrettanto plausibile, alla luce delle valutazioni dei periti medico legali, che il travaglio attraverso la somministrazione di farmaci antiabortivi sia stato indotto quando il feto, la cui eta' gestazionale e' rimasta incerta e che poteva pertanto essere inferiore alla 24 settimana, era gia' morto prima dell'inizio dell'espulsione. D'altra parte, le uniche informazioni sulla salute del feto durante la gravidanza provengono dalla (OMISSIS), la cui attendibilita' non e' stata adeguatamente vagliata. 4.4.5. Con il quinto motivo deduce vizio di motivazione in relazione agli articoli 110 e 479 c.p.. Non e' stato esaminato in modo esaustivo il motivo di appello relativo alla mancata acquisizione di elementi dimostrativi della condotta di (OMISSIS) quale concorrente morale. 4.4.6. Con motivi aggiunti tempestivamente depositati, ha ribadito la fondatezza delle censure dedotte nel ricorso. In particolare, ha evidenziato che la sentenza impugnata: - ha desunto l'adesione di (OMISSIS) al progetto abortivo realizzatosi il successivo 15 maggio dalla prosecuzione dei rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS) anche dopo il giorno 8 maggio 2012 nonostante da piu' conversazione telefoniche si desuma chiaramente la loro drastica interruzione a seguito della scelta di (OMISSIS) di disertare un incontro e non rispondere alle successive chiamate telefoniche di (OMISSIS) - ha individuato quale "causale dei delitti oggetto del presente processo" la truffa assicurativa ton tante "nessuno degli imputati si e' mai attivato in tal senso e nessuna azione di risarcimento e' stata mai avanzata nel termine biennale previsto dalla legge"; - ha ritenuto (OMISSIS) "soggetto avvezzo a consumare truffe assicurative nonostante non sia mai stato condannato per reati di questo tipo; - non ha adeguatamente confutato la ricostruzione alternativa secondo cui (OMISSIS) si era determinata autonomamente ad effettuare l'interruzione della gravidanza con modalita' operative da lei stessa prescelte e non mediante il progetto abortivo ideato dal Dott. (OMISSIS); - ha tratto dalla perizia medico-legale disposta dalla Corte di primo grado informazioni in realta' non presenti, atteso che i periti nel corso del loro esame non avevano specificato se l'aborto del feto si era verificato prima oppure dopo l'inizio del travaglio e se l'epoca della sua morte era successiva o precedente rispetto alla rottura del sacco amniotico; - ha ignorato che i periti avevano ritenuto preferibile la tesi secondo cui la manovra di pinzamento aveva causato l'interruzione della gravidanza a sacco amniotico chiuso e pertanto immediatamente prima dell'inizio del travaglio, aggiungendo che, in ogni caso, se il travaglio vi era stato aveva portato all'espulsione di un feto gia' morto e non in condizioni di vitalita' e di raggiungimento di un grado di maturita' sufficienti ad assicurargli la possibilita' di avere una vita autonoma al di fuori dall'utero materno. CONSIDERATO IN DIRITTO Ritiene il Collegio che la sentenza impugnata debba essere annullata senza rinvio nei confronti di (OMISSIS) perche' i reati ascrittigli sono estinti per morte dell'imputato e che i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) debbano essere rigettati. 1. Il ricorso di (OMISSIS) e' divenuto improcedibile per la sopravvenuta morte dell'imputato; la sentenza impugnata va, dunque, annullata senza rinvio. Invero, nelle more del procedimento, in data 25 febbraio 2022, e' intervenuto il decesso dell'imputato, come risulta dal certificato di morte depositato, rilasciato in data (OMISSIS), dal Comune di (OMISSIS) - (OMISSIS). Per l'effetto, i reati contestati al medesimo sono estinti, ai sensi dell'articolo 150 c.p., con la conseguenza che la sentenza impugnata, per quanto riguarda le statuizioni relative, deve essere annullata senza rinvio. 1.2. Al riguardo, pur registrandosi, nella giurisprudenza di legittimita', l'uso di diverse formule di dispositivo in caso di morte dell'imputato - dichiarazione di improcedibilita' del ricorso (Sez. U, n. 30 del 25/10/2000, Poggi Longostrevi, rv. 217245; Sez. 3, n. 8989 del 09/02/2011, Neri, Rv. 249612), dichiarazione di inammissibilita' del ricorso (Sez. 6, n. 27309 del 03/06/2010, Ferruzzi, Rv. 247782, in una ipotesi di ricorso del pubblico ministero avverso sentenza di assoluzione dell'imputato medio tempore deceduto) - appare preferibile la pronuncia di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, secondo il disposto di cui all'articolo 620 c.p.p., lettera a), (da ultimo Sez. 4, n. 16819 del 20/04/2022, Regazzoni, Rv. 283206 - 01). 1.3. Pertanto, la morte dell'imputato, intervenuta successivamente alla proposizione del ricorso per Cassazione, impone l'annullamento senza rinvio, con l'enunciazione della relativa causale nel dispositivo, risultando esaurito il sottostante rapporto processuale, ed essendo preclusa ogni eventuale pronuncia di proscioglimento nel merito ex articolo 129 c.p.p., comma 2, tanto piu' quando non risulti dal testo del provvedimento impugnato, come nel caso di specie, l'evidenza (Sez. U, n. 30 del 25/10/2000, Poggi Longostrevi, Rv. 217245). 2. Entrambi i motivi dedotti da (OMISSIS), che possono essere esaminati congiuntamente in ragione della connessione delle questioni poste, sono privi di pregio. L'imputata lamenta che la Corte territoriale, pur rilevando l'invalidita' della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari e dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, perche' eseguita, in entrambe le occasioni, con il rito degli irreperibili in assenza delle ricerche previste dagli articoli 157, 159 e 169 c.p.p., abbia disposto la regressione del procedimento al primo grado del giudizio e non gia' nella fase immediatamente precedente all'udienza preliminare, cosi' privandola della facolta' esercitabili solo in tale ultima fase del procedimento. La decisione della Corte di assise di appello e' corretta perche' strettamente correlata all'eccezione sollevata dall'imputata che, con i motivi di appello, aveva chiesto dichiararsi la nullita' della sentenza della Corte di assise sul rilievo di non avere mai ricevuto notifica del decreto che dispone il giudizio, neanche presenziando alla sua lettura in esito all'udienza preliminare. Quanto al decreto di irreperibilita' emesso nelle indagini preliminari ai fini della notifica dell'avviso ex articolo 415 c.p.p., la ricorrente non ha ne' eccepito la sua nullita' ne' nel giudizio di primo grado, neanche quando era stato esibito dal Pubblico ministero su richiesta della Corte di assise, ne' in sede di appello, mentre con il ricorso per cassazione ha, per la prima volta ed in termini generici, prospettato la sua emissione in assenza delle previste ricerche senza, tuttavia, allegare circostanze concrete a sostengo. In siffatta situazione, la Corte di assise di appello non poteva che disporre la regressione del procedimento al giudizio di primo grado non solo in accoglimento dell'eccezione di nullita', relativa al solo decreto che dispone il giudizio (pacificamente notificato in assenza della necessaria ripetizione degli adempimenti funzionali all'emissione di un nuovo decreto di irreperibilita' successivo a quello emesso dal pubblico ministero ai fini della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, divenuto inefficace cfr. a ultimo Sez. 5, n. 50080 del 14/09/2017, Rv. 271540 -), ma soprattutto ed in via preliminare in applicazione dell'articolo 604 c.p.p., comma 5-bis, che impone la declaratoria di nullita' della sentenza appellata emessa in esito ad un processo in cui non era stata disposta la sospensione prevista dall'articolo 420-ter c.p.p. e segg., nei testi precedenti all'entrata in vigore del Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, nonostante l'emersione della condizione di irreperibilita' anche di fatto (Sez. 2, n. 29008 del 27/05/2014, Huaco Elias, Rv. 260038 Sez. 3, n. 23906 del 12/05/2016, Patti, Rv. 267384 - 01Sez. 2 -, n. 28726 del 31/05/2022 Amedeo, Rv. 283636 - 01). Peraltro, nel caso in esame non ricorreva la deroga, prevista per i processi in corso dalla L. n. 67 del 2014, articolo 15 bis, comma 2, che consente l'applicazione delle disposizioni vigenti prima dell'introduzione del regime dell'assenza solo se l'imputato, al momento dell'entrata in vigore dell'indicata legge, era stato gia' dichiarato contumace o comunque era stato destinatario di decreto di irreperibilita'. Infatti l'imputata era stata dichiarata irreperibile con decreto emesso dopo il 28 aprile 2015 quando era entrata in vigore la nuova disciplina che, all'articolo 604 c.p.p., comma 5 bis, prevede la nullita' della sentenza di primo grado ed il rinvio degli atti al giudice di primo grado nel caso di violazione delle disposizioni di cui all'articolo 420-ter c.p.p., e segg. (Sez. 2, n. 29008 del 27/05/2014, Huaco Elias, Rv. 260038). Per opportuna cautela, la Corte di assise, cui sono stati correttamente restituiti gli atti in quanto giudice procedente quando si e' verificata' l'accertata nullita', e' stata avvisata della necessita' di verificare l'integrita' del contraddittorio nella fase precedente all'instaurazione dell'udienza preliminare. 3. Il ricorso di (OMISSIS) e', nel suo complesso, infondato. 3.1. Il primo ed il quarto motivo non superano il vaglio di ammissibilita' proponendo censure formulate in termini generici ed aspecifici o comunque non consentite perche', pur formalmente strutturate come denunzia di vizi motivazionali, si risolvono nella sollecitazione di apprezzamenti da sovrapporre a quelli, non manifestamente illogici, dei giudici del merito, operazione preclusa in questa sede. 3.1.1. Va ricordato, al riguardo, che al giudice della legittimita' e' riservato il sindacato, oltre che sulle violazioni di legge, sull'apparato motivazionale della decisione al fine di vagliarne la logicita' e completezza ma sempre nei limiti tracciati dai profili di censura dedotti che devono confrontarsi criticamente con le argomentazioni e non limitarsi ad affermazioni generiche. Sono, invece precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 - 01). Quando si lamenta il vizio di motivazione per travisamento della prova, il ricorrente non puo' limitarsi ad addurre l'esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisivita' (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085 - 01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482 - 01; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, M., Rv. 234148). Non e' necessario che la sentenza emessa in esito al giudizio di appello fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole osservazioni o rilievi contenuti nell'atto d'impugnazione. E' sufficiente che il suo discorso giustificativo indichi le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostri di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio, sicche', quando ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno dell'appello, ed incompatibili con le motivazioni contenute nella sentenza, devono ritenersi, anche implicitamente, esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione della configurabilita' del vizio di mancanza di motivazione di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), (ex plurimis Sez., 1, n. del 18/06/2014, Amaniera, Rv. 260841 - 01 Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi Rv. 277593 - 01). Nel controllo della motivazione, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, ne' deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilita' di apprezzamento: cio' in quanto l'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non consente alla Corte di una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perche' e' estraneo al giudizio di legittimita' il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. Anche a seguito della modifica apportata all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimita' il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (ex plurimis piu' di recente Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217 - 01). Se il controllo sui vizi di motivazione ha ad oggetto la prova indiziaria, esso non puo' riguardare la scelta delle massime di esperienza - costituite da giudizi ipotetici a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su ripetute esperienze, ma autonomi da queste - ma deve limitarsi a verificare se la decisione abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sull'"id quod plerumque accidit", ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulta priva di una pur minima plausibilita' (Sez. 1, n. 16523 del 04/12/2020, dep. 2021, Romano Rv. 281385 - 01). Il travisamento della prova dichiarativa e' deducibile solo se ha un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformita' tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087 - 01; Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, Grancini, Rv. 272406 - 01). 3.1.2. In esito ad un controllo ancorato ai rammentati principi puo' tranquillamente affermarsi che la sentenza impugnata, anche aderendo alle conformi valutazioni di quella di primo grado, ha seguito un percorso motivazionale tutt'altro che illogico o irrazionale, affrontando tutte le questioni riproposte in questa sede dalla difesa della ricorrente e superando i rilievi con argomentazioni puntuali e plausibili e senza incorrere nelle denunciate omissioni o travisamenti. Non ha utilizzato prove inesistenti (l'operatore sanitario (OMISSIS) risulta essere stato esaminato in dibattimento, cfr. pag. 15 sentenza della Corte di assise) ed ha attribuito valenza indiziante a episodi accertati (il furto del farmaco abortivo ascritto a (OMISSIS) nonche' la condotta superficiale e sbrigativa tenuta da quest'ultimo in occasione della visita al Pronto Soccorso della (OMISSIS) subito dopo l'espulsione del feto, in netto contrasto con quella della ginecologa le cui perplessita' avevano reso inevitabile l'intervento della polizia giudiziaria), escludendone giustificatamente altri (le risultanze del servizio di intercettazione telefonica sulle utenze in uso alla (OMISSIS) e alla (OMISSIS) perche' non contenenti dialoghi relativi alla vicenda contestata), senza trascurare le prove scientifiche a cominciare dalla perizia medico legale eseguita in dibattito ai sensi dell'articolo 508 c.p.p., esaminata in ogni aspetto rilevante, e le prospettazioni alternative fonte dagli imputati. A quest'ultimo proposito, ha considerato del tutto inattendibile la tesi tardivamente addotta dalla (OMISSIS) secondo cui l'indicazione dell'incidente stradale quale causa dell'interruzione volontaria di gravidanza costituiva un espediente reso necessario dall'esigenza di occultare la scelta, penalmente sanzionata, di ricorrere all'aborto oltre i termini stabiliti dalla legislazione vigente, perche' del tutto incompatibile con i rapporti coltivati nelle settimane precedenti con i coimputati ed in particolare con (OMISSIS) e (OMISSIS). Non e' ravvisabile alcuna violazione del principio di correlazione con l'imputazione. La Corte di assise di appello ha definito la condotta concorsuale dell'imputata all'interno della cornice necessariamente piu' generica, indicata dalla contestazione. 3.2. Il secondo motivo, relativo alla valutazione delle risultanze di carattere scientifico e alla qualificazione della condotta come idonea ad integrare il reato di omicidio anziche' quello, meno grave, di interruzione volontaria di gravidanza previsto dalla L. 22 maggio 1978, n. 194, articolo 19, comma 3, non e' fondato. Sostiene la difesa della (OMISSIS) che, alla luce degli accertamenti e delle valutazioni contenute nella perizia medico legale e, soprattutto nell'esame dibattimentale dei periti, e' rimasto accertato che, a seguito delle manovre abortive di tipo meccanico, il feto, alla ventiduesima settimana di gestazione, era morto prima del distacco dall'utero materno, quando ancora il sacco amniotico era integro. Non solo, quindi, il feto non era vitale al momento dell'inizio del travaglio, ma non aveva mai respirato ne' aveva raggiunto un grado di maturita' sufficiente ad assicurargli la possibilita' di avere una vita autonoma al di fuori dall'utero materno. La condotta di soppressione avrebbe, di conseguenza, riguardato non l'oggetto del reato di omicidio (l'"uomo" di cui all'articolo 575 c.p.) e risulterebbe integrato il reato di interruzione volontaria della gravidanza di cui alla L. n. 194 del 1978, articolo 19, comma 3, per l'omessa osservanza delle modalita' prescritte dai precedenti articoli 6 e 7. L'assunto e' erroneo in fatto ed in diritto. 3.2.1. Per stabilire l'inizio della vita rilevante ai fini dell'integrazione dell'oggetto del reato di omicidio rivestono un ruolo determinante, l'articolo 578 c.p. ("La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto o del feto durante il parto, quando il fatto e' determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, e' punita con la reclusione da quattro a dodici anni") e la L. n. 194 del 1978, articolo 7, comma 3, ("Quando sussiste la possibilita' di vita autonoma del feto, l'interruzione della gravidanza puo' essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell'articolo 6 e il medico che esegue l'intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto"). Gli interpreti hanno ricostruito in termini divergenti il rapporto tra le due norme. Dottrina autorevole assegna all'articolo 7 comma 3, cit. un ruolo centrale mentre considera l'articolo 578 c.p. una disposizione speciale da cui non possono trarsi principi di portata generale. Prevedendo l'articolo 7, comma 3, cit., da una parte, il divieto assoluto di praticare l'interruzione di gravidanza oltre i 90 giorni se il feto ha possibilita' di vita autonoma, con l'unica eccezione costituita dalla situazione necessitante della sussistenza di un grave pericolo per la madre, e, correlativamente, a carico del medico' l'obbligo di adottare ogni misura idonea a salvaguardarne la vita, consente di individuare una linea di demarcazione netta tra i reati di aborto e l'omicidio. Mentre i primi, che hanno tutti in comune l'interruzione della gravidanza, in qualunque forma commessi (dolosa, colposa o preterintenzionale)e hanno ad oggetto il concepito ossia il prodotto del concepimento senza "possibilita' di vita autonoma", oggetto materiale del reato di cui all'articolo 575 c.p. 1) ossia l'"uomo", e' inteso come "essere umano, venuto ad esistenza attraverso la fecondazione sessuata o no, sviluppatosi in qualunque ambiente idoneo a portarlo alla maturazione e (corpo umano, femminile o maschile, corpo animale o "madre meccanica") purche' capace di vita autonoma, sia esso fuoriuscito o meno dal corpo materno". Sussiste, pertanto, il delitto di omicidio, commissivo od omissivo, doloso o colposo, a carico del medico che, nel praticare l'aborto, sacrifichi la vita del concepito, che poteva essere salvata, o che, dopo l'aborto, non prende le misure idonee a salvaguardarne la vita. Commette, invece, il reato della L. n. 194 del 1978, articolo 19 il medico che interrompe la gravidanza senza che sussista il suddetto grave pericolo, allorche' il concepito sopravviva e, quindi, si abbia soltanto accelerazione del parto. Costituisce, pertanto, duplice omicidio l'uccisione della madre e del concepito non ancora partorito, ma capace di vita autonoma. Secondo un diverso orientamento dottrinale, che nuove dalla corretta premessa che i confini tra l'aborto, l'infanticidio e l'omicidio non possono ricavarsi dalla differenza del soggetto passivo posto che il concepito, a prescindere dalla sua autonomia, e' sempre una forma di manifestazione della vita umana, per risolvere il problema interpretativo non puo' prescindersi da una lettura congiunta delle due norme in esame. Dalla L. n. 194 del 1978, articolo 7 si ricava che se il concepito e' capace di vita autonoma (la' dove ricorrono i presupposti della L. n. 194 del 1978, articolo 6, lettera a)) l'interruzione della gravidanza e' ammissibile; cio', tuttavia, a patto che venga fatto il possibile dal sanitario per salvare la vita del feto. L'articolo 578 c.p., equiparando l'uccisione del feto durante il parto e l'uccisione del neonato riconosce espressamente nell'inizio del parto il momento dell'inizio della vita umana rilevante per il diritto penale. Ne deriva che ai fini dell'applicabilita' della disciplina dell'omicidio e' sempre necessario che il parto - spontaneo, indotto, prematuro o a termine - abbia avuto inizio e che, per converso, l'uccisione del feto autonomo in un momento antecedente al parto, rende applicabile la disciplina dell'interruzione di gravidanza. 3.2.2. La giurisprudenza di legittimita', nel solco tracciato dalla dottrina citata per ultimo, individua l'elemento distintivo delle fattispecie di soppressione del prodotto del concepimento nel momento in cui avviene l'azione criminosa: se essa e' realizzata in un momento precedente il distacco del feto dall'utero materno, ad essere integrata e' la fattispecie prevista dalla L. n. 194 del 1978, articolo 19; se essa e', invece, realizzata dal momento del distacco del feto dall'utero materno - durante il parto se si tratta di un feto o immediatamente dopo il parto se si tratta di un neonato - ad essere integrata e' la condotta prevista dall'articolo 578 c.p.. Qualora, infine, la condotta diretta a sopprimere il prodotto del concepimento sia posta in essere dopo il distacco, naturale o indotto, del feto dall'utero materno ma in assenza dell'elemento specializzante delle condizioni di abbandono materiale e morale della madre, previsto dall'articolo 578 c.p., e' configurabile il delitto di omicidio volontario di cui all'articolo 575 c.p. e articolo 577 c.p., n. 1. In questi termini si e' espressa la sentenza di questa Corte Sez. 1, n. 46945 del 18 ottobre 2004, ricorrente Spallone, piu' volte citata nella sentenza impugnata, nella cui motivazione si legge: "feticidio e infanticidio sono unitariamente previsti e puniti dall'articolo 578 c.p. che... anche nel testo modificato dalla L. 5 agosto 1981, n. 442... ha mantenuto inalterato il riferimento all'oggetto materiale, su cui ricade l'azione delittuosa: il feto, cioe' il prodotto della gestazione o l'essere nascente collegato ancora alla madre tramite il cordone ombelicale (diversamente, si tratterebbe di aborto), ovvero il neonato, cioe' l'essere uscito completamente dal ventre materno, con recisione del cordone ombelicale; in entrambi i casi, un essere vivente, anche se non necessariamente vitale, ossia capace di un periodo sufficientemente durevole di vita autonoma e' pure immutata, rispetto al testo previgente della norma, la collocazione cronologica del fatto, che deve essere stato commesso immediatamente dopo il parto, ove si tratti di un neonato, o durante il parto, trattandosi di un feto. L'individuazione del limite cronologico ha rilievo ai fini della distinzione dall'aborto, dovendo intendersi la dizione "durante il parto", quale "minimunn" temporale della previsione normativa, nel senso che la condotta e' realizzabile dal momento del distacco del feto dall'utero materno, mentre la L. n. 194 del 1978, articolo 19 e' applicabile se il fatto e' commesso in un momento precedente". Nella giurisprudenza successiva si e' precisato che il distacco del feto dall'utero materno da cui dipende la distinzione tra la fattispecie di interruzione di gravidanza e quella di omicidio colposo coincide con l'inizio del travaglio perche' e' questo momento che segna l'autonomia del feto (Sez. 5, n. 44155 del 21/10/2008, Notaro Sirianni, Rv. 241689 - 01, Sez. 4, n. 7967 del 29/01/2013, Fichera, Rv. 254431 01 e, piu' di recente, Sez. 4 -, n. 27539 del 30/01/2019, Greco, Rv. 276790 - 01 che in motivazione, richiamando le sentenze Corte Cost. n. 229 del 2015 e Corte Edu, Perrillo c. Italia del 27 agosto 2015, ha precisato che deve ritenersi legittima l'inclusione dell'uccisione del feto nell'ambito dell'omicidio in considerazione dell'intervenuto ampliamento della tutela della persona e della nozione di soggetto meritevole di tutela, che dal nascituro e al concepito si e' estesa fino all'embrione e che, altresi', tale inclusione non comporta una non consentita analogia in "malam partem" bensi' una mera interpretazione estensiva, legittima anche in relazione alle norme penali incriminatrici). Coerentemente con la delineata opzione ermeneutica, le condotte omissive o commissive, dirette a sopprimere il prodotto del concepimento, in avanzato stato di gestazione, poste in essere dopo il distacco, anche se forzatamente indotto, dall'utero della madre non sono sussumibili, nelle fattispecie incriminatrici previste dalla L. 22 maggio 1978, n. 194, articolo 19, che puniscono "chiunque cagiona l'interruzione della gravidanza senza l'osservanza delle modalita'" stabilite dalla legge stessa. Esse, anche se poste in essere successivamente ed in stretta consecuzione cronologica, rispetto al distacco naturale o indotto del feto dall'utero materno, integrano il delitto di omicidio qualora sia assente l'elemento specializzante contemplato dall'articolo 578 c.p. (le condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto), purche' fino al realizzarsi della condotta che ne cagiona la morte il feto sia vivo. Non si richiede, invece, che il feto sia vitale, poiche' costituisce omicidio anticipare, anche di una frazione minima di tempo, l'evento letale. Ne consegue la irrilevanza di anomalie anatomiche e di patologie funzionali potenzialmente idonee a causare la morte del feto in tempi brevi, se questa e' cagionata, sia pure con un determinismo di mera anticipazione, dalla condotta volontaria del soggetto agente (sentenza Spallone, pagg. 25 e 26). 3.2.3. Ritiene il Collegio, in continuita' con i principi espressi nella giurisprudenza di legittimita' da ultima richiamata, che integri gli estremi dell'omicidio non solo la condotta di soppressione del prodotto del concepimento, di cui risulta accertata la possibilita' di vita autonoma, eseguita senza osservare le prescrizioni ed i limiti temporali previsti dalla L. n. 194 del 1978 ed in assenza della predisposizione di mezzi idonei di assistenza di cui all'articolo 7, comma 3, della medesima legge, realizzata dopo l'inizio del travaglio, indotto o spontaneo - che costituisce il momento in cui la vita del feto, distaccandosi dall'utero materno, assume rilevanza penale autonoma rispetto a quella della madre - ma anche quella che, posta in essere prima del travaglio ed allo scopo di provocarlo, sia comunque proseguita durante il parto in stretta successione cronologica producendo i suoi effetti lesivi sul feto vitale all'inizio del travaglio ma deceduto prima dell'espulsione. Al di fuori dai casi espressamente consentiti dalla L. n. 194 del 1978, tutte le condotte di soppressione realizzate nei confronti di un feto che e' vitale all'inizio del travaglio ed ha, per l'eta' gestazionale, "possibilita' di vita autonoma" extrauterina sono quindi sussumibili nelle fattispecie omicidiarie di cui agli articoli 575, 589 e 578 c.p. a seconda se l'evento morte e' posto in essere con coscienza e volonta', contro la volonta' ma a causa di un atteggiamento negligente, imprudente o imperito, ovvero se il feto sia ucciso dalla madre determinata dalle condizioni di abbandono morale e materiale e cio' a prescindere se il decesso si sia verificato all'interno o all'esterno dell'alveo materno. Le fattispecie incriminatrici previste dalla L. n. 194 del 1978, articolo 19 sono, invece, configurabili se le condotte di soppressione del feto sono interamente compiute ed esaurite prima dell'inizio del travaglio. Non e' di ostacolo alla proposta ricostruzione l'articolo 61 c.p., n. 11-quinquies che configura quale aggravante, nei delitti non colposi contro la vita e l'incolumita' individuale e contro la liberta' personale, l'avere commesso il fatto in danno di persona in stato di gravidanza. Da tale disposizione non si ricava il principio per cui qualunque azione non colposa che cagioni il decesso della donna in stato di gravidanza e del suo feto sia sussumibile nella fattispecie incriminatrice di cui agli all'articolo 61 c.p., n. 11-quinquies e articolo 575 c.p. Sara', infatti, configurabile il duplice omicidio della madre e del feto, eventualmente in concorso materiale tra loro, qualora la morte del prodotto del concepimento con possibilita' di vita autonoma sia intervenuta anche prima dell'espulsione durante il parto direttamente provocato dall'azione violenta o resosi necessario per salvarlo senza, tuttavia conseguire il risultato sperato. 3.2.4. Alla luce della ricostruzione fattuale della sentenza impugnata, strettamente ancorata alle risultanze probatorie di carattere scientifico valutate complete in ragione della pluralita' delle fonti di conoscenza (consulenze di parte e perizia eseguita ai sensi dell'articolo 508 c.p.p.) e dell'approfondimento di tutte le tematiche piu' rilevanti, la condotta contestata in concorso agli imputati e' stata qualificata come omicidio doloso in puntuale applicazione degli esposti principi. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente attraverso prospettazioni che non trovano adeguato conforto nelle risultanze di causa o che sono state confutate nel merito, risultano, infatti, accertati, oltre all'insussistenza delle condizioni previste dalla L. n. 194 del 1978 per operare l'interruzione volontaria di gravidanza dopo i primi novanta giorni, la vitalita' del feto al momento dell'inizio del travaglio indotto meccanicamente e la sua possibilita' di vita autonoma. Quest'ultima e' stata desunta dall'avanzata eta' gestazionale, calcolata in ventiquattro settimane piu' quattro giorni secondo il metodo del regolo ostetrico, parametro medico universalmente valido per tutte le gravidanze. Tale risultato e' stato considerato attendibile non solo perche' basato su dati ripetutamente forniti dalla stessa (OMISSIS) in piu' visite ginecologiche (principalmente la data dell'amenorrea) e mai messi in discussione o rettificati dagli esami ecografici e dai referti medici, tutti attestanti il normale andamento della gravidanza e l'assenza di patologie idonee a modificare l'evoluzione fisiologica della crescita del feto (l'ultima visita e' stata eseguita in occasione del ricovero ospedaliero del 3 maggio), ma anche sulle risultanze dall'esame autoptico eseguito sul feto che ne aveva accertato, sulla base di dati antropometrici e delle analisi dei reperti istologici di fegato rene e polmone, un livello di maturita' perfettamente compatibile con l'eta' gestazionale. Nello stesso senso deponevano il peso (oltre 700 grammi, quindi piu' compatibile secondo le tabelle con la venticinquesima settimana), lo sviluppo degli organi genitali e dei piu' importanti organi interni (polmone, fegato e rene). Trattasi di eta' del feto in cui, secondo le conoscenze scientifiche e le tecniche di assistenza specialistica dell'epoca, vi erano chance di sopravvivenza non trascurabili grazie al supporto della terapia intensiva prenatale. Ne' a diversa conclusione conducono i chiarimenti forniti dai periti nel corso dell'esame dibattimentale, allegato al ricorso. Al contrario, il prof. (OMISSIS), dando conto della personale esperienza ospedaliera, ha tenuto a precisare che in caso di parto spontaneo, se concordata con i familiari, l'assistenza dei neonatologi in sala operatoria e' praticata addirittura ai feti di 22 settimane, mentre da 24 settimane in poi e' automatica sia per gli aborti che per i parti spontanei (cfr. pag. 33 dell'esame dibattimentale). Che il feto, sicuramente vivo prima dell'induzione meccanica dell'espulsione, sia morto durante il travaglio indotto meccanicamente - e non nell'utero prima del travaglio a sacco chiuso a causa di un improvviso gasping respiratorio ed inalazione del liquido amniotico diverso da quello legato allo scambio fisiologico con il circostanze liquido amniotico - e' stato desunto, con argomento logico ineccepibile, dal pregresso stato di benessere del feto e della madre, dall'assenza di condizioni di rischio in grado di determinare un distacco precoce della placenta e dalle modalita' concrete con cui l'espulsione stessa era avvenuta ossia attraverso contrazioni protrattesi, a prescindere dal momento esatto di rottura del sacco amniotico, per un periodo prolungato in modo da provocare il distacco parziale della placenta, prima invece integra ed idonea ad assicurare la sopravvivenza del feto, con ematoma retro placentare, conseguente sofferenza ed insulto ipossico fatale per il feto, il tutto nell'ambito di un parto sviluppatosi fisiologicamente fino al secondamento, senza nemmeno rendere necessaria la revisione strumentale dell'utero. 