Sentenze recenti parcheggi privati ad uso pubblico

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2357 del 2024, proposto da: Co. Consorzio Ge. In., in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Ce., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; contro Comune di Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Ma., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; nei confronti Sa. - Se. per l'a. S.r.l., in liquidazione, non costituita in giudizio; per l'annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione sesta, n. 1272/2024. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Caserta; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 105, comma 2 e 87, comma 3, cod. proc. amm.; Relatore il Cons. Laura Marzano; Uditi, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, l'avvocato Pa. Ce. e l'avvocato Ma. Me. in sostituzione dell'avvocato Pa. Ma.; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Co., Consorzio Ge. In. in liquidazione (per brevità "Consorzio"), ha impugnato la sentenza n. 1272 del 26 febbraio 2024 con cui il Tar Campania, sezione VIII, ha dichiarato il difetto di giurisdizione sul ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto per l'annullamento dell'ordinanza del comune di Caserta n. 54542 del 3 maggio 2023 di sgombero e rilascio del compendio immobiliare denominato "parcheggio interrato di Piazza (omissis)" ubicato in Caserta, al Viale (omissis) e della nota n. 61752 del 19 maggio 2023 a firma del dirigente ing. Lu. Vi.. Il Comune appellato si è costituito nel presente grado di giudizio eccependo l'inammissibilità dell'appello. Alla camera di consiglio del 28 maggio 2024, sentiti i difensori presenti, la causa è stata trattenuta in decisione. Devono essere tratteggiati i fatti di causa. 2. Il Consorzio, costituito nel 1990, a seguito di procedura ad evidenza pubblica si è aggiudicato il servizio di progettazione, costruzione e successiva gestione - in regime di concessione - dell'infrastruttura di parcheggio sotterraneo attualmente ubicata sotto il piazzale del museo Reggia di Caserta. Il comune di Caserta, nella qualità di ente procedente, avendo adottato i provvedimenti volti a regolare i rapporti e le obbligazioni tra le parti, affermava di avere disponibilità dei luoghi e di essere titolare del potere di definirne la destinazione e l'utilizzo. L'amministrazione comunale, infatti, promuoveva e ratificava ogni iniziativa relativa all'utilizzo e alla destinazione ad uso pubblico del bene. In virtù di tanto, la società realizzava l'infrastruttura e ne avviava la gestione, proseguita negli anni fino ad oggi. Nello specifico, la vicenda ha avuto il seguente svolgimento. Con delibere CIPE del 3 agosto 1988 e 29 marzo 1990 venivano stanziati i fondi relativi alla realizzazione dei progetti per due parcheggi sotterranei da ubicare in via (omissis) ed in piazza (omissis) a Caserta. Con successiva delibera del Consiglio comunale n. 106 del 18 ottobre 1990, integrata con delibera di Giunta n. 807 del 21 giugno 1991, l'amministrazione decideva di unificare i due parcheggi e deliberava di affidare la realizzazione del Piano parcheggi e viabilità connessa all'Associazione te. d'I. costituita dalla società It. spa (subentrata all'I. spa, entrambi soggetti interamente pubblici) e dal Consorzio CO.: in esecuzione delle menzionate delibere il comune di Caserta, con atto notarile n. 76636 del 10 ottobre 1991, stipulava apposita convenzione con la suddetta ATI. Con convenzione n. 197/90, stipulata il 13 marzo 1992 tra il comune di Caserta e l'Agenzia per la promozione dello sviluppo del mezzogiorno, veniva finanziato il progetto per la realizzazione del parcheggio sotterraneo sito in Caserta, alla piazza (omissis). In particolare, in tale atto il comune di Caserta assicurava, sotto la propria responsabilità, che "per l'esecuzione dell'opera come risultante dal progetto esecutivo non sussistevano impedimenti di sorta per l'espletamento di tutti gli adempimenti di legge e regolamentari per consensi, autorizzazioni, permessi, pareri di qualunque Autorità, di Enti o di terzi comunque in causa per le opere di che trattasi". Nella stessa convenzione era previsto, all'art. 2, che "il Concessionario provvederà in primo luogo alla realizzazione ed alla successiva gestione del parcheggio ubicato in Piazza (omissis), quale risulta dall'unificazione dei precedenti progetti di due distinti parcheggi in Piazza (omissis) e Via (omissis) ai sensi della predetta delibera consiliare del 18 ottobre 1990, n. 106". Ancora prima del completamento delle opere il comune aveva richiesto al Consorzio di avviare le attività di gestione del parcheggio ed aveva riconosciuto in favore di quest'ultimo il diritto al rimborso di alcuni oneri conseguenti alla gestione in perdita dello stesso. Nell'attesa della sottoscrizione degli atti aggiuntivi alla convenzione di concessione, su espressa richiesta del comune, nel 2001, veniva avviata la gestione provvisoria del parcheggio. L'amministrazione comunale, tuttavia, non provvedeva a stipulare gli atti aggiuntivi previsti dall'atto di concessione, né si adoperava per costituire il diritto di superficie previsto in convenzione, talché il Consorzio - viste le difficoltà finanziarie causate dai ritardati pagamenti da parte del comune - era costretto a sospendere la gestione del parcheggio. Il comune di Caserta richiedeva però immediatamente la riattivazione del servizio, ritenendo "assolutamente necessario che tutte le attività connesse alla gestione del parcheggio non vengano interrotte". In particolare, con nota del 28 aprile 2008, il comune rappresentava al consorzio appellante che "data la complessità del rapporto e le notevoli implicazioni che la gestione del parcheggio comporta nel sistema della mobilità cittadina appare non opportuno prevedere la sua chiusura". A seguito di numerosi solleciti volti a compulsare la costituzione del diritto di superficie, con Protocollo di intesa del 21 luglio 2009, il comune di Caserta e il Demanio si impegnavano ad effettuare una permuta di edifici ed aree delle loro rispettive proprietà : tra i beni oggetto dell'accordo figuravano anche cui l'area denominata "campetti antistanti la Reggia" e il "sottostante parcheggio interrato a due piani", che venivano inclusi tra i beni demaniali da trasferire all'ente locale. Solo in quel momento emergeva, dunque, che il comune di Caserta, fin dagli anni '90, aveva compiuto atti di disposizione di un suolo di proprietà del demanio statale e che, in assenza di un trasferimento da parte dello Stato, il comune mai avrebbe potuto legittimamente costituire il diritto di superficie in favore del concessionario, né adottare una serie di provvedimenti relativi alla definizione dei rapporti con il concessionario. In data 5 giugno 2012, il comune di Caserta trasmetteva al concessionario una nota con cui l'Agenzia del demanio aveva richiesto al comune "la riconsegna del menzionato complesso demaniale libero di persone e cose". Con successivo provvedimento prot. n. 61463 del 31 luglio 2012, il comune di Caserta disponeva "di annullare l'atto di concessione della gestione del parcheggio; di dichiarare che tale atto è comunque nullo per le ragioni sopra indicate; di dichiarare risolta e comunque priva di validità e di effetti, per le ragioni di cui in premessa, la convenzione del 1991; in ogni caso, per le ragioni indicate nel paragrafo sugli inadempimenti e sulle violazioni del Consorzio Co., di dichiarare la decadenza della concessione di gestione e della convenzione accessiva; di ordinare al Consorzio Co. di liberare il parcheggio sotterraneo di piazza (omissis) e di restituirlo al Comune di Caserta entro 60 giorni dalla notifica e comunicazione del presente provvedimento; di riservarsi ogni determinazione in ordine ai rapporti patrimoniali con il Consorzio Co. all'esito di una più approfondita verifica anche in ordine allo stato del parcheggio al momento della sua restituzione". In sintesi, l'Agenzia del demanio, in qualità di proprietaria dei suoli, chiedeva la riconsegna dell'immobile; viceversa, il comune ne chiedeva la restituzione in proprio favore. Di fatto, nella vigenza del rapporto concessorio con il comune di Caserta e stante la confusione circa la proprietà del bene alla luce del Protocollo di intesa del 2009, il concessionario non avrebbe potuto retrocedere l'infrastruttura ad un ente terzo, pena la violazione degli obblighi contrattualmente assunti con la convenzione stipulata nel 1991. La situazione restava invariata sino al 2017, allorquando - nella pendenza di alcuni giudizi - l'Agenzia del demanio dava parere favorevole al trasferimento della proprietà in favore del comune di Caserta, che dava atto dell'acquisizione del bene al proprio patrimonio con delibera consiliare del 12 luglio 2017, n. 71. Poco dopo, con delibera del Consiglio comunale n. 24 del 17 aprile 2018, il comune di Caserta approvava il "Piano delle Alienazioni e delle Valorizzazioni del patrimonio immobiliare disponibile non strumentali all'esercizio delle funzioni istituzionali", inserendo tra gli immobili suscettibili di alienazione l'infrastruttura adibita a parcheggio ed oggetto del provvedimento per cui è causa. La pendenza del contezioso in ordine alla legittimità dell'annullamento in autotutela dell'atto di concessione - conclusosi solo nell'anno 2021 - e l'incertezza sulla validità o meno degli impegni contrattuali assunti, hanno impedito al concessionario (ma anche al comune) di assumere determinazioni in ordine al rilascio dell'infrastruttura, perdurando la vigenza degli impegni contrattuali - la cui nullità è stata accertata in via definitiva solo nel 2021 - che imponevano la prosecuzione nella gestione per ragioni di interesse pubblico. Il comune, peraltro, dall'avvenuta adozione del menzionato provvedimento di annullamento in autotutela del 2012 fino alla notifica dell'ordinanza di sgombero oggetto del presente giudizio - dunque per oltre 10 anni - ha consentito la prosecuzione della gestione dell'infrastruttura, pur avendo annullato l'atto concessorio. Il provvedimento di annullamento in autotutela veniva impugnato innanzi al Tar Campania il quale accertava che l'amministrazione comunale di Caserta non aveva titolo per disporre delle aree in questione e che pertanto tali beni erano insuscettibili di formare oggetto di atti di disposizione materiale e giuridica da parte del comune stesso: pertanto con sentenza n. 2661 del 14 maggio 2014, il Tar respingeva il ricorso e affermava, tra l'altro che "le obbligazioni assunte dal Comune concedente in ordine alla costituzione di un diritto di superficie, indispensabile per la costruzione e la successiva gestione del parcheggio, hanno geneticamente un oggetto giuridicamente impossibile, attesa la natura demaniale dell'immobile, non rientrante nella disponibilità dell'ente comunale. Pertanto, la relativa convenzione risulta affetta da nullità per impossibilità dell'oggetto, in base agli artt. 1418 e 1346 c.c." e osservava che "il comportamento delle amministrazioni dello Stato nel corso degli anni, pur manifestando la conoscenza dell'iniziativa fin dalla sua origine, palesa una tollerante inerzia per le iniziative del Comune e, tutt'al più, la disponibilità ad esplorare possibili soluzioni, senza tuttavia mai pervenire all'adozione di atti definitivi dai quali sia possibile evincere una manifestazione espressa di volontà equipollente ad una cessione o concessione dell'area in questione". In sintesi, il Tar Campania affermava la legittimità del provvedimento di annullamento in autotutela stante la indisponibilità del bene oggetto di convenzione e accertava che tale circostanza era ben nota a tutte le amministrazioni resistenti fin dal momento della stipula della convenzione con il concessionario. La sentenza veniva sostanzialmente confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 5231 del 24 luglio 2019, ancorché con motivazione parzialmente diversa da quella del primo giudice. Ulteriore conferma della statuizione avveniva a seguito di ricorso per cassazione, concluso con ordinanza di rigetto n. 36595/2021. In definitiva, all'esito dell'intero contenzioso, veniva accertato che il comune non aveva disponibilità delle aree oggetto di affidamento in concessione e che pertanto la progettazione, costruzione e gestione del parcheggio era avvenuta, ab origine, sine titulo. A seguito della cessazione del rapporto concessorio e fino all'adozione dell'ordinanza impugnata nel primo grado di giudizio, il comune di Caserta non ha assunto determinazioni chiare in ordine alla natura e all'uso cui intende destinare il bene. Il parcheggio, infatti, è stato inserito tra gli immobili suscettibili di alienazione e facenti parte del patrimonio disponibile non strumentale all'esercizio di funzioni istituzionali. Il nuovo Piano delle alienazioni e valorizzazioni adottato nel mese di gennaio 2022 e relativo al triennio 2022-2024 ha poi qualificato il bene come suscettibile di valorizzazione. L'infrastruttura, in seguito, è stata sottoposta a procedura esecutiva da parte della società Sa. in liquidazione, che vantava crediti nei confronti del comune per un ammontare complessivo di circa 43 milioni di euro ed aveva pertanto individuato nell'area in questione il bene da sottoporre ad esecuzione forzata. Il relativo pignoramento immobiliare veniva regolarmente trascritto nel mese di gennaio 2023, per poi cessare i propri effetti in conseguenza dell'adempimento parziale da parte Comune. Tali essendo gli antefatti, con ordinanza dirigenziale n. 5454 del 3 maggio 2023 il comune di Caserta premesso che "è interesse dell'ente comunale rientrare nel possesso e nella disponibilità del parcheggio interrato nell'area sottostante Piazza (omissis), bene immobile che il Comune intende valorizzare mantenendone in ogni caso l'uso pubblico" ed osservato che "l'articolo 283 comma 2 del codice civile, nel disciplinare la condizione giuridica del demanio pubblico stabilisce che spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del patrimonio dello stesso, e che essa alla facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso" ed ancora che "l'autotutela patrimoniale delle amministrazioni pubbliche è esercitabile nei confronti dei beni appartenenti anche al demanio e al patrimonio indisponibile dell'ente comunale per effetto del combinato disposto degli articoli 826 comma 3 e 828 (...) la facoltà di autotutela esecutiva amministrativa per rientrare nel possesso della disponibilità del bene", ha ordinato al Consorzio il rilascio dell'area denominata "Parcheggio interrato di piazza Carlo 12 III", ubicato in Caserta, viale (omissis) intimando "di lasciare entro 15 giorni il compendio immobiliare libero da cose e/o persone al fine di consentirne il pieno e libero utilizzo da parte del Comune di Caserta per le proprie finalità pubbliche". Infine avvertiva che, decorso inutilmente il termine di 15 giorni dalla data della notifica del provvedimento, l'amministrazione avrebbe proceduto all'esecuzione forzata con l'ausilio della forza pubblica. Ancora, in data 8 maggio 2023, la società Sa., stante il perdurante inadempimento del comune di Caserta, provvedeva a notificare un nuovo pignoramento per la parte residua del credito: la procedura esecutiva veniva poi rinnovata con notifica del precetto e pignoramento del 29 febbraio 2024. 3. Con il ricorso introduttivo del giudizio incardinato innanzi al Tar Campania l'appellante, nella qualità di gestore di fatto del parcheggio interrato sito in Caserta, alla piazza (omissis) di Borbone, ha impugnato l'ordinanza dirigenziale di sgombero adottata dal comune di Caserta in data 3 maggio 2023, n. 5454, chiedendone l'annullamento. Tra i motivi di ricorso deduceva l'illegittimità del provvedimento in quanto, a suo dire, il potere di polizia demaniale sarebbe stato esercitato su un bene immobile facente parte del patrimonio disponibile dell'amministrazione: sarebbe mancato pertanto il presupposto per l'esercizio del potere autoritativo. Osservava che la natura disponibile del bene si evincerebbe dagli atti di pianificazione delle risorse, adottati dall'amministrazione comunale, che ha inserito il cespite nel Piano delle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare, sicché sarebbe provato che l'immobile in questione ha natura di bene disponibile e non strumentale all'esercizio delle funzioni. Con ordinanza n. 902 del 25 maggio 2023, il Tar accoglieva la domanda cautelare rilevando che, "ad un primo sommario esame, sembra sussistere la giurisdizione del giudice amministrativo, non essendo in contestazione il difetto di attribuzione in capo al Comune quanto, piuttosto, il non corretto esercizio, in relazione ai presupposti di fatto, del potere in concreto esercitato"; e che "sembra fondata la censura con la quale parte ricorrente lamenta che, a fronte di un bene appartenente al patrimonio disponibile del Comune (come sembrerebbe evincersi dall'inclusione dello stesso nel Piano delle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare disponibile di cui alla delibera di G.C. n. 14 del 28 gennaio 2022 e, prima ancora, alla delibera di C.C. n. 24/2018 - cfr. art. 58, comma 2 del d.l. n. 112/2008), l'attivazione del potere di autotutela esecutiva ex art. 823, comma 2 c.c. non era consentita". Il comune di Caserta, nel costituirsi in giudizio in primo grado, ha depositato l'atto, adottato il 19 maggio 2023 dal dirigente dell'ente locale ing. Vi., in cui si afferma che "da verifiche effettuate è emerso che l'impianto denominato Piazza (omissis) è inserito nell'inventario come beni immobili di uso pubblico per natura o destinazione e pertanto lo stesso non ricade nei beni immobili patrimoniali disponibili". L'atto richiama, sul punto, la delibera di Giunta comunale n. 183/2019, successivamente impugnata con ricorso per motivi aggiunti. Con la sentenza n. 1272 del 26 febbraio 2024 il Tar ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, individuando quale giudice munito di giurisdizione quello ordinario: la motivazione si fonda sul richiamo dell'ordinanza regolatoria delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 255 del 4 gennaio 2024. 4. L'appello è affidato a due motivi. Con il primo motivo si deduce error in iudicando in relazione alla declinatoria di giurisdizione. In sintesi l'appellante fa presente che uno dei motivi di ricorso investiva l'illegittimità del provvedimento impugnato per carenza dei presupposti per l'esercizio del potere: si trattava, infatti, di un provvedimento emanato dall'amministrazione comunale nell'esercizio del potere autoritativo di polizia demaniale su un bene facente parte del patrimonio disponibile e che a fronte di un siffatto provvedimento, il destinatario dell'atto non può che assumere una posizione giuridica di interesse legittimo. Quindi lamenta che, nella sentenza, il Tar avrebbe declinato la giurisdizione richiamando un precedente delle sezioni unite della Corte di Cassazione, che avrebbe deciso una fattispecie del tutto diversa da quella in esame. Nel caso di specie infatti non sarebbe possibile affermare che il provvedimento impugnato sia stato adottato dall'amministrazione nella gestione di un rapporto iure privatorum, né potrebbe esservi ricondotto in via esegetica qualificandolo, a posteriori, come mera "diffida". In definitiva ritiene che il provvedimento impugnato in primo grado si configuri come atto autoritativo illegittimo, in quanto viziato per carenza di potere in concreto, con conseguente radicamento della giurisdizione amministrativa. Con il secondo motivo sono riproposti i motivi formulati in primo grado. 5. L'appello è fondato. La narrazione dei fatti di causa si è resa necessaria per perimetrare l'oggetto del presente giudizio e per chiarire quale sia l'origine del provvedimento impugnato in primo grado. L'ordinanza dell'11 maggio 2023, adottata dal dirigente del comune di Caserta, rappresenta l'atto conclusivo di un rapporto concessorio che, essendo stato dichiarato nullo dal giudice amministrativo, impone al comune di rientrare nella disponibilità del bene concesso. Osserva il Collegio che, nel caso di specie, il comune non ha agito in posizione paritetica con il concessionario bensì esercitando poteri chiaramente autoritativi: la differenza tra la vicenda esaminata dalle sezioni unite e la fattispecie in esame è, peraltro, agevolmente ricavabile proprio dall'ordinanza richiamata dal Tar, di cui si dirà nel prosieguo. Dal provvedimento impugnato in primo grado risulta testualmente che lo stesso è stato adottato ai sensi dell'art. 823, comma 2, del codice civile, il quale nel disciplinare la condizione giuridica del demanio pubblico stabilisce che "spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che ne fanno parte del demanio pubblico. Essa ha la facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso, regolati dal presente codice". Richiamata e trascritta la suddetta norma il dirigente prosegue ricordando: "che l'autotutela patrimoniale delle Amministrazioni pubbliche è esercitabile nei confronti di beni appartenenti anche al patrimonio indisponibile dell'ente comunale per effetto del combinato disposto degli artt. 826, comma 3, e 828 c.c."; che "nella fattispecie, ricorre la facoltà di autotutela esecutiva amministrativa per rientrare nel possesso della disponibilità del bene sopra citato"; che "l'art. 21ter, comma 1, della legge n. 241/90, prevede che "nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l'adempimento degli obblighi nei loro confronti. Il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità dell'esecuzione da parte del soggetto obbligato. Qualora l'interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all'esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge"". Dunque il dirigente ha inteso spendere il potere di autotutela esecutiva sul presupposto, affermato nel provvedimento, che il bene di cui è ordinato lo sgombero appartenga al patrimonio indisponibile del comune. La ricorrente, invece, già in primo grado sosteneva che il bene in questione apparterrebbe al patrimonio disponibile del comune, ricavando tale qualificazione dal "Piano delle Alienazioni e delle Valorizzazioni del patrimonio immobiliare disponibile non strumentali all'esercizio delle funzioni istituzionali", approvato con delibera del Consiglio comunale n. 24 del 17 aprile 2018, in cui l'infrastruttura adibita a parcheggio ed oggetto del provvedimento per cui è causa risulta inserita tra gli immobili suscettibili di alienazione (detta circostanza è, peraltro, contestata dal comune nelle sue difese, richiamando la delibera di Giunta comunale n. 183 dell'11 novembre 2019 che riporterebbe una diversa collocazione del bene in questione nell'elenco dei beni comunali appartenenti al patrimonio disponibile ed indisponibile dell'Ente), con la necessaria conseguenza dell'impossibilità per il comune di avvalersi dell'autotutela esecutiva, dovendo viceversa, a suo dire, procedere con gli ordinari rimedi civilistici a tutela della proprietà e del possesso. Dunque l'oggetto del giudizio postula un duplice accertamento: quello riguardante la legittimità del potere esercitato in concreto e quello riguardante la natura del bene di che trattasi: se appartenente al patrimonio disponibile, l'autotutela non poteva essere esercitata, se appartenente al patrimonio indisponibile, come affermato nel provvedimento dal dirigente, l'autotutela era ammissibile. Osserva il Collegio che il principio affermato dalle sezioni unite della Corte di cassazione nell'ordinanza n. 255/2024, richiamata dal Tar, è pienamente condiviso dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. tra le tante, sez. VII, 16 aprile 2024, n. 3449; id., 30 aprile 2024, n. 2980), tanto che l'incipit del principio affermato dalle sezioni unite, non riportato dal Tar nel virgolettato, è il seguente: "Costituisce principio acquisito, tanto nella giurisprudenza della Suprema Corte, quanto nella giurisprudenza amministrativa, che il potere di autotutela....". É infatti pacifico, come afferma la citata ordinanza, che il potere di autotutela, attribuito all'amministrazione in relazione ai beni demaniali, è esteso, in virtù del combinato disposto degli artt. 823 e 825 c.c., ai beni del patrimonio indisponibile, mentre resta escluso per la tutela dei beni del patrimonio disponibile, rispetto ai quali l'amministrazione potrà avvalersi solo delle ordinarie azioni a tutela della proprietà e del possesso. Pertanto, in presenza di beni del patrimonio disponibile di proprietà del comune, occupati sine titulo, gli atti posti in essere dall'amministrazione comunale non possono ritenersi riconducibili all'esercizio di un potere autoritativo a tutela di un bene pubblico, quale è quello attribuito dall'art. 823 con riferimento ai beni demaniali e ai beni patrimoniali indisponibili, quanto piuttosto all'esercizio di un potere di autotutela del patrimonio immobiliare, posto in essere iure privatorum. L'affermazione consequenziale contenuta nell'ordinanza in rassegna, secondo cui "Si tratta, in altre parole, di atti di diffida di natura paritetica volti alla tutela della proprietà comunale, a fronte dei quali sussistono posizioni di diritto soggettivo, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario sulle relative controversie", sulla quale il Tar ha fatto acriticamente leva per declinare la giurisdizione, è tuttavia correlata alla fattispecie concreta ivi dedotta in giudizio che, come risulta dalla parte in fatto della stessa ordinanza, riguardava una "azione di manutenzione nel possesso di un fabbricato e di terreni", in relazione ai quali il comune proprietario aveva ordinato "di rimuovere dalle dette particelle... qualsiasi oggetto e bene di proprietà entro 10 giorni dal ricevimento; con avvertenza che decaduto tale termine il Comune di... provvederà a rimuovere la recinzione della particella sopra citata nonché il manufatto esistente" aggiungendo che, in riferimento a tale missiva, il ricorrente aveva dedotto "che l'ordine con essa rivolto non trovava giustificazione nell'esercizio di un potere autoritativo dell'ente, costituendo, pertanto, una molestia al proprio possesso, nel quale chiese di essere mantenuto". Nel caso di specie, invece, è del tutto evidente che non si tratti di azione possessoria bensì di ordinanza di sgombero di un immobile di proprietà pubblica, adottato nell'esercizio di poteri autoritativi. Ciò posto, premesso che l'autorità amministrativa è titolare, in astratto, dei poteri di autotutela esecutiva, come ricordato anche dalle sezioni unite, ciò che discrimina la legittimità dell'uso di tale potere in concreto, è la natura del bene a tutela del quale esso viene esercitato. Nel declinare la giurisdizione il Tar ha compiuto un salto logico, omettendo di accertare proprio la natura del bene di cui è stato ordinato lo sgombero, al fine di verificare "se" quel potere concretamente esercitato, potesse essere esercitato oppure no. In altri termini il primo giudice, che sembrerebbe essersi orientato nel senso di ritenere l'ordinanza impugnata come riferibile ad un bene del patrimonio disponibile, quindi emessa in carenza di potere in concreto, anziché rispondere alla domanda di giustizia formulata dalla parte ricorrente, che sosteneva appunto tale tesi, erroneamente si è spogliato della giurisdizione. Osserva il Collegio che la risposta che, in questo caso, il giudice amministrativo deve dare è se il comune, nel caso di specie, possa esercitare i poteri autoritativi. Se la risposta dovesse essere positiva perché il bene viene fatto rientrare nel patrimonio indisponibile dell'ente, il ricorso (salvo l'esame delle ulteriori censure non scrutinate) andrebbe respinto in quanto, una volta verificato che l'area continua ad essere abusivamente adibita ad uso privato, legittimamente e doverosamente il comune deve attivare il proprio potere di autotutela esecutiva di cui all'art. 823 del codice civile, esercitabile anche a tutela dei beni del patrimonio indisponibile (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 2015, n. 4554). Siffatto provvedimento avrebbe natura doverosa e vincolata e non necessiterebbe né della preventiva comparazione con gli interessi del privato occupante, non potendosi giammai ingenerare un affidamento "legittimo" in presenza di una situazione connotata da evidente abusività, né di specifica motivazione, se non quella necessaria a dare atto dell'accertamento dell'abusiva occupazione e nei confronti del quale non è configurabile il vizio di eccesso di potere, perché l'esercizio del potere di autotutela esecutiva si giustifica unicamente in ragione della perdurante occupazione sine titulo del bene pubblico (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 29 gennaio 2024, n. 862). Né, in tal caso, rileverebbe una eventuale iniziale tolleranza in merito all'occupazione del bene (tolleranza tutt'altro che sussistente nel caso di specie) non radicando un simile contegno dell'amministrazione alcuna posizione di diritto o di interesse legittimo in capo all'occupante sine titulo (cfr., per il principio, Cons. Stato, sez. V, 26 settembre 2013, n. 4775). Se, viceversa, la risposta dovesse essere negativa, l'atto impugnato non potrebbe che essere annullato. Soltanto sulla successiva attività che il comune dovesse porre in essere affidandosi (questa volta correttamente) agli ordinari rimedi civilistici, mediante azioni petitorie o possessorie, si radicherebbe correttamente la giurisdizione del giudice ordinario: si tratta, tuttavia, di attività che, nel caso di specie, non risulta ancora posta in essere e che, esula, quindi dal thema decidendum. A maggior chiarimento di quale sia l'accertamento che il giudice deve compiere, valga richiamare una recente pronuncia (Cons. Stato, sez. V, 9 febbraio 2024, n. 1337), che ha affrontato il tema della corretta qualificazione del potere esercitato dal comune, in una fattispecie in cui era stato ingiunto lo sgombero di un immobile acquisito al patrimonio pubblico. Nella fattispecie ivi esaminata il Tar aveva accolto il ricorso sull'assorbente rilevo dell'illegittimo ricorso all'autotutela esecutiva con riferimento a un bene del patrimonio disponibile, sicché il comune non avrebbe potuto esercitare poteri autoritativi, ma avrebbe dovuto agire innanzi al giudice ordinario, ricorrendo agli strumenti previsti dalla legge per la tutela della proprietà e del possesso. Il Consiglio di Stato ha innanzitutto sciolto il dubbio sulla giurisdizione con le seguenti argomentazioni: - il provvedimento con il quale l'amministrazione comunale ordina lo sgombero di un immobile abusivamente realizzato, acquisito al patrimonio pubblico a seguito di inottemperanza all'ordine di demolizione, "costituisce esercizio di poteri pubblicistici di repressione dell'abusivismo e conseguentemente la giurisdizione appartiene al Giudice amministrativo" (C.g.a., sez. giur., 20 marzo 2020 n. 194); - l'atto di sgombero dell'immobile abusivo che sia stato acquisito al patrimonio comunale per inottemperanza all'ordine di demolizione notificato al privato - che si inserisce nell'ambito dei provvedimenti repressivi dell'abusivismo ordinariamente di competenza dirigenziale - ha dunque natura provvedimentale e autoritativa, essendo riconducibile all'esercizio di poteri pubblicistici dell'ente locale, il che dà luogo alla potestas iudicandi del giudice amministrativo sulle relative controversie; - a tal riguardo le sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 19889 del 22 settembre 2014, hanno chiarito che: "la giurisdizione in relazione al provvedimento di demolizione (e, per quel che concerne la fattispecie in esame, in relazione a quello "propedeutico" di sgombero) adottato dalla P.A. spetta al giudice amministrativo, e ciò a prescindere dalle ragioni addotte in tale provvedimento - che saranno eventualmente sindacate dinanzi a quel giudice - onde ogni eventuale contestazione circa la spettanza del relativo potere in capo alla Amministrazione che ha adottato il provvedimento ovvero circa le modalità con cui esso è stato esercitato (...) configura questione devoluta al giudice amministrativo"; - la giurisprudenza (cfr. C.g.a., sez. giur. 3 aprile 2018, n. 178), muovendo dalla considerazione per cui l'art. 823 c.c. ammette il ricorso dell'amministrazione all'esercizio dei poteri amministrativi al solo fine di tutelare i beni del demanio pubblico e del patrimonio indisponibile, ha affermato che il potere di autotutela esecutiva presuppone il previo accertamento della natura del compendio immobiliare oggetto di tutela recuperatoria, sicchè "l'Amministrazione può, ove richiesto, adottare solo i rimedi di carattere ordinario. Ipotesi che ricorre nella controversia oggetto dell'appello, non avendo l'immobile di cui si discute i requisiti che ne consentirebbero la qualificazione come bene appartenente al patrimonio indisponibile. Con la conseguenza che appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia in ordine all'ordinanza di sgombero di un immobile che si colloca nell'alveo del patrimonio disponibile del comune, essendo stata tale ordinanza emessa in carenza assoluta di potere e, pertanto nulla, con conseguente lesione di diritti soggettivi tutelabili innanzi al giudice ordinario" (C.g.a., 3 aprile 2018, n. 178; anche Cons. Stato, sez. VII, 19 maggio 2023, n. 4987; Cons. Stato, sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5934); - non sembra dubitabile che ogni qualvolta in cui l'atto di sgombero costituisca "nient'altro che il terminale esecutivo dei provvedimenti di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale dell'opera abusiva, di per sé dotati, in quanto estrinsecazioni dei poteri di vigilanza e di repressione urbanistico-edilizia sul territorio (cfr. art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001), del connotato dell'esecutorietà, ossia della possibilità di essere portati ad esecuzione coattivamente ad opera della stessa amministrazione e senza l'intermediazione dell'autorità giudiziaria" (Cons. Stato, sez. VI, 26 gennaio 2015 n. 316), esso viene a configurarsi a guisa di vero e proprio provvedimento amministrativo, esecutivo di precedenti misure repressive di opere abusive, attratto, come tale, al sistema tipizzato delle sanzioni in materia edilizia, vertendosi in un'ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti in materia urbanistica ed edilizia ai sensi dell'art. 133, lett. f), c.p.a. (cfr. C.g.a., n. 194 del 2020 cit.). Ciò posto, la sentenza ha confermato la decisione del Tar attraverso i seguenti snodi argomentativi: - sebbene, come detto, l'amministrazione possa legittimamente agire seguendo le regole proprie dell'esercizio dei poteri autoritativi di sgombero nell'ambito del procedimento repressivo-ripristinatorio degli abusi edilizi così come tratteggiato dalla disciplina del d.P.R. n. 380 del 2001 al fine di ottenere il rilascio dell'immobile occupato da soggetti privati (il più delle volte gli ex proprietari), onde eseguire concretamente l'immissione in possesso finalizzata alla successiva demolizione dello stesso oppure, a determinate condizioni, al suo utilizzo per fini pubblici, di tanto, però, non vi è alcuna evidenza nell'ordinanza di sgombero impugnata; - se è vero che l'atto di sgombero è certamente strumento idoneo a perseguire il mancato rilascio dei beni, spesso occupati, anche dopo l'acquisizione, dagli stessi soggetti che hanno perpetrato l'illecito edilizio, deve, tuttavia, rilevarsi come il provvedimento impugnato non contenga alcun riferimento all'esercizio dei poteri repressivi in materia edilizia ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. 380 del 2001, né cenno alcuno all'abusività dei manufatti o a eventuali ordinanze di demolizione che non risultano nel frattempo neanche adottate (né la difesa dell'amministrazione ha dato prova contraria), avendo il comune soltanto disposto che l'ufficio tecnico avesse cura di provvedere alla loro adozione; - l'ordinanza di sgombero si limita, infatti, a enunciare che sui lotti occupati senza titolo dei ricorrenti in cui è suddiviso il terreno "vi sono dei manufatti edili diversi tra loro per tipologia, forma e utilizzo di materiali costruttivi con annessa strada interpoderale delimitata da due cancelli metallici, uno posizionato in corrispondenza della complanare, l'altra a delimitazione della spiaggia" e a richiamare succintamente alcune risalenti ordinanze con le quali, rispettivamente, si vietò di disporre con atto tra vivi dell'immobile, se ne dispose l'acquisizione di diritto al patrimonio del comune e si ordinò, a suo tempo, lo sgombero dell'area già occupata; ma non contiene il benché minimo riferimento alla commissione di abusi edilizi o indicazione sulla loro concreta consistenza; - solo in sede di giudizio, con le deduzioni processuali contenute negli atti di causa, il comune ha sostenuto che l'impugnata ordinanza di sgombero sia riconducibile ad attività esecutiva del procedimento repressivo e sanzionatorio di illeciti edilizi avviato nel 1992 con l'acquisizione del bene al patrimonio disponibile a seguito del contestato frazionamento per finalità edificatorie, viceversa il provvedimento non contiene alcun riferimento che consenta di ricondurlo all'esercizio dei poteri pubblicistici afferenti alle funzioni di controllo e sanzione in materia edilizia, avendo soltanto ordinato il rilascio del bene disponibile di sua proprietà occupato sine titulo, dichiarando espressamente di agire con lo strumento in parola per far fronte alla "occupazione di immobile di proprietà comunale"; - in assenza di elementi che consentano di configurare l'ordinanza in questione come il terminale esecutivo dei provvedimenti di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale dell'opera abusiva, di per sé dotati, in quanto estrinsecazioni dei poteri di vigilanza e di repressione urbanistico-edilizia sul territorio (cfr. art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001), del connotato dell'esecutorietà, "non resta che ricondurre l'azione intrapresa dal comune, per come concretamente esercitata, ai poteri di autotutela disciplinati dall'art. 823 comma 2 del codice civile"; - "in tal caso, tuttavia, al cospetto di un bene al patrimonio disponibile del comune - quale pacificamente è il terreno oggetto della presente controversia acquisito gratuitamente al patrimonio dell'ente a seguito dell'illegittimo frazionamento per pretese finalità edificatorie contestato ai ricorrenti - il comune non avrebbe potuto esercitare l'autotutela amministrativa per le ragioni correttamente indicate dal primo giudice ma il recupero del bene avrebbe dovuto seguire, invece, le vie contrassegnate dagli strumenti giurisdizionali ordinari, a mezzo delle azioni possessorie o della rei vindicatio civilistica (Cons. Stato, sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5934)"; - "i poteri di tutela esecutoria dell'amministrazione in presenza di occupazioni da terzi sono da ritenersi sine titulo quando la pubblica amministrazione agisca in area appartenente al patrimonio disponibile, dove l'esercizio di tale potere autoritativo non trova fondamento: l'autotutela demaniale si collega, infatti, al regime dominicale del bene pubblico, in coerenza con le funzioni amministrative di disciplina, ordinata gestione e uso del bene medesimo e con l'esigenza di "reagire" rispetto a condotte appropriative o usurpative di carattere privato". Quindi la sentenza ha concluso che sussiste una effettiva e comprovata divergenza, nei sensi sopra indicati, fra l'atto di sgombero e la sua funzione tipica, essendo stato il potere esercitato per finalità diverse da quelle enunciate dalla norma di cui all'art. 823 c.c., attributiva dello stesso. Come si evince (anche) dalla decisione innanzi riportata, l'accertamento del giudice, ove si controverta di esercizio dei poteri di autotutela esecutiva, va svolto "in concreto", avendo riguardo alla fattispecie dedotta in giudizio e alle caratteristiche degli atti adottati. In conclusione l'appello è fondato e va accolto. Come noto, laddove sussista la giurisdizione del giudice amministrativo, declinata in primo grado dal Tar, il giudice di secondo grado non può che annullare la sentenza impugnata, senza ulteriore trattazione della causa (cfr. tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7510), poiché, nel caso di erronea declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nella sentenza di primo grado, la causa deve essere rimessa al Tar e da questi decisa, ai sensi dell'art. 105 c.p.a. (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 dicembre 2011, n. 6492). Pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al giudice di primo grado, secondo le modalità di cui all'art. 105, comma 3, del codice del processo amministrativo, non potendo il Consiglio di Stato pronunciarsi nel merito (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 847). 5. In ragione della particolarità della questione di giurisdizione esaminata, si può disporre l'integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo e annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tar della Campania, dinanzi al quale il giudizio dovrà essere riassunto entro il termine di novanta giorni dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione della presente sentenza. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5038 del 2017, proposto dalla società Sp. Im. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ru. e Ma. Ze., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Mi. Li. in Roma, viale (...); contro il Comune di Campobasso, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Molise Sezione prima n. 39 del 3 febbraio 2017, resa tra le parti. Visto il ricorso in appello con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Campobasso; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2023 il consigliere Silvia Martino; Uditi gli avvocati Gi. Ru. e Pi. Pa. Po. (quest'ultimo su delega dichiarata dell'avvocato Pa. Ri.) per le parti rispettivamente rappresentate; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso proposto al T.a.r. per il Molise, la società odierna appellante esponeva di essere proprietaria, nel Comune di Campobasso, di un terreno, al foglio n. (omissis), p.lla (omissis), di mq 3480, originariamente incluso nel Piano per l'edilizia Economica e Popolare (PEEP). 1.1. Dopo la decadenza del vincolo espropriativo, la società aveva proposto istanza di riclassificazione dell'area in questione. 1.2. Con sentenza 10 ottobre 2014 n. 528 il T.a.r. per il Molise, in accoglimento del ricorso avverso il silenzio serbato dall'Amministrazione comunale sull'istanza di riclassificazione dell'area predetta, aveva ordinato al Comune di Campobasso di adottare entro 120 giorni dalla comunicazione o notifica della sentenza predetta un provvedimento espresso. 1.3. In attuazione del comando giudiziale, con atto del 13 febbraio 2015, n. 2, il Comune di Campobasso deliberava di destinare l'area di proprietà della Spazio Immobiliare sopra individuata a "Verde con attrezzature sportive ed alberghiere". 1.4. Il ricorso di primo grado è diretto avverso tale delibera, ed è stato affidato ad un unico complesso mezzo di gravame (esteso da pag. 2 a pag. 9). 2. Il T.a.r. ha fatto espletare una verificazione, in esito alla quale ha respinto il ricorso, ha compensato tra le parti le spese di lite e posto a carico della parte ricorrente le spese della verificazione. 3. La sentenza è stata appellata dalla società, rimasta soccombente, che ha dedotto un articolato mezzo di gravame, riproponendo criticamente le tesi respinte dal T.a.r. 4. Il Comune ha depositato una memoria conclusionale, in vista della pubblica udienza dell'11 maggio 2022 alla quale l'appello è stato trattenuto per la decisione. 5. L'infondatezza nel merito dell'appello consente di prescindere dall'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, riproposta dal Comune. 6. Giova richiamare le principali argomentazioni svolte dal primo giudice a sostegno della decisione di rigetto, in quanto le stesse non sono state efficacemente confutate dalla società appellante. Secondo il primo giudice: "Dalla lettura della relazione di verificazione può concludersi che la scelta pianificatoria compiuta dal Comune resistente, al di là della inesatta indicazione nella gravata delibera della tipologia di destinazione impressa (esclusivamente impianti sportivi e non anche strutture alberghiere), costituisce il frutto di una scelta coerente con la preesistente pianificazione urbanistica e in linea con gli standard urbanistici applicabili in riferimento all'area.". Inoltre "la destinazione alla realizzazione di impianti sportivi non risulta in contrasto con una pretesa sovrabbondanza degli stessi, atteso che la relazione di verificazione ha accertato che nell'area considerata l'estensione degli impianti sportivi esistenti è inferiore a quella minima prescritta applicando i coefficienti di cui al DM n. 1444/1968". 7. Ciò posto, la società deduce in primo luogo che, attraverso le contestate previsioni urbanistiche, la superficie a standard richiesta dal D.M. n. 1444 del 1968 sarebbe stata complessivamente superata. Al riguardo, tuttavia, occorre ricordare che il Comune può dotare una zona di standard anche superiori a quelli minimi, sia pure fornendo idonea motivazione (ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 2 novembre 2022, n. 9481). Nel caso di specie, l'Amministrazione ha richiamato la perdurante necessità di dotare la zona circostante, già ampiamente edificata, dei necessari servizi e standard, integrando le "limitate aree a verde rimaste dalla previsione generale del P.R.G. e come previsto anche in sede di approvazione del P.E.E.P. di (omissis)" (così il parere espresso dalla Commissione urbanistica nella seduta del 29 gennaio 2015). La verificazione svolta in primo grado ha poi confermato che "all'interno del piano attuativo di (omissis) le aree effettivamente attrezzate a verde e ad impianti sportivi non raggiungono l'estensione totale di 46.800 m² necessari per soddisfare lo standard imposto dal D.M. 144471968". Non può dirsi pertanto illogica o irrazionale la scelta del Comune di completare la dotazione di spazi ad uso collettivo. È anche dubbio, peraltro, che il Comune abbia inteso imporre (o reiterare) un vincolo espropriativo, poiché nella delibera 2/2015 - come meglio si vedrà nel paragrafo successivo - si stabilisce espressamente che nel compendio di cui trattasi "potranno realizzarsi impianti sportiti di iniziativa privata (o pubblica)". 7.1. Ad ogni buon conto, quand'anche volesse attribuirsi natura espropriativa al provvedimento di riclassificazione, l'assenza dell'impegno di spesa per l'erogazione dell'eventuale indennizzo non sarebbe comunque idonea a viziare le determinazioni del Comune. È infatti principio assolutamente pacifico quello secondo cui, ai sensi dell'art. 39, comma 1, del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, le questioni relative alla spettanza dell'indennizzo e al suo pagamento non attengono alla legittimità del procedimento di reiterazione del vincolo, ma riguardano questioni di carattere patrimoniale, che presuppongono la conclusione del procedimento di pianificazione e sono devolute alla cognizione della giurisdizione ordinaria (Cons. St., ad. plen., 24 maggio 2007, n. 7). 7.2. Anche i rilievi concernente la contraddittorietà della (presunta) contestuale destinazione a strutture alberghiere, sono infondati. Va infatti evidenziato che, anche in questo caso, non è stato efficacemente confutato il rilievo del primo giudice secondo cui il riferimento alle strutture alberghiere, contenuto nella delibera n. 2/2015, è un mero errore materiale. L'esattezza di tale rilievo può cogliersi avendo riguardo al contenuto della nuova disciplina di zona in relazione alla quale il Comune specifica che "In tali aree, rimosso l'obbligo della preventiva elaborazione ed approvazione dei piani particolareggiati che le vigenti norme tecniche di attuazione, all'art. 23, antepongono agli interventi edilizi consentiti nelle sottozone M2 e M3, potranno realizzarsi impianti di iniziativa privata (o pubblica), a seguito di rilascio delle singole concessioni edilizie". La destinazione M3 è contemplata dall'art. 23 delle NTA del PRG all'epoca vigente, rubricato "Zone M3 Verde pubblico, Verde con attrezzature sportive, Verde con attrezzature turistiche alberghiere". Tale zona è stata suddivisa in quattro sottozone (M1, M2, M3 ed M4). La sottozona M3 "è destinata alla costruzione di impianti sportivi pubblici e privati". Per la realizzazione di detti impianti "inquadrati in un Piano particolareggiato od in un piano di iniziativa privata, valgono tutte le prescrizioni della precedente sottozona M2". È pertanto evidente che il Comune ha inteso adattare le previsioni dell'art. 23 alla limitata estensione della zona di cui trattasi, eliminando la necessità del piano particolareggiato. Come già evidenziato, inoltre, l'ammissibilità dell'iniziativa privata esclude che l'Amministrazione abbia inteso imporre un vincolo espropriativo. 7.3. In definitiva, alcuna illogicità può ravvisarsi nell'operato dell'Amministrazione che ha cercato di contemperare la necessità di completare le attrezzature di zona attribuendo ai privati, nel contempo, la possibilità di realizzare una sia pure limitata edificazione. Va ricordato, al riguardo, che, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale "sono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente con l'alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene. Ciò può essere il risultato di una scelta di politica programmatoria tutte le volte che gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili (e come tali specificatamente compresi nelle previsioni pianificatorie) anche attraverso l'iniziativa economica privata - pur se accompagnati da strumenti di convenzionamento. Si fa riferimento, ad esempio, ai parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenziali; in breve, a tutte quelle iniziative suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato" (Corte cost., sentenza n. 179 del 1999, par. 5 della parte in diritto). 