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REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta da: Dott. DE AMICIS Gaetano - Presidente Dott. CAPOZZI Angelo - Relatore Dott. GIORDANO Emilia Anna - Consigliere Dott. COSTANTINI Antonio - Consigliere Dott. DI GIOVINE Ombretta - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Sp.An., nato a C il (Omissis) avverso la ordinanza del 28/12/2023 del Tribunale di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal componente Angelo Capozzi; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale De.Ma., che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore, avv. Luigi An.Pa., che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la ordinanza in epigrafe il Tribunale di Palermo, in parziale riforma della ordinanza cautelare emessa in data 28 novembre 2023 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trapani nei confronti di Sp.An., ha confermato la ritenuta gravità indiziaria dei reati a lui provvisoriamente ascritti in relazione ai capi 11 (artt. 319, 321 cod. Pen.), 11-bis (artt. 110, 353-bis cod. Pen.), 17 (artt. 81 cpv., 640, comma 2 n. 1, cod. Pen.), 19 (artt. 81 cpv.,55-quinqiues D.leg.vo n. 155/2001), sostituendo gli arresti domiciliari con procedura di controllo ex art. 275-bis cod. proc. Pen. con la misura del divieto di dimora nei Comuni di T ed E e della sospensione dall'esercizio di pubblici uffici e servizi per la durata di mesi dieci. 2. Avverso la ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di Sp.An. deducendo i seguenti motivi: 2.1. Con il primo motivo violazione dell'art. 273 cod. proc. Pen., 319 cod. Pen. e vizio cumulativo della motivazione; violazione degli artt. 291, 293, comma 3, 309, comma 5 e 178 lett. c) cod. proc. Pen. in relazione alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria in ordine al reato di cui al capo 11. L'assunto della ordinanza, secondo il quale si era realizzato un accordo corruttivo alla data del 21.6.2021 tra il ricorrente e il Direttore sanitario Od.Gi., non trova riscontro negli atti indicati dal Tribunale che hanno un contenuto diverso da quello che gli viene attribuito. In particolare, non trova riscontro la asserita emergenza alla data del 21.6.2021 di tale accordo, posto che il ricorrente non risulta essere a conoscenza delle indagini a carico dell'Od.Gi. (v. prog. 10324 e 10325 del 21.6.2021, ore 17.10). Anche il riferimento al sinallagma corruttivo proveniente dalla conversazione del 29.7.2021 - non depositata alla difesa e al Tribunale - si fonda su un travisamento del contenuto della conversazione che, per quanto riportato, fa emergere la assenza di conoscenza da parte del ricorrente del procedimento penale pendente in Procura nei confronti dell'Od.Gi.. In ogni caso, il mancato deposito della trascrizione favorevole all'indagato integra la nullità di ordine generale eccepita. Ancora, quanto alla conversazione del 21.9.2021, avvenuta dopo la notifica del secondo avviso della proroga delle indagini, non emerge affatto un accordo corruttivo, bastando all'uopo leggere l'integrale trascrizione allegata al ricorso. La conversazione del 29.9.2021 è riportata in ordinanza in modo non conforme al suo effettivo contenuto, posto che non risulta affatto che lo Sp.An. avesse avuto già modo di discutere della vicenda con la sua compagna magistrato, ma solo che le aveva chiesto se il nome del magistrato inquirente fosse "Mo." o "Mo.", aggiungendo "e Sa. che è amica mia", peraltro nulla rispondendo il Tribunale sulla dedotta effettiva conoscenza personale della D.ssa Mo. da parte del ricorrente. Infine, non corrisponde al vero che l'ultimo contatto registrato tra i due sia quello del 14.12.2021, essendo stata dedotta con i motivi di riesame la emergenza di un ulteriore contatto del 11.2.2022 (v. all. 9 al ricorso), completamente ignorato dal GIP e dal Tribunale in cui lo Sp.An. consiglia all'amico Od.Gi. di presentarsi in Procura con il suo avvocato e chiedere di essere sentito, condotta ben distante dalla finalità corruttiva ipotizzata. Pertanto, l'assunto della ordinanza impugnata risulta frutto di un travisamento della prova indiziaria, senza il necessario accertamento delle condotte del funzionario e del privato corruttore e della loro indissolubile connessione. Quanto al presunto comportamento antidoveroso dell'Od.Gi. - segnatamente con riguardo alla nomina del ricorrente quale direttore in sostituzione della UOC Centro Salute Globale - come risulta dagli atti e dedotto in sede di riesame, la nomina non proviene dall'Od.Gi. ma dal commissario straordinario della ASL con delibera n. 828 del 23.6.2021, su proposta del direttore del dipartimento di prevenzione dott. Di.; in data 15.2.2021, rispetto alla quale l'Od.Gi. ha espresso solo due pareri favorevoli in data 16.6.2021 e 21.6.2021, prima che lo Sp.An. sapesse delle indagini a carico dell'Od.Gi.. Inoltre, quanto alla illegittimità di tale nomina il Tribunale omette qualsiasi riferimento alla normativa di riferimento e alla giurisprudenza amministrativa prodotta in sede di riesame, dalla quale si evince che, ai fini dell'assunzione di incarichi dirigenziali nelle ASL e nel SSN, il pedagogista è assimilato allo psicologo ed "è inquadrato come dirigente di ruolo sanitario non medico quindi stesso ruolo nominativo dello psicologo e percepisce anche uguale retribuzione"(cf. Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 763/1994), richiamando la ordinanza la normativa pertinente ai conferimenti a seguito di concorso e non a quello in sostituzione che ha specifica regolamentazione (Regolamento di affidamento, conferma e revoca degli incarichi dirigenziali e rotazione del personale dirigenziale - deliberazione n. 3089 del 23 agosto 2016 nonché art. 22, comma 4, del CCNL 19 dicembre 2019 Area Sanità). Cosicché lo Sp.An. aveva tutti i requisiti richiesti per la nomina come direttore in sostituzione, essendo titolare di incarico di struttura semplice e alla luce della valutazione operata dal Collegio tecnico nella seduta del 14 giugno 2021. Quanto, poi, al conferimento dell'incarico di alta specializzazione risulta la perfetta corrispondenza rispetto a quanto previsto dall'art. 18 del CCNL, essendo lo Sp.An. dirigente di unità semplice sin dal 2002 e dal 26 settembre 2017 della UOS Tutela della salute dei migranti presso la ASP di Trapani. Quanto alla vicenda del concorso per la qualifica di direttore della U.O.C., non bandito alla data del 10.3.2022 e alla quale lo Sp.An. non ha mai partecipato, la possibilità che tra i requisiti soggettivi di partecipazione al bando fosse prevista la laurea in psicopedagogia (titolo dello Sp.An.) era confortata da precedenti della giurisprudenza amministrativa, da una nota dell'assessore alla Sanità della Regione Sicilia n. 440 del 17 giugno 1988, dalla circolare dell'Assessore alla Salute della Regione Sicilia n. 1280 del 16 marzo 2011 e dal raffronto con altre normative regionali. Infine, quanto al presunto ritardo della pubblicazione del bando, la stessa captazione del 7.9.2021 dà conto delle informazioni richieste dallo Sp.An. per detta importante pubblicazione. 2.2. Con il secondo motivo violazione dell'art. 273 cod. proc. Pen. ed erronea applicazione dell'art. 353-bis cod. Pen. e vizio cumulativo della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria in ordine al reato di cui al capo 11 -bis. Già la lettura del predetto capo di imputazione dà conto della confusione di concetti che ha dato luogo alla imputazione, posto che per la nomina di Direttore in sostituzione della UOC Salute Globale non era necessaria né è stata espletata alcuna procedura concorsuale; né il ricorrente ha mai partecipato al concorso per la nomina a direttore della predetta UOC, né per tale concorso risulta emesso il relativo bando. Cosicché i fatti considerati dalla ordinanza esulano dalla fattispecie di cui all'art. 353-bis cod. Pen. 2.3. Con il terzo motivo violazione degli artt. 266, 191 e 273 cod. proc. Pen. ed erronea applicazione degli artt. 640 cod. Pen. e 55-quinquies d. Legs. 165/2001 e vizio cumulativo della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria in ordine ai reati di cui ai capi 17 e 19. L'ordinanza impugnata, per quanto riguarda questi capi di incolpazione, ha fatto rinvio alla ordinanza genetica che - tranne che per un solo caso - si fonda sull'esito delle captazioni informatiche tramite trojan. Ebbene, lo stesso Giudice emittente ha rilevato l'inutilizzabilità delle captazioni per i titoli di reato in questione, purtuttavia ammettendo la utilizzabilità delle relative localizzazioni del soggetto intercettato. L'assunto non è condivisibile, versandosi in una inutilizzabilità patologica che rende completamente inutilizzabile l'esito captativo in qualsiasi fase procedimentale (Cass. Sez. 6 n. 15836/2023). In ogni caso, manca completamente la motivazione in ordine al danno tipico del delitto di truffa contestato al capo 17 e l'esame del profilo di offensività del reato di cui al capo 19. 2.4. Con il quarto motivo violazione dell'art. 274 cod. proc. Pen. e vizio cumulativo della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari. La ordinanza non indica alcun elemento concreto di una attualità del pericolo cautelare, limitandosi ad asserire l'insufficienza della sospensione dell'indagato in via amministrativa. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato per quanto di ragione. 2. Il primo motivo è inammissibile perché genericamente versato in fatto. 2.1. Deve essere ribadito che, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, RV. 276976), cosicché non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, RV. 280747). Con riguardo, poi, alla ricorrente censura in ordine al contenuto delle captazioni poste a base della gravità indiziaria, deve ribadirsi il consolidato orientamento secondo il quale in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite(Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, RV. 282337), non potendosi ritenere integrato il travisamento dell'indizio dalla difforme sua non illogica valutazione. 2.2. Ritiene il Collegio che, rispetto alla ricostruzione indiziaria, il motivo proposto fa leva su una reinterpretazione del compendio captativo, ancorché sotto la veste del travisamento del dato, nella specie insussistente. In particolare, la dedotta insussistenza del patto corruttivo alla data del 21.6.2021 in relazione alle due captazioni indicate in ricorso è genericamente proposta rispetto alla ricostruzione che lo ritiene accertato da parte del primo giudice - alla quale fa rinvio la ordinanza impugnata - che fa capo all'invio all'Od.Gi. di una prima proroga di indagini nell'ambito del procedimento n. 3618/20-21 per i reati di cui agli artt. 353-bis e 356 cod. Pen., ricevuta con avviso il 4 giugno 2021 (e ritirata il 17 giugno successivo) al quale fa seguito nello stesso giorno una interlocuzione con lo Sp.An. (v. pg. 437 della ordinanza genetica). Inoltre, la censura non tiene conto della già avvertita posizione dell'Od.Gi. a seguito delle informazioni avute dai suoi collaboratori Gi. e Ga. delle intercettazioni in corso (v. pg. 10 della ordinanza impugnata). Quanto agli atti contrari riconducibili all'Od.Gi., la ordinanza dà conto della piena consapevolezza da parte sua della macroscopica illegittimità della nomina del "pedagogista" Sp.An. quale direttore di Unità Operativa Complessa (in quanto esulante dalla normativa di riferimento rappresentata dal D.P.R. 10 dicembre 1997, n. 483 e 484, D.M. 30 gennaio 1998 e ss. modd., D. leg.vo 30 dicembre 1992 n. 502; art. 15, comma 7, CCNL Dirigenza Medica), accompagnata dalle contrarie - e correttamente ritenute indizianti - imposizioni "aperturiste" dell'Od.Gi. alla notizia, datagli dal suo collaboratore amministrativo, secondo la quale la normativa in materia di concorsi per il personale dirigenziale di secondo livello non includeva la figura del "pedagogista" ricoperta dallo Sp.An., fino al diretto confronto sul tema con lo stesso Sp.An. (conversazione del 15.6.2021) che, alla notizia della carenza di requisiti datagli dall'Od.Gi., manifestava il suo disappunto; infine, si registravano le lamentale dello Sp.An. nei confronti dello stesso Od.Gi. di non profondere sufficiente impegno al fine di risolvere la problematica in suo favore (v. pg. 16 e sg. della ordinanza). Che, poi, l'Od.Gi. abbia favorito lo Sp.An. nella sua aspettativa è del tutto correttamente giustificato dalla ordinanza impugnata che, in risposta alla medesima questione propostagli dalla difesa, considera la partecipazione dell'Od.Gi. alla procedura di nomina con i suoi pareri favorevoli alla delibera n. 618 del 16.6.2021 avente ad oggetto il prodromico conferimento dell'incarico di alta professionalità C1 allo Sp.An. e alla delibera n. 828 del 21.6.2021 del commissario straordinario avente ad oggetto il conferimento allo stesso dell'incarico di direttore in sostituzione della UOC Centro Salute Globale ex art. 22 CCNL. La ordinanza dà poi ragione della illegittimità della predetta nomina sia in relazione alla insufficienza della pregressa titolarità della struttura semplice da parte dello Sp.An., che non costituiva un'articolazione interna della neo costituita U.O.C. "Centri Salute Globale" (come ammette in sede di interrogatorio, riportato dalla ordinanza a pg. 18), sia per la strumentale attribuzione dell'incarico C1 pochi giorni prima della delibera, la cui valenza e merito dell'Od.Gi. erano successivamente ricordati allo Sp.An. che gli si mostrava riconoscente (v. pg. 18, ibidem). Quanto alla controprestazione alla quale si obbliga il ricorrente essa è incensurabilmente individuata dalla ordinanza impugnata a pg. 20 e sg., valorizzando la immediata interlocuzione dell'Od.Gi. con la compagna magistrato dello Sp.An., da questi chiamata su richiesta del primo che aveva appena firmato il parere favorevole alla nomina di direttore in sostituzione, oltre le successive interlocuzioni "qualificate" tenute dall'Od.Gi. con lo Sp.An. indicato quale, ormai, suo consulente legale sulle vicende penali che lo coinvolgono. A tal proposito, non risulta proposta al Tribunale la eccezione di inutilizzabilità della captazione del 29.7.2021 asseritamente non depositata, invece considerata dal ricorrente dinanzi al riesame senza eccepire alcunché in rito (v. pg. 8 e sg. dei motivi di riesame in atti). 3. Il secondo motivo, riguardante la gravità indiziaria in ordine al reato di cui al capo 11 -bis, è fondato per un assorbente diverso motivo rilevabile di ufficio, attenendo alla qualificazione giuridica del fatto. 3.1. La ordinanza ha confermato la gravità indiziaria in ordine al capo 11-bis ritenendo senz'altro la sussistenza di una gara informale e la violazione, attraverso le collusioni e gli atti contrari a doveri di ufficio, dei criteri di buon andamento e imparzialità (v. pg. 23 e sg.) sia in relazione alla procedura di nomina a direttore in sostituzione dell'UOC Centro Salute Globale di cui si assume il turbamento da parte dei due indagati Od.Gi. e Sp.An., sia al bando di concorso dell'incarico di direttore della medesima struttura, di cui si assume la non pubblicazione e la predisposizione "orientata" in favore dello Sp.An.. 3.2. Ritiene questo Collegio che le deduzioni difensive siano assorbite da una più radicale valutazione riguardante la non configurabilità del reato ipotizzato sub capo 11-bis nel caso di specie. 3.2.1. Il delitto di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, previsto dall'art. 353-bis cod. Pen., è un reato di pericolo, posto a tutela dell'interesse della Pubblica Amministrazione di poter contrarre con il miglior offerente, per il cui perfezionamento è necessario che sia posta concretamente in pericolo la correttezza della procedura di predisposizione del bando di gara, ma non anche che il contenuto di detto provvedimento venga effettivamente modificato in modo tale da condizionare la scelta del contraente (Sez. 6, n. 29267 del 05/04/2018, Baccari, RV. 273449). Come ha chiarito Sez. 6, n.26840 del 14/4/2015,Boschi "l'art. 353 bis c.p., disciplina la turbata libertà del procedimento di scelta del contraente prima dell'eventuale gara. La norma è stata introdotta dal Legislatore, nel corso dell'iter che ha condotto alla L. n. 136 del 2010, al dichiarato scopo di prevedere espressamente la rilevanza penale delle condotte di turbamento (specificamente indicate) anche alla fase precedente la gara(...). L'art. 353-bis c.p., prevede così che, salvo che il fatto costituisca fatto più grave, abbia autonoma rilevanza penale la condotta di chiunque, alternativamente con violenza minaccia doni promesse collusioni o altri mezzi fraudolenti (i medesimi comportamenti considerati dalla fattispecie ex art. 353 c.p.), turba il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando ovvero di altro atto equipollente, al fine di condizionarne le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione" cosicché "attraverso l'art. 353-bis c.p., si è inteso evitare ogni vuoto di tutela, incriminando anche quei tentativi di condizionamento a monte degli appalti pubblici che risultino, ex post, inidonei ad alterare l'esito delle relative procedure. L'illecita interferenza nel procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando, finalizzata a condizionare le modalità di scelta del contraente (ad esempio, mediante la personalizzazione dei requisiti prescritti), determina, già di per sè sola, l'applicazione delle sanzioni penali". In definitiva, nella consapevolezza che i beni ed interessi giuridici che meritano tutela nel contesto (sia quello della pubblica amministrazione ad individuare il contraente più competente alle condizioni economiche migliori; sia quello della tutela della libertà di iniziativa economica) sono lesi non solo da condotte successive a un bando il cui contenuto sia stato determinato nel pieno rispetto di tali beni e interessi giuridici, ma anche dalle condotte precedenti che abbiano influito sul contenuto o che potrebbero avere influenza, il Legislatore ha inteso anticipare la tutela penale rispetto al momento di effettiva indizione formale della "gara" ed anche quando una procedura volta alla determinazione del bando (o di atto equivalente) sia stata svolta pur senza approdare a un positivo provvedimento formale. Ciò, come osservato da autorevole dottrina, in un contesto di anticipazione della soglia della tutela a fasi dell'iter criminis anteriori alla consumazione dell'offesa finale, che caratterizza la frammentazione casistica del tentativo in autonome fattispecie di atti preparatori o prodromici, rispetto ad attività delinquenziali caratterizzate da forte complessità, in cui il pregiudizio finale si realizza a seguito di processi comportamentali estremamente articolati, cui possono concorrere plurimi soggetti e la cui efficacia causale è molto difficilmente riferibile a ciascun agente". 3.2.2. Così delineati l'oggetto della tutela penale e la collocazione sistematica in funzione anticipatoria della tutela apprestata dalla fattispecie in esame, deve essere richiamato il condiviso orientamento di legittimità che, in relazione all'art. 353 cod. Pen., ha affermato il principio secondo il quale non integrano il delitto di turbata libertà degli incanti le condotte impeditive o turbative tenute durante l'espletamento delle procedure di concorso per l'accesso ai pubblici impieghi o relative alla mobilità del personale tra diverse amministrazioni, essendo la previsione incriminatrice funzionale al regolare svolgimento dei soli procedimenti finalizzati all'acquisizione di beni e servizi ed ostando, in via generale, all'estensione applicativa della norma, per via di un'inammissibile interpretazione analogica "in malam partem", il principio di tassatività e determinatezza della fattispecie penale (Sez. 6, n. 26225 del 10/05/2023, M., RV. 285528); ancora, non è configurabile il delitto di turbata libertà degli incanti nel caso di procedure di concorso finalizzate al reclutamento di docenti universitari, posto che la norma incriminatrice, nel riferirsi testualmente a nozioni tecniche dal significato infungibile, indicato nel codice degli appalti e nella normativa di settore di cui al r. d. n. 2440 del 1923 e al r. d. n. 827 del 1924, circoscrive la tutela alle sole procedure finalizzate alla cessione di beni o all'affidamento all'esterno dell'esecuzione di un'opera o della gestione di un servizio e non ai concorsi per il reclutamento del personale docente delle università, caratterizzati dalla valutazione di offerte che si risolvono nell'attività pregressa del candidato (Sez. 6, n. 32319 del 24/05/2023, Bocchiotti, RV. 284945); infine, in tema di turbativa d'asta, le procedure concorsuali per l'assunzione di personale da parte dello Stato e delle sue articolazioni non possono essere ricondotte alla nozione di "gara" di cui la pubblica amministrazione si avvale per la cessione di beni ovvero per l'affidamento all'esterno dell'esecuzione di un'opera o la gestione di un servizio, ostandovi il dato testuale dell'art. 353 cod. Pen. - facente tassativo riferimento alle gare nei "pubblici incanti e nelle licitazioni private per conto di pubbliche amministrazioni" -e,dunque,il divieto di analogia "in malam partem" (Sez. 6, n. 38127 del 24/05/2023, Bastardi, RV. 285274). 