Sentenze recenti pensione vecchiaia anticipata

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CRISTIANO Magda - Presidente Dott. CAIAZZO Rosario - Consigliere Dott. PAZZI Alberto - Consigliere Dott. VELLA Paola - rel. Consigliere Dott. FIDANZIA Andrea - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 6750/2021 R.G. proposto da: (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)), giusta procura speciale allegata al ricorso ( (OMISSIS)); - ricorrente - contro FALLIMENTO (OMISSIS) SPA; - intimato - avverso il DECRETO del TRIBUNALE di SIRACUSA n. 40/2021 depositato il 26/01/2021; udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 14/03/2023 dal Consigliere Dott. PAOLA VELLA; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NARDECCHIA Giovanni Battista, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. FATTI DI CAUSA 1.- Il Giudice delegato al Fallimento (OMISSIS) s.p.a. ha escluso dallo stato passivo il credito di Euro 8.118,11, insinuato a titolo di "TFR via via maturato, trattenuto in azienda e poi risultante non versato al Fondo complementare", per difetto di legittimazione attiva del dipendente (OMISSIS), rigettando altresi' "la richiesta di rinvio per la notifica al Fondo ai fini della surroga ex articolo 2900 c.c., comma 2, perche' incompatibile con la speditezza dell'attuale fase di verifica e perche' la domanda del creditore che agisce in surroga dovrebbe avere ad oggetto l'insinuazione a favore del Fondo rimasto inerte e non in proprio favore". 1.1. - (OMISSIS) ha proposto opposizione L. Fall., ex articolo 98, ritenendo erronea l'affermazione che, con l'adesione al Fondo di previdenza complementare, il lavoratore avrebbe "operato una cessione del proprio credito per il TFR maturando in favore del Fondo", poiche' in realta' "lo strumento giuridico prescelto dal lavoratore per il conferimento del Fondo era da intendersi, secondo la prospettazione del ricorrente, quale delegazione di pagamento". 1.2. - Il Tribunale di Siracusa ha rigettato l'opposizione ritenendo: i) che "nell'ipotesi di insolvenza del datore di lavoro che abbia provveduto ad accantonare il TFR conferito al Fondo di previdenza complementare, senza tuttavia versarlo, il soggetto creditore nei confronti della procedura fallimentare, e quindi legittimato ad insinuarsi al passivo del fallimento, sia unicamente il Fondo al quale il TFR e' stato conferito dal lavoratore", salva la possibilita' di agire in via surrogatoria, in caso di inerzia del Fondo, ex articolo 2900 c.c.; ii) che alla luce del Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 8, commi 7-10, e articolo 11, deve ritenersi che il lavoratore, con il "conferimento" volontario del TFR maturando (esplicito o tacito, ma non revocabile) ad una forma di previdenza complementare, "attua una vera e propria cessione del relativo diritto" al Fondo ed acquisisce il diritto alla diversa "prestazione pensionistica, in rendita o in capitale, quando maturera' i requisiti per l'accesso alle prestazioni della previdenza obbligatoria", fatte salve possibili anticipazioni limitate; iii) che cio' e' indirettamente confermato dal Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5 (che ha istituito "presso l'INPS un apposito Fondo di garanzia contro il rischio derivante dall'omesso o insufficiente versamento, da parte del datore di lavoro insolvente, dei contributi alle forme di previdenza complementare"), per cui il Fondo di garanzia corrisponde le quote di TFR non versate dal datore di lavoro direttamente al Fondo pensione, non al lavoratore (comma 2) e che, in tali casi, "il Fondo e' surrogato di diritto al lavoratore per l'equivalente dei contributi omessi, versati a norma del comma 2" (comma 3); iv) che questa tesi sarebbe coerente con la circolare INPS n. 23 del 22/02/2008 - in base alla quale "ai fini dell'intervento del Fondo di Garanzia il lavoratore deve ottenere l'accertamento dell'esistenza di uno specifico credito relativo alle omissioni contributive per le quali si chiede l'intervento del Fondo, e cio' mediante l'ammissione del credito nello stato passivo della procedura" - poiche' il riferimento all'ammissione al passivo del lavoratore dovrebbe intendersi in via surrogatoria, per il caso di inerzia del Fondo complementare; v) che ove si riconoscesse la legittimazione attiva del lavoratore, la sua ammissione al passivo, "in caso di utile riparto, determinerebbe un'inammissibile monetizzazione anticipata dell'accumulo previdenziale, in palese contrasto con le previsioni di cui al Decreto Legislativo n. 252 del 2005, le quali, come gia' evidenziato, subordinano il diritto alla prestazione pensionistica complementare alla maturazione dei requisiti per l'accesso alle prestazioni della previdenza obbligatoria, e il diritto di chiedere delle anticipazioni - peraltro limitate sia nell'an che nel quantum - al verificarsi delle fattispecie espressamente tipizzate dalla legge"; vi) che nel caso di specie il lavoratore aveva originariamente agito iure proprio e la domanda surrogatoria spiegata per la prima volta in sede di opposizione e' inammissibile, in quanto nuova. 1.3. - Avverso detta decisione (OMISSIS) ha proposto cinque motivi di ricorso per cassazione; il Fallimento intimato non ha svolto difese. 2. - Con ordinanza interlocutoria n. 17700 del 31/05/2022 la sezione 6-1 di questa Corte ha disposto la trattazione della causa in pubblica udienza. RAGIONI DELLA DECISIONE 2.1. - Con il primo motivo si denunzia "Violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, articolo 8, nonche' degli articoli 75, 81 e 100 c.p.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, per aver il Tribunale erroneamente interpretato come "cessione" il concetto di "conferimento" di cui al Decreto Legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, articolo 8, comma 7, escludendo la legittimazione attiva del ricorrente in violazione degli articoli 75, 81 e 100 c.p.c.", in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte per cui "nell'ipotesi di omesso versamento da parte del datore di lavoro del trattamento di fine rapporto accantonato in favore del Fondo di previdenza complementare scelto dal lavoratore, al fine di individuare il soggetto che abbia diritto ad insinuare allo stato passivo la pretesa creditoria deve essere preliminarmente accertata la natura e la funzione dello strumento negoziale di volta in volta utilizzato dalle parti, in virtu' del favor per l'autonomia privata lasciato alle stesse in ambito previdenziale" (Cass. civ., sez. lav., 15/02/2019, n. 4626). In particolare, il tribunale avrebbe ritenuto apoditticamente che si ha in ogni caso una cessione a favore del Fondo - con conseguente legittimazione esclusiva di quest'ultimo a proporre istanza di ammissione al passivo - mentre, "a fronte di mancata prova da parte della Curatela di una cessione (e di cui al 2 motivo di ricorso) e della presunzione, salva prova contraria, che la adesione al Fondo complementare configura una ipotesi di delegazione, il lavoratore e' l'unico soggetto legittimato attivamente ad agire per ottenere il versamento dei contributi previdenziali omessi in favore del Fondo di previdenza complementare prescelto; e cio' anche perche' il rapporto previdenziale complementare - a differenza del sistema pensionistico obbligatorio - non risponde al principio di automaticita' della prestazione e l'omesso versamento dei contributi da parte del datore di lavoro e, per l'effetto, l'omesso accantonamento delle quote di TFR da parte del Fondo pensionistico, si ripercuote negativamente, in maniera diretta e concreta, sul lavoratore, unico interessato a beneficiare della prestazione previdenziale". 2.2. - Il secondo mezzo lamenta "Violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, da parte del Tribunale per non aver ritenuto che l'onere della specifica indicazione del modulo negoziale (se delegazione o cessione) e' a carico del Curatore e che, in caso di mancata prova da parte del curatore, l'espressione "conferimento" del Decreto Legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, articolo 8, debba essere interpretata come delegazione e non come cessione". Il ricorrente evidenzia che nel ricorso L. Fall., ex articolo 98, era stato specificamente contestato che l'onere della prova sullo strumento giuridico utilizzato per il conferimento del TFR gravasse sul lavoratore, ma "il Tribunale ha totalmente omesso qualunque motivazione, in conseguenza della suddetta erronea interpretazione del Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 8" mentre da Cass. 4626/2019 si evincerebbe che detto onere grava sul fallimento. 2.3. - Il terzo motivo denuncia "Violazione e falsa applicazione da parte del Tribunale degli articoli 1269 e 1270 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, per non aver ritenuto che il meccanismo di adesione a fondi di previdenza complementare configuri la fattispecie della delegazione di pagamento di cui all'articolo 1269 c.c., e che ai sensi dell'articolo 1270 c.c., comma 1, il delegante possa revocare la delegazione sino a quando il delegato non abbia assunto l'obbligazione in confronto del delegatario, o non abbia eseguito il pagamento". In particolare, il tribunale non avrebbe considerato che il dipendente, "con l'adesione alla previdenza complementare, opera una vera e propria delegazione di pagamento al datore di lavoro, avente per oggetto il versamento dei contributi ai fini del TFR nei confronti del Fondo di previdenza complementare prescelto"; in tal modo, "una parte del TFR del dipendente viene trasferito al Fondo di previdenza complementare, che accumula - per conto dell'aderente - i contributi versati dal datore di lavoro ed assume l'obbligo di custodirli, gestirli, accantonarli ed incrementarli". Pertanto, poiche' la delegazione si scioglie con la dichiarazione di fallimento, e comunque con la richiesta del lavoratore, questi e' legittimato a chiedere il pagamento delle quote di TFR non versate dal datore di lavoro insolvente, con il privilegio ex articolo 2751 bis c.c., n. 1, anche in forza del principio di "intangibilita' della retribuzione" (Cass. 12964/2010) applicabile alla previdenza complementare. Infine, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, sarebbe sintomatico della titolarita' del diritto, e della conseguente legittimazione processuale in capo al lavoratore, la Legge Delega n. 243 del 2004, articolo 1, comma 2, lettera e), n. 8 - pur rimasto inattuato - che prevedeva la "attribuzione ai fondi pensione della contitolarita' con i propri iscritti al diritto alla contribuzione, compreso il trattamento di fine rapporto (...) e la legittimazione dei fondi stessi, rafforzando le modalita' di riscossione anche coattiva, a rappresentare i propri iscritti nelle controversie aventi ad oggetto i contributo omessi nonche' l'eventuale danno derivante dal mancato conseguimento dei relativi rendimenti". 2.4. - Il quarto mezzo lamenta "Violazione e falsa applicazione da parte del Tribunale del Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5, comma 3, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, per aver interpretato e considerato il Fondo complementare privato come soggetto legittimato alla surrogatoria di diritto al lavoratore per l'equivalente dei contributi omessi, versati a norma del comma 2, e non il Fondo di Garanzia INPS", senza considerare che, come chiarito anche dalla circolare INPS n. 23 del 22/02/2008, "al fine di attivare l'intervento del Fondo di Garanzia INPS per integrare presso il Fondo complementare gli importi a tale titolo non versati dall'azienda, sussiste un interesse attuale e concreto dei lavoratori ad insinuarsi essi al passivo del fallimento, al fine di ottenere l'accertamento delle somme, necessario per poi attivare il successivo intervento del Fondo di Garanzia INPS". Il lavoratore in tali ipotesi si deve quindi insinuare al passivo e, una volta ammesso, puo' "richiedere al Fondo di garanzia di integrare presso la gestione di previdenza complementare interessata soltanto i contributi risultanti omessi" (Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5, comma 2), sicche' e' il Fondo di Garanzia INPS (e non il Fondo complementare, come erroneamente sostenuto dal tribunale) ad essere "surrogato di diritto al lavoratore per l'equivalente dei contributi omessi, versati a norma del comma 2" (articolo 5, comma 3 Decreto Legislativo cit.), il quale si inserira' pro-quota nello stato passivo, in luogo del lavoratore. 2.5. - Con il quinto motivo ci si duole della "Violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articoli 3, 4, 12 e 13, per aver il Tribunale ritenuto che la natura del TFR possa mutare a seconda che il lavoratore scelga espressamente di versarlo all'INPS o ad un Fondo privato o rimanga inerte". Osserva il ricorrente che, a fronte della triplice scelta disponibile per il lavoratore - "1) scelta espressa di mantenere il TFR in azienda; 2) opzione per il TFR ad un Fondo complementare; 3) il silenzio: in tale ultimo caso, a decorrere dal mese successivo alla scadenza dei sei mesi ivi previsti, il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando dei dipendenti alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi, ovvero, in caso di presenza di piu' forme pensionistiche, a quella alla quale abbia aderito il maggior numero di lavoratori dell'azienda; in mancanza il TFR trasferito alla forma pensionistica complementare istituita presso l'INPS (come accaduto per la (OMISSIS) spa)" - il tribunale, con interpretazione illogica, ricollega alle tre scelte una "trasformazione della natura del TFR", senza che da alcuna norma emerga l'intenzione del legislatore di modificare la natura delle "quote del TFR", ovvero la natura sostanzialmente "retributiva" (o in ogni caso contributiva) del diritto conferito al Fondo e la "diretta titolarita'" del diritto in capo al lavoratore. Sottolinea poi che "la giurisprudenza della Corte di Cassazione (anche a sezioni unite) ha insistito nell'affermare che le prestazioni pensionistiche integrative o complementari sono, anch'esse come il TFR, retribuzione differita con funzione previdenziale" e che, "non diversamente, anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunita' Europee ha avuto, piu' volte, modo di affermare che le prestazioni erogate dai regimi di previdenza complementare privata rientrano nella nozione di retribuzione dettata dall'articolo 141 (ex articolo 119) del Trattato UE". Aggiunge, infine, che il tribunale ha del tutto trascurato "la distinzione fra i fondi chiusi (Decreto Legislativo n. 252 del 2005, ex articolo 3, di origine "negoziale", che sono forme pensionistiche complementari istituite dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro nell'ambito della contrattazione nazionale, di settore o aziendale), i fondi aperti (Decreto Legislativo n. 252 del 2005, ex articolo 12, che sono forme di accantonamento complementari istituite da banche, imprese di assicurazioni, societa' (OMISSIS) e societa' (OMISSIS)) ed, infine, i Piani pensionistici individuali (PIP) (Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 13, che rappresentano i contratti di assicurazione sulla vita con finalita' previdenziale)", e non ha quindi considerato che gli statuti dei cd. fondi aperti "lasciano ampiamente libero il lavoratore di riscattare totalmente e/o parzialmente le somme versate e/o di cambiare istituto di previdenza complementare in qualsiasi momento", per cui, "in tali casi, se il lavoratore ha la piena facolta' di disporre del TFR, riscattandolo in tutto o in parte o trasferendolo, tale diritti sono incompatibili con il concetto di cessione del credito, cosi' come ipotizzato dal Tribunale di Siracusa". 3. - I motivi, in quanto connessi, vanno esaminati congiuntamente e meritano accoglimento. 3.1. - Per un rapido inquadramento della controversia, giova premettere che la disciplina delle forme pensionistiche complementari, collocate nell'alveo dell'articolo 38 Cost., al pari della previdenza obbligatoria (secondo la teoria della "funzionalizzazione della previdenza complementare": cfr. Corte Cost. n. 421 del 1995 e n. 393 del 2000), trova il suo attuale referente normativo nel Decreto Legislativo n. 5 dicembre 2005, n. 252, emanato in attuazione della Legge Delega n. 243 del 2004 ("Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all'occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria"), che ha operato una riforma organica del settore, nella prospettiva di una complessiva armonizzazione e razionalizzazione, informandolo al principio di autonomia (ancorche' "funzionalizzata"). In particolare, il Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 1, comma 2, prevede che "l'adesione alle forme pensionistiche complementari... e' libera e volontaria" mentre il successivo articolo 3, comma 1, dispone che "le fonti istitutive delle forme pensionistiche complementari", nella loro modulazione negoziale collettiva e regolamentare, "stabiliscono le modalita' di partecipazione, garantendo la liberta' di adesione individuale". 3.2. - Per quanto rileva in questa sede, il finanziamento delle forme pensionistiche complementari e' attuabile mediante il versamento di contributi a carico del lavoratore, del datore di lavoro e del committente, o anche attraverso il conferimento del TFR maturando (Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 8, comma 1), che comporta l'adesione alle forme pensionistiche complementari, in modalita' espressa o tacita, ai sensi dell'articolo 8, comma 7, lettera a), b), Decreto Legislativo cit.; sono queste le risorse che i fondi gestiscono secondo le modalita' previste dall'articolo 6 e che costituiscono la provvista delle prestazioni erogate a norma del successivo articolo 11. 3.3. - La rigidita' degli effetti conseguenti all'adesione al Fondo, previsti dal Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 11 (che vincola la partecipazione individuale fino alla maturazione, a norma del comma 2, dei requisiti per la riscossione delle prestazioni pensionistiche, fatta salva la previsione statutaria o regolamentare del Fondo della possibilita' di riscatto della posizione individuale ai sensi del successivo articolo 14, comma 1, nonche' la facolta' di ottenere anticipazioni della posizione individuale maturata, a norma dello stesso articolo 11, comma 7), e' temperata dell'articolo 14, comma 6, che, anche per incentivare la partecipazione dei lavoratori, prevede la cd. "portabilita'" dell'intera posizione individuale (i.e. la facolta' del suo trasferimento ad un'altra forma di previdenza complementare). 3.4. - Completa il quadro di riferimento la recente affermazione, da parte delle Sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. U., 12209/2022), che "portabilita'" e "riscatto" integrano un "principio generale del sistema previdenziale complementare" e rappresentano un "diritto" applicabile "a tutti i fondi complementari preesistenti all'entrata in vigore della L. n. 421 del 1992, indipendentemente dalle loro caratteristiche strutturali, ivi compresi quelli funzionanti secondo il sistema cd. a ripartizione o a capitalizzazione collettiva e a prestazione definita, essendo comunque ravvisabile una posizione individuale di valore determinabile, la cui consistenza va parametrata ai contributi versati al Fondo, compresi quelli datoriali, ed ai rendimenti provenienti dal loro impiego produttivo". In tal senso, il riconoscimento del diritto alla portabilita' e al riscatto e' in sintonia con l'assetto dato dal legislatore delegato al sistema previdenziale integrativo, mediante i Decreto Legislativo n. 124 del 1993 e Decreto Legislativo n. 252 del 2005, con l'obiettivo di "favorire la reale liberalizzazione dei diversi veicoli pensionistici complementari e l'affermazione piena di una reale consapevolezza del risparmiatore nella scelta dello strumento ritenuto piu' idoneo alla realizzazione della copertura previdenziale", in una cornice normativa volta ad ampliare le liberta' di scelta dei lavoratori iscritti alle forme pensionistiche complementari, coerentemente con l'estensione dei margini di libera circolazione nel sistema della previdenza complementare e in una logica di sviluppo, in senso compiutamente Europeo, della disciplina nazionale" (il riferimento e' alla Direttiva 1998/49/CE del 29 giugno 1998 relativa alla salvaguardia dei diritti a pensione complementare dei lavoratori subordinati e dei lavoratori autonomi che si spostano all'interno della Comunita' Europea; alla Direttiva n. 2003/41/CE, del Parlamento Europeo e del Consiglio, 3 giugno 2003, relativa alle attivita' e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali - EPAP; alla Direttiva 2014/50/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, relativa ai requisiti minimi per accrescere la mobilita' dei lavoratori tra Stati membri migliorando l'acquisizione e la salvaguardia di diritti pensionistici complementari). 4. - Cio' premesso in linea generale, l'aspetto piu' delicato della disciplina delle forme pensionistiche complementari riguarda proprio il "conferimento" del TFR maturando, poiche', nell'ipotesi di insolvenza del datore di lavoro che abbia accantonato il TFR conferito al Fondo di previdenza complementare, senza tuttavia versarlo, si pone il problema di individuare - nell'ambito del rapporto associativo tra lavoratore e Fondo, intermediato dal datore di lavoro (quale debitore delle quote tempo per tempo maturate) - quale sia il soggetto legittimato ad insinuare allo stato passivo la corrispondente pretesa creditoria, anche alla luce della previsione dell'intervento dell'apposito Fondo di Garanzia dell'Inps, in caso di omissione contributiva del datore di lavoro soggetto a procedura concorsuale, con diritto di surrogazione al lavoratore, a norma del Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5, commi 2 e 3. La questione in rilievo e' dunque se la legittimazione attiva ai fini dell'insinuazione al passivo del fallimento del datore di lavoro, per le quote del TFR conferito dal dipendente a un Fondo di previdenza complementare - via via maturate e accantonate, ma non versate dal datore di lavoro medesimo - spetti al dipendente, ovvero al Fondo di previdenza complementare. 4.1. - Tale questione e' stata puntualmente affrontata dalla sezione lavoro di questa Corte, con il precedente invocato dal ricorrente (Cass., sez. lav. n. 4626 del 2019), nel quale era in discussione proprio l'individuazione del soggetto che avesse il diritto di insinuare allo stato passivo la pretesa creditoria. 4.2. - Nella citata pronuncia e' stata sottolineata l'atecnicita' dell'espressione "conferimento", contenuta nel Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 8, comma 1 - ritenuta "un sintomo ulteriore, sotto il profilo della liberta' di selezione dello strumento negoziale, del favor per l'autonomia privata in tale ambito previdenziale rispetto a quello obbligatorio" - e la conseguente necessita' di accertare la natura e la funzione del mezzo di volta in volta utilizzato dal lavoratore ai fini dell'adesione al Fondo di previdenza complementare (liberamente negoziabile tra le parti) e, segnatamente, se si tratti di "una delegazione di pagamento, con incarico conferito dal lavoratore al datore di versare le quote di TFR al Fondo, ovvero di loro cessione, quale credito futuro, direttamente dal lavoratore al Fondo, o strumenti ad essi assimilabili", trattandosi di opzioni che comportano "evidenti effetti diversi, in ordine alla titolarita' del credito nei confronti del datore fallito (da insinuare allo stato passivo della procedura concorsuale)". 5. - Anche la Sezione prima civile di questa Corte si e' pronunciata sulla questione in esame, affermando la legittimazione attiva del lavoratore ad insinuarsi al passivo fallimentare per le quote di TFR maturate e non versate al Fondo complementare dal datore di lavoro, poi fallito (Cass. 24510/2021, 12009/2018). 5.1. - In particolare, nella pronuncia del 2021 si e' osservato, in continuita' con il precedente del 2018, che, "anche dopo la modifica della disciplina del trattamento di fine rapporto, nel nuovo e piu' composito panorama normativo (che prevede, per le aziende con almeno 50 dipendenti, il versamento degli accantonamenti presso il Fondo di Tesoreria INPS e anche la possibilita' per il lavoratore di optare per un sistema di previdenza complementare) resta fermo il fatto che il TFR costituisce a tutti gli effetti un credito del lavoratore, la cui esigibilita' e' subordinata alla cessazione del rapporto"; di conseguenza "le quote accantonate del TFR, tanto che siano trattenute presso l'azienda, quanto che siano versate al Fondo di Tesoreria dello Stato presso l'I.N.P.S. ovvero conferite in un Fondo di previdenza complementare, sono intrinsecamente dotate di potenzialita' satisfattiva futura e corrispondono ad un diritto certo e liquido del lavoratore, di cui la cessazione del rapporto di lavoro determina l'esigibilita'". 5.2. - E' stato cosi' ribadito il principio in base al quale "il lavoratore e' legittimato a domandare l'ammissione per le quote di TFR maturate e non versate dal datore di lavoro fallito al Fondo Tesoreria dello Stato gestito dall'INPS (o al Fondo complementare) poiche' il datore di lavoro non e' un mero adiectus solutionis causa e non perde la titolarita' passiva dell'obbligazione di corrispondere il TFR stesso" (Cass. 24510/2021; conf. Cass. 12009/2018). 5.3. - Nei menzionati precedenti e' stato altresi' evidenziato come "le disposizioni in esame delineano un sistema in cui l'intervento del Fondo, nei casi in cui e' previsto, da' luogo ad un rapporto trilaterale tra il datore di lavoro, il Fondo ed il prestatore di lavoro, in virtu' del quale: a) il primo e' obbligato nei confronti del secondo a versare il TFR, al pari di quanto avviene per le contribuzioni previdenziali; b) il secondo e' tenuto ad erogare le prestazioni secondo le modalita' previste dall'articolo 2120 c.c., nei limiti della quota maturata a decorrere dall'1 gennaio 2007, mentre la parte rimanente resta a carico del datore di lavoro; c) la materiale erogazione del TFR e' affidata al datore di lavoro anche per la parte di competenza del Fondo, salvo conguaglio sui contributi dovuti al Fondo stesso ed agli altri enti previdenziali". 6. - Successivamente (ma prima, si noti, dell'intervento delle Sezioni Unite n. 12209 del 2022, sopra citato sub. 3.4.) la Sezione lavoro di questa Corte, nel pronunciarsi su fattispecie relativa al mancato versamento da parte del datore di lavoro delle somme dovute a titolo di contribuzione a Fondo di previdenza complementare, a fronte di una delega dei dipendenti al prelievo dalle buste paga, ha affermato che, "in tema di fondi pensione complementari, le regole civilistiche dettate in tema di delegazione di pagamento e di sua revoca sono incompatibili con la disciplina speciale di cui al Decreto Legislativo n. 252 del 2005, essendo demandata agli statuti dei fondi, ex articolo 14 della Legge citata, l'individuazione delle modalita' di trasferimento ad altre forme pensionistiche, nonche' di riscatto totale e parziale; ne consegue che, prestata l'adesione al Fondo, non ne e' consentita la revoca, ma solo la cessazione per il venir meno dei presupposti ed il trasferimento ad altra previdenza complementare, salvo, in ogni caso, il diritto del lavoratore al risarcimento del danno nei confronti del datore di lavoro che abbia trascurato di versare in tutto o in parte i contributi, qualora detto inadempimento si riverberi sulla prestazione da godere, ovvero, in caso di insolvenza del datore di lavoro, salva la possibilita' di sollecitare l'intervento del Fondo di garanzia ai sensi del Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5" (Cass. sez. lav., n. 2406 del 2022). 6.1. - Tale pronuncia richiama in motivazione i principi affermati da Cass. Sez. U., 4784/2015 (invero con riguardo ai contributi del datore di lavoro, i quali hanno sicuramente natura previdenziale e non appartengono a patrimonio del lavoratore), sostenendo: i) che i versamenti effettuati dal datore di lavoro, in proprio ed anche per conto dei lavoratori, hanno natura contributiva e non retributiva (conf. Cass. sez. U., 16084/2021), tenuto conto che la stessa Corte costituzionale (sentenze n. 178 del 2000 e n. 412 del 1995) ha affermato che il legislatore ha inserito la previdenza integrativa nel sistema dell'articolo 38 Cost., per cui le contribuzioni degli imprenditori al finanziamento dei fondi non possono piu' definirsi "emolumenti retributivi con funzione previdenziale", ma sono strutturalmente contributi di natura previdenziale; ii) che "la contribuzione datoriale non entra direttamente nel patrimonio del lavoratore interessato, il quale puo' solo pretendere che tale contribuzione venga versata al soggetto indicato nello statuto; ed infatti il lavoratore non riceve tale contribuzione alla cessazione del rapporto, essendo solo il destinatario di un'aspettativa al trattamento pensionistico integrativo, aspettativa che si concretera' esclusivamente ove maturino determinati requisiti e condizioni previsti dallo statuto del Fondo"; iii) che, "in caso di cessazione del rapporto senza diritto alla pensione integrativa - il che puo' verificarsi quando non siano integrati tutti i presupposti per la maturazione del diritto - il dipendente non ha alcun diritto alla percezione dei contributi versati dal datore di lavoro", a conferma dell'inesistenza di un nesso di corrispettivita'; iv) che il Decreto Legislativo n. 252 del 200, articolo 8, "ribadisce che il finanziamento dei fondi avviene a mezzo di versamento di contributi che non vanno ad immediato vantaggio del lavoratore, ma sono finalizzati proprio a garantire la funzione del trattamento integrativo", per cui, "una volta che si sia aderito al Fondo, l'obbligazione contributiva di finanziamento e' del lavoratore nei confronti del Fondo stesso e lo strumento attraverso il quale essa viene adempiuta (una trattenuta sullo stipendio e successivo versamento a cura del datore di lavoro) non muta la natura dell'obbligazione che resta contributiva e dunque previdenziale"; v) che, in merito alla applicabilita' dell'articolo 1270 c.c., "le regole dettate dal codice civile in tema di delegazione di pagamento e di sua revoca risultano incompatibili con la disciplina speciale dettata dal Decreto Legislativo n. 252 del 2005, che demanda agli Statuti ed ai regolamenti la definizione delle modalita' (articolo 14, comma 1) di trasferimento ad altre forme pensionistiche complementari, delle regole per la permanenza nella forma pensionistica complementare nonche' di riscatto totale o parziale delle posizioni individuali i casi di riscatto parziale (articolo 14, comma 1, lettera b) o totale (articolo 14, comma 1, lettera c)"; vi) che, "a fronte di una gia' prestata adesione, che puo' essere anche tacita come per il tfr, non e' consentita la revoca ma solo la cessazione per venir meno dei presupposti e il trasferimento ad altra previdenza complementare (v. Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 14)", salvo "il diritto al risarcimento del danno da azionare direttamente nei confronti del datore di lavoro che abbia trascurato di versare in tutto o in parte il contributo volontario del lavoratore qualora si riverberi sulla prestazione da godere ovvero, nel caso di insolvenza del datore di lavoro, persiste la possibilita' di sollecitare l'intervento del Fondo di garanzia ai sensi del Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5"; vii) che "il lavoratore ben puo' agire per ottenere coattivamente il versamento delle somme da parte del datore di lavoro che le abbia trattenute. Quello che invece non puo' fare, perche' le finalita' della disciplina legislativa sono quelle di assicurare una speciale tutela ai fondi complementari per garantirne il funzionamento, e' proprio chiedere la restituzione degli importi trattenuti. La correttezza di tale ricostruzione trova conferma proprio nella circostanza che e' accordata all'assicurato la facolta' di chiedere l'intervento del Fondo di garanzia in caso di insolvenza"; viii) infine, e soprattutto, che non vi sarebbero "argomenti per limitare l'intervento del Fondo ai soli contributi posti a carico diretto del datore di lavoro e non anche a quelli in relazione ai quali il datore di lavoro funge da intermediario del pagamento, atteso che contro il rischio dell'omesso o insufficiente versamento (...) al Fondo e' possibile chiedere l'integrazione dei versamenti stessi ma non anche la corresponsione dei relativi importi"; ix) di conseguenza, che "l'insinuazione al passivo del lavoratore e' meramente prudenziale ed opera per il caso di inerzia dell'Istituto". 7. - Ad avviso del Collegio, ed in linea con le conclusioni del P.G., le suddette argomentazioni - che peraltro riguardano solo incidentalmente il tema della contribuzione del lavoratore mediante accantonamento delle quote di TFR - non sono idonee a superare il pregresso orientamento, di cui sopra si e' dato conto, al quale si intende dare continuita'. 7.1. - Non appare in primo luogo condivisibile l'affermata incompatibilita' tra l'istituto generale della delegazione di pagamento e gli istituti speciali della cd. portabilita' e del riscatto, contemplati dal Decreto Legislativo n. 252 del 2005, di fronte a risorse in tesi non ancora entrate nel patrimonio del Fondo di previdenza complementare, ma indebitamente trattenute dal datore di lavoro. Merita invece conferma la diversa impostazione, gia' sostenuta dalla stessa sezione lavoro, per cui occorre verificare se il "conferimento" del TFR si sia concretamente tradotto in una vera e propria cessione, ovvero in una delegazione di pagamento ai sensi dell'articolo 1270 c.c., poiche', in caso di fallimento, il contratto di mandato - quale e' la delegazione di pagamento - si scioglie (L. Fall., articolo 78, comma 2). Cio' anche in considerazione del fatto che il sistema della previdenza complementare e' sottratto al principio dell'automaticita' delle prestazioni, proprio della previdenza pubblica, nel cui ambito il nesso tra contribuzione e prestazione (intimamente correlate, per quanto concettualmente distinte) risulta "allentato" in funzione del principio di solidarieta' (Cass. Sez. U., 16084/2021). 7.2. - Non appare convincente nemmeno l'interpretazione data al Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5, sostenuta anche dal giudice a quo. La norma citata dispone: i) che "contro il rischio derivante dall'omesso o insufficiente versamento da parte dei datori di lavoro sottoposti a una delle procedure di cui all'articolo 1" (i.e. fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria) "dei contributi dovuti per forme di previdenza complementare di cui al Decreto Legge 29 marzo 1991, n. 103, articolo 9-bis, convertito, con modificazioni, nella L. 1 giugno 1991, n. 166, per prestazioni di vecchiaia, comprese quelle per i superstiti, e' istituito presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale un apposito Fondo di garanzia" (comma 1); ii) che "nel caso in cui, a seguito dell'omesso o parziale versamento dei contributi di cui al comma 1 ad opera del datore di lavoro, non possa essere corrisposta la prestazione alla quale avrebbe avuto diritto, il lavoratore, ove il suo credito sia rimasto in tutto o in parte insoddisfatto in esito ad una delle procedure indicate al comma 1, puo' richiedere al Fondo di garanzia di integrare presso la gestione di previdenza complementare interessata i contributi risultati omessi" (comma 2); iii) che "il Fondo e' surrogato di diritto al lavoratore per l'equivalente dei contributi omessi, versati a norma del comma 2" (comma 3). 7.3. - Ebbene, dal testo della norma emerge chiaramente che il lavoratore ha diritto di vedere soddisfatte le proprie pretese in sede concorsuale e che, in caso di insoddisfazione totale o parziale nell'ambito della procedura di riferimento, puo' chiedere l'intervento del Fondo di garanzia per integrare presso il Fondo complementare i contributi non versati dal datore di lavoro, e in quel caso il Fondo di garanzia "e' surrogato di diritto al lavoratore per l'equivalente dei contributi omessi". Si tratta dunque di un diritto che compete in prima battuta al lavoratore nei confronti del datore di lavoro, tanto che, in caso di fallimento di quest'ultimo, e' mera facolta' del lavoratore richiedere l'intervento del Fondo di garanzia, il quale poi si surroga al lavoratore nell'ammissione al passivo fallimentare. Diversamente, la legittimazione all'insinuazione al passivo rimane in capo al lavoratore, il cui rapporto con il Fondo di previdenza complementare resta disciplinato dalle specifiche regole associative. 7.4. - Tale interpretazione e' avvalorata ancor piu' chiaramente dalla circolare INPS n. 23 del 22/02/2008, per cui "ai fini dell'intervento del Fondo di Garanzia il lavoratore deve ottenere l'accertamento dell'esistenza di uno specifico credito relativo alle omissioni contributive per le quali si chiede l'intervento del Fondo, e cio' mediante l'ammissione del credito nello stato passivo della procedura". 8. - Come visto, il Tribunale sostiene che "attraverso il "conferimento" volontario, esplicito o tacito, da parte del lavoratore (...) del TFR maturando ad una forma di previdenza complementare, si attua una vera e propria cessione del relativo diritto al fondo di previdenza di volta in volta individuato". 8.1. - Al contrario, l'utilizzo, nel Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 8, di un'espressione atecnica e omnicomprensiva, quale "conferimento", puo' essere letto come elemento sintomatico della volonta' del legislatore di favorire l'autonomia privata nell'ambito della previdenza complementare (rispetto a quella obbligatoria), consentendo la libera selezione dello specifico strumento negoziale tramite cui effettuare il finanziamento del Fondo previdenziale, il quale puo' quindi estrinsecarsi non solo in una delegazione di pagamento (con mandato del lavoratore al proprio datore di lavoro di versare le quote di TFR al Fondo), ma anche in una cessione al Fondo del credito futuro per quote di TFR. Di qui la necessita' di ricostruire la volonta' delle parti, accertando, in particolare, se il conferimento del TFR sottenda una delegazione di pagamento (articolo 1268 c.c.) ovvero la cessione di un credito futuro (articolo 1260 c.c.), poiche' si tratta di una qualificazione che incide sulla titolarita' del diritto e sulla conseguente legittimazione a dedurlo in causa, come di recente osservato anche dal Giudice delle Leggi, tenuto conto della mancata attuazione delle previsioni della legge-delega "in ordine alla contitolarita', in capo ai fondi pensione e agli iscritti, del diritto alla contribuzione e del diritto al TFR (L. n. 243 del 2004, articolo 1, comma 2, lettera e), n. 8)" (Corte Cost. 15 luglio 2021, n. 154). Al riguardo il P.G. sottolinea nella sua requisitoria che quella contitolarita' avrebbe forse ovviato ai contrasti interpretativi emersi (cui ha contribuito anche l'inerzia dei fondi, sovente registrata nella prassi), facendo proprio l'auspicio della Consulta di "una piu' attenta sistemazione da parte del legislatore, chiamato a risolvere le aporie che pur emergono dalle questioni oggi scrutinate", in una "materia assai rilevante sul piano delle attese sinergie fra mutualita' volontaria e regime pensionistico pubblico". 8.2. - Ai fini che ne occupano non va trascurato che il contesto normativo di riferimento, e in particolare il Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5 (della cui esegesi si e' dato conto sopra, anche alla luce della citata circolare INPS n. 23/2008), lascia presumere che il "conferimento" in parola mantenga ferma la legittimazione attiva del lavoratore, dovendosi percio' in linea di principio interpretare (anche in ragione del favor lavoratoris) come mera delegazione di pagamento - destinata a sciogliersi con il fallimento, a norma della L. Fall., articolo 78, comma 2 - salvo che dai documenti prodotti dalle parti a supporto, rispettivamente, della domanda e della eventuale eccezione di difetto di legittimazione attiva, o comunque dall'istruttoria svolta, emerga che si sia trattato di una vera e propria cessione di credito, con conseguente trasferimento del relativo diritto al Fondo complementare, da cui consegue la legittimazione attiva di quest'ultimo. 9. - Va dunque affermato il seguente principio di diritto: "In tema di previdenza complementare, il generico riferimento, contenuto nel Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 8, comma 1, al "conferimento" del TFR maturando alle forme pensionistiche complementari, lascia aperta la possibilita' che le parti, nell'esplicazione dell'autonomia negoziale loro riconosciuta dall'ordinamento, pongano in essere non gia' una delegazione di pagamento (articolo 1268 c.c.) bensi' una cessione di credito futuro (articolo 1260 c.c.). In caso di fallimento del datore di lavoro, la legittimazione ad insinuarsi al passivo per le quote di TFR maturate e accantonate ma non versate al Fondo di previdenza complementare spetta, di regola, al lavoratore, stante lo scioglimento del rapporto di mandato in cui si estrinseca la delegazione di pagamento al datore di lavoro, salvo che dall'istruttoria emerga che vi sia stata una cessione del credito in favore del Fondo predetto, cui in quel caso spetta la legittimazione attiva ai sensi della L. Fall., articolo 93 ". 9.1. - Il decreto impugnato va quindi cassato con rinvio affinche' il Tribunale di Siracusa decida la causa attenendosi ai principi sopra indicati, oltre a provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimita'. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato nei sensi di cui in motivazione e rinvia al Tribunale di Siracusa, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita'.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CRISTIANO Magda - Presidente Dott. CAIAZZO Rosario - Consigliere Dott. PAZZI Alberto - Consigliere Dott. VELLA Paola - rel. Consigliere Dott. FIDANZIA Andrea - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 7030/2021 R.G. proposto da: (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)), giusta procura speciale allegata al ricorso ( (OMISSIS)); - ricorrente - contro FALLIMENTO (OMISSIS) SPA; - intimato - avverso il DECRETO del TRIBUNALE di SIRACUSA n. 34/2021 depositato il 26/01/2021; udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 14/03/2023 dal Consigliere Dott. PAOLA VELLA; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NARDECCHIA Giovanni Battista, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. FATTI DI CAUSA 1.- Il Giudice delegato al Fallimento (OMISSIS) s.p.a. ha escluso dallo stato passivo il credito di Euro 14.950,55 - insinuato con il privilegio ex articolo 2751-bis c.c., a titolo di "TFR via via maturato e solo in parte versato dall'azienda al Fondo complementare (OMISSIS) al quale il sig. (OMISSIS) aveva aderito", per difetto di legittimazione attiva del ricorrente, osservando che, "anche accedendo alla tesi secondo cui la sussistenza della legittimazione del lavoratore ad insinuare al passivo il TFR conferito (e non versato dal datore di lavoro al Fondo previdenziale) dipende dallo strumento negoziale prescelto dalle parti (delegazione di pagamento o cessione del credito futuro)" (Cass. Sez. Lav. n. 4626/2019) - "opzione interpretativa che appare comunque incompatibile con l'espressione utilizzata dal legislatore in quanto la parola "conferimento" implica il trasferimento del diritto - nella specie l'istante non ha documentato lo strumento giuridico attraverso cui il TFR e' stato conferito, onere che non puo' ritenersi gravante sulla curatela fallimentare perche' afferente alla posizione soggettiva invocata dal lavoratore e perche' il curatore e' terzo rispetto al rapporto tra lavoratore e datore di lavoro fallito". 1.1. - (OMISSIS) ha proposto opposizione L. Fall., ex articolo 98, deducendo che, "non avendo il curatore fornito prova (l'onere era suo carico) della specifica indicazione del modulo negoziale (se delegazione o cessione) tramite allegazione, per ogni singolo lavoratore, del modulo negoziale, al fine di contestare la legittimazione attiva, lo strumento giuridico prescelto dal lavoratore per il conferimento del TFR al Fondo era da intendersi quale delegazione di pagamento, con conseguente legittimazione attiva del lavoratore"; in subordine, ha proposto domanda di ammissione del credito in surroga del Fondo di previdenza complementare, previa assegnazione di termine per l'integrazione del contraddittorio, ex articolo 2900 c.c., comma 2. 1.2. - Il Tribunale di Siracusa ha rigettato l'opposizione ritenendo: i) che "nell'ipotesi di insolvenza del datore di lavoro che abbia provveduto ad accantonare il TFR conferito al Fondo di previdenza complementare, senza tuttavia versarlo, il soggetto creditore nei confronti della procedura fallimentare, e quindi legittimato ad insinuarsi al passivo del fallimento, sia unicamente il Fondo al quale il TFR e' stato conferito dal lavoratore", salva la possibilita' di agire in via surrogatoria, in caso di inerzia del Fondo, ex articolo 2900 c.c.; ii) che alla luce del Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 8, commi 7-10, e articolo 11, deve ritenersi che il lavoratore, con il "conferimento" volontario del TFR maturando (esplicito o tacito, ma non revocabile) ad una forma di previdenza complementare, "attua una vera e propria cessione del relativo diritto" al Fondo ed acquisisce il diritto alla diversa "prestazione pensionistica, in rendita o in capitale, quando maturera' i requisiti per l'accesso alle prestazioni della previdenza obbligatoria", fatte salve possibili anticipazioni limitate; iii) che cio' e' indirettamente confermato dal Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5 (che ha istituito "presso l'INPS un apposito Fondo di garanzia contro il rischio derivante dall'omesso o insufficiente versamento, da parte del datore di lavoro insolvente, dei contributi alle forme di previdenza complementare"), laddove prevede che il Fondo di garanzia corrisponde le quote di TFR non versate dal datore di lavoro direttamente al Fondo pensione, non al lavoratore (comma 2) e che, in tali casi, "il Fondo e' surrogato di diritto al lavoratore per l'equivalente dei contributi omessi, versati a norma del comma 2" (comma 3); iv) che questa tesi sarebbe coerente con la circolare INPS n. 23 del 22/02/2008 - in base alla quale "ai fini dell'intervento del Fondo di Garanzia il lavoratore deve ottenere l'accertamento dell'esistenza di uno specifico credito relativo alle omissioni contributive per le quali si chiede l'intervento del Fondo, e cio' mediante l'ammissione del credito nello stato passivo della procedura" - poiche' il riferimento all'ammissione al passivo del lavoratore dovrebbe intendersi in via surrogatoria, per il caso di inerzia del Fondo complementare; v) che, ove si riconoscesse la legittimazione attiva del lavoratore, la sua ammissione al passivo, "in caso di utile riparto, determinerebbe un'inammissibile monetizzazione anticipata dell'accumulo previdenziale, in palese contrasto con le previsioni di Numero di raccolta generale cui al Decreto Legislativo n. 252 del 2005, le quali, come gia' evidenziato, subordinano il diritto alla prestazione pensionistica complementare alla maturazione dei requisiti per l'accesso alle prestazioni della previdenza obbligatoria, e il diritto di chiedere delle anticipazioni - peraltro limitate sia nell'an che nel quantum - al verificarsi delle fattispecie espressamente tipizzate dalla legge"; vi) che nel caso di specie il lavoratore aveva originariamente agito iure proprio e la domanda surrogatoria spiegata per la prima volta in sede di opposizione e' inammissibile, in quanto nuova. 1.3. - Avverso detta decisione (OMISSIS) ha proposto cinque motivi di ricorso per cassazione; il Fallimento intimato non ha svolto difese. 2. - Con ordinanza interlocutoria n. 17704 del 31/05/2022 la sezione 6-1 di questa Corte ha disposto la trattazione della causa in pubblica udienza. RAGIONI DELLA DECISIONE 2.1. - Con il primo motivo si denunzia "Violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, articolo 8, nonche' degli articoli 75, 81 e 100 c.p.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, per aver il Tribunale erroneamente interpretato come "cessione" il concetto di "conferimento" di cui al Decreto Legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, articolo 8, comma 7, escludendo la legittimazione attiva del ricorrente in violazione degli articoli 75, 81 e 100 c.p.c.", in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte per cui "nell'ipotesi di omesso versamento da parte del datore di lavoro del trattamento di fine rapporto accantonato in favore del Fondo di previdenza complementare scelto dal lavoratore, al fine di individuare il soggetto che abbia diritto ad insinuare allo stato passivo la pretesa creditoria deve essere preliminarmente accertata la natura e la funzione dello strumento negoziale di volta in volta utilizzato dalle parti, in virtu' del favor per l'autonomia privata lasciato alle stesse in ambito previdenziale" (Cass. civ., sez. lav., 15/02/2019, n. 4626). In particolare, il tribunale avrebbe ritenuto apoditticamente che si ha in ogni caso una cessione a favore del Fondo - con conseguente legittimazione esclusiva di quest'ultimo a proporre istanza di ammissione al passivo - mentre, "a fronte di mancata prova da parte della Curatela di una cessione (e di cui al 2 motivo di ricorso) e della presunzione, salva prova contraria, che la adesione al Fondo complementare configura una ipotesi di delegazione, il lavoratore e' l'unico soggetto legittimato attivamente ad agire per ottenere il versamento dei contributi previdenziali omessi in favore del Fondo di previdenza complementare prescelto; e cio' anche perche' il rapporto previdenziale complementare - a differenza del sistema pensionistico obbligatorio - non risponde al principio di automaticita' della prestazione e l'omesso versamento dei contributi da parte del datore di lavoro e, per l'effetto, l'omesso accantonamento delle quote di TFR da parte del Fondo pensionistico, si ripercuote negativamente, in maniera diretta e concreta, sul lavoratore, unico interessato a beneficiare della prestazione previdenziale". 