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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. SESSA Renata - rel. Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovanni - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 04/11/2021 della CORTE APPELLO di PALERMO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore KATE TASSONE che ha concluso chiedendo; udito il difensore. RITENUTO IN FATTO 1.Con sentenza del 4 novembre 2021, la Corte di appello di Palermo dichiarava inammissibile l'appello proposto da (OMISSIS) avverso la sentenza del Tribunale di Palermo che l'aveva riconosciuto colpevole del delitto di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione delle scritture contabili, irrogandogli la pena ritenuta di giustizia ed applicando le pene accessorie fallimentari per la durata di anni dieci. 1.1. A proposito delle doglianze contenute nell'atto di appello, la Corte distrettuale osservava che, a seguito dell'intervento del legislatore sull'articolo 581 c.p.p., i motivi di gravame dovevano essere mirati ad illustrare le ragioni che si oppongono agli argomenti sviluppati nella sentenza impugnata, considerazioni che, invece, ne gravame proposto, erano del tutto mancate, e cio' con riferimento sia alla esatta qualificazione del fatto e alla sua sussistenza messa in discussione attraverso la verifica della correttezza della sentenza di fallimento e del presupposto dello stato di insolvenza, sia alla configurabilita' della circostanza attenuante del danno di speciale tenuita', sia, infine, alla dosimetria della pena; e quanto ai motivi nuovi essi erano a loro volta inammissibili per non essere ancorati a quelli principali e in parte per genericita'. 2. Propone ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore, articolando le proprie censure in tre motivi. 2.1. Con il primo deduce violazione di legge processuale con riferimento agli articoli 581 e 591 del codice di rito, enunciando le ragioni poste a sostegno della indicata violazione con richiami alle pronunce di questa Corte che in relazione ad analoghe sentenze emesse dalla Corte di Appello di Palermo aveva piu' volte gia' censurato l'impostazione seguita da tale corte distrettuale. 2.2. Con il secondo motivo lamenta l'erronea applicazione della legge processuale con particolare riferimento all'articolo 121 del codice di rito in relazione al disposto della L. Fall., articoli 216 e 217 nonche' vizi di motivazione in riferimento alla dedotta assenza degli elementi oggettivi e soggettivo del reato di bancarotta documentale, oltre che alla effettiva valutazione della condotta del precedente amministratore (OMISSIS) e alla corretta qualificazione del fatto al piu' riconducibile alla bancarotta documentale semplice in mancanza del dolo specifico. 2.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge in relazione agli articoli 133 c.p. e 219 l.f. quanto alla valutazione della ricorrenza di elementi idonei a giustificare la concessione delle attenuanti generiche e il riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 219. 3. Il ricorso e' stato trattato, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, che continua ad applicarsi in virtu' del Decreto Legislativo n. 150 del 2022, articolo 94, comma 2, per tutti i ricorsi proposti fino al 30 giugno 2023, senza l'intervento delle parti che hanno cosi' concluso per iscritto: il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso; il difensore dell'imputato ha insistito nell'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso risulta fondato. 1. Occorre premettere che l'ammissibilita' dell'appello nel caso di specie, trattandosi di sentenza ed impugnazione successiva alla riforma di cui alla L. n. 103 del 2017, articolo 1, comma 55, ha inciso anche sull'articolo 581 codice di rito - deve essere valutata alla stregua della nuova formulazione dell'articolo 581 codice di rito. L'articolo 581 c.p.p., nella formulazione determinata dalla L. 23 giugno 2017 n. 103, articolo 1, comma 55, (a decorrere dal (OMISSIS)) prevede, a pena, appunto, di inammissibilita', che, nell'atto di gravame, l'appellante indichi, con enunciazione specifica, i capi ed i punti della decisione che intende impugnare (oltre che i suoi estremi identificativi), le richieste avanzate al giudice dell'appello, ed i motivi in fatto e diritto che sostengono tali richieste. Rimangono comunque validi i precedenti insegnamenti di questa Corte in tema di esatta individuazione dei presupposti dell'ammissibilita' dell'appello (essendosi la nuova formulazione normativa limitata a precisare con maggior chiarezza e puntualita' i termini dell'appello in punto di indicazione delle richieste (ampliando a quelle istruttorie) e di specificazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta, senza apportare innovazioni incompatibili con il precedente dettato normativo e quindi con la interpretazione giurisprudenziale che di esso aveva dato questa Corte). Soccorrono, in particolare, i dettami delle Sezioni Unite che, nel parificare l'appello al ricorso per cassazione, hanno affermato che esso e' inammissibile per difetto di specificita' dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificita', a carico dell'impugnante, e' direttamente proporzionale alla specificita' con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. U, n. 8825/17 del 27/10/2016, Galtelli, Rv. 26882201). Nel caso in esame innanzitutto deve rilevarsi che i giudici di merito, come correttamente prospettato in ricorso, nel motivare l'inammissibilita' dell'appello si sono, in realta', spinti un po' oltre, procedendo ad una vera e propria confutazione degli argomenti prospettati dall'appellante che sotto certi aspetti si attaglia piu' a una vera e propria valutazione nel merito che a una delibazione di inammissibilita'. In tema di impugnazioni, il sindacato del giudice di appello sull'ammissibilita' dei motivi proposti non puo', infatti, estendersi - a differenza di quanto accade nel giudizio di legittimita' e nell'appello civile - alla valutazione della manifesta infondatezza dei motivi stessi (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016 - dep. 22/02/2017, Galtelli, Rv. 26882301). Tanto premesso, il raffronto tra l'atto d'appello e la sentenza impugnata conduce con chiarezza inequivoca a escludere la sussistenza della inammissibilita' dell'appello - eloquenti al riguardo sono i fondati rilievi mossi dal ricorrente che fanno emergere, da un lato, la consistenza dei motivi di appello che avevano tra l'altro a monte evidenziato la confusione in cui era incorso il giudice di primo grado rispetto alle due distinte fattispecie di bancarotta documentale previste dalla L. Fall., articolo 216, laddove nel caso di specie era stata contestata - solo - quella a dolo specifico e non anche quella cd. generica (sicche' del tutto inconferente era il riferimento alla impossibilita' di ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari e si trattava quindi anche di verificare se non si vertesse piuttosto nel caso della omessa tenuta delle scritture contabili riconducibile alla bancarotta semplice), e, dall'altro, le ragioni poste dalla Corte di appello a sostegno dell'inammissibilita', che si sviluppano piu' propriamente sul piano della manifesta infondatezza. La sentenza merita censura anche in riferimento alla ritenuta inammissibilita' della doglianza afferente le attenuanti generiche oggetto di specifico motivo di appello in cui si evidenziavano gli elementi in base ai quali poter operare la pur discrezionale valutazione al riguardo. Tutto cio' senza considerare la illegalita' della durata delle accessorie quantificate tout court in anni dieci senza alcuna motivazione a sostegno; circostanza che avrebbe imposto alla corte territoriale di annullare quanto meno sul punto la sentenza del tribunale. Com'e' noto infatti la Corte costituzionale, con la sentenza n. 222 del 2018, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale della L. Fall., articolo 216, u.c., nella parte in cui dispone: "la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacita' per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa", anziche': "la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacita' ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni". La sostituzione della cornice edittale, operata dalla sentenza n. 222 del 2018, ha determinato l'illegalita' delle pene accessorie irrogate in base al criterio dichiarato illegittimo, indipendentemente dal fatto che quelle concretamente applicate possano rientrare o meno nel nuovo parametro, posto che il procedimento di commisurazione si e' basato su una norma dichiarata incostituzionale. E' sorta allora la necessita' di indicare al giudice del rinvio il criterio cui attenersi nella rideterminazione della durata della pena accessoria non piu' fissa (dieci anni), ma indicata solo nel massimo ("fino a dieci anni"). Soccorre al riguardo la sentenza di questa Corte a Sezioni Unite (intervenuta il 28.2.2019, a cui e' stata rimessa la questione in ordine all'individuazione del criterio di commisurazione di tali pene accessorie (se quello di cui all'articolo 37 c.p. secondo cui la pena accessoria va commisurata alla pena principale o se, in applicazione dei principi di proporzionalita' e di individualizzazione del trattamento sanzionatori, quello di cui articolo 133 c.p.), che si e' espressa condividendo il criterio improntato alla discrezionalita' valutativa del giudice che consente una maggiore personalizzazione del trattamento sanzionatorio. 2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo, che, se del caso, procedera' anche alla valutazione delle pene accessorie secondo il parametro indicato dalle Sezioni Unite di questa Corte. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. Scarl INI Enrico V. - Consigliere Dott. CANANZI F. - rel. Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 19/10/2022 del GIP TRIBUNALE di CALTANISSETTA; udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO CANANZI; lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale PIETRO MOLINO, che ha chiesto rigettarsi il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza emessa il 19 ottobre 2022 il Gup del Tribunale di Caltanissetta ha disposto la sospensione del processo con messa alla prova per la durata di mesi sei nei confronti di (OMISSIS), imputato del reato previsto dall'articolo 483 c.p.. 2. Il ricorso per cassazione avverso tale ordinanza deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla carenza di motivazione quanto alla durata della sospensione per la messa alla p1rova. (OMISSIS), infatti, in sede di opposizione a decreto penale di condanna, chiedeva la sospensione del processo con messa alla prova. Lamenta il ricorrente che difetti nella ordinanza ammissiva qualsivoglia motivazione in ordine alla durata della sospensione medesima, cosicche', alla luce dell'orientamento fissato da altra pronuncia di questa Corte - Sez. 5, n. 48258/19, ud. 04/11/2019, Cusimano Rv. 277551 - 01 - deve rilevarsi l'assenza di motivazione, che andava invece resa e parametrata ai criteri dell'articolo 133 c.p., necessitata dalla circostanza che il programma di trattamento non prevedeva la durata. Da cio' le ragioni di annullamento del provvedimento impugnato. 3. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi del Decreto Legge 127 del 2020, articolo 23, comma 8, - con le quali ha chiesto rigettarsi il ricorso, rappresentando come l'onere motivazione risulti soddisfatto attraverso il richiamo alla consistenza del fatto e alla intensita' del dolo. 4. Il ricorso e' stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell'articolo 23, comma 8, Decreto Legge n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto del Decreto Legge n. 105 del 2021, articolo 7, comma 1, la cui vigenza e' stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dal Decreto Legge 10 ottobre 2022, articolo 94, come modificato dal Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, articolo 5-duodecies, convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato. 2. L'articolo 464-bis c.p.p., comma 4, prevede che, alla richiesta formulata dall'imputato, tesa ad ottenere la sospensione del procedimento con messa alla prova, debba essere allegato un programma di trattamento, elaborato d'intesa con l'ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE), ovvero, nel caso in cui non ne sia stata possibile la tempestiva redazione, va allegata la richiesta di elaborazione del menzionato programma, che deve prevedere: le modalita' di coinvolgimento dell'imputato, nonche' del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale, ove cio' risulti necessario e possibile; le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l'imputato assume anche al fine di elidere odi attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonche' le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilita' ovvero all'attivita' di volontariato di rilievo sociale; le condotte volte a promuovere, ove possibile, la mediazione con la persona offesa, anche con lo svolgimento di programmi di giustizia riparativa (quest'ultima riferimento e' stato introdotto all'articolo 464-bis, comma 4, lettera c), introdotto dal Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150), articolo 29, comma 1, lettera a), n. 4). Il successivo articolo 464-quater c.p.p., comma 3, stabilisce che la sospensione del procedimento con messa alla prova e' disposta quando il giudice, in base ai parametri di cui all'articolo 133 c.p., reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l'imputato si asterra' dal commettere ulteriori reati. L'articolo 168-bis c.p., comma 3, prevede, inoltre, che la concessione della messa alla prova sia subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilita'. Il lavoro di pubblica utilita' consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalita' ed attitudini lavorative dell'imputato, "di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettivita', da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione e' svolta con modalita' che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell'imputato e la sua durata giornaliera non puo' superare le otto ore". 3. Va da subito evidenziato quale sia la natura dell'istituto della messa alla prova, nonche' quali le finalita' dello stesso. A riguardo soccorrono gli autorevoli interventi delle Sezioni Unite e della Corte Costituzionale, che delineano la natura ibrida dell'istituto, di diritto processuale ma anche sostanziale, nonche' la finalita' preventiva generale e speciale del programma trattamentale, che deve essere ricondotto all'ambito sanzionatorio. Difatti Sez. U, n. 36272 del 31/03/2016, Sorcinelli, Rv. 267238 - 01 in motivazione chiariva come si tratti di un istituto che "realizza una rinuncia statuale alla potesta' punitiva condizionata al buon esito di un periodo di prova controllata e assistita e si connota per una accentuata dimensione processuale, che la colloca nell'ambito dei procedimenti speciali alternativi al giudizio (Corte Cost., n. 240 del 2015). Ma di essa va riconosciuta, soprattutto, la natura sostanziale. Da un lato, nuovo rito speciale, in cui l'imputato che rinuncia al processo ordinario trova il vantaggio di un trattamento sanzionatorio non detentivo; dall'altro, istituto che persegue scopi specialpreventivi in una fase anticipata, in cui viene "infranta" la sequenza cognizione-esecuzione della pena, in funzione del raggiungimento della risocializzazione del soggetto". Proseguono le Sezioni Unite nel delineare l'istituto, evidenziando come la sospensione del procedimento dia luogo ad una fase incidentale "in cui si svolge un vero e proprio esperimento trattamentale, sulla base di una prognosi di astensione dell'imputato dalla commissione di futuri reati che, in caso di esito positivo, determina l'estinzione del reato. Il percorso di "prova" comporta per l'imputato l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato e, se possibile, il risarcimento dei danni in favore della persona offesa, quindi l'affidamento al servizio sociale sulla base di un programma e, infine, la prestazione di un lavoro di pubblica utilita'". L'istituto ha finalita' specialpreventiva e generalpreventiva, perseguita attraverso il trattamento "che conserva i caratteri sanzionatori, seppure alternativi alla detenzione", cosicche' "il giudizio effettivo di ammissione del rito resta riservato alla valutazione del giudice circa l'idoneita' del programma trattamentale proposto e la prognosi di esclusione della recidiva: valutazione, questa, che si svolge in base ai parametri dell'articolo 133 c.p., i quali attengono alla gravita' del reato, desunta dalla condotta, dall'entita' del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa e dalla intensita' del dolo o dal grado della colpa. Ed e' proprio questa la fase in cui assume effettivo e concreto rilievo la gravita' dell'illecito". D'altro canto, la Corte costituzionale con la sentenza n. 91 del 2018 ritenendo infondate le questioni di legittimita' costituzionale degli articoli 464-quater e 464-quinquies c.p.p., in riferimento all' articolo 25 Cost., comma 2, e articolo 27 Cost., comma 2, richiamava Sez. U., Sorcinelli, nonche' Corte Cost. n. 54 del 2017, quanto alla natura afflittiva e rieducativa dell'istituto, implicante "una diversificazione dei contenuti, prescrittivi e di sostegno, del programma di trattamento, con l'affidamento al giudice di "un giudizio sull'idoneita' del programma, quindi sui contenuti dello stesso, comprensivi sia della parte ‘afflittiva' sia di quella ‘rieducativa', in una valutazione complessiva circa la rispondenza del trattamento alle esigenze del caso concreto, che presuppone anche una prognosi di non recidiva". In tale contesto, la Corte costituzionale chiariva come il "programma di trattamento per sua natura puo' essere determinato legislativamente solo attraverso l'indicazione dei tipi di condotta che ne possono formare oggetto, rimettendone la specificazione, come infatti e' avvenuto, all'ufficio di esecuzione penale esterna e al giudice, con il consenso dell'imputato", aggiungendo che "il trattamento per sua natura e' caratterizzato dalla finalita' specialpreventiva e risocializzante che deve perseguire e deve percio' essere ampiamente modulabile, tenendo conto della personalita' dell'imputato e dei reati oggetto dell'imputazione, sicche', considerata anche la sua base consensuale, non se ne puo' prospettare l'insufficiente determinatezza in riferimento all'articolo 25 Cost., comma 2,". In sostanza la Corte costituzionale rileva come il legislatore abbia normato fin dove possibile, dovendo la personalizzazione del trattamento rispondere all'esigenza di un ‘esperimento' che sia funzionale al recupero di quello specifico imputato. 4. Delineata la funzione dell'istituto della messa alla prova per adulti, nonche' la necessita' conseguente di un trattamento personalizzato in relazione all'imputato, va affrontato il tema della determinazione della durata del trattamento, oggetto della censura proposta dal ricorrente. A tal proposito la Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 91 del 2018, richiamando l'ordinanza n. 54 del 2017, affermava che "Quanto alla misura temporale degli elementi del trattamento, va considerato che, anche se le norme censurate non lo specificano, la durata massima del lavoro di pubblica utilita' "risulta indirettamente dall'articolo 464-quater c.p.p., comma 5, perche', in mancanza di una sua diversa determinazione, corrisponde necessariamente alla durata della sospensione del procedimento, la quale non puo' essere: "a) superiore a due anni quando si procede per reati per i quali e' prevista una pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria; b) superiore a un anno quando si procede per reati per i quali e' prevista la sola pena pecuniaria"" (ordinanza n. 54 del 2017), e per determinare in concreto tale durata il giudice "deve tenere conto dei criteri previsti dall'articolo 133 c.p. e delle caratteristiche che dovra' avere la prestazione lavorativa" (ordinanza n. 54 del 2017)". In sostanza la Corte costituzionale inserendo la probation nel trattamento sanzionatorio richiede l'esercizio della discrezionalita', quanto alla durata dell'"esperimento", secondo i parametri dell'articolo 133 c.p.. Inoltre, recentemente, sempre la Corte costituzionale, con la sentenza n. 74 del 2022, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 168-bis c.p., comma 4, nella parte in cui non prevede che l'imputato possa essere ammesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova nell'ipotesi in cui si proceda per reati connessi, ai sensi dell'articolo 12 c.p.p., comma 1, lettera b), del con altri reati per i quali tale beneficio sia gia' stato concesso. Anche in tale occasione ha ribadito, la Corte delle leggi, che l'istituto della messa alla prova "ha anche una innegabile connotazione sanzionatoria rispetto al reato per il quale si procede (sentenze n. 146 del 2022, n. 139 e n. 75 del 2020, n. 68 del 2019)", cosicche' "l'impossibilita' di ammettere alla messa alla prova chi abbia gia' avuto accesso al beneficio in relazione ad altro reato commesso in esecuzione di un medesimo disegno criminoso si traduce nell'impossibilita' di sanzionare in modo sostanzialmente unitario tutti i reati avvinti dalla continuazione, in contrasto con la logica del sistema del codice penale". Pertanto, a fronte della seconda richiesta di applicazione dell'istituto, se sussiste la connessione fra i reati, "spettera' al giudice, ai sensi dell'articolo 464-quater c.p.p., comma 3, una nuova valutazione dell'idoneita' del programma di trattamento e una nuova prognosi sull'astensione dalla commissione di ulteriori reati da parte dell'imputato. In tale valutazione non potra' non tenersi conto - per un verso - della natura e della gravita' dei reati oggetto del nuovo procedimento, e - per altro verso - del percorso di riparazione e risocializzazione eventualmente gia' compiuto durante la prima messa alla prova. Nel caso poi in cui ritenga di poter concedere nuovamente il beneficio, il giudice stabilira' la durata del periodo aggiuntivo di messa alla prova, comunque entro i limiti complessivi indicati dall'articolo 464-quater, comma 5, c.p.p., valorizzando opportunamente il percorso gia' compiuto, alla luce dell'esigenza sottesa al sistema - di apprestare una risposta sanzionatoria sostanzialmente unitaria rispetto a tutti i reati in concorso formale o commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso". In conclusione, le pronunce della Corte costituzionale, che ribadiscono la funzione sanzionatoria della messa alla prova, nelle sue implicazioni complessive specialpreventive e generalpreventive, collegano la durata del trattamento medesimo ai limiti ‘edittali' fissati dall'articolo 464-quater c.p.p., comma 5, nonche' alle previsioni dell'articolo 133 c.p.p., per l'esercizio della discrezionalita' del giudice all'interno dei limiti menzionati, nonche' per la nuova determinazione in caso di reati in continuazione, che deve tenere in conto del periodo di messa alla prova gia' espletato e dell'esito dello stesso, come anche del percorso gia' compiuto. 5. A fronte di tale ricostruzione, il ricorrente richiama Sez. 5, Cusimano che, in modo condiviso da questo Collegio, afferma che la lettura sistematica di tali disposizioni lasci emergere che la previsione obbligatoria del lavoro di pubblica utilita' costituisca il nucleo ‘sanzionatorio' del sistema della sospensione con messa alla prova: si tratta, cioe', di una sanzione sostitutiva di tipo prescrittivo dotata di una indefettibile componente afflittiva. Aggiunge la citata sentenza che "(...) la connotazione (sia pur latamente) sanzionatoria del lavoro di pubblica utilita' impone di rilevare, come una lacuna significativa, la mancata previsione dei criteri cui il giudice deve attenersi nel vaglio di congruita' della sua durata complessiva e della sua intensita'. Dalle norme sopra richiamate si evincono: una durata minima di dieci giorni e una massima che, in mancanza di diverse indicazioni, non puo' che coincidere con i termini massimi di sospensione del procedimento (uno o due anni, a seconda della natura della pena edittale); un'intensita' massima di otto ore giornaliere, senza indicazione del minimo. Non essendo previsto che la prestazione del lavoro gratuito debba necessariamente coprire l'intero periodo della sospensione - perche' non avrebbe senso, altrimenti, la previsione di un limite minimo di dieci giorni - occorre individuare indici di commisurazione sufficientemente certi". L'approdo cui giunge la richiamata Sez. 5, Cusimano e' quello condivisibile quanto a due profili: il primo, quello di escludere che per la determinazione della durata del trattamento possa ricorrersi ai criteri dettati nei casi in cui il lavoro gratuito e' previsto come pena sostitutiva di quella detentiva, perche' nel caso della probation manca, per definizione, una condanna che possa fungere da limite e parametro di ragguaglio (a proposito del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, Sez. 5 Cusimano richiama Sez. 1, n. 30089 del 26 giugno 2009, Rv. 244812; Sez. 3, n. 40995 del 23 maggio 2013, Rv. 256958; in tema di violazioni del C.d.S.: Sez. 1, n. 12019 del 1 febbraio 2013, Rv. 255341); il secondo profilo condivisibile e' quello dell'applicazione in via analogica degli indici dettati dall'articolo 133 c.p., per la commisurazione della pena, con una prospettiva che tenga conto a un tempo: della valutazione virtuale della gravita' concreta del reato e del quantum di colpevolezza dell'imputato, nonche' delle sue necessita' di risocializzazione. A tale approdo giungono anche successive sentenze, quanto al riferimento all'articolo 133 c.p., che ora ritengono sufficiente, in caso di durata gia' indicata nel programma proposto, il richiamo alla congruita' di quanto gia' previsto di intesa fra l'imputato e l'UEPE; ove invece difetti una determinazione previa sara' necessaria una motivazione piu' pregnante (in tal senso, Sez. 3, n. 55511 del 19/09/2017, Zezza, Rv. 272067), ritenendosi che la durata non possa essere indicata con un generico rinvio ai parametri di cui all'articolo 133 c.p. posti in correlazione automatica con le indicazioni contenute in altri atti del procedimento, come il decreto penale di condanna opposto dall'imputato, poiche', in tal modo il giudice verrebbe meno allo specifico onere motivazionale che impone di dare conto delle ragioni delle scelte operate in relazione alla peculiarita' del caso concreto (Sez. 5, n. 22136 del 10/03/2022, Fasola, Rv. 283220 - 01). Il caso all'esame di Sez. 5, Cusimano, prevedeva una durata della messa alla prova pari a due anni, vale a dire nella misura massima consentita; in quello analizzato da Sez. 5, Fasola, all'imputato erano stati imposti 240 giorni di lavoro di pubblica utilita', corrispondenti a 480 ore di lavoro, ottenuti pero' parametrando la durata alla sanzione gia' determinata con il decreto penale di condanna, ritenendo la mancanza di una disciplina specifica e considerata l'applicazione analogica dei parametri indicati dall'articolo 133 c.p.. E bene, rileva questa Corte come nel caso in esame si verta invece in tema di una sospensione per messa alla prova per una durata di sei mesi, in relazione alla quale il Giudice cosi' motivava: "ritenuta l'idoneita' del programma di trattamento al fine di sottoporre alla messa alla prova l'imputato, rilevata la concreta empirla del fatto (ch)e, in particolare, l'apparente intensita' del dolo". Dunque, vi e' una motivazione che, al di la' dell'errore grammaticale del verbalizzante, esprime una valutazione di sussistenza della condotta e del dolo del reato (apparente vuol riferirsi alla valutazione virtuale), indici previsti dall'articolo 133 c.p., ai quali, in uno alla idoneita' del programma, vengono rapportate le ragioni della durata della messa alla prova. In tal senso, data la richiamata natura sanzionatoria dell'istituto, deve allora applicarsi il generale principio per la dosimetria della pena principale, richiamato in motivazione da Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269, per cui nel caso in cui venga irrogata una pena di gran lunga piu' vicina al minimo che al massimo edittale, il mero richiamo ai "criteri di cui all'articolo 133 c.p. " deve ritenersi motivazione sufficiente per dimostrare l'adeguatezza della pena all'entita' del fatto; invero, l'obbligo della motivazione, in ordine alla congruita' della pena inflitta, tanto piu' si attenua quanto maggiormente la pena, in concreto irrogata, si avvicina al minimo edittale (Sez. 1, n. 6677 del 05/05/1995, Brachet, Rv.201537; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464). E, per converso, quanto piu' il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto piu' ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall'articolo 133 c.p., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio (Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, Bonarrigo, Rv. 241189; Sez. 5, n. 511 del 26/11/1996, dep. 1997, Curcillo, 207497). Non sfugge a questa Corte come l'onere motivazionale debba essere rafforzato nel caso della messa alla prova, rispetto a quanto accade in ordine alla sentenza di condanna, sia per le descritte piu' marcate finalita' rieducative dell'istituto, sia anche per la peculiarita' dello stesso, che non presuppone un accertamento quanto alla responsabilita' penale, cosicche' non puo' trarsi la durata del periodo di sospensione dalla conversione della condanna, come in precedenza evidenziato; ne', tantomeno, la durata - quando non e' oggetto del piano di trattamento condiviso dall'imputato con I'UEPE - e' frutto di un accordo, come nel caso della pena applicata su concorde richiesta delle parti, il che riduce l'onere di motivazione. Nel caso della messa alla prova, quindi, con un programma di trattamento proposto al giudice con durata indeterminata, la stessa dovra' essere definita con una adeguata motivazione, piu' intensa quanto maggiore sara' lo scostamento dal minimo previsto. Proprio per il difetto di una sentenza di condanna recante una propria motivazione, dalla quale implicitamente trarre riferimenti in ordine alle ragioni della quantificazione della pena, non potra' evidentemente trovare applicazione l'orientamento che si parametra sulla media edittale, per cui per la pena principale al di sotto della predetta soglia non e' necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'articolo 133 c.p. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288). 6. Tornando al caso in esame il ricorrente (OMISSIS), era imputato del reato previsto dall'articolo 483 c.p., per il quale e' prevista la pena detentiva fino a due anni di reclusione, cosicche' il limite massimo di durata della messa alla prova risultava essere di anni due, partendo dal minimo di giorni dieci, per quanto previsto dall'articolo 464-quater c.p.p., comma 5. E bene, la motivazione resa dalla Tribunale di Caltanissetta risulta congrua in relazione ai parametri dell'articolo 133 c.p. e in relazione della durata della messa alla prova, determinata in una misura di poco meno inferiore ad un quarto del periodo massimo consentito. Pertanto, deve affermarsi il principio per cui qualora il giudice, nel disporre la sospensione del procedimento penale con messa alla prova, si limiti a recepire il programma di trattamento, l'onere motivazionale quanto alla durata della sospensione puo' intendersi soddisfatto anche attraverso un semplice richiamo alla congruita' del programma, trattandosi di un programma elaborato dall'UEPE di intesa con l'imputato e, dunque, conosciuto e condiviso da quest'ultimo. Qualora, invece, il programma non contenga alcun riferimento alla durata della sospensione il giudice dovra' fornire una motivazione, che non puo' limitarsi ad un semplice richiamo al programma stesso e per il quale valgono i criteri motivazionali dell'articolo 133 c.p., con la necessita' di una motivazione tanto piu' significativa quanto piu' ci si discosti dalla durata minima prevista di giorni dieci". P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. BELMONTE Maria Teresa - Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. BORRELLI Paola - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: dalla parte civile (OMISSIS); nel procedimento a carico di: (OMISSIS) nato il (OMISSIS); (OMISSIS) nato il (OMISSIS); (OMISSIS) nato il (OMISSIS); (OMISSIS) nato il (OMISSIS); inoltre: (OMISSIS) - (OMISSIS); avverso la sentenza del 30/03/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; udito il Sostituto Procuratore Generale PASQUALE SERRAO D'AQUINO che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'Assise d'Appello di Milano, con la decisione impugnata, ha confermato la sentenza della Corte d'Assise di Milano del 5.7.2021 che ha condannato, per il delitto di rissa di cui all'articolo 588, comma 2, aggravato ai sensi dell'articolo 61, comma 1, n. 11 quinquies, c.p., (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) alla pena di anni tre di reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), da liquidarsi separatamente, assegnando una provvisionale immediatamente esecutiva pari a 30.000 Euro per ciascuna delle parti civili; con la stessa sentenza e' stato assolto (OMISSIS) dal concorso nel reato. Gli imputati erano stati inizialmente tratti a giudizio in relazione al delitto di concorso in omicidio preterintenzionale di (OMISSIS), poi riqualificato, dalla sentenza di primo grado confermata da quella di appello, in rissa aggravata dalle lesioni (di alcune) delle persone coinvolte, ma esclusa la circostanza della derivata morte; la morte, secondo la Corte d'Assise d'Appello e' stata causata autonomamente dalla patologia cardiaca di cui la vittima soffriva, escluso il nesso eziologico con le lesioni; lo sfondo della vicenda e' costituito dalla lite per un debito non pagato da parte di (OMISSIS) a (OMISSIS). 2. Avverso il provvedimento in esame ha proposto ricorso la parte civile (OMISSIS), moglie della vittima, tramite il difensore, deducendo un unico motivo di censura con cui contesta la riqualificazione del reato da omicidio preterintenzionale in rissa aggravata. Il ricorso premette una ricostruzione dei fatti, cosi' come risultano accaduti all'esito dell'istruttoria dibattimentale: l'iniziale aggressione sarebbe avvenuta tra (OMISSIS) e la vittima, che non voleva saldare il proprio debito; sarebbe proseguita la lite, poi, coinvolgendo i fratelli di (OMISSIS) e i parenti (la moglie, il fratello, la figlia) della vittima; infine, quest'ultima sarebbe stata aggredita da sola dal gruppo capitanato da (OMISSIS) e, infine, mentre cercava di raggiungere casa, (OMISSIS) sarebbe morto, colpito da arresto cardiocircolatorio. Secondo il pubblico ministero, gia' appellante, e la parte civile, che oggi ricorre in Cassazione, l'epilogo della vicenda e il suo nucleo essenziale configurano una vera e propria "spedizione punitiva" ai danni della vittima, con il conseguente omicidio preterintenzionale. A giudizio delle sentenze di primo e secondo grado, invece, il conflitto che ha generato il decesso non era stato programmato; aveva coinvolto due gruppi di persone; era stato caratterizzato da qualche atto di violenza reciproca non particolarmente offensiva, senza lesioni gravi come conseguenza, sicche' non era prevedibile, da parte degli autori, la morte della vittima, derivata dalla patologia cardiaca che lo affliggeva e della quale neppure lui era a conoscenza; ne' gli elementi del fatto lasciavano presagire una tale vulnerabilita', come sottolineato dalla sentenza d'appello, che ha ritenuto, altresi', di non dover neppure soffermarsi sulla prevedibilita' dell'evento morte ai fini della possibile configurazione del reato di omicidio preterintenzionale, vista la evidenza della qualificazione della condotta come rissa, anche alla luce del comportamento della vittima desunto dalle testimonianze: questi, piuttosto che essere intimorito e fuggire da un'aggressione, aveva invece ingaggiato lo scontro con la parte avversa, proseguendolo all'arrivo del fratello, della moglie e della figlia. Il ricorso, invece, ritiene che la vittima abbia reagito all'aggressione per difendersi, aiutato, nella difesa, dai parenti, i quali non costituivano, sol per questo, una "fazione" avversa di contendenti. La ricorrente, inoltre, rifacendosi all'orientamento di legittimita' secondo cui il coefficiente psicologico della fattispecie astratta di cui all'articolo 584 c.p. e' costituito unicamente dal dolo di percosse o lesioni (il delitto "sussidiario"), in quanto la disposizione di cui all'articolo 43 c.p. assorbe la prevedibilita' dell'evento piu' grave nell'intenzione di risultato, sostiene che la morte del marito sia l'evento del reato progressivo unico ed il risultato delle percosse e lesioni cagionate alla vittima dai suoi aggressori. Si richiama, come precedente coerente con la tesi di ritenere configurabile, nel caso di specie, il delitto di omicidio preterintenzionale, la sentenza Sez. 5, n. 9789 del 3/12/2020, dep. 2021, che aveva proprio collegato un decesso improvviso alle ripetute aggressioni verbali e fisiche, idonee ad incidere sul precario stato di salute della vittima, valutata la contestualita' della condotta aggressiva con la morte. Ebbene, in relazione all'evento letale occorso ad (OMISSIS), i consulenti medico-legali hanno senz'altro accertato il nesso eziologico esistente tra il decesso e la lite, tenendo conto sia della condizione patologica preesistente (l'aritmia maligna), sia degli altri fattori causali stressogeni complessivamente vissuti durante il corso del litigio della vittima con gli imputati. Il giudizio controfattuale di eliminazione virtuale delle lesioni subite da (OMISSIS), corrispondendo al venire meno dello stress, non poteva che condurre all'affermazione di responsabilita' degli imputati per il delitto di concorso in omicidio preterintenzionale, sicche' la sentenza d'appello, che non giunge a tali conclusioni, nonostante le premesse in fatto incontroverse, e' viziata da motivazione contraddittoria e manifestamente illogica. A tale conclusione si giunge anche se si vuol ritenere l'exitus fatale quale concretizzazione del pericolo generato dalla condotta degli agenti, la quale ha dato luogo ad "un'area di rischio" tale che "quella morte" costituisce una diretta conseguenza delle condotte degli stessi (il ricorso si richiama alla giurisprudenza di legittimita' in tal senso): la vittima e' morta per lo stress causato dalle aggressioni subite, le ripetute percosse e lesioni, in concorso con la malattia da cui era affetta. 3. Il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Milano ha depositato memoria ex articolo 121 c.p.p., con cui ritiene condivisibili le argomentazioni contenute nel ricorso per cassazione della parte civile e aggiunge una serie di ulteriori, concorrenti considerazioni per sostenere la fondatezza della qualificazione delle condotte degli imputati sotto l'egida normativa dell'articolo 584 c.p. piuttosto che in termini di rissa aggravata. Soprattutto, si denuncia il travisamento della prova consistita dalle dichiarazioni dibattimentali del consulente tecnico del pubblico ministero, che ha certamente indicato, tra le concause possibili dello stress cui e' seguito l'arresto cardiaco e la morte della vittima, tutto quanto messo in atto dagli imputati ai suoi danni, a partire dalle percosse e dalla lunga fase della colluttazione fino alle lesioni, per quanto lievi. La stessa sentenza impugnata ammette tale ricostruzione probatoria, senza trarne le corrette conseguenze in termini di qualificazione giuridica e dimenticando che il consulente tecnico ha poi evidenziato esplicitamente che, nel caso di specie, si era di fronte ad una morte cardiaca improvvida, per la quale gli eventi descritti in atti, che hanno concretizzato uno stress fisico reale, detengono matrice e natura di fattore concausale. Si e' espressamente precisato che gli eventi fattuali premortali descritti in atti - che corrispondono a quelli emersi in dibattimento - possono essere tecnicamente interpretati come elemento causale nel determinismo del decesso di (OMISSIS). Il ricorrente evidenzia come anche le lesioni, su domanda proprio del Presidente del Collegio, si e' detto che, pur se lievi, potevano determinare la tachicardia, il picco ipertensivo, costringendo il sistema cardiocircolatorio "a lavorare in quella che si chiama reazione di difesa" con innalzamento del ritmo cardiaco, della pressione che costringe in "grande sofferenza" un cuore malato, come era quello della vittima. Richiamandosi, infine, alla giurisprudenza sull'elemento psicologico richiesto per la configurabilita' dell'omicidio preterintenzionale, il PG di Milano conclude per l'annullamento, ai fini civilistici, della sentenza impugnata. 4. Il Sostituto Procuratore Generale Pasquale Serrao d'Aquino ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso della parte civile, che non ha indicato lo specifico interesse, in termini di diversa quantificazione del danno, alla differente qualificazione giuridica del reato. 5. Gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno depositato memorie con le quali chiedono l'inammissibilita' del ricorso della parte civile, per difetto di allegazione dell'interesse concreto ad ottenere una diversa qualificazione giuridica. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. Preliminarmente, occorre rilevare come l'interesse concreto della parte civile a ricorrere debba ritenersi esistente e immediatamente evincibile nel caso della ricorrente, ineludibilmente insito nella sua domanda. Questa Corte regolatrice, effettivamente, ha spesso fatto richiamo alla necessita', per la parte civile che proponga ricorso in Cassazione al fine di ottenere una diversa qualificazione giuridica dei fatti, di dimostrare il proprio interesse ad agire, collegandolo costantemente alla circostanza che da tale differente qualificazione possa derivare una differente quantificazione del danno da risarcire (cfr., tra le piu' recenti, Sez. 5, n. 25597 del 14/5/2019, Lucidi, Rv. 277311; Sez. 3, n. 16602 del 21/02/2020, N, Rv. 280124; in passato, cfr. Sez. 5, n. 12139 del 14/12/2011, Martinez, Rv. 252164 e Sez. 4, n. 39898 del 3/7/2012, Giacalone, Rv. 254672). In sintesi, l'opinione dominante in giurisprudenza ritiene che la parte civile non possa ricorrere al fine di ottenere una piu' corretta decisione, ma deve essere portatrice di un interesse pratico e occorre, pertanto, che dalla riqualificazione giuridica possa derivare un'utilita' concreta in tema di risarcimento del danno dinanzi al giudice civile. Tale interesse concreto deve essere oggetto di allegazione nel ricorso, che dovrebbe indicare le ragioni per le quali si impugna la decisione: vale a dire, se la diversa gravita' del reato incide sul danno, morale o biologico (iure proprio o iure hereditatis) o anche solo sulla cd. personalizzazione del danno (cfr. Sez. 5, n. 32762 del 7/6/2013, Floramo, Rv. 256952, che individua, ad esempio, un onere della parte civile di indicare le ragioni per cui il riconoscimento di un'attenuante ovvero il disconoscimento di un'aggravante incidano concretamente sulla pretesa risarcitoria). Orbene, nel caso di specie, non puo' condividersi la richiesta di declaratoria di inammissibilita' del ricorso - avanzata dal PG e dagli imputati - per mancanza di indicazione (allegazione) dell'interesse concreto alla diversa qualificazione giuridica dei fatti, ad opera della parte civile, essendo macroscopicamente ed immediatamente evincibile detto interesse dalla richiesta di riqualificazione proposta, argomentata in modo ampio, ancorche', come si dira', secondo direttrici di censura inammissibili poiche' "in fatto". Il reato di rissa aggravato per cui sono stati condannati gli imputati ha escluso, infatti, sia la configurabilita' dell'omicidio preterintenzionale sia dell'aggravante dettata dal comma 2 dell'articolo 588 c.p. per l'ipotesi di rissa cui segua la morte di uno dei soggetti coinvolti, in tal modo negando del tutto il nesso di congiunzione causale tra il decesso della vittima e la condotta degli imputati, attribuendo loro soltanto le lesioni seguite alla rissa, delle quali si e' negata la natura di fattore eziologico innescante/concorrente dell'exitus. Non puo' esservi dubbio, in un tale contesto, che l'invocata, piu' grave qualificazione giuridica dei fatti come omicidio ex articolo 584 c.p. produrrebbe effetti sulla quantificazione del danno morale o del danno biologico gia' riconosciuti, cosi' configurandosi l'interesse a ricorrere della parte civile, a prescindere da qualsiasi allegazione formale e specifica della parte civile: nella specie, e' evidente la distanza ontologica tra la dedotta causazione della morte della vittima, quale conseguenza delle condotte dei ricorrenti, e l'avversata soluzione della sentenza impugnata nel senso dell'accertamento di generiche e lievi lesioni riportate da (OMISSIS) come conseguenza del diverso reato di rissa; lesioni tanto lievi da essere "estratte" dal nesso di causalita' con la sua morte, attribuita esclusivamente all'interazione tra la sollecitazione dello stress psicologico, neppure questo derivato dalle lesioni, e la patologia cardiaca estremamente grave di cui questa soffriva. E la valutazione dell'interesse ad impugnare, allorche' il gravame sia in concreto idoneo a determinare per il ricorrente, con l'eliminazione del provvedimento impugnato, una situazione pratica piu' vantaggiosa di quella realizzata dal provvedimento impugnato, va operata con riferimento alla prospettazione contenuta nel ricorso e non alla effettiva fondatezza della pretesa del ricorrente (v., specificamente, riguardo alla impugnazione volta ad ottenere la riqualificazione giuridica del fatto, Sez. 3, n. 38544 del 27/05/2015, Serafino, Rv. 264634). La verifica dell'interesse ad impugnare, invero, ha ad oggetto l'esistenza di una ragione economica della parte proponente di ottenere una nuova decisione onde rimuovere il pregiudizio che a quella ragione arreca il provvedimento impugnato. Tale interesse, quindi, risulta escluso solo in quanto, alla stregua della stessa richiesta della parte legittimata all'impugnazione, la decisione del giudice di gravame non inciderebbe nella sfera sostanziale della parte proponente (Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra, Rv. 240815 e Sez. 1, n. 47675 del 24/11/2011, Loffredo, Rv. 252183: l'impugnazione, per essere ammissibile, deve tendere all'eliminazione della lesione di un diritto, non essendo prevista la possibilita' di proporre un'impugnazione che miri unicamente all'esattezza giuridica della decisione, senza che ne consegua un vantaggio pratico per il ricorrente, o addirittura ne consegua un danno). E non vi e' dubbio che, in sede civilistica, il risarcimento del danno per fatto illecito dipende anche dalla gravita' del reato e dall'entita' del patema d'animo sofferto dalla vittima, che non puo' non variare a seconda che il fatto illecito venga qualificato come omicidio preterintenzionale ovvero come rissa aggravata dalle sole lesioni della vittima, senza che la sua morte venga collegata alla condotta di reato. In conclusione, deve affermarsi che e' ammissibile il ricorso della parte civile che invochi la piu' grave qualificazione giuridica di omicidio preterintenzionale, in luogo di quella di rissa aggravata dalle lesioni del soggetto coinvolto, poi deceduto senza che la morte sia stata riconosciuta come collegata causalmente alla condotta di reato, poiche' tale richiesta di riqualificazione determina inevitabili effetti sulla quantificazione del danno morale o del danno biologico gia' riconosciuti, cosi' configurandosi l'interesse a ricorrere della parte civile, a prescindere da qualsiasi allegazione formale e specifica della parte civile riguardo a detta quantificazione. 