3.3. Il terzo ed il quarto motivo, relativi all'elemento soggettivo dell'omicidio e all'applicazione dell'articolo 116 c.p., comma 2, sono aspecifici perche' non si confrontano con il reale contenuto della sentenza impugnata, che, coerentemente con le risultanze dibattimentali gia' esaminate, ha ricollegato la consapevole volonta' dell'imputata di cagionare la morte del feto potenzialmente vitale in assenza delle condizioni che rendono legittima l'interruzione della gravidanza, al suo pacifico bagaglio di conoscenze sull'eta' gestazionale avanzata ed alla sua volonta', ferma ed irremovibile, di ottenere il risultato preso di mira, in disparte delle precise modalita' esecutive, ad ogni a costo, quindi anche accettando l'eventualita', non remota ma concreta ed altamente probabile ai confini della certezza, di cagionare la morte del feto vitale durante il travaglio strumentale all'espulsione. Solo in questa prospettiva, a prescindere dalla condivisone del progetto di truffare l'assicurazione ottenendo una somma a titolo di risarcimento comprensiva della perdita del feto in realta' volontariamente abortito, si spiega la scelta di praticare le manovre in ambiente non ospedalizzato, escludendo il ricorso all'assistenza necessaria a garantire la sopravvivenza del feto. Il delineato atteggiamento soggettivo della (OMISSIS), inquadrabile nel dolo diretto di omicidio, esclude, in radice, che la stessa possa essere considerata un concorrente anomalo in tale reato. 4. Il ricorso di (OMISSIS) propone censure in parte non consentite o inammissibili e nel resto infondate sicche' deve essere rigettato. 4.1. I primi due motivi ed in parte il terzo nonche' correlati motivi aggiunti, tutti esaminabili congiuntamente in ragione della connessione logica delle questioni, nonostante la analiticita' delle critiche, peraltro pedissequamente ripetitive di quelle esposte nell'atto di appello, non superano il vaglio di ammissibilita' perche' si risolvono, nonostante il formale riferimento a violazioni di legge e a vizi motivazionali, nella prospettazione di ricostruzioni alternative ritenute piu' plausibili o nella sollecitazione di apprezzamenti estranei al giudizio di legittimita' che e' sottoposto ai limiti gia' ricordati nel par. 3.1., cui si rinvia. Va aggiunto, per completezza, che la Corte territoriale, attraverso una lettura unitaria e non parcellizzata del composito compendio probatorio interpretato senza salti logici e con rigoroso richiamo agli elementi fattuali positivamente accertati, ha compiutamente preso in esame tutti i temi posti dal ricorrente pervenendo alla conclusione, non arbitraria ma plausibile, che (OMISSIS) non solo era stato messo a conoscenza del piano criminoso che prevedeva l'interruzione della gravidanza delle (OMISSIS) in violazione dei limiti imposti dalla normativa sull'aborto, anche a costo di cagionare la morte del feto con possibilita' di vita autonoma, pur di conseguire la certificazione medica, ideologicamente falsa, rilasciata da (OMISSIS) attestante il collegamento tra l'aborto ed un sinistro stradale, ma vi aveva apportato un contributo significativo, di carattere materiale e morale, sia nella fase organizzativa che in quella esecutiva. A differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, la sentenza impugnata ha dato ampiamente conto delle prove poste a fondamento di ogni condotta concorsuale riferita (OMISSIS). Non solo ha evidenziato che, a prescindere dalle risultanze dei tabulati, era stato (OMISSIS) ad ammettere di avere conosciuto per il tramite di (OMISSIS) la (OMISSIS) e che le conversazioni telefoniche intercorse tra gli imputati dal 5 al 15 maggio, per i precisi riferimenti nonche' per loro concatenazione, desunta anche dai tabulati, nonche' dalla illogicita' delle spiegazioni alternative dei dialoghi fornite dai protagonisti, non potevano che attenere al delineato piano criminoso. Solo ritenendo accertato il piano criminoso collettivo come individuato dai giudici del merito si spiega perche' (OMISSIS) aveva organizzato, proprio in concomitanza con il primo ricovero della (OMISSIS) in ospedale, quando, cioe', era sopravvenuta l'esigenza di pianificare un diverso iter esecutivo non essendo andato in porto il primo tentativo, un incontro riservato tra (OMISSIS) e la (OMISSIS) nel bar di sua proprieta' dove quest'ultima lavorava e, soprattutto, l'esigenza di (OMISSIS) di comunicare immediatamente, vincendo le resistenze e le precauzioni dei complici, a (OMISSIS) e alla (OMISSIS) l'individuazione di una nuova soluzione in grado di garantire - purche', pero', si agisse tempestivamente stante l'intervenuta scadenza dei termini oltre i quali l'aborto non era praticabile - il problema comune dell'interruzione della gravidanza della (OMISSIS), evento quest'ultimo indicato non in temi espliciti ma talmente evocativi ("un modo ottimo per stopparsi") che lo stesso (OMISSIS) nel corso dell'esame aveva finito per ammettere di avere utilizzato quella peculiare espressione per indicare effettivamente problematiche di natura ginecologica, sia pure riferite alla (OMISSIS) e non alla (OMISSIS). Solo la prosecuzione della partecipazione dello (OMISSIS) fino all'evento finale giustifica i suoi innumerevoli contatti telefonici il giorno in cui era avvenuto la soppressione del feto (alle 8.43, 9.40, 10.18, 17 dalle 13.39 alle 17.29 e 40 dalle 20.48 alle 23.43) con la (OMISSIS) ossia con la complice che aveva assistito al parto della (OMISSIS) e che, subito dopo, l'aveva accompagnata in ospedale. Il coinvolgimento di (OMISSIS) nei termini appena indicati risulta fortemente rafforzata dal sistematico fallimento delle ricostruzioni alternative che lo stesso ha proposto nel corso del procedimento. Si pensi alla dedotta identificazione in una sua parente, (OMISSIS), e non nella (OMISSIS) della signora incontrata da (OMISSIS) nel bar perche' smentita dalla diretta interessata, oltre dallo stesso (OMISSIS) in altre conversazioni (pagg. da 63 a 68) e, soprattutto, alle giustificazioni logicamente inaccettabile fornite in ordine alle ripetute telefonate con la (OMISSIS) in concomitanza con il parto abortivo, con la successiva permanenza in ospedale prolungatasi a causa delle difficolta' insorte dopo l'intervento della polizia giudiziaria ( (OMISSIS) ha riferito di avere parlato con la (OMISSIS), nonostante il numero delle telefonate e la loro convulsa ripetizione a distanza di minuti anche in ospedale, di questioni ordinarie legate a canoni di locazione arretrati, imprecisati problemi personali, consigli legali). 4.3. Il terzo ed il quarto motivo nella parte in cui denunciano erronea qualificazione giuridica del fatto per erronea applicazione dell'articolo 575 c.p. e della L. n. 194 del 1978, articolo 19 e dell'articolo 41 c.p., commi 2 e 3, e contestano i criteri di accertamento della capacita' di vita autonoma del feto al momento dell'induzione del travaglio e del nesso di causalita' tra condotta concorsuale ascritta all'imputato ed evento mortale, pongono censure sovrapponibili a quelle dedotte da (OMISSIS) nel secondo motivo. Esse, pertanto, sono infondate nei medesimi termini gia' chiariti nel paragrafo 3.2., cui si rinvia. 4.5. Il quinto motivo, relativo al reato articoli 110 e 479 c.p. e' inammissibile, per genericita'. Il ricorrente, senza aver rinunciato alla prescrizione, ha, infatti, impugnato la declaratoria di estinzione del reato per tale causa senza dedurre, come imposto dalla giurisprudenza di legittimita' (Sez. 4, n. 8135 del 31/01/2019, Pintilie, Rv. 275219 - 01) specifici motivi a sostegno della ravvisabilita' in atti, in modo evidente e non contestabile, di elementi idonei ad escludere la sussistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte sua e la configurabilita' dell'elemento soggettivo del reato, affinche' possa immediatamente pronunciarsi sentenza di assoluzione a norma dell'articolo 129 c.p.p., comma 2, ponendosi cosi' rimedio all'errore circa il mancato riconoscimento di tale ipotesi in cui sia incorso il giudice della sentenza impugnata che, invece, ha, logicamente desunto, il concorso morale di (OMISSIS) nel falso ideologico dalla sua accertata partecipazione all'intero progetto criminoso di cui la redazione della certificazione da parte del medico del Pronto soccorso (OMISSIS) rappresentava l'obbiettivo ultimo. 5. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali. 5.1. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) devono essere altresi' condannati in solido tra loro a mente dell'articolo 187 c.p., comma 2, alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio di legittimita' dalla parte civile ASP Regione Calabria Azienda provinciale di Cosenza, spese che devono essere liquidate, in osservanza dei criteri fissati dal Decreto Ministeriale 13 agosto 2022, n. 147, nella misura di Euro quattromila, cui devono aggiungersi gli accessori di legge. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) perche' i reati sono estinti per morte dell'imputato. Rigetta i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali, nonche' alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile ASP Regione Calabria Azienda provinciale di Cosenza, che liquida in complessivi Euro quattromila, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. PEZZULLO Rosa - Consigliere Dott. MASINI Tiziano - Consigliere Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. CANANZI Francesco - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 18/06/2021 della CORTE APPELLO di MESSINA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO CANANZI; lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale CERONI FRANCESCA, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Messina, con la sentenza emessa il 18 giugno 2021, confermava la sentenza del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, che aveva accertato la responsabilita' penale della ricorrente (OMISSIS) e della concorrente non ricorrente (OMISSIS), che condannava alla pena di giustizia per il delitto di lesioni personali aggravato dai futili motivi, in danno di due minorenni, (OMISSIS) e (OMISSIS), reato commesso anche in concorso con altre concorrenti minorenni separatamente giudicate. In sostanza le lesioni furono determinate, per quanto emerge dalle sentenze di merito, dalla circostanza che il fidanzato di una delle imputate minorenni, componente del gruppo che agi' in danno delle persone offese, aveva offerto un passaggio alla (OMISSIS), che a sua volta aveva inopportunamente accettato, cosi' da dover essere "punita" insieme alla sua amica. 2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di (OMISSIS) consta di un unico motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 3. Il motivo deduce violazione dell'articolo 61 c.p., comma 1, n. 1. La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere quale motivo futile le ragioni e le manifestazioni di gelosia, che sono da riconoscersi nella condotta di lesioni personali in esame. 4. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi del Decreto Legge n. 127 del 2020, articolo 23 comma 8, - con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. 5. Il ricorso e' stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto del Decreto Legge n. 105 del 2021, articolo 7, comma 1, la cui vigenza e' stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dal Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, articolo 94 come modificato dal Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, articolo 5-duodecies convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato. 2. A differenza di quanto sostenuto nel ricorso, la Corte di appello ha fatto buon governo dell'articolo 61 c.p., comma 1, n. 1 con una interpretazione assolutamente coerente con l'orientamento giurisprudenziale che questo Collegio condivide. Come evidenziato dalla Procura generale la circostanza aggravante dei futili motivi sussiste ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levita', banalita' e sproporzione, rispetto alla gravita' del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l'azione criminosa, tanto da potersi considerare, piu' che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento (Sez. 5, n. 25940 del 30/06/2020, M., Rv. 280103 - 02, fattispecie relativa all'omicidio preterintenzionale del coniuge determinato dalla reazione ad una lite provocata dalla gelosia della vittima; conformi, N. 38377 del 2017 Rv. 271115 01, N. 59 del 2014 Rv. 258598 - 01, N. 41052 del 2014 Rv. 260360 - 01). A ben vedere la Corte di appello motiva in modo non manifestamente illogico ne' contraddittorio e in conformita' al gia' menzionato orientamento giurisprudenziale, evidenziando come fosse stata proprio (OMISSIS) a contattare la (OMISSIS) e a chiederle un incontro per un chiarimento con la (OMISSIS), rea di avere accettato un passaggio con lo scooter da parte del fidanzato di una delle coimputate minorenni, separatamente giudicate. Non solo la valutazione della Corte di merito e' coerente con il principio di diritto in precedenza richiamato, in quanto un mero passaggio con lo scooter risulta una ragione di tale levita' e banalita' che la condotta appare del tutto sproporzionata; ma, inoltre, in questo caso la lesione e' prodotta non al fidanzato, che aveva offerto il passaggio, bensi' nei confronti di una delle ragazze che lo aveva accettato e dell'altra persona offesa, che aveva quale sua unica "colpa" quella di essere amica della prima. Cio' accompagna alla predetta levita' della condotta uno spirito punitivo nei confronti delle vittime e una manifestazione di intolleranza alla insubordinazione di codeste (Sez. 1, n. 49673 del 01/10/2019, P., Rv. 278082 - 02; conf. N. 1489 del 2013 Rv. 254269 - 01, N. 9590 del 1997 Rv. 208773 - 01), che sono state considerate colpevoli di aver violato un codice di comportamento che vietava, nella prospettiva delle autrici del delitto, di potere accettare un passaggio con lo scooter dal fidanzato di un'altra ragazza. 3. Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna alle spese processuali del ricorrente. 4. D'ufficio va disposto l'oscuramento cilei dati personali, attesa la necessita' prevista dal Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, comma 2, di predisporre tale misura a tutela dei diritti e della dignita' degli interessati ed in particolare delle persone offese minorenni. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CASA Filippo - Presidente Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere Dott. FILOCAMO Fulvio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1) (OMISSIS), nato il (OMISSIS); Avverso la sentenza emessa il 24/03/2022 dalla Corte di assise di appello di Roma; Sentita la relazione del Consigliere Alessandro Centonze; Sentite le conclusioni del Sostituto procuratore generale Giulio Romano, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio; il rigetto, nel resto, del ricorso; Sentite, nell'interesse delle parti civili (OMISSIS) ed (OMISSIS), le conclusioni dell'avvocato (OMISSIS), che ha concluso come da comparsa conclusionale e nota spese; Sentite, nell'interesse del ricorrente, le conclusioni degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno chiesto l'accoglimento del ricorso. RILEVATO IN FATTO 1. Con sentenza emessa il 23 febbraio 2021 la Corte di assise di Roma giudicava (OMISSIS), colpevole dei reati ascrittigli ai capi A e B, unificati dal vincolo della continuazione, condannando l'imputato, riconosciuto il vizio parziale di mente e concesse le circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle contestate aggravanti, alla pena di ventiquattro anni di reclusione. L'imputato (OMISSIS), inoltre, veniva condannato alle pene accessorie di legge, al pagamento delle spese processuali e al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, (OMISSIS) ed (OMISSIS), da liquidarsi in separata sede processuale. Si disponeva, infine, a pena espiata, l'applicazione della misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa di cura e custodia, da eseguirsi presso una residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza (R:E.M.S.), per un periodo di tre anni. 2. Con sentenza emessa il 24 marzo 2022 la Corte di assise di appello di Roma, pronunciandosi sull'impugnazione proposta da (OMISSIS), in riforma della decisione impugnata, rideterminava il trattamento sanzionatorio irrogato all'imputato in diciannove anni di reclusione. La sentenza di primo grado, nel resto, veniva confermata. 3. Da entrambe le sentenze di merito, che divergevano nei termini sanzionatori di cui si e' detto, emergeva che (OMISSIS), nel corso di una rapina commessa il (OMISSIS), all'interno dell'abitazione di (OMISSIS), ubicata a Tolfa, in Viale d'Italia n. 35, causava la morte della persona offesa, dopo averla sottoposta a una brutale aggressione. L'imputato, in particolare, aggrediva violentemente la vittima, provocandole fratture multiple al corpo, un'emorragia biparietale alla testa e un diffuso edema cerebrale, che, nell'immediatezza dei fatti, venivano accertate dal consulente tecnico del Pubblico ministero, il dottore (OMISSIS), che eseguiva l'esame cadaverico presso l'abitazione della persona offesa. La ricostruzione degli accadimenti criminosi, innanzitutto, si fondava sull'esame delle immagini estrapolate dalle telecamere di videosorveglianza installate nei luoghi frequentati da (OMISSIS), nelle ore che precedevano e seguivano l'omicidio di (OMISSIS), commesso il (OMISSIS), che consentivano di monitorare gli spostamenti dell'imputato e di individuarlo, fin dalla prima fase delle indagini preliminari, quale autore dei fatti di reato di cui ai capi A e B. Tale monitoraggio investigativo veniva eseguito, con il coordinamento della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Civitavecchia, dai militari della Compagnia dei Carabinieri di Civitavecchia, che, fin dal ritrovamento del cadavere di (OMISSIS), conducevano le indagini che portavano all'individuazione di (OMISSIS), quale autore dell'assassinio. Su queste attivita' investigative, nei giudizi di merito, venivano compiuta un'accurata istruttoria, che prendeva le mosse dall'escussione dei testi che avevano seguito le indagini, individuati in (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Questi elementi probatori, a loro volta, si ritenevano corroborati dalle testimonianze rese dai soggetti che conoscevano (OMISSIS) o lo avevano incontrato nelle ore che precedevano e seguivano l'omicidio di (OMISSIS). Tra queste testimonianze, nei giudizi di merito, si attribuiva peculiare rilievo probatorio alle dichiarazioni rese dai familiari della vittima - (OMISSIS) ed (OMISSIS), e dagli altri soggetti che avevano incontrato l'imputato nella giornata del (OMISSIS), individuati in (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Il compendio probatorio si riteneva ulteriormente corroborato dalle attivita' di captazione svolte nel corso delle indagini preliminari, che coinvolgevano i nuclei familiari dell'imputato e della persona offesa, che fornivano la conferma decisiva del coinvolgimento personale dell'imputato nell'omicidio di (OMISSIS). In questo, univoco, contesto probatorio, si riteneva che (OMISSIS), si era introdotto nell'abitazione di (OMISSIS) allo scopo di impadronirsi del denaro e degli oggetti preziosi custoditi dalla persona offesa. L'introduzione nell'abitazione della vittima avveniva grazie al fatto che i due soggetti si conoscevano, atteso che la madre dell'imputato, (OMISSIS), frequentava abitualmente la casa della persona offesa, con cui collaborava nello svolgimento delle faccende domestiche. Dopo essersi introdotto nell'abitazione della vittima, a causa della sua reazione inaspettata, l'imputato aggrediva la persona offesa, colpendola violentemente e provocandole le numerose lesioni personali che ne causavano il decesso. Nei giudizi di merito, inoltre, venivano svolte approfondite verifiche sulle condizioni di salute psichica di (OMISSIS), condotte, tra l'altro, dai consulenti tecnici di parte - il dottore (OMISSIS) e il professore (OMISSIS), che giungevano a conclusioni contrastanti - e dal perito nominato dalla Corte di assise di appello di Roma - il professore (OMISSIS) -, attraverso le quali si accertavano le condizioni di disagio psichico del ricorrente, ritenute rilevanti quale vizio parziale di mente, ai sensi dell'articolo 89 c.p. Attraverso tali verifiche psichiatriche e soprattutto di quella condotta nel processo di secondo grado dal professore (OMISSIS), che veniva integralmente condivisa dal Giudice di appello romano, si accertava che l'imputato era affetto da "un disturbo evitante di personalita' e da un disturbo paranoide di personalita'", aggravati dall'abuso di sostanze alcoliche e stupefacenti. I giudici di merito ritenevano, ulteriormente, che le condotte illecite di (OMISSIS), integravano una rapina aggravata dalla relazione di ospitalita' e dalla minorata difesa della vittima, dalla quale era derivata la commissione dell'omicidio, eseguito dall'imputato per assicurarsi l'impunita' dei suoi comportamenti locupletativi. Venivano, infine, esclusi gli elementi costitutivi dell'aggravante della premeditazione, mancando nel ricorrente la determinazione derivante da un progetto criminoso sedimentato nel tempo, finalizzato ad assassinare la vittima, essendo emerso che la persona offesa era stata uccisa sulla base di una decisione di natura estemporanea e non programmata preventivamente. Sulla scorta di questa ricostruzione degli accadimenti criminosi l'imputato (OMISSIS), veniva condannato alle pene di cui in premessa. 4. Avverso la sentenza di appello (OMISSIS), ricorreva per cassazione attraverso due distinti atti di impugnazione. 4.1. Con il primo atto di impugnazione, proposto dall'avvocato (OMISSIS), venivano articolati sei motivi di ricorso. Con il primo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che non consentivano di ricondurre l'assassinio di (OMISSIS) alla fattispecie dell'omicidio preterintenzionale ex articolo 584 c.p., la cui configurazione si imponeva alla luce della ricostruzione della sequenza degli accadimenti criminosi posta a fondamento delle decisioni di merito, che individuava, quale causa del decesso, l'aggressione perpetrata da (OMISSIS), nel corso della rapina commessa nell'abitazione della vittima. Con il secondo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, conseguenti al fatto che la decisione in esame, a fronte delle specifiche censure difensive, aveva applicato erroneamente il disposto dell'articolo 438 c.p.p., comma 6-ter, omettendo di considerare il vizio parziale di mente riconosciuto a (OMISSIS) ex articolo 89 c.p., che imponeva di tenere conto delle sue gravi condizioni di salute e di concedere la riduzione di pena invocata nel suo interesse. Con il terzo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame non dava esaustivo conto del trattamento sanzionatorio irrogato a (OMISSIS), che veniva censurato per la sua eccessivita' dosimetrica, che appariva disarmonica rispetto alle circostanze di tempo e di luogo in cui erano maturati gli accadimenti criminosi e alla condizione di disagio psichico dell'imputato, resa incontroversa dal riconoscimento del vizio parziale di mente ex articolo 89 c.p.; condizioni, queste, che imponevano la concessione delle attenuanti generiche in regime di prevalenza anziche' di equivalenza. Con il quarto motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano di ritenere (OMISSIS), parzialmente capace di intendere e di volere al momento dell'aggressione di (OMISSIS), a fronte delle emergenze processuali, corroborate dalle verifiche psichiatriche eseguite nei giudizi di merito, che avevano accertato il grave disagio psichico dell'imputato, legittimando il riconoscimento del vizio totale di mente. Con il quinto motivo, prospettato in stretta correlazione con la doglianza precedente, si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame non dava esaustivo conto delle ragioni che non consentivano di ritenere (OMISSIS), totalmente incapace di intendere e di volere al momento dell'uccisione di (OMISSIS), pur essendo incontroverso il suo stato di intossicazione cronica da sostanze alcoliche, stupefacenti e farmacologiche, dovuto allo stato di grave disagio psichico patito dall'imputato, per effetto del quale gli doveva essere riconosciuto il vizio totale di mente ex articolo 88 c.p.. Con il sesto motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto dell'applicazione a (OMISSIS), della misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa di cura e custodia, da eseguirsi presso una R.E.M.S., per un periodo di tre anni, la cui irrogazione appariva in contrasto con gli esiti delle verifiche psichiatriche eseguite nei suoi confronti - con particolare riferimento agli accertamenti condotti dal professore (OMISSIS) e dal professore (OMISSIS) -, che avevano evidenziato la sottoposizione del ricorrente a un lungo periodo di recupero trattamentale, trascurato dalla Corte di assise di appello di Roma. Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata. 4.2. Con il secondo atto di impugnazione, proposto dall'avvocato (OMISSIS), veniva articolato un unico motivo di ricorso. Con questa doglianza, prospettata in termini sovrapponibili al primo motivo del ricorso dell'avvocato (OMISSIS), si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che non consentivano di ricondurre l'assassinio di (OMISSIS) all'omicidio preterintenzionale, la cui configurazione si imponeva alla luce della sequenza dell'aggressione, cosi' come ricostruita dalle stesse decisioni di merito, che individuavano, quale causa del decesso, l'azione estemporanea e non premeditata che si verificava nel corso della rapina di cui al capo B. Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso proposto da (OMISSIS) veniva articolato in due distinti atti di impugnazione, che devono ritenersi infondati. 2. Occorre, innanzitutto, esaminare l'atto di impugnazione proposto dall'avvocato (OMISSIS), che veniva articolato in sei motivi di ricorso. 2.1. Deve ritenersi infondato il primo motivo, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che non consentivano di ricondurre l'assassinio di (OMISSIS) alla fattispecie dell'omicidio preterintenzionale, la cui configurazione si imponeva alla luce della ricostruzione della sequenza degli accadimenti criminosi posta a fondamento delle stesse decisioni di merito, che individuava, quale causa del decesso, l'aggressione perpetrata da (OMISSIS), nel corso della rapina commessa nell'abitazione della vittima. Osserva il Collegio che l'assunto processuale da cui muove la difesa del ricorrente - secondo cui le modalita' estemporanee e non premeditate con cui si era concretizzata l'aggressione mortale di (OMISSIS) in danno di (OMISSIS) non dimostravano l'esistenza di una volonta' omicida in capo all'imputato - e' smentito dalle emergenze probatorie, che, al contrario, impongono di ritenere pienamente condivisibile il percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello nell'escludere la configurazione dell'omicidio preterintenzionale invocato. Deve, invero, rilevarsi che l'assenza di univocita' dell'intento omicidiario perseguito dal ricorrente e dell'animus necandi indispensabile alla riqualificazione del reato di cui al capo A della rubrica ex articolo 584 c.p., risulta categoricamente smentita dagli esiti delle verifiche medico-legali condotte nel corso delle indagini preliminari dal dottore (OMISSIS), che, quale consulente tecnico del pubblico ministero, eseguiva l'ispezione cadaverica e l'autopsia sul corpo della persona offesa, ricostruendo la brutale sequenza omicida all'esito della quale veniva assassinata (OMISSIS), all'interno della sua abitazione, in termini tali da non consentire di ipotizzare l'accidentalita' del suo decesso. Si consideri, in proposito, che gli esiti delle verifiche tanatologiche condotte dal dottore (OMISSIS), consentivano di affermare che la sequenza criminosa, oggettivamente cruenta, all'esito della quale la vittima veniva uccisa, non permettevano di ipotizzare una mera accidentalita' dei numerosi colpi che le venivano sferrati da (OMISSIS). La furia omicida che aveva caratterizzato l'aggressione dell'imputato, del resto, e' dimostrata dal fatto che la forza aggressiva esercitata all'indirizzo della persona offesa le aveva causato fratture multiple al corpo, un'emorragia biparietale alla testa e un diffuso edema cerebrale, che ne avevano provocato il decesso immediato. Le conclusioni medico-legali alle quali giungeva il dottore (OMISSIS), dunque, consentivano alla Corte di assise di appello di Roma di trarre conferma delle modalita', come detto cruente, con cui si era sviluppata l'azione che aveva portato all'uccisione di (OMISSIS), che apparivano avvalorate dalle circostanze di tempo e di luogo che avevano dato origine alla sua aggressione da parte dell'imputato, nel corso della rapina commessa nell'abitazione della vittima. Da questo punto di vista, la diffusione delle aree corporee investite dall'azione di (OMISSIS), unitamente alla pluralita' delle fratture ossee e delle lesioni interne provocate alla vittima, costituiscono elementi sintomatici dell'univoca determinazione criminosa dell'imputato, che non consente di escludere l'animus necandi della sua condotta e che appare obiettivamente incompatibile con la possibilita' di un'aggressione estemporanea e occasionale, indispensabile per la configurazione dell'omicidio preterintenzionale, invocato dalla difesa del ricorrente ex articolo 584 c.p.. Occorre, dunque, ribadire che la ricostruzione della dinamica degli accadimenti omicidiari effettuata dalla Corte di assise di appello di Roma, in linea con le conclusioni alle quali era giunto il Giudice di primo grado, e' fondata su una valutazione ineccepibile del compendio probatorio, che la rendeva incompatibile con l'accidentalita' dell'azione mortale invocata dalla difesa di (OMISSIS) in funzione dell'applicazione della fattispecie dell'omicidio preterintenzionale di cui all'articolo 584 c.p.. Le emergenze probatorie, pertanto, impongono di escludere la possibilita' di ricondurre l'uccisione di (OMISSIS), alla fattispecie dell'omicidio preterintenzionale, invocata in contrasto con le risultanze processuali, che devono essere vagliate alla luce della giurisprudenza consolidata di questa Corte, che si conferma,. secondo cui: "L'elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale non e' costituito da dolo e responsabilita' oggettiva ne' dal dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all'articolo 43 c.p. assorbe la prevedibilita' di evento piu' grave nell'intenzione di risultato. Pertanto, la valutazione relativa alla prevedibilita' dell'evento da cui dipende l'esistenza del delitto "de quo" e' nella stessa legge, essendo assolutamente probabile che da una azione violenta contro una persona possa derivare la morte della stessa" (Sez. 5, n. 791 del 18/10/2012, dep. 2013, Palazzolo, Rv. 254386-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 5, n. 44986 del 21/09/2016, Mule', Rv. 268299-01; Sez. 5, n. 40389 del 17/05/2012, Perini, Rv. 253357-01). Queste conclusioni, del resto, si rendono necessarie alla luce della giurisprudenza di questa Corte, che, nel distinguere l'omicidio volontario dall'omicidio preterintenzionale, invocato dalla difesa del ricorrente, afferma: "Il criterio distintivo tra l'omicidio volontario e l'omicidio preterintenzionale risiede nell'elemento psicologico, nel senso che nell'ipotesi della preterintenzione la volonta' dell'agente e' diretta a percuotere o a ferire la vittima, con esclusione assoluta di ogni previsione dell'evento morte, mentre nell'omicidio volontario la volonta' dell'agente e' costituita dall-animus necandi", ossia dal dolo intenzionale, nelle gradazioni del dolo diretto o eventuale, il cui accertamento e' rimesso alla valutazione rigorosa di elementi oggettivi desunti dalle concrete modalita' della condotta" (Sez. 1, n. 35369 del 04/07/2007, Zheng, Rv. 237685-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 4425 del 05/12/2013, dep. 2014, Cutrufello, Rv. 259014-01; Sez. 1, n. 25239 del 20/05/2001, Milici, Rv. 219434-01). Queste ragioni impongono di ritenere inammissibile il primo motivo di ricorso. 