8. In definitiva, per quanto sopra argomentato, l'appello deve essere respinto. Le spese del grado seguono come di regola la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello n. 5038 del 2017, di cui in epigrafe, lo respinge. Condanna la società appellante alla rifusione delle spese del grado in favore del Comune di Campobasso, che liquida complessivamente in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre IVA, CPA e rimborso spese generali al 15%, come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Luigi Carbone - Presidente Luca Lamberti - Consigliere Francesco Gambato Spisani - Consigliere Silvia Martino - Consigliere, Estensore Michele Conforti - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2719 del 2018, proposto da To. Ia., in proprio e in qualità di procuratore speciale di Lu. Ia., To. Ia., Vi. Ia., rappresentati e difesi dall'avvocato An. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Gi. Pe. in Roma, corso (...); contro Comune di Napoli in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. An., Br. Cr. e Fa. Ma. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Lu. Le. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania Sezione Sesta n. 4694 del 9 ottobre 2017 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 aprile 2023 il consigliere Ofelia Fratamico; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il signor Ia. To., in proprio e in qualità di procuratore speciale dell'omonimo Ia. To. e di Ia. Vi. e Ia. Lu., ha impugnato dinanzi al T.a.r. per la Campania dapprima il silenzio serbato dal Comune di Napoli sull'istanza del 7 maggio 2013 di riduzione dell'estensione del vincolo cimiteriale previsto dal Piano regolatore sui terreni di sua proprietà per consentire su di essi la realizzazione di una media struttura di vendita di generi alimentari e non, e, successivamente, con motivi aggiunti, il provvedimento prot. n. 759767 dell'11 ottobre 2013 del Comune di Napoli di espresso rigetto di tale richiesta. 2. Contro il suddetto diniego l'originario ricorrente ha dedotto i seguenti motivi: I - violazione e falsa applicazione dell'art. 28 della l. 1 agosto 2002 n. 166, incompetenza; II - violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 7 e 10bis della l.n. 7 agosto 1990 n. 241, eccesso di potere sotto molteplici profili, contraddittorietà, violazione del giusto procedimento di legge, difetto dei presupposti e di istruttoria; III - violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, difetto di motivazione e di istruttoria, violazione e falsa applicazione dell'art. 28 della l.n. 166 del 2002. 3. Con la sentenza n. 4694 del 9 ottobre 2017 il T.a.r per la Campania ha dichiarato l'improcedibilità del ricorso avverso il silenzio ed ha respinto i motivi aggiunti, ritenendo "l'inapplicabilità alla fattispecie in esame della legge n. 166 del 2002" e reputando infondate le ulteriori doglianze svolte in relazione alla violazione delle garanzie procedimentali. 4. Tale pronuncia è stata impugnata dinanzi al Consiglio di Stato dall'originario ricorrente, che ha affidato il suo appello a quattro motivi così rubricati: a) error in iudicando, erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 28 della l.n. 166 del 2002 in relazione all'art. 42 del d.lgs. n. 267 del 2000, incompetenza del dirigente, violazione dell'art. 107 del d.lgs. n. 267 del 2000; b) error in iudicando, erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 10bis della l.n. 241 del 1990 e delle disposizioni in tema di partecipazione al procedimento; c) error in iudicando, erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 28 della l.n. 166 del 2002 erroneità dei presupposti di fatto e di diritto; d) error in iudicando, perplessità, omessa ponderazione della fattispecie contemplata, erroneità dei presupposti. 5. Si è costituito in giudizio il Comune di Napoli, chiedendo il rigetto dell'appello, in quanto infondato. 6. Con memorie depositate nelle date del 24 marzo 2023 e del 5 aprile 2023 il Comune e l'appellante hanno ulteriormente articolato le loro difese, chiedendo, infine, con note del 12 aprile 2023 e del 26 aprile 2023, il passaggio in decisione della causa senza previa discussione. 7. All'udienza pubblica del 27 aprile 2023 la causa è stata, quindi, trattenuta in decisione. 8. A prescindere dall'esame dell'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado riproposta anche in appello dal Comune di Napoli nella comparsa di costituzione, l'appello è infondato e deve essere respinto. 9. Con il primo motivo l'odierno appellante ha dedotto l'erroneità della sentenza impugnata, che non avrebbe adeguatamente valutato le sue censure di incompetenza. Secondo l'originario ricorrente, infatti, "la riduzione del vincolo cimiteriale insistente su un'area (avrebbe potuto)...essere autorizzata solo dal Consiglio Comunale, individuato nel citato art. 28 quale unico organo competente in materia di talché, contrariamente a quanto ritenuto dal T.a.r., in forza del principio del contrarius actus, anche l'eventuale provvedimento rigetto della domanda di riduzione del vincolo cimiteriale avrebbe dovuto essere adottato esclusivamente dal Consiglio Comunale,...previa istruttoria degli uffici competenti". 9.1. Tale doglianza è infondata, poiché, come correttamente rilevato dal T.a.r., l'istanza in questione, riguardando un intervento privato e non d'interesse pubblico non poteva ricadere nell'ambito di applicazione dell'art. 28 della l.n. 166 del 2022, con conseguente potere dell'ufficio competente - la Direzione centrale pianificazione e gestione del territorio del Comune di Napoli - di indicare in via collaborativa all'interessato le ragioni della radicale "non pertinenza" della sua richiesta. 9.2. L'art. 338 comma 5, del r.d. n. 1265 del 1934, nel testo da ultimo sostituito dall'art. 28, co. 1, lett. b), della legge n. 166/2002 stabilisce, infatti, che "per dare esecuzione ad un'opera pubblica o all'attuazione di un intervento urbanistico, purché non vi ostino ragioni igienico-sanitarie, il consiglio comunale può consentire, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la riduzione della zona di rispetto tenendo conto degli elementi ambientali di pregio dell'area, autorizzando l'ampliamento di edifici preesistenti o la costruzione di nuovi edifici. La riduzione di cui al periodo precedente si applica con identica procedura anche per la realizzazione di parchi, giardini e annessi, parcheggi pubblici e privati, attrezzature sportive, locali tecnici e serre". 9.3. Secondo la costante giurisprudenza della Sezione (cfr. ex multis Cons. Stato sez. IV, 13 dicembre 2017 n. 5873; 16 ottobre 2017 n. 4656) tale disposizione normativa comporta che: I - la situazione di inedificabilità prodotta dal vincolo sia suscettibile di venire rimossa solo in ipotesi eccezionali e comunque solo per considerazioni di interesse pubblico, in presenza di ben precise e tassative condizioni; II - l'art. 338, quinto comma, non presidi interessi privati e non possa legittimare interventi edilizi futuri su un'area indisponibile per ragioni di ordine igienico-sanitario, nonché per la sacralità dei luoghi di sepoltura. 10. Con il secondo motivo l'appellante ha, poi, sostenuto che "l'adozione dell'impugnato diniego avrebbe dovuto comunque essere preceduta dalla comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza ex art. 10 bis della l.n. 241 del 1990" e che l'omissione di tale avviso abbia impedito "la realizzazione di un effettivo contraddittorio predecisorio", nel quale egli avrebbe potuto chiarire la fondatezza della propria richiesta. 10.1. Alla luce della "irricevibilità " della domanda di riduzione del vincolo, destinata irrimediabilmente ad essere respinta sulla base della disposizione normativa suindicata, anche tale censura non può influire in alcun modo sulla legittimità del provvedimento, non avendo, del resto, il ricorrente in primo grado specificato neppure in giudizio gli elementi che, ove tempestivamente rappresentati all'amministrazione, avrebbero potuto favorevolmente orientare la determinazione del Comune. 11. Con il terzo motivo l'appellante ha lamentato la natura "eccessivamente restrittiva e riduttiva" delle ipotesi di deroga alla fascia di rispetto, così come enucleate nell'interpretazione seguita dal T.a.r., che sarebbe risultata "del tutto avulsa ed astratta dal contesto anche urbanistico in cui l'istanza (era) maturata". 11.1. In particolare, il riferimento alla possibilità di riduzione del vincolo anche per l'attuazione di un "intervento urbanistico" e per "la realizzazione di parchi giardini e annessi, parcheggi pubblici e privati, attrezzature sportive, locali tecnici e serre" avrebbe reso chiaro che la finalità e la committenza pubblica non costituivano nelle intenzioni del legislatore un presupposto indefettibile per l'ammissibilità della deroga, dovendo "l'esercizio di tale discrezionale facoltà estendersi anche ad ogni opera di interesse pubblico correlata ad un intervento di riqualificazione urbanistica dell'area prospiciente il Cimitero, salvo il rispetto di superiori esigenze igienico-sanitarie" 11.2. A ciò dovevano aggiungersi, da un lato, il dato materiale dell'esistenza, in prossimità dei luoghi di causa, di una strada che, frapponendosi tra il perimetro del cimitero e l'area interessata dall'istanza, avrebbe impedito comunque qualsiasi ampliamento, escludendo a priori l'esigenza alla base della permanenza del vincolo per tutta la sua estensione e nella misura massima, dall'altro, la circostanza per la quale il Piano regolatore cimiteriale approvato dal Comune di Napoli con delibera n. 35 del 2005 aveva già previsto in altre ipotesi, come per il cimitero di (omissis), ma non per (omissis), la riduzione del vincolo a 50 m "con una inammissibile ed ingiustificata penalizzazione dei proprietari delle aree prossime" ai luoghi di causa. 11.3. Neppure tali doglianze possono essere, però, condivise, in considerazione del già ricordato carattere eccezionale e, dunque, necessariamente di stretta interpretazione delle disposizioni normative di deroga e della pluralità di interessi pubblici sottesi alla istituzione del vincolo de quo, costituiti non solo dal mantenimento di un'area di possibile espansione della cinta cimiteriale, bensì, soprattutto, da esigenze di natura igienico sanitaria e dalla salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati alla inumazione e alla sepoltura. 12. Con l'ultimo motivo l'appellante ha, quindi, dedotto l'erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui aveva ritenuto che l'istanza di riduzione non fosse nemmeno, in realtà, "pertinente", in quanto le particelle che avrebbero dovuto essere escluse dal vincolo non erano state ricomprese nella fascia di rispetto dal piano regolatore approvato con delibera di C.C. n. 35 dell'1/3/2005, ma vi risultavano già inserite in base alle previsioni precedenti, risalenti al 1972. 12.1. Anche tali censure non colgono nel segno e non possono inficiare la correttezza della pronuncia del T.a.r., poiché come sottolineato dalla costante giurisprudenza, il vincolo cimiteriale, d'indole conformativa, è sganciato dalle esigenze immediate della pianificazione urbanistica, nel senso che esso si impone di per sé, con efficacia diretta, indipendentemente da qualsiasi recepimento in strumenti urbanistici, i quali non sono idonei, proprio per la loro natura, ad incidere sulla sua esistenza o sui suoi limiti (Cons. Stato sez. IV, 1dicembre 2020, n. 7617; sez. IV, 22 novembre 2013, n. 5544; Cass. civ., sez. I, n. 2011 del 2011; n. 26326 del 2016). 12.2. Il procedimento attivabile dai singoli proprietari all'interno della zona di rispetto è, poi, soltanto quello finalizzato agli interventi di cui al settimo comma dell'art. 338, (recupero o cambio di destinazione d'uso di edificazioni preesistenti), mentre resta, come detto, utilizzabile nel solo interesse pubblico - come valutato dal legislatore nell'elencazione, al quinto comma, delle opere ammissibili ai fini della riduzione - la procedura di riduzione della fascia inedificabile (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 4 luglio 2014, n. 3410; sez. VI, 27 luglio 2015, n. 3667). 13. In conclusione, l'appello deve essere, perciò, integralmente rigettato. 14. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna la parte appellante alla rifusione, in favore del Comune di Napoli, delle spese di lite, liquidate in complessivi Euro 5000,00 oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Gerardo Mastrandrea - Presidente Luca Lamberti - Consigliere Emanuela Loria - Consigliere Luigi Furno - Consigliere Ofelia Fratamico - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9606 del 2022, proposto dalla Società Fu. To. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Ru., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Lu. Na. in Roma, via (...), contro - il Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma, via (...); - il Comune di Avellino, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione staccata di Salerno, Sezione Seconda, n. 3166/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 25 maggio 2023, il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. La Società Fu. To. S.r.l. ha impugnato dinanzi al T.A.R. per la Campania, Sezione staccata di Salerno, il parere contrario espresso dal Comando Vigili del Fuoco di Avellino in data 21 marzo 2022, con prot. n. 7299, in ordine alla realizzazione di un impianto di distribuzione di carburanti liquidi e metano in località (omissis) s.n. c. (lungo S.P. 70) del Comune di Avellino (su area ricadente nel N.C.T. al foglio (omissis), p.lle (omissis)), nonché i relativi atti presupposti e collegati, compresi quelli emessi dal Comune di Avellino. 1.1. Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, deduceva la ricorrente di essere proprietaria del predetto terreno sito nel Comune di Avellino (ricadente, secondo il PUC approvato con d.P.G.P. n. 1/2008, in "zona F per servizi di interesse generale", con destinazione d'uso in parte in area "Parcheggi d'interscambio", in parte "Viabilità " ed in parte "Verde pubblico") e di aver richiesto all'Amministrazione comunale, con istanza presentata in data 11 dicembre 2021, il rilascio del permesso di costruire e dell'autorizzazione petrolifera per la realizzazione, sul medesimo terreno, di un impianto per la distribuzione di carburanti per autotrazione liquidi e gassosi (metano). Trasmessa, tuttavia, la pratica dal Comune al Comando dei Vigili del Fuoco di Avellino per l'acquisizione del parere di conformità antincendio, questo era stato espresso, con l'impugnata nota prot. n. 7299 del 21 marzo 2022, in senso negativo. 1.2. Va sin d'ora evidenziato che le ragioni sottese al suddetto parere sono così enucleabili: - dalle certificazioni rilasciate dal Comune di Avellino (aventi prot. n. 2021/33411 del 30 aprile 2021 e 2022/12365 del 15 febbraio 2022) non risulta attestata la integrale rispondenza ai requisiti previsti dalla lett. a) dell'art. 4 del D.M. Interno del 24 maggio 2002 ("Norme di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio degli impianti di distribuzione stradale di gas naturale per autotrazione"), laddove in particolare prevede che l'impianto di distribuzione stradale di gas naturale per autotrazione non può sorgere "nei comuni sprovvisti dei predetti strumenti urbanistici (piano regolare generale o programma di fabbricazione, n. d.e.), all'interno del perimetro del centro abitato, delimitato a norma dell'art. 17 della Legge 6 agosto 1967, n. 765, quando nell'uno e nell'altro caso, la densità media dell'edificazione esistente nel raggio di 200 m dal perimetro degli elementi pericolosi dell'impianto, come definiti al punto 1.2.3 dell'allegato al presente decreto, risulti superiore a tre metri cubi per metro quadrato"; - il Comune di Avellino, tra l'altro, ha rappresentato, con nota prot. n. 20354/2022 dell'11 marzo 2022, trasmessa in riscontro alla richiesta di chiarimenti avanzata con nota prot. n. 5973 del 9 marzo 2022, che presso l'area oggetto di valutazione sono attualmente consentiti esclusivamente "interventi di manutenzione ordinaria", "interventi di manutenzione straordinaria" e "interventi di restauro e di risanamento conservativo", laddove il progetto in esame, così come indicato nella comunicazione del Comune di Avellino prot. n. 0004743/2022 del 20 gennaio 2022, risulta riferito a lavori da enumerare tra gli "interventi di nuova costruzione": la nota precisa tuttavia, in ordine a tale aspetto, che, trattandosi di condizioni di inidoneità dell'area al di fuori dei casi previsti dall'art. 4, comma 1, lett. a), b) e c) del D.M. Interno del 24 maggio 2002, si rimette alle competenze del Comune di Avellino "ogni ulteriore valutazione e determinazione, in merito alla possibilità di far sorgere l'impianto di distribuzione stradale di gas naturale per autotrazione in parola nell'area prescelta"; - la suindicata nota del Comune di Avellino, prot. n. 20354/2022 dell'11 marzo 2022 precisa che: - "l'area oggetto dell'ubicazione dell'impianto di distribuzione metano e carburanti liquidi ricade all'interno del centro abitato come perimetrato ai sensi dell'art. 17 L. 765/1967..."; - "sull'area, essendo decaduti i vincoli preordinati, le attività edilizie previste ai sensi dell'art. 9 comma 1 lettera a) del DPR 380/2001 sono consentite come di seguito riportate (comuni sprovvisti di strumenti urbanistici per l'area di specie): 1. Salvi più restrittivi limiti fissati dalle leggi regionali e nel rispetto delle norme previste dal decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (ora d.lgs. n. 42 del 2004, n. d.e.), nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici sono consentiti: a) gli interventi previsti dalle lettere a), b), e c) del primo comma dell'articolo 3 che riguardino singole unità immobiliari o parti di esse". La nota impugnata si conclude con il rilievo secondo cui "per quanto sopra, non risulta attestata la integrale rispondenza dell'area prescelta per l'installazione dell'impianto ai requisiti previsti dall'art. 4 comma 1. del richiamato D.M. Interno 24/05/2002". 2. Con l'appellata sentenza n. 3166 del 24 novembre 2022, il T.A.R. adito ha respinto il ricorso. 2.1. Premesso che, ai sensi dell'art. 4, comma 1, lett. a) del D.M. Interno del 24 maggio 2002, l'impianto di distribuzione stradale di gas naturale per autotrazione non può sorgere "nei comuni sprovvisti dei predetti strumenti urbanistici, all'interno del perimetro del centro abitato, delimitato a norma dell'art. 17 della Legge 6 agosto 1967, n. 765, quando nell'uno e nell'altro caso, la densità media dell'edificazione esistente nel raggio di 200 m dal perimetro degli elementi pericolosi dell'impianto, come definiti al punto 1.2.3 dell'allegato al presente decreto, risulti superiore a tre metri cubi per metro quadrato", ha evidenziato il giudice di primo grado che "di detto requisito (...) non è stata documentata la rispondenza tramite le diverse attestazioni rilasciate dal Comune - ai sensi e per gli effetti dell'art. 4. comma 4. del D.M. Interno 24/05/2002 - e, quindi, non è stato documentato il rispetto della normativa di prevenzione incendi". 2.1. Ha altresì osservato il T.A.R. che "il Comune di Avellino, tra l'altro, ha rappresentato, con nota prot. n° 20354/2022 dell'11/03/2022, che presso l'area oggetto di valutazione sono attualmente consentiti esclusivamente "interventi di manutenzione ordinaria (lettera a. comma 1. dell'art. 3 del DPR 380/2001)", "interventi di manutenzione straordinaria (lettera b. comma 1. dell'art. 3 del medesimo decreto)" e "interventi di restauro e di risanamento conservativo (lettera c. comma 1. dell'art. 3 del medesimo decreto)"", laddove "il progetto in esame risulta riferito a lavori da enumerare tra gli "interventi di nuova costruzione" di cui alla lettera e. comma 1. dell'art. 3 del DPR 380/2001", e che "dalla certificazione rilasciata dal Comune di Avellino, avente prot. n° 2021/33411 del 30/04/2021, risulta che l'area individuata per l'installazione dell'impianto in questione ricade in parte in Zona per "Verde Pubblico", in contrasto con quanto stabilito dall'art. 4 comma 1. lettera c. del D.M. Interno 24/05/2002, a mente del quale: "Gli impianti di distribuzione stradale di gas naturale per autotrazione non possono sorgere nelle aree, ovunque ubicate, destinate a verde pubblico"". 2.2. Ha evidenziato ancora il T.A.R. che "la nota del Comune di Avellino, prot. n° 20354/2022 dell'11/03/2022, trasmessa in riscontro alla richiesta di chiarimenti avanzata dai Vigili del Fuoco con nota prot. n° 5973 del 09/03/2022, indica inequivocabilmente che "l'area oggetto dell'ubicazione dell'impianto di distribuzione metano e carburanti liquidi ricade all'interno del centro abitato come perimetrato ai sensi dell'art. 17 L. 765/1967..." e che "sull'area, essendo decaduti i vincoli preordinati, le attività edilizie previste ai sensi dell'art. 9 comma 1 lettera a) del DPR 380/2001 sono consentite come di seguito riportate (comuni sprovvisti di strumenti urbanistici per l'area di specie): 1. Salvi più restrittivi limiti fissati dalle leggi regionali e nel rispetto delle norme previste dal decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (ora d.lgs. n. 42 del 2004 - n. d.r.), nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici sono consentiti: a) gli interventi previsti dalle lettere a), b), e c) del primo comma dell'articolo 3 che riguardino singole unità immobiliari o parti di esse"". 2.3. Infine, ha rilevato il T.A.R. che "la procedura seguita dal Comando Provinciale di Avellino ha rispettato in modo integrale il regolamento emanato con il D.P.R. n° 151/2011 e anche le garanzie partecipative di cui alla legge 241/90; infatti, il parere contrario all'istanza di valutazione progetto è stato espresso previa emanazione del preavviso di parere contrario con nota prot. n° 3292 del 07/02/2022". 3. La sentenza suindicata costituisce oggetto dei motivi di appello formulati dalla originaria ricorrente, con i quali viene dedotto, in sintesi, che: - il T.A.R. richiama solo la parte dell'art. 4 del D.M. 24 maggio 2002 riferita ai "comuni sprovvisti dei predetti strumenti urbanistici" che, tuttavia, non trova applicazione al caso in esame, perché nel Comune di Avellino è in vigore il PUC approvato con d.P.G.P. n. 1/2008 e, come risulta dall'attestazione rilasciata dal Comune di Avellino in data 11-15 febbraio 2022, prot. n. 12365, "l'area in oggetto non ricade: nella zona territoriale omogenea individuata come zona A, ai sensi del D.M. n. 1444 del 02/04/1968, come individuata nel vigente PUC", con la conseguenza che non era necessario attestare il rispetto del parametro di densità media; - in ogni caso, con perizia giurata del geom. Fa., depositata nel giudizio di primo grado, è stato attestato che "l'edificazione esistente nel raggio di metri 200 è inferiore a quanto stabilito dall'art. a del D.M. 24.05.2022, art. 4", senza che l'Amministrazione la contestasse o fornisse prova contraria, con la conseguente violazione da parte della sentenza impugnata dell'art. 64, comma 2, c.p.a., a mente del quale "il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite"; - la violazione dell'art. 10 bis l. n. 241/1990 non era stata dedotta - come ritenuto dal T.A.R. - con riferimento alla mancanza del preavviso di diniego, ma con riguardo alla diversa circostanza che il privato non può vedersi rigettata una domanda a causa di inadempienze dell'Amministrazione (recitando la disposizione che "non possono essere addotti tra i motivi che ostano all'accoglimento della domanda inadempienze o ritardi attribuibili all'amministrazione"): il Comando dei Vigili del Fuoco ha infatti addebitato alla mancata attestazione del Comune di Avellino - e, quindi, ad una presunta inadempienza di quest'ultimo - la comprova della insussistenza dell'ipotesi di divieto prevista dalla normativa antincendi, laddove avrebbe dovuto disporre un supplemento di istruttoria; - quanto al contrasto del progetto con la disciplina prevista per le cd. zone bianche, il T.A.R. ha omesso di rilevare che la compatibilità urbanistica non integrava una ragione di diniego del parere antincendio, né poteva farlo trattandosi di questione di competenza comunale, atteso che, ai sensi dell'art. 3, comma 3, d.P.R. 1° agosto 2011, n. 151, "il Comando si pronuncia sulla conformità degli stessi (i progetti per la realizzazione di impianti stradali di distribuzione carburante) alla normativa ed ai criteri tecnici di prevenzione incendi"; - in ogni caso, il Comando dei Vigili del Fuoco si è limitato a rimettere la questione al Comune di Avellino, senza negare il parere perché l'area ricadeva in zona bianca: il T.A.R. ha quindi travisato il contenuto della nota comunale in data 11 marzo 2022, prot. n. 20534, la quale, lungi dall'avere valenza provvedimentale, si limitava in ordine a tale aspetto ad attestare una situazione di fatto, senza esprimersi sulla compatibilità dell'impianto carburanti con le zone bianche. Il T.A.R. pertanto, nell'affermare che "la dichiarazione del Comune di Avellino, dunque, conferma che l'area in questione non può essere oggetto dell'insediamento in questione", si è sostituito al Comune di Avellino che non ha ancora esercitato il suo potere sul punto, violando così l'art. 34, comma 2, c.p.a., per il quale "in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati"; - in ogni caso, la disciplina generale di cui all'art. 9, comma 1, d.P.R. n. 380/2001 va coordinata con quella speciale prevista dal d.lvo n. 32/1998 e dalla pertinente normativa regionale, con particolare riguardo al disposto dell'art. 2, comma 1 bis, d.lvo n. 32/1998, ai sensi del quale "la localizzazione degli impianti di carburanti costituisce un mero adeguamento degli strumenti urbanistici in tutte le zone e sottozone del piano regolatore generale non sottoposte a particolari vincoli paesaggistici, ambientali ovvero monumentali e non comprese nelle zone territoriali omogenee A", all'art. 122, comma 1, l.r. n. 7/2020, ai sensi del quale "gli impianti di distribuzione di carburanti sono autorizzati, nel rispetto delle prescrizioni del presente testo unico, nelle zone omogenee previste dagli strumenti urbanistici comunali, ad eccezione delle zone A", ed all'art. 10 del Reg. regionale n. 1/2012, a mente del quale "ai sensi di quanto previsto dall'articolo 2 del decreto legislativo n. 32 del 1998, la localizzazione degli impianti di distribuzione carburanti costituisce un mero adeguamento degli strumenti di pianificazione comunale in tutte le zone e sottozone individuate dagli strumenti urbanistici comunali non sottoposte a vincoli paesaggistici, ambientali ovvero monumentali e non comprese nelle zone territoriali di cui alla lettera a), comma1, articolo 3 (zona A) del presente regolamento". Deduce sul punto la parte appellante che, come chiarito dalla giurisprudenza, gli impianti carburanti, in quanto tecnologici ed infrastrutturali di pubblica utilità (cfr. T.A..R Campania, Sez. 3ª, sent. n. 4605/2012; id., sent. n. 9297/2006) sono compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica, ad eccezione della zona A: così come, pertanto, l'impianto era compatibile con la destinazione F del PUC prima della decadenza dei vincoli, altrettanto compatibile lo è dopo la sopraggiunta decadenza del vincolo preordinato all'esproprio, ammesso che di vincolo si tratti. Sempre la giurisprudenza ha chiarito, aggiunge la parte appellante, che è possibile localizzare un impianto di distribuzione di carburanti in qualsiasi zona, ad esclusione della zona "A" e dunque, teoricamente, anche in "zona bianca"; - anche l'affermazione contenuta nella sentenza appellata intesa ad evidenziare che "peraltro, dalla certificazione rilasciata dal Comune di Avellino, avente prot. n° 2021/33411 del 30/04/2021, risulta che l'area individuata per l'installazione dell'impianto in questione ricade in parte in Zona per "Verde Pubblico", in contrasto con quanto stabilito dall'art. 4 comma 1. lettera c. del D.M. Interno 24/05/2002, a mente del quale: "Gli impianti di distribuzione stradale di gas naturale per autotrazione non possono sorgere nelle aree, ovunque ubicate, destinate a verde pubblico"", è errata, atteso che il diniego dei Vigili del Fuoco è stato reso per mancanza delle condizioni di cui all'art. 4, comma 1, lett. a), e non di quelle di cui alla lett. c) del D.M. del 24 maggio 2002, per cui sulla questione, estranea al provvedimento impugnato, il T.A.R. non avrebbe potuto pronunciarsi per assenza di domanda e di contradditorio. 4. Si oppone all'accoglimento dell'appello l'appellato Ministero dell'Interno. 5. L'appello è meritevole di accoglimento. 6. La controversia ha ad oggetto un impianto per la distribuzione di carburanti liquidi e metano in località (omissis) s.n. c. (lungo S.P. 70) del Comune di Avellino (su area ricadente nel N.C.T. al foglio (omissis), p.lle (omissis)), alla cui realizzazione la società appellante ha chiesto di essere autorizzata con istanza presentata al Comune di Avellino in data 11 dicembre 2021. 7. Va premesso che, in ordine a tale tipologia impiantistica, l'art. 3, comma 1, d.P.R. 1° agosto 2011, n. 151 ("Regolamento recante semplificazione della disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione degli incendi, a norma dell'articolo 49, comma 4-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122"), in tema di "Valutazione dei progetti", prevede che "gli enti ed i privati responsabili delle attività di cui all'Allegato I, categorie B e C, sono tenuti a richiedere, con apposita istanza, al Comando l'esame dei progetti di nuovi impianti o costruzioni nonché dei progetti di modifiche da apportare a quelli esistenti, che comportino un aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza antincendio". A sua volta, il decreto del Ministro dell'Interno del 24 maggio 2002 detta le "Norme di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio degli impianti di distribuzione stradale di gas naturale per autotrazione", finalizzate a garantire la prevenzione degli incendi e gli obiettivi di sicurezza funzionali alla salvaguardia delle persone e alla tutela dei beni. Tra esse vengono in rilievo, per quanto rileva ai fini del presente giudizio, quelle previste dall'4, comma 1, lett. a) e c) del D.M. citato, in tema di "Ubicazione" degli impianti, ai sensi del quale: "Gli impianti di distribuzione stradale di gas naturale per autotrazione non possono sorgere: a) nella zona territoriale omogenea totalmente edificata, individuata come zona A nel piano regolatore generale o nel programma di fabbricazione, ai sensi dell'art. 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 e, nei comuni sprovvisti dei predetti strumenti urbanistici, all'interno del perimetro del centro abitato, delimitato a norma dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, quando, nell'uno e nell'altro caso, la densità media dell'edificazione esistente nel raggio di 200 m dal perimetro degli elementi pericolosi dell'impianto, come definiti al punto 1.2.3 dell'allegato al presente decreto, risulti superiore a tre metri cubi per metro quadrato; (...) c) nelle aree, ovunque ubicate, destinate a verde pubblico". Il comma 4 dispone invece che "l'attestazione che l'area prescelta per l'installazione dell'impianto non ricada in alcuna delle zone o aree precedentemente indicate è rilasciata dal competente ufficio dell'amministrazione comunale". 8. Ebbene, il primo motivo ostativo opposto con il parere impugnato alla realizzazione dell'impianto attiene al fatto che le certificazioni rilasciate dal Comune di Avellino (prot. n. 2021/33411 del 30 aprile 2021 e prot. n. 2022/12365 del 15 febbraio 2022) non attesterebbero la rispondenza del progetto ai requisiti previsti dalla lett. a) del citato art. 4 del D.M. Interno del 24 maggio 2002. In proposito, il Collegio condivide la tesi di parte appellante secondo la quale non sarebbe necessario, nella specie, verificare la sussistenza della condizione legittimante connessa al fatto che "la densità media dell'edificazione esistente nel raggio di 200 m dal perimetro degli elementi pericolosi dell'impianto, come definiti al punto 1.2.3 dell'allegato al presente decreto" non "risulti superiore a tre metri cubi per metro quadrato". Tale requisito invero, come si evince dal tenore testuale della citata disposizione regolamentare, presuppone che la realizzazione dell'impianto sia prevista "nella zona territoriale omogenea totalmente edificata, individuata come zona A nel piano regolatore generale o nel programma di fabbricazione, ai sensi dell'art. 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 e, nei comuni sprovvisti dei predetti strumenti urbanistici, all'interno del perimetro del centro abitato, delimitato a norma dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765". Tuttavia, come si evince univocamente dalla nota comunale prot. n. 12365 del 15 febbraio 2022, nel Comune di Avellino è vigente il PUC - Piano Urbanistico Comunale approvato con d.P.G.P. n. 1 del 15 gennaio 2008 e l'area interessata dal progetto de quo (di cui al foglio (omissis), p.lla (omissis)) ricade (non in zona A di cui all'art. 2, D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, ma) in zona F per Servizi di interesse generale. Non rileva, al fine di rendere necessaria comunque la sussistenza del requisito relativo alla densità media dell'edificazione, che, come attestato dal Comune con la nota suindicata, le destinazioni urbanistiche impresse dal PUC all'area in questione (in parte "Parcheggi d'interscambio", in parte "Viabilità " ed in parte "Verde pubblico"), integrando altrettanti vincoli preordinati all'esproprio, sono decaduti, essendo decorso il relativo termine quinquennale reiterato di efficacia degli stessi, con la conseguente applicabilità della disciplina urbanistica prevista (per le zone cd. bianche) dall'art. 9, comma 1, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Deve invero osservarsi che l'art. 4, comma 1, lett. a), d.m. 25 maggio 2002, riferendo il requisito di densità media dell'edificato, in alternativa alla appartenenza dell'area destinata alla realizzazione dell'impianto alla zona A per i Comuni dotati dello strumento urbanistico, alla inclusione della stessa, per i Comuni che ne siano sprovvisti, all'interno del perimetro del centro abitato, delimitato a norma dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, non consente di attribuire rilievo alla carenza "parziale" della disciplina urbanistica, ovvero limitata a singole zone per le quali siano venute meno le relative previsioni. Tale esito interpretativo discende, oltre che dal chiaro dettato testuale della citata disposizione, come innanzi riportato, dal carattere alternativo della previsione, con la conseguenza che, una volta accertata l'assenza del presupposto relativo alla inclusione dell'area nella zona A dello strumento urbanistico vigente (univocamente escluso dalla richiamata certificazione urbanistica comunale), non è consentito fare leva sull'altra, dettata come si è detto per i Comuni per i quali, non essendo in vigore uno strumento urbanistico che individui la suddetta zona A, occorre fare riferimento alla perimetrazione del centro abitato operata ai sensi dell'art. 17 l. n. 765/1967. Perdono di conseguenza rilievo, ai fini della decisione, le deduzioni della parte appellante, suffragate da apposita perizia giurata, in ordine al mancato superamento del limite di densità edilizia previsto dalla disposizione suindicata. 9. Quanto invece alla contrarietà dell'intervento (siccome qualificabile come di "nuova costruzione") con le limitate possibilità edificatorie previste per le cd. zone bianche, quale sarebbe divenuta l'area in questione per effetto della decadenza delle destinazioni urbanistiche per essa dettate dal PUC (ove assimilabili ad altrettanti vincoli preordinati all'esproprio), deve osservarsi che, come evidenziato dalla parte appellante, essa non viene addotta dal Comando dei Vigili del Fuoco di Avellino, da cui promana la nota impugnata in primo grado, quale autonomo motivo giustificativo del parere negativo da esso espresso in ordine alla realizzazione dell'impianto in discorso, chiarendo la nota medesima che "trattandosi di condizioni di inidoneità dell'area al di fuori dei casi previsti dall'art. 4 comma 1 lettere a), b) e c) del D.M. Interno 24/05/2002, si rimette alle competenze del Comune in indirizzo ogni ulteriore valutazione e determinazione, in merito alla possibilità di far sorgere l'impianto di distribuzione stradale di gas naturale per autotrazione in parola nell'area prescelta": ne discende che, in quanto estraneo ai motivi dell'impugnato parere negativo, il profilo suindicato non avrebbe potuto essere addotto dal T.A.R. - di fatto, in sostituzione dell'Amministrazione (comunale) riconosciuta come competente ad accertarlo dallo stesso Comando dei Vigili del Fuoco di Avellino - quale motivo di reiezione del ricorso (né risulta che il giudice di primo grado abbia inteso attribuire allo stesso, senza peraltro aver attivato la procedura di interpello ex art. 73, comma 3, c.p.a., l'eventuale valenza di causa di inammissibilità del ricorso in ragione della carenza di interesse a proporlo in capo alla parte ricorrente, conseguente alla suindicata ipotetica ragione ostativa, di carattere prettamente urbanistico, alla realizzazione dell'impianto de quo). Né, sul punto, alcuna determinazione negativa, avente valore provvedimentale, potrebbe ravvisarsi nella nota comunale prot. n. 20354 dell'11 marzo 2022, di riscontro alla richiesta di chiarimenti del Comando dei Vigili del Fuoco di Avellino prot. n. 5973 del 9 marzo 2022, dal momento che essa si limita a chiarire la disciplina urbanistica dell'area per effetto della decadenza dei vincoli preordinati all'esproprio - come delineata dall'art. 9, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 380/2001 - senza recare alcuna statuizione reiettiva in ordine all'istanza di autorizzazione della parte ricorrente. Può conseguentemente prescindersi dall'esaminare funditus le deduzioni attoree intese a sostenere, sulla scorta della disciplina speciale concernente gli impianti di distribuzione di carburanti per uso autotrazione, l'insussistenza dei profili di incompatibilità urbanistica meramente ventilati con la nota impugnata, fermo restando che l'Amministrazione (comunale), nell'assumere le sue determinazioni finali in ordine all'istanza di parte appellante, dovrà attenersi al disposto dell'art. 2, comma 1-bis, d.lvo 11 febbraio 1998, n. 32, in base al quale, secondo la consolidata lettura giurisprudenziale (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 14 novembre 2018, n. 6419) la localizzazione di un impianto di carburanti non è esclusa dalla destinazione dell'area a verde attrezzato oppure a zona agricola, costituendo l'impianto di distribuzione di carburanti una infrastruttura urbanizzativa compatibile con qualunque destinazione urbanistica, salvo espressi divieti, e non necessitando, quindi, di una variante di piano, integrando piuttosto la sua localizzazione un mero adeguamento degli strumenti urbanistici. 10. Analoghi rilievi devono formularsi in ordine al fatto che, come affermato dal T.A.R., "dalla certificazione rilasciata dal Comune di Avellino, avente prot. n° 2021/33411 del 30/04/2021, risulta che l'area individuata per l'installazione dell'impianto in questione ricade in parte in Zona per "Verde Pubblico", in contrasto con quanto stabilito dall'art. 4 comma 1. lettera c. del D.M. Interno 24/05/2002, a mente del quale: "Gli impianti di distribuzione stradale di gas naturale per autotrazione non possono sorgere nelle aree, ovunque ubicate, destinate a verde pubblico"", trattandosi di ipotetico motivo ostativo che, pur astrattamente inerendo alle competenze spettanti all'Amministrazione appellata in tema di prevenzione antincendio, è estraneo al contenuto della nota impugnata. 11. L'appello in conclusione, per le ragioni esposte, deve essere accolto così come, in riforma della sentenza appellata, il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, con il conseguente annullamento del provvedimento impugnato, salve le ulteriori determinazioni dell'Amministrazione. 12. L'originalità dell'oggetto della controversia giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello n. 9606/2022, lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado ed annulla il provvedimento con esso impugnato, salve le ulteriori determinazioni dell'Amministrazione. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Greco - Presidente Pierfrancesco Ungari - Consigliere Paolo Carpentieri - Consigliere Ezio Fedullo - Consigliere, Estensore Antonio Massimo Marra - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2857 del 2023, proposto da -OMISSIS- in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Er. Co., Ma. Co. e Ma. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Ma. Co. in Roma, via (...); contro Comune -OMISSIS- in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ro. Ol., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Condominio il -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, non costituiti in giudizio; per la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, n. -OMISSIS- pubblicata il 20/01/2023, non notificata. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune -OMISSIS- Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2023 il Cons. Maria Stella Boscarino e uditi per le parti gli avvocati Lo. Co. in delega dell'avv. Co. e Ro. Ol.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La società ricorrente appellante ha realizzato nel Comune -OMISSIS- un edificio residenziale, in virtù di concessione edilizia n. 237 del 5 dicembre 1998 e variante n. 28 del 15 febbraio 2001. 2. Ultimata la costruzione, il Comune, a seguito di una serie di sopralluoghi, riscontrava che lo spazio a parcheggio era stato di fatto incluso nell'area di pertinenza di uno dei fabbricati. 3. Di conseguenza, con ordinanza del 15 marzo 2002 n. 20, prot. n. 3121, il Comune -OMISSIS- ingiungeva la demolizione di tali opere in quanto abusive, pronunciandosi altresì circa l'obbligo di realizzazione delle aree di parcheggio privato di uso pubblico. 4. Con sentenza -OMISSIS-, il T.A.R. Emilia Romagna adito dichiarava improcedibile il ricorso proposto contro l'ordinanza citata, essendo stata presentata da parte dei proprietari un'istanza di sanatoria per la recinzione abusiva. 5. Il Consiglio di Stato, con sentenza n. -OMISSIS- accoglieva l'appello, avendo ritenuto sussistente l'interesse al ricorso e fondato il terzo motivo, relativo all'ordine di realizzare i parcheggi ingiunto con l'ordinanza di demolizione. 6. Nel frattempo, con ricorso avanti al T.A.R. per l'Emilia Romagna, sezione di Parma, il Comune -OMISSIS- agiva nei confronti della -OMISSIS-quali aventi causa della stessa società, per vedersi accertato il diritto dell'Ente locale alla realizzazione delle aree di parcheggio privato ad uso pubblico, della superficie di mq. 232,70, ed alla costituzione sulle stesse di una servitù permanente di uso pubblico. 7. Con sentenza n. -OMISSIS- il T.A.R. adito accoglieva la domanda di adempimento dell'obbligazione avente ad oggetto la costruzione delle aree di parcheggio privato ad uso pubblico come da tavola/planimetria richiamata dalla concessione edilizia in sanatoria n. 28 del 15 febbraio 2001, accertando il diritto dell'Amministrazione comunale all'esecuzione della relativa prestazione con conseguente condanna dei sigg. -OMISSIS-a provvedervi; il T.A.R., inoltre, disponeva, ai sensi dell'art. 2932 c.c., la costituzione sulla stessa area di una servitù di uso pubblico. 8. La decisione veniva confermata in appello con decisione n. -OMISSIS-, avverso la quale veniva proposto ricorso per revocazione. 9. Nelle more, gli odierni ricorrenti hanno proposto avanti a questo Consiglio ricorso per l'esecuzione della sentenza della Sez. VI, 9 dicembre 2020 n. 7794; premettendo di aver apposto sui due pilastri posti all'ingresso della loro proprietà dei cartelli contenenti l'invito a non parcheggiare nell'area e di aver ricevuto dal Comune -OMISSIS- ordinanze n. 31/2021 e n. 43/2021, volte alla rimozione dei cartelli, hanno chiesto a questo Consiglio l'(esatta) esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 dicembre 2020 n. 7794, asseritamente violata dalle ordinanze comunali n. 31/202 e n. 43/2021 citate. 10. Il Consiglio di Stato, VI Sezione, con la sentenza n. -OMISSIS-, oggetto del ricorso per revocazione in epigrafe, ha respinto il ricorso per ottemperanza e dichiarato improcedibile il ricorso incidentale proposto dal comune -OMISSIS-. 10.1. La decisione, dopo aver richiamato la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 5 maggio 2016 n. 1794 (ove si è affermato, testualmente, che "l'omessa realizzazione del parcheggio costituisce una palese violazione del titolo abilitativo e costituisce un abuso edilizio insuscettibile di condono, perché impedisce la realizzazione di determinate opere di urbanizzazione primaria"), ha rilevato che nella sentenza della Sezione n. -OMISSIS-non è stato escluso in assoluto l'obbligo di realizzazione del parcheggio, ma è stato sancito che lo stesso doveva avvenire attraverso l'utilizzo di strumenti diversi rispetto all'ordinanza di demolizione. Nel caso di specie il ridetto obbligo è stato già imposto e soddisfatto con la realizzazione del parcheggio in conseguenza dell'accoglimento della domanda di accertamento da parte del T.A.R. per l'Emilia Romagna, Sezione staccata di Parma, con la sentenza n. -OMISSIS- confermata in grado di appello con sentenza della Seconda Sezione del Consiglio di Stato n. -OMISSIS-, sicché "l'ordine di rimozione adottato dal comune non contrasta con il giudicato afferente alla sentenza della Sezione n. -OMISSIS-, in quanto la statuizione in essa contenuta ha effetto limitato e perimetrato alla illegittimità dell'ordinanza di demolizione 15 marzo 2002 n. 20 e alla mancata definizione della successiva richiesta di sanatoria, peraltro riferiti ad una vicenda superata dagli eventi successivi. D'altronde, per ulteriore completezza, va sottolineato che il giudicato formatosi sulla sentenza della Seconda sezione del Consiglio di Stato n. -OMISSIS- è (anche) successivo a quello formatosi sulla sentenza della Sesta Sezione del Consiglio di Stato n. -OMISSIS-, di cui qui si chiede l'esecuzione. Infatti, la detta sentenza n. -OMISSIS- è stata impugnata con ricorso per revocazione dichiarato inammissibile dalla Sezione seconda del Consiglio di Stato con sentenza n. -OMISSIS-; così che il relativo giudicato è comunque successivo a quello di cui alla citata sentenza n. -OMISSIS-". 11. Avverso la decisione sul giudizio di ottemperanza è stato proposto ricorso per revocazione. 11.1. Parte ricorrente anzitutto lamenta che la sentenza revocanda, in motivazione, richiama la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V del 5 maggio 2016 n. 1794, "non pertinente con la fattispecie, in quanto ad altro si riferisce". 11.2. Vi sarebbe, poi, contrasto tra giudicati; le sentenze richiamate nella pronuncia revocanda sarebbero riferite a processi distinti. 11.3. La sentenza n. -OMISSIS-ha ritenuto che l'ordine di realizzare i parcheggi non sia consentito, sulla base del principio generalissimo di cui all'art. 23 della Costituzione, per cui non è vero, come obietta la pronuncia n. -OMISSIS-, che la statuizione contenuta nella sentenza n. -OMISSIS-"ha effetto perimetrato alla illegittimità dell'ordinanza di demolizione 15 marzo 2002 n. 20 e alla mancata successiva richiesta di sanatoria", avendo invece affermato la inesistenza di una norma, che imponga d'imperio una siffatta specifica prestazione di fare. Inoltre, non si comprenderebbe il richiamo alla richiesta di sanatoria, visto che l'ordinanza comunale non ne fa alcun cenno. 11.4. Il Comune si sarebbe anche sottratto all'ordine, "nel riesaminare l'affare, di riconsiderare la fattispecie"; riesame effettuato dalla sentenza revocanda, mentre il Comune non avrebbe tenuto un comportamento conforme a quello imposto dal giudicato. 11.5. Ove non si ritenesse sussistente il lamentato contrasto tra giudicati riferibile all'art. 395, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., si dovrebbe ritenere, comunque, presente l'ipotesi di errore di fatto di cui al n. 4 dell'art. 395 c.p.c. La sentenza n. -OMISSIS-ha dedicato la sua assorbente attenzione al tema dei parcheggi; solo di riflesso facendo un accenno alla demolizione ingiunta con l'ordinanza del 15 marzo 2002. L'errore, dunque, sull'oggetto e portata della sentenza -OMISSIS-sarebbe evidente, finendo per essere un errore di fatto. 12. Il Comune intimato, costituitosi in giudizio, ha eccepito l'inammissibilità delle censure revocatorie, non sussistendo alcun contrasto tra giudicati, data la prevalenza del giudicato che impone di realizzare il parcheggio, mentre il giudicato discendente dalla decisione n. -OMISSIS-è limitato alla ordinanza di demolizione del 2002. Comunque, anche se vi fosse contrasto tra giudicati, prevarrebbe quello favorevole al Comune (n. 4829/2019) perché successivo. Infatti, la sentenza n. -OMISSIS-(di cui la revocanda sentenza ha negato l'esecuzione del giudicato) è stata notificata al Comune il 17.12.2020 ed è passata in giudicato 60 giorni dopo; la sentenza n. -OMISSIS- è stata impugnata con ricorso per revocazione dichiarato inammissibile dalla Sezione seconda del Consiglio di Stato con sentenza n. -OMISSIS- ed è passata in giudicato 6 mesi dopo, cioè il 19.7.2021, data dalla quale (art 107 c.p.a) non è più possibile alcuna impugnazione; così che il relativo giudicato è comunque successivo a quello di cui alla citata sentenza n. -OMISSIS- 12.1. Non sussisterebbe, inoltre, alcun errore di fatto. In realtà la parte ricorrente tenta di contestare l'interpretazione data dalla sentenza agli atti causa, di fatto cercando di instaurare un terzo grado di giudizio. 