3. Verificata positivamente la questione sull'esistenza di un interesse a ricorrere della parte civile, deve essere affrontato il cuore della richiesta avanzata con l'impugnazione, vale a dire la domanda di riqualificazione giuridica della condotta delittuosa ascritta agli imputati. Il ricorso, sotto tale profilo, e' inammissibile. La difesa punta a rimodulare le conclusioni dei giudici di merito quanto al giudizio controfattuale di eliminazione virtuale delle lesioni subite da (OMISSIS), che, corrispondendo al venire meno dello stress, non poteva che condurre all'affermazione di responsabilita' degli imputati per il delitto di concorso in omicidio preterintenzionale: la sentenza d'appello, che non giunge a tali conclusioni, nonostante le premesse in fatto incontroverse, sarebbe viziata da motivazione contraddittoria e manifestamente illogica. Invero, nella prospettazione difensiva, pur prendendosi in considerazione le diverse opzioni giurisprudenziali emerse nella giurisprudenza di legittimita' in tema di configurabilita' del delitto omicidio preterintenzionale, cio' che si chiede al Collegio, in realta', e' una rivalutazione nel merito delle prove acquisite in atti e che hanno fatto si', da un lato, che i giudici d'appello riconducessero (cosi' come i primi giudici) la fattispecie concreta nella cornice normativa dell'articolo 588 c.p.; dall'altro, che fosse escluso, sulla base degli accertamenti medico-peritali, che dalle lesioni minime seguite alla rissa fosse derivato uno stress psicofisico, tale da costituire esse una concausa della morte della vittima, avvenuta invece per un'aritmia maligna letale, dovuta ad una malattia congenita, ignota alla stessa persona deceduta. Tale aritmia maligna letale, si e' stabilito con le ampie argomentazioni del provvedimento d'appello, scevre da errori logico-giuridici, non ha potuto essere collegata, al di la' di ogni ragionevole dubbio, neppure alle lesioni - di poco momento e indeterminate - causate alla vittima dalla partecipazione alla rissa, poiche' dette lesioni non si e' accertato con adeguata sicurezza probatoria che abbiano influito sul generarsi di quello stato di agitazione che determino' l'exitus (cfr. pag. 26 e 27 della sentenza impugnata, in particolare). Il nucleo centrale della doglianza difensiva e' rappresentato dalla qualificazione giuridica del reato di rissa, osteggiata nel ricorso della parte civile. E tuttavia, proprio tale configurazione risulta essere la porzione piu' convincente della sentenza impugnata, che e' coerente sul punto con quella di primo grado, da cui si discosta solo per evidenziare come neppure possa ritenersi integrata l'ipotesi del comma 2, primo periodo, prima parte dell'articolo 588 c.p., estrapolando la morte dalla sua derivazione dal reato di rissa, che ritiene, pertanto, aggravato dalle sole lesioni prodotte alla vittima, prima del decesso. I passaggi ricostruttivi della sentenza dedicati alla qualificazione dell'accaduto come rissa, e non gia' aggressione unilaterale ai danni della vittima, sono ampiamente argomentati, basati sulle testimonianze plurime che indicano la dinamica dei fatti come reciprocamente offensiva tra due fazioni di persone, diversamente composte, e su alcuni riscontri' ulteriori che la confermano (vedi pagine da 21 a 25, in particolare). La mancanza dell'uso di armi e l'accertamento di spintoni, schiaffi e pugni reciproci tra i componenti dei due gruppi contrapposti, senza che la vittima ricercasse la fuga, ma, anzi, con la prova che accettasse lo scontro e insistesse nel misurarsi con gli altri contendenti, hanno condotto a ritenere, da un lato, la certa configurabilita' del reato come rissa, ancorche' aggravata dalle lesioni che non solo (OMISSIS), ma anche alcuni altri partecipi, avevano riportato; dall'altro, ad escludere una gravita' della contesa tale da considerare l'ordinario stress derivatone capace di innescare la reazione mortale poi verificatasi. A tale conclusione, la Corte d'Assise d'Appello e' stata indotta, invero, dalle risultanze medico-legali: la causa di morte della vittima risulta individuata dai consulenti in un iperacuto scompenso aritmico maligno dovuto ad una precorrente cardiocoronaropatia cronica, scompenso derivato dallo stress emotivo e fisico personale per il litigio, prima ancora che sfociasse in rissa, e non direttamente dalle lesioni causate dalle percosse ricevute nel corso dell'escalation violenta. Piu' specificamente, indagando sul se tale stress possa essere derivato dalle lesioni, la sentenza impugnata evidenzia, sulla base delle risposte dei consulenti in dibattimento, come non sia possibile indicare da quale dei momenti di tensione emotiva, anche precedenti alla rissa e collegati al mero insorgere del litigio verbale, si sia potuta generare l'aritmia cardiaca letale. La Corte d'Assise d'Appello sottolinea come i consulenti abbiano riferito della difficolta' di individuare che cosa serva o sia sufficiente per il verificarsi di un esito letale in un paziente con un cuore comunque compromesso cosi' gravemente come quello della vittima, sicche' neppure con il criterio della probabilita' logica o della credibilita' razionale sarebbe possibile affermare - secondo la sentenza - che le lesioni abbiano concorso all'incremento dello stress, certamente provato dall' (OMISSIS) gia' nei prodromi del litigio, durante i quali, forse, era gia' in scompenso cardiaco (come evidenziano i giudici). Di qui, l'esclusione anche dell'aggravante della morte di uno dei corrissanti, rispetto al ritenuto reato di cui all'articolo 588 c.p.. 3.1. Dinanzi a tale tessuto di prova ed a tali approdi, le richieste della parte civile di addivenire ad una soluzione diversa in punto di qualificazione giuridica si rivelano inammissibili, poiche' volte a proporre una diversa lettura delle complesse risultanze di fatto accertate, anche e soprattutto dal punto di vista medico-legale. Nulla aggiunge la memoria ex articolo 121 c.p.p. depositata dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello, che si limita, in piu', a denunciare il travisamento della prova relativa alle testimonianze dei consulenti medici, in realta' proponendo soltanto una lettura differente dei medesimi dati, incontroversi, che, a suo giudizio, non lascerebbero dubbi sulla possibilita' di ritenere derivata causalmente la morte della vittima dallo stress psicofisico causato dalla contesa violenta. Come noto, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimita' - a meno che non si rivelino fattori di manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., tra le piu' recenti, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482). Quanto alla configurabilita' del reato di rissa, la decisione appare consapevole della giurisprudenza di legittimita' in tema e corrisponde ad essa. Invero, non integra il delitto di rissa la condotta di colui che, aggredito da altre persone, reagisca difendendosi (Sez. 5, n. 22587 del 2/2/2022, Paladino, Rv. 283398), mentre configura il reato la condotta di due gruppi contrapposti che agiscano con la vicendevole volonta' di attentare all'altrui incolumita' (presupposto che non e' integrato, ancora una volta, qualora un gruppo di persone assalga altri soggetti che fuggano dall'azione violenta posta in essere ai loro danni: tra le molte, cfr. specificamente Sez. 6, n. 12200 del 4/12/2019, Pagano, Rv. 278728; in motivazione, la Corte ha precisato che il reato di cui all'articolo 588 c.p. richiede la partecipazione di almeno tre persone, in quanto rileva anche la contrapposizione tra due soggetti contro una sola persona). Anche il fattore "iniziativa" non ha valore, per l'esclusione del reato: ai fini della configurabilita' del delitto di rissa, una volta accertata l'esistenza di gruppi contrapposti con vicendevole intenzione offensiva dell'altrui incolumita' personale, e' irrilevante individuare chi per primo sia passato a vie di fatto (Sez. 1, n. 18788 del 19/1/2015, Garau, Rv. 263567; Sez. 5, n. 4878 del 28/3/1984, Quaglio, Rv. 164470). La decisione impugnata e' coerente con i presupposti giurisprudenziali che ritengono configurabile il reato; la fattispecie, cosi' come esposta nella sentenza - insulti reciproci; situazione dinamica in cui entrambe le fazioni (quella della vittima e dei suoi congiunti e quella dei tre fratelli (OMISSIS) e del loro cugino) si sono scambiate spintoni ed alcuni schiaffi e pugni; nessun tentativo di fuga da parte del deceduto, ma anzi accettazione da parte sua dello scontro e, finanche, una prima possibile aggressione fisica da lui proveniente, quando gli fu richiesta la restituzione del debito contratto (vedi pag. 23) - integra pienamente i caratteri di tipicita' del delitto ex articolo 588 c.p., siccome declinati dal diritto vivente. 3.2. Non occorre richiamare gli orientamenti di questa Corte, invece, in tema di configurabilita' del reato di omicidio preterintenzionale, poiche', appunto, il ricorso non centra la modalita' di proposizione delle doglianze, ritenendo manifestamente illogiche le conclusioni dei giudici di merito quanto alla configurazione del reato di rissa, che, pur opinabili, nella complessita' della ricostruzione della vicenda concreta - complessita' non nascosta dalla sentenza - sono invece plausibilmente esposte. La Corte d'Assise d'Appello giunge a ritenere che nessuna aggressione unilaterale vi sia stata ai danni della vittima, ma ci si sia trovati dinanzi ad una fattispecie di reciproca e contestuale, improvvisa esplosione di ira tra i soggetti coinvolti, nessuno dei quali si e' sottratto alla lite. Non vi sono iati logici rispetto a tale ricostruzione, a dispetto delle assertive proposizioni della ricorrente e della memoria del Procuratore Generale d'appello, che ritengono dagli elementi di prova emerga una diversa dinamica, con la vittima inerme aggredita. 3.3. La successiva derivazione causale della morte dal reato, infine, avrebbe potuto essere contestata con riguardo al delitto previsto dall'articolo 588 c.p., al fine di ritenere sussistente l'ipotesi aggravata del comma 2, primo periodo, prima parte della citata norma, piuttosto che esclusa, come stabilito nella sentenza impugnata, rimodulando la decisione del primo giudice, ma tale obiezione non e' stata sollevata esplicitamente dalla ricorrente, ne' puo' desumersi dalla piu' grave, invocata qualificazione giuridica ex articolo 584 c.p.. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. BELMONTE Maria Teresa - Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. BORRELLI Paola - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); (OMISSIS) SRL IN PERS. DEL RAPPR. PROC. (OMISSIS) avverso la sentenza del 08/09/2021 della CORTE APPELLO di GENOVA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; udito il Sostituto Procuratore Generale PASQUALE SERRAO D'AQUINO che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' dei ricorsi. uditi i difensori: L'avvocato (OMISSIS), difensore delle parti civili, deposita nota spese e conclusioni alle quali si riporta; chiede rigetto dei ricorsi. L'avvocato (OMISSIS), quale sostituto processuale dell'avvocato (OMISSIS) difensore di (OMISSIS), si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso. L'avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso; nelle more eccepisce l'intervenuta prescrizione. L'avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), legale rappresentante della (OMISSIS) srl, si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'Appello di Genova, in riforma della sentenza assolutoria emessa dal Tribunale di Massa il 14.6.2019, ha condannato (OMISSIS) alla pena di anni uno di reclusione e 7000 Euro di multa in relazione ai reati di contraffazione di alcuni rotoli di nastri da bomboniere e da confezione, tra quelli contestati e sequestrati, riproducenti marchi figurativi dei brand di lusso "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" (attraverso la ditta individuale tessile denominata " (OMISSIS)", di cui era titolare), e di commercializzazione sistematica di tali prodotti contraffatti (attraverso la " (OMISSIS). s.r.l.", di cui era amministratore unico); sono state riconosciute, nei confronti dell'imputato, le circostanze attenuanti generiche equivalenti rispetto all'aggravante di cui all'articolo 474-ter c.p.; la sentenza d'appello ha anche dichiarato, ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, la responsabilita' amministrativa della societa' " (OMISSIS). s.r.l.", applicando all'ente la sanzione amministrativa pecuniaria pari a 200 quote del valore di Euro 300 ciascuna, nonche' la sanzione interdittiva prevista dagli articoli 5, 25-bis e 9, comma 1, n. 2, dello stesso decreto legislativo per la durata di mesi sei, ordinando la pubblicazione della sentenza per estratto, ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 18. 1.1. L'assoluzione era stata fondata dal giudice di primo grado su alcuni argomenti principali: a) i disegni impressi sui nastri sequestrati erano diversi rispetto a quelli oggetto di registrazione da parte delle due case di moda (OMISSIS) e (OMISSIS) e non era rinvenibile nemmeno la presenza di segni distintivi delle predette griffe che permettessero di confondere i rispettivi prodotti (cfr. pag. 4 e ss della sentenza di primo grado) con cio' escludendosi la contraffazione laddove i marchi venissero considerati di tipo "debole"; b) qualora i marchi fossero ritenuti di tipo "forte" non ricorrevano comunque quei requisiti enunciati dalla giurisprudenza di legittimita' per determinare la tutela penale ed identificabili nel riferimento al nucleo ideologico caratterizzante il messaggio proveniente dal marchio; nell'affinita' tra prodotti e nel "rischio di associazione" ai prodotti originali, che determinerebbero un vulnus al segno oggetto di tutela, tenuto conto della destinazione merceologica dei prodotti della ditta individuale " (OMISSIS)" esclusivamente al settore delle bomboniere, assai diverso da quello oggetto interesse delle case di moda coinvolte; c) il marchio "(OMISSIS) check" non sarebbe oggetto di tutela in qualsivoglia colore declinato, ma solo per quella combinazione di colori oggetto di registrazione nella domanda specificamente depositata (ovvero marrone chiaro, beige, rosso, bianco e nero); d) quanto al nastro ricondotto a (OMISSIS), l'aspetto del nastro sarebbe talmente comune da non potersi collegare univocamente alla nota griffe fiorentina, stante anche l'assenza di elementi ulteriori che vanno a comporre il marchio nell'insieme, quali, ad esempio, il monogramma o la staffa. E questo dato e' confortato dalla documentazione prodotta dalla difesa dell'imputato all'udienza del 14 giugno 2019 volta ad evidenziare come l'impiego dei colori del nastro, tra loro accostati nella medesima sequenza "verde-rosso-verde", sia proprio, ad esempio, di altra identita', quale l'ordine cavalleresco al merito del lavoro ovvero sia addirittura presente in opere d'arte figurativa del XV secolo, che riproducono personaggi abbigliati con tessuti a strisce "verde-rosso-verde" (vedi pagina 5 della sentenza). Infine, ad avviso del Tribunale, nessun significato penale di ammissione del reato poteva essere ricondotto all'atto di transazione sottoscritto nel 2010 da (OMISSIS) con la "(OMISSIS)". 1.2. La sentenza d'appello ha ribaltato, sostanzialmente, le affermazioni della pronuncia assolutoria, complessivamente ritenendo provato il reato sulla base principalmente dei seguenti argomenti: a) il marchio "(OMISSIS)" sarebbe registrato anche come marchio "figurativo" in bianco e nero, con copertura della tutela per tutte le declinazioni di colori; b) sono stati sequestrati alla ditta (OMISSIS) anche nastri pedissequamente riproduttivi del disegno grafico e della colorazione "(OMISSIS)" di (OMISSIS) (nastro (OMISSIS)) o estremamente somigliante (nastri (OMISSIS)); c) la tutela penale investe il marchio e non il prodotto, sicche' non ha rilievo il settore merceologico delle bomboniere cui si dedicava l'attivita' d'impresa dell'imputato, tanto piu' che i nastri potevano avere anche altre destinazioni; d) il diritto di preuso riconosciuto in qualche modo all'imputato dal primo giudice si riferisce, al piu', solo alle colorazioni del check diverse da quella classica, poiche' quest'ultima avrebbe avuto gia' una sua notorieta' al momento dell'utilizzo da parte della " (OMISSIS)"; e) non sarebbe credibile la tesi difensiva secondo cui il nastro contraffatto riproduttivo del marchio (OMISSIS) con colorazione verde-rosso-verde era solo un prodotto semilavorato e da completare con caratteri che ne avrebbero impedito l'assimilazione al marchio figurativo piu' famoso oggetto di tutela. 2. Avverso la citata sentenza ricorrono sia l'imputato che l'ente, tramite distinti ricorsi. 3. Il ricorso di (OMISSIS), proposto dal difensore di fiducia, eccepisce sette diversi motivi. 3.1. Il primo argomento di censura evidenzia il vizio di violazione di legge della sentenza impugnata, in relazione alla sussistenza del reato di contraffazione ex articolo 473 c.p. in capo all'imputato. La tesi difensiva e', in sintesi, basata sulla constatazione che i giudici d'appello hanno solo apoditticamente affermato la notorieta' e la natura di "marchio di fatto" del figurativo "(OMISSIS)" di (OMISSIS) gia' in epoca precedente al preuso da parte dell'imputato, superando il difetto di qualsiasi registrazione del marchio in esame che fondasse il diritto di privativa formalmente e, quindi, determinando una violazione della disposizione penale incriminatrice che esplicitamente prevede - dopo la novella del 1999 - l'inciso "potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprieta' industriale", a significare la necessita', per la proprieta' industriale e per la tutela penale, della brevettazione e registrazione del marchio. La sentenza d'appello, con l'interpretazione "estensiva" della tutela penale ad un "marchio di fatto", avrebbe violato i principi di tassativita' della norma penale che, come riconosciuto anche in dottrina, ritiene la registrazione del marchio l'elemento essenziale ed il presupposto dell'integrazione del reato. 3.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia mancanza e manifesta illogicita' della motivazione della sentenza impugnata, ancora una volta stigmatizzando il concetto di marchio "notorio" antecedente alla registrazione formale del figurativo "(OMISSIS)" di (OMISSIS), sotto il profilo del difetto argomentativo ex articolo 606, comma 1, lettera e, c.p.p.: nel processo ed in sentenza non vi sono tracce di prova di tale notorieta' in epoca antecedente all'uso da parte del ricorrente dei nastri incriminati, dedicati, peraltro, ad un settore merceologico ben preciso, quello delle bomboniere, completamente estraneo all'interesse della casa di moda inglese, che ha registrato il marchio "classico" (cammello, nero, bianco e rosso) nel 1986 solo per le classi merceologiche "pelletteria, tessuti e abbigliamento" (classi 18, 24 e 25; mentre i nastri per confezioni appartengono alla classe 16); il disegno "(OMISSIS)", peraltro, ancora nella giurisprudenza civile della Cassazione del 1999, non era univocamente ritenuto espressivo di marchio piuttosto che di decoro figurativo. Inoltre, il ricorrente propone la seguente questione in tema di interpretazione dell'articolo 473 c.p.: il marchio registrato riconoscerebbe un'esclusiva limitata ai prodotti e servizi rivendicati nella domanda, ovvero circoscritta al settore merceologico di riferimento; di conseguenza la sua tutela penale deve essere limitata alla classe merceologica rispetto alla quale viene registrato il marchio o segno distintivo (tanto e' vero che il marchio "(OMISSIS)" puo' essere registrato per due aziende completamente differenti: auto e spumanti): ecco perche' la stessa (OMISSIS) ha registrato numerosi marchi per lo stesso segno "classico" in relazione a diversi prodotti. Nel caso di specie, quindi, la registrazione non afferisce al settore "nastri per confezioni". 3.3. La terza censura attiene al travisamento delle prove in relazione alla parte della condotta di contraffazione riferita al nastro per bomboniere ritenuto pedissequa copia del segno (OMISSIS) (nastro verde-rosso-verde): la sentenza impugnata ha ignorato le emergenze istruttorie dalle quali era evidente che il prodotto sequestrato non era ancora ultimato ne' destinato alla vendita. La polizia giudiziaria ha attestato di aver trovato i nastri "pseudo-(OMISSIS)" solo presso la ditta individuale del ricorrente e non presso la societa' che avrebbe dovuto commercializzarli, a riprova che il nastro fosse una produzione ancora da elaborare, come sostenuto dall'imputato e dal commercialista aziendale; la Corte d'Appello ha equivocato il luogo del ritrovamento del nastro, abbinandolo alla societa' (OMISSIS). s.r.l. e le dichiarazioni del teste (OMISSIS). 3.4. Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui all'articolo 473 c.p. avente ad oggetto il nastro riproduttivo dei colori di (OMISSIS), facendo leva sull'argomento della riconducibilita' del disegno a bande "verde-rosso-verde" anche alla decorazione per l'onoreficenza dell'ordine dei (OMISSIS), disciplinata espressamente dalle leggi n. 199 del 1952 e n. 194 del 1986, che prevedono una croce d'oro piena sorretta da un nastro listato da una banda proprio identica a quella utilizzata dalla griffe, specificando che il nastro puo' essere portato senza la decorazione, a riprova della sua qualita' di nastro-emblema di Stato. La difesa evidenzia che, pur senza voler sindacare la possibile nullita' del marchio riproduttivo di un emblema di Stato (ai sensi della Convenzione di Parigi del 20.3.1883 e successive modifiche, che sancisce la nullita' di marchi industriali che riproducono stemmi, bandiere e altri emblemi di Stato, nonche' del Regolamento UE 2017/1001 del Parlamento Europeo e del Consiglio), non e' stato provato che l'imputato non avesse intenzione di destinare la produzione di nastri all'impiego nell'investitura dei (OMISSIS), perfettamente sovrapponibile tanto piu' per il settore merceologico di utilizzo del nastro, vale a dire bomboniere per cerimonie. 3.5. La quinta ragione di ricorso eccepisce vizio di motivazione del provvedimento di riforma, che non ha corrisposto ai canoni argomentativi giurisprudenziali della cd. "motivazione rafforzata", in particolare omettendo di confrontarsi con le considerazioni del primo giudice circa l'assenza di un effettivo rischio di confondibilita' tra i prodotti, sia per il settore merceologico di riferimento, sia per le caratteristiche intrinseche del nastro e le divergenze rispetto al marchio (OMISSIS) (una "tramatura" giudicata molto "comune"). 3.6. Si denuncia anche, in punto di dosimetria sanzionatoria, la mancata attestazione della pena nel minimo edittale, nonostante la valutazione di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche sull'aggravante ex articolo 474-ter c.p., ritenuta sussistente pur se i marchi contraffatti costituivano solo una minima parte della produzione della ditta individuale ed ancorche' la disciplina aggravatrice sia stata voluta per reprimere fenomeni di attivita' di contraffazione organizzata, certamente estranei al ricorrente. 3.6. Un ultimo motivo di ricorso impugna l'ordinanza del 17.11.2020 della Corte d'Appello ed eccepisce vizio di mancanza e contraddittorieta' della motivazione: i giudici hanno rinnovato solo parzialmente la prova dichiarativa, riascoltando un solo teste tra i tredici dipendenti e tecnici tessili presenti nella lista difensiva, nonche' uno solo dei tre agenti di rappresentanza indicati in lista, senza neppure farsi carico di spiegare le ragioni dell'operata selezione, con cio' ledendo il diritto di difesa del ricorrente. 4. Il ricorso proposto per conto dell'ente - la " (OMISSIS). s.r.l.", in persona del suo procuratore speciale (OMISSIS), evidenzia diversi profili di censura, raccolti in due macroaree: la prima, dedicata a contestare l'an della responsabilita' dell'ente; la seconda, incentrata sui vizi determinativi delle sanzioni inflitte all'ente. 4.1. Quanto alle censure che afferiscono alla stessa affermazione di responsabilita' della persona giuridica, un primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla sussistenza del reato presupposto della responsabilita' amministrativa dell'ente, richiamandosi la difesa alla motivazione della pronuncia di primo grado, che non sarebbe stata superata adeguatamente da quella d'appello. La Corte territoriale ha riconosciuto la notorieta' del marchio di fatto "(OMISSIS)", ritenendo che i prodotti in relazione ai quali e' intervenuta condanna lo riproducessero pedissequamente, senza tener in conto del diritto di preuso, sin dagli anni ottanta (ex articolo 2571 c.c.) riconoscibile al ricorrente, e della mancanza dei presupposti su cui ritenere operante, in assenza di registrazione formale del marchio in epoca precedente al diritto di preuso, un diritto di privativa della societa' londinese derivante dalla asserita rinomanza del suo logo. Inoltre, si sottolinea come il primo marchio vantato come "classico" da (OMISSIS) (con i colori cammello, nero, bianco e rosso), registrato il (OMISSIS) era riferito alle classi merceologiche "pelletteria", "tessuti", "abbigliamento", con esclusione, quindi, dei "nastri per confezione", non ricompresi sino all'anno 1992. La circostanza, evocata dai giudici d'appello, che la tutela penale si accorderebbe al "segno" e non al "prodotto" prova troppo, visto che, se fosse possibile ritenere un marchio tutelato a prescindere dal settore merceologico in cui viene registrato, non vi sarebbe allora necessita' di registrarlo nuovamente per ogni segmento di prodotti. Mancherebbe, altresi', la prova dell'elemento soggettivo del reato, come dimostrerebbe la liceita', riconosciuta dagli stessi giudici di merito, della condotta del ricorrente di produzione di nastri a disegno "scozzese" con colorazioni diverse da quelle tipiche del marchio (OMISSIS). Si invoca, altresi', l'insussistenza del reato di contraffazione di marchi anche per la riproduzione dei nastri con colorazione e disegno "(OMISSIS)" (bande verde-rosso-verde): la difesa sostiene che si trattasse di prodotti merceologici non ancora ultimati, dei "semilavorati", tanto che non vi e' prova della loro commercializzazione (come risulta dallo stesso esame dei testi di polizia giudiziaria e di un operaio della ditta tessile). Inoltre, si rappresenta che il marchio (OMISSIS), in realta', sfrutta un disegno cromatico gia' disciplinato dalla L. n. 1999 del 1952 e dalla L. n. 194 del 1986 per la decorazione della croce di nomina dei (OMISSIS), sicche' il nastro listato da una banda di colore rosso fra due bande verdi e' gia' un "segno" d'interesse pubblico sin da prima della nascita del marchio (OMISSIS) e non avrebbe potuto essere registrato a scopi commerciali, anzi potrebbe essere oggetto di domanda di nullita' ai sensi della Convenzione di Parigi per la protezione della proprieta' industriale del 20.3.1883 e successive modifiche. In ogni caso, tale circostanza, come anche confermato dalla sentenza di primo grado, comporta che non puo' escludersi che i nastri prodotti dalla ditta " (OMISSIS)" potevano essere destinati all'uso per cerimoniale collegato all'investitura dei (OMISSIS). I giudici d'appello, con riguardo alle considerazioni da ultimo svolte, non hanno speso alcuna motivazione, ne' al riguardo potrebbe mai invocarsi una motivazione implicita, poiche' gli argomenti utilizzati a sostegno della condanna non assorbono e superano la questione relativa alla riconducibilita' del marchio all'ordine di rilievo pubblicistico. Si denuncia anche violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata rispetto alle considerazioni del giudice di primo grado relative al fatto che la trama comune del nastro, unita alla circostanza della netta diversita' del settore merceologico di destinazione del prodotto rispetto alla registrazione (OMISSIS), impedivano qualsiasi confusione del marchio. 4.2. Il secondo argomento difensivo eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al necessario presupposto per giungere all'affermazione della responsabilita' amministrativa dell'ente: il reato deve essere stato commesso nell'interesse o a vantaggio della persona giuridica (Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5); al riguardo, la sentenza d'appello non da' alcuna argomentazione se non la tautologica asserzione che la posizione apicale rivestita da (OMISSIS) in entrambe le societa' e il ripetuto acquisto del materiale sono aspetti tali da dimostrare che egli avrebbe agito non nell'interesse esclusivo personale ma anche nell'interesse o a vantaggio della societa' rappresentata, ignorando gli elementi di prova contraria presenti nel processo. In altre parole, non vi e' prova di una politica d'impresa volta all'illecito, tanto piu' che l'attivita' di vendita relativa ai prodotti in contestazione era marginale per la (OMISSIS). s.r.l. e la dimensione irrisoria degli introiti dovuti a tali operazioni commerciali, l'irrilevanza sul suo fatturato (inferiore all'10/0, dimostrata dalla difesa con le produzioni documentali all'udienza del 17.5.2021), lo confermano. 4.3. La terza censura si incentra sull'affermazione di responsabilita' dell'ente (OMISSIS). s.r.l. relativamente alla produzione del nastro ritenuto contraffacente il marchio (OMISSIS). La difesa sottolinea che il sequestro del nastro e' avvenuto solo presso la ditta individuale, poiche' nella societa' condannata non e' stato rinvenuto che il solo nastro (OMISSIS): pertanto, non vi sarebbe prova dell'illecita commercializzazione del prodotto contraffatto da parte dell'ente, che sarebbe stato coinvolto, per tale aspetto del reato, solo per la coincidenza soggettiva tra il titolare della ditta individuale produttrice e l'amministratore legale della persona giuridica. E la stessa imputazione non reca traccia della commercializzazione da parte di (OMISSIS). s.r.l. dei prodotti a marchio contraffatto (OMISSIS), ma si limita a contestare alla persona fisica (OMISSIS), quale titolare della ditta individuale " (OMISSIS)", la produzione illecita, senza che sia coinvolta la societa' poi condannata anche per questa porzione di condotta (riguardo alla contestazione delle violazioni rilevanti ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, il GUP aveva gia' prosciolto in udienza preliminare la ditta individuale dell'imputato, inizialmente imputata, per l'inapplicabilita' della legislazione a tale tipologia di ente: l'imputazione non e' stata mai modificata, peraltro, sicche' la condanna e' stata emessa anche in violazione delle norme del codice di rito a tutela della coerenza tra accusa e sentenza). In altre parole, la tesi difensiva e' che la persona fisica autrice del reato non ha neppure formalmente impegnato l'ente nel compimento di un'attivita' destinata a riversarsi nella sua sfera giuridica, sicche' la condanna per tale parte di condotta relativa alla commercializzazione del prodotto con marchio contraffatto (OMISSIS) sarebbe stata emessa in violazione del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 66. 4.4. Un ulteriore motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'ordinanza emessa il 17.11.2020 dalla Corte d'Appello, con cui si e' disposta la rinnovazione delle prove dibattimentali, senza spiegare sulla base di quale valutazione esse siano state selezionate. In particolare, si lamenta la revoca di alcune prove gia' ammesse in primo grado e la conseguente limitazione del diritto dell'ente alla difesa (testimonianze di operai, agenti di rappresentanza). 4.5. Passando ad esaminare il blocco di eccezioni relative alla determinazione delle sanzioni, una prima ragione difensiva denuncia la dosimetria della sanzione pecuniaria inflitta alla (OMISSIS). s.r.l., con riguardo alla misura delle quote societarie. Nonostante l'affermazione dei giudici d'appello di non particolare gravita' del fatto ascritto all'ente, la determinazione del numero di quote in cui si concretizza la sanzione pecuniaria non e' stata contenuta nel minimo (che e' 100, con massimo edittale di 500 quote ex Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 25-bis), bensi' in una misura che e' pari quasi alla meta' della forbice edittale, con violazione dei parametri commisurativi dettati dagli articoli 10 e 11 del medesimo decreto legislativo (che prescrive di confrontarsi con le condizioni economiche e patrimoniali dell'ente, valutazione del tutto omessa dalla Corte d'Appello, che non ha tenuto conto delle piccole dimensioni imprenditoriali della (OMISSIS). s.r.l.) e delle stesse premesse argomentative anteposte alla sanzione. Si contesta, altresi', la mancata applicazione dell'attenuante ex Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 12, comma 1, priva di motivazione, nonostante sussistessero i due requisiti previsti: a) l'interesse minimo dell'ente al fatto di reato e l'interesse prevalente della persona fisica; b) il danno patrimoniale cagionato di particolare tenuita'. La concedibilita' dell'attenuante avrebbe potuto determinare anche la condizione ex Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 13, comma 3, ostativa all'inflizione delle sanzioni interdittive e quella ostativa alla pubblicazione della sentenza di condanna (articolo 18 del citato decreto legislativo), sanzioni che, pertanto, risultano inflitte al di fuori delle disposizioni di legge. 4.6. La seconda, complessa, ragione di censura afferente al trattamento sanzionatorio denuncia violazione di legge in relazione all'applicazione della sanzione interdittiva all'ente, in assenza della prova dei presupposti richiesti dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 13, nonche' violazione dell'articolo 59 del medesimo decreto, che prescrive che la contestazione deve contenere gli elementi identificativi dell'ente, l'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto che puo' comportare l'applicazione delle sanzioni amministrative (vale a dire, a giudizio della difesa, i caratteri concreti che denotano il deficit organizzativo-preventivo, la natura dell'interesse o vantaggio dell'ente), con l'indicazione del reato da cui l'illecito dipende e dei relativi articoli di legge e delle fonti di prova: il deficit dell'imputazione determinerebbe la sua nullita' per violazione dell'articolo 178, comma 1, lettera c) e del diritto di difesa (articoli 24, 111 Cost; articolo 6 CEDU). Quanto all'assenza dei presupposti ex Decreto Legislativo n. 231, articolo 13, la difesa rileva che non si ricade nel presupposto della lettera a (poiche' il fatto non e' grave), ne' in quello della lettera b (poiche' gli illeciti non sono reiterati: la societa' non e' mai stata imputata o condannata prima del presente processo). Infine, un ultimo argomento difensivo evidenzia la violazione dei criteri previsti dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articoli 11 e 14, in relazione alla scelta di applicare anche la sanzione interdittiva, senza tener conto che la seconda disposizione citata impone una valutazione di proporzionalita' complessiva dell'intervento sanzionatorio nei confronti dell'ente, mentre i giudici d'appello, nel caso di specie, hanno applicato tutte le sanzioni previste dall'articolo 9 del decreto 231, automaticamente e senza motivare sulla loro scelta ne' sul criterio della loro commisurazione. Si rappresenta, in proposito, che il comma 4 del richiamato articolo 14 consente il ricorso all'interdizione dell'attivita' solo se le altre sanzioni risultino inadeguate, poiche' la misura interdittiva costituisce una extrema ratio, data la sua afflittivita' e l'incidenza sulla vita giuridica ed economica dell'ente; la Corte d'Appello, contraddittoriamente ed immotivatamente, ha applicato la sanzione interdittiva, peraltro senza specificare le ragioni della durata stabilita, pur qualificando l'illecito come non di particolare gravita' e non ha indicato le attivita' o le strutture sulle quali deve avere incidenza la sanzione, come invece prescritto dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 69, comma 2: da qui il vizio di omessa motivazione. 4.7. Il terzo motivo di ricorso, attinente alle sanzioni inflitte all'ente, ruota intorno alla condanna alla pubblicazione della sentenza ex Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 18, considerata dai giudici d'appello alla stregua di un effetto automatico dell'affermazione di responsabilita' dell'ente, laddove, invece, il legislatore la prevede come facoltativa, con necessita' di valutazione da parte del giudice della sua necessita' (evidente per l'utilizzo dell'espressione normativa "La pubblicazione della sentenza di condanna puo' essere disposta quando nei confronti dell'ente viene applicata una sanzione interdittiva"); per di piu', la sua applicazione e' subordinata alla riscontrata gravita' della condotta, senza dubbio esclusa nel caso di specie dalla stessa sentenza impugnata. Vi sarebbe, pertanto, sia un vizio di omessa motivazione che di motivazione manifestamente illogica. 5. Il Sostituto Procuratore Generale Pasquale Serrao d'Aquino ha chiesto l'inammissibilita' dei ricorsi. 6. Ha depositato memoria la parte civile "(OMISSIS) s.p.a.", evidenziando con ampie argomentazioni le ragioni di manifesta infondatezza del ricorso; in particolare, si mette in risalto l'assoluta non confondibilita' tra il disegno (OMISSIS) a nastro verde-rosso-verde e il simbolo dei (OMISSIS); tale carattere di distinguibilita' da parte del pubblico rende l'utilizzo del marchio legittimo, tanto che e' stato registrato sia in Italia sia in Europa. Inoltre, si aggiunge che vi sarebbero elementi per ritenere che il settore merceologico di utilizzo nei nastri da parte dell'imputato sia stato anche quello dell'abbigliamento (come emerge dalla transazione della ditta (OMISSIS) con la (OMISSIS) ltd, agli atti del processo) e la totale infondatezza della prospettiva difensiva secondo cui il nastro "(OMISSIS)" poteva essere destinato a quell'uso limitatissimo del conferimento dell'onoreficenza di (OMISSIS), ovvero fosse un prodotto semilavorato non commercializzabile (il quantitativo ritrovato sarebbe di ostacolo a tale ultima conclusione). 7. Ha proposto memoria anche la parte civile "(OMISSIS) ltd", sostenendo la correttezza della decisione di condanna, che contiene una motivazione rafforzata ed esatta dal punto di vista dell'applicazione giurisprudenziale in tema di contraffazione di marchi; si rappresenta, altresi', che la rinnovazione della prova dichiarativa in appello, sfrondando le liste testi, sia stata assunta di comune accordo tra le parti e i giudici. Nel merito, la parte civile evidenzia, quanto alla tesi difensiva sul preuso del marchio (che la memoria ritiene, peraltro, non adeguatamente provata poiche' basata solo su incerte prove testimoniali), come i giudici d'appello hanno correttamente osservato che non vi potesse essere un preuso lecito da parte dell'imputato rispetto alla registrazione del 1986, se gia' da prima di tale anno il marchio era gia' in uso a (OMISSIS) e noto ai consumatori. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso dell'imputato (OMISSIS) non e' inammissibile, sicche' deve rilevarsi l'intervenuta prescrizione del reato, fissata al 19.10.2021 ai sensi degli articoli 157 e 161 c.p., tenuto conto della data dei fatti (contestati al 1.2.2013) e pur computati i periodi di sospensione rilevabili dagli atti. Rileva il Collegio che in particolare, i due motivi di censura proposti dal ricorrente per vizi di natura processuale (il quinto ed il sesto motivo dell'impugnazione di legittimita'), pur infondati, superano la soglia di ammissibilita', di talche' il ricorso e' idoneo - diversamente dai casi di inammissibilita' per manifesta infondatezza delle censure - ad instaurare il rapporto di impugnazione, condizione che consente di rilevare d'ufficio ex articolo 609, comma 2, c.p.p. una causa di non punibilita' nelle more intervenuta, nel caso di specie costituita, appunto, dalla prescrizione del reato (cfr. Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 e Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818, in motivazione). Ed infatti, non e' fondata l'obiezione (quinto motivo) relativa al mancato rispetto dell'obbligo, gravante sul giudice d'appello, di delineare le linee portanti del proprio, alternativo ragionamento decisionale, compendiato nell'endiadi sintetica utilizzata dal ricorrente della violazione dell'obbligo di "motivazione rafforzata" - obbligo che la giurisprudenza di questa Corte regolatrice da tempo indica come lo standard motivazionale necessario per superare la pronuncia di primo grado (cfr., per tutte, Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, Rv. 231679 e Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430), vieppiu' quando il ribaltamento riguardi una sentenza assolutoria. La sentenza impugnata ha ampiamente argomentato sui punti di contrasto tra il proprio convincimento e quello del giudice di primo grado, supportando la motivazione con riferimenti puntuali alle prove raccolte nel processo, in particolare alla struttura dei prodotti con marchio ritenuto contraffatto di "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" ed alle ragioni giuridiche in base alle quali ha ritenuto che fosse integrato il reato previsto dall'articolo 474 c.p. (secondo quanto meglio si dira' di seguito per valutare la sentenza impugnata agli effetti civili). Anche la censura espressa nell'ultimo motivo di ricorso e' priva di fondamento, poiche', se e' vero che non sono stati ascoltati tutti i testi indicati nelle liste ammesse in primo grado, e' altrettanto indubbio che il Tribunale non abbia svolto alcuna istruttoria, avendo pronunciato sentenza di assoluzione sulla base delle sole prove documentali e fotografiche relative ai sequestri dei prodotti con marchi ritenuti contraffatti ed all'esito di un esame della giurisprudenza di legittimita' sia civile che penale. Viene meno, dunque, l'esigenza stessa di ragionare in termini di rinnovazione in contraddittorio orale della prova dichiarativa in caso di overturning di condanna, dettata dal nuovo articolo 603, comma 3-bis, c.p.p. e desunta dalla giurisprudenza di legittimita' (cfr., per tutte, Sez. U, n. 11586 del 30/9/2021, dep. 2022, D., Rv. 282808, che, in motivazione, ha riepilogato il percorso ermeneutico sul tema, disegnato dalle Sezioni Unite, a partire dalla sentenza Sez. U, n. 27620 del 28/4/2016, Dasgupta, Rv. 267490, in linea con la giurisprudenza della Corte EDU): nel caso di specie, infatti, non vi e' stata alcuna assunzione in contraddittorio di testimonianze poi non rinnovate in appello ne' vi e' stata alcuna indicazione motivazionale relativa ad una valutazione di prove testimoniali o della loro attendibilita'. Pertanto, in assenza di elementi che rendano evidenti i presupposti per un proscioglimento nel merito ai sensi dell'articolo 129 c.p.p., deve accedersi ad una pronuncia di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali perche' il reato e' estinto per prescrizione. 