2.2. Deve ritenersi infondato il secondo motivo di ricorso, con cui si si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, conseguenti al fatto che la decisione in esame, a fronte delle specifiche censure difensive, aveva applicato erroneamente il disposto dell'articolo 438 c.p.p., comma 6-ter, omettendo di considerare il vizio parziale di mente riconosciuto a Serdal (OMISSIS) ex articolo 89 c.p., che imponeva di tenere conto delle sue gravi condizioni di salute e di concedere la riduzione di pena invocata. Osserva il Collegio che l'assunto difensivo e' smentito dalle emergenze processuali, atteso che la Corte di assise di appello di Roma non concedeva a (OMISSIS) la diminuente di cui all'articolo 442 c.p.p., comma 2, sull'assunto processuale, ineccepibile, che il riconoscimento del vizio parziale di mente in favore dell'imputato, ai sensi dell'articolo 89 c.p., non comportava l'esclusione della condizione ostativa prevista dall'articolo 438, comma 1-bis, c.p.p.. Ne discende che, ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio irrogato a (OMISSIS), quantificato in diciannove anni di reclusione, non rilevava il riconoscimento del vizio parziale di mente in suo favore, che non faceva venire meno la condizione ostativa prevista dall'articolo 438, comma 1-bis, c.p.p., introdotto dall'articolo 1, comma 1, lettera a), L. n. 33 del 2019, che stabilisce: "Non e' ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo". Queste conclusioni, del resto, sono in linea con la recente sentenza della Corte costituzionale 6 ottobre 2022, n. 207, che dichiarava "non fondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'articolo 438, comma 1-bis c.p.p., come inserito dalla L. 12 aprile 2019, n. 33 articolo 1, comma 1, lettera a), (...), sollevate, in riferimento agli articoli 3, 27 e 32 Cost. (...)". Pertanto, l'esclusione della riduzione di pena richiesta in favore di (OMISSIS) appare pienamente rispettosa del combinato disposto articolo 89 c.p., articolo 438, comma 1-bis, 442 c.p.p., comma 2, che non consentiva la mitigazione sanzionatoria invocata. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'infondatezza del secondo motivo di ricorso. 2.3. Deve ritenersi inammissibile il terzo motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto del trattamento sanzionatorio irrogato a (OMISSIS), che veniva censurato per la sua eccessivita' dosimetrica, che appariva disarmonica rispetto alle circostanze di tempo e di luogo nelle quali erano maturati gli accadimenti criminosi e alla condizione di disagio psichico dell'imputato, resa evidente dal riconoscimento del vizio parziale di mente ex articolo 89 c.p. Ne conseguiva che la peculiarita' delle condizioni di salute dell'imputato imponeva la concessione delle circostanze attenuanti generiche, pur riconosciute in favore dell'imputato, in regime di prevalenza anziche' di equivalenza. Osserva il Collegio che il trattamento sanzionatorio irrogato a (OMISSIS) risulta suffragato dalla ricostruzione compiuta dalla Corte di assise di appello di Roma, che si soffermava correttamente sulle connotazioni, oggettive e soggettive, dei reati contestati al ricorrente ai capi A e B, escludendo, sulla base di un giudizio dosimetrico ineccepibile, che fosse possibile attenuare la pena nella direzione invocata, tenuto conto della brutalita' dell'aggressione posta in essere in danno di (OMISSIS), con le modalita' su cui ci si e' soffermati nel paragrafo 2, cui si deve rinviare. Queste conclusioni, dunque, traevano origine da una verifica ineccepibile degli accadimenti criminosi, che teneva conto dell'elevato disvalore della vicenda criminosa e delle modalita', obiettivamente cruente, con cui le condotte illecite contestate ai capi A e B venivano commesse da (OMISSIS) in danno della persona offesa. Non e', pertanto, possibile censurare il percorso dosimetrico compiuto nella sentenza impugnata, tenuto conto dei parametri previsti dall'articolo 133 c.p., anche alla luce del fatto che la pena irrogata all'imputata era sensibilmente ridotto, nel giudizio di appello - venendo rideterminata in diciannove di reclusione -, sulla scorta di una rivalutazione complessiva del disvalore delle condotte illecite di (OMISSIS), rispettosa dei criteri di proporzionalita' e di adeguatezza del trattamento sanzionatorio. In questa, incontroversa, cornice, si consideri ulteriormente che il giudizio di comparazione circostanziale e' censurabile in sede di legittimita' solo laddove costituisca il risultato di un arbitrio dosimetrico o di un ragionamento illogico e non anche quando la soluzione adottata rappresenti l'espressione del potere discrezionale del giudice di merito, atteso che, come da ultimo ribadito da questa Corte, le statuizioni "relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita' qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione (...)" (Sez. 2, n. 31543 dell'08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450-01). Questo orientamento ermeneutico, del resto, si inserisce nel solco di un filone giurisprudenziale consolidato e risalente nel tempo, che e' possibile esplicitare richiamando l'arresto delle Sezioni Unite secondo cui: "Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita' qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la piu' idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto" (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931-01). Queste ragioni impongono di ribadire l'inammissibilita' del terzo motivo di ricorso. 2.4. Deve ritenersi infondato il quarto motivo di ricorso, con cui si si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano di ritenere Serdal (OMISSIS) parzialmente capace di intendere e di volere al momento dell'uccisione di (OMISSIS), a fronte delle emergenze processuali, corroborate dalle verifiche psichiatriche eseguite nei giudizi di merito, che avevano accertato il grave disagio psichico dell'imputato, legittimando il riconoscimento del vizio totale di mente. Osserva il Collegio che l'inquadramento delle questioni ermeneutiche sottese a questa doglianza impone il richiamo preliminare dell'orientamento ermeneutico affermatosi in seno alle Sezioni Unite nell'ultimo ventennio, che non ritiene l'imputabilita' una mera condizione psichica indispensabile per attribuire un reato all'agente, ma l'espressione della capacita' penale dell'imputato complessivamente valutabile alla luce del suo comportamento, nella convinzione che non puo' esservi colpevolezza senza piena consapevolezza delle proprie azioni delittuose. L'imputabilita', infatti, come evidenziato dalle Sezioni Unite, e' la condizione soggettiva indispensabile per affermare la responsabilita' penale dell'agente e presuppone l'accertamento di una condizione di rimproverabilita' verificabile processualmente, in relazione alla quale il percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello di Roma per giungere al riconoscimento del vizio parziale di mente in favore di (OMISSIS), ai sensi dell'articolo 89 c.p., deve ritenersi ineccepibile (Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, Rv. 230317-01). Attraverso questo percorso ermeneutico, che affonda le sue radici nella giurisprudenza di legittimita' affermatasi negli anni Ottanta del secolo precedente (Sez. 1, n. 4103 del 24/02/1986, Ragno, Rv. 172790-01), le Sezioni Unite ritenevano definitivamente superata la nozione tradizionale di infermita' mentale, reputandola una situazione di grave disagio psichico, che induce il soggetto in una condizione di alterazione di intensita' tale da fare escludere la sua capacita' di intendere e di volere o da farla scemare grandemente (Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, cit.). In questa prospettiva, non e' tanto la condizione di infermita' del soggetto attivo del reato a rilevare sul piano dell'accertamento giurisdizionale, quanto, piuttosto, lo stato di disagio mentale dell'individuo singolarmente inteso, che deve essere tale da incidere negativamente sulla capacita' di intendere e di volere dell'imputato (Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, cit.), la quale, a sua volta, deve essere intesa come la liberta' di autodeterminazione dell'agente, collegata eziologicamente alla condotta delittuosa oggetto di vaglio (Sez. 1, n. 35842 del 16/04/2019, Mazzeo, Rv. 276616-01; Sez. 1, n. 17853 del 17/02/2009, Broccatelli, Rv. 244538-01; Sez. 5, n. 8282 del 09/02/2006, Scarpinato, Rv. 233228-01). Ne discende che, prima di valutare la condizione di imputabilita' del soggetto attivo del reato, occorre individuare preliminarmente i "requisiti bio-psicologici che facciano ritenere che il soggetto sia in grado di comprendere e recepire il contenuto del messaggio normativo connesso alla previsione della sanzione punitiva"; ed e' solo sulla base di questa preliminare e indispensabile ricognizione nosografica che il giudice potra' provvedere all'individuazione delle "condizioni di rilevanza giuridica dei dati forniti dalle scienze empirico-sociali" sulle quali fondare le sue determinazioni processuali (Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, cit.). Tali conclusioni valgono a maggior ragione nelle ipotesi in cui viene riconosciuto il vizio parziale di mente dell'imputato, come nel caso di (OMISSIS), in ragione del fatto che, in questi casi, l'esistenza di una capacita' penale, sia pure residuale, rende indispensabile l'accertamento della ricorrenza degli elementi essenziali e circostanziali della fattispecie contestata, eseguito attraverso la verifica delle modalita' concrete di estrinsecazione del reato, valutate in correlazione alla condizione di disagio psichico dell'agente. 2.4.1. Tenuto conto di questi parametri ermeneutici, la motivazione della sentenza impugnata, in ordine alla verifica dell'imputabilita' di (OMISSIS) e all'elemento soggettivo dei reati ascrittigli ai capi A e B deve essere ritenuta congrua ed esente da discrasie motivazionali, fondandosi su una disamina ponderata degli elementi probatori acquisiti nel corso delle indagini preliminari e sull'assenza di dati nosografici dai quali desumere l'esistenza di condizioni patologiche tali prefigurare un'infermita' psichica rilevante ex articolo 88 c.p., modificando il giudizio posto a fondamento della sentenza di appello. La Corte di assise di appello di Roma, invero, escludeva correttamente che dalle verifiche peritali condotte dal professore (OMISSIS) - che era stato nominato nel giudizio di secondo grado per dirimere i contrasti maturati tra i consulenti tecnici di parte, il dottore (OMISSIS) e il professore (OMISSIS), - e dalla documentazione clinica acquisita al fascicolo del dibattimento, emergesse un disturbo della personalita' di gravita' tale da fare ritenere l'imputato totalmente incapace di intendere e di volere al momento della commissione del fatto ex articolo 88 c.p. Il percorso processuale attraverso cui si perveniva alla nomina del professor (OMISSIS), peraltro, appare esemplare, atteso che, nel giudizio di secondo grado, attesi i contrasti tra gli autorevoli consulenti tecnici di parte, induceva il Giudice di appello di Roma a compiere una verifica suppletiva sulle condizioni di salute psichicha di (OMISSIS), nominando un clinico noto nella comunita' scientifica internazionale. Si procedeva, in questo modo, nel rispetto della previsione dell'articolo 603 c.p.p., che consente al giudice, nel caso in cui la situazione processuale presenti effettivamente un significato incerto, di disporre ulteriori verifiche, sull'assunto che l'incombente espletato - probatorio o peritale - possa apportare un contributo considerevole e utile al processo, risolvendo i dubbi e consentendo una ricostruzione corretta degli accadimenti criminosi, sia sotto il profilo dell'elemento oggettivo sia il profilo dell'elemento soggettivo (Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013, dep. 09/05/2013, Ferrara, Rv. 256228-01; Sez. 3, n. 35372 del 23/05/2007, Panozzo, Rv. 237410-01; Sez. 3, n. 21687 del 07/04/2004, Novarese, Rv. 228920-01). Non puo', pertanto, non rilevarsi che sulla base delle verifiche psichiatriche condotte al professore Siani, che venivano integralmente recepite dal Giudice di appello romano, si accertava che l'imputato era affetto da "un disturbo evitante di personalita' e da un disturbo paranoide di personalita'", che non consentivano di ritenerlo pienamente capace di intendere e di volere al momento dell'uccisione di (OMISSIS). La condizione di grave disagio psichico di (OMISSIS), inoltre, era aggravata dall'abuso di sostanze alcoliche, stupefacenti e farmacologiche, reiterato nel tempo, che, pur scemando significativamente la capacita' di intendere e di volere dell'imputato, non poteva ritenersi idonea a configurare il vizio totale di mente previsto dall'articolo 88 c.p.. Veniva, quindi, esclusa la ricorrenza di una condizione di disagio psichico in capo a (OMISSIS), di intensita' e gravita' tali da elidere la sua capacita' di intendere e volere, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimita', richiamata attraverso la confutazione delle deduzioni difensive, a loro volta supportate dalle conclusioni del professore (OMISSIS), che, pur pregevoli, venivano riproposte in sede di legittimita' senza alcun confronto, scientifico e processuale, con le conclusioni peritali rassegnate dal professore (OMISSIS), su cui si fondava la ricostruzione della condizione nosografica del ricorrente effettuata dalla Corte di assise di appello di Roma, nel rispetto dei parametri ermeneutici richiamati nel paragrafo 4, cui si rinvia. Questi elementi di giudizio non lasciavano spazio a dubbi di sorta in ordine all'atteggiamento psichico assunto dall'imputato (OMISSIS) nel momento in cui aggrediva (OMISSIS), tenuto conto dei dati bio-psicologici di cui la Corte territoriale romana disponeva nel caso in esame, che nella sentenza impugnata venivano correttamente correlati alle conclusioni peritali del professore (OMISSIS), alla luce dei quali si evidenziava l'inconsistenza nosografica delle deduzioni difensive sull'assenza della capacita' di intende're e di volere dell'imputato, che imponeva di ribadire la correttezza dell'inquadramento del disturbo psichico del ricorrente ex articolo 89 c.p.. 2.4.2. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'infondatezza del quarto motivo di ricorso. 2.5. Dall'infondatezza del quarto motivo discende l'infondatezza della quinto motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame non dava esaustivo conto delle ragioni che non consentivano di ritenere (OMISSIS) totalmente incapace di intendere e di volere al momento dell'uccisione di (OMISSIS), pur essendo incontroverso il suo stato di intossicazione cronica da sostanze alcoliche, stupefacenti e farmacologiche, dovuto allo stato di grave disagio psichico dell'imputato, per effetto del quale gli doveva essere riconosciuto il vizio totale di mente ex articolo 88 c.p.. Non puo', in proposito, non ribadirsi, in linea con quanto si e' affermato nel paragrafo 2.4, cui si rinvia, che gli elementi acquisiti nei giudizi di merito, corroborati dagli esiti delle verifiche peritali condotte dal professore (OMISSIS), non lasciavano spazio a dubbi di sorta in ordine all'atteggiamento psichico assunto dall'imputato (OMISSIS) nel momento in cui aggrediva mortalmente (OMISSIS). Ne' e' possibile ritenere che le verifiche peritali compiute dal professore (OMISSIS) ex articolo 603 c.p. avessero trascurato la commistione tra i disturbi psichici dell'imputato e l'abuso di sostanze alcoliche, stupefacenti e farmacologiche, atteso che il perito affermava conclusivamente che il ricorrente era affetto da "un disturbo evitante di personalita' e da un disturbo paranoide di personalita'", aggravato dall'abuso di sostanze alcoliche e stupefacenti, che, pur reiterato nel tempo, non determinava una condizione di cronicita' dell'utilizzo di tali sostanze. Ne' sussistevano elementi da cui desumere che l'abuso di sostanze alcoliche e stupefacenti aveva determinato, in capo a (OMISSIS), una condizione irreversibile o comunque strutturale del disagio psichico, determinante per configurare una condizione di assenza di imputabilita' dell'imputato. Non v'e' dubbio, infatti, che per ritenere esclusa o anche solo diminuita l'imputabilita' dell'agente, l'intossicazione da sostanze alcoliche o stupefacenti deve essere caratterizzata da permanenza e irreversibilita', che sono da condizioni psichiche strutturali, che permangono indipendentemente dal rinnovarsi dell'assunzione delle sostanze adulteranti e che devono essere valutate con riferimento al momento in cui il fatto di reato e' stato commesso. Non si puo', in proposito, non richiamarsi la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui: "L'intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti puo' influire sulla capacita' di intendere e di volere soltanto qualora, per il suo carattere ineliminabile e per l'impossibilita' di guarigione, provochi alterazioni psicologiche permanenti configurabili quale vera e propria malattia, dovendo escludersi dal vizio di mente di cui agli articoli 88 e 89 c.p. anomalie non conseguenti ad uno stato patologico" (Sez. 6, n. 47078 del 24/10/2013, R., Rv. 257333-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 6, n. 25252 del 03/05/2018, B., Rv. 273389-01; Sez. 2, n. 44337 del 15/10/2013, C., Rv. 257521-01). Ne discende che, tenuto conto dei dati clinici acquisiti e delle conclusioni del professore (OMISSIS), la Corte di assise di appello di Roma riteneva che l'imputato, al momento del fatto, fosse solo parzialmente incapace di intendere e di volere, con la conseguente correttezza dell'inquadramento nosografico del disturbo psichico che lo affliggeva ai sensi dell'articolo 89 c.p.. Queste ragioni impongono di ritenere infondato il quinto motivo di ricorso. 2.6. Analogo giudizio di infondatezza deve essere espresso per il sesto motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame non dava esaustivo conto dell'applicazione a (OMISSIS) della misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa di cura e custodia, da eseguirsi presso una R.E.M.S., per un periodo di tre anni, la cui irrogazione appariva in contrasto con gli esiti delle verifiche psichiatriche eseguite nei suoi confronti - con particolare riferimento agli accertamenti condotti dal professore (OMISSIS) e dal professore (OMISSIS), che avevano evidenziato la sottoposizione del ricorrente a un lungo periodo di recupero trattamentale, trascurato dalla Corte di assise di appello di Roma. Non puo', in proposito, non ribadirsi, in linea con quanto si e' affermato nei paragrafi 2.4, 2.4.1 e 2.5, cui si deve rinviare, che gli elementi acquisiti nei giudizi di merito, corroborati dagli esiti delle verifiche peritali condotte dal professore (OMISSIS), non lasciavano spazio a dubbi di sorta in ordine all'atteggiamento psichico assunto da (OMISSIS) nel momento in cui aggrediva mortalmente (OMISSIS) e allo stato di disagio psichico in cui lo stesso versava; condizioni, queste, che imponevano di ritenere corretta l'applicazione della misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa di cura e custodia, da eseguirsi presso una R.E.M.S., per un periodo di tre anni. La Corte di assise di appello di Roma, invero, sulla scorta di una valutazione ineccepibile delle emergenze processuali, riteneva opportuna l'applicazione a (OMISSIS) della misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa di cura e custodia, eseguibile presso una R.E.M.S., sulla base di una verifica congrua sull'infermita' psichica del ricorrente e sulla sua pericolosita' sociale, eminentemente incentrata sugli accertamenti peritali svolti ex articolo 603 c.p.p., su cui ci si e' soffermati nel paragrafo 2.4.1, cui si deve rinviare ulteriormente. Pertanto, le emergenze processuali smentiscono le deduzioni difensive sull'incongruita' del percorso valutativo attraverso cui si era pervenuti all'applicazione della misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa di cura e custodia, dovendosi ribadire che il trattamento sanzionatorio e' pienamente rispettoso degli esiti delle verifiche psichiatriche eseguite nei confronti di (OMISSIS), che davano conto sia della sua storia clinica - esaminata alla luce della documentazione medica acquisita agli atti, attraverso i medici curanti del ricorrente -, sia delle attivita' di recupero terapeutico, effettuate dopo l'arresto dell'imputato. Queste ragioni impongono di ribadire l'infondatezza del sesto motivo di ricorso. 2.7. Le considerazioni esposte nei paragrafi precedenti impongono di ritenere infondato l'atto di impugnazione proposto dall'avvocato (OMISSIS) nell'interesse dell'imputato (OMISSIS). 3. Analogo giudizio di infondatezza deve essere espresso per l'atto di impugnazione proposto dall'avvocato (OMISSIS), articolato in un unico motivo di ricorso. Con tale doglianza, prospettata in termini sovrapponibili al primo motivo del ricorso dell'avvocato (OMISSIS), si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che non consentivano di ricondurre l'assassinio di (OMISSIS) all'omicidio preterintenzionale, la cui configurazione si imponeva alla luce della sequenza dell'aggressione, cosi' come ricostruita dalle stesse sentenze di merito, che individuavano, quale causa del decesso, l'azione estemporanea e non premeditata che si verificava nel corso della rapina di cui al capo B. Si tratta, come detto, di una doglianza che, relativamente all'impossibilita' di configurare l'assassinio di (OMISSIS) quale omicidio preterintenzionale, ex articolo 584 c.p., veniva proposta in termini assimilabili a quelli vagliati nel paragrafo 2.1, in cui si e' passato in rassegna il primo motivo del ricorso proposto dall'avvocato (OMISSIS). Occorre, pertanto, rinviare al paragrafo 2.1 di questa sentenza per la compiuta ricognizione delle doglianze che vi sono sottese, senza che occorra soffermarsi ulteriormente sulle ragioni che ne impongono il respingimento, essendo sufficiente richiamare la giurisprudenza di legittimita' citata in tale ambito, sia in relazione alla configurazione dell'omicidio preterintenzionale (Sez. 5, n. 44986 del 21/09/2016, Mule', cit.; Sez. 5, n. 791 del 18/10/2012, dep. 2013, Palazzolo, cit.; Sez. 5, n. 40389 del 17/05/2012, Perini, cit.) sia in relazione alla differenziazione tra la fattispecie in esame e l'omicidio volontario (Sez. 1, n. 4425 del 05/12/2013, dep. 2014, Cutrufello, cit.; Sez. 1, n. 25239 del 20/05/2001, Milici, cit.; Sez. 1, n. 35369 del 04/07/2007, Zheng, cit.). Queste ragioni impongono di ritenere infondato l'atto di impugnazione proposto dall'avvocato (OMISSIS) nell'interesse dell'imputato (OMISSIS). 4. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'infondatezza del ricorso proposto dall'imputato (OMISSIS), con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Consegue, infine, a tali statuizioni la condanna dell'imputato (OMISSIS) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS) ed (OMISSIS), che si liquidano in complessivi 4.000,00 Euro, oltre accessori di legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente Dott. BELLINI Ugo - Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere Dott. DAWAN Daniela - Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 15/03/2022 della CORTE APPELLO di PALERMO; udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO D'ANDREA; lette/sentite le conclusioni del PG. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 15 marzo 2022 la Corte di appello di Palermo ha rigettato l'istanza di riparazione per ingiusta detenzione presentata da (OMISSIS), in relazione alla sofferta restrizione in custodia cautelare in carcere (per un anno, cinque mesi e diciassette giorni) impostagli nella ritenuta ricorrenza del reato di omicidio preterintenzionale commesso in danno di (OMISSIS). Il (OMISSIS) era stato, infatti, sottoposto a fermo in data 13 settembre 2018, poi convalidato dal G.I.P. del Tribunale di Palermo il successivo 17 settembre 2018 con contestuale applicazione della misura cautelare della custodia in carcere. Il prevenuto era stato, quindi, condannato in primo grado, in esito a giudizio abbreviato, alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione, cui aveva fatto seguito la pronuncia di assoluzione emessa dalla Corte di assise di Palermo il 27 febbraio 2020, divenuta irrevocabile il 15 ottobre 2020, con estinzione della misura custodiale ai sensi dell'articolo 300 c.p.p.. 1.1. Per la Corte di appello di Palermo, quale giudice della riparazione, la sentenza di merito, pur avendo escluso la sussistenza della contestata ipotesi criminosa, ha comunque consentito di acclarare, in esito alle emergenze probatorie acquisite, come il (OMISSIS) avesse in data 20 luglio 2018, in occasione di una sua convocazione presso i locali della Squadra Mobile di Palermo, tenuto una condotta particolarmente ambigua, idonea ad integrare un'ipotesi di colpa grave di rilievo ai sensi dell'articolo 314 c.p.p., determinando il rigetto della proposta richiesta di riparazione per ingiusta detenzione. Per come accertato dalle risultanze di una svolta intercettazione ambientale, infatti, il (OMISSIS), nel mentre si trovava in compagnia di (OMISSIS), successivamente autore di propalazioni accusatorie in danno dell'imputato - e di (OMISSIS), tutti in attesa di essere ascoltati dagli inquirenti, aveva, in modo particolarmente evidente, mirato a concordare una versione dei fatti con il (OMISSIS), suggerendogli cosa riferire alla P.G., in modo particolare invitandolo ad affermare di non aver visto uscire il (OMISSIS) in occasione del delitto, per essersi in quel momento trovato in bagno con la porta chiusa a chiave. 2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), a mezzo del suo difensore, lamentando, con un unico motivo, violazione dell'articolo 314 c.p.p. e degli articoli 1176, 1223, 1226, 1227, 2056 c.c., con riferimento alla mancata concessione della riparazione sull'insussistente presupposto della colpa grave del ricorrente, oltre a contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione relativamente alla ritenuta erronea ricorrenza della colpa grave ostativa al riconoscimento dell'invocato beneficio. Lamenta il ricorrente che il giudice della riparazione non avrebbe offerto adeguata motivazione in ordine alla sussistenza di una condotta dolosa o gravemente colposa a lui imputabile, ostativa all'accoglimento dell'avanzata istanza, non potendo essere ritenuta sufficiente, a tal fine, l'avvenuta valorizzazione di un'intercettazione ambientale intercorsa il (OMISSIS) tra il ricorrente, il (OMISSIS) e la (OMISSIS) che, per come congruamente e diffusamente chiarito dalla Corte di merito nella sentenza assolutoria di appello, avrebbe avuto un ben differente significato, avendo il (OMISSIS), unicamente rivolto al (OMISSIS) la raccomandazione di essere attento nel riferire taluni particolari, come ad esempio quello relativo alle chiavi di casa - invero di non decisivo rilievo ai fini della ricostruzione della vicenda -, e non gia', come invece erroneamente ritenuto nell'ordinanza impugnata, allo scopo di favorire la definizione di una versione dei fatti non genuina da riferire agli inquirenti. Parimenti erroneo sarebbe stato il riferimento effettuato dal giudice della riparazione alla scelta, del tutto legittimamente operata da parte del ricorrente, di avvalersi della facolta' di non rispondere in occasione dell'interrogatorio di garanzia. 3. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso. 4. L'Avvocatura dello Stato, in rappresentanza del Ministero dell'Economia e delle Finanze, ha chiesto con memoria scritta che il ricorso verga rigettato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso non e' fondato, per cui lo stesso deve essere rigettato. 2. Deve, in proposito, essere premesso che e' principio giurisprudenziale consolidato quello per cui nei procedimenti per la riparazione per ingiusta detenzione la cognizione della Corte di Cassazione deve intendersi limitata alla sola legittimita' del provvedimento impugnato, anche sotto l'aspetto della congruita' e logicita' della motivazione, non potendo mai investire il merito della stessa, in ragione di quanto disposto dall'articolo 646 c.p.p., comma 3, da ritenersi applicabile in ragione del richiamo contenuto nel comma 3 dell'articolo 315 c.p.p. (cfr., ex multis, Sez. 4, n. 542 del 21/04/1994, Bollato, Rv. 198097-01). 