2.2. - Il secondo mezzo lamenta "Violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, da parte del Tribunale per non aver ritenuto che l'onere della specifica indicazione del modulo negoziale (se delegazione o cessione) e' a carico del Curatore e che, in caso di mancata prova da parte del curatore, l'espressione "conferimento" del Decreto Legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, articolo 8, debba essere interpretata come delegazione e non come cessione". Il ricorrente evidenzia che nel ricorso L. Fall., ex articolo 98, era stato specificamente contestato che l'onere della prova sullo strumento giuridico utilizzato per il conferimento del TFR gravasse sul lavoratore, ma "il Tribunale ha totalmente omesso qualunque motivazione, in conseguenza della suddetta erronea interpretazione del Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 8" mentre da Cass. 4626/2019 si evincerebbe che detto onere grava sul fallimento. 2.3. - Il terzo motivo denuncia "Violazione e falsa applicazione da parte del Tribunale degli articoli 1269 e 1270 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, per non aver ritenuto che il meccanismo di adesione a fondi di previdenza complementare configuri la fattispecie della delegazione di pagamento di cui all'articolo 1269 c.c., e che ai sensi dell'articolo 1270 c.c., comma 1, il delegante possa revocare la delegazione sino a quando il delegato non abbia assunto l'obbligazione in confronto del delegatario, o non abbia eseguito il pagamento". In particolare, il tribunale non avrebbe considerato che il dipendente, "con l'adesione alla previdenza complementare, opera una vera e propria delegazione di pagamento al datore di lavoro, avente per oggetto il versamento dei contributi ai fini del TFR nei confronti del Fondo di previdenza complementare prescelto"; in tal modo, "una parte del TFR del dipendente viene trasferito al Fondo di previdenza complementare, che accumula - per conto dell'aderente - i contributi versati dal datore di lavoro ed assume l'obbligo di custodirli, gestirli, accantonarli ed incrementarli". Pertanto, poiche' la delegazione si scioglie con la dichiarazione di fallimento, e comunque con la richiesta del lavoratore, questi e' legittimato a chiedere il pagamento delle quote di TFR non versate dal datore di lavoro insolvente, con il privilegio ex articolo 2751 bis c.c., n. 1, anche in forza del principio di "intangibilita' della retribuzione" (Cass. 12964/2010) applicabile alla previdenza complementare. Infine, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, sarebbe sintomatico della titolarita' del diritto, e della conseguente legittimazione processuale in capo al lavoratore, della Legge Delega n. 243 del 2004, articolo 1, comma 2, lettera e), n. 8 - pur rimasto inattuato - che prevedeva la "attribuzione ai fondi pensione della contitolarita' con i propri iscritti al diritto alla contribuzione, compreso il trattamento di fine rapporto (...) e la legittimazione dei fondi stessi, rafforzando le modalita' di riscossione anche coattiva, a rappresentare i propri iscritti nelle controversie aventi ad oggetto i contributo omessi nonche' l'eventuale danno derivante dal mancato conseguimento dei relativi rendimenti". 2.4. - Il quarto mezzo lamenta "Violazione e falsa applicazione da parte del Tribunale del Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5, comma 3, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, per aver interpretato e considerato il Fondo complementare privato come soggetto legittimato alla surrogatoria di diritto al lavoratore per l'equivalente dei contributi omessi, versati a norma del comma 2, e non il Fondo di Garanzia INPS", senza considerare che, come chiarito anche dalla circolare INPS n. 23 del 22/02/2008, "al fine di attivare l'intervento del Fondo di Garanzia INPS per integrare presso il Fondo complementare gli importi a tale titolo non versati dall'azienda, sussiste un interesse attuale e concreto dei lavoratori ad insinuarsi essi al passivo del fallimento, al fine di ottenere l'accertamento delle somme, necessario per poi attivare il successivo intervento del Fondo di Garanzia INPS". Il lavoratore in tali ipotesi si deve quindi insinuare al passivo e, una volta ammesso, puo' "richiedere al Fondo di garanzia di integrare presso la gestione di previdenza complementare interessata soltanto i contributi risultanti omessi" (Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5, comma 2), sicche' e' il Fondo di Garanzia INPS (e non il Fondo complementare, come erroneamente sostenuto dal tribunale) ad essere "surrogato di diritto al lavoratore per l'equivalente dei contributi omessi, versati a norma del comma 2" (articolo 5, comma 3 Decreto Legislativo cit.), il quale si inserira' pro-quota nello stato passivo, in luogo del lavoratore. 2.5. - Con il quinto motivo ci si duole della "Violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articoli 3, 4, 12 e 13, per aver il Tribunale ritenuto che la natura del TFR possa mutare a seconda che il lavoratore scelga espressamente di versarlo all'INPS o ad un Fondo privato o rimanga inerte". Osserva il ricorrente che, a fronte della triplice scelta disponibile per il lavoratore - "1) scelta espressa di mantenere il TFR in azienda; 2) opzione per il TFR ad un Fondo complementare; 3) il silenzio: in tale ultimo caso, a decorrere dal mese successivo alla scadenza dei sei mesi ivi previsti, il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando dei dipendenti alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi, ovvero, in caso di presenza di piu' forme pensionistiche, a quella alla quale abbia aderito il maggior numero di lavoratori dell'azienda; in mancanza il TFR trasferito alla forma pensionistica complementare istituita presso l'INPS (come accaduto per la (OMISSIS) spa)" - il tribunale, con interpretazione illogica, ricollega alle tre scelte una "trasformazione della natura del TFR", senza che da alcuna norma emerga l'intenzione del legislatore di modificare la natura delle "quote del TFR", ovvero la natura sostanzialmente "retributiva" (o in ogni caso contributiva) del diritto conferito al Fondo e la "diretta titolarita'" del diritto in capo al lavoratore. Sottolinea poi che "la giurisprudenza della Corte di Cassazione (anche a sezioni unite) ha insistito nell'affermare che le prestazioni pensionistiche integrative o complementari sono, anch'esse come il TFR, retribuzione differita con funzione previdenziale" e che, "non diversamente, anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunita' Europee ha avuto, piu' volte, modo di affermare che le prestazioni erogate dai regimi di previdenza complementare privata rientrano nella nozione di retribuzione dettata dall'articolo 141 (ex articolo 119) del Trattato UE". Aggiunge, infine, che il tribunale ha del tutto trascurato "la distinzione fra i fondi chiusi (Decreto Legislativo n. 252 del 2005, ex articolo 3, di origine "negoziale", che sono forme pensionistiche complementari istituite dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro nell'ambito della contrattazione nazionale, di settore o aziendale), i fondi aperti (Decreto Legislativo n. 252 del 2005, ex articolo 12, che sono forme di accantonamento complementari istituite da banche, imprese di assicurazioni, societa' (OMISSIS) e societa' (OMISSIS)) ed, infine, i Piani pensionistici individuali (PIP) (Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 13, che rappresentano i contratti di assicurazione sulla vita con finalita' previdenziale)", e non ha quindi considerato che gli statuti dei cd. fondi aperti "lasciano ampiamente libero il lavoratore di riscattare totalmente e/o parzialmente le somme versate e/o di cambiare istituto di previdenza complementare in qualsiasi momento", per cui, "in tali casi, se il lavoratore ha la piena facolta' di disporre del TFR, riscattandolo in tutto o in parte o trasferendolo, tale diritti sono incompatibili con il concetto di cessione del credito, cosi' come ipotizzato dal Tribunale di Siracusa". 3. - I motivi, in quanto connessi, vanno esaminati congiuntamente e meritano accoglimento. 3.1. - Per un rapido inquadramento della controversia, giova premettere che la disciplina delle forme pensionistiche complementari, collocate nell'alveo dell'articolo 38 Cost., al pari della previdenza obbligatoria (secondo la teoria della "funzionalizzazione della previdenza complementare": cfr. Corte Cost. n. 421 del 1995 e n. 393 del 2000), trova il suo attuale referente normativo nel Decreto Legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, emanato in attuazione della Legge Delega n. 243 del 2004 ("Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all'occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria"), che ha operato una riforma organica del settore, nella prospettiva di una complessiva armonizzazione e razionalizzazione, informandolo al principio di autonomia (ancorche' "funzionalizzata"). In particolare, il Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 1, comma 2, prevede che "l'adesione alle forme pensionistiche complementari... e' libera e volontaria" mentre il successivo articolo 3, comma 1, dispone che "le fonti istitutive delle forme pensionistiche complementari", nella loro modulazione negoziale collettiva e regolamentare, "stabiliscono le modalita' di partecipazione, garantendo la liberta' di adesione individuale". 3.2. - Per quanto rileva in questa sede, il finanziamento delle forme pensionistiche complementari e' attuabile mediante il versamento di contributi a carico del lavoratore, del datore di lavoro e del committente, o anche attraverso il conferimento del TFR maturando (Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 8, comma 1), che comporta l'adesione alle forme pensionistiche complementari, in modalita' espressa o tacita, ai sensi dell'articolo 8, comma 7, lettera a), b), Decreto Legislativo cit.: sono queste le risorse che i fondi gestiscono secondo le modalita' previste dall'articolo 6 e che costituiscono la provvista delle prestazioni erogate a norma del successivo articolo 11. 3.3. - La rigidita' degli effetti conseguenti all'adesione al Fondo, previsti dal Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 11 (che vincola la partecipazione individuale fino alla maturazione, a norma del comma 2, dei requisiti per la riscossione delle prestazioni pensionistiche, fatta salva la previsione statutaria o regolamentare del Fondo della possibilita' di riscatto della posizione individuale ai sensi del successivo articolo 14, comma 1, nonche' la facolta' di ottenere anticipazioni della posizione individuale maturata, a norma dello stesso articolo 11, comma 7), e' temperata dell'articolo 14, comma 6, che, anche per incentivare la partecipazione dei lavoratori, prevede la cd. "portabilita'" dell'intera posizione individuale (i.e. la facolta' del suo trasferimento ad un'altra forma di previdenza complementare). 3.4. - Completa il quadro di riferimento la recente affermazione, da parte delle Sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. U., 12209/2022), che "portabilita'" e "riscatto" integrano un "principio generale del sistema previdenziale complementare" e rappresentano un "diritto" applicabile "a tutti i fondi complementari preesistenti all'entrata in vigore della L. n. 421 del 1992, indipendentemente dalle loro caratteristiche strutturali, ivi compresi quelli funzionanti secondo il sistema cd. a ripartizione o a capitalizzazione collettiva e a prestazione definita, essendo comunque ravvisabile una posizione individuale di valore determinabile, la cui consistenza va parametrata ai contributi versati al Fondo, compresi quelli datoriali, ed ai rendimenti provenienti dal loro impiego produttivo". In tal senso, il riconoscimento del diritto alla portabilita' e al riscatto e' in sintonia con l'assetto dato dal legislatore delegato al sistema previdenziale integrativo, mediante i Decreto Legislativo n. 124 del 1993 e Decreto Legislativo n. 252 del 2005, con l'obiettivo di "favorire la reale liberalizzazione dei diversi veicoli pensionistici complementari e l'affermazione piena di una reale consapevolezza del risparmiatore nella scelta dello strumento ritenuto piu' idoneo alla realizzazione della copertura previdenziale", in una cornice normativa volta ad ampliare le liberta' di scelta dei lavoratori iscritti alle forme pensionistiche complementari, coerentemente con l'estensione dei margini di libera circolazione nel sistema della previdenza complementare e in una logica di sviluppo, in senso compiutamente Europeo, della disciplina nazionale" (il riferimento e' alla Direttiva 1998/49/CE del 29 giugno 1998 relativa alla salvaguardia dei diritti a pensione complementare dei lavoratori subordinati e dei lavoratori autonomi che si spostano all'interno della Comunita' Europea; alla Direttiva n. 2003/41/CE, del Parlamento Europeo e del Consiglio, 3 giugno 2003, relativa alle attivita' e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali - EPAP; alla Direttiva 2014/50/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, relativa ai requisiti minimi per accrescere la mobilita' dei lavoratori tra Stati membri migliorando l'acquisizione e la salvaguardia di diritti pensionistici complementari). 4. - Cio' premesso in linea generale, l'aspetto piu' delicato della disciplina delle forme pensionistiche complementari riguarda proprio il "conferimento" del TFR maturando, poiche', nell'ipotesi di insolvenza del datore di lavoro che abbia accantonato il TFR conferito al Fondo di previdenza complementare, senza tuttavia versarlo, si pone il problema di individuare - nell'ambito del rapporto associativo tra lavoratore e Fondo, intermediato dal datore di lavoro (quale debitore delle quote tempo per tempo maturate) - quale sia il soggetto legittimato ad insinuare allo stato passivo la corrispondente pretesa creditoria, anche alla luce della previsione dell'intervento dell'apposito Fondo di Garanzia dell'Inps, in caso di omissione contributiva del datore di lavoro soggetto a procedura concorsuale, con diritto di surrogazione al lavoratore, a norma del Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5, commi 2 e 3. La questione in rilievo e' dunque se la legittimazione attiva ai fini dell'insinuazione al passivo del fallimento del datore di lavoro, per le quote del TFR conferito dal dipendente a un Fondo di previdenza complementare - via via maturate e accantonate, ma non versate dal datore di lavoro medesimo - spetti al dipendente, ovvero al Fondo di previdenza complementare. 4.1. - Tale questione e' stata puntualmente affrontata dalla sezione lavoro di questa Corte, con il precedente invocato dal ricorrente (Cass., sez. lav. n. 4626 del 2019), nel quale era in discussione proprio l'individuazione del soggetto che avesse il diritto di insinuare allo stato passivo la pretesa creditoria. 4.2. - Nella citata pronuncia e' stata sottolineata l'atecnicita' dell'espressione "conferimento", contenuta nel Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 8, comma 1 - ritenuta "un sintomo ulteriore, sotto il profilo della liberta' di selezione dello strumento negoziale, del favor per l'autonomia privata in tale ambito previdenziale rispetto a quello obbligatorio" - e la conseguente necessita' di accertare la natura e la funzione del mezzo di volta in volta utilizzato dal lavoratore ai fini dell'adesione al Fondo di previdenza complementare (liberamente negoziabile tra le parti) e, segnatamente, se si tratti di "una delegazione di pagamento, con incarico conferito dal lavoratore al datore di versare le quote di TFR al Fondo, ovvero di loro cessione, quale credito futuro, direttamente dal lavoratore al Fondo, o strumenti ad essi assimilabili", trattandosi di opzioni che comportano "evidenti effetti diversi, in ordine alla titolarita' del credito nei confronti del datore fallito (da insinuare allo stato passivo della procedura concorsuale)". 5. - Anche la Sezione prima civile di questa Corte si e' pronunciata sulla questione in esame, affermando la legittimazione attiva del lavoratore ad insinuarsi al passivo fallimentare per le quote di TFR maturate e non versate al Fondo complementare dal datore di lavoro, poi fallito (Cass. 24510/2021, 12009/2018). 5.1. - In particolare, nella pronuncia del 2021 si e' osservato, in continuita' con il precedente del 2018, che, "anche dopo la modifica della disciplina del trattamento di fine rapporto, nel nuovo e piu' composito panorama normativo (che prevede, per le aziende con almeno 50 dipendenti, il versamento degli accantonamenti presso il Fondo di Tesoreria INPS e anche la possibilita' per il lavoratore di optare per un sistema di previdenza complementare) resta fermo il fatto che il TFR costituisce a tutti gli effetti un credito del lavoratore, la cui esigibilita' e' subordinata alla cessazione del rapporto"; di conseguenza "le quote accantonate del TFR, tanto che siano trattenute presso l'azienda, quanto che siano versate al Fondo di Tesoreria dello Stato presso l'I.N.P.S. ovvero conferite in un Fondo di previdenza complementare, sono intrinsecamente dotate di potenzialita' satisfattiva futura e corrispondono ad un diritto certo e liquido del lavoratore, di cui la cessazione del rapporto di lavoro determina l'esigibilita'". 5.2. - E' stato cosi' ribadito il principio in base al quale "il lavoratore e' legittimato a domandare l'ammissione per le quote di TFR maturate e non versate dal datore di lavoro fallito al Fondo Tesoreria dello Stato gestito dall'INPS (o al Fondo complementare) poiche' il datore di lavoro non e' un mero adiectus solutionis causa e non perde la titolarita' passiva dell'obbligazione di corrispondere il TFR stesso" (Cass. 24510/2021; conf. Cass. 12009/2018). 5.3. - Nei menzionati precedenti e' stato altresi' evidenziato come "le disposizioni in esame delineano un sistema in cui l'intervento del Fondo, nei casi in cui e' previsto, da' luogo ad un rapporto trilaterale tra il datore di lavoro, il Fondo ed il prestatore di lavoro, in virtu' del quale: a) il primo e' obbligato nei confronti del secondo a versare il TFR, al pari di quanto avviene per le contribuzioni previdenziali; b) il secondo e' tenuto ad erogare le prestazioni secondo le modalita' previste dall'articolo 2120 c.c., nei limiti della quota maturata a decorrere dall'1 gennaio 2007, mentre la parte rimanente resta a carico del datore di lavoro; c) la materiale erogazione del TFR e' affidata al datore di lavoro anche per la parte di competenza del Fondo, salvo conguaglio sui contributi dovuti al Fondo stesso ed agli altri enti previdenziali". 6. - Successivamente (ma prima, si noti, dell'intervento delle Sezioni Unite n. 12209 del 2022, sopra citato sub. 3.4.) la Sezione lavoro di questa Corte, nel pronunciarsi su fattispecie relativa al mancato versamento da parte del datore di lavoro delle somme dovute a titolo di contribuzione a Fondo di previdenza complementare, a fronte di una delega dei dipendenti al prelievo dalle buste paga, ha affermato che, "in tema di fondi pensione complementari, le regole civilistiche dettate in tema di delegazione di pagamento e di sua revoca sono incompatibili con la disciplina speciale di cui al Decreto Legislativo n. 252 del 2005, essendo demandata agli statuti dei fondi, ex articolo 14 della Legge citata, l'individuazione delle modalita' di trasferimento ad altre forme pensionistiche, nonche' di riscatto totale e parziale; ne consegue che, prestata l'adesione al Fondo, non ne e' consentita la revoca, ma solo la cessazione per il venir meno dei presupposti ed il trasferimento ad altra previdenza complementare, salvo, in ogni caso, il diritto del lavoratore al risarcimento del danno nei confronti del datore di lavoro che abbia trascurato di versare in tutto o in parte i contributi, qualora detto inadempimento si riverberi sulla prestazione da godere, ovvero, in caso di insolvenza del datore di lavoro, salva la possibilita' di sollecitare l'intervento del Fondo di garanzia ai sensi del Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5" (Cass. sez. lav., n. 2406 del 2022). 6.1. - Tale pronuncia richiama in motivazione i principi affermati da Cass. Sez. U., 4784/2015 (invero con riguardo ai contributi del datore di lavoro, i quali hanno sicuramente natura previdenziale e non appartengono a patrimonio del lavoratore), sostenendo: i) che i versamenti effettuati dal datore di lavoro, in proprio ed anche per conto dei lavoratori, hanno natura contributiva e non retributiva (conf. Cass. sez. U., 16084/2021), tenuto conto che la stessa Corte costituzionale (sentenze n. 178 del 2000 e n. 412 del 1995) ha affermato che il legislatore ha inserito la previdenza integrativa nel sistema dell'articolo 38 Cost., per cui le contribuzioni degli imprenditori al finanziamento dei fondi non possono piu' definirsi "emolumenti retributivi con funzione previdenziale", ma sono strutturalmente contributi di natura previdenziale; ii) che "la contribuzione datoriale non entra direttamente nel patrimonio del lavoratore interessato, il quale puo' solo pretendere che tale contribuzione venga versata al soggetto indicato nello statuto; ed infatti il lavoratore non riceve tale contribuzione alla cessazione del rapporto, essendo solo il destinatario di un'aspettativa al trattamento pensionistico integrativo, aspettativa che si concretera' esclusivamente ove maturino determinati requisiti e condizioni previsti dallo statuto del Fondo"; iii) che, "in caso di cessazione del rapporto senza diritto alla pensione integrativa - il che puo' verificarsi quando non siano integrati tutti i presupposti per la maturazione del diritto - il dipendente non ha alcun diritto alla percezione dei contributi versati dal datore di lavoro", a conferma dell'inesistenza di un nesso di corrispettivita'; iv) che il Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 8, "ribadisce che il finanziamento dei fondi avviene a mezzo di versamento di contributi che non vanno ad immediato vantaggio del lavoratore, ma sono finalizzati proprio a garantire la funzione del trattamento integrativo", per cui, "una volta che si sia aderito al Fondo, l'obbligazione contributiva di finanziamento e' del lavoratore nei confronti del Fondo stesso e lo strumento attraverso il quale essa viene adempiuta (una trattenuta sullo stipendio e successivo versamento a cura del datore di lavoro) non muta la natura dell'obbligazione che resta contributiva e dunque previdenziale"; v) che, in merito alla applicabilita' dell'articolo 1270 c.c., "le regole dettate dal codice civile in tema di delegazione di pagamento e di sua revoca risultano incompatibili con la disciplina speciale dettata dal Decreto Legislativo n. 252 del 2005, che demanda agli Statuti ed ai regolamenti la definizione delle modalita' (articolo 14, comma 1) di trasferimento ad altre forme pensionistiche complementari, delle regole per la permanenza nella forma pensionistica complementare nonche' di riscatto totale o parziale delle posizioni individuali i casi di riscatto parziale (articolo 14, comma 1, lettera b) o totale (articolo 14, comma 1, lettera c)"; vi) che, "a fronte di una gia' prestata adesione, che puo' essere anche tacita come per il tfr, non e' consentita la revoca ma solo la cessazione per venir meno dei presupposti e il trasferimento ad altra previdenza complementare (v. Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 14)", salvo "il diritto al risarcimento del danno da azionare direttamente nei confronti del datore di lavoro che abbia trascurato di versare in tutto o in parte il contributo volontario del lavoratore qualora si riverberi sulla prestazione da godere ovvero, nel caso di insolvenza del datore di lavoro, persiste la possibilita' di sollecitare l'intervento del Fondo di garanzia ai sensi del Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5"; vii) che "il lavoratore ben puo' agire per ottenere coattivamente il versamento delle somme da parte del datore di lavoro che le abbia trattenute. Quello che invece non puo' fare, perche' le finalita' della disciplina legislativa sono quelle di assicurare una speciale tutela ai fondi complementari per garantirne il funzionamento, e' proprio chiedere la restituzione degli importi trattenuti. La correttezza di tale ricostruzione trova conferma proprio nella circostanza che e' accordata all'assicurato la facolta' di chiedere l'intervento del Fondo di garanzia in caso di insolvenza"; viii) infine, e soprattutto, che non vi sarebbero "argomenti per limitare l'intervento del Fondo ai soli contributi posti a carico diretto del datore di lavoro e non anche a quelli in relazione ai quali il datore di lavoro funge da intermediario del pagamento, atteso che contro il rischio dell'omesso o insufficiente versamento (...) al Fondo e' possibile chiedere l'integrazione dei versamenti stessi ma non anche la corresponsione dei relativi importi"; ix) di conseguenza, che "l'insinuazione al passivo del lavoratore e' meramente prudenziale ed opera per il caso di inerzia dell'Istituto". 7. - Ad avviso del Collegio, ed in linea con le conclusioni del P.G., le suddette argomentazioni - che peraltro riguardano solo incidentalmente il tema della contribuzione del lavoratore mediante accantonamento delle quote di TFR - non sono idonee a superare il pregresso orientamento, di cui sopra si e' dato conto, al quale si intende dare continuita'. 7.1. - Non appare in primo luogo condivisibile l'affermata incompatibilita' tra l'istituto generale della delegazione di pagamento e gli istituti speciali della cd. portabilita' e del riscatto, contemplati dal Decreto Legislativo n. 252 del 2005, di fronte a risorse in tesi non ancora entrate nel patrimonio del Fondo di previdenza complementare, ma indebitamente trattenute dal datore di lavoro. Merita invece conferma la diversa impostazione, gia' sostenuta dalla stessa sezione lavoro, per cui occorre verificare se il "conferimento" del TFR si sia concretamente tradotto in una vera e propria cessione, ovvero in una delegazione di pagamento ai sensi dell'articolo 1270 c.c., poiche', in caso di fallimento, il contratto di mandato - quale e' la delegazione di pagamento - si scioglie (L. Fall., articolo 78, comma 2). Cio' anche in considerazione del fatto che il sistema della previdenza complementare e' sottratto al principio dell'automaticita' delle prestazioni, proprio della previdenza pubblica, nel cui ambito il nesso tra contribuzione e prestazione (intimamente correlate, per quanto concettualmente distinte) risulta "allentato" in funzione del principio di solidarieta' (Cass. Sez. U., 16084/2021). 7.2. - Non appare convincente nemmeno l'interpretazione data al Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5, sostenuta anche dal giudice a quo. La norma citata dispone: i) che "contro il rischio derivante dall'omesso o insufficiente versamento da parte dei datori di lavoro sottoposti a una delle procedure di cui all'articolo 1" (i.e. fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria) "dei contributi dovuti per forme di previdenza complementare di cui al Decreto Legge 29 marzo 1991, n. 103, articolo 9-bis, convertito, con modificazioni, nella L. 1 giugno 1991, n. 166, per prestazioni di vecchiaia, comprese quelle per i superstiti, e' istituito presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale un apposito Fondo di garanzia" (comma 1); ii) che "nel caso in cui, a seguito dell'omesso o parziale versamento dei contributi di cui al comma 1 ad opera del datore di lavoro, non possa essere corrisposta la prestazione alla quale avrebbe avuto diritto, il lavoratore, ove il suo credito sia rimasto in tutto o in parte insoddisfatto in esito ad una delle procedure indicate al comma 1, puo' richiedere al Fondo di garanzia di integrare presso la gestione di previdenza complementare interessata i contributi risultati omessi" (comma 2); iii) che "il Fondo e' surrogato di diritto al lavoratore per l'equivalente dei contributi omessi, versati a norma del comma 2" (comma 3). 7.3. - Ebbene, dal testo della norma emerge chiaramente che il lavoratore ha diritto di vedere soddisfatte le proprie pretese in sede concorsuale e che, in caso di insoddisfazione totale o parziale nell'ambito della procedura di riferimento, puo' chiedere l'intervento del Fondo di garanzia per integrare presso il Fondo complementare i contributi non versati dal datore di lavoro, e in quel caso il Fondo di garanzia "e' surrogato di diritto al lavoratore per l'equivalente dei contributi omessi". Si tratta dunque di un diritto che compete in prima battuta al lavoratore nei confronti del datore di lavoro, tanto che, in caso di fallimento di quest'ultimo, e' mera facolta' del lavoratore richiedere l'intervento del Fondo di garanzia, il quale poi si surroga al lavoratore nell'ammissione al passivo fallimentare. Diversamente, la legittimazione all'insinuazione al passivo rimane in capo al lavoratore, il cui rapporto con il Fondo di previdenza complementare resta disciplinato dalle specifiche regole associative. 7.4. - Tale interpretazione e' avvalorata ancor piu' chiaramente dalla circolare INPS n. 23 del 22/02/2008, per cui "ai fini dell'intervento del Fondo di Garanzia il lavoratore deve ottenere l'accertamento dell'esistenza di uno specifico credito relativo alle omissioni contributive per le quali si chiede l'intervento del Fondo, e cio' mediante l'ammissione del credito nello stato passivo della procedura". 8. - Come visto, il Tribunale sostiene che "attraverso il "conferimento" volontario, esplicito o tacito, da parte del lavoratore (...) del TFR maturando ad una forma di previdenza complementare, si attua una vera e propria cessione del relativo diritto al fondo di previdenza di volta in volta individuato". 8.1. - Al contrario, l'utilizzo, nel Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 8, di un'espressione atecnica e omnicomprensiva, quale "conferimento", puo' essere letto come elemento sintomatico della volonta' del legislatore di favorire l'autonomia privata nell'ambito della previdenza complementare (rispetto a quella obbligatoria), consentendo la libera selezione dello specifico strumento negoziale tramite cui effettuare il finanziamento del Fondo previdenziale, il quale puo' quindi estrinsecarsi non solo in una delegazione di pagamento (con mandato del lavoratore al proprio datore di lavoro di versare le quote di TFR al Fondo), ma anche in una cessione al Fondo del credito futuro per quote di TFR. Di qui la necessita' di ricostruire la volonta' delle parti, accertando, in particolare, se il conferimento del TFR sottenda una delegazione di pagamento (articolo 1268 c.c.) ovvero la cessione di un credito futuro (articolo 1260 c.c.), poiche' si tratta di una qualificazione che incide sulla titolarita' del diritto e sulla conseguente legittimazione a dedurlo in causa, come di recente osservato anche dal Giudice delle Leggi, tenuto conto della mancata attuazione delle previsioni della legge-delega "in ordine alla contitolarita', in capo ai fondi pensione e agli iscritti, del diritto alla contribuzione e del diritto al TFR (L. n. 243 del 2004, articolo 1, comma 2, lettera e), n. 8)" (Corte Cost. 15 luglio 2021, n. 154). Al riguardo il P.G. sottolinea nella sua requisitoria che quella contitolarita' avrebbe forse ovviato ai contrasti interpretativi emersi (cui ha contribuito anche l'inerzia dei fondi, sovente registrata nella prassi), facendo proprio l'auspicio della Consulta di "una piu' attenta sistemazione da parte del legislatore, chiamato a risolvere le aporie che pur emergono dalle questioni oggi scrutinate", in una "materia assai rilevante sul piano delle attese sinergie fra mutualita' volontaria e regime pensionistico pubblico". 8.2. - Ai fini che ne occupano non va trascurato che il contesto normativo di riferimento, e in particolare il Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5 (della cui esegesi si e' dato conto sopra, anche alla luce della citata circolare INPS n. 23/2008), lascia presumere che il "conferimento" in parola mantenga ferma la legittimazione attiva del lavoratore, dovendosi percio' in linea di principio interpretare (anche in ragione del favor lavoratoris) come mera delegazione di pagamento - destinata a sciogliersi con il fallimento, a norma della L. Fall., articolo 78, comma 2 - salvo che dai documenti prodotti dalle parti a supporto, rispettivamente, della domanda e della eventuale eccezione di difetto di legittimazione attiva, o comunque dall'istruttoria svolta, emerga che si sia trattato di una vera e propria cessione di credito, con conseguente trasferimento del relativo diritto al Fondo complementare, da cui consegue la legittimazione attiva di quest'ultimo. 9. - Va dunque affermato il seguente principio di diritto: "In tema di previdenza complementare, il generico riferimento, contenuto nel Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 8, comma 1, al "conferimento" del TFR maturando alle forme pensionistiche complementari, lascia aperta la possibilita' che le parti, nell'esplicazione dell'autonomia negoziale loro riconosciuta dall'ordinamento, pongano in essere non gia' una delegazione di pagamento (articolo 1268 c.c.) bensi' una cessione di credito futuro (articolo 1260 c.c.). In caso di fallimento del datore di lavoro, la legittimazione ad insinuarsi al passivo per le quote di TFR maturate e accantonate ma non versate al Fondo di previdenza complementare spetta, di regola, al lavoratore, stante lo scioglimento del rapporto di mandato in cui si estrinseca la delegazione di pagamento al datore di lavoro, salvo che dall'istruttoria emerga che vi sia stata una cessione del credito in favore del Fondo predetto, cui in quel caso spetta la legittimazione attiva ai sensi della L. Fall., articolo 93". 9.1. - Il decreto impugnato va quindi cassato con rinvio affinche' il Tribunale di Siracusa decida la causa attenendosi ai principi sopra indicati, oltre a provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimita'. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato nei sensi di cui in motivazione e rinvia al Tribunale di Siracusa, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita'.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CRISTIANO Magda - Presidente Dott. CAIAZZO Rosario - Consigliere Dott. PAZZI Alberto - Consigliere Dott. VELLA Paola - rel. Consigliere Dott. FIDANZIA Andrea - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 7188/2021 R.G. proposto da: (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS) ((OMISSIS)) giusta procura speciale allegata al ricorso ((OMISSIS)); - ricorrente - contro FALLIMENTO (OMISSIS) SPA; - intimato - avverso il DECRETO del TRIBUNALE di SIRACUSA n. 46/2021 depositato il 27/01/2021; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/03/2023 dal Consigliere PAOLA VELLA; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Nardecchia Giovanni Battista, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. FATTO E DIRITTO 1.- Il Giudice delegato al Fallimento (OMISSIS) s.p.a. ha escluso dallo stato passivo il credito di Euro 14.218,725, insinuato "al privilegio ex articolo 2751-bis c.c. e L. n. 297 del 1982" a titolo di "TFR via via maturato e solo in parte versato dall'azienda al Fondo complementare (OMISSIS) al quale il sig. (OMISSIS) aveva aderito", per difetto di legittimazione attiva del ricorrente, rigettando altresi' "la richiesta di rinvio per la notifica al Fondo ai fini della surroga ex articolo 2900 c.c., comma 2 perche' incompatibile con la speditezza dell'attuale fase di verifica e perche' la domanda del creditore che agisce in surroga dovrebbe avere ad oggetto l'insinuazione a favore del Fondo rimasto inerte, e non in proprio favore". 1.1. - (OMISSIS) ha proposto opposizione ex articolo 98 l.fall., ritenendo erronea l'affermazione che, con l'adesione al Fondo di previdenza complementare, il lavoratore avrebbe "operato una cessione del proprio credito per il TFR maturando in favore del Fondo", poiche' in realta' "lo strumento giuridico prescelto dal lavoratore per il conferimento del Fondo era da intendersi, secondo la prospettazione del ricorrente, quale delegazione di pagamento". 1.2. - Il Tribunale di Siracusa ha rigettato l'opposizione ritenendo: i) che "nell'ipotesi di insolvenza del datore di lavoro che abbia provveduto ad accantonare il TFR conferito al Fondo di previdenza complementare, senza tuttavia versarlo, il soggetto creditore nei confronti della procedura fallimentare, e quindi legittimato ad insinuarsi al passivo del fallimento, sia unicamente il Fondo al quale il TFR e' stato conferito dal lavoratore", salva la possibilita' di agire in via surrogatoria, in caso di inerzia del Fondo, ex articolo 2900 c.c.; ii) che alla luce del Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 8, commi 7-10, e articolo 11, deve ritenersi che il lavoratore, con il "conferimento" volontario del TFR maturando (esplicito o tacito, ma non revocabile) ad una forma di previdenza complementare, "attua una vera e propria cessione del relativo diritto" al Fondo ed acquisisce il diritto alla diversa "prestazione pensionistica, in rendita o in capitale, quando maturera' i requisiti per l'accesso alle prestazioni della previdenza obbligatoria", fatte salve possibili anticipazioni limitate; iii) che cio' e' indirettamente confermato dal Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5, (che ha istituito "presso l'INPS un apposito Fondo di garanzia contro il rischio derivante dall'omesso o insufficiente versamento, da parte del datore di lavoro insolvente, dei contributi alle forme di previdenza complementare"), per cui il Fondo di garanzia corrisponde le quote di TFR non versate dal datore di lavoro direttamente al Fondo pensione, non al lavoratore (comma 2) e che, in tali casi, "il Fondo e' surrogato di diritto al lavoratore per l'equivalente dei contributi omessi, versati a norma del comma 2" (comma 3); iv) che questa tesi sarebbe coerente con la circolare INPS n. 23 del 22/02/2008 - in base alla quale "ai fini dell'intervento del Fondo di Garanzia il lavoratore deve ottenere l'accertamento dell'esistenza di uno specifico credito relativo alle omissioni contributive per le quali si chiede l'intervento del Fondo, e cio' mediante l'ammissione del credito nello stato passivo della procedura" - poiche' il riferimento all'ammissione al passivo del lavoratore dovrebbe intendersi in via surrogatoria, per il caso di inerzia del Fondo complementare; v) che ove si riconoscesse la legittimazione attiva del lavoratore, la sua ammissione al passivo, "in caso di utile riparto, determinerebbe un'inammissibile monetizzazione anticipata dell'accumulo previdenziale, in palese contrasto con le previsioni di cui al Decreto Legislativo n. 252 del 2005 le quali, come gia' evidenziato, subordinano il diritto alla prestazione pensionistica complementare alla maturazione dei requisiti per l'accesso alle prestazioni della previdenza obbligatoria, e il diritto di chiedere delle anticipazioni - peraltro limitate sia nell'an che nel quantum - al verificarsi delle fattispecie espressamente tipizzate dalla legge"; vi) che nel caso di specie il lavoratore aveva originariamente agito iure proprio e la domanda surrogatoria spiegata per la prima volta in sede di opposizione e' inammissibile, in quanto nuova. 1.3. - Avverso detta decisione (OMISSIS) ha proposto cinque motivi di ricorso per cassazione; il Fallimento intimato non ha svolto difese. 2. - Con ordinanza interlocutoria n. 17699 del 31/05/2022 la sezione 6-1 di questa Corte ha disposto la trattazione della causa in pubblica udienza. RAGIONI DELLA DECISIONE 2.1. - Con il primo motivo si denunzia "Violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, articolo 8 nonche' degli articoli 75, 81 e 100 c.p.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, per aver il Tribunale erroneamente interpretato come "cessione" il concetto di "conferimento" di cui al Decreto Legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, articolo 8, comma 7 escludendo la legittimazione attiva del ricorrente in violazione degli articoli 75, 81 e 100 c.p.c.", in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte per cui "nell'ipotesi di omesso versamento da parte del datore di lavoro del trattamento di fine rapporto accantonato in favore del Fondo di previdenza complementare scelto dal lavoratore, al fine di individuare il soggetto che abbia diritto ad insinuare allo stato passivo la pretesa creditoria deve essere preliminarmente accertata la natura e la funzione dello strumento negoziale di volta in volta utilizzato dalle parti, in virtu' del favor per l'autonomia privata lasciato alle stesse in ambito previdenziale" (Cass. civ., sez. lav., 15/02/2019, n. 4626). In particolare, il tribunale avrebbe ritenuto apoditticamente che si ha in ogni caso una cessione a favore del Fondo - con conseguente legittimazione esclusiva di quest'ultimo a proporre istanza di ammissione al passivo - mentre, "a fronte di mancata prova da parte della Curatela di una cessione (e di cui al 2 motivo di ricorso) e della presunzione, salva prova contraria, che la adesione al Fondo complementare configura una ipotesi di delegazione, il lavoratore e' l'unico soggetto legittimato attivamente ad agire per ottenere il versamento dei contributi previdenziali omessi in favore del Fondo di previdenza complementare prescelto; e cio' anche perche' il rapporto previdenziale complementare - a differenza del sistema pensionistico obbligatorio - non risponde al principio di automaticita' della prestazione e l'omesso versamento dei contributi da parte del datore di lavoro e, per l'effetto, l'omesso accantonamento delle quote di TFR da parte del Fondo pensionistico, si ripercuote negativamente, in maniera diretta e concreta, sul lavoratore, unico interessato a beneficiare della prestazione previdenziale". 2.2. - Il secondo mezzo lamenta "Violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c. in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3 da parte del Tribunale per non aver ritenuto che l'onere della specifica indicazione del modulo negoziale (se delegazione o cessione) e' a carico del Curatore e che, in caso di mancata prova da parte del curatore, l'espressione "conferimento" del Decreto Legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, articolo 8 debba essere interpretata come delegazione e non come cessione". Il ricorrente evidenzia che nel ricorso ex articolo 98 l.fall. era stato specificamente contestato che l'onere della prova sullo strumento giuridico utilizzato per il conferimento del TFR gravasse sul lavoratore, ma "il Tribunale ha totalmente omesso qualunque motivazione, in conseguenza della suddetta erronea interpretazione del Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 8" mentre da Cass. 4626/2019 si evincerebbe che detto onere grava sul fallimento. 2.3. - Il terzo motivo denuncia "Violazione e falsa applicazione da parte del Tribunale degli articoli 1269 e 1270 c.c. in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3 per non aver ritenuto che il meccanismo di adesione a fondi di previdenza complementare configuri la fattispecie della delegazione di pagamento di cui all'articolo 1269 c.c. e che ai sensi dell'articolo 1270 c.c., comma 1, il delegante possa revocare la delegazione sino a quando il delegato non abbia assunto l'obbligazione in confronto del delegatario, o non abbia eseguito il pagamento". In particolare, il tribunale non avrebbe considerato che il dipendente, "con l'adesione alla previdenza complementare, opera una vera e propria delegazione di pagamento al datore di lavoro, avente per oggetto il versamento dei contributi ai fini del TFR nei confronti del Fondo di previdenza complementare prescelto"; in tal modo, "una parte del TFR del dipendente viene trasferito al Fondo di previdenza complementare, che accumula - per conto dell'aderente - i contributi versati dal datore di lavoro ed assume l'obbligo di custodirli, gestirli, accantonarli ed incrementarli". Pertanto, poiche' la delegazione si scioglie con la dichiarazione di fallimento, e comunque con la richiesta del lavoratore, questi e' legittimato a chiedere il pagamento delle quote di TFR non versate dal datore di lavoro insolvente, con il privilegio ex articolo 2751 bis c.c., n. 1, anche in forza del principio di "intangibilita' della retribuzione" (Cass. 12964/2010) applicabile alla previdenza complementare. Infine, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, sarebbe sintomatico della titolarita' del diritto, e della conseguente legittimazione processuale in capo al lavoratore, la della legge-delega n. 243 del 2004, articolo 1, comma 2, lettera e), n. 8 - pur rimasto inattuato - che prevedeva la "attribuzione ai fondi pensione della contitolarita' con i propri iscritti al diritto alla contribuzione, compreso il trattamento di fine rapporto (...) e la legittimazione dei fondi stessi, rafforzando le modalita' di riscossione anche coattiva, a rappresentare i propri iscritti nelle controversie aventi ad oggetto i contributo omessi nonche' l'eventuale danno derivante dal mancato conseguimento dei relativi rendimenti". 2.4. - Il quarto mezzo lamenta "Violazione e falsa applicazione da parte del Tribunale del Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5, comma 3, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, per aver interpretato e considerato il Fondo complementare privato come soggetto legittimato alla surrogatoria di diritto al lavoratore per l'equivalente dei contributi omessi, versati a norma del comma 2, e non il Fondo di Garanzia INPS", senza considerare che, come chiarito anche dalla circolare INPS n. 23 del 22/02/2008, "al fine di attivare l'intervento del Fondo di Garanzia INPS per integrare presso il Fondo complementare gli importi a tale titolo non versati dall'azienda, sussiste un interesse attuale e concreto dei lavoratori ad insinuarsi essi al passivo del fallimento, al fine di ottenere l'accertamento delle somme, necessario per poi attivare il successivo intervento del Fondo di Garanzia INPS". Il lavoratore in tali ipotesi si deve quindi insinuare al passivo e, una volta ammesso, puo' "richiedere al Fondo di garanzia di integrare presso la gestione di previdenza complementare interessata soltanto i contributi risultanti omessi" (Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5, comma 2), sicche' e' il Fondo di Garanzia INPS (e non il Fondo complementare, come erroneamente sostenuto dal tribunale) ad essere "surrogato di diritto al lavoratore per l'equivalente dei contributi omessi, versati a norma del comma 2" (articolo 5, comma 3 Decreto Legislativo cit.), il quale si inserira' pro-quota nello stato passivo, in luogo del lavoratore. 2.5. - Con il quinto motivo ci si duole della "Violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articoli 3, 4, 12 e 13 per aver il Tribunale ritenuto che la natura del TFR possa mutare a seconda che il lavoratore scelga espressamente di versarlo all'INPS o ad un Fondo privato o rimanga inerte". Osserva il ricorrente che, a fronte della triplice scelta disponibile per il lavoratore - "1) scelta espressa di mantenere il TFR in azienda; 2) opzione per il TFR ad un Fondo complementare; 3) il silenzio: in tale ultimo caso, a decorrere dal mese successivo alla scadenza dei sei mesi ivi previsti, il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando dei dipendenti alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi, ovvero, in caso di presenza di piu' forme pensionistiche, a quella alla quale abbia aderito il maggior numero di lavoratori dell'azienda; in mancanza il TFR trasferito alla forma pensionistica complementare istituita presso l'INPS (come accaduto per la (OMISSIS) spa)" - il tribunale, con interpretazione illogica, ricollega alle tre scelte una "trasformazione della natura del TFR", senza che da alcuna norma emerga l'intenzione del legislatore di modificare la natura delle "quote del TFR", ovvero la natura sostanzialmente "retributiva" (o in ogni caso contributiva) del diritto conferito al Fondo e la "diretta titolarita'" del diritto in capo al lavoratore. Sottolinea poi che "la giurisprudenza della Corte di Cassazione (anche a sezioni unite) ha insistito nell'affermare che le prestazioni pensionistiche integrative o complementari sono, anch'esse come il TFR, retribuzione differita con funzione previdenziale" e che, "non diversamente, anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunita' Europee ha avuto, piu' volte, modo di affermare che le prestazioni erogate dai regimi di previdenza complementare privata rientrano nella nozione di retribuzione dettata dall'articolo 141 (ex articolo 119) del Trattato UE". Aggiunge, infine, che il tribunale ha del tutto trascurato "la distinzione fra i fondi chiusi (Decreto Legislativo n. 252 del 2005, ex articolo 3 di origine "negoziale", che sono forme pensionistiche complementari istituite dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro nell'ambito della contrattazione nazionale, di settore o aziendale), i fondi aperti (ex articolo 12 del D.lgs. 252/2005, che sono forme di accantonamento complementari istituite da banche, imprese di assicurazioni, societa' di gestione del risparmio (SGR) e societa' di intermediazione mobiliare ((OMISSIS))) ed, infine, i Piani pensionistici individuali (PIP) (Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 13 che rappresentano i contratti di assicurazione sulla vita con finalita' previdenziale)", e non ha quindi considerato che gli statuti dei cd. fondi aperti "lasciano ampiamente libero il lavoratore di riscattare totalmente e/o parzialmente le somme versate e/o di cambiare istituto di previdenza complementare in qualsiasi momento", per cui, "in tali casi, se il lavoratore ha la piena facolta' di disporre del TFR, riscattandolo in tutto o in parte o trasferendolo, tale diritti sono incompatibili con il concetto di cessione del credito, cosi' come ipotizzato dal Tribunale di Siracusa". 3. - I motivi, in quanto connessi, vanno esaminati congiuntamente e meritano accoglimento. 3.1. - Per un rapido inquadramento della controversia, giova premettere che la disciplina delle forme pensionistiche complementari, collocate nell'alveo dell'articolo 38 Cost., al pari della previdenza obbligatoria (secondo la teoria della "funzionalizzazione della previdenza complementare": cfr. Corte Cost. n. 421 del 1995 e n. 393 del 2000), trova il suo attuale referente normativo nel Decreto Legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, emanato in attuazione della legge-delega n. 243 del 2004 ("Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all'occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria"), che ha operato una riforma organica del settore, nella prospettiva di una complessiva armonizzazione e razionalizzazione, informandolo al principio di autonomia (ancorche' "funzionalizzata"). In particolare, il Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 1, comma 2, prevede che "l'adesione alle forme pensionistiche complementari... e' libera e volontaria" mentre il successivo articolo 3, comma 1, dispone che "le fonti istitutive delle forme pensionistiche complementari", nella loro modulazione negoziale collettiva e regolamentare, "stabiliscono le modalita' di partecipazione, garantendo la liberta' di adesione individuale". 