13. Con memoria i ricorrenti hanno insistito nella propria prospettazione, adducendo che la sentenza n. -OMISSIS-ha affermato l'illegittimità dell'ordine di realizzare i parcheggi, mentre i motivi di gravame riferiti alla recinzione, oggetto anch'essa dell'originaria ordinanza demolitoria del 2002, non sono stati ritenuti suscettibili di considerazione autonoma. Il Comune, inoltre, nel riesaminare l'affare avrebbe dovuto "riconsiderare l'intera vicenda", ma tale riesame, nonostante la sua doverosità, non è stato effettuato. Non potrebbe essere condivisa la tesi che il giudicato su una sentenza sia privo di definitività, perché suscettibile di essere azzerato nei suoi effetti da una sentenza successiva, che, nella fattispecie, non avrebbe, comunque, inciso sul principio di diritto affermato nella pregressa pronuncia. 14. Con memoria di replica i ricorrenti hanno insistito nelle proprie deduzioni, lamentando che la sentenza revocanda avrebbe ignorato il giudicato, cui avrebbe dovuto attenersi, e ne avrebbe travisato il contenuto, a discapito del principio di effettività della tutela giurisdizionale. 15. Anche il Comune ha presentato una memoria, insistendo nelle proprie deduzioni e chiedendo una congrua condanna alle spese legali. 16. Nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2023, esaurita la discussione orale, il ricorso è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 17. Il Collegio ritiene il ricorso inammissibile. 17.1. In primo luogo, occorre ricordare che costituisce motivo di revocazione ai sensi dell'art. 395 n. 5 c.p.c. la circostanza che la sentenza (ovviamente quella oggetto di revocazione) sia "contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione". Infatti, la giurisprudenza ha precisato come il motivo di revocazione previsto dall'art. 395 n. 5 c.p.c. sia configurabile solo quando, prima dell'emanazione della sentenza impugnata per revocazione, sia intervenuta un'altra sentenza che abbia deciso in senso contrario, con efficacia di giudicato, tra le stesse parti e sullo stesso punto oggetto della decisione adottata nella pronuncia successiva, sempreché quest'ultima non abbia pronunciato sull'eccezione di giudicato (ex multis Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 09/07/2012, n. 579). Il che rende di per sé inammissibile il ricorso in epigrafe, laddove, a ben vedere, il denunciato contrasto tra giudicati, secondo la prospettazione della parte, sussiste non tanto tra la decisione oggetto di revocazione e la decisione n. -OMISSIS-, quanto, piuttosto, tra quest'ultima e la n. -OMISSIS-, posto che, come sostanzialmente lamenta parte ricorrente, quest'ultima ha affermato l'obbligo di realizzazione dei parcheggi escluso (in tesi) dalla n. -OMISSIS-in quanto contrario al principio generalissimo di cui all'art. 23 della Costituzione. 17.2. Il che, peraltro, non è . 17.2.1. L'ordinanza del 15 marzo 2002 n. 20 aveva previsto, subito dopo l'ordine di demolizione delle opere, l'obbligo di realizzazione delle aree di parcheggio privato di uso pubblico e il relativo spazio di manovra; pertanto, ponendo a carico dei privati una specifica prestazione di fare. Il giudice d'appello, con la decisione n. -OMISSIS-, richiamando il principio generalissimo di cui all'art. 23 della Costituzione, ha ritenuto che non si rinvenga nel sistema delle leggi urbanistiche una norma che consenta tale tipo di operazione, precisando però che "Ciò non significa che ciò sia impossibile, ovvero non consentito dall'ordinamento; significa soltanto che per raggiungere tale risultato si devono impiegare strumenti diversi, di tipo contrattuale, ovvero quelli della convenzione urbanistica ovvero del titolo convenzionato: si conclude un accordo, di natura contrattuale, con il quale il privato si obbliga con l'amministrazione a realizzare le opere di interesse, tipicamente opere di urbanizzazione come i parcheggi per cui è causa; dell'obbligo assunto, è poi possibile ottenere l'adempimento coattivo con un'azione in tal senso, proposta in sede di giurisdizione esclusiva. Nel caso di specie, però, il Comune ha invece emanato un'ordinanza, e un titolo convenzionato di questo tipo non si rinviene". Risulta quindi evidente come la decisione abbia escluso la possibilità di imporre detta prestazione in via autoritativa mediante un'ordinanza di demolizione, lasciando impregiudicata la possibilità per l'Ente locale di dotarsi di un titolo idoneo all'ottenimento dell'opus. 17.2.2. E appunto con ricorso avanti al T.A.R. per l'Emilia Romagna, sezione di Parma, il Comune -OMISSIS-, nelle more, aveva agito nei confronti della -OMISSIS-quali aventi causa della stessa società, per l'accertamento del suo diritto alla realizzazione delle aree di parcheggio privato ad uso pubblico, della superficie di mq. 232,70, ed alla costituzione sulle stesse di una servitù permanente di uso pubblico; ciò a seguito dell'impegno all'effettuazione dei relativi lavori, giusta descrizione dei parcheggi nelle tavole progettuali, che la It. Co. Ed. aveva assunto in occasione del rilascio dei titoli edilizi (concessione edilizia n. 237 del 5 dicembre 1998 e concessione edilizia in sanatoria n. 28 del 15 febbraio 2001). Al riguardo, il Comune richiamava anche quanto previsto in materia di opere di urbanizzazione dall'art. 31 della legge n. 1150/1942 e dall'art. 12 del d.P.R. n. 380/2001, oltre che dalla normativa di piano in materia di parcheggi, e chiedeva la condanna di It. Co. Ed. S.r.l. e dei suoi aventi causa all'esecuzione delle opere, l'adozione di una sentenza costitutiva della servitù e la condanna degli intimati al risarcimento dei danni. Con sentenza n. -OMISSIS- il T.A.R. adito, ritenuta la giurisdizione, accoglieva la domanda di adempimento dell'obbligazione avente ad oggetto la costruzione delle aree di parcheggio privato ad uso pubblico come da tavola/planimetria richiamata dalla concessione edilizia in sanatoria n. 28 del 15 febbraio 2001, con conseguente accertamento del diritto dell'Amministrazione comunale all'esecuzione della relativa prestazione e conseguente condanna dei sigg. -OMISSIS-a provvedervi; disponeva, ai sensi dell'art. 2932 c.c., la costituzione sulla stessa area di una servitù di uso pubblico. L'appello veniva respinto con decisione n. -OMISSIS- sulla base della seguente argomentazione: "pur in assenza della formalizzazione di una convenzione urbanistica, la manifestazione della volontà del privato di assumere un determinato impegno correlato al rilascio del titolo edilizio, sia pure consegnata agli allegati alla domanda di rilascio del titolo stesso, vincola il suo autore e fonda il nascere di una corrispondente obbligazione in capo al medesimo tutte le volte in cui l'amministrazione, in accoglimento della domanda, adotti il provvedimento richiesto conformemente, e subordinatamente, a quell'impegno" precisando altresì che "il progetto allegato alla domanda di rilascio di un titolo edilizio è inscindibilmente connesso alla domanda medesima perché ne definisce in concreto il contenuto, essendo il progetto l'atto documentale essenziale sul quale l'autorità è chiamata ad assumere le sue determinazioni". 17.3. Risulta, quindi, evidente che l'ambito di perimetrazione dei giudizi non sia sovrapponibile, poiché la sentenza n. -OMISSIS-si è pronunciata su un'ordinanza di demolizione che aveva anche imposto l'obbligo di realizzazione del parcheggio, statuendo che, in mancanza di un titolo, non fosse possibile adottare detto ordine mediante un provvedimento unilaterale. Il giudizio conclusosi con la sentenza n. -OMISSIS- invece si è appunto occupato della costituzione in sede giurisdizionale di un titolo per la realizzazione coattiva dei parcheggi, ravvisando un preciso obbligo assunto dai richiedenti la concessione edilizia attraverso la previsione progettuale allegata alla domanda di concessione edilizia, e provvedendo alla costituzione di servitù . Attività affatto esclusa dall'ambito operativo della sentenza n. -OMISSIS- 17.4. Oltre a non ravvisarsi un contrasto tra giudicati, per le ragioni sopra individuate, deve ulteriormente trarsi, da quanto fin qui precisato, una ulteriore ragione di inammissibilità dell'azione, in quanto il contrasto tra giudicati postula, per concorde giurisprudenza civile e amministrativa, l'identità di petitum e di causa petendi tra i due giudizi (cfr. Consiglio di Stato sez. II, 28/10/2022, n. 9322; sez. VI, 23 agosto 2021, n. 5988: "occorre che tra i due giudizi vi sia perfetta identità, oltre che di soggetti, anche di oggetto, di modo che possa ritenersi sussistente una ontologica e strutturale concordanza fra gli estremi su cui debba esprimersi il secondo giudice e gli elementi distintivi della decisione emessa per prima, avendo questa accertato lo stesso fatto od un fatto ad esso antitetico (così, ex multis, Consiglio di Stato sez. III, 19/04/2017, n. 1844; Cons. St., sez. IV, 24.9.2013, n. 4712 e 5 marzo 2015, n. 1124; Cons. St., VI, 26 maggio 2015, n. 2646)"; Cass., sez. II, ord. 3 dicembre 2021, n. 38230: "perché una sentenza possa considerarsi contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, e, quindi, essere oggetto di revocazione, occorre che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che tra le due vicende sussista una ontologica e strutturale concordanza degli estremi sui quali deve essere espresso il secondo giudizio, rispetto agli elementi distintivi della decisione emessa per prima, nel senso che la precedente sentenza deve avere ad oggetto il medesimo fatto o un fatto ad esso antitetico, non anche un fatto costituente un possibile antecedente logico, restando poi la contrarietà con la sentenza avente autorità di cosa giudicata ipotizzabile solo in relazione all'oggetto degli accertamenti in essa racchiusi"). 17.5. Identità che, per quanto fin qui esposto, non sussiste né tra le decisioni n. -OMISSIS- e n. -OMISSIS-(il cui ipotetico contrasto non sarebbe comunque denunciabile in questa sede) né tra quest'ultima e la decisione resa nel giudizio di ottemperanza oggetto di domanda di revocazione. 18. Infine, deve rilevarsi che, non essendo stato denunciato con il prescritto rimedio del ricorso per revocazione il lamentato contrasto tra le decisioni n. -OMISSIS- e n. -OMISSIS-, è la n. -OMISSIS- a prevalere, in quanto, come ricostruito dal Comune e dato atto nella stessa decisione n. -OMISSIS-, passata in giudicato successivamente. 19. Deve, parimenti, escludersi l'esistenza di alcun errore di fatto revocatorio. 19.1. Come recentemente riaffermato dalla Sezione (sentenze 15/5/2023, n. 4838 e 2/2/2023, n. 1162), ai sensi degli artt. 106, comma 1, c.p.a. e 395, comma 1, n. 4), c.p.c., la revocazione è proponibile "se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa". Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e, in entrambi i casi, se il fatto non ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza di cui si chiede la revocazione si è pronunciata. L'errore di fatto, idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dalla norma richiamata pertanto deve: a) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente e immediatamente rilevabile e tale da aver indotto il giudice a supporre l'esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; b) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; c) non cadere su di un punto controverso sul quale la sentenza abbia pronunciato; d) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, così da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; e) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo (cfr., e plurimis, Cons. Stato, sez. V, 17 gennaio 2020, n. 434; sez. II, 24 settembre 2020, n. 5586; sez. III, 6 novembre 2020, n. 6842). 19.2. Infine, il rimedio revocatorio per errore di fatto risulta utilizzabile anche a fronte di un'omessa pronuncia su domande o eccezioni costituenti il thema decidendum. La condizione, tuttavia, perché possa ritenersi sussistente tale fattispecie deve conseguire all'esame della motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché essa è riferibile soltanto all'ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non a quella in cui, al contrario, la decisione sul motivo d'impugnazione risulti implicitamente da un'affermazione decisoria di segno contrario ed incompatibile (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 gennaio 2020 n. 225). 20. Applicando tali consolidati principi al caso di specie, il ricorso per revocazione risulta inammissibile, non essendo stato evidenziato dalla parte alcun errore revocatorio che rispetti i sopra richiamati indici. 21. La decisione n. -OMISSIS- ha correttamente rilevato che nella sentenza n. -OMISSIS-non è stato escluso in assoluto l'obbligo di realizzazione del parcheggio, ma è stato sancito che lo stesso doveva avvenire attraverso l'utilizzo di strumenti diversi rispetto all'ordinanza di demolizione; strumento di cui il Comune si è dotato attraverso la decisione del T.A.R. per l'Emilia Romagna, Sezione staccata di Parma, con la sentenza n. -OMISSIS- confermata in grado di appello con sentenza della Seconda Sezione del Consiglio di Stato n. -OMISSIS-. Peraltro, quanto alla menzione (contenuta nella sentenza revocanda) della decisione della sez. V, 5/5/2016, n. 1794, si tratta di citazione assolutamente pertinente: tale decisione era intervenuta tra le stesse parti e concerneva l'appello avverso la decisione di primo grado formatasi sull'impugnazione (sempre relativamente al medesimo intervento edilizio) del rigetto della domanda di condono relativa all'installazione di un cancello, istanza respinta per essere il cancello preclusivo dell'accesso ai parcheggi privati di uso pubblico ivi previsti dal titolo edilizio. Pronunciandosi in appello sulla vicenda in questione, la Sez. V rilevava "da un lato che l'installazione del cancello -oggetto di uno dei condoni- concreta un'indebita interdizione dell'accesso ai parcheggi di uso pubblico previsti dalla concessione edilizia, mentre la mancata realizzazione dei parcheggi - oggetto dell'altra richiesta di condono - lungi dal costituire un'attività meramente omissiva- determina la mancata ottemperanza alle prescrizioni del titolo edilizio originario" e che " l'omessa realizzazione del parcheggio costituisce una palese violazione del titolo abilitativo e costituisce un abuso edilizio insuscettibile di condono, perché impedisce la realizzazione di determinate opere di urbanizzazione primaria. La circostanza, quindi, che i previsti parcheggi non siano stati realizzati coinvolge il fabbricato oggetto della concessione edilizia, inficiandone la regolarità in ragione della carenza di una parte delle opere di urbanizzazione ad esso collegate; onde la domanda di condono, lungi dal limitarsi alle opere rimaste inattuate, avrebbe dovuto investire il complessivo intervento edilizio, di cui la parte mancante rappresenta un elemento costitutivo". Dunque, risulta evidente come la decisione del Consiglio di Stato n. -OMISSIS- si ponga in linea con l'orientamento emerso nella statuizione n. 1794/2016, nell'affermare la doverosità ed indispensabilità del rispetto dell'obbligo di realizzazione dei parcheggi, di guisa che il richiamo di tale ultima decisione nella sentenza n. -OMISSIS- appare del tutto pertinente, ed evidentemente volto a riaffermare il più volte sancito obbligo, cui la parte ricorrente insiste a tentare di sottrarsi. D'altra parte, la giurisprudenza ha chiarito come sia inammissibile per difetto di interesse il ricorso per revocazione se l'errore in cui sarebbe incorso il giudice è contenuto in un obiter dictum, non essenziale ai fini della decisione resa in dispositivo, in quanto, quand'anche fosse confermata la sussistenza del dedotto errore revocatorio, ciò non potrebbe condurre a una riforma della sentenza in senso favorevole al ricorrente, attenendo ad un profilo non rilevante ai fini della decisione (Consiglio di Stato sez. III, 15/12/2021, n. 8377). 22. Per il resto, la parte non evidenzia alcun errore revocatorio secondo gli indici riconosciuti dalla giurisprudenza, mirando ad ottenere una revisione di terzo grado sulla sentenza emessa nel giudizio di ottemperanza. In proposito, è consolidato l'indirizzo giurisprudenziale per cui non può giustificare la revocazione una contestazione sull'attività di valutazione del giudice, perché essa riguarderebbe un profilo diverso dall'erronea percezione del contenuto dell'atto processuale, in cui si sostanzia l'errore di fatto; di conseguenza, il vizio revocatorio non può mai riguardare l'errore di giudizio, investendo per sua natura l'attività valutativa e interpretativa del giudice. In questo caso, il mezzo in esame sarebbe comunque sostanzialmente rivolto contro un'interpretazione giuridica (pretesa) errata (in ordine alla portata del giudicato oggetto del giudizio di ottemperanza ed in merito alla prevalenza del giudicato successivo rispetto il precedente), fattispecie del tutto estranea all'ambito dei vizi rilevanti nel giudizio di revocazione. 23. Per quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 24. Le spese della presente fase di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese della presente fase di giudizio, liquidate nella misura di euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge se dovuti, in favore del Comune intimato. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità delle parti private citate in sentenza. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Giovanni Sabbato - Presidente FF Antonella Manzione - Consigliere Francesco Guarracino - Consigliere Maria Stella Boscarino - Consigliere, Estensore Francesco Cocomile - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9742 del 2022, proposto dal Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati La. Am., Fi. Lu., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fi. Lu. in Roma, via (...); contro il sig. Gi. Gu., rappresentato e difeso dall'avvocato Is. Ma. St., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); il Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (...); la società Ca. Co. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; nei confronti della Provincia di Ancona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Cl. Do., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Ancona, Strada di (...); della Agenzia del demanio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (...); della Regione Marche, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio. per la riforma quanto riguarda il ricorso introduttivo: della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per le Marche (sezione prima) n. 00528/2022, del 20 settembre 2022, resa tra le parti; quanto al ricorso incidentale presentato da Ca. Co. s.r.l. per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale delle Marche 20 settembre 2022, n. 528. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del sig. Gi. Gu., della Provincia di Ancona, dell'Agenzia del demanio e del Ministero dell'economia e delle finanze; Visto l'atto di costituzione in giudizio di ed il ricorso incidentale proposto dal ricorrente incidentale Ca. Co. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2023 il consigliere Giuseppe Rotondo; viste le conclusioni delle parti come da verbale; FATTO e DIRITTO 1. Il presente giudizio ha ad oggetto: a) la domanda di annullamento dei seguenti atti: - deliberazione del consiglio comunale di Senigallia 9 settembre 2003, n. 72, recante adozione della variante di tutela e valorizzazione della fascia litoranea (impugnata in primo grado con ricorso nrg 55/2004); - deliberazione del consiglio comunale di Senigallia 15 febbraio 2005, n. 24 recante "approvazione ai sensi dell'art. 26 e segg. della l.r. n. 34/1992" della "Variante di tutela e valorizzazione della fascia litoranea" (impugnata in primo grado con ricorso n. 534/2005); - deliberazione della giunta regionale delle Marche 8 febbraio 2005, n. 43 recante "parere favorevole con rilievi" alla suddetta variante al p.r.g. del Comune di (omissis) (impugnata in primo grado con ricorso n. 534/2005); - deliberazione consiliare 25 settembre 2002, n. 74, di approvazione del S.I.0. - Studio di inquadramento Operativo della zona costiera (impugnata in primo grado con ricorso n. 534/2005); - prescrizioni contenute nella pubblicazione EC., "Il campeggio ecologico e la riqualificazione ambientale della costa", riguardante, per una parte, il Comune di (omissis), ed in particolare, nell'ambito dell'attuazione della Variante sopraindicata, minuziosissime prescrizioni per l'esecuzione della stessa" (impugnata in primo grado con primo atto di motivi aggiunti al ricorso n. 534/2005); - deliberazione del consiglio comunale di Senigallia 8 novembre 2021, n. 95, recante approvazione della variante parziale al p.r.g. "Città Resiliente", con cui: i) sono stati revocati i precedenti atti di delocalizzazione ovvero di "spostamento" dell'attività nella zona CT4); sarebbe stata preclusa qualsiasi ulteriore volumetria nella zona BT11, disponendo che "Nelle BT11 del (omissis) sono ammessi esclusivamente interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro e risanamento conservativo nonché di ristrutturazione edilizia, così come definiti dall'art. 3 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 - e s.m.i. e di consolidamento statico che non alterino il volume totale degli edifici" (atto impugnato in primo grado con secondo ricorso per motivi aggiunti al ricorso n. 534/2005); - decreto del Presidente della Provincia di Ancona, n. 71 del 13 luglio 2021 recante il parere favorevole con prescrizioni alla variante parziale (atto anch'esso impugnato con i secondi motivi aggiunti al ricorso n. 534/2005); b) la domanda di risarcimento danno per il pregiudizio economico subito in ragione della variante urbanistica, in relazione sia alla mutata destinazione d'uso dalla stessa impressa all'area che alla disposta delocalizzazione (spostamento) dell'attività turistico-ricettiva, che avrebbero leso l'affidamento riposto nel mantenimento dell'attività nella originaria area e nella capacità edificatoria già assentita dai titoli edilizi. 2. Questi gli aspetti principali della vicenda: a) il sig. Gi. Gu. (che agisce in giudizio in proprio e quale legale rappresentante della coc. Ca. Co. a r.I.) acquistò, insieme alla moglie, nel marzo del 2000, le quote della società "Ca. Co. a r.l." investendo nella sua ristrutturazione; ottenne la concessione per il rinnovo dei servizi (bar, ristorante, mini market, bungalow e servizi igienici) e poi l'autorizzazione nel 2001 per attività di pubblico esercizio (bar ristorante-pizzeria) e commercio in sede fissa; b) riferisce che nel mese di ottobre 2001 la società venne inserita, con decreto del Ministero delle attività produttive, nella contribuzione di cui alla legge n. 488/1992 ottenendo un contributo di lire 309.000.000 e l'erogazione di un terzo di esso per la realizzazione anche di un numero di bungalow, asseritamente realizzabili anche con il nuovo piano particolareggiato delle strutture turistico ricettive approvato nel gennaio 2002, pur riducendo la percentuale al 35%; c) nel giugno 2002 intervenne il SIO (studio di inquadramento operativo), approvato con delibera consiliare 25 settembre 2002, n. 74, che localizzò sull'area un nuovo polo alberghiero, per turismo itinerante degli ostelli, gite scolastiche, soggiorni vacanza per anziani, vasta ara di verde pubblico attrezzato; d) nel mese di ottobre 2002 anche la Regione concesse un contributo per ampliamento e ristrutturazione, con erogazione di una prima rata; e) nel mese di gennaio 2003 presentò domanda di concessione edilizia per i bungalow per la quale il Comune, nel marzo 2003, chiese documenti per il rilascio della concessione; f) nel mese di settembre 2003 venne adottata la variante di valorizzazione delle zone costiere - previo parere favorevole della Provincia - con la quale l'area dove si trova il campeggio fu destinata a Parco litoraneo naturalistico pubblico, con spostamento dell'attività, insieme a quelle degli altri 12 campeggi della zona, in zona CT4, oltre la Statale Adriatica, sotto l'A14 (art. 3 co. 4, delle n. t.a. della variante). 3. Il sig. Gu., nel dolersi della illegittima delocalizzazione del camping, fonte altresì di pregiudizi economici e patrimoniali, impugnava gli indicati provvedimenti (v. par. 1) innanzi al T.a.r. per le Marche, affidandosi a due separati ricorsi. 3.1. Con ricorso allibrato al nrg 55/2004, deduceva 13 motivi di gravame (estesi da pagina 16 a pagina 64 del ricorso), compendiato nella violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza assoluta. 3.2. Con ricorso allibrato al nrg 534/2005, deduceva, con ricorso principale, 20 motivi di gravame (estesi da pagina 7 a pagina 28 del ricorso); con primi motivi aggiunti, tre motivi di gravame (estesi da pagina 3 a pagina 5 del ricorso); con secondi motivi aggiunti, 3 motivi (estesi da pagina 4 a pagina 7 del ricorso), compendiati nella violazione di legge ed eccesso di potere. 3.3. In entrambi i ricorsi chiedeva, altresì, l'accertamento del diritto al risarcimento del danno per violazione dell'affidamento illegittimo risposto nella originaria localizzazione del camping (oggetto di delocalizzazione), nonché nel piano particolareggiato delle strutture turistico-ricettive approvato nel 1995 e modificato nel 2002, il quale avrebbe consentito ai campeggi esistenti di realizzare strutture ricettive "pesanti" (bungalows) per una superfice pari al 35% di quella delle piazzole di sosta esistenti: ove non approvata la variante, si sarebbe potuta ampliare la struttura preesistente mercé i titoli asseritamente già rilasciati. 3.4. Si costituivano nei rispettivi giudizi, per resistere, il Comune di (omissis) e la provincia di Ancona (quest'ultima solo nel ricorso n. 534/2005). 4. Il T.a.r. per le Marche, con sentenza n. 528 del 20 settembre 2022: - riuniva i ricorsi, ai sensi dell'art. 70 c.p.a.; - dichiarava inammissibili i motivi aggiunti depositati in data 13 marzo 2007, nell'ambito del ricorso n. 534/2005 R.G., avendo parte ricorrente impugnato un documento (la pubblicazione "EC.") "che non ha nemmeno natura di atto amministrativo"; - dichiarava improcedibili "le domande impugnatorie proposte avverso i provvedimenti di adozione e di approvazione definitiva della variante urbanistica del 2005" a seguito della sopravvenuta "variante approvata con deliberazione n. 95/2021" con la quale il Comune aveva "revocato le previsioni contenute nella variante 2005 a suo tempo contestate da parte ricorrente, ed in particolare la prevista delocalizzazione dei campeggi ricadenti nel Lungomare Italia e quindi anche del campeggio (omissis)"; - respingeva nel merito i secondi motivi aggiunti, depositati in data 24 marzo 2022 nell'ambito del ricorso n. 534/2005: l'unico vizio riconosciuto dal T.a.r. - preso a presupposto della condanna del Comune al risarcimento del danno - era quello della lesione, da parte della variante approvata nel 2005, dell'affidamento vantato dal Camping a realizzare i bungalow in base a non meglio precisati atti di assenso. In particolare, il Tar osservava che: i) "la variante del 2021 non è una variante c.d. puntuale, per cui viene meno l'argomento principale che potrebbe indurre il Tribunale a condividere il sospetto di parte ricorrente" (id est, sviamento di potere); ii) il Comune, sia pure dopo molti anni, ha condiviso l'assunto di parte ricorrente circa la irrealizzabilità della delocalizzazione dei campeggi, per cui in parte qua non può certo intravvedersi un eccesso di potere, ma semmai una doverosa presa d'atto di una situazione oggettiva; iii) la variante del 2021 non viola l'art. 12, commi 3 e 5, della l.r. Marche n. 9/2006, considerato che l'inciso (al comma 5) che " inizia con le parole "...solo in caso di avvenuto rilascio..." impedisce di accogliere la prospettazione del ricorrente, visto che nella specie non risulta che il Comune, prima dell'entrata in vigore della L.R. n. 9/2006, abbia autorizzato il camping (omissis) a realizzare bungalows in misura superiore al 25% della capacità ricettiva della struttura" ; iv) "La norma del comma 3, invece, non potrebbe essere interpretata nel senso che la possibilità di realizzazione di allestimenti stabili prevalga ex se sulle misure di tutela paesaggistica e ambientale che eventualmente interessino l'area in cui è ubicato un campeggio, perché ciò darebbe luogo alla sostanziale elusione del P.P.A.R. e delle prescrizioni urbanistiche più restrittive contenute nel p.r.g."; - accoglieva - previa reiezione delle eccezioni processuali - la domanda risarcitoria proposta con il ricorso n. 534/2005 R.G. (limitatamente all'interesse negativo e nei confronti del solo Comune di (omissis)), stante il ritenuto pregiudizio derivante dalla "indebita compressione dell'attività economica svolta da Ca. Co.", determinato dalla destinazione urbanistica (meno favorevole rispetto al p.p.r.s.r.) impressa dalla variante 2005 con vulnus del "legittimo affidamento circa la realizzabilità di taluni interventi rispetto ai quali erano stati già rilasciati i titoli autorizzativi (o erano state presentate le relative domande) ed erano stati ottenuti finanziamenti pubblici che il ricorrente ha dovuto restituire"; - in relazione al quantum, il T.a.r. riteneva di avvalersi dello strumento di cui all'art. 34, comma 4, c.p.a., ordinando al Comune di (omissis) di "formulare al ricorrente, entro 120 giorni dalla notifica o dalla comunicazione della presente sentenza, una proposta risarcitoria" che tenesse conto: i) delle spese sostenute dalla società Ca. Co. S.r.l. per la predisposizione del progetto relativo alla costruzione dei bungalows e delle spese connesse; ii) degli oneri finanziari che Ca. Co. S.r.l. ha dovuto sopportare in relazione all'obbligo di restituzione dei contributi pubblici percepiti in relazione al programma di ampliamento del campeggio (omissis); - compensava, infine, le spese dei giudizi. 5. Ha appellato il Comune di (omissis), che contesta il capo di sentenza recante l'accertamento del diritto al risarcimento del danno in favore del sig. Gu. per errore nei presupposti di fatto e di diritto. difetto dei presupposti per la condanna risarcitoria, motivazione illogica e contraddittoria. 5.1. Il Comune non ha impugnato, invece, i capi della sentenza che hanno respinto le plurime eccezioni di inammissibilità della domanda risarcitoria. 5.2. Si sono costituiti in giudizio, per resistere, l'Agenzia del demanio, il sig. Gi. Gu., in proprio e quale legale rappresentante in carica della soc. Ca. Co. a r.I., e la Provincia di Ancona. 6.2. Il sig. Gu., nelle dispiegate qualità, ha proposto appello incidentale avverso la sentenza del T.a.r., limitatamente ai capi di rigetto dei secondi motivi aggiunti e di parziale rigetto della domanda risarcitoria proposte nella domanda risarcitoria. 6.3. Il Comune di (omissis) e il sig. Gu. hanno depositato memorie conclusive, rispettivamente, in date 5 e 8 maggio 2023; il Comune di (omissis) anche memoria di replica in data 17 maggio 2023. 7. All'udienza dell'8 giugno 2023, la causa è stata trattenuta per la decisione. 8. La vicenda controversa, nei termini perimetrati dalle parti nel presente giudizio d'appello, involge due ordini di questioni: a) l'esame della domanda di risarcimento del danno azionata dal sig. Gu. in relazione all'affidamento dallo stesso riposto nel mantenimento della originaria localizzazione del camping e del suo sfruttamento edificatorio asseritamente frustrato dalla variante urbanistica approvata con delibera c.c. 8 novembre 2021, n. 95 (oggetto dell'appello sia principale, proposto dal Comune di (omissis), che incidentale proposto dal sig. Gu.); b) l'esame di legittimità della variante urbanistica approvata dal Comune di (omissis) con delibera consiliare 8 novembre 2021, n. 95 (impugnata in primo grado con secondi motivi aggiunti al ricorso n. 534/2005 e oggetto del solo appello incidentale proposto dal sig. Gu.). 9. Il Collegio ritiene di iniziare la trattazione, per questioni di ordine logico-consequenziali, dall'appello incidentale col quale si avversano i capi di rigetto dei secondi motivi aggiunti proposti avverso la delibera c.c. di variante n. 95/2021. 10. L'appello incidentale è infondato. 11. Con la deliberazione del consiglio comunale 8 novembre 2021, n. 95, il Comune ha disposto la revoca delle disposizioni oggetto della variante zone costiere e il ripristino per le zone in questione della originaria destinazione a campeggi. In particolare, l'ente locale ha revocato le previsioni contenute nella variante 2005 di delocalizzazione dei campeggi ricadenti nel "Lungomare Italia" e quindi anche del campeggio (omissis), ampliando addirittura la possibilità degli interventi edilizi (estesi anche alla ristrutturazione). Il Comune si è così determinato poiché "a distanza di 20 anni non si è riusciti a dare concretezza alla previsione di trasferimento e le strutture ricettive a campeggio necessitano di norme che consentano interventi per riqualificare l'offerta esistente, che nella precarietà urbanistica attuale non sono possibili". Con specifico riferimento al punto "3.8. Valorizzazione urbana e demaniale del lungomare sud ed aree a parcheggio", il Comune ha abolito la destinazione F 8.3 e ha reintrodotto la destinazione BT11 relativa ai campeggi, riportando la destinazione alla situazione precedente rispetto al S.I.O. e alle deliberazioni del 2003, 2004 e 2005, relative appunto alla variante. Segnatamente, con la modifica dell'azzonamento urbanistico delle aree a campeggio sul (omissis) (da zona F8 per parchi litoranei - art. 20/h delle NTA di PRG a zona BT11 destinate a zone turistiche all'aria aperta - art. 16/j delle stesse NTA), si è ripristinata l'originaria allocazione rendendo legittima la permanenza dei campeggi esistenti, così accogliendosi le istanze degli operatori turistici che hanno potuto conservare le strutture esistenti di cui lamentavano l'illegittimo spostamento. Detto ripristino è avvenuto, inoltre, in termini di azzonamento di piano, ovvero mediante il riconoscimento di una destinazione urbanistica specifica che ha consentito il mantenimento dei campeggi esistenti sulle suddette aree. Modifiche, queste, che hanno dato risposta positiva alle esigenze degli operatori turistici e, per quanto qui rileva, della società (omissis). 12. In ogni caso e comunque, se anche fosse stata revocata in dubbio la legittimità delle previsioni di utilizzazione delle aree, rileverebbe in via dirimente la circostanza che la sopravvenuta disciplina edilizia delle aree in questione ha riconosciuto (in via innovativa rispetto alla normativa antecedente: variante generale al prg 1990-1997, variante di tutela e di valorizzazione della fascia litoranea 2003-2005) la possibilità, oltre che di interventi di "manutenzione ordinaria, straordinaria e adeguamenti igienico-sanitari", anche di "interventi di restauro e risanamento conservativo nonché ristrutturazione edilizia" ampliando così le categorie d'intervento. 13. In definitiva, la nuova variante, approvata con delibera c.c. n. 95/2021, ha riconosciuto agli operatori la destinazione urbanistica (BT11) compatibile con la permanenza dei campeggi sulle aree (così abbandonando il censurato spostamento), nonché ampliato la categoria degli interventi edilizi ammessi. 14. Poiché la nuova disciplina di piano regolatore ha revocato la precedente variante e ripristinato la destinazione a campeggio, correttamente il Ta.r. ha dichiarato la improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, dei ricorsi proposti avverso i provvedimenti di adozione e di approvazione definitiva della variante urbanistica del 2005, tanto a seguito della variante approvata con deliberazione n. 95/2021. 15. Le considerazioni appena svolte si sono rese necessarie per inquadrare la vicenda dal punto di vista della sua evoluzione fattuale e processuale, rilevante ai fini del successivo esame della domanda risarcitoria. 16. Spostando, ora, l'analisi sulla delibera consiliare n. 95/2021, il Collegio osserva che la stessa concerne la variante parziale (e non puntuale) al prg "Città Resiliente". 17. Con essa sono stati revocati i precedenti atti di delocalizzazione ovvero di "spostamento" dell'attività nella zona CT4) ed è stata ampliata la categoria degli interventi edilizi rispetto alla variante del 2005, confermandosi, rispetto a questa, la preclusione a qualsiasi incremento di volumetria nella zona BT11 ("Nelle BT11 del (omissis) sono ammessi esclusivamente interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro e risanamento conservativo nonché di ristrutturazione edilizia, così come definiti dall'art. 3 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 - e s.m.i. e di consolidamento statico che non alterino il volume totale degli edifici"). 18. L'appellante incidentale ha contestato la variante in questione per i seguenti vizi-motivi: I)violazione dell'art. 2 della l.r. Marche 5 agosto 1992, n. 34 in combinato disposto con l'art. 12, comma 3, della l.r. Marche 11 luglio 2006 n. 9; violazione principi di pianificazione; inesistente motivazione: a) nel disporsi il divieto di qualsiasi nuova volumetria nella zona BT11, si viola il principio della doverosa equilibrata integrazione della tutela e valorizzazione delle risorse culturali, paesistiche e ambientali con le trasformazioni connesse agli indirizzi e programmi di sviluppo economico definiti dall'Ente regionale; b) la previsione di variante per cui "Nelle BT11 del (omissis) sono ammessi esclusivamente interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro e risanamento conservativo nonché di ristrutturazione edilizia, così come definiti dall'art. 3 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 - e s.m.i. e di consolidamento statico che non alterino il volume totale degli edifici" viola la l.r. n. 9/2006 secondo cui "Nei campeggi è consentita la presenza di allestimenti stabili minimi installati a cura del gestore quali mezzi sussidiari di pernottamento, nel limite di una capacità ricettiva non superiore al venticinque per cento di quella complessiva dell'esercizio"; II) illegittimità derivata dall'illegittimità della variante al prg di tutela e valorizzazione della fascia litoranea del Comune di (omissis): l'odierna variante cancella la capacità edificatoria della zona in cui opera il campeggio ricorrente, senza operare alcuna differente ulteriore scelta urbanistica se non quella di cancellare pure le possibilità (recte l'imposizione) di trasferimento in area CT4 (sotto l'autostrada A14); III) violazione dell'art. 12, comma 5, lr. Marche 11 luglio 2006 n. 9; sviamento; risarcimento del danno: a) il divieto di nuove volumetrie, senza alcuna motivazione, oggi essendo stata pure abbandonata la finalità di trasferire i campeggi sotto l'autostrada, è evidentemente finalizzata a paralizzare l'azione giurisdizionale dei ricorrenti ed a privarli anche del risarcimento dei danni conseguenti all'adozione e perdurante mantenimento di una regolamentazione illegittima e lesiva dei diritti imprenditoriali degli stessi; b) laddove i ricorrenti avessero potuto edificare i bungalow impediti dall'adozione dei provvedimenti gravati, essi avrebbero potuto mantenerli, mentre oggi, ai sensi dell'art. 12, comma 5, l.r. n. 9/2006, non potranno comunque realizzarne più del 25%, imponendosi il risarcimento del danno per equivalente non solo per il lucro cessante per la ritardata edificabilità dei bungalow (e i danni emergenti per la perdita dei finanziamenti, ecc...), ma pure per la definitiva impossibilità di edificazione della quota tra il 25% tutt'oggi da consentirsi e quanto all'epoca conseguibile (ed illegittimamente precluso dalle resistenti). 19. I motivi, che possono scontare l'esame congiunto, sono infondati. 20. La società (omissis) lamenta, sostanzialmente, l'illegittimità della variante del 2021, in quanto opererebbe una indebita compressione della capacità edificatoria delle strutture ricettive in violazione dell'art. 12, comma 3, della l.r. n. 9/2006. 20.1. La suindicata disposizione prevede quanto segue: "Nei campeggi è consentita la presenza di allestimenti stabili minimi installati a cura del gestore quali mezzi sussidiari di pernottamento, nel limite di una capacità ricettiva non superiore al venticinque per cento di quella complessiva dell'esercizio". 20.2. La variante avrebbe illegittimamente pretermesso la possibilità di tale incremento volumetrico. 21. Il Collegio osserva che la variante urbanistica di cui alla delibera n. 95/2021 è coerente con il piano paesaggistico ambientale regionale, rispetto al quale rappresenta un livello di attuazione secondario della pianificazione territoriale, dal quale essa non può discostarsi né divergere, costituendo il p.p.a.r. la "carta fondamentale delle forme di tutela, valorizzazione ed uso del territorio marchigiano" (art. 2, comma 2, l.r. 5 agosto 1992, n. 34, recante "Norme in materia urbanistica, paesaggistica e di assetto del territorio") a cui il "sistema della pianificazione territoriale sovracomunale" si deve adeguare e coordinare" (art. 2, comma 3, l.r. citata). 22. Orbene, il piano regolatore generale del 1997, all'art. 35 - Litorali marini, qualificava la zona come "litoranea non urbanizzata" prescrivendo che "nell'ambito dei 300 mt. dalla linea di battigia, da intendersi assoggettata a tutela integrale, il p.r.g. prevede il divieto di nuovi insediamenti di espansione residenziale, ricettivi e produttivi e ammette solo interventi di riqualificazione urbanistica mediante la realizzazione di attrezzature scoperte da destinare a servizi pubblici, attività ricreative, impianti sportivi, nonché parchi e parcheggi alberati". La disciplina era coerente con i vincoli paesaggistici gravanti sulle aree in questione, imposti dal p.p.a.r. La disciplina urbanistica originaria, tuttavia, prendendo atto della presenza dei campeggi su dette aree vincolate paesaggisticamente, prevedeva (art. 3, comma 4, delle n. t.a. di p.r.g.) che: "i campeggi esistenti alla data di adozione della variante generale (delib. 60/90) possono essere assoggettati ad interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché adeguamenti igienico-sanitari, anche se rientranti in zone non specificatamente destinate a tale uso". La delibera di variante del 2005 (impugnata con i ricorsi di primo grado n. 55/2004 e n. 534/2005) previde il trasferimento dei camping dalle suddette aree ribadendosi che "su tutto il territorio comunale i campeggi esistenti alla data di adozione della variante generale (delib. 60/90) possono essere assoggettati ad interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché adeguamenti igienico-sanitari, anche se rientranti in zone non specificatamente destinate a tale uso". Le aree del lungomare, occupate dai campeggi, furono classificate come zona F8 - "parchi litoranei", così attribuendosi alle stesse una destinazione compatibile con l'uso pubblico naturalistico previsto dal piano paesistico ambientale regionale (PPAR) e dalla precedente variante al p.r.g. 1990-1997. Nella circostanza venne confermata, per i campeggi esistenti sul lungomare, la possibilità di eseguire solo interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché gli adeguamenti igienico-sanitari, allo stesso modo di come previsto dalla precedente variante generale al p.r.g. 1990-1997. Con la variante del 2021 è stata attribuita, infine, alle suindicate aree la classificazione BT11 che legittima la permanenza in esse dei campeggi, ampliandosi la categoria degli interventi edilizi ammissibili fino alla ristrutturazione edilizia e al consolidamento statico senza alterazione del volume totale degli edifici, ma confermando la preclusione agli interventi in contrasto con il piano paesaggistico ambientale regionale (p.p.a.r.: id est, incrementi di volumetrie e cubature). 23. La divisata variante ripete, dunque, i limiti edificatori inderogabili propri del p.p.a.r. ed è con questo coerente. 24. Il p.p.a.r. è stato, infatti, approvato dal consiglio regionale il 3 novembre 1989, con delibera n. 197, sulla base delle leggi 29 giugno 1939, n. 1497 e 8 agosto 1985, n. 431 (v. oggi art. 142 del d.lgs n. 42 del 2004). 24. Per quanto qui rileva, l'art. 32 delle n. t.a. del p.p.a.r. disciplina i "Litorali marini" stabilendo che "In tali ambiti si applica la tutela integrale" e inoltre che "Per la restante zona litoranea, nelle aree comprese in una fascia profonda 300 mt. dalla linea di battigia, sono vietati... nuovi insediamenti di espansione residenziale, ricettiva e produttiva, mentre sono ammessi interventi di riqualificazione urbanistica: servizi pubblici, attività ricreativa, parchi, parcheggi, impianti sportivi e simili". 25. Il successivo art. 62 delle n. t.a. del p.p.a.r. dispone, altresì, che: "Fino all'adeguamento degli strumenti urbanistici vigenti alle previsioni del presente Piano, deve essere garantita la puntuale osservanza delle prescrizioni di base di cui al precedente articolo 3, lettera c). Pertanto, nell'istruttoria per il rilascio delle concessioni edilizie, deve essere preliminarmente accertato se l'opera ricade: a - in un ambito di tutela di una categoria costitutiva del paesaggio; b - in un sottosistema territoriale denominato A, B, O e V. La concessione può essere rilasciata solo se l'opera non contrasta con disposizioni del presente Piano aventi efficacia immediatamente vincolante ai sensi del comma 3 dell'articolo 10 della L.R. 8 giugno 1987, n. 26 e del precedente articolo 3, lettera c), che risultino applicabili per effetto del verificarsi delle condizioni ubicazionali sopraindicate. Correlativamente, poiché le disposizioni del presente Piano indicate al comma precedente prevalgono su disposizioni da esse difformi degli strumenti urbanistici, le domande di concessione edilizia per opere conformi allo strumento urbanistico ma non coerenti con le anzidette disposizioni del presente Piano, non sono suscettibili di dar luogo, secondo le norme di legge vigenti, alla formazione del silenzio-assenso". 26. L'art. 3, lett. c, richiamato dall'art. 62, a sua volta disciplina la "Efficacia del Piano" stabilendo (appunto alla lettera c) che: "Le disposizioni del presente Piano si distinguono in: "Prescrizioni di base sia transitorie sia permanenti, immediatamente vincolanti per qualsiasi soggetto pubblico o privato, e prevalenti nei confronti di tutti gli strumenti di pianificazione e programmazione vigenti (articolo 10, comma 2 e comma 3 della L.R. 8 giugno 1987, n. 26). Restano comunque salve le disposizioni più restrittive, ove previste dagli strumenti urbanistici vigenti e da leggi statali e regionali. Le prescrizioni di base permanenti, indicate per alcune delle categorie di paesaggio, debbono essere assunte come soglia minima ed inderogabile anche in sede di adeguamento degli strumenti urbanistici generali". 27. Le disposizioni normative sopra richiamate sono coerenti con i principi enucleati dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa, la quale ha avuto modo di ribadire costantemente che le norme dei piani paesaggistici rivestono carattere tassativo e inderogabile, in considerazione dei primari valori ambientali di rango costituzionale (art. 9 Cost.) dalle stesse tutelati. Non è consentita, pertanto, un'applicazione estensiva delle ipotesi normative di deroga al regime vincolistico, le quali sono da intendersi, quindi, di stretta e inderogabile interpretazione. 28. Chiarita la portata precettiva, tassativa e inderogabile delle norme del p.p.a.r. delle Marche, se ne possono trarre i seguenti corollari: a) il regime di tutela prevista dal suddetto piano è di stretta interpretazione; b) i piani paesistici o piani territoriali paesistici (strumenti di pianificazione equipollenti sul piano giuridico) prevalgono su tutti gli strumenti di pianificazione di tipo urbanistico (piano urbanistico comunale, piano regolatore generale, piano particolareggiato delle strutture ricettivo-turistiche, ecc.) e possono imporre limiti di carattere generale nonché puntuali prescrizioni immediatamente precettive per la tutela di valori ambientali e paesaggistici del territorio interessato (cfr Cons. Stato, Sez. IV, sentenza 18 maggio 2021, n. 3864; v. combinato disposto dell'art. 143, comma 9, con l'art. 145, comma 3°, del decreto legislativo n. 42/2004); c) la strumentazione urbanistica di secondo e terzo livello (id est, per quanto qui rileva, il piano particolareggiato delle strutture turistico-ricettive) non può, pertanto, derogare alle prescrizioni del p.p.a.r., ovvero potrebbe soltanto ampliare il regime di tutela (v. Cons. Stato, sez. IV, sent. 3 gennaio 2018, n. 32); d) altrettanto, per le stesse ragioni, la legislazione regionale che può solo fungere da strumento di ampliamento del livello della tutela del bene protetto e non all'inverso, poiché ciò comporterebbe una restrizione dell'ambito della tutela stessa, attraverso l'incremento della tipologia delle aree cui il regime vincolistico non si applica. 29. Consegue a tanto che l'art. 12, comma 3, della l.r. n. 6 del 2009 non può essere interpretato nel senso concessivo e derogatorio propinato dall'appellante incidentale. 