3.2.3. La ratio espressa dall'orientamento richiamato, riguardante la fattispecie di cui all'art. 353 cod. Pen., deve essere applicata anche alla diversa fattispecie dell'art. 353-bis cod. Pen. contestata nella vicenda in esame. L'evidente raccordo di tale fattispecie in funzione anticipatoria rispetto a quella dell'art. 353 cod. Pen., impone di escludere la sua applicazione al concorso pubblico per la designazione di un dirigente sanitario, non essendo sufficiente il richiamo alla esistenza di una procedura di valutazione comparativa finalizzata alla sua designazione, non avendo riguardo tale scelta alla individuazione di un "contraente" per cessione di beni o all'affidamento all'esterno dell'esecuzione di un'opera o della gestione di un servizio. Questa radicale ragione che esclude la ipotizzabilità del reato di cui all'art. 353-bis cod. Pen. nel caso di specie assorbe, quindi, le censure proposte dal ricorrente, determinando l'annullamento della ordinanza impugnata e della ordinanza genetica limitatamente al reato di cui al capo 11 -bis della provvisoria imputazione. 4. Il terzo motivo è fondato per quanto di ragione. L'ordinanza impugnata ha confermato la gravità indiziaria in ordine ai reati di cui ai capi 17 e 19 rinviando alla ordinanza genetica sul rilievo della sussistenza di una molteplice matrice del compendio indiziario "costituito da servizi di osservazione e controllo e riscontri documentali presso l'ente di appartenenza" (v. pg. 24). Tuttavia, la ordinanza genetica fonda la gravità indiziaria sul rilievo secondo il quale "In punto di compendio utilizzabile traendo le logiche conseguenze di quanto spiegato al paragrafo 1 della presente Parte si deve evidenziare l'inutilizzabilità delle intercettazioni stante lo sbarramento del limite edittale. D'altro canto la ravvisata inutilizzabilità copre esclusivamente il contenuto dichiarativo delle conversioni intercettate ma non anche la rilevazione della posizione dei soggetti intercettati mediante utilizzo del GPS relativo alla utenza di volta in volta presa in considerazione"(v. pg. 474 della ordinanza genetica) per poi affermare che "Tralasciate le intercettazioni dunque riscontri rispetto alle medesime criticità sulle effettive prestazioni lavorative dello Sp.An. emergevano dall' incrocio dei dati relativi alle attestazioni effettuate mediante timbratura del badge e alle assenze giustificate con missioni o permesso per servizio con i servizi di osservazione e controllo effettuati dalla p. g. nonché dalla analisi dei dati di localizzazione del positioning tratti dall'attività tecnica da cui emergevano gli spostamenti e i movimenti del tutto incoerenti e in contrasto con quanto dichiarato dallo Sp.An." (v. pg. 475, ibidem). Ebbene, a riguardo è stato affermato che, in tema di acquisizione di dati contenuti in tabulati telefonici, non sono utilizzabili nel giudizio abbreviato i dati di geolocalizzazione relativi a utenze telefoniche o telematiche, contenuti nei tabulati acquisiti dalla polizia giudiziaria in assenza del decreto di autorizzazione dell'Autorità giudiziaria, in violazione dell'art. 132, comma 3, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in quanto prove lesive del diritto alla segretezza delle comunicazioni costituzionalmente tutelato e, pertanto, affette da inutilizzabilità patologica, non sanata dalla richiesta di definizione del giudizio con le forme del rito alternativo. (Sez. 6, n. 15836 del 11/01/2023 , Berera, RV. 284590). A maggior ragione, secondo questo Collegio, il principio deve essere affermato con riferimento ai dati di posizionamento provenienti da captazioni inutilizzabili, secondo il principio per il quale le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, ove dichiarate, a norma dell'art. 271 cod. proc. Pen., inutilizzabili, perdono totalmente ogni capacità dimostrativa e, quindi, non possono essere utilizzate neanche in favore dell'accusato (Sez. 2, n. 11582 del 14/12/2017, dep. 2018, Cristaldi, RV. 272792). Resta, tuttavia, fermo il principio secondo il quale, in tema di indagini preliminari, la localizzazione dei soggetti effettuata attraverso l'apparecchio cellulare di cui abbiano il possesso, mediante la tecnica cosiddetta "positioning", non necessita di autorizzazione giudiziale/ (Sez. 1, n. 21366 del 13/05/2008, Stefanini, RV. 240092); e, ancora, che l'individuazione da parte della polizia giudiziaria dell'utenza telefonica da sottoporre ad intercettazione attraverso il monitoraggio di utenze presenti in una determinata zona, mediante apparecchiature in grado di individuarne i codici identificativi previo posizionamento in prossimità del cellulare da "tracciare", rientra tra gli atti urgenti e "innominati" demandati agli organi di polizia giudiziaria, ai sensi degli artt. 55 e 348 cod. proc. Pen., non soggetto ad una preventiva autorizzazione dell'autorità giudiziaria (Sez. 4, n. 41385 del 12/06/2018, C., RV. 273929). La rilevanza conferita ai dati di posizionamento, purtuttavia, impone un nuovo esame del compendio investigativo che verifichi la provenienza dei dati di localizzazione del positioning, essendo insufficiente il generico riferimento della ordinanza genetica - alla quale quella impugnata rinvia - alla loro provenienza da "attività tecniche" e, nel caso che tali dati siano prodotto della attività di intercettazione inutilizzabile, non tenga conto di essi ai fini della ritenuta gravità indiziaria. 5. Il quarto motivo è assorbito dall'accoglimento del secondo e terzo motivo. 6. In conclusione, l'ordinanza impugnata nonché l'ordinanza emessa il 28 novembre 2023 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trapani limitatamente al reato di cui al capo di imputazione provvisoria 11-bis) devono essere annullate senza rinvio. L'ordinanza impugnata, inoltre, deve essere annullata in relazione ai residui capi di imputazione provvisoria con rinvio per nuovo giudizio su di essi al Tribunale di Palermo competente ai sensi dell'art. 309, comma 7, cod. proc. Pen. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata nonché l'ordinanza emessa il 28 novembre 2023 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trapani limitatamente al reato di cui al capo di imputazione provvisoria 11-Bis). Annulla altresì l'ordinanza impugnata in relazione ai residui capi di imputazione provvisoria e rinvia per nuovo giudizio su di essi al Tribunale di Palermo competente ai sensi dell'art. 309, comma 7, cod. proc. Pen. Cosi deciso il 11 aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA SEZIONE SESTA CIVILE composta dai magistrati: dott. (...) Presidente dott. (...) (...) relatore dott. (...) (...) all'udienza del 15 maggio 2024 ha pronunciato ai sensi dell'art. 281sexies c.p.c. la seguente SENTENZA definitiva nella causa civile in grado di appello iscritta al n. (...) del registro generale degli affari contenziosi dell'anno 2018, vertente tra (...) (c.f. (...)), nata a (...) il (...), (...) (c.f. (...)), nato a (...) il (...), (...) (c.f. (...)), nato a (...) il (...), tutti in proprio e quali eredi di (...) elettivamente domiciliati in (...) Via (...) n. (...), presso lo studio dell'avv. (...) che li rappresenta e difende unitamente all'avv. (...) giusta procura in atti appellanti principali ed appellati incidentali e (...) s.p.a. (p.iva (...)), elettivamente domiciliat (...), presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresenta e difende giusta procura in atti appellata principale ed appellante incidentale e (...) appellati contumaci e (...) s.r.l. (p.iva (...)), elettivamente domiciliat (...), presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresenta e difende giusta procura in atti appellata e MINISTERO DELL'INTERNO DIPARTIMENTO DEI VIGILI DEL FUOCO, DEL SOCCORSO PUBBLICO E DELLA DIFESA CIVILE (c.f.: (...)), rappresentato e difeso e(...) lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in (...) Via dei (...) n. 12 è domiciliato appellato Motivi di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione notificato in data (...), (...) e (...) in proprio ed in qualità di eredi di (...) hanno proposto appello avverso la sentenza n. (...)/2017 emessa dal Tribunale ordinario di (...) e pubblicata il (...), resa nel giudizio di primo grado promosso dall'odierna parte appellante nei confronti di (...) della (...) dei (...) s.r.l. e di (...) s.p.a. Nel corso del giudizio di primo grado è stata autorizzata la chiamata in causa del Ministero dell'(...) (...) dei (...) del (...) del soccorso pubblico e della Difesa Civile e (...) dei (...) del (...) di (...) Par. 1.1 I fatti di causa sono esposti nella sentenza impugnata come di seguito riportato. " Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) e (...) rispettivamente madre e fratelli del deceduto (...) in proprio e nella qualità di eredi della vittima, chiedevano dichiararsi l'esclusiva responsabilità di (...) (quale conducente della vettura di proprietà della (...) dei (...) s.r.l.) nella causazione del sinistro che aveva cagionato la morte di (...) nonché la condanna, in solido tra loro, dello stesso (...) della (...) dei (...) s.r.l. e di (...) s.p.a. quest'ultima anche con responsabilità ultramassimale al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subìti, con vittoria di spese. Gli attori esponevano a sostegno della domanda che il 19 luglio 2011, intorno alle ore 19,50, (...) era stato investito dalla vettura di proprietà della (...) dei (...) s.r.l., condotta dal (...) mentre la vittima era alla guida del suo motociclo, rimanendo poi incastrata tra le ruote dell'auto e decedendo per insufficienza respiratoria acuta da compressione del torace. La responsabilità esclusiva del (...) nel decesso del (...) emergeva dalla sentenza di applicazione della pena resa dal Tribunale penale di (...) divenuta irrevocabile, con la quale al (...) era stata applicata la pena di mesi dodici di reclusione per il reato di omicidio colposo, nonché dalla consulenza tecnica sulla dinamica del sinistro e da quella medico legale sulle cause del decesso effettuate su incarico del (...) oltre che dalle sommarie informazioni assunte nel corso delle indagini preliminari. Veniva chiesto il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, sia iure hereditario (danno da perdita della vita), sia iure proprio, assumendosi che la sig.ra (...) soffriva, a seguito della morte del figlio, di un grave stato depressivo con attacchi di panico e che aveva perso gli apporti economici che la vittima le avrebbe assicurato "durevolmente e spontaneamente". Si costituiva in giudizio l'(...) s.p.a. non contestando la responsabilità del (...) nel tamponamento del motociclo del (...) ma deducendo che erano intervenuti fattori interruttivi del nesso causale tra la condotta del conducente della vettura e il decesso della vittima (ritardo con cui erano giunti i soccorsi, vigili del fuoco intervenuti con le bombole di gas scariche e quindi impossibilitati a sollevare il veicolo investitore, allontanamento degli intervenuti che stavano azionando il cric per sollevare il veicolo da parte delle forze di polizia). Contestava inoltre il quantum debeatur e l'esistenza di un danno patrimoniale, deduceva di aver corrisposto alcune somme in favore degli attori e precisava che la polizza prevedeva un massimale di euro 2.500.000,00. Concludeva chiedendo dichiararsi la nullità della citazione per incertezza del petitum, accertarsi che la compagnia aveva già corrisposto euro 200.000,00 in favore di (...) ed euro 63.000,00 per ciascun fratello della vittima e rigettarsi la domanda con vittoria di spese. Si costituivano altresì il (...) e la (...) dei (...) s.r.l. non contestando la dinamica del sinistro ma negando la responsabilità del (...) nella causazione del decesso del (...) in quanto l'investimento non ne aveva provocato la morte, cagionata piuttosto da una serie di fatti (quelli stessi indicati dalla compagnia assicurativa) atipici, anomali ed eccezionali (la circostanza che le bombole di gas necessarie per il sollevamento del veicolo fossero scariche), che avevano determinato l'interruzione del nesso causale. Chiedevano pertanto la chiamata in causa del (...) dell'(...) del (...) e del (...) dei (...) del (...) di (...) e la condanna degli stessi, in via solidale, al risarcimento dei danni in favore degli attori, con rigetto della domanda attorea nei confronti di essi convenuti. In subordine chiedevano accertarsi la concorrente responsabilità del (...) e del (...) nella determinazione del decesso della vittima e la loro condanna al risarcimento per quanto di loro responsabilità, con vittoria di spese. A seguito della chiamata di terzo si costituiva il (...) dell'(...) Dipartimento dei (...) del (...) del (...) e della Difesa Civile e (...) dei (...) del (...) di (...) eccependo preliminarmente l'inammissibilità sia della domanda principale che di quella subordinata proposta dal convenuto (...) e dall'(...) dei (...) in quanto domanda risarcitoria riservata all'iniziativa esclusiva di parte attrice. Eccepiva altresì la nullità della citazione introduttiva per assoluta incertezza del petitum in difetto di specificazione del quantum debeatur richiesto e la prescrizione del diritto risarcitorio essendo decorso il biennio tra l'epoca del sinistro e la notifica dell'atto di citazione avversario. Nel merito assumeva la responsabilità esclusiva del (...) nella causazione del decesso del (...) e negava qualunque profilo di colpa nella condotta dei vigili del fuoco intervenuti, attesa la tempestività dell'intervento ancora precedente all'arrivo dell'ambulanza e stante l'avvenuto utilizzo, per il sollevamento della vettura, della pinza divaricatrice. Contestava inoltre il profilo dell'entità del danno, rilevando come non fosse risarcibile né il danno da perdita della vita, né quello biologico temporaneo, difettando la prova dello stato cosciente della vittima nel periodo antecedente il decesso, né quello patrimoniale, non godendo il (...) di reddito stabile e versando in condizioni di difficoltà economica. Concludeva quindi per il rigetto della domanda con vittoria di spese di lite. All'udienza del 18.12.2014 il procuratore degli attori, alla luce delle difese dei convenuti, dichiarava di voler estendere la domanda nei confronti del (...) chiedendone la condanna in solido con i convenuti al risarcimento del danno subìto. Con ordinanze in data (...) e 29.4.2016 venivano respinte le richieste di provvisionale avanzate dagli attori. La causa, istruita mediante produzioni documentali, assunzione di prova per testi e consulenza tecnica medico legale, perveniva alla fase decisoria con assegnazione alle parti dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e repliche". Par. 1.2 (...) Tribunale, con detta sentenza, ha così deciso: "rigetta le eccezioni preliminari sollevate dal (...) dell'(...) dichiara che il sinistro stradale verificatosi in (...) il 19 luglio 2011, intorno alle ore 19,50 sulla rampa di uscita per via (...) GRA tra la vettura (...) 307 SW condotta da (...) e di proprietà della (...) dei (...) s.r.l., ed il ciclomotore (...) condotto da (...) è ascrivibile in via esclusiva alla responsabilità di (...) per l'effetto condanna (...) dei (...) s.r.l. ed (...) spa, in solido tra loro, già detratti gli acconti in precedenza corrisposti, al pagamento in favore di (...) e (...) rispettivamente madre e fratelli del deceduto (...) delle seguenti somme; euro 91.862,29 in favore di (...) ed euro 80.701,00 ciascuno in favore di (...) e (...) oltre interessi e rivalutazione come da parte motiva, nonché interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza all'effettivo soddisfo; rigetta la domanda risarcitoria proposta dagli attori, nonché dal (...) e dalla (...) dei (...) s.r.l. nei confronti del (...) dell'(...) (...) dei (...) del (...) del soccorso pubblico e della Difesa Civile e (...) dei (...) del (...) di (...) condanna (...) dei (...) s.r.l. ed (...) spa, in solido tra loro, a rifondere agli attori le spese del presente grado di giudizio che liquida, in applicazione del D.M. n. 55/2014, in euro 18.000,00 per compensi professionali, oltre euro 450,00 per spese di contributo unificato, euro 600,00 di consulenza di parte, spese generali (15%), IVA e (...) le spese di CTU vengono poste definitivamente a carico di (...) dei (...) s.r.l. ed (...) s.p.a., in solido tra loro". Par. 1.3 La sentenza è motivata come di seguito riportato. "1. le eccezioni preliminari. Va respinta l'eccezione di nullità dell'atto di citazione sollevata dal (...) sull'assunto della assoluta genericità del petitum per non essere stata quantificata la somma richiesta a titolo risarcitorio. (...) l'orientamento della S.C., dal quale non vi è motivo di discostarsi, la nullità della citazione per omessa od incerta determinazione del petitum, inteso sotto il profilo formale come il provvedimento giurisdizionale richiesto dall'attore, e sotto quello sostanziale come il bene della vita del quale si chiede il riconoscimento, non sussiste qualora nell'atto introduttivo del giudizio non sia stata esattamente quantificata monetariamente la pretesa, se l'attore abbia indicato i titoli dai quali la stessa trae fondamento, permettendo in tal modo al convenuto di formulare in via immediata ed esauriente le proprie difese (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7074 del 05/04/2005; (...) 