3.2. - Per quanto rileva in questa sede, il finanziamento delle forme pensionistiche complementari e' attuabile mediante il versamento di contributi a carico del lavoratore, del datore di lavoro e del committente, o anche attraverso il conferimento del TFR maturando (Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 8, comma 1), che comporta l'adesione alle forme pensionistiche complementari, in modalita' espressa o tacita, ai sensi dell'articolo 8, comma 7, lettera a), b), Decreto Legislativo cit.; sono queste le risorse che i fondi gestiscono secondo le modalita' previste dall'articolo 6 e che costituiscono la provvista delle prestazioni erogate a norma del successivo articolo 11. 3.3. - La rigidita' degli effetti conseguenti all'adesione al Fondo, previsti dal Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 11 (che vincola la partecipazione individuale fino alla maturazione, a norma del comma 2, dei requisiti per la riscossione delle prestazioni pensionistiche, fatta salva la previsione statutaria o regolamentare del Fondo della possibilita' di riscatto della posizione individuale ai sensi del successivo articolo 14, comma 1, nonche' la facolta' di ottenere anticipazioni della posizione individuale maturata, a norma dello stesso articolo 11, comma 7), e' temperata dall'articolo 14, comma 6 che, anche per incentivare la partecipazione dei lavoratori, prevede la cd. "portabilita'" dell'intera posizione individuale (i.e. la facolta' del suo trasferimento ad un'altra forma di previdenza complementare). 3.4. - Completa il quadro di riferimento la recente affermazione, da parte delle Sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. U, 12209/2022), che "portabilita'" e "riscatto" integrano un "principio generale del sistema previdenziale complementare" e rappresentano un "diritto" applicabile "a tutti i fondi complementari preesistenti all'entrata in vigore della L. n. 421 del 1992, indipendentemente dalle loro caratteristiche strutturali, ivi compresi quelli funzionanti secondo il sistema cd. a ripartizione o a capitalizzazione collettiva e a prestazione definita, essendo comunque ravvisabile una posizione individuale di valore determinabile, la cui consistenza va parametrata ai contributi versati al Fondo, compresi quelli datoriali, ed ai rendimenti provenienti dal loro impiego produttivo". In tal senso, il riconoscimento del diritto alla portabilita' e al riscatto e' in sintonia con l'assetto dato dal legislatore delegato al sistema previdenziale integrativo, mediante i decreti legislativi n. 124 del 1993 e n. 252 del 2005, con l'obiettivo di "favorire la reale liberalizzazione dei diversi veicoli pensionistici complementari e l'affermazione piena di una reale consapevolezza del risparmiatore nella scelta dello strumento ritenuto piu' idoneo alla realizzazione della copertura previdenziale", in una cornice normativa volta ad ampliare le liberta' di scelta dei lavoratori iscritti alle forme pensionistiche complementari, coerentemente con l'estensione dei margini di libera circolazione nel sistema della previdenza complementare e in una logica di sviluppo, in senso compiutamente Europeo, della disciplina nazionale" (il riferimento e' alla Direttiva 1998/49/CE del 29 giugno 1998 relativa alla salvaguardia dei diritti a pensione complementare dei lavoratori subordinati e dei lavoratori autonomi che si spostano all'interno della Comunita' Europea; alla Direttiva n. 2003/41/CE, del Parlamento Europeo e del Consiglio, 3 giugno 2003, relativa alle attivita' e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali - EPAP; alla Direttiva 2014/50/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, relativa ai requisiti minimi per accrescere la mobilita' dei lavoratori tra Stati membri migliorando l'acquisizione e la salvaguardia di diritti pensionistici complementari). 4. - Cio' premesso in linea generale, l'aspetto piu' delicato della disciplina delle forme pensionistiche complementari riguarda proprio il "conferimento" del TFR maturando, poiche', nell'ipotesi di insolvenza del datore di lavoro che abbia accantonato il TFR conferito al Fondo di previdenza complementare, senza tuttavia versarlo, si pone il problema di individuare - nell'ambito del rapporto associativo tra lavoratore e Fondo, intermediato dal datore di lavoro (quale debitore delle quote tempo per tempo maturate) - quale sia il soggetto legittimato ad insinuare allo stato passivo la corrispondente pretesa creditoria, anche alla luce della previsione dell'intervento dell'apposito Fondo di Garanzia dell'Inps, in caso di omissione contributiva del datore di lavoro soggetto a procedura concorsuale, con diritto di surrogazione al lavoratore, a norma del Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5, commi 2 e 3. La questione in rilievo e' dunque se la legittimazione attiva ai fini dell'insinuazione al passivo del fallimento del datore di lavoro, per le quote del TFR conferito dal dipendente a un Fondo di previdenza complementare - via via maturate e accantonate, ma non versate dal datore di lavoro medesimo - spetti al dipendente, ovvero al Fondo di previdenza complementare. 4.1. - Tale questione e' stata puntualmente affrontata dalla sezione lavoro di questa Corte, con il precedente invocato dal ricorrente (Cass., sez. lav. n. 4626 del 2019), nel quale era in discussione proprio l'individuazione del soggetto che avesse il diritto di insinuare allo stato passivo la pretesa creditoria. 4.2. - Nella citata pronuncia e' stata sottolineata l'atecnicita' dell'espressione "conferimento", contenuta nel Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 8, comma 1, - ritenuta "un sintomo ulteriore, sotto il profilo della liberta' di selezione dello strumento negoziale, del favor per l'autonomia privata in tale ambito previdenziale rispetto a quello obbligatorio" - e la conseguente necessita' di accertare la natura e la funzione del mezzo di volta in volta utilizzato dal lavoratore ai fini dell'adesione al Fondo di previdenza complementare (liberamente negoziabile tra le parti) e, segnatamente, se si tratti di "una delegazione di pagamento, con incarico conferito dal lavoratore al datore di versare le quote di TFR al Fondo, ovvero di loro cessione, quale credito futuro, direttamente dal lavoratore al Fondo, o strumenti ad essi assimilabili", trattandosi di opzioni che comportano "evidenti effetti diversi, in ordine alla titolarita' del credito nei confronti del datore fallito (da insinuare allo stato passivo della procedura concorsuale)". 5. - Anche la Sezione prima civile di questa Corte si e' pronunciata sulla questione in esame, affermando la legittimazione attiva del lavoratore ad insinuarsi al passivo fallimentare per le quote di TFR maturate e non versate al Fondo complementare dal datore di lavoro, poi fallito (Cass. 24510/2021, 12009/2018). 5.1. - In particolare, nella pronuncia del 2021 si e' osservato, in continuita' con il precedente del 2018, che, "anche dopo la modifica della disciplina del trattamento di fine rapporto, nel nuovo e piu' composito panorama normativo (che prevede, per le aziende con almeno 50 dipendenti, il versamento degli accantonamenti presso il Fondo di Tesoreria INPS e anche la possibilita' per il lavoratore di optare per un sistema di previdenza complementare) resta fermo il fatto che il TFR costituisce a tutti gli effetti un credito del lavoratore, la cui esigibilita' e' subordinata alla cessazione del rapporto"; di conseguenza "le quote accantonate del TFR, tanto che siano trattenute presso l'azienda, quanto che siano versate al Fondo di Tesoreria dello Stato presso l'I.N.P.S. ovvero conferite in un Fondo di previdenza complementare, sono intrinsecamente dotate di potenzialita' satisfattiva futura e corrispondono ad un diritto certo e liquido del lavoratore, di cui la cessazione del rapporto di lavoro determina l'esigibilita'". 5.2. - E' stato cosi' ribadito il principio in base al quale "il lavoratore e' legittimato a domandare l'ammissione per le quote di TFR maturate e non versate dal datore di lavoro fallito al Fondo Tesoreria dello Stato gestito dall'INPS (o al Fondo complementare) poiche' il datore di lavoro non e' un mero adiectus solutionis causa e non perde la titolarita' passiva dell'obbligazione di corrispondere il TFR stesso" (Cass. 24510/2021; conf. Cass. 12009/2018). 5.3. - Nei menzionati precedenti e' stato altresi' evidenziato come "le disposizioni in esame delineano un sistema in cui l'intervento del Fondo, nei casi in cui e' previsto, da' luogo ad un rapporto trilaterale tra il datore di lavoro, il Fondo ed il prestatore di lavoro, in virtu' del quale: a) il primo e' obbligato nei confronti del secondo a versare il TFR, al pari di quanto avviene per le contribuzioni previdenziali; b) il secondo e' tenuto ad erogare le prestazioni secondo le modalita' previste dall'articolo 2120 c.c., nei limiti della quota maturata a decorrere dall'1 gennaio 2007, mentre la parte rimanente resta a carico del datore di lavoro; c) la materiale erogazione del TFR e' affidata al datore di lavoro anche per la parte di competenza del Fondo, salvo conguaglio sui contributi dovuti al Fondo stesso ed agli altri enti previdenziali". 6. - Successivamente (ma prima, si noti, dell'intervento delle Sezioni Unite n. 12209 del 2022, sopra citato sub. 3.4.) la Sezione lavoro di questa Corte, nel pronunciarsi su fattispecie relativa al mancato versamento da parte del datore di lavoro delle somme dovute a titolo di contribuzione a Fondo di previdenza complementare, a fronte di una delega dei dipendenti al prelievo dalle buste paga, ha affermato che, "in tema di fondi pensione complementari, le regole civilistiche dettate in tema di delegazione di pagamento e di sua revoca sono incompatibili con la disciplina speciale di cui al Decreto Legislativo n. 252 del 2005, essendo demandata agli statuti dei fondi, ex articolo 14 della legge citata, l'individuazione delle modalita' di trasferimento ad altre forme pensionistiche, nonche' di riscatto totale e parziale; ne consegue che, prestata l'adesione al Fondo, non ne e' consentita la revoca, ma solo la cessazione per il venir meno dei presupposti ed il trasferimento ad altra previdenza complementare, salvo, in ogni caso, il diritto del lavoratore al risarcimento del danno nei confronti del datore di lavoro che abbia trascurato di versare in tutto o in parte i contributi, qualora detto inadempimento si riverberi sulla prestazione da godere, ovvero, in caso di insolvenza del datore di lavoro, salva la possibilita' di sollecitare l'intervento del Fondo di garanzia ai sensi del Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5" (Cass. sez. lav., n. 2406 del 2022). 6.1. - Tale pronuncia richiama in motivazione i principi affermati da Cass. Sez. U, 4784/2015 (che invero riguarda i contributi del datore di lavoro, i quali hanno sicuramente natura previdenziale e non appartengono a patrimonio del lavoratore), sostenendo: i) che i versamenti effettuati dal datore di lavoro, in proprio ed anche per conto dei lavoratori, hanno natura contributiva e non retributiva (conf. Cass. sez. U, 16084/2021), tenuto conto che la stessa Corte costituzionale (sentenze n. 178 del 2000 e n. 412 del 1995) ha affermato che il legislatore ha inserito la previdenza integrativa nel sistema dell'articolo 38 Cost., per cui le contribuzioni degli imprenditori al finanziamento dei fondi non possono piu' definirsi "emolumenti retributivi con funzione previdenziale", ma sono strutturalmente contributi di natura previdenziale; ii) che "la contribuzione datoriale non entra direttamente nel patrimonio del lavoratore interessato, il quale puo' solo pretendere che tale contribuzione venga versata al soggetto indicato nello statuto; ed infatti il lavoratore non riceve tale contribuzione alla cessazione del rapporto, essendo solo il destinatario di un'aspettativa al trattamento pensionistico integrativo, aspettativa che si concretera' esclusivamente ove maturino determinati requisiti e condizioni previsti dallo statuto del Fondo"; iii) che, "in caso di cessazione del rapporto senza diritto alla pensione integrativa - il che puo' verificarsi quando non siano integrati tutti i presupposti per la maturazione del diritto - il dipendente non ha alcun diritto alla percezione dei contributi versati dal datore di lavoro", a conferma dell'inesistenza di un nesso di corrispettivita'; iv) che il Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 8 "ribadisce che il finanziamento dei fondi avviene a mezzo di versamento di contributi che non vanno ad immediato vantaggio del lavoratore, ma sono finalizzati proprio a garantire la funzione del trattamento integrativo", per cui, "una volta che si sia aderito al Fondo, l'obbligazione contributiva di finanziamento e' del lavoratore nei confronti del Fondo stesso e lo strumento attraverso il quale essa viene adempiuta (una trattenuta sullo stipendio e successivo versamento a cura del datore di lavoro) non muta la natura dell'obbligazione che resta contributiva e dunque previdenziale"; v) che, in merito alla applicabilita' dell'articolo 1270 c.c., "le regole dettate dal codice civile in tema di delegazione di pagamento e di sua revoca risultano incompatibili con la disciplina speciale dettata dal Decreto Legislativo n. 252 del 2005, che demanda agli Statuti ed ai regolamenti la definizione delle modalita' (articolo 14, comma 1) di trasferimento ad altre forme pensionistiche complementari, delle regole per la permanenza nella forma pensionistica complementare nonche' di riscatto totale o parziale delle posizioni individuali i casi di riscatto parziale (articolo 14, comma 1, lettera b) o totale (articolo 14, comma 1, lettera c)"; vi) che, "a fronte di una gia' prestata adesione, che puo' essere anche tacita come per il tfr, non e' consentita la revoca ma solo la cessazione per venir meno dei presupposti e il trasferimento ad altra previdenza complementare (v. Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 14)", salvo "il diritto al risarcimento del danno da azionare direttamente nei confronti del datore di lavoro che abbia trascurato di versare in tutto o in parte il contributo volontario del lavoratore qualora si riverberi sulla prestazione da godere ovvero, nel caso di insolvenza del datore di lavoro, persiste la possibilita' di sollecitare l'intervento del Fondo di garanzia ai sensi del Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5"; vii) che "il lavoratore ben puo' agire per ottenere coattivamente il versamento delle somme da parte del datore di lavoro che le abbia trattenute. Quello che invece non puo' fare, perche' le finalita' della disciplina legislativa sono quelle di assicurare una speciale tutela ai fondi complementari per garantirne il funzionamento, e' proprio chiedere la restituzione degli importi trattenuti. La correttezza di tale ricostruzione trova conferma proprio nella circostanza che e' accordata all'assicurato la facolta' di chiedere l'intervento del Fondo di garanzia in caso di insolvenza"; viii) infine, e soprattutto, che non vi sarebbero "argomenti per limitare l'intervento del Fondo ai soli contributi posti a carico diretto del datore di lavoro e non anche a quelli in relazione ai quali il datore di lavoro funge da intermediario del pagamento, atteso che contro il rischio dell'omesso o insufficiente versamento (...) al Fondo e' possibile chiedere l'integrazione dei versamenti stessi ma non anche la corresponsione dei relativi importi"; ix) di conseguenza, che "l'insinuazione al passivo del lavoratore e' meramente prudenziale ed opera per il caso di inerzia dell'Istituto". 7. - Ad avviso del Collegio, ed in linea con le conclusioni del P.G., le suddette argomentazioni - che peraltro riguardano solo incidentalmente il tema della contribuzione del lavoratore mediante accantonamento delle quote di TFR - non sono idonee a superare il pregresso orientamento, di cui sopra si e' dato conto, al quale si intende dare continuita'. 7.1. - Non appare in primo luogo condivisibile l'affermata incompatibilita' tra l'istituto generale della delegazione di pagamento e gli istituti speciali della cd. portabilita' e del riscatto, contemplati dal Decreto Legislativo n. 252 del 2005, di fronte a risorse in tesi non ancora entrate nel patrimonio del Fondo di previdenza complementare, ma indebitamente trattenute dal datore di lavoro. Merita invece conferma la diversa impostazione, gia' sostenuta dalla stessa sezione lavoro, per cui occorre verificare se il "conferimento" del TFR si sia concretamente tradotto in una vera e propria cessione, ovvero in una delegazione di pagamento ai sensi dell'articolo 1270 c.c., poiche', in caso di fallimento, il contratto di mandato - quale e' la delegazione di pagamento - si scioglie (articolo 78, comma 2, l.fall.). Cio' anche in considerazione del fatto che il sistema della previdenza complementare e' sottratto al principio dell'automaticita' delle prestazioni, proprio della previdenza pubblica, nel cui ambito il nesso tra contribuzione e prestazione (intimamente correlate, per quanto concettualmente distinte) risulta "allentato" in funzione del principio di solidarieta' (Cass. Sez. U, 16084/2021). 7.2. - Non appare convincente nemmeno l'interpretazione data al Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5, sostenuta anche dal giudice a quo. La norma citata dispone: i) che "contro il rischio derivante dall'omesso o insufficiente versamento da parte dei datori di lavoro sottoposti a una delle procedure di cui all'articolo 1" (i.e. fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria) "dei contributi dovuti per forme di previdenza complementare di cui al Decreto Legge 29 marzo 1991, n. 103, articolo 9-bis convertito, con modificazioni, nella L. 1 giugno 1991, n. 166, per prestazioni di vecchiaia, comprese quelle per i superstiti, e' istituito presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale un apposito Fondo di garanzia" (comma 1); ii) che "nel caso in cui, a seguito dell'omesso o parziale versamento dei contributi di cui al comma 1 ad opera del datore di lavoro, non possa essere corrisposta la prestazione alla quale avrebbe avuto diritto, il lavoratore, ove il suo credito sia rimasto in tutto o in parte insoddisfatto in esito ad una delle procedure indicate al comma 1, puo' richiedere al Fondo di garanzia di integrare presso la gestione di previdenza complementare interessata i contributi risultati omessi" (comma 2); iii) che "il Fondo e' surrogato di diritto al lavoratore per l'equivalente dei contributi omessi, versati a norma del comma 2" (comma 3). 7.3. - Ebbene, dal testo della norma emerge chiaramente che il lavoratore ha diritto di vedere soddisfatte le proprie pretese in sede concorsuale e che, in caso di insoddisfazione totale o parziale nell'ambito della procedura di riferimento, puo' chiedere l'intervento del Fondo di garanzia per integrare presso il Fondo complementare i contributi non versati dal datore di lavoro, nel qual caso il Fondo di garanzia "e' surrogato di diritto al lavoratore per l'equivalente dei contributi omessi". Si tratta dunque di un diritto che compete in prima battuta al lavoratore nei confronti del datore di lavoro, tanto che, in caso di fallimento di quest'ultimo, e' mera facolta' del lavoratore richiedere l'intervento del Fondo di garanzia, il quale poi si surroga al lavoratore nell'ammissione al passivo fallimentare. Diversamente, la legittimazione all'insinuazione al passivo rimane in capo al lavoratore, il cui rapporto con il Fondo di previdenza complementare resta disciplinato dalle specifiche regole associative. 7.4. - Tale interpretazione e' avvalorata ancor piu' chiaramente dalla circolare INPS n. 23 del 22/02/2008, per cui "ai fini dell'intervento del Fondo di Garanzia il lavoratore deve ottenere l'accertamento dell'esistenza di uno specifico credito relativo alle omissioni contributive per le quali si chiede l'intervento del Fondo, e cio' mediante l'ammissione del credito nello stato passivo della procedura". 8. - Come visto, il Tribunale sostiene che "attraverso il "conferimento" volontario, esplicito o tacito, da parte del lavoratore (...) del TFR maturando ad una forma di previdenza complementare, si attua una vera e propria cessione del relativo diritto al fondo di previdenza di volta in volta individuato". 8.1. - Al contrario, l'utilizzo, nel Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 8, di un'espressione atecnica e omnicomprensiva, quale "conferimento", puo' essere letto come elemento sintomatico della volonta' del legislatore di favorire l'autonomia privata nell'ambito della previdenza complementare (rispetto a quella obbligatoria), consentendo la libera selezione dello specifico strumento negoziale tramite cui effettuare il finanziamento del Fondo previdenziale, il quale puo' quindi estrinsecarsi non solo in una delegazione di pagamento (con mandato del lavoratore al proprio datore di lavoro di versare le quote di TFR al Fondo), ma anche in una cessione al Fondo del credito futuro per quote di TFR. Di qui la necessita' di ricostruire la volonta' delle parti, accertando, in particolare, se il conferimento del TFR sottenda una delegazione di pagamento (articolo 1268 c.c.) ovvero la cessione di un credito futuro (articolo 1260 c.c.), poiche' si tratta di una qualificazione che incide sulla titolarita' del diritto e sulla conseguente legittimazione a dedurlo in causa, come di recente osservato anche dal Giudice delle Leggi, tenuto conto della mancata attuazione delle previsioni della legge-delega "in ordine alla contitolarita', in capo ai fondi pensione e agli iscritti, del diritto alla contribuzione e del diritto al TFR (L. n. 243 del 2004, articolo 1, comma 2, lettera e), n. 8)" (Corte Cost. 15 luglio 2021, n. 154). Al riguardo il P.G. sottolinea nella sua requisitoria che quella contitolarita' avrebbe forse ovviato ai contrasti interpretativi emersi (cui ha contribuito anche l'inerzia dei fondi, sovente registrata nella prassi), facendo proprio l'auspicio della Consulta di "una piu' attenta sistemazione da parte del legislatore, chiamato a risolvere le aporie che pur emergono dalle questioni oggi scrutinate", in una "materia assai rilevante sul piano delle attese sinergie fra mutualita' volontaria e regime pensionistico pubblico". 8.2. - Ai fini che ne occupano non va trascurato che il contesto normativo di riferimento, e in particolare il Decreto Legislativo n. 80 del 1992, articolo 5, (della cui esegesi si e' dato conto sopra, anche alla luce della citata circolare INPS n. 23/2008), lascia presumere che il "conferimento" in parola mantenga ferma la legittimazione attiva del lavoratore, dovendosi percio' in linea di principio interpretare (anche in ragione del favor lavoratoris) come mera delegazione di pagamento - destinata a sciogliersi con il fallimento, a norma dell'articolo 78, comma 2, L.F. - salvo che dai documenti prodotti dalle parti a supporto, rispettivamente, della domanda e della eventuale eccezione di difetto di legittimazione attiva, o comunque dall'istruttoria svolta, emerga che si sia trattato di una vera e propria cessione di credito, con conseguente trasferimento del relativo diritto al Fondo complementare, da cui consegue la legittimazione attiva di quest'ultimo. 9. - Va dunque affermato il seguente principio di diritto: "In tema di previdenza complementare, il generico riferimento, contenuto nel Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 8, comma 1, al "conferimento" del TFR maturando alle forme pensionistiche complementari, lascia aperta la possibilita' che le parti, nell'esplicazione dell'autonomia negoziale loro riconosciuta dall'ordinamento, pongano in essere non gia' una delegazione di pagamento (articolo 1268 c.c.) bensi' una cessione di credito futuro (articolo 1260 c.c.). In caso di fallimento del datore di lavoro, la legittimazione ad insinuarsi al passivo per le quote di TFR maturate e accantonate ma non versate al Fondo di previdenza complementare spetta, di regola, al lavoratore, stante lo scioglimento del rapporto di mandato in cui si estrinseca la delegazione di pagamento al datore di lavoro, salvo che dall'istruttoria emerga che vi sia stata una cessione del credito in favore del Fondo predetto, cui in quel caso spetta la legittimazione attiva ai sensi dell'articolo 93 L. Fall.". 9.1. - Il decreto impugnato va quindi cassato con rinvio affinche' il Tribunale di Siracusa decida la causa attenendosi ai principi sopra indicati, oltre a provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimita'. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato nei sensi di cui in motivazione e rinvia al Tribunale di Siracusa, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita'.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI ROMA III SEZIONE LAVORO E PREVIDENZA composta dai signori magistrati: NETTIS dr. Vito Francesco - Presidente DEDOLA dr. Enrico Sigfrido - Consigliere COSENTINO dr.ssa Maria Giulia - Consigliere rel. All'udienza di discussione del 22 febbraio 2023, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella controversia in materia di previdenza in grado di appello iscritta al n. 3090 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2021 TRA INPS - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, con l'avv. Si.Za. Appellante E (...), con l'Avv. Se.Ma. Appellata OGGETTO: appello avverso la sentenza del Tribunale del Lavoro di Roma n. 3594/2021 del 15/04/2021. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO (...) aveva chiesto al Tribunale di Roma di accertare il requisito sanitario necessario a conseguire la pensione anticipata di vecchiaia, la cui sussistenza era stata contestata dall'INPS in sede amministrativa (cfr. rigetto del 3.12.2019 in atti). Atteso l'esito positivo della CTU esperita nel corso del giudizio e accertata la compresenza degli altri requisiti (oltre 55 anni di età, possesso di anzianità assicurativa superiore a venti anni), la domanda era stata accolta con decorrenza posticipata di un anno (dunque al 1.8.2020), in ragione della applicazione delle c.d. "finestre mobili" di cui alla L. n. 122 del 2020. L'INPS ha appellato la sentenza censurando l'assenza del requisito della "cessazione dell'attività lavorativa" (prescritto dal comma 7 dell'art. 1 della L. n. 503 del 1992) come da estratto contributivo che ha prodotto. Si è costituita l'appellata per resistere all'appello. All'udienza fissata per la discussione, sulle conclusioni delle parti come riportate in epigrafe la causa è stata decisa come da dispositivo in calce. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appello è infondato. Nel formulare la domanda di pensione anticipata deve ritenersi implicitamente che la (...) abbia allegata la sussistenza di tutti i requisiti di legge, dunque non solo delle condizioni di salute (poi riscontrate con CTU medicolegale), ma anche dei requisiti di età, di contribuzione e anche la cessazione dell'attività lavorativa: requisiti, comunque, tutti evincibili da documenti in atti formati dallo stesso INPS (estratto contributivo). Ed infatti, pur volendo riferirsi all'estratto contributivo prodotto in appello dall'INPS, emerge che l'appellata alla data del 1.8.2020, alla quale si è ancorata la pronuncia gravata, non prestava alcuna attività lavorativa e dunque poteva essere destinataria del beneficio richiesto. La circostanza che, nelle more del giudizio definito con la decisione oggi impugnata, cioè fra il 1.1.2021 e il 31.7.2021, ella abbia ripreso a lavorare part time, oltre ad essere umanamente comprensibile, visto che (irragionevolmente, per come accertato) l'INPS le aveva negato l'accesso a pensione per l'asserita insussistenza (infondata) del requisito sanitario, non può certo costituire un vizio della pronuncia e rifluisce, semmai, solo in sede di esecuzione qualora dovesse porsi un problema di cumulo (nemmeno prospettato dall'Istituto appellante). Non vi è dubbio che l'appellante faccia riferimento alla data individuata dal Tribunale e non alla data indicata nell'originaria richiesta (come da discussione in udienza): l'appello è chiarissimo e lapidario sul punto: "alla data del 1.8.2020 era lavoratrice dipendente. In allegato si produce l'estratto conto certificativo dal quale si evince la carenza di tale circostanza.". Ad abundantiam, nemmeno alla data dell'originaria richiesta amministrativa la (...) lavorava, poiché (come peraltro l'INPS doveva ben sapere), sempre alla stregua dell'estratto contributivo, fruiva di cassa integrazione in deroga. Va ricordato, poi, che (cfr. Corte appello Ancona, 17/05/2002): "il requisito della cessazione del rapporto previsto dall'art. 1 comma 7 D.Lgs. n. 503 del 1992 per la maturazione della pensione di vecchiaia deve intendersi non come cessazione di ogni attività lavorativa ma come cessazione del solo rapporto di lavoro che ha dato luogo alla maturazione del requisito contributivo per la pensione di vecchiaia.". Ne segue che, anche alla luce della CTU medicolegale di primo grado, la lavoratrice ha dimostrato il possesso di ogni requisito per conseguire la pensione anticipata per vecchiaia sin dalla domanda amministrativa del 24.7.2019, con diritto a conseguirla, per effetto delle c.d. finestre mobili, dal 24.7.2020: e pertanto la sentenza merita piena conferma. Le spese di lite del grado seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, con distrazione in favore dell'avv. Se.Ma., antistatario. P.Q.M. Definitivamente pronunciando sull'appello proposto da INPS con ricorso depositato il 13.10.2021 avverso la sentenza del Tribunale del Lavoro di Roma n. 3594/2021 del 15/04/2021 nei confronti di (...), così provvede: - Respinge l'appello; - Condanna l'INPS a rimborsare all'appellata le spese di lite del grado, liquidate in Euro 5.000,00, oltre al 15% per spese generali forfettarie e oltre accessori di legge, da distrarsi in favore dell'Avv. Se.Ma., antistatario; - Dà atto che per l'appellante sussistono le condizioni richieste dall'art.13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto. Così deciso in Roma il 22 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI TORINO SEZIONE LAVORO Composta da: Dott. Michele Milani - PRESIDENTE Rel. Dott. ssa Patrizia Visaggi - CONSIGLIERE Dott. Fabrizio Aprile - CONSIGLIERE ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa di lavoro iscritta al n.ro 550 /2022 R.G.L. promossa da: (...), (c.f. (...)), con sede in R., via M. n. 1, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, dott. S.D., rappresentata e difesa per procura in atti dall'avv. Da.De., elettivamente domiciliata presso lo Studio dell'avv. Ba.Ro. in Torino, C.so (...) APPELLANTE CONTRO (...) dott.ssa (...), (c.f. (...)) residente in (...) (T.), rappresentata e difesa per procura 18.1.2023 dall'avv. St.Ta. del Foro di Asti, presso il cui studio in Asti, Via (...) è elettivamente domiciliata APPELLATA Oggetto: altre controversie in materia di previdenza obbligatoria FATTI DI CAUSA Con ricorso diretto al Tribunale di Torino, (...), esponendo di essere titolare di pensione di vecchiaia anticipata a carico della (...) (C.), con decorrenza dal luglio 2005, ha chiesto che venisse accertata l'illegittimità della trattenuta disposta su detta pensione (in esecuzione dell'art.22 del Regolamento adottato con Delibera approvata con D.M. 14 luglio 2004, e poi proseguita in forza di altri provvedimenti interni, in ultimo per il quinquennio 2019 - 2023 in forza dell'art.29 del Regolamento) a titolo di contributo di solidarietà, con conseguente condanna della Cassa convenuta alla restituzione delle somme trattenute a tale titolo (per l'importo di Euro 8.435,45 nell'ambito della prescrizione decennale per il periodo giugno 2011 - maggio 2021), oltre interessi legali dalla data di ciascun prelievo al pagamento effettivo. Costituendosi in giudizio la (...) ha eccepito in via preliminare l'improcedibilità del ricorso ex art. 443 c.p.c.; nel merito ha contestato il fondamento della domanda chiedendone la reiezione, eccependo anche la prescrizione quinquennale e formulando domande subordinate con riferimento alla decorrenza degli interessi. Con sentenza n. 833/2022, pubblicata il 19.5.2022, il Tribunale ha respinto l'eccezione preliminare ed ha accolto il ricorso nei limiti della prescrizione decennale condannando la Cassa "alla restituzione in favore della ricorrente delle somme complessivamente trattenute sui ratei di pensione a titolo di contributo di solidarietà dal 8 settembre 2011 sino alla data di deposito della presente sentenza, oltre interessi legali sino al saldo", condannando altresì la Cassa alle spese di lite. Ha proposto appello la (...) cui ha resistito l'appellata. All'udienza del 8.2.2023, con l'intervento dei difensori delle parti, la Corte ha pronunciato sentenza come da separato dispositivo. RAGIONI DELLA DECISIONE Il Tribunale ha accolto nel merito il ricorso ritenendo che la previsione del contributo di solidarietà fosse illegittima in applicazione dei principi ripetutamente affermati dalla giurisprudenza di legittimità in forza dei quali sia la modifica apportata all'art. 3, comma 12, della L. n. 335 del 1995 dall'art. 1, co. 763, L. n. 296 del 2006, sia l'interpretazione data dall'art. 1, comma 488 della L. n. 147 del 2013, non legittimano interventi di riduzione sull'ammontare delle pensioni che, come nel caso di specie, siano già maturate anteriormente all'entrata in vigore delle suddette norme. Il Tribunale ha inoltre respinto l'eccezione della Cassa diretta ad ottenere l'applicazione della prescrizione quinquennale (e non quella decennale entro la quale è stata prospettata la pretesa), richiamando la giurisprudenza di legittimità (Cass. sez Un. 17742/15; Cass. 1344/2004; 2563/2016). La Cassa censura la sentenza impugnata con vari motivi sintetizzabili come segue: 1) violazione dell'art. 2 D.Lgs. n. 509 del 1994 in combinato disposto con l'art. 22 del Regolamento della Cassa e con le Delib. del 28 ottobre 2008 e del 27.6.2013, dell'art. 3, comma 12, L. n. 335 del 1995, dell'art. 1, comma 763, L. n. 296 del 2006, dell'art. 1, comma 488, L. n. 147 del 2013, dell'art. 24, comma 24, D.L. n. 201 del 2011, convertito in L. n. 214 del 2011, degli artt. 3 e 38 Cost., sostenendo che il nuovo testo dell'art. 3, comma 12, L. n. 335 del 1995, come modificato dall'art. 1, comma 763, L. n. 296 del 2006 e come autenticamente interpretato dall'art. 1, comma 488 della L. n. 147 del 2013, avrebbe attenuato (se non eliminato) il principio del "pro rata", in forza dei principi di gradualità ed equità fra generazioni, e così ampliato il potere normativo delle Casse sino a comprendervi i provvedimenti - tra i quali andrebbe annoverato il contributo di solidarietà - di riduzione delle prestazioni pensionistiche in corso di erogazione; 2) mancata considerazione della domanda subordinata diretta ad ottenere l'applicazione dell'art.24, comma 24 D.L. n. 201 del 2011, e quindi ritenere legittima la trattenuta per contributo di solidarietà dal 2011, o quantomeno per il biennio 2012 - 2013; 3) mancata applicazione della prescrizione quinquennale in luogo di quella decennale; Tutti i profili di impugnativa sono stati esaminati e respinti da precedenti pronunce di questa corte ((v. tra le altre sentenza n. 421/2015, n. 469/2015, n. 75/2019, n. 125/2019, n. 440/2019, n. 528/2020, n. 432/21, n.532/21, n.257/22 già in parte esaminate e confermate dalla Suprema Corte- v. Cass. n. 27340/2020; n. 28054/20) e le relative argomentazioni, condivise dal collegio, vengono richiamate di seguito seguendo la numerazione sopra riportata. 1. "Invero, si è di recente statuito (Cass. Sez. Lav. n. 31875 del 10.12.2018) che " In materia di trattamento previdenziale, gli enti previdenziali privatizzati (nella specie, la (...)) non possono adottare, sia pure in funzione dell'obbiettivo di assicurare l'equilibrio di bilancio e la stabilità della gestione, atti o provvedimenti che, lungi dall'incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongano una trattenuta (nella specie, un contributo di solidarietà) su untrattamento che sia già determinato in base ai criteri ad esso applicabili, dovendosi ritenere che tali atti siano incompatibili con il rispetto del principio del "pro rata" e diano luogo a un prelievo inquadrabile nel "genus" delle prestazioni patrimoniali ex art. 23 Cost., la cui imposizione è riservata al legislatore". In tale precedente (che si è occupato del contributo di solidarietà di cui trattasi) al quale questa Corte intende dare continuità si è, in sintesi, spiegato quanto segue: - Premessa l'esistenza di una sostanziale delegificazione - affidata dalla legge (legge delega n. 537/1993) alla autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti ad essa imposti per la disciplina, tra l'altro, del rapporto contributivo e del rapporto previdenziale - concernente le prestazioni a carico degli stessi enti - anche in deroga a disposizioni di legge precedenti - e considerato il principio per il quale al pari delle disposizioni di legge nelle stesse materie gli atti di delegificazione - adottati dagli enti, entro i limiti della propria autonomia - sono soggetti, altresì, a limiti costituzionali, coerentemente il sindacato giurisdizionale - su tali atti di delegificazione - ne investe il rispetto, da un lato, dei limiti imposti alla autonomia degli enti - dal quale dipende la loro idoneità a realizzare l'effetto perseguito, di abrogare, appunto, o derogare disposizioni di legge e, dall'altro, dei limiti costituzionali, in funzione della (eventuale) caducazione degli atti medesimi (artt. 1418 e 1324 c.c.), per contrasto con norme imperative. Lo stesso sindacato giurisdizionale - circa il rispetto dei limiti imposti all'autonomia degli enti, appunto, e dei limiti costituzionali - investe (anche) gli atti di delegificazione, posti in essere dagli enti sulla base della legislazione successiva. Ciò premesso va rilevato che questa Corte ha esposto con riferimento a fattispecie analoga relativa alla stessa Cassa commercialisti (Cass. 25212/09) che "L'autonomia degli stessi enti, tuttavia, incontra un limite fondamentale, imposto dalla stessa disposizione che la prevede (ossia dal predetto D.Lgs. n. 509 del 1994 art. 2), la quale definisce espressamente i tipi di provvedimento da adottare, identificati, appunto, in base al loro contenuto ("variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti"). Esula, tuttavia, dal novero (una sorta di numerus clausus) degli stessi provvedimenti - e risulta incompatibile, peraltro, con il "rispetto del principio del pro rata (...)" - qualsiasi provvedimento degli enti previdenziali privatizzati (quale, nella specie, l'art. 22 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale), che introduca - a prescindere dal "criterio di determinazione del trattamento pensionistico" - la previsione di una trattenuta a titolo di "contributo di solidarietà" sui trattamenti pensionistici già quantificati ed attribuiti. Ed invero sul punto deve evidenziarsi che la imposizione di un "contributo di solidarietà" sui trattamenti pensionistici già in atto non integra, all'evidenza, ne'una "variazione delle aliquote contributive", ne' una "riparametrazione dei coefficienti di rendimento". Ma alla stessa conclusione deve pervenirsi, tuttavia, con riferimento ad "ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico". La previsione relativa intende riferirsi, infatti, a tutti i provvedimenti, che - al pari di quelli specificamente identificati nominativamente (di "variazione delle aliquote contributive", appunto, e di "riparametrazione dei coefficienti di rendimento") - incidano su "ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico". Ne esula, quindi, qualsiasi provvedimento, che - lungi dall'incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico da adottarsi nel rispetto o tenuto conto del principio del pro rata , ai sensi delle successive formulazioni dell'art. 3, comma 12, L. n. 335 del 1995 e finalizzato al solo riequilibrio finanziario rispetto ai limiti di stabilità imposti dalla legge - imponga una trattenuta su detto trattamento già determinato, in base ai criteri ad esso applicabili, quale limite esterno della sua misura. Né a diverse conclusioni e dunque alla legittimità della trattenuta, si può giungere attraverso il richiamo alla L. n. 296 del 2006 di modifica dell'art. 3, comma 12, L. n. 335 del 1995 in quanto detta norma incide sul sistema del pro rata che è estraneo alla tematica del contributo di solidarietà. La citata sopravvenuta normativa non può, pertanto, essere intesa nel senso preteso dalla Cassa di fonte del potere di introdurre prestazioni patrimoniali a carico dei pensionati, quale è ilcontributo di solidarietà. Quanto alla disposizione di cui all'art. 1, comma 488, della L. n. 147 del 2013, qualificata come di interpretazione autentica , - secondo cui : "L'ultimo periodo della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 763, si interpreta nel senso che gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al medesimo comma 763 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della L. 27 dicembre 2006, n. 296, si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l'equilibrio finanziario di lungo termine", va rilevato che questa Corte (cfr Cass 6702/2016, ord. n 7568/2017) ha già affermato che "quest'ultimo intervento legislativo non incide sulla soluzione della presente questione, dal momento che la norma in esame pone come condizione di legittimità degli atti che essi siano finalizzati ad assicurare l'equilibrio finanziario a lungo termine, mentre sicuramente tale finalità non rappresenta un connotato del contributo straordinario di solidarietà, proprio perché di carattere provvisorio e limitato nel tempo, cosi come affermato dalla stessa ricorrente". Va ulteriormente considerato che , comunque, non può prescindersi dalla considerazione che la norma di cui all'ultimo periodo dell'art. 1, comma 763, L. 27 dicembre 2006, n. 296, non può che riguardare i provvedimenti che hanno inciso sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico dei professionisti iscritti alla Cassa e non già la materia che esula dai poteri delle Casse, quale quella in esame. Appare utile, al fine di confermare l'estraneità del contributo di solidarietà ai criteri di determinazione del trattamento pensionistico e conseguentemente anche al principio del necessario rispetto del pro rata, richiamare, altresì, la recente sentenza della Corte Costituzionale n 173/2016 che, nel valutare l'analogo prelievo disposto dall'art. 1, comma 486, L. n. 147 del 2013, ha affermato che si è in presenza di un "prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all'art. 23 Cost., avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del 2000; ordinanza n. 22 del 2003)". Sulla base delle considerazioni che precedono deve concludersi nel senso che esula dai poteri riconosciuti dalla normativa la possibilità per le Casse di emanare un contributo di solidarietà in quanto, come si è detto, esso, al di là del suo nome, non può essere ricondotto ad un "criterio di determinazione del trattamento pensionistico" , ma costituisce un prelievo che può essere introdotto solo dal legislatore. Le ragioni che hanno indotto questa Corte a ritenere che tra i poteri della Cassa non vi sia anche quello di applicare ai pensionati un contributo di solidarietà consente di escludere che la citata e recente sentenza della Corte Costituzionale, che ha concluso per la legittimità costituzionale dell'art. 1 comma 486 della legge finanziaria del 2014 (ritenendo sussistere "sia pur al limite", rispettate nel caso dell'intervento legislativo in esame" le condizioni dalla Corte enunciate per la legittimità dell'interventoquali operare all'interno del complessivo sistema della previdenza; essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema; incidere sulle pensioni più elevate -in rapporto alle pensioni minime-; presentarsi come prelievo sostenibile; rispettare il principio di proporzionalità; essere comunque utilizzato come misura una tantum") possa incidere sulle conclusioni qui assunte" (Cass. n. 9864/2019). Le ragioni poste a base della pronuncia richiamata, anche ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c., mantengono pieno valore in relazione al contributo di solidarietà applicato all'appellato anche nei quinquenni in esame, evidenziando l'infondatezza delle argomentazioni svolte nell'appello. I limiti dell'autonomia della Cassa in relazione al contenuto dei provvedimenti da adottare, imposti dalla normativa di rango primario esaminata in detta pronuncia, restano infatti immutati anche nel periodo in questione e alla stregua di tali limiti risultano pertanto illegittime le proroghe del contributo di solidarietà per i periodi 2009-2013 e 2014-2018 e 2019-2023 disposte con le delibere adottate dalla Cassa rispettivamente in data 28.10.2008, in data 27.6.2013 e in data 29.11.2017. 2. Non si rende applicabile l'art.24, comma 24 del D.L. n. 201 del 2011 (che peraltro prevede la diretta imposizione del contributo di solidarietà per gli anni 2012 e 2013) per difetto del presupposto, vale a dire l'inerzia dell'Ente nell'adozione dei provvedimenti previsti, condizione esclusa dalla stessa Cassa che sostiene di avere adottato fin dai primi anni 2000 una serie di provvedimenti per la salvaguardia dell'equilibrio di bilancio. 3. La Cassa deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2948 c.c. per avere il Tribunale ritenuto applicabile il termine di prescrizione decennale (applicato dallo stesso appellato che formula la pretesa nel limite dei dieci anni) anziché il termine quinquennale ex art. 2948 n. 4 c.c.. Il motivo non è fondato. La Corte di Cassazione, in una sentenza emessa nei confronti della Cassa Nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri, ha affermato che: "In materia di previdenza obbligatoria (quale quella gestita dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del D.Lgs. n. 509 del 1994) la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2948, n. 4, c.c. - così come dall'art. 129 del R.D.L. n. 1827 del 1935 - richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell'assicurato, sicché, ove sia in contestazione l'ammontare del trattamento pensionistico, il diritto alla riliquidazione degli importi è soggetto alla ordinaria prescrizione decennale di cui all'art. 2946 c.c." (Cass. Sez. U, 8.9.2015 n. 17742); è stato inoltre precisato che per l'applicazione del termine di prescrizione quinquennale "? non è sufficiente la mera idoneità del credito ad essere determinato, ancorché prontamente, nel suoammontare; pertanto, con riguardo ai ratei di pensione ed indennità la cui debenza sia contestata nella esatta entità ? non si applica la prescrizione quinquennale di cui alle norme sopraindicate in difetto di specifico provvedimento della P.A. debitrice, ma l'ordinaria prescrizione decennale, quale prescrizione concernente la prestazione da effettuare nella sua globalità ed interezza, di cui i ratei non liquidi e non esigibili rappresentano una frazione ancora non individuata, ne' messa a disposizione (Cass. 21 luglio 2000, n. 9627; v. anche sostanzialmente nello stesso senso Cass. 6 novembre 1998, n. 11225; 21 novembre 1997, n. 11644)" (così Cass. 1344/2004, Cass. 2563/2016). Il fatto che la trattenuta sulla pensione a titolo di contributo di solidarietà sia esattamente quantificata nei cedolini relativi ai ratei pensionistici non rende il credito "pagabile" o esigibile, considerato che esso, contestato dal debitore prima di tutto nell'an debeatur, non può ritenersi "messo a disposizione" del creditore. Neppure può essere applicato l'art. 47-bis D.P.R. n. 639 del 1970, introdotto dall'art. 38 D.L. n. 98 del 2011, convertito in L. n. 111 del 2011 secondo cui "Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all'articolo 24 della L. 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni", trattandosi di norma che riguarda i "ricorsi e controversie in materia di prestazioni" (così il Titolo III, al cui interno la norma è inserita), ma con riferimento al solo INPS, come si ricava dal corpo normativo, dedicato appunto all'INPS, al cui interno la norma è collocata, come anche dalle norme del Titolo III predetto (art. 44-46), che riguardano tutte la materia delle prestazioni e dei ricorsi INPS (cfr., con riferimento alla decadenza ex art. 47 D.P.R. n. 639 del 1970, Cass. 982/19 che richiama Cass. 2959/1987 per l'inapplicabilità all'INAIL). (Argomentazioni tutte tratte da Corte Appello Torino sent. n.432/21, R.G. 10/21). Per le considerazioni esposte l'appello va respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo con distrazione a favore del difensore antistatario. Al rigetto dell'appello consegue ex lege (art. 1, commi 17-18, L. n. 228 del 2012) la dichiarazione che sussistono i presupposti per l'ulteriore pagamento, a carico dell'appellante, di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l'impugnazione. P.Q.M. Visto l'art. 437 c.p.c., respinge l'appello; condanna l'appellante a rimborsare all'appellata le spese del grado, liquidate in Euro 2.500,00 oltre rimborso forfettario, IVA e CPA, con distrazione a favore del difensore; dichiara la sussistenza delle condizioni per l'ulteriore pagamento, a carico dell'appellante, di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l'impugnazione. Così deciso in Torino l'8 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 23 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MILANO SEZIONE LAVORO La dott.ssa Francesca Saioni, in funzione di giudice del lavoro ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa n. 7961/2022 R.G. promossa da avv. (...), in proprio, domicilio eletto in Pessano con Bornago, corso (...), ricorrente contro I.N.P.S., rappresentato e difeso dall'avv. Sa.Fa., domicilio eletto in Milano, via (...), resistente OGGETTO: ripetizione di indebito FATTO E DIRITTO Con ricorso ritualmente notificato, l'avv. (...) conveniva in giudizio I.N.P.S perché venissero accolte le seguenti domande: "IN VIA PRELIMINARE: sulla base delle ragioni esposte in narrativa disporre la riunione del presente procedimento con i processi pendenti innanzi al Tribunale di Milano, Sez. Lavoro, Giudice Unico Dott.ssa (...), con RG N. 8192/2021 e con RG N. 5618/2022, quest'ultimo già riunito al primo, affinché la presente causa sia assegnata, ai sensi dell'art. 273 e/o 274 c.p.c. alla Sezione Lavoro, già investita del Ricorso principale con RG N. 8192/2021 e con RG N. 5618/2022 ed affinché sia rispettato il principio costituzionale del giusto processo, onde evitare un abuso degli strumenti processuali 2. NEL MERITO E IN VIA PRINCIPALE,sempre sulla base delle ragioni esposte in narrativa, accogliere l'opposizione e, per l'effetto, accertare e dichiarare nullo e/o inefficace e/o annullare e/o revocare e/o disapplicare gli opposti accertamenti (doc. n. 1 e doc. n. 2) e/o comunque accertare e dichiarare che sono inesigibili e/o irripetibili in toto le somme pretese (doc. n. 1 e doc. n. 2) a qualunque titolo dall'INPS AGENZIA DI MILANO SUD, in persona del suo legale rappresentante pro-tempore nei confronti dell'Avv. (...) fino al 7.12.2020 data di deposito del ricorso per dichiarazione di morte presunta (doc. n. 5 pag. 2 punto 1) 3.nonché accertare e dichiarare non dovuta dal ricorrente qualsiasi somma assertivamente versata e/o esigibile dall'INPS Agenzia di Milano Sud anche per il periodo dal 01.04.2009 al 7.12.2020 data di deposito del ricorso di dichiarazione morte presunta (doc. n. 5 pag. 2 punto 1) e/o dal 01.04.2009 al 31.12.2010; 4. SEMPRE NEL MERITO,accertare e dichiarare, sulla base delle ragioni esposte in narrativa, le responsabilità in cui è occorsa l'INPS AGENZIA DI MILANO SUD nei confronti del ricorrente, condannando per l'effetto l'INPS stesso, AGENZIA DI MILANO SUD, in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, ai sensi dell'art. 2043 c.c. e/o dell'art. 96, comma 1 e/o comma 3,c.p.c. al risarcimento di tutti i danni sofferti e patiendi che si indicano nella somma di Euro. 10.000,00 e/o comunque in quella maggiore e/o minore somma che sarà riconosciuta secondo giustizia ed equità sempre in favore dell'Avv. (...). 