3. Chiarito il superiore aspetto, deve, poi, essere ribadito che la norma dell'articolo 314 c.p.p., prevede, al comma 1, che "chi e' stato prosciolto con sentenza irrevocabile perche' il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perche' il fatto non costituisce reato o non e' previsto dalla legge come reato, ha diritto a un'equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave". In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, costituisce causa impeditiva all'affermazione del diritto alla riparazione l'avere l'interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all'instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare (articolo 314 c.p.p., comma 1, ultima parte); l'assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all'equa riparazione, deve essere accertata d'ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte (cfr., sul punto, Sez. 4, n. 4106 del 13/01/2021, M., Rv. 280390-01; Sez. 4, n. 34181 del 05/11/2002, Guadagno, Rv. 226004-01). In proposito, le Sezioni Unite hanno da tempo precisato che, in tema di presupposti per la riparazione dell'ingiusta detenzione, deve intendersi dolosa - e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all'indennizzo, ai sensi dell'articolo 314 c.p.p., comma 1, - non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell'id quod plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell'autorita' giudiziaria a tutela della comunita', ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203637-01). Poiche', inoltre, la nozione di colpa e' data dall'articolo 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del suddetto dell'articolo 314 c.p.p., comma 1, quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell'autorita' giudiziaria che si sostanzi nell'adozione di un provvedimento restrittivo della liberta' personale o nella mancata revoca di uno gia' emesso. In altra successiva condivisibile pronuncia e' stato affermato, quindi, che il diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione non spetta se l'interessato ha tenuto consapevolmente e volontariamente una condotta tale da creare una situazione di doveroso intervento dell'autorita' giudiziaria o se ha tenuto una condotta che abbia posto in essere, per evidente negligenza, imprudenza o trascuratezza o inosservanza di leggi o regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una prevedibile ragione di intervento dell'autorita' giudiziaria che si sostanzi nell'adozione di un provvedimento restrittivo della liberta' personale o nella mancata revoca di uno gia' emesso (cosi', espressamente, Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, Maisano, Rv. 242034-01; ma cfr. anche, in termini conformi, Sez. 3, n. 51084 del 11/07/2017, Pedetta, Rv. 271419-01). Le Sezioni Unite, poi, hanno affermato che il giudice, nell'accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all'equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell'incidenza causale del dolo o della colpa grave dell'interessato rispetto all'applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, piu' in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, D'Ambrosio, Rv. 247664-01). Piu' recentemente, lo stesso Supremo Collegio ha precisato che, in tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, ai fini del riconoscimento dell'indennizzo puo' anche prescindersi dalla sussistenza di un "errore giudiziario", venendo in considerazione soltanto l'antinomia "strutturale" tra custodia e assoluzione, o quella "funzionale" tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della liberta' personale potra' considerarsi "ingiusta", in quanto l'incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacche', altrimenti, l'indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la ratio solidaristica che e' alla base dell'istituto (cosi' Sez. U, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606-01). 4. Orbene, applicando gli indicati principi al caso di specie, risulta palese la legittimita' della decisione impugnata. Per come chiarito, infatti, dalla Corte di appello, con motivazione congrua ed esente da vizio alcuno, anche prescindendosi dal silenzio serbato dal ricorrente in occasione dell'interrogatorio di garanzia - ad esercizio di proprie imprescindibili e non valutabili prerogative defensionali - risulta giudizialmente accertato come il (OMISSIS), avesse tenuto il (OMISSIS), in occasione di una sua convocazione presso i locali della Squadra Mobile di Palermo, una condotta particolarmente ambigua, inducendo il (OMISSIS) a concordare una versione di comodo dei fatti da riferire agli inquirenti, in particolar modo invitando il suo interlocutore ad affermare di non averlo visto uscire in occasione del delitto, trovandosi il (OMISSIS), all'interno del bagno con la porta chiusa a chiave. L'indicata circostanza e' da considerarsi di particolare rilievo, atteso che il G.I.P. aveva valorizzato il suddetto colloquio ai fini dell'applicazione e del mantenimento della misura cautelare nei confronti del (OMISSIS). Trattasi, pertanto, di condotta che, benche' ritenuta non determinante dai giudici di merito ai fini del riconoscimento della penale responsabilita' dell'imputato, non e' stata, comunque, esclusa dalla pronuncia assolutoria, ben potendo, pertanto, essere rivalutata dal giudice della riparazione ai fini della valutazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell'invocato beneficio. Nella specie, allora, deve trovare applicazione il principio, gia' affermato da questa Corte di legittimita', per cui la condotta volta a concordare versioni con persone da sentirsi dagli inquirenti, a prescindere dalla astratta configurabilita' dei reati di cui agli articolo 377 e 377-bis c.p., che hanno sostituito la previgente fattispecie di subornazione, ben puo' assumere le caratteristiche del fatto gravemente colposo co-induttivo dell'autorita' giudiziaria procedente in errore, ergo: in concreto ostativo del diritto alla riparazione (cfr., in questi termini, Sez. IV, n. 22642 del 21/03/2017, De Gregorio, Rv. 270001-01, in motivazione). 5. Alla stregua degli indicati elementi, allora, deve conclusivamente ritenersi che il provvedimento impugnato in termini di piena conformita' rispetto ai principi interpretativi delineati dalla giurisprudenza della Suprema Corte in ordine alla valutazione dei fattori colposi ostativi al riconoscimento dell'indennizzo in tema di riparazione per ingiusta detenzione, peraltro avendo proceduto la Corte distrettuale ad una puntuale valutazione del comportamento posto in essere dal richiedente, secondo una valutazione ex ante, tenendo conto degli elementi conosciuti dall'autorita' giudiziaria al momento dell'adozione della misura cautelare e sino al momento di cessazione della stessa. La Corte di appello, cioe', ha ritenuto, con motivazione pienamente immune dalle dedotte censure, che l'esponente avesse concorso a dare causa alla misura cautelare a suo carico, e al mantenimento della stessa, in ragione di tutte le circostanze diffusamente rappresentate nel provvedimento gravato. 6. In esito alle superiori considerazioni, deve, pertanto, essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, da liquidarsi in Euro 1.000,00. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche' alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente, che liquida in Euro 1.000,00.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TARDIO Angela - Presidente Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere Dott. MONACO Marco Maria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 07/09/2022 del TRIBUNA del RIESAME di VENEZIA udita la relazione svolta dal Consigliere MARCO MARIA MONACO; lette le conclusioni del Procuratore Generale, Sost. Proc. Gen. GIUSEPPINA CASELLA, per l'inammissibilita'. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Venezia, Sezione Distrettuale per il Riesame dei provvedimenti restrittivi della liberta' personale, con ordinanza del 7/9/2022, ha confermato l'ordinanza con la quale il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Rovigo il 21/7/2022 ha disposto la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di (OMISSIS), in relazione al reato di omicidio volontario di cui all'articolo 575 c.p.. 2. (OMISSIS), e' stato sottoposto a indagini e successivamente processato con le forme del rito abbreviato per avere attinto (OMISSIS), con tre coltellate, una delle quali ha reciso l'arteria femorale, provocandone la morte. La vicenda, la cui ricostruzione risulta sostanzialmente pacifica, si e' svolta nell'abitazione che i due soggetti condividevano e in presenza di altre persone allorche' sarebbe sorto un diverbio tra la vittima e il ricorrente che, aggredito violentemente, avrebbe reagito con un coltello. L'indagato si e' difeso sostenendo di avere agito per legittima difesa ovvero, in caso, che comunque ci sarebbe stato un eccesso colposo nel difendersi o, ancora, che l'omicidio sarebbe preterintenzionale. In prima battuta, la difesa ha eccepito la nullita' dell'ordinanza in quanto questa, emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rovigo il 21/7/2022 come "rinnovazione" di quella del giudice per le indagini preliminari di Verona dichiaratosi incompetente, sarebbe stata tradotta in lingua araba solo in un secondo momento e quindi notificata tardivamente. Il Tribunale del riesame ha ritenuto infondata tale eccezione evidenziando che la traduzione non sarebbe tra i requisiti posti per la validita' dell'ordinanza. Nel merito il Tribunale ha ritenuto che le modalita' del fatto, quanto meno allo stato, ad esempio colpi ripetuti, non consentano di ritenere che l'indagato abbia agito per legittima difesa o che il fatto possa essere qualificato come omicidio preterintenzionale. 3. Avverso l'ordinanza del giudice del riesame ha proposto ricorso l'indagato che, a mezzo del difensore, in un unico articolato motivo ha dedotto - la violazione di legge, rilevando che la soluzione del Tribunale quanto alla mancata notifica dell'ordinanza tradotta in arabo nel termine di cui all'articolo 27 c.p.p. sarebbe errata; - la violazione di legge in ordine alla ritenuta autonomia della motivazione del provvedimento genetico; -il vizio di motivazione dell'ordinanza con riferimento all'esclusione della legittima difesa, dell'eccesso colposo della legittima difesa e, comunque, in ordine alla qualificazione giuridica attribuita al fatto. 4. In data 24/1/2023 sono pervenute in cancelleria le conclusioni del Procuratore Generale, Sost. Proc. Gen. Giuseppina Casella, per l'inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile. 1. In un unico motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla mancata traduzione e notifica dell'ordinanza nel termine di cui all'articolo 27 c.p.p., in ordine alla ritenuta esistenza di autonoma valutazione e, infine, quanto all'esclusione della legittima difesa, dell'eccesso colposo della legittima difesa ovvero quanto alla qualificazione giuridica attribuita ai fatti. Le doglianze sono manifestamente infondate. 1.1. Il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Verona in data 13 luglio 2022, a seguito della convalida dell'arresto, ha disposto la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti del ricorrente e, ritenuta la propria incompetenza, ha disposto che gli atti fossero trasmessi alla Procura della Repubblica del Tribunale di Rovigo. In data 21 luglio 2022 il Giudice per le Indagini Preliminari di Rovigo ha emesso l'ordinanza con la quale, rinnovando la precedente, ha applicato al ricorrente la custodia in carcere. In data 4 agosto 2022 l'ordinanza tradotta in lingua araba e' stata notificata al ricorrente. Nel corso dell'udienza avanti al Tribunale del riesame il difensore ha eccepito la nullita' dell'ordinanza evidenziando come quella tradotta in lingua araba, l'unica che sarebbe valida, era stata notificata oltre il termine di venti giorni previsto dall'articolo 27 c.p.p.. Il Tribunale del riesame, ritenuto che la traduzione era stata effettuata entro un termine congruo e che comunque il mancato espletamento di tale adempimento non determina la nullita' del provvedimento, ma consente solo di individuare la data dalla quale decorre il termine per l'impugnazione, ha ritenuto che l'eccezione fosse infondata. La conclusione del Tribunale, anche in considerazione che il termine nel quale e' stata effettuata la traduzione e l'ordinanza e' stata notificata e' congruo, risulta corretta. Come anche di recente evidenziato, infatti, la mancata traduzione nella lingua nota all'indagato alloglotta, che non conosca la lingua italiana, dell'ordinanza applicativa di una misura cautelare personale non ne determina l'invalidita' e comporta soltanto che i termini per l'eventuale impugnazione decorrono dal momento in cui l'indagato abbia avuto effettiva conoscenza del contenuto del provvedimento (cosi' recentemente Sez. 5, n. 22065 del 06/07/2020, Bhiari, Rv. 279447 - 01; Sez. 5, Sentenza n. 10993 del 05/12/2019, dep. 2020, Chanaa, Rv. 278883 - 01; con riferimento alla traduzione della sentenza cfr. Sez. 2, n. 45408 del 17/10/2019, Kartivadze, Rv. 277775 - 01). 1.2. La questione circa la nullita' dell'ordinanza genetica per difetto di autonoma valutazione, a fronte della risposta fornita dal Tribunale del riesame sul punto, e' formulata in termini generici e non e' pertanto consentita. Come anche evidenziato dal Procuratore Generale, infatti, "in tema di impugnazioni avverso i provvedimenti "de libertate", il ricorrente per cassazione che denunci la nullita' dell'ordinanza cautelare per omessa autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza ha l'onere di indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali detta omissione abbia impedito apprezzamenti di segno contrario di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate" (cosi' Sez. 1, n. 46447 del 16/10/2019, Firozpoor, Rv. 277496 - 01) Qualora la nullita' sia solo genericamente eccepita, in quanto carente di indicazioni relative ai passi dell'ordinanza che richiamano o ricalcano la richiesta cautelare o alle ragioni per cui la dedotta omissione avrebbe impedito apprezzamenti di segno contrario tali da condurre a conclusioni diverse, d'altro canto, il tribunale del riesame, nel rigettare tale eccezione, non e' tenuto a fornire una motivazione piu' articolata e a indicare specificamente le pagine e i passaggi del provvedimento impugnato in cui rinvenire detta autonoma valutazione e la motivazione sul punto non puo' essere sindacata in sede di legittimita' (cfr. Sez. 2, n. 42333 del 12/09/2019, Devona, Rv. 278001 - 01) 1.3. Le ulteriori doglianze, reiterative delle medesime censure sollevate nell'impugnazione di merito e tese a sollecitare una diversa lettura del compendio indiziario emerso, non sono consentite e risultano comunque manifestamente infondate. 1.3.1. In materia di provvedimenti de libertate la Corte di Cassazione non ha alcun potere ne' di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate (ivi compreso lo spessore degli indizi), ne' di rivalutazione delle condizioni soggettive dell'indagato in relazione alle esigenze cautelari ed all'adeguatezza delle misure, poiche' sia nell'uno che nell'altro caso si tratta di apprezzamenti propri del giudice di merito. Il controllo di legittimita' rimane pertanto circoscritto all'esame del contenuto dell'atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato, la correttezza allo stato degli atti della qualificazione giuridica attribuita ai fatti e, dall'altro, l'assenza di illogicita' evidenti, nelle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. un., n. 11 del 22/3/2000, Audino, Rv 215828; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976; Sez. 4, n. 18807 del 23/3/2017, Rv 269885). Da quanto sopra discende che: a) in materia di misure cautelari la scelta e la valutazione delle fonti di prova rientra fra i compiti istituzionali del giudice di merito sfuggendo entrambe a censure in sede di legittimita' se adeguatamente motivate ed immuni da errori logico giuridici, posto che non puo' contrapporsi alla decisione del Tribunale, se correttamente giustificata, un diverso criterio di scelta o una diversa interpretazione del materiale probatorio; b) la denuncia di insussistenza di gravi indizi di colpevolezza, anche con riferimento alla corretta qualificazione giuridica attribuita ai fatti, o di assenza di esigenze cautelari e' ammissibile solo se la censura riporta l'indicazione precisa e puntuale di specifiche violazioni di norme di legge, ovvero l'indicazione puntuale di manifeste illogicita' della motivazioneOrovvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, esulando dal giudizio di legittimita' sia le doglianze che attengono alla ricostruzione dei fatti sia quelle che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate e valorizzate dal giudice di merito (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976 - 01). Il sindacato del giudice di legittimita' sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere quindi volto a verificare che quest'ultima: a) sia "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", perche' sorretta, nei suoi punti essenziali,.da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilita' logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr. Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, S., Rv 251516; Sez. 4, n. 22500 del 3/5/2007, Rv 237012). In materia cautelare, pertanto, il ricorso per cassazione e' ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976 - 01; Sez. 4, n. 18807 del 23/3/2017, Cusimano, Rv 269885; Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv 241997; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv 252178). L'insussistenza (ovvero la sussistenza) dei gravi indizi di colpevolezza (articolo 273 c.p.p.) e delle esigenze cautelari (articolo 274 c.p.p.) e', in conclusione, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o nella manifesta illogicita' della motivazione secondo la logica ed i principi di diritto, rimanendo "all'interno" del provvedimento impugnato e il controllo di legittimita' non puo' riguardare la ricostruzione dei fatti (cfr. Sez. 4, n. 18807 del 23/3/2017, Cusmano, Rv 269885; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv 255460). 1.3.2. Tanto premesso, la motivazione del provvedimento impugnato, con il riferimento alle dichiarazioni acquisite, all'uso reiterato del coltello, alla reazione sproporzionata, al fatto che la situazione di pericolo era originata dal comportamento dall'indagato che aveva anche la possibilita' di allontanarsi, risulta essere il risultato di una valutazione complessiva e allo stato adeguata e coerente degli elementi emersi cosi' che la stessa non e' sindacabile in questa sede. 2. Alla inammissibilita' del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche', ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro tremila a favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROCCHI Giacomo - Presidente Dott. TALERICO Palma - Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere Dott. CAPPUCCIO Daniele - rel. Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 06/07/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di VENEZIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. DANIELE CAPPUCCIO; udito il Pubblico Ministero, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 6 luglio 2021, la Corte di assise di appello di Venezia ha confermato quella con cui, il 30 novembre 2020, la Corte di assise di Verona ha dichiarato (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli del delitto di omicidio volontario aggravato e li ha condannati alla pena dell'ergastolo, oltre che al pagamento delle spese processuali e di sofferta custodia, nonche' al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle spese di lite in favore delle costituite parti civili, ed ha loro applicato le sanzioni accessorie previste per legge. 2. Il (OMISSIS), in orario serale, presso lo scalo ferroviario di (OMISSIS), (OMISSIS) fu vittima di una cruenta aggressione, nel corso della quale piu' persone lo colpirono ripetutamente con calci e pugni nonche', con un corpo contundente, al volto, al capo e alla schiena, in tal modo provocandogli, tra l'altro, fratture facciali multiple e la frattura dell'osso ioide, e, subito dopo, appiccarono il fuoco ai pantaloncini da lui indossati, cosi' cagionandogli ustioni di secondo e terzo grado all'addome ed agli arti inferiori, estese al 15% della superficie corporea, per poi lasciarlo esamine riverso a terra, lungo la via ferroviaria, ove venne rinvenuto, in stato comatoso, la mattina del giorno seguente. Le complicazioni seguite al ricovero della vittima e, in particolare, l'insorgenza di una infezione sistemica ad opera di batteri per traslocazione cutanea determinarono, infine, la morte di (OMISSIS), avvenuta il (OMISSIS). 3. I giudici di merito hanno concordemente ritenuto la responsabilita' concorsuale di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla scorta di un articolato compendio istruttorio, basato su prove di natura dichiarativa, tecnica e scientifica. Premesso che i tre erano soliti, al pari della vittima, di (OMISSIS) e di (OMISSIS), gravitare nell'area della stazione di (OMISSIS), va segnalato come a loro carico siano state valorizzate, in primo luogo, le dichiarazioni di (OMISSIS), (OMISSIS) e, soprattutto, di (OMISSIS). (OMISSIS) ha riferito di avere appreso da (OMISSIS), suo conoscente, che questi, giunto sul posto, ove si trovavano i tre odierni imputati e (OMISSIS), e notato che (OMISSIS) era in preda alle fiamme, appiccate da (OMISSIS), si era avvicinato allo sventurato per portargli ausilio, incontrando, tuttavia, ostacolo in (OMISSIS), il quale lo aveva invitato ad allontanarsi, accompagnando la sollecitazione con esplicite minacce. (OMISSIS) ha confermato che, arrivato sulla banchina, vide (OMISSIS) appiccare il fuoco a (OMISSIS) e cerco', pertanto, di intervenire in aiuto alla vittima, operazione che, pero', fu inibita dalla decisa opposizione di (OMISSIS); specificamente sollecitato sul punto, ha riferito di non avere notato la presenza, sul posto, di (OMISSIS). (OMISSIS) ha, invece, esposto che, al suo arrivo in stazione, aveva visto gli imputati e (OMISSIS) sul binario in atteggiamento ilare e cordiale ("intenti a ridere e scherzare") e di essersi, quindi, allontanato poco dopo le 21:30. Dall'espletata istruttoria e', inoltre, emerso, tra l'altro, che: - le analisi di laboratorio hanno portato al rinvenimento di tracce ematiche della vittima sugli indumenti indossati dagli imputati (e, precisamente: sui pantaloni mimetici di (OMISSIS); sui bermuda di (OMISSIS); sulla camicia e su entrambe le scarpe di (OMISSIS)) la sera del delitto, nonche' di ulteriori tracce, biologiche o dattiloscopiche, su oggetti rinvenuti sulla scena del crimine, riferibili agli imputati; - il sistema di videosorveglianza installato presso lo scalo ferroviario ha consentito di ricostruire i movimenti degli imputati in entrata ed in uscita dalla stazione e presso il luogo di ritrovamento della vittima; - il decesso di (OMISSIS) e' stato causato dall'azione illecita posta in essere ai suoi danni e, in particolare, dalle gravi ustioni riportate, che hanno indotto una setticemia rivelatasi letale, mentre le sue pregresse, precarie condizioni di salute non hanno avuto alcuna incidenza sull'exitus; - (OMISSIS), il quale, a differenza di altri soggetti che frequentavano la stazione ferroviaria di (OMISSIS), disponeva di un'abitazione e fungeva da tramite tra i volontari ed i senzatetto ivi ricoverati, ne condivideva, nondimeno, la propensione all'abuso di sostanze alcoliche, che sovente provocava l'insorgenza di dissidi e contese, vertenti sul possesso di indumenti o sigarette; - (OMISSIS), una volta contattato dalla polizia giudiziaria, che lo aveva invitato a consegnare gli abiti indossati la sera del (OMISSIS), ha consegnato indumenti diversi da quelli raffigurati nelle immagini registrate dal sistema di videosorveglianza che, successivamente acquisiti, si e' scoperto essere contaminati dal sangue di (OMISSIS). I giudici di merito hanno inferito, sulla base degli elementi teste' sinteticamente richiamati, che, in orario approssimativamente collocabile tra le 21:30 e le 22:00, gli imputati, i quali sino a poco prima si erano tranquillamente intrattenuti con (OMISSIS), abbiano, ad un certo punto, concordemente deciso, probabilmente versando in stato di ebbrezza alcolica, di aggredirlo violentemente e di porre in essere, quindi, la condotta rivelatasi letale. Hanno, ulteriormente, stimato la correttezza della qualificazione del fatto come omicidio doloso anziche' preterintenzionale e dell'applicazione dell'aggravante dell'avere i responsabili agito con crudelta' verso la vittima, per disattendere, quindi, la richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche. 4. (OMISSIS) propone, con l'assistenza dell'avv. (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato a due motivi. Con il primo motivo, denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) per violazione dell'articolo 530 c.p.p., comma 2, e articolo 533, comma 1, e/o mancanza, contraddittorieta' e/o manifesta illogicita' della motivazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per non avere il giudice di merito pronunciato sentenza di assoluzione pur in assenza di prova certa della sua colpevolezza. In particolare - previa copiosa disamina della giurisprudenza nazionale ed Europea sul punto - lamenta la violazione del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio evidenziando che, nel caso di specie, la Corte di assise di appello ha omesso di confrontarsi con la ricostruzione dei fatti alternativa da lui prospettata, pur dopo avere espressamente ammesso l'esistenza di aspetti di contraddittorieta' del quadro probatorio a suo carico. Il riferimento attiene, in primis, alle dichiarazioni di (OMISSIS) il quale, in sede di incidente probatorio, ha affermato di non averlo visto sul luogo del fatto nel momento in cui e' stata perpetrata l'aggressione ai danni della persona offesa; narrazione, questa, della quale il ricorrente lamenta il contrasto con quella resa da (OMISSIS), il quale ha, invece, sostenuto che (OMISSIS) gli aveva confidato la presenza di (OMISSIS) al momento dell'aggressione. Il ricorrente addebita alla Corte di assise di appello di avere confermato il giudizio di attendibilita' di (OMISSIS), a dispetto dell'inconciliabilita' della sua narrazione con quella di (OMISSIS), e di avere, pero', rimesso al libero convincimento del giudice la decisione finale in ordine alla sua presenza sulla scena del crimine al momento del fatto, cosi' contravvenendo al principio secondo cui, in presenza di piu' ricostruzioni alternative, tutte plausibili, la preferenza deve cadere su quella di maggior favore per l'imputato. La decisione impugnata, continua (OMISSIS), contiene ulteriore momento di contraddittorieta' nella valutazione delle riprese delle telecamere di sicurezza che non lo ritraggono sul luogo del fatto a partire dalle 19:46 del (OMISSIS), della cui incompatibilita' con il contributo di (OMISSIS) la Corte di assise di appello non ha tenuto conto. Illogica si palesa, ancora, nella prospettiva del ricorrente, l'affermazione della sua penale responsabilita' a titolo di concorso nell'omicidio ad onta dell'assenza, sul suo corpo, di segni riconducibili alla violenta e brutale aggressione della quale egli sarebbe stato protagonista, ed in ragione della presenza, sui suoi pantaloni, di una minima quantita' di sangue della vittima che, pero', potrebbe essere frutto di una contaminazione avvenuta in epoca precedente al delitto. Il ricorrente degrada, poi, a mera illazione l'assunto, fatto proprio dai giudici di merito, secondo cui egli avrebbe maliziosamente consegnato agli investigatori indumenti diversi da quelli indossati la sera del (OMISSIS) allo scopo di occultare le tracce di sangue, elementi di intuibile portata indiziante. Privo di significato sarebbe, altresi', il rinvenimento di sue tracce biologiche su un cartone di vino ed un maglione, circostanza che dimostra che egli era solito trascorrere le giornate presso la stazione di (OMISSIS) ma non anche che egli fosse presente al momento dell'aggressione della vittima, ne' tantomeno che egli abbia fattivamente partecipato al delitto. Con il secondo motivo, (OMISSIS) lamenta violazione di legge, con riferimento all'articolo 603 c.p.p. e/o mancata assunzione di prova decisiva, per non avere il giudice di secondo grado disposto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. Deduce che l'intero processo e' stato caratterizzato dall'ingiustificata tensione verso la celere definizione del giudizio, che ha inciso sul rigetto di tutte le istanze finalizzate ad una integrazione probatoria che avrebbe consentito di fugare i dubbi e le perplessita' che la stessa Corte ha riconosciuto residuare in merito alla sua presenza effettiva sul luogo del fatto al momento della consumazione del reato. 5. (OMISSIS) propone, con il ministero dell'avv (OMISSIS), ricorso per cassazione articolato su quattro motivi. Con il primo motivo, denuncia la nullita' della sentenza per omessa motivazione in punto di mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale finalizzata all'escussione del teste (OMISSIS). Rileva, al riguardo, che la Corte di assise di appello ha riconosciuto che nella deposizione testimoniale resa in sede di incidente probatorio da (OMISSIS) si rinvengono alcuni elementi di perplessita', relativi, specificamente, alla riferita assenza di (OMISSIS) sul luogo del delitto, nonche' al contrasto con la deposizione di (OMISSIS), il quale ha riferito di avere visto (OMISSIS), intorno alle ore 21:30, in compagnia degli altri imputati, a sua volta contraddetta dalle immagini registrate dalle telecamere, che hanno ritratto (OMISSIS) uscire dalla stazione alle 19:46 ma non anche il suo successivo reingresso. L'istruttoria, continua (OMISSIS), ha restituito un panorama indiziario composito ed articolato e, pero', connotato da un coefficiente di equivocita' tale da consigliare di dar corso al sollecitato approfondimento, volto, con specifico riferimento alla sua posizione, a fugare ogni dubbio in merito alla sincerita' del teste (OMISSIS), le cui dichiarazioni sono state ritenute decisive in vista dell'affermazione della sua penale responsabilita' per il gravissimo episodio criminoso. Con il secondo motivo, (OMISSIS) denuncia violazione di legge in relazione alla mancata riqualificazione del fatto nel reato di omicidio preterintenzionale. Censura, al riguardo, il percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello che, imperniato sulla natura della violenza esercitata e sulla durata dell'azione illecita, trascura, per contro, che il decesso della vittima non e' derivato, in via diretta, dalle inferte lesioni, che hanno interessato parti non vitali del corpo della vittima, quanto, piuttosto, da una complicanza connessa alle gravi ustioni riportate, e che la protrazione della condotta illecita non assume, in siffatto contesto, valenza decisiva. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce lamenta la carenza e, comunque, l'illogicita' della motivazione con riferimento alla ritenuta esistenza dell'aggravante della crudelta'. Rileva, in proposito, che le modalita' della condotta devono essere necessariamente interpretate quale risultato di un'unica azione naturalisticamente intesa, non rinvenendosi, invece, la volonta' di infliggere alla vittima sofferenze che esulano dal normale processo di causazione dell'evento e ne costituiscono un quid pluris rispetto all'attivita' necessaria per la consumazione del reato. La violenza dei colpi reiteratamente inferti alla vittima, diretti a distretti corporei non vitali, non attesta, aggiunge (OMISSIS), quella particolare crudelta' che dovrebbe contraddistinguere l'agito degli autori del delitto e che si distingue dalla mera volonta' di cagionarne la morte. D'altro canto, nota ulteriormente, gli elementi che, secondo i giudici di merito, avvalorano la violenza e il disprezzo per la vittima, rappresentati dal fatto che (OMISSIS) e' stato colpito con le scarpe e che gli imputati abbiano appiccato il fuoco alla zona genitale, non sono emersi dall'istruttoria; la dinamica omicidiaria, in ogni caso, non puo' costituire l'unico elemento di valutazione per ritenere sussistente l'aggravante contestata, che postula l'enucleazione di circostanze di fatto che mettano in luce la malvagita' dell'agente e la sua insensibilita' ad ogni richiamo umanitario. Con il quarto ed ultimo motivo, (OMISSIS) lamenta la nullita' della sentenza per carenza di motivazione in ragione della mancata concessione delle attenuanti generiche, in rapporto almeno di equivalenza rispetto alla contestata aggravante, che egli avrebbe meritato, sostiene, perche' incensurato e per le sue precarie condizioni di vita, connotate da una situazione di degrado e di abbandono. 6. (OMISSIS) propone, con il patrocinio dell'avv. (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato ad un unico, articolato motivo, con il quale eccepisce mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione. Segnala che la sentenza impugnata si caratterizza per la marcata ed insuperabile incertezza nella ricostruzione di tutte le fasi della vicenda, discendente dall'appartenenza degli unici testimoni oculari, (OMISSIS) e (OMISSIS), alla ristretta cerchia degli abituali frequentatori della stazione di (OMISSIS), che avrebbe dovuto indurre maggiore cautela nell'apprezzamento di dichiarazioni di chi, almeno in astratto, ben potrebbe essere stato coinvolto, al pari degli imputati, nei fatti di causa. Rimarca le plurime incongruenze tra le rispettive dichiarazioni di (OMISSIS) e di (OMISSIS), nonche' tra le stesse ed i risultati degli espletati accertamenti tecnici; evidenzia che la versione di (OMISSIS), secondo cui l'aggressione si sarebbe consumata entro le 21:22 - orario in cui egli, stando alle immagini registrate dalle telecamere di sorveglianza, e' uscito dalla stazione - e' incompatibile con le ulteriori risultanze e con la logica e che lo stesso (OMISSIS) e' inattendibile nel momento in cui asserisce di non aver riconosciuto la persona aggredita nel (OMISSIS), a lui ben noto in ragione della consolidata e quotidiana frequentazione; indica, ad ulteriore riscontro dell'insincerita' di (OMISSIS), il contrasto con le dichiarazioni di (OMISSIS) in merito alla presenza sul posto di (OMISSIS). Si duole che, a fronte di un quadro indiziario tanto labile, la Corte di assise di appello abbia disatteso la richiesta di risentire, nel contraddittorio dibattimentale, (OMISSIS) ed (OMISSIS). Lamenta, ulteriormente, che i giudici di merito abbiano tratto argomento dalla prova scientifica che, nei suoi confronti, appare dotata di attitudine probatoria del tutto marginale, posto, in specie, che il rinvenimento di un pezzo di cartone semi-combusto, recante la sua impronta palmare, e di tracce ematiche della vittima sulla camicia e sulle scarpe depongono, per quantita', dimensione e posizionamento dei reperti, peraltro di modesta entita', per un contatto minimo con (OMISSIS), connesso alla sua, mai contestata, presenza sulla scena dell'aggressione. Il ricorrente, infine, sottopone a revisione critica le argomentazioni svolte dalla Corte di assise di appello in ordine alle pregresse condizioni di salute della vittima, affetta da cirrosi epatica che, obietta, ben potrebbero avere inciso sull'infausta evoluzione delle lesioni e delle ustioni riportate nella patita aggressione in termini tali da determinare l'interruzione del nesso causale tra condotta illecita e decesso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) sono inammissibili perche' vertenti su censure manifestamente infondate, mentre quello di (OMISSIS) e', al contrario, suscettibile di accoglimento. 2. Prive di pregio si palesano, in primo luogo, le censure che i ricorrenti hanno formulato con riferimento alla decisione della Corte di assise di appello di non dare corso alle richieste di riapertura dell'istruttoria dibattimentale mediante, tra l'altro, nuova audizione dei testimoni (OMISSIS) e (OMISSIS), confronto tra (OMISSIS) e (OMISSIS) ed esperimento giudiziale sulle modalita' di funzionamento delle telecamere di sorveglianza. La giurisprudenza di legittimita' ha da tempo chiarito, in proposito, che "Nel giudizio d'appello, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, prevista dall'articolo 603 c.p.p., comma 1, e' subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento e' rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimita' se correttamente motivata" (Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, G. Rv. 274230 - 01; Sez. 6, n. 8936 del 13/01/2015, Leoni, Rv. 262620 - 01; Sez. 4, n. 18660 del 19/02/2004, Montanari, Rv. 228353 - 01). Nel caso in esame, la Corte di assise di appello ha ritenuto che la rinnovazione dell'istruttoria sollecitata, con i motivi di impugnazione, da (OMISSIS) e (OMISSIS) non fosse indispensabile ai fini della decisione ed ha giustificato il rigetto della richiesta attraverso un apparato argomentativo completo e scevro dal benche' minimo deficit razionale. In dettaglio, ha ritenuto inutile il confronto tra (OMISSIS) e (OMISSIS), entrambi mostratisi fermi nell'esporre le rispettive versioni anche a seguito delle reiterate sollecitazioni delle parti, spettando al libero convincimento del giudice il compito di sciogliere il nodo derivante dalla diversita' delle loro narrazioni. Ha affermato, quanto all'acquisizione delle immagini registrate da alcune telecamere di sicurezza poste nei pressi della stazione ferroviaria di (OMISSIS), che, sul punto, appare assolutamente esaustiva la deposizione del teste (OMISSIS), il quale ha assicurato di avere individuato le telecamere di sicurezza presenti nella zona e di avere estratto tutte le immagini di interesse investigativo. Ha reputato la superfluita' dell'esperimento giudiziale finalizzato a verificare la possibilita' di transitare per i luoghi dei fatti senza essere ripreso dalle telecamere di sicurezza, rilevando che "si tratta di dispositivi che effettuano riprese continue, ma ruotando su se' stesse, sicche' sussiste un intervallo di trenta secondi prima che il medesimo punto venga nuovamente inquadrato" e che "le altre video camere riprendono punti esterni alla stazione dove il transito dell'imputato (OMISSIS) e' solo eventuale ed ipotetico non essendovi sul punto alcuna certezza". Ha, del pari, stimato non necessaria la perizia ematologica volta a comparare il campione di sangue rinvenuto sui bermuda di (OMISSIS) ed appartenente alla vittima con quelli prelevati a (OMISSIS) durante il ricovero, atteso che "e' fatto notorio che l'esame del DNA cui e' stato sottoposto il campione di sangue repertato comporti la distruzione del supporto su cui il campione e' rilevato, sicche' nessuna utile comparazione potrebbe svolgersi". Ha, ancora, ritenuto inutile l'acquisizione della documentazione medica eventualmente esistente e finalizzata ad accertare gli eventuali accessi al pronto soccorso da parte del (OMISSIS), sul postulato che "l'ipotesi difensiva del fatto che il (OMISSIS) fosse solito ferirsi appare sfornita di riscontri e ad ogni modo relativa a circostanze non pertinenti ai fatti". La decisione impugnata si rivela, dunque, tetragona, sotto questo aspetto, alle censure di (OMISSIS) cosi' come a quelle di (OMISSIS), il quale ha invocato la nuova audizione di (OMISSIS) che, ha coerentemente osservato la Corte di assise di appello, e' stato escusso, su tutti i profili rilevanti e con le garanzie del contraddittorio, in sede di incidente probatorio. 2. Nel merito, va rilevato come i giudici di merito abbiano tratto argomento, in vista dell'affermazione della penale responsabilita' degli imputati, dalle dichiarazioni di (OMISSIS), nitide nell'ascrivere a (OMISSIS) e (OMISSIS) un atteggiamento sicuramente espressivo di consapevole e fattiva partecipazione all'aggressione, materialmente posta in essere dal primo (che egli ha udito rivolgere alla vittima parole - "ti ho promesso che ti brucio e ti brucio" - sintomatiche di sicuro intento omicida) ed agevolata dal secondo nell'inibire al testimone di prestare soccorso al malcapitato (OMISSIS). La Corte di assise di appello ha affrontato funditus il tema dell'attendibilita' di (OMISSIS), che ha positivamente risolto in ragione, tra l'altro, (cfr., in specie, le considerazioni svolte a fronte della doglianza articolata da (OMISSIS)) della dimostrata conoscenza di particolari che, nel momento in cui egli e' stato escusso, erano noti solo agli investigatori e della compatibilita' del suo narrato con quello di (OMISSIS), trattenutosi nell'area su cui si trovavano i quattro protagonisti della vicenda in un frangente antecedente alla sua tragica degenerazione. La piena sovrapponibilita' tra le dichiarazioni di (OMISSIS) e gli esiti della prova scientifica supportano, dunque, le conclusioni raggiunte dai giudici di merito in ordine alla responsabilita' concorsuale di (OMISSIS) e (OMISSIS), che svolgono, al riguardo, considerazioni critiche non idonee a mettere in luce la sussistenza di vizi di legittimita' tali da imporre l'annullamento della sentenza impugnata. (OMISSIS), in particolare, pone l'accento, da un lato, sulla pretesa - e, si e' detto, inesistente - contraddizione tra i contributi di (OMISSIS) e (OMISSIS), presenti sul posto in momenti chiaramente distinti, il primo dei quali ha visto gli imputati e la vittima rapportarsi con toni pacifici ed amichevoli, e, dall'altro, sulla non coincidenza tra le dichiarazioni, de relato, di (OMISSIS) e quelle del teste diretto (OMISSIS) il quale, ha chiarito la Corte di assise di appello, non ha visto (OMISSIS) che, nondimeno, e' per altra via risultato presente in loco, onde non v'e' ragione di dubitare sia della piena attendibilita' del testimone oculare che della partecipazione di (OMISSIS) alla vicenda. (OMISSIS), per parte sua, nel proporre una diversa, ed a lui piu' favorevole, valutazione delle risultanze istruttorie, si mantiene nel solco di uno sterile binario confutativo, del tutto inidoneo ad eccitare i poteri censori del giudice di legittimita'. Segnala, in specie: la scarsa credibilita', dal punto di vista personologico, di (OMISSIS) e (OMISSIS); la discutibilita' dei prescelti itinerari investigativi; la discrasia tra le narrazioni, rispettivamente, di (OMISSIS) e (OMISSIS) e di (OMISSIS) e (OMISSIS); la ridotta rilevanza probatoria degli esiti delle indagini scientifiche. Evoca circostanze non indicate in sentenza ne' altrimenti comprovate mediante opportune allegazioni, quali quelle relative alla compatibilita' delle immagini registrate dalle telecamere di sorveglianza, nella loro successione cronologica, con la ricostruzione della vicenda operata dai giudici di merito, ovvero al transito, in coincidenza con l'aggressione, di treni. Esprime perplessita' in ordine alla derivazione causale della morte della vittima dalla condotta illecita oggetto di contestazione anziche' dalle gravi patologie, prima tra tutte la cirrosi epatica, che affliggeva (OMISSIS). Entrambi i ricorsi si rivelano, sotto questo aspetto, manifestamente infondati, perche' volti alla rivalutazione di aspetti che la Corte di assise di appello ha trattato in modo ineccepibile spiegando, tra l'altro: - che le dichiarazioni dei due testimoni oculari sono, ad un complessivo apprezzamento, perfettamente compatibili, perche' riferite a due distinti frangenti temporali; che (OMISSIS) e', al pari di (OMISSIS), teste certamente attendibile; - che il rinvenimento, su indumenti ed oggetti sottoposti a sequestro, di tracce biologiche riconducibili agli imputati ed alla vittima costituisce elemento di ulteriore conferma della fondatezza, quanto alle posizioni di (OMISSIS) e (OMISSIS), dell'impostazione accusatoria; che non vi e' ragione di dubitare del nesso causale tra le lesioni, principaliter di quelle da ustione, e le complicazioni che portarono (OMISSIS), a distanza di due mesi, alla morte. 3. A conclusioni diverse deve pervenirsi con riferimento alla posizione di (OMISSIS). La Corte di assise di appello ha ritenuto, in proposito, che il contributo di (OMISSIS) - il quale, smentendo (OMISSIS) (latore, si ricorda, di informazioni apprese post factum dallo stesso (OMISSIS)), ha escluso di avere notato, nelle poche decine di secondi in cui egli si e' trattenuto sulla scena del crimine, la presenza di (OMISSIS) - non contraddice l'ipotesi di accusa che, con riferimento a tale imputato, si giova di altri, pregnanti elementi, sintomatici della sua partecipazione al delitto, rinvenuti: nelle dichiarazioni di (OMISSIS), che lo ha visto in quell'area, insieme a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), poco prima dell'omicidio; nella presenza di sangue della vittima sui bermuda che egli, in quei frangenti, indossava; nel malizioso contegno serbato allorquando gli inquirenti gli hanno chiesto di consegnar loro quegli abiti; nella presenza di tracce biologiche di (OMISSIS) su un cartone ed una maglia repertate sul posto. La Corte veneziana ha, quindi, ritenuto che (OMISSIS), a dispetto dell'assenza di immagini che lo ritraggano rientrare in stazione dopo le 19:46 - circostanza della quale i giudici di merito hanno offerto una spiegazione aliena da fratture razionali, basata sulla rotazione, con frequenza di trenta secondi per ciascuna rivoluzione, della telecamera -fosse, come sostenuto da (OMISSIS), in compagnia di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sino ai momenti immediatamente precedenti l'insorgere del dissidio dal quale sorti' l'aggressione dall'esito tragico. Ha, ulteriormente, osservato che "La tesi difensiva secondo cui tali macchie di sangue avrebbero imbrattato i pantaloni dell'imputato in occasione diversa rispetto all'aggressione fatale appare quanto mai inverosimile", atteso che "non e' dimostrato che il (OMISSIS) fosse cosi' facile alle perdite ematiche, tanto meno alla presenza del (OMISSIS)", e che "(OMISSIS), pur frequentando tale ambiente, non era un senzatetto, avendo al contrario un proprio domicilio", sicche' "appare inverosimile che lo stesso andasse in giro con i vestiti imbrattati del sangue del (OMISSIS), avendo egli la possibilita' di cambiarsi a di lavare tali vestiti". Ha, ancora, rilevato, in relazione alla consegna dei vestiti, che "La tesi di un'innocente confusione, dovuta all'abuso di alcool, suggerita dall'appellante, appare destituita di fondamento apparendo assai piu' probabile (...) che l'imputato abbia maliziosamente consegnato altri abiti, propri perche' consapevole che su quelli effettivamente indossati potessero residuare tracce del delitto commesso". Ha, conclusivamente, affermato che il complessivo quadro istruttorio depone nel senso della sua presenza sulla scena del crimine e della sua responsabilita' concorsuale. Il ragionamento che, nelle sue premesse e, per la prima parte, nel suo sviluppo, si palesa conforme ad ordinari canoni ermeneutici e frutto di incensurabile apprezzamento delle risultanze probatorie, sconta pero', in relazione al risultato finale cui conduce, un grave vizio logico, che attiene all'attitudine dell'accertata presenza di (OMISSIS) sul luogo ed in concomitanza con l'aggressione omicida a comprovare la sua efficiente e consapevole partecipazione al delitto. Se, da un canto, il percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello e' nitido nel delineare la presenza, sul posto, dell'imputato, non altrettanto puo' dirsi, dall'altro, per quanto concerne l'enucleazione delle modalita' di concorso dell'imputato. Sul punto, ad ogni effetto decisivo, si contrappongono due elementi di valenza, prima facie, opposta, costituiti dalle dichiarazioni di (OMISSIS) e dalla presenza del sangue della vittima sui bermuda di (OMISSIS). Il testimone oculare ascrive, infatti, la paternita' dell'azione in via esclusiva a (OMISSIS), autore materiale dell'appiccamento del fuoco, ed a (OMISSIS), che, con le sue esplicite minacce, ha consentito al sodale di porre a compimento la condotta illecita. La traccia biologica, da vagliarsi in combinazione con l'atteggiamento serbato dell'imputato a seguito dell'iniziativa degli inquirenti, dimostra, invece, che egli venne a contatto con la vittima sanguinante. In un siffatto contesto, l'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato avrebbe postulato l'accertamento, da compiersi sul piano logico, oltre che storico, della capacita' dell'elemento indiziante a comprovare non soltanto che (OMISSIS), trovandosi in quel luogo in concomitanza con la tragica degenerazione degli eventi, e' entrato in contatto con (OMISSIS), ma anche che egli - in un segmento dell'azione diverso, evidentemente, da quello oggetto di osservazione da parte di (OMISSIS) - ha cooperato in termini causalmente efficienti, sul piano materiale e/o morale, all'aggressione. Trattasi di profilo, di centrale importanza ai fini della decisione, che avrebbe dovuto essere apprezzato anche alla luce del repentino cambio del clima esistente tra imputati e vittima, transitato, in breve tempo, dalla cordiale convivialita' alla furia omicida, in forza di un'evoluzione condizionata, con ogni probabilita', dalla contingente alterazione di tutti o parte dei protagonisti dovuta all'ingestione di bevande alcoliche. Tale indagine non e' stata compiuta dalla Corte di assise di appello, che ha fatto discendere, in via pressoche' automatica, la sussistenza, nei confronti di (OMISSIS), degli elementi costitutivi del contestato delitto di omicidio volontario dai dati obiettivamente accertati e, si e' detto, non illogicamente vagliati, senza tener conto - anche in chiave di qualificazione giuridica del contributo arrecato e di individuazione del pertinente coefficiente psicologico - delle condizioni di contesto e del narrato di (OMISSIS). La riscontrata lacuna impone, in definitiva, l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla posizione di Eros (OMISSIS), con rinvio ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Venezia per un nuovo giudizio che, libero nell'esito, sia da essa emendato. 4. I residui motivi proposti da (OMISSIS) sono manifestamente infondati. La deduzione afferente alla sussistenza, nella condotta degli agenti, del dolo di lesioni, anziche' di quello omicidiario, ha trovato congrua e definitiva smentita nella sentenza impugnata, ove e' stato chiarito che l'indagine medico-legale ha consentito di appurare che (OMISSIS) e' stato raggiunto, persino dopo aver perso conoscenza, da colpi di inaudita violenza, diretti anche ad organi, quali la testa, sede di organi vitali, ed ha riportato fratture alle ossa facciali ed allo ioide. La Corte di assise di appello ha, quindi, aggiunto che l'appiccamento del fuoco alla zona inguinale della vittima e la protrazione per decine di minuti dell'azione aggressiva costituiscono ulteriori riprove di un intento francamente omicidiario che si palesa, in ultimo, indiscutibile. 5. Non dissimili sono le considerazioni che devono svolgersi in ordine alla doglianza afferente all'applicazione dell'avere i rei agito con crudelta' verso le persone. Al riguardo, premesso che, secondo quanto stabilito da consolidato e condiviso indirizzo ermeneutico, "La circostanza aggravante dell'avere agito con crudelta', di cui all'articolo 61 c.p., comma 1, n. 4, e' di natura soggettiva ed e' caratterizzata da una condotta eccedente rispetto alla normalita' causale, che determina sofferenze aggiuntive ed esprime un atteggiamento interiore specialmente riprovevole" (Sez. U, n. 40516 del 23/06/2016, Del Vecchio, Rv. 267629 - 01), e "deve essere accertata alla stregua delle modalita' della condotta e di tutte le circostanze del caso concreto, comprese quelle afferenti al dolo" (Sez. 1, n. 20185 del 20/12/2017, dep. 2018, Q., Rv. 272827 - 01), deve osservarsi come i giudici di merito abbiano attestato, con motivazione ineccepibile, che si sottrae senz'altro alle sterili critiche del ricorrente, che la reiterazione dei colpi, inferti anche a mezzo di un corpo contundente e tanto violenti da sfigurare completamente il volto della vittima e la scelta dei distretti corporei attinti (il viso ed i genitali) siano rivelatori della volonta' di infierire sulla vittima, umiliandola ed infliggendole, nel corso di un'azione aggressiva protrattasi per un considerevole torno di tempo, sofferenze ulteriori rispetto a quelle necessariamente derivanti dall'azione omicida. 6. L'ultimo motivo del ricorso di (OMISSIS) verte sulla congruita' della motivazione adottata dai giudici di merito per escludere l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, che l'imputato, si sostiene, avrebbe meritato perche' incensurato e per le sue precarie condizioni di vita, connotate da una situazione di degrado e di abbandono. Cosi' facendo, il ricorrente invoca, a dispetto di quanto affermato, una diversa e piu' favorevole interpretazione di circostanze di fatto delle quali i giudici del merito hanno fornito una lettura aliena dall'ipotizzato travisamento della prova. Premesso che e' pacifico, in giurisprudenza, che "In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione" (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va attestato che la Corte di appello ha indicato le modalita' della condotta che, per la loro assoluta gravita', precludono l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, riferendosi specificamente all'essersi gli imputati accaniti, con particolare efferatezza, contro un soggetto gravitante nel loro stesso ambiente, con spregio delle regole di solidarieta' che dovrebbero valere tra soggetti che vivono in stato di emarginazione. Ha, pertanto, ritenuto che, irrilevante, da sola, l'assenza di precedenti condanne, le precarie di condizioni di vita di (OMISSIS) non rendano, in concreto, meno grave l'illecito ne' giustifichino la mitigazione del trattamento sanzionatorio. Un iter argomentativo, quello sviluppato dalla Corte di appello, che si mantiene all'interno della fisiologica discrezionalita' e che non soffre delle incoerenze segnalate dal ricorrente il quale, va ancora una volta ribadito, sollecita un intervento che il giudice di legittimita' non puo' compiere al cospetto di una motivazione esente da vizi logici e che tiene debitamente conto delle conquiste processuali. Sul punto, pertinente si rivela, del resto, il richiamo al condiviso indirizzo ermeneutico secondo cui "Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice puo' limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche' anche un solo elemento attinente alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato ed alle modalita' di esecuzione di esso puo' risultare all'uopo sufficiente" (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269) e "In tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la "ratio" della disposizione di cui all'articolo 62 bis c.p. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti" (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826). 7. Sulla base delle considerazioni che precedono i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) devono essere, pertanto, dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", alla declaratoria dell'inammissibilita' medesima consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonche' quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) Cristian e li condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Venezia.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SIANI Vincenzo - Presidente Dott. MASI Paolo - Consigliere Dott. SANTALUCIA Giuseppe - rel. Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 28/03/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di PALERMO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere SANTALUCIA GIUSEPPE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore CASELLA GIUSEPPINA che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorso presentati per (OMISSIS) e (OMISSIS) e l'inammissibilita' per il ricorso presentato per (OMISSIS). uditi i difensori: L'avv. (OMISSIS) conclude associandosi alle richieste del PG, deposita conclusioni e nota spese; L'avv. (OMISSIS) conclude associandosi alle conclusioni del PG, deposita conclusioni e nota spese; L'avv. (OMISSIS) conclude aderendo alle conclusioni del PG, deposita conclusioni e nota spese; L'avv. (OMISSIS) deposita conclusioni e nota spese, associandosi alle richieste del PG; L'avv. (OMISSIS) deposita conclusioni e nota spese, alle quali si riporta; L'avv. (OMISSIS) associandosi alle richieste del PG, deposita conclusione e nota spese; L'avv. (OMISSIS) conclude riportandosi ai motivi di ricorso, insistendo per il suo accoglimento; L'avv. (OMISSIS) insiste per l'accoglimento dei motivi di ricorso ai quali si riporta; L'avv. (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di assise di appello di Palermo ha confermato la sentenza con cui la Corte di assise della stessa citta' ha condannato (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per il delitto di concorso nell'omicidio di (OMISSIS), avvocato del Foro di Palermo, che veniva ripetutamente e violentemente colpito alla testa e in altre parti del corpo con un bastone, con gravissime e irreversibili lesioni che ne determinavano il decesso pochi giorni dopo. Il fatto fu commesso in (OMISSIS), con morte della vittima il (OMISSIS) successivo. Per (OMISSIS) e' stato riconosciuto il ruolo di mandante, specificamente con il compito di sovraintendere alla organizzazione dell'agguato; per gli altri invece e' stato affermato il ruolo di partecipe con compiti differenti. Nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e' stata applicata l'attenuante di cui all'articolo 116 c.p., comma 2 e nei confronti soltanto di (OMISSIS) l'attenuante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., comma 3. A (OMISSIS) e' stata irrogata la pena di anni ventiquattro di reclusione, ritenuta la subvalenza della recidiva e dell'aggravante di cui all'articolo 112 c.p., n. 2, rispetto all'attenuante di cui all'articolo 116 c.p.; ad (OMISSIS) la pena di anni trenta di reclusione a (OMISSIS) la pena di anni ventidue di reclusione; ad (OMISSIS) la pena di anni quattordici di reclusione. 2. Il fatto in contestazione e' consistito nella brutale aggressione portata nella tarda serata del (OMISSIS) contro l'avvocato (OMISSIS), noto professionista palermitano, ex parlamentare e docente universitario. In una prima fase fu emessa ordinanza di custodia cautelare nei confronti dei menzionati imputati ma successivamente, in assenza di univoci sviluppi investigativi, il relativo procedimento fu definito con archiviazione. In un secondo momento le indagini furono riaperte grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), intraneo alla famiglia mafiosa di (OMISSIS), che pero' non furono ritenute affidabili. Esse prima chiamarono in causa (OMISSIS) e (OMISSIS) quali autori materiali dell'aggressione e poi, invece, attribuirono tale ruolo a (OMISSIS) e (OMISSIS), affidando cosi' ai primi due il semplice ruolo di schermare la scena, cautelando e proteggendo gli esecutori materiali. 3. Appena dopo l'emissione del decreto di giudizio immediato, alle prime battute del dibattimento, intervenne la collaborazione, con dichiarazioni auto ed etero-accusatorie, di (OMISSIS), che chiamo' in correita' (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). All'esito del giudizio di primo grado (OMISSIS) fu riconosciuto esecutore materiale della brutale aggressione, consumata con un bastone di legno o con altro analogo strumento, gli altri furono condannati per i ruoli prima indicati, e i coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) furono assolti ai sensi dell'articolo 530 c.p.p., comma 2. 4. L'aggressione fu deliberata nell'ambito dell'organizzazione mafiosa "Cosa nostra" per impartire una punizione all'avvocato 5Fragala', ritenuto responsabile di aver assunto in procedimenti penali per reati di mafia posizioni contrarie agli interessi di detta organizzazione, inducendo i propri assistiti ad iniziare un franco rapporto collaborativo con l'Autorita' giudiziaria. Secondo quanto riferito da (OMISSIS), fu (OMISSIS) a dire che bisognava dare colpi di mazza all'avvocato (OMISSIS) in quanto cosi' voleva (OMISSIS), ossia (OMISSIS), al tempo capo del mandamento di Porta Nuova, nel cui ambito ricadeva la famiglia di (OMISSIS), diretta appunto da (OMISSIS). 5. Le dichiarazioni auto ed etero-accusatorie di (OMISSIS) sono state ritenute attendibili e riscontrate da una pluralita' di dati oggettivi. In funzione di riscontro sono state utilizzate anche le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, (OMISSIS) e (OMISSIS). 6. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso i difensori di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). 7. I difensori di (OMISSIS) hanno articolato piu' motivi. 