30. Se il legislatore regionale, con la suindicata norma, avesse voluto, infatti, introdurre una deroga al regime vincolistico delle aree del litorale marino, ricadenti nella fascia di rispetto - nel senso, cioè, di consentire l'incremento volumetrico fino al 25% - avrebbe dovuto indicarlo espressamente, non potendosi, si ripete, in via interpretativa, restringere l'ambito di tutela accordato dal piano ai valori ambientali e paesaggistici del territorio interessato, in contrasto con le prescrizioni puntuali e tassative contenute nelle n. t.a. 31. Sotto un profilo più generale, la tesi dell'odierna appellante incidentale non può trovare accoglimento alla stregua dei principi elaborati dalla consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (ex plurimis, sez. IV, nn. 21 del 2023; 2460 del 2022; 603 del 2022; 3 luglio 2018, n. 4071; 6 ottobre 2017, n. 4660; 18 agosto 2017, n. 4037; Ad. plen. n. 24 del 1999) sui limiti della tutela delle aspettative edificatorie dei privati rispetto all'esercizio di poteri pianificatori ambientali e paesaggistici, secondo cui: i) le scelte di pianificazione sono espressione di un'amplissima valutazione discrezionale, insindacabile nel merito, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità ; ii) anche la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione (c.d. polverizzazione della motivazione), oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione allo strumento urbanistico generale, a meno che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni; iii) con riferimento all'esercizio dei poteri pianificatori urbanistici, la tutela dell'affidamento è riservata ai seguenti casi eccezionali: a) superamento degli standard minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona; b) pregresse convenzioni edificatorie già stipulate; c) giudicati (di annullamento di dinieghi edilizi o di silenzio rifiuto su domande di rilascio di titoli edilizi), recanti il riconoscimento del diritto di edificare; d) modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo; iv) una posizione di vantaggio (derivante da una convenzione urbanistica o da un giudicato) può essere riconosciuta (e quindi essere oggetto della tutela da parte del giudice amministrativo) quando abbia ad oggetto interessi oppositivi. 32. Acclarata la legittimità della delibera n. 95/2021, deve essere respinto l'appello incidentale. 33. Passando, ora, allo scrutinio della domanda risarcitoria (capo di sentenza impugnato separatamente da entrambi gli appellanti), il Collegio ritiene che la stessa (proposta in primo grado dalla società (omissis)) sia infondata e che, pertanto, in riforma del capo di sentenza impugnato, vada accolto l'appello principale proposto dal Comune di (omissis). 34. Come seguono le considerazioni del Collegio. 35. La acclarata legittimità degli atti impugnati esclude, in radice, la sussistenza del danno ingiusto. 36. La circostanza che il Comune non abbia mai rilasciato alcun titolo edilizio in esito alla domanda presentata dal sig. Gu., sulla quale costui fonda la pretesa dell'affidamento, esclude, altresì, la sussistenza di un danno da spettanza del bene della vita frustrata da sopravvenienze urbanistiche. 36.1. E invero, in atti non v'è traccia di titoli edilizi rilasciati dal Comune; sul punto il Tar ha dato per scontata una circostanza non verificata né comprovata ma solo dichiarata dal ricorrente. 36.2. Né la semplice domanda di rilascio del permesso di costruire (presentata il 13 gennaio 2003), pure valorizzata dal Ta.r., potrebbe fondare una aspettativa qualificata all'ottenimento del titolo edilizio. Tanto più che,l'iter con la stessa avviato aveva subito un arresto procedimentale a seguito della nota di riscontro inoltrata dal comune al sig. Gu. in data 17 marzo 2003, prot. 03/001784, part. Ed. 03/000/20, con la quale l'ufficio competente richiedeva la predisposizione e la produzione di precisi "documenti tecnici, organizzativi e sanitari" di carattere sostanziale per l'esito definitivamente favorevole della pratica: documenti che non risulta siano mai stati presentati dall'interessato. 37. Il riscontrato esercizio legittimo della potestà pianificatoria, unitamente alle generiche affermazioni circa un presunto, non comprovato, sviamento di potere escludono, inoltre, ogni ipotesi di colpa in capo all'amministrazione, il cui comportamento è stato diligente nella gestione della pratica edilizia (vedi tempistica di risposta) nonché orientato a soddisfare le aspettative dei gestori dei camping eliminando dalla pianificazione la delocalizzazione delle strutture che sono state mantenute presso il litorale con possibilità anche di migliorie edificatorie fino alla ristrutturazione edilizia. 38. La condotta dell'amministrazione, pertanto, non può essere qualificata come antigiuridica non ravvisandosi nella fattispecie la violazione di regole generali di condotta (id est, canoni di imparzialità, buon andamento, diligenza, leale collaborazione). 39. La colpa, infatti, deve essere inescusabile, ovvero non altrimenti giustificabile alla stregua della situazione di fatto con la quale, in concreto, gli agenti dell'amministrazione si sono dovuti confrontare. Insomma, non devono riscontrarsi esimenti che, invece, nel caso di specie, appaiono ragionevolmente identificabili nella (non scorretta) gestione del procedimento edilizio oltre che nelle motivazioni (insindacabili nel merito) sottese alla variante del 2021. 40. Il mancato incremento volumetrico lamentato dalla parte appellata in termini di pregiudizio economico, rappresenta lo sbocco, non già di una condotta illegittima del Comune bensì di una carenza di titoli edilizi, il cui mancato rilascio non è imputabile al Comune ratione temporis, bensì alla mancata integrazione documentale sollecita sin dal mese di aprile 2003 e in assenza della quale nessuna aspettativa qualificata poteva vantare la società alla edificazione, né all'utilizzo effettivo e legittimo del contributo. 41. Né la situazione in cui si è trovato il procedimento avrebbe potuto impedire o sospendere sine die l'esercizio dei poteri pianificatori (id est, approvazione della variante) funzionali al perseguimento dell'interesse pubblico. 42. La pretesa edificatoria fondata sul piano particolareggiato delle strutture turistico-ricettive non è, pertanto, assurta a livello di aspettativa qualificata, tanto più per la presenza degli stringenti vincoli imposti dalla superiore pianificazione ambientale e paesaggistica (p.p.a.r.) che ne imponevano la verifica di compatibilità . 43. L'inesistenza di titoli edilizi, idonei a consolidare un pregresso rapporto tra le parti e giustificare un ragionevole affidamento, unitamente all'approssimativo stato del procedimento amministrativo preordinato all'esame della domanda di rilascio dei medesimi (il Comune aveva richiesto integrazioni documentali rilevanti e sostanziali mai riscontrate dalla società ) escludono che il bene della vita potesse essere conseguito secondo il principio del "più probabile che non", come pure ogni possibilità di chance nel conseguimento dello stesso. 44. Ancor più, tenuto conto che la successiva adozione della variante di tutela e valorizzazione della fascia litoranea (impugnata in primo grado con ricorso nrg 55/2004) è intervenuta appena il 9 settembre 2003 allorquando il procedimento amministrativo volto all'esame della domanda di rilascio del permesso a costruire era in piena fase istruttoria, in attesa delle integrazioni richieste il 17 aprile 2003 mai adempiute. 45. Sulla insussistenza di alcuna delle eccezionali situazioni che configurano un affidamento del privato capace di orientare la futura attività pianificatoria del comune, il Collegio rinvia, più in generale, a quanto esposto al par. 31, punti iii), iv). 46. La condotta dell'amministrazione neppure può essere qualificata come antigiuridica, non ravvisandosi nella fattispecie, per quanto sopra chiarito, la violazione delle sopra indicate regole generali di condotta. 47. La colpa, infatti, deve essere inescusabile, ovvero non altrimenti giustificabile alla stregua della situazione di fatto con la quale, in concreto, i "funzionari" dell'amministrazione si sono dovuti confrontare. Insomma, non devono riscontrarsi esimenti che invece, nel caso di specie, appaiono ragionevolmente identificabili nella (non scorretta) gestione del procedimento edilizio oltre che nelle motivazioni (insindacabili nel merito) sottese alla variante del 2021. 48. La possibilità di successo (realizzazione di ulteriori bungalow con incrementi volumetrici del complesso turistico), alla stregua di quanto sopra argomentato, non ha raggiunto, pertanto, un livello minimo di probabilità e serietà, tale da inverare, sotto ulteriore profilo, il presupposto del danno ingiusto. 49. In conclusione, la domanda risarcitoria azionata in primo grado dal sig. Gu., e riproposta con l'appello incidentale, deve essere respinta. 50. In conclusione, per quanto sin qui argomentato: a) va accolto l'appello principale proposto dal Comune di (omissis) e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, va respinta la domanda risarcitoria proposta dal sig. Gi. Gu.; b) va respinto l'appello incidentale proposto dal sig. Gi. Gu.. 51. Le spese relative al doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti, in considerazione della complessità della controversia. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto: a) accoglie l'appello principale e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge la domanda risarcitoria proposta dal sig. Gi. Gu.; b) respinge l'appello incidentale. Compensa le spese del doppio grado di giudizio fra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Lopilato - Presidente FF Luca Lamberti - Consigliere Francesco Gambato Spisani - Consigliere Silvia Martino - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5906 del 2022, proposto da -OMISSIS-rappresentata e difesa dagli avvocati Ro. Fe. e Gi. Fu., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; contro Comune di -OMISSIS- in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Del Gr., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; nei confronti -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione Sesta, n. -OMISSIS- resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS- Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2023 il Cons. Maria Stella Boscarino, uditi per le parti gli avvocati Ro. Fe. e Ta. Ch. per Gi. Fu. e preso atto della richiesta di passaggio in decisione senza discussione del difensore del Comune appellato; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. In punto di fatto occorre premettere che il sig. -OMISSIS- otteneva il permesso di costruire n. 15/2010 per demolire tre manufatti preesistenti e ricostruirne uno solo, così strutturato: a) piano interrato (al di sotto della quota della strada) adibito a garage; b) piano terra adibito ad abitazione; c) piano sottotetto (di altezza media pari a 2,15 metri) non abitabile. 2. Successivamente il titolo veniva volturato con provvedimento prot. 3946 del 2 ottobre 2013 in favore della sig.ra -OMISSIS-e l'intervento veniva realizzato. 3. Il Comune effettuava un sopralluogo all'esito del quale adottava gli atti repressivi, basati sulle circostanze che: a) innanzitutto l'assentito permesso di costruire (n. 15/2010) era stato rilasciato sul presupposto di preesistenze edilizie antecedenti al 1967 che però non solo erano di assoluta precarietà (una delle quali non rilevabile dai rilievi aerofotogrammetrici del 1954 e del 1977), ma erano da ritenersi abusive giacché ricadenti all'interno della perimetrazione del centro abitato - di cui alla delib. N.50/1965- e, quindi, originariamente realizzate in violazione del regime della cd. licenza edilizia per come introdotto, limitatamente ai centri abitati, sin dalla L. 1150/1942; b) in secondo luogo, il manufatto costituiva organismo edilizio diverso da quello assentito, soggetto alla sanzione demolitoria integrale prevista per le cd. difformità totali/variazioni essenziali (art. 31 T.U.E.) (la difformità totale veniva esplicitata dall'ente: b.1) al piano terra, nell'aggiunta, alla volumetria assentita (mc. 117,22), di una ulteriore (mc. 26.61) pari a ca. 4 mq; b.2) al piano interrato nella modifica della destinazione dell'esistente volumetria (mc 127,95) da garage ad abitazione giacché quel livello, previsto come interrato, veniva portato fuori terra perdendo l'utilizzabilità come garage giacché "l'infisso non (era) adatto all'ingresso dei veicoli"; b.3) al piano sottotetto nel (ritenuto) recupero della destinazione abitativa della volumetria (90 mc.) ivi esistente originariamente prevista (in progetto) come inutilizzabile). 3. Avverso il provvedimento di demolizione veniva proposto dagli interessati, signori -OMISSIS- e -OMISSIS-ricorso avanti al T.A.R. Campania; con ricorso per motivi aggiunti veniva impugnato l'accertamento di inottemperanza. 4. L'adito T.A.R. disponeva una verificazione tesa ad accertare la natura delle modifiche sul fabbricato realizzato alla via Sottozoli rispetto quanto autorizzato con il permesso di costruire n. 15/2010 (totale difformità o variazioni essenziali, a mente degli artt. 31 e 32 T.U.E.). 5. Con la sentenza segnata in epigrafe sono stati accolti il ricorso e i successivi motivi aggiunti limitatamente alla posizione di -OMISSIS-, non più proprietario dell'area, né responsabile dell'abuso al momento della realizzazione dell'intervento edilizio, respingendoli per il resto. 5.1. Il giudice di prime cure ha ritenuto " fuori fuoco le censure con le quali parte ricorrente lamenta che il Comune avrebbe prima dovuto procedere alla rimozione in autotutela del permesso di costruire e poi ingiungere la demolizione. In realtà, il provvedimento mira a sanzionare le difformità realizzate dalla ricorrente rispetto al progetto autorizzato con il permesso di costruire n. 10/2015 che, infatti, non è stato annullato" . 5.2. Nel merito, condividendo le conclusioni del verificatore, il giudice di prime cure ha concluso nel senso della presenza di difformità qualificabili come variazioni essenziali ai sensi degli artt. 31 e 32 T.U.E., avendo la ricorrente signora -OMISSIS-realizzato dei nuovi volumi, mutato la destinazione d'uso del piano che doveva essere da progetto interamente interrato (sottraendo il terreno ai lati), realizzato porte e finestre in luogo dell'accesso veicolare. 5.3. Il T.A.R. ha altresì condiviso la difesa comunale laddove aveva rilevato che l'autorizzazione sismica era stata rilasciata dal Genio Civile di -OMISSIS- (nota n. 589405 del 27 luglio 2011) per il progetto assentito con il P.d.C. n. 15/2010 senza tener conto delle rilevanti variazioni apportate al manufatto; anche per tale aspetto, secondo il T.A.R., il Comune aveva legittimamente applicato l'art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 (cfr. art. 32 che riconduce alle variazioni essenziali la violazione della normativa antisismica); del resto l'ipotesi prevista dall'art. 34 cit. è di tipo residuale e può contemplare solo casi in cui si sono verificate parziali difformità dal titolo rilasciato (ad esempio, emerse in sede di esecuzione del progetto). 6. Avverso tale sentenza la signora -OMISSIS-ha proposto appello, chiedendone la riforma perché erronea ed ingiusta. 6.1. Con il primo motivo ha dedotto anzitutto che il T.A.R. non avrebbe esaminato la censura di violazione dell'art. 33 del n. 380/2001, il quale ricalca la oramai abrogata previsione di cui all'art. 9 L.n. 47/1985, disciplinando gli interventi di ristrutturazione edilizia realizzati in assenza di permesso di costruire o in totale difformità da esso e prevedendo, quale specifica sanzione alla mancata ottemperanza all'ordine demolitorio, la mera rimozione o la demolizione degli stessi senza prevedere sanzione acquisitiva dell'opus e della relativa area di sedime. Gli interventi asseritamente abusivi erano da ricondursi, ab origine, al paradigma di cui all'articolo 34 (interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire) ovvero, ed a tutto rendere, a quello di cui al precedente art. 33 (interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità ) del D.P.R n. 380/2001; in ogni caso, mai potevano dar luogo alla sanzione acquisitiva. 6.2. Con il secondo motivo ha lamentato il mancato esame delle osservazioni alla verificazione, con le quali aveva dedotto: a) quanto al mutamento di destinazione d'uso, in termini di palese non rinvenibilità nel caso di specie di variazione essenziale in assenza di esplicitazione della connessa "variazione degli standards previsti dal d.m. 2 aprile 1968"; b) quanto all'aumento di cubatura, in termini (parimenti) di palese non rinvenibilità di variazione essenziale, muovendo dall'accertato (da parte del verificatore) agevole ripristino dell'originaria conformazione del fabbricato, mediante la semplice rimozione di parte delle tompagnature esistenti tali da sottrarre, alla residenza, circa 7 mq di superficie illegittimamente (ivi) acclusi. 6.3. Quanto alla violazione della normativa sismica, ha rilevato che il contestato intervento rientrava tra quelli cd. "di minore rilevanza" o "privi di rilevanza" di cui alle lett. b) e c) dell'art. 94 bis T.U.E. per i quali mancava la cd. funzione statica della costruzione. La natura di vizi meramente procedurali ex art. 32 T.U.E escludeva che potessero essere attratti nel regime sanzionatorio ex art. 31 T.U.E., come dato atto anche da parte del verificatore. 7. Costituitosi in giudizio il Comune ha eccepito quanto segue. In ordine al primo motivo di gravame ha rilevato che l'omessa tempestiva impugnazione dell'ordinanza di demolizione rendeva inammissibile il ricorso proposto contro l'atto di accertamento di inottemperanza di detto provvedimento che disponeva anche l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'area, in quanto privo di natura provvedimentale. La censura in questione era stata proposta solo nel ricorso per motivi aggiunti avverso il provvedimento di accertamento dell'inottemperanza sub-specie della illegittimità derivata, laddove andava tempestivamente mossa nel ricorso introduttivo avverso l'ordine di demolizione assunto, incontestabilmente, ai sensi e per gli effetti degli artt. 31 e 32 del D.P.R 380/2001. 7.2. Nel merito ha dedotto che a causa del consistente incremento del volume residenziale dai previsti mc 117,22 agli attuali mc 361,75, incremento connesso alla realizzazione di un piano fuori terra in luogo di garage interrato, di un locale al piano terra non previsto in progetto, di un volume ulteriore sul terrazzo, nonché di un sottotetto reso abitabile, si verteva nell'ipotesi di variazioni essenziali. 7.3. Fermo quanto sopra, il Comune ha osservato che l'art. 33 (cosi come il 34, comma 2) del DPR n. 380/2001subordina la sostituzione della demolizione con la sanzione pecuniaria alla oggettiva impossibilità di dar corso alla prima senza dover sacrificare anche le parti legittime dell'edificio, situazione che deve essere valutata dall'amministrazione nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione: fase esecutiva, nella quale le parti possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato, presupposto per l'applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, con la conseguenza che tale valutazione non rileva ai fini della legittimità del provvedimento di demolizione. 8. All'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2023, esaurita la trattazione orale, l'appello è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 9. Preliminarmente deve rilevarsi che lo scrutinio di legittimità, dovendo investire il contenuto dell'atto impugnato, non può essere esteso a quanto ivi non espressamente esternato, né tanto meno a quanto oggetto di integrazione postuma, nelle difese in giudizio; sicché, posto che la questione circa la legittimità originaria degli immobili oggetto del progetto di demolizione e ricostruzione, pur ventilata nelle premesse dell'ordinanza di demolizione, non ha poi costituito espresso profilo motivazionale, deve ritenersi che correttamente il T.A.R. abbia respinto la censura relativa al mancato previo annullamento del titolo edilizio: il T.A.R. ha condivisibilmente inteso che il Comune aveva adottato il provvedimento repressivo solo a causa delle variazioni essenziali apportate in fase costruttiva dall'appellante. Qualora, invece, fosse stata determinante la questione della (presunta) non anteriorità al 1967 dei manufatti demoliti, effettivamente, come argomentato dai ricorrenti, sarebbe stato necessario rimuovere in autotutela il titolo edilizio rilasciato alla parte. Per analoga ragione rimane fuori dal giudizio la questione della portata dell'autorizzazione sismica, che non ha costituito in alcun modo elemento a fondamento dell'ordinanza impugnata, ma è stato introdotto unicamente nelle difese dell'ente. 10. Deve ancora rilevarsi che, in conformità al consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di abusi edilizi, l'articolo 34 del d.P.R. 380 del 2001 va inteso nel senso che la c.d. fiscalizzazione degli abusi non deve precedere l'emissione dell'ordine di demolizione dell'abuso, incombendo, piuttosto, sul privato interessato, la dimostrazione, nella fase esecutiva, della obiettiva impossibilità di ottemperare all'ordine stesso senza pregiudizio per la parte conforme (in tal senso, ex multis, Cons. Stato, VI, sent. n. 4171/2022). In tal senso l'eccezione del Comune risulta fondata: sarà nella fase esecutiva che la parte potrà invocare, se del caso, l'applicazione della disposizione in questione, il cui mancato richiamo non rende, quindi, illegittima l'ordinanza di demolizione. 11. Ciò premesso, nel merito l'appello è infondato. 11.1. Si deve escludere la possibilità di inquadrare l'intervento per cui è causa nel novero della ristrutturazione, come argomentato dall'appellante, in quanto la giurisprudenza, con orientamento da cui non vi è motivo di discostarsi, ha chiarito che, ai sensi dell'art. 41-quinquies l. n. 1150 del 1942, per nuove costruzioni devono intendersi non sono solo quelle effettuate su aree libere, ma tutte quelle iniziative edilizie che trasformano un preesistente edificio in uno oggettivamente diverso in relazione all'entità ed alla consistenza delle modifiche (Cons. Stato, sezione IV, 17 maggio 2023, n. 4908). Nel caso in questione, come esposto in premesse, il nuovo edificio prende il posto di tre manufatti precedentemente esistenti e demoliti. 11.2. Inoltre, come si vedrà infra, anche a voler valutare isolatamente l'abusiva trasformazione del garage in unità abitativa, la stessa comunque non potrebbe essere ricondotta nello spettro applicativo della ristrutturazione edilizia - con le connesse sanzioni ai sensi dell'art. 33 del D.P.R. n. 380 del 2001 - in quanto non ne sussistono i presupposti applicativi, essendosi al cospetto di una variazione essenziale. 11.3. Giova in proposito ricordare che, per costante giurisprudenza (ex multis Cons. Stato, sez. VI, 3/6/2021, n. 4279) la disciplina sanzionatoria degli abusi nelle costruzioni contempla tre fattispecie ordinate secondo la gravità dell'abuso: l'ipotesi di interventi in assenza di permesso o di totale difformità ; l'ipotesi intermedia di variazioni essenziali dal titolo edilizio; l'ipotesi residuale della parziale difformità da esso. In particolare, l'art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 disciplina gli abusi più gravemente sanzionati. L'assenza di permesso consiste nella sua insussistenza oggettiva per l'opera autorizzata. Accanto al caso del permesso mai rilasciato, vi sono i casi nei quali il titolo è stato rilasciato, ma è privo (o è divenuto privo) di effetti giuridici. L'art. 31, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede anche una figura di mancanza sostanziale del permesso, che si verifica quando vi è difformità totale dell'opera rispetto a quanto previsto nel titolo, pur sussistente. Si ha difformità totale quando sia realizzato un organismo edilizio: integralmente diverso per caratteristiche tipologiche architettoniche ed edilizie; integralmente diverso per caratteristiche planovolumetriche, e cioè nella forma, nella collocazione e distribuzione dei volumi; integralmente diverso per caratteristiche di utilizzazione (la destinazione d'uso derivante dai caratteri fisici dell'organismo edilizio stesso); integralmente diverso perché comportante la costituzione di volumi nuovi ed autonomi. Accanto alle forme di abuso appena ricordate l'art. 32 del d.P.R. n. 380 del 2001 - così come prima l'art. 7, comma 2, della legge n. 47 del 1985 - regola la fattispecie dell'esecuzione di opere in "variazione essenziale" rispetto al progetto approvato. Tale tipo di abuso è parificato, quanto alle conseguenze, al caso di mancanza di permesso di costruire e di difformità totale, salvo che per gli effetti penali. Le variazioni essenziali sono soggette alla più lieve pena prevista per l'ipotesi della lettera a) dell'articolo 44. Ai sensi dell'art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, sussiste variazione essenziale esclusivamente in presenza di una o più delle seguenti condizioni: a) mutamento di destinazione d'uso che implichi variazione degli standards previsti dal D.M. 2 aprile 1968; b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato; c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato, ovvero della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza; d) mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio assentite; e) violazione della normativa edilizia antisismica. Infine, il caso della difformità parziale dal permesso di costruire per le nuove costruzioni, previsto e regolato dall'art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001, si configura invece quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera. 11.4. Nel caso di specie gli abusi più rilevanti riguardano l'accertato mutamento di destinazione d'uso del locale, previsto in progetto quale garage, mediante la creazione di nuovi volumi residenziali (e non meramente accessori o tecnici). 11.5. Ciò posto, nella parte in cui ha ritenuto la ricorrenza della fattispecie di variante essenziale, avuto riguardo alla trasformazione del previsto garage in unità abitabile, la statuizione in primo grado deve essere condivisa, in quanto rispettosa del principio secondo il quale costituiscono cambi di destinazioni d'uso con incremento di volumi abitabili quelli che abbiano come conseguenza un incremento del numero di abitanti insediabili, in una determinata zona, modificando conseguentemente il rapporto abitanti/standard previsto dalla pianificazione urbanistica generale. 11.6. Come fin di recente ribadito dalla Sezione, gli standard urbanistici rappresentano la misura degli spazi pubblici che deve essere garantita ad ogni cittadino in rapporto agli insediamenti residenziali, vale a dire disegnano i rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e gli spazi pubblici riservati alle attività collettive, al verde pubblico ed ai parcheggi, assolvendo ad una "funzione di equilibrio dell'assetto territoriale e di salvaguardia dell'ambiente e della qualità di vita" (Cons. Stato, Sez. II, 3/11/2022, n. 9614; Sez. IV, 17 giugno 2019, n. 4068). Nella fattispecie in esame la destinazione del piano in questione (interrato, ma ana discorso vale per il sottotetto) ad abitazione ha determinato un incremento delle volumetrie e delle superfici "utili" - ossia utilmente fruibili - con conseguente aggravio del carico urbanistico, secondo quanto previsto dall'art. 32, comma 1 lett. a) D.P.R. n. 380/2001, a norma del quale costituisce "variazione essenziale" ogni "mutamento della destinazione d'uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968". 11.7. Infatti, sebbene l'art. 23-ter, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001 (introdotto dal D.L. n. 133 del 2014, convertito nella L. n. 164 del 2014), in tema di variazioni essenziali al permesso di costruire, disponga che "Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale", si deve comunque rilevare che, nell'ambito di una unità immobiliare ad uso residenziale, devono distinguersi i locali abitabili in senso stretto dagli spazi "accessori" che, secondo lo strumento urbanistico vigente, non hanno valore di superficie edificabile e non sono presi in considerazione come superficie residenziale all'atto del rilascio del permesso di costruire; autorimesse, cantine e locali di servizio rientrano in questa categoria. Perciò non è possibile ritenere urbanisticamente irrilevante la trasformazione di un garage o di una soffitta in un locale abitabile; a differenza dell'ipotesi in cui il garage venga trasformato -con o senza opere- in magazzino o deposito, rimanendo quindi spazio accessorio, senza permanenza di persone (con operatività, tra l'altro, del comma 2 dell'art. 32 del TUE, il quale precisa che "non possono ritenersi comunque variazioni essenziali quelle che incidono sulla entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative"), la trasformazione in vano destinato alla residenza, anche a tralasciare i profili igienico-sanitari di abitabilità, si configura come un ampliamento della superficie residenziale e della relativa volumetria autorizzate con l'originario permesso di costruire. 11.8. Come di recente ribadito dalla Sezione (sent. n. 4110 del 24 aprile 2023), anche successivamente alla riforma introdotta dal d.l. 76 del 2020, le modifiche di destinazione d'uso che possono conseguire agli interventi riconducibili al concetto di manutenzione straordinaria sono solo quelle tra categorie urbanistiche omogenee, tale essendo l'inequivoco significato della dicitura "urbanisticamente rilevanti" e "non implicanti aumento del carico urbanistico" previsto dall'art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001, anche nella sua attuale formulazione. 11.9. Le opere abusive in contestazione (la variazione della destinazione d'uso del piano terra/seminterrato da uso garage ad uso civile abitazione) hanno quindi determinato la realizzazione di un intervento edilizio con variazioni essenziali rispetto al progetto assentito con il titolo edilizio in precedenza rilasciato. L'incremento della volumetria del manufatto ha comportato l'aumento della cubatura rispetto al progetto approvato e una modifica sostanziale dei parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato urbanisticamente rilevante per aver convertito l'originario spazio accessorio adibito a garage in superficie e cubatura residenziale, a discapito degli standard parametrati in relazione alla superficie ed alla volumetria abitabile originaria dell'immobile e per aver così aggravato il carico urbanistico di zona; trattasi, cioè, di intervento che, per le relative implicazioni di trasformazione del territorio sotto il profilo del carico insediativo, necessita del permesso di costruire ai sensi dell'art. 32, comma 1, lett. a, del d.p.r. n. 380/2001. Il diverso carico urbanistico e, dunque, la maggiore necessità di standard non dipende dal manufatto edilizio in sé considerato, quanto piuttosto dalla sua destinazione e dall'attività che in esso vi si svolge, discendendo da tali ultimi elementi il suo inserimento in una specifica categoria funzionale e la necessità di una diversa dotazione di aree e spazi pubblici (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 2 maggio 2018, n. 2612). Conseguentemente l'appello, come anticipato, risulta infondato. 12. Risultano irrilevanti le questioni sollevate dall'appellante in relazione alla facile rimuovibilità degli abusi contestati, non risultando se la parte abbia a ciò provveduto in corso di causa o abbia presentato domanda di sanatoria; in ogni caso, si tratta di profili che non inficiano l'ordinanza di demolizione in sé, ma attengono alla eventuale attività esecutiva successiva. 13. Si può prescindere dall'esame degli ulteriori profili di appello, risultando assorbente l'abuso rilevato, tale da sorreggere gli atti impugnati. 14. La peculiarità e complessità della fattispecie induce a disporre la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità dell'appellante e degli altri soggetti privati menzionati in sentenza. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Carlo Saltelli - Presidente Giovanni Sabbato - Consigliere Francesco Guarracino - Consigliere Maria Stella Boscarino - Consigliere, Estensore Alessandro Enrico Basilico - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente Dott. FALASCHI Milena - Consigliere Dott. VARRONE Luca - Consigliere Dott. TRAPUZZANO Cesare - Consigliere Dott. POLETTI Dianora - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritte al R.G.N. 24143/2017 proposto da: (OMISSIS), e (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall'avvocato (OMISSIS), giusta procura speciale in atti; - ricorrenti - contro (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura speciale in atti; - controricorrenti - avverso la sentenza n. 822/2017 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 29/03/2017; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/10/2022 dal Consigliere Dott. DIANORA POLETTI; udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso. FATTI DI CAUSA 1. I sig.ri (OMISSIS) e (OMISSIS) convenivano avanti il Tribunale di Ferrara il sig. (OMISSIS), proponendo azione negatoria al fine di accertare l'inesistenza, in capo allo stesso, di un valido titolo che lo autorizzasse a posteggiare la propria autovettura su un'area di loro esclusiva proprieta'. Si costituiva il convenuto affermando di essere socio accomandante della Sas (OMISSIS), la quale, con contratto del 21.5.2001, aveva stipulato un contratto di locazione con la figlia degli attori avente ad oggetto un attiguo locale adibito a sala mostre. Adduceva che la zona de qua, sulla quale era solito parcheggiare, era in realta' in comproprieta' fra gli attori e la di loro figlia; che la possibilita' di usufruire dello spazio per parcheggiare l'autovettura era stata convenuta nel corso delle trattive dalle quali scaturi' il contratto di locazione; che gli attori, unitamente alla figlia, avevano presentato richiesta di concessione edilizia in sanatoria, poi concessa dal Comune, per l'ottenimento della quota parcheggi in quell'area, tanto che la stessa costituiva ai fini urbanistici quota prescritta dalla concessione edilizia in sanatoria di parcheggio pertinenziale per il negozio condotto in locazione dalla propria societa'. 2. In esito all'istruzione della causa, il Tribunale di Ferrara, con sentenza n. 1787 del 24.11.2010, accertava l'intervenuta cessazione della materia del contendere (avendo la Sas (OMISSIS) trasferito altrove la sua sede e non fruendo piu' il (OMISSIS) dello spazio adibito a parcheggio) e condannava il convenuto alla rifusione delle spese processuali, ravvisandone la soccombenza virtuale. 3. Avverso la sentenza del giudice di prime cure ha proposto appello il (OMISSIS), censurando la decisione del Tribunale, per quanto in questa sede rileva, per non avere tenuto conto dell'asservimento urbanistico dell'area de qua al negozio, in quanto successivo alla conclusione della locazione. 4. Si costituivano in giudizio gli appellati, con richiesta di conferma della sentenza impugnata. 5. La Corte di Appello di Bologna, con sentenza n. 822/2017, pronunciata il 13.09.2016 e pubblicata in data 29.03.2017, dopo avere puntualizzato la cronologia dei fatti di causa (richiesta da parte dei proprietari di concessione in sanatoria: febbraio 2001; stipulazione della locazione: maggio 2001; rilascio della concessione: ottobre 2001; diffida proprietaria dall'utilizzo dell'area: marzo 2008) e precisato che il dato temporale rilevante per decidere la controversia fosse la situazione in atto al momento della diffida (2008), tanto da potere prescindere dalla tolleranza dei convenuti, ha ritenuto fondato il motivo d'appello in ragione del nesso funzionale contemplato nell'atto amministrativo di concessione edilizia, attributivo del carattere pertinenziale dell'area all'attivita' imprenditoriale ed implicante l'accesso ad essa finalizzato, che prescinde dalla titolarita' della proprieta' ed e' altresi' indipendente dalla previsione contrattuale. La motivazione della decisione del primo giudice era riconosciuta errata nel punto in cui aveva fondato l'asserita illegittimita' della pretesa all'utilizzo dell'area parcheggio in favore del convenuto sulla anteriorita' del contratto di locazione rispetto al rilascio della concessione edilizia, risultando invece la richiesta di concessione in sanatoria presentata al Comune precedente alla stipula del contratto di locazione e "per definizione retroagibile alla concessione originaria". Di conseguenza, in parziale riforma della sentenza impugnata, la Corte bolognese condannava in solido gli appellati alla rifusione delle spese di lite del primo e del secondo grado di giudizio. 5. Avverso tale sentenza (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo. 6. Ha resistito con controricorso (OMISSIS). 7. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative. 8. Alla udienza camerale del 17.05.2022 la causa e' stata rinviata alla pubblica udienza. 9. Il ricorso e' stato deciso in Camera di consiglio, non avendo alcuna delle parti fatto richiesta di trattazione orale. MOTIVI DEL RICORSO 1.- Con l'unico motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli articoli 817, 818 c.c., nonche' dell'articolo 832 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, censurando la decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto che gli effetti dell'asservimento urbanistico de quo si sarebbero prodotti sui rapporti negoziali in corso, a prescindere dalla volonta' delle parti ed anche se non v'era coincidenza tra la titolarita' delle posizioni contrattuali ed il soggetto che ha posto in essere l'asservimento (trattandosi di due proprieta' distinte: la porzione di superficie adibita a parcheggio in capo ai ricorrenti e l'immobile locato, di proprieta' della loro figlia), cosi' introducendo, di fatto, una causa di limitazione del godimento della proprieta' collegata ad un asservimento urbanistico. Affermano l'inconferenza del richiamo alla L. n. 1150 del 1942, articolo 41 sexies, come introdotto dalla L. n. 675 del 1967, che riguarda i parcheggi nelle nuove costruzioni, considerato per di piu' che il comma 2 della norma e' stato abrogato con L. n. 246 del 2005, articolo 41 sexies, e che comunque l'esistenza di un vincolo pubblicistico non consente di ritenere che il proprietario dell'area, per il solo fatto dell'asservimento, perda la disponibilita' del bene o la possibilita' di inibirne l'utilizzo a chi non e' legittimato. La conclusione della sentenza risulterebbe in contrasto con la normativa che regola il regime delle pertinenze e con l'articolo 832 c.c., La riconosciuta sussistenza di un rapporto di pertinenza tra l'area di parcheggio di proprieta' dei ricorrenti ed il fabbricato di proprieta' della figlia, con conseguente ampliamento postumo dell'oggetto del contratto di locazione, comporterebbe una violazione anche dell'articolo 817 c.c., posto che il rapporto pertinenziale opera solo se effettuato dal proprietario o dal titolare di un diritto reale di godimento su entrambe le cose. Qualora le cose appartengano a due proprietari diversi, la destinazione dell'una a servizio dell'altra puo' avvenire solo in forza di un rapporto obbligatorio convenzionalmente stabilito tra il proprietario della cosa principale e quello della cosa accessoria. 2.- Il motivo e' infondato. Preliminarmente si deve rilevare che la particolarita' della causa in oggetto e' rappresentata dal fatto che l'asservimento dell'area a parcheggio in base al vincolo pubblicistico, locata alla sas (OMISSIS) non dai proprietari (OMISSIS) e (OMISSIS), bensi' da un terzo (la figlia degli stessi), e' rivendicato dal socio della societa' conduttrice. Tale situazione non inficia, per quanto si dira' subito, la conclusione cui e' giunta la sentenza impugnata. Questa, dopo avere operato la ricostruzione temporale sopra esposta, collocando la stipulazione del contratto di locazione (maggio 2001) dopo la richiesta della concessione in sanatoria (febbraio 2001), ha ritenuto che all'atto della diffida all'utilizzo dell'area (2008) era operante da anni nei luoghi quel "nesso funzionale contemplato nell'atto amministrativo di concessione edilizia attributivo del carattere pertinenziale dell'area all'attivita' imprenditoriale, implicante l'accesso ad essa finalizzato, che prescinde dalla titolarita' della proprieta' ed e' altresi' indipendente dalla previsione contrattuale". Piu' in particolare, secondo il giudice di appello, dal 2001 era gia' in atto il nesso funzionale previsto dalla Legge Urbanistica n. 1150 del 1942, articolo 41 sexies, nella stesura all'epoca vigente, che - secondo consolidati precedenti di questo Giudice - stabilisce un vincolo di destinazione delle pertinenze (parcheggi) all'uso diretto dei proprietari delle unita' immobiliari principali ovvero dei loro aventi causa, che (diversamente da quanto affermato dai ricorrenti, secondo i quali i limiti derivanti dall'atto di asservimento restano confinati nell'ambito urbanistico) incide anche negli atti privati di disposizione di tali spazi. Il passaggio motivazionale della decisione del giudice a quo da' quindi per assodato l'accertamento che la concessione in sanatoria prevedesse la destinazione dell'area a parcheggio pertinenziale dell'immobile adibito a sala mostre. Cio' significa che gli stessi ricorrenti avevano voluto imprimere la destinazione pubblicistica della loro proprieta' al servizio di un immobile commerciale di proprieta' della figlia, la quale lo aveva poi locato a terzi. Il vincolo di destinazione di natura pubblicistica e' oggettivo, riguarda i beni ed e' indifferente alla titolarita' dell'area e alle situazioni giuridiche che su di esso possono incidere (tale indifferenza e' ben scolpita dalle SS.UU. nella decisione n. 3363/89, che colloca il vincolo di destinazione permanente a parcheggio nella categoria delle "limitazioni legali della proprieta' privata per scopi di pubblico interesse", per cui e' possibile che il bene appartenga al costruttore a un solo condomino o a un terzo estraneo, ma tutti i condomini devono poterne godere per quanto concerne l'uso). In un proprio precedente (sent. n. 16172/2007), riguardante proprio un rapporto di locazione, questa Corte ha affermato che "la L. 28 febbraio 1985, n. 47, articolo 26, non ha apportato sostanziali innovazioni al regime di cui alla L. 6 agosto 1967, n. 765, articolo 18 (ovvero di cui alla L. 17 agosto 1942, n. 1150, articolo 41 sexies) che, pertanto, e' applicabile alle costruzioni realizzate dopo l'entrata in vigore della L. n. 765 del 1967. La normativa richiamata pone un vincolo pubblicistico di destinazione di uso che non puo' essere spezzato da atti di autonomia privata, e che incide, per la sua natura cogente e inderogabile, anche nei rapporti intersoggettivi di diritto privato, tra cui quelli di locazione, sicche' ne consegue, in caso di locazione, con separati contratti, dell'appartamento e del box al medesimo conduttore (come nella specie), l'assoggettamento, ai sensi dell'articolo 818 c.c., della cosa accessoria (il box) al regime locativo della cosa principale (l'appartamento)". Non sussistono dunque ne' l'effetto "distorto", prospettato dai ricorrenti, in forza del quale i contratti di godimento aventi ad oggetto l'immobile principale verrebbero ad essere integrati e ampliati nel loro oggetto attraverso l'inclusione del bene urbanisticamente asservito, anche se - come nel caso in esame - lo stesso appartiene a un terzo, ne' il coinvolgimento del soggetto terzo che opera l'asservimento, a sua insaputa, in un rapporto negoziale a lui estraneo. Ed invero, il primo effetto e' conseguenza della imposizione del vincolo pubblicistico nei rapporti privatistici, confermato dalle sentenze di legittimita' gia' ricordate, dalla decisione citata dalla sentenza impugnata (Cass. n. 12495/1993) e da numerose altre (tra quelle richiamate nelle conclusioni del Pubblico Ministero, ad es., Cass. n. 15509/2011). Stando a quanto riferito dal controricorrente, che richiama una prova documentale in atti, non puo' dirsi neppure che i ricorrenti non fossero stati "coinvolti" nella vicenda, posto che la domanda tesa ad ottenere la concessione in sanatoria, la cui concessione e' stata condizionata al reperimento della quota di parcheggi per la sala mostre, risulta presentata dai medesimi e dalla loro figlia (OMISSIS). 2.1.- La dedotta violazione delle norme civilistiche che riguardano il rapporto pertinenziale e' priva di rilevanza. Di nessun pregio e' la deduzione - contenuta nella memoria dei ricorrenti - che censura il passaggio della decisione secondo cui il carattere pertinenziale dell'area e' riferito "all'attivita' imprenditoriale implicante l'accesso ad essa finalizzato", posto che il rapporto pertinenziale non puo' correre tra una cosa ed un'attivita' imprenditoriale: e' infatti evidente che il riferimento all'attivita' imprenditoriale, al di la' dell'espressione letterale usata, deve intendersi nella sentenza come rivolto allo stabile adibito a sala mostre. Parimenti priva di rilevanza e' la deduzione dei ricorrenti che quando la destinazione di una cosa a servizio dell'altra venga fatta da colui che abbia in locazione la cosa principale con la sola tolleranza o la mera conoscenza del proprietario locatore, il vincolo pertinenziale e' escluso per difetto del suddetto elemento soggettivo. Il rilievo tralascia l'imposizione ai rapporti privatistici del vincolo pubblicistico impresso sull'area, di cui gia' si e' detto, e la circostanza che solo riservando tale porzione a parcheggio i ricorrenti hanno potuto ottenere la concessione in sanatoria e la figlia ha potuto adibire l'immobile a sala mostre, poi locato alla societa' del controricorrente. I ricorrenti non potevano quindi prima destinare la porzione di loro proprieta' a parcheggio a servizio della proprieta' della figlia e poi successivamente dolersi dei rapporti obbligatori posti in essere da quest'ultima sull'immobile e sullo spazio a parcheggio. 5. - In conclusione, il ricorso va rigettato e i ricorrenti devono essere condannati al rimborso delle spese di lite, liquidate come in dispositivo, in forza del principio della soccombenza. 6.- Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita', che liquida in Euro 1.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da' atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9054 del 2018, proposto dal Condominio Ra. di Sp., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Di Ci., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del T.A.R. per il Lazio - sez. staccata di Latina - Sezione I, n. 126/2018, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria del giorno 22 marzo 2023 il Cons. Raffaello Sestini, nessuno presente per le parti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con provvedimento n. 15139/2015 il Condominio si è visto, al contempo, revocare e annullare d'ufficio, ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della L. n. 241/90, l'assenso alla d.i.a. presentata nel 2001 in forza della quale aveva collocato delle sbarre sulla Via (omissis) (omissis) Traversa a destra al fine di ritagliare uno spazio da adibire a parcheggio veicoli riservato ai condomini. A giustificazione della revoca l'amministrazione ha dedotto la proprietà comunale del tratto di strada intercluso e comunque la sua fruizione pubblica, desumibili dalle mappe catastali, dallo stradario comunale nonché dalla circostanza obiettiva che esso costituisce l'unica arteria di collegamento tra altre due vie comunali e sia tempo immemorabile percorsa dalla cittadinanza, con ogni mezzo, soprattutto per accedere agli edifici ed esercizi commerciali ivi ubicati, fra le quali l'unica farmacia comunale in esercizio. La sua chiusura al traffico ne avrebbe inoltre impedito l'uso, oltre che ai cittadini e ai turisti, anche al personale delle forze dell'ordine, della protezione civile e di soccorso, che perciò con maggiore difficoltà riuscirebbero ad adempiere ai loro compiti di mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica. Il Comune ha inoltre motivato il proprio intervento alla luce della mancata acquisizione del nulla osta paesaggistico per le opere realizzate, trattandosi di zona sottoposta a vincolo ambientale e visto il carattere inamovibile delle sbarre, costruite in calcestruzzo, tale da alterare in modo permanente lo stato dei luoghi. Ne sono seguiti i provvedimenti, impugnati con motivi aggiunti, di riduzione in pristino e di regolamentazione della circolazione e della sosta nell'area. 2. In primo grado, davanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio - sede di Latina, respinta l'eccezione di giurisdizione sollevata dal Comune, il ricorso introduttivo e il primo e terzo ricorso per motivi aggiunti sono stati giudicati infondati sull'assunto che la necessità di garantire alla collettività la fruizione della via giustificasse la recessione dell'interesse egoistico dei condomini. E' stata altresì giudicata Ininfluente l'eventuale natura privata del dominio sulla strada, stante la nozione sostanzialistica di strada pubblica fornita dall'art. 2 del codice della strada ("l'area a uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali"), che dà rilevanza i) alla destinazione di fatto dell'area al transito di una moltitudine indistinta di persone che hanno il proprio centro di vita e di relazioni in un certo ambito territoriale, alla stregua di una servitù pubblica di passaggio, ii) alla concreta idoneità di quell'area a soddisfare esigenze di carattere generale, iii) all'esistenza di un titolo legittimante il diritto d'uso pubblico dell'area, che può essere integrato anche dalla consuetudine. Circostanze tutte di cui il Comune avrebbe dato idonea dimostrazione. Secondo il TAR parimenti irrilevante sarebbe la mancata previsione di un indennizzo a tacitazione del danno, in termini di deprezzamento, che le unità immobiliari avrebbero subito a causa dell'indisponibilità di un parcheggio condominiale, né sarebbe persuasiva la censura appuntatasi sulla eterogeneità della motivazione del provvedimento di autotutela rispetto a quella comunicata nel preavviso di rigetto in violazione dell'art. 10-bis della L. n. 241/90, non avendo il Condominio fornito un principio di prova di detta diversità . Il secondo ricorso per motivi aggiunti è stato dichiarato improcedibile sull'assunto che l'ordinanza n. 82/2016 fosse stata annullata e sostituita dall'amministrazione con la successiva ordinanza n. 83/2016. 3. Per la relativa riforma il Condominio ha proposto il presente appello. DIRITTO 1. In estrema sintesi, l'appellante ripropone in appello le censure di primo grado concernenti l'illegittimità del provvedimento n. 15139/2015, e la conseguente erroneità dell'iter logico-giuridico percorso dal TAR, riconnettendola alle seguenti ragioni di fatto e di diritto. 