5.condannare l'INPS AGENZIA DI MILANO SUD, in persona del suo legale rappresentante pro-tempore alla restituzione delle somme eventualmente percette nelle more del giudizio, maggiorate di interessi legali; 6. IN SUBORDINE E/O IN VIA CONCORRENTE E/O ALTERNATIVA,Voglia accertare e dichiarare l'intervenuta prescrizione dal 01/01/2011 al 31.08.2012 per l'avviso di accertamento con richiesta di restituzione dei ratei assertivamente versati per il periodo dal 01/01/2011 al 31/10/2017 così come notificato il 01.09.2022 (doc. n. 2 e doc. n. 2bis) e/o l'intervenuta prescrizione dal 01.04.2009 al 31.08.2012 per qualunque altra somma a qualunque titolo pretesa e/o esigibile dall'INPS AGENZIA DI MILANO SUD 7. IN SUBORDINE E/O IN VIA CONCORRENTE E/O ALTERNATIVA, voglia accertare e dichiarare la illegittimità e/o invalidità e/o nullità e/o inefficacia degli impugnati accertamenti (doc. n.1 e doc. n. 2) ovvero disapplicarli e/o comunque voglia accertare e dichiarare non dovute le somme richieste dall'INPS Agenzia Milano Sud fino al 7.12.2020 data di deposito del ricorso per dichiarazione di morte presunta (doc. n. 5 pag. 2 punto 1) e/o assumere, sempre sulla base di quanto eccepito in narrativa, ogni altro provvedimento a tutela dei diritti del ricorrente stante la infondatezza nel merito; e/o l'intervenuta decadenza e/o l'irripetibilità e/o inesigibilità delle somme e/o la carenza di prova e/o la carenza di motivazione (MOTIVAZIONE APPARENTE) degli atti/provvedimenti impugnati (doc. n. 1 e doc. n. 2) ovvero il legittimo affidamento del curatore speciale ingenerato dal comportamento dell'INPS nel corso del rapporto 8.In ogni caso sempre con vittoria di spese, diritti ed onorari". Si è costituito ritualmente INPS contrastando le pretese avversarie e formulando le seguenti domande: "rigettare il ricorso e tutte le domande svolte, sia in via preliminare e sia nel merito in via principale e subordinata in quanto inammissibili ed infondate in fatto ed in diritto confermando il debito notificato e confermando i conseguenti obblighi restitutori in capo a parte ricorrente. Rigettare in quanto inammissibili ed infondate le generiche domande di risarcimento di danni non patrimoniali formulate e nonché quelle per lite aggravata mandando assolto l'Istituto da ogni domanda svolta. Vinte le spese". All'udienza del 16/11/2022, la causa - di cui era stata chiesta già in ricorso la riunione con i procedimenti n. 8192/2012 R.G. e 5618/2022 R.G. assegnati al giudice dott.ssa D.C. - è stata rinviata unicamente per acquisire la motivazione della decisione di rigetto nelle more intervenuta (sent. n. 2604/2022). All'udienza del 18/01/2023, acquisita la suddetta motivazione, è stata respinta, per motivi di economia processuale e speditezza della definizione, l'istanza attorea di ulteriore rinvio per riunione del presente giudizio ai procedimenti n. 7200/2022 R.G. giudice dott. (...), instaurato dalla signora (...) (madre dell'odierno ricorrente) e n. 9834/2022 R.G. giudice dott.ssa (...) (instaurato dal medesimo avv. (...)), stante la diversa fase processuale (prima udienza fissata per entrambi nel mese di marzo 2023) e la parziale differenza soggettiva. La causa odierna, dunque, vertente su questione di diritto e documentale, è stata ritenuta matura per la decisione senza necessità di incombenti istruttori. Ciò posto, il ricorso è infondata e va respinto. Si rammenta che nella presente sede, l'avv. (...) contesta l'indebito previdenziale notificatogli dall'INPS per l'importo di Euro 27.501,97 per il periodo 1.2.2018/31.7.2021 e per l'importo di Euro 60.219,56 per il periodo 1.1.2011/31/102017. A tal fine premette un'ampia ricostruzione dei fatti, producendo documentazione e censurando il comportamento dell'INPS e dei suoi uffici sotto vari profili, lamentando l'asserita sussistenza di errori commessi dall'Ente e la carenza di comunicazione. In diritto, oltre ad articolate deduzioni in merito alla propria posizione di curatore speciale del padre (...), eccepisce l'intervenuta decadenza annuale del recupero, la buona fede del pensionato e comunque l'irripetibilità dell'indebito, ai sensi dell'art. 13 comma 2 L. n. 412 del 1991 oltre alla sua insussistenza. Giova premettere che alla prima udienza del 16/11/2022 l'istanza di riunione del presente giudizio a quello n. 8192/2021 + 5618/2022 R.G. assegnato alla dott.ssa D.C., si era rivelata non praticabile stante l'intervenuta decisione di tale procedimento in data 8 novembre 2022. Si verteva, in detto ambito, di accertamento di somme indebitamente percepite (come nel presente giudizio) e di opposizione ad avviso di addebito. Come osservato nella citata pronuncia, qui richiamata anche ai sensi e per gli effetti dell'art. 118 disp. att. c.p.c., la presente vicenda muove dal fatto che il sig. (...), padre dell'odierno ricorrente, era titolare di pensione diretta a carico dell'Istituto, certificato (...) avente decorrenza dal settembre 1993. La pensione è stata sempre pagata, dall'inizio della a decorrenza e negli anni, sino al luglio 2021 mentre la rata di agosto 2021, pur contabilizzata non risulta essere stata corrisposta. Il trattamento pensionistico dunque, anche sulla base delle comunicazioni pervenute dal curatore speciale nominato dal Tribunale, a seguito della dichiarazione di scomparsa è stato negli anni sempre corrisposto. Successivamente a seguito della intervenuta sentenza n. 36/2021 il Tribunale di Milano accertava e dichiarava la presunta la morte del sig. (...), da ritenersi avvenuta in V., in data 24.03.2009. Nell'ambito della citata sentenza, si legge: "(...) demanda al nominato curatore di rappresentare lo scomparso nella formazione dell'inventario e dei conti e nelle liquidazioni e divisioni in cui sia interessato, ed ogni potere rappresentativo e di amministrazione dei beni diretto alla conservazione ed amministrazione del patrimonio dello scomparso ed in particolare ad incassare i ratei pensionistici dello scomparso sig. (...) maturati e maturandi". Tale statuizione è coerente con il dettato dell'articolo 48 c.c., rubricato "curatore dello scomparso", secondo cui "(...) il tribunale (...) può nominare un curatore che rappresenti la persona in giudizio o nella formazione degli inventari e dei conti e nelle liquidazioni o divisioni in cui sia interessata, e può dare gli altri provvedimenti necessari alla conservazione del patrimonio dello scomparso". Il Tribunale di Milano, nell'ottica di conservazione del patrimonio di quest'ultimo, autorizzava, pertanto, espressamente il curatore all'incasso dei ratei pensionistici dovuti da I.N.P.S. Anche la giurisprudenza riconosce espressamente la legittimazione del curatore alla riscossione dei ratei pensionistici dello scomparso ma solo in nome e per conto di quest'ultimo: "Il curatore dello scomparso, in quanto abilitato, ai sensi dello art. 48 cod. civ., alla conservazione del patrimonio della persona scomparsa, nel quale rientra anche il diritto, precedentemente acquisito dalla stessa, al trattamento di pensione di vecchiaia, è legittimato a riscuotere, non iure proprio ma in nome e per conto dello scomparso, i ratei pensionistici a questo spettanti, senza che a tale legittimazione - la quale, in mancanza di limiti temporali imposti dal provvedimento di nomina, permane per tutto il periodo della scomparsa, fino alla promozione del procedimento per la dichiarazione di assenza (art. 49 cod. civ.) - sia di ostacolo la mancata prova dell'esistenza in vita del pensionato ai sensi dello art. 69 cod. civ. (secondo cui "nessuno è ammesso a reclamare un diritto in nome della persona di cui si ignora l'esistenza, se non prova che la persona esisteva quando il diritto è NATO"), essendo tale norma inapplicabile alla specie per l'indubitabile anteriorità dell'insorgenza del diritto alla pensione rispetto alla scomparsa del suo titolare" (Cassazione Sez. L, Sentenza n. 4338 del 24/10/1989). Da quanto precede, si desume inequivocabilmente la legittimazione del ricorrente, nella sua veste di curatore del padre scomparso, all'incasso della pensione regolarmente erogata da I.N.P.S. In ragione di quanto esposto, l'Istituto procedeva ad aggiornare l'anagrafica del pensionato (...), indicando correttamente la data della morte presunta - come accertata dal Tribunale - al 24/04/2009 e pubblicata in GU (GU Parte Seconda n.62 del 27-5-2021) come segue: "Dichiarazione di morte presunta di (...) Il Tribunale di Milano con sentenza n. 36/2021 del 22/04/2021 pubblicata il 18/05/2021, nel procedimento R.G. n. 13318/2020 ha dichiarato la morte presunta alla data del 24/03/2009, da ritenersi avvenuta in V., di (...), nato a P. il (...). avv. (...)". Deve, però, sottolinearsi che la riscossione da parte dell'odierno ricorrente avveniva solo in nome e per conto dello scomparso e in funzione della conservazione del patrimonio dello stesso. Deve inoltre osservarsi che - pacificamente - nessuno promuoveva il giudizio per la dichiarazione di assenza di (...), come prevista agli articoli 49 e seguenti c.c., con la conseguenza che nessuno veniva immesso nel possesso temporaneo dei beni del medesimo (...). Alla pronuncia del Tribunale di Milano, dichiarativa della scomparsa, seguiva, infatti, in data 22 aprile 2021, la sentenza di morte presunta "da ritenersi avvenuta in V. in data 24 Marzo 2009". Giova premettere che la distinzione tra gli istituti della scomparsa, dell'assenza e della morte presunta è tratteggiata compiutamente dalla Corte di Cassazione nei seguenti termini: "L'obbligo dell'Inail di pagamento della rendita vitalizia non rimane sospeso in caso di scomparsa del beneficiario atteso che la dichiarazione di scomparsa, ai sensi degli art. 48 ss. c.c., determina solo la quiescenza dei rapporti giuridici facenti capo allo scomparso, e la necessità di conservazione del suo patrimonio, a cui provvede il curatore all'uopo nominato; non vi è immissione, neppure temporanea, degli eredi nel possesso dei beni, come si prevede per il caso di assenza, nè liberazione o sospensione delle obbligazioni, anche strettamente personali, assunte da terzi verso lo scomparso, nè assume alcun rilievo la questione della trasmissibilità del diritto agli eredi" (Cassazione civile sez. lav., 21/01/2005, n. 1253). In particolare: "Le disposizioni del codice civile, dall'art. 48 all'art. 68, configurano fattispecie diverse tutte connotate dalla sparizione della persona, la quale assume però, in ciascun caso, una differente gravità: la scomparsa (art. 48 c.c.), che viene dichiarata dal tribunale qualora la persona non sia più comparsa nel luogo dell'ultimo domicilio o della sua ultima residenza e non se ne abbiano più notizie; l'assenza (art. 49 c.c.) che viene dichiarata su istanza dei presunti successori legittimi ove siano trascorsi due anni dal giorno a cui risale l'ultima notizia; ed infine la morte presunta (art. 58 c.c.) che viene dichiarata quando sono trascorsi dieci anni dal giorno a cui risale l'ultima notizia dell'assente. A ciascuna fattispecie corrisponde un assetto diverso, sia per quanto riguarda il patrimonio della persona sparita, sia per quanto riguarda il trattamento dei presunti successori, sia per quanto riguarda i debitori. La scomparsa determina solo la quiescenza dei rapporti giuridici facenti capo allo scomparso, e la necessità di conservazione del suo patrimonio, a cui provvede il curatore all'uopo nominato. Non vi è alcuna immissione neppure temporanea degli eredi nel possesso dei beni, come si prevede invece per il caso di assenza (art. 50 secondo comma c.c.), e non vi è alcuna liberazione né sospensione dell'obbligazione assunta verso lo scomparso, al contrario di quanto si prevede per il caso di assenza, in cui (art. 50 quarto comma) coloro che per effetto della morte dell'assente sarebbero liberati dall'obbligazione, possono essere temporaneamente esonerati dall'adempimento. Ne consegue che l'Inail non poteva procedere alla sospensione della rendita vitalizia spettante al (...), ossia non poteva essere temporaneamente esonerato da detto adempimento (neppure con provvedimento del tribunale), perché questa possibilità non viene concessa al debitore nel caso di scomparsa del creditore, ma solo nel caso di assenza, e cioè quando, con il passaggio del tempo, si fa probabile l'evenienza che il creditore non faccia più ritorno. Erra quindi la Corte territoriale nell'affermare che l'obbligo di pagamento della rendita vitalizia, presupponendo necessariamente l'esistenza in vita del titolare, deve restare sospeso fino a che non si accerti definitivamente la vita o la morte dello scomparso. Ed infatti, come già detto, con la mera dichiarazione discomparsa e la nomina di un curatore, si presume che l'interessato sia ancora in vita, il suo patrimonio deve essere conservato e restano ferme le obbligazioni, anche strettamente personali, assunte dai terzi nei suoi confronti, mentre non assume alcuna rilevanza, in questa fase, la questione della trasmissibilità del diritto agli eredi" (Cassazione sez. lav., 21/01/2005, n.1253). Nel periodo oggetto di causa, novembre 2017- gennaio 2018, pacificamente I.N.P.S. versava correttamente i ratei di pensione di (...) che venivano riscossi dal curatore posto che, all'epoca, alla dichiarazione di scomparsa, non aveva fatto seguito la dichiarazione di assenza. Si rammenta ancora che "La scomparsa determina solo la quiescenza dei rapporti giuridici facenti capo allo scomparso, e la necessità di conservazione del suo patrimonio". Dalla mancata pronuncia di una sentenza dichiarativa dell'assenza, due anni dopo quella di dichiarazione della scomparsa, è derivata la mancata liberazione di I.N.P.S. dall'obbligo di pagamento. Il fisiologico succedersi delle dichiarazioni di scomparsa, di assenza e di morte presunta avrebbe circoscritto la portata della vicenda, poiché I.N.P.S. avrebbe corrisposto i ratei della pensione del sig. (...) per soli due anni, con sospensione dei pagamenti una volta dichiaratane l'assenza. In mancanza di tale pronuncia, i pagamenti dei ratei della pensione sono proseguiti per oltre un decennio, ossia fino all'accertamento della morte presunta. Peraltro, la dichiarazione di assenza avrebbe consentito al coniuge dell'assente di tutelarsi nei termini ben delineati dalla Corte di Cassazione, secondo cui "fra i diritti dipendenti dalla morte dell'assente, dei quali è ammissibile l'esercizio temporaneo ai sensi dell'art. 50, terzo comma, cod. civ.,rientrano non solo i diritti che incidono sul patrimonio dell'assente ma - attesa la diversità di formulazione di detta norma rispetto all'art. 26 del vecchio codice civile - anche quelli che debbono esser fatti valere verso terzi. Pertanto, la moglie dell'assente titolare di pensione a carico dell'a.g.o., che, in caso di morte del marito, acquisirebbe iure proprio il diritto alla pensione di reversibilità, ha diritto - durante l'assenza del coniuge pensionato - ad esigere i ratei della pensione, a titolo di anticipata e provvisoria liquidazione della pensione di reversibilità e nei limiti della quota a lei autonomamente riservata, senza che per ciò sia configurabile alcun eventuale sacrificio degli interessi dell'istituto previdenziale, il quale, in caso di ritorno dell'assente, deve corrispondergli solo la differenza fra l'importo a lui spettante e le somme corrisposte alla moglie, non potendo il pensionato far valere a carico dell'ente alcuna azione o pretesa ulteriore" (Cassazione Sez. L, Sentenza n. 5988 del 05/11/1988). La giurisprudenza di legittimità riconosce, infatti, che "In tema di azione (di accertamento) di un coniuge, volta alla dichiarazione di assenza dell'altro coniuge ed al regolamento interinale del patrimonio dello scomparso, l'INPS è passivamente legittimato in ordine alla pretesa dell'attore concernente l'attribuzione, a titolo di assegno alimentare ai sensi dell'art. 51 c.c., di una quota della pensione dell'assente" (Cassazione civile sez. lav., 19/03/1992, n. 3405). Nella motivazione di tale sentenza si legge che "Questa Corte, tuttavia, volendo assolvere egualmente al compito di nomofilachia che è istituzionalmente affidato ad essa, deve rilevare che la legittimazione passiva al giudizio da parte dell'I.N.P.S. dev'esser ritenuto sussistente sotto il profilo specifico dell'interesse a contraddire, ex art. 100 c.p.c., dal momento che nelle azioni di accertamento (come la presente, sottesa alla dichiarazione di assenza del marito dell'attrice ed al regolamento interinale del patrimonio dello scomparso con riguardo ai diritti del coniuge anche nei confronti dei terzi, quale l'I.N.P.S.) è principio consolidato didiritto, secondo la giurisprudenza reiterata di questa Corte (cfr, per tutte, inizialmente, sent. n. 910 del 26-3-54), che: "l'interesse che condiziona l'esercizio dell'azione (da non confondersi con quello che forma il contenuto del diritto soggettivo ed il cui conseguimento si tende a raggiungere con l'esperimento dell'azione) postula il bisogno di conseguire il vantaggio tutelato dalla legge a mezzo degli organi giurisdizionali dello Stato, senza il cui intervento il titolare di un diritto soffrirebbe danno: il che può verificarsi non soltanto nel caso che il diritto sia stato violato (azione di condanna), ma anche quando esista una situazione giuridica obbiettivamente incerta (azione di accertamento)". Or l'interesse a contraddire è, ovviamente, speculare all'interesse ad agire, per cui l'I.N.P.S. ha nel presente giudizio lo stesso interesse che ha l'attrice ad eliminare ogni stato d'incertezza per quanto concerne l'accertamento dello stato di diritto in ordine a quanto spettantele, come assegno personale, oltre che quale coniuge curatrice del patrimonio dello scomparso. L'I.N.P.S., quindi, rimane giurisdizionalmente interessato alla ripartizione della pensione spettante all'assente dovendo esso distinguere tra quota accantonata, quale trattamento pensionistico diretto, e quota pagata al coniuge a titolo di pensione di reversibilità". Nel caso di specie, in cui la procedura di dichiarazione dell'assenza non è stata attivata, nemmeno al fine di tutelare il coniuge dello scomparso, il curatore di quest'ultimo deve restituire quanto oggetto di causa, poiché percepito in costanza della dichiarazione di scomparsa fino alla dichiarazione di morte presunta. Come già rammentato, infatti, dopo la dichiarazione di scomparsa di (...), il Tribunale di Milano ne dichiarava la morte presunta, con effetti risalenti al 2009 anche con riguardo all'estinzione del diritto alla pensione. Alla luce di quanto precede e anche in considerazione del periodo oggetto di indebito, va affermato anche in questa sede che non vi è titolo che legittimi l'avvenuto pagamento dei ratei di pensione in favore di (...) in persona del suo curatore in quanto il decesso dello scomparso veniva presuntivamente datato al 2009. Tale ultima statuizione del Tribunale di Milano ha dunque reso i pagamenti effettuati negli anni da I.N.P.S. privi di titolo, in quanto versati a titolare di trattamento pensionistico da ritenersi deceduto già dal 2009. Ne consegue che gli importi versati da I.N.P.S. allo scomparso, nelle mani del suo curatore, devono essere restituiti a I.N.P.S. Inoltre, a fronte della nomina dell'avv. (...) quale mero curatore dello scomparso, il ricorrente era autorizzato alla sola riscossione, nei termini sopra descritti, ma non a porre in essere atti di disposizione del patrimonio del padre scomparso. L'immissione nel possesso dei beni è, infatti, un effetto che sarebbe derivato solo dalla dichiarazione di assenza, con le conseguenze già esposte con riguardo al coniuge, che avrebbe beneficiato, in via anticipata e provvisoria, della pensione di reversibilità. Il godimento di quest'ultima avrebbe anche assorbito le statuizioni del Tribunale di Milano sull'assegno divorzile disposto a favore dell'ex coniuge dello scomparso, madre dell'odierno ricorrente. In seguito alla dichiarazione di morte presunta, si è, quindi, aperta la successione mortis causa di (...) con effetti "al momento a cui è fatta risalire la morte presunta, al quale, in base al successivo art. 459, retroagiscono gli effetti dell'accettazione dell'eredità". Sullo specifico punto, la Corte di Cassazione ha affermato, infatti, che "La dichiarazione di morte presunta determina una vera e propria successione mortiscausa dei presunti eredi del dichiarato morto, come si evince dalle norme dettate in ordine alla devoluzione degli elementi attivi del patrimonio di quest'ultimo ai suoi presunti eredi e legatari (artt. 63, 64, 69, 73 cod. civ.) e dal contrapposto silenzio sulla sorte degli elementi passivi di detto patrimonio, spiegabile solo con la sottintesa applicabilità della disciplina delle successioni mortis causa. Tale successione si apre, ai sensi degli artt. 58 e 61 cod. civ., al momento a cui è fatta risalire la morte presunta, al quale, in base al successivo art. 459, retroagiscono gli effetti dell'accettazione dell'eredità, sebbene la delazione ereditaria abbia luogo quando diviene eseguibile la sentenza dichiarativa della morte presunta (arg. ex artt. 63 e 64 citati)" (Cassazione Sez. 1, Sentenza n. 536 del 24/01/1981). Non possono quindi essere condivisi gli assunti difensivi attorei che pretenderebbero di fare decorrere gli effetti della sentenza dichiarativa della morte presunta solo a partire dal momento dell'annotazione della stessa nei Registri dello stato civile. Peraltro, in tema di effetti della dichiarazione di morte presunta, deve osservarsi che al coniuge del presunto morto (sig.ra (...)), spetta, in via definitiva e iure proprio la pensione di reversibilità, a riprova del fatto che i ratei di pensione nelle more versati devono essere restituiti. Sul punto, la Suprema Corte sanciva che "Il diritto alla percezione della pensione di reversibilità del coniuge scomparso sorge dalla pubblicazione della sentenza dichiarativa di morte presunta, sicché anteriormente a tale momento non decorre il termine di prescrizione del relativo diritto" (Cassazione Sez. L, Sentenza n. 17133 del 17/08/2016). Coerentemente, I.N.P.S. ha infatti, già accolto la domanda del 20.7.2021 della sig.ra V. di liquidazione della pensione di reversibilità con decorrenza dall'aprile 2009 e con quantificazione degli arretrati nella misura di Euro 19.264,81. Si reputa, infine, condivisibile la circostanza che l'I.N.P.S. abbia rivolto le sue pretese, dopo la dichiarazione di morte presunta, nei confronti dell'odierno ricorrente, in applicazione degli analoghi principi di diritto affermati dalla giurisprudenza in punto di obbligo di restituzione gravante su colui che abbia ricevuto somme corrisposte da I.N.P.S. a persona rivelatasi deceduta: "Il pagamento dell'indebito a persona defunta, ma ritenuta vivente dal "solvens", fa sorgere l'obbligo di restituzione, ex art. 2033 c.c., in capo a colui che di fatto si avvalga di quel pagamento, essendo solo quest'ultimo il soggetto che, con la materiale apprensione del pagamento, acquista la qualità di "accipiens" e, con essa, l'obbligo di restituire quanto acquisito. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che - in relazione alla domanda di ripetizione proposta da un istituto di credito, il quale per anni aveva erogato, per conto dell'INPS, la pensione ad un soggetto defunto mediante accredito su un conto corrente cointestato a quest'ultimo e ad un terzo - aveva ritenuto l'obbligo restitutorio trasferito dal beneficiario defunto ai suoi eredi, anziché sorto direttamente ed esclusivamente in capo al terzo cointestatario che aveva prelevato le somme indebitamente erogate)" (Cassazione Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 17705 del 07/09/2016). Infine, deve osservarsi che il diritto di I.N.P.S. di ripetere le prestazioni previdenziali versate, qualora ne emerga la natura di pagamento di indebito, è confermato dalla sentenza della Cassazione, Sezione Lavoro, n. 12034 del 1992 relativa a caso pressochè analogo di persona ritornata dopo essere stata dichiarata presunta morta. La Suprema Corte stabiliva, infatti, che "l'assicurato (dichiarato "morto - presunto"), e del quale, poi, è stata (giudizialmente) provata l'esistenza, ha l'incontestabile diritto di ottenere il ripristino del trattamento pensionistico di cui era in vita titolare, con la decorrenza pretesa, a norma dello art. 66, comma 2C.C., secondo cui - il soggetto ha "diritto di pretendere l'adempimento delle obbligazioni considerate estinte, ai sensi del secondo comma dell'art. 63..." E non si può dubitare della avvenuta estinzione del (suo) diritto alla pensione, a seguito della morte (reale o presunta) dell'assicurato, secondo principi generali (cfr. Cass. 5.11.1988 n. 5988) del nostro ordinamento previdenziale, trattandosi (come è noto) di un diritto di natura strettamente personale, non certamente trasmissibile agli eredi, in quanto strettamente collegato con l'esistenza in vita del titolare. Non ha poi alcuna rilevanza, sul piano del diritto, l'avvenuta erogazione, nel periodo intermedio, della pensione di reversibilità corrisposta dall'Istituto alla moglie dell'assicurato. La moglie del soggetto - pensionato - ha diritto, in caso di morte del marito, "iure proprio" (cfr. Cass. 1294/1974; Cass. 299/1983; Cass. 5988/1988) ed in via autonoma, al trattamento pensionistico di reversibilità, secondo la previsione di legge, ricorrendone i presupposti. Nè si può confondere la posizione del coniuge superstite - in capo al quale sorge ex-lege il diritto alla pensione di reversibilità, e che trova la sua giustificazione nella morte del marito, con quella del soggetto - assicurato, ritornato giuridicamente in vita - e ricollegabile alla (diversa) posizione assicurativa di questo ultimo, ed al compimento dell'età prevista per la pensione di vecchiaia - di cui era titolare lo S.: il quale ha pertanto diritto all'adempimento di tutte quelle obbligazioni dichiarate estinte a seguito della (dichiarata) morte presunta. E non si può certo operare una sorta di "compensazione" tra il "debito" dell'Istituto verso il soggetto - pensionato (e ritornato giuridicamente in vita) con il credito - a sua volta vantato dall'Istituto nei riguardi della moglie che ha (indebitamente) percepito la pensione di reversibilità, trattandosi di diritti autonomamente spettanti, per legge, a due soggetti diversi" (Cassazione Sez. L, Sentenza n. 12034 del 1992) Nel caso di specie, è peraltro irrilevante la valutazione della buona fede in quanto l'incasso di erogazioni previdenziali da parte del curatore dello scomparso non possono essere assistite dalla buona fede del percipiente, circostanza eventualmente impeditiva della restituzione. Il curatore dello scomparso è, infatti, ben consapevole di ricevere le somme in questione, da parte di I.N.P.S., solo in funzione della conservazione del patrimonio dello scomparso e nella consapevolezza della possibilità che quest'ultimo potrebbe non ricomparire. Inoltre, nel caso di specie e nel periodo oggetto di rivendicazione da parte di I.N.P.S., il ricorrente, figlio di (...), era legittimato a proporre azione per la dichiarazione dell'assenza del padre, con le conseguenze sopra delineate. Nella presente fattispecie non opera, quindi, la disciplina sull'irripetibilità dell'indebito previdenziale, i cui presupposti sono stati tratteggiati dalla Cassazione nei seguenti termini: "L'irripetibilità dell'indebito previdenziale è subordinata al ricorrere di quattro condizioni: a) il pagamento delle somme in base a formale e definitivo provvedimento; b) la comunicazione del provvedimento all'interessato; c) l'errore, di qualsiasi natura, imputabile all'ente erogatore; d) la insussistenza del dolo dell'interessato, cui è parificata "quoad effectum" la omessa o incompleta segnalazione di fatti incidenti sul diritto, o sulla misura della pensione, che non siano già conosciuti dall'ente competente, difettando anche una sola delle quali opera la regola della ripetibilità di cui all'art. 2033 c.c. (Nella specie, la S.C. ha escluso la ricorrenza della quarta delle sopraindicate condizioni, essendo l'ente pervenuto a conoscenza di fatti rilevanti non per iniziativa del pensionato, seppure obbligato a comunicarli, ma di un terzo organo di vigilanza, quale l'Ispettorato del Lavoro)" (Cassazione Sez. L - , Ordinanza n. 5984 del 23/02/2022). È dirimente osservare che, nella fattispecie oggetto di delibazione, difetta certamente il presupposto del compimento di un errore da parte dell'ente previdenziale, che proseguiva i versamenti sul presupposto della scomparsa. In considerazione di quanto precede non è pertinente la normativa in tema di irripetibilità dell'indebito previdenziale. Sul punto occorre richiamare il dettato dell'art. 52, rubricato "prestazioni indebite", della L. 9 marzo 1989, n. 88, secondo cui "1. le pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle gestioni obbligatorie sostitutive o, comunque, integrative della medesima, della gestione speciale minatori, delle gestioni speciali per i commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri e coloni nonché la pensione sociale, di cui all' articolo 26 della L. 30 aprile 1969, n. 153 , possono essere in ogni momento rettificate dagli enti o fondi erogatori, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione della prestazione. 2. nel caso in cui, in conseguenza del provvedimento modificato, siano state riscosse rate di pensione risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l'indebita percezione sia dovuta a dolo dell'interessato. il mancato recupero delle somme predette può essere addebitato al funzionario responsabile soltanto in caso di dolo o colpa grave". Del resto, che l'errore debba essere imputabile all'ente è espressamente stabilito anche dall'art. 13, commi 1 e 2, della L. n. 412 del 1991. Con riguardo agli interessi deve ritenersi la loro debenza dalla data della corresponsione del capitale, proprio in considerazione della necessità di considerare la morte di (...) come avvenuta sin dal 2009 e della connaturale provvisorietà della scomparsa, che avrebbe potuto essere travolta dal ritorno o dalla dichiarazione di assenza o morte presunta. Prive di fondamento sono anche le deduzioni del ricorrente con riguardo all'asserita responsabilità di I.N.P.S. ai sensi dell'art. 2043 c.c. e/o dell'art. 96, comma 1 e/o comma 3, c.p.c. Quanto sin qui esposto basta per affermare la legittimità del comportamento di I.N.P.S. Deve essere rigettata anche la domanda proposta dal ricorrente di condanna di I.N.P.S. ai sensi dell'articolo 96 c.p.c., in considerazione della carenza degli elementi oggettivi e soggettivi, che devono essere sottesi rispetto alla responsabilità processuale prevista dalla citata disposizione del codice di rito. Per le ragioni che precedono, il ricorso va respinto, restando disattesa o assorbita ogni questione ulteriore di cui in atti, in quanto superflua ai fini del decidere. Le spese di lite seguono la soccombenza tenuto conto del valore della causa, della sua complessità e dell'assenza di attività istruttoria. P.Q.M. definitivamente pronunciando, così provvede: 1) rigetta il ricorso; 2) condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite sostenute da INPS, liquidate in Euro 2.500,00 per compensi oltre al rimborso spese generali al 15%, IVA e CPA; 3) fissa termine di giorni 60 per il deposito della sentenza. Così deciso in Milano il 18 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 15 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Milano, Sezione Lavoro composta da: Dott. Monica VITALI - Presidente Dott. Roberto VIGNATI - Consigliere Dott. Andrea TRENTIN - Giudice Ausiliario - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile in grado di appello n. 1117 del 2022 avverso la sentenza n. 979 del 2022 emessa dal Tribunale di Milano (Pazienza), decisa il giorno 24 Gennaio 2023 e promossa da: (...) S.p.A. (c.f. (...), P.IVA: (...), R.E.A. Roma n. 756453), rappresentata e difesa dagli avvocati prof. An.Pa. (c.f. (...)) Re.Bu. (c.f. (...) ) e Ci.Bu. (c.f. (...) ), elettivamente domiciliata in Ercolano, Piazza (...) presso lo studio degli avvocati Re. e Ci.Bu. - Appellante; contro (...) (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'avvocato En.Go. (c.f. (...) ), elettivamente domiciliato in Milano, Via (...) presso lo studio dell'avvocato En.Go. - Appellato FATTO E SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO Il Tribunale di Milano con la sentenza n. 979 del 2022 ha accolto la domanda formulata da (...) e ha condannato (...) S.p.a. a corrispondere in favore del ricorrente, a titolo di "Indennità di uscita turno" prevista dall'articolo 26 del CCNL per gli Addetti all'Industria dell'Energia e del Petrolio, la somma complessiva di Euro 23.449,86 oltre gli interessi legali e la rivalutazione monetaria dalla data di maturazione delle singole componenti del credito sino all'effettivo soddisfo. Spese del grado secondo il principio di soccombenza liquidate in complessivi Euro 4.500,00 oltre IVA, CPA e rimborso delle spese generali nella misura del 15%, con distrazione in favore dell'Avvocato (...) dichiaratosi anticipatario. In motivazione il primo giudice, richiamata la norma di cui all'articolo 26 del CCNL per gli addetti all'Industria dell'Energia e del Petrolio e individuata la ratio di detta norma nella garanzia di conservazione "ad personam" del livello retributivo percepito in ragione della maggiore penosità degli orari a turno ha, in primo luogo, disatteso l'eccezione di parte resistente - secondo cui, avendo il ricorrente maturato i requisiti per la pensione quota 100, allo stesso deve applicarsi l'ipotesi derogatoria prevista dal citato articolo 26 che prevede la cessazione dell'indennità in esame alla maturazione dei requisiti per la pensione anticipata o vecchiaia - all'uopo rilevando che nei diversi rinnovi la Contrattazione collettiva ha sempre fatto riferimento alle sole ipotesi specifiche di maturazione dei requisiti per la pensione di anzianità o per la pensione di vecchiaia, non menzionando mai l'ipotesi di pensione quota 100 ed evidenziando la natura straordinaria e transitoria della pensione quota 100 rispetto alla natura ordinaria e istituzionale delle ipotesi previste dalla Contrattazione collettiva. Riconosciuto, quindi, il diritto del ricorrente alla indennità di uscita turno il Tribunale di Milano, per quanto concerne i criteri di quantificazione della detta indennità, conformandosi al precedente della Corte d'Appello di Milano espresso con la sentenza n. 1442 del 2021, ha disatteso tutte le eccezioni sollevate dalla società resistente aventi ad oggetto la irrilevanza, ai fini della determinazione dell'anzianità di servizio, dei rapporti di lavoro del ricorrente intercorsi con le società estere del gruppo (...) nonché la esclusione, dalla base di calcolo, delle indennità e delle maggiorazioni previste per i Sorveglianti di turno, previste dall'Accordo collettivo del marzo del 1998 e del compenso aggiuntivo di cui all'accordo collettivo del 2003 nonché l'indennità forfettaria di spostamento (codice (...)) e l'indennità viaggi e turnazione (codice (...)). Il primo Giudice, infine, sempre richiamando il precedente della Corte d'Appello di Milano, ha disatteso anche le eccezioni di parte resistente aventi ad oggetto la natura delle indennità speciali previste dall'Accordo Collettivo del 2008 e l'applicazione, alla fattispecie in esame, della norma di cui all'articolo 26 del CCNL di categoria, in luogo della norma di cui all'articolo 24 del medesimo CCNL. Avverso la detta decisione ha interposto appello (...) S.p.a. articolando sette motivi. Con il primo motivo - intestato:" Sulla non spettanza dell'indennità di uscita turno a seguito del raggiungimento dei requisiti di accesso alla pensione "Quota 100" - l'appellante ha censurato la sentenza nella parte in cui ha ritenuto esclusa dalle ipotesi derogatorie previste dall'articolo 26 del CCNL applicato la pensione quota 100 all'uopo deducendo che detta pensione, per cui aveva maturato i requisiti l'appellato, deve considerarsi una pensione anticipata, come tale prevista dalla norma collettiva non sussistendo, peraltro, idonei elementi per ritenere che l'intenzione delle parti sociali fosse di riferirsi solo ad alcune pensioni anticipate. Con il secondo motivo - intestato:" Sulla irrilevanza dei rapporti di lavoro intercorsi con società estere del gruppo (...) ai fini della determinazione dell'anzianità di servizio utile ai fini del calcolo dell'indennità di uscita turno" - l'appellante ha censurato la sentenza nella parte in cui ha disatteso l'eccezione della irrilevanza, ai fini della determinazione dell'anzianità di servizio utile per il calcolo dell'indennità di uscita dal turno, del rapporto di lavoro intercorso tra il lavoratore e le società estere del G.E. all'uopo deducendo che l'assunzione presso la società estera è avvenuta con sospensione del rapporto di lavoro e che, pertanto, nella fattispecie dedotta in giudizio, non si deve tenere conto dell'anzianità di servizio maturata presso un diverso datore di lavoro. Con i motivi tre, quattro e cinque, l'appellante ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui ha computato nella base di calcolo della indennità uscita turno talune specifiche voci. In particolare con il terzo motivo - intestato:" Sulla esclusione delle "Indennità e maggiorazioni per i Sorveglianti in turno di cui all'Accordo Collettivo 19-20 marzo 1998" e " Sulla esclusione dalla base di calcolo della IUT del "Compenso aggiuntivo" di cui all'accordo collettivo del 18 marzo 2003" - l'appellante ha censurato la sentenza nella parte in cui ha incluso, nella base di calcolo, le indennità e maggiorazioni per i sorveglianti di turno di cui all'accordo collettivo 19-20 marzo 1998 all'uopo preliminarmente rilevando che detto accordo ha introdotto la figura di "Sorvegliante in turno" che, alle ordinarie incombenze di assistente area pozzo da rendere in turno, sommava anche la funzione di sorvegliante ai sensi del D.Lgs. n. 624 del 1996 così che le indennità e le maggiorazioni previste per detta figura devono intendersi legate alla specifica mansione di sorvegliante la cui erogazione è solo convenzionalmente e occasionalmente collegata al turno. Con il successivo, e correlato, quarto motivo - intestato:" Sulla esclusione dalla base di calcolo della IUT del "Compenso aggiuntivo" di cui all'accordo collettivo del 18 marzo 2003" - l'appellante ha censurato la sentenza nella parte in cui ha incluso, nella base di calcolo dell'indennità di uscita dal turno, il "compenso aggiuntivo" di cui all'accordo collettivo del 18 marzo 2003, stipulato a Marina di Ravenna tra (...) s.p.a. e le segreterie nazionali e territoriali delle federazioni sindacali stipulanti il CCNL, anch'esso relativo al tema degli assistenti/sorveglianti di area pozzo, all'uopo preliminarmente rilevando che in alcuni cantieri si era reso necessario separare la funzione di sorvegliante da quella di assistente area pozzo e che, in questi casi, coincidenti con i cantieri in cui la sorveglianza non viene svolta dagli assistenti area pozzo, l'orario del turno è stato rimodulato con un orario giornaliero dalle 7 alle 18 e che, per garantire le esigenze di flessibilità aziendali, è stato introdotto un compenso aggiuntivo, codificato come voce "1650", per il lavoro eventualmente prestato nella fascia oraria 18-24 trattandosi, pertanto, di elemento retributivo che non può considerarsi come compenso legato al turno. Con il quinto motivo - intestato:" Sulla esclusione espressa di alcune voci retributive dalla base di calcolo della IUT da parte della contrattazione collettiva" - l'appellante ha censurato la sentenza nella parte in cui non ha tenuto conto che la contrattazione collettiva ha espressamente escluso dalla base di calcolo alcune voci quali l'indennità forfettaria di spostamento (codice (...)) e l'indennità viaggi e turnazione (codice (...)) all'uopo deducendo che il Tribunale ha ignorato il dettato univoco ed espresso sia dell'articolo 14 dell'accordo nazionale/aziendale del 30.09.2008, sia dell'accordo nazionale/aziendale del 18 marzo 2003, alla stregua dei quali, per coloro che operano nei cantieri dove non viene svolta la sorveglianza sia "l'indennità di spostamento" e sia il "compenso aggiuntivo" non fanno parte della retribuzione ad alcun effetto, non essendo utili ai fini della determinazione del TFR. Con il sesto motivo - intestato:" Sulla natura non retributiva delle "indennità speciali" previste dall'Accordo nazionale integrativo 30 settembre 2008" - l'appellante ha ribadito l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha tenuto conto della natura non retributiva delle indennità speciali previste dall'accordo nazionale integrativo 30 settembre 2008 all'uopo deducendo che - sia da un punto di vista della esegesi letterale e sia dal punto di vista dogmatico - non è rinvenibile agli atti alcun dato, fattuale o contrattuale, da cui possa desumersi che nel testo dell'articolo 26 del CCNL richiamato, ma neppure nell'accordo collettivo del 30 settembre 2008, l'espressione "compensi percepiti per lavoro in turno" esprima un concetto diverso da "retribuzioni per lavoro in turno". Con il settimo motivo - intestato:" Sulla esclusione, dalla base di calcolo della IUT, delle "Indennità Speciali" di cui all'Accordo Collettivo del 30 Settembre 2008 e, in generale, sulla inapplicabilità alla fattispecie in esame dell'art. 26 CCNL Energia e Petrolio e sull'applicabilità, in luogo di questo, dell'art. 25 comma 14 del CCNL con conseguente applicazione al lavoratore di un trattamento più favorevole" - l'appellante, premettendo che l'uscita dal turno del ricorrente per 4 mesi del 2016, avvenne in esecuzione di un ulteriore accordo sindacale aziendale funzionale a salvaguardare i posti di lavoro e le figure professionali dei turnisti d'area pozzo, ha dedotto l'erroneità della decisione del primo giudice che non solo non ha considerato che si trattava di turnisti d'area pozzo la cui assegnazione ad attività giornaliere non aveva carattere né strutturale né definitivo, ma anche che la fattispecie dedotta in causa è inquadrabile non nell'articolo 26 del CCNL più volte richiamato ma nell'articolo 25 comma 14 del medesimo CCNL che disciplina l'ipotesi in cui si verifica non una uscita dal turno ma, semplicemente, una sospensione temporanea dell'attività operativa in turno. All'interposto appello ha resistito (...) chiedendo la conferma dell'impugnata sentenza. Il giorno 24 gennaio 2023 la causa è stata decisa come da dispositivo steso in calce. MOTIVAZIONE L'appello è infondato e, pertanto, va rigettato. La decisione della controversia muove dalla disamina della norma collettiva richiamata a fondamento della domanda, ovvero l'articolo 26 del C.C.N.L. Energia e Petrolio della Mobilità così formulata: "È prevista l'uscita dal turno al verificarsi delle seguenti condizioni: - decisione della direzione aziendale - permanente inidoneità, accertata da istituti di diritto pubblico, per grave malattia, che comporti l'utilizzo in attività non in turno. Per i lavoratori a più alta anzianità di attività prestata in turno, verrà riconosciuto ad personam un importo in cifra, secondo la seguente tabella, calcolato sulla media dei compensi complessivi dei 3 anni precedenti, percepiti per lavoro in turno, a titolo di indennità e maggiorazioni delle quote orarie (cosiddette quote fisse e quote variabili). Con la progressiva applicazione del nuovo sistema di compensi per il lavoro in turno che non prevede quote fisse, alla voce variabile dovrà aggiungersi la voce "Edr ex turni" ove presente. Periodo di permanenza in turno Percentuale 20 anni 35%; 25 anni 50%; 30 anni 65%; 35 anni 80%. La suddetta indennità verrà a cessare al momento della maturazione dei requisiti per la pensione anticipata o vecchiaia e sarà assorbita esclusivamente in caso di reinserimento in lavoro in turno. Per i dipendenti usciti dal turno, le aziende attiveranno percorsi formativi finalizzati alla riconversione professionale. Restano confermate le condizioni di miglior favore derivanti da accordi locali". La serena lettura della norma consente di respingere, innanzitutto, il primo motivo di appello qui condividendosi l'interpretazione della norma collettiva effettuata dal primo giudice il quale ha, innanzitutto, correttamente, rilevato che con la riforma del 2012 la pensione di "anzianità" è stata ridefinita con il termine "anticipata" e che il CCNL del 2013, successivo alla riforma, ha recepito tale variazione terminologica, mantenendo la distinzione rispetto a quella di vecchiaia evidenziando che le due categorie hanno un preciso significato tecnico, essendo riferite alle comuni tipologie di pensionamento di fine carriera mentre l'ipotesi di c.d. pensione quota 100 si configura(va) come ipotesi straordinaria e transitoria, da tenere distinta dalle due contemplate dal CCNL, non rientrando tra le forme ordinarie ed istituzionali di pensionamento. Va del resto rilevato, come evidenziato anche dal primo giudice senza alcuna censura sul punto, che l'ipotesi di pensione quota 100 venne, spesso, scartata dai potenziali pensionandi per le penalizzanti condizioni economiche non potendo, quindi essere assimilata alle ipotesi contemplate dalla Contrattazione collettiva la quale - come affermato dal primo giudice senza alcuna censura sul punto - con il rinnovo del CCNL del 2019 ha omesso di contemplare la pensione quota 100 pur avendo, nei precedenti rinnovi adeguato la terminologia alle modifiche normative. Per tali ragioni il primo motivo di appello va respinto come pure da respingersi è il secondo motivo di appello con cui l'appellante ha contestato il computo, nell'anzianità di turno di (...), del servizio prestato presso società estere del G.E.. Nell'atto introduttivo del giudizio (cfr. pag. 13 e seguenti del ricorso ex art. 414 c.p.c.) l'appellato ha dedotto la continuità dell'anzianità aziendale italiana deducendo espressamente che i periodi lavorati all'estero "... risultano essere regolarmente considerati ai fini dell'anzianità di servizio (cfr. annotazioni sui cedolini paga) e, quindi, per la maturazione degli scatti di anzianità. Parimenti nel curriculum vitae del dipendente, curato dalla stessa società, i periodi di lavoro estero sono valorizzati in modi identico a quelli prestati in Italia ..." e tali deduzioni non sono state contestate dalla società appellante, neppure con l'atto di appello. In particolare sia nei cedolini paga (cfr. docc.1 e 20 fascicolo di primo grado di parte appellata) e sia nel curriculum vitae (cfr. doc.2 fascicolo di primo grado di parte appellata) viene riconosciuta, dall'appellante, una anzianità di Gruppo risalente al 27 luglio 1979 e una anzianità societaria risalente al primo gennaio 1998. Va, peraltro, rilevato che questa Corte d'Appello di Milano con la sentenza n. 1442 del 2021, richiamata dal primo giudice, ha rilevato che nell'articolo 42 bis del CCNL Energia e Petrolio 19 Settembre 2019 è previsto che:" ai lavoratori assegnati all'estero sarà riconosciuta l'anzianità di servizio pari alla durata del periodo di svolgimento dell'attività all'estero, anche se collocati in aspettativa temporanea per l'estero, quale trattamento di miglior favore" all'uopo precisando, con argomentazione qui condivisa, che:" Il Collegio concorda con parte appellata nel ritenere che la richiamata disposizione del CCNL 2019 rappresenti il riconoscimento formale di una prassi aziendale vigente da diversi decenni in ordine al riconoscimento dell'anzianità di servizio per i periodi di lavoro alle dipendenze di società estere del G., che trova conferma nei cedolini paga e non risulta smentita dalle difese della società appellante". Per questi motivi anche il secondo motivo di appello deve essere respinto. Per quanto concerne le doglianze enucleate con il terzo, quarto, quinto e sesto motivo di appello, aventi ad oggetto la base di calcolo della Indennità Uscita Turno nonché la natura di talune voci indennitarie, il Collegio richiama, anche ex artt. 118 disp att. c.p.c. quanto già statuito dalla Corte di Appello di Milano con la richiamata sentenza n. 1442 del 2021 che, nello scrutinare le medesime doglianze ha premesso che nel definire la base di calcolo dell'indennità di uscita dal turno, l'art. 26 CCNL fa riferimento alla media dei compensi complessivi dei 3 anni precedenti, percepiti per lavoro in turno, a titolo di indennità e maggiorazioni delle quote orarie all'uopo rilevando che" la locuzione ha una portata molto ampia, che comprende ogni somma, a titolo di indennità e maggiorazione delle quote orarie, percepita in correlazione alle peculiari modalità di prestazione del lavoro in regime di turnazione. L'indennità è riconosciuta ai lavoratori che vantino un periodo di permanenza in turno di almeno 20 anni e ha la funzione di garantire il parziale consolidamento del trattamento economico percepito nello svolgimento del lavoro in turno, in caso di uscita dal turno per decisione aziendale o per sopravvenuta inidoneità fisica. Il tenore letterale della disposizione contrattuale e la finalità dell'istituto (garantire al lavoratore che abbia operato per molti anni come turnista la conservazione di una quota del corrispondente trattamento economico, in ipotesi di interruzione temporanea o di definitiva cessazione del lavoro in turno per cause indipendenti dalla sua volontà) convergono nel senso di includere nella base di calcolo dell'indennità in parola tutte le "indennità" e "maggiorazioni delle quote orarie", comunque percepite in connessione con il lavoro in turno" Sulla base di detta premessa - e in relazione alle doglianze qui articolate con il quinto e sesto motivo - ha precisato che:" le indennità speciali previste dall'accordo nazionale/aziendale del 30 settembre 2008 (allegato sub doc. 31 fascicolo appellato di primo grado), oggetto dei motivi di gravame in esame, sono la "indennità forfettaria di spostamento" (codice (...)) e la "indennità viaggi e turnazione" (codice (...)). Ai sensi dell'art. 8 di tale accordo, la "indennità forfettaria di spostamento" spetta ai "lavoratori soggetti a continui spostamenti in quanto addetti a lavori di ricerca con impianti di perforazione ... presso sedi di lavoro diverse dalla propria" ed è "finalizzata sia ad indennizzare il lavoratore delle spese di vitto e alloggio, sia ad indennizzare il disagio dovuto alla particolare natura dell'attività svolta in turno nei cantieri". Essa può consistere, a scelta del lavoratore, in un importo forfettario puro, ovvero misto(ossia cumulabile con il rimborso a piè di lista delle spese di alloggio) o infine nel puro e semplice rimborso delle spese a piè di lista. Detta indennità è strettamente legata allo svolgimento del lavoro in turni - come si ricava in particolare dall'art. 8, ultimo comma, secondo cui l'indennità "è riconosciuta anche al personale in addestramento, purché inserito in turni" - ed è pertanto da qualificare come compenso percepito per lavoro in turno, agli effetti dell'art. 26 CCNL. A mente dell'art. 13 dell'accordo nazionale/aziendale del 30 settembre 2008, la "indennità viaggi e turnazione" spetta agli stessi lavoratori contemplati dall'art. 8 sopra esaminato, i quali abbiano optato per il regime forfettario (puro o misto): a tali lavoratori, oltre alle spese di viaggio, è comunque riconosciuta "una quota lorda pari a Euro ... 