7.1. Con il primo motivo hanno dedotto difetto di motivazione in riferimento al giudizio di attendibilita' sulle dichiarazioni del coimputato (OMISSIS), con particolare riferimento a quanto da lui raccontato a proposito del presunto ruolo rivestito da (OMISSIS). Il dichiarante ha in un primo momento escluso il coinvolgimento nel fatto criminoso di (OMISSIS) e poi ha ammesso di averlo deliberatamente tenuto fuori, accusandolo a circa otto mesi di distanza. Non si e' fatto scrupolo di mentire al fine di essere valutato alla stregua di un collaboratore attendibile da parte del pubblico ministero. Nel racconto accusatorio e' incorso in una quindicina di contraddizioni rispetto alle precedenti versioni. Una contraddizione lo ha costretto ad ammettere di aver mentito, nelle precedenti dichiarazioni, in ordine alle modalita' e ai tempi di occultamento dell'arma del delitto, sempre al fine di accreditarsi come collaboratore affidabile. A giustificazione di una simile progressione dichiarativa la Corte di appello ha reso una motivazione totalmente illogica e travisante il portato dichiarativo dibattimentale. Sono mere illazioni le considerazioni in ordine alla pretesa genuinita' della decisione di collaborare e alla incostanza dichiarativa sul coinvolgimento di (OMISSIS), che hanno condotto ad eludere il rilievo difensivo per il quale il collaboratore modulo' le dichiarazioni adeguandosi all'interesse investigativo, verosimilmente alimentato dalle ragioni di astio verso (OMISSIS) per via della relazione extraconiugale di questi con sua moglie. Sono poi internamente contraddittorie le argomentazioni di sentenza in merito alla mancanza di qualsiasi specifico affiato accusatorio nelle dichiarazioni del collaboratore nei confronti di (OMISSIS), invero poste a fondamento della condanna. La Corte di assise di appello non ha argomentato, al pari del giudice di primo grado, in ordine alle numerose contraddizioni e ai numerosi profili di incostanza dichiarativa emersi nel corso dell'esame dibattimentale del dichiarante, dall'orario in cui i correi si ritrovarono in via dello (OMISSIS) e iniziarono a programmare il delitto, alla individuazione del mandante della spedizione punitiva, alla precisa indicazione temporale della telefonata che (OMISSIS) disse di aver fatto allo studio (OMISSIS), al ruolo attribuito a (OMISSIS), e ad altro ancora. L'intrinseca inaffidabilita' del narrato del (OMISSIS) e' ulteriormente dimostrata dai termini in cui ha riferito la sua partecipazione al fatto. Si tratta di una versione totalmente inverosimile e non riscontrata dalle dichiarazioni dei diversi testimoni oculari. Cio' nonostante, la Corte di assise di appello ha rigettato la richiesta di rinnovazione istruttoria per un nuovo esame dei testimoni oculari, benche' si sia dato atto che nessuno di costoro vide sui luoghi la autovettura indicata da (OMISSIS) e men che meno si avvide della rocambolesca manovra di uscita dal parcheggio, a lisca di pese, in retromarcia, con chiusura al volo dello sportello lato passeggero e immediata ripartenza, che (OMISSIS) riferi' di aver compiuto non appena accortosi che il correo (OMISSIS), invece di salire sulla sua autovettura per la fuga, si determino' a montare in sella allo scooter con il quale era arrivato sul luogo del delitto insieme a (OMISSIS). 7.2. Con il secondo motivo hanno dedotto difetto di motivazione. La Corte di assise di appello e' incorsa in evidenti illogicita' e travisamenti del dato probatorio nell'assumere come riscontro al narrato accusatorio di (OMISSIS) le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), che ha effettuato una chiamata in reita' de relato mentre il teste di riferimento, (OMISSIS), escusso in dibattimento ne ha smentito le dichiarazioni. Ha superato con motivazioni illogiche il fatto che (OMISSIS) ha chiaramente riferito di un ruolo esecutivo di (OMISSIS) e ha narrato di una fase preparatoria, un pedinamento della vittima, di cui non si rinviene alcun riferimento nel narrato di (OMISSIS). Ma, ancor di piu', (OMISSIS) ha riferito del coinvolgimento nel fatto di sangue di una persona ad esso del tutto estranea, tale (OMISSIS), reiteratamente individuato, secondo il (OMISSIS) dallo stesso (OMISSIS), nel cognato di (OMISSIS). Si e' di fronte ad un rilevante elemento che mina l'attendibilita' del dichiarante, indice della propensione ad attribuire ad (OMISSIS) informazioni frutto di rimasticature di notizie di fonte giornalistica e di pura fantasia. La Corte di assise di appello ha poi trascurato, ancora una volta superando con motivazione illogica il rilievo difensivo, che quanto narrato da (OMISSIS) in ordine alla commissione di una serie di estorsioni in ambito mafioso unitamente ad (OMISSIS) non ha trovato riscontro, perche' (OMISSIS) non e' mai stato sottoposto a processo. Per quanto poi attiene alla estorsione specificamente menzionata dal collaboratore, quella all'imprenditore (OMISSIS), la sentenza del relativo processo, acquisita agli atti, ha smentito il racconto del collaboratore. Con ordinanza carente di motivazione la Corte di assise di appello ha respinto la richiesta di rinnovazione istruttoria per l'assunzione della testimonianza dello stesso (OMISSIS). La Corte di assise di appello ha omesso ogni notazione critica in merito alla oggettiva vaghezza e genericita' degli apporti dichiarativi del collaboratore (OMISSIS) in relazione alla fonte delle presunte informazioni. La fonte di riferimento, per quel che attiene alla posizione di (OMISSIS), e' (OMISSIS), che non soltanto aveva l'interesse di protestare al supposto confidente, (OMISSIS), la propria estraneita' al delitto, ma che avrebbe potuto avere acrimonia nei confronti dei coimputati. Non v'e' stato alcun approfondimento in merito alle modalita' e alle circostanze, di tempo e di luogo, in cui (OMISSIS) avrebbe potuto apprendere le notizie, asseritamente riportate al (OMISSIS), da parte del suocero (OMISSIS). Sono state utilizzate le dichiarazioni con cui (OMISSIS) ha riferito quanto appreso nelle cellette di transito all'interno del Tribunale di Palermo da una conversazione tra il proprio padre (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine al fatto che mandante dell'omicidio de quo era stato (OMISSIS) e corresponsabili dello stesso (OMISSIS) e (OMISSIS). Occorre puntualizzare che il collaborante non ha riferito di aver orecchiato una discussione ma ha detto di essere stato destinatario di confidenze, alla presenza di (OMISSIS), da parte del proprio padre. Il narrato si caratterizza, pertanto, come dichiarazione indiretta, con tutte le conseguenze del caso. Peraltro, (OMISSIS) ha chiarito che le sue informazioni provenivano da (OMISSIS), coimputato di (OMISSIS), e quindi sarebbe stato lecito chiedersi quale fosse la genesi delle sue conoscenze, se la lettura delle carte processuali o altro. Una corretta ricostruzione temporale della vicenda dell'incontro tra (OMISSIS) e (OMISSIS) porta ad escludere che (OMISSIS) abbia mai fatto ingresso nelle celle di stazionamento del Tribunale e che in ogni caso, se cio' fu, la permanenza fu di qualche minuto appena. Quanto al movente, il processo e quindi la sentenza patiscono la carenza di accertamenti di riscontro alla veridicita' del riferito movente, da ricondursi alle strategie difensive dell'avv.to (OMISSIS) propenso a indurre i suoi assistiti alla collaborazione con l'Autorita' giudiziaria. Infine, l'esame del traffico telefonico della moglie di (OMISSIS), che aveva una relazione sentimentale con (OMISSIS), non puo' essere usato in termini di riscontro, affermando che la sera del fatto, siccome non riusciva a mettersi in contatto telefonico con il coniuge, a cui doveva comunicare di occuparsi del figlio minore perche' lei era impegnata sul posto di lavoro, chiamo' (OMISSIS) e poi anche (OMISSIS), e cio' perche' era stata informata da (OMISSIS) che quella sera gli sarebbe servita l'autovettura "perche' aveva cose da fare unitamente ad (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS)". 7.3. Con il terzo motivo hanno dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione per mancato approfondimento critico in ordine alla rilevanza causale della condotta in imputazione e in specie alla idoneita' ad atteggiarsi come contributo concorsuale. E' la stessa sentenza a dare come fatto non controverso che, al momento del presunto arrivo di (OMISSIS) in via (OMISSIS) ove si trovavano i presunti correi, (OMISSIS) avesse gia' ricevuto l'ordine di compiere il pestaggio. Dunque, non si e' trattato di concorso come mandante e l'attribuzione del ruolo di supervisore o sovrintendente del fatto, operato dalla sentenza, e' il portato di una inferenza giudiziale, non direttamente implicata dalle dichiarazioni del collaboratore e quindi priva di fondamento. Peraltro, tale ultimo ruolo non assume i contorni del contributo concorsuale e non corrisponde a quanto indicato in imputazione. Altro profilo critico e' costituito dalla ravvisata sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 112 c.p., n. 2, fondata sul presupposto che avrebbe svolto un ruolo direttivo invero insussistente e comunque contraddittoriamente motivato. 7.4. Con il quarto motivo hanno dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione in punto di insufficiente individuazione del coefficiente psicologico suscettivo di comportare, ai sensi dell'articolo 116 c.p., l'effetto estensivo della punibilita' in relazione all'evento non voluto dal concorrente nel reato. La sentenza ha sottovalutato il tema della prevedibilita' in concreto del diverso decorso causale intrapreso, per esclusiva responsabilita' dell'esecutore materiale, dalla vicenda, e dunque per la sottovalutazione del positivo riscontro della colpevolezza in capo al ricorrente per l'evento non voluto in termini, quanto meno, di responsabilita' colposa. 7.5. Con il quinto motivo hanno dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione in punto di omessa qualificazione del fatto come omicidio preterintenzionale. La sentenza impugnata, si' come quella di primo grado, non ha preso definitivo partito in ordine al preciso atteggiarsi del foro interno dell'agente, il coimputato (OMISSIS), oscillando tra la figura del dolo alternativo e quella del cd. dolo eventuale. La Corte di assise di appello avrebbe dovuto prendere in considerazione l'ipotesi di un errore esecutivo nella commissione del fatto e farsi carico della irragionevolezza della tesi accolta, ossia di un repentino mutamento di obiettivi e proposti dell'assalitore. 7.6. Con il sesto motivo hanno dedotto difetto di motivazione in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio, diniego delle attenuanti generiche e del contributo di minima importanza e riconoscimento dell'aggravante di agevolazione mafiosa. 8. Il difensore di (OMISSIS) ha articolato piu' motivi. 8.1. Con il primo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione. La Corte di assise di appello ha fatto malgoverno dei criteri di valutazione della prova nell'esame del profilo di attendibilita' intrinseca delle dichiarazioni di (OMISSIS) e non ha considerato l'assenza di riscontri individualizzanti alla chiamata in correita', dal momento che non v'e' prova, a differenza di quanto affermato in sentenza, della presenza di (OMISSIS) nel corso del colloquio captato il (OMISSIS) alle ore 19,09, di cui ha detto il collaboratore (OMISSIS). 8.2. Con il secondo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione in punto di omessa qualificazione del fatto in termini di omicidio preterintenzionale. Non e' dubbio che il ricorrente, siccome la finalita' dell'azione era di dare una lezione alla vittima, potette prevedere l'evento morte solo quale conseguenza del reato di lesioni personali e cio' a prescindere dall'elemento soggettivo attribuito dalla sentenza impugnata ad (OMISSIS), coimputato esecutore materiale. 8.3. Con il terzo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione in punto di diniego delle attenuanti generiche, dal momento che l'evento morte non costitui' oggetto di volizione del ricorrente. La Corte di assise di appello non ha spiegato le ragioni per le quali precedenti penali e movente della condotta abbiano impedito una mitigazione del trattamento sanzionatorio. 9. Il difensore di (OMISSIS) ha articolato piu' motivi. 9.1. Con il primo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione. Un primo profilo di illegittimita' della sentenza attiene al giudizio sulla credibilita' del collaboratore (OMISSIS). Le critiche alla sentenza impugnata sono sovrapponibili a quelle svolte con il primo motivo di ricorso di (OMISSIS). Un secondo profilo di illegittimita' e' costituito dalla valutazione sulla sussistenza dei riscontri esterni individualizzanti a carico di (OMISSIS). Non sono riscontri con efficacia individualizzante: la dedotta frequentazione di locali di via dello (OMISSIS). Anche a voler ritenere provata l'assidua frequentazione di (OMISSIS) dei locali di via (OMISSIS) in un periodo successivo all'omicidio, cio' non riscontra la presunta presenza di (OMISSIS) il giorno (OMISSIS) quando veniva captata, a cornetta aperta, la conversazione delle ore 19,09 del giorno del fatto tra (OMISSIS), (OMISSIS) e un terzo conversante con riferimenti, a giudizio della sentenza impugnata, al fatto delittuoso che si stava organizzando per quella sera; la telefonata delle ore 18.47 del giorno dell'aggressione da una cabina telefonica pubblica all'utenza dello studio professionale dell'avv.to (OMISSIS), fatta da (OMISSIS) per sincerarsi dell'orario di chiusura dello studio; la gia' menzionata intercettazione a cornetta aperta delle ore 19.09. La voce del terzo conversante non e' mai stata identificata, con perizia o consulenza, in quella di (OMISSIS). Il riscontro alle dichiarazioni di (OMISSIS) sarebbe lo stesso (OMISSIS), con palese circolarita' del riscontro medesimo; l'intercettazione delle ore 20,08 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), perche' quanto riferito dal primo, ossia che (OMISSIS) lo sollecito' a far presto, a raggiungere in breve tempo il luogo della programmata aggressione, trova ancora una volta conferma nelle stesse dichiarazioni di (OMISSIS), con inaccettabile circolarita' del riscontro. Allo stesso modo non puo' fungere da riscontro il tentativo di chiamata da parte della moglie di (OMISSIS) ad (OMISSIS) delle ore 21,29, che questa avrebbe fatto nel tentativo di contattare il marito che sapeva essere in compagnia di (OMISSIS) e di (OMISSIS); - l'incendio dei cassonetti dei rifiuti urbani di via (OMISSIS) che (OMISSIS) ha dichiarato esser stata opera sua, unitamente ad (OMISSIS) ed (OMISSIS), per far sparire l'arma del delitto, che li' avevano giorni prima gettato, non appena seppero che l'avv.to (OMISSIS) era deceduto. Ancora una volta e' solo (OMISSIS) ad affermare che (OMISSIS) fu presente sia al momento del deposito della mazza all'interno del cassonetto sia al momento di incendio dello stesso. Non fungono da riscontro neanche le dichiarazioni degli altri collaboratori, (OMISSIS) e (OMISSIS), illogicamente valutate, al pari del resto alle dichiarazioni dei testimoni presenti all'aggressione. Costoro non hanno confermato la ricostruzione della vicenda come consegnata da (OMISSIS). 9.2. Con il secondo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione in riguardo alla negata derubricazione. La dinamica dell'aggressione, per la quale i colpi al capo furono inferti dopo la caduta a terra della vittima non trova alcun oggettivo riscontro in atti e deriva soltanto da un ragionamento congetturale ed ipotetico. E' allora illogica la motivazione che ha definito il ruolo dell'aggressore nell'alveo del dolo alternativo o, quantomeno, in quello eventuale, perche' e' inverosimile che (OMISSIS), presuntivamente designato a compiere l'aggressione per contro di esponenti piu' alti in grado nell'associazione mafiosa, abbia travalicato l'ordine, che era soltanto di dare legnate e non certo di uccidere. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso di (OMISSIS) non merita accoglimento, per le ragioni di seguito esposte. 2. La Corte di assise di appello ha reso una motivazione articolata, attenta e puntuale in ordine al giudizio di attendibilita' di (OMISSIS). Ha preliminarmente, e molto opportunamente, escluso la sussistenza di intenti di autocalunnia e ha osservato, con logicita' di rilievo, che le prime dichiarazioni confessorie furono rese all'indomani dell'emissione del decreto di giudizio immediato, ricordando che in quel momento la piattaforma probatoria si incentrava sulle dichiarazioni di (OMISSIS) e che proprio (OMISSIS), per la sua diretta partecipazione al fatto criminoso, aveva tutti gli strumenti per valutare di quel complesso probatorio la debolezza, si' che la sua decisione di render confessione cadde in un momento in cui il processo nei suoi confronti ben poteva avere un esito incerto e a lui favorevole. La forza logica del rilievo non e' smentita dal fatto che era stato emesso il decreto di giudizio immediato che, per quanto trovi causa nella evidenza della prova, apre fisiologicamente alla fase del giudizio dibattimentale senza che in essa la pretesa evidenza probatoria possa avere una qualche incidenza pregiudicante. Si tratta di un rilievo significativo che concorre, nella complessiva trama della motivazione, alla conclusione del disinteresse dell'apporto collaborativo. La Corte di assise di appello ha operato una compiuta valutazione sulla base dei criteri di elaborazione giurisprudenziale sin dalla pronuncia con cui le Sezioni unite statuirono che "ai fini di una corretta valutazione della chiamata in correita' a mente del disposto dell'articolo 192 c.p.p., comma 3, il giudice deve in primo luogo sciogliere il problema della credibilita' del dichiarante (confitente e accusatore) in relazione, tra l'altro, alla sua personalita', alle sue condizioni socioeconomiche e familiari, al suo passato, ai rapporti con i chiamati in correita' ed alla genesi remota e prossima della sua risoluzione alla confessione ed alla accusa dei coautori e complici; in secondo luogo deve verificare l'intrinseca consistenza, e le caratteristiche delle dichiarazioni del chiamante, alla luce di criteri quali, tra gli altri, quelli della precisione, della coerenza, della costanza, della spontaneita'; infine egli deve esaminare i riscontri cosiddetti esterni. L'esame del giudice deve esser compiuto seguendo l'indicato ordine logico perche' non si puo' procedere ad una valutazione unitaria della chiamata in correita' e degli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilita' se prima non si chiariscono gli eventuali dubbi che si addensino sulla chiamata in se', indipendentemente dagli elementi di verifica esterni ad essa" - Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, dep. 1993, Rv. 192465 -. A tal fine ha messo in evidenza l'intraneita' del dichiarante a "Cosa nostra" e gli elementi di certezza in merito alla assidua frequentazione con (OMISSIS) e (OMISSIS) e alla continua presenza presso l'agenzia di via dello (OMISSIS), quartier generale di (OMISSIS). Quanto poi ai rapporti con (OMISSIS), in specie alla rilevata incostanza dichiarativa in ordine al ruolo di quest'ultimo nel fatto criminoso, la Corte di assise di appello ha adeguatamente motivato. Ha spiegato, con ricchezza di argomenti, come il primo atteggiamento di sostanziale reticenza fu determinato dalla preoccupazione di apparire al pubblico ministero interrogante - che manifestava l'intento di saggiarne con giustificabile diffidenza la credibilita' a fronte di una piattaforma probatoria sino a quel momento costruita sulle difformi dichiarazioni di (OMISSIS) - un soggetto animato da intenti ritorsivi nei confronti di colui che aveva intrattenuto con la propria moglie una relazione sentimentale. E per la stessa ansia di apparire sin da subito credibile, (OMISSIS) - ha logicamente osservato la Corte di assise di appello - disse di aver partecipato, insieme ad (OMISSIS) e (OMISSIS), all'occultamento della mazza di legno utilizzata per l'aggressione in danno della vittima. E' pienamente logica e condivisibile l'osservazione dei giudici di merito per la quale, se (OMISSIS) fosse stato mosso da rancore nei confronti di (OMISSIS), non avrebbe esitato ad accusarlo sin dal primo interrogatorio. Il fatto che abbia taciuto in una prima occasione e si sia poi determinato a coinvolgere (OMISSIS) e' logicamente indicativo della veridicita' del secondo apporto dichiarativo, come opportunamente osservato dalla Corte di assise di appello. E non e' marginale l'osservazione, in questa prospettiva di verifica critica della credibilita' del dichiarante, che se fosse stato mosso da malanimo e rancore avrebbe descritto la partecipazione di (OMISSIS) in termini piu' netti e avrebbe arricchito la sua essenziale dichiarazione di dettagli, mentre invece si e' limitato, come rilevato dalla Corte territoriale, ad una dichiarazione puntuale, distaccata, priva di sovrabbondanze di racconto. 2.1. Alla esaustiva motivazione in ordine alla credibilita' di (OMISSIS) la Corte di assise di appello ha fatto seguire una puntuale, ragionata e completa illustrazione dei plurimi elementi di riscontro, secondo l'insegnamento delle Sezioni unite per le quali "nella valutazione della chiamata in correita' o in reita', il giudice, ancora prima di accertare l'esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilita' soggettiva del dichiarante e l'attendibilita' oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilita' soggettiva del dichiarante e l'attendibilita' oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l'articolo 192 c.p.p., comma 3, alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale" - Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Rv. 255145. Ha cosi' richiamato i dati di fatto che hanno capacita' di riscontrare la veridicita' del racconto del collaboratore, e che qui possono cosi' indicarsi: la sicura frequentazione assidua, quotidiana, di (OMISSIS) con (OMISSIS) e (OMISSIS); - la chiamata telefonica, da una cabina pubblica di (OMISSIS), alle ore 18.47 circa del giorno dell'aggressione, allo studio professionale della vittima, per accertarsi dell'orario di chiusura, e quindi di allontanamento dallo studio dell'avv.to (OMISSIS), per meglio pianificare l'aggressione ai suoi danni. Che si tratti di un dato di riscontro di particolare efficacia e' fuor di dubbio, per l'ovvia considerazione fatta dalla Corte di assise di appello per la quale soltanto l'effettivo autore della telefonata, o al piu' chi a quella telefonata aveva assistito, poteva conoscere una tale, puntuale, circostanza; - la chiamata telefonica, di tre minuti successiva a quella in partenza dalla cabina telefonica pubblica, di (OMISSIS) al marito (OMISSIS), grazie alla quale apprese per espressa dichiarazione dell'interlocutore che questi si trovava, in quel frangente, proprio nell'agenzia di (OMISSIS) in via dello (OMISSIS); - la conversazione n. 905 delle ore 19.09,24 del giorno dell'aggressione omicida, oggetto di intercettazione a cornetta aperta mentre (OMISSIS) stava tentando di contattare la moglie con il suo telefono cellulare, con cui aveva comunicato, sempre telefonicamente, circa venti minuti prima dicendole di trovarsi nell'agenzia di (OMISSIS). Ebbene, nel corso della conversazione intercettata tra (OMISSIS) e altro soggetto, identificato in (OMISSIS), si fece riferimento al "mio" motociclo Scarabeo, e all'epoca (OMISSIS) era possessore di un ciclomotore Scarabeo 50, tg. (OMISSIS), a volte utilizzato da (OMISSIS). Vi era anche (OMISSIS), come si trae da quanto comunicato poco prima da (OMISSIS) alla moglie, e i tre fecero riferimento inequivoco al grave fatto criminoso che si accingevano a compiere, discutendo della necessita' di disfarsi di un motociclo utilizzato per l'occasione, e sul punto poi (OMISSIS) ha dichiarato di non aver saputo che fine avesse fatto lo scooter, provento di furto, utilizzato dai complici; dell'impiego nell'azione anche di un'autovettura, come poi effettivamente avvenne, e dell'arma che avrebbero dovuto procacciarsi, dato che la persona ( (OMISSIS)) incaricata di procurare "il coso di legno" non si era fatta viva e cio' aveva indotto (OMISSIS), come poi dallo stesso rivelato, a procurarsi, presso tale (OMISSIS), il grosso manico, privo della parte metallica, di un piccone, che da li' a breve fu lo strumento letale della eseguita aggressione; - la conversazione di (OMISSIS) delle ore 20.08,48 dello stesso giorno con (OMISSIS), che deve leggersi tenendo conto del fatto, accertato, che (OMISSIS), poco dopo la conversazione delle 19,09, si allontanava dalla zona dell'agenzia di via dello (OMISSIS) e raggiungeva la zona di ubicazione della sala Bingo di piazza Politeama, ove lavorava la moglie, come ricostruito dagli agganci del suo telefono cellulare alle celle telefoniche. Cio' perche', come poi dallo stesso dichiarato, dopo aver prelevato la mazza di legno e averla portata presso l'agenzia, dovette raggiungere la moglie, che abitava alla Zisa, e trasportarla sul posto di lavoro, per poi recarsi nuovamente all'agenzia di (OMISSIS) per prelevare la mazza di legno. Durante questi spostamenti di (OMISSIS) furono effettivamente plurimi i tentativi di contatto telefonico di (OMISSIS), che poi riusci' a parlargli e si lamento' del ritardo sui tempi presi per il loro appuntamento. La Corte di assise di appello ha a tal proposito rilevato, con argomento logico e coerente, che i toni aspri di rimprovero di (OMISSIS), infastidito dal ritardo di (OMISSIS), facevano ben intendere l'importanza, l'indifferibilita' dell'appuntamento, e non sarebbero stati per nulla giustificati prendendo per buona la versione di (OMISSIS), che ha poi riferito di una urgenza legata all'organizzazione di una mai meglio illustrata lotteria a premi; - l'aggancio del telefono cellulare di (OMISSIS) alle ore 20.09,43 alla cella di via (OMISSIS), che collima con il racconto di questi, e cioe' che fece ritorno all'agenzia di via dello (OMISSIS), coperta da quella cella, per prelevare la mazza di legno e poi recarsi all'appuntamento con (OMISSIS); - l'accertamento che, come dichiarato da (OMISSIS), alle ore 00,18 del (OMISSIS), e cioe' a distanza di qualche giorno dall'aggressione e immediatamente dopo che si diffuse la notizia che l'aggredito avv.to (OMISSIS) era deceduto, si verifico' l'incendio del contenitore dei rifiuti di via (OMISSIS), si' come indicato da (OMISSIS), che disse che appiccarono l'incendio per eliminare l'arma del delitto, che era stata giorni prima abbandonata entro la campana per la raccolta del vetro e, per sviare le indagini, che dettero fuoco anche agli attigui contenitori dei rifiuti urbani. Dato di riscontro rilevante e' che la chiamata per i Vigili del fuoco, che intervennero a spegnere l'incendio, provenne dalla Polizia di Stato, perche' collima con il racconto di (OMISSIS), secondo cui il sito ove erano posizionati i cassonetti dei rifiuti era presidiato dalla Polizia di Stato in quanto nei pressi abitava un noto parlamentale apicale di rilievo nazionale. 2.1.1. Agli appena indicati elementi di riscontro la Corte di assise di appello non ha mancato di aggiungere quello con efficacia individualizzante rispetto al ricorrente (OMISSIS). E' noto che "ai fini dell'affermazione di responsabilita' dell'imputato, il riscontro alla chiamata in correita' puo' dirsi individualizzante quando non consiste semplicemente nell'oggettiva conferma del fatto riferito dal chiamante, ma offre elementi che collegano il fatto stesso alla persona del chiamato, fornendo un preciso contributo dimostrativo dell'attribuzione a quest'ultimo del reato contestato" - Sez. 6, n. 45733 del 11/07/2018, Rv. 274151 -. Ebbene, ha opportunamente precisato la Corte di assise di appello, un dato oggettivo di riscontro ha avuto specifico riguardo alla persona di (OMISSIS): il riferimento e' al fatto che (OMISSIS), moglie di (OMISSIS), ebbe bisogno, la sera del fatto, di contattare il marito, che avrebbe dovuto prendersi cura del figlio minore lasciato in temporanea custodia alla di lei madre, e, non riuscendo a mettersi telefonicamente in contatto con il marito, perche' l'utenza telefonica non era raggiungibile, provo' a contattare (OMISSIS), e cio' perche' ben sapeva, secondo quanto le aveva detto poche ore prima il marito, che quella sera lui sarebbe stato in compagnia di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per importanti impegni, e che per questa ragione aveva avuto necessita' dell'autovettura. Non puo' ritenersi, come invece addotto dalla difesa, che si tratto' di un tentativo di contatto determinato dalla relazione extraconiugale che (OMISSIS) intratteneva con (OMISSIS), perche' in tal modo non si spiegherebbe il pressoche' contestuale tentativo di contattare (OMISSIS). Cio' (OMISSIS) invero fece, secondo le logiche deduzioni della Corte di assise di appello, perche' il suo fine era di reperire il coniuge e quindi tento', non potendo raggiungerlo, di contattare coloro che sapeva essere quella sera in sua compagnia, proprio secondo quanto le aveva comunicato lo stesso (OMISSIS). 2.1.2. L'attendibilita' di (OMISSIS) e' stata compiutamente saggiata anche in riferimento a quella parte di narrato che attiene specificamente al luogo e alle modalita' dell'aggressione. Il fatto che (OMISSIS) si fosse recato sul luogo di esecuzione del programma criminoso con la sua autovettura Smart e' stato considerato, con logicita' di argomenti, un dato non significativo di una presunta infedelta' del racconto per la semplice osservazione che, siccome il programma non era certo quello di uccidere l'avv.to (OMISSIS) quanto di impartirgli una lezione punitiva, allora e' comprensibile che non avesse adottato particolare cautele, quale appunto quella di non recarsi in loco con la propria autovettura. Quanto poi al dato che nessuno dei testimoni oculari ha riferito di un'autovettura Smart che si allontano' a tutta velocita' con la portiera aperta, le argomentazioni spese in sentenza sono logiche e concludenti e spiegano come tale fatto non possa costituire l'indice della fallacia del racconto di (OMISSIS). Una testimone si avvide che, tra le autovetture parcheggiate a lisca di pesce in prossimita' del sottopasso ove e' allocato il portone di ingresso del palazzo sede dello studio professionale dell'avv.to (OMISSIS), ne manco' improvvisamente una, un posto del parcheggio era vuoto, e tale particolare fu notato in quei concitati momenti appunto perche', poco prima, l'intera via era interessata da un continuo parcheggio di autovetture in sosta, posizionate a lisca di pesce. Tutti gli astanti sentirono ad un tratto un rumore, che pensarono di collegare al gesto di repentino abbandono da parte degli aggressori in fuga con lo scooter dell'arma impiegata, ma e' ben probabile, ed e' questa la notazione logica della Corte di assise di appello, che sbagliarono e non si avvidero che il rumore percepito era conseguenza di altro, appunto di una portiera di autovettura chiusa con forza e con particolare rapidita'. Del resto, e il dato e' certo, nessuno lascio' cadere un bastone per terra, e quindi la deduzione del giudice del merito non puo' essere relegata nell'area delle mere congetture, ma ha una solidita' logica che ne fa apprezzabile argomento di indagine sulla attendibilita' del dichiarante. Non e' pertanto censurabile la decisione di non rinnovare l'istruzione dibattimentale per la riassunzione delle dichiarazioni testimoniali di quanti assistettero al fatto. 