1.1. La declaratoria di prescrizione non esime il Collegio dall'esaminare il ricorso agli effetti civili, ai sensi dell'articolo 578 c.p.p., quanto alle sue ulteriori ragioni, essendo stato l'imputato condannato anche alle statuizioni civili in favore delle societa' "(OMISSIS) ltd" e "(OMISSIS) s.p.a." (cfr. Sez. U, n. 35490 del 28/5/2009, Tettamanti, Rv. 244273). Ed infatti, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato per il quale nei gradi di merito e' intervenuta condanna, ai sensi dell'articolo 578 c.p.p., il giudice d'appello e la Corte di cassazione sono tenuti a decidere sull'impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili e, a tal fine, i motivi di ricorso proposti dall'imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna, anche solo generica, al risarcimento del danno dalla mancanza di prova dell'innocenza dell'imputato secondo quanto previsto dall'articolo 129 c.p.p. (cfr., per il giudizio d'appello, negli stessi termini, Sez. 5, n. 28289 del 6/6/2013, Cologno, Rv. 256283; nonche', tra le tante, in ordine al giudizio di legittimita', in motivazione: Sez. 1, n. 14822 del 20/2/2020, Milanesi, Rv. 278943 e Sez. 5, n. 26217 del 13/7/2020, G., Rv. 279598-02, nonche' Sez. 5, n. 28848 del 21/9/2020, D'Alessandro, Rv. 279599. Vedi in precedenza, altresi', Sez. 5, n. 5764 del 7/12/2012, dep. 5/2/2013, Sarti, Rv. 254965 - 01; Sez. 5, n. 14522 del 24/3/2009, Petrilli, Rv. 243343 - 01; Sez. 6, n. 21102 del 9/3/2004, Zaccheo, Rv. 229023 - 01). Secondo le indicazioni della giurisprudenza costituzionale (cfr. la sentenza n. 182 del 2021 Corte Cost.), il giudice penale, chiamato a verificare la sussistenza dell'illecito civile ai sensi dell'articolo 578, comma 1, c.p.p., dovra' basarsi sulla regola di giudizio civilistica per la valutazione della responsabilita', vale a dire il canone valutativo del "piu' probabile che non", piuttosto che sul criterio penalistico dell'alto grado di probabilita' logica (ovvero dell-oltre ogni ragionevole dubbio"), sia pur riconoscendo la non piena sovrapponibilita' della fisionomia del giudizio relativo ai soli interessi civili svolto in sede penale rispetto a quello che si tiene dinanzi al giudice civile (cfr. Sez. 5, n. 4902 del 16/1/2023, Rv. 284101). 1.2. Orbene, le censure di merito relative alla sussistenza del reato di contraffazione nei riguardi della "(OMISSIS) ltd" e della "(OMISSIS) s.p.a." sono prive di pregio, alla stregua della suddetta verifica, e complessivamente anche formulate secondo direttrici di critica inammissibili dinanzi alla Cassazione, poiche' declinate come ricostruzione alternativa degli elementi di prova in atti. Il Collegio premette che la tutela penale accordata alla protezione marchi, riconosciuta nell'ambito di fattispecie di reati cd. "di pericolo", discende dalla necessita' di offrire adeguata garanzia al bene giuridico della fede pubblica, direttamente coinvolto, pur implicando, al fondo, evidenti ragioni di garanzia degli interessi economici sottesi. Le figure tipiche dei delitti previsti dagli articoli 473 e 474 c.p., pertanto, sono costruite secondo lo schema normativo dei reati di pericolo, sicche' cio' che rileva e' la mera attivita' di contraffazione o alterazione dell'altrui marchio in quanto foriera dell'immissione sul mercato di beni suscettibili di ledere la fede pubblica e ingenerare confusione, nuocendo all'affidamento dei consumatori (Sez. 3, n. 14812 del 30/11/2016, dep. 2017, Shi, Rv. 260751; Sez. 5, n. 27743 del 30/4/2019, Campo, Rv. 276772; Sez. 5, n. 28956 del 8/5/2012, Mugnolo, Rv. 253240). Tanto cio' e' vero che, secondo la giurisprudenza assolutamente pacifica di questa Corte regolatrice, integra il delitto di cui all'articolo 474 c.p. la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto, senza che abbia rilievo neppure la configurabilita' della contraffazione grossolana, considerato che l'articolo 474 c.p. tutela, in via principale e diretta, non gia' la libera determinazione dell'acquirente, ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi che individuano le opere dell'ingegno ed i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell'inganno, non ricorrendo, quindi, l'ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanita' della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilita' che gli acquirenti siano tratti in inganno (cfr., per tutte, la piu' recente sentenza massimata sul punto: Sez. 2, n. 16807 del 11/1/2019, Assane, Rv. 275814). Quanto alla configurabilita' oggettiva del reato, ai fini dell'integrazione dei reati di cui agli articoli 473 e 474 c.p., un marchio si intende contraffatto quando la confusione con un segno distintivo similare emerga non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata valutazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica, con riguardo cioe' all'insieme degli elementi salienti, grafici, fonetici o visivi, tenendo, altresi', presente che, ove si tratti di un marchio "forte", sono illegittime anche le variazioni, sia pure rilevanti ed originali, che lasciano sussistere l'identita' sostanziale del nucleo ideologico in cui si riassume l'attitudine individuante (Sez. 2, n. 40324 del 7/6/2019, D'Ospina, Rv. 277049). Inoltre, l'oggettiva e inequivocabile possibilita' di confusione delle immagini, tale da indurre il pubblico ad identificare erroneamente la merce come proveniente da un determinato produttore forma oggetto di un giudizio di fatto demandato al giudice di merito e insindacabile se rispondente ai criteri della completezza e logicita' (Sez. 5, n. 25147 del 31/1/2005, Bellomo, Rv. 231894). La giurisprudenza della Cassazione civile - necessario specchio ermeneutico di quella penale in materia di tutela dei marchi - anche recentemente ha ricordato come la qualificazione del segno distintivo quale marchio "debole" non incide sull'attitudine dello stesso alla registrazione, ma soltanto sull'intensita' della tutela che ne deriva, nel senso che, a differenza del marchio "forte", in relazione al quale vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l'identita' sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l'idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilita' anche lievi modificazioni od aggiunte (Sez. 1, n. 8942 del 14/5/2020, Rv. 657905). E sull'amplissima tutela che la giurisprudenza accorda ai marchi cd. "forti", basti rammentare il costante orientamento che evidenzia la punibilita' di riproduzioni di personaggi di fantasia a marchio registrato, ancorche' non fedeli, ma espressive di una forte somiglianza, che renda possibile la confusione delle immagini tale da indurre il pubblico ad identificare erroneamente la merce come proveniente da un determinato produttore (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 9362 del 13/2/2015, Iervolino, Rv. 262841; Sez. 2, n. 20040 del 20/4/2011, Ferrantino, Rv. 250157; Sez. 5, n. 25147 del 31/1/2005, Bellomo, Rv. 231894). Si rammenta, altresi', nella medesima ottica, la punibilita' della contraffazione dei cd. modelli ornamentali, indicativi della provenienza del prodotto dall'impresa che l'ha brevettato; in tal caso la contraffazione consiste nel dare al prodotto quella forma e quei colori particolari che possono indurre il pubblico ad identificarlo come proveniente da una certa impresa, anche contro le eventuali indicazioni dei marchi con i quali venga contrassegnato (Sez. 5, n. 8758 del 22/6/1999, ROSSI, Rv. 214652, che ha segnalato, come, quando il modello contraffatto sia legittimamente contrassegnato anche da un marchio di provenienza, per la consumazione del reato e' necessario che sia integralmente riprodotta per imitazione una forte capacita' identificativa del modello, pur riconoscendosi autonoma rilevanza penale alla contraffazione del modello a norma dell'articolo 473, comma 2, c.p.). La natura di marchio "forte" si accompagna quasi sempre alla "notorieta'" del marchio, che, in quanto tale, puo' prescindere anche dalla necessita' della registrazione a fini di tutela. E difatti, ai fini della configurabilita' del reato di commercio di prodotti con segni falsi, e' sufficiente e necessaria l'idoneita' della falsificazione a ingenerare confusione, con riferimento non solo al momento dell'acquisto, bensi' alla loro successiva utilizzazione, a nulla rilevando che il marchio, se notorio, risulti, o non, registrato, data l'illiceita' dell'uso senza giusto motivo di un marchio identico o simile ad altro "notorio anteriore" utilizzato per prodotti o servizi sia omogenei o identici, sia diversi, allorche' al primo derivi un indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorieta' del secondo (Sez. 5, n. 40170 del 1/7/2009, Bogoni, Rv. 244750). Naturalmente, allorche' si tratti di marchio di larghissimo uso e di incontestata utilizzazione, pur non essendo richiesta la prova della registrazione, e' comunque indispensabile la previa acquisizione di elementi attestanti la rinomanza del marchio e la notoria sua riferibilita' alla casa produttrice ed alla tipologia di prodotti che contraddistingue, tale da giustificarne la tutela, con conseguente onere, per l'incolpato, di fornire la prova contraria (Sez. 2, n. 46882 del 3/12/2021, Huang, Rv. 282404). Infine, aspetto di fondamentale rilievo interpretativo nell'analisi della fattispecie sottoposta al Collegio, la notorieta' del marchio, la sua fama risalente ed estesa determinano la dimensione del campo applicativo dei delitti previsti dagli articoli 473 e 474 c.p.. Sin d'ora si intende ribadire, infatti, che integra il delitto di cui all'articolo 473 c.p., ovvero quello di cui all'articolo 474 c.p., la contraffazione di marchi celebri pur se apposti su prodotti appartenenti a un settore merceologico diverso da quello tradizionale posto che il bene della fede pubblica e' leso dalla confondibilita', secondo il giudizio del consumatore medio, del marchio originale con quello contraffatto, quand'anche utilizzato in ambiti non tradizionali per effetto di attivita' di "merchandising", non costituendo tale circostanza, di per se' sola, motivo di sospetto (Sez. 5, n. 35235 del 18/5/2022, Lelli, Rv. 283796, nella specie, si trattava di marchi di case automobilistiche apposti su capi di vestiario e "gadget"). 1.3. Anche alla luce del tessuto ermeneutico delineato al paragrafo precedente, risulta l'infondatezza delle ragioni di ricorso relative alla contraffazione dei nastri riportati al marchio notorio e registrato "(OMISSIS)", nelle quali si evocava la sovrapponibilita' tra il disegno a bande "verde-rosso-verde", caratterizzante il marchio famoso, con il nastro costituente la decorazione per l'onoreficenza dell'ordine dei (OMISSIS) e, in ogni caso, l'impiego del nastro in prodotti futuri personalizzati. Infatti, al di la' della questione, comunque ampiamente superata dalla sentenza impugnata, che ha sottolineato - con ragioni in fatto non sindacabili da questa Corte di legittimita', poiche' del tutto plausibili - come il nastro sequestrato all'imputato sia in tutto identico al marchio notorio ampiamente utilizzato e registrato dalla famosa casa di moda (sulla cui notorieta', cosi' come su quella della azienda "(OMISSIS)", la sentenza si e' spesa, apparendo la motivazione al riguardo priva di qualsiasi aporia, al di la' dell'immediata riconoscibilita' delle due "griffes" nel sentire comune), rimane, altresi', nel campo della mera, assertiva prospettazione difensiva, priva di elementi di fatto che la sostengano, la circostanza relativa sia all'uso che di tali nastri si faccia nell'ambito della disciplina dell'onoreficenza citata, sia alla loro destinazione a lavori inerenti all'investitura di "(OMISSIS)" ovvero a lavori non ancora ultimati, nonche' alla natura di semilavorato dei nastri in sequestro, che, una volta completati, avrebbero avuto caratteristiche non confondibili con l'originale. La sentenza impugnata ha enucleato vari indicatori della contraffazione punibile, tra questi: la quantita' di prodotto, confezionato gia' in bobine di grandi dimensioni; l'assenza di campionario o documentazione che prevedesse segni di personalizzazione del nastro, con apposizione di altre figure; la riproduzione cosi' pedissequa del marchio/disegno, da non aver rilievo la tesi difensiva del diverso settore merceologico di utilizzo, essendo compromessa comunque l'identificabilita' del prodotto, come proveniente dalla (OMISSIS). 1.3. Eguale sorte di manifesta infondatezza tocca ai motivi di ricorso dedicati a contestare la responsabilita' del ricorrente per il reato di contraffazione ex articolo 474 c.p. in relazione ai nastri abbinati alla contraffazione del marchio (OMISSIS). La Corte d'Appello ha spiegato, anche con esempi (sia per (OMISSIS) che per (OMISSIS)) le ragioni di fatto e quasi "storiche" sulla base delle quali ha ritenuto il marchio in esame "forte" e notorio, assegnandogli la tutela estesa gia' richiamata, esponendo con argomenti insindacabili, poiche' non manifestamente illogici, il proprio convincimento su tale aspetto - del resto di immediata percezione anche secondo il senso medio di comune percezione - e sulla pedissequa riproduzione ovvero sulla forte similitudine dei prodotti sequestrati, messi a confronto con il disegno "a scacchi" (declinato nel colore classico o in diversi colori) del "brand" famoso. Rimane, pertanto, del tutto infondata la tesi difensiva, che denunciava l'apodittica affermazione della notorieta' e della natura di "marchio di fatto" del figurativo "(OMISSIS)" di (OMISSIS) gia' in epoca precedente al preuso da parte dell'imputato, nonche' della necessita' di registrazione del marchio in esame che fondasse il diritto di privativa formalmente, per il settore merceologico di interesse (non rileva, peraltro, il richiamo difensivo ad un'unica, isolata e risalente pronuncia della giurisprudenza civile, in cui sembra trovare spazio una tutela meno ampia del disegno "(OMISSIS)" - Sez. 1 civile, n. 5243 del 29/5/1999, Rv. 526838 - poiche' la Cassazione, in quella sede, ha preso atto dei limiti del sindacato di legittimita' proprio in relazione alla valutazione del giudice di merito relativa alla prevalente funzione estetica del disegno "check" in esame). Come si e' gia' evidenziato, infatti, integra il delitto di cui all'articolo 474 c.p. la contraffazione di marchi celebri pur se apposti su prodotti appartenenti a un settore merceologico diverso da quello tradizionale posto che il bene della fede pubblica e' leso dalla confondibilita', secondo il giudizio del consumatore medio, del marchio originale con quello contraffatto, quand'anche utilizzato in ambiti non tradizionali e non ricompresi nella produzione di quest'ultimo, come nel caso di specie, in cui il marchio "forte" costituito dal disegno "(OMISSIS)" e' stato pedissequamente riprodotto in nastri di tessuto, destinati al settore delle bomboniere da cerimonia. La tutela penale di marchi celebri, quindi, deve essere estesa anche a settori merceologici completamente estranei all'interesse del brand oggetto della riproduzione pedissequa, allorche' si rischi, secondo il giudizio del consumatore medio, la confondibilita' dell'attribuzione del prodotto riproduttivo del marchio, del disegno o del modello ornamentale originali e "forti" perche' "ampiamente notori". In altre parole, cio' che conta e' la capacita' del disegno, della forma o del modello ornamentale di rappresentare un "segno distintivo", la cui contraffazione pone in pericolo il bene della fede pubblica. Significative, al riguardo, sono le affermazioni della giurisprudenza civile di legittimita', che ha recentemente evidenziato come possa essere registrato e tutelato come marchio di forma quel prodotto la cui pubblicizzazione e commercializzazione ne abbiano favorito la diffusione tra il pubblico al punto da comportare la generalizzata riconducibilita' di quella determinata forma dell'oggetto ad una specifica impresa, consentendo l'acquisto, tramite il c.d. "(OMISSIS)", di capacita' distintiva del marchio che ne era originariamente privo (Sez. 1 civile, ord. n. 30455 del 17/10/2022, Rv. 666037). La stessa giurisprudenza Europea ha osservato che "non si puo'.. escludere che l'aspetto estetico di un marchio (...) che assume (una determinata) forma (...) possa essere tenuto in considerazione, tra gli altri elementi, per accertare uno scostamento dalla norma e dagli usi del settore, purche' tale aspetto estetico sia inteso come richiamante l'effetto visivo oggettivo e inusuale del design specifico del marchio suddetto (sentenza del 12 dicembre 2019, Euipo/Wajos, C-783/18, p. 32; Tribunale UE, 14 luglio 2021, T488/20, p. 43 e 44); di conseguenza, "la presa in considerazione dell'aspetto estetico del marchio (...) mira a verificare (...) se tale aspetto e' idoneo a suscitare un effetto visivo oggettivo e inusuale presso il pubblico di riferimento" (i richiami alla giurisprudenza Europea ed una piu' ampia analisi del tema sono contenuti nella citata ordinanza Sez. 1 civ., n. 30455 del 2022). Del resto, lo stesso percorso storico che ha legato l'azienda del ricorrente con la societa' "(OMISSIS)" fa da sfondo utile a quanto sinora affermato: gia' in passato, infatti, era stato siglato un accordo di "non concorrenza sleale" tra la casa di moda inglese e la " (OMISSIS)", con riguardo alla produzione di un prodotto di abbigliamento (gambaletti), decorati con un nastro riportante il marchio contraffatto prodotto dalla societa' dell'imputato. Anche in questo caso, infine, cosi' come gia' evidenziatosi per il brand "(OMISSIS)", sono insindacabili le ragioni di accertamento che hanno condotto la Corte d'Appello a ritenere del tutto sovrapponibile il disegno dei prodotti sequestrati con quello del marchio originale (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata), concludendo per la contraffazione di questo e, nel caso di alcuni nastri, per l'imitazione pedissequa anche del colore (OMISSIS) nelle sue ben note sfumature di colore, sicche' non assume rilievo la destinazione ad un settore merceologico (quello delle bomboniere per cerimonie e occasioni speciali) che non vede operativo il colosso del lusso inglese. In ogni caso, il preuso evocato dal ricorrente e' rimasto privo di elementi di fatto utili a ritenerlo esistente, e rilevante secondo le indicazioni della giurisprudenza di legittimita' (cfr. Sez. 5, n. 28956 del 8/5/2012, Mugnolo, Rv. 253239), essendo stato, anzi, espressamente escluso dalla Corte d'Appello, che ha evidenziato la risalenza del marchiom (OMISSIS) come marchio notorio (in tal senso devono leggersi anche le lunghe memorie di parte civile). 1.4. In relazione alla posizione del ricorrente (OMISSIS), quindi, la sentenza deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali per essere il reato estinto per prescrizione; il ricorso, invece, deve essere rigettato agli effetti civili, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili, da liquidarsi in complessivi Euro 4.900,00, oltre accessori di legge. 2. Sono, invece, fondate le ragioni di ricorso proposte dall'ente, la societa' " (OMISSIS) s.r.l.", coinvolta nel processo sulla base della prospettazione di un vantaggio derivato all'ente dalla commissione del reato. 2.1. Anzitutto, deve essere chiarito che, in tema di responsabilita' degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 8, comma 1, lettera b), deve procedere all'accertamento autonomo della responsabilita' amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l'illecito fu commesso che, pero', non puo' prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato (Sez. 6, n. 21192 del 25/1/2013, Barla, Rv. 255369; Sez. 4, n. 22468 del 18/4/2018, Eurocos s.n.c., Rv. 273399; vedi anche Sez. 4, n. 38363 del 23/5/2018, Consorzio Melinda S.C.A., Rv. 274320-03). La responsabilita' dell'ente sussiste, infatti, anche quando il reato "presupposto" si estingue per una causa diversa dall'amnistia (cosi', espressamente, il Decreto Legislativo n. 8 giugno 2001, n. 231, articolo 8, comma 1, lettera b)). Si tratta di una delle ipotesi, espressamente contemplate dalla legge, in cui l'inscindibilita' tra le vicende processuali delle persone fisiche e quelle dell'ente puo' venire meno, con la conseguenza che l'accertamento della responsabilita' amministrativa della societa' nel cui interesse o per il cui vantaggio il reato e' stato commesso puo' e deve proseguire attraverso un percorso processuale autonomo, nella sede propria del processo penale voluta dal legislatore della "L. 231", pur non potendosi prescindere da una verifica quanto meno incidentale circa la sussistenza del fatto di reato. In situazioni del genere, dunque, il potere cognitivo del giudice penale resta immutato, dovendo egli comunque procedere all'accertamento della sussistenza del reato cd. presupposto. In altre parole, per il principio di autonomia della responsabilita' dell'ente (articolo 8 cit.), la prescrizione del reato presupposto nei confronti della persona fisica autrice, anche se dichiarata nello stesso processo in cui e' imputato l'ente, non fa venir meno la sussistenza della sua eventuale responsabilita' (ed e' irrilevante che vi sia stata anche una pronuncia ex articolo 578 c.p.p. nei confronti della persona fisica. Il differente regime di prescrizione previsto normativamente per l'ente-imputato e' stato ritenuto compatibile con i principi costituzionali da Sez. 6, n. 28299 del 10/11/2015, dep. 2016, Bonomelli, Rv. 267047). 2.2. Nel percorso motivazionale dell'impugnata pronuncia non risultano, tuttavia, adeguatamente illustrati, se non con una formula del tutto generica, inidonea a dar conto delle ragioni giustificative dell'esito decisorio, i criteri oggettivi attraverso cui la Corte di merito e' pervenuta all'affermazione della responsabilita' dell'ente. Al riguardo, la Corte d'Appello si e' limitata a riportare, del tutto tautologicamente, l'interesse dell'ente alla posizione apicale di (OMISSIS), quale legale rappresentante sia della ditta produttrice dei prodotti con marchio contraffatto - la ditta individuale " (OMISSIS)" di (OMISSIS) - sia dell'ente stesso - la " (OMISSIS). s.r.l." - che commercializzava i prodotti contraffatti: da questa identita' personale e dall'oggetto delle attivita' di impresa si e' desunto del tutto apoditticamente il vantaggio dell'ente, in ragione del quale si attiva la responsabilita' ex L. n. 231 del 2001. Non sono stati presi in considerazione elementi concreti, indicativi dell'interesse e della consapevolezza dell'illecito in capo all'ente. La motivazione della sentenza impugnata e' del tutto inidonea a sostenere l'affermazione di responsabilita' ai sensi della L. n. 231 del 2001. Come ha di recente, condivisibilmente, chiarito la Sesta Sezione Penale, nella sentenza Sez. 6, n. 23401 del 11/11/2021, dep. 2022, Impregilo s.p.a., Rv. 283437, l'addebito di responsabilita' all'ente non si fonda su un'estensione, piu' o meno automatica, della responsabilita' individuale al soggetto collettivo, bensi' sulla dimostrazione di una difettosa organizzazione da parte dell'ente, a fronte dell'obbligo di auto-normazione volta alla prevenzione del rischio di realizzazione di un reato presupposto, secondo lo schema legale dell'attribuzione di responsabilita' mediante analisi del modello organizzativo. L'illecito dell'ente, infatti, pur se inscindibilmente connesso alla realizzazione di un reato da parte di un autore individuale nell'interesse o a vantaggio dell'ente, risulta comunque caratterizzato da autonomia di configurazione giuridica, poiche' fondato su presupposti di tipicita' normativa differenti, basati su un deficit organizzativo "colpevole" che ha reso possibile la realizzazione di tale reato. Si e' percio' affermato che, in tema di responsabilita' delle persone giuridiche per i reati commessi dai soggetti apicali, ai fini del giudizio di idoneita' del modello di organizzazione e gestione adottato, il giudice e' chiamato ad adottare il criterio epistemico-valutativo della cd. "prognosi postuma", proprio della imputazione della responsabilita' per colpa: deve cioe' idealmente collocarsi nel momento in cui l'illecito e' stato commesso e verificare se il "comportamento alternativo lecito", ossia l'osservanza del modello organizzativo virtuoso, per come esso e' stato attuato in concreto, avrebbe eliminato o ridotto il pericolo di verificazione di illeciti della stessa specie di quello verificatosi, non richiedendosi una valutazione della "compliance" alle regole cautelari di tipo globale. Il Collegio intende ribadire tale principio di diritto anche nel caso oggi in esame e nella fattispecie sottoposta al suo giudizio, gia' descritta poco sopra. Infatti, sia nell'ipotesi valutata dalla sentenza della Sesta Sezione Penale richiamata, che in quella che occupa lo spazio decisorio del Collegio nel presente processo, il giudice di merito, oltre a non aver individuato gli specifici profili di colpa di organizzazione, non ha, ovviamente, neppure accertato se tale elemento - vale a dire la "colpa in organizzazione" - abbia avuto incidenza causale rispetto alla verificazione del reato presupposto. In altre parole, si intende aderire a quella che, in dottrina, e' stata individuata come una nuova frontiera ermeneutica in relazione all'illecito degli enti, e cioe' la tesi che ricostruisce la struttura dell'illecito dell'ente secondo un modello di tipo colposo, forse per la prima volta chiaramente espressa dalla decisione citata n. 23401 del 2022. In tale prospettiva interpretativa, l'accertamento della responsabilita' dell'ente deve passare attraverso la verifica della sussistenza di specifici nessi, di ordine naturalistico e normativo, che intercorrono tra la carenza organizzativa e il fatto-reato, sicche' il reato presupposto deve essere messo in collegamento con la carenza di auto-organizzazione preventiva, che costituisce la vera e propria condotta stigmatizzabile dell'ente. Ed e' evidente, quindi, che il giudice di merito dovra' dimostrare, al fine di giustificare l'affermazione di responsabilita' dell'ente, di aver valutato il suo deficit di auto-organizzazione, vale a dire la carenza di quel complesso delle regole elaborate dall'ente per la prevenzione del rischio reato, che trovano la loro sede naturale nei "Modelli di organizzazione, gestione e controllo", delineati, su un piano generale di contenuti, dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articoli 6 e 7. La dottrina ha favorevolmente accolto questa nuova e piu' consapevole prospettiva di accertamento, che, invero, era gia' presente, in nuce, nella sentenza Sez. U, n. 38343 del 24/4/2014, Espenhahn, Rv. 261115 (per quanto sviluppata su di un illecito presupposto di tipo colposo), sottolineando, con indicazione condivisa dal Collegio, come non sia consentito al giudice di merito neppure un vaglio sull'adeguatezza del modello condotto solo "in generale", ma sia necessaria una verifica in concreto; ne' e' possibile giungere a sanzionare l'ente in ragione di una "cultura d'impresa deviante", ovvero mediante un criterio sillogistico semplificatorio secondo cui la commissione del reato equivale a dimostrare l'inidoneita' dell'assetto organizzativo. Invece, il giudice di merito, deve verificare se il reato della persona fisica sia la concretizzazione del rischio che la regola cautelare organizzativa violata mirava ad evitare o, quantomeno, tendeva a rendere minimo; ovvero deve accertare che, se il modello "idoneo" fosse stato rispettato, l'evento non si sarebbe verificato. Seguendo tale linea interpretativa, ispirata alla valorizzazione dei principi costituzionali riferiti alla materia penale nel sistema della "231", la responsabilita' dell'ente deriva dalla valutazione sulla bonta' del modello organizzativo di prevenzione degli illeciti di cui si e' dotato: l'ente che si dota di modelli organizzativi idonei e tendenzialmente efficaci potrebbe, pertanto, andare esente da responsabilita' ex L. n. 231 del 2001, pur se un reato presupposto sia stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio, con prevedibile effetto virtuoso anche rispetto all'incentivazione dell'adozione di modelli di compliance aziendale. Ovviamente, l'ente che non si sia dotato affatto di siffatti modelli organizzativi rispondera' verosimilmente del reato presupposto commesso dal suo rappresentante, se compiuto a suo vantaggio o nel suo interesse. Nel caso di specie, si rende necessario colmare la carenza motivazionale relativa sia alla verifica della sussistenza di un modello di compliance ed alla sua adeguatezza ed idoneita' a prevenire il reato presupposto, sia alla sussistenza del vantaggio o interesse dell'ente, solo acriticamente evocato dalla sentenza impugnata, nonostante, come ha sottolineato la societa' ricorrente, questi vadano accertati in concreto. Il Collegio rammenta, peraltro, come i due criteri di imputazione oggettiva dettati dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5 siano alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell'interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile "ex ante", cioe' al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile "ex post", sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito (cosi', Sez. U, Espenhahn, Rv. 261114). Nessuna distinzione al riguardo si legge in sentenza: la motivazione del provvedimento impugnato si e' limitata ad abbinare l'interesse della societa' all'interesse proprio della persona fisica, legale rappresentante di entrambe le aziende legate alla produzione e commercializzazione dei prodotti contraffatti, senza prendere neppure in esame il fatturato complessivo dell'ente rispetto agli introiti derivanti dalla commercializzazione dei prodotti in sequestro, che, pur se non configurabile come parametro decisivo ai fini di ritenere o meno sussistente la responsabilita' ex L. 231, puo' comunque costituire uno degli indicatori valutabili al riguardo (in questo, anche, colgono nel segno le sollecitazioni difensive). 2.3. Rimangono assorbite le pur fondate doglianze difensive relative alle sanzioni inflitte all'ente, in relazione alle quali il Collegio rileva che: - avrebbe dovuto applicarsi il Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 25-bis, che non prevede un minimo sanzionatorio qualora il reato presupposto sia costituito dai delitti di cui agli articoli 473 e 474 c.p., laddove la Corte territoriale ha applicato l'articolo 10 del medesimo testo normativo, norma generale che prevede il minimo di cento quote indicato in sentenza; - l'applicazione delle sanzioni interdittive previste dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 9 e' subordinata alla sussistenza delle condizioni indicate dall'articolo 13 Decreto Legislativo cit.: necessariamente, quindi, il giudice penale che intenda applicare detta sanzione deve motivare la ricorrenza delle condizioni di legge che ne costituiscono indispensabile presupposto; - la pubblicazione della sentenza di condanna per estratto costituisce una sanzione ulteriore e facoltativa, dunque da motivare appositamente, e non discende automaticamente dalla condanna. 2.4. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata nei confronti dell'ente, con rinvio al giudice penale - che e' il giudice "naturale" nel processo instaurato nel sistema della responsabilita' degli enti - competente a norma del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 36, vale a dire ad altra Sezione della Corte d'Appello di Genova. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nei confronti di (OMISSIS), agli effetti penali per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso del medesimo (OMISSIS) agli effetti civili e condanna il ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili che liquida in complessivi Euro 4.900,00, oltre accessori di legge. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS). s.r.l., con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Genova.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere Dott. BELLINI Ugo - rel. Consigliere Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 08/07/2021 della CORTE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. BELLINI UGO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa TASSONE KATE che ha concluso riportandosi alla memoria gia' in atti e concludendo per l'inammissibilita' del ricorso; E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di NAPOLI in difesa di (OMISSIS). Il difensore preliminarmente chiede di verificare la sussistenza della condizione di procedibilita' ai sensi della riforma Cartabia, illustra i motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza resa alla udienza del 8 Luglio 2021, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Napoli che aveva riconosciuto la responsabilita' dei ricorrenti in relazione al reato di associazione per delinquere diretta alla commissione di piu' delitti di furto aggravato (capo A) e di una serie di ipotesi di furto di portafogli in concorso operate in (OMISSIS) ai danni di cittadini stranieri con le aggravanti della destrezza, dell'essere stati eseguiti sul bagaglio di viaggiatori e presso stazione ferroviaria ((OMISSIS)), riscontrata la illegalita' degli aumenti apportati dal primo giudice per la recidiva, rideterminava la pena nei confronti degli imputati nella seguente misura: (OMISSIS) in anni quattro, mesi due giorni dieci di reclusione ed Euro 550 di multa. (OMISSIS) in anni quattro di reclusione ed Euro 480 di multa. (OMISSIS) in anni tre mesi nove giorni dieci di reclusione ed Euro 344,00 di multa. (OMISSIS) in anni tre mesi nove giorni dieci di reclusione ed Euro 344,00 di multa. (OMISSIS) in anni tre mesi sette giorni dieci di reclusione ed Euro 190 di multa. Confermava nel resto la gravata sentenza, disattendendo le eccezioni di nullita' di ordine processuale dedotte da alcuni dei ricorrenti, nonche' rilevando come le asserite carenze motivazionali concernenti i decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche risultassero sanate in ragione dell'accesso al rito abbreviato, trattandosi di difetti che non determinavano nullita' patologiche. 2. Nell'indicare i fatti oggetto di contestazione nei confronti dei singoli imputati e nell'evidenziare le fonti di prova, consistite in attivita' di osservazione, controllo e documentazione di riprese filmate presso la stazione centrale di (OMISSIS), da cui traeva origine la condotta criminosa, nonche' gli esiti di captazioni telefoniche, riconosceva la sussistenza del delitto associativo, evidenziando la serialita' dei fatti reato, la diversificazione dei singoli ruoli, la ricorrenza di un modus operandi basato su dinamiche collaudate, su azioni sinergiche, se non sincroniche, e collegamenti tra i singoli associati, l'occupazione di posizioni fisse, una attivita' di coordinamento tra le singole azioni in grado di prevenire l'opera di monitoraggio delle forze dell'ordine cosi' da consentire ai correi di mescolarsi nella folla e una capacita' del gruppo di reimpiegare immediatamente la refurtiva con particolare riferimento alla cessione e all'utilizzo delle carte di credito. 3. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione le difese dei ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). 3.1 (OMISSIS) con i primi due motivi di ricorso deduce mancanza di motivazione, in relazione al motivo di appello sub.2) in ordine alla violazione dell'articolo 267 c.p.p., comma 1 con conseguente inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche poste a fondamento dell'accertamento della responsabilita' penale dell'imputato. Sul punto deduce altresi' violazione di legge. Premessa una ricostruzione dei principi giurisprudenziali del giudice di legittimita' in ordine all'onere motivazionale, anche per relationem che grava sul giudice che autorizza la captazione di utenze telefoniche, assume che i decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche in oggetto non possedevano i requisiti minimi, sotto il profilo dell'autonomia e delle ragioni del convincimento espresse dal giudice, tali da giustificare la necessita' o l'urgenza delle captazioni 3.1.1 Con una terza articolazione lamenta violazione di legge e vizio motivazionale della sentenza impugnata con riferimento alla carenza degli elementi costitutivi del reato associativo, nonche' per erronea valutazione degli elementi probatori acquisiti e manifesta illogicita' della motivazione con riferimento alla ipotesi dell'applicazione della fattispecie di cui all'articolo 110 c.p., con riferimento alla doglianza sub 4 dei motivi di appello. Premessa, anche in relazione al presente motivo, una ricostruzione sulla evoluzione giurisprudenziale dei requisiti del reato associativo e richiamati i presupposti del reato associativo (costituiti dal vincolo associativo destinato a durare a prescindere dai reati realizzati, dalla indeterminatezza del programma criminoso e da una struttura organizzativa seppure rudimentale) evidenzia come nella specie facessero difetto, in relazione all'elemento soggettivo del reato, la consapevolezza e la volonta' del (OMISSIS) di partecipare e di cooperare nella struttura criminosa, e pertanto l'affectio societatis, laddove il (OMISSIS), pur partecipando ad una azione delittuosa nel concorso di altri soggetti, sia pure utile alla realizzazione dei singoli reati, non aveva mai assunto una veste di associato, risultando motivato da fini personali ed egoistici, mai sorretti dalla consapevolezza e la volonta' di aderire al sodalizio, al pari di un concorrente esterno, figura non riconducibile alla ipotesi dell'articolo 416 c.p., privo di poteri organizzativi ed estraneo alle dinamiche interne della societa'. Mancavano pertanto nella specie i tratti salienti del concorrente nel delitto associativo, che non sono ravvisabili in alcun atto processuale. Sotto diverso profilo evidenzia che l'apporto fornito dal (OMISSIS) risultava limitato alla fase esecutiva e che pertanto, se da un lato doveva essere esclusa una sua appartenenza strutturata all'associazione, il contributo fornito doveva essere ritenuto di minima importanza e sul punto la motivazione della sentenza impugnata risultava lacunosa. 3.1.2 Con una quarta articolazione lamenta mancanza e manifesta illogicita' della motivazione con riferimento all'omessa statuizione inerente al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, per non avere il giudice distrettuale preso in considerazione parametri valutativi di particolare rilievo quali i modesti precedenti penali del reo ed il comportamento collaborativo dello stesso. 3.2 (OMISSIS) propone due motivi di ricorso. Con il primo deduce illogicita' della motivazione in relazione alla sussistenza degli elementi idonei a provare la penale responsabilita' dell'imputato in relazione al delitto associativo di cui al capo A). Assume che dagli elementi probatori acquisiti risultava difettare la ricorrenza di uno stabile vincolo associativo, che non poteva essere desunto dalla ripetitivita' e dall'aderenza ad uno schema preordinato delle singole azioni predatorie, in assenza di una adeguata verifica dei singoli ruoli e di un programma criminoso stabile e permanente, atteso che le azioni preordinate alla realizzazione di borseggi erano espressione di un modus operandi "standard", utilizzato indifferentemente in azioni criminose similari e quindi inidoneo a caratterizzare in struttura associativa l'attivita' delittuosa dei vari concorrenti. In relazione poi alla posizione del (OMISSIS) l'istruttoria non era stata in grado di isolare a suo carico, a prescindere dalla partecipazione ai reati fine, condotte o collegamenti tali da palesare il coinvolgimento in una struttura organizzativa destinata a durare, ovvero la stabilita' di un vincolo associativo al quale ricondurre il proprio operato. 3.2.1 Con una seconda articolazione deduce la illogicita' della motivazione in relazione al riconoscimento della responsabilita' del (OMISSIS) in ordine al capo H) della rubrica. Assume il ricorrente che le manovre, pure monitorate da parte delle forze dell'ordine, che vedevano il ricorrente ed altro imputato consegnare un oggetto al (OMISSIS) che poi, temendo di essere controllato dalla Forze dell'ordine, si era dato alla fuga e si era sbarazzato di una carta di credito, non erano in grado di giustificare l'inferenza che la carta di credito, poi rinvenuta, fosse stata oggetto di furto da parte del ricorrente, in assenza di una denuncia di furto e della prova della pregressa sottrazione della carta, ovvero che il bene consegnato dal (OMISSIS) fosse quello di cui il (OMISSIS) si era disfatto dopo essersi dato alla fuga. 3.3 La difesa dei ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) propongono, con distinti ricorsi, una unica doglianza con la quale ciascuno assume illogicita' e contraddittorieta' della motivazione della sentenza in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, assumendo il rilievo, ai fini del riconoscimento, dell'intervenuta confessione, quale sintomo di resipiscenza e discontinuita', tenuto conto che la graduazione della pena deve rispondere a principi di personalizzazione ed essere proporzionata al disvalore giuridico delle condotte ascritte. In relazione alla posizione del (OMISSIS) si assume non essere stata valorizzata l'assenza di precedenti penali tra l'esecuzione di pena relativa ad una condanna riportata nell'anno 2012 e l'applicazione della misura cautelare per i fatti di cui all'imputazione avvenuta nel corso dell'anno 2019, quale ulteriore indice di discontinuita' e ravvedimento. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Ritiene il Collegio che i motivi sopra richiamati siano manifestamente infondati, in quanto modulati in fatto, privi di confronto con la decisione impugnata, non scanditi da necessaria critica alle argomentazioni poste a fondamento della decisione. La sentenza si presenta lineare e congrua, non presenta contraddizioni evidenti e pertanto non si presta ad essere sottoposta al sindacato di legittimita', a fronte di argomenti di impugnazione meramente ripropositivi di censure gia' sviluppate nel giudizio di appello e disattese con congrua motivazione logico giuridica. 1.1 Ne deriva che le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruita' della motivazione. Ulteriore conseguenza della "doppia conforme" di condanna e' che il vizio di travisamento della prova puo' essere dedotto con il ricorso per cassazione solo nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L e altro, Rv. 27201801). Nessuna di tali condizioni ricorre nella specie (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE MARZO Giuseppe - Presidente Dott. MASINI Tiziano - Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere Dott. GIORDANO Rosaria - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: dalla parte civile (OMISSIS), ANCHE QUALE ES.POT.GEN. SU FIGLIO: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 01/02/2022 della CORTE APPELLO di VENEZIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ROSARIA GIORDANO; letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore Generale KATE TASSONE che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo di ricorso, con assorbimento degli altri; letta la memoria scritta del difensore della ricorrente, avv. (OMISSIS), la quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso; letta la memoria scritta del difensore dell'imputato, avv. (OMISSIS), che ha concluso per il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Venezia, in riforma della sentenza di primo grado, ha assolto l'imputato dai reati ascritti ai capi A) e C) dell'imputazione, condannando lo stesso per il solo reato di lesioni aggravate, ritenute le circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante, alla pena di mesi sei di reclusione e rideterminando il risarcimento del danno in favore della parte civile ricorrente nell'importo di Euro duemila. 2. Avverso la richiamata sentenza della Corte d'Appello di Venezia la parte civile costituita (OMISSIS), in proprio e nella qualita' di esercente la responsabilita' genitoriale sul figlio minore, (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione mediante il difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), articolando sei motivi d'impugnazione, di seguito enunciati nei limiti declinati dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), per inosservanza e/o erronea applicazione dell' articolo 612-bis, comma 1, 2 e 4, e articolo 614 c.p., comma 1 e 4, Secondo la prospettazione della SANYO', in particolare, la Corte territoriale avrebbe ritenuto illogicamente inattendibili le sue dichiarazioni, e non integrato il reato di stalking per un'assunta non abitualita' delle condotte persecutorie senza avvedersi che le stesse erano state tollerate per anni al solo fine di consentire i rapporti tra l'imputato e il loro figlio minore (OMISSIS). La ricorrente contesta inoltre l'assoluzione dell'imputato dal reato di violazione di domicilio aggravato ex articolo 614 c.p., comma 1 e 4, in quanto, come aveva dichiarato nel corso dell'istruttoria dibattimentale in primo grado, in data 18 aprile 2020, il (OMISSIS), era entrato nella sua abitazione contro la sua volonta'. 2.2. La ricorrente assume, poi, con il secondo motivo, che la sentenza della Corte d'appello e' incorsa, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., nel vizio di mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione rispetto alla ritenuta inattendibilita' delle dichiarazioni testimoniali di essa persona offesa, nonche' dei testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), e alla rilevanza complessiva del certificato medico del (OMISSIS). In particolare, quanto ai testi, sarebbero state riportate solo sinteticamente le dichiarazioni degli stessi per smentire la sua ricostruzione dei fatti e, rispetto al certificato, non si sarebbe attribuita rilevanza a quanto aveva riferito al Pronto Soccorso sugli eventi che avevano determinato le lesioni occorsole. 