91,19 ... per le spese di vitto sostenute in occasione di ciascun viaggio di andata e ritorno da e per il proprio domicilio nel limite massimo di 3 quote al mese". Si tratta di un'indennità accessoria alla "indennità forfettaria di spostamento", qualificabile, al pari di quest'ultima, come indennità correlata alla prestazione di lavoro in turno agli effetti dell'art. 26 CCNL. Non osta al computo della "indennità forfettaria di spostamento" nella base di calcolo dell'indennità di uscita dal turno la previsione dell'art. 14 dell'accordo nazionale/aziendale del 30 settembre 2008, secondo cui "l'indennità di spostamento non fa parte della retribuzione ad alcun effetto e non è considerata utile ai fini della determinazione del TFR". Tale previsione consente di non tener conto dell'indennità in esame a fini contributivi, come pure per la liquidazione del TFR o di qualsiasi istituto che prenda in considerazione la retribuzione del lavoratore. L'art. 26 CCNL, tuttavia, detta una disposizione di carattere speciale, che prescinde dalla natura strettamente retributiva dei compensi e valorizza - indipendentemente dalla natura retributiva, indennitaria o mista degli stessi - la loro inerenza alla prestazione di lavoro in turno, pienamente ravvisabile, come evidenziato, in relazione alla "indennità forfettaria di spostamento" qui in esame". In riferimento alla doglianza qui articolata con il quarto motivo, nella stessa sentenza 1442 del 2021 la Corte d'Appello di Milano ha affermato che:" Analoghe considerazioni valgono con riferimento al "compenso aggiuntivo" avente codice (...), introdotto dall'accordo collettivo 18 marzo 2003 stipulato a Marina di Ravenna tra (...) s.p.a. e le segreterie nazionali e territoriali delle federazioni sindacali stipulanti il CCNL (allegato sub doc. 30 fascicolo appellato di primo grado), oggetto anche, sotto diverso profilo, del sesto motivo di appello. L'accordo collettivo 18 marzo 2003 stabilisce, in relazione a tale compenso, che esso "non fa parte della retribuzione ad alcun effetto e non viene computato ai fini del TFR": si ritiene che tale previsione non assuma rilievo ostativo al computo del compenso nella base di calcolo dell'indennità di uscita dal turno, per le stesse ragioni evidenziate in relazione all'art. 14 dell'accordo nazionale/aziendale del 30 settembre 2008". La Corte d'Appello di Milano con la citata sentenza n. 1442 del 2021 ha, inoltre, respinto la doglianza qui articolata con il terzo motivo con cui l'appellante ha dedotto l'errata inclusione nella base di calcolo dell'indennità di uscita dal turno delle "indennità e maggiorazioni" per i "sorveglianti in turno", di cui all'accordo collettivo in data 19-20 marzo 1998, stipulato con le RSU di Ravenna (allegato sub doc. 3 fascicolo appellante di primo grado), vale a dire le voci retributive aventi codici 1590 (magg. str. diu. fer.: 25%), 1592 (magg. str. nott. fer.: 65%), 1550 (str. diu. fer.: 137%), 1552 (str. nott. fer.: 196%) e 1055 (liquidazione forfettaria di 6 quote orarie) all'uopo affermando che:" Ad avviso del Collegio non coglie nel segno l'argomento speso dalla società, secondo cui le voci anzidette non andrebbero computate nella base di calcolo dell'indennità di uscita dal turno poiché esse non si estrinsecano in un incremento della percentuale della maggiorazione per lavoro in turno, bensì in una maggiorazione per lavoro extra orario e rispondono alla stessa logica delle maggiorazioni per lavoro extra orario spettanti nel lavoro non inserito in turni. Se è vero che (ad eccezione della voce 1055) le voci in parola corrispondono a maggiorazioni per prestazioni di lavoro straordinario, è altresìvero che esse sono riconosciute solo ai lavoratori che operano in regime di turnazione. Infatti, come evidenziato dalla stessa parte appellante, l'accordo collettivo in data 19-20 marzo 1998 stipulato con le RSU di Ravenna, nell'introdurre la figura del "sorvegliante in turno" (che somma alle ordinarie incombenze di assistente di area pozzo, da rendere in turno, la funzione di sorvegliante di cui al D.Lgs. 25 novembre 1996, n. 624), ha previsto espressamente che tale figura operi secondo turni, stabilendo in particolare che "ferma restando l'alternanza 15/13 tra giorni sull'impianto e giorni di riposo", gli assistenti area pozzo/sorveglianti "forniranno una prestazione non discontinua secondo un regime di turno di tipo A, tale da assicurare la presenza continua nelle 24 ore di un assistente per l'intero ciclo 15/13, con la contestuale abolizione dei turni di reperibilità" e "ciascun assistente assicurerà quindi per ciascun ciclo 168 ore operative sull'impianto, attraverso turni di 12 ore ciascuno per 14 giorni". Non può pertanto fondatamente sostenersi che le maggiorazioni in esame - che in base all'accordo collettivo remunerano l'undicesima e la dodicesima ora del turno di 12 ore ("le parti convengono che la nona e la decima ora di ciascun turno diano luogo al pagamento delle sole maggiorazioni (feriale diurno/notturno), mentre la undicesima e la dodicesima ora vengano pagate come ore straordinarie (feriale diurno/notturno)") - rappresentino compensi causalmente sganciati dal lavoro in turno (come argomentato da parte appellante), in quanto la prestazione di lavoro in turni ne rappresenta, al contrario, l'antecedente necessario. Pertanto, anche tali voci sono annoverabili tra i compensi per il lavoro in turno ai sensi dell'art. 26 CCNL, con conseguente inclusione nella base di calcolo dell'indennità di uscita dal turno. Per queste, condivisibili argomentazioni, vanno quindi respinti anche il terzo, il quarto, il quinto e il sesto motivo di appello. Anche il settimo motivo di appello, con cui l'appellante ha dedotto l'inapplicabilità alla presente fattispecie dell'articolo 26 CCNL Energia e Petrolio e l'applicabilità, in luogo di questo, dell'articolo 25, comma 14, CCNL deve essere respinto. Sul punto la più volte richiamata sentenza n. 1442 del 2021 della Corte d'appello di Milano ha, condivisibilmente ritenuto quanto segue:" L'art. 26 CCNL Energia e Petrolio (allegato per estratto sub doc. 4 fascicolo appellato di primo grado) dispone quanto segue: "È prevista l'uscita dal turno al verificarsi delle seguenti condizioni: - decisione della direzione aziendale - permanente inidoneità, accertata da istituti di diritto pubblico, per grave malattia, che comporti l'utilizzo in attività non in turno. Per i lavoratori a più alta anzianità di attività prestata in turno, verrà riconosciuto ad personam un importo in cifra, secondo la seguente tabella, calcolato sulla media dei compensi complessivi dei 3 anni precedenti, percepiti per lavoro in turno, a titolo di indennità e maggiorazioni delle quote orarie (cosiddette quote fisse e quote variabili). Con la progressiva applicazione del nuovo sistema di compensi per il lavoro in turno che non prevede quote fisse, alla voce variabile dovrà aggiungersi la voce "Edr ex turni" ove presente. Periodo di permanenza in turno Percentuale 20 anni 35%; 25 anni 50%; 30 anni 65%; 35 anni 80%. La suddetta indennità verrà a cessare al momento della maturazione dei requisiti per la pensione anticipata o vecchiaia e sarà assorbita esclusivamente in caso di reinserimento in lavoro in turno. Per i dipendenti usciti dal turno, le aziende attiveranno percorsi formativi finalizzati alla riconversione professionale. Restano confermate le condizioni di miglior favore derivanti da accordi locali". L'art. 25, comma 14, dello stesso CCNL stabilisce che "nei casi di addestramento/formazione, permessi sindacali e di impegno del turnista in attività giornaliere, saranno mantenute le prassi vigenti a livello aziendale. In assenza di regolamentazione aziendale, per tali fattispecie verrà riconosciuta la maggiorazione del 12,5%". Il Tribunale ha accertato che (...) ha lavorato come turnista continuativamente dal 1980 ed è uscito dal turno nel periodo compreso tra luglio e novembre 2016, su disposizione di (...) s.p.a. In tale periodo egli è stato assegnato presso gli uffici di Marina di Ravenna a turno giornaliero. L'assegnazione a turno giornaliero è avvenuta senza l'individuazione di una scadenza ed è cessata solo aseguito di comunicazione scritta dell'azienda datata 15 novembre 2016, che ha destinato il lavoratore ad un cantiere, nuovamente come turnista. L'accertamento in fatto di cui sopra non è stato oggetto di impugnazione ed ha assunto, pertanto, carattere definitivo. Alla luce delle circostanze di fatto sopra richiamate si ritiene che la fattispecie concreta integri gli estremi della "uscita dal turno" per "decisione della direzione aziendale" ai sensi dell'art. 26 CCNL. Il carattere temporaneo dell'uscita dal turno (per la durata di quattro mesi) non osta all'applicazione di detta norma contrattuale, atteso che, come condivisibilmente ritenuto dal giudice di primo grado, la fattispecie ivi delineata comprende non solo l'uscita dal turno in via definitiva, ma anche in via temporanea: ciò si evince in particolare dalla previsione di assorbimento dell'indennità di uscita dal turno "in caso di reinserimento in lavoro in turno". La fattispecie concreta non pare, per contro, riconducibile all'ipotesi di cui al richiamato art. 25, comma 14, CCNL, che riguarda i casi di occasionale impegno del turnista (che tale rimane) in attività non in turno, per "addestramento/formazione", "permessi sindacali" o "impegno ? in attività giornaliere". Nel caso di cui si controverte l'appellato non è stato occasionalmente assegnato ad attività non in turno nell'ambito di un impegno stabile come turnista, ma, al contrario, è stato assegnato a turno giornaliero per quattro mesi consecutivi, cessando per tale periodo qualsiasi attività in turno. Significativo appare anche il fatto che l'assegnazione a turno giornaliero sia avvenuta senza termine di durata e senza alcun riferimento alla rotazione con altri dipendenti (cfr. telegramma in data 28 luglio 2016, allegato sub doc. 8 fascicolo appellato di primo grado) e che solo successivamente, a seguito di nuova determinazione aziendale (cfr. lettera datata 15 novembre 2016 di assegnazione ad area pozzo in regime di lavoro in turno, allegata sub doc. 22 fascicolo appellato di primo grado), tale assegnazione si sia rivelata temporanea. Pertanto, contrariamente a quanto dedotto da parte appellante, alla fattispecie deve ritenersi applicabile l'art. 26 e nonl'art. 25, comma 14, CCNL applicato, con conseguente rigetto dell'esaminato motivo di gravame". Respingendosi anche il settimo motivo di gravame l'appello deve, in conclusione, essere respinto. Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate, in favore della parte appellata, tenuto conto del valore della controversia e dell'assenza di attività istruttoria, in Euro 2.000,00 oltre il rimborso delle spese generali e gli accessori di legge. Con distrazione in favore dell'avvocato (...), dichiaratosi antistatario. Non sussistendo alcuna discrezionalità si dà atto che ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, introdotto dall'articolo 1 comma 17 della L. 24 dicembre 2012, n. 228, sussistono i presupposti per il versamento, a carico dell'appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato. P.Q.M. Rigetta l'appello proposto avverso la sentenza n. 979 del 2022 emessa dal Tribunale di Milano. Condanna parte appellante (...) S.p.a. a rifondere a parte appellata le spese del grado liquidate in Euro 2.000,00 oltre spese generali e oneri accessori. Con distrazione in favore dell'avvocato (...) dichiaratosi antistatario. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico dell'appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'appello. 24 Gennaio 2023 Così deciso in Milano il 24 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 10 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI TORINO SEZIONE LAVORO Composta da: Dott.ssa Clotilde Fierro - Presidente Dott. Michele Milani - Consigliere Dott. Maurizio Alzetta - Consigliere Rel. SENTENZA nella causa di lavoro iscritta al n. 545/2022 R.G.L. promossa da: (...), C.F.: (...), in persona del Presidente, legale rappresentante pro tempore, S.D., con sede in R., Via (...), rappresentata e difesa dall'Avv. Da.Da. ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. Ba.Ro. in Torino, Corso (...), per delega allegata alla busta contenente il ricorso in appello e inviata telematicamente Appellante CONTRO (...) (C.F.: (...)), nata ad A. (T.) il (...), elettivamente domiciliata in Asti (AT), via (...), presso l'avv. St.Ta. (C.F.: (...)) del Foro di Asti che la rappresenta e difende giusta procura speciale 12/12/2022, allegata alla memoria di costituzione in appello Appellata Oggetto: contributo di solidarietà. FATTI DI CAUSA Con ricorso al Tribunale di Torino, la dott.ssa (...) ha convenuto in giudizio la (...) (d'ora in poi C.) esponendo di essere titolare di pensione di vecchiaia anticipata con decorrenza dal giugno 2015 a carico della Cassa e deducendo l'illegittimità della decurtazione mensile, denominata "contributo di solidarietà", applicata dalla Cassa ai sensi dell'art. 22 del Regolamento della C. approvato con D.M. del 14 luglio 2004, applicato con Delib. n. 3 del 2013 per il quinquennio 2009/2013 e ulteriormente prorogato con Delib. 27 giugno 2013 per il quinquennio 2014/2018 e quindi ulteriormente mantenuto infine in forza della Delib. n. 10 del 2017 che ha dato esecuzione, per il quinquennio 2019/2023, all'art. 29 del Regolamento unitario in materia di previdenza ed assistenza, che ha previsto l'applicazione del contributo di solidarietà per tutte le pensioni o quote di pensione calcolate con il sistema retributivo, e quindi chiedendo di dichiarare l'illegittimità del contributo di solidarietà operato dalla Cassa in detrazione sulle rate di pensione liquidate e maturate e di condannare la Cassa convenuta alla restituzione delle ritenute operate per detti titoli. Costituendosi in giudizio la Cassa ha preliminarmente chiesto emettersi declaratoria di improcedibilità ex art. 443 c.p.c. del ricorso; in via principale, previa contestazione del fondamento della domanda, ne ha chiesto la reiezione; in subordine ha chiesto di dichiarare prescritta la domanda della (...) di restituzione delle somme di cui si tratta per il periodo precedente al 27.10.2016, ovvero al 7.10.2016; in ulteriore subordine ha chiesto di limitare il computo degli interessi sulle somme riconosciute come da restituire a far tempo dal 27.10.2016 (ossia al quinquennio anteriore alla data di notifica del ricorso), o al 7.10.2016 (avuto riguardo alla data di deposito del ricorso). Con sentenza n. 754/2022 pubblicata il 10.5.2022 il Tribunale ha accolto il ricorso. Propone appello la Cassa; resiste l'appellato. All'udienza di discussione del 24.1.2023 la Corte ha deciso la causa come da separato dispositivo. Ragioni della decisione 1. La sentenza impugnata. Il Tribunale ha accolto le domande proposte dal ricorrente, condannando la Cassa alla restituzione delle trattenute operate a titolo di "contributo di solidarietà" nel limite del decennio anteriore al deposito del ricorso introduttivo, richiamando l'orientamento di legittimità (Cass. 28054/2020, Cass. 28055/2020, Cass. 27340/2020) e di questa Corte d'Appello e ritenendo pertanto escluso che rientri fra i poteri della Cassa quello di prevedere a carico dei pensionati un contributo di solidarietà. 2. I motivi di doglianza. Con il primo articolato motivo di impugnazione la Cassa censura la sentenza impugnata per avere ritenuto illegittimo il prelievo operato dalla Cassa a titolo di contributo di solidarietà in forza delle Delib. n. 3 del 2013 e Delib. n. 10 del 2017. L'appellante censura la sentenza per omessa motivazione sulle difese della Cassa relative alla maturazione del diritto a pensione dell'appellata dal 1 giugno 2015 e dunque successivamente sia all'introduzione del regolamento del 2004 sia alla modifica dell'art. 3, comma 12, L. n. 335 del 1995 ad opera dell'art. 1 comma 763 L. n. 296 del 2006 e per avere erroneamente ritenuto (in violazione dell'art. 3, comma 12, L. n. 335 del 1995, così come modificato dall'art. 1, comma 763, L. n. 296 del 2006, anche in relazione all'art. 1, comma 488, L. n. 147 del 2013, nonché in violazione dell'art. 24, co. 24, D.L. n. 201 del 2011, conv. in L. n. 214 del 2011) che in capo alla Cassa non sussistano i poteri normativi per l'istituzione del contributo di solidarietà. Il motivo è infondato. Tutte le argomentazioni della Cassa sono già state ripetutamente respinte dalla Corte di Cassazione in numerose sentenze (tra cui le nn. 423/2019, 9864/2019, 19561/2019, 29292/2019, 27340/2020, 28054/2020, 28055/2020), con le quali l'appello omette del tutto di misurarsi. In tali pronunce la S.C. ha costantemente ribadito il principio secondo cui "gli enti previdenziali privatizzati (come, nella specie, la (...)) non possono adottare, sia pure in funzione dell'obbiettivo di assicurare l'equilibrio di bilancio e la stabilità della gestione, atti o provvedimenti che, lungi dall'incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongano una trattenuta (nella specie, un contributo di solidarietà) su un trattamento che sia già determinato in base ai criteri ad esso applicabili, dovendosi ritenere che tali atti siano incompatibili con il rispetto del principio del pro rata e diano luogo a un prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali ex art. 23 Cost., la cui imposizione è riservata al legislatore" (Cass. 27340/2020, che conferma App. Torino n. 469/2015). Nelle sentenze sopra citate vengono affrontate tutte le questioni riproposte dalla Cassa nel presente giudizio (compresa l'irrilevanza, ai fini della decisione, degli artt. 1, comma 763, L. n. 296 del 2006, e 1, comma 488, L. n. 147 del 2013) ed i principi affermati dalla Corte di Cassazione, riferiti al contributo di solidarietà imposto dalla Cassa negli anni 2009-2013, devono ritenersi pienamente applicabili anche alla fattispecie in esame, relativa alla imposizione del contributo di solidarietà dal novembre 2009 ed alle sue proroghe per i quinquenni 2014-2018 e 2019-2023 disposte dalle successive Delibere dell'Assemblea dei Delegati e quindi anche alla pensione maturata dall'appellata dal 1 giugno del 2015. L'inesistenza, per le ragioni illustrate, di un potere della Cassa di imporre un contributo di solidarietà vale anche per pensioni maturate, come quella dell'appellata, in epoca successiva all'introduzione di esso ad opera del regolamento del 2004. Deve soltanto aggiungersi che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Cassa, le trattenute a titolo di contributo di solidarietà non possono ritenersi legittime nemmeno sulla base dell'art. 24, co. 24, D.L. n. 201 del 2011, conv. in L. n. 214 del 2011, dato che tale disposizione - che prevede che gli enti adottano delibere volte ad assicurare l'equilibrio di gestione "entro e non oltre il 30 settembre 2012" e l'applicazione, in mancanza, di un contributo di solidarietà per gli anni 2012 e 2013 a carico dei pensionati nella misura dell'1% - è chiaramente inapplicabile alla presente fattispecie vertendosi qui, come già rilevato in altre sentenze di questa Corte (v. App. Torino n. 469/2015), sulla legittimità del contributo di solidarietà, peraltro di diversa entità, trattenuto dalla Cassa sulla base di delibere adottate a decorrere dal 2004. È pertanto infondato l'altro profilo del motivo di gravame, ai sensi del quale, a far data dall'anno 2011, l'art. 24, co. 24, del D.L. n. 201 del 2011 avrebbe ampliato il potere normativo delle Casse, sulla scorta della norma di salvezza di cui all'art. 1, co. 763 della L. n. 296 del 2006. Ciò si sostiene in ragione del fatto che, così come rilevato dal Tribunale, la clausola di salvezza della L. n. 296 del 2006, così come interpretata, in via autentica, dall'art. 1, co. 488 della L. 27 gennaio 2013, n. 147 deve intendersi nel senso che "gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui almedesimo comma 763 e approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della L. 27 dicembre 2006, n. 296, si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l'equilibrio finanziario di lungo termine". Così come già evidenziato (cfr. già Cass. 31875/2018), tale risultato non può ritenersi perseguito mediante provvedimenti, di carattere provvisorio e portata limitata, come quelli per cui è causa. In conclusione, come già rilevato da questa Corte territoriale (cfr. sentt. 158/2022, n. 257/2022, n. 349/2022, n. 627/2022, n. 634/2022) e dal consolidato orientamento della Suprema Corte (cfr. da ultimo Cass. 25.11.2021, n. 36618; Id. 23.12.2021, n. 41320), alle Casse previdenziali privatizzate non è consentito imporre "contributi di solidarietà" sulle pensioni, trattandosi di una forma di prelievo di prestazione patrimoniale riconducibile solamente a quelle che il solo legislatore è titolato ad imporre attraverso provvedimenti ad hoc (Cass. 24.2.2022, n. 6160). È quindi infondata la tesi della (...), secondo la quale sarebbe legittimo il prelievo in ragione del fatto di essere stato disposto in forza di delibere regolamentari entrate in vigore prima della maturazione del diritto al trattamento pensionistico, dal momento che Cassa medesima non è stata autorizzata a disporre prelievi sui trattamenti di pensione (quali il contributo di solidarietà) mediante provvedimenti regolamentari come quelli di cui si tratta. Con il secondo motivo, la Cassa censura la decisione del Tribunale in punto prescrizione, ribadendo l'applicabilità della prescrizione quinquennale ai sensi degli artt. 2948 n. 4 c.c., 19 L. n. 21 del 1986 e 47 bis D.P.R. n. 639 del 1947, sostenendo in ogni caso come dovesse ritenersi corretta l'individuazione del momento interruttivo della prescrizione soltanto dalla data di notifica del ricorso (27.10.2021, all. B, fasc. I (...)) e non quella di deposito del ricorso). Il motivo, nella parte in cui contesta l'applicabilità del termine di prescrizione decennale, non è fondato. La Corte di Cassazione, in una sentenza emessa nei confronti della Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali, ha affermato che "In materia di previdenza obbligatoria (quale quella gestita dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del D.Lgs. n. 509 del 1994) la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2948, n. 4, c.c. - così come dall'art. 129 del R.D.L. n. 1827 del 1935 - richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell'assicurato, sicché, ove sia in contestazione l'ammontare del trattamento pensionistico, il diritto alla riliquidazione degli importi è soggetto alla ordinaria prescrizione decennale di cui all'art. 2946 c.c." (Cass., S.U., 8.9.2015 n. 17742); è stato inoltre precisato che per l'applicazione del termine di prescrizione quinquennale "... non è sufficiente la mera idoneità del credito ad essere determinato, ancorché prontamente, nel suo ammontare; pertanto, con riguardo ai ratei di pensione ed indennità la cui debenza sia contestata nella esatta entità ... non si applica la prescrizione quinquennale di cui alle norme sopraindicate in difetto di specifico provvedimento della P.A. debitrice, ma l'ordinaria prescrizione decennale, quale prescrizione concernente la prestazione da effettuare nella sua globalità ed interezza, di cui i ratei non liquidi e non esigibili rappresentano una frazione ancora non individuata, né messa a disposizione (Cass. 21 luglio 2000, n. 9627; v. anche sostanzialmente nello stesso senso Cass. 6 novembre 1998, n. 11225; 21 novembre 1997, n. 11644)" (così Cass. n. 1344/2004 e n. 2563/2016). Il fatto che la trattenuta sulla pensione a titolo di contributo di solidarietà sia esattamente quantificata nei cedolini relativi ai ratei pensionistici non rende il credito "pagabile" o esigibile, considerato che esso, contestato dalla debitrice prima di tutto nell' an debeatur, non può ritenersi "messo a disposizione" del creditore: la S.C., con recentissima pronuncia, ha osservato che se il pensionato è stato in condizione di riscuotere solo i ratei della pensione nella misura decurtata del contributo di solidarietà, e non anche nel superiore importo spettante senza l'applicazione del medesimo (che è oggetto della controversia), la differenza tra l'importo liquidato e quello superiore richiesto non può ritenersi "pagabile" e, quindi non può applicarsi la prescrizione quinquennale dell'art. 2948 c.c., ma quella decennale ordinaria dell'art. 2946 c.c. (cfr. Cass. 29523/22, v. anche Cass. 36618/21 e Cass. 41320/21). Neppure può essere applicato l'art. 47 bis del D.P.R. n. 639 del 1970 introdotto dall'art. 38 D.L. n. 98 del 2011 conv. in L. n. 111 del 2011, secondo cui "Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all'articolo 24 della L. 9 marzo 1989, n. 88 o delle differenze dovute a seguito di riliquidazioni", trattandosi di norma che riguarda i "ricorsi e controversie in materia di prestazioni" (così il Titolo III, al cui interno la norma è inserita), ma con riferimento al solo INPS, come si ricava dal corpo normativo, dedicato appunto all'INPS, al cui interno la norma è collocata, come anche dalle norme del Titolo III predetto (art. 44-46), che riguardano tutte la materia delle prestazioni e dei ricorsi INPS (cfr., con riferimento alla decadenza ex art. 47 D.P.R. n. 639 del 1970, Cass. 982/2019, che richiama Cass. 2959/1987 per l'inapplicabilità all'INAIL). Inoltre, la S.C. ha rilevato che "la fattispecie in esame non è classificabile quale ipotesi di riliquidazione di trattamenti pensionistici, ma quale credito consequenziale all'indebita ritenuta derivante dalla applicazione di una misura patrimoniale illegittima, frutto di trattenute operate sui singoli ratei di pensione, ma che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata; la Cassa ha esercitato unilateralmente un potere di prelievo che si è sovrapposto al diritto del pensionato, ma non si è confuso con l'obbligazione pensionistica a cui pretendeva di applicarsi. A prescindere, dunque, da ogni riferimento alla aspirazione ad una parità di trattamento tra pensioni pubbliche epensioni erogate dalle casse privatizzate, il termine di prescrizione dell'azione dì recupero delle somme indebitamente trattenute non può che essere quello ordinario decennale" (cfr. Cass. 29523/22 cit.). Con il terzo motivo di gravame, la Cassa ha censurato la decisione del Tribunale nella parte in cui l'ha condannata alla restituzione delle somme trattenute "oltre interessi al saggio legale dalla scadenza delle singole mensilità pensionistiche al saldo (..)", contestando la decorrenza degli interessi dalla data delle singole trattenute anziché dalla data di notifica del ricorso introduttivo del giudizio (27.10.2021), ovvero, in subordine, da quella del deposito del medesimo ricorso (7.10.2021). Il motivo è infondato. Gli interessi legali costituiscono una componente essenziale del credito e sono soggetti al regime stabilito dal cit. art. 16, co. 6, L. n. 412 del 1991, che prevede in punto decorrenza che gli interessi legali sulle prestazioni dovute dagli enti decorrono dalla data di scadenza del termine previsto per l'adozione del provvedimento: trattandosi nel caso di trattenute operate illegittimamente dalla Cassa sul trattamento pensionistico liquidato all'appellato, gli interessi non possono allora che farsi decorrere dalla data dei singoli prelievi, come già più volte ribadito da questa Corte territoriale. In conclusione, per i motivi esposti, l'appello deve essere rigettato. 3. Spese. La soccombenza della Cassa comporta, ex art. 91 c.p.c., che a carico della stessa debbano rimanere le spese del primo grado (come già liquidate dalla sentenza impugnata che resta sul punto confermata) e come debbano essere poste a carico le spese del presente grado di giudizio, liquidate in dispositivo - con distrazione in favore del difensore antistatario - nei valori minimi previsti dai parametri vigenti, avuto riguardo al valore della causa. Attesa la reiezione dell'appello, sussistono le condizioni ex lege (art. 1 co. 17/18 L. n. 228 del 2012) per l'ulteriore pagamento, a carico dell'appellante, di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l'impugnazione. P.Q.M. Visto l'art. 437 c.p.c., Respinge l'appello; Condanna l'appellante a rimborsare all'appellata le spese del grado liquidate in Euro 1.400,00 oltre rimborso forfettario, Iva e cpa, con distrazione a favore del difensore; dichiara la sussistenza delle condizioni per l'ulteriore pagamento, a carico dell'appellante, di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l'impugnazione. Così deciso in Torino il 24 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI VENEZIA- sezione Lavoro Composta dai Magistrati Dr. Gianluca Alessio - Presidente Dr. Piero Leanza - Consigliere Dr. Lorenzo Puccetti - Consigliere rel. SENTENZA Nella causa promossa in appello con ricorso depositato in data 17 marzo 2022, da I.N.P.S., Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (c.f. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso nel presente giudizio dall'avvocato Fi.Do., elettivamente domiciliato presso l'Avvocatura I.N.P.S. in Venezia, (...), con indirizzo p.e.c. (...), appellante contro (...) (c.f. (...)), rappresentata e difesa, giusta mandato allegato alla memoria di costituzione in appello dall'Avv. Cr.Ba. del Foro di Venezia (pec: (...)), appellato Oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di Treviso n. 71/2022 d.d. 10.02.2022, notificata in data 15.02.2022.- In Punto: ripetizione A. (art. 2 L. n. 92 del 2012) a seguito di ordine di reintegrazione giudiziale.- SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con l'impugnata sentenza il giudice del lavoro del Tribunale di Treviso accoglieva la domanda proposta da (...) e dichiarava che la ricorrente ha diritto a trattenere l'indennità di disoccupazione (per il periodo da gennaio 2014 a gennaio 2015) pari ad Euro 10.666,80 già percepita e condannava l'INPS al pagamento delle spese di lite del grado (pari ad Euro 2.400,00 oltre oneri di legge per competenze professionali). In parte motiva il giudicante riteneva che: a) secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione l'indennità di disoccupazione corrisposta dall'INPS a seguito di licenziamento va restituita all'Istituto non già a seguito della mera pronuncia favorevole al lavoratore ma a seguito dell'"effettiva ricostituzione del rapporto nei suoi aspetti giuridici ed economici, in conformità alla ratio dell'istituto .In sostanza essa va restituita se nel medesimo periodo il lavoratore ha percepito la retribuzione" (Cass. 24950/2021 in motivazione); b) nel caso di specie è pacifico che la ricorrente ha ricevuto l'indennità dal gennaio 2014 (a seguito del licenziamento del mese precedente) al gennaio 2015 e che in tale periodo era disoccupata; altrettanto pacifico che a settembre 2015 è stata pronunciata ordinanza di reintegra con condanna al pagamento di tutte le retribuzioni maturate dal licenziamento alla reintegra (pronuncia che, se attuata, avrebbe fatto venire meno i presupposti per l'indennità di disoccupazione nell'anno successivo al licenziamento legittimando la richiesta restitutoria dell'Istituto); c) è però incontestato che il datore di lavoro non ha corrisposto alcunché e che, pertanto, i mesi gennaio 2014-gennaio 2015 non sono stati coperti da retribuzione neanche a posteriori; d) dall'esercizio dell'opzione (settembre 2015) può dirsi essere derivata la cessazione del rapporto di lavoro per causa non più involontaria ma, essendo l'erogazione dell'indennità di disoccupazione non più in corso al settembre 2015, non si vede come tale circostanza possa considerarsi equivalente alla percezione di retribuzione nel periodo da gennaio 2014 a gennaio 2015, tenuto conto, peraltro, che è pacifico che A. non ha percepito neanche l'indennità sostitutiva della reintegra; e) irrilevante è la circostanza che la lavoratrice non si sia insinuata al passivo del fallimento non essendo dalla legge previsto tale onere per il diritto a conseguire l'(...); f) quanto alla contribuzione che il datore di lavoro, pur non pagando l'indennità sostitutiva della reintegra ha versato all'INPS, questa attiene esclusivamente all'aspetto previdenziale e, per quanto potenzialmente utile in prospettiva futura alla ricorrente, non toglie che per i mesi cui l'indennità di disoccupazione inerisce (gennaio 2014-gennaio 2015) la ricorrente non avesse percepito retribuzione alcuna per disoccupazione derivante da licenziamento, così come non toglie che neanche nel proseguo la lavoratrice abbia percepito, con riferimento a quel periodo, la retribuzione che, a differenza della contribuzione versata all'Inps, è immediatamente fruita dal lavoratore in quanto necessaria per le immediate esigenze di vita e la cui mancanza è proprio ciò che l'indennità di disoccupazione è finalizzata ad ovviare. 2. Avverso la sentenza propone appello l'INPS deducendo che l'impugnata sentenza ha erroneamente ritenuto ancora sussistente il presupposto della disoccupazione involontaria, nonostante fosse intervenuta l'ordinanza (ormai irrevocabile) che annullava il licenziamento e disponeva la reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro, seguita poi dall'opzione della lavoratrice per l'indennizzo in luogo della reintegra. Evidenzia l'Istituto che essendo stato ricostituito giudizialmente con effetto ex tunc il rapporto di lavoro, la situazione del lavoratore che impugna vittoriosamente il licenziamento e poi rinuncia alla reintegra va equiparata a quella del lavoratore che si è dimesso, non essendo stato peraltro nella fattispecie l'intervenuto fallimento del datore di lavoro ad impedire la reintegra. 3. Costituitosi (...) per il gravame, ha chiesto il rigetto dell'appello in quanto infondato in fatto ed in diritto. 4. La causa è stata discussa e decisa all'udienza 26 gennaio 2023 come da separato dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE 5. Il ricorso è infondato condividendo il Collegio la ratio decidendi dell'impugnata sentenza per nulla scalfita dal gravame. 5.1. I fatti di causa sono pacifici: a) (...) è stata licenziata dal datore di lavoro (...) s.r.l. in data 21.12.2013 per giustificato motivo oggettivo; b) l'INPS ha erogato per il periodo dal 04.01.2014 al 04.01.2015 l'indennità A. prevista dall'art. 1 della L. n. 92 del 2012; c) con ordinanza (divenuta poi irrevocabile) del Tribunale di Treviso n. 4078/2015 d.d. 09.09.2015 il licenziamento è stato dichiarato nullo siccome ritorsivo, con declaratoria di condanna della datrice di lavoro alla reintegrazione ed al pagamento delle retribuzioni dal licenziamento all'effettiva reintegrazione (oltre al restauro della posizione previdenziale); d) la lavoratrice in data 28.09.2015 ha optato per l'indennità sostitutiva della reintegrazione, esercitando la facoltà di cui all'art. 18 comma 3 della L. n. 300 del 1970; e) con sentenza del 21.09.2017 veniva dichiarato il fallimento del datore di lavoro; f) in data 30.05.2018 l'INPS ha chiesto la restituzione della somma di Euro 10.666,80, pari all'indennità corrisposta dal 04.01.2014 al 04.01.2015, siccome "non spettante". 5.2. La prestazione oggetto di domanda, denominata A.S.P.I. era disciplinata ratione temporis dall'art. 2 della L. n. 92 del 2012. L'istituto ha come presupposto il requisito dell'"involontarietà" dello stato di disoccupazione (proprio come la normativa previgente, sulla quale si è formata la giurisprudenza di legittimità richiamata al successivo punto n. 5.3. e quella sopravvenuta di cui all'art. 1 del D.Lgs. n. 22 del 2015). Infine l'art. 2 comma 10 stabilisce quale momento di decorrenza della prestazione l'ottavo giorno "dalla cessazione del rapporto". Indifferente è la circostanza sulla quale l'Istituto insiste anche nel corso della discussione orale relativa all'intervenuto accreditamento della contribuzione dalla date del licenziamento a quello dell'opzione, non essendo un tanto previsto quale fatto impeditivo al diritto al riconoscimento dell'indennità (...). 5.3. Tanto premesso, decisiva nella fattispecie è la circostanza che il rapporto di lavoro è stato ricostituito solo de iure e non anche de facto (cfr. Cass. n. 30553/2022) e che quindi non è stata corrisposta la retribuzione alla lavoratrice per effetto del licenziamento, trattandosi di istituto di sostegno al reddito (cfr. da ultimo Cass. n. 24950/2021) con conseguente irrilevanza dell'avvenuto versamento da parte datoriale nel periodo di riferimento della contribuzione all'Istituto. A tal fine, la Suprema Corte (cfr. Cass. n. 28295/2019) ha evidenziato che "neppure può ritenersi idonea ad escludere l'indennità di disoccupazione la mera ricostituzione de iure del rapporto, sia pure con sentenza esecutiva, essendo necessario per garantire l'effettività della tutela che a detta reintegra sia data effettiva attuazione, con la realizzazione di una situazione de facto tale da escludere la sussistenza della situazione di disoccupazione protetta ex lege". Dunque occorre per aversi indebito l'effettiva e concreta eliminazione del licenziamento. Egualmente l'opzione è intervenuta in data 28.09.2015 e dunque successivamente al periodo coperto da assicurazione (da gennaio 2014 a quello 2015), quando nessuna retribuzione è stata comunque percepita dalla lavoratrice, che si trovava allora nella situazione di bisogno incolpevole ed involontaria tutelata ed assicurata dall'Istituto (di natura previdenziale). 5.4. Anche volendo prescindere dall'ammissibilità della deduzione in carenza di documentazione dell'accreditamento e della sua misura, osserva il Collegio che la questione dell'eventuale concorso nel medesimo periodo della contribuzione figurativa a seguito di omesso versamento da parte del datore di lavoro con quella accessoria alla prestazione non attiene, per quanto già evidenziato, ai requisiti oggettivi per l'accesso alla prestazione di cui si discute, ma al diverso tema della loro integrale valorizzazione in coincidenza al periodo di riferimento. Va poi ricordato che per il periodo di percezione dell'indennità è riconosciuta al lavoratore la contribuzione figurativa nella misura settimanale pari alla media delle retribuzioni imponibili ai fini previdenziali dell'ultimo biennio, quindi con criterio di computo differente da quello ordinario. Inoltre i contributi figurativi sono utili per il diritto e la misura dei trattamenti pensionistici, ma non lo sono ai fini del diritto alla pensione nei casi in cui la normativa prescriva il computo della sola contribuzione effettivamente versata (nel regime contributivo: la pensione di vecchiaia con 5 anni di contribuzione effettiva e 70 anni di età; la pensione anticipata con 20 anni di contribuzione effettiva, 63 anni di età e un importo pari a 2,8 volte l'assegno sociale; nel regime contributivo e in quello retributivo: la pensione anticipata con 40 o più anni di cui almeno 35 anni di contribuzione con esclusione dei periodi figurativi per disoccupazione e periodi di malattia a copertura). Ne consegue che la questione dei possibili effetti e benefici del versamento della contribuzione c.d. A. e dell'accreditamento della contribuzione figurativa, in forza del principio di automaticità delle prestazione previdenziale, non può costituire condizione ostativa al fine di escludere il diritto alla prestazione di disoccupazione, ponendosi la questione su un piano diverso che non occupa in questa sede la Corte. 5.5. In giurisprudenza (da ultimo Cass. 30553/2022) è stato condivisibilmente evidenziato che è "legittima l'erogazione dell'indennità di disoccupazione qualora alla pronuncia di illegittimità del licenziamento non faccia seguito la reintegra del lavoratore?in tal caso, essendo lo stato di disoccupazione, pur sempre frutto dell'atto datoriale di risoluzione e non già della mancata esecuzione del provvedimento giudiziale, esso non perde la propria caratteristica di involontarietà, e, pertanto, l'erogazione della prestazione mantiene la medesima finalità di sostegno al reddito a cui è ordinariamente finalizzata (Cass. n.28295 del 2019; seguita da Cass. n. 17793 del 2020 e da Cass. n. 24950 del 2021)" Sul punto si richiama anche il recentissimo arresto della Suprema Corte n. 22850/2022, che ha disatteso le tesi propugnate anche in questa sede dall'Istituto: "solo una volta dichiarato illegittimo il licenziamento e ripristinato il rapporto per effetto della reintegrazione le indennità di disoccupazione potranno e dovranno essere chieste in restituzione dall'Istituto previdenziale, essendone venuti meno i presupposti, così non potendo, peraltro, le stesse essere detratte dalle somme cui il datore di lavoro è stato condannato ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18 (v. Cass. 15.5.2000 n. 6265, Cass. 16.3.2002 n. 3904, Cass. n. 9109 del 17/04/2007, Cass. n. 9418 del 20/4/2007); in definitiva, se alla pronunzia non segue l'effettiva reintegra e senza che il lavoratore sia obbligato ad eseguire la sentenza favorevole, l'erogazione dell'indennità di disoccupazione non diviene indebita in quanto lo stato di disoccupazione è provocato, e giustificato, dall'atto datoriale di risoluzione, e non dalla mancata esecuzione del provvedimento giudiziale, e deve quindi ritenersi comunque involontario". 6. Le spese del grado seguono la soccombenza (valore di causa dichiarato Euro 10.666,80 senza fase istruttoria) e vengono liquidate, come in dispositivo, avuto riguardo ai valori prossimi ai minimi previsti dal D.M. n. 55 del 2014 ed alle tariffe professionali vigenti, tenuto conto della semplicità della decisione e della natura degli atti delle parti, con distrazione a favore del difensore dell'appellata avv. BA.Cr. dichiaratosi antistatario. 7. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dell'appellante di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso in appello a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 D.P.R. n. 115 del 2002. P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando, rigettata e/o comunque assorbita ogni diversa domanda, istanza ed eccezione, così decide: 1) rigetta l'appello; 2) condanna l'appellante al pagamento in favore dell'appellato delle spese del grado di giudizio, liquidate in Euro 1.984,00 per compensi oltre rimborso forfetario spese generali ex lege, IVA e CPA, con distrazione a favore dell'avv. BA.Cr. dichiaratosi antistatario; 3) ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dell'appellante dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello rispettivamente dovuto per l'appello a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 D.P.R. n. 115 del 2002. Così deciso in Venezia il 26 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI CATANZARO SEZIONE LAVORO La Corte, riunita in camera di consiglio, così composta: 1. dott.ssa Barbara Fatale - Presidente rel. 2. dott. Rosario Murgida - Consigliere 3. dott.ssa Giuseppina Bonofiglio - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa in grado di appello iscritta al numero 1073 del Ruolo generale affari contenziosi dell'anno 2022 e vertente TRA (...), codice fiscale (...), rappresentato e difeso dall'Avv. Lu.Sg., giusta procura allegata all'atto di reclamo, presso il cui studio, sito in Crotone, via (...), è elettivamente domiciliato reclamante e (...) S.P.A., P.I. (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. Fl.Po. e dall'Avv. Sa.Ia., giusta procura in calce/unita alla memoria di costituzione in sede di reclamo reclamata Avente ad oggetto: Reclamo, ex art.1, 58 co., L. n. 92 del 2012 avverso sentenza del Tribunale di Crotone. Licenziamento per raggiungimento dei limiti di età pensionabile FATTO e DIRITTO (...) impugnava il licenziamento intimatogli da (...) s.p.a. il 5 luglio 2021, in ragione del raggiungimento dei limiti di età pensionabile, chiedendo l'applicazione della tutela ex art. 18 L. n. 300 del 1970 per aver esercitato l'opzione di rimanere in servizio senza accedere alla pensione di vecchiaia anticipata prevista per il personale viaggiante, in mancanza della relativa domanda necessaria in caso di pensione anticipata. Il tribunale, in fase sommaria, respingeva il ricorso. Il lavoratore proponeva opposizione, sostenendo che il giudice della prima fase avesse errato nella qualificazione giuridica della fattispecie oggetto del giudizio, insistendo nell'applicabilità al caso in esame del D.Lgs. n. 67 del 2011, essendo il ricorrente conducente di veicoli di capienza complessiva non inferiore a 9 posti, adibiti a servizio pubblico collettivo, con conseguente raggiungimento del requisito anagrafico della pensione di vecchiaia all'età di 67 anni, non sussistente all'epoca del licenziamento che, pertanto, deve dirsi illegittimo. Sosteneva infatti di aver maturato, all'epoca del licenziamento, soltanto il diritto all'accesso alla pensione anticipata non esercitato in mancanza della relativa domanda di pensionamento e, anzi, avendo richiesto di voler proseguire il rapporto fino ad età pensionabile. Si costituiva tempestivamente la (...) s.p.a. sostenendo che il ricorrente non avesse esercitato l'opzione di permanere in servizio, essendo in possesso dei requisiti previsti per la pensione di vecchiaia del personale viaggiante, con conseguente legittimità dell'ordinanza reclamata. Il tribunale rigettava l'opposizione alla luce delle seguenti argomentazioni: "Il reclamo è infondato e dev'essere respinto. Invero, trattandosi di licenziamento intimato per il raggiungimento del requisito pensionistico, è inapplicabile la disciplina di cui all'art. 18 L. n. 300 del 1970 e, pertanto, è legittimo il recesso datoriale ad nutum. Invero, ai sensi dell'art. 4, co. 2, L. n. 108 del 1990: "Le disposizioni di cui all'articolo 18 della L. 