3, Sentenza n. 12567 del 28/05/2009). Nel caso di specie gli attori, pur non quantificando l'importo richiesto a titolo risarcitorio, hanno esattamente indicato i danni di cui chiedono il ristoro (danno da perdita della vita del congiunto, danno da perdita del rapporto parentale, danno biologico iure proprio, danno patrimoniale ecc.), sicché i convenuti sono stati posti in grado di esercitare le loro difese sia in punto di an che di quantum (tanto che sia il (...) che l'(...) nonché il (...) hanno dedotto sul punto). Va poi disattesa anche l'eccezione, sempre sollevata dal (...) di inammissibilità della chiamata di terzo del (...) Ha affermato infatti il (...) che quest'ultimo non avrebbe potuto avanzare nei suoi confronti una domanda risarcitoria riservata esclusivamente agli attori (né quella formulata in via principale, né quella subordinata di condanna del (...) al risarcimento del danno per la sua quota di responsabilità). Ebbene, la giurisprudenza della S.C. è orientata nel senso che qualora il convenuto effettui una chiamata di terzo indicando quest'ultimo come l'unico obbligato nei confronti dell'attore, la domanda attorea si estende automaticamente al terzo, purché il titolo in base al quale il convenuto ritiene la responsabilità del terzo non sia diverso da quello della domanda attorea. Si è infatti affermato che il principio dell'estensione automatica della domanda dell'attore al chiamato in causa da parte del convenuto trova applicazione allorquando la chiamata del terzo sia effettuata al fine di ottenere la liberazione dello stesso convenuto dalla pretesa dell'attore, in ragione del fatto che il terzo s'individui come unico obbligato nei confronti dell'attore ed in vece dello stesso convenuto, realizzandosi in tal caso un ampliamento della controversia in senso soggettivo (divenendo il chiamato parte del giudizio in posizione alternativa con il convenuto) ed oggettivo (inserendosi l'obbligazione del terzo dedotta dal convenuto verso l'attore in alternativa rispetto a quella individuata dall'attore), ma ferma restando, tuttavia, in ragione di detta duplice alternatività, l'unicità del complessivo rapporto controverso. Il suddetto principio, invece, non opera, allorquando il chiamante faccia valere nei confronti del chiamato un rapporto diverso da quello dedotto dall'attore come "causa petendi" ed in particolare, ove l'azione dell'attore sia di natura risarcitoria, qualora venga dedotto un titolo di responsabilità del terzo verso l'attore diverso da quello da lui invocato, al fine non già dell'affermazione della responsabilità diretta ed esclusiva del terzo verso l'attore sulla base del rapporto dedotto dal medesimo, bensì allo scopo di ottenere, sulla base del diverso rapporto di responsabilità dedotto, il rilievo dalla responsabilità invocata dall'attore con la domanda introduttiva della lite; e in questo secondo caso resta ferma l'autonomia sostanziale dei due rapporti confluiti nello stesso processo (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1748 del 28/01/2005). Nel caso di specie, la domanda fatta valere dal convenuto (...) nei riguardi del (...) non si richiama ad un titolo diverso ma alla stessa causa petendi fatta valere da parte attrice, ovvero la responsabilità aquiliana per il decesso del (...) nel sinistro di cui trattasi, sebbene in conseguenza di due diverse condotte poste in essere in contiguità temporale (l'investimento della vittima da parte del (...) e l'omesso tempestivo intervento di soccorso da parte dei vigili del fuoco). Giova ancora sottolineare che "in ipotesi di intervento di terzo su istanza di parte, posto che in virtù della chiamata in causa la domanda attorea si estende automaticamente nei confronti del terzo indicato quale unico responsabile, per escludere la volontà dell'attore di estendere la domanda nei confronti del terzo chiamato non bisogna aver riguardo al momento della proposizione della domanda nei confronti del convenuto, bensì a quello, successivo, della chiamata in causa, che può indurre l'attore medesimo a modificare la strategia processuale in un primo tempo scelta" (Cass. sez. 2, Sentenza n. 3643 del 24/02/2004). Ora, all'udienza del 18.12.2014, a seguito delle difese del convenuto (...) gli attori hanno inteso estendere la domanda anche al (...) chiedendone la condanna al risarcimento dei danni in solido col conducente, col proprietario della vettura e la compagnia assicuratrice, per cui non vi è dubbio che la domanda risarcitoria sia stata estesa al (...) Peraltro, si è anche ritenuto che qualora il convenuto, nel dedurre il difetto della propria legittimazione passiva, chiami un terzo, indicandolo come il vero legittimato, si verifica l'estensione automatica della domanda al terzo medesimo, onde il giudice può direttamente emettere nei suoi confronti una pronuncia di condanna anche se l'attore non ne abbia fatto richiesta, senza incorrere nel vizio di e(...)trapetizione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13165 del 05/06/2007). Va ancora respinta l'eccezione preliminare di prescrizione sollevata dalla difesa del (...) E' noto che se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, essa si applica anche all'azione civile (art. 2947). Se è intervenuta sentenza irrevocabile di condanna, il diritto al risarcimento si prescrive nel termine biennale con decorrenza dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile. Nel caso di specie è intervenuta sentenza di patteggiamento passata in giudicato il (...), data dalla quale decorre il termine di prescrizione biennale (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25042 del 07/11/2013, secondo cui in tema di prescrizione del risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli, dal disposto del terzo comma dell'art. 2947 cod. civ. emerge, per l'ipotesi in cui il fatto costituisce anche reato, che il risarcimento del danno si prescrive in due anni quando sia intervenuta una sentenza irrevocabile nel procedimento penale, rientrando tra queste anche la sentenza emessa ai sensi degli artt. 444 e 445 cod. proc. pen. c.d. patteggiamento perché essa non ha, nel giudizio civile, l'efficacia di una sentenza di condanna, alla quale è invece applicabile, e(...) art. 2953 cod. civ., il termine di prescrizione di dieci anni). Nel caso di specie l'atto di citazione è stato notificato al (...) il (...), quindi prima che maturasse la prescrizione biennale, sicché l'eccezione è priva di pregio. 2. ricostruzione della dinamica del sinistro. La relazione conclusiva redatta dalla polizia municipale ricostruisce la dinamica del sinistro nei termini seguenti. Il sinistro si era verificato in (...) intorno alle ore 19:55 del 19.7.2011, sulla rampa di uscita per via (...) (...) in presenza di luce solare (atteso il periodo estivo), in condizioni di tempo sereno e con strada in discesa a senso unico di marcia e con curva destrorsa, in tratto con limite di velocità di 40 km/h. (...), giunto intorno alle ore 20:52 (circa 57 minuti dopo il verificarsi del sinistro) quando già era stato constatato il decesso del (...) dava atto della posizione statica assunta dai veicoli coinvolti nell'incidente. In particolare, la vettura (...) 307 SW condotta dal (...) si trovava quasi al centro della rampa, parallela all'asse della carreggiata, con la parte anteriore rivolta verso via (...) mentre il ciclomotore (...) era riverso a terra sul lato destro alcuni metri prima della (...) con la ruota anteriore a ridosso del guardrail. (...) poteva essere ricostruito come segue: entrambi i veicoli (il ciclomotore marciando davanti alla (...), provenienti da via del (...) percorrevano la circonvallazione (...) in direzione S. (...) e imboccavano la rampa di uscita per via (...) in direzione (...) nell'affrontare la curva destrorsa la (...) tamponava con la parte anteriore destra la parte posteriore del ciclomotore (come risulta dall'abrasione e dall'impronta di forma circolare presente sul paraurti anteriore lato destro della vettura); il ciclomotore cadeva sul fianco destro per effetto dell'urto scivolando sull'asfalto (dove lasciava tracce di abrasione) per poi fermarsi sul margine sinistro della carreggiata; la vettura proseguiva la marcia nonostante la collisione passando verosimilmente con la ruota anteriore sinistra sul corpo del motociclista e trascinandolo con il casco ancora indossato per circa 24 metri. Sempre dalla relazione della polizia municipale risulta che delle persone presenti in loco, nessuna era stata in grado di fornire chiarimenti sulla dinamica del sinistro, ma solo sui successivi soccorsi. (...) riferiva oralmente agli operanti della municipale di essere stato sorpassato sulla sinistra dal ciclomotore, che dopo essersi spostato sulla destra della carreggiata avrebbe poi rallentato improvvisamente la marcia, mentre il coniuge del (...) ((...) riferiva di non aver assistito alla dinamica del sinistro in quanto intento a guardare il display del cellulare. In definitiva la polizia municipale riteneva inattendibile la versione del (...) reputando di contro che esso avesse tenuto una condotta di guida distratta in quanto, nonostante la velocità moderata, non era stato in grado di arrestare immediatamente la marcia dopo l'urto e non si era avveduto della caduta del motociclista e del trascinamento del corpo sotto la propria autovettura. A conclusioni conformi giunge anche la consulenza cinematica eseguita su disposizione del PM. Rilevava infatti il consulente come dall'esame della posizione dei veicoli emergesse che al momento dell'urto essi si trovavano a marciare su linee perfettamente parallele, dovendosi quindi escludere che nell'immediatezza fosse stata effettuata una manovra di sorpasso da parte del ciclomotore. Dall'esame delle tracce rilevate sulla pavimentazione stradale appariva altamente probabile che il ciclomotore marciasse al centro dello svincolo e che la vettura lo seguisse spostata verso sinistra. La velocità della (...) al momento dell'urto era stata stimata 1520 km/h superiore a quella del ciclomotore, sicché appariva possibile che il motociclista avesse sensibilmente ridotto la velocità nell'ingresso in curva e fosse stato raggiunto dalla vettura in velocità libera. Appariva infine indubbio che la vettura avesse tamponato con la sua parte anteriore il parafango posteriore del ciclomotore in posizione eretta e su traiettorie parallele. Dall'autopsia effettuata nella fase delle indagini preliminare emerge che la morte del (...) è stata constatata in sede clinica alle ore 20:40 del 18.7.2011, che il decesso è riconducibile al sinistro stradale per cui è causa e che esso appare compatibile con una insufficienza respiratoria acuta da compressione del torace. E' importante sottolineare, anche tenuto conto delle eccezioni sollevate dalle parti e che verranno trattate infra, la circostanza che il (...) in conseguenza dell'urto, non ebbe a riportare una lesività fisica rilevante ai fini del determinismo della morte, in quanto l'esame necroscopico ha evidenziato l'assenza di alterazioni rilevanti a carico di pressoché tutti gli organi ed apparati del corpo. Dunque, il consulente del PM ha ritenuto che il decesso sia riconducibile al fatto che il corpo della vittima è rimasto compresso sotto il veicolo, così da impedire la normale dinamica respiratoria attraverso una pressione esercitata a livello toracico. Va a questo punto rilevato che il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, delle quali la sentenza ivi pronunciata costituisce documentazione, fornendo adeguata motivazione della relativa utilizzazione, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all'ammissione e all'assunzione della prova: cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 840 del 20/01/2015; n. 4652 del 2011; n. 5440 del 2010; n. 11555 del 2013; (...) n. 9040 del 2008). (...) canto, nell'ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, sicché il giudice, potendo porre a base del proprio convincimento anche prove cd. atipiche, è legittimato ad avvalersi delle risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale, così come delle dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali (Cass. Sentenza n. 1593 del 20/01/2017). Ancora, la sentenza penale di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi degli artt. 444 e 445 cod. proc. pen. (cd. "patteggiamento") non ha, nel giudizio civile, l'efficacia di una sentenza di condanna (cfr. art. 445 co. 2 c.p.p.), sicché il giudice civile deve decidere accertando i fatti illeciti e le relative responsabilità autonomamente, pur non essendogli precluso di valutare, unitamente ad altre risultanze, anche la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10847 del 11/05/2007; n. 6863 del 2003), la quale costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione (Cass. Sez. L, Sentenza n. 9358 del 05/05/2005). Ciò premesso, deve anzitutto rilevarsi che il (...) ha patteggiato la pena per il reato di omicidio colposo e che, pur non contestando in questa sede la propria responsabilità nell'investimento del motociclista, si è difeso sostenendo che il nesso causale tra la propria condotta di guida e il decesso del (...) sarebbe stato interrotto da un elemento assolutamente atipico ed eccezionale costituito dal mancato tempestivo sollevamento del veicolo da parte dei vigili del fuoco intervenuti. Ora, riservando al prosieguo l'analisi più approfondita di questo aspetto della vicenda, deve rilevarsi che tale strategia difensiva si pone in palese conflitto con la richiesta di applicazione della pena da parte del (...) atteso che ove quest'ultimo avesse ritenuto effettivamente interrotto il nesso causale tra la propria condotta di guida e il decesso della vittima, non avrebbe dovuto chiedere di patteggiare la pena (ponendosi la questione relativa all'interruzione del nesso causale in termini omologhi sia nel processo penale che in quello civile). Né d'altro canto egli ha fornito una spiegazione plausibile del motivo per il quale si sarebbe appunto deciso a patteggiare la pena pur nella convinzione di non aver cagionato la morte del (...) In ogni caso, le risultanze della relazione della polizia municipale intervenuta sul luogo del sinistro e della CT modale del P.M. appaiono assolutamente persuasive e condivisibili. Può quindi ritenersi che la (...) abbia tamponato il ciclomotore guidato dal (...) (come emerge dalle tracce di urto tra la zona anteriore della vettura e quella posteriore del ciclomotore) per poi trascinarlo sotto l'auto per diversi metri prima di fermarsi. Che vi sia stata una condotta gravemente negligente del (...) nella guida del veicolo emerge poi in maniera eclatante sia dal fatto che l'urto si è verificato da tergo (ciò che denota il mancato rispetto della distanza di sicurezza tra i veicoli), sia dal trascinamento del corpo della vittima incastrata sotto la scocca dell'auto investitrice per ben 24 metri senza che il (...) se ne rendesse conto. 3. il nesso causale tra la condotta di guida imprudente del (...) e il decesso del (...) la questione dell'eccepita interruzione del nesso causale. Giova a questo punto soffermarsi sulla questione dell'eccepita interruzione del nesso causale, la quale impone anzitutto di far luce su quanto accaduto dopo l'investimento e sui soccorsi intervenuti. Dall'annotazione di servizio del (...) del 20.7.2011 risulta che all'arrivo della polizia (tra le ore 20:00 e le 20.10) alcune persone avevano già posto un cric sul lato destro della (...) allo scopo di tentare di sollevare il mezzo (si rammenta che il sinistro si è verificato intorno alle ore 19:55). Sempre secondo detta annotazione, alle ore 20:10 giungeva la (...) dei (...) del (...) che mediante un martinetto idraulico sollevava l'auto ed estraeva il corpo della vittima, mentre alle 20:26 il personale del 118 constatava il decesso del (...) Occorre poi esaminare le sommarie informazioni testimoniali rese alla polizia municipale da (...) e (...) giunto sul posto subito dopo il sinistro (e quindi verosimilmente intorno alle ore 20:00 o poco prima), dichiarava di aver verificato che la persona investita era ancora in vita, poiché a circa 10 minuti dal suo arrivo aveva notato che il (...) da lui sollecitato in tal senso aveva mosso leggermente un piede. Un motociclista intervenuto prima di lui aveva sollevato la parte anteriore destra della vettura mediante un cric, ma in tale frangente era intervenuta una pattuglia della (...) che aveva fatto allontanare gli astanti. Verso le 20:15 era giunto sul posto il primo mezzo dei (...) del (...) che aveva approntato le operazioni per il sollevamento del mezzo. Tuttavia, il teste aveva udito uno dei (...) affermare che le bombole erano scariche e che occorreva trovare una soluzione alternativa. Immediatamente dopo però i (...) del (...) avevano interrotto ogni operazione a seguito della constatazione del decesso della vittima, sulla quale era stato steso un telo bianco. Era poi sopraggiunto un secondo mezzo dei (...) del (...) che aveva rimosso la vettura liberando il corpo del ragazzo. (...) ha riferito di essere giunto anch'egli poco dopo il sinistro e di aver notato che la vittima muoveva lentamente il braccio destro e respirava ancora muovendo in maniera accelerata il torace. Reperito un cric, lo aveva azionato, ma appena sollevata la vettura era stato fatto allontanare dai (...) del (...) nel frattempo sopraggiunti. Tuttavia, costoro non erano riusciti a sollevare l'auto in quanto, pur avendo posizionato l'attrezzatura gonfiabile, si erano resi conto che le bombole in dotazione erano scariche. La fase del tentativo di sollevamento della vettura con il cric è stata meglio chiarita nel corso dell'escussione dei due testi in fase istruttoria. (...) ha specificato che il (...) aveva sì sollevato la parte anteriore della vettura con un cric, ma che l'azione non era stata sufficiente a liberare il giovane. Ha inoltre precisato che qualcuno dei presenti voleva sollevare l'auto di forza, mentre altri temevano che ciò potesse peggiorare la situazione, sicché alla fine non se ne era fatto nulla in attesa dell'arrivo della polizia. (...) dal canto suo, ha dichiarato di essere riuscito a sollevare il veicolo con il cric solo di qualche centimetro. Entrambi i testi hanno poi confermato la circostanza che le bombole erano scariche e quindi l'esito negativo del primo tentativo di sollevamento del mezzo da parte dei (...) del (...) Occorre ora prendere in considerazione il materiale prodotto dal (...) Dal rapporto di intervento dei (...) del (...) in data (...) risulta che il primo mezzo è giunto in loco alle ore 20.11 e che l'intervento medesimo è consistito nel sollevare la vettura tramite martinetto idraulico manuale con l'ausilio del carro sollevamenti al fine di liberare il corpo del (...) La relazione redatta il (...) dal responsabile del reparto che operò l'intervento ((...) dà atto che all'arrivo sul posto la vittima si trovava incastrata sotto la vettura e si presentava in stato di incoscienza, dato che ad un controllo ravvicinato "non si scorgeva alcun segno vitale quale respirazione e polso carotideo". La squadra aveva quindi proceduto all'allestimento della manovra di sollevamento del veicolo tramite impiego di cuscini pneumatici di sollevamento che però "al momento della messa in pressione risultavano inefficaci per un mal funzionamento della centralina di comando", per cui si era proceduto immediatamente all'uso della pinza divaricatrice oleodinamica in dotazione. La durata complessiva delle manovre di allestimento delle attrezzature aveva richiesto circa due minuti. Poiché tuttavia la pinza divaricatrice a parità di capacità di sollevamento presentava minore stabilità e sicurezza per il personale operante, era stato richiesto l'intervento di un (...) sollevamenti dei (...) che con l'impiego di un martinetto idraulico manuale aveva messo definitivamente in sicurezza la vettura. Giova a questo punto precisare che in tema di responsabilità civile aquiliana, il nesso causale è regolato dal principio di equivalenza di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano ad una valutazione "e(...) ante" del tutto inverosimili (Cass. Sez. U, Sentenza n. 576 del 11/01/2008). In particolare, il principio dell'equivalenza delle cause (se la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale) trova il suo temperamento nel principio di causalità efficiente desumibile dall'art. 41 c.p., comma 2, in base al quale l'evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all'autore della condotta sopravvenuta, solo se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto (Cass. 19.12.2006, n. 27168; Cass. 8.9.2006, n. 19297; Cass. 10.3.2006, n. 5254; Cass. 15.1.1996, n. 268). Nel contempo non è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all'interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l'evento causante non appaiano del tutto inverosimili, ma che si presentino come effetto non del tutto imprevedibile, secondo il principio della c.d. causalità adeguata o quella similare della ed. regolarità causale (e(...) multis: Cass. 1.3.2007; n. 4791; Cass. 6.7.2006, n. 15384; Cass.27.9.2006, n. 21020; Cass. 3.12.2002, n. 17152; Cass. 10.5.2000 n. 5962). Per quanto attiene più da vicino la fattispecie in esame, si è osservato che il concetto di causalità sopravvenuta da sola sufficiente ad escludere il rapporto causale a norma dell'art. 41, comma secondo, cod. pen. (norma pacificamente applicabile anche in sede (...)postula necessariamente la completa autonomia del fattore causale prossimo rispetto a quello più remoto, esige comunque che il primo non sia strettamente dipendente dall'altro e che si ponga al di fuori di ogni prevedibile linea di sviluppo dello stesso, di talché la mancata eliminazione di una situazione di pericolo (derivante da fatto commissivo od omissivo dell'agente) ad opera di terzi non rappresenta una distinta causa che si innesti nella prima, ma solo una ovvia condizione negativa perché quella continui ad essere efficiente e operante. (Fattispecie in tema di colpevole omissione della corretta diagnosi che, se tempestivamente formulata, avrebbe consentito di salvare la vita del malato) (Cass. Pen. Sez. 1, Sentenza n. 11024 del 10/06/1998). Nello stesso senso, in ambito propriamente civilistico, la S.C. ha affermato che si ha interruzione del nesso di causalità per effetto del comportamento sopravvenuto di altro soggetto (che può identificarsi anche con lo stesso danneggiato) quando il fatto di costui si ponga, ai sensi dell'art. 41, comma secondo, cod. pen., come unica ed esclusiva causa dell'evento di danno, sì da privare dell'efficienza causale e rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell'autore dell'illecito, ma non quando, essendo ancora in atto ed in fase di sviluppo il processo produttivo del danno avviato dal fatto illecito dell'agente, nella situazione di potenzialità dannosa da questi determinata si inserisca una condotta di altro soggetto (ed eventualmente dello stesso danneggiato) che sia preordinata proprio al fine di fronteggiare e, se possibile, di neutralizzare le conseguenze di quell'illecito. In tal caso lo stesso illecito resta unico fatto generatore sia della situazione di pericolo sia del danno derivante dall'adozione di misure difensive o reattive a quella situazione (sempreché rispetto ad essa coerenti ed adeguate). (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18094 del 12/09/2005; n. 11087 del 1993, n. 11386 del 1997, n. 6640 del 1998). Ora, alla luce dei principi sopra riportati e che questo giudice condivide, non è chi non veda come non sia ravvisabile nel caso che occupa alcuna interruzione del nesso causale. In primo luogo, non sussiste prova