2.3. La (OMISSIS), lamenta, inoltre, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullita', inutilizzabilita', inammissibilita' o decadenza con riferimento agli articoli 526, 603 c.p.p. e articolo 111 Cost., per mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, violazione del contraddittorio ed erronea utilizzazione nella motivazione di un documento non acquisito. Il vulnus dedotto si sostanzierebbe nella circostanza che la Corte territoriale avrebbe tenuto conto in piu' passaggi della Relazione dei servizi sociali del 21 settembre 2021 allegata dall'imputato ai motivi aggiunti proposti con l'atto di appello senza che fosse stato garantito alcun contraddittorio su tale documento. 2.4. La ricorrente denuncia inoltre inosservanza o erronea applicazione, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) degli articoli 582, 585, 577 e articolo 61 c.p., comma 1, n. 11-quinquies per l'omessa valutazione della sussistenza di quest'ultima aggravante, pure contestata e provata nel corso del dibattimento, con conseguente erronea valutazione della prova sul risarcimento del danno proprio e del figlio minore (OMISSIS), anch'egli vittima dei comportamenti violenti del padre. 2.5. Mediante il quinto motivo, la SANYO' assume violazione, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), rispetto al mancato riconoscimento della stessa aggravante ex articolo 61, comma 1, n. 11-quinquies c.p. e all'omessa condanna dell'imputato al risarcimento dei danni subiti dal figlio minore (OMISSIS), trascurando il verificarsi dei fatti, anche quello di cui al capo B), in presenza dello stesso come indicato nelle rispettive imputazioni. 2.6. La parte civile ricorrente denuncia infine inosservanza o erronea applicazione ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), degli articoli 538, 539, 540 e 541 c.p.p. nonche' errata ed illogica quantificazione del risarcimento ad essa ricorrente poiche' la somma liquidata non avrebbe tenuto conto delle gravi lesioni occorse ne' personalizzato le stesse in conseguenza del danno morale subito. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo e' inammissibile, in quanto lo stesso, pur formalmente volto a criticare, sotto il profilo dell'inosservanza o erronea applicazione di legge, la sentenza impugnata sul piano della ritenuta esclusione da parte della Corte territoriale dei fatti ascritti ai capi A) e C) dell'imputazione, tende, piuttosto, a far valere un'erronea valutazione del compendio probatorio ad opera della stessa ai fini di una differente ricostruzione dei fatti per cui e' processo. Nel giudizio di cassazione e' tuttavia preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (ex multis, Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 - 01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482 - 01; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, Rv. 235507 01). 2. Per ragioni analoghe deve ritenersi inammissibile anche il secondo motivo di ricorso con il quale, espressamente deducendo un vizio di motivazione, la (OMISSIS) contesta la ritenuta inattendibilita' delle dichiarazioni rese da essa parte civile nonche' dalla figlia (OMISSIS) e dai testi (OMISSIS) e (OMISSIS). In realta', con motivazione congruamente e logicamente argomentata, la Corte territoriale ha posto in rilievo le contraddizioni delle propalazioni di Zsaklin rispetto a quelle della madre, quanto alle condotte dell'imputato, e gli stessi testi della parte civile (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno smentito talune condotte addebitate dalla (OMISSIS) al (OMISSIS), cosi' contribuendo, unitamente alle dichiarazioni dei testi addotti dall'imputato, all'esito assolutorio per i capi A) e C). In nessun vizio peraltro e' incorsa la Corte territoriale nel non aver valorizzato le dichiarazioni rese dalla (OMISSIS), in Pronto Soccorso quanto a condotte diverse e indipendenti da quelle che avevano determinato le lesioni. 3. Quanto al terzo motivo, non risulta alcuna opposizione della difesa dalla (OMISSIS), nel giudizio di appello a fronte della produzione, con i motivi aggiunti, della relazione dei servizi sociali, all'acquisizione della stessa, dacche' l'inammissibilita' del motivo proposto solo con il ricorso in sede di legittimita'. Al riguardo, va ribadito che, nel giudizio di appello l'acquisizione di una prova documentale, pur non implicando la necessita' di una formale ordinanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, postula che la prova richiesta sia rilevante e decisiva rispetto al quadro probatorio in atti e deve essere operata assicurando il contraddittorio fra le parti, a pena di inutilizzabilita' ai fini della deliberazione, ai sensi dell'articolo 526 c.p.p., comma 1, (Sez. 3, n. 34949 del 03/11/2020, Rv. 280504 - 01). Peraltro, anche volendo prescindere da tale rilievo, occorre considerare che la sentenza impugnata si fonda su plurime emergenze istruttorie rispetto alle quali non appare decisiva la considerazione della relazione dei servizi sociali della quale la parte civile contesta l'utilizzabilita', senza tuttavia chiarire perche' la stessa avrebbe rivestito una valenza decisiva per l'assoluzione dell'imputato, con conseguente genericita' del motivo (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416 - 01). 4. Il quarto e il quinto motivo, suscettibili di valutazione unitaria, sono manifestamente infondati. La sentenza della Corte territoriale ha ritenuto, in base ad un ampio accertamento fondato su un'attenta valutazione del compendio probatorio, di assolvere l'imputato per le condotte ascritte ai capi A) e C) residuando le sole lesioni, peraltro non gravi, di cui al capo B) in danno della (OMISSIS). Sul piano istruttorio non e' emerso alcun turbamento, anche in virtu' della non abitualita' di condotte persecutorie o anomale da parte del (OMISSIS), in capo al figlio minore (OMISSIS), per effetto delle stesse sicche', pur a fronte della sostanziale contestazione dell'aggravante, correttamente il giudice di merito ha escluso di disporre il risarcimento del danno in favore del minore medesimo. Le doglianze della ricorrente assumono assertivamente l'esistenza del pregiudizio, senza indicare quali risultanze dibattimentali sarebbero state trascurate al riguardo, ossia senza svolgere alcuna critica specifica rispetto all'accertamento operato dai giudici di merito. 5. Il sesto motivo e' parimenti manifestamente infondato. La natura delle lesioni refertate alla ricorrente (lieve contrattura paravertebrale cervicale, ecchimosi periorbitraria sinistra, dolore mandibolare) integranti danni c.d. micropermanenti rendono conforme ad equita', pur considerando la personalizzazione per il danno morale, l'importo riconosciuto di Euro duemila, anche tenuto conto dell'eta' della vittima e dell'avvenuta guarigione, attestata dalla mancata produzione di ulteriore certificazione medica attestante un aggravamento del danno. 6. Pertanto il ricorso della parte civile deve essere dichiarato inammissibile. Alla dichiarazione di inammissibilita' segue la condanna della ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, atteso che l'evidente inammissibilita' dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere il ricorrente medesimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilita' (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000). 7. In caso di diffusione del presente provvedimento occorre omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge, stante la natura dei fatti di reato e i rapporti tra le parti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento occorre omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere Dott. CENTOFANTI Frances - rel. Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Consigliere Dott. FILOCAMO Fulvio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 3. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 23/02/2022 della Corte di assise di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Francesco Centofanti; udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Ceniccola Elisabetta, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) e rigettarsi il ricorso di (OMISSIS); udito il difensore delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), avvocato (OMISSIS), che ha chiesto la conferma della sentenza impugnata e la liquidazione delle spese; udito il difensore dell'imputato (OMISSIS), avvocato (OMISSIS), che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udito il difensore dell'imputato (OMISSIS), avvocato (OMISSIS), anche in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS), che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udito il difensore dell'imputato (OMISSIS), avvocato (OMISSIS), anche in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS), che ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di assise di appello di Milano confermava la decisione dibattimentale di primo grado, con cui (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati dichiarati colpevoli di concorso nell'omicidio premeditato di (OMISSIS), nel porto e nella detenzione delle due armi clandestine impiegate per l'agguato (una pistola Makarov, calibro 9X18, e una Beretta, calibro 9X21), nonche' nella ricettazione della seconda arma, come anche dell'autovettura Opel Corsa usata nella medesima occasione; ed erano stati condannati, ciascuno, alla pena principale dell'ergastolo, previo riconoscimento della continuazione tra i reati. 2. L'omicidio di (OMISSIS) si consumava il (OMISSIS), tra le ore 18.35 e le 18.40, nell'area box del condominio sito in (OMISSIS), dove la vittima abitava. Costui, come risultava dalle riprese di videosorveglianza, era appena rincasato a bordo della sua automobile, e al suo seguito, a brevissima distanza temporale, era riuscito ad introdursi nell'area box il menzionato veicolo Opel Corsa, di provenienza furtiva. Dal veicolo era disceso l'assassino, che aveva esploso, in progressivo avvicinamento alla vittima, nel frattempo uscita a sua volta dall'automobile, e in rapida successione, undici colpi di arma da fuoco; molti dei quali uditi anche da testimoni presenti in esterno. I primi due colpi erano stati sparati dalla pistola Makarov, munita di silenziatore, ed avevano mancato l'obiettivo; gli altri nove dalla pistola Beretta, di provenienza furtiva, mentre il malcapitato cercava invano protezione, rientrando in macchina. Otto colpi andavano a bersaglio. All'arrivo delle forze dell'ordine, (OMISSIS) giaceva ormai cadavere nella sua stessa vettura, con il motore e la radio accesi e la portiera lato guida aperta. L'Opel Corsa quindi si allontanava, ma l'occhio delle telecamere, e alcuni testimoni, riuscivano a rilevarne la targa immortalandone il conducente. Alcune decine di minuti dopo l'omicidio, l'Opel Corsa cadeva nuovamente nel raggio di osservazione dei sistemi di videosorveglianza, nel territorio del contiguo comune di (OMISSIS). Alle ore 19.28 il veicolo giungeva nei pressi del bar (OMISSIS), dinanzi al quale il medesimo conducente, come tale chiaramente riconoscibile dall'abbigliamento, dopo esserne disceso si incontrava con altri due uomini; quel conducente si identificava nell'odierno imputato (OMISSIS), sul punto reo confesso in questo processo. Le persone da lui incontrate erano l'odierno imputato (OMISSIS), riconosciuto dagli investigatori alla semplice visione delle immagini, siccome pluripregiudicato, e l'odierno imputato (OMISSIS), pacificamente identificato in prosieguo. (OMISSIS) era poco prima disceso, a sua volta, da una Mercede SW, parcheggiata nelle vicinanze. I tre uomini interloquivano brevemente. (OMISSIS) faceva quindi ingresso nel locale, seguito, dopo poco, dagli altri due. La loro permanenza nel bar si protraeva pochi minuti. All'uscita, (OMISSIS) e (OMISSIS) si intrattenevano ancora, per qualche tempo, a confabulare in esterno; poi (OMISSIS), separatosi dal coimputato, tornava verso la sua vettura con una borsa in mano, che prima non aveva con se', e la riponeva all'interno del veicolo. La Mercedes ripartiva in direzione del Naviglio della Martesana, ossia del luogo ove, due giorni piu' tardi, saranno rinvenute, su segnalazione di un passante, le armi dell'omicidio. L'Opel Corsa sara' invece ritrovata parcheggiata al civico 11 di (OMISSIS), giuntavi, come da videoriprese, alle ore 21.55. 3. Il furto della Opel Corsa risaliva al 18 settembre 2019, era avvenuto a Brescia ed era stato consumato, o comunque intermediato, da tale Salvatore Sirchia. L'automobile, l'8 ottobre 2019, era stata consegnata da Sirchia a (OMISSIS) e a (OMISSIS). I due imputati avevano, lo stesso giorno, ricondotto la vettura a (OMISSIS), per affidarla nei giorni successivi a (OMISSIS), che l'avrebbe custodita sino al momento del suo uso criminale. La ricostruzione si basava su dati di geolocalizzazione, sull'analisi di flussi telefonici e, in parte, su riprese di videosorveglianza. Il (OMISSIS) (OMISSIS), a bordo della sua autovettura Mercedes, e di una Fiat 500, intestata alla moglie, compiva ampi e ripetuti sopralluoghi in zona, comprendenti l'abitazione della vittima e' il citato (OMISSIS). A Cernusco sul Naviglio si trovavano, quel giorno, anche gli altri due imputati. Sopralluoghi e pedinamenti risalivano, peraltro, alle settimane precedenti. La ricostruzione era resa possibile dall'incrocio di dati di telefonia cellulare, da videoriprese e dai rilievi dell'apparato GPS, installato sulla stessa Fiat 500. Il giorno dell'omicidio, (OMISSIS), alle ore 17.05 la Mercedes usciva da (OMISSIS), con a bordo (OMISSIS), seguita dalla Opel Corsa, condotta da (OMISSIS). Iniziava, di seguito, il pedinamento finale della vittima, effettuato dalle due vetture in ordine invertito, culminato nell'omicidio. Eseguito il quale, la Mercedes rimaneva nei paraggi, come a controllare la buona riuscita del piano, per poi dirigersi verso l'area di parcheggio del bar (OMISSIS). Anche questa ricostruzione poggiava sulle immagini di videosorveglianza. 4. Il 3 novembre 2019 era comparsa su un organo di stampa la notizia che l'autore dell'omicidio fosse stato ripreso dalle telecamere e che le indagini procedevano spedite. Da allora gli imputati ponevano in essere una serie di condotte, quali la sostituzione delle schede telefoniche dell'apparato cellulare di (OMISSIS), la cessione a terzi della vettura a bordo della quale (OMISSIS) si era sino a qual momento spostato in zona, la concertazione di comuni dichiarazioni sui rispettivi ruoli e movimenti, interpretate dai giudici di merito come altrettanti tentativi di inquinamento probatorio. (OMISSIS) e (OMISSIS) erano tratti in arresto il 19 novembre 2019, colpiti da ordinanza di custodia cautelare con l'accusa di omicidio. In pari data era posto in custodia cautelare anche (OMISSIS), ma solo per ricettazione e violazione della normativa penale sulle armi. Dai colloqui in carcere tra (OMISSIS) e i suoi familiari gli investigatori traevano elementi di un suo consapevole coinvolgimento nel fatto di sangue, per il quale (OMISSIS) era formalmente incriminato il (OMISSIS). Nel corso delle indagini preliminari, e poi nell'esame dibattimentale, (OMISSIS) ammetteva di essere l'esecutore materiale dell'omicidio, su riferita istigazione di (OMISSIS); l'unica persona, a dire del dichiarante, ad avere una reale motivazione all'azione, correlata a presunti comuni traffici usurari della vittima. (OMISSIS) si sarebbe fatto trascinare da (OMISSIS), allo scopo di essere riammesso nel grande giro del traffico degli stupefacenti. (OMISSIS) negava, invece, il contributo concorsuale di (OMISSIS), suo convivente. 5. Il giudice di primo grado riteneva la concorrente responsabilita' di tutti gli imputati in ordine ai reati in rubrica. A carico di (OMISSIS), alla confessione, seppure minimizzatrice, e alle videoriprese andava aggiunto il rinvenimento delle sue tracce biologiche sul luogo dell'omicidio, sulla vittima e sulla Opel Corsa. Quanto a (OMISSIS), il primo giudice riteneva che l'omicidio fosse stato con lui preventivamente concordato e fosse stato eseguito con il suo apporto. Erano provati i plurimi viaggi a Cernusco sul Naviglio tra il (OMISSIS), proprio nei posti frequentati dalla vittima, al preciso scopo di rintracciarla e pedinarla. Il giorno 16 ottobre, (OMISSIS) era rimasto nei pressi, mentre il correo eseguiva l'omicidio. Apparivano poi rilevanti le vicende immediatamente successive al delitto. (OMISSIS) si era recato al bar Belladonna per incontrare il correo e ricevere da lui le armi, onde trafugarle. I rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS), un tempo amicali, si erano bruscamente guastati, e la vittima aveva gia' notato e rimarcato, come avrebbe poi testimoniato sua figlia, l'atteggiamento minaccioso che l'imputato aveva, da qualche tempo, assunto nei suoi confronti. Vi era, infine, la chiamata in correita', assolutamente genuina, del sicario. Quanto a (OMISSIS), a suo carico stavano il ruolo svolto nel procacciamento della Opel Corsa; il coinvolgimento nei sopralluoghi e nei pedinamenti dei giorni antecedenti il crimine; il suo arrivo a (OMISSIS), il giorno (OMISSIS), assieme al convivente. In relazione al giorno seguente, (OMISSIS) si era spostato nel luogo dove abitava (OMISSIS), a (OMISSIS), in contemporanea con la partenza dell'altro per (OMISSIS). (OMISSIS) era presente, vicino a (OMISSIS), allorche' questi, dopo l'omicidio, era stato inquadrato dalle telecamere dell'area parcheggio davanti al (OMISSIS), in attesa di (OMISSIS). (OMISSIS) era presente, e si era ripetutamente interfacciato con (OMISSIS) (e mosso assieme a lui) nei cinquanta minuti successivi, in cui era stato messo a punto il piano per disfarsi delle armi e della Opel. (OMISSIS) aveva affiancato in modo determinante il convivente, e sia quest'ultimo che il mandante avevano accettato il suo contributo. Dopo il delitto, (OMISSIS) aveva assunto comportamenti diretti a nascondere le tacce della sua compartecipazione criminosa. Il giudice di primo grado reputava l'omicidio premeditato, perche' ampiamente studiato e organizzato in precedenza. 6. L'impianto motivazionale della sentenza di primo grado era integralmente condiviso dal giudice di appello. Quanto ai profili sostanziali della vicenda, e anzitutto alla posizione di (OMISSIS), la Corte distrettuale rilevava come la chiamata in correita' di (OMISSIS) fosse soggettivamente credibile, intrinsecamente attendibile e valesse, essa, come riscontro ai solidi elementi a carico aliunde formatisi. Il movente individuale, che aveva mosso la mano del mandante (ma anche compartecipe materiale, come (OMISSIS) doveva ritenersi), non era noto, e il giudice di appello non riteneva trattarsi di movente connesso all'usura. Il quadro probatorio rimaneva inossidabile a prescindere. L'imputato non aveva effettuato alcuna valida allegazione a sua discolpa; le sue difese consistevano in meri paralogismi, in un'ostinata e insostenibile negatoria e in silenzi eloquenti. Era poi certo che fosse stato lui a disfarsi delle armi. Non vi era alcuna ricostruzione alternativa dell'occorso, offerta dall'imputato quanto al suo ruolo, che potesse essere presa realmente in considerazione. La premeditazione del suo agire era innegabile. La condotta dell'imputato non era riducibile a mero favoreggiamento. (OMISSIS) concorreva altresi', all'evidenza, nei reati satellite, mentre il trattamento sanzionatorio appariva congruo. Rispetto a (OMISSIS), la Corte distrettuale ricordava come il perno della strategia difensiva dell'imputato ruotasse sulla pretesa sua inconsapevolezza del disegno omicida; benche' presente in tutti i momenti strategici, la tesi era quella secondo cui l'imputato sarebbe stato in realta' disinteressato all'agire di (OMISSIS) (suo compagno, ma anche suo datore di lavoro e munifico protettore), lo avrebbe seguito per noia, si sarebbe finanche spesso assopito in sua compagnia perche' tossicomane. Si tratterebbe di tesi offensiva dell'intelligenza dell'ascoltatore, secondo la sentenza impugnata. (OMISSIS) certamente era stato il primattore dell'omicidio, e delle condotte delittuose prodromiche e contestuali, ma era impensabile ridurre l'imputato al ruolo di mero automa, quando, in talune fasi, egli aveva dato all'azione impulso agevolatore rilevante (tenuto anche conto che (OMISSIS) neppure aveva la patente di guida). La corretta lettura delle captazioni in carcere confermerebbe il consapevole coinvolgimento di (OMISSIS), da ritenere esteso ai reati concorrenti, con l'impossibilita' di ridurre il ruolo di questo imputato a quello di mero favoreggiatore e con grado di partecipazione concorsuale nient'affatto di minima importanza. Rispetto a (OMISSIS), la Corte di secondo grado, superata un'eccezione di natura processuale, confermava l'aggravante della premeditazione e il diniego delle attenuanti generiche, respingendo integralmente anche quest'ultimo gravame. 7. Avverso la sentenza di secondo grado (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, con il ministero dell'avvocato (OMISSIS). Il ricorso e' articolato in otto motivi, preceduti da una sinossi riepilogativa. Sono stati depositati motivi aggiunti. Si espongono, di seguito, gli uni e gli altri, per i fini e nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 7.1. Primo motivo. Violazione di legge processuale. La sentenza impugnata, in tesi resa al termine di un dibattimento velocemente celebrato, rapidamente confezionata, conforme a quella di primo grado solo nell'esito decisorio, avrebbe totalmente pretermesso la disamina del "motivo zero" dell'atto di appello, sul presupposto, erroneo e inconferente, che si trattasse di motivo intrinsecamente generico. Il motivo conteneva, viceversa, deduzioni puntuali, cogliendo, nell'agire dell'imputato, vero o presunto, aspetti inconciliabili con le normali logiche di chi stia realmente programmando od organizzando un omicidio. Vero era che (OMISSIS) si era mosso con la Fiat 500, ben sapendo che vi era installato il GPS, e aveva sempre percorso strade sorvegliate da note telecamere, come il vero colpevole non avrebbe fatto. Implausibile risultava, poi, che il vero colpevole potesse avere assoldato un sicario riconoscibile e maldestro, e potesse essersi esposto, egli stesso, oltre ogni misura e in modo tanto goffo. La sentenza impugnata muoverebbe, dunque, da una preconcetta opinione di colpevolezza, si porrebbe al di fuori di una giusta contrapposizione dialettica rispetto alle obiezioni della difesa, disconoscerebbe i relativi diritti e quelli dell'imputato (tra cui il diritto al silenzio, che farebbe tutt'uno con la presunzione di innocenza). 7.2. Secondo motivo. Violazione di legge processuale. Il giudice di secondo grado avrebbe, a torto, ritenuto la legittimazione ad causam delle parti civili, familiari della vittima, anche rispetto ai reati satellite. 7.3. Terzo motivo, ripreso dal primo motivo aggiunto. Violazione di legge processuale. La sentenza impugnata non farebbe buon governo delle risultanze probatorie e attingerebbe arbitrariamente elementi a carico dall'ordinanza custodiale, anziche' dalla svolta istruttoria dibattimentale. La motivazione giudiziale sarebbe apparente, perche' inidonea a rappresentare le effettive ragioni alla base della reiezione dei motivi di appello; sarebbe internamente contraddittoria, e neppure in linea con quella di primo grado, nella valutazione, indebitamente frazionata, dell'attendibilita' dell'imputato (OMISSIS); sarebbe sul punto anche manifestamente illogica. La chiamata in correita', proveniente da (OMISSIS), soggetto non credibile e scarsamente attendibile per le ragioni nei motivi ripercorse (la stessa Pubblica accusa lo avrebbe considerato tale), sarebbe priva di autosufficienza dimostrativa, ne' sarebbe corredata dai necessari riscontri esterni. 7.4. Quarto motivo, ripreso dal primo motivo aggiunto. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e violazione del canone dell'oltre ragionevole dubbio. La pronuncia di colpevolezza, resa indifferentemente a titolo di concorso materiale e morale (oltre l'impostazione accusatoria e quella accolta dal primo giudice), violerebbe i canoni valutativi della prova indiziaria, non oltrepassando quella "terra di mezzo" nella quale la molteplicita' apparente degli elementi non raggiungerebbe la soglia di evidenza e tranquillita' dimostrativa. Sarebbe cosi' anche negata la presunzione d'innocenza. Gli indizi sarebbero insufficienti. Mancherebbe un valido movente. Illogici sarebbero i comportamenti dell'imputato ricorrente, prima, dopo e durante il delitto, e come tali essi andrebbero revocati in dubbio. Non vi sarebbe certezza sul disfacimento delle armi, da lui in ipotesi realizzato. Non si registrerebbero contatti tra (OMISSIS) e gli altri due pretesi correi sino al giorno prima dell'omicidio. Non sarebbe stato effettuato alcun serio vaglio delle opzioni ricostruttive alternative, riportanti alla concorrente attivita' di usura dei coimputati, alla pregressa conoscenza tra loro e la vittima, alle attivita' di sopralluogo loro esclusivamente riferibili. Non sarebbe rilevabile alcun contributo all'azione di tipo materiale, da parte dell'imputato. 7.5. Quinto motivo. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione, in relazione al rilievo della premeditazione (la cui contestazione, si rammenta, rese impossibile la celebrazione del giudizio abbreviato). Il preteso mandato ad uccidere sarebbe di incerta collocazione temporale e spaziale, nonche' del tutto generico. I reati strumentali non vedrebbero il ricorrente coinvolto. La proclamata fermezza nel tempo del proposito criminoso non avrebbe riscontro probatorio. Il piano omicida sarebbe stato variato all'ultimo, perche' (OMISSIS) aveva riferito che la vittima avrebbe dovuto in origine essere uccisa per strada. Le modalita' dell'omicidio sarebbero state dunque improvvisate, e al piu' si potrebbe parlare di preordinazione, in mancanza dei requisiti ideologico e cronologico della ravvisata aggravante. 7.6. Sesto motivo. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione, in relazione alla mancata derubricazione, in linea gradata, nel reato di favoreggiamento personale, almeno quanto al capo B). Al riguardo, la sentenza impugnata risulterebbe completamente carente di motivazione. Ne' potrebbero addursi, a giustificazione, pretese mancate allegazioni, che non equivarrebbero alla confessione dell'omicidio, ne' dialoghi carcerari privi di significativita'. 7.7. Settimo motivo. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta integrazione dei reati satellite. La condanna sarebbe in proposito fondata sulle inattendibili dichiarazioni a carico rese da (OMISSIS), sullo svilimento del ruolo del coimputato (OMISSIS), sulla rilevazione di inesistenti nessi di causalita', sul fraintendimento della nozione giuridica di detenzione di arma penalmente rilevante. Ancor piu' scarna, e censurabile, sarebbe la motivazione sulla ricettazione dell'autovettura. 7.8. Ottavo motivo, ripreso dal secondo motivo aggiunto. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione, in ordine al diniego delle attenuanti generiche e alla misura della pena. La sentenza impugnata non avrebbe preso in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o enucleabili dagli atti, ma si sarebbe limitata a fare riferimento, in termini falsati, alla personalita' dell'imputato, ponendo alla base del mancato riconoscimento del beneficio la gravita' dei fatti senza un adeguato discernimento tra le posizioni processuali dei coimputati, omettendo cosi' anche la necessaria valutazione d'insieme e la ponderazione di dati favorevolmente rilevanti. 8. Ricorre altresi' per cassazione (OMISSIS), con il ministero degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS). Il ricorso e' articolato in tre motivi, preceduti da ampia illustrazione dell'antefatto processuale e che di seguito si espongono, per i fini e nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 8.1. Primo motivo. Violazione di legge processuale. Dopo la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, di cui all'articolo 415-bis c.p.p., avvenuta il 16 settembre 2020, la difesa aveva chiesto per via telematica, il giorno successivo, copia degli atti di indagine, rimanendo in attesa della fissazione, da parte della segreteria del Pubblico ministero, del relativo appuntamento presso l'ufficio, cosi' come previsto, in relazione all'emergenza epidemiologica allora esistente, da apposita Circolare del Capo dell'ufficio giudiziario. Non avendo ricevuto riscontro, il difensore si era comunque recato presso l'ufficio stesso di Procura, il 25 settembre 2020, ritirando le copie. Secondo la menzionata circolare, il termine di venti giorni, concesso dall'articolo 415-bis, comma 3per lo svolgimento di attivita' difensive, o per la richiesta al Pubblico ministero di effettuazione di investigazioni suppletive o di assunzione dell'interrogatorio, sarebbe dovuto rimanere sospeso nelle more della fissazione dell'appuntamento. Essendo questo mancato, la sospensione deve ritenersi operativa, ora per allora, nel periodo intercorrente tra il 17 e il 25 settembre 2020; con la conseguenza che la richiesta di interrogatorio, avanzata il 14 ottobre 2020, doveva dirsi tempestiva, e con la conseguenza ulteriore che, prima dell'espletamento dell'atto, non avrebbe potuto, a pena di nullita', essere avanzata la richiesta di rinvio a giudizio, a norma dell'articolo 416 c.p.p., comma 1. L'interrogatorio risultava bensi' effettuato, a seguito di invito a presentarsi notificato il 15 ottobre 2020, ma la richiesta di rinvio a giudizio era stata gia' presentata il 12 ottobre, incorrendo essa dunque nella sanzione di invalidita'. Il vizio era stato vanamente eccepito dinanzi al G.u.p., e l'eccezione era stata ritualmente riproposta in entrambi i gradi di merito. La sentenza impugnata aveva errato nel disattenderla per l'ennesima volta. Sarebbe infatti insostenibile la tesi che la Circolare in esame non potesse derogare alle norme del codice, relative ai termini processuali; ammettere cio' costituirebbe un pericoloso arresto, perche' dovrebbero considerarsi tardive, in tutti i processi, le attivita', contemplate dall'articolo 415-bis, comma 3, prorogate a norma di Circolare, sul cui utile compimento le difese potrebbero avere confidato. Ne' sarebbe conferente al tema il rilievo della sentenza impugnata circa l'inesistenza, nel processo odierno, di pregiudizio alcuno al diritto di difesa, stante l'interrogatorio comunque raccolto. La questione posta atteneva, piuttosto, alla formale invalidita' dell'azione penale esercitata nel periodo di moratoria, antecedente il compimento dell'atto. 8.2. Secondo motivo. Violazione di legge e vizio di motivazione, sul rilievo dell'aggravante della premeditazione. Ad escluderla, nella specie, varrebbero elementi plurimi, quali la mancanza di un piano preciso di azione, l'assenza di cautele nella sua esecuzione, l'improvvisazione nella scelta del luogo, la dinamica omicida, l'assenza di un dolo di durata. 8.3. Terzo motivo. Violazione di legge e vizio di motivazione, sul diniego delle attenuanti generiche. (OMISSIS) avrebbe reso dichiarazioni importanti, a carico proprio e altrui, fornendo informazioni in precedenza del tutto ignote (anche con riferimento ai giri di usura della vittima, su cui poi la Procura della Repubblica non avrebbe indagato). Illogica sarebbe la decisione di negargli il beneficio per non aver coinvolto anche l'ulteriore coimputato, quando l'atteggiamento tenuto apparirebbe quale chiaro segnale di resipiscenza. 9. Ricorre altresi' per cassazione (OMISSIS), con il ministero dell'avvocato (OMISSIS). Il ricorso e' articolato in sei motivi, preceduti da un riepilogo dell'antefatto processuale e che di seguito si espongono, per i fini e nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 9.1. Primo motivo. Violazione di legge processuale e vizio di motivazione. La sentenza impugnata avrebbe travisato il narrato di (OMISSIS), che non si sarebbe limitato ad evidenziare il rapporto empatico con il coimputato, ma avrebbe descritto il ruolo subalterno di quest'ultimo, assunto in cambio di ospitalita' e mantenimento. (OMISSIS) avrebbe comunque escluso di aver mai messo il ricorrente a parte degli scopi dei viaggi a (OMISSIS). I filmati delle videocamere dimostrerebbero l'estraneita' di (OMISSIS) rispetto alle condotte dei coimputati, a partire dalla consumazione dell'omicidio; la Corte del gravame si sarebbe rifiutata di vederli integralmente, essendosi concentrata su poche slides da essi estratte. 9.2. Secondo motivo. Vizio di motivazione e travisamento della prova. L'(OMISSIS), giorno della consegna della Opel da parte di Sirchia, non sarebbe stato (OMISSIS) a contattare costui, ma (OMISSIS), tramite il telefono cellulare di (OMISSIS). In cio' si anniderebbe l'errore di aver ritenuto il ricorrente concorrente nella ricettazione della vettura, e, per questo tramite, compartecipe delle attivita' prodromiche all'omicidio. Il ricorrente non avrebbe viceversa saputo delle finalita' alle quali l'automobile era destinata. In (OMISSIS), il giorno della consegna della vettura, e successivamente nel corso dei sopralluoghi, (OMISSIS) e (OMISSIS) si sarebbero mossi separatamente l'uno dall'altro, come dimostrerebbero i dati di geolocalizzazione dei terminali telefonici, se interpretati senza forzature (enfatizzanti contiguita' di durata momentanea) e veri e propri travisamenti. Quanto al giorno dell'omicidio, la lettura dei filmati offerta dalla difesa, circa i contatti tra il ricorrente e i coimputati, era radicalmente diversa dalla prospettazione accusatoria. La sentenza impugnata non si sarebbe adeguatamente confrontata con essa. L'atteggiamento di (OMISSIS), che aveva tenuto il telefono acceso per l'intera giornata (a differenza di (OMISSIS)), rivelava la sua totale inconsapevolezza di quanto accaduto e, antecedentemente, in procinto di accadere. Le intercettazioni ambientali in carcere, che il motivo riesamina, dimostrerebbero, semmai, l'innocenza del ricorrente. I viaggi a (OMISSIS) sarebbero stati intesi come diretti alla organizzazione dell'omicidio, ma si tratterebbe di un'illazione sfornita di base probatoria; molteplici sarebbero le relazioni parentali e amicali di (OMISSIS) in quel luogo, che ne giustificavano la trasferta (e, con lui, quella del ricorrente). Mera illazione sarebbe anche quella di ritenere la cointeressenza del ricorrente nel settore degli stupefacenti (in cui si anniderebbe la ragione che avrebbe portato (OMISSIS) sulla via dello specifico crimine). La sentenza impugnata avrebbe omesso di valorizzare una serie di elementi probatori, capaci di avallare le prospettazioni difensive in questione, salvo addebitare al ricorrente, ingiustamente, di non averle adeguatamente illustrate e dimostrate. 9.3. Terzo motivo. Violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all'esclusione dell'attenuante della partecipazione di minima importanza. Tale il suo apporto andrebbe comunque giudicato, in assenza di alcuna sua connotazione realmente agevolatrice e considerato che il ricorrente si era comunque limitato a fare da autista per il suo datore di lavoro, con efficienza causale ridottissima. 9.4. Quarto motivo. Violazione di legge, in relazione alle imputazioni di detenzione e porto di arma clandestina. Il ricorrente non avrebbe mai avuto l'autonoma disponibilita' delle armi medesime, anzi neppure le avrebbe mai viste. 9.5. Quinto motivo. Violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione al diniego delle attenuanti generiche, negate su presupposti malfermi. Non sarebbero stati adeguatamente vagliati i criteri orientatori, di cui all'articolo 133 c.p.. L'imputato aveva tutto il diritto di difendersi. La sua compartecipazione al crimine avrebbe avuto, in ogni caso, carattere meno intenso. Le sue condizioni anteatte di vita, ingiustamente derise, dovevano piuttosto servire a mitigare la sua responsabilita'. 9.6. Sesto motivo. Violazione di legge, in ordine alla premeditazione, rilevata senza che vi fosse la prova che (OMISSIS) fosse in alcun modo coinvolto nel progetto criminoso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi teste' illustrati meritano distinta disamina, a far capo da quello avanzato dall'imputato (OMISSIS), il cui primo motivo risulta manifestamente infondato, generico e complessivamente inammissibile. 1.1. La sentenza impugnata, nonostante dichiari di non prendere in specifica considerazione il motivo di appello, numerato come "motivo zero", a suo dire privo di specifica valenza censoria, affronta comunque, nel corpo della motivazione, il tema fondamentale in esso sviluppato, per come ripreso dal ricorrente con il mezzo di annullamento ora in valutazione. La difesa dell'imputato aveva mosso alla ricostruzione giudiziale degli accadimenti obiezioni, la cui logica faceva essenzialmente leva sulle modalita' avventate e maldestre del loro svolgimento, tali da rendere, in tesi, quella ricostruzione per cio' solo implausibile. Cosi' formulate, tali obiezioni sono state giudicate tutt'altro che irresistibili, posto che la penale responsabilita' dell'agente rispetto al fatto ascrittogli non si giudica certo, ne' si misura, alla stregua della piu' o meno accorta abilita' di esecuzione, e neppure della maggiore o minore capacita' di sfuggire alla successiva identificazione. Il giudice di appello, nelle quasi novanta pagine di motivazione, ha correttamente ritenuto gli argomenti difensivi in esame meri paralogismi, inidonei a scagionare il ricorrente dalla paternita' e dagli effetti delle condotte, che il compendio probatorio avesse dimostrato a lui riconducibili. Come da questa Corte ripetutamente affermato (Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, dep. 2023, Lakrafy, Rv. 284096-01; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, Curro', Rv. 275500-01; Sez. 1, n. 27825 del 22/05/2013, Caniello, Rv. 256340-01; Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, Schowick, Rv. 250105-01), il dovere di motivazione e' adempiuto, ad opera del giudice del merito, attraverso la valutazione globale delle deduzioni delle parti e delle risultanze processuali, non essendo necessaria da parte sua la partita disamina dei motivi di gravame nella loro stretta consecuzione, se appaiano spiegate le ragioni che hanno determinato il convincimento e si dimostri di aver tenuto presente ogni fatto saliente. Essendo cio' nella specie palesemente avvenuto, devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive oggetto del motivo non espressamente confutato. 1.2. Le critiche ulteriori, sviluppate nel motivo di ricorso in disamina, sull'operato preconcetto della Corte distrettuale, e sul disconoscimento di diritti e prerogative difensive, appaiono del tutto astratte ed assertive. 2. Il secondo motivo e' inammissibile, sotto un duplice concorrente profilo. Esso difetta, da un lato, di concreto interesse, considerata l'entita' simbolica del risarcimento richiesto dalle parti civili, pari ad un Euro, e loro conseguentemente accordato. In ogni caso, il motivo e' manifestamente infondato, posto che, ai fini della legittimazione alla costituzione di parte civile per l'esercizio dell'azione risarcitoria, e' sufficiente che il preteso danneggiato prospetti la potenziale derivazione dai fatti criminosi di un pregiudizio, giuridicamente apprezzabile, alla sua sfera di interessi, (Sez. 3, n. 18518 del 11/01/2018, S., Rv. 273647-01), indipendentemente dalla titolarita' del bene giuridico protetto mediante l'incriminazione di quei fatti. La legittimazione alla costituzione, in rapporto a tuti i reati di cui in rubrica, appare giustificata alla luce di tale assorbente rilievo. 3. I motivi terzo e quarto, tra loro connessi e congiuntamente esaminabili, sono infondati. 3.1. Occorre avvertire, in premessa, che la prova di responsabilita', valutata dalla Corte distrettuale a carico di (OMISSIS), riveste essenzialmente natura storico-rappresentativa, e non logico-indiziaria; circostanza che mette fuori gioco l'applicazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, del quale, al pari dei connessi principi, il ricorrente ha specificamente invocato la violazione. La prova e' infatti integrata da risultanze obiettive, costituite da filmati di videocamere, rilievi GPS, contatti telefonici, che costituiscono la base dimostrativa fondamentale del giudizio reso. Tale compendio probatorio, e la relativa valutazione, sono attinti solo marginalmente dalle censure dedotte nei motivi, che non riescono, in ogni caso, ad infirmarne la stringente capacita' esplicativa. Basti dire che e' stato evidenziato nella sentenza impugnata che (OMISSIS), il giorno dell'omicidio, si mosse di concerto con (OMISSIS), partendo da casa propria, in funzione di una consumazione delittuosa che era stata largamente organizzata in precedenza tramite sopralluoghi e pedinamenti. L'automobile, su cui infine monto' il sicario, e' quella che (OMISSIS) aveva ricevuto e custodito nei giorni precedenti. (OMISSIS) rimase in prossimita' della casa della vittima, durante tutto il tempo dell'esecuzione e quello immediatamente successivo. (OMISSIS) si incontro' nuovamente con il sicario al bar (OMISSIS), qui ricevette le armi e le trafugo'. A definire quest'ultimo aspetto, e questo soltanto, concorre in effetti un'evidenza logica, peraltro difficilmente confutabile. (OMISSIS) riceveva dal sicario una borsa, al bar (OMISSIS) ove si era dato con lui appuntamento, subito dopo l'omicidio; e si era diretto, con essa, direttamente verso il corso fluviale, che e' il luogo di successivo ritrovamento delle armi medesime. La deduzione che queste fossero nella borsa contenute e' dunque strettamente consequenziale. Il coinvolgimento dell'imputato, nella fase organizzativa e realizzativa dell'omicidio, e' scolpito da tale consecuzione di eventi, eloquenti oltre ogni ragionevole dubbio. 3.2. Ad integrare la prova diretta sta poi la specifica e circostanziata chiamata in correita' di (OMISSIS), che intesta a (OMISSIS), altresi', l'ideazione dell'omicidio. Essa rappresenta, come giustamente osservato dalla Corte distrettuale, un dato probatorio dichiarativo di riscontro; importante, ma propriamente di riscontro. La Corte distrettuale non ha mancato di saggiare e attestare la credibilita' soggettiva e l'attendibilita' intrinseca di tale narrato, reiterato al dibattimento. Le confutazioni dal ricorrente al riguardo mosse non appaiono persuasive, scontrandosi esse, in questa sede - oltre che con l'evidenza del quadro probatorio, cui le dichiarazioni dell'esecutore materiale danno corroborazione - con i limiti del sindacato di legittimita' sulla motivazione. Tra le doglianze proponibili quale mezzo di ricorso non rientrano, infatti, quelle relative alla valutazione della prova dichiarativa, ancorche' implicanti la connessa previa indagine sull'affidabilita' della deposizione o del contributo narrativo acquisito al processo, fatto salvo il controllo che il ricorrente puo' demandare a questa Corte sulla congruita' e logicita' del ragionamento giudiziale (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623-01; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362-01; Sez. 4, n. 8090 del 25/05/1981, Amoruso, Rv. 150282-01). Tale controllo, opportunamente esercitato, e' appagante nell'esito, perche' riflette, anche sul punto, e quindi circa il carattere puntuale e verificabile della chiamata, e circa l'assenza di emergenti sentimenti di malanimo, astio o rancore, l'esistenza di una trama argomentativa analitica, esaustiva e convincente. Ne' coglie nel segno la censura di indebita valutazione frazionata del narrato del dichiarante, non creduto nella parte diretta a scagionare il terzo correo, (OMISSIS). Per costante giurisprudenza di legittimita', infatti, siffatta valutazione frazionata delle dichiarazioni confessorie, ed accusatorie da chiamata in correita', e' legittima quando, come nella specie, le parti del racconto ritenute veritiere reggano alla verifica giudiziale del riscontro e non sussista interferenza fattuale e logica - ossia un rapporto di causalita' necessaria, o di imprescindibile antecedenza logica - con quelle giudicate inattendibili, tale da minare la credibilita' complessiva e la plausibilita' dell'intero racconto (Sez. 5, n. 25940 del 30/06/2020, M., Rv. 280103-01; Sez. 6, n. 25266 del 03/04/2017, Polimeni, Rv. 270153-01; Sez. 1, n. 40000 del 10/07/2013, Pompita, Rv. 256917-01). Sono abbastanza chiare, del resto, le ragioni di vicinanza personale, che hanno influenzato e orientato la narrazione di (OMISSIS) rispetto a (OMISSIS); il diverso apprezzamento di essa in questa parte appare piu' che giustificato. 3.3. A ragione, la Corte distrettuale ha anche evidenziato l'inesistenza di alcuna reale chiave di lettura alternativa offerta dal ricorrente in ordine alle risultanze sopra emerse, in termini di materialita' di evento criminoso e di condotte ad esso propedeutiche e successive, e non in termini di astratte causali delittuose. Data, dunque, la totale persuasivita' del quadro probatorio, anche l'individuazione del preciso movente, che abbia spinto (OMISSIS) ad ordinare di uccidere (OMISSIS), diventa momento processuale non decisivo. L'assenza di un'accertata causale dell'azione omicida e' infatti irrilevante ai fini dell'affermazione della penale responsabilita', allorche' vi sia comunque la prova dell'attribuibilita' dell'azione all'imputato; ne' il mancato accertamento del movente puo' risolversi nell'affermazione probatoria di assenza di dolo del delitto di omicidio, o, tanto meno, di assenza di coscienza e volonta' dell'azione (Sez. 5, n. 22995 del 03/03/2017, M., Rv. 270138-01; Sez. 1, n. 31449 del 14/02/2012, Spaccarotella, Rv. 254143-01; Sez. 1, n. 6514 del 27/04/1998, Chiarello, Rv. 210710-01). Ferme restando le dichiarazioni intercettate dei congiunti della vittima, che attestano della compromissione dei rapporti con l'imputato dopo decenni di frequentazione, per uno sgarbo fatto a (OMISSIS), che aveva minacciato (OMISSIS) di ucciderlo. 