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall'articolo 1 della presente legge, e dell'articolo 2 non si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro ultrasessantenni, in possesso dei requisiti pensionistici, sempre che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi dell'articolo 6 del D.L. 22 dicembre 1981, n. 791, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1982, n. 54. Sono fatte salve le disposizioni dell'articolo 3 della presente legge e dell'articolo 9 della L. 15 luglio 1966, n. 604"; Secondo l'art. 6 D.L. n. 791 del 1981, applicabile anche agli autoferrotranvieri per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 226/1990: "Gli iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti ed alle gestioni sostitutive, esclusive ed esonerative dalla medesima, i quali non abbiano raggiunto l'anzianità contributiva massima utile prevista dai singoli ordinamenti, possono optare di continuare a prestare la loro opera fino al perfezionamento di tale requisito o per incrementare la propria anzianità contributiva e comunque non oltre il compimento del sessantacinquesimo anno di età, sempreché' non abbiano ottenuto o non richiedano la liquidazione di una pensione a carico dell'INPS o di trattamenti sostitutivi, esclusivi od esonerativi dall'assicurazione generale obbligatoria. L'esercizio della facoltà di cui al comma precedente deve essere comunicato al datore di lavoro almeno sei mesi prima della data di conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia". Alla luce della norma sopra richiamata, in caso di raggiungimento dell'età minima pensionabile e mancato raggiungimento dell'età massima pensionabile, il licenziamento può essere paralizzato dall'esercizio dell'opzione per la prosecuzione del rapporto, da comunicarsi al datore di lavoro almeno sei mesi prima del conseguimento del diritto. A tal proposito occorre distinguere fra pensione di vecchiaia, il cui diritto sorge automaticamente al verificarsi del requisito anagrafico e contributivo e pensione anticipata che, al contrario, presuppone una espressa manifestazione di volontà del beneficiario, Così un recente precedente della giurisprudenza di legittimità, che ha superato quello richiamato in ricorso, secondo cui: "Secondo una costante giurisprudenza di questa Corte, pur in mancanza dell'esplicito riferimento alla pensione di vecchiaia, contenuto invece nel precedente art. 11 della L. n. 604 del 1966, argomenti testuali e sistematici inducono a ritenere che nessun mutamento ha subito il principio per cui è soltanto la maturazione del diritto al pensionamento di vecchiaia che incide sul regime del rapporto di lavoro, consentendo al datore di lavoro il recesso ad nutum (v. Cass. n. 6537 del 2014; Cass. n. 13181 del 2018; Cass. n. 432 del 2019; Cass. n. 18662 del 2020). In particolare, dal punto di vista sistematico, è stato rilevato che "soltanto il diritto alla pensione di vecchiaia si consegue automaticamente al verificarsi dell'evento protetto, cosicché la pensione decorre (eccettuati i casi di esercizio dell'opzione ai sensi delle disposizioni sopra considerate) dal primo giorno del mese successivo a quello nel quale l'assicurato ha compiuto l'età pensionabile, ovvero, nel caso in cui a tale data non risultino soddisfatti i requisiti di anzianità assicurativa e contributiva, dal primo giorno del mese successivo a quello in cui i requisiti suddetti vengono raggiunti salva una diversa decorrenza richiesta espressamente dall'interessato (L. 23 aprile 1981, n. 155, art. 6). Il diritto alla pensione di anzianità, invece, si consegue con il necessario concorso della volontà dell'interessato, per cui non si può dubitare che la domanda di pensione assurga ad elemento costitutivo della fattispecie attributiva del diritto. Ne discende che, mancando la domanda, non può dirsi in senso tecnico che sussistano ì requisiti per il pensionamento" (cfr. Cass. n. 3907 del 1999; Cass. n. 7853 del 2002; Cass. n. 3237 del 2003). E' stato pure precisato che l'esclusione della tutela limitativa dei licenziamenti non è suscettibile di applicazione in via analogica ai titolari di pensioni che, per diversità dei relativi presupposti (durata del rapporto assicurativo, versamenti di un minimo di contributi, raggiungimento di un limite di età) non possono ritenersi equivalenti a quella di vecchiaia (cfr. Cass. n. 11104 del 1997; conf. Cass. n. 6537 del 2014)" (Cass. 10883/2021); Nel caso di specie, è pacifico che il ricorrente, nato in data (...), al momento del recesso datoriale irrogatogli con comunicazione del 5.7.2021 a decorrere dal 31.8.2021, fosse in possesso dei requisiti per il conseguimento della pensione di vecchiaia, fra cui quello anagrafico di cui all'art. 3, lett. b) D.Lgs. n. 414 del 1996 richiamato in ricorso. In particolare, con il D.Lgs. n. 414 del 1996, a decorrere dal 10 gennaio 1996, veniva soppresso il "Fondo per la previdenza del personale addetto ai servizi pubblici di trasporto" (art. 1, co. 1, D.Lgs. n. 414 del 1996) e da tale data i lavoratori erano iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti (art. 1, co. 2, D.Lgs. n. 414 del 1996) e che secondo l'art. 3 del D.Lgs. n. 414 del 1996, nella sua originaria formulazione, per i soggetti di cui all'art. 1, comma 2, "è prevista la possibilità di liquidare i seguenti trattamenti pensionistici: a) pensione di vecchiaia, di invalidità e ai superstiti secondo la normativa vigente nel Fondo P.L.D.; b) per il solo personale viaggiante, pensione di vecchiaia ai sensi dell'articolo 5, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503; c) pensione di invalidità specifica ai sensi degli articoli 12, primo comma, lettera a), e 13, primo comma, lettere a) e b), della L. 28 luglio 1961, n. 830; d) pensione di anzianità", mentre con il D.P.R. 28 ottobre 2013, n. 157 all'art. 3, co. 1, lettera b), del D.Lgs. n. 414 del 1996, le parole: "ai sensi dell'articolo 5, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503" - relativo all'età per il pensionamento di vecchiaia'- sono state sostituite dalle seguenti: "al raggiungimento del requisito anagrafico ridotto di cinque anni rispetto a quello tempo per tempo in vigore nel regime generale obbligatorio". Ebbene, alla luce del tenore letterale della norma sopra citata, il trattamento pensionistico previsto a favore del personale viaggiante dall'art. 1, co. 2 lett. b) D.Lgs. n. 414 del 1996 si ritiene che abbia natura di pensione di vecchiaia, anticipata soltanto con riferimento al requisito anagrafico, che consegue automaticamente alla maturazione di entrambi i requisiti anagrafico e contributivo e, quindi, in assenza della necessità di un'apposita manifestazione di volontà da parte del beneficiario, come invece accade per la pensione anticipata (così anche Tribunale di Crotone, ordinanza n. 12130 del 23.12.2021 e Ord. N. 12253 del 31.12.2021 all. res. e Cass. 10883/2021 sopra cit.). Ciò detto, pacifico il possesso del requisito anagrafico e contributivo ai fini della pensione di vecchiaia in questione,anticipata per il requisito anagrafico (62 anni), in capo al ricorrente il quale, nato il (...), alla data del 31.8.2021 aveva 62 anni, 2 mesi e 18 giorni, manca poi la prova della tempestiva manifestazione dell'opzione di rimanere in servizio, comunicata al datore di lavoro sei mesi prima della maturazione del diritto al trattamento pensionistico, come previsto dall'art. 4 L. n. 108 del 1991 ai fini della tutela reale, circostanza non specificatamente dedotta nel presente reclamo, né prodotta fra i documenti di parte e ciò pur in presenza della contestazione della parte resistente. Valga la pena osservare che è tardiva, perché sollevata dal ricorrente soltanto all'udienza odierna, in violazione del diritto al contraddittorio, la deduzione relativa all'insussistenza del requisito contributivo minimo previsto per l'accesso alla pensione di vecchiaia/anticipata, in quanto volta ad ampliare il thema decidendum oltre quanto dedotto negli atti introduttivi ed oltre il termine della prima udienza di discussione ex art. 420 c.p.c. Invero, in ricorso, lo stesso ricorrente aveva dato atto della sussistenza dei requisiti per l'accesso alla pensione "anticipata", argomentando solo in merito alla sussistenza del requisito anagrafico con conseguente estraneità dal presente giudizio della sussistenza di quello contributivo, pacifico fra le parti e, pertanto, non bisognoso di prova. In definitiva, assorbita ogni questione non espressamente affrontata, il ricorso deve essere respinto. Si ritengono poi sussistenti i presupposti per la compensazione delle spese di lite stante la controvertibilità delle questioni di diritto sottese alla decisione". Avverso tale sentenza, propone reclamo (...), lamentando: 1) errata qualificazione della fattispecie oggetto del presente giudizio: "Con tale prima doglianza, si censura la ...decisione nella parte in cui il Tribunale delle prime cure fonda la propria decisione sulla pensione di vecchiaia anticipata solo in riferimento al requisito anagrafico (cfr. pag.3) ... diversamente da come dedotto dal Giudice di prime cure secondo il quale non trova applicazione nel presente giudizio la fattispecie descritta dal D.Lgs. n. 67 del 2011 (e pure il Sig. (...) svolge la mansione di autista ovvero di conducente di veicoli, di capienza complessiva non inferiore a 9 posti, adibiti a servizio pubblico di trasporto collettivo) il requisito anagrafico per il raggiungimento della pensione di vecchiaia è previsto al compimento del 67esimo anno di età atteso che, il Sig. (...), al momento dell'intimato licenziamento, aveva compiuto 62 anni. Ed in questo sta l'illegittimità del licenziamento ... il regime previdenziale speciale che consente al personale viaggiante di anticipare di 5 anni l'accesso alla pensione di vecchiaia è una scelta che può essere esercitata e non un vincolo ineludibile ... Non appare pertanto condivisibile l'equiparazione del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia stabilita al compimento dei 67 anni con quello riconosciuto al personale viaggiante previsto al compimento dei 62 anni di età. Trattasi infatti di una deroga rispetto al normale requisito anagrafico (67 anni) e, in quanto tale, ed in ossequio all'art. 1 D.L. n. 67 del 2011 la richiesta di pensionamento di vecchiaia anticipato al requisito anagrafico è una mera facoltà che l'ordinamento riconosce al lavoratore con ovvio pregiudizio alla libera recedibilità da parte del datore di lavoro ... la libera recedibilità del datore di lavoro è in ogni modo subordinata alla espressa domanda esperita dal lavoratore che assume valore cogente e pregante con riguardo ai conducenti di veicoli adibiti a servizio pubblico di trasporto cui vi rientra il Sig. (...); libera recedibilità che è invero ammessa solo ed esclusivamente in caso di raggiungimento dei requisiti della pensione di vecchiaia. (67 anni). Lo si ripete, per mero tuziorismo difensivo, come il Sig. (...), al momento dell'impugnando licenziamento, avesse una età anagrafica di 62 anni per cui lo stesso poteva usufruire solo ed esclusivamente del pensionamento anticipato mentre il datore di lavoro - in maniera erronea - intima al lavoratore la cessazione ad nutum per raggiungimento della pensione di vecchiaia che invece è prevista al conseguimento del 67esimo anno di età...". 2) violazione del D.L. n. 67 del 2011, perché "nessuna domanda inerente alla richiesta di esercizio, da parte del lavoro, di ricorrere al pensionamento anticipato è stata depositata dal lavoratore né all'azienda né a nessun altro soggetto giuridico deputato alla lavorazione della predetta richiesta. Anzi, in data 26 agosto 2021 il Sig. (...), a tacitazione assoluta e, ancora nelle more dei termini per l'impugnazione del licenziamento, ribadiva alla resistente la propria volontà di continuare a lavorare fino all'età massima pensionabile ovvero anche fino al raggiungimento dei 70 anni". Costituitasi in giudizio, la società reclamata ha rassegnato le conclusioni sopra riportate. La Corte, acquisito il fascicolo di primo grado, alla fissata udienza, sentiti i procuratori delle parti, riservava la decisione. L'impugnazione non è meritevole di accoglimento. Orbene, il reclamante contesta il possesso, da parte sua, al momento del recesso datoriale (allorché aveva compiuto 62 anni di età), del requisito anagrafico per accedere alla pensione di vecchiaia. E' utile, sul punto, richiamare il quadro normativo che viene in considerazione nel caso di specie, quale ricostruito dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 14814 del 2021, che invero erroneamente il sig. (...) richiama a sostegno delle proprie argomentazioni: "Posto che il licenziamento è stato intimato per il raggiungimento dei requisiti pensionistici da parte del lavoratore ultrasessantenne, la fattispecie è innanzitutto regolata dall'art. 4, co. 2, L. n. 108 del 1990, tuttora vigente nella sua formulazione originaria, secondo cui: "Le disposizioni di cui all'articolo 18 della L. 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall'articolo 1 della presente legge, e dell'articolo 2 non si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro ultrasessantenni, in possesso dei requisiti pensionistici, sempre che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi dell'articolo 6 del D.L. 22 dicembre 1981, n. 791, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1982, n. 54. Sono fatte salve le disposizioni dell'articolo 3 della presente legge e dell'articolo 9 della L. 15 luglio 1966, n. 604". 2.2. Secondo una costante giurisprudenza di questa Corte, pur in mancanza dell'esplicito riferimento alla pensione di vecchiaia, contenuto invece nel precedente art. 11 della L. n. 604 del 1966, argomenti testuali e sistematici inducono a ritenere che nessun mutamento ha subito, il principio per cui è soltanto la maturazione del diritto al pensionamento di vecchiaia che incide sul regime del rapporto di lavoro, consentendo al datore di lavoro il recesso ad nutum (v. Cass. n. 6537 del 2014; Cass. n. 13181 del 2018; Cass. n. 432 del 2019; Cass. n. 18662 del 2020). In particolare, dal punto di vista sistematico, è stato rilevato che "soltanto il diritto alla pensione di vecchiaia si consegue automaticamente al verificarsi dell'evento protetto, cosicché la pensione decorre (eccettuati i casi di esercizio dell'opzione ai sensi delle disposizioni sopra considerate) dal primo giorno del mesesuccessivo a quello nel quale l'assicurato ha compiuto l'età pensionabile, ovvero, nel caso in cui a tale data non risultino soddisfatti i requisiti di anzianità assicurativa e contributiva, dal primo giorno del mese successivo a quello in cui i requisiti suddetti vengono raggiunti salva una diversa decorrenza richiesta espressamente dall'interessato (L. 23 aprile 1981, n. 155, art. 6). Il diritto alla pensione di anzianità, invece, si consegue con il necessario concorso della volontà dell'interessato, per cui non si può dubitare che la domanda di pensione assurga ad elemento costitutivo della fattispecie attributiva del diritto. Ne discende che, mancando la domanda, non può dirsi in senso tecnico che sussistano i requisiti per il pensionamento (cfr. Cass. n. 3907 del 1999; Cass. ,n. 7853 del 2002; ,Cass. n. 3237 del 2003). È stato pure precisato che l'esclusione della tutela limitativa dei licenziamenti non è suscettibile di applicazione in via analogica ai titolari di pensioni che, per diversità dei relativi presupposti (durata del rapporto assicurativo, versamento di un minimo di contributi, raggiungimento di un limite di età) non possono ritenersi equivalenti a quella di vecchiaia (cfr. Cass. n. 11104 del 11997; conf. Cass. n. 6537 del 2014). 2.3. Occorre dunque verificare se, nel caso all'attenzione del Collegio, il lavoratore ultrasessantenne licenziato fosse in possesso, al momento del recesso datoriale, dei requisiti per il conseguimento della pensione di vecchiaia e se la volontà espressa dal lavoratore medesimo di non accedere al pensionamento anticipato ma, piuttosto, di permanere in servizio precludesse comunque il suo licenziamento. A tal fine è opportuna una ricognizione della disciplina di settore rilevante nella specie. 2.4. Non è in contestazione che il lavoratore licenziato, conducente di autobus, fosse dipendente di un'azienda addetta ai pubblici servizi di trasporto, per il quale operava il regime previdenziale speciale introdotto dal D.Lgs. 29 giugno 1996, n. 414. Con tale decreto, a decorrere dal 10 gennaio 1996, è stato soppresso il "1 Fondo, per la previdenza del personale addetto ai servizi pubblici di trasporto'' (art. 1, co. 1, D.Lgs. n. 414 del 1996) e da tale data i lavoratori sono iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti (art. 1, co. 2, D.Lgs. n. 414 del 1996). Secondo l'art. 3 del D.Lgs. n. 414 del 1996, nella sua originaria formulazione, per i soggetti di cui all'art. 1, comma 2, "è prevista la possibilità di liquidare i seguentitrattamenti pensionistici: a) pensione di vecchiaia, di invalidità e ai superstiti secondo la normativa vigente nel Fondo P.L.D.; b) per il solo personale viaggiante, pensione di vecchiaia ai sensi dell'articolo 5, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503; c) pensione di invalidità specifica ai sensi degli articoli 12, primo comma, lettera a), e 13, primo comma, lettere a) e b), della L. 28 luglio 1961, n. 830; d) pensione di anzianità. Successivamente, con il D.P.R. 28 ottobre 2013, n. 157 - recante il "Regolamento di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico di categorie di personale iscritto presso l'INPS, l'ex ENPALS e l'ex INPDAP" - all'art. 13, co. 1, lettera b), del D.Lgs. n. 414 del 1996, le parole: "ai sensi dell'articolo 5, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503" - che, giova rammentarlo, stabiliva l'età per il pensionamento di vecchiaia- sono state sostituite dalle seguenti: "al raggiungimento del requisito anagrafico ridotto di cinque anni rispetto a quello tempo per tempo in vigore nel regime generale obbligatorio". Infatti, nel frattempo era intervenuto il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, di cui il Regolamento citato è attuazione, che all'art. 24 contiene una serie di disposizioni che riformano profondamente i trattamenti pensionistici. Secondo il comma 18 dell'art. 24: "Allo scopo di assicurare un processo di incremento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento anche ai regimi pensionistici e alle gestioni pensionistiche per cui siano previsti, alla data di entrata in vigore del presente decreto, requisiti diversi da quelli vigenti nell'assicurazione generale obbligatoria ... con regolamento da emanare entro il 31 ottobre 2012, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della L. 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono adottate le relative misure di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico, tenendo conto delle obiettive peculiarità e delle esigenze dei settori di attività nonché dei rispettivi ordinamenti". In virtù di tale disposizione è stato appunto adottato il Regolamento contenuto nel D.P.R. n. 157 del 2013, il quale consente di erogare al personale viaggiante dipendente delle aziende di trasporto pubblico una pensione di vecchiaia "al raggiungimento del requisito anagrafico ridotto di cinque anni rispetto a quello tempo per tempo in vigore nel regime generale obbligatorio". È noto che il D.L. n. 201 del 2011 (c.d. "Decreto Monti"), a partire dal 1 gennaio 2012, ha sostituito le pensioni di vecchiaia, di vecchiaia anticipata e di anzianità, con le seguenti prestazioni: a) la pensione di vecchiaia; b) la pensione anticipata (art. 24, co. 3). La pensione di vecchiaia è conseguita esclusivamente sulla base dei requisiti anagrafici ridefiniti dal comma 6 dell'art. 24 e contributivi minimi di cui al comma 7 dello stesso articolo (20 anni), fatto salvo quanto stabilito dai commi 14, 15 bis e 18. La pensione anticipata è conseguita esclusivamente sulla base dei requisiti di anzianità contributiva stabiliti dal comma 10, per età anagrafiche inferiori a quelle previste dal comma, ovvero sulla base dei requisiti di cui al comma 11, fatto salvo quanto stabilito ai commi 14, 15bis 17 e 18, sempre dell'art. 24 D.L. n. 201 del 2011. 2.5. Dalla combinazione di tali norme deriva che il lavoratore in controversia al momento del licenziamento, era in possesso del requisito anagrafico (del pari non è contestata l'anzianità contributiva minima) per il conseguimento della pensione di vecchiaia anticipata prevista per il personale viaggiante, al raggiungimento di un'età ridotta di cinque anni rispetto a quella tempo per tempo in vigore nel regime generale obbligatorio e, quindi, all'epoca pari a 61 anni e 7 mesi, in quanto nel biennio 2016 - 2018 il requisito anagrafico generale di accesso alla pensione di vecchiaia era pari a 66 anni e 7 mesi. 2.6. Secondo la Corte di Appello, per consentire l'applicabilità del recesso, ad nutum dell'azienda, era altresì necessaria la domanda dell'interessato, in particolare la Corte si riferisce a quella prevista dal D.Lgs. n. 67 del 2011, art. 1 che legge in integrazione con la disciplina stabilità dal D.Lgs. n. 414 del 1996. In realtà il D.Lgs. 21 aprile 2011, n. 67 - recante norme sull'"Accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, a norma della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 1" - all'art. 1, comma 1, rubricato "Lavoratori addetti a lavorazioni particolarmente faticose e pesanti", stabilisce che "In deroga a quanto previsto alla L. 23 agosto 2004, n. 243, art. 1, come modificato dalla L. 24 dicembre 2007, n. 247, art. 1 possono esercitare, a domanda, il diritto per l'accesso al trattamento pensionistico anticipato, fermi restando il requisito di anzianità contributiva non inferiore a trentacinque anni e il regime di decorrenza delpensionamento vigente al momento della maturazione dei requisiti agevolati" talune tipologie di lavoratori dipendenti, tra i quali: (...) "d) conducenti di veicoli, di capienza complessiva non inferiore a 9 posti, adibiti a servizio pubblico di trasporto Collettivo". La disciplina prevede anche che il "diritto al trattamento pensionistico anticipato" è esercitabile qualora i lavoratori appartenenti alle tipologie indicate, abbiano svolto le attività lavorative secondo le modalità ivi previste per un periodo di tempo minimo specificato nel D.lgs., art. 11, comma 2. Si tratta dunque di una normativa che ha un oggetto e dei destinatari che sono propri rispetto a quelli previsti dal D.lgs., disciplina che non si integra con essa. Innanzitutto il D.lgs. è stato adottato per i "lavoratori addetti a lavorazioni particolarmente faticose e pesanti" e non riguarda specificamente il personale addetto ai pubblici servizi di trasporto e neanche tutto il personale viaggiante, ma esclusivamente i "conducenti di veicoli, di capienza complessiva non inferiore a 9 posti, adibiti a servizio pubblico di trasporto collettivo" e sempre che abbiano svolto detta attività per il periodo minimo specificato nell'art. 1, comma 2 di detto decreto. Inoltre, il D.lgs. non ha ad oggetto la pensione di vecchiaia di cui al D.lgs., bensì un "trattamento pensionistico anticipato" che richiede un "requisito di anzianità contributiva non inferiore a 35 anni" (ben diverso dai 20, anni previsti per la pensione di vecchiaia) ed i "requisiti agevolati" stabiliti, a decorrere dal 1 gennaio 2012, dalla Tabella B di cui all'allegato 1 della L. n. 247 del 2007, che prevede, in generale, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati una combinazione di età anagrafica e anzianità contributiva ai fini dell'accesso alla pensione anticipata (che è ben diverso dal requisito anagrafico previsto per la pensione di vecchiaia anticipata del personale viaggiante dal D.Lgs. n. 4114 del 1996, art. 3, comma 1, lett. b). Significativamente, a conferma dell'eterogeneità delle due discipline, vale rilevare che il D.lgs. è stato modificato proprio dall'art. 24 del successivo "Decreto Monti", il cui comma 17 recita: "Ai fini del riconoscimento della pensione anticipata, ferma restando la possibilità di conseguire la stessa ai sensi dei commi 10 e 11 presente articolo, per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, a normadella L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 1, al D.lgs. sono apportate le seguenti modificazioni: (...)"; ed il comma 3 medesimo articolo, in riferimento alla "pensione anticipata" legata all'anzianità contributiva, lascia salvo proprio il regime speciale stabilito dal comma 17 per gli addetti a lavorazioni faticose e pesanti. Il che conferma che il pensionamento anticipato per costoro previsto a domanda non riguarda la pensione di vecchiaia anticipata, disciplinata dal D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 3, comma 1, lett. B, come Modificato dal D.P.R. n. 157 del 2013, quest'ultimo adottato in attuazione del D.L. n. 201 del 2011, art. 24, comma 18 conv. in L. n. 214 del 2011. 2.7. Tuttavia, in causa è pacifico che il lavoratore non avesse inoltrata alcuna richiesta di pensionamento di vecchiaia anticipata ma, al contrario, sin dall'atto introduttivo del giudizio - come riportato alla pag. 1 della sentenza impugnata - è stato dedotto che aveva esplicitamente "manifestato la volontà di restare in servizio sino all'età massima prevista dal regime generale obbligatorio. La Corte territoriale ha espressamente preso posizione sul punto affermando come la possibilità (di optare per la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre l'età pensionabile) sia tuttora riconosciuta anche agli iscritti al soppresso fondo di previdenza del personale addetto al trasporto pubblico transitati nell'assicurazione generale obbligatoria e, nel caso di specie, il reclamante ha manifestato la sua volontà di trattenersi in servizio fino al raggiungimento dell'età massima per la pensione di vecchiaia prevista dal regime generale obbligatorio". Tanto è accaduto in coerenza con la facoltà, che deve essere riconosciuta anche al personale viaggiante in possesso del requisito anagrafico per l'erogabilità della pensione di vecchiaia anticipata di cui al D.lgs., di esercitare l'opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi del D.L. n. 791 del 1981, Art. 6 conv., con modif., dalla L. n. 54 del 1982, evitando così il transito nell'area della libera recedibilità ed anche al fine di incrementare l'anzianità contributiva per coloro che, come nella controversia che ci occupa, possono conseguire la pensione di vecchiaia prima del 65 anno di età, infatti l'art. 6 richiamato è stato ritenuto applicabile anche agli autoferrotranviari da Corte Cost. n. 226 del 1990, proprio per evitare disparitàdi trattamento rispetto a tutti gli altri lavoratori dipendenti. E questa Corte ha già avuto modo di affermare come non sarebbe ragionevole che il lavoratore, per il solo fatto di trovarsi nelle Situazione di poter richiedere l'attribuzione di un pensionamento anticipato, si trovi a perdere la stabilità del posto di lavoro al compimento del sessantesimo anno di età e possa, quindi, essere privato della facoltà di continuare a lavorare per raggiungere l'anzianità contributiva massima utile o per incrementarla ulteriormente, come invece consentito a colui che ha lavorato per un tempo minore (cfr. Cass. n. 3907 del 1999). 2.8. Tale ricostruzione non confligge con la sentenza a Sezioni Unite di questa Corte n. 17589 del 2015. La pronuncia si è occupata dell'interpretazione del D.L. n. 201 del 2011, art. 24, comma 4 più volte citato, secondo cui: "Per i lavoratori e le lavoratrici la cui pensione è liquidata a carico dell'Assicurazione Generale Obbligatoria e delle forme esclusive e sostitutive della medesima, nonché della gestione separata di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 26, la pensione di vecchiaia si può conseguire all'età in cui operano i requisiti minimi previsti dai successivi commi. Il proseguimento dell'attività lavorativa è incentivato, fermi restando i limiti ordinamentali dei rispettivi settori di appartenenza, dall'operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all'età di settant'anni, fatti salvi gli adeguamenti alla speranza di vita, come previsti dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 12 convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122 e successive modificazioni e integrazioni. Nei confronti dei lavoratori dipendenti, l'efficacia delle disposizioni di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 e successive modificazioni opera fino al conseguimento del predetto limite massimo di flessibilità". Le Sezioni Unite hanno in primo luogo ritenuto che, con il richiamo ai "limiti ordinamentali", il legislatore ha inteso precisare che la "incentivazione" al prolungamento del rapporto di lavoro non deve collidere con le disposizioni che, sul piano legislativo regolano gli specifici comparti (individuati sulla base della disciplina del rapporto tanto sul piano della regolazione sostanziale che di quella previdenziale) di appartenenza del lavoratore e che potrebbero essere ostativi al nuovo regime previsto dalla disposizione in esame, inoltre, - secondo la pronuncia - la disposizione, nel prevedere che "il proseguimento dell'attività lavorativa è incentivato... dall'operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all'età di settant'anni...", prevede solo la possibilità che, grazie all'operare di detti coefficienti, si creino le condizioni per consentire ai lavoratori interessati la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i limiti previsti dalla normativa di settore. Sarebbe questo il senso della locuzione "è incentivato... dall'operare dei coefficienti di trasformazione...", la quale presuppone che non solo si siano create dette più favorevoli condizioni previdenziali, ma anche che, grazie all'incentivo in questione, le parti consensualmente stabiliscano la prosecuzione del rapporto sulla base di una reciproca valutazione di interessi. Quindi la norma prefigura la formulazione di condizioni previdenziali che costituiscano incentivo alla prosecuzione del rapporto di lavoro per un lasso di tempo che può estendersi fino a settanta anni. In tal senso - continua la S.C. - depone anche la formulazione dell'art. 24, comma 4, ultimo periodo da interpretarsi nel senso che esso, consente l'estensione della tutela dell'art. 18 solo nel caso che le parti abbiano consensualmente ritenuto di procrastinare la durata del rapporto, in presenza delle condizioni di adeguamento pensionistico fissate dallo stesso comma 4. I due sistemi, quindi, non sono tra loro incompatibili: il primo, sempre nei residui casi in cui sia applicabile, costituisce esercizio di una facoltà del lavoratore, indipendente dalla volontà del datore di lavoro (per le conseguenze del rifiuto del datore a proseguire il rapporto v. per tutte Cass. n. 11668 del 2008), al fine di incrementare l'anzianità contributiva fino a quella massima e, comunque, fino al 65 anno di età; il secondo riguarda invece l'incentivo alla prosecuzione dell'attività lavorativa sino a 70 anni, operando i coefficienti di trasformazione, e postula il consenso del datore di lavoro". Il caso esaminato nella sentenza sopra richiamata differisce da quello qui scrutinato, perché in quello il lavoratore aveva presentato domanda di permanenza in servizio dopo avere maturato il requisito per la pensione di vecchiaia e, dunque, prima del recesso datoriale, ciò che aveva paralizzato l'operatività del meccanismo della libera recedibilità; nel caso di specie, invero, è pacifico tra le parti che ciò non sia avvenuto, perché il sig. (...) non ha inoltrato, prima del recesso del datore di lavoro, domanda di permanenza in servizio sino all'età massima prevista dal regime generale obbligatorio. Inoltre, non giova al reclamante il richiamo al D.Lgs. n. 67 del 2011, perché, come chiarito dalla Corte di Cassazione nella pronuncia sopra richiamata, esso "non ha ad oggetto la pensione di vecchiaia di cui al D.Lgs. n. 414 del 1996, bensì un "trattamento pensionistico anticipato" che richiede un "requisito di anzianità contributiva non inferiore a 35 anni" (ben diverso dai 20 anni previsti per la pensione di vecchiaia) ed i "requisiti agevolati" stabiliti, a decorrere dal 1 gennaio 2012, dalla Tabella B di cui all'allegato 1 della L. n. 247 del 2007, che prevede, in generale, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati una combinazione di età anagrafica e anzianità contributiva ai fini dell'accesso alla pensione anticipata (che è ben diverso dal requisito anagrafico previsto per la pensione di vecchiaia anticipata del personale viaggiante dal D.Lgs. n. 4114 del 1996, art. 3, comma 1, lett. b)". In conclusione, la sentenza merita di essere condivisa, perché, difformemente da quanto affermato dal reclamante, ha correttamente applicato la disciplina del D.Lgs. n. 414 del 1996, posto che, alla data del 5 luglio 2021, il sig. (...), che aveva compiuto 62 anni, aveva raggiunto il requisito anagrafico ridotto di cinque anni rispetto a quello tempo per tempo in vigore nel regime generale obbligatorio (pari a 67 anni, per il biennio 2021/2022). Le considerazioni che precedono conducono al rigetto del reclamo ed alla conseguente conferma della sentenza gravata. Le spese del grado di lite seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. la Corte, definitivamente decidendo sul reclamo proposto da (...), con atto depositato il 28 ottobre 2022, nei confronti di (...) S.P.A., avverso la sentenza del Tribunale di Crotone n. 703/2022 del 6 ottobre 2022, così provvede: - rigetta il reclamo e, per l'effetto, conferma la sentenza gravata; - condanna il reclamante a rifondere alla reclamata le spese del grado di lite, che liquida in Euro 2500,00, oltre accessori come per legge dovuti; - dà atto della sussistenza, ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012, n. 228, dei presupposti per il versamento, da parte dell'appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione dallo stesso proposta, a norma del comma 1-bis del medesimo art. 13, salva verifica del requisito soggettivo di esenzione. Così deciso in Catanzaro il 2 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 4 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VELLETRI SEZIONE LAVORO in persona del giudice Pietro Gerardo Tozzi ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al numero 1901 del ruolo generale dell'anno 2021 promossa DA (...), elettivamente domiciliata in Velletri corso (...), presso lo studio del procuratore Avv. Si.As., da cui è rappresentata e difesa RICORRENTE CONTRO INPS, con sede in Roma, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in Montecompatri via (...), presso lo studio dell'Avv. Al.Br., rappresentato e difeso dal procuratore Avv. Sa.Pa. RESISTENTE FATTO E DIRITTO 1. Con ricorso depositato il 25 maggio 2021 la ricorrente ha affermato di aver presentato il 10 settembre 2019 domanda amministrativa al fine di vedersi riconosciuto il diritto alla pensione di vecchiaia anticipata ai sensi dell'art. 1 comma 8 D.Lgs. n. 503 del 1992, che l'Istituto rigettava il 22 ottobre 2020; di aver presentato ricorso amministrativo, parimenti respinto. In diritto, la ricorrente ha affermato il proprio diritto alla pensione di vecchiaia anticipata ai sensi dell'art. 1 comma 8 D.Lgs. n. 503 del 1992 e ha convenuto in giudizio l'Inps perché il giudice accerti il suo stato di invalido in misura non inferiore all'80% e condanni l'Istituto a corrispondergli la relativa pensione di vecchiaia. 1.1. L'Inps si è costituito in giudizio contestando il diritto della ricorrente, il difetto del requisito contributivo e del requisito sanitario. 2. Nel corso del processo è stata espletata CTU medico legale. All'udienza odierna, la causa è stata discussa e decisa come da motivazione e dispositivo in calce di cui è stata data lettura. 3. La ricorrente domanda il riconoscimento del diritto alla pensione di vecchiaia anticipata, mentre l'Istituto contesta la ricorrenza dei presupposti previsti per legge. 4.1. L'art. 1 D.Lgs. n. 503 del 1992, prevede: "1. Il diritto alla pensione di vecchiaia a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti è subordinato al compimento dell'età indicata, per ciascun periodo, nella tabella A allegata. 2. Il limite di età previsto per l'applicazione delle disposizioni contenute nell'art. 6, L. 29 dicembre 1990, n. 407 , è elevato fino al compimento del 65 anno; gli assicurati che alla data di entrata in vigore del presente decreto prestano ancora attività lavorativa, pur avendo maturato i requisiti per aver diritto alla pensione di vecchiaia, sono esonerati dall'obbligo della comunicazione di cui al richiamato articolo 6, comma 2; sono altresì esonerati dall'anzidetto obbligo gli assicurati che maturino i requisiti previsti entro sei mesi successivi alla data di entrata in vigore del presente decreto, fermo restando l'obbligo per gli assicurati stessi di effettuare la comunicazione sopra considerata non oltre la data in cui i predetti requisiti sono maturati (2). 3. La percentuale annua di commisurazione della pensione per ogni anno di anzianità contributiva acquisita per effetto di opzione esercitata ai sensi dell'articolo 4 della L. 9 dicembre 1977, n. 903 , e dell'articolo 6 del D.L. 22 dicembre 1981, n. 791 , convertito con modificazioni dalla L. 26 febbraio 1982, n. 54, ai fini della permanenza in servizio oltre le età di cui al comma 1, è incrementata di un punto percentuale fino al compimento del 60 anno di età per le donne e 65 per gli uomini e di mezzo punto percentuale negli altri casi, anche in deroga all'articolo 11, comma 2, della L. 30 aprile 1969, n. 153 . Gli incentivi indicati sono attribuiti, comunque, fino al raggiungimento dell'anzianità contributiva massima utile. Per gli anni successivi viene riconosciuta la maggiorazione della pensione di cui al comma 6 dell'articolo 6 della L. 29 dicembre 1990, n. 407. 4. Le percentuali annue di rendimento attribuite ai sensi del comma 3 restano acquisite indipendentemente dalla successiva applicazione dell'elevazione del requisito di età prevista dal comma 1. 5. Il trattamento pensionistico derivante dall'applicazione dei commi 2 e 3 non può comunque superare l'importo della retribuzione pensionabile prevista dai singoli ordinamenti. 6. Sono confermati i requisiti per la pensione di vecchiaia in vigore alla data del 31 dicembre 1992 per i lavoratori non vedenti. 7. Il conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia è subordinato alla cessazione del rapporto di lavoro. 8. L'elevazione dei limiti di età di cui al comma 1 non si applica agli invalidi in misura non inferiore all'80 per cento". 4.2. La vigente disciplina impone alcuni requisiti per il beneficio oggetto di causa, oltre la sussistenza della invalidità in misura non inferiore all'80%: - un presupposto di natura anagrafica, rappresentato dall'età minima indicata, in riferimento al triennio 2016/2018, a 60 anni e 7 mesi di età per gli uomini e 55 e 7 mesi di età per le donne, per il biennio 2019/2020, in 61 anni di età per gli uomini e in 56 anni di età per le donne, che nel caso di specie è integrato; - un presupposto di natura contributiva, individuato nel possesso di almeno 20 oppure, 15 anni se versati prima del 31/12/1992, quale lavoratore dipendente e la ricorrente ha raggiunto tale ultima soglia (dall'estratto contributivo emergono infatti n. 4.828 giornate di contributi sino al 31 dicembre 1992, doc. 5 di parte ricorrente); - un presupposto di non occupazionale, costituito dalla avvenuta cessazione del rapporto di lavoro (estratto contributivo depositato da parte ricorrente). 4.3. In relazione al requisito sanitario, consistente in una invalidità non inferiore all'80%, appare opportuno richiamare quanto accertato al consulente tecnico d'ufficio. Il CTU ha osservato: "La presente indagine è finalizzata a stabilire se la perizianda si trovi nelle condizioni previste dall'art. 1 comma 8 del D.Lgs. n. 503 del 1992, ovvero presenti i requisiti sanitari previsti per beneficiare della pensione anticipata di vecchiaia, basati sul riconoscimento di un'invalidità in misura non inferiore all'80%. Gli accertamenti posti in essere durante le operazioni peritali nonché lo studio del carteggio sanitario hanno permesso di evidenziare il seguente complesso morboso da cui è affetta la perizianda. Per quanto attiene alla maculopatia essudativa senile in trattamento con iniezioni intravitreali questa patologia si estrinseca con un deficit del visus clinicamente apprezzabile, risultando difatti una diminuzione significativa dello stesso bilateralmente. Per quanto riguarda l'artrosi polidistrettuale, quest'ultima si caratterizza per un'importante tendinopatia bilaterale delle spalle, un rilevante coinvolgimento della colonna vertebrale clinicamente obiettivabile e per un'iniziale fenomeno degenerativo artrosico a carico delle anche e delle ginocchia. Si è obiettivata infatti una riduzione della metà dei movimenti delle spalle e della colonna, con deficit articolari delle escursioni degli arti inferiori limitati invece ai gradi estremi. L'impegno poliartrosico, in soggetto patologicamente obeso, unitamente al significativo deficit visivo bilaterale, limita in misura rilevante le capacità osteoarticolari della ricorrente, soprattutto se rapportate alla necessità comportate dal lavoro sempre svolto dalla perizianda, ovvero quello di bracciante agricola. Per quanto sopra detto, la Sig.ra (...) si trova nelle condizioni previste dalla normativa per beneficiare della pensione di vecchiaia anticipata prevista dall'art. 1 comma 8 del D.Lgs. n. 503 del 1992, a decorrere da gennaio 2022, ovvero alcuni mesi prima del peggioramento del deficit visivo bilaterale documentato in atti nell'ultima visita oculistica del giugno 2022" (relazione peritale agli atti). Il consulente ha quindi così concluso: "in relazione al caso del Sig.ra (...): SUSSISTONO i requisiti medico legali per il riconoscimento della pensione di vecchiaia anticipata ai sensi dell'art. 1 comma 8 del D.Lgs. n. 503 del 1992 da Gennaio 2022". 4.3.1. Le conclusioni cui giunge il consulente tecnico d'ufficio, in quanto argomentate con precisi riferimenti oggettivi e sostenute da elementi scientifici, razionali e prive di vizi logici, devono qui essere condivise, con la conseguenza che la ricorrente deve ritenersi invalida in misura non inferiore all'80% dal gennaio 2022. 5. Quanto alla decorrenza del beneficio richiesto, tuttavia, deve ricordarsi che, in tema di pensione di vecchiaia anticipata, di cui all'art. 1, comma 8, del D.Lgs. n. 503 del 1992, il regime delle cd. "finestre" previsto dall'art. 1, comma 5, della L. n. 247 del 2007 si applica anche agli invalidi in misura non inferiore all'ottanta per cento, come si desume dal chiaro tenore testuale della norma, che individua in modo ampio l'ambito soggettivo di riferimento per lo slittamento dell'accesso alla pensione di vecchiaia al 1 gennaio dell'anno successivo, in difetto di una disposizione specifica di esclusione, nell'ambito del regime in questione, di detta pensione anticipata, la cui regolamentazione consente soltanto una deroga ai limiti di età rispetto ai normali tempi di perfezionamento del diritto al trattamento di vecchiaia (Cass. ord. 28 gennaio 2021, n. 1931). 5.1. Tanto premesso, pertanto, deve essere dichiarato che R.D., invalida in misura non inferiore all'80%, possiede i requisiti per la concessione della pensione anticipata di vecchiaia ex art. 1 comma 8 D.Lgs. n. 503 del 1992 da gennaio 2022, con diritto alla liquidazione con applicazione del regime delle c.d. finestre, e l'Inps deve essere condannato al relativo pagamento, oltre interessi. 6. In relazione alla regolamentazione delle spese di lite, occorre ricordare che, nelle controversie assistenziali, il riconoscimento del requisito sanitario con una decorrenza successiva a quella della domanda, riconducibile ad una parzialità dell'accoglimento meramente quantitativo, realizza una soccombenza reciproca idonea a giustificare la compensazione, parziale o totale, delle spese di lite (Cass. ord. 21 dicembre 2016 n. 26565): ne deriva, nel caso di specie, la compensazione integrale delle spese di lite tra le parti, in considerazione dell'accertamento del requisito sanitario oggetto di causa solo da gennaio 2022. Le spese per CTU sono poste a carico dell'Inps, competente in via amministrativa per l'accertamento del grado di invalidità. P.Q.M. disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, dichiara che R.D., invalida in misura non inferiore all'80%, possiede i requisiti per la concessione della pensione anticipata di vecchiaia ex art. 1 comma 8 D.Lgs. n. 503 del 1992 da gennaio 2022, con diritto alla liquidazione decorsa la c.d. finestra mobile, e condanna l'Inps al relativo pagamento, oltre interessi; compensa i compensi di lite tra le parti; pone in capo all'Inps le spese per CTU, liquidate con separato decreto. Così deciso in Velletri il 4 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI TORINO SEZIONE LAVORO Composta da: Dott. Piero Rocchetti - PRESIDENTE Dott. Fabrizio Aprile - CONSIGLIERE Dott.ssa Silvia Casarino - CONSIGLIERE Rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa di lavoro iscritta al n. 443/2022 R.G.L. promossa da: C.N.P., C.F.: (...), in persona del Presidente, legale rappresentante pro tempore, S.D., con sede in R., Via M. n. 1, rappresentata e difesa dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. (...) in Torino, (...), per procura allegata alla busta contenente il ricorso in appello e inviata telematicamente APPELLANTE/Appellata incidentale CONTRO T.L., C.F.: (...), residente a T., elettivamente domiciliato in Asti, via Roero n. 43, presso lo studio dell'avv. (...), che lo rappresenta e difende per procura in calce alla memoria di costituzione in appello APPELLATO/Appellante incidentale Oggetto: contributo di solidarietà FATTI DI CAUSA Con ricorso diretto al Tribunale di Torino, L.T. ha chiamato in giudizio la C.N.P. esponendo di essere titolare di pensione di vecchiaia anticipata con decorrenza dal luglio 2004 a carico della Cassa e deducendo l'illegittimità delle trattenute operate sulla pensione in forza del regolamento del 2004, che ha introdotto il prelievo a titolo di contributo di solidarietà, e delle successive delibere del 2008, 2013 e 2019, che lo hanno prorogato da ultimo anche per il quinquennio 2019-2023; ha chiesto di accertare l'illegittimità del prelievo a titolo di contributo di solidarietà e di condannare la Cassa alla restituzione degli importi trattenuti a tale titolo, quantificati (nei limiti della prescrizione decennale maturata fino al maggio 2011) nell'importo di Euro 28.441,16 al giugno 2021, oltre alle trattenute successivamente operate sino alla data della sentenza. Costituendosi in giudizio la Cassa ha contestato il fondamento della domanda chiedendone la reiezione ed ha eccepito la parziale prescrizione quinquennale (ed in subordine decennale) del credito, con riferimento alle somme trattenute, considerata quale interruzione della prescrizione la notifica del ricorso avvenuta in data 8.9.2021. Con sentenza n. 498/2022 pubblicata il 22.3.2022 il Tribunale, accertata l'illegittimità delle trattenute sulla pensione del ricorrente a titolo di contributo di solidarietà, ha tuttavia accolto l'eccezione di prescrizione quinquennale, ed ha quindi condannato la Cassa convenuta a restituire al ricorrente gli importi trattenuti per il periodo settembre 2016-marzo 2022, pari a Euro 15.815,69. Propone appello la Cassa; resiste l'appellato, che a sua volta propone appello incidentale. All'udienza di discussione del 23.11.2022, all'esito della discussione, la Corte ha deciso la causa come da separato dispositivo. RAGIONI DELLA DECISIONE Il Tribunale ha parzialmente accolto le domande proposte dal ricorrente, condannando la Cassa alla restituzione delle trattenute operate a titolo di "contributo di solidarietà" nel limite del quinquennio anteriore alla notifica del ricorso introduttivo, richiamando l'orientamento di legittimità (Cass. 36618/21) e ritenendo pertanto escluso che rientri fra i poteri della Cassa quello di prevedere a carico dei pensionati un contributo di solidarietà. Ha accolto l'eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dalla Cassa, svolgendo un'articolata serie di argomentazioni. Questa, in sintesi, la motivazione del Tribunale: (i) il principio di diritto di cui a S.U. n. 17742/2015, e successiva giurisprudenza di legittimità, secondo cui la prescrizione dei ratei "illiquidi" è decennale, si fonda su di una interpretazione dell'art. 2948, n. 4, c.c. alla luce dell'art. 129, R.D.L. n. 1827 del 1935; (ii) l'art. 129 è stato superato dall'art. 47-bis, D.P.R. n. 639 del 1970, introdotto dall'art. 38, D.L. n. 98 del 2011 (in vigore dal 6.7.2011); (iii) l'art. 47-bis, espressamente dettato per le pensioni erogate dall'INPS, non può che essere applicabile anche alle pensioni erogate dalle casse previdenziali obbligatorie quale certamente è la C. (diversamente ritenendo, evidenti sarebbero le irragionevoli disparità di trattamento); (iv) pertanto, l'azione era assoggettata al termine di prescrizione decennale, difettando la messa a disposizione delle somme a favore del pensionato, fino all'introduzione dell'art. 47-bis, mentre dal luglio 2011 in avanti, il termine di prescrizione è quello quinquennale; (v) "in considerazione del periodo oggetto di causa, deve ritenersi applicabile il termine di prescrizione decennale per le trattenute operate nel giugno 2011: la relativa domanda deve ritenersi prescritta, in quanto tale periodo è antecedente a dieci anni prima il 8/9/2021; per le trattenute decorrenti dal luglio 2011 l'azione è soggetta al termine di prescrizione quinquennale, e debbono ritenersi prescritti i ratei maturati anteriormente all'agosto 2016 (cinque anni prima della messa in mora, avvenuta il 8/9/2021); la domanda restitutoria risulta pertanto fondata solo in relazione ai ratei trattenuti dal settembre 2016 al giugno 2021 (ovvero sino al deposito del ricorso), oltre alle trattenute successive ed anteriori alla sentenza per le quali vi è espressa domanda". Il Tribunale ha quindi condannato la Cassa a restituire al ricorrente Euro 15.815,69, così quantificati in base al calcolo sviluppato a pag. 6 della sentenza sulla base dei dati indicati nel ricorso, non contestati dalla convenuta e comprovati dalle certificazioni uniche, specificando che le conclusioni proposte dalla Cassa in via subordinata non sono state esaminate in quanto riferite a periodo coperto da prescrizione. La Cassa censura la sentenza impugnata per violazione dell'art. 2 D.Lgs. n. 509 del 1994, dell'art. 3, comma 12, L. n. 335 del 1995, così come modificato dall'art. 1, comma 763, L. n. 296 del 2006, anche in relazione all'art. 1, comma 488, L. n. 147 del 2013, nonché per violazione dell'art. 24, co. 24, D.L. n. 201 del 2011, conv. in L. n. 214 del 2011. L'appello è infondato. Tutte le argomentazioni della Cassa sono già state ripetutamente respinte dalla Corte di Cassazione in numerose sentenze (tra cui le nn. 423/2019, 9864/2019, 19561/2019, 29292/2019, 27340/2020, 28054/2020, 28055/2020, 36618/21), con le quali l'appello omette del tutto di misurarsi. In tali pronunce la S.C. ha costantemente ribadito il principio secondo cui "gli enti previdenziali privatizzati (come, nella specie, la C.N.P.) non possono adottare, sia pure in funzione dell'obbiettivo di assicurare l'equilibrio di bilancio e la stabilità della gestione, atti o provvedimenti che, lungi dall'incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongano una trattenuta (nella specie, un contributo di solidarietà) su un trattamento che sia già determinato in base ai criteri ad esso applicabili, dovendosi ritenere che tali atti siano incompatibili con il rispetto del principio del pro rata e diano luogo a un prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali ex art. 23 Cost., la cui imposizione è riservata al legislatore" (Cass. 27340/2020, che conferma App. Torino n. 469/2015). Nelle sentenze sopra citate vengono affrontate tutte le questioni riproposte dalla Cassa nel presente giudizio (compresa l'irrilevanza, ai fini della decisione, degli artt. 1, comma 763, L. n. 296 del 2006, e 1, comma 488, L. n. 147 del 2013) e i principi affermati dalla Corte di Cassazione, riferiti al contributo di solidarietà imposto dalla Cassa negli anni 2009-2013, devono ritenersi pienamente applicabili anche alla fattispecie in esame, relativa alla imposizione del contributo di solidarietà dal novembre 2009 ed alle sue proroghe per i quinquenni 2014-2018 e 2019-2023 disposte dalle successive Delibere dell'Assemblea dei Delegati. Deve soltanto aggiungersi che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Cassa, le trattenute a titolo di contributo di solidarietà non possono ritenersi legittime nemmeno sulla base dell'art. 24, co. 24, D.L. n. 