sufficiente del fatto asseritamente interruttivo allegato dal (...) e dalla compagnia assicuratrice secondo cui la condotta omissiva dei (...) intervenuti rectius il ritardo nell'intervento di sollevamento del veicolo investitore abbia cagionato (o meglio non evitato) il decesso del (...) poiché non è possibile stabilire con sicurezza che il giovane, al momento del sopraggiungere dei (...) fosse ancora vivo. Indubbiamente può affermarsi che egli desse ancora deboli segni di vita al momento in cui si sono avvicinati i primi soccorritori (cfr. deposizioni (...) e (...), ma non si può invece ritenere con certezza che lo stesso non fosse deceduto all'arrivo del primo mezzo dei (...) del (...) (secondo la relazione del capo squadra, come si è visto, il (...) non respirava e non aveva polso). Inoltre, dal rapporto del capo squadra dei (...) emerge che una volta constatato che i cuscinetti di sollevamento non potevano funzionare (per un addotto malfunzionamento della centralina), fu tempestivamente azionata una pinza idraulica che sollevò il veicolo investitore, così raggiungendosi il medesimo risultato ottenibile mediante i cuscini pneumatici, mentre l'intervento del secondo mezzo ((...) sollevamento) fu richiesto solo per maggior sicurezza degli operanti. In secondo luogo, anche a voler ipotizzare che i (...) del (...) avrebbero potuto eseguire un intervento più tempestivo, così impedendo il decesso del (...) per soffocamento, ciò comporterebbe, per il principio dell'equivalenza causale, un concorso di cause efficienti nella determinazione del decesso della vittima e non già una interruzione del nesso causale tra la condotta di guida del (...) e la morte del giovane. Invero, un eventuale (ma come si è detto non provato) ritardo nelle operazioni di soccorso in caso di sinistro stradale non costituisce affatto una serie causale atipica ed eccezionale, ben potendosi prevedere, in base alla migliore scienza ed esperienza, che in caso di incidente molteplici e talora imponderabili siano i fattori che condizionano un tempestivo intervento di soccorso (condizioni del traffico, distanza e raggiungibilità del luogo del sinistro da parte dei mezzi di soccorso, disponibilità di tali mezzi ove non altrimenti impegnati in altre operazioni ecc.). Di tale ovvia constatazione è espressione il principio più volte affermato dalla giurisprudenza e sopra riportato secondo cui quando il processo produttivo del danno avviato dal fatto illecito dell'agente sia ancora in atto ed in fase di sviluppo e nella situazione di potenzialità dannosa da questi determinata si inserisca una condotta di altro soggetto che sia preordinata proprio al fine di fronteggiare e, se possibile, neutralizzare le conseguenze di quell'illecito, lo stesso illecito resta unico fatto generatore sia della situazione di pericolo sia del danno derivante dall'adozione di misure difensive o reattive purché congrue e adeguate a quella situazione. Nella fattispecie non occorre spendere ulteriori parole per rilevare che il sinistro e le conseguenze del medesimo, che hanno condotto il (...) al decesso, sono pienamente riconducibili alla distratta e negligente condotta di guida del (...) che non solo ha investito il motociclista, ma nemmeno si è reso conto di averlo trascinato per diversi metri sotto la propria autovettura prima di fermarsi. Dunque, non solo non sussiste la dedotta interruzione del nesso causale, ma nemmeno è ravvisabile un concorso di cause efficienti (condotta del conducente del veicolo, ritardo nel sollevamento del veicolo da parte dei (...) per i motivi che sopra sono stati illustrati. Per completezza deve anche sottolinearsi come il pur meritorio e lodevole intervento posto in essere dai primi soccorritori non si sia rivelato decisivo per liberare il corpo del (...) atteso che come precisato dai testi escussi in fase istruttoria il cric aveva sollevato il veicolo di soli pochi centimetri (insufficienti per liberare il giovane) e che la successiva proposta di sollevamento manuale non aveva trovato sufficienti adesioni tra i presenti, avendo alcuni temuto che lo stesso potesse cagionare un ulteriore danno alla vittima. 4. risarcimento del danno. Si esaminano qui di seguito le varie voci di danno richieste dagli attori. a) Danno tanatologico o da perdita della vita b) (...) catastrofale Va respinta la domanda di risarcimento del danno biologico derivante dalla perdita della vita della vittima richiesto dagli attori iure hereditatis. Invero la lesione dell'integrità fisica con esito letale (cd. danno tanatologico), intervenuto immediatamente o a breve distanza di tempo dall'evento lesivo, non è configurabile quale danno biologico, dal momento che la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute ma incide sul diverso bene giuridico della vita, la cui perdita, per il definitivo venir meno del soggetto, non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento trasferibile agli eredi, non rilevando in contrario la mancanza di tutela privatistica del diritto alla vita (peraltro protetto con lo strumento della sanzione penale), attesa la funzione non sanzionatoria ma di reintegrazione e riparazione di effettivi pregiudizi svolta dal risarcimento del danno, e la conseguente impossibilità che, con riguardo alla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del suo titolare e da questi fruibile solo in natura, esso operi quando tale persona abbia cessato di esistere (Cass. Sentenza n. 6404 del 1998; n. 8970 del 1998; n. 12083 del 1998; n. 491 del 20/01/1999; n. 3760 del 19/02/2007). Invece, nel caso in cui tra le lesioni e il decesso intercorra un apprezzabile lasso di tempo, è configurabile un danno nel quale sono ricompresi da un lato il danno biologico terminale, consistente in un danno biologico da invalidità temporanea totale, e dall'altro una componente di sofferenza psichica (danno catastrofico o catastrofale) costituita dalla lucida percezione dell'approssimarsi della propria morte, che va liquidato in relazione all'effettiva menomazione dell'integrità psicofisica subita sino al decesso (e quindi con riferimento al periodo di tempo compreso tra il verificarsi dell'illecito e la morte), con commisurazione all'inabilità temporanea da adeguare alle circostanze del caso concreto, tenuto conto del fatto che detto danno, se pure temporaneo, ha raggiunto la massima entità ed intensità, senza possibilità di recupero, atteso l'esito mortale (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18163/2007; n. 22228/2014; n. 23183/2014). Tale diritto del danneggiato a conseguire il risarcimento è trasmissibile agli eredi che potranno agire in giudizio nei confronti del danneggiante "jure hereditatis" (Cass. n. 13066/2004; n. 24/2002; n. 3728/2002; n. 1131/1999). Da ultimo le (...) componendo un precedente contrasto emerso con la sentenza n. 1361 del 23/01/2014 (che aveva riconosciuto la risarcibilità del danno non patrimoniale da perdita della vita anche in caso di morte istantanea o dopo un breve lasso di tempo, a prescindere dalla consapevolezza che la vittima avesse avuto dell'approssimarsi imminente del proprio decesso), hanno ribadito l'indirizzo tradizionale secondo cui in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità "iure hereditatis" di tale pregiudizio, in ragione nel primo caso dell'assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero nel secondo della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo ((...) U, Sentenza n. 15350 del 22/07/2015). In altri termini, sotto il profilo della quantificazione del risarcimento, posto che trattasi di un danno alla salute che, seppur temporaneo, riveste massima intensità (tanto da aver condotto la vittima al decesso in un limitato arco di tempo), non appare ragionevole applicare sic et simpliciter i medesimi criteri tabellari che sono predisposti per la liquidazione del danno biologico o delle invalidità, temporanee o permanenti, di soggetti che sopravvivono all'evento dannoso, essendo invece necessario, in un'ottica di personalizzazione e tenuto conto della maggiore intensità della sofferenza, adottare un criterio equitativo puro. Nel caso di specie si è visto trattando della dinamica del sinistro e delle successive operazioni di soccorso che il (...) nei minuti immediatamente successivi all'urto, ebbe a dare seppur deboli segnali di vita, come riferito dai testimoni (...) e (...) (tra i primi ad intervenire). Si può anche ritenere che nel breve arco temporale tra l'urto con la vettura e il decesso, quantificabile tra i 15 e i 45 minuti (la morte è stata accertata clinicamente alle 20:40 ma secondo i (...) del (...) il (...) non dava segni di vita già al momento del loro intervento, avvenuto intorno alle ore 20:10), vi sia stato qualche minuto in cui il giovane è rimasto cosciente della sua condizione e dell'approssimarsi del decesso, come dimostra il fatto che egli abbia mosso leggermente il piede su sollecitazione del (...) Si può quindi riconoscere agli attori, in qualità di eredi, il risarcimento del danno catastrofale, liquidabile in via equitativa tenuto conto della brevità del periodo intercorrente tra sinistro e decesso, ma anche dell'elevatissima intensità della sofferenza fisica e morale della vittima in euro 50.000,00. Tale somma va ripartita tra gli eredi secondo le norme della successione legittima, non essendo stata dedotta l'esistenza di un titolo testamentario, e quindi in base all'art. 571 c.c. (concorso di genitori con fratelli o sorelle) in euro 25.000,00 in favore di (...) ed euro 12.500,00 per ciascun fratello. c) danno da perdita del rapporto parentale. E' ormai consolidato il riconoscimento del danno non patrimoniale derivante dalla perdita del rapporto parentale in favore dei congiunti di persona che in conseguenza di un fatto illecito abbia subìto gravi lesioni o sia deceduto, costituendo dato di comune esperienza che eventi di siffatta portata incidano sul diritto all'intangibilità della sfera degli affetti e sulla reciproca solidarietà familiare. Quanto ai soggetti legittimati, devono considerarsi senz'altro aventi diritto al risarcimento i componenti della cd. famiglia nucleare (coniuge, figli, genitori, fratelli) mentre avuto riguardo ai parenti meno stretti (nonni, nipoti, zii, cugini, suocero e nuora, cognati), occorre fornire la prova della qualità e intensità del rapporto affettivo e quindi della perdita che la lesione o il decesso hanno comportato in termini di sostegno morale. Trattasi di danno che trova collocazione nella previsione dell'art. 2059 c.c. e che, sfuggendo ad una valutazione economica vera e propria, deve essere liquidato in via equitativa ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c., facendo ricorso ai criteri enucleati nelle tabelle del Tribunale di (...) predisposte per evitare disparità di pronunce all'interno dell'ufficio giudiziario. Non ignora questo giudicante che con sentenza n. 12408/2011 la Suprema Corte ha riconosciuto alle tabelle milanesi la valenza di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni contenute negli artt. 1226 e 2056 c.c., salva la sussistenza in concreto di circostanze idonee a giustificare il ricorso ad un diverso criterio, nell'ottica di assicurare una uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi. Tuttavia, si ritiene che l'esigenza di garantire la parità di trattamento di casi analoghi possa essere del pari soddisfatta attraverso l'utilizzo dei parametri contenuti nella tabella uniformemente utilizzata dal Tribunale di (...) elaborata in relazione alla media dei risarcimenti liquidati in loco, secondo un sistema di risarcimento non standardizzato (come quello milanese, che offre limitati spazi di personalizzazione). (...) parte, non sussiste il diritto del danneggiato a pretendere la liquidazione del danno mediante l'applicazione di una tabella in uso a un determinato ufficio giudiziario piuttosto che in un altro (Cass. n. 1524/2010) e qualora il giudice si discosti dall'applicazione delle tabelle in uso nel proprio ufficio è tenuto a dare ragione della diversa scelta (Cass. n. 13130/2006). Le tabelle romane, nel caso di danno da perdita del rapporto parentale, prevedono un sistema di attribuzione di un punteggio numerico che varia in ragione della presumibile entità del danno, sulla base di cinque parametri di riferimento, ovvero la relazione di parentela con il de cuius (dovendo presumersi che il danno sarà tanto maggiore quanto più stretto è tale rapporto), l'età della vittima e l'età del congiunto (il danno sarà tanto maggiore quanto minore è l'età di vittima e congiunto, siccome il pregiudizio è destinato a protrarsi per un tempo maggiore), l'eventuale convivenza e la composizione del nucleo familiare. Si è dunque ritenuto di fare ricorso ad un sistema di calcolo non fondato su un'entità risarcitoria di base da variare in più o in meno, ma sul modello "a punto", vale a dire attribuendo un certo numero di punti per ciascuno dei parametri di riferimento sopra considerati e moltiplicando il punteggio finale per una somma di denaro (valore del punto) che costituisce il valore ideale di ogni punto di danno non patrimoniale. Per adeguare ulteriormente l'entità risarcitoria alla fattispecie concreta si è inoltre prevista la possibilità di applicare una riduzione (dal 2011 fino alla metà del punteggio complessivo) in caso di assenza di convivenza con la vittima, anche allo scopo di diversificare la posizione dei non conviventi. Il valore a punto (da moltiplicarsi, come si è detto, per un'entità numerica variabile a seconda dei cinque parametri sopra menzionati), è convenzionalmente stabilita in via equitativa, sulla base della media di un campione di decisioni adottate dal Tribunale di (...) nell'importo di euro 9.443,50. Orbene, nel procedere all'esame della fattispecie concreta sottoposta all'esame del Tribunale occorre considerare l'età della vittima (anni 28 al momento del decesso) e di quella dei congiunti ((...) anni 69; (...) anni 44; (...) anni 46), al momento dell'evento. Devesi altresì tener conto della circostanza che, come risulta dalle deposizioni testimoniali di (...) e (...) coniugi dei fratelli della vittima, quest'ultima abitava da solo pur mantenendo stretti rapporti sia con la madre che con i germani. Pertanto, alla luce dei criteri sopra menzionati appare equo liquidare: in favore di (...) la somma complessiva di euro 245.531,00 (Euro 9.443,50 quale valore del punto moltiplicato per 26, ovvero punti 20 per il rapporto di parentela, punti 4 per l'età della vittima, punti 2 per l'età del congiunto superstite); in favore di (...) la somma complessiva di euro 132.209,00 (Euro 9.443,50 quale valore del punto moltiplicato per 14, ovvero punti 7 per il rapporto di parentela, punti 4 per l'età della vittima, punti 3 per l'età del congiunto superstite); in favore di (...) la somma complessiva di euro 132.209,00 (Euro 9.443,50 quale valore del punto moltiplicato per 14, ovvero punti 7 per il rapporto di parentela, punti 4 per l'età della vittima, punti 3 per l'età del congiunto superstite). Occorre altresì precisare che in detto importo, così liquidato, è già ricompreso il danno esistenziale, atteso che le tabelle romane per la liquidazione del danno da morte tengono in considerazione le conseguenze pregiudizievoli di natura esistenziale che discendono dalla perdita del congiunto, sicché il riconoscimento di ulteriori importi darebbe luogo ad una indebita duplicazione risarcitoria. Non sono state dimostrate particolari peculiarità del caso concreto suscettive di richiedere una ulteriore personalizzazione nel risarcimento del danno. d) danno patrimoniale da perdita di futuro contributo economico. (...) chiede inoltre il danno conseguente agli aiuti economici "che sicuramente il figlio le avrebbe assicurato durevolmente e spontaneamente", compreso quello inerente alla promessa di regalarle una casa. In realtà dall'istruttoria di causa non emergono elementi, nemmeno indiziari, che possano far ritenere che il figlio in futuro avrebbe destinato parte dei propri risparmi alla madre. In primo luogo, per la precarietà dei vari lavori che egli saltuariamente svolgeva (molti dei quali allegati ma non provati) e che fanno emergere una situazione economica del medesimo ancora tutta da definirsi, anche in considerazione della giovane età e del campo lavorativo prescelto (spettacolo, doppiaggio). In secondo luogo, perché non è stato provato che già in precedenza il de cuius avesse elargito del denaro o altre prestazioni in favore della madre (la quale presta attività lavorativa e convive con altro uomo, come indicato nell'atto introduttivo del giudizio). La domanda sotto tale profilo deve quindi essere disattesa. e) danno psichico iure proprio di (...) la relazione peritale svolta in fase istruttoria, adeguatamente motivata e priva di errori o vizi logici e che quindi si condivide pienamente, la sig.ra (...) ha sviluppato una sindrome depressiva con sicure caratteristiche di consistenza e di persistenza a causa dell'esperienza di lutto sofferta a seguito della prematura scomparsa del figlio (...) presentando dunque una sindrome depressiva cronica che per caratteristiche ed entità costituisce stabile menomazione della integrità psicofisica riconducibile ad un danno biologico parziale permanente del 15% (quindici per cento). Sempre applicando le tabelle romane predisposte per la liquidazione del danno biologico, tenuto conto dell'età della (...) all'epoca in cui presumibilmente la patologia ha avuto origine e quindi con riferimento all'epoca del decesso del figlio (anni 69), nonché considerando il grado di invalidità permanente (15%), si giunge alla liquidazione dell'importo, ai valori attuali, di euro 24.347,29. f) riepilogo degli importi dovuti. Riassuntivamente avremo quindi i seguenti importi risarcitori: (...) la somma complessiva di euro 295.062,29 (245.531,00 + 24.531,29 + 25.000,00); (...) la somma complessiva di euro 144.709,00 (132.209,00 + 12.500,00); (...) la somma complessiva di euro 144.709,00 (132.209,00 + 12.500,00). Gli importi così liquidati non superano il massimale di polizza, sicché non si pone un problema di riduzione del risarcimento e ripartizione del massimale tra gli aventi diritto. g) detrazione degli acconti ricevuti e liquidazione finale. Costituisce dato pacifico che la compagnia ha già corrisposto in data 30 ottobre 2012 euro 200.000,00 in favore di (...) ed euro 63.000,00 per ciascun fratello della vittima, somme da costoro trattenute a titolo di acconto sul maggior avere. La Suprema Corte (Cass. n. 1163 del 5.2.1998) ha stabilito che in materia di risarcimento del danno da illecito civile, qualora il responsabile (od il suo assicuratore), nelle more tra l'illecito e la definizione del giudizio di risarcimento, corrisponda al danneggiato un acconto sul risarcimento dovuto, il giudice deve: a) o sottrarre l'acconto dall'ammontare del risarcimento calcolato con riferimento al momento del sinistro, e quindi rivalutare la differenza; b) oppure rivalutare l'acconto già pagato e sottrarlo dall'ammontare del risarcimento liquidato in moneta attuale (Cass. n. 1163/98). Più di recente, confermandosi tale orientamento, si è precisato che "qualora, prima della liquidazione definitiva del danno da fatto illecito, il responsabile versi un acconto al danneggiato, tale pagamento va sottratto dal credito risarcitorio attraverso un'operazione che consiste, preliminarmente, nel rendere omogenei entrambi (devalutandoli, alla data dell'illecito ovvero rivalutandoli alla data della liquidazione), per poi detrarre l'acconto dal credito e, infine, calcolando, gli interessi compensativi finalizzati a risarcire il danno da ritardato adempimento sull'intero capitale, per il periodo che va dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto, solo sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto rivalutato, per il periodo che va dal suo pagamento fino alla liquidazione definitiva" (Cass. n. 6347 del 19/03/2014). Ciò posto, rivalutando l'acconto di Euro 200.000,00 corrisposto alla (...) all'attualità si ottiene l'importo di Euro 203.200,00 mentre rivalutando quello corrisposto a ciascuno dei fratelli del de cuius si ottiene l'importo di euro 64.008,00. Tali importi vanno dunque detratti alle somme sopra indicate a titolo di liquidazione del danno, pervenendosi infine all'importo da liquidarsi, sempre ai valori attuali, in Euro 91.862,29 per la (...) e di euro 80.701,00 per ciascun germano. Per quanto concerne gli interessi dovuti per il ritardo nel pagamento (ovvero per il lucro cessante conseguente al mancato godimento della somma dalla data del fatto illecito alla liquidazione del danno), escludendosi la possibilità di porre a base del calcolo la somma già rivalutata all'attualità, occorre procedere come segue: a) gli interessi vanno computati sulla sorte capitale come sopra liquidata e svalutata all'epoca del fatto illecito, quindi rivalutata anno per anno secondo gli indici (...) b) il tasso di interesse da applicare (non sussistendo elementi che consentano di presumere un impiego maggiormente remunerativo delle somme in questione) è pari al rendimento medio degli interessi legali per il periodo di indisponibilità della somma; c) gli interessi vanno calcolati sull'intero capitale per il periodo intercorrente tra la data del fatto al pagamento dell'acconto e quindi solo sulla somma residua dopo detratto l'acconto per il periodo successivo fino alla liquidazione definitiva. Poiché l'entità risarcitoria, una volta liquidata, assume natura di debito di valuta, dalla data della pubblicazione della presente sentenza a quella dell'effettivo pagamento decorrono gli interessi legali sulla somma complessiva come sopra liquidata. Le spese di giudizio sostenute dagli attori vanno poste a carico dei convenuti (...) dei (...) s.r.l. e della (...) in ossequio al principio di soccombenza, mentre appare opportuno disporne l'integrale compensazione tra le parti quanto ai rapporti con il (...) stante l'oggettiva complessità delle questioni affrontate. Le spese di CTU vanno poste definitivamente a carico dei convenuti (...) dei (...) s.r.l. e (...)". Par. 2.1 Con l'atto di appello (...) in proprio e quali eredi di (...) hanno formulato le seguenti conclusioni: " Piaccia all'(...)ma Corte di Appello di (...) ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, confermate le parti della sentenza impugnata non censurate, accogliere per tutti i motivi dedotti in narrativa l'appello proposto e, per l'effetto, in parziale riforma nei punti indicati nella parte motiva della sentenza n. (...)/2017, emessa dal Tribunale di (...) all'esito del giudizio r.g. n. 20990/2014, pubblicata il (...) e non notificata, accogliere le conclusioni avanzate in prime cure all'udienza di precisazione delle conclusioni del 20.7.2017, che si riportano: in via istruttoria, per l'ammissione di tutte le richieste istruttorie di cui al verbale di udienza del 21.10.2015; nel merito, chiedendo l'applicazione delle (...) di liquidazione del danno del Tribunale di Milano: ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, accertata e dichiarata la esclusiva responsabilità del sig. (...) conducente l'autovettura di proprietà dell'(...) dei (...) S.r.l., nel verificarsi del sinistro che ha provocato in data 19 luglio 2011 la morte di (...) condannare i convenuti in solido, e con riferimento all'(...) S.p.a. Div. RAS anche ultra massimale, all'integrale risarcimento agli attori di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali da costoro subiti in seguito ai fatti di causa, sia iure proprio che iure hereditatis ivi compresi i danni per la perdita delle chances evidenziate nell'atto introduttivo , sotto tutti gli aspetti risarcibili, nella misura che sarà accertata e quantificata in corso di causa e comunque nella misura ritenuta di giustizia in esito agli accertamenti istruttori; per l'ipotesi che venga accertato che il sinistro non è causa unica o esclusiva della morte di (...) e che la stessa sia attribuibile in tutto o in parte alla responsabilità del (...) chiamato in causa, condannare lo stesso (...) in solido con i convenuti, all'integrale risarcimento agli attori di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali da costoro subiti in seguito ai fatti di causa, sia iure proprio che iure hereditatis ivi compresi i danni per la perdita delle chances evidenziate nell'atto introduttivo , sotto tutti gli aspetti risarcibili, nella misura che sarà accertata e quantificata in corso di causa e comunque nella misura ritenuta di giustizia in esito agli accertamenti istruttori; in ogni caso, oltre a tutti i danni da quantificarsi utilizzando il valore dei beni perduti al momento del fatto illecito espresso poi in termini monetari tenendo conto della svalutazione intervenuta al momento dell'emissione della sentenza definitiva , condannare in solido i convenuti e il terzo chiamato in causa al pagamento degli interessi compensativi del mancato godimento della somma liquidata, interessi da calcolarsi, secondo i principi della richiamata sentenza n.21396/2014 Cass., nella misura scelta in via equitativa dal Giudice e da applicarsi sulla semisomma tra il credito rivalutato alla data della liquidazione e il credito espresso in moneta dell'epoca dell'illecito, ovvero da calcolarsi nella diversa somma ritenuta di giustizia, a decorrere dalla data in cui si sono verificati i danni a quella di liquidazione, oltre interessi legali sull'intera somma così liquidata dalla data di liquidazione al saldo. In ogni caso, con vittoria dei compensi e delle spese di causa, ivi comprese quelle di CTU e di (...) Con vittoria dei compensi e delle spese anche del presente grado di giudizio". Par. 2.2 (...) s.p.a., costituitasi con comparsa di risposta depositata il (...), ha resistito all'impugnazione e ha chiesto il rigetto dell'appello. Ha inoltre proposto appello incidentale formulando le seguenti conclusioni: "1) disattesa ogni contraria istanza: 2) in via principale e nel merito: rigettare l'appello come proposto siccome infondato in fatto ed in diritto oltre che non provato; 3) in accoglimento dell'appello incidentale qui svolto da (...) accertare e dichiarare il concorrente contributo causale nella determinazione dell'e(...)itus da parte degli agenti del (...) dell'(...) ((...) e (...) del (...), con determinazione della rispettiva quota di responsabilità e, conseguentemente, condannare il (...) in persona del ministro pro tempore: al risarcimento del danno per quanto di responsabilità dei suoi dipendenti (in ciò tenendo conto del grado di colpa che sarà affermato); a manlevare i convenuti per il loro, residuo grado responsabilità; al conseguente versamento in favore di (...) pro quota, delle somme che saranno ritenute dovute in considerazione dell'accertato concorso di colpa, tenendo conto che la deducente ha già provveduto al pagamento, in favore degli appellanti, della complessiva somma di euro 631.833,00 (di cui euro 326.000,00 ante causam, ed euro 305.833,07 post sentenza di prime cure); ovvero, in via alternativa, con condanna degli appellanti alla restituzione delle somme percepite in eccesso rispetto a quanto risulterà provato e dovuto in considerazione del richiamato concorso di colpa; 4) con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio, oltre accessori di legge". Par. 2.3 (...) dei (...) s.r.l., costituitasi con comparsa di risposta depositata il (...), ha formulato le seguenti conclusioni: "in rito in via principale, accertare e dichiarare che l'avverso atto di appello è privo dei requisiti di forma previsti e richiesti a pena di inammissibilità dell'art. 342 c.p.c. e per l'effetto dichiararne la inammissibilità; con vittoria di spese e compenso professionale; in rito in via subordinata, ove non fosse accolta la eccezione che precede, accertare e dichiarare che l'avverso atto di appello è privo di una ragionevole probabilità di essere accolto e(...) art. 348 bis c.p.c. e per l'effetto dichiararne la inammissibilità; con vittoria di spese e compenso professionale; nel merito, accertare e dichiarare la infondatezza dei motivi di appello proposti dagli odierni appellanti, (...) ed (...) ed (...) e per l'effetto respingere in toto l'avverso atto di appello e di gravame; con vittoria di spese e compenso professionale. (...) l'obbligo di manleva della compagnia (...) s.p.a. nei riguardi della odierna comparente e con riguardo a qualsiasi somma che a qualsiasi titolo quest'ultima fosse condannata ad esborsare in relazione al giudizio de quo". Par. 2.4 (...) dell'(...) (...) dei (...) del (...) del (...) e della Difesa Civile e (...) dei (...) del (...) di (...) costituitosi con comparsa di risposta depositata il (...), ha resistito all'impugnazione e ha chiesto il rigetto dell'appello formulando le seguenti conclusioni: " Voglia Codesta Corte di Appello: dichiarare l'inammissibilità dell'appello principale proposto dai (...)ri (...) e (...) e (...) e dell'appello incidentale proposto dalla (...) in subordine, rigettare, perché infondati, l'appello principale proposto dai (...)ri (...) e (...) e l'appello incidentale proposto dalla (...) Con vittoria delle spese di lite". Par. 2.5 All'udienza del 25/09/2018 è stata dichiarata l'interruzione del processo per l'intervenuto decesso di (...) Par. 2.6 Con ricorso e(...) art. 303 c.p.c. (...) in proprio e quali eredi di (...) hanno riassunto il giudizio, notificando detto ricorso ed il pedissequo decreto di fissazione dell'udienza anche impersonalmente agli eredi del (...) che non si sono costituiti in giudizio. Par. 2.7 All'odierna udienza i difensori delle parti hanno precisato le conclusioni, riportandosi ai rispettivi scritti, e hanno discusso oralmente la causa. Par. 3.1 Con il primo motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando "omessa pronuncia sui danni da perdita di chance per (...) e per (...)". In particolare, quanto alla vittima, si deduce che si sarebbe trovato in un momento particolarmente propizio della sua carriera, caratterizzato da importante crescita professionale; per lui, dunque, si sarebbero avverati i presupposti per ottenere i risultati professionali da tempo attesi, impediti dalla condotta illecita che lo ha portato alla morte. Così come quest'ultima condotta avrebbe comportato la perdita delle chance di sopravvivenza, atteso il mancato approntamento di strumenti immediati ed idonei per salvarlo. Quanto alla madre della vittima ci si duole della perdita, a seguito del decesso del figlio, di concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire nel prossimo futuro consistenti apporti economici da costui. La censura è infondata. La risarcibilità del danno da perdita di chance richiede, come noto, i consueti presupposti di serietà, apprezzabilità, concretezza e certa riferibilità eziologica della suddetta perdita alla condotta in rilievo. Orbene, il consulente tecnico del P.M. ha precisato che il decesso di (...) non è stato causalmente riconducibile all'urto patito, che non ebbe a determinare lesività fisiche ai fini del determinismo della morte; bensì da insufficienza respiratoria acuta da compressione del torace causata dalla autovettura guidata dal (...) che, investitolo, lo aveva bloccato sotto di sé; ciò posto deducono gli appellanti principali che la vittima avrebbe certamente potuto salvarsi se i soccorsi non fossero arrivati in ritardo e se, una volta giunti, non si fossero presentati con le bombole del gas per azionare i gonfiabili scariche, sicché il sollevamento della autovettura investitrice, con conseguente liberazione del corpo della vittima, sarebbe avvenuto troppo tardi, con l'arrivo del secondo mezzo dei vigili del fuoco, quando il (...) bloccato ormai da tempo in stato di respirazione fortemente dispnoica, era infine ormai deceduto. Invero, alcun ritardo o negligenza appare addebitabile ai soccorsi, atteso che, come risulta dal rapporto di intervento n. 26292/1 del 19 luglio 2011, i vigili del fuoco, chiamati alle 20,05 e partiti alle 20,06, giunsero sul luogo del sinistro, distante 7 Km, alle ore 20,11 e procedettero immediatamente a sollevare l'autovettura mediante l'uso di un martinetto idraulico manuale. Premesso che tale rapporto già di per sé integra gli estremi dell'atto pubblico, condividendone pertanto l'efficacia probatoria privilegiata (cfr. Cass. sez. III, n. 13223 del 27 giugno 2016; Cass. civ., sez. III, n. 8999 del 6 maggio 2015), la tempestività dell'intervento e la sua efficacia è comunque confermata dalla relazione conclusiva delle indagini di polizia giudiziaria eseguite dalla (...) prot. n. 3249 del 18 gennaio 2012. In essa, infatti, si precisa, nel paragrafo rubricato "(...) esperiti in sede di sopralluogo", che la prima squadra dei vigili del fuoco arrivò, per l'appunto, "verso le ore 20,10" e che fu essa "a sollevare l'autovettura con apposita attrezzatura". Quanto alla lamentata perdita di chance di carriera, in tal caso, piuttosto che il difetto di riferibilità eziologica, appare rilevante l'assenza dei presupposti di serietà, apprezzabilità e concretezza. Infatti, la carriera di doppiatore di (...) era appena cominciata da due anni, sicché nonostante i lusinghieri commenti rilasciati dai colleghi con dichiarazioni scritte versate in atti (doc. 16 24 fascicolo attoreo), essa appariva ancora del tutto in nuce, come comprovato dalle dichiarazioni dei redditi, le quali se pur migliori rispetto agli anni passati, erano comunque contenute, evidenziando introiti di poco superiori ai 20.000,00 euro annui (doc. 12 fascicolo attoreo). Del resto nelle suddette dichiarazioni scritte dei colleghi, al di là di generiche affermazioni al riguardo, non si specificano quali sarebbero state le attività di doppiatore effettivamente in corso in quel momento o che comunque la vittima si sarebbe accinta a compiere; a riprova che, per quanto talentuoso, il suo lavoro era ancora saltuario. Sicché prendere a parametro i guadagni di professionisti già affermati nel campo (v. doc. 43, 44 e 45 fascicolo attoreo) appare incongruo, ed asserire che la vittima avesse "davanti una vita non comune, con il successo alle porte" risulta eccessivo. Dal rigetto della asserita perdita di chance di carriera per (...) deriva di riflesso anche quella della asserita perdita di chance economiche della madre (...) atteso che quest'ultima chance secondo la stessa prospettazione degli appellanti principali non sarebbe stata altro che la conseguenza della prima. Tanto più che non vi è prova che il defunto aiutasse la madre, la quale aveva comunque una vita autonoma ed un compagno. Par. 3.2 Con il secondo motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando la carente personalizzazione del danno non patrimoniale, atteso che il giudice di prime cure non avrebbe adeguatamente valorizzato la peculiarità del caso concreto. La censura, per come formulata, è infondata (...) al riguardo gli appellanti principali che "avere del tutto trascurato l'esame delle circostanze che sostanziano i danni per le perdite di chance" renderebbe evidente che non sarebbero state "considerate tutte le eccezionali circostanze del caso concreto e che non sia stata quindi valutata l'effettiva consistenza di tutti i danni subiti dagli attori". In particolare, si deduce che "non solo della morte di un ragazzo di 28 anni in ottima salute si tratta, ma di questa morte, in questo modo e in questo momento della sua vita anche professionale. E proprio queste peculiarità hanno reso enormi le sue sofferenze e insuperabili le sofferenze di chi lo ha amato". Orbene, appare evidente che l'asserito difetto di personalizzazione del danno non patrimoniale non può essere trattato autonomamente, pena una indebita duplicazione delle voci risarcitorie, ma che dovrà essere affrontato, piuttosto, nella disamina dei diversi aspetti di tale danno riconosciuti dal giudice di prime cure, ossia il c.d. danno catastrofale, il danno da perdita di rapporto parentale ed, infine il danno psichico, su cui gli appellanti principali hanno formulato specifici motivi di doglianza lamentando la loro liquidazione, ritenuta, per l'appunto, del tutto riduttiva. Par. 3.3 Con il terzo motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando "il mancato riconoscimento del danno da perdita della vita". Si deduce al riguardo che l'irrisarcibilità del danno da perdita della vita immediatamente conseguente come nel presente caso alle lesioni di un fatto illecito appare superato dal dibattito dottrinario, nel quale: sono state considerate interne al sistema anche la funzione sanzionatoria e di deterrenza della responsabilità civile; è stato considerato che comunque nel rispetto della funzione compensativa del risarcimento del danno da perdita della vita, tale diritto accrescerebbe il patrimonio ereditario della vittima; è stato considerato che la lesione mortale interviene quando la vittima è in vita e può quindi soffrire il danno ingiusto provocatole da tale lesione, il cui processo causale si concluderebbe proprio con la morte; è stato considerato che nell'illecito che abbia provocato il decesso verrebbe menomata una capacità dell'individuo, ossia la sua attitudine alla sopravvivenza e, così configurato il pregiudizio per la lesione del diritto alla vita, si rimarrebbe nella dimensione tipica del danno conseguenza. La censura è infondata. Come noto, a seguito della morte sopraggiunta dopo lesioni personali e da esse provocata, la vittima può acquisire un diritto al risarcimento del danno da perdita di vita (rectius, danno biologico terminale), trasmissibile agli eredi, soltanto se sia sopravvissuta per un tempo apprezzabile, anche se incosciente. E ciò perché in tal caso si risarcisce la oggettiva forzosa rinuncia alle attività quotidiane durante il periodo della invalidità. Sicché per un verso quel che rileva è la perdita in sé, e non anche la consapevolezza di essa; e per l'altro è necessario che la vita, sia pur menomata, prosegua quel tanto da determinare che la lesione si possa riflettere in una concreta perdita delle attività realizzatrici dell'individuo nel suo ambiente di vita. In particolare, la durata apprezzabile minima della sopravvivenza è ritenuta essere 24 ore, atteso che per risalente convenzione medicolegale il danno alla salute da invalidità temporanea si apprezza in giorni e non in frazioni di esso; infatti, sarebbe un esercizio meramente teorico pretendere di dare un peso monetario alle attività di cui la vittima è stata privata durante un periodo di sopravvivenza protrattosi per poche ore o per pochi minuti (in particolare, v. Cass. civ., sez. III, ord. n. 18056 del 5 luglio 2019; da ultimo, Cass. civ., sez. III, ord. 1627 dell'8 giugno 2023). Pertanto, atteso che nel presente caso la sopravvivenza della vittima si è protratta per pochi minuti (sul punto v. amplius il seguente paragrafo Par. 3.4), non può ritenersi integrato l'invocato danno "da perdita della vita". Par. 3.4 Con il quarto motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando una inadeguata quantificazione del c.d. danno morale catastrofale, atteso che il primo giudice avrebbe sia sottostimato l'intensità della lucida agonia, che, per un soggetto che soffriva da anni dell'emergere di angosce ipocondriache innescate talvolta da ansia somatizzata con difficoltà respiratorie, sarebbe stata, per le modalità del fatto, "la massima (...) concepibile"; sia sottostimato il periodo di lucida agonia, atteso che a fronte di un incidente verificatosi poco prima delle ore 20.00 l'unico dato sicuro è che la morte è stata ufficialmente constatata soltanto alle ore 20.40. La censura è infondata. Nella relazione prot. n. (...) del 20 novembre 2014 redatta da (...) responsabile della squadra dei vigili del fuoco che operò l'intervento di soccorso, ritualmente prodotta dall'Avvocatura dello Stato, è precisato che all'arrivo la vittima, che si trovava incastrata sotto la vettura, non presentava " alcun segno vitale quale respirazione e polso carotideo". E' ben vero che trattasi di relazione redatta a chiarimenti a processo in corso e dopo oltre tre anni dallo svolgimento dei fatti, sicché ad essa non può attribuirsi la forza probatoria privilegiata del verbale di intervento, ove tale specificazione non era contenuta. Tuttavia, premesso che il suddetto verbale è costituito da un formulario standard che non appare consentire una siffatta specificazione (sicché tale assenza non è di per sé incompatibile con la veridicità delle successive dichiarazioni scritte), deve essere evidenziato che in effetti già poco prima dell'intervento dei vigili del fuoco un passante presente sul posto non aveva più rinvenuto segni vitali sul (...) (v. sommarie informazioni testimoniali rese e(...) art. 351 c.p.p. da (...) "mi sono preoccupato di fare qualcosa per la persona sotto la macchina, che, nonostante gli parlassi, non dava segni di vita"). Ciò rende plausibile ritenere che i segni di vita percepiti dai privati cittadini per primi intervenuti, ed in particolare da (...) (v. s.i.t. del 4 ottobre 2011) e da (...) (v. s.i.t. del 29 settembre 2011), siano da circoscrivere ai momenti immediatamente successivi al sinistro, verificatosi qualche minuto prima delle 20.00; e che in poco tempo, e comunque prima dell'arrivo dei vigili del fuoco alle 20.11, fossero già scomparsi come riferito dal (...) così corroborando la dichiarazione scritta del capo squadra dei soccorritori. Peraltro, premesso che la data formale di constatazione della morte non coincide necessariamente con il momento effettivo della stessa tanto più nel presente caso ove è circostanza pacifica in atti