1.1. Secondo il Condominio appellante, in primo luogo l'indubbia natura della d.i.a. quale atto oggettivamente e soggettivamente privatistico varrebbe a escludere in radice la configurabilità del potere di rimuovere in autotutela di un atto privo di spessore provvedimentale, laddove, invece, il TAR sembrerebbe aver aderito a una ormai superata concezione pubblicistica della d.i.a., allorché, in più occasioni, ha individuato l'oggetto del provvedimento di autotutela nell'"assenso tacito" alla d.i.a. 1.2. Ammesso e non concesso che l'amministrazione potesse spendere una siffatta potestà, essa comunque sarebbe stata esercitata in spregio ai limiti (temporali, motivazionali, procedimentali) che la conformano. A tal proposito l'appellante fa notare come l'annullamento d'ufficio sia stato disposto a distanza di quattordici anni dalla presentazione della d.i.a., risalente al 2001, dunque abbondantemente dopo la decorrenza del termine fisso di diciotto mesi introdotto dalla legge n. 124/2015 (invero da prendere in considerazione soltanto come criterio interpretativo, costituendo essa ius superveniens rispetto al provvedimento n. 15139/2015) e comunque ben oltre il termine elastico "ragionevole" (esso sì applicabile ratione temporis alla fattispecie provvedimentale in questione). Neppure il Comune avrebbe rappresentato le specifiche ragioni di interesse pubblico di importanza tale da giustificare l'ablazione del bene della vita precedentemente attribuito, non potendo reputarsi a tal fine esaustivo il generico interesse della collettività al transito carrabile e automobilistico. Il lungo tempo trascorso unitamente alla convinzione dei condomini, mai smentita dal Comune, di possedere essi la proprietà dell'area chiusa al traffico avrebbero ingenerato un incolpevole affidamento sulla immutabilità della situazione di fatto e di diritto (la permanenza delle sbarre). A irrobustire quell'affidamento, poi, avrebbe concorso la circostanza che la situazione facti e iuris rinvenga la sua fattispecie costitutiva non già in un atto autorizzatorio dell'amministrazione bensì nella legge (che attribuisce al privato il diritto soggettivo di intraprendere immediatamente l'attività dichiarata). Il Comune, allora, agendo in autotutela avrebbe irragionevolmente calpestato quella fiducia nella definitiva acquisizione del bene della vita. 1.3 - A propria volta l'assenza del nulla osta paesaggistico non avrebbe potuto integrare, nel caso di specie, un vizio di legittimità idoneo a giustificare l'attivazione del potere ex art. 21-nonies, dal momento che l'apposizione di sbarre in metallo, prive di strutture murarie, sarebbe riconducibile al novero degli interventi di manutenzione ordinaria soggetti al regime giuridico dell'attività edilizia libera, né comporterebbe una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio pregiudizievole dei valori paesaggistici tutelati (in questi termini la consulenza tecnica di parte). 1.4 - Analogamente illegittima si paleserebbe la revoca, oltre che per l'inconsistenza delle sopravvenute ragioni di interesse pubblico, poichè disposta per una finalità (il ripristino della viabilità ) eterogenea rispetto a quelle, eccezionali, tassativamente previste dalla disciplina vigente al tempo in cui l'amministrazione agì in autotutela. L'appellante fa, infatti, notare come l'art. 19, comma 4, L. n. 241/90, nella sua versione originaria (prima della Riforma Madia), autorizzasse le p.a. ad assumere determinazioni in autotutela soltanto a fronte della ricorrenza di un "pericolo di danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale". 1.5 - Tra l'altro la necessità di una rivalutazione dell'interesse pubblico sarebbe stata provocata da un contegno colposo dell'amministrazione comunale stessa, trovatasi costretta a porre rimedio alle esigenze del traffico cittadino a causa della sua scelta di costruire una pista ciclabile sulle adiacenti via (omissis) e via (omissis) che ha comportato la loro trasformazione in strade a senso unico, con inevitabili ripercussioni sulla viabilità delle zone circostanti (citando la pronuncia del TAR Lazio - Latina n. 372/2014). 2. L'appellante pone, poi, la questione della titolarità del dominio sull'area chiusa al traffico (motivi II e IV) rivendicandone la proprietà e il possesso esclusivo e continuativo. All'uopo rammenta che: il titolo formale di proprietà è rappresentato dall'atto notarile di compravendita del 13.4.1966 di acquisizione delle particelle su cui insiste il complesso edilizio e l'ara di pertinenza; la natura di "area cortilizia condominiale" sarebbe stata accertata dal Tribunale ordinario di Latina nel giudizio NRG 806/2011; l'amministrazione comunale non avrebbe mai acquistato coattivamente la proprietà per mezzo di un formale provvedimento di esproprio; gli artt. 822 e 824 c.c. e l'art. 2 cod. della strada andrebbero, infatti, interpretati nel senso di disciplinare soltanto la ripartizione tra gli enti territoriali delle strade pubbliche, lasciando impregiudicata la necessità di un formale atto negoziale o giudiziale di incameramento nel patrimonio demaniale di beni originariamente privati (ad es. un decreto di esproprio o un contratto di compravendita o una sentenza di accertamento dell'usucapione), altrimenti sarebbe sufficiente il fatto obiettivo dell'uso pubblico per acquistare qualsiasi fondo privato; il Comune stesso avrebbe dato per presupposta l'appartenenza della strada al Condominio allorché, in occasione di taluni eventi ("5° Rally Ronde Città di (omissis)" tenutosi il 15.12.2013 e la "Notte Bianca (omissis) 2015 I edizione" svoltasi il 26.06.2015) aveva esortato l'amministratore condominiale a protrarre l'apertura delle sbarre oltre il consueto orario per agevolare il flusso dei turisti e residenti nelle vie limitrofe e, di fronte al diniego opposto, non aveva ulteriormente insistito nella richiesta; il Condominio ha pagato fio al 2016 anche la tassa per il passo carrabile; i condomini hanno sempre utilizzato l'area cortilizia per parcheggiarvi le proprie autovetture. Né sull'area in discussione risulta esser stata costituita una qualche servitù pubblica di passaggio. Non varrebbe a catalogarla come strada ad uso pubblico la sua iscrizione nello stradario comunale, stante la natura meramente dichiarativa degli elenchi delle vie comunali, né la circostanza che soltanto percorrendola possa accedersi alla farmacia comunale (tanto che durante l'orario di apertura il Condominio lasci alzate le sbarre), né che su di essa avvenga quotidianamente il transito pubblico (peraltro mai tollerato dai condomini). Insomma "non esiste alcuna strada pubblica o di uso pubblico". Sarebbe, pertanto, incorso nel vizio di ultrapetizione il TAR nella parte in cui ha, d'ufficio, accertato e dichiarato la pubblicità della proprietà della strada o comunque del suo uso. Senza considerare, inoltre, come ciò che il Comune denomina "strada" non è in realtà tale, trattandosi piuttosto di una "pertinenza" del Condominio (area cortilizia e pertinenziale). 3. In terzo luogo l'appellante ripropone il vizio procedimentale per violazione dell'art. 10-bis della L. n. 241/90, avendo l'amministrazione tradito, si afferma, il suo obbligo di tenere in considerazione gli apporti partecipativi del Condominio e di motivare le ragioni della loro non plausibilità nonché l'obbligo di dedurre a fondamento del provvedimento finale ragioni già prospettate nel preavviso di rigetto. Sotto questo punto di vista, il Comune si sarebbe limitato a riferire come dallo stradario comunale e dalla documentazione catastale risultasse l'uso pubblico della via. 4. In quarto luogo l'appellante lamenta l'omessa pronuncia da parte del TAR sulle censure prospettate con il primo e terzo ricorso per motivi aggiunti, essendosi il Tribunale limitato a dichiararle assorbite subito dopo aver acclarato l'infondatezza nel merito del ricorso introduttivo. Le doglianze, che in sostanza ripetono i motivi di ricorso avverso la determinazione in autotutela n. 15139/2015, sono perciò riproposte. 4.1. L'illegittimità dell'ordinanza n. 10/2016 deriverebbe dalla superfluità, per le ragioni dette sub 1.2, del preteso nulla osta paesaggistico ai fini dell'installazione di una sbarra metallica, senza strutture murarie, allo scopo di controllare l'accesso di terzi su un suolo di proprietà privata. In ogni caso, l'ordine di demolizione e riduzione in pristino ex art. 35 del T.U. Edilizia costituirebbe una misura sproporzionata rispetto alla tipologia di opera. Essa, non determinando l'opera una volumetria aggiuntiva, è qualificabile come "intervento minore" e, come tale, sanzionabile con la sanzione pecuniaria ex art. 37 del T.U. Edilizia ove realizzata in assenza o in difformità della d.i.a. 4.2. Erronea sarebbe la statuizione di improcedibilità del secondo ricorso per motivi aggiunti avverso l'ordinanza n. 82/2016, dichiarata sull'assunto che la stessa è stata annullata e sostituita dall'amministrazione con la successiva ordinanza n. 83/2016. Il TAR non avrebbe considerata che era stata impugnata anche l'ordinanza n. 78/2016. 4.3. Non è stato possibile impugnare l'ordinanza n. 83/2016 entro i 60 giorni dalla sua adozione a causa della scorretta condotta processuale del Comune. Poiché nella memoria del 19.9.2016 venivano richiamate le deleghe difensive già conferite al proprio legale Avv. Ma. e riportate a margine delle memorie di costituzione in resistenza del ricorso introduttivo e del primo ricorso per motivi aggiunti, ciò ingenerò nella difesa del Condominio la convinzione che il Comune non si stava costituendo in giudizio anche per resistere al secondo ricorso per motivi aggiunti. Salvo poi produrre il 27.4.2017 l'ordinanza di conferimento del mandato difensivo (prot. n. 0018852 del 15.9.2016) di tutt'altro tenore, facendosi in essa espressa menzione della volontà di resistere anche al secondo ricorso per motivi aggiunti, nonché l'ordinanza n. 83/2016 a cui nella precedente memoria del 19.9.2016 non era stato fatto alcun cenno, sebbene già nell'agosto 2016 (dunque già prima del deposito della rammentata memoria) avesse sostituito l'ordinanza n. 82/2016. Perciò il condominio, una volta venutone a conoscenza (appunto, quando è stata depositata in giudizio il 27.7.2017) l'ha immediatamente impugnata. Nell'ordinanza n. 83/2016 è stato taciuto che l'apertura delle sbarre durante l'orario di attività della farmacia comunale non rinviene la sua causa in un atto dell'amministrazione comunale di riconoscimento di un diritto d'uso pubblico ma fu imposta da un provvedimento possessorio adottato dal giudice ordinario a seguito di un contenzioso tra la farmacia ed il Condominio, al quale il Comune restò estraneo. 5. Il Comune, rilevato che la domanda di giustizia del ricorrente verte attorno alla questione controversa della natura pubblica o privata della proprietà stradale o, comunque, dell'esistenza di un diritto d'uso pubblico di una strada privata, impugna il capo della sentenza che ha respinto l'eccezione di giurisdizione. Il TAR l'aveva disattesa osservando come il thema decidendum riguardasse la (il)legittimità dei provvedimenti amministrativi ablatori, rispetto al quale la questione della spettanza del diritto reale dovesse essere risolta incidentalmente. 5.1. Recepito il principio giurisprudenziale secondo cui l'uso pubblico di un bene non implica necessariamente la titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale, il Comune rivendica la fruizione collettiva del tratto di strada sin dall'epoca di costruzione dell'edificio condominiale. Il vincolo di destinazione ad uso pubblico sarebbe stato impresso sulla via già dal costruttore dell'edificio Al. Ra., il quale nel "Progetto per la sistemazione viaria della zona in difformità del progetto a suo tempo approvato" dichiarò espressamente di voler creare un'arteria di collegamento tra le due vie comunali (quelle oggi denominate Via (omissis) e Via (omissis)) che consentisse un più agevole accesso alle costruzioni della zona e un rapido raggiungimento del centro commerciale, precisando altresì che non si sarebbe opposto all'uso pubblico di quel tratto stradale mediante cessione delle opere eseguite al Comune di (omissis). Le dichiarazioni del costruttore sono corroborate dalle previsioni del P.R.G. Lo strumento pianificatorio, difatti, qualifica Via (omissis) (omissis) traversa a destra come strada di viabilità secondaria (v. Tav. 9); ne risalta la collocazione strategica: è parallela al lungomare e permette un più comodo e veloce collegamento con le altre aree del quartiere e con gli istituti scolastici della parte bassa di (omissis) (v. Tav. 12 e 16); ne registra la preesistenza (v. Tav. 13). Nello stesso senso deporrebbe anche la documentazione catastale, dalla quale risulterebbe come la strada sia sempre esistita e per di più catalogata come "strada pubblica". Oltretutto sarebbero integrate tutte le condizioni richieste dalla giurisprudenza, già valorizzate dal TAR, per ricavare la destinazione di fatto di una strada ad un uso pubblico. Ulteriore indice presuntivo dell'esistenza di un diritto d'uso pubblico sarebbe rappresentato dal dato fattuale: lungo la strada sono situati alcuni esercizi commerciali, tra i quali l'unica farmacia in attività, raggiungibili soltanto attraverso essa. Proprio per "le esigenze della collettività e del pubblico interesse" il Tribunale ordinario di Latina avrebbe ordinato al Condominio di aprire le sbarre per permettere l'accesso alla strada durante l'orario di apertura della farmacia. 5.2. Tutto ciò premesso, il Comune rivendica la legittimità del suo agire. 5.3. Inoltre il Comune ripropone l'eccezione di tardività delle censure avverso il provvedimento n. 15139/2015 dedotte con il secondo ricorso per motivi aggiunti. 6. Per mezzo delle memorie depositate il 17.2.2023 e il 27.2.2023 l'appellante avanza istanza di sospensione del giudizio in attesa della definizione del processo civile attualmente pendente dinanzi al Tribunale di Latina (NRG 2799/2016), incardinato dal Condominio con azione negatoria ex art. 949 cod. civ. L'appellante invita il Collegio a non tener conto delle risultanze della CTU - stando alle quali la strada in discussione, pur di proprietà del Condominio, sia gravata da una servitù pubblica -in quanto, a suo dire, dolosamente false. 6.1 - L'appellante fa altresì notare come tra i documenti prodotti dal Comune appellato non sia rintracciabile alcuna dichiarazione a firma del costruttore Al. Ra. a riscontro della sua intenzione di destinare Via (omissis) (omissis) Traversa a destra a uso pubblico. Inoltre le Visure storiche del 19 e 24 febbraio 2016 (cfr. le Annotazioni) dimostrerebbero la classificazione della porzione di terreno distinta in Catasto al fg. (omissis), p.lla (omissis) come "corte comune" del complesso edilizio. Proprio l'Agenzia delle Entrate darebbe atto dell'erronea classificazione come strada ("superficie erroneamente inclusa a strade"). D'altronde sull'area insisterebbero impianti di illuminazione e di smaltimento delle acque di proprietà e gestione condominiale. 7. Il Comune si oppone alla sospensione del presente giudizio, osservando che non sussiste alcun nesso di stretta pregiudizialità logico-giuridica tra le due cause, che le stesse non si trovano nello stesso stato e grado, come invece pretenderebbe l'art. 295 c.p.c. ai fini sospensivi della causa principale, e che il giudice amministrativo ben può, ai sensi dell'art. 8 c.p.a., accertare in via incidentale le questioni pregiudiziali relative a diritti soggettivi prospettategli dalle parti. 8 - Ai fini della decisione, il Collegio esclude in primo luogo che esista alcun nesso di stretta pregiudizialità logico-giuridica tra il giudizio in epigrafe e la causa pendente in sede civile, in quanto il risalente e notorio uso pubblico della strada, ancorché privata, giustifica in astratto l'adozione di provvedimenti finalizzati a garantirne la fruizione collettiva, quali quelli in questa sede impugnati. Tali considerazioni valgono altresì ' a far escludere la fondatezza della tesi secondo cui, per ragioni di certezza dei traffici giuridici, occorrerebbero un formale atto di acquisito della proprietà privata affinché essa entri a far parte del demanio pubblico, non essendo un formale decreto di esproprio necessario in quanto a venire in discussione non è la titolarità privata della strada ma la titolarità in capo ai cittadini del diritto d'uso pubblico della strada ancorché privata. 9 - Nel merito, dalla documentazione allegata agli atti di causa risulta pienamente confermata la tesi argomentativa del TAR, secondo la quale la revoca della d.i.a. si è resa necessaria alla luce del sopravvenuto interesse pubblico di assicurare il transito necessario all'esercizio del diritto alla mobilità della cittadinanza e l'accesso dei cittadini alla farmacia comunale, nonché il transito degli appartenenti alle forze dell'ordine e di soccorso al fine di consentire loro di adempiere al meglio le loro delicate funzioni. 10 - Altrettanto doveroso risulta l'annullamento d'ufficio della d.i.a., considerato che, così come rilevato dal Comune, l'intervento edilizio in discussione si inserisce in una zona soggetta a vincolo paesistico e, stante l'utilizzo del calcestruzzo per impiantare le sbarre, altera in modo permanente lo stato dei luoghi. Circostanze che imponevano l'acquisizione del parere paesaggistico della competente autorità . 11 - Infine, essendo l'amministratore condominiale ed i condomini a conoscenza della vigenza del vincolo di tutela ambientale e, conseguentemente, della indispensabilità del relativo nulla osta per poter intraprendete i lavori, non è ipotizzabile alcuna lesione del loro legittimo affidamento, ed anche quanto alla dedotta violazione del limite temporale di ragionevolezza, rileva la scoperta da parte dell'amministrazione della causa di illegittimità quale termine per comunare il decorso dello sesso termine. 12 - Sul piano procedimentale, la censura di violazione dell'art. 10-bis della l. n. 241/90 non risulta dirimente essendo state valutate, seppur poi non accogliendole, le osservazioni presentate dal Condominio istante, fermpo restando che il procedimento, stante la natura vincolata e doverosa dei poteri repressivi degli abusi edilizi, non avrebbe comunque potuto avere un diverso epi. 13 - In ultimo, quanto alle censure direttamente concernenti la sentenza appellata, la stessa non palesa alcun vizio di ultrapetizione essendosi espressa incidenter tantum sull'esistenza di un uso pubblico della strada al fine di poter decidere la questione principale, né ha omesso di pronunciarsi sulle censure dedotte con i motivi aggiunti, in quanto gli stessi ripetevano le doglianze dedotte col ricorso introduttivo e scrutinate dal Tribunale, fermo restando che il terzo ricorso per motivi è stato proposto tardivamente, essendo stata l'ordinanza n. 83/2016 ritualmente pubblicata sull'albo pretorio dal 12 al 27 agosto 2016 ed essendo stata, nel mese di settembre 2016, apposta cartellonistica stradale che, in esecuzione della nuova ordinanza, segnalava uno stallo di sosta riservato alla farmacia nello spazio antistante il locale, parcheggi riservati al carico e allo scarico delle merci e il parcheggio delle autovetture in orizzontale lato muro di confine, trattandosi di previsioni non compatibili con l'uso esclusivo dell'area da parte del Condominio. 14. Alla stregua delle pregresse considerazioni l'appello deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il Condominio appellante a rimborsare al Comune intimato le spese del presente grado di giudizio, liquidate in Euro 4.000,00 (quattromila) oltre ad IVA, CPA ed altri oneri di legge ove previsti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Giovanni Tulumello - Consigliere Laura Marzano - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4757 del 2017, proposto da Società Im. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Cr. Ba., El. Va. Za., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Fr. Pa. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Or., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Do. Ia. in Roma, corso (...); nei confronti Regione Toscana, Provincia di Lucca, non costituite in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Prima n. 1727/2016; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 aprile 2023 il consigliere Paolo Marotta e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale; Viste le conclusioni delle parti presenti o considerate tali ai sensi di legge; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso in appello, ritualmente notificato e depositato in giudizio, l'odierna appellante ha impugnato la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, Sez. I, ha respinto il ricorso di primo grado, avente ad oggetto la domanda di annullamento (in parte qua) del nuovo Regolamento urbanistico del Comune di (omissis), approvato con la deliberazione consiliare del 14 luglio 2014 n. 31 (pubblicata sul B.U.R.T. n. 33 del 20 agosto 2014) e, in particolare, dell'art. 40 del predetto Regolamento nonché, ove occorra, della delibera consiliare di adozione del Regolamento urbanistico del 21 febbraio 2013 n. 8. 1.1. In punto di fatto, la società appellante premette di essere proprietaria di un complesso immobiliare denominato "Pe. Vi. Pr.", sito in (omissis) - loc. (omissis), Viale (omissis) (censito al NCEU di Lucca al Foglio (omissis), mappali (omissis)), composto da un edificio principale e da una serie di volumetrie annesse; l'intera proprietà è classificata come "struttura ricettiva" sia nel nuovo Regolamento urbanistico che nel previgente Piano comunale delle strutture turistico - ricettive, ed è tuttora assoggettato a vincolo di destinazione alberghiera, nonostante la pensione sia ormai chiusa e in disuso da diversi anni. Secondo la prospettazione della società appellante l'esercizio di attività alberghiera nella predetta struttura avrebbe perso nel tempo la sua convenienza economica, anche in ragione della sua ridotta capacità ricettiva (solo 15 camere); si tratterebbe di una struttura alberghiera inadeguata agli standard richiesti dalla normativa attualmente vigente in materia di strutture ricettive e comunque priva di una superficie fondiaria sufficiente ad un intervento di adeguamento, difettando dei parametri urbanistici minimi per parcheggi, zone verde a corredo e altri servizi analoghi. Oltre a ciò, un eventuale investimento di riqualificazione immobiliare e impiantistica dell'esercizio alberghiero sarebbe economicamente insostenibile per la società e difficilmente remunerabile anche tramite una locazione della struttura a terzi. La società appellante vorrebbe dunque ottenere lo svincolo della destinazione alberghiera del complesso immobiliare, per poi procedere ad una ristrutturazione edilizia dello stesso e alla sua utilizzazione per usi residenziali. 1.2. La società evidenzia che, con deliberazione consiliare del 21 febbraio 2013 n. 8, il Comune di (omissis), nell'adottare il nuovo Regolamento urbanistico, ha sottoposto il cambio di destinazione d'uso degli alberghi ad una serie di condizioni; in particolare l'art. 40, comma 4, delle n. t.a. del R.u. adottato, ha previsto quanto segue: "È consentito il mutamento della destinazione d'uso per quelle strutture che soddisfino contemporaneamente le seguenti condizioni: 1. la superficie utile lorda alla data di adozione del presente RU non superi i 600 mq ammettendo una tolleranza del 5%; 2. la superficie territoriale del lotto di pertinenza non superi i 1000 mq ammettendo una tolleranza del 5%. Per tali strutture è ammesso il mutamento nelle seguenti destinazioni d'uso in: - Residenziale di dimensione minima per unità immobiliare di mq 130 di Sul; - Commerciale per negozi di vicinato e direzionale; Per il mutamento della destinazione d'uso è necessario garantire: - il reperimento di standards urbanistici per spazi pubblici e aree previste dal D.M. 1444/1968 e dell'art 106 del Piano Strutturale (24 mq per abitante), da misurarsi sulla base degli abitanti insediabili; - il reperimento dei parcheggi previsti dalla legge 122/89; - il reperimento degli spazi a parcheggio, aggiuntivi e/o integrativi di quelli ai punti precedenti, previsti da specifiche discipline di settore nel caso di destinazione d'uso non residenziale". 1.3. In sede procedimentale, la Società Im. s.p.a. ha formulato una serie di osservazioni, che sono state tuttavia disattese dal Comune di (omissis), in sede di approvazione definitiva del Regolamento urbanistico, con la conseguenza che l'art. 40 del predetto Regolamento è stato approvato dall'organo consiliare nella sua formulazione originaria. 1.4. La Società Im. s.p.a. ha quindi proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, contestando la legittimità degli atti impugnati (sopra richiamati) con tre articolati motivi. 1.5. Con la sentenza n. 1727/2016, il T.a.r. per la Toscana ha respinto il ricorso, condannando la parte ricorrente al pagamento in favore del Comune di (omissis) delle spese di giudizio, liquidate in Euro 4.000,00, oltre accessori di legge. 1.6. Tanto premesso, la società appellante ha censurato la sentenza impugnata sotto diversi profili, che nel prosieguo del presente provvedimento saranno oggetto di specifica disamina. 2. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), eccependo, in via preliminare, l'inammissibilità del ricorso in appello, per la mancata impugnazione da parte della odierna appellante dell'atto di rigetto dell'osservazione n. 8/2017 e della deliberazione consiliare 63/2017, di approvazione della Variante normativa del Regolamento urbanistico del Comune di (omissis); l'annullamento degli atti impugnati con il ricorso in esame non sarebbe idoneo ad incidere sulla disciplina urbanistica sopravvenuta, di cui alla deliberazione consiliare n. 63/2017 (rimasta inoppugnata). 2.1. Nel merito, l'amministrazione comunale ha richiamato la sentenza di questa Sezione n. 1317/2023, con cui è stato respinto un ricorso di ana tenore, avente ad oggetto la domanda di annullamento dei medesimi atti. 3. Con memoria di replica depositata in data 15 marzo 2023, la società appellante ha contestato l'eccezione di inammissibilità, sollevata dalla amministrazione appellata, sostenendo che: - la nuova disciplina urbanistica non recherebbe alcuna sostituzione della disciplina precedentemente vigente, ma sarebbe meramente confermativa delle disposizioni di cui all'art. 40 delle norme tecniche di attuazione del Regolamento urbanistico; ne deriverebbe che la società non aveva l'onere di procedere alla impugnazione della deliberazione consiliare n. 63/2017; - in ogni caso residuerebbe l'interesse all'accertamento della legittimità degli atti impugnati, ai fini della eventuale condanna della amministrazione al risarcimento del danno. 4. All'udienza pubblica del 6 aprile 2023 il ricorso è stato trattenuto in decisione. 5. In via preliminare, ritiene il Collegio che non possa essere integralmente condivisa l'eccezione di inammissibilità dell'atto di appello, con riguardo alla domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati. Se è vero infatti la deliberazione consiliare del Comune di (omissis) n. 63/2017 non può considerarsi (in parte qua) un atto meramente confermativo della precedente disciplina urbanistica, essendo stata preceduta da una rinnovata istruttoria (nel corso della quale la stessa società appellante ha presentato nuove osservazioni in ordine all'art. 40 del Regolamento urbanistico, che sono state respinte dall'amministrazione comunale), tuttavia, permane l'interesse della parte appellante all'accertamento della legittimità degli atti impugnati, ai sensi dell'art. 34, comma 3, del c.p.a., ai fini della eventuale proposizione di un'azione risarcitoria, prospettata dalla parte appellante nella memoria di replica depositata in data 15 marzo 2023. 6. Con il primo motivo, l'appellante deduce: error in iudicando, erroneità e contraddittorietà della motivazione, travisamento dei documenti prodotti nel giudizio di primo grado. 6.1. La società appellante premette di aver formulato in sede procedimentale una serie di osservazioni strutturandole (non considerando la n. 1, che, a detta della stessa appellante, non assumerebbe rilievo ai fini del presente contenzioso) in tre ipotesi subordinate, che possono essere così riassunte: - Osservazione n. 2: dopo aver evidenziato che la Regione Toscana non ha attualmente dettato una specifica disciplina in materia di vincolo di destinazione alberghiero e che, in carenza di una previsione normativa di rango primario in proposito, le amministrazioni comunali non possono imporre vincoli alberghieri con una norma di rango secondario, qual è il regolamento urbanistico, la società aveva chiesto (in sede procedimentale) che il comma 4 dell'art. 40 delle n. t.a. del Regolamento urbanistico venisse modificato, rendendo libero il mutamento di destinazione delle strutture ricettive e quindi eliminando le condizioni ivi indicate; - Osservazione n. 3: dopo aver fatto rilevare che, per costante giurisprudenza (amministrativa e costituzionale), l'apposizione del vincolo alberghiero deve ritenersi costituzionalmente ammissibile, solo in quanto esso non sia destinato a perpetuarsi indefinitamente nel tempo e che i parametri cui l'amministrazione comunale - nell'ambito della pianificazione urbanistica - subordina il superamento del vincolo alberghiero, devono configurarsi come indici probanti della redditività o meno dell'esercizio, la Società Im. s.p.a. aveva chiesto, in via subordinata, che le condizioni, cui il comma 4 dell'art. 40 delle n. t.a. del R.u. subordina il mutamento di destinazione delle strutture ricettive, venissero sostituite con altre oggettivamente sintomatiche del venir meno della convenienza economica della struttura ricettiva (quali - a mero titolo esemplificativo - anni di inattività della struttura ricettiva, situazione di perdita dei bilanci negli ultimi tre anni, oggettive potenzialità di ampliamento e di realizzazione di servizi accessori, numero di camere, localizzazione, ecc.). - Osservazione n. 4: per la denegata ipotesi in cui, in sede di approvazione del R.u., fossero stati confermati i parametri, cui il comma 4 dell'art. 40 delle n. t.a. subordina il mutamento di destinazione delle strutture ricettive, l'appellante aveva chiesto che la condizione di cui al punto 2 del comma 4 dell'art. 40 delle n. t.a. adottate (secondo cui ai fini di consentire il mutamento di destinazione "la superficie territoriale del lotto di pertinenza non deve superare i 1.000 mq ammettendo una tolleranza del 5%"), venisse modificata, sostituendo il limite di "1.000 mq", con un limite di almeno "1.500 mq". Come sopra evidenziato, le osservazioni presentate dalla società sono state disattese dal Comune di (omissis), in sede di approvazione definitiva del Regolamento urbanistico, e l'art. 40 del predetto Regolamento è stato approvato nella sua formulazione originaria. 6.2. Tanto premesso, con il primo motivo di appello, riproponendo le censure del ricorso introduttivo del giudizio, la società appellante si duole anzitutto del fatto che la Commissione che ha esaminato le osservazioni fosse composta unicamente da consiglieri comunali, (a suo dire) sprovvisti di competenze tecniche o giuridiche nel settore alberghiero. Lamenta l'insufficienza della motivazione addotta dalla amministrazione comunale nel respingere la osservazione n. 2 e l'assoluta carenza di motivazione con riguardo alla reiezione delle osservazioni nn. 3 e 4. 6.3. Le censure sono infondate. 6.4. In primo luogo, l'approvazione degli strumenti urbanistici comunali è atto che l'ordinamento giuridico ascrive alla competenza dell'organo consiliare (art. 42, comma 2, lett. b) del d.lgs. n. 267/2000). Il fatto che, nel caso di specie, la valutazione delle osservazioni formulate in merito al Regolamento urbanistico sia stata effettuata da una Commissione composta di Consiglieri comunali non infirma la legittimità degli atti impugnati, in quanto, da un lato, le valutazioni in materia di pianificazione urbanistica rientrano nella sfera di competenza degli organi di governo del Comune (e, nel caso di specie, del Consiglio comunale), dall'altro, le commissioni consiliari si avvalgono del supporto tecnico degli Uffici comunali preposti alla gestione dei servizi di urbanistica e pianificazione territoriale, senza trascurare l'ulteriore considerazione secondo la quale gli atti deliberativi di competenza degli organi collegiali del Comune (Giunta comunale; Consiglio comunale) sono corredati dal parere di regolarità tecnica del Dirigente/Responsabile del Servizio competente ratione materiae e per gli atti comportati oneri finanziari da quello di regolarità contabile, espresso dal Dirigente/Responsabile del Servizio finanziario. 6.5. In linea generale, secondo un consolidato orientamento di questa Sezione, le osservazioni presentate in occasione dell'adozione di un nuovo strumento di pianificazione del territorio costituiscono un mero apporto dei privati nel procedimento di formazione dello strumento medesimo, con conseguente assenza in capo all'amministrazione di un obbligo puntuale di motivazione, oltre a quella evincibile dai criteri desunti dalla relazione illustrativa del piano stesso in ordine alle proprie scelte discrezionali assunte per la destinazione delle singole aree. Pertanto, ancorché sia tenuta ad esaminare le osservazioni pervenute, non può però l'amministrazione essere obbligata ad una analitica confutazione di ciascuna di esse (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 21 aprile 2022 n. 3018; 22 marzo 2021 n. 2422 e 30 gennaio 2020, n. 751). Né a diverse conclusioni si può pervenire per effetto della disposizione normativa invocata dalla società appellante (art. 17, comma 5, l.r. della Toscana n. 1/2005), vigente ratione temporis, a norma della quale "il provvedimento di approvazione (degli strumenti di pianificazione) contiene il riferimento puntuale alle osservazioni pervenute e l'espressa motivazione delle determinazioni conseguentemente adottate". Nell'ambito di una congerie davvero complessa di osservazioni (come si evince dalla delibera consiliare di approvazione definitiva del Regolamento urbanistico), le osservazioni formulate dalla società (odierna appellante) infatti sono state esaminate dalla amministrazione comunale e disattese con motivazione (per relationem) con riferimento ad una osservazione di ana tenore; in particolare, l'amministrazione ha evidenziato, in riferimento ad analoga osservazione (la n. 740 presentata dal signor Ca.), che "il presupposto fondamentale della norma è non incentivare il cambio di destinazione d'uso se non per quelle strutture che non hanno possibilità di adeguamento alle richieste del mercato..." (documento n. 15 depositato in data 29 settembre 2016 dal Comune di (omissis) nel giudizio di primo grado). 6.6. Il Comune di (omissis) non ha escluso la possibilità del cambio di destinazione d'uso da parte delle strutture alberghiere, ma l'ha subordinata alla sussistenza di determinate condizioni; ha inoltre esplicitato le ragioni per le quali ha ritenuto di disattendere le osservazioni di ana tenore rispetto a quelle formulate dalla odierna appellante, rappresentate dall'interesse pubblico ad evitare un impoverimento della offerta alberghiera (per effetto del cambio di destinazione d'uso delle strutture ricettive esistenti), se non nelle ipotesi in cui non vi sia possibilità della struttura di adeguamento alla richiesta del mercato. Nel caso di specie, la società appellante non ha fornito né in sede procedimentale né in sede processuale dimostrazione, ma solo allegazioni generiche, in merito alla presunta scarsa redditività della struttura ricettiva di cui è titolare. 7. Con il secondo motivo, la società appellante deduce: error in iudicando; erroneità della motivazione. 7.1. La parte appellante ripropone il secondo motivo del ricorso introduttivo del giudizio, con il quale era stata censurata la disposizione contenuta nel comma 4 dell'art. 40 delle n. t.a. del nuovo Regolamento urbanistico e in sostanza la conservazione del vincolo alberghiero, per carenza di potere dell'amministrazione comunale di imporre vincoli alberghieri con una norma secondaria, qual è il Regolamento urbanistico, in mancanza di una fonte normativa di rango primario (sia essa regionale o statale). 7.2. La parte appellante contesta le conclusioni del giudice di primo grado, evidenziando che il vincolo di destinazione alberghiera era previsto dalla legge statale n. 217/1983 (art. 8, comma 5), che tuttavia è stata abrogata dalla legge 135/2001 e attualmente la relativa disciplina è stata trasferita a livello regionale. La Regione Toscana, però, dal canto suo non avrebbe provveduto alla emanazione di una specifica disciplina in materia di vincoli alberghieri, cosicché - in carenza di una previsione normativa di rango primario - l'amministrazione comunale non potrebbe imporre vincoli alberghieri con una norma di carattere secondario (qual è il Regolamento urbanistico). 7.3. A sostegno di quanto dedotto, la società appellante richiama l'art. 2, comma 2, della legge regionale della Liguria n. 1/2008, che prevede che i proprietari degli immobili soggetti al vincolo di destinazione d'uso alberghiero possano presentare istanza di svincolo con riferimento alla sopravvenuta inadeguatezza della struttura ricettiva rispetto alle esigenze del mercato; richiama altresì la legge regionale Emilia Romagna 9 aprile 1990, n. 28, rubricata "Disciplina del vincolo di destinazione delle aziende ricettive in Emilia-Romagna", anch'essa avente contenuti simili a quella della legge regionale ligure. 7.4. Le censure sono infondate. 7.5. La legge nazionale 17 maggio 1983 n. 217 (legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell'offerta turistica) all'art. 8, rubricato Vincolo di destinazione, disponeva quanto segue: "Ai fini della conservazione e della tutela del patrimonio ricettivo, in quanto rispondente alle finalità di pubblico interesse e della utilità sociale, le regioni, con specifiche leggi, sottopongono a vincolo di destinazione le strutture ricettive indicate dall'articolo 6, in conformità anche con le indicazioni derivanti dagli atti della programmazione regionale. Sono esclusi dal vincolo gli alloggi rurali, gli alloggi gestiti da affittacamere e le case e gli appartamenti per vacanze. Nell'à mbito delle previsioni dei piani regolatori regionali i comuni provvedono ad individuare le aree destinate ad attività turistiche e ricettive e a determinare la disciplina di tutela e utilizzazione di tali aree, tenendo conto dei piani di sviluppo predisposti dalle regioni. Entro un anno dall'entrata in vigore delle leggi regionali i comuni provvedono ad adeguare i propri strumenti urbanistici, secondo quanto previsto al primo comma del presente articolo e individuano in essi le aree destinate agli insediamenti turistici produttivi che a tal fine sono vincolate. Per rispondere ad esigenze di miglioramento dell'assetto territoriale e di sviluppo del settore turistico, destinazioni diverse da quella originaria di aree e strutture turistiche e ricettive possono essere previste dai piani regolatori generali e loro varianti. Il vincolo di destinazione può essere rimosso su richiesta del proprietario solo se viene comprovata la non convenienza economico-produttiva della struttura ricettiva e previa restituzione di contributi e agevolazioni pubbliche eventualmente percepiti e opportunamente rivalutati ove lo svincolo avvenga prima della scadenza del finanziamento agevolato. Le regioni, con proprie leggi, fissano criteri e modalità per la rimozione del vincolo di destinazione, le sanzioni per i casi di inadempienza ed i necessari raccordi con le norme ed i piani urbanistici". L'art. 11 comma 6 della l. 29 marzo 2001 n. 135 (Riforma della legislazione nazionale del turismo) ha abrogato la legge 17 maggio 1983, n. 217 a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto di cui all'articolo 2, comma 4, della presente legge (in attuazione della predetta previsione normativa è stato emanato il d.P.C.M. 13 settembre 2002 recante: "Recepimento dell'accordo fra lo Stato, le regioni e le province autonome sui princì pi per l'armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico"). La legge n. 135/2001 è stata a sua volta abrogata dal d.lgs. 23 maggio 2011 n. 79 "Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, nonché attuazione della direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio". Con legge regionale del 23 marzo 2000 n. 42, la Regione Toscana ha approvato il "Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo", in attuazione del quale è stato emanato, con decreto del Presidente della Giunta regionale della Toscana del 23 aprile 2001 n. 18, il Regolamento di attuazione del Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo, che, all'art. 11, comma 3, nel testo vigente al momento della adozione degli atti impugnati, disponeva quanto segue: "Le strutture ricettive di cui al presente capo sono realizzate su aree con destinazione d'uso turistico-ricettiva, conformemente a quanto indicato negli strumenti urbanistici del comune". Dalla ricostruzione del quadro normativo di riferimento, deve ritenersi che il potere esercitato ratione temporis dal Comune di (omissis) non fosse privo di fondamento giuridico (a livello di normazione primaria), essendo stata sostanzialmente rimessa dal legislatore regionale al potere pianificatorio dei Comuni in materia urbanistica la disciplina della destinazione d'uso turistico - ricettiva. 8. Con il terzo motivo, l'appellante deduce: error in iudicando, manifesta erroneità della motivazione. 8.1. In estrema sintesi, la società appellante contesta la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice di primo grado ha dichiarato inammissibile il terzo motivo di ricorso, in quanto l'annullamento delle impugnate norme tecniche di attuazione non recherebbe alcuna utilità alla soc. Immobileffe, poiché comporterebbe la reviviscenza della normativa locale precedentemente in vigore, ugualmente ostativa alla realizzazione dell'assetto edilizio propugnato dalla stessa ricorrente. 8.2. In particolare, con il terzo motivo del ricorso introduttivo del giudizio, era stata dedotta l'illegittimità della disposizione contenuta nel comma 4 dell'art. 40 delle n. t.a. del nuovo R.u. per irragionevolezza, illogicità, ma soprattutto incompatibilità costituzionale, dei parametri cui tale disposizione subordina lo svincolo alberghiero, tra l'altro richiedendone la ricorrenza contestuale, in quanto, a detta della appellante, tali parametri non risulterebbero oggettivamente sintomatici della sopravvenuta insostenibilità economica nella gestione della struttura ricettiva e dunque di fatto comporterebbero una limitazione sine die alla possibilità di mutamento di destinazione d'uso, mentre nell'apposizione e disciplina del vincolo alberghiero, le amministrazioni comunali sono tenute al rispetto del canone di temporaneità e modificabilità intrinseco a tale vincolo, risultando esso, in caso contrario, costituzionalmente incompatibile. La società appellante ha contestato le conclusioni del giudice di primo grado (di inammissibilità della censura), evidenziando che l'annullamento in parte qua del Regolamento urbanistico imporrebbe al Comune la riedizione del potere pianificatorio in conformità ai principi enunciati della sentenza. 8.3. Con il quarto motivo, la società appellante ripropone il terzo motivo del ricorso introduttivo del giudizio non esaminato dal giudice di primo grado (in quanto ritenuto inammissibile per difetto di interesse), deducendo: violazione dei principi desumibili dagli artt. 23, 41, 42 e 97 della Cost.; violazione dei principi desumibili dall'art. 7 della l. 17 agosto 1942 n. 1150; violazione dei principi desumibili dagli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990; violazione e falsa applicazione dei principi desumibili dalla legge regionale della Toscana n. 42/2000; eccesso di potere per errore o travisamento dei fatti, per illogicità manifesta e per sviamento; eccesso di potere per violazione dei principi di imparzialità e non discriminazione; eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione. 8.4. L'appellante richiama i due parametri cui la disposizione contenuta nel comma 4 dell'art. 40 delle NTA del nuovo R.u. approvato dal Comune di (omissis) subordina lo svincolo alberghiero, richiedendone, peraltro, la ricorrenza contestuale (1. la superficie utile lorda alla data di adozione del presente RU non superi i 600 mq ammettendo una tolleranza del 5%; 2. la superficie territoriale del lotto di pertinenza non superi i 1000 mq ammettendo una tolleranza del 5%). Detti parametri non solo non troverebbero alcun riscontro né nella legislazione urbanistica né nella normazione della Regione Toscana in materia di strutture ricettive (l.r. della Toscana n. 42/2000 e relativo regolamento di attuazione), ma soprattutto non risulterebbero oggettivamente sintomatici della sopravvenuta insostenibilità economica nella gestione della struttura ricettiva. A suo giudizio, sotto il profilo dell'economicità dell'impresa alberghiera, non vi sarebbe alcun elemento per differenziare una struttura insistente su un terreno di superficie maggiore a 1000 mq - come quella di proprietà della ricorrente - con quelle insistenti su lotti di terreno di superficie inferiore a 1000 mq. Oltre a ciò, nell'apposizione e disciplina del vincolo alberghiero, le amministrazioni comunali sarebbero tenute al rispetto del canone di temporaneità e modificabilità intrinseco a tale vincolo (risultando altrimenti il vincolo costituzionalmente incompatibile). I due parametri cui l'art. 40 delle NTA del nuovo R.U. in oggetto subordinano il mutamento della destinazione alberghiera, sarebbero ingiustamente discriminatori. 8.5. Le censure articolate nel terzo motivo del ricorso di primo grado e riproposte nel terzo e nel quarto motivo di appello, pur ammissibili, sono infondate. 8.6. La materia dei vincoli alberghieri è stata analiticamente esaminata dalla Prima Sezione del Consiglio di Stato, nel parere del 25 marzo 2021 n. 475, le cui coordinate ermeneutiche il Collegio ritiene opportuno richiamare in questa sede, ai fini del corretto inquadramento sotto il profilo sistematico della fattispecie dedotta in giudizio. Dopo aver richiamato la disciplina normativa pregressa (legge 24 luglio 1936, n. 1692, di conversione, con modificazioni, del r.d.l. 2 gennaio 1936, n. 274; l'articolo 1 del d.lgs. lt. 19 marzo 1945, n. 117, che ha prorogato l'efficacia della legge n. 1692/1936) e l'art. 8 della l. 17 maggio 1983 n. 217, sulla scorta dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale (sentenza 8 gennaio 1981 n. 4) e dalla giurisprudenza amministrativa successiva (Consiglio di Stato, sez. IV, 15 marzo 2012, n. 1449; Consiglio di Stato, sez. IV, 23 novembre 2018, n. 6626), la Prima Sezione è pervenuta alle seguenti conclusioni: "La previsione del vincolo deriva dalla volontà del legislatore di accordare una tutela prioritaria allo sviluppo del settore turistico, ritenuto strategico per l'economia nazionale, e trova giustificazione nel fatto che occorre evitare di snaturare i tessuti turistico-ricettivi già esistenti - particolarmente importanti per un Paese a vocazione turistica qual è il nostro - e impedire forme di speculazione derivanti dalla trasformazione delle predette strutture in immobili destinati ad usi abitativi, anche in considerazione del fatto che spesso le strutture ricettive si trovano in luoghi di particolare pregio ambientale, paesaggistico o anche solo turistico......La previsione del vincolo alberghiero, dunque, per essere costituzionalmente legittima, deve essere il frutto di un accorto bilanciamento tra valori egualmente tutelati in Costituzione, in modo da rendere compatibile il principio di funzionalizzazione della proprietà enunciato dall'art. 42 Cost., con la sussistenza stessa del diritto di proprietà (in modo da evitare che un vincolo stringente nella destinazione ed indefinito nel tempo possa costituire un intervento di fatto espropriativo), e con la libertà di iniziativa economica che - fermi i limiti imposti dall'art. 41 Cost.- impedisce l'"imposizione coattiva" dello svolgimento di attività allorché non sussista la convenienza economica delle stesse". 8.7. Tanto premesso, le deduzioni di parte appellante non possono essere condivise nel caso di specie. 