3.4. Resta da confutare un ultimo aspetto sviluppato nei motivi in disamina, relativo alla corrispondenza tra accusa e sentenza. In proposito, occorre ricordare che non ricorre un'ipotesi di mutamento della contestazione qualora l'imputato, cui sia stato addebitato di essere l'autore materiale del reato, venga riconosciuto responsabile a titolo di concorso morale in esso, non comportando tale modificazione una trasformazione essenziale dell'accusa, ne' potendo cio' provocare alcuna menomazione del diritto di difesa, poiche' la partecipazione materiale al reato necessariamente implica un'adesione anche ideale alla sua realizzazione (Sez. 5, n. 15556 del 09/03/2011, Bruzzese, Rv. 250180-01; Sez. 1, n. 42993 del 25/09/2008, Pipa, Rv. 241825-01; Sez. 5, n. 7638 del 17/01/2007, Cammarata, Rv. 235786-01). Senza considerare che la riconduzione dell'azione omicida all'impulso di (OMISSIS), all'attivita' di pianificazione da lui impostata e agli accordi a tal fine presi con il mandatario, e' perfettamente contenuta nell'imputazione. 4. Il quinto motivo, in tema di premeditazione, e' manifestamente infondato. L'aggravante richiede, per costante insegnamento (da ultimo, Sez. 1, n. 37825 del 29/04/2022, Tiscornia, Rv. 283512-01), il radicamento e la persistenza costante, per apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo del proposito delittuoso, sintomo di piu' accentuata colpevolezza, e si distingue dalla mera preordinazione, la quale si esaurisce nell'apprestamento dei mezzi minimi, necessari all'esecuzione, e solo nella fase a quest'ultima immediatamente precedente. Nel caso di specie, la decisione omicida, lo studio delle occasioni e opportunita' per metterla in atto, l'organizzazione accurata dei mezzi e la predisposizione meticolosa delle modalita' esecutive sono di gran lunga anteriori rispetto alla consumazione. Cio' si ricava dalla minuta ricostruzione dell'antefatto delittuoso, offerta dalla sentenza impugnata. Da essa risulta che lo studio delle abitudini della vittima e l'organizzazione delle modalita' dell'agguato iniziarono alcune settimane prima della consumazione. L'anteriore procacciamento della vettura Opel Corsa, rubata con largo anticipo rispetto all'omicidio e sistemata in posizione strategica in attesa di impiego, convalida la preventiva, e ben ponderata, programmazione dell'azione letale. L'oggetto di quest'ultima e' rimasto, sin dall'inizio, ben fermo ed eventuali contingenti modifiche dello schema di esecuzione, indotte da variabili in tale fase insorte, non escludono l'aggravante (v., a contrario, Sez. 1, n. 47880 del 05/12/2011, Zhang Yong, Rv. 251409-01). Sussistono dunque appieno gli elementi costitutivi della premeditazione (cronologico e ideologico: cfr. Sez. U, n. 337 del 18/12/2008, dep. 2009, Antonucci, Rv. 241575-01), non potendosi dubitare, rispetto a (OMISSIS), ne' dell'apprezzabile intervallo temporale tra l'insorgenza del proposito criminoso e l'attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l'opportunita' del recesso, ne' che tale risoluzione criminosa sia rimasta ferma nel suo animo fino alla commissione del crimine; e dovendo per contro essere esclusa l'esistenza di fattori sopraggiunti, in grado da neutralizzare la speciale sintomaticita' delle circostanze sopra ricordate. Ne', infine, sussiste incompatibilita' fra il mancato accertamento dell'esatto movente dell'omicidio di causa e la ricorrenza dell'aggravante in parola, che, dimostrata a prescindere, e' stata legittimamente ritenuta sussistente (v. Sez. 1, n. 7948 del 25/05/1992, Trainito, Rv. 191243-01). 5. Il sesto e il settimo motivo, tra loro connessi e congiuntamente esaminabili, sono infondati. Nell'esistenza di un'adeguata prova di responsabilita' dell'imputato, a titolo di concorso, nei reati a lui ascritti, come in rubrica qualificati, e nella corrispondente compiuta illustrazione, sta anche la motivazione dell'impossibilita' di riconoscere il mero favoreggiamento personale. La sentenza impugnata non appare, al riguardo, affatto carente. E la responsabilita' per concorso e' stata correttamente affermata anche quanto al porto e alla detenzione delle armi, nonche' alla ricettazione dell'autovettura Opel Corsa. Quanto alle armi, alla luce di quanto esposto occorre ragionare nella logica di un omicidio premeditato, nella cui programmazione l'ideatore aveva certamente inserito il procacciamento dei mezzi di esecuzione e ne aveva previsto l'impiego. I reati, a tali condotte connessi, gli appartengono anzitutto dal lato psichico. (OMISSIS) ha comunque concorso nella detenzione e nel porto anche dal lato materiale, allorche' ha preso in consegna le armi al Bar (OMISSIS), acquisendone cosi' tra l'altro, e per apprezzabile lasso di tempo, l'autonoma disponibilita', per poi abbandonarle lungo il (OMISSIS). E cio' ha fatto non per decisione estemporanea, compatibile con un'ipotesi di mero ausilio post delictum, ma in esecuzione di un'accurata e preventiva pianificazione. Anche l'autovettura si inserisce in quest'ultima, avendo i correi valutato anticipatamente l'opportunita' di disporre, per sferrare l'aggressione mortale, di un mezzo di locomozione a loro non intestato, ne' riferibile, e ne hanno dunque commissionato il furto secondo le modalita' ampiamente descritte dalla sentenza impugnata. Il ricevimento dell'automobile di provenienza furtiva, ad opera di (OMISSIS), e' certificato dalle videoriprese e non pare sul punto consentita alcuna discussione ulteriore. 6. L'ottavo motivo, in tema di attenuanti generiche, e' infondato. Occorre ricordare che, in materia, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati ragionevolmente preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, Carillo, Rv. 275509-03; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269-01; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826-01; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899-01). Al riguardo, la sentenza impugnata ineccepibilmente argomenta quanto a (OMISSIS), mediante puntuale richiamo a specifici indici ostativi. Questi sono tanto di natura oggettiva, stante la gravita' della condotta, quanto, e soprattutto, di tipo individuai-soggettivo. La sentenza impugnata, muovendo dal ruolo di primo piano rivestito dall'imputato, specialmente nella fase ideativa del crimine, rimarca l'elevata e non comune capacita' a delinquere, testimoniata dalla lunga antecedente carcerazione, rimasta priva di qualsivoglia efficacia rieducativa e neppure accompagnata da segnale alcuno di resipiscenza. La sentenza impugnata ha considerato, al cospetto, recessivo ogni altro pur prospettato elemento. La motivazione su punto appare perfettamente appagante. 7. L'intero ricorso (OMISSIS) e', all'esito, respinto. Segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali. 8. Viene ora in considerazione il ricorso (OMISSIS), e - di esso - anzitutto il primo motivo, di ordine processuale. Trattasi di motivo infondato. 8.1. La Circolare del Procuratore della Repubblica, in esso evocata a giustificazione della rimodulazione dei termini di cui all'articolo 415-bis c.p.p., non possiede, in realta', la capacita' di innovare le previsioni del codice, o di derogarvi. Essa e' fonte subordinata alla legge, non abilitata ad introdurre ipotesi di sospensione di termini, che non siano dalla legge previste o autorizzate. Viene in considerazione, come norma prossima alla fattispecie in scrutinio, il Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, articolo 83, conv. dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, il quale - passata la prima fase di emergenza epidemiologica - ha consentito, al comma 7, ai Capi degli uffici giudiziari di disporre tra l'altro, nel periodo compreso tra il 12 maggio e il 30 giugno 2020, "la limitazione dell'accesso del pubblico agli uffici (stessi), garantendo comunque l'accesso alle persone che debbono svolgervi attivita' urgenti" (lettera a), nonche' "la regolamentazione dell'accesso ai servizi, previa prenotazione, anche tramite mezzi di comunicazione telefonica o telematica, curando che la convocazione degli utenti sia scaglionata per orari fissi, nonche' l'adozione di ogni misura ritenuta necessaria per evitare forme di assembramento" (lettera c). In disparte la non prorogata vigenza di queste disposizioni, al tempo delle attivita' processuali qui in rilievo, la normativa primaria non autorizzava in alcun modo quella regolamentare ad incidere sul decorso dei termini processuale (la sospensione automatica dei quali si e' avuta solo nella ricordata prima fase dell'emergenza, conclusa maggio 2020). Il compimento degli atti urgenti, ossia degli atti correlati a termini in scadenza, era assicurato, del resto, direttamente dal citato Decreto Legge n. 18 del 2020, articolo 83, comma 7, lettera a); mentre il Decreto Legge 19 maggio 2020, n. 34, articolo 221, comma 3, conv. dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, pro tempore vigente (v. Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 1, conv. dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176), assicurava il deposito telematico degli atti di parte e delle istanze difensive. E la stessa menzionata Circolare permetteva, in via strumentale, la consultazione telematica del fascicolo di indagine. 8.2. Stante la "incompetenza" della Circolare richiamata ad incidere sui termini processuali, questi restavano quelli regolati dall'articolo 415-bis c.p.p., comma 3, sicche' la richiesta di interrogatorio, presentata in questo procedimento oltre il ventesimo giorno dal ricevimento dell'avviso di conclusione delle indagini, appare tardiva e incapace di condizionare i successivi atti di impulso processuale. La richiesta di rinvio a giudizio, che ne prescindeva, deve dunque considerarsi rituale. A scongiurare il paventato pericolo che una tale interpretazione possa invalidare, ex post, attivita' difensive compiute a termine (indebitamente prorogato, e invece) scaduto, a seguito del riposto affidamento sulla sua legittima protrazione, soccorrono gli istituti generali dell'ordinamento processuale, e in particolare quello della restituzione nel termine ai sensi dell'articolo 175 c.p.p., comma 1, che puo' essere invocata anche a sanatoria di attivita' processuali gia' compiute. Una questione di tal fatta non si pone, in concreto, con riferimento al processo odierno, rimanendo l'interrogatorio in se' perfettamente valido anche se reso oltre le scansioni temporali indicate, in funzione di solo avanzamento processuale, dall'articolo 415-bis c.p.p.. 8.3. Resta cosi' assorbita la questione ulteriore, posta dal Procuratore generale requirente, se l'eventuale nullita' della richiesta di rinvio a giudizio potesse essere comunque sanata, ai sensi dell'articolo 438 c.p.p., comma 6-bis, dalla richiesta di accesso al rito abbreviato gia' avanzata dall'imputato (OMISSIS), non accolta a fronte di reato punibile con l'ergastolo. 9. Il secondo motivo del ricorso (OMISSIS), in tema di premeditazione, e' infondato. In proposito valgono sostanzialmente le considerazioni spese al paragrafo 4, che precede. Anche rispetto a (OMISSIS) il dolo di premeditazione sussiste e la vicenda omicidiaria odierna ne rappresenta pressoche' un caso di scuola. L'obiettivo decorso del tempo tra ideazione ed esecuzione assume, in tale vicenda, particolare significato ai fini dell'integrazione della componente squisitamente soggettiva dell'aggravante, in quanto il dato e' accompagnato dal rilievo di una preparazione assai anticipata (non importa se in parta maldestra) delle modalita' e dei mezzi del piano criminoso, solo marginalmente adattato alle contingenze verificatesi all'atto della consumazione. Le censure del ricorrente su questi aspetti s'infrangono con le evidenze probatorie di causa, che egli contrasta solo assertivamente. E' dunque rinvenibile quel dolo di lunga durata, espressivo della persistente tenacia del proposito criminoso, di cui il distacco temporale costituisce espressione univoca. La persistenza dolosa arricchisce, cosi', il dato oggettivo del tempo trascorso, integrando adeguatamente i presupposti di cui all'articolo 577 c.p., comma 1, n. 3). 10. Fondato risulta, invece, il terzo motivo. Ferme le argomentazioni in diritto svolte, a proposito delle attenuanti generiche, al paragrafo 6, che precede, occorre considerare in via complementare che esse svolgono una possibile funzione di mitigazione della pena da infliggere (sul punto giurisprudenza costante di legittimita': esemplificativamente, Sez. 1, n. 12624 del 12/02/2019, Dulan, Rv. 275057-01; Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Lamin, Rv. 271315-01; Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013, La Selva, Rv. 25471601), ogniqualvolta emergano, anche nel raffronto comparativo tra la posizione dei vari imputati, condizioni che possano giustificare, rispetto ad uno o piu' di loro, l'attenuazione e/o differenziazione del trattamento sanzionatorio. Le condotte delittuose rivestono immutata gravita' anche rispetto al ricorrente (OMISSIS), e tuttavia il Collegio reputa che la sua posizione avrebbe meritato piu' attenta ed equilibrata valutazione nell'ottica in discorso, alla luce della prestata collaborazione con l'Autorita' inquirente e giudiziaria che appare riduttivo indicare come di mero stile. Con i limiti pur derivanti dalla parzialita' di essa (che comunque e' stata, in tali termini, recepita e validata), le dichiarazioni dell'imputato hanno arricchito non irrisoriamente il quadro probatorio e segnano, anche rispetto al passato criminale, un momento di possibile cesura. Nel negare aprioristicamente la circostanza, la sentenza impugnata e' incorsa in una petizione di principio che ne infirma la logica tenuta. Al riguardo si impone un approfondimento, che viene demandato al giudice di rinvio, nella piena salvaguardia del suo ambito di discrezionale e motivata valutazione. 11. La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata, rispetto a (OMISSIS), limitatamente al diniego delle attenuanti generiche, ai fini di un nuovo giudizio sul punto. Il ricorso e' respinto nel resto. 12. Viene cosi' in considerazione il ricorso (OMISSIS). Il primo e il secondo motivo, tra loro connessi e congiuntamente esaminabili, sono infondati. La sentenza impugnata appare esaustiva e convincente anche nell'ampia parte dedicata alla posizione di tale ricorrente. 12.1. Il suo coinvolgimento nella fase preparatoria e di organizzazione dell'omicidio, e nei crimini ad esso correlati, e' anzitutto svelata dalle videoriprese e dai rilievi GPS, le cui risultanze mostrano (OMISSIS) costantemente affiancato al sicario, e in sinergica collaborazione con il mandante, in tutti i momenti salienti della tragica vicenda, dal procacciamento dell'Opel Corsa; ai ripetuti sopralluoghi e pedinamenti, destinati alla messa a punto delle modalita' esecutive; all'incontro conclusivo, immediatamente posteriore alla consumazione, al (OMISSIS) Belladonna. Trattasi di coinvolgimento che, nella prospettiva del giudice di secondo grado, resta avvalorato dal tenore dei dialoghi intercettati nell'istituto penitenziario di patita detenzione cautelare. A fronte di tali dati probatori, esaustivamente valorizzati dal giudice di merito, il ricorrente formula contestazioni sull'esatta interpretazione dei dati GPS e sul significato delle conversazioni intercettate in carcere; e, sotto altro e parallelo verso, svolge considerazioni critiche nel solco dell'avvenuta assunzione, da parte sua, di un ruolo sempre passivo ed inconsapevole, anche connesso al suo stato di salute e ad una condizione di sudditanza psicologica dal suo convivente. 12.2. Occorre tuttavia rammentare - a confutazione - che, in sede di legittimita', perche' sia ravvisabile la manifesta illogicita' della motivazione ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), e' necessario che la ricostruzione dei fatti prospettata dall'imputato, che intenda far valere l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, contrastante con il procedimento argomentativo seguito dal giudice, sia inconfutabile e non rappresenti soltanto un'ipotesi alternativa a quella ritenuta nella sentenza impugnata, dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento ad elementi sostenibili, cioe' desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali (tra le molte, Sez. 2, n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, Mannile, Rv. 278237-01), o addirittura contrastanti, come nella specie, con precise risultanze. Ne' il principio dell'"oltre ragionevole dubbio", di cui e' menzione nell'articolo 533 c.p.p., comma 1, nel testo riformulato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione, che non puo' essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicita' di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicita' sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice di appello, giacche' la Corte di legittimita' e' chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito (tra le molte, Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata, Rv. 270519-01). Non puo' allora che darsi atto della piena adeguatezza argomentativa della sentenza impugnata, nella parte in cui essa prende in specifica considerazione la chiave interpretativa minimalista offerta dal ricorrente, a proposito della sua presenza e del suo ruolo, screditandone con plausibile ragionamento la credibilita' razionale. Le reiterate obiezioni sul punto assumono sapore inammissibilmente confutativo di circostanze di fatto gia' inappuntabilmente apprezzate e valutate in sede di merito. 12.3. Quanto all'interpretazione del dato tecnico, di localizzazione o captazione, e' noto che la materia implica questioni di mero fatto, rimesse all'esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita' se non nei limiti della manifesta irragionevolezza della motivazione (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337-01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389-01; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258164-01), qui francamente non emergente. E si puo' allora concludere che la sentenza impugnata, nel disegnare il ruolo partecipativo dell'imputato negli accadimenti di causa, e nel sottolinearne la valenza agevolatrice e rafforzatrice in chiave concorsuale, non e' incorsa in alcun errore di diritto, vizio di motivazione o travisamento della prova, tenuto conto che quest'ultimo postula l'apprezzamento errato di un risultato probatorio incontestabilmente diverso da quello immediatamente emergente dagli atti, e dunque un errore di natura revocatoria al quale e' estraneo ogni discorso confutativo sul significato della prova o di mera contrapposizione dimostrativa (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos, Rv. 283370-01; Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623-01; Sez. 5 n. 39048 del 25/09/2007, Rv. 238215), rilevabile invece dalla lettura dell'atto di impugnazione. 13. Il terzo motivo del ricorso (OMISSIS) e' manifestamente infondato. Il duraturo affiancamento ai sodali, assicurato dal ricorrente (che guidava, quando era assieme a (OMISSIS), al posto di lui, finanche sprovvisto di patente di guida), protratto oltre la stessa consumazione dell'omicidio, rende logica l'esclusione dell'attenuante del contributo concorsuale di minima partecipazione, ex articolo 114 c.p., tenuto conto che essa puo' essere riconosciuta, per giurisprudenza consolidata (da ultimo, Sez. 6, n. 34539 del 23/06/2021, I., Rv. 281857-01), non gia' per il solo fatto di una minore efficacia causale dell'attivita' del concorrente, ma solo quando il contributo dato si sia concretizzato in una partecipazione del tutto marginale, ossia di efficacia causale cosi' lieve rispetto all'evento da risultare trascurabile nell'economia generale dell'iter criminoso. Il motivo, peraltro, e' in larga parte eccentrico rispetto al tema posto, perche' calibrato piu' sull'esclusione della compartecipazione criminosa in genere, che sul rilievo negativo della specifica attenuante. 14. Il quarto motivo e' manifestamente infondato, perche' (OMISSIS) risponde dei reati di porto e detenzione di arma comune da sparo a titolo di concorso morale, che assai difficilmente potrebbe essere negato, nel contesto dato. Trattavasi di un omicidio antecedentemente programmato e studiato, e da compiersi appunto a mano armata. La realizzazione, conforme al piano, riconduce all'imputato la paternita' ideale dei crimini in quest'ultimo ricompresi. 15. Fondato risulta, anche rispetto a (OMISSIS), il motivo concernente le attenuanti generiche, quinto della serie. A maggior ragione, rispetto a tale imputato, e al ruolo ancillare da lui assunto nella vicenda, poteva sussistere l'esigenza di una personalizzazione del trattamento sanzionatorio, conforme ai principi esposti nel paragrafo 10. La sentenza impugnata e' certamente analitica nell'esame, improntato a particolare rigore, delle ragioni sfavorevoli, a suo dire preponderanti. L'analisi comparativa con le eventuali emergenze di segno contrario non appare tuttavia impeccabile, se si guarda alla obiettiva svalutazione di una biografia penale sino ad oggi immune da condanne definitive e alla obiettiva negativa enfatizzazione di scelte e strategie processuali che l'imputato era comunque nel diritto di assumere. Anche in questo caso si impone un approfondimento, che viene nuovamente demandato al giudice di rinvio, nella piena salvaguardia del suo ambito di discrezionale e motivata valutazione. 16. La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata, rispetto a (OMISSIS), limitatamente al diniego delle attenuanti generiche, ai fini di un nuovo giudizio sul punto. Il ricorso e' respinto nel resto. 17. Alla reiezione di tutti i motivi di ricorso, diversi da quelli relativi alle attenuanti generiche, consegue la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle costituite parti civili, che, tenuto conto dell'impegno defensionale profuso, si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) limitatamente al diniego delle attenuanti generiche con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di assise di appello di Milano. Rigetta nel resto i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS). Rigetta il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 6.500,00 oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CASA Filippo - Presidente Dott. ROCCHI Giacomo - Consigliere Dott. TALERICO Palma - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. FILOCAMO Fulvio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nato a BRINDISI il 04/01/1965 avverso l'ordinanza del 04/03/2022 del GIP TRIBUNALE di BRINDISI udita la relazione svolta dal Consigliere FULVIO FILOCAMO; lette le conclusioni del PG Delia Cardia che ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza, emessa in data 4 marzo 2022, il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Brindisi convalidava il fermo di (OMISSIS), per il delitto di duplice omicidio compiuto dall'indagato, insieme al fratello, in danno di (OMISSIS) e (OMISSIS) rispettivamente 22 e 21 anni prima, come ricostruito sulla base delle indicazioni rese da un altro fratello ( (OMISSIS), collaborante con la giustizia) del fermato. Il provvedimento qui impugnato riporta, ai fini del quadro indiziario, le dichiarazioni di (OMISSIS) riscontrate dal teste oculare dell'omicidio " (OMISSIS)" ( (OMISSIS)), dalla moglie dello (OMISSIS), (la quale, gia' all'epoca dei fatti, aveva fornito un identikit che corrispondeva al volto del (OMISSIS)) e dagli esiti delle intercettazioni di cui si riportano ampi stralci di interesse; esso e' motivato anche sul rispetto dei presupposti di legge, sul movente "economico" dei delitti e, in particolare, sul pericolo di fuga rispetto alla gravita' dei delitti di omicidio dei quali si era maturata la certezza dell'impunita' e alla circostanza che, da una nota della p.g. secondo la quale il fermato avrebbe iniziato a dismettere i beni di sua proprieta', nonche' sulla base del contenuto, come interpretato, di un'intercettazione di una conversazione carpita tra il fratello co-indagato (OMISSIS) e la moglie di (OMISSIS) nella quale si fa riferimento al fatto che si sarebbe gia' "preparato la valigia" e "girato bandiera", cosi' intendendo che vi fosse un progetto concreto di darsi alla fuga. 2. Avverso la sopra indicata ordinanza ricorre per cassazione, con il ministero del difensore di fiducia, (OMISSIS), chiedendone l'annullamento sulla base di un unico coacervato motivo ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), per l'evidente assenza dei presupposti per la convalida del decreto di fermo con riferimento al pericolo di fuga, nonche' per l'illogicita' della motivazione, in merito al pericolo di fuga, sulla base delle indagini svolte da cui e' emersa la piena consapevolezza degli indagati di essere sottoposti a indagine per il delitto di omicidio e di non aver mai posto in essere atti preparativi a un'eventuale fuga. 2.1. In sintesi, il difensore afferma che il ricorrente sapeva da tempo di essere oggetto di indagine per il duplice omicidio, come provato dal sopralluogo effettuato dalla p.g. presso l'immobile adibito a ex falegnameria di proprieta' del (OMISSIS) e dalle intercettazioni delle conversazioni in atti in cui il (OMISSIS), parlando con la moglie, esprime il timore di essere arrestato a breve. Si contesta che il pericolo di fuga ipotizzato, dal pubblico ministero prima e dal Gip poi, non sarebbe ancorato a circostanze di fatto effettivamente sussistenti. Si contesta, infine, l'interpretazione data alla frase pronunciata dalla moglie del (OMISSIS) "hai capito- Ti hanno usato e gettato Si sono gia' d'accordo... ecco perche' stava tutto arzillo, fino a poco tempo fa stava con la fifa in culo, a terra, il primo che si e' preparato la valigia e mo' ha girato bandiera", la quale andrebbe intesa nel senso che essa fosse riferibile al fratello (OMISSIS), che "avrebbe dimostrato di farsi la valigia e girare bandiera, nel senso di abbandonare il fratello (OMISSIS) ad un destino diverso da quello evidentemente comune". 3. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il motivo posto alla base del ricorso e' infondato. Le doglianze poste con il ricorso non riescono a intaccare la motivazione posta alla base del provvedimento impugnato. 2. Il Gip, nel motivare il pericolo di fuga, ha considerato l'effetto dirompente della collaborazione del fratello del ricorrente rispetto alla convinzione maturata che dopo piu' di venti anni non si sarebbero potuti individuare i responsabili del duplice omicidio. Quali elementi concreti per ritenere la sussistenza del pericolo di fuga sono posti in rilievo i risultati delle intercettazioni da cui si desume la conoscenza dell'indagine, il timore di essere condannato all'ergastolo e la frase secondo la quale si fosse pensato a fuggire il cui riscontro e' esplicitato in una nota della p.g. - non allegata, ne' considerata apparentemente dal difensore - secondo la quale il fermato avrebbe iniziato a dismettere i beni di sua proprieta'. Sul significato dell'intercettazione contestato dalla difesa del ricorrente va qui ribadito i principi di diritto secondo i quali "in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita' se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite" (Sez. 3, Sentenza n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli Michele, Rv. 282337) e, ancora, "in sede di legittimita' e' possibile prospettare un'interpretazione del significato di un'intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformita' risulti decisiva ed incontestabile" (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, Di Maro, Rv. 272558). Detto travisamento della prova, oltre a non essere stato specificamente dedotto, non appare sussistere al pari del difetto di motivazione come affermato in ricorso. Va, infatti, considerato che l'interpretazione fatta propria dal Tribunale si basa, quale riscontro al senso considerato, proprio sulla nota della p.g. da cui emerge la volonta' del ricorrente di dismettere i propri beni. Le circostanze, appena riportate, alla base della valutazione effettuata dal giudice di merito sul pericolo di fuga sono coerenti con l'indirizzo ermeneutico di questa Corte secondo cui "ai fini della convalida del fermo, il pericolo di fuga non puo' essere presunto sulla base del titolo di reato in ordine al quale si indaga, ma deve essere fondato su elementi specifici, ossia dotati di capacita' di personalizzazione, desumibili da circostanze concrete" (Sez. 2, n. 26605 del 14/02/2019, Coscioni, Rv. 276449 - 02) e "ai fini della convalida del fermo, l'apprezzamento del requisito del pericolo di fuga - in quanto valutazione prognostica, "discrezionalmente vincolata" a specifici e concreti elementi di fatto, della rilevante plausibilita' che l'indagato, se lasciato in liberta', si sottragga alla pretesa di giustizia - e' insindacabile in sede di legittimita' ove si caratterizzi per uno sviluppo argomentativo logico e consequenziale, quanto al significato da attribuire alle emergenze procedimentali, secondo canoni di ragionevolezza" (Sez. 2,n. 33531 del 16/06/2021, PMT C/ Ferrara Melchiorre, Rv. 281861). Tali canoni sono stati rispettati nel provvedimento impugnato che risulta, pertanto, immune dai vizi rappresentati in ricorso. 3. Dalle considerazioni ora esposte deriva il rigetto del ricorso. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - est. Presidente Dott. SIANI Vincenzo - Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere Dott. CAPPUCCIO Daniele - Consigliere Dott. GALATI Vincenzo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI CASSINO; Nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato ad (OMISSIS); Nel procedimento a carico di quest'ultimo; Avverso l'ordinanza del 12/12/2022 del GIP TRIBUNALE DI CASSINO; Udita la relazione svolta dal Presidente MOGINI STEFANO; lette le conclusioni del PG nella persona del Sostituto Procuratore Generale Pedicini Ettore, che ha chiesto l'annullamento con rinvio dell'impugnata ordinanza. RITENUTO IN FATTO Con ordinanza del 12 dicembre 2022, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cassino non convalidava il fermo di (OMISSIS), indiziato del delitto di cui agli articoli 56 e 575 c.p. ai danni di (OMISSIS), sul presupposto dell'assenza del pericolo di fuga. In particolare, motivava nel senso che "non era ravvisabile alcun elemento sulla base del quale ritenere che (OMISSIS) intendesse sottrarsi alle conseguenze del proprio illecito operato, atteso che l'uomo risulta stabilmente legato al territorio sotto il profilo sociale e affettivo e non aveva in alcun modo pianificato di darsi alla fuga (ad esempio all'estero) o di riparare - al fine di rendersi irreperibile - presso terzi soggetti compiacenti". Citava, a conforto di detta conclusione, massime della giurisprudenza di legittimita' che impongono di desumere tale specifica esigenza cautelare da elementi concreti, dotati di capacita' di personalizzazione, indirizzata nei confronti del singolo individuo che si sospetta stia per darsi alla fuga, sicche' la stessa non puo' essere ritenuta sulla scorta del titolo di reato per il quale si procede, che costituisce limite dell'esperibilita' del fermo e non elemento che, di per se', configuri la probabilita' di fuga. 2. Ricorre per cassazione il Pubblico Ministero e deduce, con un unico, articolato motivo, il vizio di contraddittorieta' della motivazione. Il Giudice per le indagini preliminari ha escluso l'esigenza cautelare del pericolo di fuga attraverso un'errata applicazione della legge processuale e un altrettanto errata interpretazione della giurisprudenza di legittimita' che, invece, si e' costantemente espressa nel senso che detto pericolo non deve essere desunto esclusivamente da comportamenti materiali che rivelino l'inizio dell'allontanamento o una condotta indispensabilmente prodromica allo stesso, essendo al contrario necessario e sufficiente stabilire un reale ed effettivo pericolo che il soggetto possa darsi alla fuga. In senso contrario alla decisione di non convalida, il Pubblico Ministero ricorrente pone in risalto plurimi elementi dimostrativi della sussistenza di detto pericolo e, segnatamente, il fatto che, immediatamente dopo l'azione, (OMISSIS) si fosse reso irreperibile con i propri familiari (alle cui telefonate non rispondeva), si fosse nascosto in una zona boschiva nei pressi dell'abitazione dove era ritrovato a seguito di ricerche dei militari dell'Arma dei Carabinieri durate circa due ore, nel possesso - oltre che alle armi e alle relative munizioni di farmaci per la cura del diabete. 4. Il Sostituto Procuratore generale, con requisitoria scritta depositata il 3 febbraio 2023, ha chiesto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato per le ragioni di seguito esposte. 2. Il Collegio condivide l'esegesi che dell'articolo 274 c.p.p., lettera b) e' stata compiuta, dopo l'interpolazione operata dalla L. n. 47 del 2015, con l'aggiunta del requisito della "attualita'", accanto alla concretezza, che deve essere propria del pericolo di fuga: nel senso che il requisito anzidetto non comporta necessariamente l'esistenza di condotte materiali del soggetto agente che disvelino l'inizio dell'allontanamento dello stesso o siano comunque espressione di fatti prodromici all'allontanamento medesimo, "essendo sufficiente accertare, sulla scorta di un giudizio prognostico verificabile - perche' tratto dalla concreta situazione di vita del soggetto, dalle sue frequentazioni, dai precedenti a suo carico, dalle pendenze giudiziarie e, piu' in generale, da elementi in atti vicini nel tempo - l'esistenza di un effettivo e ragionevolmente prossimo pericolo di fuga, tale da richiedere un tempestivo intervento cautelare (cfr. Sez. 5, n. 7270 del 06.07.2015 - dep. 2016, Rv. 267135, nonche' Sez. 6, n. 16864 del 07.03.2018, Rv. 270311, Sez. 6 n. 481 del 27/09/2018, Roncali, Rv. 274220). Ai precipui fini della convalida del fermo, poi, la giurisprudenza di legittimita' ha ripetutamente affermato che il pericolo di fuga non puo' essere presunto sulla base del titolo di reato per cui s'indaga, ma deve essere fondato su elementi specifici, dotati di capacita' di personalizzazione, desumibili da circostanze concrete (in tal senso Sez. 2, n. 26605 del 14/02/2019, Hossain, Rv. 276449-02; Sez. 3, n. 39542 del 11/07/2013, Brianza, Rv. 256975; Sez.1, n. 5244 del 10/01/2006, Salaj, Rv. 234066; Sez.3, n. 4089 del 18/12/2003, Failla, Rv. 228486). Il Giudice per le indagini preliminari non si e' attenuto a tali insegnamenti. Nel ribadire il principio per cui il giudice della cautela, in tema di pericolo di fuga, e' chiamato a svolgere un giudizio prognostico verificabile che deve attagliarsi, di volta in volta, al caso concreto prospettatosi, va qui evidenziato che la motivazione del provvedimento impugnato si appalesa manifestamente illogica nella parte in cui ha ritenuto l'assenza di un concreto pericolo di fuga sulla scorta di elementi - quali l'assenza di prodromiche condotte preparatorie esemplificate nello stesso provvedimento e lo stabile collegamento sociale e affettivo con il territorio - trascurando circostanze di fatto (quali l'essersi reso irreperibile anche con i propri congiunti e l'essersi allontanato munito di medicine salvavita) legittimanti - secondo una valutazione ex ante - la misura pre-cautelare. 4. L'ordinanza impugnata, pertanto, va annullata senza rinvio, sul rilievo che il ricorso ha a oggetto una fase del procedimento ormai perenta e concerne esclusivamente la valutazione circa la correttezza dell'operato della polizia giudiziaria, ragioni per le quali l'eventuale rinvio del provvedimento impugnato solleciterebbe una pronuncia meramente formale, priva di ricadute giuridiche (Sez. I, n. 36236 del 20/09/2007, Esposito, Rv. 237687). P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata perche' il fermo e' stato legittimamente eseguito.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CAPUTO Angelo - Presidente Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. MOROSINI Elisabetta - Consigliere Dott. CUOCO Michele - rel. Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato ad (OMISSIS); avverso la sentenza del 16 maggio 2022, della Corte d'appello di L'Aquila; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere CUOCO MICHELE; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale LIGNOLA FERDINANDO, che ha chiesto l'annullamento senza rinvio limitatamente al capo D) dell'imputazione, con eliminazione della relativa pena e dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso nel resto; letta la memoria depositata il 17 febbraio 2023, dall'avv. (OMISSIS), nell'interesse del ricorrente. RITENUTO IN FATTO 1. Oggetto dell'impugnazione e' la sentenza con la quale la Corte d'appello di L'Aquila, confermando la condanna pronunciata in primo grado, ha ritenuto (OMISSIS) responsabile dei reati di cui all'articolo 612 c.p., comma 2 e articolo 639 c.p. (capo B, per aver minacciato (OMISSIS) brandendo in mano un coltello a serramanico); la L. n. 110 del 1975, articolo 4, comma 2, e articolo 61 c.p., n. 2 (capo C, per aver portato fuori dell'abitazione, senza giustificato motivo, uno strumento da punta e taglio atto ad offendere); Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 73 (capo D, perche', sottoposto alla misura di prevenzione dell'avviso orale, circolava alla guida dell'autovettura senza titolo abilitativo, gia' revocato); 495 c.p. (capo E, perche', durante un controllo di polizia, interrogato sulla sua identita', forniva generalita' false). 2. Il ricorso, proposto nell'interesse dell'imputato, si compone di cinque motivi d'impugnazione. 2.1. Il primo attiene al capo C) e deduce vizio di motivazione, nella parte in cui, essendo stato ritrovato il coltello quattro giorni dopo, non vi sarebbe stata alcuna verifica in ordine al motivo del porto al momento del fatto, unico rilevante nell'economia della fattispecie incriminatrice. 2.2. Il secondo, anche questo relativo al capo C), attiene alla sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 2 e deduce il difetto di motivazione della sentenza in ordine all'accertamento del profilo soggettivo di tale aggravante e, quindi, dell'effettiva finalizzazione dell'attivita' alla realizzazione del reato scopo. 2.3. Il terzo, formulato sotto il profilo della violazione di legge, attiene al capo D) e lamenta la ritenuta sussistenza del reato. Secondo la difesa, essendo il ricorrente destinatario di un semplice avviso orale e non essendo questo una vera e propria misura di prevenzione personale, mancherebbe il necessario presupposto normativo richiesto per l'applicazione della sanzione penale. Peraltro, la norma imporrebbe una specifica sequenza cronologica e un necessario legame funzionale tra la revoca della patente e l'avviso orale; sequenza che, essendo in concreto invertita, escluderebbe comunque l'applicabilita' della norma. 2.4. Il quarto attiene al capo E) e deduce vizio di motivazione, nella parte in cui la sentenza non darebbe conto di come, dalle dichiarazioni asseritamente false, raccolte al momento del controllo di polizia, si sia giunti proprio all'identificazione del ricorrente. In ogni caso, la norma presupporrebbe, secondo la prospettazione difensiva, che gli agenti e gli ufficiali di polizia giudiziaria non avessero avuto altri mezzi d'identificazione. Laddove, al momento del controllo, i verbalizzanti ben avrebbero potuto procedere ad un fermo identificativo, acquisendo, attraverso la strumentazione in dotazione, i reali dati identificativi. 2.5. Il quinto, in ultimo, attiene al capo B) e deduce vizio di motivazione, in relazione alle ritenute potenzialita' intimidatorie della condotta assunta dal ricorrente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo e il secondo motivo non solo sono inammissibili, in quanto proposti per la prima volta solo in questa sede, ma sono anche manifestamente infondati. Il primo perche' il giustificato motivo deve essere fornito dall'agente (peraltro, al momento del fatto: Sez. 1, n. 18925 del 26/02/2013, Rv. 256007) e il ricorrente non ha allegato (neanche in questa sede) alcuna valida giustificazione. Il secondo perche', in concreto, il reato mezzo e' un reato permanente (Sez. 1, n. 4896 del 16/11/2017, dep. 2019, Rv. 276165) e, in tal caso, non e' necessario che la finalizzazione della volonta' sussista al momento dell'inizio della permanenza, ben potendo sopravvenire successivamente, nel corso della concreta consumazione. D'altronde, ai fini della sussistenza dell'aggravante, e' sufficiente che la volonta' del soggetto agente sia diretta alla commissione del reato-fine e che a tale scopo egli si sia servito del reato-mezzo (Sez. 5, n. 22 del 26/11/2019, dep. 2020, Rv. 277754). 