che l'autoambulanza con il personale medico giunse sul posto soltanto successivamente alle 20.30 , deve altresì essere evidenziato che tra coloro che percepirono segni di vita del (...) fu soltanto il (...) ad aver ottenuto una risposta cosciente della vittima ("avvicinandomi a lui lo sollecitavo a muovere un piede, cosa che faceva, anche se in maniera lieve"); ma già il (...) non percepì risposte del genere ("il predetto, però, non rispondeva alle mie domande"). In conclusione, appare ragionevole desumere, sulla scorta delle circostanze suddette, che la sopravvivenza si sia protratta al massimo poco più di 10 minuti, ossia tra qualche minuto prima delle 20.00 e l'arrivo dei vigili del fuoco verso le 20.10; e che durante questo lasso temporale la vittima ha manifestato segni di coscienza assai labili. Pertanto, pur sussistendo gli estremi per il riconoscimento del danno morale catastrofale, la liquidazione del primo giudice pari ad Euro 50.000,00 appare congrua rispetto al tempo minimo di sopravvivenza ed alla limitata caratterizzazione dei segni di coscienza e consapevolezza. Par. 3.5 Con il quinto motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza per una riduttiva liquidazione del danno da perdita di rapporto parentale, sia per una sua inadeguata personalizzazione, conseguenza della mancata ammissione delle prove testimoniali richieste; sia per l'utilizzazione delle tabelle previste dal Tribunale di (...) anziché di quelle del Tribunale di Milano. La censura è infondata. Quanto alla mancata ammissione delle prove testimoniali, che avrebbe impedito, fra l'altro, di far emergere le eccezionali conseguenze subite dagli attori/odierni appellanti principali, si rinvia al successivo paragrafo Par. 3.8, ove si tratta lo specifico motivo di doglianza. Quanto all'uso delle tabelle del Tribunale di (...) si osserva che in merito al criterio equitativo da utilizzarsi per la liquidazione del danno non patrimoniale da perdita di rapporto parentale, la S.C. ha affermato il seguente consolidato principio di diritto: "al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre l'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella" (Cass. civ., sez. III, n. 10579 del 21 aprile 2021). Orbene, al tempo della decisione impugnata (e fino al giugno 2022) le tabelle del Tribunale di Milano per il danno da perdita di relazione parentale non seguivano ancora il meccanismo del punto variabile, bensì quello a forbice; e pertanto all'epoca della aestimatio dei danni in questione erano maggiormente conformi al predetto principio di diritto le (...) del Tribunale di (...) la cui applicazione nel caso specifico, pertanto, non è in alcun modo censurabile (Cass. civ., sez. III, n. 11689 dell'11 aprile 2022). Par. 3.6 Con il sesto motivo di impugnazione, l'appellante principale (...) censura la gravata sentenza per l'omesso riconoscimento in suo favore del danno patrimoniale futuro da perdita del contributo economico che le avrebbe garantito il figlio (...) Al riguardo ci si duole della mancata ammissione delle prove testimoniali volte a dimostrare l'esistenza tra madre e figlio di un ménage familiare di reciproco scambio e sostegno nonché il momento particolarmente propizio per la carriera della vittima e le connesse importanti possibilità anche economiche, peraltro avendo il primo giudice erroneamente omesso di valorizzare le prove documentali già presenti e rilevanti in tal senso. La censura è infondata. Quanto alla mancata ammissione delle prove orali, si rinvia al prossimo Par. 3.8, specifico sul punto. Relativamente alle prove documentali che sarebbero state ingiustamente disattese, invero gli appellanti principali richiamano quelle già invocate in materia di danno da asserita perdita di chance di cui al primo motivo di appello, la cui limitata valenza euristica invero è già stata vagliata nella seconda parte del precedente Par. 3.1., a cui anche in tal caso si rinvia. Par. 3.7 Con il settimo motivo di impugnazione, l'appellante principale (...) censura la gravata sentenza, lamentando, a seguito di un acritico recepimento da parte del primo giudice delle conclusioni del (...) una riduttiva liquidazione del danno psichico, atteso che l'ausiliario del giudice non avrebbe tenuto in alcun conto dei risvolti pregiudizievoli di carattere esistenziale. La censura è infondata. Il danno psichico è quella forma di danno biologico che consiste in una alterazione delle funzioni psichiche accertabile mediante criteri medicolegali. Ciò posto, come qualsiasi danno biologico esso è rilevante soltanto se implica una riduzione delle potenzialità realizzatrici della persona, sia rispetto al suo ambiente di vita che ai rapporti interpersonali; infatti, sono proprio tali conseguenze pregiudizievoli il necessario presupposto per la risarcibilità dell'evento lesivo della salute. Ne consegue che la liquidazione secondo il valore monetario base, espressione di una valutazione media uniforme, già ingloba quelle conseguenze negative sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamicorelazionali della vita del danneggiato che secondo l'id quod plerumque accidit sono da ritenersi normali ed indefettibili, ossia quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire (Cass. civ., sez. III, n. 8127 del 23 aprile 2020). Ai fini dell'aumento per la personalizzazione, la vittima avrebbe dovuto dimostrare, dunque, di aver subito conseguenze anomale o del tutto peculiari, eccedenti tale ordinarietà (cfr. Cass. civ., sez. VI 3, ord. n. 5865 del 4 marzo 2021). In tal senso l'appellante principale rinvia alla (...) ove viene evidenziato che insieme alla sindrome depressiva scaturita dall'incapacità di elaborazione del lutto coesistono "spunti ansiosi e ossessivi", tali da determinare "importanti risvolti negativi (...) non solo come sofferenza individuale, ma anche come sofferenza sociale". Tuttavia, trattasi di aspetto che il CTU non ha omesso di valutare ("il contenuto sintomatologico è di tipo prevalentemente depressivo con qualche spunto di tipo ansioso ed ossessivo, come non infrequente in siffatti profili psicopatologici"), e che, pertanto, deve ritenersi essere già stato preso in considerazione dal medesimo ai fini della quantificazione, a monte, dello stesso grado di invalidità nella misura del 15%. Par. 3.8 Con l'ottavo motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando la mancata ammissione di prove testimoniali da ritenersi invece rilevanti per dimostrare compiutamente, anche in termini di personalizzazione, tutte le componenti dei danni patrimoniale e non patrimoniale per cui essi hanno agito in giudizio. La censura è infondata. Nell'atto di appello, al riguardo, si insta "per l'ammissione di tutte le richieste istruttorie di cui al verbale di udienza del 21.10.2015". Orbene, le richieste di prove orali, articolate con mero rinvio alle circostanze così come capitolate negli atti di causa e non specificamente riprodotte in questa sede (...)possono essere accolte, atteso che "In osservanza del principio di specificità dei motivi di appello, anche la riproposizione delle istanze istruttorie, non accolte dal giudice di primo grado, deve essere specifica, sicché è inammissibile il mero rinvio agli atti del giudizio di primo grado" (Cass. civ., sez. III, ord. n. 16420 del 9 giugno 2023). Par. 3.9 Con il nono motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando una omessa pronuncia sulla richiesta di condanna ultramassimale della compagnia assicuratrice per asserita mala gestio impropria. La censura è inammissibile; infatti, in ragione del rigetto dei precedenti motivi di gravame, l'entità risarcitoria riconosciuta è ampiamente contenuta nel massimale assicurato, sicché ne consegue la sopravvenuta carenza di interesse ad impugnare in parte qua. Par. 3.10 Con il decimo motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando il mancato riconoscimento di alcune spese, quantificate complessivamente in Euro 7.750,67. In particolare, il dettaglio delle somme richieste è contenuto nelle note difensive conclusionali autorizzate, depositate il 7 gennaio 2022, di seguito ritrascritto: "Euro 3.500,67 per spese funebri (fattura n. 443 del 20.08.2011 doc. 36 fascicolo di primo grado): Euro 2.420,00 per spese del (...) (fattura n. 19 del 20.1.2016 doc. 35 fascicolo di primo grado); Euro 610,00 per anticipo spese al (...) (fattura n. 19 del 20.1.2016 doc. 56 fascicolo di primo grado); Euro 1.220,00 per spese del (...) (fattura n. 31 dell'1.3.2016 doc. 55 fascicolo di primo grado)". La censura è infondata. Orbene, come risulta dal suddetto dettaglio, trattasi di fatture, le quali non comprovano anche l'effettivo esborso. Invero, con specifico riferimento alle (...) la S.C. ha statuito che "la condanna del soccombente alle spese di consulenza tecnica di parte sopportate dalla controparte non presuppone la prova dell'avvenuto pagamento, ma presuppone, comunque, la prova dell'effettività delle stesse, ossia che la parte vittoriosa abbia quantomeno assunto la relativa obbligazione" (Cass. civ., sez. I, n. 4357 del 25 marzo 2003). Al riguardo occorre allora ulteriormente precisare che la fattura n. 91 del 21 maggio 2012 non può essere rimborsata, attenendo non al presente procedimento civile, bensì al procedimento penale nei confronti del (...) Mentre le spese di cui alla fattura n. 31 del 1° marzo 2016, che attengono al presente procedimento, sono state comunque liquidate dal primo giudice, anche se in maniera ridotta (Euro 600,00 anziché Euro 1.226,00), ma ciò in base all'esercizio di un potere del tutto legittimo del giudicante, che è quello di verificare la congruità dell'importo (cfr. Cass. civ., sez. III, n. 3380 del 20 febbraio 2015). Par. 3.11 Con l'undicesimo motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando una liquidazione eccessivamente ridotta delle spese di lite, che sarebbero inferiori ai minimi tabellari. La censura è infondata. Tenuto conto del decisum, ossia Euro 91.862,29 in favore di (...) ed Euro 80.701,00 ciascuno in favore di (...) e (...) oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, doveva applicarsi il sesto scaglione (superiore ad Euro 260.000,00); secondo le tabelle del D.M. n. 55/2014, all'epoca non ancora aggiornate, i minimi ammontavano ad Euro 12.678,00. Conseguentemente, pur computando l'aumento, comunque non obbligatorio ("il compenso unico può di regola essere aumentato"), del 20% per ogni soggetto ulteriore al primo avente la medesima posizione processuale (art. 4, comma 2, D.M. cit.), il compenso finale di Euro 18.000,00 riconosciuto dal primo giudice, anche se per poco, non è inferiore ai predetti minimi comprensivi di siffatto aumento. Laddove tale quantificazione appare congrua tenuto conto, per un verso, della notevole divergenza tra quanto richiesto (Euro 2.600.000,00) ed il decisum e, per l'altro, della circoscritta entità del superamento del precedente quinto scaglione. Par. 4 Con unico motivo di impugnazione, l'appellante incidentale (...) s.p.a. censura la gravata sentenza nella parte in cui non ha riconosciuto "la corresponsabilità del (...) per il fatto e la colpa, anche omissiva, dei propri dipendenti, nella causazione del decesso di (...) e/o nell'aggravamento delle sue conseguenze". Preliminarmente debbono essere rigettate le eccezioni di inammissibilità formulate dall'Avvocatura di Stato. Quanto alla prima, ossia al non essere stato l'appello incidentale notificato al (...) dell'(...) devesi evidenziare che dal verbale della prima udienza del 26 settembre 2018 non risulta alcuna declaratoria di contumacia di tale ente, bensì esclusivamente la pronuncia di sospensione del giudizio per sopravvenuta comunicazione del decesso della parte (...) mentre nella successiva udienza del 25 giugno 2019 il (...) risulta regolarmente costituito. Tanto più che nella comparsa di costituzione l'Avvocatura dello Stato ha comunque ampiamente preso posizione contro tale gravame, sicché qualsivoglia eventuale irregolarità deve comunque ritenersi sanata per raggiungimento dello scopo e(...) art. 156 c.p.c. Quanto alla seconda eccezione, anche se il primo giudice nell'escludere il concorso causale dell'(...) ha pronunciato su domanda proposta da soggetti diversi dalla (...) s.p.a., la legittimazione di quest'ultima ad impugnare la sentenza di primo grado in parte qua deriva dalla circostanza che essa potrebbe subire un aggravamento della propria responsabilità indennitaria dall'accoglimento dell'appello principale (cfr. Cass. civ., sez. III, ord. n. 10477 del 17 aprile 2024). Tanto premesso in rito, nel merito la censura è infondata. Al riguardo può rinviarsi a quanto già argomentato nella prima parte del Par. 3.1 sulla assenza in capo alla vittima del danno da asserita perdita della chance di sopravvivenza. Par. 5 In conclusione, debbono essere rigettati tanto l'appello principale quanto l'appello incidentale. Par. 6 Le spese di lite del grado vanno integralmente compensate tra le parti, in ragione della generale complessità degli accertamenti oggetto di causa. Ai sensi dell'art. 13, comma 1quater, d.P.R. n. 115/2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte degli appellanti principali e dell'appellante incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le rispettive impugnazioni integralmente rigettata, a norma del comma 1bis, medesimo art. 13. P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando sull'appello principale proposto da (...) e (...) nonché sull'appello incidentale proposto da (...) s.p.a., avverso la sentenza n. (...)/2017 emessa dal Tribunale ordinario di (...) e pubblicata il (...), così provvede: a) rigetta l'appello principale; b) rigetta l'appello incidentale; c) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di lite del grado; d) dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002 a carico sia degli appellanti principali (...) e (...) sia dell'appellante incidentale (...) s.p.a.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 71, comma 1, lettere c), s) e v), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), promosso dalla Corte d’appello di Bologna, sezione terza penale, nel procedimento penale a carico di S. B., con ordinanza del 9 maggio 2023, iscritta al n. 116 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2023. Visti l’atto di costituzione di S. B., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell’udienza pubblica del 10 aprile 2024 il Giudice relatore Francesco Viganò; uditi l’avvocato Luca Andrea Brezigar per S. B. e l’avvocato dello Stato Salvatore Faraci per il Presidente del Consiglio dei ministri; deliberato nella camera di consiglio dell’11 aprile 2024. Ritenuto in fatto 1.– Con ordinanza del 9 maggio 2023, la Corte d’appello di Bologna, sezione terza penale, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 27 e 76 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 71, comma 1, lettere c), s) e v), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), censurando alcuni aspetti della disciplina della pena sostitutiva della detenzione domiciliare ivi introdotta (segnatamente, la durata dell’obbligo di permanenza presso il domicilio designato per l’espiazione della pena; la possibilità di fruire di licenze; le conseguenze penali dell’ingiustificato allontanamento dal domicilio). 1.1.– Il giudice a quo riferisce che S. B. – condannato in primo grado alla pena di nove anni di reclusione per il delitto di peculato continuato, commesso in danno di numerosi soggetti dei quali era amministratore di sostegno – ha presentato in data 22 febbraio 2023 istanza di concordato sui motivi di appello ex art. 599-bis del codice di procedura penale (sulla quale vi è stato consenso del pubblico ministero), chiedendo la rideterminazione del trattamento sanzionatorio in quattro anni di reclusione e l’applicazione della pena sostitutiva della detenzione domiciliare, ai sensi degli artt. 20-bis del codice penale e 56 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale). La Corte d’appello rimettente ritiene «preliminare» rispetto alla decisione sull’istanza di “concordato in appello” l’esame delle questioni di costituzionalità sollevate, evidenziandone la rilevanza «a fronte della effettiva possibilità di disporre la sostituzione della pena detentiva di cui alla richiesta ex art. 599-bis c.p.p. con la pena della detenzione domiciliare». 1.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, osserva preliminarmente il giudice a quo che l’art. 1, comma 17, della legge 27 settembre 2021, n. 134 (Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari) imponeva al legislatore di mutuare la disciplina della pena sostitutiva della detenzione domiciliare da quella dell’omonima misura alternativa. Ciò sul presupposto di una «ritenuta, e ribadita», esigenza di omogeneità di disciplina tra la detenzione domiciliare sostitutiva e la detenzione domiciliare quale misura alternativa; omogeneità a sua volta finalizzata a «includere, in un’ottica di possibile deflazione processuale, nelle tipologie di pene a disposizione del giudice della cognizione penale, modalità di espiazione della pena detentiva già rimesse in via esclusiva alla valutazione della magistratura di sorveglianza». Pertanto, qualunque difformità di disciplina non «strettamente correlata alla […] natura [delle due misure] e, dunque, in qualche modo, da tale diversa natura imposta e giustificata» comporterebbe «l’introduzione di una disciplina normativa manifestamente irragionevole rispetto al medesimo comparto normativo dell’esecuzione delle sanzioni penali detentive». 1.2.1.– Il rimettente censura in primo luogo – in riferimento agli artt. 3, 27 e 76 Cost. – l’art. 71, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 150 del 2022, nella parte in cui, modificando l’art. 56, primo comma, della legge n. 689 del 1981, stabilisce che la detenzione domiciliare sostitutiva comporti «l’obbligo di rimanere nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico o privato di cura, assistenza o accoglienza ovvero in comunità o in case famiglia protette, per non meno di dodici ore al giorno, avuto riguardo a comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute del condannato», prevedendo altresì che «[i]n ogni caso, il condannato può lasciare il domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita e di salute, secondo quanto stabilito dal giudice». Tale disposizione contrasterebbe, in particolare, con il criterio di delega fissato dall’art. 1, comma 17, lettera f), della legge n. 134 del 2021, che imponeva di «mutuare, in quanto compatibile, la disciplina sostanziale e processuale prevista dalla legge 26 luglio 1975, n. 354» per l’omonima misura alternativa. Il «diritto del condannato a rimanere lontano dal luogo impostogli per l’espiazione della pena per dodici ore al giorno» e «comunque per almeno quattro ore al giorno», non troverebbe infatti riscontro nella disciplina prevista dagli artt. 47-ter, comma 4, e 47-quinquies, comma 3, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà). Tali disposizioni infatti – rispettivamente per la detenzione domiciliare “ordinaria” e per quella “speciale” – fanno obbligo al tribunale di sorveglianza di dettarne le modalità «secondo quanto stabilito» per gli arresti domiciliari dall’art. 284 cod. proc. pen.; e dunque escludono «qualunque possibilità di allontanamento […] che non sia giustificato dall’impossibilità da parte del condannato di provvedere in altro modo (ricorrendo cioè anche all’aiuto di terzi) alle proprie indispensabili esigenze di vita o dalla necessità di esercitare un’attività lavorativa qualora versi in una situazione di assoluta indigenza». Diversamente da quanto sostenuto nella relazione illustrativa del d.lgs. n. 150 del 2022, non potrebbe d’altra parte ritenersi che la fissazione di limiti per la permanenza nel domicilio della persona condannata, contenuta nell’art. 71, comma 1, lettera c), del medesimo decreto legislativo fosse imposta dal rispetto del principio di legalità della pena. Da un lato, infatti, una simile giustificazione potrebbe al più «attagliarsi esclusivamente all’individuazione del limite minimo di 12 ore, e non certo a quella del limite massimo di 20 ore di permanenza nel domicilio da parte della persona condannata»; dall’altro lato, tali limiti di permanenza fonderebbero «veri e propri diritti in capo alla persona condannata, che non trovano rispondenza alcuna nell’intero sistema dell’esecuzione della pena detentiva, sia infra-muraria sia extra-muraria». La disciplina introdotta dall’art. 71, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 150 del 2022 creerebbe inoltre «proprio ciò che il criterio di delega mirava ad impedire», ossia una irragionevole disparità di trattamento nelle modalità di esecuzione della detenzione domiciliare, a seconda che essa sia adottata quale pena sostitutiva, o quale misura alternativa della detenzione, a dispetto della «omogeneità dello status» tra condannati che fruiscano dell’una o dell’altra misura, con conseguente violazione anche dell’art. 3 Cost. Conseguentemente, il giudice a quo auspica una pronuncia che sostituisca al frammento normativo censurato la previsione secondo cui la detenzione domiciliare sostituiva venga espiata «nelle modalità stabilite dall’articolo 284 del codice di procedura penale, le quali sono richiamate dall’art. 47 ter, comma 4, l. 354 del 1975 e dall’art. 47 quinquies comma 3 l. 354 del 1975». 