8.8. Conformemente a quanto già statuito da questa Sezione in fattispecie analoghe (sentenza 2 gennaio 2023 n. 21; sentenza 7 febbraio 2023 n. 1317), occorre ribadire anche in questa sede che le scelte urbanistiche circa la disciplina del territorio costituiscono espressione del più ampio potere discrezionale dell'amministrazione; di conseguenza, esse possono formare oggetto di sindacato giurisdizionale nei soli casi di abnormità ovvero di palese travisamento dei fatti. In particolare nella sentenza della sezione 2 gennaio 2023 n. 21 è stato evidenziato che, con riferimento all'esercizio dei poteri pianificatori urbanistici, la tutela dell'affidamento è riservata ai seguenti casi eccezionali: a) superamento degli standard minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona; b) pregresse convenzioni edificatorie già stipulate; c) giudicati (di annullamento di dinieghi edilizi o di silenzio rifiuto su domande di rilascio di titoli edilizi), recanti il riconoscimento del diritto di edificare; d) modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo. 8.8. Orbene, come sopra evidenziato, con le contestate norme del Regolamento urbanistico il Comune di (omissis), ricompreso in un'area notoriamente a vocazione turistica, ha inteso incentivare il mantenimento e la riqualificazione delle strutture ricettive, indicando quali obiettivi della pianificazione locale il sostegno e la promozione dell'economia e dell'offerta turistica. Il Comune non ha escluso il cambio di destinazione d'uso delle strutture turistico ricettive, ma lo ha subordinato alla sussistenza di determinate condizioni (sopra richiamate), con la conseguenza che non si configura violato il principio della tendenziale temporaneità dei vincoli alberghieri. Le condizioni per il cambio di destinazione d'uso delle strutture turistico - ricettive, individuate dal Comune di (omissis), pur avendo una valenza prevalentemente urbanistica, possono assumere carattere sintomatico della capacità reddituale delle strutture ricettive, se lette in combinato disposto le disposizioni del medesimo Regolamento, che consentono, in una prospettiva di promozione della offerta turistica: i) la realizzazione di ampliamenti e di miglioramenti delle strutture ricettive e delle aree pertinenziali; ii) la possibilità di consistenti sopraelevazioni e di realizzazione di piani interrati; iii) la creazione di parcheggi pertinenziali completamente interrati; iv) le attività proprie degli alberghi; v) altre attività (comportanti, se del caso, anche il cambio di destinazione d'uso e di mutamento funzionale) purché ricomprese, sempre e comunque, nella categoria "turistico-ricettiva", come le case per ferie, gli ostelli della gioventù, le residenze turistico-alberghiere (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV sentenza n. 1317/2023). In altre parole, le scelte adottate dal Comune di (omissis) in materia di cambio di destinazione d'uso delle strutture turistico - ricettive non si presentano in insanabile contrasto con i principi enunciati in materia di vincolo alberghiero dalla Corte Costituzionale e debbono ritenersi, in relazione ai limiti al sindacato giurisdizionale in subiecta materia (sopra richiamati), immuni dal vizio di eccesso di potere, in relazione ai dedotti profili. A ciò si aggiunga l'ulteriore considerazione, secondo la quale la società appellante non ha fornito adeguata dimostrazione né in sede procedimentale né in sede processuale della non convenienza economico - produttiva (sul piano oggettivo) della struttura ricettiva (cui pure faceva riferimento, ai fini della rimozione del vincolo alberghiero, l'art. 8, comma 6, della l. n. 217/1983), limitandosi ad allegazioni generiche e non suffragate da elementi probatori. 9. In conclusione, l'atto di appello è infondato e va respinto; la complessità delle questioni dedotte in giudizio giustifica nondimeno l'equa compensazione delle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente Vincenzo Lopilato - Consigliere Luca Lamberti - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Paolo Marotta - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4023 del 2017, proposto dalla società Pi. de. Co. di Gi. Ca. & C. Snc, in persona del legale rappresentante pro tempore, e Ca. s.n. c., persona del sul legale rappresentante, rappresentate e difese dagli avvocati Sa. Co. e Da. Lo., con domicilio eletto presso lo studio Ma. Mi. in Roma, via (...); contro il Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ro. Gu. Ma., con domicilio eletto presso lo studio Ma. Ga. in Roma, via (...); la Regione Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia - sezione staccata di Lecce Sezione Terza n. 01657/2016, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 marzo 2023 il consigliere Giuseppe Rotondo; viste le conclusioni delle parti presenti, o considerate tali ai sensi di legge, come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.Il presente giudizio è stato promosso dalle società Pi. de. Co. di Gi. Ca. & C. s.n. c. e dalla Ca. s.n. c. Esso ha ad oggetto la domanda di annullamento dei seguenti atti: a) delibera di consiglio comunale 30 gennaio 2007 n. 6, recante approvazione del piano urbanistico generale del Comune di (omissis); b) delibera di G.R.P. 5 settembre 2006 n. 1308 di controllo di compatibilità di cui all'art. 11, commi 7 e 8, della L.R. Puglia n. 20/2001; c) delibera di consiglio comunale 6 marzo 2004 n. 2 di esame delle osservazioni; d) delibera di consiglio comunale 26 settembre 2003 n. 27 di adozione del piano urbanistico generale del Comune di (omissis). 2. Questi gli snodi principali della vicenda: a) le società istanti dichiarano di essere proprietarie di un compendio immobiliare ubicato nel Comune di (omissis) (Lecce) e censito in catasto al foglio (omissis) p.lle (omissis) su cui insiste una struttura ricettiva turistico-ricreativa; b) con deliberazione n. 27 del 26 settembre 2003, il consiglio comunale di (omissis) adottava il piano urbanistico generale, tipizzando le aree in proprietà delle società ricorrenti nel seguente modo: • p.lle (omissis) "Delimitazione tessuti urbani e/o aree di completamento assoggettate a P.U.E. approvati"; • p.lle (omissis) (ex (omissis)) parte "Parco territoriale - zone boscate"; • p.lle (omissis) (ex (omissis)) parte "Zona D5a - attrezzature destinate ad attività e sport turistici"; • p.lla (omissis) in parte "Verde Privato e di rispetto - Parco privato" e in parte "Zona E2 agricola per attività agrituristiche"; c) le odierne appellanti presentavano le proprie osservazioni contestando le scelte urbanistiche con specifico riferimento alle aree in proprietà delle stesse; d) il consiglio comunale, con deliberazione n. 6 del 30 gennaio 2007, approvava definitivamente il piano urbanistico generale. 3. Le società impugnavano gli atti innanzi al T.a.r. per la Puglia (sede di Lecce), ritenendoli viziati da eccesso di potere per difetto di motivazione e per irragionevolezza della scelta pianificatoria, difetto di istruttoria, violazione del d.m. n. 1444/68, violazione delle prescrizioni dettate dalla delibera di giunta regionale n. 1308/06, contraddittorietà . 3.1. Si costituiva il Comune di (omissis) per resistere. 3.3. Il T.a.r. per la Puglia, con sentenza n. 1657 del 4 novembre 2017, respingeva il ricorso e compensava le spese. In particolare, il giudice territoriale osservava che: a) le censure "impingono (inammissibilmente) nel merito delle scelte ampiamente discrezionali riservate alla P.A. in sede di pianificazione urbanistica generale comunale, posto che non riescono a dimostrarne la manifesta illogicità o la contraddittorietà o l'erroneità delle stesse, ovvero il mancato raccordo con il P.U.T.T./P della Regione Puglia, né la sussistenza degli altri vizi di legittimità dedotti"; b) le osservazioni presentate in sede amministrativa "sono state (legittimamente) disattese dal Consiglio Comunale di (omissis) (competente a determinarsi in ordine alle stesse ai sensi dell'art. 11 sesto comma della legge regionale Puglia 27 luglio 2001 n. 20) con espressa ed adeguata motivazione..."; c) essendo stati gli insediamenti abusivi (poi condonati) "realizzati in carenza delle indispensabili opere di urbanizzazione prescritte per le zone di tipo "D" dall'art. 5 del D.M. 2 Aprile 1968 n° 1444, si ritiene pienamente logica la prescrizione del P.U.G. secondo cui, in caso di interventi di completamento/ampliamento degli immobili esistenti (per una volumetria addizionale non superiore al 10 per cento dell'esistente), vi è obbligo di cessione delle aree occorrenti per le opere di urbanizzazione, nella misura prevista dal citato art. 5 del D.M. n° 1444/1968, rapportata anche alla volumetria preesistente (condonata)"; d) le censure con le quali "si assume il contrasto delle scelte pianificatorie de quibus rispetto alle previsioni di incentivazione dello sviluppo turistico-ricettivo contenute nel Documento Programmatico Preliminare" nonché "si contesta la localizzazione del tracciato viario prescelto dal P.U.G." peccano di "genericità ". 4. Hanno appellato le due società, che censurano la sentenza per "omessa, errata e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; illegittimità degli atti impugnati perché viziati da eccesso di potere per difetto di motivazione e per irragionevolezza della scelta pianificatoria; difetto di istruttoria; violazione del d.m. n. 1444/68; violazione delle prescrizioni dettate dalla delibera di GR n. 1308/06; contraddittorietà ". 4.1. Le appellanti lamentano la carenza di motivazione della sentenza gravata, la quale disattenderebbe "la maggior parte delle argomentazioni e delle censure proposte in primo grado e riferite alla anzidetta tipizzazione e alle limitazioni dalla stessa imposte e prescritte". Segnatamente: a) la sentenza nulla avrebbe affermato sul rilievo censorio per cui "la destinazione delle aree come D5a impedisca, nella sostanza, ogni forma di effettivo utilizzo delle medesime e di attività edificatoria della zona, ponendosi il tutto in aperto contrasto con le previsioni di sviluppo contenute nel Documento Programmatico Preliminare"; b) nulla avrebbe motivato circa le ragioni per cui "non ha pregio argomentare di omessa valutazione delle possibilità di sviluppo dell'attività turistico-ricettiva espletata in loco"; c) la mancata previsione degli indici di fabbricabilità propri delle normali zone omogenee industriali di tipo "D", oltre alla possibilità di sviluppo edificatorio parametrato alla volumetria esistente e non all'estensione della ZTO D5a, impedirebbe ogni e qualsiasi effettivo utilizzo delle aree medesime, in rapporto alle necessità concrete di utilizzo dei beni in ragione delle attività svolte nella zona e della vocazione specifica del territorio"; d) la motivazione sostenuta dal Tar a sostegno della legittimità del PUG non garantirebbe "un più accurato uso del territorio e una salvaguardia ambientale della zona", bensì aggraverebbe "la concentrazione di edificato poiché prescinde dalla dimensione dell'area asservita alla edificazione assentita"; e) altrettanto erronea sarebbe la sentenza nella parte in cui afferma che "considerato che i predetti insediamenti abusivi (poi condonati) sono stati realizzati in carenza delle indispensabili opere di urbanizzazione prescritte per le zone di tipo "D" dall'art. 5 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, si ritiene pienamente logica la prescrizione del p.u.g. secondo cui, in caso di interventi di completamento/ampliamento degli immobili esistenti (...) vi è obbligo di cessione delle aree occorrenti per le opere di urbanizzazione, nella misura prevista dal citato art. 5 del d.m. n. 1444/1968, rapportata anche alla volumetria preesistente (condonata)". E invero, il reperimento delle aree per urbanizzazioni secondarie viene riferito alle volumetrie già esistenti all'atto della formazione del p.u.g. le quali, non costituendo nuovi insediamenti, dovrebbero invece essere esentate da tale obbligo; f) la motivazione addotta a sostegno della legittimità del tracciato viario prescelto dal p.u.g. - secondo cui "il vastissimo compendio immobiliare di aree di proprietà delle ricorrenti deve essere necessariamente interessato dalla previsione di una adeguata infrastruttura stradale" - consisterebbe in "una mera petizione di principio" da parte del giudice di primo grado "che penalizza la vastità della proprietà immobiliare delle ricorrenti e non viene supportata da alcun valido e convincente argomento giuridico". La previsione urbanistica, da un lato, si presenterebbe "come a fortissimo impatto ambientale"; dall'altro, sarebbe "priva di una utilità pratica atteso che la zona risulta già interessata da un percorso viario sufficiente, nel mentre la nuova strada si inserirebbe in un contesto turistico-ricettivo, privando le strutture di quella necessaria "tranquillità "; g) la Regione Puglia aveva imposto al Comune di (omissis) che "gli interventi di trasformazione edilizi e infrastrutturali siano effettuati in aree già modificate, in modo da evitare qualsiasi alterazione della vegetazione naturale presente e, in particolare, degli habitat di cui alla direttiva n. 92/43"; h) la sentenza impugnata avrebbe omesso ogni motivazione con riferimento al vincolo di in edificabilità assoluta apposto dalla Regione Puglia sulla porzione di area di proprietà delle appellanti che, in sede di adozione del PUG, era stata tipizzata "Zona V3 parco Territoriale - Zone Boscate": "invero, secondo le previsioni del Piano Urbanistico predetto, in tali aree sarebbe stato possibile realizzare piccoli chioschi per bar, servizi igienici ed altre minute attrezzature di servizio, per converso la regione Puglia ha ritenuto che detta area così tipizzata dovrà essere conservata allo stato attuale, su di essa verrà imposto vincolo di inedificabilità assoluta". 4.2. Si è costituito il Comune di (omissis), che, oltre a chiedere il rigetto nel merito del ricorso, ne eccepisce la sua inammissibilità in quanto parte appellante: a) si sarebbe limitata "a riproporre le medesime censure di ricorso che hanno invece ad oggetto i provvedimenti amministrativi"; b) non avrebbe riproposto "le censure di ricorso (trascrivendole)" bensì ad esse avrebbe rinviato "dinamicamente", attraverso una illogica confusione dell'appello in una sorta di prosecuzione indistinta del giudizio di I grado". 4.3. Lo stesso comune impugna, altresì, in via incidentale la statuizione della sentenza sulla compensazione delle spese del giudizio di primo grado. 4.4. Le parti hanno depositato memorie in data 13 febbraio 2023. 5. All'udienza del 16 marzo 2023, la causa è stata trattenuta per la decisione. 6. Preliminarmente il collegio: a) respinge l'eccezione di inammissibilità dell'appello per violazione dell'art. 101, comma 1, c.p.a.: il contenuto dell'appello reca una sufficiente esposizione dei fatti e articola le censure contro i capi di sentenza gravata, consentendo al giudicante di comprendere i vizi dedotti avverso la decisione impugnata (id est: erroneità della motivazione; omessa pronuncia su punti controversi); b) intende rinunciate le censure non espressamente riproposte nell'atto di appello, perimetrando l'esame alle censure sopra rubricate al paragrafo 4.1. (in quanto espressamente riproposte). 7. Nel merito, l'appello è infondato. 8. Giova premettere che, per costante giurisprudenza le scelte urbanistiche costituiscono valutazioni di merito sottratte al sindacato giurisdizionale di legittimità, salvo che risultino inficiate da errori di fatto, abnormi illogicità, violazioni procedurali, ovvero che, per quanto riguarda la destinazione di specifiche aree, risultino confliggenti con particolari situazioni che abbiano ingenerato affidamenti e aspettative qualificate. In particolare, l'onere di motivazione gravante sull'amministrazione in sede di adozione di uno strumento urbanistico, salvo i casi in cui esse incidano su zone territorialmente circoscritte ledendo legittime aspettative, è di carattere generale e risulta soddisfatto con l'indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte effettuate, senza necessità di una motivazione puntuale e "mirata" (Cons. Stato, sez. IV, 3 novembre 2008 n. 5478). Come già affermato dalla sezione (Cons. Stato, 8 giugno 2011 n. 3497), "le scelte urbanistiche, dunque, richiedono una motivazione più o meno puntuale a seconda che si tratti di previsioni interessanti la pianificazione in generale ovvero un'area determinata, ovvero qualora incidano su aree specifiche, ledendo legittime aspettative; così come mentre richiede una motivazione specifica una variante che interessi aree determinate del PRG., per le quali quest'ultimo prevedeva diversa destinazione (a maggior ragione in presenza di legittime aspettative dei privati), non altrettanto può dirsi allorchè la destinazione di un'area muta per effetto della adozione di un nuovo strumento urbanistico generale, che provveda ad una nuova e complessiva definizione del territorio comunale. Né, d'altra parte, una destinazione di zona precedentemente impressa determina l'acquisizione, una volta e per sempre, di una aspettativa di edificazione non più mutabile, essendo appunto questa modificabile (oltre che in variante) con un nuovo PRG, conseguenza di una nuova e complessiva valutazione del territorio, alla luce dei mutati contesti e delle esigenze medio tempore sopravvenute". Le uniche, tassative ipotesi (individuate dalla consolidata giurisprudenza sopra richiamata in base alle argomentazioni elaborate dall'Adunanza plenaria n. 24 del 1999), in cui è richiesta una motivazione rafforzata, sono le seguenti: I) superamento degli standard minimi; II) presenza di una convenzione di lottizzazione o di un accordo equivalente, valido ed efficace; III) giudicato di annullamento di diniego di permesso di costruire o di silenzio inadempimento sulla relativa istanza; IV) destinazione di un fondo totalmente intercluso a zona agricola. Occorre, infine, osservare che la motivazione delle scelte urbanistiche, sufficientemente espressa in via generale, è desumibile sia dai documenti di accompagnamento all'atto di pianificazione urbanistica, sia dalla coerenza complessiva delle scelte effettuate dall'amministrazione comunale (Cons. Stato, sez. IV, 26 marzo 2014 n. 1459). 9. Applicando i su esposti principi al caso di specie, deve inferirsi che il ricorso, è infondato sia per un primo profilo - laddove le censure impingono nel merito delle scelte urbanistiche operate dall'ente locale, sostituendosi o sovrapponendosi alle valutazioni effettuate dall'amministrazione nell'esercizio della propria potestà pianificatoria - sia per un secondo profilo, avuto riguardo alle censure dedotte, la cui consistenza non scalfisce la legittimità degli atti impugnati i quali s'appalesano immuni dai rubricati vizi della funzione amministrativa. 10. Le appellanti lamentano, con un primo ordine di rilievi, che la destinazione urbanistica D5a impressa dal PUG alle p.lle (omissis) impedirebbe un effettivo utilizzo delle aree. 11. La censura è infondata. 12. L'intimata amministrazione ha chiarito in punto di fatto le ragioni sottese alla divisata scelta urbanistica, mutuandole dalla istruttoria procedimentale, ovvero dalla documentazione a corredo degli atti di pianificazione. Il territorio interessato dal piano urbanistico è costituito da "un'ampia area collinare, che guarda ad un ampio specchio marino tra le località di (omissis) e (omissis), occupato quasi interamente da parti boschive, alternate a zone rocciose, con vegetazione spontanea ed autoctona (cd. "macchia mediterranea"), sottoposto a vincolo paesaggistico ed idrogeologico, ricadente, in parte - e per ciò che qui interessa, totalmente - all'interno del perimetro del SIC (sito di interesse comunitario). La circostanza è stata suffragata dal certificato destinazione urbanistica. Sennonché, dette aree sono state interessate nel tempo da insediamenti edilizi non programmati e pianificati (ovvero, spontanei), non previsti dallo strumento urbanistico o, comunque, realizzati in totale o parziale difformità dagli stessi, perciò abusivi. L'intera area, in specie quella per cui si discetta (vasto complesso adibito a bar discoteca, già denominata "Qu. La.", ricadente in un contesto agricolo complessivamente integro e di elevato pregio paesistico) ha subito il degrado causato dal fenomeno dell'abusivismo edilizio, cui si è aggiunto, sempre per il caso in esame, la totale decontestualizzazione degli insediamenti abusivi rispetto al contesto paesaggistico e urbanistico, sia per la loro ubicazione che per il disegno architettonico. 13. Ebbene, la circostanza che tale insediamento sia stato successivamente legittimato, grazie alle prime leggi sul condono edilizio del 1985 e del 1994, non rende per ciò stesso implausibile le scelte urbanistiche operate dall'amministrazione, anzi le giustifica sul piano della ragionevolezza. 14. Il comune, attraverso il piano urbanistico, ha dovuto effettuare una rigorosa quanto necessaria opera di ricognizione del territorio aggredito dall'abusivismo, così da individuarne e perimetrarne la realtà ; ha poi dovuto svolgere un'opera di ricontestualizzazione di tale territorio ed elaborare una normazione particolare che, tenendo conto della presenza di tali insediamenti, ne garantisse almeno una valorizzazione tendenzialmente compatibile con lo strumento urbanistico. 15. Tali circostanze hanno indotto l'amministrazione, giustificandone la scelta operata, ad assegnare all'area in questione una potenzialità edificatoria ulteriore (pari al 10% della volumetria esistente) per eventuali finalità di integrazioni tecnologiche e funzionali alle stesse strutture. 16. Tale finalità spiega la ragione della scelta di assegnare una ulteriore potenzialità edificatoria, anche avuto riguardo alla compatibilità della stessa rispetto al vincolo apposto dalla Regione Puglia sulla porzione di area di proprietà delle appellanti che, in sede di adozione del PUG, era stata tipizzata "Zona V3 parco Territoriale - Zone Boscate"; e rende, altresì, plausibile il motivo per cui attraverso la divisata destinazione il comune abbia individuato, sulla base delle risultanze catastali", anche "un adeguato contorno" al sedime dei fabbricati che ne costituisce la naturale e logica pertinenza e al quale ha assegnato la medesima tipizzazione. 17. Se così l'amministrazione non avesse operato, ovvero se essa non avesse isolato la zona di pertinenza della struttura, tipizzandola come D5a, l'area in questione (p.lle (omissis)) sarebbe stata tipizzata come "V3 - Parco territoriale e zone boscate", con vincoli di inedificabilità . 18. In altri termini, se l'area tipizzata come D5a fosse stata tipizzata come la circostante area (V3) essa avrebbe avuto indici edificatori inferiori anche a quelli delle zone agricole, e modalità di intervento molto ridotte a "salvaguardia del contesto interessato dalle emergenze geomorfologiche del crinale, che degrada fino a (omissis), e dalle emergenze botanico vegetazionali della pineta". 19. Sotto questo profilo, appare anche dubbio l'interesse delle appellanti a coltivare la censura poiché la tipizzazione D5a è finalizzata non già a impedire l'effettivo utilizzo della struttura bensì, a esonerare la struttura dai limiti edificatori che gravano sulla zona V3. 20. La scelta operata dall'amministrazione s'appalesa, pertanto, non irrazionale, siccome giustificata dall'apprezzamento delle caratteristiche del contesto agricolo e di pregio paesistico nel quale risultano inseriti i fabbricati ai quali, tuttavia, viene comunque assegnata una potenzialità edificatoria, sia pure limitata e funzionalmente motivata, allo scopo proprio di valorizzarli. 21. Tale potenzialità edificatoria, inoltre, è stata ragionevolmente legata al volume esistente e non all'area, in quanto detta area, come è stato chiarito in atti, per le sue intrinseche caratteristiche, non potrebbe essere tipizzata come "D", ma come "V3", trattandosi, come sopra chiarito, di area agricola di pregio paesistico. 22. Parte appellante ha censurato, altresì, il contrasto delle scelte di piano con il documento programmatico preliminare e con le prescrizioni regionali di cui alla delibera di giunta n. 1308 del 2006. 23. La censura è infondata. 24. Il documento programmatico contiene le previsioni di sviluppo". 24.1. Orbene, gli obiettivi del documento devono essere apprezzati nell'ambito del più complesso sistema di valori e azioni affinché se ne abbia una sintesi che tenga conto di tutte le esigenze di pianificazione territoriale, attraverso una valutazione sinergica (tra documento e piano) operata sulla base di tutte le esigenze della futura pianificazione territoriale: aspettative private, obiettivi pubblici e collettivi, esigenza di deflazionare la pressione turistica del limitrofo "epicentro" di (omissis), preminente esigenza di tutela del patrimonio paesaggistico e della sua fruizione collettiva, contenimento dell'uso del suolo, ragioni idrogeomorfologiche. 25. Questa complessa esigenza comparativa spiega e giustifica perché il contestato piano abbia individuato le aree ritenute più idonee a essere oggetto di azioni di valorizzazione turistico ricettiva, insieme a quelle che, per le loro intrinseche caratteristiche risultano, invece, meritevoli di preminente disciplina e tutela. 26. Ebbene, chiarite le ragioni della scelta, ritenutala non illogica alla luce delle evidenze morfologiche, turistiche, ambientali e paesaggistiche del territorio, e neppure in contrasto con le prescrizioni regionali di valorizzazione della località (omissis) (siccome volte a promuoverne il risanamento e la valorizzazione urbanistica), ogni altra considerazione va oltre il limite di controllo della discrezionalità e impinge nel merito dell'azione amministrativa risultando, come tale, inammissibile. 27. Neppure coglie la censura relativa al dimensionamento della zona D). 27.1. Come sopra chiarito, la scelta operata con il piano è stata quella di salvaguardare l'area interessata dalla pineta, posta sul crinale, a monte della località balneare (omissis), dalla pressione urbanistica ed antropica. 27.2. La concorrente esigenza rappresentata dalle necessità insediative è stata diversamente soddisfatta attraverso la localizzazione di insediamenti turistico ricettivi in aree del territorio ritenute più idonee, in termini urbanistici, paesaggistici e infrastrutturali. 27.3. Anche in questo caso, si è trattato di scelte immuni da vizi di logicità e travisamento dei fatti, in quanto basate su evidenze al tempo stesso urbanistiche e di tutela paesaggistica, ponderate dall'amministrazione e sintetizzate nel piano. 28. In ordine alla censura con cui si lamenta il contrasto delle scelte di piano con gli indici edificatori delle zone "D" di cui al dm 1444 del 1968, deve convenirsi con l'amministrazione nel senso che la tipizzazione particolare effettuata nella circostanza dal p.u.g. attiene alla particolare destinazione d'uso, assimilabile alle strutture turistico ricettive. 28.1. L'ente resistente ha chiarito che lo "scopo del PUG non è stato quello di assegnare all'area interessata dalle costruzioni una potenzialità edificatoria, bensì di prendere atto delle singolari emergenze di edificazione "spontanea" e consentirne una utilizzazione compatibile con il contesto e con le pur individuate valenze paesaggistiche e ambientali, senza, tuttavia, gravare le aree di alcuna pressione antropica derivante dalla applicazione degli indici edificatori fondiari propri delle ZTO "D", come classificate dal DM 1444/68". 28.2. Muovendo da tale presupposto, il piano urbanistico generale ha effettuato una ricognizione delle strutture esistenti (abusive e poi condonate) aventi una destinazione d'uso di tipo direzionale, quindi classificabili come ZTO "D" in aree con vocazione agricola di pregio paesaggistico. Dopo di che, con tale previsione (destinazione d'uso assimilabile alle strutture turistico ricettive) l'amministrazione ha inteso - non già assegnare alle aree sulle quali insistono un indice di fabbricabilità fondiario differente dalle aree in cui le stesse ricadono (parco territoriale e zona boscata, tipizzata come zona V3) bensì - riconoscere "l'esistenza di tali fabbricati e consentirne, comunque, l'utilizzo e la valorizzazione, anche attraverso la previsione di un possibile ampliamento volumetrico (nella misura del 10% costruito)". 28.3. Da qui, per un verso l'inconferente raffronto con gli indici indicati nel d.m. n. 1444 del 1968; per l'altro, che nessuna concentrazione edificatoria appare derivare da tale scelta potendo le società solo utilizzare il patrimonio esistente e valorizzarlo mediante ampliamenti contenuti. 29. Le appellanti hanno censurato, inoltre, le previsioni del PUG nella parte in cui prevedono, per le zone tipizzate D5a), l'obbligo di cessione di aree per urbanizzazioni secondarie ai sensi e nella misura prevista dall'art. 5 del d.m. n. 1444 del 1968. 29.1. La censura è infondata. 29.2. L'articolo 5 del citato decreto disciplina i "Rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti produttivi e gli spazi pubblici destinati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi". Esso così recita: "l rapporti massimi di cui all'art 17 della legge n 765, per gli insediamenti produttivi, sono definiti come appresso: 1) nei nuovi insediamenti di carattere industriale o ad essi assimilabili compresi nelle zone D) la superficie da destinare a spazi pubblici o destinata ad attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi (escluse le sedi viarie) non può essere inferiore al 10% dell'intera superficie destinata a tali insediamenti; 2) nei nuovi insediamenti di carattere commerciale e direzionale, a 100 mq di superficie lorda di pavimento di edifici previsti, deve corrispondere la quantità minima di 80 mq di spazio, escluse le sedi viarie, di cui almeno la metà destinata a parcheggi (in aggiunta a quelli di cui all'art. 18 della legge n. 765); tale quantità, per le zone A) e B) è ridotta alla metà, purché siano previste adeguate attrezzature integrative". 29.3. E' sufficiente osservare, sul punto, che la prescrizione di cui all'articolo 5 del citato decreto si riferisce, non già alla tipizzazione della zona bensì, alla destinazione d'uso dell'insediamento. Nel caso di specie, la destinazione d'uso è di tipo "direzionale", legittimata solo a seguito del condono edilizio e solo oggi, attraverso il piano generale, resa compatibile con la pianificazione territoriale, ragion per cui, ai fini che qui interessano (id est, "nuovo insediamento"), rileva il momento della contestualizzazione urbanistica dell'insediamento, ovvero del suo inserimento nel p.u.g. con la menzionata destinazione, e non quello della sua (risalente) realizzazione materiale, dovendosi tenere conto della scelta operata (destinazione d'uso direzionale) in relazione al carico antropico e urbanistico che sviluppano la strutture ricettive, le quali richiedono adeguata previsione di standard urbanistici. 30. Le appellanti hanno contestato, infine, la previsione del piano di un tracciato viario di attraversamento all'interno delle aree di loro proprietà . 31. La censura è infondata. 31.1. L'area intestata alle due società sviluppa ben 23ha ed è attraversata da una strada che l'amministrazione ha chiarito essere già esistente e che il piano intende ristrutturare. 31.2. La particolare vastità dell'area, unitamente alla circostanza che la strada è già esistente, rendono plausibile la scelta dell'amministrazione di intervenire sull'arteria in questione. 31.3. Peraltro, la modifica del tracciato riguarderebbe solo il tratto finale e per circa un quarto della lunghezza complessiva. 31.4. La rettifica, inoltre, risulta giustificata dall'andamento della strada e ragionevolmente dettata dalla evidenziata opportunità di garantire "il comodo e meno pericoloso congiungimento con la strada provinciale per Nardò ". 31.5. Si tratta, anche in questo caso, di valutazioni che impingono il merito delle scelte amministrative, non fungibili con i diversi apprezzamenti suggeriti dalle appellanti che tendono, invece, a valorizzare, in modo autoreferenziale e opinabile, generiche e sedicenti esigenze di tranquillità ambientale. 35. In conclusione, l'appello principale è infondato e deve essere, pertanto, respinto. 36. Il Comune di (omissis) ha proposto appello incidentale per contestare il capo di sentenza che ha disposto la compensazione delle spese. 37. Il T.a.r. ha compensato le spese sul presupposto che "Sussistono, tuttavia, gravi ed eccezionali motivi (l'assoluta novità di taluni dei profili controversi) per disporre la compensazione integrale tra le parti delle spese processuali". 38. L'appello incidentale è fondato. 38.1. La norma generale del processo, in tema di regolazione delle spese di giudizio, è che le stesse seguano la soccombenza (art. 26 c.p.a.; art. 91 c.p.c.). 38.2. La compensazione delle spese è consentita in caso di "soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti" (art. 92 c.p.c.), ovvero nel caso di "altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni" (Corte cost., 19 aprile 2018, n. 77). 38.3. Più in particolare, in sede di regolamentazione delle spese di giudizio nel processo amministrativo, "ogni eccezione al principio della soccombenza, ancorché non riconducibile alle fattispecie tipiche indicate dal legislatore, può trovare ingresso sempre ché adeguatamente esternata in motivazione, in modo tale da rendere comprensibile l'iter logico-giuridico e/o le valutazioni (di fatto ed eventualmente di sostanziale equità ) su cui essa si fonda, e purché impostata su argomentazioni coerenti con le coordinate normative soprarichiamate" (ex multis, Cons. Stato, sez. III, n. 4275/2018). 38.4. La ragione, qui esplicitata dal primo giudicante, ossia la assoluta novità di taluni dei profili controversi, non appare riconducibile, ad avviso del collegio e tenuto conto della peculiarità della questione trattata, alle "gravi ed eccezionali ragioni" richieste dalla legge. 38.5. Segnatamente, la motivazione sottesa alla pronuncia del giudice di primo grado non si disvela congruente rispetto alla consistenza dei fatti di causa e alla decisione consequenzialmente adottata dal T.a.r., tenuto conto che la questione controversa non ha offerto (gli asseriti) spunti di particolare novità, basandosi la soluzione del caso per lo più sull'applicazione alla fattispecie di principi ormai consolidati della giurisprudenza amministrativa (di cui, peraltro, ha dato conto lo stesso T.a.r.). 38.6. Rimossa siffatta motivazione a sostegno della compensazione, non vi sono ragioni, avuto riguardo alle pretese azionate con il ricorso di primo grado, per non seguire la regola della soccombenza. 39. L'appello incidentale, pertanto, va accolto. 40. In conclusione, per quanto sin qui argomentato: a) l'appello principale va respinto; b) l'appello incidentale va accolto. 41. Le spese del doppio grado di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto: a) respinge l'appello principale; b) accoglie l'appello incidentale nei sensi di cui in motivazione. Condanna le società appellanti, in solido fra loro, al pagamento delle spese relative al doppio grado di giudizio che si liquidano, in favore del Comune di (omissis), in complessivi Euro 5.000,00 (cinquemila/00) oltre accessori di legge e spese generali. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere, Estensore Luca Monteferrante - Consigliere Luigi Furno - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3118 del 2020, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ba. Fe., con domicilio digitale come da registri di Giustizia; contro le ditte Gl. Im. S.r.l., Ph. Ga. S.r.l., in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Da. Ma., con domicilio digitale come da registri di Giustizia; nei confronti del signor Ma. Pi., rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Sa. e Ma. Ca., con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ma. Sa. in Verona, via (...); del signor Pi. Al., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione seconda, n. 1390 del 19 dicembre 2019. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle ditte Gl. Im. S.r.l. e Ph. Ga. S.r.l. e del signor Pi. Ma.; Visti tutti gli atti della causa; Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2022 il consigliere Emanuela Loria; Viste le conclusioni delle parti presenti, o considerate tali ai sensi di legge, come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'oggetto del presente giudizio è costituito dalla domanda di accertamento dell'obbligo del Comune di (omissis) di prendere in carico le opere di urbanizzazione primaria realizzate nell'ambito di una convenzione di lottizzazione stipulata il 23 dicembre 2012 tra il Comune stesso e la ditta Pi. Al. e Ma.. 2. Si ricapitolano i fatti salienti della vicenda: a) in data 23 dicembre 1982 veniva sottoscritta tra il Comune di (omissis) ed i signori Pi. Ma. ed Al. la convenzione di lottizzazione n. 574 Rep. avente ad oggetto la trasformazione urbanistica di un'area di proprietà dei lottizzanti sita in località (omissis) del Comune di (omissis); b) in data 10 dicembre 1996 veniva eseguito il collaudo delle opere che veniva successivamente approvato con delibera di Giunta comunale n. 35 del 20 gennaio 1997; c) durante il collaudo, il collaudatore ha rilevato relativamente alle strade ed ai parcheggi che vi erano delle discordanze di frazionamento rispetto lo stato attuale e ciò con particolare riferimento al lotto n. 5 di proprietà della Gl. Im. s.r.l., a cui è subentrata la società Ph. Ga. s.r.l. a seguito di atto di acquisto successivo alla instaurazione del giudizio di primo grado. 3. Con il ricorso di primo grado la ricorrente Gl. Im. s.r.l. ha articolato un unico motivo con il quale ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell'art. 28, comma 5, della legge n. 1150 del 1942 nonché la violazione e falsa applicazione dell'art. 12 della Convenzione di lottizzazione del 23 dicembre 1982. 3.1. L'articolo 28, comma 5, della legge n. 1150 del 1942 dispone che "...L'autorizzazione comunale è subordinata alla stipula di una convenzione, da trascriversi a cura del proprietario, che preveda: 1) la cessione gratuita entro termini prestabiliti delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, precisate dall'articolo 4 della legge 29 settembre 1964, n. 847, nonché la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione secondaria nei limiti di cui al successivo n. 2; 2) l'assunzione, a carico del proprietario, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi; la quota è determinata in proporzione all'entità e alle caratteristiche degli insediamenti delle lottizzazioni; 3) i termini non superiori ai dieci anni entro i quali deve essere ultimata la esecuzione delle opere di cui al precedente paragrafo; 4) congrue garanzie finanziarie per l'adempimento degli obblighi derivanti dalla convenzione...". Sussisterebbe l'obbligo di prevedere, all'interno delle Convenzioni di lottizzazione, un termine prestabilito per la cessione, da parte della ditta lottizzante, delle opere di urbanizzazione al Comune, non superiore a dieci anni dall'inizio dei lavori. La Convenzione di lottizzazione del 23 dicembre 1982 dispone, all'articolo 9 primo comma, che le opere siano ultimate entro 5 anni dall'inizio dei lavori. Successivamente, è intervenuta la modifica del predetto articolo 9 dell'originaria Convenzione, sostituito dall'Atto di modifica sottoscritto dalla ditta lottizzante e dal Comune in data 2 febbraio 1994, ove è stato previsto l'inizio dei lavori, in variante all'originaria concessione, entro un anno dall'inizio dei lavori in variante e la conclusione degli stessi entro tre anni dalla data di inizio dei lavori. Ne discenderebbe che sia il termine massimo decennale sia il termine convenzionale siano infruttuosamente decorsi. Il Comune, infatti, sarebbe rimasto inerte nonostante il progressivo decorso dei termini legali e convenzionali, omettendo di procedere alla presa in carico delle opere (i) entro il termine quinquennale dall'inizio dei lavori (1983) previsto dall'articolo 9 della Convenzione originaria; (ii) entro il termine decennale dall'inizio dei lavori (1983) previsto dall'articolo 28 della legge n° 1150/1942; (iii) entro il termine triennale sancito dall'Atto di modifica della Convenzione (1994) ed, infine, (iv) entro la nuova decorrenza massima decennale (1994) prevista dal citato articolo 28. 3.2. In secondo luogo, le opere di urbanizzazione sono state anche collaudate in data 10 dicembre 1996, con successiva approvazione del collaudo da parte della Giunta comunale, avvenuta con deliberazione del 20 gennaio 1997 n. 796. Ha rilevato altresì la ricorrente che l'onere dell'Amministrazione di presa in carico delle urbanizzazioni non sarebbe venuto meno neppure nel caso in cui il collaudo avesse evidenziato delle criticità poiché ai sensi dell'articolo 12, commi 3 e 4, della Convenzione di lottizzazione, è previsto che "...La Ditta lottizzante si impegna, assumendo a proprio carico tutte le spese, a riparare le imperfezioni od a completare le opere, secondo le risultanze del collaudo, entro il termine stabilito dal Sindaco. Scaduto tale termine, ed in caso di persistente inadempimento della Ditta lottizzante, il Sindaco provvederà d'ufficio, con spese a carico della Ditta medesima...". 4. Con la sentenza impugnata il T.a.r. per il Veneto: a) ha dichiarato l'obbligo del Comune di (omissis) di prendere in carico le opere di urbanizzazione previste dalla convenzione di lottizzazione stipulata in data 23 dicembre 1982; b) ha inoltre condannato il Comune di (omissis) ad adempiere al citato obbligo provvedendo alla presa in carico delle opere suddette, nonché a porre in essere tutti gli atti necessari alla gestione e alla manutenzione ai sensi di legge e di regolamentazione convenzionale; c) ha condannato il Comune a rifondere le spese del giudizio alla ricorrente (euro 5.000,00). La sentenza, in parte motiva, ha anche affermato che "Resta inteso che, in questa sede, può trovare accoglimento esclusivamente la pretesa a che la P.A. acquisisca, facendosene carico, le opere di urbanizzazione realizzate in attuazione della convenzione di lottizzazione, che non consente, come ovvio, il trasferimento di aree che non siano nella titolarità dei lottizzanti. Valuterà la P.A. quali soluzioni adottare in relazione alle opere insistenti su aree in proprietà di terzi privati, rispetto alle quali si è accertato il suddetto discostamento rispetto agli obblighi convenzionali (tenuto anche conto del fatto che, come da insegnamento della Suprema Corte, le opere di urbanizzazione, una volta realizzate, non "tollerano" di rimanere in proprietà privata: cfr. Cass., Sez. I civ., 25 luglio 2016, n. 15340), riversando, ove ne ricorrano i presupposti, il peso economico che ne deriverà sui lottizzanti che non hanno correttamente adempiuto le obbligazioni loro imposte". 5. Con l'appello il Comune di (omissis) ha rilevato, con due doglianze estese da pag. 8 a pag. 23, la materiale impossibilità di prendere in carico le aree, e più specificamente le strade, a causa della già nota discordanza (oggettivamente non ininfluente) tra lo stato di fatto e il frazionamento eseguito, con la conseguenza che porzioni di strada si trovano all'interno di proprietà private, mentre porzioni attualmente adibite a strada occupano aree di privati. La sentenza impugnata sarebbe errata per travisamento dei fatti ed errata applicazione sia dell'art. 28 l. n. 1150 del 1942 sia degli artt. 13 e 18 della convenzione urbanistica in base ai quali le opere di urbanizzazione possono essere cedute al Comune solo se realizzate in conformità al progetto approvato e funzionali allo scopo per cui sono state realizzate. 5.1. Il Comune, inoltre, espone che, a seguito della emanazione delle sentenza di primo grado, ha verificato la possibilità di ottemperare alla stessa conferendo l'incarico al Responsabile dell'Area tecnica, al fine di far accertare, a mezzo di apposito sopralluogo presso il sito, l'entità degli scostamenti tra lo stato di fatto e i frazionamenti eseguiti con particolare riferimento alle strade, oltre che lo stato di tutte le opere di urbanizzazione e la rispondenza delle stesse al piano di lottizzazione approvato al fine delle loro presa in carico. A seguito del sopralluogo, svoltosi il 17 febbraio 2020, presso la lottizzazione è stato acclarato che:a) vi sarebbero stati scostamenti dei frazionamenti del sedime stradale che rendono di fatto impossibile procedere alla stipula di un atto di cessione delle aree relative; b) non sarebbero state realizzate alcune opere di urbanizzazione; c) quelle esistenti verserebbero in pessimo stato manutentivo; d) la stima del costo per la realizzazione delle opere mancanti, per la manutenzione delle esistenti e per la presentazione di una variante al piano di lottizzazione che consenta ai lottizzanti di cedere le opere e le aree al Comune di (omissis) ammonterebbe a circa euro 170.000,00, come indicato nella relazione redatta dai tecnici del Comune. Tale situazione, secondo l'appellante, comporterebbe l'impossibilità per il Comune di (omissis) di procedere alla presa in carico delle opere di urbanizzazione; da qui l'atto di appello. 5.2. A differenza di quanto emerso nel collaudo avvenuto nel 1996, approvato con delibera della Giunta comunale n. 35 del 1997, le opere di urbanizzazione di cui alla convenzione del 1982, successivamente modificata e integrata con atto a rogito Notaio Ma. Bi. di Ba. n. 44930 Rep. e n. 9918 Recc. del 2 febbraio 1994, in parte non sarebbero state realizzate e in parte sarebbero state realizzate in difformità rispetto al progetto approvato. In particolare, le seguenti difformità riscontrate (di seguito elencate) sarebbero tali da pregiudicare l'utilizzo delle opere tanto da renderle non funzionali e coerenti con la lottizzazione: 1) la inesistenza dei collegamenti elettrici nel quadro elettrico della pubblica illuminazione e il mancato collegamento dei pali della luce alla rete elettrica impediscono di fatto l'illuminazione che non c'è mai stata; 2) l'errata realizzazione della rete di deflusso delle acque piovane comporta allagamenti più volte lamentati dagli attuali proprietari dei lotti; 3) la mancata realizzazione della segnaletica orizzontale e il pessimo stato di quella verticale pregiudicano la regolare circolazione; 4) l'incompleta realizzazione delle aree verdi attrezzate impedisce il loro utilizzo; 5) l'irregolare profondità dei pozzetti delle fognature e la mancata realizzazione del depuratore e/o delle pompe di sollevamento non consente il regolare deflusso delle acque nere e soprattutto non consente una regolare raccolta delle stesse. Pertanto, il Comune non potrebbe prendere in carico opere di urbanizzazione che non sono idonee all'uso a cui sono destinate e non sono funzionali al loro scopo, con la conseguenza che dovrebbero essere i lottizzanti a provvedere alla sistemazione delle stesse prima della cessione al Comune. 5.3. Con il secondo motivo, è dedotta la ulteriore difformità che non consentirebbe la presa in carico delle opere di urbanizzazione. Questa consisterebbe nello scostamento dei frazionamenti che ha determinato il fatto che parte del sedime stradale così come derivante dai frazionamenti eseguiti dai lottizzanti, si trova all'interno di proprietà private; ed ancora parti dell'attuale sedime stradale non sarebbero di proprietà dei lottizzanti, ma dei terzi acquirenti mentre altre parti che nel progetto erano previste come sedime stradale si trovano all'interno di lotti di proprietà privata. 5.4. La difesa dell'Amministrazione ha pertanto richiesto che sia disposta apposita consulenza tecnica d'ufficio al fine di: - verificare lo stato attuale della lottizzazione; - la conformità delle opere realizzate rispetto al piano di lottizzazione approvato; - l'indicazione delle opere da realizzare per rendere le opere conformi al progetto approvato, quantificando i relativi oneri. 6. Si sono costituiti in giudizio le società Gl. Im. s.r.l. e Ph. Gr. s.r.l. le quali: a) hanno sollevato l'eccezione di inammissibilità del documento relativo al sopralluogo del Comune per violazione del divieto di nuove prove in appello e ne hanno chiesto l'espunzione dal fascicolo; b) a pag. 12 della memoria di costituzione hanno chiesto chiesta la declaratoria di inammissibilità, sempre in ossequio all'art. 104 c.p.a., della produzione documentale che il Comune avrebbe surrettiziamente introdotto alle pagine 17 e 18 dell'appello; c) nel merito, hanno sostenuto che il Comune ha collaudato le opere nel 1996, per cui avrebbe già valutato le opere conformi alla convenzione di lottizzazione ed inoltre l'incuria in cui le stesse versano dipenderebbe dalla mancata pressa in carico da parte dell'Amministrazione. d) ove fossero state rilevate discordanze rispetto alla convenzione, il Comune avrebbe potuto imporre ai lottizzanti un termine per il completamento delle opere o per la loro correzione ai sensi dell'art. 12, commi 3 e 4, della convenzione. 7. Si è costituito in giudizio il Signor Ma. Pi., che ha speso argomentazioni analoghe e ha sollevato le medesime eccezioni rispetto a quelle delle ditte costituite. 8. Sono seguite memorie del Comune in data 30 maggio 2020, ex art. 73 c.p.a. in data 8 marzo 2021 e memoria di replica in data 17 marzo 2021. 8.1. In particolare con la memoria del 30 maggio 2020 l'Amministrazione ha replicato nei seguenti termini: a) il sopralluogo è stato effettuato successivamente alla sentenza di primo grado poiché questa ha disposto che l'amministrazione prendesse in carico le opere di urbanizzazione; quindi il verbale di sopralluogo non avrebbe potuto essere prodotto in primo grado e il deposito in appello, pertanto, è ammissibile; b) il collaudo sarebbe risultato del tutto inattendibile (ha definito lievi i discostamenti nei frazionamenti laddove si sono rivelati gravi, per cui molte opere gravano su proprietà che non sono dei lottizzanti); c) finché non vi è la presa in carico delle opere di urbanizzazione da parte dell'Amministrazione, il cattivo stato di manutenzione dipenderebbe dal comportamento dei lottizzanti. 9. Le parti intimate hanno depositato memorie ex art. 73 c.p.a. in data 8 marzo 2021 e memorie di replica in data 18 marzo 2021. 10. Con ordinanza n. 2178 del 2020 la sezione ha accolto l'istanza cautelare ai soli fini della fissazione del merito ex art. 55 comma 10 c.p.a. 11. Con ordinanza collegiale n. 3038 del 2021 la Sezione ha disposto la verificazione ex art. 66 c.p.a. sottoponendo all'organo di verificazione, individuato nel Direttore del Genio civile di Verona, con facoltà di delega a un funzionario dell'Ufficio, i seguenti quesiti: 1. quale sia lo stato delle opere di urbanizzazione realizzate dai lottizzanti in adempimento della convenzione di lottizzazione n. 574 Rep. del 23 dicembre 1982 (trascritta in data 8 gennaio 1983 al n. 529 e al n. 410 di R.G. presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Verona) e della successiva variante del 2 febbraio 1994 approvata con deliberazione del Consiglio comunale n. 80 del 24 novembre 1987; 2. se vi siano opere eseguite in difformità rispetto alle convenzioni sottoscritte con il Comune e, in caso di risposta affermativa al quesito, quale sia la stima dei costi e degli oneri per renderle conformi alle pattuizioni intercorse tra le parti; 3. quale sia la situazione relativa, segnatamente, alla viabilità realizzata in dichiarato adempimento delle convenzioni di lottizzazione e se siano riscontrabili criticità nella cessione/presa in carico dei sedimi delle strade e dei parcheggi da parte del Comune appellante, con particolare riferimento alla situazione proprietaria dei lotti e agli avvenuti frazionamenti; in caso di risposta affermativa al quesito, quali siano i costi, anche di tipo amministrativo, per rendere lo stato di fatto conforme alla convenzione di lottizzazione; 4. quale sia lo stato di manutenzione delle opere di urbanizzazione". 