2.2. Il secondo motivo e' pur esso infondato. I rilievi di ricorso in ordine alla validita', come elemento di riscontro, dell'apporto collaborativo di (OMISSIS) non colgono nel segno. Non risponde al contenuto del dichiarato di (OMISSIS), si' come riportato nella sentenza impugnata, la descrizione di un ruolo esecutivo di (OMISSIS), con inevitabile contrasto con il dichiarato di (OMISSIS). L'aver appreso da (OMISSIS) che (OMISSIS) aveva combinato un guaio, che "ci era andato pesante", ben puo' essere pienamente compatibile con il riconoscimento di un ruolo non gia' esecutivo quanto di supervisione del programma criminoso, con attribuzione della responsabilita' anche per quanto eventualmente da altri materialmente compiuto. Il riferimento a preliminari pedinamenti effettuati anche da (OMISSIS) non e' dato che pone in crisi le dichiarazioni di (OMISSIS), perche' non e' un elemento di smentita delle stesse (v. fl. 195 della sentenza impugnata). Ne', come rilevato dalla Corte di assise di appello, il valore indiziario delle dichiarazioni di (OMISSIS) e' messo in crisi dalle smentite di (OMISSIS), le cui dichiarazioni, oltre che inverosimili nella parte in cui ha negato di conoscere (OMISSIS), sono state logicamente ritenute inattendibili sul rilievo che, data la stretta amicizia con (OMISSIS) e la comune appartenenza associativa, mai avrebbe potuto corroborare le accuse contro (OMISSIS) e (OMISSIS). Nessuna illogicita', incoerenza o carenza argomentativa si apprezza nella parte cui la sentenza impugnata ha escluso una qualche rilevanza alle deduzioni critiche in riguardo al racconto di (OMISSIS) della vicenda che ha interessato l'imprenditore (OMISSIS). Del pari deve dirsi in riferimento alle doglianze difensive in merito al valore di riscontro delle dichiarazioni di (OMISSIS): anche per questa parte le deduzioni di ricorso - che hanno ripreso le argomentazioni spese nel giudizio di appello e su cui la Corte di assise di appello si e' soffermata conducendo un esame esaustivo non fanno apprezzare alcun vizio logico o alcuna insufficienza argomentativa nella compiuta, articolata motivazione. Per quel che poi attiene all'intero complesso di rilievi critici in ordine all'affidabilita' del contributo dichiarativo di (OMISSIS) e di (OMISSIS), la Corte di assise di appello ha, con logiche deduzioni, risolto i tentativi difensivi, ora reiterati, di screditarne la portata probatoria di riscontro, o come meglio ha precisato la Corte territoriale la forza indiziaria, con una radicale considerazione in ordine all'assenza di dati di fatto che possano indurre a ritenere che i due coltivassero una qualche ragione per lanciare gratuite accuse nei confronti di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS). Ha poi aggiunto che quanto da entrambi dichiarato in ordine a periodi comuni di detenzione (a specifiche situazioni carcerarie, di bracci o celle occupati) con coloro da cui ricevettero le informazioni poi riversate nelle dichiarazioni collaborative e' stato puntualmente verificato. In ordine alla ricostruzione del movente le doglianze di ricorso sono manifestamente infondate. La Corte di assise di appello ha fatto puntuale richiamo alla sentenza di primo grado per la parte in cui ha dato conto delle voci testimoniali o comunque dichiarative, di comprovata attendibilita', che hanno avvalorato, secondo quanto sentito, visto o percepito in ambiente carcerario relativamente alla insofferenza negli ambienti di Cosa nostra per l'avv.to (OMISSIS), che in piu' di una occasione aveva portato avanti la strategia difensiva di indurre i propri assistiti ad un franco e costruttivo confronto con l'Autorita' giudiziaria. La Corte di assise di appello ha pure indicato alcuni casi specifici in cui si concretizzo' la indicata linea difensiva, e cio' esclude in radice ogni consistenza al rilievo di ricorso. 2.3. Il terzo motivo e' infondato. Il ruolo attribuito dalle dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS) ad (OMISSIS) ha natura concorsuale, perche' il compito di supervisionare la programmazione dell'aggressione, curandosi di verificare che gli esecutori materiali avessero ben compreso il da farsi, si sostanzia in una compartecipazione attiva ai compiti organizzativi che implicitamente il mandato, di cui (OMISSIS) fu nuovo latore con sicura efficacia rafforzativa, comporta. Come affermato dalla Corte di assise di appello e argomentato con deduzioni logiche e coerenti, non residuano dubbi sull'efficacia concorsuale del suo contributo. Non si ravvisa la dedotta difformita' da quanto indicato in imputazione, ove si attribuisce ad (OMISSIS) il ruolo di mandante: i compiti di supervisione, di assicurazione che il programma criminoso fosse stato curato e ben recepito da quanti erano stati incaricati della sua esecuzione, e' una compartecipazione al mandato con esplicazione di un potere di organizzazione che giustifica il riconoscimento dell'aggravante di cui all'articolo 112 c.p., n. 2 e certo pone l'apporto concorsuale fuori dell'area dei contributi di minima importanza. 2. 4. Il quarto e il quinto motivo sono infondati. Non e' dubbio che scopo dell'aggressione fosse soltanto quello di dare una "lezione" all'avv.to (OMISSIS), una "passata di colpi di legno" che nella programmazione criminosa non avrebbe dovuto condurre all'esito piu' infausto, quale la morte. I referenti mafiosi che avevano commissionato l'azione violenta avevano in animo di portare a compimento una "solenne bastonatura non mortale", ma, come puntualizzato logicamente dalla Corte di assise di appello, l'esecutore materiale, (OMISSIS), tracimo' dagli ordini che aveva ricevuto e che erano stati ribaditi quel giorno stesso da (OMISSIS), e si lascio' andare ad una aggressione particolarmente brutale, dando violente bastonate che causarono immediatamente "la frattura del terzo prossimale del perone e la frattura pluri-frammentaria del terzo prossimale della tibia sinistra". L'aggressione avrebbe potuto arrestarsi, e pero' l'esecutore materiale, pur quando la vittima era ormai caduta a terra, non si limito' a dare ulteriori colpi agli arti o sul tronco e sferro' violentissime bastonate alla testa, cagionando, come accertato in sede medico-legale, "gravissime lesioni cranio-encefaliche...". I plurimi colpi raggiunsero la vittima alla teca cranica, al collo, alla base cranica, alle orecchie e furono violenti e ripetuti, giungendo alla frantumazione della teca cranica. Di qui la logicamente necessaria conclusione della sussistenza del dolo omicida, quanto meno nelle forme dell'accettazione dell'evento lesivo. L'alternativa dolo alternativo-dolo eventuale e' stata prospettata dalla Corte di assise di appello per attestare che in ogni caso, quale che sia la soluzione piu' acconcia alle peculiarita' della vicenda. Correttamente e' stata applicata agli altri concorrenti nel reato la disposizione sul concorso anomalo ex articolo 116 c.p., sulla premessa di due dati che possono dirsi adeguatamente accertati, ossia che non vollero il reato piu' grave posto in essere dal correo esecutore materiale e che l'evento piu' grave che fu conseguenza dell'azione esecutrice non si e' posto in termini di eccezionalita', in dipendenza di fattori non ricollegabili eziologicamente alla condotta criminosa di base - v., in tal senso, Sez. 1, n. 44579 del 11/09/2018, Rv. 273977, secondo cui "in tema di concorso di persone nel reato, la configurabilita' del concorso cosiddetto anomalo di cui all'articolo 116 c.p. e' soggetta a due limiti negativi e cioe' che l'evento diverso non sia voluto neppure sotto il profilo del dolo alternativo o eventuale e che l'evento piu' grave, concretamente realizzato, non sia conseguenza di fattori eccezionali, sopravvenuti, meramente occasionali e non ricollegabili eziologicamente alla condotta criminosa di base" -. La Corte di assise di appello ha correttamente osservato che nella programmazione di un'aggressione alla persona, la degenerazione di quanto programmato in qualcosa di ancor piu' lesivo non e' riconducibile a fattori eccezionali o atipici ma costituisce il logico e prevedibile sviluppo di quanto concordato. Nella giurisprudenza di legittimita' si e' pure affermato, all'esito di una elaborazione che ha valorizzato il principio di personalita' della responsabilita' penale, che "in tema di concorso anomalo ex articolo 116 c.p., l'affermazione di responsabilita' per il reato diverso commesso dal concorrente richiede la verifica della sussistenza di un nesso, non solo causale ma anche psicologico, tra la condotta del soggetto che ha voluto soltanto il reato meno grave e l'evento diverso, che si identifica con il coefficiente della colpa in concreto, da accertarsi, secondo gli ordinari criteri della prevedibilita' del diverso reato, sulla base della personalita' dell'esecutore materiale e del contesto fattuale nel quale l'azione si e' svolta" - Sez. 5, n. 306 del 18/11/2020, dep. 2021, Rv. 280489 -. Le stesse Sezioni unite, seppure in riferimento ad altra fattispecie criminosa, hanno puntualizzato la necessita' della sussistenza della cd. colpa in concreto onde evitare che residuino forme inaccettabili di responsabilita' oggettiva fondate soltanto sul riscontro del nesso causale: hanno cosi' affermato che "in tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte dell'assuntore di sostanza stupefacente e' imputabile alla responsabilita' del cedente sempre che, oltre al nesso di causalita' materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione) e con prevedibilita' ed evitabilita' dell'evento, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale" - Sez. U, n. 22676 del 22/01/2009, Rv. 243381. L'elemento di concretizzazione di un atteggiamento colposo e' colto, nella vicenda accuratamente ricostruita dai giudici di merito, attraverso il tipo di arma utilizzata, descritta alla luce degli esiti lesivi riscontrati sulla vittima come "un corpo contundente a maggior asse verticale, di notevole consistenza, dotato di particolare forza viva" (fl, 9) o come "un grosso bastone plausibilmente ligneo, simile alla gamba di un tavolo" (fl. 10), oltre che nella programmazione dell'azione esecutiva in pieno centro abitato, e quindi con la possibilita' che nell'esecuzione interferisse la presenza di passanti (fl. 11). Non va trascurato, peraltro, che il riferimento giurisprudenziale alla cd. colpa in concreto, nell'evocare un doveroso temperamento di prevedibilita' per la soggettivizzazione della responsabilita' in relazione all'evento non voluto, esprime giocoforza un adattamento delle regole ordinarie in tema di responsabilita' colposa, governate dal legame tra evento e violazione di una specifica regola cautelare, al fenomeno concorsuale, dovendosi tener conto della ineliminabile e centrale mediazione volitiva del concorrente che si determina, con dolo, per un evento diverso e piu' grave. 2.5. Il sesto motivo e' manifestamente infondato. La Corte di assise di appello ha compiutamente motivato il diniego delle attenuanti generiche, in ragione sia del movente che delle caratteristiche oggettive di gravita' del fatto commesso e ha compiutamente motivato la conferma delle statuizioni di primo grado in punto di concreta determinazione del trattamento penale. Ha poi precisato che con l'atto di appello (OMISSIS) non si e' doluto del riconoscimento dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., che ha formato oggetto dei motivi di appello soltanto di (OMISSIS). In ogni caso, pienamente logiche e coerenti sono le affermazioni di sentenza sulla sussistenza dell'aggravante, alla luce del movente della condotta criminosa, si' come compiutamente accertato. 3. Il ricorso di (OMISSIS) non merita accoglimento, per le ragioni di seguito esposte. 3.1. Il primo motivo e' infondato. Sui rilievi di ricorso in punto di valutazione di attendibilita' delle dichiarazioni di (OMISSIS) e di sufficienza dei riscontri alle stesse, si fa richiamo a quanto argomentato per il corrispondente motivo del ricorso di (OMISSIS) (par. 2 e par. 2.1.). Quanto all'affermazione della partecipazione del ricorrente alla conversazione oggetto di intercettazione a cornetta aperta delle ore 19.09,24 del giorno del fatto la Corte di assise di appello ha spiegato le ragioni della individuazione tra i conversanti del ricorrente, sia con il richiamo alle verifiche delle celle di aggancio, che hanno rilevato la presenza di (OMISSIS) nella zona coperta dalla cella ripetitrice, tra le altre, di via dello (OMISSIS), sia con l'osservazione che i conversanti fecero riferimento ai movimenti da farsi con un ciclomotore Scarabeo, esattamente il ciclomotore che risulto' nella disponibilita' al tempo di (OMISSIS). Tutto cio' sullo sfondo di un'accertata assidua frequentazione di (OMISSIS) con (OMISSIS) ed (OMISSIS) e di una costante presenza di (OMISSIS) presso l'agenzia di via dello (OMISSIS). 3.2. Il secondo motivo, attinente alla pretesa qualificazione del fatto come omicidio preterintenzionale, e' infondato per le ragioni gia' illustrate nell'esame del corrispondente motivo di (OMISSIS). 3.3. Il terzo motivo e' infondato. La Corte di assise di appello ha ben spiegato le ragioni del diniego delle attenuanti generiche, sulla base non soltanto dei precedenti penali ma anche della oggettiva gravita' del fatto, dell'estremo allarme sociale che ha prodotto anche sul piano nazionale, della odiosita' del movente. 4. Il ricorso di (OMISSIS) non e' meritevole di accoglimento, per le ragioni di seguito esposte. 4.1. Il primo motivo e' infondato, per la gran parte per le considerazioni gia' espresse in riguardo al motivo del ricorso di (OMISSIS) con cui si e' contestato il giudizio di attendibilita' delle dichiarazioni di (OMISSIS) e si e' negata l'esistenza di idonei riscontri esterni. In riferimento alla persona di (OMISSIS) la sentenza impugnata non ha mancato di evidenziare l'esistenza di un rilevante riscontro con efficacia individualizzante, costituito dalla conversazione intrattenuta dal ricorrente con (OMISSIS) alle ore 20.08,48 e quindi poco prima della violenta aggressione ai danni dell'avv.to (OMISSIS). Si e' gia' detto, trattando dei numerosi dati di riscontro alle dichiarazioni di (OMISSIS) che questi, dopo la conversazione oggetto di intercettazione a cornetta aperta ando' via dall'agenzia di via dello (OMISSIS), recandosi prima a prelevare la mazza di legno e poi ad accompagnare la moglie presso la sala Bingo in cui lavorava. Durante questo tempo, di allontanamento di (OMISSIS) dall'agenzia, (OMISSIS) tento' plurime volte di contattarlo, avendo infine una conversazione telefonica con (OMISSIS) durante la quale si lamento' del fatto che non lo avesse raggiunto, come d'accordo, nel luogo concordato, e lo rimprovero' con durezza per il ritardo. La Corte di assise di appello ha logicamente osservato che toni del rimprovero e inquietudine lasciavano intendere che l'appunto era di cruciale importanza e che la conversazione telefonica ben si spiega alla luce dei movimenti pregressi dei due, che erano stati insieme poche decine di minuti prima per concordare il programma criminoso. E ha poi logicamente escluso che la conversazione telefonica e i rimproveri per il ritardo fossero determinati dalle esigenze di organizzazione di una non meglio precisata lotteria, come invece sostenuto da (OMISSIS). La Corte di assise di appello ha aggiunto, ancora una volta con argomentazioni logicamente ineccepibili, che una lettura coordinata degli avvenimenti di quelle ore che precedettero l'aggressione ai danni dell'avv.to (OMISSIS), dei movimenti degli imputati, dei loro contatti, induce ragionevolmente a ritenere che nel corso della conversazione intercettata a cornetta aperta delle ore 19.09 il terzo interlocutore, impegnato nella messa a punto dei dettagli organizzativi del programma criminoso, era proprio (OMISSIS). 4.2. Il secondo motivo e' infondato. La Corte di assise di appello, come gia' si e' argomentato in merito al corrispondente motivo del ricorso di (OMISSIS), ha ampiamente e logicamente motivato l'esclusione della natura preterintenzionale dell'omicidio, e certo non valgono ad infirmare la tenuta logica della motivazione i rilievi di ricorso. 5. I ricorsi devono pertanto essere rigettati. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che sono liquidate, come da dispositivo, sulla base delle richieste dalle stesse proposte. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili: (OMISSIS) e (OMISSIS), spese che liquida in complessivi Euro 8.000,00, oltre accessori di legge; (OMISSIS) e (OMISSIS), spese che liquida in complessivi Euro 8.000,00, oltre accessori di legge; Camera penale di Palermo "(OMISSIS)", spese che liquida in complessivi Euro 6.030,00, oltre accessori di legge; Consiglio nazionale forense, spese che liquida in complessivi Euro 3.167,00, oltre accessori di legge; Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Palermo, spese che liquida in complessivi Euro 3.686,00, oltre accessori di legge Associazione nazionale per la lotta contro le illegalita' e le mafie "(OMISSIS)", spese che liquida in complessivi Euro 3.645,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TARDIO Angela - Presidente Dott. CAPPUCCIO Daniele - rel. Consigliere Dott. TOSCANI Eva - Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 20/01/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere CAPPUCCIO DANIELE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LOY MARIA FRANCESCA, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore, avvocato (OMISSIS), del foro di ROMA, in difesa di (OMISSIS), che conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 20 gennaio 2022 la Corte di assise di appello di Roma ha confermato quella con cui la Corte di assise della stessa citta', il 28 aprile 2021, ha dichiarato (OMISSIS) colpevole dei reati di cui: a) agli articoli 110 e 56 c.p., articolo 628 c.p., comma 3, n. 1), perche' in concorso col defunto (OMISSIS) - facendo ingresso nel bar tabacchi "(OMISSIS)", entrambi con volto travisato da casco e scaldacollo alzato sul naso; (OMISSIS), impugnando la rivoltella Colt. Cal. 38 special e dirigendosi dietro il banco cassa, puntando la rivoltella contro (OMISSIS), padre della titolare del bar, intimandogli di consegnarli il denaro della cassa; quindi, alla viva reazione della vittima, ingaggiando una violenta colluttazione con la stessa, esplodendo diversi colpi di arma da fuoco, per procurarsi l'impunita' - compiva atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere il delitto di rapina pluriaggravata, non realizzatosi per cause indipendenti dalla propria volonta'; b) agli articoli 110 e 81 c.p., articolo 61 c.p., n. 2, L. 2 ottobre 1967, n. 895, articoli 2, 4 e 7, perche', per commettere il delitto di cui al capo a), in concorso con (OMISSIS), illegalmente deteneva e portava fuori dalla propria abitazione una rivoltella Colt, cal. 38, caricata con 6 cartucce, nonche' una pistola semiautomatica Beretta, cal. 9 x 21; c) agli articoli 110 e 648 c.p., articolo 61 c.p., n. 2), perche' a scopo di profitto e per commettere il delitto di cui al capo a), in concorso con (OMISSIS), acquistava o comunque riceveva la pistola Beretta, provento del delitto di rapina in danno di (OMISSIS); d) agli articoli 110 e 648 c.p., articolo 61 c.p., n. 2), perche' a scopo di profitto e per commettere il delitto di cui al capo a), acquistava o comunque riceveva uno scooter Kymco 150, provento di furto; e) agli articoli 56 e 575 c.p., articolo 576 c.p., n. 1), articolo 61 c.p., n. 2), perche', nelle circostanze di cui al capo a) e per assicurarsi l'impunita', esplodendo tre colpi con la rivoltella Colt, cal. 38, attingendo con un 2Proiettile alla coscia (OMISSIS) a distanza ravvicinata, compiva atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere il delitto di omicidio aggravato; f) agli articoli 82 e 575 c.p., articolo 576 c.p., n. 1), 61, n. 2), perche' esplodendo con la rivoltella Colt, cal. 38, tre colpi, di cui uno attingeva al torace il complice, cagionava la morte di (OMISSIS); g) all'articolo 697 c.p., perche', presso l'abitazione di (OMISSIS), deteneva illegalmente n. 10 cartucce cal. 6,35; e, uniti i reati sotto il vincolo della continuazione e ritenuta la contestata recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale, lo ha condannato alla pena dell'ergastolo, con isolamento diurno per sei mesi, oltre che al pagamento delle spese processuali, e gli ha applicato le sanzioni accessorie previste per legge. 2. In fatto, e' stato accertato, sulla base delle testimonianze acquisite e delle videoriprese delle telecamere del bar tabaccheria "(OMISSIS)", sito in (OMISSIS), ove sono state consumate le condotte delittuose: - che, intorno alle ore 19:00 del (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) si sono recati, a bordo di uno scooter di provenienza furtiva, presso il bar tabaccheria "(OMISSIS)", ciascuno travisato e armato di pistola carica, pure di provenienza delittuosa, con l'intento di commettere una rapina, sfociata, nell'arco di pochi secondi, nel ferimento di (OMISSIS), padre della titolare della tabaccheria, e nell'uccisione di (OMISSIS); - che, appena entrati nel locale, (OMISSIS) si e' dedicato a sorvegliare la sala, impugnando la pistola come strumento di controllo dell'intera area, mentre (OMISSIS) si e' diretto nella zona della cassa scommesse che, puntando minacciosamente l'arma sul fianco di (OMISSIS), gli ha intimato di aprire; - che dall'immediata reazione della vittima e' scaturita una colluttazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS), che ha consentito al secondo di sospingere il rapinatore verso il centro della sala, farlo cadere al suolo e sovrastarlo al fine di disarmarlo, in cio' adiuvato dall'azione della moglie e di uno dei dipendenti dell'esercizio commerciale; - che, nel tentativo di prestare soccorso al complice, (OMISSIS) si e' avvicinato a (OMISSIS) con il braccio alzato, al fine di colpirlo con il calcio della pistola; in quell'istante, egli e' stato, tuttavia, attinto al petto da uno dei tre colpi esplosi, in rapida successione, da (OMISSIS) che, nel frattempo, ancora schiena a terra, non aveva mai distolto il dito dal grilletto, indirizzando l'arma verso il bacino di (OMISSIS) e, indirettamente, di (OMISSIS), il quale, portando le braccia al petto, si e' accasciato al suolo ed ha lasciato cadere la pistola a terra; - che (OMISSIS) ha, quindi, cercato di recuperare l'arma per utilizzarla contro (OMISSIS) e, quindi, darsi alla fuga, obiettivo non raggiunto per il pronto intervento della moglie del barista, che ha allontanato con i piedi la Beretta di (OMISSIS), che ha poscia consegnato all'Ispettore di P.S. (OMISSIS), portatosi sul posto per avere uditi gli spari. 3. Tale ricostruzione del tragico episodio criminoso ha indotto i giudici di primo grado a ritenere (OMISSIS) responsabile di tutte le imputazioni delittuose contestategli: egli, invero, resosi conto dell'impossibilita' di portare a termine la rapina, poiche' ormai bloccato e sovrastato dalla persona offesa, avrebbe posto in essere una condotta delittuosa volta a conseguire l'impunita' dal reato di rapina e diretta a cagionare il grave ferimento o la morte del soggetto passivo, cosi' palesando un atteggiamento psicologico ascrivibile alla categoria del c.d. dolo alternativo. La dinamica del fatto, ha ulteriormente rilevato la Corte di assise, integra, altresi', tipica ipotesi di aberratio ictus, istituto previsto dall'articolo 82 c.p., che ricorre allorquando l'offesa viene cagionata, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato o per altra causa, a persona diversa da quella alla quale essa era diretta: tanto, in ragione del fatto, evidente, che (OMISSIS) agi', con dolo omicidiario, in pregiudizio di (OMISSIS) e, solo per errore nei mezzi di esecuzione, attinse il complice (OMISSIS). Il riscontrato errore non incide sulla responsabilita' penale, sicche' l'imputato risponde di omicidio volontario, a prescindere dalle intenzioni e salva l'applicazione dell'articolo 60 c.p. in relazione alla sussistenza delle aggravanti e attenuanti: in tal caso, infatti, non sono poste a suo carico le circostanze aggravanti che riguardano la qualita' della persona offesa, mentre sono valutate le attenuanti, quantunque supposte per errore. 4. Con la sentenza qui impugnata, la Corte di assise di appello ha integralmente disatteso l'impugnazione proposta da (OMISSIS) avverso la decisione di primo grado. In rito, ha stimato inammissibile, ai sensi dell'articolo 585 c.p.p. e per tardivita', la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale intesa alla visione, nel contraddittorio, dei filmati registrati dalle telecamere di videosorveglianza. Nel merito, la Corte ha separatamente analizzato i due segmenti dell'azione delittuosa: l'uno, relativo al delitto di rapina e comprendente i reati-satellite di ricettazione, riciclaggio e porto illegale di armi; l'altro, riguardante l'omicidio, nella forma tentata e consumata. Ha, specificamente, ritenuto che (OMISSIS) si e' reso autore, in combutta con il defunto (OMISSIS), di una tentata rapina propria, essendosi egli determinato a commettere il delitto, a scopo di profitto patrimoniale, munendosi di mezzi di travisamento e di fuga, nonche' di armi cariche che dovevano servire, asseritamente, al mero scopo di incutere timore ai presenti. La Corte di assise di appello, dopo avere ribadito che l'azione criminosa non e' stata coronata da successo per cause indipendenti dalla volonta' dell'agente, ha ricondotto in via esclusiva la violenza e la minaccia adoperate, sotto forma di intimidazione e aggressione di (OMISSIS) con la pistola, alla volonta' di sottrazione e di impossessamento del bene mobile altrui e qualificato, di conseguenza, la condotta illecita in termini di rapina propria, anziche' impropria, come sostenuto dall'appellante. I giudici di appello hanno, quindi, affermato che la pronta e veemente reazione della vittima ha ingenerato in (OMISSIS) la determinazione cosciente e volontaria di cagionare la morte di (OMISSIS), unico modo per riuscire a fuggire ed a guadagnare l'impunita'. (OMISSIS) - a giudizio della Corte di assise di appello - non ha desistito dall'azione, una volta fallita la rapina, abbandonando o abbassando l'arma, che ha, invece, continuato ad impugnare, puntandola contro il corpo del barista e sparando quattro colpi, di cui tre andati a segno, con l'intento di ucciderlo. Il numero delle munizioni esplose e la rapida successione dei colpi concorre, nella ricostruzione della Corte romana, a comprovare la franca volonta' omicida dell'imputato. Per quanto concerne l'aberratio ictus, la Corte ha reputato l'irrilevanza dell'errore sul soggetto passivo, avendo l'imputato cagionato un'offesa normativamente identica a quella che egli intendeva provocare, sicche', tenuto conto del fatto che l'identita' della persona offesa non e' requisito del fatto tipico e non fa parte dell'oggetto del dolo, e' logico che egli risponda come se avesse commesso il reato che, originariamente, si era rappresentato ed aveva voluto. Con riferimento all'elemento soggettivo, ha concluso, in linea con quanto gia' statuito dai giudici di primo grado, che (OMISSIS) ha agito spinto da dolo diretto e non eventuale, giacche' egli, lungi dal limitarsi a prevedere ed accettare il rischio, si e' rappresentato ed ha voluto l'evento ed ha agito per perseguirlo. Ha ricordato, in proposito, che, in mancanza di circostanze che evidenzino ictu oculi l'animus necandi, valore determinante e' assunto dall'idoneita' dell'azione a produrre l'evento offensivo, che va apprezzata in concreto sulla base di una prognosi formulata ex post, avendo riguardo, tra l'altro, al tipo di arma impiegata e alla sua attitudine offensiva, alla direzione e all'intensita' dei colpi, alla zona del corpo attinta, nonche' alla distanza del bersaglio. Muovendo, in diritto, da tale postulato, la Corte di assise di appello ha rimarcato che (OMISSIS), in quello specifico contesto, aveva precisa cognizione della micidialita' dell'arma impugnata e contezza, altrettanto nitida, delle conseguenze letali che sarebbero scaturite, in modo certo o altamente probabile, dal suo azionamento mediante ripetuta pressione sul grilletto in direzione del bersaglio, condotta che egli ha, cio' nonostante, deliberatamente tenuto nella coscienza dell'impossibilita' di conseguire aliunde l'impunita'. Parallelamente, ha ritenuto l'arbitrarieta' della riqualificazione del fatto nel reato di omicidio preterintenzionale, prospettata dall'appellante, il cui contegno, ha sottolineato, non e' stato sorretto dalla mera intenzionalita' di percuotere o provocare lesioni, in quanto permeato da una consapevolezza che, proprio in virtu' di alcuni indicatori esterni all'azione, attesta la volonta' di cagionare la morte quale conseguenza diretta dell'agire. 5. (OMISSIS) propone, con l'assistenza dell'avv. (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato, nel complesso, a quattro motivi, che saranno enunciati, in ossequio al disposto dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Con il primo, eccepisce l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 576 c.p., comma 1, n. 1), nella parte in cui rinvia all'articolo 61 c.p., n. 2), per violazione del principio di offensivita' in relazione agli articoli 3, 27 e 24 Cost. e articolo 25 Cost., comma 2. Il ricorrente dubita della conformita' a Costituzione dell'assetto normativo delineato dall'articolo 576 c.p., stando al quale, una volta provata la strumentalita' della condotta omicidiaria al fine dell'impunita', l'omicidio deve ritenersi aggravato dalla presenza del nesso teleologico, con conseguente, necessaria applicazione della pena dell'ergastolo, non modulabile - se non attraverso il riconoscimento di circostanze attenuanti da sottoporre a bilanciamento ex articolo 69 c.p. - neanche nell'eventualita' che l'imputato abbia agito perche' mosso da dolo diretto anziche' intenzionale. Segnala che, in tal modo, l'irrogazione di una pena fissa, quale l'ergastolo, in via automatica e senza possibilita' di gradazione, discende dall'applicazione di un'aggravante che, nondimeno, non appare idonea a catalizzare un disvalore ulteriore rispetto all'in se' del fatto omicidiario, tale da giustificare il salto qualitativo in termini sanzionatori dalla pena temporanea a quella perpetua, cio' che, a suo giudizio, comporta una grave violazione dei principi di offensivita' e di proporzionalita', nonche' del principio inerente al fine rieducativo della pena. Ne', aggiunge, tale meccanismo puo' dirsi adeguatamente temperato dal possibile bilanciamento con le circostanze attenuanti che, nota, opera solo in via meramente eventuale ed e', peraltro, precluso in un caso, come quello in esame, in cui non vi e' spazio per l'applicazione di attenuanti comuni o generiche. Appare, del resto, irragionevole, continua il ricorrente, la necessitata irrogazione della massima sanzione, che rischia di tradursi, in concreto, in una risposta sproporzionata per eccesso rispetto all'effettiva gravita', sul piano sia oggettivo che soggettivo, del fatto accertato, avuto riguardo, vieppiu', all'atteggiamento psicologico dell'agente, che finisce con il perdere qualsiasi rilievo, ed al notevole salto di qualita' della pena che consegue all'applicazione della circostanza aggravante del nesso teleologico. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione della legge processuale e vizio di motivazione in relazione alla valutazione della prova ex articoli 192, 585 e 603 c.p.p., con particolare riferimento alla mancata visione delle immagini registrate dalle telecamere installate all'interno dell'esercizio commerciale che e' stato teatro dei fatti di causa, nonche' violazione e falsa applicazione degli articoli 56 e 575 c.p., per insufficienza e contraddittorieta' della motivazione. Sottolinea, al riguardo, che l'attenta disamina, in contraddittorio, delle riprese delle telecamere sarebbe stata di capitale importanza perche' avrebbe potuto condurre ad una valutazione degli eventi sensibilmente diversa da quella compiuta dai giudici di merito. A dire del ricorrente, invero, non sarebbe dato individuare con precisione il momento in cui i colpi lesivi furono esplosi ne' risalire all'identita' dell'autore, atteso che le immagini riproducono una colluttazione assai confusa, nell'ambito della quale (OMISSIS), tangibilmente sopraffatto, non ha capacita' alcuna di controllare il puntamento dell'arma o la pressione del grilletto. (OMISSIS) evidenzia, ancora, che la disamina di filmati ed immagini consente di cogliere l'assenza di una volonta' omicidiaria che, se sussistente, lo avrebbe senz'altro indotto a cogliere le plurime occasioni di ferimento mortale di (OMISSIS) che egli, invece, non ha sfruttato. Eccepisce, anche sotto questo aspetto, che la Corte di assise di appello ha acriticamente mutuato, quanto alla ricostruzione dei fatti di causa, le valutazioni compiute in primo grado, che non ha sottoposto alla dovuta revisione critica, previo diretto accesso alle registrazioni disponibili, anche con riferimento all'esplosione, in sequenza, di tre colpi, che i giudici di merito hanno reputato espressione di volonta' omicida a dispetto del fatto che le immagini non consentono di comprendere, quanto agli ultimi due, come e verso dove l'arma sia stata puntata. Qualora, infatti, il giudice dell'appello avesse visionato i filmati si sarebbe reso conto, opina (OMISSIS), del fatto che i colpi sono stati esplosi in un frangente diverso da quello in cui ha avuto luogo la colluttazione e che le immagini non ritraggono l'arma, cio' che, con ogni evidenza, osta, tanto piu' non potendosi apprezzare il puntamento della pistola, alla possibilita' di desumere, con il prescritto coefficiente di certezza, dalla mera reiterazione degli spari una franca volonta' omicidiaria in capo all'imputato. Il ricorrente ascrive, dunque, alla Corte di assise di appello di avere rinunziato a prendere una sua reale e autonoma posizione sulle specifiche censure mosse con l'atto di impugnazione, individuando il momento degli spari sulla base della gestualita' corporea di alcuni avventori, secondo quanto esposto dal giudice di primo grado, le cui conclusioni ha mutuato senza porsi in confronto con le censure ritualmente articolate con l'atto di appello. Aggiunge, con riferimento alla specifica doglianza relativa al fatto che egli, una volta ingaggiata la colluttazione con (OMISSIS) al di fuori della cassa scommesse, ha perso la capacita' di controllo e di puntamento dell'arma, che la Corte di assise di appello ha omesso il doveroso esame di tale dirimente motivo di impugnazione e si e' limitata a riproporre le risultanze degli accertamenti balistici, silenti in ordine all'effettivo dominio sull'arma e, quindi, alla capacita' di puntamento verso l'obiettivo asseritamente avuto di mira. La circostanza che egli, subito dopo la reazione della vittima, si e' astenuto, in prima battuta, dallo spararle, significativa dell'assenza di volonta' omicida, e' stata, d'altro canto, indebitamente negletta, a giudizio del ricorrente, dalla Corte di assise di appello, che pure era stata sollecitata a riconsiderare, al riguardo, la statuizione del giudice di primo grado che, invece, ha riproposto in forza di un approccio apodittico e stereotipato, in tal modo vanificando, in buona sostanza, la funzione dell'appello. Con il terzo motivo, (OMISSIS) lamenta violazione e falsa applicazione dell'articolo 575 c.p. per mancanza degli elementi costitutivi, oggettivo e soggettivo, della condotta, nonche' insufficienza e contraddittorieta' della motivazione, travisamento della prova e violazione e falsa applicazione del canone di giudizio fissato dall'articolo 533 c.p.p.. Il ricorrente rileva, in proposito, che la visione in contraddittorio dei filmati avrebbe consentito di appurare che, al momento della colluttazione, egli e' stato sovrastato dal contraddittore, successivamente coadiuvato dalla moglie e da alcuni avventori, e che, nel momento in cui, presumibilmente, fu esploso il colpo che cagiono' la morte del (OMISSIS) sull'arma vi era, oltre alla sua mano, quella di (OMISSIS). Considerato, allora, che le immagini riproducono una colluttazione assai confusa, nell'ambito della quale egli viene sopraffatto, con conseguente compromissione della capacita' di controllo e puntamento dell'arma e, vieppiu', restituiscono una rappresentazione del fatto nell'ambito della quale non ricorre, proprio nel momento fondamentale dell'esplosione del colpo che ha colpito (OMISSIS), una chiara visione di quali forze siano state esercitate sulla stessa, appare impossibile, in definitiva, affermare con certezza, id est al di la' di ogni ragionevole dubbio, che il puntamento dell'arma e il tiro del grilletto della stessa siano stati frutto di una condotta e di una forza a lui riferibili in maniera autonoma e consapevole. Ribadisce, sul punto, di avere, sin dall'interrogatorio di garanzia, precisato che egli, avendo avuto, in un primo momento, la possibilita' di neutralizzare (OMISSIS) sparandogli, non si e' avvalso di tale facolta', cosi' dimostrando, nei fatti, di non essere animato da dolo omicida, e specifica che la situazione e' radicalmente mutata una volta iniziata la colluttazione, ovvero quando egli ha, di fatto, perso il pieno controllo sulla pistola, circostanza che lo ha indotto a cercare di recuperare quella gia' nella disponibilita' di (OMISSIS) e, poscia, caduta in terra quando il complice, attinto mortalmente, si e' accasciato in terra. Con il quarto ed ultimo motivo, il ricorrente eccepisce violazione di legge in ordine all'asserito tentato omicidio di (OMISSIS) ed all'omicidio di (OMISSIS), riproponendo, in sostanza, le censure gia' articolate all'atto di lamentare la violazione dell'articolo 603 c.p.p.. Ascrive, in specie, alla Corte di assise di appello di essere incorsa in travisamento della prova laddove non si e' soffermata sulla concreta impossibilita' di identificare attraverso quale puntamento e quali forze, esercitate sull'arma, sia in concreto avvenuta l'esplosione dei colpi ed ha omesso di considerare che il filmato descrive una colluttazione assai accesa durante la quale, per quanto interessa questo secondo momento, l'arma non e' piu' visibile, ne' e' piu' visibile il momento dell'esplosione del secondo e del terzo colpo - espulsi, peraltro, in unica soluzione, a causa di uni' malfunzionamento della cartuccia e rinvenuti, pertanto fusi all'interno del corpo di (OMISSIS) -, ne', ancora, e' possibile dire con certezza quante mani vi fossero sull'arma o ricostruire il puntamento dell'arma. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato e, pertanto, passibile di rigetto. 2. La proposta eccezione di legittimita' costituzionale, per quanto espressamente riferita alle conseguenze, sul piano sanzionatorio, dell'applicazione della circostanza aggravante dell'essere stato commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a se' o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunita' di un altro reato, fornisce al ricorrente il destro per svolgere ampie considerazioni critiche in merito alla compatibilita' della pena perpetua con i principi consacrati nella Carta costituzionale - in primo luogo con quello, stabilito all'articolo 27, comma 3, per cui le pene devono tendere alla rieducazione del condannato - e nelle Convenzioni internazionali sottoscritte dall'Italia. Il tema e' stato, sotto questo aspetto, compiutamente sceverato dalla giurisprudenza costituzionale, che, in molteplici occasioni, ha costantemente ribadito, a partire dalla sentenza n. 264 del 1974 e fino a quella n. 168 del 1994, l'infondatezza della prospettazione del contrasto tra l'ergastolo, da un canto, e l'articolo 27 Cost., comma 3, e 3 CEDU, dall'altro, in ragione della possibilita', riconosciuta dal vigente ordinamento penitenziario, di accedere, al cospetto dei requisiti di legge, alla liberazione condizionale, istituto valorizzato, nella medesima ottica, dalle pronunzie, in argomento, della Corte EDU (cfr., tra le altre, Sez. 2, 11/10/2011, Schuchter c. Italia, n. 68476/10). Tale posizione e' stata, del resto, mutuata, senza eccezione alcuna, dalla successiva produzione della giurisprudenza di legittimita', ferma nell'escludere, in termini che il Collegio condivide e fa propri, il denunziato contrasto tra la previsione dell'ergastolo ed il principio rieducativo, in considerazione "della connotazione polifunzionale della sanzione, comprensiva delle finalita' di prevenzione, generale e speciale, nonche' di difesa e di rieducazione sociale, e della previsione di una disciplina di esecuzione della pena che consente di escluderne in concreto la perpetuita'" (Sez. 1, n. 28579 del 17/03/2022, Caputo, Rv. 283510 - 01),e nel rilevare che "la pena dell'ergastolo, a seguito dell'entrata in vigore dell'ordinamento penitenziario, ha cessato di essere una pena perpetua e quindi non puo' dirsi contraria al senso di umanita', essendo, peraltro, non incompatibile con la grazia e con la possibilita' di un reinserimento incondizionato del condannato nella societa' libera" (Sez. 1, n. 34199 del 12/04/2016, Aguila Rico, Rv. 267656 - 01; Sez. 1, n. 33018 del 29/03/2012, Esposito, Rv. 253430 - 01), come, del resto, attestato dall'elaborazione giurisprudenziale della Corte EDU, che ha ritenuto la pena dell'ergastolo compatibile con i principi di cui all'articolo 3 CEDU, in tutti quei casi in cui la legislazione nazionale consente al soggetto adulto la possibilita' di riesame della pena stessa per commutarla, sospenderla, porvi fine o accordare la liberazione anticipata. 2.1. In questa cornice va inquadrata la questione sollevata dal ricorrente con il primo motivo, che investe, piu' specificamente, la ragionevolezza di una disciplina, quale quella a lui applicata in virtu' del riconoscimento, in relazione agli addebiti di natura omicidiaria, dell'aggravante del nesso teleologico, che determina un sensibile aggravamento di pena, transitandosi da una sanzione temporanea, modulabile tra un minimo ed un massimo in funzione dei criteri previsti dall'articolo 133 c.p., ad una perpetua e fissa, quale l'ergastolo. L'obiezione non coglie nel segno, perche' prende le mosse dalle conseguenze, sul piano sanzionatorio, dell'applicazione di una delle circostanze aggravanti elencate all'articolo 576 c.p. e articolo 577 c.p., comma 1, ovvero dall'apprezzamento di elementi del fatto, afferenti alla sua dimensione obiettiva (quale, ad esempio, l'avere l'agente adoperato sostanze venefiche) o soggettiva (quale la condizione di latitante del reo), che il legislatore ha stimato idonee ad accrescerne il coefficiente di disvalore. Esaminata da quest'angolo prospettico, la piu' severa considerazione riservata alle condotte omicide che siano funzionale alla realizzazione di un diverso reato o a consentire a chi ne sia autore di conseguirne il prezzo, il prodotto o il profitto o di procurarsi, per esso, l'impunita' appare scevra da rilevanti deficit di ragionevolezza e costituisce frutto di una discrezionale scelta del legislatore, insindacabile nell'ottica segnalata dal ricorrente. Ne', va opportunamente aggiunto, possono censurarsi, alla luce degli invocati parametri costituzionali, le modalita' operative individuate dal legislatore, che ha stimato che l'accresciuta gravita' della condotta omicidiaria imponga - in tutti i casi, si ribadisce, elencati all'articolo 576 c.p. e articolo 577 c.p., comma 1, -l'irrogazione della pena perpetua, la cui eventuale mitigazione puo' derivare dal riconoscimento di circostanze attenuanti da sottoporre a giudizio di bilanciamento ex articolo 69 c.p.. E' questo, invero, lo spazio che il giudice di merito puo', in siffatti casi, utilizzare, ove lo ritenga, per attribuire rilievo alle concrete connotazioni della condotta, anche sul piano dell'elemento soggettivo, restando, altrimenti, vincolato all'applicazione della pena perpetua, dalla cui fissita' non discende, per le ragioni sopra gia' esposte, alcun contrasto con i precetti costituzionali. 3. Preliminarmente all'esame dei residui motivi, avendo il ricorrente articolato doglianze anche ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), appare opportuno rilevare che detta disposizione, nel prevedere il sindacato sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, non abilita il giudice di legittimita' ad effettuare un'indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella gia' effettuata dai giudici di merito, dovendo la Corte di cassazione limitarsi a verificare l'adeguatezza delle considerazioni svolte dal giudice di merito per motivare il suo convincimento. La mancanza, la manifesta illogicita' e la contraddittorieta' della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimita', devono, invero, possedere una consistenza tale da risultare percepibili ictu oculi, restando il sindacato al riguardo circoscritto a rilievi di macroscopica evidenza, mentre restano ininfluenti le minime incongruenze e devono considerarsi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano concettualmente incompatibili con la decisione adottata; sempre che, ovviamente, siano spiegate in modo razionale ed adeguato, e senza vizi giuridici, le ragioni del convincimento (in tal senso, conservano validita' i principi affermati da Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). Deve, ancora, escludersi per il giudice di legittimita' la possibilita' di "un'analisi orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti, nonche' i motivi di ricorso su di essi imperniati" e quindi "di fornire risposte circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi", cio' che "si risolverebbe in una impropria riedizione del giudizio di merito e non assolverebbe alla funzione essenziale del sindacato sulla motivazione" (Sez. 6, n. 14624 del 20/03/2006, Vecchio, Rv. 233621), ovvero di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o di adottare nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006, Lobriglio, Rv. 234559). 4. Cio' posto, i tre motivi con i quali (OMISSIS) contesta la legittimita' della decisione impugnata si imperniano su una premessa comune, che attiene alla congruita' delle risposte fornite dalla Corte di assise di appello alle doglianze articolate con l'impugnazione proposta avverso la decisione di primo grado. Il giudice di appello, in proposito, ha programmaticamente richiamato, facendovi integrale rinvio e mutuandone i contenuti, l'iter motivazionale seguito dalla Corte di assise, sicche' il vaglio delle censure articolate con il ricorso per cassazione deve essere compiuto in ossequio al canone, comune presso la giurisprudenza di legittimita', secondo cui "Il giudice di legittimita', ai fini della valutazione della congruita' della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile" (Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Rv. 266617 - 01). Ora, la Corte di assise, alle pagg. 17-22 e, poi, 24-28 della sentenza di primo grado, ha analizzato funditus le emergenze istruttorie relative allo svolgimento del drammatico episodio del quale (OMISSIS) e' stato protagonista. Ha, in particolare, rilevato che le plurime fonti probatorie acquisite confortano in pieno l'impostazione accusatoria e smentiscono, per contro, la versione offerta dall'imputato, tesa a circoscrivere la propria responsabilita' per l'omicidio di (OMISSIS) ed il tentato omicidio di (OMISSIS) sul rilievo dell'accidentalita' dei colpi esplosi dalla rivoltella Colt. Tanto, in ragione del fatto, hanno scritto i giudici capitolini, che (OMISSIS) "nel corso della colluttazione, ha tenuto sempre saldamente impugnata (la rivoltella Colt) nella mano destra, diverse immagini evidenziando anche come tenesse il dito sul grilletto mentre lo (OMISSIS) tentava di disarmarlo e, comunque, cercava di trattenergli la mano proprio per evitare che potesse colpirlo". La Corte di assise ha, altresi', dato conto dell'obiezione difensiva che, nel tentativo di porre in dubbio il carattere doloso dell'azione omicida, fa leva sull'essersi trovato (OMISSIS), nella prima fase, in condizione tale da potere neutralizzare, sparandogli, (OMISSIS), che gli stava di fronte, che ha disatteso sulla scorta delle "video riprese relative ai momenti in cui i due sono dietro la cassa, che non mostrano affatto un'azione di afferramento delle mani da parte dello (OMISSIS), ma piuttosto come questi abbia preso l'imputato in maniera particolare, infilando la testa sotto la sua ascella, cosi' da impedirgli di puntargli la pistola e facendolo cadere in terra di schiena (vedi, in particolare, le riprese della telecamera Ch7...; vedi anche deposizione della persona offesa e del teste oculare (OMISSIS))". Analogamente, ha ricordato che, a dire di (OMISSIS), nella seconda fase della colluttazione, una volta fuori dal banco dedicato alle scommesse, alcune persone, in numero compreso tra due e quattro, sarebbero intervenute, unitamente alla moglie di (OMISSIS), e, nel tentativo di dar manforte alla vittima, che gli bloccava la mano destra, armata, lo avrebbero spinto da tergo, aggredito violentemente e fatto cadere. L'imputato, in altre parole, ha negato di essere stato animato da intento omicidiario e ha affermato piuttosto, concentrato i propri sforzi al fine di impadronirsi del denaro e fuggire e di avere attivamente resistito all'azione di (OMISSIS), astenendosi dal consentirgli di impadronirsi dell'arma che egli teneva saldamente in pugno, per il timore che il commerciante, venuto in possesso della pistola, lo uccidesse. La Corte di assise ha stimato la totale inattendibilita' di tale versione, contraddetta gia' dalle riprese delle telecamere, che escludono, in particolare, la presenza di persone ulteriori, rispetto ai coniugi (OMISSIS), sino alla fase finale della colluttazione, ovvero sino al momento in cui, essendo stati (OMISSIS) e (OMISSIS) attinti dai colpi fuoriusciti dalla Colt, un dipendente ed il cliente (OMISSIS) sono intervenuti riuscendo, finalmente e non senza fatica, a disarmare l'odierno ricorrente. Ha ricordato, ulteriormente, che le circostanze descritte da (OMISSIS) sono state, tutte, "smentite dalle illustrate riprese delle telecamere e da quanto dichiarato dallo (OMISSIS) e dagli altri testi, da cui e' provato che nessuno ha afferrato alle spalle l' (OMISSIS) e percio' egli sia caduto a terra, dove e' finito, invece, per la pronta reazione della vittima", ed aggiunto che "tantomeno risulta, come gia' evidenziato, che vi sia stato l'intervento di terzi (oltre lo (OMISSIS) e la moglie) nei momenti cruciali della colluttazione, in cui ha esploso i tre colpi con la Colt". La Corte di assise, ancora, ha affermato che "Le video riprese e dettagli immagine, al contrario, mostrano ripetutamente che l' (OMISSIS) impugnava la Colt proprio in direzione della vittima, come dalla medesima dichiarato" e che "Soprattutto, il foro d'ingresso e la traiettoria dei (OMISSIS) che hanno rispettivamente attinto lo (OMISSIS) e il (OMISSIS), come accertati, dimostrano che i colpi sono stati esplosi a distanza assai ravvicinata mentre egli teneva l'arma correttamente impugnata con la mano destra, trovandosi steso schiena a terra, sovrastato dallo (OMISSIS) e dal (OMISSIS), avvicinatosi per prestargli supporto; e che in quel preciso momento egli puntava l'arma in direzione del bacino dello (OMISSIS), come sopra ampiamente esposto (in particolare, vedi dettaglio immagini 5 e 6; esame della persona offesa e del CT Sacchetti di cui sopra)". A fronte, allora, dell'asserzione, da parte di (OMISSIS), secondo cui il primo colpo sarebbe partito accidentalmente durante la caduta e quelli residui avrebbero dovuto essere ascritti all'azione di (OMISSIS) e/o di coloro che lo hanno coadiuvato nella reazione, che avrebbe determinato l'involontaria pressione sul grilletto, la Corte di assise ha, seccamente, replicato che "invece, e' provato che fu proprio lui ad esplodere, attraverso l'azione necessaria del premere il grilletto, portandolo a fondo e poi tirando ancora, come ha chiarito il teste (OMISSIS)" e rilevato, inoltre, che "Le riprese delle telecamere e i dettagli immagine smentiscono anche la circostanza specifica, ripresa dall' (OMISSIS) nel corso dell'esame dibattimentale (...) che la moglie dello (OMISSIS), intervenuta nel corso della colluttazione, gli avrebbe puntato la pistola (del complice) in faccia e percio' avrebbe temuto per la sua vita", risultando, piuttosto "come la (OMISSIS) sia stata pronta a spingere velocemente la pistola del (OMISSIS) lontano e non a caso, dal momento che l' (OMISSIS) stava provando a recuperarla con la mano sinistra che aveva libera". Il giudice di primo grado ha, ulteriormente, segnalato che "riprese delle telecamere e dichiarato testimoniale evidenziano che non ha desistito dall'azione, mollando l'arma, neppure quando si rese conto che il (OMISSIS) era stato attinto, cercando anche di recuperarne la pistola, e quanto sia stato faticoso disarmarlo da parte dello (OMISSIS), coadiuvato dalla moglie, dal dipendente e dal (OMISSIS)". La ricostruzione dei fatti di causa operata dal giudice di merito ha indotto il convincimento che (OMISSIS) abbia agito animato, in pregiudizio di (OMISSIS), da dolo diretto, nella forma del dolo alternativo. Egli, invero, era pienamente consapevole, a giudizio delle Corti romane (il punto e' ripreso e sviluppato dalla Corte di assise di appello alla pag. 23 della sentenza impugnata), sia della offensivita' del mezzo adoperato che delle conseguenze, facilmente prevedibili, della condotta realizzata, in tal senso deponendo, e' stato a chiare lettere ribadito, che l'istruttoria dibattimentale ha escluso la possibilita' di un'esplosione accidentale dei colpi di pistola sia sotto un profilo strettamente tecnico che alla luce di quanto emerso dalle immagini registrate, dalle dichiarazioni rese dai testimoni e dagli esiti degli accertamenti balistici e medico-legali. (OMISSIS), quindi, ha agito con previsione e volizione, in via alternativa, della morte o del ferimento della vittima, mezzo imprescindibile, in quel contesto, per guadagnare la fuga e garantirsi l'impunita'. 5. Al cospetto di un percorso argomentativo che trova i propri capisaldi nella sinergica valutazione del composito compendio istruttorio, il ricorrente reitera, con i motivi di ricorso, le obiezioni che, gia' sottoposte all'attenzione della Corte di assise di appello, sono state disattese attraverso l'integrale adesione alle considerazioni svolte dal primo giudice. Sostiene, al riguardo, che la visione dei filmati captati dalle telecamere di sorveglianza avrebbe condotto a conclusioni assai meno nette di quelle raggiunte dai giudici di merito, precipuamente per quanto concerne: - l'identita' del soggetto che esplose i colpi che attinsero (OMISSIS) e (OMISSIS) e, specularmente, la possibilita', per il rapinatore, di governare l'arma in autonomia, in quei caotici e drammatici istanti, con riferimento sia al puntamento che alla pressione sul grilletto; - la successione temporale delle esplosioni; - l'atteggiamento serbato da (OMISSIS) nel momento in cui, trovandosi di fronte (OMISSIS), con ogni evidenza intenzionato a non restare inerte davanti alla minaccia della pistola puntata stersianella sua direzione, si astenne, pur avendone la possibilita', dal far fuoco al suo indirizzo, mantenendo analogo contegno anche quando, vedendo (OMISSIS) che, venuto in suo soccorso, cercava di colpire (OMISSIS) con il calcio della Beretta, resto', in prima battuta e per qualche secondo, inerte, cosi' rinunziando a sparare al commerciante, in quell'istante a portata di tiro. L'approfondimento istruttorio si sarebbe appalesato tanto piu' necessario, nota il ricorrente, in quanto vertente su circostanze di fatto sicuramente incidenti sull'apprezzamento, effettuato in ossequio al canone indicato all'articolo 533 c.p.p., comma 1, della sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di omicidio tentato e consumato. Non conoscendosi, infatti, chi, nell'occasione, ha governato la Colt, quale distacco temporale vi sia stato tra il primo colpo e quelli successivi ed essendo, al contrario, provato per tabulas che i rapinatori, mossi da un obiettivo di natura esclusivamente economica, non avevano in alcun modo messo in conto il possibile utilizzo delle armi per attentare alla vita della vittima, dovrebbe giocoforza pervenirsi alla presa d'atto della sostanziale, irredimibile equivocita' del compendio istruttorio, come tale non idoneo a supportare l'affermazione della penale responsabilita' in ordine a reati di massima gravita' e, percio', sanzionati con la pena perpetua. L'eccezione non coglie nel segno, perche' priva di attitudine ad incrinare la solidita' della sentenza impugnata nella chiave della ricostruzione del fatto cosi' come della sua qualificazione giuridica. Si e' visto, sopra, che i giudici di merito hanno tratto argomento, oltre che dalle immagini registrate dalle telecamere, dalle dichiarazioni rese dai testimoni - e, in primis, dalla persona offesa e da (OMISSIS) - nonche' dagli esiti degli accertamenti balistici e medico-legali, tutti coerenti nell'attestare, innanzitutto, che il colpo che uccise (OMISSIS) fu esploso mentre l'arma era impugnata da (OMISSIS) con la mano destra, che (OMISSIS), al contempo, cercava di bloccargli. Le immagini, in particolare, documentano che, se, alle ore 01:55:02, (OMISSIS), schiena a terra, tiene la pistola puntata in direzione dello (OMISSIS), che lo sovrasta, dopo appena un secondo due degli astanti ( (OMISSIS) ed altro giovane avventore) compiono, con la testa, un gesto espressivo di naturale reazione all'esplosione di un colpo d'arma da fuoco, ripetuto da (OMISSIS) dopo appena due secondi; e' questo l'acme della tragedia, che si sviluppa ed esaurisce nel giro di pochissimi secondi, tanto che alle 01:55:10, (OMISSIS) viene bloccato dai coniugi (OMISSIS), cui, di li' a poco, si unisce (OMISSIS). Ora, i giudici di merito hanno cura di sottolineare che le immagini registrate in questo lasso temporale - cioe' dalle 01:55:02 fino, quantomeno, alle 01:55:10 - ritraggono (OMISSIS) nell'atto di impugnare la Colt, con il dito piegato sul grilletto, cio' che, e' agevole notare, appare perfettamente coerente, oltre che con i dati tecnici, con la descrizione di quegli attimi effettuata da (OMISSIS) e (OMISSIS), il quale ha, in particolare, riferito che "in quel preciso istante (il (OMISSIS) che cascava, finendo col travolgere anche lui) vide chiaramente che l' (OMISSIS), sovrastato dallo (OMISSIS), teneva la pistola nella mano destra, puntata nella loro direzione (sua e del (OMISSIS)) che era poi quella dello (OMISSIS)". Per quanto concerne lo iato che ha separato le diverse esplosioni, la conclusione raggiunta dai giudici di merito poggia sulla coordinata considerazione: del racconto di (OMISSIS) e (OMISSIS); della reiterazione, da parte del secondo, del movimento della testa sintomatico dell'avere egli udito un boato; dell'apporto del consulente del pubblico ministero, prof. (OMISSIS), il quale, pur non potendo esprimersi in termini di certezza, ha ipotizzato che i colpi siano stati esplosi in rapida successione. Rebus sic stantibus, ineccepibile si palesa, dal punto di vista della coerenza logica e della compatibilita' con le evidenze disponibili, la decisione impugnata nella parte in cui stima non necessario - nell'ottica propria dell'articolo 603 c.p.p. - procedere alla visione, in contraddittorio, dei filmati registrati dalle telecamere di sorveglianza, e ritiene, piuttosto, che possano mutuarsi le valutazioni operate dalla Corte di assise rispetto alle quali, e' opportuno rimarcare, il ricorrente si colloca in una posizione di sterile confutazione, non accompagnata dall'esposizione di elementi che ne attestino la fallacia, al di la' del racconto offerto dall'imputato, la cui inattendibilita' e' stata sancita dai giudici di merito con il supporto di argomentazioni del pari aliene da fratture razionali. L'approccio critico del ricorrente si palesa, dunque, affetto da irrimediabile genericita', laddove omette di confrontarsi con fonti di prova - quali le dichiarazioni testimoniali e gli esiti delle indagini tecniche - che hanno concorso in misura significativa ad orientare il convincimento del giudice e, al contempo, improduttivo, nella parte in cui si lamenta che la Corte di assise di appello abbia conformato la propria valutazione a quella del primo giudice in ordine ad aspetti, quale quello che attiene alla gestualita' corporea di taluni avventori, che, nella loro storicita', non sono in alcun modo revocati in dubbio. Non merita miglior sorte, poi, la doglianza, vertente sul requisito psicologico degli addebiti omicidiari, che trae spunto dall'avere (OMISSIS), fino a un certo momento, tenuto un contegno sintomatico di meno cruente intenzioni. I giudici di merito hanno a piu' riprese esposto che (OMISSIS) era originariamente animato, al pari del correo, da pulsioni di tipo essenzialmente economico e che l'utilizzo delle pistole avrebbe dovuto sortire, nelle previsioni dei rapinatori, un effetto meramente minatorio. I due, tuttavia, erano, ab initio, perfettamente consapevoli che, all'occorrenza, si sarebbe potuta presentare la necessita' di impiegare le armi a scopo offensivo della vita e dell'incolumita' personale altrui, che si e' concretizzata, nel caso in esame, quando (OMISSIS) ha compreso che la vittima, determinata ad impedirgli, ad ogni costo, di consumare l'atto predatorio, non gli avrebbe consentito di prelevare il bottino ne' di fuggire. La coscienza che, qualora egli non si fosse servito della rivoltella esplodendo colpi all'indirizzo di (OMISSIS), le cose avrebbero preso una piega disastrosa ha, dunque, indotto (OMISSIS), secondo i giudici di merito, ad abbandonare il contegno di cauto attendismo assunto non appena (OMISSIS) aveva cercato di inibirgli l'attuazione del proposito criminoso ed a cercare di avere la meglio su di lui, in una colluttazione i cui esiti si preannunciavano quantomeno incerti, sparandogli addosso e cosi' provocando, per aberratio ictus, la morte del complice e, in immediata sequenza, il ferimento del commerciante di origine cinese. Un ragionamento, quello seguito dai giudici di merito, che non soffre delle carenza logiche adombrate dal ricorrente e che si mantiene, piuttosto, all'interno del fisiologico margine di apprezzamento riservato al giudice di merito, le cui determinazioni, come enunciato in premessa, sono suscettibili di sindacato in sede di legittimita' solo in presenza di falle ricostruttive, contraddizioni, travisamenti che, nella fattispecie, non e' dato ravvisare. 6. Dal rigetto del ricorso discende la condanna di (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., comma 1, primo periodo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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