2. Il terzo motivo e', invece, fondato. Al (OMISSIS) e' contestato, al capo D), il reato di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 73, perche, essendo sottoposto alla misura di prevenzione personale dell'avviso orale, avrebbe condotto un'autovettura nonostante fosse privo del necessario titolo abilitativo, in precedenza revocato. Sostiene il ricorrente che, da un canto, la patente di guida gli sarebbe stata revocata prima e del tutto indipendentemente dall'emanazione dell'avviso orale (e quindi mancherebbe quella necessaria scansione temporale e quel necessario collegamento funzionale tra la revoca e l'applicazione della misura), dall'altro l'avviso orale "semplice", non accompagnato dalle prescrizioni previste dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 3, comma 4, non potrebbe ritenersi, ai fini che qui rilevano, una vera e propria misura di prevenzione personale. Ebbene, il richiamato articolo 73 commina la pena e' dell'arresto da sei mesi a tre anni a chiunque guidi un autoveicolo o motoveicolo, senza patente o dopo che la patente sia stata negata, sospesa o revocata, qualora si tratti di persona gia' sottoposta, con provvedimento definitivo, a una misura di prevenzione personale. La medesima condotta, in mancanza di tale condizione, e' sanzionata dall'articolo 116 C.d.S., comma 15, con una semplice sanzione amministrativa (salvo il caso di recidiva nel biennio). Ed e' proprio in cio' che risiede la ragione principale della fondatezza delle censure mosse. La questione, in diverse occasioni, e' stata sottoposta alla valutazione di questa Corte, con esiti fra loro contrastanti. In estrema sintesi, gli argomenti utilizzati si fondano, da un canto, sull'esplicito dato letterale ("il reato di cui al Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 73 non distingue tra le varie ipotesi di misura personali. Cosicche' non vi e' ragione di escludere quelle disposte dall'autorita' amministrativa e, quindi, l'avviso orale": Sez. 1, n. 418 del 17/11/2022, dep. 2023, Rv. 283945) e, dall'altro, sulla natura - sostanziale dell'avviso orale "semplice", in ipotesi non suscettibile di essere ricompreso all'interno della categoria delle misure di prevenzione personali ("non integra il reato di cui al Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 73, la guida di un autoveicolo senza patente, o dopo che la stessa sia stata revocata, da parte del destinatario di un mero avviso orale del questore, che, senza la prescrizione dei divieti previsti dall'articolo 3, comma 4, del citato D.Lgs., non costituisce misura di prevenzione, non comportando limitazioni alla liberta' personale": Sez. 1, n. 47713 del 27/10/2022, Rv. 283820). Sulla natura dell'avviso orale "semplice" (e sulla sua conseguente estraneita' rispetto al perimetro normativo proprio delle misure personali, nonostante l'esplicita indicazione normativa contenuta nel Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 3), sono state svolte ampie argomentazioni, riconducibili al dato contenutistico (l'avviso orale "mero" non comporta alcuna limitazione per il soggetto, che e' invitato "a tenere una condotta conforme alla legge", obbligo che grava su tutti i cittadini), al dato storico (L. n. 1423 del 1956, articolo 4 non configurava l'avviso orale del questore come misura di prevenzione), alla conseguente interpretazione da offrire in relazione all'attuale articolo 73 (riproduttivo del L. 31 maggio 1965, n. 575, articolo 6, che non puniva la condotta di guida senza patente di un soggetto sottoposto ad avviso orale, attesa l'evidenziata natura di quest'ultimo) e ai relativi presupposti applicativi (per l'emissione dell'avviso orale da parte del Questore non e' necessario un giudizio di pericolosita' per la sicurezza pubblica, che invece e' previsto dall'articolo 6 per le misure di prevenzione applicate dall'Autorita' giudiziaria e, separatamente, per l'emissione del foglio di via obbligatorio). In questi termini, la gia' richiamata sentenza (Sez. 1, n. 47713, cit.), ma anche le sezioni civili di questa Corte, nella parte in cui ritengono che detto avviso, in difetto di un accertamento dell'attualita' della pericolosita' sociale della persona e correlandosi alla mera proclivita' a commettere azioni delittuose, consiste nella semplice intimazione di tenere una condotta conforme a legge e, quindi, non puo' essere considerato una misura di prevenzione ai sensi della L. n. 1423 del 1956, ma solo una misura prodromica alle misure di prevenzione vere e proprie (Sez. 1, n. 7973 del 28/03/2017, Rv. 644839). E, in termini analoghi, lo stesso Consiglio di Stato (C.d.S., Sezione 3, sentenza n. 722 14 febbraio 2014). La disposizione normativa e' stata sottoposta anche al vaglio della Corte Costituzionale (n. 211 del 17 ottobre 2022) in relazione alle questioni prospettate da questa stessa Corte (Sez. 6, ordinanza del 10 settembre 2021) e, successivamente, dal Tribunale di Ravenna (ordinanza del 14 marzo 2022), in entrambi i casi sostanzialmente riconducibili alla ritenuta violazione dei principi costituzionali di legalita' della pena e di orientamento della stessa all'emenda del condannato, ai quali deve attenersi la legislazione penale, in relazione ai criteri di selezione della fattispecie incriminatrici e alla loro ragionevolezza (articolo 3 Cost.), in quanto, secondo i remittenti, l'essere stato sottoposto con provvedimento definitivo a una misura di prevenzione personale, pur trattandosi di evenienza del tutto estranea al fatto-reato della guida senza patente, renderebbe punibile una condotta che, se posta in essere da qualsiasi altro soggetto, non assumerebbe, invece, alcun disvalore sul piano penale. Questioni che, invero, sono state ritenute infondate alla luce di un'articolata argomentazione, rilevante per la valutazione delle censure sollevate dal ricorrente, che puo' essere riassunta in questi termini. L'applicazione delle misure di prevenzione personali ha "lo specifico obiettivo, tra gli altri, di garantire l'attuazione della necessaria vigilanza da parte degli organi di pubblica sicurezza, anche attraverso la previsione di limitazioni della liberta' di circolazione". Esigenza imposta in ragione della pericolosita' del soggetto agente, gia' manifestata ed accertata all'interno del procedimento applicativo della misura. Cosicche', "l'indubbia dimensione afflittiva delle misure stesse non e', in quest'ottica, che una conseguenza collaterale di misure il cui scopo essenziale e' il controllo, per il futuro, della pericolosita' sociale del soggetto interessato: non gia' la punizione per cio' che questi ha compiuto nel passato". All'interno di questa cornice, tuttavia, non ogni inadempimento di obblighi generici e indeterminati puo' essere posto a carico dei destinatari delle misure di prevenzione, ma soltanto quelli che si sostanziano in violazioni di specifiche prescrizioni finalizzate alla tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza. Prescrizioni che, con riferimento alla fattispecie in esame, sono riconducibili all'articolo 120 C.d.S.. Tale norma, nella sua attuale formulazione (all'esito della dichiarazione d'incostituzionalita' pronunciata con la sentenza n. 99 del 2020), prevede che il provvedimento prefettizio di revoca della patente non sia piu' automatico e vincolato, ma debba essere fondato su una valutazione discrezionale dell'organo amministrativo. Valutazione che, pur non riproponendo un riesame della pericolosita' del soggetto destinatario della misura di prevenzione, si fonda su una verifica di necessita'/opportunita' della revoca della patente di guida a fronte della specifica misura di prevenzione cui nel caso concreto e' sottoposto il suo titolare. Cosicche', ove la revoca della patente sia giustificata dall'applicazione della misura di prevenzione personale, residua un momento di valutazione, in concreto, della sussistenza di una pericolosita' specifica dell'interessato e, quindi, dell'esigenza di limitarne la circolazione alla luce delle ragioni per le quali e' stata disposta la misura. Ed e' proprio cio' che giustifica, ad avviso di questo Collegio, il riconoscimento dell'offensivita' del relativo reato contravvenzionale oggetto della contestazione. Il destinatario di un avviso orale "semplice", in assenza di specifiche prescrizioni aggiuntive sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 3, comma 4, puo', legittimamente, possedere o utilizzare: apparati di comunicazione radiotrasmittente; radar e visori notturni; indumenti e accessori per la protezione balistica individuale; mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di aumentarne la potenza o la capacita' offensiva; armi a modesta capacita' offensiva o riproduzioni di armi di qualsiasi tipo, compresi i giocattoli riproducenti armi, altre armi o strumenti, in libera vendita, in grado di nebulizzare liquidi o miscele irritanti non idonei ad arrecare offesa alle persone; prodotti pirotecnici di qualsiasi tipo; sostanze infiammabili e altri mezzi comunque idonei a provocare lo sprigionarsi delle fiamme; programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o criptazione di conversazioni e messaggi. Ma, secondo l'interpretazione accolta dalla sentenza impugnata e dall'indirizzo sostenuto dalla Sez., 1, n. 418 cit., la guida di un autoveicolo senza la necessaria abilitazione da parte del destinatario di un avviso orale "semplice" avrebbe, per cio' solo, rilevanza penale. Un interpretazione, questa, che non tiene conto della necessaria offensivita' di cui, ineludibilmente, ogni illecito penale deve essere espressione e che presenta profili di irragionevolezza, in quanto il destinatario di un avviso orale "semplice" non sarebbe gravato dalle prescrizione "tipiche" di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 3, comma 4, mentre, invece, si vedrebbe sanzionato penalmente per una condotta altrimenti rilevante solo sul piano amministrativo. In un sistema ordinamentale dove il reato deve presupporre l'offesa di interessi ritenuti meritevoli di tutela, alla sanzione penale deve corrispondere un "illecito" congruente in termini di offensivita' e colpevolezza, in coerenza con gli articoli 3, 13 e 25 cpv. Cost., e articolo 27 Cost., comma 1, e con i principi convenzionali acquisiti, all'interno del nostro ordinamento, con la Legge-quadro 24 dicembre 2012, n. 234 (che, all'articolo 32, tra i "Principi direttivi" per l'attuazione penalistica di discipline UE, legittima l'impiego di illeciti contravvenzionali, ma solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti). Cio' impone, quindi, una rilettura restrittiva della norma che conduca ad attribuire al fatto descritto dalla norma un disvalore sostanziale tale da giustificare un'esigenza non solo di personalizzazione della responsabilita' (che un fatto di inosservanza formale neppure implicherebbe), ma anche di rieducazione e risocializzazione del soggetto agente. Il principio di offensivita', invero, secondo il costante orientamento della Corte Costituzionale (ex multis, sentenze n. 225 del 2008, n. 265 del 2005, nn. 519 e n. 263 del 2000) non vincola solo il legislatore (tenuto a limitare la repressione penale a fatti che, nella loro configurazione astratta, presentino un contenuto offensivo di beni o interessi ritenuti meritevoli di protezione: c.d. offensivita' in astratto), ma rappresenta un doveroso criterio interpretativo-applicativo anche per il giudice, il quale, nella verifica della riconducibilita' della singola fattispecie concreta al paradigma punitivo astratto, dovra' evitare che ricadano in quest'ultimo, alla luce dei comuni criteri ermeneutici, comportamenti privi di qualsiasi attitudine lesiva (c.d. offensivita' in concreto). Pertanto, non integra il reato di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 73, la guida di un autoveicolo senza patente o dopo che la stessa sia stata revocata da parte di un avviso orale del questore privo della prescrizione dei divieti di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 3, comma 4. 3. Anche il quarto motivo e' inammissibile. Per come si e' detto, il ricorrente lamenta l'omessa indicazione delle modalita' con le quali gli agenti sono poi giunti ad accertare le corrette generalita' del ricorrente e la concreta sussumibilita' della condotta contestata nella fattispecie descritta dall'articolo 495 c.p. (alla luce concreta possibilita' di una corretta identificazione del soggetto attraverso gli strumenti a disposizione degli agenti). La prima censura e' chiaramente inammissibile, in quanto afferente ad un dato del tutto irrilevante a fronte della effettiva (e non contestata) identificazione del ricorrente. La seconda e' manifestamente infondata. La condotta contestata deve essere effettivamente sussunta nella fattispecie descritta nell'articolo 495 c.p., in quanto le false di dichiarazioni sulla reale identita' sono state fornite agli agenti operanti da parte di un soggetto (che ha dichiarato di essere) sprovvisto di documenti d'identita'. In tali casi, per l'assenza di altri mezzi di identificazione, la dichiarazione costituisce vera e propria attestazione tesa a garantire ai pubblici ufficiali le proprie qualita' personali (Sez. 5, n. 7286 del 26/11/2014, dep. 2015, Rv. 262658). Sotto tale profilo, alcuna rilevanza puo' avere la circostanza per cui gli agenti avrebbero putto accertare, attraverso gli strumenti a loro disposizione, le effettive generalita' del ricorrente: cio' che integra il reato, a fronte del generale obbligo di dare corrette indicazioni sulla propria identita' personale, sul proprio stato o sulle altre qualita' personali (sanzionato dall'articolo 651 c.p.), e' l'assenza di documenti d'identita' (che, se posseduti, si ha l'obbligo di esibirli: articolo 294 reg. es. TULPS). Perche', in mancanza di un valido documento identificativo, il soggetto e' comunque tenuto a declinare le proprie esatte generalita', rispetto alle quali, appunto, la dichiarazione resa ha funzione attestativa. Ed e' proprio la "falsa attestazione" che fonda il disvalore della fattispecie incriminatrice e che distingue l'articolo 495 c.p. dal successivo articolo 496. 4. Anche il quinto motivo e' inammissibile in quanto non si confronta con le puntuali argomentazioni offerte dalla corte territoriale, che da' atto di come la concreta potenzialita' intimidatrice della condotta assunta dal (OMISSIS) non e' da ricollegarsi alla sola frase pronunciata (ritenuta dalla difesa priva di concreta efficacia intimidatoria), ma al complessivo comportamento del ricorrente nel momento in cui, brandendo un coltello, lo ha agitato ripetutamente nei confronti della persona offesa. Comportamento che, in ragione della natura dell'articolo 612 c.p., va valutato prescindendo dalla circostanza per cui la persona offesa non abbia concretamente percepito l'oggettivo contenuto minaccioso della condotta assunta dal soggetto agente (Sez. 2, n. 21684 del 12/02/2019, Rv. 275819). P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo D), perche' il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena di giorni 20 di reclusione. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI Elisabetta - Presidente Dott. VERGA Giovanna - Consigliere Dott. PELLEGRINO Andrea - rel. Consigliere Dott. PERROTTI Massimo - Consigliere Dott. LEOPIZZI Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti rispettivamente da: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 3. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 4. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 5. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 6. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 7. (OMISSIS), nata a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 8. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 9. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 10. (OMISSIS), nata a (OMISSIS), rappresentata ed assistita dall'avv. (OMISSIS); 11. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 12. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS) e dall'avv. (OMISSIS); 13. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 14. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 15. (OMISSIS), nato a (OMISSIS) rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 16. (OMISSIS), nato a (OMISSIS) rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); 17. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS); avverso la sentenza n. 14802/17 in data 09/02/2022 della Corte di appello di Napoli, quarta sezione penale; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; preso atto che i ricorrenti sono stati ammessi alla richiesta trattazione orale in presenza ai sensi dell'articolo 611 c.p.p., comma 1-bis, Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato da ultimo in forza del Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, articolo 5-duodecies, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PELLEGRINO Andrea; udita la requisitoria con la quale il Sostituto Procuratore Generale, Dott. ROMANO Giulio, ha concluso chiedendo il rigetto di tutti i ricorsi; udita la discussione delle difese dei ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), avv. (OMISSIS), comparso anche in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), che si e' riportato ai rispettivi motivi di ricorso chiedendone l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 09/02/2022, la Corte di appello di Napoli, decidendo su rinvio della Corte di Cassazione, disposto con sentenza della sesta sezione penale n. 13281 in data 09/01/2018, in riforma della pronuncia resa dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli in data 05/02/2014, come gia' riformata con sentenza della Corte di appello di Napoli del 17/03/2016, annullata limitatamente alla posizione degli imputati appellanti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nei termini indicati dalla Corte remittente, cosi' provvedeva: - dichiarava non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) in ordine ai reati di cui ai capi 56) e 56-ter) perche' estinti per prescrizione e, per l'effetto, rideterminava la pena nei confronti del sunnominato in relazione al residuo capo C1) nella misura di anni diciassette e mesi quattro di reclusione; - rideterminava la pena, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, con giudizio di equivalenza rispetto alle posizioni di (OMISSIS) e di (OMISSIS), nella misura di: anni dieci e mesi quattro di reclusione per (OMISSIS) anni otto, mesi dieci e giorni venti di reclusione per (OMISSIS) anni tre, mesi quattro di reclusione ed Euro 10.000 di multa per (OMISSIS) anni tre, mesi quattro di reclusione ed Euro 12.000 di multa per (OMISSIS); - riduceva la pena nella misura di: anni diciassette e mesi otto di reclusione per (OMISSIS); anni dodici, mesi nove e giorni dieci di reclusione per (OMISSIS); anni quattro, mesi quattro di reclusione ed Euro 18.000 di multa per (OMISSIS); anni quattro, mesi quattro di reclusione ed Euro 18.000 di multa per (OMISSIS); anni quattro, mesi otto di reclusione ed Euro 24.000 di multa per (OMISSIS); - dichiarava (OMISSIS) interdetto in perpetuo dai pubblici uffici nonche' in stato di interdizione legale durante l'espiazione della pena; - applicava a (OMISSIS) la misura di sicurezza della liberta' vigilata per la durata di anni tre, a pena espiata; - revocava la confisca disposta nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS) limitatamente alla quota di un nono del fabbricato distinto in catasto al fg. (OMISSIS) e della quota di un nono del terreno distinto in catasto al fg. (OMISSIS), tutti siti in (OMISSIS), di cui al decreto di sequestro del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli in data 21/03/2013, disponendone la restituzione a favore dei sunnominati (OMISSIS) e (OMISSIS); - confermava nel resto, condannando (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento delle ulteriori spese processuali. La Suprema Corte aveva annullato la sentenza della Corte di appello di Napoli in data 17/03/2016 nei confronti di (OMISSIS) riconoscendo come l'appello presentato dall'avv. (OMISSIS) non era sicuramente "inefficace" in quanto presentato da terzo difensore, dovendo lo stesso, in conseguenza delle caratteristiche di originalita' delle censure svolte, essere oggetto di esame come memoria ex articolo 121 c.p.p., cosi' come da esaminare avrebbero dovuto essere anche i motivi nuovi ex articolo 585 c.p.p., con conseguente rilevato vizio di omessa motivazione rilevante. Nel medesimo contesto, la Suprema Corte aveva annullato la citata sentenza di merito: - nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) limitatamente al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; - nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al mancato riconoscimento dell'ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5; - nei confronti del solo (OMISSIS) anche in relazione alla confisca della quota di un nono dei beni situati a (OMISSIS). 2. Avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli in data 09/02/2022, nell'interesse di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), sono stati proposti ricorsi per cassazione, i cui motivi vengono enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p.. 3. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). 3.1. Motivo unico: vizio di motivazione in merito al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche sulla cui meritevolezza la Corte territoriale aveva omesso di pronunciare ritenendo le stesse non concedibili d'ufficio, obliterando in tal modo il fatto che il (OMISSIS) non aveva riportato condanna per il reato associativo ma esclusivamente per due capi di imputazione relativi ad episodi di spaccio e che lo stesso svolgeva regolare attivita' lavorativa. 4. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). 4.1. Motivo unico: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 125 c.p.p., articoli 62-bis, 81 e 133 c.p.. La Corte territoriale aveva omesso di considerare come l'imputato fosse soggetto incensurato ed indenne da carichi pendenti; lo stesso, inoltre, aveva ammesso nell'immediatezza la propria dipendenza da sostanze stupefacenti, chiarito le ragioni dei numerosi contatti telefonici con (OMISSIS) (unico interlocutore e fornitore della sostanza) ed era altresi' emersa la sua estraneita' a compagini associative. Si censura, infine, l'aumento di pena complessivo operato dalla Corte territoriale a titolo di continuazione, rimasto sostanzialmente senza motivazione. 4-bis. La difesa ha presentato in data 23/02/2023 memoria con motivi aggiunti insistendo nelle censure proposte con il ricorso principale. 5. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Motivo unico: vizio di motivazione in ordine al giudizio di equivalenza delle riconosciute circostanze attenuanti generiche. La Corte territoriale, dopo aver preso atto del comportamento positivo dell'imputato, tale da legittimare nei suoi confronti il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non ha poi spiegato il motivo per cui lo stesso in termini di pena dovesse essere neutralizzato dalle contestate aggravanti a seguito di un giudizio di equivalenza con le stesse. 6. Ricorsi nell'interesse di (OMISSIS) e di (OMISSIS). Motivo unico: vizio di motivazione in merito al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. (OMISSIS), dall'applicazione dell'ordinanza cautelare relativa al presente procedimento e' stato ininterrottamente detenuto, prima per questo processo e poi per altro. Anche (OMISSIS) non e' mai stato rimesso in liberta': infatti, fino alla pronuncia oggetto della presente impugnazione, lo stesso e' stato sottoposto alla misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale; la circostanza che (OMISSIS) non avesse posto in essere alcuna condotta illecita successivamente ai fatti di causa, emerge dall'ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di Bologna che concedeva allo stesso il beneficio della liberazione anticipata rimarcando la regolarita' e la correttezza del comportamento del ricorrente. A cio' si aggiunga che il ruolo dei fratelli (OMISSIS) nell'ambito dell'associazione e' stato del tutto subalterno, avendo entrambi svolto la funzione di pusher. 7. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Primo motivo: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'omessa notifica all'imputato della citazione in appello. Secondo motivo: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla valutazione della capacita' e dell'attitudine a delinquere, al denegato riconoscimento della minima partecipazione e delle attenuanti generiche nonche' alla mancata concessione del minimo edittale con effettuazione di diverso calcolo ai fini della continuazione e alla mancata estensione del motivo di ricorso della coimputata (OMISSIS) in relazione al riconoscimento dell'ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. In particolare, non si era tenuto conto che il Cappiello e' incensurato e privo di carichi pendenti, componente di una famiglia numerosa, lavoratore, persona molto religiosa, di umile estrazione sociale e di modeste condizioni economiche, in possesso di contratto di lavoro; ed inoltre, che lo stesso ha svolto un ruolo di minima importanza, ha tenuto un buon comportamento processuale ed e' stato ingiustamente discriminato nel mancato riconoscimento delle attenuanti generiche rispetto ad altri coimputati che, nelle medesime condizioni, ne hanno beneficiato. 8. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Motivo unico: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Si censura la decisione impugnata che ha omesso di considerare il profilo soggettivo dell'imputata, assolutamente incensurata, finendo per compiere una valutazione collegiale ed indistinta delle posizioni di tutti gli imputati, senza tener conto delle grandi difformita' in relazione al coefficiente di pericolosita'. 9. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Primo motivo: violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio nonche' mancanza e contraddittorieta' della motivazione in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza. La mera indicazione degli indici contenuti nell'articolo 133 c.p. non e' sufficiente a dare spiegazione dell'esercizio del potere discrezionale del giudice nella determinazione della pena, ma e' necessario che, tramite lo strumento della motivazione si articolino, in modo puntuale - cosa non avvenuta nella fattispecie - le ragioni per le quali si scelga un trattamento sanzionatorio rispetto ad un altro. Secondo motivo: omessa, insufficiente o carente motivazione. 10. Ricorsi nell'interesse di (OMISSIS). 10-bis Primo ricorso. 10-bis. 1 Primo motivo: violazione di legge in relazione all'articolo 178 c.p.p., lettera b) e c), articolo 187 c.p., articoli 24 e 111 Cost., articolo 6 CEDU. La mancata indicazione del dies ad quem (oltre che del dies a quo) del reato associativo determina violazione del diritto di difesa e del contraddittorio rispetto all'accusa, del tutto indeterminata rispetto al profilo temporale di aver diretto ed organizzato l'associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. 10-bis. 2 Secondo motivo: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, articolo 110 c.p., articolo 192 c.p.p.. Il giudice di primo grado non aveva potuto esprimere un compiuto giudizio di attendibilita' soggettiva dei tre collaboratori di giustizia ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) per carenza di atti e documenti idonei a far conoscere il percorso collaborativo degli stessi stante l'assenza del verbale che viene redatto alla fine del percorso e che contiene le complessive rivelazioni effettuate dal pentito nel semestre collaborativo. Del tutto congetturale e', poi, la valutazione in ordine alla provenienza da clan camorristici dei tre collaboratori di giustizia, la cui asserita intraneita' non equivale affatto al conseguimento della patente di attendibilita' soggettiva. In ogni caso, trattandosi di chiamate di sola reita' e de relato, si rendeva necessario l'accertamento della presenza di robusti riscontri alle stesse. Inoltre, in nessun passaggio della sentenza, viene affermata la specificita' delle dichiarazioni dei propalanti. Avrebbe meritato diversa valutazione lo scarto temporale tra le condotte materiali attribuite al (OMISSIS) dai collaboratori di giustizia, collocabili nell'anno 2006, rispetto alle condotte tenute dal ricorrente quali emergenti dalle intercettazioni telefoniche, collocabili temporalmente negli anni 2011 e 2012. Dichiarate inutilizzabili le dichiarazioni dei tre collaboratori di giustizia e venuto cosi' meno il riscontro con le prove captative, queste ultime, da sole considerate, appaiono del tutto inidonee a provare la responsabilita' del ricorrente al di la' del ragionevole dubbio. 10-ter Secondo ricorso. 10-ter. 1 Motivo unico: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, articolo 110 c.p., articolo 192 c.p.p.; contraddittorieta' interna e esterna della motivazione, omessa motivazione rispetto al devoluto, motivazione apparente/carente. La Corte territoriale non indica in concreto in quali occasioni, ne' in quante occasioni, il ricorrente avrebbe dato ordini in merito all'associazione, ne' quale oggetto avrebbero avuto gli asseriti ordini da lui partiti, ne' quando sarebbero partiti. La pluralita' delle intercettazioni trascritte in sentenza fotografano al piu' l'esistenza dell'associazione, mentre solo una piccola parte sarebbero spendibili onde saggiare la partecipazione del ricorrente, a prescindere dal ruolo. E comunque, quelle in cui si fa riferimento al ricorrente non sono affatto esplicative degli ordini concreti impartiti dallo stesso, non consentendo l'individuazione della direzione e della organizzazione del gruppo da parte del (OMISSIS). 11. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Motivo unico: violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell'ipotesi di reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, in relazione al capo 73), commesso nel periodo compreso tra il (OMISSIS). Ignorando le indicazioni della sentenza di annullamento, la Corte territoriale ha ritenuto di non riqualificare il titolo di reato di cui al capo 73), in considerazione dell'articolata attivita' di spaccio di stupefacenti posta a carico degli altri coimputati, nell'ambito della quale si inseriva l'unico fatto di detenzione a fini di spaccio commesso dalla (OMISSIS), omettendo una valutazione "personalizzata" della condotta e finendo cosi' per ripetere i medesimi errori motivazionali stigmatizzati con la sentenza rescindente. 12. Ricorsi nell'interesse di (OMISSIS), di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS). Motivo unico: difetto ed illogicita' di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e rispetto all'entita' degli aumenti di pena inflitti a titolo di continuazione. In particolare: - in ordine alla posizione di (OMISSIS), si evidenzia come la Corte territoriale avrebbe dovuto analiticamente confutare le doglianze difensive in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e non limitarsi ad un generico richiamo al presunto ruolo di vertice ricoperto dal ricorrente. Per altro verso anche l'aumento a titolo di continuazione, tutt'altro che contenuto, non e' sorretto da alcuna motivazione; solo garantendo la conoscibilita' dei criteri utilizzati e dell'iter seguito per determinare gli aumenti per ciascun reato satellite e', infatti, possibile rendere effettivi la successiva verifica in merito alla congruita' della pena da parte del giudice del gravame nonche' l'eventuale controllo di legittimita' circa la non arbitrarieta' o manifesta irragionevolezza della pena inflitta; - in ordine alla posizione di (OMISSIS), si evidenzia come anche la sentenza gravata presenti le medesime lacune motivazionali gia' stigmatizzate in sede di annullamento; invero, la Corte territoriale non solo non si raffronta con i motivi di appello ma anche con il monito della Suprema Corte a valutare "ogni singola specifica doglianza in riferimento ad ogni singolo, specifico appellante"; - in ordine alle posizioni di (OMISSIS) e di (OMISSIS), si evidenzia come sia stata completamente omessa ogni considerazione in ordine ai sunnominati ricorrenti, con conseguente inesistenza dell'apparato motivazionale. 13. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Motivo unico: vizio motivazionale in relazione agli articoli 132 e 133 c.p.. La sentenza impugnata non offre alcuna approfondita valutazione circa la personalita' dell'imputato, ignorando la sua incensuratezza nonche' la sua lontananza da qualsivoglia contesto criminale: in tal modo, completamente obliterando le ragioni giuridiche ostative al riconoscimento del minimo della pena e dei benefici di legge. 14. Ricorsi nell'interesse di (OMISSIS) e di (OMISSIS). Motivo unico: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 62-bis e 133 c.p.. La Corte territoriale, nonostante la pronuncia della Suprema Corte che, nell'annullare la precedente sentenza di secondo grado del 17/03/2016, aveva chiesto di evitare una valutazione generalizzata delle posizioni dei singoli imputati, ha riproposto, in parte, il medesimo iter motivazionale, trincerandosi, soprattutto per la posizione di (OMISSIS), dietro una lapidaria gravita' dei fatti ed omettendo di valutare elementi assolutamente pregnanti quali ad esempio la rinuncia ai motivi di merito, che costituisce un elemento indicativo della presa di coscienza degli errori commessi e segnale di un avvio di un percorso di rivalutazione delle proprie condotte. Per quanto attiene, poi, alla posizione di (OMISSIS), cui sono state concesse le circostanze attenuanti generiche ma in misura decisamente inferiore ad un terzo, la Corte territoriale, nell'iter motivazionale, avrebbe dovuto lasciarsi guidare dal concetto di "personalizzazione della pena" attraverso il quale avrebbe evitato di parificare situazioni processuali differenti nell'ambito di una medesima condotta delittuosa. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il solo ricorso di (OMISSIS) appare fondato ed il relativo accoglimento comporta la rilevazione dell'intervenuta estinzione del reato per prescrizione. Tutti gli altri ricorsi si profilano, di contro, inammissibili. 2. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Manifestamente infondato e' l'unico motivo di ricorso proposto. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimita', il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare d'ufficio una o piu' circostanze attenuanti, non accompagnato da alcuna motivazione, non puo' costituire motivo di ricorso in cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, qualora l'imputato, nell'atto di appello o almeno in sede di conclusioni del giudizio di appello, non abbia formulato una richiesta specifica, con preciso riferimento a dati di fatto astrattamente idonei all'accoglimento della stessa, rispetto alla quale il giudice debba confrontarsi con la redazione di una puntuale motivazione (cfr., Sez. 3, n. 10085 del 21/11/2019, dep. 2020, G., Rv. 279063-02; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, B., Rv. 271869-02). L'omessa formalizzazione della richiesta da parte della difesa del (OMISSIS), che si e' limitata a chiedere l'applicazione di una pena piu' mite e maggiormente aderente ai fatti senza argomentare sul punto, ha giustificato il provvedimento reiettivo della Corte territoriale. 3. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Manifestamente infondato e' il profilo del dedotto diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in assenza di ragioni di meritevolezza e ritenute implicitamente come recessive le prospettazioni difensive in tal senso, risultando del tutto irrilevanti gli ulteriori elementi della scelta del rito ovvero del contesto sociale e culturale di appartenenza. Si afferma in giurisprudenza che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche puo' essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'articolo 62-bis c.p., disposta con il Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non e' piu' sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (cfr., Sez. 4, n. 23872 del 08/06/2022, Guarnieri, Rv. 283489-01). Di non consentito scrutinio e' l'ulteriore profilo di censura sollevato in relazione al dedotto aumento di pena a titolo di continuazione, atteso il delimitato ambito di cognizione e pronuncia devoluto al giudice del rinvio. 4. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Al ricorrente sono state riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza, essendosi valorizzato il suo comportamento processuale (rinuncia ai motivi di gravame) a fronte di altri elementi di segno negativo rappresentati dalla negativa personalita' a delinquere, dalla pervicacia criminale testimoniata dai precedenti specifici a suo carico e dalle modalita' della condotta. Trattasi di un giudizio congruo ed ampiamente motivato che sfugge al sindacato di legittimita'. Invero, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita' qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la piu' idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931-01). 5. Ricorsi nell'interesse di (OMISSIS), (OMISSIS). Gli omologhi ricorsi sono manifestamente infondati. Le circostanze attenuanti generiche sono state ad entrambi negate in ragione dei gravi precedenti penali, anche per fatti successivi, ascritti a loro carico. La motivazione appare ampiamente giustificata. In tal senso, e' necessario ricordare che "la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell'articolo 62-bis c.p. e' oggetto di un giudizio di fatto e puo' essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimita', purche' non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato" (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv. 242419-01). Si e' anche affermato che "ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice puo' limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche' anche un solo elemento attinente alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato ed alle modalita' di esecuzione di esso puo' essere sufficiente in tal senso" (cfr., Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163-01; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269-01). 6. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). 6.1. Del tutto aspecifico e' il primo motivo che deduce l'omessa notifica all'imputato per il giudizio di appello effettuata ex articolo 157-bis c.p.p. e non al domicilio dichiarato agli atti. Invero, la Corte territoriale, ha correttamente rilevato come il disposto avviso al Cappiello, effettuato a norma dell'articolo 157-bis c.p.p., per l'udienza del 15/07/2020, trovava giustificazione sulla base della disposizione "del Presidente della Corte di Appello di Napoli a seguito della ripresa della attivita' giudiziaria successiva alla sospensione dovuta alla pandemia da Covid 19, in base alla quale andavano effettuati gli avvisi ai soli difensori, trattandosi di imputato che era stato ritualmente citato a mani proprie per la prima udienza del 26/06/2018": instaurato cosi' regolarmente il contraddittorio nei confronti dell'imputato (circostanza di cui specificamente si duole il difensore), i successivi avvisi per gli ulteriori disposti differimenti d'udienza (25/11/2020, 18/02/2021, 13/05/2021, 08/09/2021 e 11/11/2021), imposti da omessi avvisi ad altre parti processuali, avevano visto come estranea la posizione del Cappiello, il cui difensore, all'ultima udienza del 09/02/2022, aveva discusso la propria posizione, previo rigetto della sollevata eccezione difensiva. Con queste argomentate conclusioni, il ricorrente, di fatto, omette di confrontarsi, preferendo la "strada", conducente all'inammissibilita', della sostanziale reiterazione del motivo di gravame. 6.2. Manifestamente infondato e' il secondo motivo. Il tema devoluto al giudice del rinvio, come si e' detto, e' solo quello della verifica dei presupposti per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Il giudice del rinvio ha disatteso la richiesta in assenza di ragioni di meritevolezza, ritenendo come implicitamente recessive le prospettazioni difensive in tal senso. Si rimanda alle considerazioni esposte nel precedente paragrafo 3. del considerato in diritto. 7. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Manifestamente infondato e' l'unico motivo di ricorso proposto. Alla ricorrente sono negate le circostanze attenuanti generiche sulla base del ruolo apicale svolto in seno alla compagine associativa. Si rimanda alle valutazioni esposte nella seconda parte del paragrafo 5. del considerato in diritto che precede. 8. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). 8.1. Al ricorrente sono state riconosciute le circostanze attenuanti generiche - sia pure in giudizio di equivalenza rispetto alle aggravanti contestate, in ragione della gravita' dei fatti accertati - al fine di adeguare il trattamento sanzionatorio alla condotta criminosa, tenuto conto della marginalita' della posizione nel contesto associativo. Trattasi di motivazione del tutto congrua che appare esente da vizi logico-giuridici: circostanza che impedisce il richiesto sindacato di legittimita'. Si rimanda sul punto alle considerazioni esposte nell'ultima parte del precedente paragrafo 4.1. del considerato in diritto. 8.2. Del tutto generico e' il secondo motivo. Invero, tra i requisiti del ricorso per cassazione vi e' anche quello, sancito a pena di inammissibilita', della specificita' dei motivi: il ricorrente ha non soltanto l'onere di dedurre le censure su uno o piu' punti determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare gli elementi che sono alla base delle sue lagnanze. Nel caso di specie, il motivo e' manifestamente infondato perche' privo dei requisiti prescritti dall'articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c) in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata ampia e logicamente corretta, non indica gli elementi che sono alla base della censura formulata, non consentendo al giudice dell'impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato. 9. Ricorsi nell'interesse di (OMISSIS). 9.1. Aspecifico e comunque manifestamente infondato e' il primo motivo del primo ricorso. Gia' la sentenza rescindente aveva evidenziato, trattando la posizione del concorrente (OMISSIS), che "il tema della collocazione temporale della associazione in questione... e' stato adeguatamente trattato dalla Corte che ha osservato, per un verso, che il termine finale della consumazione doveva collocarsi, secondo quanto indicato nella stessa imputazione (che parla di "condotta perdurante") alla pronuncia della sentenza di primo grado mentre il termine iniziale doveva essere fatto retroagire ad un periodo anteriore al dicembre 2010, retroazione rispetto alla quale le Difese avevano avuto ogni fruttuosa occasione di conoscenza e di confutazione". La questione veniva ripresa dal giudice del rinvio che confermava le medesime conclusioni anche in relazione alla posizione di (OMISSIS) (v. pagg. 11 e 12 della sentenza impugnata, in cui si afferma testualmente che "... proprio con riferimento alla posizione di (OMISSIS) nel capo di imputazione e' espressamente descritta una attivita' di organizzazione e direzione del traffico di droga da parte di costui in epoca anteriore all'arresto avvenuto il 18.12.2010...; pertanto la contestazione per come formulata certamente legittima l'estensione dell'accertamento in punto di esistenza dell'associazione criminosa ad un periodo anteriore al dicembre 2010; tale dato temporale risulta conforme anche al materiale probatorio ritualmente acquisito agli atti, costituito in particolare dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia... i quali avevano riferito sulle epoche antecedenti a quelle documentate dai servizi di intercettazione svolti nell'indagine da cui e' originato il presente procedimento, riferendo essi concordemente che (OMISSIS) quanto meno dall'anno 2006 aveva diretto il gruppo a prevalente composizione famigliare impegnato nel traffico di cocaina operante nella zona di (OMISSIS); tale materiale probatorio garantisce, nel caso in esame, l'individuazione, con sufficiente grado di certezza, del periodo di tempo oggetto di contestazione, facendolo risalire all'anno 2006. Tali chiari riferimenti temporali, che consentono di individuare con certezza il tempo di consumazione del reato in contestazione, rispetto al quale quindi l'imputato e' stato posto in grado di difendersi e di conoscere i termini della contestazione mossagli, non consentono di ravvisare alcun profilo di violazione dell'esercizio del diritto di difesa e del principio di correlazione tra accusa contestata e decisione adottata"). 9.2. Manifestamente infondato e' il secondo motivo del primo ricorso. Il motivo e' incentrato sulla lamentata carenza di prova della sussistenza della fattispecie associativa contestata ed anche del ruolo di capo o promotore ascritto all'imputato: le doglianze sulla prova involgono sia le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) che il materiale intercettivo. Gia' il giudice del rinvio, trattando della posizione del coimputato (OMISSIS), in merito alle critiche svolte circa la affidabilita' e la credibilita' riconosciuta ai tre succitati collaboratori di giustizia, aveva osservato come "... a fronte delle generiche censure gia' sollevate negli stessi termini con i motivi di appello... la Corte ha ampiamente dato ragione del condiviso (con il Giudice di primo grado) giudizio di attendibilita' dei collaboratori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) esaminando partitamente le dichiarazioni di ognuno, escludendo ragioni di inimicizia che potessero aver suggerito le dichiarazioni volutamente calunniose e sottoponendo queste ultime all'esame dei riscontri oggettivi, debitamente richiamati a ff. 116 e segg. della motivazione...". Dette conclusioni hanno trovato pieno conforto nella sentenza rescindente ove la Suprema Corte (pagg. 35 e 36) riconosce, negli stessi sostanziali termini, che: "... in merito alle critiche svolte circa la affidabilita' e credibilita' riconosciuta ai tre collaboratori di giustizia, va osservato, a fronte delle generiche censure gia' sollevate negli stessi termini con i motivi di appello, che la Corte ha ampiamente dato ragione del condiviso... giudizio di attendibilita' dei collaboratori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) esaminando partitamente le dichiarazioni di ognuno, escludendo ragioni di inimicizia che potessero aver suggerito dichiarazioni volutamente calunniose e sottoponendo queste ultime all'esame dei riscontri oggettivi". 9.2.1. La difesa ha eccepito la mancanza del verbale che si redige alla fine del percorso collaborativo di ciascun collaboratore di giustizia contenente le complessive rivelazioni effettuate nel semestre collaborativo: detta mancanza si riverberebbe sulla attendibilita' del narrato e, prima ancora, sulla possibilita' di riscontrare lo stesso, con conseguente inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese. Il rilevo e' del tutto infondato. Invero, la giurisprudenza di legittimita' ha chiarito come la deposizione resa in dibattimento dal collaboratore di giustizia non e' affetta da inutilizzabilita' nel caso in cui non sia stato possibile acquisire il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione Decreto Legge 15 gennaio 1991, n. 8, ex articolo 16-sexies, convertito in L. 15 marzo 1991, n. 82, in quanto la citata disposizione non collega alcun effetto patologico alla mancata od intempestiva acquisizione di tale atto, pur prevista come obbligatoria (Sez. 2, n. 39774 del 07/05/2022, Aiello, Rv. 283989-04, in cui la Suprema Corte ha precisato che l'esame in contraddittorio del soggetto garantisce adeguatamente i diritti difensivi, consentendo di vagliare l'attendibilita' del narrato, in canoni di coerenza, costanza e precisione). 9.2.2. La difesa, inoltre, ha ritenuto del tutto congetturale la valutazione operata dalla Corte territoriale in ordine alla provenienza da clan camorristici dei tre collaboratori di giustizia. L'assunto, evocativo di una non consentita censura in fatto, si scontra con la piana ed indiscutibile affermazione da parte dei giudici di merito circa il riscontrato passato criminale dei collaboratori di giustizia rinvenibile in clan camorristici operanti nella zona di (OMISSIS). In particolare, si afferma che "... il periodo di co-detenzione nel carcere di (OMISSIS), durante il quale il (OMISSIS) ha detto di avere conosciuto il (OMISSIS), trova positivo riscontro nella biografia criminale dell'imputato... anche sotto il profilo cronologico. Inoltre il dichiarato del (OMISSIS) trova riscontro nelle convergenti dichiarazioni degli altri due menzionati collaboratori di giustizia, (OMISSIS) e (OMISSIS), avendo tutti concordemente riferito che (OMISSIS) e suo fratello (OMISSIS), quanto meno dall'anno 2006, avevano diretto un gruppo a prevalente composizione familiare impegnato nel traffico di cocaina, operante nella zona di (OMISSIS), con la partecipazione dell'allora convivente di (OMISSIS) che si identificava in (OMISSIS). Del pari deve esprimersi un giudizio di piena attendibilita' dei citati (OMISSIS) e (OMISSIS) per quanto ben piu' contenuto sia il loro apporto conoscitivo ma tuttavia rilevante avendo il (OMISSIS) indicato in (OMISSIS) il gestore di "un imponente traffico di droga nella zona di (OMISSIS)" unitamente al fratello (OMISSIS)... ed il (OMISSIS) indicato l'imputato appellante ed il fratello (OMISSIS) come "grossi trafficanti di cocaina" che "operavano nella zona di (OMISSIS)...". In particolare, si aggiunge altresi' che "... (OMISSIS) Antonio ha operato nel gruppo dei "(OMISSIS)" che - secondo un dato appartenente al notorio giudiziario - nasce e si attesta storicamente come sodalizio che faceva capo, per il territorio di (OMISSIS); (OMISSIS), gia' appartenente al clan (OMISSIS) e noto con il soprannome di "(OMISSIS)", risulta accreditato negli ambienti della locale criminalita' oggetto di indagine nel presente procedimento come conoscitore delle dinamiche interne ai gruppi operanti nel territorio... Dunque la provenienza dei citati dichiaranti da organizzazioni e contesti criminali diversi garantiscono i presupposti di autonomia, indipendenza ed assenza di condizionamenti esterni delle rispettive chiamate in reita'. Cio' induce a ritenere che il rispettivo narrato sia il frutto di personale esperienza e percio' genuino, stante anche la mancanza di elemento alcuno che faccia ipotizzare possibili intenti calunniosi. Le dichiarazioni del (OMISSIS) trovano ulteriore riscontro nel dato concernente la comune detenzione presso il carcere di (OMISSIS)... ed in quello della patologia fisica dalla quale il (OMISSIS) era affetto, indicata appunto dal (OMISSIS) (che nel verbale di interrogatorio del 19.10.2010 descriveva (OMISSIS) come "zoppo"). Corrobora il giudizio di attendibilita' dei citati (OMISSIS) e (OMISSIS) la circostanza... che costoro hanno beneficiato dell'attenuante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 8 nell'ambito di altri procedimenti a loro carico, nei quali quindi gia' e' stato positivamente formulato il giudizio di attendibilita'". 