201 del 2011, conv. in L. n. 214 del 2011, dato che tale disposizione - che prevede che gli enti adottano delibere volte ad assicurare l'equilibrio di gestione "entro e non oltre il 30 settembre 2012" e l'applicazione, in mancanza, di un contributo di solidarietà per gli anni 2012 e 2013 a carico dei pensionati nella misura dell'1% - è chiaramente inapplicabile alla presente fattispecie vertendosi qui, come già rilevato in altre sentenze di questa Corte (v. App. Torino n. 469/2015), sulla legittimità del contributo di solidarietà, peraltro di diversa entità, trattenuto dalla Cassa sulla base di delibere adottate a decorrere dal 2004 (sull'inconferenza dell'art. 24 comma 24 cit. cfr. Cass. 34376/22, sul rilievo che trattasi "di fonte legislativa, non di fonte regolamentare oggetto dell'intervento di delegificazione dell'art. 2 D.Lgs. n. 509 del 1994"). L'appellato impugna in via incidentale la statuizione relativa alla prescrizione, deducendo la violazione e/o la falsa applicazione dell'art. 47-bis D.P.R. n. 639 del 1970 in relazione con l'art. 2946 c.c. e sostenendo quindi l'applicabilità del termine di prescrizione decennale. Quantifica l'importo spettante in restituzione (applicando i criteri utilizzati dal Tribunale per calcolare le somme trattenute sino al momento della pronuncia della sentenza di primo grado - marzo 2022 - e considerando quale momento interruttivo della prescrizione l'8.9.2021, data della notifica del ricorso introduttivo) per il periodo settembre 2011-marzo 2022 la somma di Euro 29.864,82. L'appello incidentale è fondato. La Corte di Cassazione, in una sentenza emessa nei confronti della Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali, ha affermato che "In materia di previdenza obbligatoria (quale quella gestita dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del D.Lgs. n. 509 del 1994) la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2948, n. 4, c.c. - così come dall'art. 129 del R.D.L. n. 1827 del 1935 - richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell'assicurato, sicché, ove sia in contestazione l'ammontare del trattamento pensionistico, il diritto alla riliquidazione degli importi è soggetto alla ordinaria prescrizione decennale di cui all'art. 2946 c.c." (Cass., S.U., 8.9.2015 n. 17742); è stato inoltre precisato che per l'applicazione del termine di prescrizione quinquennale "... non è sufficiente la mera idoneità del credito ad essere determinato, ancorché prontamente, nel suo ammontare; pertanto, con riguardo ai ratei di pensione ed indennità la cui debenza sia contestata nella esatta entità ... non si applica la prescrizione quinquennale di cui alle norme sopraindicate in difetto di specifico provvedimento della P.A. debitrice, ma l'ordinaria prescrizione decennale, quale prescrizione concernente la prestazione da effettuare nella sua globalità ed interezza, di cui i ratei non liquidi e non esigibili rappresentano una frazione ancora non individuata, nè messa a disposizione (Cass. 21 luglio 2000, n. 9627; v. anche sostanzialmente nello stesso senso Cass. 6 novembre 1998, n. 11225; 21 novembre 1997, n. 11644)" (così Cass. n. 1344/2004 e n. 2563/2016). Il fatto che la trattenuta sulla pensione a titolo di contributo di solidarietà sia esattamente quantificata nei cedolini relativi ai ratei pensionistici non rende il credito "pagabile" o esigibile, considerato che esso, contestato dalla debitrice prima di tutto nell'an debeatur, non può ritenersi "messo a disposizione" del creditore: la S.C., con recentissima pronuncia, ha osservato che se il pensionato è stato in condizione di riscuotere solo i ratei della pensione nella misura decurtata del contributo di solidarietà, e non anche nel superiore importo spettante senza l'applicazione del medesimo (che è oggetto della controversia), la differenza tra l'importo liquidato e quello superiore richiesto non può ritenersi "pagabile" e, quindi non può applicarsi la prescrizione quinquennale dell'art. 2948 c.c., ma quella decennale ordinaria dell'art. 2946 c.c. (cfr. Cass. 29523/22, v. anche Cass. 36618/21 e Cass. 41320/21). Neppure può essere applicato l'art. 47 bis del D.P.R. n. 639 del 1970 introdotto dall'art. 38 D.L. n. 98 del 2011 conv. in L. n. 111 del 2011, secondo cui "Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all'articolo 24 della L. 9 marzo 1989, n. 88 o delle differenze dovute a seguito di riliquidazioni", trattandosi di norma che riguarda i "ricorsi e controversie in materia di prestazioni" (così il Titolo III, al cui interno la norma è inserita), ma con riferimento al solo INPS, come si ricava dal corpo normativo, dedicato appunto all'INPS, al cui interno la norma è collocata, come anche dalle norme del Titolo III predetto (art. 44-46), che riguardano tutte la materia delle prestazioni e dei ricorsi INPS (cfr., con riferimento alla decadenza ex art. 47 D.P.R. n. 639 del 1970, Cass. 982/2019, che richiama Cass. 2959/1987 per l'inapplicabilità all'INAIL). Inoltre, la S.C. ha rilevato che "la fattispecie in esame non è classificabile quale ipotesi di riliquidazione di trattamenti pensionistici, ma quale credito consequenziale all'indebita ritenuta derivante dalla applicazione di una misura patrimoniale illegittima, frutto di trattenute operate sui singoli ratei di pensione, ma che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata; la Cassa ha esercitato unilateralmente un potere di prelievo che si è sovrapposto al diritto del pensionato, ma non si è confuso con l'obbligazione pensionistica a cui pretendeva di applicarsi. A prescindere, dunque, da ogni riferimento alla aspirazione ad una parità di trattamento tra pensioni pubbliche e pensioni erogate dalle casse privatizzate, il termine di prescrizione dell'azione dì recupero delle somme indebitamente trattenute non può che essere quello ordinario decennale" (cfr. Cass. 29523/22 cit.). In accoglimento dell'appello incidentale, la Cassa va quindi condannata a restituire all'appellato le somme trattenute nel limite della prescrizione decennale; pertanto, la somma oggetto di restituzione dev'essere rideterminata, per il periodo settembre 2011-marzo 2022, in Euro 29.864,82 (non avendo l'appellante contestato detta quantificazione effettuata dall'appellato), oltre interessi di legge dalla data di ciascuna trattenuta fino al saldo effettivo. Le spese di entrambi i gradi seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo - con distrazione in favore del difensore antistatario - in conformità ai parametri vigenti, tenuto conto del valore della causa e dell'attività difensiva svolta. Al rigetto dell'appello principale consegue, ex lege (art. 1, commi 17-18, L. n. 228 del 2012), la dichiarazione che la Cassa è tenuta all'ulteriore pagamento di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l'impugnazione. P.Q.M. Visto l'art. 437 c.p.c., respinge l'appello principale; in accoglimento dell'appello incidentale, ridetermina la somma che la C. è condannata restituire a L.T. a titolo di contributo di solidarietà trattenuto nel periodo settembre 2011-marzo 2022 in Euro 29.864,82, oltre interessi di legge dalla data di ciascuna trattenuta fino al saldo effettivo; condanna l'appellante principale a rimborsare all'appellato le spese di entrambi in gradi liquidate per il primo in Euro 6.000,00 e per il presente in Euro 6.200,00, oltre rimborso forfettario, Iva e cpa, con distrazione a favore del difensore; dichiara la sussistenza delle condizioni per l'ulteriore pagamento, a carico dell'appellante principale, di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l'impugnazione. Così deciso in Torino, il 23 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 1 dicembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI TORINO SEZIONE LAVORO Composta da: Dott. Federico Grillo Pasquarelli - PRESIDENTE Dott.ssa Patrizia Visaggi - CONSIGLIERE Rel. Dott. Maurizio Alzetta - CONSIGLIERE ha pronunciato la seguente SENTENZA nella cause di lavoro iscritte ai n.ri 289 e 324/2022 R.G.L. - riunite alla n. 289/2022 R.G.L. promosse da: (...) (C.F.: (...)), in persona del Presidente, legale rappresentante pro tempore, S.D., C.F. (...), con sede in Roma, Via Mantova n. 1, rappresentata e difesa dall'Avv. Daniela Dal Bo ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. Barbara Rolando, sito in Torino, Corso Duca degli Abruzzi n. 18, giusta delega in atti APPELLANTE/APPELLATA CONTRO (...) (C.F. (...)), rappresentato e difeso congiuntamente e disgiuntamente dagli Avv.ti Gi.Ga., Fi.To. del Foro di Rimini, con studio in Corso (...), con domicilio eletto nel loro studio in Rimini, Corso (...) giusta procura in atti APPELLATO/ APPELLANTE Oggetto: Altre controversie in materia di previdenza obbligatoria FATTI DI CAUSA Con ricorso diretto al Tribunale di Torino, (...), esponendo di essere titolare di pensione di vecchiaia anticipata con decorrenza dal mese di luglio del 2002 a carico della (...) (...), ha chiesto che venisse accertata l'illegittimità delle trattenute a titolo di contributo di solidarietà, reiterate dalla (...) per plurimi quinquenni consecutivi, sulla base delle Delib. n. 4 del 2008, Delib. n. 3 del 2013 e Delib. n. 10 del 2017, con conseguente condanna della convenuta alla restituzione delle trattenute operate, oltre interessi legali. Costituendosi in giudizio la (...) ha contestato il fondamento della domanda chiedendone la reiezione. Con sentenza n. 25/2022 pubblicata il 12.1.2022 il Tribunale ha accolto parzialmente il ricorso, nei limiti della prescrizione quinquennale, compensando per un quarto le spese di lite. Avverso tale sentenza entrambe le parti hanno interposto appello e le cause sono state riunite. All'udienza di discussione del 19.10.2022 la Corte ha deciso la causa come da separato dispositivo. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il Tribunale ha accolto il ricorso ritenendo che la previsione del contributo di solidarietà fosse illegittima in applicazione dei principi ripetutamente affermati dalla giurisprudenza di legittimità in forza dei quali sia la modifica apportata all'art. 3, comma 12, della L. n. 335 del 1995 dall'art. 1, co. 763, L. n. 296 del 2006, sia l'interpretazione data dall'art. 1, comma 488 della L. n. 147 del 2013, non legittimano interventi di riduzione sull'ammontare delle pensioni che, come nel caso di specie, siano già maturate anteriormente all'entrata in vigore delle suddette norme. Il Tribunale ha inoltre accolto l'eccezione di prescrizione quinquennale, sollevata dalla (...), per il periodo precedente al 2.9.2016, termine interrotto con la notifica del ricorso introduttivo del 2.9.2021. 2. La (...) censura la sentenza con motivi variamente articolati sintetizzabili nella violazione: dell'art. 2 D.Lgs. n. 509 del 1994 in combinato disposto con l'art. 22 del Regolamento della (...) e con le Delib. n. 4 del 2008, Delib. n. 3 del 2013 e Delib. n. 10 del 2017, dell'art. 3, comma 12, L. n. 335 del 1995, come modificato dall'art. 1, comma 763, L. n. 296 del 2006 ed autenticamente interpretato dall'art. 1, comma 488, L. n. 147 del 2013, dell'art. 24, comma 24, D.L. n. 201 del 2011, convertito in L. n. 214 del 2011, dell'art. 115 c.p.c., degli artt. 2, 3 e 23 Cost., sostenendo che il nuovo testo dell'art. 3, comma 12, L. n. 335 del 1995, come modificato dall'art. 1, comma 763, L. n. 296 del 2006 e come autenticamente interpretato dall'art. 1, comma 488 della L. n. 147 del 2013, avrebbe attenuato (se non eliminato) il principio del "pro rata", in forza dei principi di gradualità ed equità fra generazioni, e così ampliato il potere normativo delle Casse sino a comprendervi i provvedimenti - tra i quali andrebbe annoverato il contributo di solidarietà - di riduzione delle prestazioni pensionistiche in corso di erogazione. Dette censure sono infondate. Le argomentazioni dell'appellante non introducono elementi di novità rispetto a quelle svolte in analoghe controversie, già esaminate e decise da questa Corte con sentenze sfavorevoli alla (...) (v. tra le altre sentenza n. 421/2015, n. 469/2015, n. 75/2019, n. 125/2019, n. 440/2019, n.528/2020) e che sono state recentemente confermate dalla Suprema Corte (v. Cass. n. 27340/2020; n. 28054/20) sulla base delle argomentazioni che di seguito si riportano. "Invero, si è di recente statuito (Cass. Sez. Lav. n. 31875 del 10.12.2018) che " In materia di trattamento previdenziale, gli enti previdenziali privatizzati (nella specie, la (...)) non possono adottare, sia pure in funzione dell'obbiettivo di assicurare l'equilibrio di bilancio e la stabilità della gestione, atti o provvedimenti che, lungi dall'incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongano una trattenuta (nella specie, un contributo di solidarietà) su un trattamento che sia già determinato in base ai criteri ad esso applicabili, dovendosi ritenere che tali atti siano incompatibili con il rispetto del principio del "pro rata" e diano luogo a un prelievo inquadrabile nel "genus" delle prestazioni patrimoniali ex art. 23 Cost., la cui imposizione è riservata al legislatore". In tale precedente (che si è occupato del contributo di solidarietà di cui trattasi) al quale questa Corte intende dare continuità si è, in sintesi, spiegato quanto segue: - Premessa l'esistenza di una sostanziale delegificazione - affidata dalla legge (legge delega n. 537/1993) alla autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti ad essa imposti per la disciplina, tra l'altro, del rapporto contributivo e del rapporto previdenziale - concernente le prestazioni a carico degli stessi enti - anche in deroga a disposizioni di legge precedenti - e considerato il principio per il quale al pari delle disposizioni di legge nelle stesse materie gli atti di delegificazione - adottati dagli enti, entro i limiti della propria autonomia - sono soggetti, altresì, a limiti costituzionali, coerentemente il sindacato giurisdizionale - su tali atti di delegificazione - ne investe il rispetto, da un lato, dei limiti imposti alla autonomia degli enti - dal quale dipende la loro idoneità a realizzare l'effetto perseguito, di abrogare, appunto, o derogare disposizioni di legge e, dall'altro, dei limiti costituzionali, in funzione della (eventuale) caducazione degli atti medesimi (art. 1418 e 1324 cc), per contrasto con norme imperative. Lo stesso sindacato giurisdizionale - circa il rispetto dei limiti imposti all'autonomia degli enti, appunto, e dei limiti costituzionali - investe (anche) gli atti di delegificazione, posti in essere dagli enti sulla base della legislazione successiva. Ciò premesso va rilevato che questa Corte ha esposto con riferimento a fattispecie analoga relativa alla stessa (...) (Cass. 25212/09) che "L'autonomia degli stessi enti, tuttavia, incontra un limite fondamentale, imposto dalla stessa disposizione che la prevede (ossia dal predetto D.Lgs. n. 509 del 1994 art. 2), la quale definisce espressamente i tipi di provvedimento da adottare, identificati, appunto, in base al loro contenuto ("variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti"). Esula, tuttavia, dal novero (una sorta di numerus clausus) degli stessi provvedimenti - e risulta incompatibile, peraltro, con il "rispetto del principio del pro rata (...)" - qualsiasi provvedimento degli enti previdenziali privatizzati (quale, nella specie, l'art. 22 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale), che introduca - a prescindere dal "criterio di determinazione del trattamento pensionistico" - la previsione di una trattenuta a titolo di "contributo di solidarietà" sui trattamenti pensionistici già quantificati ed attribuiti. Ed invero sul punto deve evidenziarsi che la imposizione di un "contributo di solidarietà" sui trattamenti pensionistici già in atto non integra, all'evidenza, ne' una "variazione delle aliquote contributive", ne' una "riparametrazione dei coefficienti di rendimento". Ma alla stessa conclusione deve pervenirsi, tuttavia, con riferimento ad "ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico". La previsione relativa intende riferirsi, infatti, a tutti i provvedimenti, che - al pari di quelli specificamente identificati nominativamente (di "variazione delle aliquote contributive", appunto, e di "riparametrazione dei coefficienti di rendimento") - incidano su "ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico". Ne esula, quindi, qualsiasi provvedimento, che - lungi dall'incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico da adottarsi nel rispetto o tenuto conto del principio del pro rata, ai sensi delle successive formulazioni dell'art. 3, comma 12, L. n. 335 del 1995 e finalizzato al solo riequilibrio finanziario rispetto ai limiti di stabilità imposti dalla legge - imponga una trattenuta su detto trattamento già determinato, in base ai criteri ad esso applicabili, quale limite esterno della sua misura. Né a diverse conclusioni e dunque alla legittimità della trattenuta, si può giungere attraverso il richiamo alla L. n. 296 del 2006 di modifica dell'art. 3, comma 12, L. n. 335 del 1995 in quanto detta norma incide sul sistema del pro rata che è estraneo alla tematica del contributo di solidarietà. La citata sopravvenuta normativa non può, pertanto, essere intesa nel senso preteso dalla (...) di fonte del potere di introdurre prestazioni patrimoniali a carico dei pensionati, quale è il contributo di solidarietà. Quanto alla disposizione di cui all'art. 1, comma 488, della L. n. 147 del 2013, qualificata come di interpretazione autentica, - secondo cui: "L'ultimo periodo della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 763, si interpreta nel senso che gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al medesimo comma 763 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della L. 27 dicembre 2006, n. 296, si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l'equilibrio finanziario di lungo termine", va rilevato che questa Corte (cfr Cass 6702/2016, ord. n 7568/2017) ha già affermato che "quest'ultimo intervento legislativo non incide sulla soluzione della presente questione, dal momento che la norma in esame pone come condizione di legittimità degli atti che essi siano finalizzati ad assicurare l'equilibrio finanziario a lungo termine, mentre sicuramente tale finalità non rappresenta un connotato del contributo straordinario di solidarietà, proprio perché di carattere provvisorio e limitato nel tempo, cosi come affermato dalla stessa ricorrente". Va ulteriormente considerato che, comunque, non può prescindersi dalla considerazione che la norma di cui all'ultimo periodo dell'art. 1, comma 763, L. 27 dicembre 2006, n. 296, non può che riguardare i provvedimenti che hanno inciso sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico dei professionisti iscritti alla (...) e non già la materia che esula dai poteri delle Casse, quale quella in esame. Appare utile, al fine di confermare l'estraneità del contributo di solidarietà ai criteri di determinazione del trattamento pensionistico e conseguentemente anche al principio del necessario rispetto del pro rata, richiamare, altresì, la recente sentenza della Corte Costituzionale n 173/2016 che, nel valutare l'analogo prelievo disposto dall'art. 1, comma 486, L. n. 147 del 2013, ha affermato che si è in presenza di un "prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all'art. 23 Cost., avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del 2000; ordinanza n. 22 del 2003)". Sulla base delle considerazioni che precedono deve concludersi nel senso che esula dai poteri riconosciuti dalla normativa la possibilità per le Casse di emanare un contributo di solidarietà in quanto, come si è detto, esso, al di là del suo nome, non può essere ricondotto ad un "criterio di determinazione del trattamento pensionistico", ma costituisce un prelievo che può essere introdotto solo dal legislatore. Le ragioni che hanno indotto questa Corte a ritenere che tra i poteri della (...) non vi sia anche quello di applicare ai pensionati un contributo di solidarietà consente di escludere che la citata e recente sentenza della Corte Costituzionale, che ha concluso per la legittimità costituzionale dell'art. 1 comma 486 della legge finanziaria del 2014 (ritenendo sussistere "sia pur al limite", rispettate nel caso dell'intervento legislativo in esame" le condizioni dalla Corte enunciate per la legittimità dell'intervento quali operare all'interno del complessivo sistema della previdenza; essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema; incidere sulle pensioni più elevate -in rapporto alle pensioni minime-; presentarsi come prelievo sostenibile; rispettare il principio di proporzionalità; essere comunque utilizzato come misura una tantum") possa incidere sulle conclusioni qui assunte" (Cass. n.9864/2019; in termini, v. Cass. n.5240/2022; Cass. n.6160/2022; n.6897/2022). Le ragioni poste a base della pronuncia richiamata, anche ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c., mantengono pieno valore in relazione al contributo di solidarietà applicato all'appellato anche nei quinquenni in esame, evidenziando l'infondatezza delle argomentazioni svolte nell'appello. I limiti dell'autonomia della (...) in relazione al contenuto dei provvedimenti da adottare, imposti dalla normativa di rango primario esaminata in detta pronuncia, restano infatti immutati anche nel periodo in questione e alla stregua di tali limiti risultano pertanto illegittime le proroghe del contributo di solidarietà disposte con le delibere della (...) nn. 4/2008, 3/2013 e 10/2017. Ne discende la reiezione dell'appello proposto dalla (...), con diritto di (...) alla restituzione delle somme trattenute a titolo di contributo di solidarietà. 3. In merito al termine di prescrizione applicabile nel caso di specie, è fondato l'appello proposto da (...) il quale, con un unico motivo deduce l'inapplicabilità del termine di prescrizione quinquennale per insussistenza dei presupposti previsti dall'art.2948 n. 4 c.c., con conseguente applicabilità del generale termine di prescrizione decennale ex art. 2946 c.c.. La Corte di Cassazione, in una sentenza emessa proprio nei confronti della (...) Nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri, ha affermato che: "In materia di previdenza obbligatoria (quale quella gestita dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del D.Lgs. n. 509 del 1994) la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2948, n. 4, c.c. - così come dall'art. 129 del R.D.L. n. 1827 del 1935 - richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell'assicurato, sicché, ove sia in contestazione l'ammontare del trattamento pensionistico, il diritto alla riliquidazione degli importi è soggetto alla ordinaria prescrizione decennale di cui all'art. 2946 c.c." (Cass. Sez. U, 8.9.2015 n. 17742); è stato inoltre precisato che per l'applicazione del termine di prescrizione quinquennale "... non è sufficiente la mera idoneità del credito ad essere determinato, ancorché prontamente, nel suo ammontare; pertanto, con riguardo ai ratei di pensione ed indennità la cui debenza sia contestata nella esatta entità ... non si applica la prescrizione quinquennale di cui alle norme sopraindicate in difetto di specifico provvedimento della P.A. debitrice, ma l'ordinaria prescrizione decennale, quale prescrizione concernente la prestazione da effettuare nella sua globalità ed interezza, di cui i ratei non liquidi e non esigibili rappresentano una frazione ancora non individuata, ne' messa a disposizione (Cass. 21 luglio 2000, n. 9627; v. anche sostanzialmente nello stesso senso Cass. 6 novembre 1998, n.11225; 21 novembre 1997, n. 11644)" (così Cass. n.344/2004, Cass. n.2563/2016; per l'applicazione del termine di prescrizione decennale v. altresì sentenze n. 562/19, n.438/21, n.503/21 e n.515/21 di questa Corte). Invero, il fatto che la trattenuta sulla pensione a titolo di contributo di solidarietà sia esattamente quantificata nei cedolini relativi ai ratei pensionistici non rende il credito "pagabile" o esigibile, considerato che esso, contestato dal debitore prima di tutto nell'an debeatur, non può ritenersi "messo a disposizione" del creditore (così di recente Cass. n.31527/2022, in fattispecie identica a quella in esame). Considerata l'indisponibilità della prescrizione in materia pensionistica e l'inderogabilità delle norme sulla prescrizione ai sensi dell'art. 2936 ("È nullo ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione") deve ritenersi nullo l'art. 16 comma 3 del regolamento della (...) secondo cui "Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni". Sul punto a nulla vale il richiamo all'art. 47 bis del D.P.R. n. 639 del 1970, operato dalla (...), trattandosi di previsione riferita "all'Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, come è reso evidente dal corpo normativo, dedicato appunto all'I.N.P.S., al cui interno la norma è collocata come anche dalle norme del Titolo III predetto (art. 44-46), che riguardavano tutte la materia delle prestazioni e dei ricorsi I.N.P.S..." (v. Cass. n.982/2019, resa proprio nei confronti della (...) Nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri, seppure con riferimento all'art. 47, D.P.R. n. 639 del 1970). Inoltre la fattispecie in esame non è qualificabile quale ipotesi di riliquidazione di trattamenti pensionistici, trattandosi invece di credito derivante dall'indebita trattenuta per l'applicazione di una misura patrimoniale illegittima. Posto che l'unico anno interruttivo del termine di prescrizione è costituito dalla notifica del ricorso introduttivo del 2.9.2021, ne discende che sono prescritti i diritti sorti anteriormente al 2.9.2011. 4. In definitiva, respinto l'appello proposto dalla (...) ed accolto l'appello proposto da (...), la (...) deve essere condannata a restituire a (...) le somme trattenute a titolo di contributo di solidarietà a decorrere dal 2.9.2011. Le spese di lite sono regolate dalla soccombenza, con condanna della (...) a rimborsare a (...) per intero le spese del primo grado, come liquidate nella sentenza impugnata, e le spese del presente grado, liquidate in Euro 6.615,00 oltre rimborso forfettario, Iva e Cpa. Al rigetto dell'appello consegue, ex lege (art. 1, commi 17-18, L. n. 228 del 2012), la dichiarazione che la (...) è tenuta all'ulteriore pagamento di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l'impugnazione. P.Q.M. Visto l'art. 437 c.p.c., respinge l'appello proposto dalla (...); in accoglimento dell'appello proposto da (...), condanna la (...) a restituire a (...) le somme trattenute a titolo di contributo di solidarietà a decorrere dal 2.9.2011; condanna la (...) a rimborsare a (...) per intero le spese del primo grado, come liquidate nella sentenza impugnata, e le spese del presente grado, liquidate in Euro 6.615,00 oltre rimborso forfettario, Iva e Cpa; dichiara la sussistenza delle condizioni per l'ulteriore pagamento, a carico della (...), di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l'impugnazione. Così deciso in Torino il 19 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 25 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI TORINO SEZIONE LAVORO Composta da: Dott.ssa Clotilde Fierro - PRESIDENTE Dott.ssa Rita Maria Mancuso - CONSIGLIERE Dott. Michele Milani - CONSIGLIERE Rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa di lavoro iscritta al n.ro 78 /2022 R.G.L. promossa da: INPS - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, (c.f. (...)) con sede in R., Via C. il G. 21, in persona del Presidente e legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti To.Pa. e Fe.Ba. dell'Avvocatura dell'Istituto, per procura generale alle liti rilasciata per atto a ministero del notaio P.C. di R. del (...), elettivamente domiciliato in Torino presso l'Ufficio Legale Distrettuale dell'Inps, Via (...) APPELLANTE CONTRO (...), (c.f. (...) ), res.te in T., elettivamente domiciliata in Torino, via (...), presso l'Avv. Si.Bo. che la rappresenta e difende per delega in calce al ricorso di primo grado APPELLATA Oggetto: Altre controversie in materia di previdenza obbligatoria FATTI DI CAUSA Con ricorso diretto al Tribunale di Torino, la sig.ra (...) ha citato in giudizio l'INPS chiedendone la condanna a corrisponderle la pensione anticipata (propriamente indennità "APE sociale") ex art. 1 commi 179-186 L. n. 232 del 2016 (indennità per una durata non superiore al periodo intercorrente tra la data di accesso al beneficio e il conseguimento dell'età anagrafica prevista per l'accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia) a seguito dello stato di disoccupazione conseguente al mancato superamento del periodo di prova. Costituitosi, l'INPS ha contestato la domanda attorea e ne ha chiesto il rigetto, sostenendo che la cessazione del rapporto di lavoro per il mancato superamento del periodo di prova non integri il presupposto richiesto dalla legge. Con sentenza n. 1659/2021 del 12.11.2021 il Tribunale ha accolto il ricorso. Propone appello l'INPS; resiste l'appellata. All'udienza del 19.5.2022 la causa è stata discussa oralmente e decisa come da dispositivo. RAGIONI DELLA DECISIONE Il Tribunale ha accolto il ricorso ritenendo che l'indennità "APE sociale" possa essere richiesta da tutti i lavoratori dipendenti che abbiano perso la loro occupazione per motivi indipendenti dalla loro volontà, considerato che l'art. 1 L. n. 232 del 2016 prevede, come presupposti per la prestazione, le ipotesi di licenziamento, senza alcuna distinzione in ordine alle cause di esso, il recesso del lavoratore per giusta causa, ossia per atto imputabile al datore di lavoro, ed anche la naturale scadenza del termine del rapporto di lavoro a tempo determinato, sicché deve ritenersi che la norma sia inapplicabile alle sole ipotesi di scioglimento del rapporto ascrivibili alla scelta del lavoratore. Non essendo contestata la sussistenza degli ulteriori requisiti previsti dalla legge, ha quindi condannato l'INPS ad erogare l'indennità APE sociale "nella misura e con la decorrenza di legge con riferimento alla domanda proposta il 16/1/2020". L'INPS contesta la sentenza sostenendo che, trattandosi di norma speciale derogatoria alla normativa ordinaria sui trattamenti pensionistici e di favore per alcune categorie di lavoratori particolarmente svantaggiati, l'art.1, comma 179, L. n. 232 del 2016, e s.m.i., sia di stretta interpretazione e come tale non possa essere applicato ai casi non espressamente previsti. D'altra parte, il recesso ad nutum del datore di lavoro nel corso o al termine del periodo di prova (che, secondo la giurisprudenza di legittimità, non richiede alcuna motivazione) non sarebbe assimilabile alle ipotesi di licenziamento previste dalla norma come presupposto della prestazione in esame. L'appello è infondato. Si richiamano di seguito le argomentazioni già assunte in precedenti pronunce di questa corte che, esaminando le stesse questioni, hanno espresso un orientamento favorevole agli assicurati al quale il collegio intende dare continuità (sent. 27.4.2021, R.G. 61/21; sent. 876/19, R.G. 308/19). L'art. 1, comma 179, L. n. 232 del 2016 ha introdotto in via sperimentale, dal 1 maggio 2017 e fino al 31 dicembre 2021, per gli iscritti all'assicurazione generale obbligatoria, alle forme sostitutive ed esclusive della medesima e alla Gestione separata che si trovano in una delle condizioni di cui alle lettere da a) a d) del medesimo comma, al compimento del requisito anagrafico dei 63 anni, un'indennità per una durata non superiore al periodo intercorrente tra la data di accesso al beneficio e il conseguimento dell'età anagrafica prevista per l'accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia. Tra le condizioni che costituiscono presupposto per il riconoscimento dell'indennità, è previsto, alla lettera a), il trovarsi "in stato di disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della L. 15 luglio 1966, n. 604, ovvero per scadenza del termine del rapporto di lavoro a tempo determinato a condizione che abbiano avuto, nei trentasei mesi precedenti la cessazione del rapporto, periodi di lavoro dipendente per almeno diciotto mesi hanno concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante da almeno tre mesi e sono in possesso di un'anzianità contributiva di almeno 30 anni". Il presupposto richiesto dalla norma è quindi che lo stato di disoccupazione sia conseguente al licenziamento, e non che si tratti di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo. Pur presentando rispetto al licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo la caratteristica di non richiedere una motivazione, anche il licenziamento per mancato superamento del periodo di prova è comunque un licenziamento, ossia un recesso unilaterale del datore di lavoro. Del resto, come evidenziato dal Tribunale, la condizione richiesta dalla norma quale presupposto per il beneficio in questione è lo stato di disoccupazione involontaria, e quindi la cessazione del rapporto di lavoro non riconducibile alla volontà del lavoratore, ravvisabile anche nel licenziamento per mancato superamento del periodo di prova. Infatti, le altre ipotesi previste dalla norma sono le dimissioni per giusta causa (ossia rassegnate dal lavoratore per l'inadempimento del datore di lavoro), la risoluzione consensuale nella procedura che si apre, ex art. 7 L. n. 604 del 1966, dopo la comunicazione del datore di lavoro dell'intenzione di procedere a licenziamento per giustificato motivo oggettivo, e la scadenza del termine del rapporto a tempo determinato. Il legislatore ha quindi ritenuto di accordare un beneficio ai lavoratori che si trovano in stato di disoccupazione involontaria e in età "avanzata" e vicina a quella della pensione (63 anni). Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo in conformità ai parametri vigenti, tenuto conto del valore della causa e dell'attività difensiva svolta, con distrazione in favore del difensore. Al rigetto dell'appello consegue ex lege (art. 1, commi 17-18, L. n. 228 del 2012) la dichiarazione che sussistono i presupposti per l'ulteriore pagamento, a carico dell'appellante, di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l'impugnazione. P.Q.M. Visto l'art. 437 c.p.c., respinge l'appello; condanna l'appellante a rimborsare all'appellata le spese del grado liquidate in Euro 3.307,50 oltre rimborso forfettario, IVA e CPA, con distrazione a favore del difensore; dichiara la sussistenza delle condizioni per l'ulteriore pagamento, a carico dell'appellante, di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l'impugnazione. Così deciso in Torino il 19 maggio 2022. Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SPIRITO Angelo - Primo Presidente f.f. Dott. MANNA Antonio - Presidente di Sez. Dott. DE MASI Oronzo - Consigliere Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere Dott. DI MARZIO Mauro - Consigliere Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere Dott. MANCINO Rossana - rel. Consigliere Dott. LAMORGESE Antonio Pietro - Consigliere Dott. VINCENTI Enzo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 6572/2017 proposto da: (OMISSIS) S.P.A., quale societa' incorporante la (OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall'avvocato (OMISSIS); - ricorrente - contro (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS); - controricorrenti - avverso la sentenza non definitiva n. 443/2016 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 3/9/2016; sul ricorso 7210/2018 proposto da: (OMISSIS) S.P.A., quale societa' incorporante la (OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati ANDREA UBERTI e (OMISSIS); - ricorrente - (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS); - controricorrente e ricorrente incidentale - contro (OMISSIS) S.P.A., quale societa' incorporante la (OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS); - controricorrente - avverso la sentenza n. 273/2017 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 24/08/2017. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/02/2022 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per l'estinzione del giudizio per intervenuta rinuncia, con riferimento al ricorso proposto nei confronti di (OMISSIS); rigetto del ricorso principale proposto nei confronti di (OMISSIS) e del ricorso incidentale del lavoratore medesimo; uditi gli avvocati (OMISSIS), per delega dell'avvocato (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS). FATTI DI CAUSA 1. Con sentenza non definitiva depositata il 3 settembre 2016, la Corte d'appello di Venezia, in riforma della pronuncia di primo grado, ha riconosciuto il diritto di (OMISSIS) e (OMISSIS), dipendenti della (OMISSIS) fino alle dimissioni ( (OMISSIS) il 12 febbraio 2008, (OMISSIS) il 4 gennaio 2008), al riscatto della posizione individuale maturata presso il fondo di previdenza per il personale della (OMISSIS), rimettendo la causa in istruttoria per la quantificazione del dovuto a mezzo consulenza tecnica d'ufficio. 2. La fondatezza della domanda azionata dai lavoratori - portabilita' e riscattabilita' della posizione previdenziale individuale nei fondi a ripartizione e a prestazione definita preesistenti anche nel caso di cessazione anticipata dall'iscrizione al fondo - e' stata argomentata dalla Corte territoriale facendo propria integralmente la motivazione della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte, 14 gennaio 2015, n. 477 e, in continuita' con detto arresto e i principi in esso affermati, e' stata rimarcata l'indifferente natura del fondo preesistente a fronte della imperativita' delle norme di cui al Decreto Legislativo n. 124 del 1993, articoli 10 e 18. 3. In particolare, verificata la tempestivita' della domanda inerente al rimborso dell'intera posizione individuale maturata fin dall'iscrizione al fondo, e introdotta in giudizio fin dal primo grado, mediante l'indicazione dei criteri di calcolo utilizzati per la redazione dei conteggi, autorizzati e depositati in sede di gravame, la Corte territoriale officiava un ausiliare tecnico-contabile per la definizione della consistenza del diritto dei lavoratori al riscatto nei termini indicati dal citato arresto delle Sezioni Unite. 4. Rimarcava in fatto che nel 2001, pur prevista una trasformazione del fondo con indicazione, per ciascun ricorrente iscritto, della dotazione iniziale, il fondo a ripartizione e a prestazioni definite era proseguito immutato e che il gruppo societario (OMISSIS) (incorporante la (OMISSIS)) aveva dapprima disdetto tutti gli accordi in essere alla data del 31 dicembre 2007 (compreso l'accordo regolatore del fondo) e, poi, con l'accordo del 21 maggio 2008 aveva previsto, a far data dal 1 gennaio 2008, la trasformazione in fondo in uno a contribuzione definita, con finalita' liquidatorie, in favore dei soli lavoratori in servizio alla data del 6 giugno 2008, con esclusione dei ricorrenti, dimessisi in epoca precedente (l'applicazione del quale, con la quantificazione dello "zainetto" dichiarato dalla (OMISSIS), era stata richiesta, in via subordinata, dai lavoratori). 5. Rilevava, infine, l'erronea quantificazione delle somme gia' corrisposte dall'istituto di credito, in ragione della sentenza definitiva di primo grado, per essere stata disposta la liquidazione degli accessori sulle somme gia' quantificate al lordo di interessi e rivalutazione. 6. Avverso tale pronuncia non definitiva (OMISSIS) S.p.A., incorporante (OMISSIS) S.p.A., ha proposto ricorso per cassazione deducendo due motivi di censura. 7. (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito con controricorso. 8. Nelle more del giudizio, per intervenuta conciliazione della lite tra loro pendente, (OMISSIS) S.p.A. ha notificato a (OMISSIS) atto di rinuncia al ricorso per cassazione, che questi ha accettato. 9. Con sentenza depositata il 24 agosto 2017, la Corte d'appello di Venezia, definitivamente pronunciando in esito alla disposta consulenza tecnica d'ufficio, e per quanto in questa sede rileva, ha condannato (OMISSIS) S.p.A. a corrispondere a (OMISSIS) la somma di Euro 177.218,42 a titolo di riscatto della posizione previdenziale maturata presso il fondo di previdenza per il personale della (OMISSIS), comprensiva degli accessori al 16 maggio 2017, oltre ulteriori interessi, previa rivalutazione, dalla data della sentenza al saldo effettivo. 10. La Corte di merito, in adesione alle conclusioni dell'ausiliare officiato in giudizio e tenuto conto che la quota di conferimento al fondo versata dal lavoratore era stata gia' corrisposta dalla Banca in data 20 dicembre 2011 (come riconosciuto dai consulenti di parte, nel corso delle operazioni peritali), ha determinato il valore della quota di conferimento al fondo a carico della Banca, sino al 31 dicembre 1997, alla stregua del Regolamento del fondo del 1984, che stabiliva l'onere per il trattamento previdenziale, a totale carico della (OMISSIS), attraverso l'utilizzo del fondo appositamente costituito, da incrementare con un contributo mensile nella misura del 22,50 per cento della retribuzione di cui all'articolo 6 del regolamento medesimo, con la previsione di una contribuzione aggiuntiva dell'1 per cento e dello 0,50 per cento a carico dei soli dipendenti appartenenti, rispettivamente, alle categorie dei dirigenti e funzionari. 11. La Corte territoriale motivava l'anzidetto discrimine temporale, per la quantificazione del controvalore monetario della quota a carico della Banca con la diversa metodologia adottata per il periodo temporale successivo, in considerazione della delibera del Consiglio di Amministrazione (del 25 novembre 1997) con la quale si attribuiva al fondo un patrimonio di destinazione, ex articolo 2117 c.c., con retrocessione al fondo dei proventi maturandi sui cespiti ad esso assegnati, fermo restando l'impegno della (OMISSIS) alla copertura della riserva matematica con determinazione annuale dell'aliquota di contribuzione al fondo a carico della societa' (alla stregua del regolamento del 1984 e previa determinazione del Consiglio di Amministrazione), in funzione delle proiezioni dei fabbisogni di copertura della riserva matematica formulate dall'attuarlo. 12. Ulteriormente accertato che, con decorrenza dal 1998, l'investimento delle predette risorse finanziarie in titoli di Stato aveva determinato la redditivita' del Fondo, innovando la prassi precedente che, alla stregua delle disposizioni statutarie (del 1946) e regolamentari (del 1963 e 1984), relegava a mera facolta' la redditivita' del capitale amministrato dal Fondo, la Corte di merito riconosceva il diritto del lavoratore a vedere incluso il rendimento finanziario nella posizione individuale. 13. Infine, la Corte di merito riteneva l'accordo del maggio 2008 (accordo "zainetto", espressamente applicabile soltanto ai lavoratori in forza alla data del 21.5.2008), inefficace nei confronti di (OMISSIS) per plurimi profili: per avere egli, a quella data, gia' cessato il rapporto di lavoro e per non avere conferito apposito mandato alle organizzazioni sindacali stipulanti; peraltro, l'accordo era intervenuto dopo la maturazione del diritto alla restituzione della posizione previdenziale individuale nel fondo, nei termini stabiliti dalla sentenza non definitiva. 14. Avverso la sentenza definitiva (OMISSIS) S.p.A. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura, ulteriormente illustrato con memoria. 15. (OMISSIS) ha resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale basato su di un motivo, ulteriormente illustrato con memoria. 16. Al ricorso incidentale (OMISSIS) S.p.A. ha resistito con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria. 17. Con ordinanza interlocutoria n. 26169 del 27 settembre 2021, la Sezione lavoro della Corte, investita dei ricorsi indicati in epigrafe e preliminarmente riuniti, ha rilevato che la questione controversa poneva profili solo in parte sovrapponibili a quelli gia' esaminati dalle Sezioni Unite con la pronunzia n. 477 del 2015 cit. e che, in disparte, faceva emergere la questione preliminare della portabilita'/riscatto della posizione previdenziale, disciplinata originariamente dal D.L.gs. 21 aprile 1993, n. 124, articolo 10, ed oggi dal Decreto Legislativo n. 252 del 2005 cit., articolo 14, a tutti i fondi complementari preesistenti, ivi compresi quelli funzionanti secondo il sistema a ripartizione e a prestazioni definite, aspetto gia' esaminato dalle Sezioni Unite nella pronunzia cit., in fattispecie in cui veniva in rilievo l'applicazione, ratione temporis, del Decreto Legislativo n. 124 del 1993, solo articolo 10; pertanto, l'ordinanza interlocutoria ha sollecitato un nuovo intervento delle Sezioni Unite - ove fosse stata riaffermata la portabilita' della posizione previdenziale - al fine di individuarne modalita' e consistenza. 18. In dettaglio, ha chiesto di specificare se detta posizione individuale, nei fondi a prestazione definita, debba essere parametrata ai soli contributi versati (ivi compresi quelli datoriali) o anche ai rendimenti che essi abbiano prodotto o avrebbero potuto produrre. 19. Pertanto, nel tema da scrutinare la Sezione lavoro ha ravvisato una questione di massima di particolare importanza, interrogando le Sezioni Unite al fine di stabilire: a) portabilita'/riscatto della posizione previdenziale, disciplinata originariamente dal Decreto Legislativo n. 124 del 1993, articolo 10, ed oggi dal Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 14, a tutti i fondi complementari cd. preesistenti, ivi compresi quelli funzionanti secondo il sistema cd. a ripartizione e a prestazioni definite; b) ove riconosciuta la sussistenza del diritto al riscatto della posizione individuale maturata presso un fondo preesistente, a prestazione definita e funzionante secondo il sistema cd. a ripartizione, individuare le modalita' attraverso le quali commisurarne la consistenza; c) se detta posizione individuale, nei fondi a prestazione definita, debba essere parametrata ai soli contributi versati (ivi compresi quelli datoriali) o anche ai rendimenti che essi abbiano prodotto o avrebbero potuto produrre. 20. Il Primo Presidente della Corte, in ragione della particolare importanza della questione di massima, ha assegnato la controversia a queste Sezioni Unite. 21. Il Procuratore Generale ha formulato le proprie conclusioni motivate concludendo per la declaratoria di estinzione del giudizio per intervenuta rinuncia, con riferimento al ricorso proposto nei confronti di (OMISSIS); ha chiesto, poi, il rigetto del ricorso principale proposto nei confronti di (OMISSIS) e del ricorso incidentale di quest'ultimo. 22. In prossimita' dell'udienza, le parti hanno depositato memorie. MOTIVI DELLA DECISIONE 23. Vanno preliminarmente riuniti i ricorsi proposti avverso le sentenze, non definitiva e definitiva, pronunciate dalla Corte territoriale. 24. Con il primo motivo di ricorso avverso la sentenza non definitiva, (OMISSIS) S.p.A. denuncia violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 124 del 1993, articolo 10, e Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 20, comma 2, nonche' del Decreto Ministeriale n. 62 del 2007, per avere la Corte di merito riconosciuto il diritto al riscatto della posizione individuale e applicato al fondo di previdenza le previsioni del Decreto Legislativo n. 124 del 1993, articolo 10, giusta le indicazioni di Cass., Sez. Un., n. 477 del 2015. 25. In particolare, l'istituto di credito deduce che erroneamente la Corte territoriale aveva applicato il Decreto Legislativo n. 124 del 1993, articolo 10, ai fondi a prestazione definita preesistenti alla riforma della previdenza complementare, pur trattandosi di fondi in cui, come nel caso di specie, non erano previste posizioni individuali o conti individuali; assume che la finalita' mutualistica sottesa a tale forma di capitalizzazione renderebbe inapplicabile la norma anzidetta, riferentesi soltanto ai fondi di nuova istituzione (ex lege, a capitalizzazione individuale e contribuzione definita) e, in via interpretativa, estensibile ai soli fondi preesistenti a capitalizzazione individuale, ossia con posizioni riconducibili ai singoli iscritti; sostiene che tale esclusione sarebbe chiara in relazione alle disposizioni di cui al Decreto Legislativo n. 252 del 2005, che ha abrogato e sostituito integralmente la previgente disciplina; soggiunge, infine, che l'adeguamento ivi previsto dei fondi preesistenti, nei termini e modi contemplati (come delineati con il Decreto Ministeriale 10 maggio 2007, n. 62), presupporrebbe la non immediata applicabilita' delle norme di cui al ridetto Decreto Legislativo n. 124, ai preesistenti fondi a prestazione definita, anche perche' se il principio di portabilita' fosse stato applicabile ai fondi a ripartizione - con correlato obbligo di immediato adeguamento - il legislatore del 2005 avrebbe dovuto considerarli gia' obbligati a garantire agli iscritti la portabilita' della posizione individuale e non avrebbe potuto introdurre norme transitorie o facolta' di deroga retroattiva. 26. Con il secondo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione dell'articolo 437 c.p.c. e articolo 1362 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto tempestiva la domanda concernente i rendimenti prodotti dall'investimento dei contributi versati al Fondo benche' la pretesa introdotta con il ricorso introduttivo fosse stata limitata alla restituzione dei contributi versati dal datore di lavoro e di quelli trattenuti sulla retribuzione corrisposta al lavoratore iscritto al fondo. 27. Identica censura e' svolta da (OMISSIS) S.p.A. quale primo motivo del ricorso principale avverso la sentenza definitiva con cui la Corte d'appello di Venezia, in accoglimento della domanda, l'ha condannata a pagare a (OMISSIS) la somma di Euro 177.218,42. 28. Con il secondo motivo del ricorso principale avverso la sentenza definitiva, l'istituto di credito prospetta violazione del Decreto Legislativo n. 124 del 1993, articoli 8 e 10, articolo 414 c.p.c., articolo 1362 c.c., per avere la Corte di merito riconosciuto la posizione individuale incrementata con i rendimenti rivenienti dall'impiego produttivo del montante dei contributi versati al fondo. 29. Con l'unico motivo del ricorso incidentale avverso la sentenza definitiva, (OMISSIS) si duole di violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 124 del 1993, articoli 8, 10, e articolo 18 e del Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articoli 8, 14, 20, per avere la Corte di merito incluso nella posizione individuale i rendimenti rivenienti dall'impiego produttivo dei contributi versati al Fondo solo a far data dal 1998, anziche' dalla data di iscrizione al Fondo, sul presupposto che prima di allora non vi fosse stato alcun investimento dei contributi accantonati. 