1.2.2.– Parimenti lesiva degli artt. 3, 27 e 76 Cost. sarebbe la disciplina recata dall’art. 71, comma 1, lettera s), del d.lgs. n. 150 del 2022, nella parte in cui, modificando il primo comma dell’art. 69 della legge n. 689 del 1981, dispone che «[p]er giustificati motivi, attinenti alla salute, al lavoro, allo studio, alla formazione, alla famiglia o alle relazioni affettive, al condannato alla pena sostitutiva [...] della detenzione domiciliare possono essere concesse licenze per la durata necessaria e comunque non superiore nel complesso a quarantacinque giorni all’anno». La possibilità, per il condannato alla detenzione domiciliare sostitutiva, di fruire di licenze costituirebbe «un’innovazione assoluta che non trova rispondenza alcuna» nella disciplina della detenzione domiciliare quale misura alternativa, poiché la legge n. 354 del 1975 prevede la concessione di licenze solo in favore del condannato in regime di semilibertà (art. 52), oppure del destinatario di misure di sicurezza detentive (art. 53). La prevista operatività dell’istituto delle licenze per la detenzione domiciliare sostitutiva contravverrebbe così al criterio di uniformità di regolamentazione tra i due istituti, posto dall’art. 1, comma 17, lettera f), della legge delega, così violando l’art. 76 Cost. Sarebbe altresì vulnerato l’art. 3 Cost., poiché il condannato alla detenzione domiciliare sostitutiva godrebbe, senza alcuna ragionevole giustificazione, di un trattamento privilegiato rispetto al condannato che fruisca dell’omonima misura alternativa, potendo egli beneficiare di quarantacinque giorni annui di licenza, computabili, ex art. 53-bis, comma 1, ordin. penit., nella durata della pena, giusta il disposto dell’art. 76, primo comma, della legge n. 689 del 1981, come modificato dall’art. 71, comma 1, lettera bb) del d.lgs. n. 150 del 2022. 1.2.3.– Analoghi dubbi di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 76 Cost, solleverebbe infine l’art. 71, comma 1, lettera v), del d.lgs. n. 150 del 2022, nella parte in cui, modificando l’art. 76, secondo comma [recte: l’art. 72, primo comma], della legge n. 689 del 1981, stabilisce che «[i]l condannato alla pena sostitutiva […] della detenzione domiciliare che per più di dodici ore, senza giustificato motivo, […] si allontana da uno dei luoghi indicati nell’articolo 56 è punito ai sensi del primo comma dell’articolo 385 del codice penale». La disposizione contravverrebbe, questa volta, al criterio dettato dall’art. 1, comma 17, lettera n), della legge delega, che imponeva di mutuare dall’art. 47 ordin. penit. la disciplina relativa alla responsabilità penale per la violazione degli obblighi relativi alla detenzione domiciliare. Pur rinviando erroneamente all’art. 47 ordin. penit. – disposizione che regolamenta la diversa misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale – il menzionato art. 1, comma 17, lettera n), avrebbe infatti imposto un’omologazione di disciplina tra detenzione domiciliare sostitutiva e alternativa, «anche per quanto attiene la tutela penale dell’eventuale violazione della prescrizione […] di non allontanarsi dal domicilio imposto per l’espiazione». In proposito, il censurato art. 71, comma 1, lettera v), del d.lgs. n. 150 del 2022 attribuirebbe rilevanza penale al solo allontanamento non autorizzato di dodici ore dal luogo di espiazione della pena del condannato alla detenzione domiciliare sostitutiva, laddove l’art. 47-ter, comma 8, ordin. penit. prevedrebbe, per il condannato che fruisca dell’omonima misura alternativa, che qualsiasi allontanamento non autorizzato configuri il reato di evasione di cui all’art. 385 cod. pen. Tale ulteriore disallineamento della disciplina della detenzione domiciliare sostitutiva rispetto a quella della detenzione domiciliare alternativa si porrebbe in contrasto con il menzionato criterio di delega di cui all’art. 1, comma 17, lettera n), della legge n. 134 del 2021, così violando l’art. 76 Cost.; e assieme introdurrebbe un «ingiustificato trattamento di favore» per il condannato alla detenzione domiciliare sostitutiva, in contrasto con l’art. 3 Cost. In questo caso, il rimettente auspica una pronuncia che riallinei la disciplina delle conseguenze penali dell’ingiustificato allontanamento dal domicilio a quelle previste dall’art. 47-ter, comma 8, ordin. penit. 2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente inammissibili o, in ogni caso, manifestamente infondate. 2.1.– Quanto alla manifesta inammissibilità, il rimettente avrebbe anzitutto omesso di ricostruire adeguatamente la fattispecie oggetto del giudizio a quo e di esprimersi sull’effettiva accoglibilità dell’istanza di concordato in appello, così non motivando circa la rilevanza delle questioni sollevate, che apparirebbero premature e ipotetiche. Sotto un diverso profilo, il giudice a quo invocherebbe una pronuncia «manipolativa o additiva in malam partem sotto il profilo sanzionatorio attuale e/o futuro nell’espiazione della detenzione domiciliare sostitutiva»; il che renderebbe le questioni inammissibili, non essendo consentito a questa Corte – per il rispetto del principio di riserva di legge enunciato dall’art. 25, secondo comma, Cost. – «creare nuove fattispecie criminose o […] estendere quelle esistenti a casi non previsti, oltre che […] incidere in pejus sulla risposta punitiva o su aspetti comunque inerenti alla punibilità». 2.2.– Le questioni sarebbero, comunque, manifestamente infondate. Richiamata diffusamente la giurisprudenza costituzionale relativa al controllo di conformità tra norma delegante e norma delegata, l’interveniente sostiene che l’introduzione della detenzione domiciliare sostitutiva, realizzata dal d.lgs. n. 150 del 2022, sarebbe conforme all’art. 76 Cost., «non esondando affatto» dai principi e criteri di delega di cui all’art. 1, comma 17, lettere d), f), e n), della legge n. 134 del 2021, letti alla luce del «complessivo contesto normativo» nel quale essi si inseriscono. La riforma preconizzata dalla legge n. 134 del 2021 sarebbe infatti costruita sugli «assi portanti» della rivisitazione delle tipologie sanzionatorie e della connessa estensione dell’ambito applicativo della sostituibilità della pena detentiva; dell’emancipazione delle pene sostitutive dalla sospensione condizionale della pena; del riorientamento delle sanzioni sostitutive verso finalità più accentuatamente special-preventive. Proprio in ossequio a tali direttrici di fondo, la detenzione domiciliare sostitutiva si configurerebbe come «un istituto ontologicamente diverso dall’omologa misura alternativa da cui si distingue per natura giuridica e disciplina», costituendo «una vera e propria pena irrogabile dal giudice della cognizione penale in sostituzione di pene detentive brevi destinata ad essere eseguita immediatamente dopo la definitività della sentenza senza essere sostituita dal giudice della sorveglianza», come invece avviene per la detenzione domiciliare quale misura alternativa. Coerentemente, la detenzione domiciliare sostitutiva sarebbe «caratterizzata da elasticità nei contenuti» e regolata in modo parzialmente diverso rispetto alla detenzione domiciliare quale misura alternativa, proprio in ragione della sua natura e funzione di pena sostitutiva della pena detentiva breve, in coerenza del resto con la delega legislativa che imponeva di mutuare la disciplina dall’omonima misura alternativa alla detenzione, ma solo nei limiti della compatibilità. Gli adeguamenti recati dalle disposizioni censurate sarebbero, in definitiva, coerenti con l’impianto complessivo della delega e con i suoi obiettivi di deflazione processuale e penitenziaria; né comporterebbero un’irragionevole disparità di trattamento rispetto al condannato che chieda di accedere all’omologa misura alternativa, in ragione sia della differenza del «complessivo regime giuridico», sia della garanzia di «un bilanciamento individualizzato con le esigenze di difesa sociale», scevro da «ogni tipo di presunzione soggettiva o oggettiva». 3.– Si è costituito in giudizio l’imputato nel giudizio a quo, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate. 3.1.– La parte richiama le linee programmatiche della riforma promossa dalla legge n. 134 del 2021, ossia la razionalizzazione del sistema penale mediante la previsione di pene non carcerarie, certe ed effettive; l’individualizzazione del trattamento sanzionatorio, in ossequio al principio rieducativo di cui all’art. 27, terzo comma, Cost.; il decongestionamento dell’apparato della giustizia penale e la riduzione delle tempistiche processuali. La riforma delle pene sostitutive mirerebbe precipuamente a dare attuazione a tali obiettivi, dando vita a un sistema nel quale, in fase di cognizione, l’imputato consentirebbe a «rinunciare alla sua libertà, “patteggiando” sulla pena sostitutiva» e andando incontro a una condanna che «verrà certamente eseguita», essendo la pena sostitutiva non sospendibile, né modificabile, in fase esecutiva, a differenza di quanto accade in relazione alle misure alternative alla detenzione, le quali verrebbero applicate al condannato solo diverso tempo dopo la definitività della condanna, e potrebbero comunque essere sospese o modificate. L’intervento del legislatore delegante avrebbe comportato una «profonda riconfigurazione dei tipi e dei contenuti delle sanzioni sostitutive nonché delle procedure di applicazione ed esecuzione, determinando il loro spostamento dal modello teorico delle “pene in difetto”, connesse e dipendenti dalla pena carceraria di matrice retributiva, al modello del “sospensivo probatorio”», nel quale la pena sarebbe primariamente orientata a finalità non afflittive ma risocializzanti. In questo contesto, la detenzione domiciliare sostitutiva costituirebbe una «anticipazione dell’omologa pena alternativa», rispetto alla quale presenterebbe «profili risocializzativi più spiccati», comportando per l’interessato la possibilità di fruire di un periodo minimo di permanenza fuori dal domicilio per provvedere alle indispensabili esigenze di vita e salute, così promuovendo l’autoresponsabilizzazione e, al contempo, la preservazione dei legami familiari e sociali. Sarebbe inoltre necessaria l’elaborazione di un programma di trattamento per il tramite degli Uffici di esecuzione penale esterna. 3.2.– Tutto ciò premesso, la disciplina della detenzione domiciliare sostitutiva, introdotta dalle disposizioni censurate, non violerebbe in alcun modo gli artt. 3 e 27 Cost. In primo luogo, i meccanismi “premiali” connessi alla detenzione domiciliare sostitutiva sarebbero stati introdotti – al precipuo fine di «garantire uguaglianza in concreto e incrementare il fine risocializzativo e rieducativo della pena» – proprio per incentivare la scelta di tale pena sostitutiva «effettiva e certa», rispetto all’omologa misura alternativa alla detenzione, che invece non sarebbe «certa nei tempi e nei modi». La previsione di diverse modalità di esecuzione e di una differente tutela penale per la violazione delle prescrizioni rispettivamente connesse alla detenzione domiciliare sostitutiva e a quella alternativa sarebbe dunque conforme al principio di uguaglianza, oltre che a quelli del giusto processo, non essendo comparabili lo status dell’imputato che, in fase di cognizione, chieda la sostituzione della pena e quello del condannato in via definitiva che chieda di accedere a una misura alternativa alla detenzione. La pena sostitutiva poi, proprio per le sue caratteristiche, rivitalizzerebbe i fini risocializzativi e rieducativi della pena, sicché non si configurerebbe alcuna violazione dell’art. 27 Cost. 3.3.– Sarebbe altresì manifestamente infondata la censura prospettata in riferimento all’art. 76 Cost., alla luce della giurisprudenza costituzionale, secondo cui, ai fini della valutazione circa la sussistenza del vizio di eccesso di delega, le norme della legge di delegazione che determinano i principi e i criteri direttivi andrebbero interpretate tenendo conto del complessivo contesto normativo e delle finalità ispiratrici della delega. In specie, a fronte dei già richiamati obiettivi di fondo della legge delega, e del criterio direttivo di «mutuare in quanto compatibile» la disciplina delle sanzioni sostitutive da quella delle omologhe misure alternative, il legislatore delegato «in maniera del tutto oculata» avrebbe modellato la detenzione domiciliare sostitutiva sull’omonima misura alternativa, ridisegnandone in parte i contenuti, al preciso scopo di armonizzarla con gli obiettivi, principi e criteri direttivi impartiti dal delegante, il quale avrebbe lasciato «ampio margine di manovra all’organo tecnico». La piena conformità della disciplina delle pene sostitutive ai principi e criteri direttivi stabiliti dalla legge n. 134 del 2021, oltre che ai principi costituzionali, sarebbe del resto comprovata dalla circostanza che nessuna delle Commissioni parlamentari che hanno esaminato il disegno di decreto delegato abbia espresso dubbi in proposito. 4.– L’Unione camere penali italiane (UCPI) ha presentato un’opinione scritta in qualità di amicus curiae ai sensi dell’art. 6 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, ammessa con decreto presidenziale del 22 febbraio 2024, sostenendo la manifesta infondatezza delle questioni. Secondo l’amicus curiae, l’art. 1, comma 17, della legge n. 134 del 2021, nel prescrivere al legislatore delegato di «mutuare, in quanto compatibile,» la disciplina della detenzione domiciliare sostitutiva da quella prevista per l’omonima misura alternativa, non avrebbe imposto di regolamentare la materia in maniera identica. Il riferimento al criterio della «compatibilità» andrebbe piuttosto letto alla luce della ratio, dei principi ispiratori e delle finalità sottesi alla riforma promossa dalla legge n. 134 del 2021, che avrebbe inteso perseguire obiettivi di deflazione sul versante sia processuale, sia carcerario. Tali obiettivi starebbero alla base delle scelte compiute dal legislatore delegato, come risulterebbe dalla relazione illustrativa al d.lgs. n. 150 del 2022, che evidenzia come la riforma delle pene sostitutive – realizzata anche attraverso l’allineamento del limite massimo della pena sostituibile con quello entro il quale in sede di esecuzione può applicarsi una misura alternativa alla detenzione – miri a rivitalizzarne l’uso nella prassi, consentendo al giudice della cognizione di applicare pene, diverse da quella detentiva, destinate a essere eseguite immediatamente dopo la definitività della condanna, senza essere sostituite con misure alternative da parte del tribunale di sorveglianza, spesso a distanza di molto tempo dalla condanna stessa; così incentivando, altresì, l’accesso ai riti alternativi al dibattimento. In tale prospettiva, il carattere più favorevole della detenzione domiciliare sostitutiva (in punto di presupposti applicativi, modalità di esecuzione, conseguenze in caso di violazione) rispetto all’omologa misura alternativa costituirebbe «un evidente ed ulteriore incentivo al ricorso ai riti alternativi per ottenere una riduzione di pena che consenta l’accesso alla pena sostitutiva anche per reati puniti con pene astrattamente non compatibili». La citata relazione illustrativa evidenzierebbe poi come l’aggiunta dell’aggettivo “sostitutiva” a ciascuna delle misure introdotte valga a segnalarne la distinzione, quanto a natura giuridica e disciplina, rispetto alle omologhe misure alternative alla detenzione. La detenzione domiciliare sostitutiva sarebbe, in particolare, configurata quale «pena-programma», caratterizzata da «elasticità nei contenuti, predeterminati dalla legge, perché funzionale alla individualizzazione del trattamento sanzionatorio», in funzione della garanzia di rieducazione e risocializzazione del condannato e, al contempo, di prevenzione speciale. Tale misura – sempre secondo la relazione illustrativa – sarebbe volta a «soddisfare le esigenze umanitarie proprie della detenzione domiciliare/misura alternativa alla detenzione, rappresentando una misura dall’applicazione anticipata e alternativa, rispetto a quella, con migliore e più tempestiva soddisfazione delle esigenze sottese, nell’interesse del condannato e dei suoi familiari». Le diverse modalità di esecuzione della detenzione domiciliare sostitutiva – che peraltro non comporterebbero necessariamente la permanenza all’esterno del domicilio per dodici ore, essendo rimessa al giudice la determinazione del tempo nel quale l’interessato è autorizzato a lasciarlo, nel rispetto del limite minimo delle quattro ore giornaliere – troverebbero fondamento nell’imperativo costituzionale di personalizzazione del trattamento sanzionatorio e non sarebbero irragionevoli, consentendo invece di «mantenere inalterate le imprescindibili esigenze special-preventive, che peraltro potranno essere assicurate anche con l’utilizzo di strumenti di controllo elettronici». Le nuove sanzioni sostitutive previste dal d.lgs. n. 150 del 2022 sarebbero state concepite in «un’ottica di risocializzazione del condannato in tempi più rapidi e certi, dunque con modalità più efficienti e rispettose dei diritti costituzionali del condannato, e ciò per porre rimedio alle criticità che ormai da anni manifesta l’esecuzione penale». Tale riforma rivitalizzerebbe le pene sostitutive, finora scarsamente applicate nella prassi, conferendo alle stesse «connotati di razionalità e mitezza sconosciuti alla legislazione previgente», in piena attuazione dei principi costituzionali che il giudice rimettente erroneamente assumerebbe violati. L’intervento richiesto dal giudice a quo, infine, produrrebbe effetti in malam partem nella sfera giuridica dell’imputato, il quale, in caso di accoglimento delle questioni, «si troverebbe ad essere sottoposto ad una misura dalle caratteristiche diverse e meno favorevoli [rispetto a] quella su cui aveva legittimamente impostato le proprie scelte difensive», in contrasto con la giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto la «natura sostanzialmente afflittiva di norme dell’esecuzione penale che hanno riflessi sulla libertà personale» (è citata la sentenza n. 32 del 2020 di questa Corte). Considerato in diritto 1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Bologna, sezione terza penale, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 27 e 76 Cost. – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 71, comma 1, lettere c), s) e v), del d.lgs. n. 150 del 2022. In sostanza, il giudice a quo dubita della compatibilità con i parametri costituzionali indicati di tre disposizioni della riforma del sistema penale operata con il menzionato d.lgs. n. 150 del 2022, nella parte in cui disciplinano la nuova pena sostitutiva della detenzione domiciliare sostitutiva. 1.1.– La prima di tali disposizioni, l’art. 71, comma 1, lettera c), sostituisce il testo dell’art. 56 della legge n. 689 del 1981, dettando la disciplina generale della pena sostitutiva in questione. Il giudice a quo censura il primo comma del nuovo art. 56, laddove stabilisce che la detenzione domiciliare sostitutiva «comporta l’obbligo di rimanere nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico o privato di cura, assistenza o accoglienza ovvero in comunità o in case famiglia protette, per non meno di dodici ore al giorno, avuto riguardo a comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute del condannato. In ogni caso, il condannato può lasciare il domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita e di salute, secondo quanto stabilito dal giudice». A parere del rimettente, tale disposizione si porrebbe in contrasto con il criterio di delega dettato dall’art. 1, comma 17, lettera f), della legge n. 134 del 2021, che – nella parte che qui rileva – prescriveva al Governo, «per la semilibertà e per la detenzione domiciliare», di «mutuare, in quanto compatibile, la disciplina sostanziale e processuale prevista dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, per le omonime misure alternative alla detenzione»; con conseguente violazione dell’art. 76 Cost. La disciplina in esame si porrebbe, inoltre, in contrasto con l’art. 3 Cost. – creando una irragionevole disparità di trattamento nelle modalità di esecuzione della detenzione domiciliare, a seconda che essa sia adottata quale pena sostitutiva, ovvero quale misura alternativa alla detenzione – nonché con l’art. 27 Cost. L’auspicata reductio ad legitimitatem della disciplina dovrebbe effettuarsi, secondo il rimettente, riallineando le relative modalità esecutive a quelle previste per gli arresti domiciliari dall’art. 284 cod. proc. pen., richiamate tanto dall’art. 47-ter, comma 4, quanto dall’art. 47-quinquies, comma 3, ordin. penit. 