9.2.3. Come e' noto, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, una volta verificatane l'attendibilita' ai sensi dell'articolo 192 c.p.p., comma 3, dispiegano piena efficacia probatoria alla sola condizione che se ne apprezzi la sincerita' e la spontaneita', in modo da potersene escludere la riconducibilita' a costrizioni esterne o a possibili intenti autocalunniatori (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 27918 del 25/05/2021, Grande Aracri, Rv. 281603-02): invero, l'articolo 192 c.p.p., comma 3 non pone alcuna limitazione per quanto riguarda l'individuazione dei riscontri, che possono consistere in elementi di qualsivoglia natura purche', pur non avendo autonoma forza probante, siano in grado di corroborare la chiamata in correita', conferendole la credibilita' piena di qualsiasi elemento di prova. In presenza di chiamate in reita', quali le presenti, de relato e di analogo tenore, verifica il Collegio come i giudici di merito, indipendentemente dagli ulteriori riscontri acquisiti, hanno proceduto ad effettuare: la valutazione di credibilita' soggettiva di ciascun dichiarante e di attendibilita' intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificita', della coerenza, della costanza e della spontaneita'; la verifica della convergenza delle varie chiamate, riscontrate reciprocamente in maniera individualizzante in relazione al thema probandum costituito dall'esistenza dell'associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico ed al ruolo direttivo rivestito al suo interno da (OMISSIS) nonche' dell'indipendenza delle stesse chiamate, essendosi verificata la loro autonomia genetica, anche alla luce dei diversi contesti di provenienza e l'assenza di cause di conflitto e di possibili intese fraudolente (cfr., Sez. 6, n. 40899 del 14/06/2018, C., Rv. 274149-02). Verifica che ben puo' involgere le dichiarazioni di piu' di un collaboratore i cui reciproci (o piu') narrati possono riscontrarsi vicendevolmente (Sez. 1, n. 46954 del 04/11/2004, Palmisani, Rv. 230592-01, in cui si precisa, peraltro, la necessita' che dette dichiarazioni siano valutate unitamente ad altri elementi di prova che ne confermino l'attendibilita', in maniera tale che sia verificata la concordanza sul nucleo essenziale del narrato, rimanendo quindi indifferenti eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto, a meno che tali discordanze non siano sintomatiche di una insufficiente attendibilita' dei chiamanti stessi; nello stesso senso, Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014, dep. 2015, Villacaro, Rv. 262309-01). 9.2.4. Del resto, la medesima giurisprudenza di legittimita' riconosce che anche un solo collaboratore di giustizia, che pure non sia coimputato nello stesso procedimento, puo' essere credibile quando ha acquisito le notizie propalate nell'ambito della sfera di criminalita' organizzata in cui sia inserito, purche' venga accertata l'intrinseca attendibilita' delle sue dichiarazioni, nonche' la sussistenza di riscontri esterni, i quali, in caso di piu' chiamate convergenti, possono anche consistere nella circostanza che le dichiarazioni riconducano, anche se in modo non sovrapponibile, il fatto all'imputato, essendo sufficiente la confluenza su comportamenti riferiti alla sua persona e alle imputazioni a lui attribuite, cioe' l'idoneita' delle dichiarazioni a riscontrarsi reciprocamente nell'ambito della cosiddetta "convergenza del molteplice" (Sez. 1, n. 31695 del 23/06/2010, Calabresi, Rv. 248013-01). 9.2.5. Ricordato che il riscontro idoneo a confermare l'attendibilita' del collaboratore puo' essere costituito da qualsiasi elemento di natura diretta o logica e, quindi, anche da altra dichiarazione accusatoria convergente, resa in piena autonomia rispetto alla precedente, tanto da escludere il sospetto di reciproche influenze (Sez. 1, n. 1495 del 02/12/1998, dep. 1999, Archina', Rv. 212275-01), si evidenzia come nella fattispecie, la presenza di riscontri reciproci nel narrato dei tre collaboratori di giustizia per tutto l'arco temporale della contestazione trova ampia conferma nelle emergenze dell'attivita' intercettiva compiuta nel presente procedimento negli anni 2011-2012. Peraltro, gia' il primo giudice aveva ritenuto (pagg. 682 e ss. della sentenza di primo grado) che il dichiarato dei tre collaboratori trovava piena conferma nelle indagini compiute nel procedimento dalle quali era emerso che, a distanza di qualche anno dal momento in cui quelle dichiarazioni erano state rese, la situazione risultava immutata, e cio' almeno fino all'aprile del 2011, ossia al momento della rottura del rapporto sentimentale fra (OMISSIS) e (OMISSIS), allorquando il gruppo, originariamente unitario, si scindeva e la piazza di spaccio, anch'essa fino a quel momento unitaria su tutto il territorio del Comune di (OMISSIS) e zone limitrofe, si divideva in quanto il territorio di (OMISSIS) restava sotto il controllo della famiglia (OMISSIS), che aveva la base logistica nella frazione di (OMISSIS), mentre la frazione di (OMISSIS) diventava il quartier generale di (OMISSIS) e dei suoi fratelli. L'ampio compendio intercettivo, solo in parte riportato nelle pagg. 16 e ss. della sentenza impugnata (che, tuttavia, rimanda alla pronuncia di primo grado), rivelava indubitabilmente l'esistenza di un imponente traffico di droga gestito dal gruppo (OMISSIS) tramite la contestata associazione dedita al narcotraffico, struttura ben organizzata che si avvaleva della collaborazione di una pluralita' di uomini con specifiche competenze e ripartizione di ruoli, con volume di affari di decine di migliaia di Euro al mese. A loro volta, l'interpretazione delle conversazioni intercettate - che danno conto dell'esistenza di questa articolata struttura organizzativa con piazza di spaccio della cocaina sul territorio sotto la direzione di (OMISSIS) che agiva quale alter ego del fratello (OMISSIS) (detenuto) e, in posizione immediatamente subordinata, di (OMISSIS) (figlio di (OMISSIS)) trova ulteriore conferma negli esiti degli arresti e delle numerose perquisizioni effettuate. In particolare - scrivono i giudici della sentenza impugnata - "la corposa mole di conversazioni telefoniche ed ambientali denota: la frequenza dei contratti tra i sodali... dato (che) trova riscontro nei frequenti controlli di polizia giudiziaria effettuati su strada...; la interrelazione tra gli anzidetti soggetti nel contesto di una struttura organizzata con suddivisione di ruoli tra essi...; la individuazione di luoghi abituali di spaccio...;... la predisposizione di luoghi abituali di custodia della droga...;... l'esistenza di una "cassa comune" in cui confluiva il denaro provento delle attivita' illecite, poi distribuito tra gli associati e funzionale al pagamento di una paga settimanale fissa ai pusher nonche' alla assistenza economica in favore dei sodali detenuti...". 9.3. Manifestamente infondato e' l'unico motivo del secondo ricorso. Ferme le considerazioni esposte nei precedenti paragrafi 9.1. e 9.2. (e relativi sottoparagrafi) del considerato in diritto che precedono, ricapitolando, evidenzia il Collegio come la sentenza impugnata abbia chiaramente messo in luce come le dichiarazioni dei tre collaboratori di giustizia, rapportate all'innumerevole mole di intercettazioni, fornisca la prova della preesistenza del gruppo (OMISSIS) all'arresto di (OMISSIS) (avvenuto nel dicembre 2010), quanto meno a partire dagli anni 2006-2007, e della sua perdurante operativita' ancora all'epoca in cui si e' svolto il servizio di intercettazioni (anni 2011-2012) sotto la direzione di (OMISSIS), subentrato al fratello (OMISSIS) a causa della sopravvenuta detenzione di costui, ma pur sempre sotto il controllo di quest'ultimo al quale avrebbe dovuto rendere conto della propria gestione, e nella aspettativa dichiarata che, alla sua scarcerazione, (OMISSIS) avrebbe ripreso il suo posto di comando assoluto, attraverso il quale i sodali si aspettavano di riconquistare la floridita' finanziaria antecedente al suo arresto. Scrivono i giudici di appello: "... la ineludibile presenza e direzione di (OMISSIS) in tale contesto associativo, anche durante il periodo della detenzione, (si rivela)... anche da numerose conversazioni da cui emerge una consistente attivita' di recupero crediti, per ingenti importi, che veniva compiuta sulla base delle direttive impartite da (OMISSIS) ai figli (OMISSIS) e (OMISSIS) in occasione dei colloqui in carcere... (...) emerge anche il dato altrettanto inequivoco... del conferimento di ingenti capitali da parte di (OMISSIS) a terzi compiacenti fiduciari per sottrarli al pericolo di sequestri da parte delle Forze dell'Ordine, risalente alla precedente gestione degli affari illeciti e perpetuatosi sino al suo arresto... (...) tale attivita' di recupero crediti atteneva al recupero di somme di denaro che costituivano il provento dell'attivita' che (OMISSIS) aveva svolto fino a quando non era stato arrestato, ovvero il traffico di cocaina, ed era funzionale non solo al mantenimento dei familiari ma anche al finanziamento delle attivita' illecite del gruppo, cosi' egli contribuendo ulteriormente alla vita ed alla organizzazione del gruppo in quella difficile fase corrispondente alla detenzione del capo. E' ancora una volta il tenore inequivoco della conversazioni a smentire gli assunti difensivi secondo cui male sarebbero state interpretate le conversazioni relative all'anzidetta attivita' di recupero di somme di denaro, che non sarebbero collegate all'attivita' di traffico di sostanze stupefacenti ma piuttosto a generose elargizioni da parte di (OMISSIS) ad amici, familiari e conoscente ed all'attivita' commerciale di cui era titolare la famiglia (OMISSIS)...". In presenza di un simile compendio probatorio di univoca lettura, chiedere al giudice di legittimita' di ricercare altri elementi che possano dimostrare ruolo ed azioni compiute in concreto dal ricorrente in seno all'associazione criminale a dimostrazione della sua perdurante affectio, costituisce attivita' superflua prima ancora che impedita. 10. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). La ricorrente e' stata condannata in appello (sentenza Corte di appello di Napoli n. 2911/16 del 17/03/2016) per il solo capo 73 (articoli 81, 110 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 commesso, secondo l'editto accusatorio, nel periodo compreso tra il 14 ed il 18 gennaio 2011), essendo stata assolta per l'omologo reato di cui al capo 74. La Corte di Cassazione ha disposto rinvio per nuovo giudizio relativamente alla posizione della stessa "limitatamente al mancato riconoscimento dell'ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5". L'unico motivo di ricorso proposto appare fondato. 10.1. Invero, come evidenziato dalla ricorrente, la Suprema Corte ha ritenuto non estendibile alla posizione della (OMISSIS) l'assunto della prima Corte territoriale, con riferimento agli altri coimputati, per i quali non veniva riconosciuta la lieve entita' di cui all'articolo 73, comma 5, sulla base delle circostanze e delle modalita' dell'azione, ossia la stabilita' dei rapporti con i fornitori, la frequenza degli approvvigionamenti, l'entita' ponderale della sostanza trattata e del considerevole flusso del denaro movimentato: tutti elementi estranei all'unica condotta di detenzione ai fini di spaccio per la quale la (OMISSIS) veniva condannata. La riconosciuta carenza di motivazione non viene tuttavia colmata dal giudice del rinvio che ripropone la carente struttura motivazionale della prima sentenza di secondo grado, ripetendo i medesimi errori stigmatizzati con la sentenza rescindente. Ignorando le indicazioni del giudice di legittimita', la Corte territoriale ha ritenuto di non dover riqualificare il titolo di reato di cui al capo 73), in considerazione dell'articolata attivita' di spaccio posta in essere dai coimputati, nell'ambito della quale doveva inserirsi l'unico fatto di detenzione ai fini di spaccio commesso dalla (OMISSIS). Ed in tal senso, la Corte territoriale spiega che "la professionalita' delle condotte dei coimputati in un certo qual modo si riverbera anche sulla posizione della (OMISSIS) che consapevolmente partecipava all'attivita' dei coimputati". 10.2. Proprio sul punto si manifesta l'evidente ripetizione dell'errore motivazionale stigmatizzato dalla Suprema Corte che aveva invitato il giudice del rinvio a rivedere e motivare la specifica posizione della (OMISSIS), singolarmente considerata, proprio in considerazione del fatto che la valutazione di professionalita' ed abitualita' delle condotte dei coimputati certamente non poteva essere estesa anche alla ricorrente condannata - come detto - per un unico ed isolato episodio. Viceversa, la Corte territoriale non fornisce alcun elemento in grado di escludere l'applicabilita' di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, secondo una valutazione "personalizzata", non rinvenendosi in sentenza riferimento alcuno agli indici sintomatici della tenuita' del fatto stabilito dalla legge, tali da escludere la minima offensivita' della condotta, cosi' incorrendo nel censurato vizio di motivazione ed erronea applicazione della legge penale. In tal modo, il giudice del rinvio ha nuovamente trasferito sulla (OMISSIS) le responsabilita' degli altri coimputati, oggettivamente piu' gravi, senza compiere alcuna valutazione sugli elementi sintomatici della tenuita' del fatto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. 10.3. Invero, ritiene il Collegio che, in riferimento alle condizioni per l'applicabilita' dell'ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, il giudice e' tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l'azione (mezzi, modalita' e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all'oggetto materiale del reato (quantita' e qualita' delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), se pure puo' escludersi la sussistenza della fattispecie quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere in modo preponderante che la lesione del bene giuridico protetto sia di "lieve entita'" (cfr., Sez. 4, n. 4948 del 22/01/2010, dep. 04/02/2010, Porcheddu, Rv. 246649-01; Sez. 4, n. 11103 del 11/03/2021, Gjonaj, non mass.). La Corte regolatrice ha, in particolare, considerato che in tema di stupefacenti, il riconoscimento del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, richiede una adeguata valutazione complessiva del fatto, in relazione a mezzi, modalita' e circostanze dell'azione, qualita' e quantita' della sostanza con riferimento al grado di purezza, in modo da pervenire all'affermazione di lieve entita' in conformita' ai principi costituzionali di offensivita' e proporzionalita' della pena. Nel caso, la Corte ha affermato che la configurabilita' dell'ipotesi lieve, non puo' essere esclusa sulla base di singoli parametri, quali la diversa tipologia delle sostanze cedute o lo svolgimento non occasionale dell'attivita' di spaccio, astraendo tali elementi dalla ricostruzione fattuale nella sua interezza, fondata su una razionale analisi riguardante la combinazione di tutte le specifiche circostanze (Sez. 6, n. 1428 del 19/12/2017, dep. 2018, Ferretti, Rv. 271959-01). E, in argomento, si registra anche l'intervento delle Sezioni Unite, le quali hanno affermato che l'accertamento della lieve entita' del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione (v. Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076-02). 10.4. Preme, inoltre, rilevare che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 40 del 2019, nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, nella parte in cui prevede la pena minima edittale nella misura di otto anni di reclusione anziche' di anni sei, si e' soffermata sulla fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, sviluppando considerazioni di certa conducenza ai fini di interesse. Nell'evidenziare la divaricazione di ben quattro anni venutasi a creare tra il minimo edittale di pena previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1 e il massimo edittale della pena comminata dal comma 5 dello stesso articolo, il Giudice delle leggi ha rilevato che "il costante orientamento della Corte di cassazione e' nel senso che la fattispecie di lieve entita' di cui all'articolo 73, comma 5, puo' essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensivita' penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione". 10.5. Alla luce di quanto precede, ritiene il Collegio come l'omissione valutativa della Corte territoriale non possa riverberarsi a danno dell'imputata nei cui confronti, in applicazione del principio del favor rei, in assenza di elementi dimostrativi di segno contrario, deve ritenersi riqualificabile il fatto nella figura di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, comma 5. 10.6. L'accoglimento del motivo consente di ritenere gia' maturata la prescrizione del reato ritenuto. Va innanzitutto premesso che, sulla base della condivisibile giurisprudenza di legittimita', dalla riformulazione dell'"ipotesi lieve" di condotta illecita in tema di sostanze stupefacenti, determinata dal Decreto Legge n. 146 del 2013, discende, con il superamento della pregressa configurazione circostanziale, un piu' favorevole regime del termine di prescrizione che, in base alla regola stabilita dall'articolo 157 c.p., comma 1, dovra' ora computarsi sulla base della pena edittale stabilita per la nuova fattispecie autonoma di reato, attestandosi sulla breve misura di sei anni, prorogabile fino alla durata di sette anni e mezzo in caso di atti interruttivi (Sez. 6, n. 14288 del 08/101/2014, Cassanelli, Rv. 259059-01). Cio' considerato, preso atto del tempus delicti commissi e dell'assenza di cause di sospensione della prescrizione, il reato, cosi' come ritenuto, risulta essersi prescritto al piu' tardi alla data del 18/07/2018: ne consegue l'obbligatorieta' di una pronuncia di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti della predetta ricorrente per tale causa. 11. Ricorsi nell'interesse di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS). Anche i sunnominati ricorrenti lamentano con un unico motivo il diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La Corte territoriale nega il beneficio a (OMISSIS) e a (OMISSIS) per il decisivo elemento costituito dal ruolo rivestito in sede all'associazione; nega altresi' il beneficio a (OMISSIS) per assenza di elementi di valutazione favorevoli e a (OMISSIS) per il precedente specifico, valutato anche ai fini del giudizio sulla ricorrenza della contestata e ritenuta recidiva, in presenza di una valutata progressione criminosa di cui risulta essere manifestazione la fattispecie associativa per cui lo stesso ha riportato la presente condanna. Il "tema" della misura della pena inflitta in continuazione e' estraneo al devoluto in sede di rinvio. Si e' in presenza, anche in questo caso, di motivazioni del tutto congrue e giustificate che tengono conto delle valutate diversita' delle posizioni processuali, con i riflessi valutati gia' svolti per posizioni simili. Invero, con riferimento alla posizione di (OMISSIS) si riprendono le considerazioni svolte nel precedente paragrafo 3. del considerato in diritto; nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS) si riprendono quelle svolte nell'ultima parte del paragrafo 5. e nel paragrafo 7. del considerato in diritto; infine, nei confronti di (OMISSIS) si riprendono le considerazioni svolte nella prima parte del paragrafo 5. del considerato in diritto. 12. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Le circostanze attenuanti generiche sono state riconosciute, sebbene non nella misura massima, al fine di adeguare la pena alla reale gravita' della condotta, considerato anche il tempo decorso e l'assenza di successive condotte di reato. Si censura l'entita' della pena ed il diniego dei benefici di legge. Invero, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, che la esercita, cosi' come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142-01), cio' che - nel caso di specie - non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantita' di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, e' necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (situazione, anche questa, qui non ricorrente). 13. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS). A (OMISSIS) le circostanze attenuanti generiche sono state negate sulla base dei precedenti anche successivi ai fatti per cui si procede; a (OMISSIS), le stesse sono invece state riconosciute per le medesime ragioni indicate nei confronti di (OMISSIS). Rimandandosi, quanto alla posizione di (OMISSIS), alla posizione dell' (OMISSIS), teste' descritta al paragrafo 12. del considerato in diritto che precede, in relazione alla posizione di (OMISSIS) non possono che ripetersi le medesime considerazioni svolte al precedente paragrafo 5. del considerato in diritto in relazione alle omologhe posizioni dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS). 14. Da qui: - l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), perche' il reato e' estinto per prescrizione; - la declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); - la condanna, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), perche' il reato e' estinto per prescrizione. Dichiara inammissibili i ricorsi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PETRUZZELLIS Anna - Presidente Dott. CRISCUOLO Anna - Consigliere Dott. RICCIARELLI Massimo - Consigliere Dott. RADDUSA P. Benedetto - Consigliere Dott. D'ARCANGELO Fabriz - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata in (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 13 febbraio 2023 emessa dalla Corte di appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D'Arcangelo; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Raffaele Gargiulo, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza impugnata la Corte di appello di Roma ha disposto l'aggravamento della misura cautelare disposta nei confronti di (OMISSIS), sostituendo la misura coercitiva degli arresti domiciliari con il c.d. braccialetto elettronico con la custodia cautelare in carcere. 2. L'avvocato (OMISSIS), difensore della (OMISSIS), ricorre avverso tale ordinanza e ne chiede l'annullamento, deducendo, con unico motivo, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p., la violazione dell'articolo 276 c.p.p.. Il difensore premette che la (OMISSIS) e' stata richiesta in consegna in esecuzione di due mandati di arresto Europei, emessi rispettivamente dall'autorita' giudiziaria francese e tedesca per vari delitti contro il patrimonio, e che la Corte di appello di Roma, con ordinanza emessa in data 24 novembre 2022, dopo aver convalidato l'arresto della ricorrente, ha applicato nei confronti della medesima, in quanto madre convivente con quatto figli "in tenera eta'", la misura degli arresti domiciliari con il c.d. braccialetto elettronico. La Corte d'appello, tuttavia, in seguito alla comunicazione del Commissariato di Pubblica Sicurezza "(OMISSIS)", relativa all'evasione dagli arresti domiciliari del compagno della (OMISSIS), (OMISSIS), cui era stata applicata la misura coercitiva in un procedimento parallelo, con l'ordinanza impugnata, ha ritenuto che anche la ricorrente potrebbe darsi alla latitanza e ha, dunque, aggravato la misura cautelare originariamente applicata, sostituendola con la custodia cautelare in carcere. Deduce, tuttavia, il difensore che, in tal modo, la Corte di appello avrebbe violato l'articolo 27 Cost., i principi del sistema delle misure cautelari del codice di rito, "improntati al favor rei e favor libertatis". La (OMISSIS), infatti, non si sarebbe resa responsabile di alcuna trasgressione, come richiesto dall'articolo 276 c.p.p. e, comunque, non avrebbe alcun interesse ad evadere, avendo ottenuto dal Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Roma, con ordinanza emessa in data 28 novembre 2022, di espiare le pene irrogate dai giudici italiani nei suoi confronti in regime di detenzione domiciliare. La Corte di appello di Roma, inoltre, non avrebbe considerato il divieto posto dall'articolo 275, comma 4, c.p.p. di applicazione della misura della custodia in carcere in casi, come quello di specie, di madre di prole di eta' non superiore a sei anni con lei convivente, se non in caso di sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere accolto, in quanto fondato. 2. Con unico motivo, il difensore deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p., la violazione dell'articolo 276 c.p.p., in quanto la ricorrente non avrebbe posto in essere alcuna trasgressione agli obblighi imposti all'atto dell'applicazione degli arresti domiciliari, e dell'articolo 275, comma 4, c.p.p., in quanto la Corte di appello aveva applicato la custodia cautelare in carcere nei confronti di madre di prole di eta' inferiore con lei convivente, senza aver previamente verificato la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. 3. Il motivo e' fondato. 4. L'articolo 9, comma 5, della L. 22 aprile 2005, n. 69 sancisce che, in relazione alle misure cautelari adottate al fine di consentire l'esecuzione del mandato di arresto Europeo, "si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dei capi I, II, IV e VIII del titolo I del libro IV del codice di procedura penale, in materia di misure cautelari personali, fatta eccezione per gli articoli 273, 274, comma 1, lettere a) e c), 280, 275, comma 2-bis, 278, 279, 297, nonche' le disposizioni degli articoli 299 e 300, comma 4, del codice di procedura penale e dell'articolo 19, commi 1, 2 e 3, del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448". L'articolo 276 c.p.p., che disciplina i "provvedimenti in caso di trasgressioni alle prescrizioni imposte" e', dunque, applicabile nella procedura passiva di consegna prevista nella disciplina del mandato di arresto Europeo. Parimenti e' applicabile in tale ambito anche l'articolo 299 c.p.p. (e, dunque, le disposizioni riguardanti la revoca e la sostituzione della misura), in parziale deroga all'esclusione dell'applicabilita' nella disciplina del mandato di arresto Europeo delle disposizioni in tema di estinzione delle misure cautelari. 5. La Corte di appello, tuttavia, nel disporre, con l'ordinanza impugnata l'aggravamento della misura coercitiva originariamente disposta nei confronti della (OMISSIS), non ha chiarito se abbia fatto applicazione dell'una o dell'altra disposizione astrattamente applicabili nel caso di specie (e, segnatamente, degli articoli 276, comma 1-ter o dell'articolo 299, comma 4, c.p.p.). Entrambe le disposizioni costituiscono, infatti, applicazione del principio di adeguatezza, che impone di conformare la misura coercitiva in ragione della concreta situazione cautelare sussistente, anche nei casi in cui una violazione o un mutamento del quadro considerato nell'originaria diagnosi cautelare renda evidente l'inidoneita' della misura coercitiva in esecuzione. La previsione di cui all'articolo 276 c.p.p. - nel prevedere la sostituzione o il cumulo della misura cautelare gia' disposta con altra piu' grave, nel caso di trasgressione alle prescrizioni imposte - attribuisce, tuttavia, al giudice un potere discrezionale che deve essere esercitato mediante la valutazione della gravita' e delle circostanze della violazione al fine di verificare se la trasgressione abbia reso manifesta l'inidoneita' della misura in atto a salvaguardare le esigenze cautelari, mentre l'applicazione dell'articolo 299, comma 4 c.p.p., che prevede, nel caso di aggravamento delle esigenze cautelari, la sostituzione in peius della misura applicata ovvero l'inasprimento delle modalita' di applicazione puo' dipendere anche da fatti non direttamente collegati alla condotta attuale del soggetto nei confronti del quale la misura e' applicata (Sez. 5, n. 3175 del 08/11/2018 (dep. 2019), Leonardi, Rv. 275260 - 01; Sez. 4, n. 25008 del 15/01/2007, Granata, Rv. 237001-01). In tema di sostituzione e revoca delle misure cautelari coercitive, infatti, il presupposto per l'aggravamento della misura non e' la violazione delle prescrizioni, bensi' la necessita' di adeguare lo status libertatis all'eventuale sopravvenienza di circostanze tali da far ritenere aggravata l'esigenza cautelare di cui all'articolo 274 c.p.p. (Sez. 1, n. 3285 del 21/12/2015 (dep. 2016), Dzhangveladze, Rv. 265726 - 01). 6. Muovendo da tali consolidati principi, deve rilevarsi che, nel caso di specie, l'aggravamento della misura coercitiva originariamente disposta non sembra essere stato determinato sulla base all'articolo 276 c.p.p.. Non risulta, infatti, che la ricorrente abbia tenuto alcun comportamento che possa integrare una violazione delle prescrizioni imposte con gli arresti domiciliari, in quanto la condotta di evasione e' stata realizzata dal compagno e non dalla (OMISSIS). Secondo la giurisprudenza di legittimita', del resto, la diagnosi relativa al pericolo di fuga deve essere fondata su elementi specifici, ossia dotati di capacita' di personalizzazione, desumibili da circostanze concrete e non gia' meramente sul contegno mantenuto dal solo coindagato, senza individuare alcun elemento specifico riferito al comportamento del ricorrente (ex plurimis: Sez. 2, n. 26605 del 14/02/2019, Hossain, Rv. 276449 - 02; Sez. 2, n. 6924 del 04/12/1997 (dep. 16/01/1998), Beatobe, Rv. 209594 - 01). La Corte di appello, nell'aggravare l'originaria misura coercitiva, non ha, tuttavia, fatto applicazione dell'articolo 299, comma 4, c.p.p., in quanto non ha motivato in ordine alla sopravvenienza di specifiche circostanze riferite alla ricorrente tali da far ritenere aggravata l'esigenza cautelare di cui all'articolo 274 c.p.p. e, dunque, ormai superata l'originaria diagnosi cautelare. L'ordinanza impugnata, inoltre, non ha tenuto conto della previsione di cui all'articolo 275, comma 4, c.p.p., disposizione applicabile anche nella disciplina del mandato di arresto Europeo, in virtu' del citato articolo 9, comma 5, della L. n. 69 del 2005, che subordina l'applicazione della custodia cautelare in carcere, "quando imputati siano donna incinta o madre di prole di eta' non superiore a sei anni con lei convivente...", alla ricorrenza di "esigenze cautelari di eccezionale rilevanza". 7. La motivazione posta dalla Corte di appello a fondamento dell'aggravamento della misura cautelare e', dunque, meramente apparente. Deve, dunque, essere disposto l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte d'appello di Roma. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Roma. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui agli articoli 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p. e 22, comma 5, della L. n. 69 del 2005.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ACETO Aldo - Presidente Dott. SOCCI Angelo Matteo - Consigliere Dott. SEMERARO Luca - Consigliere Dott. CORBETTA Stefano - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 19/07/2021 della Corte di appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ANGELILLIS Ciro che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilita' dei ricorsi; udite le conclusioni del difensore dell'imputato (OMISSIS), avv.to PISANI Nicola quale sostituto processuale dell'avv.to DELSIGNORE Stefano il quale ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 19 luglio 2021 la corte di appello di Roma confermava la sentenza del tribunale di Roma del 8 settembre 2020, con la quale (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati condannati rispettivamente, il primo, in relazione al reato ex articolo 416 c.p. e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8 il secondo in ordine ai reati ex articolo 416 c.p., Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 2, 8 e 10 quater. 2. Avverso la sentenza suindicata (OMISSIS) e (OMISSIS) tramite il proprio difensore, hanno proposto ricorso per cassazione, sollevando il primo sette motivi e il secondo due motivi di impugnazione. 3. (OMISSIS) deduce, con il primo motivo, vizi ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) per carenza o manifesta illogicita' della motivazione oltre che il vizio ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) per omessa considerazione delle doglianze difensive, con rinvio per relationem alla sentenza di primo grado. Deduce altresi' la violazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), dell'articolo 192 c.p.p. circa l'erronea applicazione dei criteri di valutazione della prova. Sarebbe in particolare apparente e illogica la decisione della corte di appello per cui le doglianze difensive, circa la illegittimita' della trascrizione, nella prima sentenza, della ordinanza del tribunale del riesame di rigetto del ricorso dell'imputato in materia cautelare, non avrebbero adeguata valenza contestativa. In particolare, l'illogicita' sarebbe da ascriversi all'avere la corte di appello ritenuto che le censure cosi' mosse dal ricorrente dovessero affrontarsi in sede di legittimita', e sarebbe altresi' apparente perche' non si sarebbe offerta risposta alla questione sollevata, atteso che la circostanza per cui i giudici di primo grado, dopo avere riportato le valutazioni del tribunale del riesame, avrebbero poi palesato le proprie valutazioni, non permetterebbe di ritenere superato il dato per cui le medesime erano fondate su una ricostruzione di fatti come esposte dal tribunale del riesame, laddove con l'atto di gravame si contestava la idoneita' delle considerazioni del tribunale del riesame ad essere assunte a riferimento per la decisione di merito. Con la conseguenza per cui la regola di giudizio dell'"al di la' di ogni ragionevole dubbio" non e' soddisfatta allorquando il giudizio di merito si fondi sulla ricostruzione dei fatti operata dal tribunale del riesame, ancorche' integrata da considerazioni del nuovo giudicante. In tale quadro, infatti, taluni fatti richiamati mediante la citata ordinanza sarebbero stati valutati alla stregua dei gravi indizi di colpevolezza finalizzati alla applicazione delle misure cautelari. 4. Con il secondo motivo rappresenta vizi ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e quelli di manifesta illogicita' e apparenza della motivazione. Essa sarebbe illogica circa la sussistenza in capo al ricorrente della cd. affectio societatis. Cio' perche' non emergerebbe l'indicazione di elementi dimostrativi della esistenza di un "accordo di ingresso" dell'imputato nell'associazione, ne' la sua consapevolezza di essere al servizio del sodalizio. Inoltre, sarebbero violati i criteri circa la necessita', a fini partecipativi nel sodalizio, di un ruolo e di un contributo causale. Sarebbe apodittica la deduzione della consapevole partecipazione al sodalizio dalla attivita' professionale del ricorrente. La motivazione si ritiene carente e illogica anche sul piano della descrizione dei rapporti tra gli associati, non descrivendosi le ragioni a base del descritto rapporto con il (OMISSIS), e in assenza della illustrazione di rapporti con i fratelli (OMISSIS). L'illogicita' sarebbe quindi rinvenibile in una ricostruzione che, priva della consapevolezza del (OMISSIS) di aderire al sodalizio, sarebbe al piu' conforme ad ipotesi di concorso. Ne' soccorre, per superare tali vizi, la lettura congiunta delle due sentenze conformi, posta la identica descrizione dei rapporti tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), con conseguente erronea deduzione del contributo al sodalizio dai meri rapporti personali con il coimputato (OMISSIS). 5. Con il terzo motivo deduce vizi ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e di manifesta illogicita' della motivazione in punto di ricostruzione dell'apporto fornito al sodalizio, posto che essa dipenderebbe da fatti non ancora accertati e oggetto di giudizio separato. Si tratterebbe, in particolare, di circostanze riferibili a interessi che l'imputato avrebbe coltivato per conto della (OMISSIS) e che sarebbero oggetto di accertamento in un separato giudizio ordinario ancora in corso, che implicherebbe la conseguenza per cui l'unica certezza in ordine ai predetti fatti sara' raggiunta esclusivamente all'esito del predetto giudizio. Ogni verifica dei medesimi in via incidentale sarebbe altresi' in contrasto con il principio di cui al brocardo ne bis in idem. Si tratterebbe inoltre di episodi recepiti dalla corte sulla scorta della ricostruzione del tribunale del riesame. In tale quadro, eliminati i riferimenti a fatti non provati, si osserva che la partecipazione al sodalizio non poteva essere desunta esclusivamente dal reato tributario eventualmente commesso con condotte reiterate, anche alla luce della giurisprudenza di legittimita' sul punto richiamata. Anche, quindi, volendo considerare l'imputato quale amministratore di fatto della (OMISSIS) e l'inserimento della stessa nel sistema di false fatturazioni, in assenza di altri dati non si potrebbe affermare la partecipazione nell'associazione. 6. Con il quarto motivo rappresenta la assenza o manifesta illogicita' della motivazione circa la ritenuta significativita' del rinvenimento, nella casa del ricorrente, di una somma di denaro in contanti di 130.000 Euro, quale prova della sua gestione, insieme al (OMISSIS), di affari di societa' strumentali ai fini associativi, con correlati aspetti lucrativi. La corte, con motivazione riproduttiva dell'analogo passaggio motivazionale di primo grado nonche' apodittica oltre che non rispondente alle doglianze difensive, avrebbe escluso che la predetta somma sia riferibile, come sostenuto dall'imputato, a proventi del settore del commercio di prodotti petroliferi, e non si sarebbe dimostrata comunque la riconducibilita' della stessa alla condotta illecita ascritta al ricorrente. Inoltre, la predetta motivazione non permetterebbe di comprendere se la predetta somma sia stata valutata quale prova della associazione o della commissione di reati tributari. In ogni caso, la somma sarebbe irrilevante rispetto al giro di affari incriminato. Conseguirebbe, in ultima analisi, la violazione del principio dell'al di la' di ogni ragionevole dubbio. 7. Con il quinto motivo rappresenta la manifesta illogicita' della motivazione circa la responsabilita' per il reato di cui al capo g) e la violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8 per erronea individuazione della qualifica di amministratore di fatto. Sarebbe carente la motivazione rispetto alla dedotta mancata indicazione degli atti gestori fondanti il ritenuto ruolo di amministratore di fatto nonche' illogica, attribuendosi il predetto ruolo solo in ragione di un comportamento infedele che il ricorrente avrebbe tenuto quale dipendente di altra societa', la (OMISSIS) S.r.l.. Mentre mancherebbe la prova di un controllo nella gestione della societa' sul piano contabile - amministrativo, pur volendo dedursi dalla attivita' di dirottamento dei clienti un interesse connesso all'esercizio di funzioni di organizzazione esterna. Sarebbe anche illogica la tesi per cui la partecipazione degli imputati al patrimonio della (OMISSIS) sarebbe deducibile anche dal trasferimento di una somma ingente, laddove si tratterebbe di fatto non accertato siccome oggetto di separato procedimento, e comunque il detto trasferimento al piu' sarebbe atto di gestione patrimoniale della societa' (OMISSIS) che avrebbe trasferito la somma e non anche della (OMISSIS) che invece l'avrebbe ricevuto. Venuta cosi' meno la figura di amministratore di fatto, non sarebbe attribuibile ogni eventuale reato tributario circa fatture emesse dalla (OMISSIS). Si aggiunge che la esclusione circa la rilevanza, rispetto al capo di imputazione in esame, di dichiarazioni raccolte in sede di indagini difensive, siccome ritenute non riferite alla (OMISSIS), sarebbe illogicamente in contrasto con riguardo a quanto ritenuto dalla corte di appello circa la incidenza delle indagini difensive con riferimento al reato associativo, essendosi in proposito citata la testimonianza resa da (OMISSIS) che avrebbe reso specifica dichiarazione inerente la (OMISSIS) ovvero avrebbe affermato che in essa aveva interessi solo (OMISSIS). 8. Con il sesto motivo, deduce la violazione dell'articolo 133 c.p. in tema di commisurazione della pena, per assenza di motivazione circa le doglianze difensive, circa la eccessivita' della pena, circa la mancata motivazione in ordine all'aumento ex articolo 81 cpv. c.p. e circa il diniego delle attenuanti generiche, oltre che per contraddittorieta' e illogicita' in ragione di una considerazione unitaria della posizione degli imputati, ai fini del trattamento sanzionatorio, in contrasto con la personalizzazione del medesimo. 9. Con il settimo motivo rappresenta la violazione di norme processuali e il vizio di motivazione apparente o illogica in relazione agli articoli 37 e 77 c.p., con riguardo all'articolo 12 c.p.p., comma 1, lettera a), b), e) e comma 2. Si contesta la conferma delle pene accessorie, essendo apparente la motivazione della pena accessoria applicata in relazione all'articolo 416 c.p. e mancando circa quelle previste per i reati tributari. Non sarebbe sufficiente in proposito la motivazione effettuata congiuntamente con riguardo a entrambi gli imputati - considerato il ruolo minore attribuito al ricorrente rispetto al (OMISSIS) - e con riferimento solo alla natura dei reati commessi e alla reiterazione dei reati tributari. La motivazione e' altresi' censurata in rapporto ai principi giurisprudenziali richiamati in ricorso, circa la determinazione di pene accessorie nel caso di reato continuato di reati eterogenei. Con mancanza di individuazione della pena che si sarebbe dovuta applicare per il reato satellite in assenza di continuazione. 10. Con il secondo ricorso il ricorrente (OMISSIS) ha dedotto, con un primo motivo, i medesimi motivi di cui al primo motivo del primo ricorso, con motivazioni anche letteralmente identiche allo stesso. 11. Negli stessi termini di cui sopra, salvo pochi e brevi incisi diversi, il secondo motivo riproduce quanto esposto nel primo ricorso con il secondo motivo e analogamente e' a dirsi per il terzo motivo rispetto al corrispondente terzo motivo prima sintetizzato, per il quarto rispetto al corrispondente quarto motivo prima sintetizzato, per il quinto rispetto al corrispondente quinto motivo prima sintetizzato, per il sesto rispetto al corrispondente sesto motivo prima sintetizzato, per il settimo rispetto al corrispondente settimo motivo prima sintetizzato. 