30. Vanno preliminarmente rigettati il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) S.p.A. avverso la sentenza non definitiva e il primo motivo, del medesimo contenuto, avverso la sentenza definitiva, per non essere la Corte di merito incorsa nella violazione del divieto di ultrapetizione. 31. Invero, risulta dal conclusum del ricorso di primo grado che (OMISSIS), insieme ad altri litisconsorti, ebbe a chiedere, in via principale, "la portabilita'/il trasferimento ovvero il riscatto/il rimborso della posizione maturata (...) per l'importo corrispondente alla riserva matematica del Fondo pro-quota maturata, comprensiva della somma dei contributi rispettivamente versati dalla datrice di lavoro e da ciascun ricorrente (...) oltre interessi e rivalutazione" e, in subordine, "rimborsare... un importo pari alla somma dei contributi rispettivamente versati dalla datrice di lavoro e da ciascun ricorrente, ex articoli 37 e 2117 c.c. (...) oltre interessi e rivalutazione", salva comunque la restituzione della propria quota di contribuzione versata al fondo. 32. Il thema decidendum azionato ha investito, dunque, il contenuto della pretesa del lavoratore - che si era dimesso dal rapporto di lavoro e aveva perso il diritto a partecipare al fondo di previdenza al quale era stato iscritto dal 1985 - di ottenere, prima del raggiungimento dei requisiti pensionistici, il rimborso, in parte o integralmente, del montante contributivo accumulato presso la forma pensionistica di elezione, incrementato con i rendimenti rivenienti dal loro impiego produttivo. 33. Tanto premesso, le impugnazioni avverso la sentenza non definitiva e la sentenza definitiva ripropongono alle Sezioni Unite della Corte la questione della portabilita' o possibilita' di estendere la facolta' di riscatto della posizione individuale, gia' prevista dal Decreto Legislativo n. 124 del 1993, articolo 10, e adesso ridisciplinata dal Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 14, ai fondi complementari preesistenti a prestazioni definite e funzionanti, come il Fondo di Previdenza per il personale della (OMISSIS), secondo il sistema a ripartizione, e insieme ad essa quella, strettamente dipendente, della relativa consistenza, discutendosi se debba essere parametrata solo ai contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore iscritto o anche ai rendimenti che essi abbiano prodotto o avrebbero comunque potuto produrre. 34. Nell'ordinanza interlocutoria viene dato atto che, in riferimento alla previsione di cui al Decreto Legislativo n. 124 del 1993, articolo 10, le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. Un. 14 gennaio 2015, n. 477), componendo il contrasto insorto all'interno della Sezione Lavoro, hanno affermato il principio di diritto secondo cui la norma cit., nel consentire la portabilita' della posizione individuale, ossia il trasferimento dei contributi maturati da un dipendente cessato prima di aver conseguito il diritto alla pensione complementare verso un fondo cui il medesimo acceda in relazione ad una nuova attivita', si applica anche ai fondi pensionistici preesistenti all'entrata in vigore della Legge Delega n. 421 del 1992, indipendentemente dalle loro caratteristiche strutturali e, quindi, tanto ai fondi a capitalizzazione individuale quanto a quelli a ripartizione o a capitalizzazione collettiva, trattandosi di soluzione coerente non solo con il dato letterale della norma (che non reca espressioni idonee a fondare trattamenti differenziati tra le due tipologie di fondi), ma anche con la relativa ratio, intesa ad assicurare, in conformita' ai principi della Legge Delega, piu' elevati livelli di copertura previdenziale (Cass. Sez. Un. 477 del 2015 cit.). 35. Nel motivare tale soluzione, le Sezioni Unite cit. hanno affermato che anche nei fondi a ripartizione e a prestazione definita e' ravvisabile una posizione individuale, di valore determinabile, in relazione alla durata del periodo di iscrizione dell'interessato e dell'apporto contributivo e, quanto al controvalore monetario, attraverso regole e metodi delle specializzazioni matematiche applicate nel settore assicurativo-previdenziale (in tal senso, in precedenza, fra le altre, v. Cass. n. 7161 del 2013). 36. La soluzione e' stata argomentata da Cass. Sez. Un. 477 cit., anche in riferimento alla disciplina di cui al successivo Decreto Legislativo n. 252 del 2005 - allora inapplicabile, ratione temporis, ma rilevante, nei ricorsi all'esame, in relazione alla data di cessazione dell'iscrizione del lavoratore al fondo (4 gennaio 2008) - e al rilievo per cui la disciplina transitoria (cit. Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 20), dettata per i fondi preesistenti, lungi dall'avvalorare la tesi incentrata sull'estraneita' al dettato del Decreto Legislativo n. 124 del 1993, comproverebbe ulteriormente, in ragione dell'insussistenza di esenzioni in relazione alla struttura del fondo e della limitata facolta' conferita all'autorita' di vigilanza di consentire deroghe alla portabilita' (in caso di dimostrati problemi di tenuta di equilibrio tecnico del fondo), l'insussistenza di una impossibilita' tecnica di garantire la portabilita' nell'ambito dei fondi preesistenti o di una incompatibilita' sistemica tra portabilita' della posizione individuale e fondi a ripartizione o a capitalizzazione collettiva. 37. L'ordinanza interlocutoria ricorda che le Sezioni Unite, chiamate in un breve volgere di tempo a decidere la diversa questione della natura, retributiva o previdenziale, della contribuzione versata ai fondi pensione in epoca anteriore alla Legge Delega n. 421 del 1992 cit., hanno ritenuto di natura previdenziale, e non retributiva, i versamenti del datore di lavoro al fondo, indipendentemente dall'essere il fondo medesimo dotato di personalita' giuridica autonoma o con gestione separata, escludendoli dalla base di calcolo delle indennita' collegate alla cessazione del rapporto di lavoro; inoltre, hanno espressamente affermato che "la mancanza di un nesso di corrispettivita' diretta fra contribuzione e prestazione lavorativa, e quindi, in buona sostanza, la sostanziale autonomia tra rapporto di lavoro e previdenza complementare, trovano una conferma decisiva nel rilievo che, in caso di cessazione del rapporto senza diritto alla pensione integrativa - il che puo' verificarsi quando non siano integrati tutti i presupposti per la maturazione del diritto - il dipendente non ha alcun diritto alla percezione dei contributi versati dal datore di lavoro", sottolineando altresi' che "l'obbligazione che il datore di lavoro assume con il sistema di previdenza integrativa nei confronti del fondo non e' monetizzabile a favore del lavoratore come accade invece per alcuni benefit" (cosi' Cass. Sez. Un. 9 marzo 2015, n. 4684 e 30 marzo 2015, n. 6345). 38. Le affermazioni enunciate dalle sentenze nn. 4684 e 6345 cit. mal si conciliano, si rimarca nell'ordinanza interlocutoria, con l'opposta prospettiva sviluppata dalla sentenza n. 477 del 2015 cit., nel senso che l'obbligazione assunta dal fondo e' sempre monetizzabile e, proprio per cio', ben puo' essere oggetto di un diritto del lavoratore, diritto che, in quel caso, concerneva proprio il trasferimento della somma dei contributi versati, in favore del lavoratore, dal datore di lavoro. 39. Pur trattandosi di affermazioni effettuate nello scrutinio di fattispecie indubbiamente differenti (come sottolineato da Cass. n. 28874 del 2017), appartenendo entrambe, a pieno titolo, ai percorsi argomentativi che hanno portato all'enunciazione dei principi di diritto rispettivamente affermati da Cass. Sez. Un. 477 del 2015 e n. 4684 del 2015, nondimeno il Collegio remittente dubita che esse possano logicamente darsi insieme. 40. Per inciso, va dato atto, sin d'ora, che, in epoca coeva alla pubblicazione dell'ordinanza interlocutoria, ancora in fattispecie indubbiamente differente, queste Sezioni Unite, con la sentenza 9 giugno 2021, n. 16084, hanno dato continuita' al principio per il quale i versamenti effettuati dal datore di lavoro alla previdenza integrativa o complementare hanno natura previdenziale e non retributiva (all'uopo citando Cass., Sez. Un., 20 marzo 2018, n. 6928) e, conseguentemente, hanno ribadito la natura previdenziale dell'apporto contributivo dei datori di lavoro ai fondi di previdenza complementare ed escluso la possibilita' di accordare ai crediti correlati a detta contribuzione il privilegio di cui all'articolo 2751-bis c.c., n. 1, riservato, come recita la rubrica della disposizione, ai "Crediti per retribuzioni e provvigioni, crediti dei coltivatori diretti, delle societa' o enti cooperativi e delle imprese artigiane", indicati nei nn. da 1 a 5-ter (Cass., Sez. Un., n. 16084 del 2021 cit.). 41. Tornando al percorso argomentativo dell'ordinanza interlocutoria, in esso e' evocata, attingendo alla dottrina che ha affrontato funditus la materia, la distinzione, nell'ambito dei fondi preesistenti, tra forme previdenziali a contribuzione definita e forme previdenziali a prestazione definita, e la notazione per cui solo per le prime non puo' dubitarsi ne' della natura retributiva dei versamenti operati dal datore di lavoro ne', a fortiori, della sussistenza di una posizione individuale riferibile al singolo iscritto e da questi tutelabile, eventualmente tramite gli strumenti gia' previsti dal Decreto Legislativo n. 124 del 1993, articolo 10, laddove per le seconde, nelle quali sull'interesse individuale prevale manifestamente l'interesse mutualistico, non potrebbe rigorosamente affermarsi ne' la natura retributiva dei versamenti effettuati dal datore di lavoro ne', a fortiori, la configurabilita' di una posizione individuale del singolo iscritto. 42. A tale ultimo fine - soggiunge conclusivamente l'ordinanza interlocutoria - contrari argomenti non paiono nemmeno potersi trarre dalle regole delle specializzazioni matematiche, pur richiamate da Cass. Sez. Un. 477 cit., per affermare la determinabilita' della posizione individuale nei fondi a prestazione definita, in quanto cio' che i metodi attuariali consentono propriamente di determinare e', piuttosto, l'ammontare delle passivita', in funzione delle quali calcolare il contributo dovuto in relazione a ciascuno degli iscritti per garantire l'equilibrio finanziario del fondo, cosa affatto diversa da cio' che ciascun iscritto ha diritto di pretendere dal fondo, vale a dire le somme liquidabili a ciascun iscritto che fuoriesca anticipatamente. 43. Al principale profilo evidenziato nell'ordinanza interlocutoria - la sussistenza di una posizione, da portare o riscattare, a vantaggio dell'iscritto che abbia cessato di appartenere al fondo a ripartizione e a prestazioni definite prima della maturazione del diritto a pensione - va risposto in continuita' con il principio gia' espresso da queste Sezioni Unite con la sentenza n. 477 del 2015 cit., riaffermando che alla stregua del Decreto Legislativo n. 124 del 1993, articolo 10 e, poi, del del Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 14, applicabile nella specie, va riaffermata la portabilita'/trasferimento del montante contributivo maturato dal lavoratore la cui prestazione lavorativa sia cessata prima della maturazione del diritto alla pensione complementare del quale intenda avvalersi per reimpiegare la propria posizione individuale nell'ambito di un altro programma di previdenza complementare, verso un fondo cui il medesimo lavoratore acceda in relazione ad una nuova attivita' (come specificamente affermato dalla sentenza n. 477 cit.) o, piu' semplicemente, per riappropriarsi del controvalore monetario esercitando il riscatto. 44. Sempre in continuita' con Cass., Sez. Un., n. 477 cit., va ribadito che l'ampio orizzonte della regola della portabilita', nel senso dell'applicabilita' anche ai fondi pensionistici preesistenti all'entrata in vigore (15 novembre 1992) della Legge-Delega 23 ottobre 1992, n. 421, indipendentemente dalle relative caratteristiche strutturali e, quindi, non solo ai fondi a capitalizzazione individuale, ma anche a quelli a ripartizione o a capitalizzazione collettiva, e' coerente con il dato letterale della norma - in assenza di espressioni idonee a fondare trattamenti differenziati - e con la ratio dell'intervento riformatore, preordinato ad assicurare, in attuazione dei principi e criteri direttivi della legge delega, i piu' elevati livelli di copertura previdenziale. 45. Dei tratti significativi emergenti dai precedenti e contrastanti orientamenti di legittimita', espressi sul tema della portabilita', ha gia' dato atto la richiamata sentenza di queste Sezioni Unite, n. 477 del 2015, il cui impianto argomentativo, dipanatosi nel solco degli opposti indirizzi emersi e scrutinati, si ha qui per integralmente richiamato per relationem. 46. Giova qui rimarcare - per rafforzarne l'attualita' nel regime introdotto dal legislatore delegato nel 2005 con il riconoscimento, in favore del lavoratore, della facolta' di attivare la portabilita' volontaria - gli argomenti a sostegno dell'esito ermeneutico della citata sentenza n. 477: - l'inconsistenza della tesi dell'inapplicabilita' del Decreto Legislativo n. 124 del 1993, articolo 10, alle forme pensionistiche preesistenti, giacche' il legislatore era ben consapevole che la maggior parte dei fondi esistenti all'epoca del primo intervento riformatore della previdenza complementare erano a ripartizione o a capitalizzazione collettiva; - la natura imperativa della norma, dovendo lo Statuto del fondo consentire le tre opzioni ivi previste a chi perde i requisiti d'iscrizione senza aver maturato il diritto a prestazione; - l'estraneita', alla portabilita' enunciata dall'articolo 10 cit., della natura previdenziale o retributiva dei contributi (sono seguite, in conformita', fra le tante, Cass., sez. lav., 18 settembre 2015, n. 18426 e Cass., sez. lav., 17 luglio 2019, n. 19259). 47. Muovendo dalla riaffermazione di tali principi, l'apparente antinomia tra la sentenza n. 477 cit. e la successiva affermazione della non monetizzabilita' della contribuzione versata ai fondi pensione in epoca anteriore alla Legge Delega n. 421 del 1992, predicata da Cass., sez. un., 9 marzo 2015, n. 4684 e Cass., sez. un., 30 marzo 2015, n. 6345 (con i relativi enunciati secondo cui "in caso di cessazione del rapporto senza diritto alla pensione integrativa - il che puo' verificarsi quando non siano integrati tutti i presupposti per la maturazione del diritto - il dipendente non ha alcun diritto alla percezione dei contributi versati dal datore di lavoro"), ribadito che trattasi di affermazioni effettuate nello scrutinio di fattispecie indubbiamente differenti (in tal senso Cass. n. 28874 del 2017 cit.), va risolta in coerenza con la configurazione legislativa della previdenza complementare riformata che rispecchia la vocazione espansiva della portabilita', estesa a tutti i fondi, anche preesistenti, di qualunque natura, nel mutato assetto del livello di tutela del lavoratore determinato dalla sempre piu' accentuata flessibilita' del mercato del lavoro. 48. Il riconoscimento del diritto alla portabilita' e al riscatto, anche nell'ambito dei fondi preesistenti a ripartizione, e' in sintonia con l'assetto dato al sistema previdenziale integrativo dal legislatore delegato, con il Decreto Legislativo n. 124 del 1993 e Decreto Legislativo n. 252 del 2005, con l'obiettivo di "favorire la reale liberalizzazione dei diversi veicoli pensionistici complementari e l'affermazione piena di una reale consapevolezza del risparmiatore nella scelta dello strumento ritenuto piu' idoneo alla realizzazione della copertura previdenziale" (cosi' la Relazione illustrativa a corredo della Legge Delega n. 243 del 2004), in una cornice normativa volta ad ampliare le liberta' di scelta dei lavoratori iscritti alle forme pensionistiche complementari, coerentemente con l'estensione dei margini di libera circolazione nel sistema della previdenza complementare e in una logica di sviluppo, in senso compiutamente Europeo, della disciplina nazionale. 49. Al riguardo va ricordata la Direttiva 1998/49/CE del 29 giugno 1998, relativa alla salvaguardia dei diritti a pensione complementare dei lavoratori subordinati e dei lavoratori autonomi che si spostano all'interno della Comunita' Europea: a norma dell'articolo 4 Direttiva cit., gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare il mantenimento dei diritti a pensione acquisiti dagli iscritti ad un regime pensionistico complementare, nei confronti dei quali non vengono piu' versati contributi per il fatto di spostarsi da uno Stato membro ad un altro, nella stessa misura riservata agli iscritti nei confronti dei quali i contributi non vengono piu' versati, ma che restano nel primo Stato membro. 50. Successivamente, la Direttiva n. 2003/41/CE, del Parlamento Europeo e del Consiglio, 3 giugno 2003, relativa alle attivita' e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali (EPAP), ha introdotto norme rigorose, di carattere prudenziale, a protezione dei diritti dei futuri pensionati, valorizzando il perseguimento, all'interno dei fondi, dell'obiettivo di tutela assoluta della posizione previdenziale dei pensionandi e dei pensionati. 51. In particolare, nel considerando n. 5, si evidenzia che: "Dal momento che i regimi di sicurezza sociale sono sottoposti a una pressione sempre crescente, in futuro si fara' sempre piu' ricorso a schemi pensionistici aziendali e professionali a integrazione dei regimi pubblici. Occorre pertanto sviluppare le pensioni aziendali e professionali, senza tuttavia mettere in discussione l'importanza dei regimi pensionistici della sicurezza sociale ai fini di una protezione sociale sicura, durevole ed efficace, che dovrebbe garantire un livello di vita decoroso durante la vecchiaia e che dovrebbe pertanto essere al centro dell'obiettivo del rafforzamento del modello sociale Europeo". 52. Del pari, nel considerando n. 6 si rimarca che "si incoraggia il riorientamento del risparmio verso il settore degli schemi pensionistici aziendali e professionali contribuendo in tal modo al progresso economico e sociale". 53. Ancora, va rammentato quanto si legge nel considerando n. 14: "E' importante garantire che le persone anziane e i disabili non vengano esposti al rischio di poverta' e possano godere di un livello di vita decoroso. Una copertura adeguata dei rischi biometrici negli schemi pensionistici aziendali o professionali rappresenta un aspetto importante della lotta contro la poverta' e l'insicurezza tra gli anziani. Al momento di stabilire uno schema pensionistico, i datori di lavoro e i lavoratori, o i rispettivi rappresentanti, dovrebbero vagliare la possibilita' che detto schema preveda disposizioni per la copertura del rischio di longevita' e di invalidita' professionale, nonche' per la pensione di reversibilita'". 54. Della cornice Eurounitaria va, poi, ricordata la Direttiva 2014/50/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, relativa ai requisiti minimi per accrescere la mobilita' dei lavoratori tra Stati membri migliorando l'acquisizione e la salvaguardia di diritti pensionistici complementari, preordinata, per l'appunto, a "promuovere la mobilita' dei lavoratori riducendo gli ostacoli a tale mobilita' creati da alcune regole relative ai regimi pensionistici complementari collegati a un rapporto di lavoro" (considerando n. 1), tenuto conto che "la protezione sociale dei lavoratori relativamente alle pensioni e' garantita dai regimi obbligatori di sicurezza sociale, integrati dai regimi pensionistici complementari connessi a un contratto di lavoro, che negli Stati membri assumono un peso sempre piu' rilevante" (considerando n. 2). 55. La mobilita' dei lavoratori tra Stati membri e' stata, dunque, incoraggiata anche migliorando l'acquisizione e la salvaguardia dei diritti pensionistici complementari degli iscritti ai regimi pensionistici complementari, valorizzando l'obiettivo di tutelare, in maniera adeguata, l'introduzione di nuovi regimi, la sostenibilita' di quelli esistenti e le aspettative e i diritti degli iscritti ai regimi pensionistici (considerando nn. 5, 8 direttiva cit.). 56. Ed ancora, la valorizzazione della disponibilita' di una pensione complementare e' intesa "quale mezzo per garantire il tenore di vita delle persone anziane" (considerando n. 16 direttiva cit.). 57. Importanza sempre maggiore ha assunto, dunque, la disciplina della previdenza complementare come garanzia di una protezione sociale adeguata del lavoratore a fronte delle criticita' della vita lavorativa contemplate dall'articolo 38 Cost., comma 2 (sul ruolo sociale della previdenza complementare come espressamente qualificato dal legislatore, v., fra gli altri, L. n. 421 del 1992, articolo 3; Decreto Legislativo n. 124 del 1993, articolo 1; L. n. 335 del 1995, articolo 1; L. n. 133 del 1999, articolo 3; v., inoltre, Cass. 11 dicembre 2002, n. 17657 ed ivi la disamina degli interventi normativi che hanno tessuto il collegamento funzionale tra previdenza obbligatoria e previdenza complementare facendo rientrare quest'ultima nell'alveo dell'articolo 38 Cost.). 58. Va ricordata, poi, la collocazione della previdenza complementare all'interno del sistema costituzionale e, in particolare, dell'articolo 38, comma 2, come scandito dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. nn. 427/90, 421/95) che ha delineato la pensione complementare come strumento di tutela volto a soddisfare bisogni essenziali, concorrente alla definizione di un trattamento adeguato (Corte Cost. n. 319/2001), e che proprio scrutinando la prestazione definita nel regime a ripartizione (Corte Cost. n. 393/2000, incentrata proprio sulle forme a prestazione definita) ha messo definitivamente a punto il processo di collocazione della previdenza complementare nel quadro costituzionale dell'articolo 38, comma 2. 59. Anche con la sentenza dianzi richiamata, n. 16084 del 2021, l'impianto interpretativo delle Sezioni Unite si e' snodato lungo la scia delle pronunce del Giudice delle leggi che, rimarcando la scelta del legislatore, nella Legge Delega n. 421 del 1992, e nei successivi interventi, di istituire un collegamento funzionale tra previdenza obbligatoria e previdenza complementare, hanno ricondotto all'alveo dell'articolo 38 Cost., comma 2, la funzione della previdenza complementare, in ragione del suo concorso alla realizzazione dell'obiettivo dell'adeguatezza dei mezzi al soddisfacimento delle esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidita', vecchiaia, disoccupazione volontaria (Corte Cost. n. 303/2000, recte n. 393 del 2000, n. 319 del 2001, n. 218 del 2019). 60. Si obietta in dottrina che la solidarieta' tra tutti gli iscritti, realizzata nei fondi pensione gestiti a ripartizione, e' espressa dal contributo di tutti gli iscritti al finanziamento non delle prestazioni alle quali avranno diritto, ma delle prestazioni erogate ai gia' pensionati, ai lavoratori usciti dal mondo produttivo per sopraggiunte condizioni invalidanti, ai superstiti dei lavoratori prematuramente deceduti e, infine, ai trattamenti perequativi per i pensionati. 61. Ebbene, all'accentuato contenuto solidaristico - nei termini detti - dei fondi pensione gestiti a ripartizione va opposto il rilievo che il mutato assetto ordinamentale e comunitario ha conformato la portabilita' da ipotesi eccezionale (conseguente alla perdita dei requisiti soggettivi di partecipazione al fondo da parte del lavoratore) a principio generale del sistema previdenziale complementare, come tale pienamente collocabile nella fisiologia del rapporto previdenziale, in parallelo con l'espansione, nazionale e transfrontaliera, della mobilita' occupazionale e dell'accentuata flessibilita' della vita attiva dei lavoratori, in tutti i profili legati anche all'uscita dal mondo del lavoro (compresi, e non ultimi, quelli legati a necessita' imposte da attivita' di cura), incidenti sul progressivo frazionamento della complessiva protezione previdenziale. 62. In questa prospettiva non va trascurato che la Commissione Europea, mediante l'esplicito riferimento alla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 (e alla previsione del diritto di ogni lavoratore "ad una protezione sociale adeguata" e a "poter beneficiare al momento della pensione di risorse che gli garantiscano un tenore di vita dignitoso": articoli 10 e 24), ha anche riconosciuto che quanto piu' il livello della sicurezza sociale e' affidato al "secondo pilastro" tanto piu' gli aspetti della disciplina della previdenza complementare che penalizzano l'uscita anticipata dalla forma pensionistica sono destinati a tradursi, oltre che in altrettanti ostacoli alla liberta' di circolazione dei lavoratori, anche in una carenza di sicurezza per quei lavoratori che, nonostante quegli ostacoli, abbiano comunque deciso di esercitare quella liberta'. 63. Cio' perche', come sottolineato dalla Commissione Europea, in tutti i casi in cui la disciplina della previdenza complementare non protegga adeguatamente i diritti dei lavoratori che lasciano in anticipo la forma pensionistica esiste il rischio che costoro, al termine della propria carriera, possano trovarsi privi di un adeguato livello di sicurezza, potendo contare soltanto in misura limitata sul "secondo pilastro". 64. Pertanto, stante l'importanza acquisita dal "secondo pilastro" nella garanzia del livello di sicurezza sociale, la necessita' di rimuovere gli ostacoli giuridici che possono impedire ai lavoratori che cambiano lavoro di conservare pienamente i propri diritti di previdenza complementare e' funzionale non soltanto all'effettivita' della liberta' di circolazione, ma anche all'obiettivo, parimenti rilevante per l'ordinamento Europeo, di salvaguardare "la possibilita' dei lavoratori che si spostano di acquisire sufficienti diritti a pensione a fine carriera". 65. La stessa Commissione aveva avvertito che i tipici ostacoli che la disciplina della previdenza complementare puo' porre alla liberta' di circolazione fra gli Stati membri possono costituire altrettanti ostacoli alla mobilita' dei lavoratori anche nell'ambito del mercato del lavoro di uno stesso Stato membro, per l'influenza che essi comunque possono avere sulla "scelta di una persona di cambiare occupazione". 66. La consapevolezza, maturata negli anni novanta, della crescente mobilita' occupazionale caratterizzante il mercato del lavoro e della conseguente necessita' di predisporre strumenti atti a consentire ai lavoratori, esposti al frammentarsi della vita lavorativa e alla differente modulazione dei tempi del lavoro e di abbandono del mondo produttivo scanditi nelle eta' della vita (pur con diverso impatto fra uomini e donne), di non subire, o quanto meno attenuare, i contraccolpi sul versante previdenziale, ha innervato, dunque, la valorizzazione e l'adeguatezza della protezione sociale, dalla Carta dei diritti fondamentali (articolo 34) alla protezione del tenore di vita degli anziani (Direttiva 2014/50/UE cit.), procedendo poi con l'armonizzazione delle norme, nell'ordinamento interno, espressa con il sistema integrativo riformato nel 2005 e l'esegesi compendiata nella sentenza n. 477 cit. con l'affermazione della regola generale della portabilita'. 67. Pertanto, l'esigenza istituzionale e strutturale del fondo di poter fare ragionevoli previsioni, quanto a grandezza e tempi dei flussi monetari che movimentano il patrimonio e la gestione finanziaria e ne garantiscono la sostenibilita', non puo' essere ostativa alla portabilita' anche per gli aderenti ai fondi preesistenti gestiti secondo il meccanismo della ripartizione, ben potendo il fondo reagire, a rischi finanziari e squilibri, mediante un'adeguata ristrutturazione del proprio assetto, pure imposta dalla normativa di settore. 68. Ne' puo' essere agitata la prevalenza, sull'interesse individuale, dell'interesse mutualistico nei fondi preesistenti a prestazione definita espressione della solidarieta' tra lavoratori, tra chi ancora lavora e chi e' gia' pensionato o chi e' invalido o superstite del lavoratore - per giungere al diverso esito di negare la portabilita', posto che il legislatore, che gia' nel 1993 aveva dato disposizione per l'adeguamento degli Statuti, nel 2005 ha messo in campo uno specifico strumento per adattare la portabilita' alle "esigenze relative all'equilibrio tecnico del fondo", sicche' i fondi preesistenti che dalla portabilita' avessero realmente, e fondatamente, temuto rischi per l'equilibrio tecnico del fondo o danni alla sua immanente funzione solidaristica, avrebbero potuto, e dovuto, chiedere specifica deroga, anche parziale, alla portabilita' medesima. 69. Ebbene, l'impronta solidaristica nel sistema pensionistico di secondo livello dei fondi a prestazione definita e la libera circolazione delle posizioni individuali come stimolo alla libera circolazione dei lavoratori non si elidono, ma coesistono nel riconoscimento dell'assenza di limiti alla portabilita' con riferimento a tutti i fondi pensionistici preesistenti, a prescindere dal relativo regime e sistema di gestione, garantendo maggior protezione per il lavoratore che, cessato il rapporto lavorativo, puo' giovarsi della portabilita' o riscattabilita' della propria posizione anche prima di aver maturato il diritto a pensione. 70. In altri termini, la portabilita' e' intrinseca alla posizione soggettiva del lavoratore partecipante al fondo e viene meno solo al verificarsi delle condizioni per la maturazione del diritto al trattamento pensionistico integrativo. 71. Nella vicenda all'esame, la partecipazione al Fondo di previdenza integrativa aziendale, costituito con Statuto nel 1946, comportava l'obbligo di versamento dei contributi a carico del datore di lavoro e dei lavoratori con qualifica di funzionari e dirigenti, iscritti al Fondo; dal 1998, come di seguito si dira', aveva ottenuto l'attribuzione di un patrimonio di destinazione ex articolo 2117 c.c.. 72. Fino al 1997 il fondo era alimentato da una contribuzione predefinita, ripartita tra datore di lavoro e lavoratore, con qualifica di funzionario e dirigente (acquisite dal (OMISSIS), rispettivamente, dal 1 ottobre 1994 e dal 1 giugno 2003), in misura percentuale della retribuzione: rispettivamente, per il contributo a carico del lavoratore, in misura dell'1 per cento e dello 0,50 per cento, diversificato per le predette qualifiche, e nella misura del 22,50 per cento della retribuzione come del pari previsto dalla fonte regolamentare, quanto all'onere a carico della (OMISSIS). 73. Il flusso contributivo, predeterminato dalla fonte regolamentare, era, pertanto, predefinito nell'an e nel quantum: vero e' che operava con modalita' finanziarie dei sistemi a ripartizione e che fosse preesistente alla riforma voluta con la Legge di Delegazione n. 421 del 1991, ma e' altrettanto vero che la fonte regolamentare prevedeva espressamente le modalita' con cui si sarebbe dovuto costituire e alimentare. 74. In definitiva, il fondo gestiva le risorse acquisite con le modalita' della ripartizione e veniva incrementato sulla scorta dei predeterminati criteri di contribuzione in misura pari ad una percentuale delle retribuzioni, inizialmente, dalla costituzione, fissa e successivamente, dopo il 1998, variabile, alla stregua delle necessita' determinate dagli studi attuariali operati in base alla riserva matematica necessaria. 75. Per le dette peculiarita', il fondo gestito con la ripartizione del capitale acquisito veniva, tuttavia, costituito e incrementato mediante importi individuati sulla base dei redditi percepiti da ciascuno dei partecipanti al fondo, con un fondo a capitalizzazione collettiva o comunque un fondo che prevedeva una prestazione definita, ma anche una contribuzione predeterminata. 76. Ulteriore conferma che la provvista del fondo veniva acquisita mediante contribuzione definita e' data dalla previsione statutaria, valida dunque fin dalla costituzione del Fondo, della tutela del lavoratore iscrittovi (e poi cessato senza diritto alla pensione) mediante il versamento all'INPS della riserva matematica relativa ai contributi dell'assicurazione, invalidita' e vecchiaia calcolata in base agli assegni percepiti nei vari periodi di servizio presso la (OMISSIS), prelevando detta riserva matematica dall'importo da liquidare all'iscritto: dunque, fin dallo statuto costitutivo era prevista la possibilita' di dismissione della posizione previdenziale del partecipante al Fondo e di individuazione in termini di riserva matematica del valore della prestazione. 77. Va soggiunto che anche la previsione della facolta' di richiedere anticipazioni e prestiti per l'acquisto di appartamenti, in uso o come propria abitazione o per altre necessita' di famiglia, sia pure previa insindacabile valutazione della (OMISSIS), presuppone una posizione individuale e la liquidabilita' d'un credito ad un importo anticipabile. 78. Tanto conferma che cio' che rileva e' un sistema certo di ingresso dei flussi, rapportabile alle posizioni partecipate nel fondo, ancorche' non necessariamente riportate in un conto dedicato (il conto individuale tipico dei sistemi a capitalizzazione individuale) e non il fatto che il fondo sia a capitalizzazione ovvero a ripartizione, giacche' questa e quella rappresentano solo due diversi sistemi attuariali per assicurare l'idoneita' dei flussi di ingresso a fronteggiare le prestazioni e a garantire la copertura anche delle obbligazioni nascenti dalle posizioni contributive in formazione, ma non influenzano il criterio di determinazione della prestazione. 79. Si tratta, ora, di delineare il contenuto della posizione del lavoratore rispetto all'evento liquidatorio che ha interessato il fondo secondo regole che avrebbero escluso il dipendente e negato quei piu' elevati livelli di copertura previdenziale che l'ordinamento ha inteso assicurare, e scrutinare la consistenza della posizione destinata ad essere portata, controvertendosi se debba essere parametrata ai soli contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore iscritto o anche ai rendimenti che essi abbiano prodotto o avrebbero comunque potuto produrre. 80. Che la posizione individuale sia data dalla somma dei contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore e' principio gia' acquisito nella giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte, affermato dalla sentenza n. 477 cit. (paragrafo 46) e, di recente, riaffermato da Cass., Sez. Un., n. 16084 del 2021 cit., che nell'ambito della previdenza complementare ha ritenuto contribuzione e prestazione pur sempre intimamente correlate; ne' e' dato distinguere tra le due obbligazioni - di versamento dei contributi ed erogazione della prestazione - od affermare che abbia natura pecuniaria la seconda e non anche la prima (paragrafi 78-81, Cass., Sez. Un., n. 16084 del 2021 cit., in riferimento al Fondo integrativo previdenziale di Sicilcassa). 81. Il pagamento della contribuzione versata al fondo, nei casi nei quali la prestazione non possa essere erogata per la cessazione del fondo stesso, coincide in sostanza con il riscatto, previsto dalla legge (Decreto Legislativo n. 124 del 1993, articoli 10 e 11), della contribuzione versata dal datore di lavoro a favore del lavoratore, per ampliarne la tutela previdenziale, riscatto che resta estraneo all'istituto disciplinato dall'articolo 2033 c.c. (Cass., Sez. Un., n. 16084 del 2021 cit.). 82. Si e' detto dianzi del contrasto solo apparente emergente dall'affermazione secondo cui "l'obbligazione che il datore di lavoro assume con il sistema di previdenza integrativa nei confronti del fondo non e' monetizzabile a favore del lavoratore come accade invece per alcuni benefit" (enunciata da Cass. Sez. Un. nn. 4684 e 6345 del 2015 cit.), in considerazione del diverso profilo scrutinato, allora, e risolto nel senso dell'esclusione, dalla base di calcolo delle indennita' collegate alla cessazione del rapporto di lavoro, dei versamenti eseguiti dal datore di lavoro nei fondi di previdenza complementare, con particolare riferimento alla contribuzione di solidarieta', nella misura del 10 per cento, da corrispondere all'istituto di previdenza obbligatoria (dunque, non si paleserebbe un contrasto stridente, come - del resto - gia' rimarcato da Cass. n. 28874 del 2017 cit.). 83. Rimane da domandarsi se nei fondi a ripartizione la posizione individuale da portare o riscattare possa essere implementata in relazione ai rendimenti effettivi o conseguibili, in virtu' di investimenti non effettuati. 84. Il tema dei rendimenti prodotti dagli investimenti, avulso dalla disamina della sentenza n. 477 cit. (nel ricorso in quell'occasione all'esame delle Sezioni Unite la pretesa degli iscritti era limitata, con l'azione intrapresa, alla portabilita' dei contributi del datore di lavoro, oltre ai contributi versati dai lavoratori), e' per la prima volta oggetto di scrutinio di queste Sezioni Unite. 85. Vale premettere che nei fondi pensione gestiti a capitalizzazione i rendimenti degli investimenti vengono, pro quota, accreditati sui conti individuali degli iscritti: cio' perche' nei fondi gestiti a capitalizzazione ora definiti a contribuzione definita perche' non sono definite le prestazioni che dovranno essere erogate - il valore dei contributi via via accreditati sui conti individuali e' inevitabilmente eroso dalla svalutazione della moneta nel periodo compreso tra l'accredito e la liquidazione della pensione. 86. Per ovviare alla situazione appena descritta, il rimedio apprestato dal legislatore e' stato quello di prevedere che le somme accreditate sui conti individuali a titolo di contributi venissero investite, con tutte le cautele piu' opportune, nel mercato finanziario e, quindi, producessero rendimenti. 87. Nei fondi gestiti a capitalizzazione, quindi, l'accredito degli investimenti sui conti individuali ha la funzione di compensare la svalutazione delle somme gia' accreditate al fine di garantire l'effettivita' delle prestazioni. 88. La medesima evenienza, si sostiene in dottrina, di regola non ricorrerebbe nel fondo pensione gestito a ripartizione e a prestazioni definite, perche' per queste ultime, non commisurate alla contribuzione versata, diventerebbe irrilevante, in sede di quantificazione della prestazione integrativa, la svalutazione della moneta: in breve, la prestazione integrativa, essendo di importo determinato solo al momento in cui matura il relativo diritto, per definizione sarebbe sottratta alla svalutazione della moneta. 89. Inoltre, la medesima dottrina nota che nei fondi a ripartizione mancherebbe la contabilizzazione degli apporti su conti individuali perche', come osservato da risalente giurisprudenza, le risorse che affluiscono al fondo - destinate come sono a finanziare prestazioni la cui misura non e' in alcun modo calcolata in rapporto con l'insieme dei contributi versati nel tempo in favore del singolo lavoratore apparterrebbero, indivise, ad un sistema attuariale a ripartizione, profili, quelli appena sottolineati, dai quali non potrebbe che predicarsi l'inattingibilita' dei rendimenti del fondo ed escludere che il lavoratore possa pretendere, al venir meno dei requisiti di partecipazione alla forma di previdenza complementare di appartenenza senza aver maturato il diritto alla prestazione pensionistica, una posizione individuale meritevole di considerazione, e protezione, comprensiva della redditivita' medio tempore conseguita dal fondo. 90. La lettura - offerta dalla dottrina e (anche) da giurisprudenza risalente del limite alla portabilita' solo se ed in quanto prevista dalle fonti istitutive collettive (Decreto Legislativo n. 124 del 1993, articolo 10, comma 1), anche per i profili inerenti alle regole tecniche applicative per determinare la posizione o quota individuale, conferma, invece, la portabilita' e determinabilita' della posizione individuale non solo come espressione dell'autonomia negoziale collettiva, ma anche come regola generale (v., Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 14, comma 6, ultimo periodo). 91. Il tema della ricomprensione della redditivita' del fondo nella posizione individuale merita, a sua volta, un'ulteriore precisazione: si tratta d'un fondo costituito dall'apporto di piu' soggetti (datore di lavoro e lavoratori) e che, proprio in quanto tale, ex articolo 2123 c.c., comma 2, prevede la possibilita' della liquidazione della quota in favore del singolo lavoratore, qualunque sia la causa di cessazione del rapporto lavorativo. 92. Trattandosi d'un patrimonio vincolato alle finalita' previdenziali del fondo, id est un "patrimonio di destinazione" (v. articolo 2117 c.c.) la relativa disciplina, quanto ai rendimenti, puo' trarsi dall'applicazione analogica degli articoli 2447-bis c.c. e segg. (novella introdotta al codice civile con il Decreto Legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, per le societa' per azioni) per gli aspetti non espressamente regolati dalla disciplina speciale in materia di previdenza complementare (Decreto Legislativo n. 252 del 2005, successivamente integrata dalle previsioni regolamentari del Ministro del lavoro, della COVIP e dell'ISVAP). 93. In particolare, per quanto qui rileva, ribadito dal Decreto Legislativo n. 252 del 2005, che sono garantiti gli effetti previsti dall'articolo 2117 c.c., il patrimonio di destinazione e' vincolato alle finalita' previdenziali del fondo pensione e, ove non sia adottata una struttura amministrativa e gestionale distinta, deve essere in ogni caso garantita la " tracciabilita' " degli atti compiuti in relazione al patrimonio separato ed e' prescritta come obbligatoria sia l'espressa menzione per ciascuno del vincolo di destinazione sia la tenuta di libri obbligatori e scritture contabili specificamente dedicati, in analogia a quanto previsto dall'articolo 2447-quinquies c.c., comma 4 e articolo 2447-sexies c.c.. per i patrimoni destinati delle S.p.A.. 94. Il Decreto n. 252, non prevede piu' espressamente, a differenza del Decreto Legislativo n. 124 del 1993, articolo 4, comma 5, che il patrimonio di destinazione debba essere "dotato di strutture gestionali, amministrative e contabili separate da quelle della societa' o dell'ente", salvo che nell'ipotesi delle forme pensionistiche gia' istituite dall'entrata in vigore della L. n. 421 del 1992. 95. Il Decreto Legislativo n. 252, ha demandato al Ministro del lavoro il compito di determinare in dettaglio "i contenuti e le modalita' del protocollo di autonomia gestionale". 96. Le previsioni gia' dettate dal Decreto Ministeriale 16 gennaio 1997, n. 211, in relazione al previgente sistema a norma del Decreto Legislativo n. 124 del 1993, articolo 4, comma 3, rilevanti ratione temporis, valorizzavano il protocollo di autonomia gestionale mediante l'adozione di criteri certi di imputazione delle spese e delle obbligazioni direttamente al patrimonio separato e di contabilita' separata, al fine di poter verificare la consistenza del capitale "vincolato" e la coerenza rispetto a questo vincolo di ogni specifico atto di utilizzazione. 97. Dalla descritta cornice normativa che salda, in via di interpretazione analogica, l'attribuzione di un patrimonio di destinazione, piu' puntualmente disciplinato nel 2005 ma gia' introdotto dal legislatore delegato del 1993, alle novellate disposizioni degli articoli 2447 c.c. e segg., va tratto il principio per cui, salvo diverse disposizioni contrattuali, i proventi degli atti di disposizione del patrimonio di destinazione entrano a far parte della posizione individuale del lavoratore in caso di cessazione anticipata dall'iscrizione ad un fondo a ripartizione e a prestazione definita. 98. Il fondo del quale ora si controverte, con la costituzione di un patrimonio di destinazione, ex articolo 2117 c.c., con decorrenza primo gennaio 1998, ha introdotto quegli elementi di redditivita', correttamente valorizzati dalla Corte territoriale, con decorrenza da tale epoca, in considerazione della destinazione di risorse finanziarie specifiche del fondo verso investimenti (e contestuale decremento degli accantonamenti effettuati dalla Banca, a suo carico, a titolo di copertura della riserva matematica). 99. Guardando, poi, alle vicende diacroniche del fondo per il personale della (OMISSIS) del 1946, lo statuto prevedeva, all'articolo 16, la possibilita', non l'obbligo, che il capitale amministrato potesse essere investito in titoli di Stato e cio' - si legge nella sentenza gravata - e' stato fatto, in concreto, solo a partire dal 1998, allorche' l'istituto di credito ha attribuito al fondo un patrimonio di destinazione. 100. In esso gli investimenti in titoli di Stato operati con apposita deliberazione - con gli effetti di cui all'articolo 2117 c.c., in ottemperanza alle disposizioni di cui al Decreto Legislativo n. 124 del 1993, articolo 4, comma 2 - hanno prodotto una redditivita' del patrimonio medesimo grazie all'attribuzione, al fondo, degli interessi maturati sui titoli di sua pertinenza. 101. Solo dal 1998, dunque, sono state attribuite al fondo risorse finanziarie specifiche investite in titoli di Stato, per cui investimenti e relativi rendimenti non sono enucleabili da epoca precedente, come invece pretenderebbe il lavoratore. 102. Nel caso di specie, dalla costituzione del rapporto lavorativo (dal 1985) fino a tutto il 1997, la quota a carico dell'istituto di credito era costituita da un apporto nella misura del 22,50 per cento della retribuzione e determinata alla stregua delle norme regolamentari vigenti che rinviavano agli accordi sindacali per la determinazione dei criteri utili di riferimento ai fini della quantificazione della predetta quota. 103. La posizione individuale (delineata, con chiarezza, tra le prime, da Cass. n. 17657 del 2002 cit.), comprensiva degli accantonamenti derivanti dal flusso contributivo, anche del lavoratore (nella specie, dall'epoca del conseguimento della qualifica di funzionario, il 1 ottobre 1994) e del datore di lavoro, solo dal 1998 include i rendimenti rivenienti dalla redditivita' del patrimonio di destinazione (rendimenti che, nella specie, hanno bilanciato il contestuale decremento degli accantonamenti effettuati, da quel momento in poi, a carico del datore di lavoro per effetto della rideterminazione, ad opera del Consiglio di amministrazione, dell'aliquota di contribuzione determinata in funzione delle proiezioni dei fabbisogni di copertura della riserva matematica, formulate dall'attuarlo). 104. Correttamente la Corte territoriale ha incluso, nella posizione da portare a beneficio del lavoratore, i rendimenti degli investimenti in riferimento all'anzidetto segmento temporale connotato dalla redditivita' del patrimonio di destinazione da ripartire a favore degli aderenti cessati dall'appartenere al fondo, tenuto conto per il periodo precedente del solo montante contributivo, e definito l'intera posizione anche con le regole della matematica attuariale, come indicate da Cass. n. 7161 del 2013 cit. e dalla sentenza n. 477 di queste Sezioni Unite, regole che palesano l'intrinseca maggiore affinita' con la materia della previdenza complementare. 105. La tesi propugnata dal ricorrente incidentale e volta ad incrementare la posizione individuale anche da epoca precedente al ridetto 1998, tenuto conto della eventuale redditivita' del denaro accumulato dal fondo e utilizzato, come si assume, per l'attivita' propria della Banca e in ogni caso incrementata dei rendimenti non prodotti, ma che si sarebbe potuto realizzare, da un lato investe un accertamento di fatto, inammissibile in sede di legittimita', dall'altro postula un interesse, difficilmente ipotizzabile in capo all'iscritto al fondo, a contestare la gestione degli investimenti o a dolersi dei mancati investimenti. 106. Quanto, infine, all'ultimo dei profili pur evidenziati dall'ordinanza interlocutoria, in riferimento a non univoci esiti nella giurisprudenza di legittimita' - se, una volta individuata la posizione individuale, siano dovuti interessi legali e rivalutazione monetaria - vale osservare che, invero, dal dispositivo della sentenza definitiva, ora gravata, si evince la condanna dell'istituto di credito a corrispondere la somma di Euro 177.218, 42 oltre accessori, ex articolo 429 c.p.c., dal 16 marzo 2017 (data dell'udienza di discussione) al saldo, mentre il relativo capo della motivazione riconosce il diritto alla predetta somma, comprensiva degli accessori, al 16 marzo 2017, oltre ulteriori interessi, previa rivalutazione dalla data della sentenza al saldo. 107. Ebbene, il dictum cristallizzato nel dispositivo, all'evidenza difforme dalla motivazione, non e' stato fatto segno di censura, dalle parti ricorrenti, per incrinarne la validita' e rimettere in discussione, veicolandola in sede di legittimita' con appropriato mezzo d'impugnazione, l'applicabilita', alla materia trattata, degli accessori e dell'articolo 429 c.p.c.. 108. In particolare, la regola legale applicata dalla Corte territoriale alla maturazione del credito, dal momento in cui risulta perfezionata la fattispecie costitutiva (del credito) in funzione compensativa del ritardato godimento delle somme dovute, alla stregua della disciplina dei crediti di lavoro o delle obbligazioni pecuniarie, non e' stata attinta da alcuna censura per saggiarne la validita', con pertinenza agli altri profili dibattuti in causa e adeguatamente riproposti in sede di legittimita'. 109. In conclusione, dichiarato estinto il giudizio tra (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS) per intervenuta rinuncia, vanno rigettati, per le esposte motivazioni, i ricorsi principale e incidentale. 110. L'obiettiva complessita' delle questioni trattate e l'intervento nomofilattico delle Sezioni Unite della Corte giustificano la compensazione delle spese tra tutte le parti. 111. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente principale e della parte ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per i ricorsi, principale e incidentale, ex articolo 13, comma 1, se dovuto. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara estinto il giudizio tra (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS); rigetta i ricorsi, principale e incidentale, di (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS); spese compensate. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente principale e ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, ex articolo 13, comma 1, se dovuto.

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