12. Il Comune ha depositato in data 24 dicembre 2021 istanza per la sostituzione del verificatore motivata dall'inerzia dell'Ufficio del Genio civile incaricato. 12.1. La Sezione, con ordinanza collegiale n. 2055 del 2002, dopo avere rilevato che è stato individuato, da parte della Regione Veneto, il verificatore nelle persone dell'ingegnere Br. Dr. e dell'architetto St. Em. ed è stata contestualmente richiesta la proroga dei termini per l'adempimento (comunicazione prot. n. 37741 del 27 gennaio 2022), ha accolto l'istanza di proroga presentata dal verificatore e ha disposto il non luogo a provvedere sull'istanza di sostituzione del verificatore. 13. Il 31 maggio 2022 è stata depositata la relazione di verificazione. 14. In vista della pubblica udienza tutte le parti hanno depositato memorie e memorie di replica. Il comune ha depositato memoria ex art. 73 c.p.a. in data 10 ottobre 2002. 15. Alla pubblica udienza del 10 novembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione. 16. In preliminare, per ragioni di economia decisionale e motivazionale ai sensi dell'art. 3 c.p.a., il Collegio ritiene di prescindere dallo scrutinio delle eccezioni sollevate dalle appellate e dal controinteressato, di inammissibilità dei depositi documentali dell'Amministrazione, in considerazione dell'espletamento della verificazione. 16. L'appello è fondato. 17. Con una prima censura il Comune ha dedotto la violazione dell'art. 28 della l. n. 1150 del 1942 nonché l'erronea valutazione ed interpretazione degli artt. 13 e 18 della convenzione di lottizzazione. In particolare, ai sensi degli art. 1, 3 5, 13 e 18 della Convenzione di lottizzazione del 23 dicembre 1982, modificata il 2 febbraio 1994, le opere di urbanizzazione possono essere cedute al Comune solo se realizzate in conformità al progetto approvato e se sono funzionali allo scopo per cui sono state realizzate. Nel caso in esame i lottizzanti non avrebbero realizzato tutte le opere di urbanizzazione che avrebbero dovuto eseguire e quelle realizzate non sarebbero funzionali allo scopo per cui sono state realizzate. Inoltre, ai sensi dell'art. 13 della citata Convenzione spettava ai lottizzanti la manutenzione delle opere di urbanizzazione fino alla presa in carico da parte del Comune; anche tale obbligo sarebbe stato disatteso dai privati proprietari poiché tutte le opere e in particolare le strade sarebbero in pessimo stato manutentivo. Il collaudo si sarebbe rilevato del tutto errato e non attendibile e non rispondente allo stato dei luoghi e quindi inidoneo a far sorgere in capo al Comune l'obbligo di prendere in carico le opere di urbanizzazione. 17.1. La censura è fondata. Invero, l'obbligo del Comune di prendere in carico le opere di urbanizzazione primaria, derivante dall'articolo 28 della legge n. 1150 del 1942, in virtù del quale le parti (lottizzante e Comune) devono prevedere in convenzione il termine entro il quale dovrà avvenire la cessione gratuita delle aree interessate dalle opere di urbanizzazione in favore del Comune, è condizionato, ai sensi della convenzione da applicarsi nel caso di specie, da due presupposti: a) che le opere siano funzionali al loro utilizzo e in corretto stato di manutenzione; b) che le aree sulle quali insistono le opere siano di proprietà dei lottizzanti. 17.2. Al riguardo si precisa, in relazione al punto a), che la manutenzione, ai sensi dell'art. 13 della Convenzione, spetta ai lottizzanti fin quando non vi è la presa in carico da parte del Comune. 17.3. Con riferimento alla condizione sub a), la Relazione di verificazione ha premesso (pag. 5) che alcune delle opere "non possono comunque essere acquisite al patrimonio comunale se non sono rispondenti all'attuale normativa e questo significa che, per rispondere correttamente al quesito n. 2 posto dall'ordinanza collegiale, sarebbe necessario redigere un progetto vero delle opere in trattazione, sottoporlo all'approvazione degli enti che ne assumeranno la gestione, realizzarlo e infine collaudarlo." Dato atto di tale rilevante premessa, il verificatore, con riferimento al quesito n. 1, ha accertato (pagg. 6 e 7 della Relazione) che: I. la via (omissis), così come le porzioncine di strada che si diramano verso ovest, è completamente dissestata e necessita di un completo rifacimento del manto stradale (binder e manto d'usura), previa asportazione di quello attuale e ricarica con sottofondo. La via S. Isidoro necessita solo del rifacimento del manto d'usura, mentre la via Terramatta versa in perfetto stato manutentivo. Il parcheggio richiede, anch'esso, di un solo intervento di ripristino del manto d'usura. Le superfici destinate a strade non sono fisicamente delimitate rispetto alla limitrofa area a parcheggio. Per l'esecuzione dei lavori suindicati è necessario, però, allontanare il materiale ivi depositato (presumibilmente) dai frontisti, pulire le parti asfaltate e sfalciarle dalla vegetazione che insiste a lato. Lo spazio che precede la rampa costruita sul parcheggio ovest, all'ingresso del lotto n° 2 va stralciato parzialmente dai parcheggi. Non vi è necessità di monetizzazione in quanto lo spazio si compensa con i 33 mq sovrabbondanti riscontrati in tab. 2. (...). II. Illuminazione: sono presenti elementi costitutivi ma non è funzionante. Sono stati eseguiti gli elementi necessari a costituire la rete (scavi, rinterri, tubi) ma, per quanto il collaudatore abbia affermato che questi elementi siano stati certificati (fatto riscontrabile dal solo certificato di collaudo e dall'autocertificazione del costruttore) è certo che tutto l'impianto illuminante, fatte salve le parti ipogee, non sia più a norma e, quindi, da rifare (almeno per le parti esterne); diversamente non sarebbe possibile la presa in carico da un gestore. I pali con relativi pozzetti sono presenti, ancorché in numero inferiore a quanto concordato con l'amministrazione, ma non sono in buone condizioni; uno è caduto per corrosione. Si riporta che l'impianto è stato eseguito in difformità dal progetto per quanto queste difformità (sostituzione delle conchiglie stagne con un sistema di quadri, oggi demoliti, sostituzione delle tubazioni in cemento con altre in PVC, ecc...) siano state riconosciute come accettabili. Mancano n'2 pali ed un palo è stato spostato dalla posizione originaria. Ovviamente non è stato effettuato l'allacciamento (...). III. Rete distribuzione elettrica: funzionante e gestita da En. (fonte: Gl. im. S.r.l); IV. Rete acquedottistica: funzionante e gestita da A.G. (fonte: Gl. im. S.r.l); V. Rete smaltimento acque bianche: esistente ma totalmente interrata, probabilmente a causa del decorso del tempo e alla mancanza di manutenzione a fronte dell'utilizzo presumibilmente continuo delle strade. Si evidenzia che non erano indicate, in progetto, le modalità di smaltimento delle acque meteoriche per la rete stradale, mentre erano stati indicati due disperdenti che dovevano servire i soli parcheggi ovest e sud. Si riscontra, però, l'esistenza di una rete di raccolta acque meteoriche con relative caditoie su tutte le strade di urbanizzazione, ad oggi completamente interrata, mentre non risultano più caditoie nell'unico parcheggio rimasto. Si riscontra anche l'esistenza di molte fosse disperdenti non previste in progetto. VI. Rete fognante: la rete fognante, di cui non si hanno notizie di deficienze, convoglia i reflui verso un depuratore che, in sopralluogo, ha dato segnali di funzionamento; il recapito finale dei reflui pare essere in subirrigazione. funzionante e gestita da A.G. (fonte: Gl. im. S.r.l); VII. Depuratore: vedi quanto sopra. VIII. Rete telecomunicazioni: eseguita ma non prevista in concessione originaria. funzionante e gestita da Te. It. (fonte: Gl. im. S.r.l); viene riscontrata una rete fibra ottica di recente costruzione; sono ancora presenti in loco rimanenze di cavi, cavidotti, tombini e coperchi. IX. Rete gas: non riscontrata in loco. I lotti non ne fruiscono. X. Verde: in stato di totale abbandono. Si sottolinea, al di là della mancata manutenzione, che lo stato attuale consegue le previsioni di progetto in quanto non furono previsti lavori per costituirlo ma solo il trasferimento delle aree." 17.4. Dalla lettura della Relazione è pertanto agevole desumere che la maggior parte delle opere di urbanizzazione realizzate versano in uno stato manutentivo non idoneo acché l'Amministrazione le prenda in carico e in alcuni casi non sono conformi o non sono idonee all'utilizzo, per cui la spesa stimata dal verificatore per la mancata manutenzione delle opere ammonta a euro 107.360,00 (pag. 11 della Relazione). 17.5. In relazione al secondo quesito, il verificatore ha rilevato che vi sono divergenze in quantità e in qualità fra quanto concordato nella convenzione variata e le opere seguite (pag. 7 della Relazione). In proposito, non si condividono le ultronee, rispetto ai quesiti sottoposti dalla Sezione, conclusioni del verificatore in relazione al fatto che" le opere previste ma non computate" e "le opere previste e non computate ma ugualmente presenti" "possano essere trasferite al Comune indipendentemente dalla loro attitudine o meno a svolgere la funzione assegnatagli" e in relazione al fatto che i costi del loro rispristino allo stato ex novo siano a carico del Comune "che si arricchisce di opere non contrattate all'origine" (pag. 11). Trattasi invero di conclusione giuridicamente non corretta sulla base degli articoli della convenzione sopra menzionati e in particolare dell'art. 13 né la circostanza che alcune di esse (in particolare le strade) siano ad uso pubblico muta il regime della loro manutenzione poiché lo stesso art. 13 prevede siano assoggettate a servitù di uso pubblico pur rimanendo di proprietà privata fino alla loro consegna, che nel caso in esame non è avvenuta né risulta che sia stata sollecitata dai privati proprietari. 17.6. Per quanto riguarda l'arricchimento del Comune per le opere non previste in convenzione, di cui si fa menzione nella Relazione, la prospettazione del verificatore non può essere condivisa. L'art. 5 della Convenzione del 1982 ha previsto che gli importi delle opere di urbanizzazione primaria da realizzarsi da parte del lottizzante siano scomputati dagli oneri previsti dall'art. 11 della legge n. 10 del 1977. A tal proposito, la disciplina dello scomputo degli oneri di urbanizzazione, quale modalità di introito degli stessi trasferendo sul privato il compito di realizzare le opere necessarie alla vivibilità della zona interessata dall'intervento, è un istituto di carattere eccezionale. Esso non può quindi essere applicato a somme e lavori non espressamente previsti dalla convenzione attuativa del piano approvato, essendo solo questo il documento che consente materialmente di realizzare lo scomputo in base alle previsioni dell'art. 11, comma 1, della l. n. 10 del 1977 e dell'art. 28 della legge 17 agosto 1942 n. 1150 applicabili al caso in esame (v. ex plurimis Cons. Stato, sez. II, 9 gennaio 2020, n. 215; sez. IV, 15 maggio 2012, n. 2754; id., 26 settembre 2019, n. 6442; 28 novembre 2012, n. 6033; sez. V, 12 ottobre 1999, n. 1443; sez. VI, 28 febbraio 2019, n. 1395) ed ora trasfuse nell'art. 16 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. In caso di convenzioni urbanistiche, quindi, la ripartizione degli oneri e la realizzazione diretta di opere da parte dei lottizzanti è fissata al momento della sottoscrizione della convenzione edilizia (v. ancora Cons., Sez. II, 10 marzo 2020, n. 1725). Applicando tali criteri al caso in esame, le opere realizzate ma non previste nel progetto originario e nella Convenzione né oggetto di approvazione di varianti da parte del Comune non possono essere fatte rientrare nel regime convenzionale di scomputo degli oneri con la conseguenza che, rispetto ad esse, non può essere predicato un arricchimento del Comune. 17.7. In relazione al collaudo effettuato, il Collegio ritiene che da esso non possa discendere un automatico obbligo di presa in carico, pur nelle condizioni sopra rappresentate, delle opere di urbanizzazione da parte dell'Amministrazione, sebbene rimanga ferma la responsabilità dell'organo di collaudo per quanto dichiarato nella relazione di collaudo. 17.8. Con un secondo profilo di censura, esteso da pag. 15 a pag. 23, l'appellante deduce l'impossibilità di prendere in carico le opere di urbanizzazione primaria ed in particolare la strada di lottizzazione di cui al progetto approvato poiché la stessa si trova per alcuni tratti all'interno di lotti di proprietà privata mentre l'effettiva strada asfaltata occupa parti di lotti di proprietà privata. Analogamente, porzioni di quello che secondo il progetto e sulla base del frazionamento eseguito dovrebbe essere sedime stradale, si trovano all'interno di proprietà provate mentre porzioni attualmente adibite a strade occupano aree di privati. Invero la sentenza appellata, sia pure in modo estremamente sintetico, ha limitato l'accoglimento del ricorso, escludendo che possano essere prese in carico le opere insistenti su aree in proprietà di terzi privati a seguito di frazionamenti in violazione degli obblighi convenzionali. 17.9. La censura è fondata. Sul punto posto in evidenza dall'appellante è stato formulato apposito quesito (n. 3) nell'ambito della verificazione espletata. La risposta contenuta alle pagine 12-14 della Relazione da conto degli scostamenti dei frazionamenti che sarebbero derivati dal rilascio di una concessione edilizia in sanatoria, la n. 69/94, che ha variato le previsioni dello strumento urbanistico, consentendo una minor quantità di standard urbanistici con il conseguente aumento dei lotti previsti rispetto alla convenzione del 1982. Le planimetrie allegate alla concessione edilizia hanno individuato lo schema distributivo dei lotti, hanno quantificato le superfici dei lotti stessi e degli standard ma nulla hanno previsto relativamente alle modifiche alla rete dei sottoservizi; in tale quadro poco chiaro risultante dalle planimetrie e da una concessione in sanatoria che illegittimamente modificato lo strumento urbanistico, parte delle superfici, soprattutto quelle destinate alla realizzazione delle strade che avrebbero dovuto essere cedute al Comune, sono state vendute a ditte private. Il verificatore individua in modo specifico i mappali ove ricadono le strade, che sono stati trasferiti a privati, come pure rileva che anche tutta la superficie interessante le aree a destinazione parcheggio, verde, strade, depuratore risulta ancora totalmente di proprietà della ditta lottizzante. Alla luce di tali risultanze risulta chiaro che non è possibile il trasferimento al Comune di aree, anche se adibite ad uso pubblico, che non sono di proprietà dei lottizzanti e rispetto alle quali sono stati effettuati frazionamenti impropri. Le modalità con le quali pervenire al trasferimento delle opere di urbanizzazione alla mano pubblica rientrano nell'ambito della discrezionalità dell'Amministrazione, da esercitarsi nel rispetto delle garanzie partecipative con i privati, e possono tenere conto delle soluzioni prospettate dal verificatore, ove ritenute praticabili sotto il profilo giuridico, economico e di opportunità . 18. Conclusivamente l'appello deve essere accolto con riforma della sentenza impugnata e, per l'effetto, deve essere respinto il ricorso di primo grado. 19. In considerazione del pregresso comportamento dell'Amministrazione, le spese del giudizio possono essere compensate. 20. Inoltre, preso atto della parcella depositata in giudizio dal verificatore, il Collegio, in considerazione della qualità e quantità delle prestazioni svolte, della tipologia di attività espletata, del tempo verosimilmente impiegato come risultante dalla Relazione depositata il 31 maggio 2022, ritiene congruo liquidare, a titolo di onorari e spese, in favore del verificatore, l'importo di euro 6.000,00 (seimila), comprensivo dell'importo di euro 5.000,00 (cinquemila) già disposto a titolo di acconto a carico del Comune di (omissis) e, a quanto consta, già percepito, da ripartirsi in ugual misura e in via solidale, a carico di tutte le parti del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello r.g.n. 3118/2020: - accoglie l'appello e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado; - compensa tra le parti le spese del giudizio; - liquida complessivamente, a titolo di spese ed onorari, al verificatore, la somma complessiva di euro 6.000,00 (seimila), comprensiva dell'acconto già corrisposto pari ad euro 5.000,00 (cinquemila) con onere solidale a carico di tutte le parti e successivo diritto di rivalsa a favore del Comune di (omissis) per l'acconto; - manda alla Segreteria della Sezione al fine di provvedere alla comunicazione della presente sentenza al verificatore. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 novembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente FF Francesco Gambato Spisani - Consigliere Alessandro Verrico - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Emanuela Loria - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4793 del 2017, proposto dalla società Gr. Ba. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Si. Ro. e Fe. Sc., con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultima, in Roma, via (...); contro il Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Me. e In. Pu., con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via (...); nei confronti della società Ca. s.p.a., non costituitasi in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima n. 00541/2016, resa tra le parti. Visto il ricorso in appello con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 marzo 2023 il consigliere Silvia Martino; Viste le conclusioni delle parti, come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società Gr. Ba. s.p.a., subentrata alla società So. s.p.a. quale soggetto attuatore del P.R.P.C. (Piano regolatore particolareggiato comunale), concernente la realizzazione di un parco commerciale nel Comune di (omissis), con il ricorso principale e con il successivo ricorso per motivi aggiunti proposti innanzi al T.a.r. per il Friuli Venezia Giulia, domandava l'annullamento delle note comunali che avevano respinto la richiesta di scomputo dagli oneri di urbanizzazione dovuti per l'intervento edilizio dei costi sostenuti per la realizzazione del disoleatore, funzionale allo scarico nella pubblica fognatura delle acque meteoriche e di dilavamento dei parcheggi. 1.1. La società sosteneva che il Comune, che si era convenzionalmente obbligato a realizzare le opere di urbanizzazione, aveva successivamente imposto la modifica della progettata rotonda stradale e l'integrazione dell'impianto di scarico delle acque reflue con un disoleatore, ponendone l'esecuzione in capo al soggetto attuatore. Sennonché, mentre per l'opera di modifica del tracciato stradale l'Amministrazione aveva riconosciuto alla società Gr. Ba. s.p.a. lo scomputo del costo dagli oneri di urbanizzazione, altrettanto non aveva disposto con riguardo al disoleatore, ritenendo che lo stesso non potesse essere qualificato quale opera di urbanizzazione primaria. 1.2. Al riguardo, la società deduceva un complesso mezzo di gravame vieppiù sviluppato con i motivi aggiunti, e domandava, altresì, il risarcimento dei danni. 2. Nella resistenza del Comune di (omissis), il T.a.r. ha respinto il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese di lite. 3. L'appello della società è affidato ai seguenti motivi, trattati congiuntamente: Erroneità della sentenza per travisamento, nonché per violazione dell'art. 112 c.p.c -applicabile al processo amministrativo in forza del disposto di cui all'art. 39 c.p.a. - per omessa pronuncia. La società evidenzia che negli accordi intercorsi con il Comune s'era soltanto stabilito il dovere di realizzare l'impianto ove richiesto dall'Azienda sanitaria, senza entrare nel merito della natura dell'opera ai fini dello scomputo dagli oneri di urbanizzazione. A riprova del fatto che dalla previsione di obbligatorietà di realizzazione dell'impianto non discende automaticamente, quale logica conseguenza, anche la sua estraneità dalle opere di urbanizzazione, milita la circostanza che nella medesima documentazione è stata prevista a carico di So. (e di ogni suo avente causa) anche l'esecuzione delle reti fognarie e di scarico, opere che sono state successivamente realizzate dalla stessa Amministrazione comunale (e non dalla società ) proprio in relazione alla loro natura di opere di urbanizzazione e non in considerazione di una espressa previsione in tal senso. Il giudice di primo grado avrebbe, inoltre, completamente omesso di pronunciarsi sulla qualificazione del disoleatore in termini di opera di urbanizzazione (primaria o secondaria), ritenendo "irrilevante nel caso di specie la qualificazione giuridica del disoleatore in termini di opera di urbanizzazione, primaria ovvero secondaria, piuttosto che in termini di opera privata, perché sulla scorta degli accordi intercorsi tra il Comune e il soggetto attuatore del P.R.P.C., così come documentati in atti, i costi di detta opera comunque sono destinati a rimanere in capo al soggetto attuatore e dunque al Gr. Ba. s.p.a." (pag. 6 della sentenza qui gravata) Il disoleatore sarebbe tuttavia accessorio e funzionale ad altre opere, quali i parcheggi pubblici realizzati nell'ambito del Piano e le fognature, qualificate dal Comune resistente come urbanizzazioni primarie (cfr. elencazione espressa di cui all'art. 16 T.U. edilizia), e come tali ammesse allo scomputo. Il disoleatore sarebbe quindi stato imposto in quanto funzionale a consentire lo scarico delle acque di dilavamento dei parcheggi e meteoriche nella fognatura pubblica, rientrando appieno nell'alveo dell'art. 817 c.c. e ripetendone conseguentemente natura e regime giuridico, dettato dall'art. 818 c.c.. L'impianto in esame - consentendo di depurare le acque di dilavamento prima di essere convogliate nei corpi recettori - determina evidenti e positive ricadute sull'intera zona circostante. Le modifiche apportate alla rete fognaria che hanno determinato l'intervento non sarebbero dipese da una libera scelta del privato, ma da un'imposizione comunale, sopravvenuta rispetto alla scelta originaria, che non ne prevedeva la realizzazione. 4. Si è costituito, per resistere, il Comune di (omissis). 5. Il Comune ha depositato una memoria conclusionale in data 24 febbraio 2023. 6. L'appellante ha depositato due ulteriori memorie, in data 27 febbraio e 9 marzo 2023. 7. L'appello è passato in decisione alla pubblica udienza del 30 marzo 2023. 8. L'appello è infondato e deve essere respinto. Al riguardo, si osserva quanto segue. 9. Come evidenziato dal primo giudice, dagli atti di causa (in particolare, Convenzione attuativa e relazioni tecniche illustrative delle opere di urbanizzazione) risulta che il soggetto attuatore del P.R.P.C. si era impegnato a corrispondere gli oneri di urbanizzazione e il costo di costruzione nella misura determinata applicando la disciplina vigente al momento del rilascio del titolo edilizio, mentre il Comune di (omissis) si era impegnato a realizzare le opere di urbanizzazione previste dal Piano particolareggiato (rete stradale, di smaltimento dei reflui, di approvvigionamento idrico, di distribuzione del gas metano, di distribuzione telefonica, di distribuzione elettrica e impianto di illuminazione). L'intervento di cui trattasi (disoleatore) è stato invece richiesto dalla ASL n. 3 in sede di parere per il rilascio del titolo edilizio. 10. Il primo giudice ha poi correttamente sottolineato che, secondo la consolidata giurisprudenza, in assenza di un accordo con l'Amministrazione volto a consentire la realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione in luogo del pagamento degli oneri di urbanizzazione, il soggetto che esercita lo ius aedificandi è tenuto ad adempiere a detto obbligo tramite la dazione di una somma di denaro. L'ammissione allo scomputo costituisce infatti oggetto di una valutazione ampiamente discrezionale da parte dell'Amministrazione, senza che l'interessato possa vantare un diritto soggettivo al riguardo. Si tratta di un rilievo dirimente, che è rimasto privo di specifica ed idonea contestazione. 11. In materia, ancora da ultimo la Sezione ha infatti sottolineato che "la natura di prestazione patrimoniale imposta che connota gli oneri concessori, in ciascuna delle due componenti, fa sì che l'eventuale decurtazione della parte di essi correlata al beneficio collettivo riveniente dalla presenza delle opere di urbanizzazione non consegua automaticamente neppure all'avvenuta documentata realizzazione delle stesse da parte del privato istante, laddove l'amministrazione non abbia assentito al richiesto scomputo" (Cons. Stato Sez. IV, 20 giugno 2022, n. 5061). Il concetto di "opera di urbanizzazione" previsto dalla legge "è appunto un concetto astratto; per vedere se un'opera, pur in astratto rientrante nelle categorie previste, sia anche in concreto opera di urbanizzazione, è necessario esaminare il contesto, e quindi la situazione di fatto, in cui essa si inserisce, e questo esame non può che spettare al Comune, titolare in generale del potere di pianificazione del territorio. È infatti solo nell'esercizio di questo potere, che ovviamente non compete al privato, che si può stabilire di quali e quante opere di urbanizzazione un dato insediamento abbia bisogno per essere realizzato in modo ordinato e consono". Pertanto "solo nel momento in cui si sia data risposta positiva ad entrambe le domande precedenti, ci si può poi chiedere se una data opera, riconosciuta in astratto ed in concreto come opera di urbanizzazione, possa essere realizzata a scomputo. In merito, (...) vi è un potere discrezionale di apprezzamento del Comune, e non un diritto del privato interessato" (Cons. Stato, Sezione IV, sentenza n. 10074 del 2022). 12. Tale esegesi trova riscontro anche nella legislazione regionale applicabile alla fattispecie. Secondo l'art. 29, comma 2, della legge della Regione Friuli Venezia Giulia n. 19 del 2009, infatti, "A scomputo totale o parziale del contributo di costruzione, il richiedente il permesso di costruire può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione richieste dal Comune, nel rispetto della legge in materia di contratti pubblici, o costituire diritti perpetui di uso pubblico su aree, secondo le modalità e le garanzie stabilite dal Comune (...)". 13. Tenuto conto della necessità di un previo accordo, volto ad individuare l'oggetto e le modalità di realizzazione delle opere che possono essere scomputate dagli oneri di urbanizzazione, non assume in effetti portata decisiva, nel caso in esame, l'effettiva qualificazione del disoleatore come opera di urbanizzazione a servizio della collettività generale del Comune ovvero esclusivamente a servizio degli utenti del parco commerciale. 14. È conseguentemente irrilevante altresì che, in thesi, il disoleatore si sia reso necessario a causa delle presunte modifiche apportate dal Comune al progetto originario dell'impianto fognario. 15. Ad ogni buon conto, tale circostanza non risulta supportata da alcun elemento di prova, mentre risulta invece chiaramente che l'esigenza di realizzare il disoleatore sia insorta nell'ambito della procedura igienico - sanitaria finalizzata all'autorizzazione allo scarico delle acque bianche nella fognatura comunale (cfr., al riguardo, i documenti depositati dal Comune in primo grado in data 3 agosto 2016). In tal senso, il Comune ha sottolineato che, in sede di parere sul progetto generale della fognatura comunale, sulla base del quale è stata poi realizzata quella relativa al Piano attuativo in esame, la Regione aveva previsto soltanto - per le aree industriali potenzialmente inquinanti - che i piazzali di dilavamento fossero dotati di disoleatori "nei casi in cui si possono verificare condizioni di pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità del corpo idrico recettore" (cfr. il doc. 9, allegato al ricorso di primo grado). Pertanto, nella zona industriale di (omissis) diversi insediamenti sono stati dotati, a spese dei privati, di impianti per il trattamento delle acque di dilavamento delle superfici impermeabili scoperte. 16. In generale, per quanto riguarda la fattispecie degli allacci alle reti comunali, non sostanzialmente dissimile da quella in esame, la giurisprudenza ha evidenziato che gli stessi non costituiscono opere di urbanizzazione, in quanto sono funzionali all'utilizzo dell'impianto da parte delle singole unità immobiliari e non si pongono a servizio dell'intera collettività (cfr. T.a.r. per la Toscana, Sez. III, 8 luglio 2019, n. 1043). Così, anche nel caso in esame, risulta che la realizzazione del disoleatore fosse un'opzione esecutiva prevista fin dall'origine ma poi effettivamente concretizzatasi solo in sede di rilascio del titolo edilizio, per ragioni igienico - sanitarie (deve sottolinearsi ancora una volta), essendo l'impianto principalmente diretto a soddisfare un interesse particolare dello specifico insediamento (che altrimenti non avrebbe potuto collegarsi alla fognatura comunale) e non un interesse indifferenziato della collettività comunale. 17. L'appello, pertanto, deve essere respinto. Le spese del grado seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello n. 4793 del 2017, di cui in epigrafe, lo respinge. Condanna l'appellante alla rifusione delle spese del grado in favore del Comune di (omissis), che liquida, complessivamente, in euro 5.000 (cinquemila/00), oltre gli accessori di legge, se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Gerardo Mastrandrea - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Silvia Martino - Consigliere, Estensore Luca Monteferrante - Consigliere Emanuela Loria - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9909 del 2021, proposto da Comune di (Omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Zi. Sc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Pi. Gi. e So. Ci., rappresentati e difesi dagli avvocati Ra. Mo. e Ra. Ra., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Terza) n. 2128/2021.   Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Pi. Gi. e di So. Ci.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 maggio 2023 il Cons. Giovanni Gallone; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.   FATTO Con ricorso notificato il 26 ottobre 2021 e depositato il 24 novembre 2021 il Comune di (Omissis) ha proposto appello avverso la sentenza n. 2128/2021 emessa dalla della Sezione III del T.A.R. per la Campania – sede di Napoli, pubblicata in data 31 marzo 2021 e mai notificata, con cui è stato accolto (limitatamente al primo ed al quinto motivo) il ricorso n. R.G. 854/2020 proposto da Giovanni Pinto e Ciro Solimene e, per, l’effetto, è stato disposto l’annullamento dell’ordinanza di demolizione n. 395 del 19 dicembre 2019 con la quale il Dirigente dell’VIII Settore Urbanistica - Servizio Edilizia Privata del Comune di (Omissis) “ha ordinato ed ingiunto ai predetti (in elenco insieme agli altri comproprietari) di procedere ai sensi del comma 2 dell’art. 31 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 e s.m.i. a propria cura e spese, entro il termine di giorni 90 (novanta) alla demolizione del locale seminterrato adibito a garage” della consistenza complessiva di circa mq. 570, distinto al folio 31 p.lla 1241 (di proprietà pertinenziale di Giovanni Pinto limitatamente al sub 32 di mq. 18 e di Ciro Solimene limitatamente al sub 34 di mq. 19). 1.1 A sostegno del ricorso in appello sono state dedotte le censure così rubricate: 1) Violazione art. 31, comma 2 del D.P.R. n. 380/2001- Insussistenza del difetto di istruttoria e di motivazione - Violazione del giusto procedimento amministrativo - Violazione dei principi di buon andamento dell’azione amministrativa – Illogicità manifesta – Contrasto con i Precedenti; 2) Violazione dell’art. 31 DPR 380/2001- Illecito permanente- Omessa e/o carente onere motivazionale rafforzato della P.A. - azione vincolata della PA ancorata alla sussistenza delle opere abusive - Irrilevanza degli obblighi fiscali nonché dell’intervenuta DIA e/o CILA. In data 1 dicembre 2021 si sono costituiti in giudizio gli appellati Giovanni Pinto e Ciro Solimene riproponendo ex art. 101 comma 2 c.p.a., in via subordinata, nell’ipotesi di accoglimento dell’appello, le censure dedotte in seno al ricorso di primo grado e dichiarate assorbite dal giudice di prime cure. 2.1 In particolare, hanno riproposto le seguenti censure: 1) violazione dell’art. 31 della legge n. 1150/1942 difetto dei presupposti di diritto nonché dell’art. 10 della legge n. 765 n. 1971 -violazione dell’art. 31 del DPR n. 380/2001. violazione degli art. 40, comma 2° della legge n. 47/1985 e dell’art. 46 DPR 380/2000; 2) violazione dell’art. 31 D.P.R. 380/01. violazione del giusto procedimento di legge. difetto di istruttoria. violazione di norme tecniche. difetto assoluto di motivazione. difetto di interesse pubblico concreto ed attuale. omessa comparazione dell’interesse pubblico con quello privato. violazione dell’art. 1375 cod. civ. e del principio che tutela l’affidamento in buona fede; 3) eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione. violazione degli artt. 27, 31 e 34 del DPR n. 380/2001; 4) segue: stessi motivi che precedono – violazione dell’art. 167 del d.vo 42/04 . difetto dei presupposti di diritto; 5) violazione dell’art. 7 della l. 07.08.90 n. 241. violazione del giusto procedimento di legge; 6) eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione. ulteriore violazione dell’art. 31 del DPR n. 380/2001. 3.All’udienza pubblica del 13 aprile 2023 il Presidente ha rilevato che non risultava depositata sulla piattaforma del P.AT. la copia sottoscritta del ricorso in appello e la prova dell’intervenuta notifica dello stesso alle altre parti. La difesa di parte appellante ha, quindi, chiesto un breve rinvio per esibire tali atti. Il Presidente, in accoglimento di tale richiesta, ha pertanto disposto il rinvio della causa all’udienza del 4 maggio 2023. In data 19 aprile 2023 la difesa di parte appellante ha proceduto al deposito telematico del ricorso in appello del 26 ottobre 2021 sottoscritto digitalmente dal procuratore costituito avv. Zi. Sc. in data 26 ottobre 2021 alle ore 13:42 nonché prova dell’avvenuta notifica del medesimo atto nella stessa data (relata, ricevute di accettazione e consegna del ricorso a mezzo PEC). All’udienza pubblica del 4 maggio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO L’appello, ritualmente notificato e depositato (come comprovato dalla documentazione da ultimo esibita da parte appellante in data 19 aprile 2023), è fondato e va accolto. Con il primo motivo di appello si censura la sentenza appellata nella parte in cui il T.A.R., nel ritenere fondato il secondo motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale è stato dedotto un difetto di istruttoria e di motivazione del provvedimento di demolizione impugnato, ha affermato che sull’amministrazione comunale gravasse un onere rafforzato di motivazione in considerazione del lungo lasso di tempo trascorso tra la realizzazione dell’abuso ed il suo accertamento nonché della circostanza che le opere abusive sarebbe state realizzate nel 1962 (all’epoca della costruzione del fabbricato) in epoca anteriore all’acquisto da parte dei ricorrenti, odierni appellati (che avrebbero versato in condizioni di buona fede). Osserva parte appellante che, secondo la giurisprudenza amministrativa in materia di abusi edilizi, il provvedimento con cui è ingiunta, ex art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, la demolizione di un immobile abusivo non richiederebbe una motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata che impongono la rimozione dell'abuso anche laddove lo stesso sia adottato a notevole distanza di tempo dalla realizzazione dell'opera e l’immobile sia stato interessato da un trasferimento immobiliare in favore di soggetto estraneo all’abuso. Si osserva, ancora, che l'amministrazione pubblica anche a distanza di tempo, avrebbe sempre l'obbligo di adottare l'ordine di demolizione per il solo fatto di aver riscontrato l'esistenza di opere abusive non essendo, di conseguenza, prospettabile un legittimo affidamento del proprietario il quale non può dolersi dell'eventuale ritardo con cui l'amministrazione abbia emanato il provvedimento. Si aggiunge, poi, che l’ordinanza di demolizione è atto a natura tout court vincolata e che esso che non assume carattere sanzionatorio ma si atteggia a misura reale a carattere ripristinatorio sicché deve legittimamente rivolgersi al soggetto allo stato in rapporto materiale col bene e, dunque, in grado in concreto di rimuovere l’abuso restando irrilevante la mancata coincidenza tra l’esecutore materiale dell’abuso ed il titolare del diritto dominicale sul sedime e/o sul preesistente fabbricato oggetto d’intervento. Quanto al rilevato difetto di istruttoria parte appellante deduce, infine, che il provvedimento di demolizione gravato in primo grado sarebbe stato preceduto dal sopralluogo del 14 ottobre 2019 e dalla relazione tecnica prot. n. 0082882 dell’11 dicembre 2019, redatta da tecnici del Servizio Antiabusivismo Edilizio del Comune di (Omissis) che a seguito di sopralluogo hanno accertato “la realizzazione delle opere edilizie abusive consistenti nel “piano seminterrato ed il sesto e ultimo piano (quest'ultimo costituito da n. 4 unità immobiliari: ad uso residenziale, già oggetto di relazioni tecniche protocolli nn. 0077550, 0077551, 0077555 e 0077556 del 22.11.2019) del fabbricato di Via Litoranea civico 78, realizzati abusivamente in difformità della licenza edilizia n. 1316 rilasciata dal Sindaco di (Omissis) in data 27 febbraio 1962 … il piano seminterrato ha una superficie di circa mq 570,00 con altezza di circa m 3,00, la struttura è in c.a. ed è composto da un unico ambiente indiviso. L'intero piano è adibito a garage con accesso diretto dalla Via Litoranea tramite piccola rampa e l'accesso è chiuso con porta in ferro a due battenti, è presente un altro vano porta chiuso con infisso in ferro ad un battente che si collega con il cortile retrostante, sulle pareti perimetrali del locale sono presenti delle piccole finestre rettangolari complete di infisso. Al centro del locale è posizionato il vano della cabina ascensore che porta ai piani superiori.” 2.1 Con il secondo motivo di appello si censura la sentenza appellata nella parte in cui il giudice di prime cure, nel ritenere fondato il quinto motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale è stata dedotta la violazione degli artt. 7 e 10-bis della L. n. 241 del 1990, ha affermato che l’ordinanza di demolizione per cui è causa dovesse essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento in quanto i presupposti di fatto da accertare per l’adozione di tale atto sarebbero stati, nel caso di specie, suscettibili di vario apprezzamento e, comunque, non verificabili in modo immediato ed inequivoco. Secondo parte appellante il T.A.R. avrebbe errato, in particolare, nello statuire che l’amministrazione comunale avrebbe potuto concretamente porre in essere un provvedimento diverso da quello concretamente adottato, in ragione dell’apporto partecipativo della parte ricorrente in primo grado, in quanto quest’ultima, ove messa in condizione di farlo, avrebbe potuto rappresentare in sede procedimentale circostanze rilevanti (quali la posizione di terzo acquirente in buona fede, l’insussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione ed il decorso di un notevole lasso di tempo, circa sessanta anni, tali da rendere necessaria una accurata istruttoria circa le riscontrate difformità). Osserva parte appellante, anche richiamando la giurisprudenza di questo Consiglio, che l’ordine di demolizione, essendo un atto rigidamente vincolato, non necessiterebbe della comunicazione di avvio del procedimento, non essendo prevista in capo all'Amministrazione la possibilità di effettuare valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene. Si aggiunge, poi, che, per le medesime ragioni, la mancata comunicazione di avvio del procedimento non avrebbe in ogni caso potuto condurre all’annullamento dell’atto impugnato, dovendo trovare applicazione il meccanismo ex art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990. In ultimo, parte appellante deduce che, nel caso in esame, gli abusi riscontrati rientrerebbero a pieno titolo nel disposto dell'art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001 trattandosi di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, con la realizzazione di intere e consistenti volumetrie, completamente abusive. Con riguardo, in particolare, al volume nel piano seminterrato adibito a parcheggio si osserva che, pur ammettendo che il riferimento normativo che l'amministrazione avrebbe dovuto applicare fosse rinvenibile nell'art.17 della L. n. 765/1967 che rende obbligatori i parcheggi pertinenziali, il piano seminterrato rimarrebbe ugualmente abusivo in quanto realizzato senza alcun titolo e senza il deposito di calcoli strutturali. Nel dettaglio, dai grafici del progetto quanto assentito consisterebbe in una semplice intercapedine poco più alta di 1 m., non praticabile e senza alcun accesso, nel mentre dalla relazione tecnica di sopralluogo si evincerebbe che l’ambiente effettivamente realizzato ha un’altezza di ben 3 m. e presenta un varco di accesso carrabile. Entrambe le censure in parola colgono nel segno. Secondo la giurisprudenza amministrativa ormai costante anche di questa Sezione, che ha trovato avallo nella nota pronuncia dell’Adunanza plenaria n.9 del 17 ottobre 2017, “L'ordine di demolizione è atto vincolato e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione; né vi è un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il mero decorso del tempo non sana, e l'interessato non può dolersi del fatto che l'Amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi” (così ex multis Cons. Stato, sez. II, 20/07/2022, n. 6373; in termini anche Cons. Stato, sez. VI, 21/06/2022, n. 5115). Nel medesimo solco si pone l’orientamento pretorio che, più in generale, afferma che “l'ordine di demolizione è atto dovuto e vincolato e non necessita di motivazione aggiuntiva rispetto all'indicazione dei presupposti di fatto e all'individuazione e qualificazione degli abusi edilizi” (Cons. Stato, sez. VI, 09/06/2022, n. 4722). Da ultimo è stato pure ribadito che “La misura demolitoria può essere legittimamente irrogata nei confronti del proprietario del bene, anche se diverso dal responsabile dell'abuso e anche se estraneo alla commissione dell'abuso stesso e ciò in quanto l'abusività dell'opera è una connotazione di natura reale: segue l'immobile anche nei successivi trasferimenti del medesimo, con l'effetto che la demolizione è, di regola, atto dovuto e prescinde dall'attuale possesso del bene e dalla coincidenza del proprietario con il realizzatore dell'abuso medesimo” (Cons. Stato, sez. VI, 07/02/2023, n. 1327). 3.1 Alla luce delle coordinate ermeneutiche appena tracciate non può, quindi, condividersi quanto statuito dal giudice di prime cure nella sentenza impugnata. Anzitutto, non sussiste il difetto di motivazione ed istruttoria dedotto a mezzo del secondo motivo del ricorso di primo grado. La natura ripristinatoria (e non anche sanzionatoria) dell’ordine di demolizione e l’impossibilità di configurare in favore dell’attuale proprietario un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto esistente privano di ogni rilevanza la condizione di buona fede in cui lo stesso eventualmente versa così come il tempo trascorso dalla realizzazione dell’abuso. Ne discende che del tutto adeguata appare l’istruttoria procedimentale svolta, nel caso di specie, dal Comune di (Omissis) (consistita nell’effettuazione di un sopralluogo in data 14 ottobre 2019 seguita dalla redazione di una articolare relazione tecnica prot. n. 0082882 dell’11 dicembre 2019, a cura tecnici del Servizio Antiabusivismo Edilizio), avendo la stessa dato piena contezza dell’entità delle opere abusive (che sono state descritte analiticamente anche con riguardo alle specifiche porzioni del manufatto dalle stesse interessate). Le difformità riscontrate emergono con chiarezza dal semplice raffronto documentale tra l’assentito (n. 5 piani fuori terra ed un’intercapedine a base dell’edificio poco più alta di 1 m., non praticabile e senza alcun accesso) ed il realizzato (n. 6 piani fuori terra ed un piano seminterrato di circa mq 570,00 di superficie con altezza di circa m 3,00 adibito a garage), senza la necessità di ulteriori approfondimenti. 3.2 Parimenti infondato è il quinto motivo del ricorso di primo grado non potendosi ravvisare la lamentata violazione dell’art. 7 della l. n. 241 del 1990. Costituisce, infatti, jus receptum il principio secondo cui “l'attività di repressione degli abusi edilizi, mediante l'ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell'art. 7 l. n. 241/1990, considerando che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso” (così Cons. Stato, sez. VI, 11/05/2022, n. 3707). Tale principio potrebbe conoscere un’attenuazione, se non un correttivo, nei casi di abuso (non per assenza del permesso ma) per totale difformità (dal medesimo) ovvero per variazione essenziale ove fosse controverso e controvertibile – in punto di fatto – l’entità della variazione e fosse quindi necessario un accertamento specifico, in primo luogo nella sede amministrativa, meglio se in contraddittorio. La vincolatività del potere amministrativo non vale a rendere, in tali casi, nella realtà delle cose, i fatti per ciò solo facilmente accertabili, sicché potrebbe rivelarsi non giustificato, non solo sul piano delle garanzie ma anche nella logica del buon andamento, ritenere aprioristicamente inutile il contraddittorio procedimentale. Nel caso di specie, tuttavia, trattandosi di una difformità quanto mai evidente e vistosa, consistente in un intero piano realizzato in aggiunta al consentito, a differenza di quanto affermato dal T.A.R. nella sentenza impugnata, l’amministrazione comunale non avrebbe potuto porre in essere un provvedimento diverso da quello concretamente adottato, in ragione dell’apporto partecipativo della parte ricorrente in primo grado sicché certamente opera il meccanismo di cui all’art. 21-octies, comma 2, primo alinea, della l. n. 241 del 1990. E’, infatti, appena il caso di evidenziare che le deduzioni svolte in sede giudiziale da quest’ultima (la posizione di terzo acquirente in buona fede del proprietario, l’asserita insussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, il decorso di un notevole lasso di tempo) non sarebbero state in grado di incidere sulla spendita del potere amministrativo di cui all’art. 31, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001 il cui esercizio, come in precedenza illustrato amplius, si fonda sul mero riscontro dell’abuso non accompagnato da alcuna attività di ponderazione di interessi. Per le ragioni sopra esposte l’appello è fondato e va accolto. Deve, quindi procedersi allo scrutinio dei motivi del ricorso di primo grado dichiarati assorbiti e non esaminati dal giudice di prime cure e qui riproposti dagli appellati ex art. 101, comma 2, c.p.a.. 5.1 Detti motivi sono tutti infondati e vanno disattesi. Con il primo motivo del ricorso di primo grado qui riproposto ex art. 101, comma 2, c.p.a. si sostiene che le opere abusive de quibus (e, segnatamente, per quanto qui interessa, il piano seminterrato adibito a garage) sarebbero state eseguite all'epoca della realizzazione dell'intero fabbricato (nel 1962 e, quindi, in epoca anteriore al 1° settembre 1967) e che, trovandosi l’immobile interessato al di fuori del centro abitato, non avrebbero abbisognato del rilascio di titoli edilizi. 6.1 La doglianza è priva di giuridico pregio. Come emerge ex actis il Comune di (Omissis) risulta essersi dotato di Regolamento Edilizio fin dal 1936. In particolare, detto Regolamento ha prescritto il rilascio di licenza edilizia per gli interventi realizzati all’interno del centro abitato e tale previsione, per quanto qui più di interesse, è stata successivamente estesa con delibera C.C. n. 127 del 1959 all’intero territorio del Comune. Preme, del resto, rilevare, a conferma della necessità, nel caso di specie, del preventivo rilascio di una licenza edilizia che lo stesso dante causa dell’odierno appellato (ricorrente in primo grado) si è premurato di richiedere ed ottenere, nel 1962, il rilascio del titolo edilizio, salvo realizzare, in concreto, una serie di interventi in totale difformità dello stesso. 6.2 Né può sostenersi, come fa il ricorrente in primo grado, che gli immobili risalenti ad epoca anteriore al 1° settembre 1967, seppur privi di titolo (ovvero eseguiti in totale difformità dallo stesso), non sarebbero comunque assoggettabili a sanzioni edilizie repressive. E, infatti, stante la natura di misura reale a carattere ripristinatorio dell’ordine di demolizione ciò che rileva ai fini della legittimità del provvedimento non è tanto l’epoca di realizzazione dell’opera (se anteriore ovvero successiva al 1° settembre 1967) quanto la sua abusività (id est se l’intervento realizzato fosse necessario, alla luce della disciplina urbanistico-edilizia concretamente vigente nel caso di specie, il preventivo rilascio del titolo). Con il terzo motivo del ricorso di primo grado qui riproposto ex art. 101, comma 2, c.p.a. si è denunciata l’illegittimità delle impugnate ordinanze di demolizione per violazione dell’art. 34, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, nella parte in cui quest’ultima previsione normativa stabilisce che “quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale”. Nel dettaglio si osserva che il fabbricato in questione è in cemento armato e presenta una struttura portante unitaria con la conseguenza che l'intervento di demolizione potrebbe pregiudicare la stabilità dell'edificio. 