12. (OMISSIS) con il primo motivo deduce vizi ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) circa la sussistenza del dolo del delitto di emissione di fatture per prestazioni soggettivamente inesistenti di cui al capo h) e al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8. Ribadita la critica all'utilizzo, da parte dei giudici di merito, della ordinanza cautelare del tribunale del riesame, con riguardo al capo h) si osserva che la corte di appello, sostenendo la fittizieta' dell'operazione cui e' correlato il reato in esame, nel descrivere l'oggetto sociale della (OMISSIS) s.r.l. e nell'escludere da esso il commercio di prodotti petroliferi indicherebbe solo una porzione di esso, in realta' ben piu' ampia, come emergente dalla visura camerale che si allega. Quindi si contesta la logicita' della deduzione, dall'esistenza del descritto sistema circolare di vendite di prodotto petrolifero, della conseguenza della consapevolezza, in capo al (OMISSIS), sia della fittizieta' della dichiarazione di intenti con cui la (OMISSIS) si era dichiarata esportatore abituale come tale esente da applicazione dell'Iva Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, ex articolo 8 e Decreto Legge n. 746 del 1983, articolo 1 lettera c) sia dell'intenzione degli amministratori di quest'ultima di trattenere successivamente l'Iva loro corrisposta dalla societa' successivamente acquirente. In particolare, illustrate le caratteristiche, con richiamo alla relativa disciplina, dei cd. depositi fiscali Iva, di cui al Decreto Legge n. 331 del 1993, articolo 50 bis con entrata in vigore solo dal 1 aprile 2017 delle novita' di cui al Decreto Legge n. 193 del 2016, articolo 4 convertito in L. n. 225 del 2016, e evidenziato come nel caso di specie assuma rilievo il citato articolo 50 bis, comma 4, lettera e), disciplinante le cessioni di beni custoditi all'interno del deposito Iva senza che siano estratti, cosicche' non costituirebbe anomalia ne' indice di fittizieta' la circostanza che le cessioni di prodotti petroliferi siano, nel caso in esame, avvenute mediante sola circolazione cartolare del bene, siccome a tale modalita' di compravendita corrisponderebbe un vantaggio fiscale per i contraenti connesso al differimento del versamento Iva, si aggiunge anche che il gia' citato, in sentenza, meccanismo circolare di cessione dei beni, ceduti a (OMISSIS), apparente esportatore abituale esente Iva, poi da essa a (OMISSIS) e da questa a (OMISSIS), reputato come avente l'unico scopo di evadere il versamento Iva incamerata da (OMISSIS), avrebbe una sua diversa spiegazione. Probabilmente illegittima ma priva di rilievo penale. La (OMISSIS) s.r.l. facendo infatti affidamento sulla veridicita' della dichiarazione di intenti della (OMISSIS) s.r.l., con il meccanismo circolare suindicato mirava al vantaggio di potere imputare due volte a credito l'IVA per l'acquisto del medesimo stock di prodotti petroliferi. Un primo credito per l'acquisto dal venditore iniziale, e un secondo per l'acquisto effettuato da (OMISSIS). Dunque le operazioni di prodotti non sarebbero soggettivamente inesistenti, ma costituirebbero ragionevolmente un abuso del diritto ex articolo 10 bis introdotto nel cd. Statuto del contribuente e non integrante reato. Va aggiunto, secondo il ricorrente, che sarebbe illogica e contraddittoria la tesi per cui l'imputato avesse consapevolezza della mendacia della dichiarazione di intenti della (OMISSIS) cosi' da agire con dolo. E dunque, con la motivazione contestata non si sarebbe, in ultima analisi, valutata la suindicata spiegazione alternativa giustificante le contestate operazioni circolari, ritenendole necessariamente fittizie. 13. Con il secondo motivo deduce vizi ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) circa la ritenuta condotta concorsuale del ricorrente e la ritenuta irrilevanza della circostanza che costui non ricoprisse il ruolo di amministratore di fatto della (OMISSIS) s.r.l. e di (OMISSIS) s.r.l. con riferimento ai reati tributari di cui ai capi b), c), d) e g) dell'imputazione. Si critica innanzitutto la tesi della corte di appello in ordine al capo c), per cui il ricorrente non avrebbe contestato gli elementi elencati a pagina 8 e 9 della prima sentenza a supporto della ritenuta finalizzazione della costituzione della (OMISSIS) alla cessione all'acquirente dei crediti Iva del ramo di azienda acquisito. E si richiama a sostegno il primo motivo dell'atto di appello, con il quale secondo il ricorrente si sarebbe contestato il fatto che le conclusioni del Gup poggiavano sulla motivazione della ordinanza cautelare richiamata per relationem. Si sostiene altresi' che manchino i presupposti per il legittimo ricorso a tale modalita' motivazionale. Innanzitutto per l'illegittimita' dell'atto richiamato, siccome pronunziato utilizzando atti inutilizzabili quali le intercettazioni, come rilevato a tale ultimo riguardo dal primo giudice. Punto quest'ultimo che si assume opposto con atto di gravame. Altro profilo contestato e' quello per cui la corte non avrebbe illustrato le ragioni per cui vizi formali nella cessione del ramo di azienda renderebbero la stessa inesistente. Sarebbe illogica la motivazione laddove identifica la funzionalizzazione della compravendita verso lo scopo della cessione dei crediti Iva con la prova della fittizieta' della cessione del ramo di azienda e soprattutto dei crediti citati. Non sarebbe quindi dimostrato perche' sarebbero inesistenti i crediti Iva che a seguito della predetta cessione e dopo che il ricorrente aveva ceduto le proprie quote e dismesso la carica di amministratore, sono stati portati in compensazione con debiti Iva. Analogamente, quanto alla illogicita' e carenza di motivazione circa i fatti di cui al capo b) con riguardo alla fattura inerente la cessione del citato ramo di azienda, si osserva che mere violazioni formali evidenziate dai giudici non potrebbero dimostrare l'asserita inesistenza della prestazione di cui alla fattura n. 1 del 19 luglio 2016. Sarebbe carente poi la motivazione sulle ragioni inerenti l'inesistenza di operazioni di cui a fatture della societa' " (OMISSIS) s.r.l." e (OMISSIS) s.r.l., e circa le ragioni dell'ascrivibilita' del loro utilizzo al ricorrente allorquando egli non era piu' amministratore delle stesse. Quanto ai capi d) e g) si contesta che la prova del concorso nei reati sarebbe desunta dalla prova della partecipazione al sodalizio di cui al capo a). Si rappresenta altresi' che il ruolo di amministratore di fatto dell'imputato sarebbe ricostruito senza tuttavia mai porlo in relazione ai singoli atti gestori contestati come compiuti. Preferendo piuttosto, i giudici, sottolineare il fatto per cui il ricorrente non avrebbe smentito l'apodittica affermazione della corte sul predetto ruolo da lui assunto. Quanto alla tesi per cui non si sarebbero offerti dalla difesa elementi a favore del ricorrente, si osserva che essi deriverebbero da dichiarazioni, per le quali si rimanda ad un fascicolo inerente indagini difensive della difesa del (OMISSIS), assunte in sede di indagini difensive e citate in ricorso. Si ribadisce il vizio di motivazione in ordine al ruolo di amministratore di fatto del (OMISSIS) anche dopo la cessazione della carica in (OMISSIS) s.r.l. oltre che in (OMISSIS) s.r.l. per assenza di riferimenti ad atti gestori del ricorrente. Neppure le affermazioni formulate ai predetti fini dal primo giudice e tralatiziamente richiamate anche nei confronti del (OMISSIS) troverebbero riscontro in atti processuali ne' dimostrerebbero il ritenuto ruolo di amministratore di fatto di (OMISSIS) in (OMISSIS), dopo la cessazione della carica. E in proposito si contesta in ricorso il fondamento di ciascuna di tali affermazioni. Si aggiunge che piu' soggetti sentiti come persone informate e i cui verbali sarebbero allegati ad apposita annotazione di polizia giudiziaria, avrebbero riferito che dopo la cessazione della predetta carica avrebbero intessuto rapporti con soggetti diversi dal ricorrente. 14. Con il terzo motivo deduce i vizi ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e di motivazione circa la ritenuta responsabilita' del ricorrente quale partecipe nel reato associativo, altresi' con ruolo di promotore ed organizzatore. Si rappresenta che la prova della partecipazione nel reato associativo sarebbe ricavata dalla commissione di reati di cui ai capi d) e g) e si contesta come non si dia mai ragione della conclusione per cui il ricorrente sia associato con il ruolo, contestato, di organizzatore e promotore. Inoltre i giudici avrebbero trascurato la rilevanza del dato per cui le societa' richiamate ai fini della prova per il reato in esame sarebbero state utilizzate per la commissione degli illeciti oggetto di contestazione solo quando l'imputato non era piu' amministratore delle medesime. Mentre la costituzione di una societa' o la stipula di un contratto di affitto di azienda non potrebbe fondare l'assunto associativo che si contesta, a fronte del dato per cui successivamente alla cessazione della carica e alla cessione la societa' sarebbe stata poi utilizzata per finalita' illecite. Si aggiunge che frutto di travisamento sarebbe l'affermazione per cui il ricorrente si sarebbe sempre presentato direttamente o per interposta persona ai clienti finali come titolare della (OMISSIS) e poi della (OMISSIS), ove si osservi che tale condotta era correlata alla esistenza della qualita' di amministratore, per cui non poteva che essere normale e lecita. CONSIDERATO IN DIRITTO (OMISSIS). 1. Il primo motivo e' manifestamente infondato. In via generale e' ammessa la motivazione per relationem secondo le condizioni stabilite da questa Suprema Corte, per cui la motivazione "per relationem" di un provvedimento giudiziale e' da considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facolta' di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione. (Sez. 2 -, n. 55199 del 29/05/2018 Cc. (dep. 10/12/2018) Rv. 274252 - 01). Stante tale premessa, questa corte ha altresi' precisato che e' inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduca l'illegittimita' della sentenza d'appello solo perche' motivata "per relationem" alla decisione di primo grado, senza indicare i punti dell'atto di appello non valutati dalla decisione impugnata. (Sez. 3 -, n. 37352 del 12/03/2019 Ud. (dep. 09/09/2019) Rv. 277161 - 01). Consegue che la mera critica all'uso della motivazione per relationem, non implica di per se' alcuna violazione di legge, tantomeno processuale, atteso che eventuali vizi insiti nel ricorso a tale metodica motivazionale possono al piu' tradursi in difetti motivazionali, che come tali vanno illustrati - diversamente da questo accaduto con il motivo in esame - indicando i passaggi argomentativi ritenuti difettosi e le ragioni del vizio, specificato di volta in volta anche nella sua tipologia. Consegue, per quanto sopra detto, che l'invocazione di vizi di motivazione quale conseguenza, automatica, del solo avvenuto richiamo ad argomentazioni contenute in ordinanza cautelare, sull'assunto dell'utilizzo di una prospettiva indiziaria nell'ambito invece di un momento processuale dibattimentale, non coglie nel segno, in assenza delle necessarie specificazioni sopra sintetizzate. Tanto piu' che, seppure l'ordinanza del tribunale del riesame e' atto assunto nella fase cautelare, nulla esclude, in via generale, che nelle sue argomentazioni siano stati considerati elementi aventi gia' una portata probatoria piuttosto che invece indiziaria, e nulla osta che le sue argomentazioni ben si inseriscano nella complessiva motivazione dell'atto qui impugnato - da cui la necessita' di specifiche e puntuali censure come sopra evidenziato -, posto che come noto, in relazione ai requisiti della motivazione in genere, la sentenza costituisce un tutto coerente ed organico, con la conseguenza che, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di un valido percorso giustificativo, ogni punto non puo' essere autonomamente considerato, dovendo essere posto in relazione agli altri, con la conseguenza che la ragione di una determinata statuizione puo' anche risultare da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo, sia pure implicito (v. Sez. 4, n. 4491 del 17/10/2012 (dep. 2013), Pg in proc. Spezzacatena e altri, Rv. 255096, conf. Sez. 5, n. 8411 del 21/5/1992, Chirico ed altri, Rv. 191487). Tanto piu' in presenza, come nel caso di specie, di ulteriori proprie considerazioni formulate dall'organo decisorio che ha richiamato la precedente motivazione. 2. Il secondo, terzo e quarto motivo devono esaminarsi congiuntamente, siccome omogenei in quanto riferiti agli aspetti inerenti la dimostrazione della condotta partecipativa, nel sodalizio, dell'imputato. In via preliminare, vanno richiamate le considerazioni sulla inammissibilita' della censura mossa in ragione del mero rimando ad argomentazioni svolte in sede cautelare, per le ragioni precedentemente espresse con riguardo al primo motivo. Egualmente inammissibile in se' e' la censura per cui, circostanze oggetto di un separato giudizio, solo per tale motivo non potrebbero essere valutate, a fini probatori, in questo processo, trattandosi di osservazione che non appare supportata da alcuna regola o principio, tantomeno dedotti specificamente dal ricorrente; laddove appare solo una petizione di principio il rilievo difensivo per cui un tale accertamento in questa sede non assurgerebbe a quei crismi di certezza necessari per l'eventuale giudizio di responsabilita'. Ed invero, da una parte, va nuovamente ribadito come eventuali deficit probatori di tal fatta non possono derivare dalla mera circostanza per cui taluni profili siano oggetto diretto di altro procedimento, ma possono solo farsi valere attraverso argomentate e specifiche e puntuali censure motivazionali - secondo il noto canone per cui il requisito della specificita' dei motivi implica non soltanto l'onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o piu' punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell'impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (cfr. tra le altre, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, Valentini, Rv. 245907, Sez. 4, n. 24054 del 01/04/2004, Distante, Rv. 228586; Sez. 2, n. 8803 del 08/07/1999, Albanese, Rv. 214249) -; dall'altra, va osservato che appare del tutto generica la censura, in assenza della indicazione degli aspetti che si assumono esaminati solo in via incidentale e rispetto ai quali emergerebbero vizi motivazionali; dall'altra ancora, si deve rilevare che la possibilita' di verifiche incidentali anche di fatti oggetto di distinto procedimento non trova ostacoli normativi e anzi e' confortata dal principio per cui persino l'intervenuto giudicato in altro procedimento non impedisce di valorizzare, per la configurazione di altri reati, condotte oggetto dell'accertamento assolutorio. Infatti e' legittimo assumere, come elemento di giudizio autonomo, circostanze di fatto raccolte nel corso di altro procedimento penale, pur quando questo si e' concluso con sentenza irrevocabile di assoluzione, perche' la preclusione del giudizio impedisce soltanto l'esercizio dell'azione penale per il fatto-reato che di quel giudicato ha formato oggetto, ma non riguarda la rinnovata valutazione delle risultanze probatorie acquisite nel processo, una volta stabilito che le stesse possano essere rilevanti per l'accertamento di reati diversi da quelli gia' giudicati. (Sez. 2 - n. 43885 del 05/04/2019 Rv. 277590 - 01). Persino l'inammissibilita' di un secondo giudizio per lo stesso reato non vieta, in altri termini, di considerare lo stesso fatto storico, o particolari suoi aspetti, per valutarli liberamente ai fini della prova concernente un reato diverso da quello giudicato, in quanto cio' che diviene irretrattabile e' la verita' legale del fatto-reato, non quella reale del fatto storico (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, dep. 23/02/1996, Fachini, Rv. 203765; n. 41003 del 2013 Rv. 257239). Quanto alla critica proposta in termini di illogicita' della motivazione, circa la partecipazione al sodalizio, essa e' superata dalla cd. "doppia conforme" intervenuta, da cui emerge il sistematico coinvolgimento del ricorrente in societa' funzionali al programma criminoso, illustrato con plurime considerazioni dai due giudici. Occorre in proposito osservare che emerge la configurazione di un sodalizio criminale composto da (OMISSIS), (OMISSIS) e dai fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS), finalizzato all'evasione del pagamento dell'Iva mediante l'uso articolato di strumenti contrattuali variegati, l'accaparramento di crediti Iva indebiti e la concatenazione di vendite meramente cartolari del medesimo prodotto a piu' societa', anche fittiziamente interposte. Si delinea l'incipit di tutto cio' in un accordo individuato tra il (OMISSIS) e i (OMISSIS) nei primi mesi del 2016, si descrive inoltre la realizzazione, nei successivi mesi del 2016, in tale programma criminoso, di variegate operazioni commerciali, implicanti societa' del (OMISSIS) e dei (OMISSIS) oltre che la creazione di nuove societa', con articolata illustrazione dei numerosi elementi dimostrativi a supporto delle predette considerazioni; si evidenzia il coinvolgimento in tale complessiva attivita', nel 2017, anche della societa' (OMISSIS) ed il ricorso sistematico a iniziative di svuotamento del patrimonio di societa' coinvolte nel sistema criminoso cosi' realizzato, come anche la cessione di talune di esse a prestanome. Si individua il ruolo direttivo formale e/o di fatto, anche a seconda dei momenti storici, del (OMISSIS) e di (OMISSIS) nell'ambito delle societa' cosi' coinvolte. Cosi' da argomentarsi, in maniera articolata quanto congrua, nel senso della riconduzione delle operazioni e dei reati fine nel programma criminoso e nel senso della riconduzione delle stesse, cosi' come delle societa' di volta in volta di riferimento, alla gestione effettiva dei predetti compartecipi nel sodalizio. In questo contesto, mentre in particolare per il (OMISSIS) le sentenze illustrano con puntualita', a seconda dei momenti, il ruolo di amministratore di diritto ovvero di fatto di societa' coinvolte, la posizione del (OMISSIS) si individua, nell'ambito del sodalizio, come specificato dalla corte di appello, in quella di "esperto" del settore petrolifero interessato, anche amministratore di fatto riguardo a specifica imputazione; ben dissimile dalla funzione - proposta dalla difesa - di mero impiegato di societa' coinvolte (la cui esclusione e' anche essa ampiamente argomentata) e, piuttosto, coincidente in via generale con quella di braccio destro del (OMISSIS): chiaramente coinvolto, con costui, nella gestione di attivita' riguardanti talune delle societa' del sistema, quale referente di clienti per diverse di essi, utilizzatore, nei rapporti con i clienti, anche della qualifica, talvolta, di amministratore, quale gestore delle attivita' di vendita con tutte le relative peculiarita' emerse nel processo - dei prodotti petroliferi da parte delle societa' di cui al sistema in questione. E ancora, quale autore di importanti operazioni di notevole rilievo economico, siccome inerenti il dirottamento di acquisti ovvero la interposizione fittizia di societa' ( (OMISSIS)) nell'acquisto dei predetti prodotti, utilizzatore di beni di societa' del sistema cosi' delineato (la Porsche della (OMISSIS)). Societa', quest'ultima, svuotata in favore della (OMISSIS) di interesse del (OMISSIS), con sua citazione in atti di quest'ultima societa'. A supporto del coinvolgimento, in questi termini, del (OMISSIS), i giudici hanno congruamente valorizzato il rinvenimento presso costui di un'ingente somma di denaro (circa 130.000 Euro), spiegandone con precisione e ragionevolezza la non riconducibilita' alle buste paga prodotte, la inverosimiglianza di spiegazioni volte a dar conto della ragione della loro conservazione in casa piuttosto che su conto corrente, l'assenza della indicazione, da parte del (OMISSIS), della provenienza del denaro da fonti lecite. In altri termini, in tal modo i giudici (cfr. anche pag. 29 della sentenza impugnata) hanno dato conto del ruolo, in capo al ricorrente, di braccio destro del (OMISSIS), della sua funzione di interlocutore esterno e collettore di affari finalizzati all'evasione dell'Iva, consapevole, in tale qualita', dei meccanismi illeciti realizzati e dunque del sodalizio associativo di riferimento. Con coerenza si e' esclusa anche, in questo quadro, la rilevanza di indagini difensive, volte a escludere proprio una funzione del (OMISSIS) quale amministratore di societa'. La predetta descrizione, inquadrata in un ampio arco temporale, connotata dalla valorizzazione del ruolo del duo (OMISSIS) - (OMISSIS) nell'ambito della galassia di societa' e operazioni realizzate, con persistenza dell'operativita' del sistema connotante l'associazione, anche e nonostante il sopravvenuto arresto dei (OMISSIS) ma in presenza di loro fidati prestanome strumentali alle operazioni del sodalizio, da' conto della stabilita' del sodalizio medesimo, della finalizzazione illecita indeterminata, della sua strutturazione. In linea con il principio per cui - diversamente dalla impostazione difensiva, alla ricerca di un "accordo di ingresso" dell'imputato nell'associazione -, in tema di associazione per delinquere, la esplicita manifestazione di una volonta' associativa non e' necessaria per la costituzione del sodalizio, potendo la consapevolezza dell'associato essere provata attraverso comportamenti significativi che si concretino in un'attiva e stabile partecipazione. (Sez. 2 -, n. 28868 del 02/07/2020 Rv. 279589 - 01). Nonche' con quello per cui, ai fini della configurabilita' di un'associazione per delinquere, legittimamente il giudice puo' dedurre i requisiti della stabilita' del vincolo associativo, trascendente la commissione dei singoli reati-fine, e dell'indeterminatezza del programma criminoso, che segna la distinzione con il concorso di persone, dal susseguirsi ininterrotto, per un apprezzabile lasso di tempo, delle condotte integranti detti reati ad opera di soggetti stabilmente collegati. (Sez. 2, n. 53000 del 04/10/2016 Rv. 268540 - 01) e di quello, secondo il quale, per la configurabilita' dell'associazione non e' richiesta la conoscenza reciproca fra tutti gli associati, essendo sufficiente la consapevolezza e la volonta' di partecipare, assieme ad almeno altre due persone aventi la stessa consapevolezza e volonta', ad una societa' criminosa strutturata e finalizzata secondo lo schema legale. (cfr. in tema di associazione finalizzata al narcotraffico, sez. 6, n. 11733 del 16/02/2012 Rv. 252232 - 01). Consegue la manifesta infondatezza dei motivi. 3. Riguardo al quinto motivo, inerente vizi di manifesta illogicita' della motivazione circa la responsabilita' per il reato di cui al capo g) e la violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8 per erronea individuazione della qualifica di amministratore di fatto in ragione della carente motivazione rispetto alla dedotta mancata indicazione degli atti gestori fondanti il ritenuto ruolo predetto, va osservato quanto segue. Il ruolo di amministratore di fatto della (OMISSIS) e la correlata responsabilita' sono ricostruiti attraverso l'esame complessivo di plurimi dati: quali la riconduzione, al (OMISSIS) e al (OMISSIS), della (OMISSIS), attraverso sit di clienti della societa', mediante le sit rese da diversi altri soggetti e descrittive del (OMISSIS) quale operatore coinvolto, assieme al (OMISSIS) e rispetto a societa' del sistema criminoso quale la stessa (OMISSIS), in attivita' dalla portata estranea al mero ruolo di impiegato e, piuttosto, corrispondenti a funzioni amministrative, la sua partecipazione ad un'operazione volta ad assicurare l'interposizione fittizia di (OMISSIS) nell'acquisto di petrolio per la (OMISSIS), per la quale pure agiva, il trasferimento di ingenti somme dal conto della (OMISSIS) (ricollegabile al (OMISSIS) e (OMISSIS)) in favore della (OMISSIS) (trasferimento che logicamente non puo' ridursi ad avere un rilievo solo per la societa' depauperata ma anche per quella arricchita, (OMISSIS), con adeguata e coerente sintomaticita', quindi, dell'interesse in quest'ultima, da parte del ricorrente). Si tratta di un'articolazione argomentativa che appare lineare, attraverso la valorizzazione non atomistica dei dati e del criterio diretto a verificare la ratio di certe iniziative economiche o patrimoniali, che riconduce in maniera immune da vizi alla configurazione di un ruolo fortemente invasivo nella gestione della societa' di cui al capo g) e rende ogni ulteriore doglianza del tutto marginale. Emerge, invero, una motivazione in linea con il principio per il quale, ai fini dell'attribuzione della qualifica di amministratore "di fatto" e' necessaria la presenza di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attivita' della societa', quali i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attivita', sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare ed il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimita', ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5 -n. 45134 del 27/06/2019) Rv. 277540 - 01). 4. Quanto al sesto motivo, relativo alla violazione dell'articolo 133 c.p. in tema di commisurazione della pena, per assenza di motivazione circa le doglianze difensive riguardo alla eccessivita' della pena, circa la mancata motivazione in ordine all'aumento ex articolo 81 cpv. c.p. e circa il diniego delle attenuanti generiche, oltre che per contraddittorieta' e illogicita' in ragione di una considerazione unitaria della posizione degli imputati ai fini del trattamento sanzionatorio, in contrasto con la personalizzazione del medesimo, esso e' infondato. Va osservato, in proposito, che la pena applicata corrisponde a quella stabilita in primo grado, condivisa dai giudici di appello. Rispetto alle doglianze di parte, la corte di appello motiva confermando il trattamento di primo grado alla luce degli indici, illustrati in concreto e alquanto articolati nella loro rappresentazione, ex articolo 133 c.p., tanto da definire benevolo il trattamento applicato. Tale motivazione, in grado di avere riguardo tanto alla gravita' del fatto che all'intensita' dell'elemento psicologico dei reati, e' sviluppata in maniera cosi' ampia e precisa rispetto a tutte le connotazioni delle vicende rilevanti, che risulta idonea nel riferirsi sia alla determinazione della pena base, di poco discosta dai minimi, che all'aumento del reato satellite pari a soli sei mesi. Dunque, quest'ultimo aumento lungi dall'essere trascurato sotto il profilo motivazionale, e' stabilito alla luce dei medesimi indici valutati per la pena base, per cui deve ritenersi soddisfatto completamente quanto al trattamento sanzionatorio l'onere motivazionale. Motivato, adeguatamente, e' il diniego delle attenuanti generiche. 5. Riguardo al settimo motivo, circa la violazione di norme processuali e il vizio di motivazione apparente o illogica in relazione agli articoli 37 e 77 c.p., con riguardo all'articolo 12 c.p.p., comma 1, lettera a), b), e) e comma 2, per cui si contesta la conferma delle pene accessorie, essendo apparente la motivazione della pena accessoria applicata in relazione all'articolo 416 c.p. e mancando riguardo a quelle previste per i reati tributar si rileva quanto segue. Va osservato che i medesimi indici valorizzati per il trattamento sanzionatorio appaiono in sostanza valorizzati per la conferma delle pene accessorie connesse: essi sono individuati nel ruolo assunto nel sodalizio dal (OMISSIS) e nella entita' dei vantaggi illeciti forniti alle varie societa'. Cosi' sussistendo motivazione, comunque personalizzata, anche su tale tema, ancorche' caratterizzata come riferibile ad entrambi i citati coimputati, evidentemente per la stretta correlazione d'azione. Ne' alcuna illogicita' e' rinvenibile in ordine ad una motivazione che cita i due coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) contemporaneamente e nel contempo, anche alla luce della complessiva illustrazione della loro azione, ne lascia evincere il ruolo, comunque egualmente determinante e utile, come emerso dalle sentenze conformi. Va aggiunto che nel caso di reato continuato, per determinare le pene accessorie da applicare, ai sensi dell'articolo 77 c.p., e' necessario fare riferimento ai singoli reati per i quali e' stata pronunciata la condanna, scindendo, pertanto, detto reato nelle singole violazioni che lo compongono ed applicando le pene accessorie previste per ciascun illecito "satellite". (Sez. 3, Sentenza n. 36308 del 21/05/2019 Cc. (dep. 21/08/2019) Rv. 277502 - 01) Nessuna illegittimita' emerge quindi nel caso in esame, ove le pene accessorie risultano stabilite in rapporto ai distinti reati ex articolo 416 bis c.p. (satellite) e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ex articolo 8. 6.Le considerazioni espresse con riguardo al primo ricorso proposto dal (OMISSIS) valgono per gli analoghi motivi di cui al secondo ricorso. 7. Con riguardo al ricorrente (OMISSIS), il primo motivo e' infondato. La ricostruzione operata dai giudici, articolata nel quadro, da non trascurare, di una cd. "doppia conforme", e da esaminare nel contesto della complessiva valutazione e illustrazione di un ben argomentato programma criminoso, volto alla evasione dell'Iva e ulteriormente corroborato, tra l'altro, dal rilievo della singolarita', per giunta nello stesso giorno, di plurime analoghe operazioni di apparente vendita del medesimo prodotto tra societa' ricondotte ai medesimi imputati, con cessione effettiva solo mediante la vendita formale e finale a terzi, e' certamente logica e rilevante e tale da non avere trascurato una lettura alternativa, quanto, piuttosto, da avere ricondotto in un ambito del tutto marginale la prospettazione difensiva. Del resto assertiva nel sostenere il peculiare intento fiscale, in grado di escludere il rilievo penale della vicenda, che avrebbe animato l'imputato e caratterizzata dalla pretermissione di importanti argomenti valorizzati dai giudici, quali la singolarita' significativa di operazioni dello stesso giorno, la circolarita' delle medesime con a capo e alla fine la medesima societa' (OMISSIS) (cui poi sarebbe succeduta la (OMISSIS)) e l'inserimento, in tale prospettiva, nel gruppo criminale come nelle operazioni specifiche inerenti il capo in esame, di societa' dalle chiare connotazioni illecite. Cosicche' il motivo in parola si connota per una portata meramente valutativa di dati, e non riesce come tale a superare - in assenza di vizi, che, lo si ricordi, devono essere manifesti quanto ai profili motivazionali -, organiche argomentazioni che confluiscono coerentemente nel giudizio di responsabilita' qui in esame: a partire dalla piu' che motivata, dai giudici di entrambi i gradi, fittizieta' del negozio di cessione di ramo di azienda del 2016 (cfr., per la sentenza di appello, pag. 4) in favore di (OMISSIS) s.r.l., quale elemento gia' sintomatico della funzionalizzazione della societa' rispetto alla evasione dell'Iva, per passare attraverso l'analisi del carattere fittizio delle dichiarazioni della (OMISSIS), la considerazione della strumentalita' del sistema di progressive vendite/cessioni di prodotto petrolifero rispetto allo scopo ultimo di immettere il medesimo sul mercato a prezzi inferiori, la rilevazione della infondatezza della tesi difensiva in punto di consapevolezza dei fatti in capo al ricorrente, a fronte di dati plurimi quali la complessita' e circolarita' delle operazioni, la riconducibilita' delle societa' ai (OMISSIS) o al (OMISSIS), l'assenza di movimentazione. Consegue quindi che ben motivato e' anche il profilo soggettivo contestato, e che anche in tal caso, alfine, con riguardo alle censure esaminate va ribadito il principio per cui l'epilogo decisorio non puo' essere invalidato da prospettazioni alternative che si risolvano in una "mirata rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perche' illustrati come maggiormente plausibili o perche' assertivamente dotati di una migliore capacita' esplicativa, nel contesto in cui la condotta delittuosa si e' in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507). Quanto al vizio di manifesta illogicita' esso, come quello di mancanza e contraddittorieta' della medesima, deve essere di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimita' vertere su difetti di macroscopica evidenza, mentre rimangono ininfluenti le minime incongruenze e si devono considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche' siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (cfr., Sez. un., n. 24 del 24 novembre 1999, Rv. n. 214794; Sez. un., n. 12 del 31 maggio 2000, Rv. n. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24 settembre 2003, Rv. n. 226074). 8. Quanto al secondo motivo proposto, con cui si contesta la ritenuta condotta concorsuale del ricorrente e la ritenuta irrilevanza della circostanza che costui non ricoprisse il ruolo di amministratore di fatto della (OMISSIS) s.r.l. e di (OMISSIS) s.r.l. con riferimento ai reati tributari di cui ai capi b), c), d) e g) dell'imputazione, esso risulta manifestamente infondato, per le considerazioni in precedenza espresse e cui si rinvia, con riguardo alla eccezione inerente l'inammissibilita' del rinvio per relationem alla decisione cautelare, in funzione della tesi per cui argomentazioni accusatorie non potrebbero trovare fondamento sul contestato schema argomentativo per relationem. Le ulteriori notazioni critiche appaiono di stampo meramente rivalutativo, a fronte di una motivazione che, per quanto in precedenza sintetizzato, ben argomenta (in entrambe le sentenze intervenute) tanto sui motivi (plurimi e nient'affatto meramente formali) della ritenuta fittizieta' della cessione di azienda in favore della (OMISSIS) S.r.l., quanto sulla strumentalita' della stessa all'interno di un sistema di evasione dell'Iva, come anche sulla insussistenza dei crediti compensati (in tal senso i giudici hanno valorizzato gli incontestati dati di cui alla ordinanza cautelare inerenti le ragioni del carattere fittizio dei crediti acquisiti e compensati) e sulla riconduzione delle societa' al (OMISSIS) anche quando non rivestiva la qualifica di amministratore. Punto, quest'ultimo, oggetto di articolate quanto attente considerazioni dei giudici di merito, rispetto alle quali il ricorrente mostra di sorvolare in gran parte, evitando ogni confronto puntuale e quindi adeguato. Sebbene sia onere del ricorrente formulare censure in necessaria quanto completa correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato" (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568) e le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l'atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non puo' trascurare le ragioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425). In tale quadro, connotato da una motivazione che sviluppa una argomentazione articolata e complessa che rivela un costante quanto piu' che ragionevole nesso tra la partecipazione al sodalizio e i reati fine, del tutto infondata e' la tesi per cui quanto ai capi d) e g) la prova del concorso nei reati sarebbe desunta dalla prova della partecipazione al sodalizio di cui al capo a). La tesi poi del vizio di motivazione in ordine al ruolo di amministratore di fatto del (OMISSIS) anche dopo la cessazione della carica in (OMISSIS) s.r.l. oltre che in (OMISSIS) s.r.l. per assenza di riferimenti ad atti gestori del ricorrente tradisce la pretermissione, ancora una volta, del reale contenuto della sentenza sul punto, la quale, ancor prima di indicare specifici e singoli atti, da' conto del vero e proprio dominio esercitato sulle societa' dal (OMISSIS) (anche assieme al (OMISSIS)) pur a fronte di formali dimissioni da cariche sociali, altresi' non mancando comunque di evidenziare chiare condotte gestorie a lui facenti capo, tra cui non ultime le operazioni poi trasfuse, talvolta, in atti dichiarativi di portata fiscale formalizzati da terzi solo pochi giorni dopo la cessazione dalla carica ovvero i flussi di denaro inequivocabilmente sempre realizzati secondo percorsi volti a favorire i vari coimputati della complessa vicenda. 9. Inammissibile risulta il terzo motivo circa la ritenuta responsabilita' del ricorrente quale partecipe nel reato associativo, altresi' con ruolo di promotore ed organizzatore. Si tratta di censura rivalutativa, che peraltro non si confronta affatto con le plurime e articolate motivazioni, gia' sintetizzate in parte in precedenza e cui si rinvia, che danno conto dell'insorgere degli accordi con i (OMISSIS), della loro realizzazione, degli schemi fraudolenti perseguiti, dei flussi di denaro e dei relativi beneficiari, delineando un quadro in cui si evidenzia con ampie e perspicue illustrazioni il ruolo assolutamente determinante quanto attivo e persistente (anche a fronte dell'arresto di taluni coimputati) del ricorrente. 10. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere rigettati con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VERGA Giovan - Presidente Dott. MESSINI D'AGOSTINI Piero - Consigliere Dott. DE SANTIS Anna M - Consigliere Dott. PARDO Ignazi - Consigliere Dott. SARACO A - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA presso TRIBUNALE DI NAPOLI; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 25/06/2022 del GIP del TRIBUNALE DI NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SARACO ANTONIO; letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SENATORE VINCENZO che ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. Il Pubblico ministero presso il Tribunale di Napoli impugna l'ordinanza in data 20/04/2022 del Tribunale di Roma che ha confermato l'ordinanza in data 25/06/2022 con cui il G.i.p. del Tribunale di Napoli non ha convalidato il fermo disposto nei confronti di (OMISSIS), in relazione ai reati di estorsione aggravata, tentata e consumata. Deduce: 1.1. "Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale mancanza e manifesta illogicita' della motivazione". Il ricorrente premette che la Polizia giudiziaria aveva ricercato (OMISSIS) per eseguire il fermo, senza mai rintracciarlo, risultando irreperibile, fino a quando "infine, il 23 giugno 2022, a circa un mese dai fatti, l'indagato, evidentemente esasperato dalle ricerche, si consegnava alla Polizia Giudiziaria, consentendo l'esecuzione del provvedimento di fermo". Deduce che - ciononostante - il G.i.p. non convalidava, per non avere esaminato tutti gli atti allegati alla richiesta di convalida e, in particolare, la nota della Polizia Giudiziaria in data 14/06/2022, che dimostrava che l'indagato era stato ricercato vanamente sin dal momento in cui era stata sporta la denuncia. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato. 1.1. Il G.i.p. non ha convalidato il fermo osservando che "nessun concreto elemento risulta allegato a sostegno della sussistenza di un fondato pericolo di fuga dell'indagato, se non la circostanza del rinvenimento dell'abitazione dello stesso disabitata e priva di attivita', al momento dell'esecuzione del fermo". Il Pubblico ministero sostiene che la motivazione del rigetto dimostra come il G.i.p. non abbia tenuto conto di tutti gli elementi messi a sua disposizione e, segnatamente, della nota della Squadra Mobile in data 14/06/2022, allegata al ricorso. 1.2. Cio' premesso, non puo' che rilevarsi come dalla nota della Squadra Mobile del 14/06/2022 (allegata al ricorso) emerga solo che gli operanti si recavano presso l'abitazione di (OMISSIS) e qui non lo rinvenivano. L'assunto del pubblico ministero, secondo cui vi sarebbero stati ulteriori elementi non valutati dal G.i.p., si mostra infondato gia' sotto il profillo fattuale della censura visto che - in realta' - dalla lettura di tale nota emerge l'unico elemento preso in considerazione, ossia il mancato rinvenimento di (OMISSIS) nella sua abitazione. A cio' si aggiunga che ai fini della convalida del fermo, il pericolo di fuga deve essere fondato su elementi specifici, ossia dotati di capacita' di personalizzazione, e desumibili da circostanze concrete e con caratteristiche che non possono rinvenirsi nella sola circostanza del mancato rinvenimento dell'indagato nella propria abitazione in occasione di un unico controllo. Tale evenienza, invero, puo' essere dovuta a una momentanea assenza dell'indagato e puo' essere collegata a una sua momentanea e involontaria irreperibilita', cosi' che per assumere i connotati richiesti ai fini che qui interessano e' necessario che essa sia accompagnata da ulteriori elementi concreti rappresentativi della rilevante probabilita' che l'indagato si possa dare alla fuga. Del tutto correttamente, pertanto, il G.i.p. non ha convalidato il fermo ritenendo che l'unico elemento messo a sua disposizione fosse insufficiente per ritenere la sussistenza del pericolo di fuga. 2. Segue il rigetto del ricorso. P.Q.M. Rigetta il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VERGA Giovann - Presidente Dott. DE SANTIS Anna M. - Consigliere Dott. PACILLI G. A. R - Consigliere Dott. PERROTTI Massimo - Consigliere Dott. MINUTILLO TURTUR M. - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 04/07/2022 del G.I.P. presso il Tribunale di Palmi; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MINUTILLO TURTUR Marzia; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEDICINI Ettore, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; udite le conclusioni del difensore Avv. CIANFERONI Luca, che ha chiesto di annullare il provvedimento impugnato con ogni conseguente statuizione. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 04/07/2022 il G.i.p. del Tribunale di Palmi convalidava il fermo di (OMISSIS) intervenuto in data 04/07/2022 per il reato allo stesso contestato ai sensi degli articolo 61 c.p., n. 11-quater, articolo 416 c.p., commi 1, 2, 3 e 4, perche' si associava con altri allo scopo di commettere una serie indeterminata di reati fiscali, di usura, di corruzione di pubblici ufficiali quale promotore e organizzatore della nascita del sodalizio, dirigendone il funzionamento, gestendone le strategie finanziarie e commerciali generali, disponendo con direttive specifiche dell'operato degli altri associati, occupandosi personalmente di alcune fasi di monetizzazione, avvalendosi della forza intimidatrice derivanti dalla sua amicizia e storico legame con esponenti della âEuroËœndrangheta. 2. Ha proposto ricorso avverso il provvedimento del G.i.p. (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, articolando un solo motivo di ricorso che qui si riporta nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il motivo di ricorso ha dedotto violazione di legge e inosservanza di norme processuali ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c) per aver il G.i.p. ritenuto insussistente il pericolo di fuga ex articolo 384 c.p.p., attesa la necessita' di desumere il pericolo di fuga da circostanze concrete non ricorrenti nel caso in esame. Il G.i.p. di Palmi ha scritto una sorta di sentenza di merito senza constatare i presupposti del fermo, atteso che i fatti sono limitati al 2020 e la condotta tenuta dal (OMISSIS) e' stata illogicamente e scorrettamente valutata. Il dato della partenza del (OMISSIS) e' stato erroneamente valutato, senza alcuna considerazione della versione fornita dall'imputato, che si imbarcava in aereo con il proprio nominativo per festeggiare il compleanno nella propria zona di origine e festeggiare anche la scarcerazione del fratello. 3. La Procura Generale con requisitoria scritta e conclusioni ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23 ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato. Con le argomentazioni introdotte si denuncia la violazione di legge e di norme processuali quanto alla ricorrenza dei presupposti legittimanti il fermo adottato dal G.i.p. presso il Tribunale di Palmi. In tal senso si deve ribadire il principio di diritto secondo il quale ai fini della convalida del fermo, l'apprezzamento del requisito del pericolo di fuga, in quanto valutazione prognostica "discrezionalmente vincolata" a specifici e concreti elementi di fatto che facciano ritenere plausibile che l'indagato se lasciato in liberta' possa sottrarsi alla pretesa di giustizia, e' insindacabile in sede di legittimita' ove si caratterizzi per uno sviluppo argomentativo logico e consequenziale, quanto al significato da attribuire alle emergenze procedimentali, secondo canoni di ragionevolezza (Sez. 2, n. 2935 del 15/12/2021, Sylla, Rv. 282592-01; Sez. 2, n. 33531 del 16/06/2021, PMT/Ferrara, Rv. 281861-01). 3. La giurisprudenza di legittimita' ha ripetutamente sottolineato che ai fini della convalida del fermo il pericolo di fuga non puo' essere presunto sulla base del titolo di reato in ordine al quale si indaga, ma deve essere fondato su elementi specifici, dotati di capacita' di personalizzazione, desumibili da circostanze concrete (da ultimo in tal senso Sez. 2, n. 26605 del 14/02/2019, Hossain, Rv. 276449-02; Sez. 3, n. 39542 del 11/07/2013, Brianza, Rv. 256975-01; Sez. 1, n. 5244 del 10/01/2006, Salaj, Rv. 234066-01; Sez. 3, n, 4089 del 18/12/2003, Failla, Rv. 228486-01). La motivazione del G.i.p., sebbene ampiamente articolata, ha del tutto pretermesso un dato rilevante e risolutivo, in mancanza di uno sviluppo logico ed argomentativo consequenziale, ovvero l'avvenuta prenotazione a proprio nome da parte del (OMISSIS) di un volo aereo, senza nascondere in alcun modo il proprio spostamento e la propria destinazione di rientro presso alcuni familiari. La circostanza che lo stesso normalmente risiedesse in altra zona territoriale e distante dal luogo di arrivo del volo prenotato non vale a connotare ex ante in modo univoco il pericolo di fuga ritenuto dal provvedimento impugnato. Non risulta, quindi, rispettata la regola di giudizio secondo la quale l'effettiva considerazione della sussistenza di pericolo di fuga si deve fondare su elementi specifici, dotati di capacita' di personalizzazione e desumibili da circostanze concrete (Sez. 1, n. 5244 del 10/01/2006, Salaj, Rv. 234066-01). Dunque, sebbene le circostanze allegate quanto al fermo del (OMISSIS) siano state ritenute ragionevolmente sufficienti dal G.i.p. di Palmi, il requisito del pericolo di fuga non appare considerato e valutato in modo logico, ma anzi risulta in modo oggettivo contraddetto dalla piena tracciabilita' del percorso intrapreso dallo stesso, con chiara possibilita' di identificare luogo di destinazione, sistema di viaggio e mezzo di trasporto prescelto, tracciabile anche questo tenuto conto, tra l'altro, della prenotazione a nome del ricorrente. 4. Il ricorso deve, dunque, essere accolto, con conseguente annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato. P.Q.M. Annulla senza rinvio il provvedimento di fermo impugnato. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

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