7.1 La censura non coglie nel segno. La consolidata giurisprudenza anche di questa Sezione ha da tempo chiarito che la c.d. “fiscalizzazione” dell’abuso ex art. 34, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 non condiziona la legittimità della ordinanza di demolizione, trattandosi di sub-procedimento che assume rilievo nella successiva fase di esecuzione della stessa. In particolare, si è condivisibilmente affermato che “L'applicabilità della sanzione pecuniaria può essere decisa dall'Amministrazione solo nella fase esecutiva dell'ordine di demolizione e non prima, sulla base di un motivato accertamento tecnico. La valutazione, cioè, circa la possibilità di dare corso alla applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria costituisce una mera eventualità della fase esecutiva, successiva alla ingiunzione a demolire. Con la conseguenza che la mancata valutazione della possibile applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva non può costituire un vizio dell'ordine di demolizione ma, al più, della successiva fase riguardante l'accertamento delle conseguenze derivanti dall'omesso adempimento al predetto ordine di demolizione e della verifica dell'incidenza della demolizione sulle opere non abusive” (così ex multis Cons. Stato, sez. VI , 10/12/2021 , n. 8240; in termini anche Cons. Stato sez. II, 8 ottobre 2020, n. 5985 e Cons. Stato, sez. VI, n. 4855 del 2016). 7.2 Preme, peraltro, precisare che, fermo quanto poc’anzi osservato, nel caso di specie, sarà obbligo dell’amministrazione comunale valutare accuratamente, all’atto di portare ad esecuzione l’ordinanza di demolizione de qua, la praticabilità della cd. “fiscalizzazione” anche alla luce delle caratteristiche assolutamente peculiari dell’abuso che occupa (come segnalate nel motivo in scrutinio da parte ricorrente in primo grado). Con il quarto motivo del ricorso di primo grado qui riproposto ex art. 101, comma 2, c.p.a. si è denunciata l’illegittimità delle impugnate ordinanze di demolizione per violazione dell'art.167 del D.Lgs. n. 42 del 2004, risultando l’intero tenimento comunale di (Omissis) sottoposto a regime di tutela paesaggistica. Si osserva, in particolare, che detta disposizione prevede, nelle ipotesi di opere realizzate in assenza di autorizzazione soprintendentizia che abbiano determinato un mutamento dello stato dei luoghi in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, che “il trasgressore è tenuto alla remissione in pristino” sicché lo stesso non sarebbe, per converso, sottoposto alla sanzione della perdita della proprietà per il caso di inottemperanza. Sotto altro profilo, parte ricorrente in primo grado sostiene, sulla scorta del combinato disposto degli artt. 27, 31, 33 e 34 del D.P.R. n. 380 del 2001 che l’amministrazione comunale di (Omissis) si sarebbe dovuta limitare ad adottare provvedimenti sanzionatori o di ripristino dello stato dei luoghi, che non prevedono l’eventuale perdita della proprietà da parte degli interessati per il caso di inottemperanza, ma unicamente la demolizione in danno. 8.1 Le censure in parola appaiono mal calibrate. Anzitutto, è opportuno ribadire che la riduzione in pristino di cui all’art. 167 del D.Lgs. n. 42 del 2004 è misura distinta, per presupposti, caratteri ed effetti, dall’ordine di demolizione ex art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001 ed è adottata ad esito di un differente, ancorché spesso parallelo, procedimento amministrativo. Sicchè non può predicarsi l’illegittimità delle impugnate ordinanze di demolizione per l’asserita violazione di siffatto parametro normativo, alieno al suo schema legale. In ogni caso, occorre poi ribadire che, nel caso di specie, gli interventi riscontrati rientrano a pieno titolo nella categoria di quelli “eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali” ex art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001 avendo determinato la realizzazione di consistenti volumetrie totalmente abusive (due interi piani del palazzo, di cui uno seminterrato). Con il sesto motivo del ricorso di primo grado qui riproposto ex art. 101, comma 2, c.p.a. si è denunciata l’illegittimità delle impugnate ordinanze di demolizione per violazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001 in quanto esse avrebbero mancato di specificare all'ingiunto le conseguenze della eventuale inottemperanza e di individuare esattamente i beni destinati ad essere acquisiti alla proprietà comunale. 9.1 La doglianza è destituita di fondamento. Come già rilevato le ordinanze di demolizione impugnate in primo grado recano l’analitica ed inequivoca identificazione delle porzioni di fabbricato abusive, individuando le stesse anche a mezzo di estremi catastali (foglio, particella e sub catastale). Quanto alla mancata specifica indicazione in seno alle ordinanze impugnate delle conseguenze della eventuale inottemperanza alle stesse, in disparte dalla considerazione che detta carenza darebbe luogo al più ad una mera irregolarità non viziante, è, invece, sufficiente osservare che esse contengono l’espressa “avvertenza che in caso di inottemperanza si procederà ai sensi di Legge” e che l’effetto di acquisizione al patrimonio comunale è, in ogni caso, chiaramente tratteggiato dal disposto dell’art. 31, comma 3, del D.P.R. n. 380 del 2001. In conclusione, per quanto sopra succintamente esposto, l’appello proposto dal Comune di (Omissis) è fondato e va accolto. I motivi dichiarati assorbiti in primo grado e riproposti da parte appellata ex art. 101, comma 2, c.p.a. sono, invece, infondati e vanno disattesi. 10.1 Per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va, pertanto, respinto il ricorso di primo grado. Restano, peraltro, salvi e impregiudicati i poteri, anche ex art. 34, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, dell’amministrazione comunale in sede di esecuzione dell’ordinanza di demolizione di che trattasi. Come resta non meno impregiudicata la tutela civile, a titolo di responsabilità contrattuale, esperibile dall’originario ricorrente in primo grado nei confronti del suo dante causa nonché nei confronti di quanti hanno concorso, con la loro opera professionale, alla stipula del contratto di compravendita avente ad oggetto l’immobile per cui è causa. Sussistono, anche in ragione della peculiarità del caso concreto, giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite del doppio grado di giudizio tra le parti costituite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, disattesi i motivi dichiarati assorbiti in primo grado e riproposti da parte appellata ex art. 101, comma 2, c.p.a., in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado. Spese del doppio grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti, Presidente Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere Oreste Mario Caputo, Consigliere Roberto Caponigro, Consigliere Giovanni Gallone, Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere Dott. PICARO Vincenzo - Consigliere Dott. SCARPA Antonio - rel. Consigliere Dott. POLETTI Dianora - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 6793/2017 R.G. proposto da: (OMISSIS) S.R.L., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS); - ricorrente - contro (OMISSIS) S.P.A., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS); - controricorrente - avverso la SENTENZA della CORTE D'APPELLO di VENEZIA n. 308/2016 depositata il 17/02/2016; Viste le conclusioni motivate, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile a norma del Decreto Legge 29 dicembre 2022, n. 198, articolo 8, comma 8, convertito con modificazioni nella L. 24 febbraio 2023, n. 14), formulate dal P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso; udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 28/03/2023 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA; udito il P.M., in persona della Sostituta Procuratore Generale Dott. DELL'ERBA Rosa Maria, la quale ha chiesto il rigetto del ricorso; uditi gli Avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), per delega dell'avvocato (OMISSIS). FATTI DI CAUSA 1. La (OMISSIS) s.r.l. ha proposto ricorso articolato in dieci motivi avverso la sentenza n. 308/2016 della Corte d'appello di Venezia, pubblicata il 17 febbraio 2016. Resiste con controricorso l' (OMISSIS) S.p.A.. 2. Con citazione dell'8 ottobre 2007 la s.r.l. (OMISSIS) convenne dinanzi al Tribunale di Verona la S.p.A. (OMISSIS), per sentirla condannare al pagamento delle somme dovute (quantificate in Euro 1.947.000,00 a titolo di rimborso delle spese sostenute, in Euro 300.000,00 a titolo di compensi ed in Euro 200.000,00 a titolo di risarcimento; in subordine, in Euro 2.415.000,00 per solo risarcimento conseguente alla mancata attivazione di una stazione di servizio lavaggio e vendita carburanti; in ulteriore subordine, in Euro 2.082.453,02 per ingiustificato arricchimento) in relazione al servizio di vigilanza e custodia, svolto dal 1999 al 2006, di un parcheggio multipiano sito all'interno del complesso aeroportuale. Tale servizio di vigilanza era stato espletato, per quanto esponeva l'attrice, in forza di modifiche verbali convenute rispetto ad un piu' ampio rapporto tra le parti basato su un progetto approvato nell'ottobre del 1999 e di seguito in parte trasfuso in un contratto stipulato il 10 dicembre 1999. Il complessivo programma negoziale, frutto di articolate trattative, prevedeva, stando alle pretese della (OMISSIS), l'affidamento ad essa del servizio di assistenza stradale di prima utilita' in prossimita' dello scalo e, altresi', del servizio di sorveglianza e custodia del garage multipiano posto a servizio dello stesso, nonche' dell'apertura e della gestione di un'area di servizio e vendita carburante e di lavaggio autovetture. Tuttavia, la convenzione da ultimo conclusa non faceva cenno alla stazione di servizio suddetta. La convenuta (OMISSIS) S.p.A. contesto' la fondatezza delle domande dell'attrice, assumendo che l'obbligo di custodia e vigilanza del parcheggio posto dal contratto inter partes in capo alla (OMISSIS) era remunerato dalle attivita' di assistenza automobilistica (cosiddetto car valeting) affidate alla stessa sulle aree demaniali, e che nulla era stato formalmente convenuto in ordine alla messa di disposizione in favore della (OMISSIS) della stazione di rifornimento carburanti ed autolavaggio. 3. Il Tribunale di Verona, con sentenza del 26 marzo 2013, rigetto' le domande della s.r.l. (OMISSIS). In motivazione, il Tribunale si soffermo' dapprima sull'eccezione di difetto di giurisdizione spiegata dalla convenuta, richiamando precedenti giurisprudenziali in ordine alla sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie inerenti all'affidamento a terzi, da parte del concessionario di un aeroporto, della gestione di un autoparcheggio in area antistante l'aerostazione, trattandosi di rapporto di subconcessione instaurato da un organismo di diritto pubblico, avente ad oggetto l'utilizzazione di un bene del demanio aeronautico, e venendo in discussione la questione stessa della previsione di un corrispettivo per tale concessione. Di seguito, il Tribunale di Verona espose che la natura di organismo di diritto pubblico comportava l'obbligo della forma scritta, ai sensi del Regio Decreto n. 2440 del 1923, articoli 16 e 17, privando di rilevanza la deduzione di conclusioni o modifiche verbali dell'accordo per cui e' causa. Inoltre, il primo giudice ricostrui' il contenuto obbligatorio del contratto intercorso tra le parti alla stregua degli articoli 2 e 3 della convenzione stipulata, concludendo che le attivita' di assistenza stradale di prima utilita' in prossimita' dello scalo aeroportuale affidate alla (OMISSIS) consentivano alla stessa un congruo introito economico e che la prestazione "gratuita" del servizio di sorveglianza e custodia del garage multipiano (da espletare, cioe', "senza alcun compenso", come sanciva l'articolo 3 della scrittura del 10 dicembre 1999 e come prevedeva prima ancora la lettera di accettazione della proposta (OMISSIS) inoltrata dall'Aeroporto il 12 ottobre 1999) costituiva, in sostanza, il "canone" per l'esercizio di dell'attivita' di assistenza stradale. A queste condizioni, secondo il Tribunale, il rapporto contrattuale si era rinnovato di anno in anno, in difetto di tempestiva disdetta ai sensi dell'articolo 7 della convenzione, fino al 30 novembre 2006. La sentenza di primo grado evidenzio' inoltre che il contratto non contemplava la "messa a disposizione" altresi' di rifornimento di carburanti e di autolavaggio, ne' risultavano modifiche scritte in tal senso dell'originario programma negoziale. Non di meno, il Tribunale esamino' anche l'esito della prova per testi e della CTU, pervenendo parimenti ad una valutazione negativa sulla fondatezza delle domande. 4. La Corte d'appello di Venezia ha poi respinto il gravame avanzato dalla s.r.l. (OMISSIS), motivando in ordine: alla insussistenza dell'obbligo di rimessione al primo giudice ex articolo 353 c.p.c., applicabile ratione temporis, ed alla sussistenza peraltro della giurisdizione ordinaria; alla qualificazione del rapporto intercorso tra le parti come contratto atipico, misto, di subconcessione (per quanto attiene alle attivita' di car valeting) e come appalto di servizio pubblico (per quanto attiene all'attivita' di custodia e di sorveglianza del parcheggio multipiano, svolta dalla (OMISSIS) a vantaggio dell'Aeroporto e non, invece, direttamente a vantaggio della generalita' degli utenti dello scalo); alla relazione di sinallagmaticita' intercorrente tra le attivita' di car valeting e l'attivita' di custodia e di sorveglianza del parcheggio multipiano, con "prevalenza", tuttavia, della causa di appalto di servizio pubblico, a giustificazione dell'affermata giurisdizione del giudice ordinario; alla mancata consacrazione in forma scritta - necessaria ad substantiam - della previsione contrattuale inerente all'apertura di una stazione di lavaggio e vendita di carburanti autorizzata dall'Aeroporto; alla mancata conferma pure mediante prova per testi del nesso sinallagmatico tra l'apertura della stazione di carburante e di lavaggio e l'affidamento a (OMISSIS) del servizio di custodia e sorveglianza del multipiano; al riscontro documentale dell'offerta della (OMISSIS) del 30 giugno 1999 e dell'accettazione dell'Aeroporto del 12 ottobre 1999, confluite nel contratto del 10 dicembre 1999, privo di riferimenti alla stazione di carburante e lavaggio; all'esistenza di un corrispettivo per l'attivita' di custodia e di sorveglianza del parcheggio multipiano, costituito, come gia' detto, proprio dalla concessione alla (OMISSIS) del servizio di car valeting, ovvero di interventi di prima utilita' nel settore dell'assistenza automobilistica; alla esclusione dell'eventuale antieconomicita' in fatto dell'accordo per (OMISSIS), la quale avrebbe potuto avvalersi della facolta' di disdetta impedita del rinnovo annuale ai sensi dell'articolo 7 del contratto; alla negazione di profili di responsabilita' contrattuale o precontrattuale dell'Aeroporto; all'assorbimento del motivo sull'ingiustificato arricchimento. 5. Il ricorso e' stato deciso procedendo nelle forme di cui al Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile a norma del Decreto Legge 29 dicembre 2022, n. 198, articolo 8, comma 8, convertito con modificazioni nella L. 24 febbraio 2023, n. 14), con istanza di discussione orale. La ricorrente ha presentato memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Non sussistono ragioni, tra quelle contemplate dall'articolo 374 c.p.c., per rimettere la decisione del ricorso alle Sezioni Unite, come invece richiesto dalla ricorrente con istanza ai sensi dell'articolo 376 c.p.c., comma 2, e dell'articolo 139 disp. att. c.p.c.. 2. Va premesso che il ricorso della (OMISSIS) s.r.l. (" (OMISSIS)") si articola in dieci motivi e si sviluppa in cinquantasei pagine, la memoria ex articolo 378 c.p.c., della medesima ricorrente si struttura in cinquantasette pagine, mentre il relativo controricorso della (OMISSIS) S.p.A. ("Aeroporto") si sviluppa in quarantasei pagine. Considerata la particolare ampiezza degli atti di parte, nella redazione della presente sentenza si fara' sintetico rinvio per relazione alle censure ed agli argomenti ivi contenuti. 3. Il primo motivo del ricorso della (OMISSIS) denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 353 c.p.c., comma 1, in combinato disposto con l'articolo 161 c.p.c., in relazione alla mancata remissione della causa al giudice di primo grado, pur avendo la Corte d'appello accertato che il Tribunale di Verona aveva sbagliato nel ritenersi privo di giurisdizione. Il secondo motivo di ricorso denuncia parimenti la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 353 c.p.c., comma 1, in combinato disposto con l'articolo 161 c.p.c., sempre in relazione alla mancata remissione della causa al giudice di primo grado, e la nullita' della sentenza e/o del procedimento, per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, anche in relazione all'articolo 112 c.p.c.. Avrebbe non di meno errato la Corte di Venezia, secondo la ricorrente, a sostenere, a proposito della pronuncia del Tribunale, che "la causa e' stata comunque decisa nel merito, tanto che nella parte dispositiva e' stato statuito il rigetto delle domande attoree (senza riferimento alcuno alla questione della giurisdizione)". Cio' perche' il Tribunale non si era affatto pronunciato ne' sulla pretesa azionata dall'attrice ai sensi dell'articolo 1657 c.c., per ottenere la determinazione del corrispettivo d'appalto, ne' sulle richieste di risarcimento dei danni, ne', ancora, sulla domanda di indebito arricchimento ex articolo 2041 c.c.. Il terzo motivo di ricorso della (OMISSIS) denuncia la nullita' della sentenza e/o del procedimento per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato anche in relazione all'articolo 112 c.p.c., nonche' l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e' stato oggetto di discussione tra le parti. La Corte d'appello avrebbe impropriamente ritenuto assorbita la doglianza formulata in secondo grado dalla (OMISSIS) con riguardo alla intrinseca contraddittorieta' della sentenza del Tribunale derivante dalla contemporanea presenza di un diniego di giurisdizione e di considerazioni interpretabili come rigetto di (alcune) domande di merito. In tal modo, la Corte di Venezia non avrebbe dato corso alla declaratoria di nullita' della sentenza di primo grado, cui (OMISSIS) aveva interesse non solo ai fini dell'articolo 353 c.p.c., comma 1, ma, ad esempio, anche ai fini della regolazione delle spese processuali, poste a suo carico in entrambi i gradi. 3.1. I primi tre motivi di ricorso della (OMISSIS) possono essere esaminati congiuntamente e risultano non fondati. Essi sono accomunati dalla allegazione di errores in procedendo imputabili alla sentenza della Corte d'appello per non aver disposto la rimessione al primo giudice, pur avendo dichiarato che il giudice ordinario ha sulla causa la giurisdizione da quello negata, e nonostante lo stesso primo giudice avesse omesso di statuire su alcune domande e fosse incorso in una evidente contraddittorieta' tra la motivazione ed il dispositivo. 3.2. La giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, a partire dalla sentenza n. 2078 del 1990 fino alla risolutiva sentenza n. 3840 del 2007, si e' consolidata nella interpretazione secondo cui e' carente di potere di esame nel merito il giudice che abbia pregiudizialmente dichiarato inammissibile la domanda o il gravame, ovvero abbia declinato la propria giurisdizione o competenza, al che consegue la ultroneita', ovvero la superfluita' ed ininfluenza sul dispositivo, delle argomentazioni di infondatezza della pretesa comunque svolte in motivazione, perche' rese "ad abundantiam", "in via ipotetica", come mero "obiter dictum". Al fine di individuare qual parte della sentenza ne esprima la ratio decidendi, e cioe' sia delibata in via principale, e qual parte sia svolta ad abundantiam, senza percio' assumere la forza propria della statuizione giurisdizionale, restando irrimediabilmente fuori, appunto, dalla decisione, occorre valutare innanzitutto quali argomentazioni trovino conferma nel dispositivo (che potrebbe, tuttavia, considerarsi integrabile con la motivazione), e comunque se il giudice abbia davvero pregiudizialmente adottato una dichiarazione di inammissibilita', o una declinatoria della sua giurisdizione o competenza, con cio' spogliandosi della potestas iudicandi in relazione al merito della fattispecie controversa. Nel caso in esame, il Tribunale di Verona, dopo essersi soffermato nella premessa della sua sentenza sull'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla convenuta, richiamando precedenti giurisprudenziali deponenti per la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie inerenti all'affidamento a terzi, da parte del concessionario di un aeroporto, della gestione di un autoparcheggio in area antistante l'aerostazione, ha tuttavia di seguito in motivazione illustrato le ragioni di non fondatezza nel merito delle azionati pretese creditorie, pervenendo in dispositivo al rigetto delle domande dell'attrice, il che equivale ad una pronuncia affermativa della giurisdizione. Correttamente, pertanto, la Corte d'appello di Venezia ha inteso che non sussistesse una negazione della giurisdizione da parte del Tribunale, tale da obbligare alla rimessione al primo giudice ex articolo 353 c.p.c. (ratione temporis vigente), neppure deponendo quella sentenza per la configurabilita' di un contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione (come ancora si assume nel terzo motivo di ricorso), atteso che la stessa pronuncia, proprio alla stregua delle argomentazioni della pagine da 5 a 12, risultava idonea a consentire l'individuazione della concreta statuizione giudiziale. La sentenza n. 7339 del 1998, resa sempre dalle Sezioni Unite, gia' chiari' che l'articolo 353 c.p.c. - disponendo la regressione della causa al primo giudice - e' una norma di carattere eccezionale e, quindi di stretta interpretazione, giustificata solo dall'esigenza di assicurare il doppio grado di giurisdizione di merito; di tal che questo presupposto viene meno, e con esso la ratio che giustifica(va) l'applicabilita' della norma, nell'ipotesi in cui la decisione del primo giudice, sotto l'apparente e impropria formula del difetto di giurisdizione, contenga, in realta', il rigetto della domanda. E cosi' pure nel caso deciso nella sentenza delle Sezioni Unite n. 11027 del 2014 (che la ricorrente richiama ancora nella memoria ex articolo 378 c.p.c.), era appunto avvenuto, come si legge in motivazione, che il giudice di primo grado aveva espressamente dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, sicche' le Sezioni Unite affermavano che il giudice di appello, avendo affermato la giurisdizione negata dalla prima sentenza in rito, avrebbe dovuto fare applicazione dell'articolo 353 c.p.c.. Identiche fattispecie sono state affrontate e conformemente risolte nelle successive pronunce n. 13722 del 2017 e n. 29592 del 2022. 3.3. Avendo nel caso in esame il giudice di primo grado pronunciato nel merito, ed affermato cosi', anche implicitamente, la propria giurisdizione, ed avendo le parti prestato acquiescenza, per non aver contestato la relativa sentenza sotto tale profilo (al che neppure sarebbe stata legittimata la (OMISSIS), la quale ha instaurato la causa dinanzi al giudice ordinario, sicche' non era soccombente su tale autonomo capo della decisione), e' coperta dal giudicato la questione attinente alla giurisdizione. 3.4. Gli ulteriori vizi di omesse pronunce in cui sarebbe incorsa la sentenza del Tribunale, a dire del secondo motivo del ricorso della (OMISSIS), non rientrano poi fra quelli tassativamente indicati dall'articolo 353 c.p.c. (li' vigente) e articolo 354 c.p.c., come suscettibili di far insorgere i presupposti per la regressione del processo dallo stadio di appello a quello precedente, comportando piuttosto la necessita', per il giudice d'appello che accerti il vizio, di porvi rimedio, trattenendo la causa e decidendola nel merito (ex multis, sentenza n. 13426 del 2004). 4. Il quarto motivo del ricorso della (OMISSIS) denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1362 c.c. e segg., nonche' degli articoli 1321, 1322 e 1325 c.c., ed ancora del Decreto Legislativo n. 163 del 2006, articolo 3, comma 12, e articolo 30, comma 2, in relazione alla qualificazione del rapporto controverso. La ricorrente dichiara di condividere l'interpretazione seguita dalla Corte d'appello quanto alla qualificazione del servizio di custodia e sorveglianza delle infrastrutture relative ai parcheggi e aree scoperte di pertinenza in termini di appalto di servizio pubblico, ma critica invece la conclusione dei giudici d'appello secondo cui il servizio di car valeting e quello di custodia del parcheggio multipiano costituissero l'oggetto di un unico rapporto sinallagmatico, trattandosi, piuttosto, di "due distinti contratti stipulati tra le stesse parti, aventi cause e contenuti del tutto diversi". La censura sostiene che il ragionamento della Corte d'appello "porta a delineare un vero e proprio monstrum privo di precedenti nella letteratura giuridica, che non si configurerebbe alla stregua di un valido contratto misto e atipico, ma come negozio radicalmente nullo, perche' in contrasto con la struttura - rigidamente tipizzata - della concessione amministrativa e dell'appalto pubblico di servizi". Intercorrendo l'appalto di servizi tra due soggetti, essendo la prestazione a favore dell'Amministrazione, e la concessione di servizi pubblici tra tre soggetti, nel senso che la prestazione e' diretta agli utenti, "ipotizzare che un appalto costituisca il corrispettivo di una concessione porta a uno stravolgimento di tutte le logiche sottese all'agire dell'Amministrazione concedente". Il motivo di ricorso afferma inoltre che l'intesa conclusa in data 10 dicembre 1999 si limitava soltanto a precisare che sarebbero stati a carico integrale di (OMISSIS) i costi dell'attivita' di assistenza agli automobilisti e che quest'ultima avrebbe dovuto provvedere pure alla guardiania del complesso multipiano, senza che, tuttavia, tale ultima attivita' fosse in qualche modo indicata quale controprestazione del rapporto concessorio relativo agli interventi medesimi. Si rappresenta, inoltre, che "l'intesa faceva seguito a un bando, pubblicato dall'Aeroporto, che contemplava per il servizio di guardiania di aree di pertinenza della struttura un corrispettivo annuo di 512.000.000 lire" (cfr. doc. 7), evidentemente non paragonabile ai proventi del servizio di soccorso automobilistico: prova, percio', del fatto che controparte ben sapeva di dover remunerare il privato appaltatore". Il quinto motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 1322, 1655, 1657 c.c., nonche' del Decreto Legislativo n. 163 del 2006, articolo 3, comma 6, dell'articolo 1, comma 1, lettera a, della direttiva 2004/18/CE (e ora del Decreto Legislativo n. 50 del 2016, articolo 3, comma 1, lettera ii), in relazione alle obbligazioni assunte da (OMISSIS). La considerazione e' che "(a)mmesso e non concesso che la ricostruzione della Corte d'Appello dianzi passata in rassegna sia condivisibile (cio' che non e'), non per questo le aspettative economiche dell'odierna ricorrente dovevano essere disattese". La tesi a base di questa censura e' che la ricostruzione operata dalla Corte di Venezia e' tale da comportare la nullita' dell'intera intesa, per difetto di un compenso determinato o determinabile in favore dell'appaltatore, con conseguente riconoscimento di spese e danni inutilmente sostenuti dalla ricorrente in forza dell'accordo rivelatosi invalido. Il sesto motivo di ricorso lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 1350 c.c., nonche' del Decreto Legislativo n. 163 del 2006, articolo 3, comma 28, e articolo 11, comma 13, in relazione alla remunerazione attesa da (OMISSIS) per l'appalto pubblico di servizi; ed ancora l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e' stato oggetto di discussione tra le parti, relativamente alla natura di organismo di diritto pubblico dell'Aeroporto, societa' per azioni di diritto privato. Per i contratti stipulati dai soggetti riconducibili alla categoria dell'organismo di diritto pubblico, pur sussistendo l'obbligo dell'evidenza pubblica, non sussisterebbe il necessario rispetto della forma scritta ad substantiam, invece operante per gli accordi stipulati da Pubbliche Amministrazioni o enti pubblici. La societa' (OMISSIS) sarebbe altresi' priva dei requisiti che connotano, a mente del Decreto Legislativo n. 163 del 2006, articolo 3, comma 28 (codice appalti), un organismo di diritto pubblico. In ogni caso, in assenza di una prestazione sinallagmaticamente definita a carico dell' (OMISSIS) (tale non essendo certamente quella di car valeting e presupponendo che nemmeno lo fosse quella connessa al servizio di carburanti e lavaggio), la Corte d'appello avrebbe dovuto procedere direttamente alla quantificazione del compenso spettante alla societa' appaltatrice, nonche' alla liquidazione in suo favore delle spese sostenute per il servizio di sorveglianza del parcheggio multipiano. Il settimo motivo del ricorso della (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 116 c.p.c., in relazione alle testimonianze acquisite in corso di causa. Secondo la ricorrente, le deposizioni testimoniali raccolte all'udienza del 17 marzo 2009 avrebbero comprovato che (OMISSIS) e l' (OMISSIS) erano d'accordo per l'apertura dell'autostazione e che cio' non avrebbe comportato alcun corrispettivo da parte della prima al secondo, dal che si doveva desumere il contestuale sacrificio sopportato dalla societa' mediante la guardiania effettuata presso il parcheggio multipiano. Viene criticata anche la valutazione delle prove documentali operata dalla Corte d'appello. I documenti esaminati sarebbero irrilevanti ai fini di dimostrare l'esistenza dell'accordo per l'apertura dell'autostazione, posto che riguardano solo il contratto del 10 dicembre 1999, il quale certamente non dice alcunche' rispetto all'impianto di rifornimento. Tali documenti sarebbero comunque antecedenti al perfezionamento delle trattative portate avanti dalle parti in ordine alla gestione della nuova infrastruttura, che si protrassero fino al 2000. L'ottavo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 1175, 1176, 1337, 1338 e 2043 c.c., nonche' degli articoli 115 e 116 c.p.c., in relazione al risarcimento domandato dalla (OMISSIS) per la mancata attivazione della stazione di servizio e autolavaggio; ed ancora, si denuncia la nullita' della sentenza e/o del procedimento per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in relazione all'articolo 112 c.p.c.. Si ribadiscono l'esistenza di un'intesa gia' perfezionatasi tra le parti, senza alcuna necessita' di consacrazione in forma scritta ad substantiam, o comunque l'affidamento notevolissimo in ordine all'apertura dell'autostazione, certamente tale da non giustificare alcun illegittimo recesso ai sensi dell'articolo 1337 c.c.. Il nono motivo del ricorso della (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2041 c.c., in relazione all'ingiustificato arricchimento dell' (OMISSIS), ed ancora la nullita' della sentenza e/o del procedimento per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Qui la tesi e' che se si esclude il nesso sinallagmatico tra concessione e appalto pubblico di servizi, se non si provvede alla determinazione del corrispettivo dell'appalto ai sensi dell'articolo 1657 c.c., e se, ancora, non si ravvisa il corrispettivo dell'appalto medesimo nell'autorizzazione all'apertura della nuova autostazione, sarebbe giocoforza ritenere che l' (OMISSIS) si sia arricchito senza una giusta causa ai danni di (OMISSIS). 4.1. I motivi quarto, quinto, sesto, settimo, ottavo e nono del ricorso della (OMISSIS) vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e si rivelano infondati, nei sensi di cui in motivazione. 4.2. Le censure sono volte ad affermare che alla ricorrente spettasse un corrispettivo per il servizio di vigilanza e custodia, prestato dal 1999 al 2006, di un parcheggio multipiano sito all'interno del complesso aeroportuale, prescindendo dal contenuto testuale del contratto stipulato tra le parti il 10 dicembre 1999, essenzialmente relativo all'affidamento alla stessa (OMISSIS) del servizio di assistenza stradale di prima utilita' in prossimita' dello scalo. Secondo la prospettazione della ricorrente, sarebbe decisivo ricostruire il contenuto delle laboriose trattative intercorse tra il 1999 ed il 2000, che avevano portato ad intese verbali ulteriori rispetto a quelle documentate nel richiamato contratto ed avevano in realta' riguardato altresi' l'apertura e la gestione di un'area di servizio e vendita carburante e di lavaggio autovetture. Oltre che a titolo di corrispettivo contrattuale, le pretese della (OMISSIS) adducono ragioni di risarcimento dei danni o di indennizzo per ingiustificato arricchimento. 4.3. Assumono percio' rilievo preliminare le questioni che attengono alla necessita' della redazione in forma scritta degli accordi intercorsi tra la (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) S.p.A., agli effetti del Regio Decreto n. 2440 del 1923, articoli 16 e 17. La conclusione della soggezione alla regola di forma ad substantiam indurrebbe a privare di rilevanza ai fini dell'azione contrattuale, per difetto del fatto costitutivo, gli eventuali accordi solo verbali, non consacrati in apposito documento, come i comportamenti attuativi di essi, o le manifestazioni tacite di volonta'. 4.3.1. A differenza di quanto pacificamente ritenuto nella sentenza impugnata e negli atti di parte del presente giudizio di cassazione (ancora nella memoria ex articolo 378 c.p.c., della ricorrente, pagine 27 e seguenti, in particolare), non deve, peraltro, farsi riferimento alle diposizioni introdotte dal Decreto Legislativo n. 12 aprile 2006, n. 163, in quanto la validita' di un contratto va valutata in base alle norme vigenti al momento della sua formazione. 4.4. L' (OMISSIS) S.p.A., per quanto risulta dedotto in atti, e' titolare di concessione di esercizio delle attivita' aeroportuali, ai sensi della L. 24 dicembre 1993, n. 537 e del Decreto Ministeriale 12 novembre 1997, n. 521. Si tratta di societa' per azioni a prevalente capitale pubblico. Nell'ambito della fattispecie oggetto di causa, relativa, come meglio si vedra' in seguito, alla subconcessione del servizio di assistenza automobilistica nel parcheggio aeroportuale, e altresi' alla prestazione di sorveglianza di un autoparcheggio nell'area antistante lo scalo, avuto riguardo alla disciplina vigente all'epoca della stessa, la ricorrente doveva dunque dirsi rientrante nella categoria dei "soggetti aggiudicatori" quale impresa pubblica del Decreto Legislativo 17 marzo 1995, n. 158, ex articolo 2, lettera b (Attuazione delle direttive 90/531/CEE e 93/38/CEE relative alle procedure di appalti nei settori esclusi), tenuta all'applicazione delle norme di evidenza pubblica e della forma scritta del contratto (arg. da Cass. n. 15645 del 2018; n. 24640 del 2016; Sez. Unite n. 10443/2008), ai sensi dell'articolo 2, lettera a), della L. 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici). Il requisito della forma scritta imposto a pena di nullita' implica che la volonta' pattizia dell' (OMISSIS) dev'essere desunta esclusivamente dal contenuto del contratto del 10 dicembre 1999, interpretato secondo i canoni ermeneutici di cui agli articoli 1362 c.c. e segg., non potendosi fare ricorso alle determinazioni unilaterali o alle intese verbali attinenti la fase preparatoria del negozio, le quali, essendo atti estranei al documento contrattuale, si rivelano prive di valore interpretativo o ricognitivo delle clausole negoziali, a meno che non risultino espressamente richiamate dalle parti; ne' puo' aversi riguardo, per la ricostruzione della comune intenzione delle parti ex articolo 1362 c.c., comma 2, ai comportamenti attuativi mantenuti dalle stesse nella fase esecutiva del rapporto, operando il vincolo formale altresi' per le modifiche successive del contratto (cfr. Cass. n. 11190 del 2018; n. 17946 del 2013; n. 21265 del 2007). 4.5. Va corretta la motivazione della sentenza della Corte d'appello di Venezia in punto di qualificazione giuridica del rapporto inter partes, restando conforme a diritto il dispositivo della decisione. 4.5.1. I giudici di appello hanno affermato che il contratto intercorso tra le parti potesse qualificarsi come contratto atipico, misto, di subconcessione (per quanto atteneva all'attivita' di car valeting) e di appalto di servizi (per quanto atteneva all'attivita' di custodia e di sorveglianza del parcheggio multipiano). 4.5.2. Ora, le Sezioni Unite di queste Corte, alla stregua dell'interpretazione dettata dalla Corte di Giustizia per il diritto dell'Unione Europea, spiegano che per la qualificazione di un'operazione come concessione di servizi o come appalto pubblico di servizi e' dirimente osservare, sotto un profilo strutturale, che nell'appalto il servizio viene reso dall'impresa privata affidataria non al pubblico degli utenti, ma alla pubblica amministrazione aggiudicatrice, la quale paga ad essa un corrispettivo, e non determina, proprio in ragione delle modalita' di remunerazione, l'assunzione del rischio di gestione da parte dell'affidataria stessa; viceversa, nella concessione di servizi l'impresa concessionaria gestisce funzionalmente e sfrutta economicamente il servizio, traendo la propria remunerazione dai proventi ricavati in via diretta dagli utenti ed assumendo il rischio legato alla gestione stessa (Cass. Sez. Unite n. 10080 del 2020; n. 9965 del 2017; Corte di Giustizia dell'Unione Europea, 13 luglio 2017, C-701/15, proprio in relazione a contratto di assegnazione di spazi destinati all'assistenza aeroportuale a terra; 10 novembre 2011, C-348/10; 10 marzo 2011, C-274/09; 18 luglio 2007, C-382/05; 18 gennaio 2007, C-220/05). 4.5.3. Il testo dell'articolo 2 del contratto del 10 dicembre 1999 prevedeva l'affidamento alla (OMISSIS) dei "servizi di prima utilita' nel settore dell'assistenza automobilistica, quale centro delegato dall'Associazione (OMISSIS) soccorso stradale, da effettuarsi in ambito del parcheggio autovetture dell' (OMISSIS) ed il servizio di custodia e sorveglianza alle infrastrutture relative ai parcheggi multipiano ed aree scoperte di pertinenza". Il successivo articolo 3 della scrittura affermava che "... il corrispettivo dei servizi, cosi' come descritti nel titolo della presente convenzione, viene proposto ed accettato tra le parti sulla base dello specifico accordo in ordine al quale la ditta (OMISSIS) assume gli oneri, con relativi introiti economici, per l'organizzazione degli interventi di prima utilita' nel settore dell'assistenza automobilistica provvedendo contestualmente, a favore della societa' aeroportuale, ad espletare, senza alcun compenso, l'attivita' di custodia e sorveglianza in h. 24.00 delle infrastrutture denominate (OMISSIS), ivi compresa una cassa automatica ubicata all'interno di esso e delle aree esterne pertinenti, adibite al parcheggio della autovetture...". Non vi era riferimento alcuno alla attivazione della stazione di servizio e autolavaggio. La Corte d'appello di Venezia evidenzia come tale assetto negoziale fosse coerente con la risposta fornita dall' (OMISSIS) in data 12 ottobre 1999 (a seguito della Delib. Consiglio di Amministrazione 16 settembre 1999) alla offerta formulata dalla (OMISSIS) il 30 giugno 1999, leggendosi in detta risposta: "... il corrispettivo delle prestazioni relativi agli interventi di prima utilita' nel settore dell'assistenza automobilistica viene compensato con l'assunzione, senza richiesta di compenso, da parte di codesta ditta dell'attivita' di custodia e sorveglianza delle infrastrutture e delle aree a parcheggio". 4.5.4. Non vi e' pertanto ragione di pervenire ad una duplice qualificazione causale di tale convenzione in termini di subconcessione e di appalto di servizi. La causa del contratto del 10 dicembre 1999 era unica e le varie prestazioni svolte dalla (OMISSIS) risultavano intimamente ed organicamente connesse, nonche' reciprocamente condizionate nella loro essenza e nelle loro modalita' di esecuzione, in quanto preordinate al raggiungimento di un medesimo intento oggettivo, si' da dar vita ad un rapporto convenzionale unitario e con propria individualita'. La qualificazione giuridica di un contratto, che, pur nell'ambito di un unitario rapporto, assuma un carattere anfibologico o anomalo, per l'inserzione di alcune clausole particolari di contenuto complesso, fermo l'accertamento spettante al giudice del merito in ordine alla ricostruzione della comune volonta' delle parti, rimane, invero, sindacabile in cassazione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto quanto alla corretta individuazione della fattispecie legale ed al giudizio di rilevanza giuridica qualificante gli elementi di fatto in concreto accertati. 4.5.5. Con il contratto del 10 dicembre 1999 l' (OMISSIS) aveva dunque affidato alla (OMISSIS) sia servizi di handling all'interno del parcheggio autovetture dello scalo, rientranti nell'ambito dell'assistenza a terra di cui all'allegato A del Decreto Legislativo 13 gennaio 1999, n. 18 (Attuazione della direttiva 96/67/CE relativa al libero accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunita') e strumentali alle operazioni del gestore aeroportuale nei cosiddetti "settori speciali", ovvero allo sfruttamento dell'area messa a disposizione del soggetto aggiudicatore per il perseguimento dei suoi scopi istituzionali, sia il servizio di sorveglianza dei parcheggi multipiano gestiti dall' (OMISSIS), non rientrante nell'elenco dei servizi di assistenza propedeutici al trasporto aereo. 4.6. Deve allora qualificarsi unitariamente come subconcessione il contratto stipulato da una societa' a capitale prevalentemente pubblico concessionaria di servizi aeroportuali con un prestatore, volto all'affidamento del servizio di assistenza a terra nel parcheggio dell'aeroporto, strumentale alla partenza e all'arrivo dei passeggeri e dunque al funzionamento dell'aerostazione e all'interesse generale della collettivita', agli effetti del Decreto Legislativo n. 18 del 1999, percio' soggetto alle regole dell'evidenza pubblica, non incidendo su tale qualificazione unitaria il contemporaneo affidamento alla concessionaria del servizio accessorio di custodia di un parcheggio multipiano compreso nella stessa infrastruttura (si vedano indicativamente Cass. Sez. Unite n. 23322 del 2009; n. 8849 del 2020). 4.7. Non essendosi in presenza di un autonomo "appalto di servizi", e cioe' di un singolo facere fornito dal prestatore in favore del committente, la subconcessionaria (OMISSIS) non ha ragione di domandare all'ente gestore dell'aeroporto di (OMISSIS) S.p.A. il pagamento di un apposito prezzo. L' (OMISSIS) S.p.A., titolare, in forza di concessione, della gestione dei servizi aeroportuali, con il contratto del 10 dicembre 1999 ha affidato all'operatrice selezionata (OMISSIS) il servizio di assistenza automobilistica, nonche' la custodia del parcheggio multipiano, riconoscendo ad essa a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire il servizio oggetto della convenzione ed assumendo la medesima handler a proprio carico il rischio operativo della gestione. 4.8. La mancata previsione di un prezzo a carico dell' (OMISSIS) per l'attivita' di custodia del multipiano espletata dalla subconcessionaria (OMISSIS) e' dunque giustificata dalla non configurabilita' della stessa, stando al testo formale del contratto, come servizio isolatamente reso in favore del primo; detto facere era inserito in una piu' complessa sinallagmaticita' di rapporti, ritraendo la (OMISSIS) il titolo remunerativo delle proprie prestazioni dal diritto di gestire per un certo tempo un'attivita' economica di interesse generale. Cio' nemmeno altera, come paventa la ricorrente, la tipicita' propria dei contratti ad oggetto pubblico, o ad evidenza pubblica, appunto perche' la qualificazione cui si e' pervenuti conferma che lo schema contrattuale utilizzato non esulava dalla concessione di servizi pubblici, il che, allo stesso tempo, preclude la diretta applicazione alla convenzione - in ragione delle finalita' di interesse pubblico da essa perseguite per il tramite delle rispettive prestazioni - delle norme del codice civile in tema di obbligazioni e contratti, le quali regolano il rapporto patrimoniale consensualmente instaurato tra privati. 4.9. Che la relativa prestazione, nel complessivo assetto dell'accordo, potesse rivelarsi antieconomica per l'operatrice subconcessionaria dell'assistenza automobilistica era evenienza astrattamente prevedibile quale effetto della fisionomica assunzione del rischio di gestione da parte dell'affidataria e comunque scongiurabile anche mediante esercizio della facolta' di tempestiva disdetta ai sensi dell'articolo 7 della convenzione, la quale avrebbe potuto impedire il prolungato rinnovo della subconcessione proprio rivalutando di anno in anno gli impegni di spesa e l'opportunita' della prosecuzione del rapporto. 4.10. Non vi e' spazio per l'azione generale di arricchimento, giacche' essa ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicche' non e' neppure astrattamente configurabile ove l'incremento e la diminuzione patrimoniali siano invece reciproca conseguenza, come nella specie, di un contratto o di altro rapporto compiutamente regolato. 4.11. Nemmeno e' prospettabile una responsabilita' dell' (OMISSIS) per il mancato inserimento nell'accordo formalizzato della concessione di attivazione della stazione di servizio e autolavaggio e per la lesione dell'affidamento ingenerato dalle trattative (peraltro da individuare nel contesto delle regole dell'evidenza pubblica, le quali implicano la rilevanza delle sole attivita' precontrattuali riferibili agli organi rappresentativi dell'ente o agli organi cui e' istituzionalmente devoluta la formazione della sua volonta'). La Corte d'appello di Venezia, apprezzando le risultanze delle prove testimoniali e documentali (in particolare, dell'offerta della (OMISSIS) del 30 giugno 1999 e dell'accettazione dell' (OMISSIS) del 12 ottobre 1999), ha escluso che la (OMISSIS) si fosse determinata ad accettare l'accordo del 10 dicembre 1999, e in particolare l'espletamento del servizio di custodia e sorveglianza del multipiano, quale "corrispettivo" dell'auspicata apertura della stazione di carburante e di lavaggio, cui non fa cenno il testo negoziale. Tale ricostruzione di fatto, che non e' censurabile in questa sede se non nei limiti dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e, nella specie, dell'articolo 348-ter c.p.c., comma 5, ha portato a negare che la condotta dell' (OMISSIS) si connotasse per violazione della buona fede, della correttezza, della lealta' e della diligenza, avendo il concessionario tempestivamente preso in considerazione l'offerta della (OMISSIS) e poi proposto modifiche ed integrazioni, condivise della subconcessionaria, senza ingenerare in quest'ultima forviati affidamenti circa un diverso contenuto del contratto. 5. Il decimo motivo del ricorso della (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., in relazione alla regolamentazione delle spese di lite di entrambi i gradi, poste a carico della ricorrente. La censura espone che il comportamento processuale dell' (OMISSIS) era stato contrario al dovere di lealta' e probita' di cui all'articolo 88 c.p.c., che la causa era complessa e che l'appello e' stato considerato fondato sul punto della giurisdizione ordinaria e dell'avvenuta stipula tra le parti anche di un contratto di appalto di servizi, di tal che' i giudici del merito avrebbero dovuto procedere ad una compensazione delle spese ai sensi dell'articolo 92 c.p.c., comma 2. 5.1. Anche questo decimo motivo deve essere respinto. 5.2. Ai fini del regolamento delle spese del giudizio la parte soccombente va identificata, in base al principio della causalita', in quella che, lasciando insoddisfatta una pretesa riconosciuta fondata, o azionando una pretesa accertata come infondata, ha dato causa al processo. Tale accertamento va compiuto dal giudice di merito nell'ambito di una valutazione globale ed unitaria rapportata al risultato finale della lite e non alle singole questioni trattate. L'integrale rigetto delle domande di merito avanzate dalla (OMISSIS) porta, dunque, a ritenere che la stessa fosse soccombente agli effetti dell'articolo 91 c.p.c.. La facolta', invece, di disporre la compensazione tra le parti, in forza dell'articolo 92 c.p.c., comma 2 (qui operante ratione temporis secondo la formulazione antecedente alle modifiche introdotte dalla L. 18 giugno 2009, n. 69) rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non e' tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facolta', con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l'eventualita' di una compensazione, non puo' essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (ex multis, Cass. Sez. Unite, 15 luglio 2005, n. 14989). 6. Il ricorso viene, pertanto, rigettato. Le spese del giudizio di cassazione si regolano secondo soccombenza in favore della controricorrente nell'importo liquidato in dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater - da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 20.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da' atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

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