1.2.– In secondo luogo, è censurato l’art. 71, comma 1, lettera s), del d.lgs. n. 150 del 2022, che sostituisce l’art. 69 della legge n. 689 del 1981. Il rimettente dubita della legittimità costituzionale del nuovo primo comma dell’art. 69, che prevede, «[p]er giustificati motivi, attinenti alla salute, al lavoro, allo studio, alla formazione, alla famiglia o alle relazioni affettive», la possibilità che al condannato alla pena sostitutiva della detenzione domiciliare siano concesse «licenze per la durata necessaria e comunque non superiore nel complesso a quarantacinque giorni all’anno». Secondo il giudice a quo, tale previsione non troverebbe alcuna corrispondenza nella disciplina della misura alternativa della detenzione domiciliare. La scelta del legislatore delegato dovrebbe, per tale ragione, considerarsi contrastante con il menzionato criterio di delega di cui all’art. 1, comma 17, lettera f), della legge n. 134 del 2021, e pertanto in violazione dell’art. 76 Cost. Anche in questo caso, inoltre, l’irragionevole disparità di trattamento così creata tra la disciplina della detenzione domiciliare sostitutiva e dell’omonima misura alternativa darebbe luogo a una violazione dell’art. 3 Cost., oltre che dell’art. 27 Cost. 1.3.– Infine, il giudice a quo censura l’art. 71, comma 1, lettera v), del d.lgs. n. 150 del 2022, che sostituisce l’art. 72 della legge n. 689 del 1981. La disciplina dettata dal primo comma del nuovo art. 72 – secondo cui «[i]l condannato alla pena sostitutiva della semilibertà o della detenzione domiciliare che per più di dodici ore, senza giustificato motivo, rimane assente dall’istituto di pena ovvero si allontana da uno dei luoghi indicati nell’articolo 56 è punito ai sensi del primo comma dell’articolo 385 del codice penale» – sarebbe difforme da quella prevista dall’art. 47-ter, comma 8, ordin. penit., a tenore della quale ogni allontanamento dal luogo di detenzione da parte del condannato, indipendentemente dalla sua durata, darebbe luogo a una sua responsabilità per il delitto di evasione di cui all’art. 385 cod. pen. Tale discrasia determinerebbe la violazione del criterio di delega dettato dall’art. 1, comma 17, lettera n), della legge n. 134 del 2021, che prescriveva al legislatore di «mutuare dagli articoli 47 [recte: 47-ter] e 51 della legge 26 luglio 1975, n. 354, […] la disciplina relativa alla responsabilità penale per la violazione degli obblighi relativi alle pene sostitutive della semilibertà [e] della detenzione domiciliare»; con conseguente violazione dell’art. 76 Cost. Il rimettente si duole altresì della violazione dell’art. 3 Cost., che deriverebbe dalla irragionevole disparità di trattamento del condannato alla pena sostitutiva rispetto al condannato ammesso alla corrispondente misura alternativa. E il rimedio auspicato è, qui, il riallineamento della disciplina dell’allontanamento non autorizzato a quella prevista dall’art. 47-ter, comma 8, ordin. penit. 2.– In punto di ammissibilità delle questioni, occorre rilevare quanto segue. 2.1.– L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce, anzitutto, un difetto di motivazione sulla rilevanza di tutte le questioni prospettate, non avendo il rimettente adeguatamente ricostruito la fattispecie oggetto del giudizio a quo. L’eccezione è solo parzialmente fondata. Il rimettente si trova a vagliare un’istanza di concordato con rinuncia ai motivi di appello ex art. 599-bis cod. proc. pen., nella quale le parti hanno chiesto l’applicazione della pena di quattro anni di reclusione, sostituita nella pena della detenzione domiciliare sostitutiva prevista dal nuovo art. 56 della legge n. 689 del 1981. La decisione se accogliere o meno tale richiesta ai sensi dell’art. 599-bis, comma 3, cod. proc. pen. necessariamente include anche una valutazione sulla sussistenza dei presupposti per la sostituzione della pena detentiva nella misura concordata dalle parti, nonché sulla congruità dell’applicazione al condannato della detenzione domiciliare sostitutiva, avuto riguardo alla sua specifica disciplina. Fra le tre disposizioni all’esame – gli artt. 56, 69 e 72 della legge n. 689 del 1981, come sostituiti dal d.lgs. n. 150 del 2022 – deve però ritenersi che il giudice a quo sia chiamato a vagliare la possibile applicazione del solo art. 56. Quest’ultima disposizione detta, infatti, la disciplina che sarebbe immediatamente applicabile al condannato, senza alcuna necessità di ulteriori provvedimenti giudiziari, non appena la sentenza di condanna a pena sostituita pronunciata nei suoi confronti diventi esecutiva. Viceversa, non spetta alla Corte d’appello rimettente fare applicazione degli artt. 69 e 72 della legge n. 689 del 1981. Non dell’art. 69, le licenze ivi disciplinate essendo di competenza del magistrato di sorveglianza; e non dell’art. 72, la cui applicazione sarà riservata al giudice penale che debba eventualmente provvedere sulla responsabilità penale del condannato che si sia indebitamente allontanato dai luoghi in cui era ristretto. Ne consegue l’inammissibilità, per irrilevanza nel giudizio a quo, di tutte le questioni concernenti le disposizioni che modificano gli artt. 69 e 72 della legge n. 689 del 1981 (supra, punti 1.2. e 1.3.). 2.2.– Quanto alle questioni concernenti il nuovo testo dell’art. 56 della legge n. 689 del 1981, l’Avvocatura generale dello Stato eccepisce parimenti la loro inammissibilità, stante il divieto di pronunce di illegittimità costituzionale in malam partem in materia penale. Anche in questo caso, l’eccezione è solo parzialmente fondata. 2.2.1.– L’eventuale accoglimento delle questioni prospettate inciderebbe, in effetti, in senso peggiorativo sulla risposta punitiva nei confronti del condannato, determinando un inasprimento del regime sanzionatorio connesso all’applicazione della detenzione domiciliare sostitutiva, che negli auspici del rimettente dovrebbe essere riallineato – attraverso una pronuncia sostitutiva (supra, punto 1.1. in fine) – a quello oggi applicabile all’omonima misura alternativa alla detenzione. La costante e risalente giurisprudenza di questa Corte afferma che «l’adozione di pronunce con effetti in malam partem in materia penale risulta, in via generale, preclusa dal principio della riserva di legge sancito dall’art. 25, secondo comma, Cost., il quale, rimettendo al “soggetto-Parlamento” (sentenza n. 5 del 2014), che incarna la rappresentanza politica della Nazione (sentenza n. 394 del 2006), le scelte di politica criminale (con i relativi delicati bilanciamenti di diritti e interessi contrapposti), impedisce alla Corte, sia di creare nuove fattispecie o di estendere quelle esistenti a casi non previsti, sia di incidere in peius sulla risposta punitiva o su aspetti inerenti, comunque sia, alla punibilità (ex plurimis, sentenze n. 17 del 2021, n. 37 del 2019, n. 46 del 2014, n. 324 del 2008, n. 394 del 2006 e n. 161 del 2004; ordinanze n. 219 del 2020, n. 65 del 2008 e n. 164 del 2007)» (sentenza n. 8 del 2022, punto 4 del Considerato in diritto, nonché – nello stesso senso – ordinanza n. 29 del 2022). 2.2.2.– Tale principio soffre, peraltro, rilevanti eccezioni, gradatamente enucleate dalla giurisprudenza di questa Corte (per una rassegna di tali eccezioni, sentenza n. 37 del 2019, punto 7.1. del Considerato in diritto, e ivi puntuali riferimenti ai precedenti rilevanti). Una di esse concerne le censure concernenti i vizi di formazione degli atti aventi forza di legge in materia penale (in materia di decreto-legge, sentenze n. 8 del 2022, punto 5 del Considerato in diritto, e n. 32 del 2014, punto 6 del Considerato in diritto; in materia di delegazione legislativa, sentenze n. 105 del 2022, punto 6.3. del Considerato in diritto, n. 189 del 2019, punto 9.4. del Considerato in diritto, e n. 5 del 2014, punto 5.2. del Considerato in diritto): censure che questa Corte considera senz’altro ammissibili anche laddove il loro accoglimento possa produrre effetti in malam partem in materia penale. Infatti, «[s]e l’esclusione delle pronunce in malam partem mira a salvaguardare il monopolio del “soggetto-Parlamento” sulle scelte di criminalizzazione, sarebbe illogico che detta preclusione possa scaturire da interventi normativi operati da soggetti non legittimati, i quali pretendano di “neutralizzare” le scelte effettuate da chi detiene quel monopolio – quale il Governo, che si serva dello strumento del decreto legislativo senza il supporto della legge di delegazione […], o le Regioni, che legiferino indebitamente in materia penale, loro preclusa (sentenza n. 46 del 2014)» (ancora, sentenza n. 8 del 2022, punto 5 del Considerato in diritto). La censura formulata in riferimento all’art. 76 Cost. deve, pertanto, considerarsi ammissibile. 2.2.3.– A un esito opposto si deve, invece, pervenire per ciò che concerne le censure formulate in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost. (quest’ultima, peraltro, inammissibile anche in ragione della totale assenza di motivazione nell’ordinanza di rimessione). Rispetto a tali censure non è invocabile l’eccezione al generale principio dell’inammissibilità di questioni in malam partem in materia penale, concernente le questioni su norme penali di favore, pure consolidata nella giurisprudenza di questa Corte a partire dalla sentenza n. 148 del 1983; eccezione che riguarda, come chiarito in particolare dalla sentenza n. 394 del 2006, quelle «norme che sottraggano determinati gruppi di soggetti o di condotte alla sfera applicativa di una norma comune o comunque più generale, accordando loro un trattamento più benevolo». Ipotesi, queste ultime, rispetto alle quali l’ablazione, ad opera di questa Corte, della lex specialis comporta l’«automatica riespansione della norma generale o comune, dettata dallo stesso legislatore, al caso già oggetto di una incostituzionale disciplina derogatoria»; tale riespansione costituendo nient’altro che «una reazione naturale dell’ordinamento – conseguente alla sua unitarietà – alla scomparsa della norma incostituzionale […], senza che in siffatto fenomeno possa ravvisarsi alcun intervento creativo o additivo della Corte in materia punitiva» (punto 6.1. del Considerato in diritto). Ora, la disposizione che in questa sede viene all’esame – l’art. 56, primo comma, della legge n. 689 del 1981, come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022, disciplinante la pena sostitutiva della detenzione domiciliare – non costituisce lex specialis rispetto agli artt. 47-ter e 47-quinquies ordin. penit., che disciplinano l’omonima misura alternativa. Le discipline che vengono qui in considerazione attengono, infatti, a istituti diversi, regolati ciascuno nell’ambito di un differente corpus normativo (la legge n. 689 del 1981, da un lato, e la legge sull’ordinamento penitenziario, dall’altro), e applicabili in un caso dal giudice della cognizione, nell’altro dal tribunale di sorveglianza. Inoltre, l’eventuale ablazione, da parte di questa Corte, della disposizione oggi censurata, non determinerebbe affatto l’automatica riespansione della disciplina dettata dalla legge sull’ordinamento penitenziario: tant’è vero che lo stesso giudice rimettente auspica non già una pronuncia meramente ablativa, bensì una pronuncia che sostituisca l’attuale disciplina dettata dall’art. 56 della legge n. 689 del 1981 con quella prevista dagli artt. 47-ter e 47-quinquies ordin. penit. Dal che l’inammissibilità anche delle censure ex artt. 3 e 27 Cost. relative all’art. 56, primo comma, della legge n. 689 del 1981, come sostituito dal d.lgs. n. 150 del 2022. 2.3.– In definitiva, la sola censura che deve essere vagliata nel merito è quella relativa al menzionato nuovo testo dell’art. 56, primo comma, della legge n. 689 del 1981 in riferimento all’art. 76 Cost. 3.– Tale censura non è fondata. 3.1.– Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, di recente estesamente ricapitolata, «[i]l controllo sul superamento dei limiti posti dalla legge di delega va […] operato partendo dal dato letterale per poi procedere ad una indagine sistematica e teleologica per verificare se l’attività del legislatore delegato, nell’esercizio del margine di discrezionalità che gli compete nell’attuazione della legge di delega, si sia inserito in modo coerente nel complessivo quadro normativo, rispettando la ratio della norma delegante (sentenze n. 250 e n. 59 del 2016; n. 146 e n. 98 del 2015; n. 119 del 2013) e mantenendosi comunque nell’alveo delle scelte di fondo operate dalla stessa (sentenza n. 278 del 2016)» (sentenza n. 22 del 2024, punto 8 del Considerato in diritto). Nella medesima pronuncia, si è altresì precisato che «[t]ra l’elemento letterale e quello funzionale-teleologico esiste un rapporto inversamente proporzionale: meno preciso e univoco è il primo, più rilevante risulta il secondo»; e che «[l]a verifica di conformità della norma delegata a quella delegante richiede lo svolgimento di un duplice processo ermeneutico che, condotto in parallelo, tocca, da una parte, la legge di delegazione e, dall’altra, le disposizioni emanate dal legislatore delegato, da interpretare nel significato compatibile con la delega stessa» (ancora sentenza n. 22 del 2024 punto 8 del Considerato in diritto). 3.2.– Nel caso ora all’esame, come già rammentato, l’art. 1, comma 17, lettera f), della legge n. 134 del 2021 aveva dettato il seguente criterio di delega: «per la semilibertà e per la detenzione domiciliare mutuare, in quanto compatibile, la disciplina sostanziale e processuale prevista dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, per le omonime misure alternative alla detenzione». Già sul piano letterale, la presenza della clausola «in quanto compatibile» indica che il Governo non fosse affatto tenuto, nell’ottica del legislatore delegante, a riprodurre pedissequamente la disciplina della misura alternativa parimenti denominata “detenzione domiciliare”, ma che avesse il potere di operare tutte le modifiche necessarie affinché quella disciplina, calibrata sulla fase esecutiva della pena, potesse essere adattata alla fisionomia di una pena sostitutiva da applicare già con la sentenza di condanna, e dunque già in fase di cognizione. Quanto alle finalità complessive della riforma delle pene sostitutive perseguite dal legislatore delegante, esse emergono, in particolare, dalla relazione finale della Commissione di studio istituita con d.m. 16 marzo 2021 per elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale, nonché in materia di prescrizione del reato, sulla base della quale è stato formulato l’emendamento 1.502 del 14 luglio 2021 di iniziativa governativa al disegno di legge A.C. 2435, che è all’origine della delega conferita dall’art. 1, comma 17, della legge n. 134 del 2021. Tale relazione aveva auspicato, tra l’altro, che «l’istituto della sostituzione della pena detentiva, contestuale alla condanna da parte del giudice di cognizione, possa essere opportunamente rivitalizzato, con impatto positivo sulla deflazione penitenziaria e processuale». La stessa relazione, conseguentemente, aveva proposto tra l’altro di «modificare la tipologia delle pene sostitutive in modo tale da valorizzare contenuti sanzionatori sperimentati con successo in altri contesti normativi; ciò nella consapevolezza che il carcere non deve rappresentare l’unica risposta al reato e che, anzi, per gli effetti desocializzanti che comporta, deve essere evitato quando possibile in favore di pene da eseguirsi nella comunità. Se corredate di contenuti sanzionatori positivi, le sanzioni sostitutive possono rivestire il ruolo di vere e proprie pene sostitutive delle pene detentive. Una riforma delle pene sostitutive promette d’altra parte ripercussioni positive altresì in termini di deflazione processuale, se si valorizzano quelle pene come incentivo ai riti alternativi – procedimento per decreto e patteggiamento, in particolare – il cui ruolo è di primaria importanza in vista della deflazione del carico giudiziario e della riduzione dei tempi medi di durata del processo penale». Come puntualmente osservato – sostanzialmente all’unisono – dall’Avvocatura generale dello Stato, dal difensore della parte e dall’Unione camere penali italiane, intervenuta in qualità di amicus curiae, il disegno complessivo perseguito dal legislatore delegante si articolava dunque attorno alla finalità di rivitalizzare un istituto – quello delle pene sostitutive – introdotto nel 1981 ma ancora scarsamente utilizzato nella prassi. E ciò per perseguire due obiettivi di fondo, chiaramente emergenti dalla relazione citata. In primo luogo, quello di mettere a disposizione del giudice di cognizione – già in fase, dunque, di commisurazione della pena – risposte sanzionatorie alternative alle pene detentive brevi o comunque di durata contenuta, la consapevolezza dei cui effetti desocializzanti era stata all’origine della stessa introduzione delle pene sostitutive oltre un quarantennio fa: e ciò in coerenza sia con il principio del minimo sacrificio necessario della libertà personale, più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 22 del 2022, punto 5.2. del Considerato in diritto e ivi ulteriori riferimenti), sia con la necessaria finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, terzo comma, Cost., che deve accompagnare la pena «da quando nasce, nell’astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue» (sentenza n. 313 del 1990, punto 8 del Considerato in diritto), e dunque anche nella fase di determinazione del trattamento sanzionatorio appropriato da parte del giudice della cognizione. Principio, questo, di speciale rilievo in un contesto caratterizzato dalla situazione di significativo sovraffollamento in cui, nuovamente, versano le carceri italiane. In secondo luogo, quello di incentivare definizioni alternative del processo – attraverso la prospettiva di ottenere l’applicazione di pene sostitutive del carcere, anche per effetto degli sconti di pena connessi alla scelta dei riti alternativi –, con conseguente alleggerimento complessivo dei carichi del sistema penale. E ciò in funzione dell’obiettivo ultimo, imposto dall’art. 111, secondo comma, Cost., di assicurare (al singolo imputato e alla generalità degli imputati) tempi più contenuti di definizione dei processi. 3.3.– È, pertanto, alla luce di queste due finalità del legislatore delegante che debbono essere esaminate le variazioni introdotte dal legislatore delegato nella disciplina della pena sostitutiva in esame rispetto a quella prevista dall’art. 284, comma 3, cod. proc. pen. per gli arresti domiciliari, a sua volta richiamata dall’art. 47-ter, comma 4, ordin. penit. per la detenzione domiciliare “ordinaria” e 47-quinquies, comma 3, ordin. penit. per la detenzione domiciliare “speciale”. Chi sia sottoposto agli arresti domiciliari, ovvero alla detenzione domiciliare alternativa alla detenzione, “ordinaria” o “speciale” può essere autorizzato dal giudice, allorché non possa «altrimenti provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita» ovvero versi «in situazione di assoluta indigenza», ad assentarsi dal luogo di esecuzione della misura soltanto «per il tempo strettamente necessario alle suddette esigenze ovvero per esercitare una attività lavorativa» (art. 284, comma 3, cod. proc. pen.). Viceversa, ai sensi del censurato nuovo testo dell’art. 56, primo comma, della legge n. 689 del 1981, il condannato ha l’obbligo di rimanere nel luogo in cui la pena deve essere espiata per un termine minimo di dodici ore al giorno, stabilito caso per caso dal giudice in relazione a «comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute del condannato»; e in ogni caso deve essere autorizzato ad allontanarsi da tale luogo per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle proprie «indispensabili esigenze di vita e di salute». 3.3.1.– Ora, la disciplina qui censurata – indubbiamente più favorevole per il condannato – risulta anzitutto funzionale a conferire spiccata finalità rieducativa alla pena sostitutiva, che nelle intenzioni del legislatore (delegante e delegato) non dovrebbe servire soltanto a evitare i noti effetti desocializzanti della pena detentiva breve, ma anche – in positivo – ad assicurare il mantenimento, e in ipotesi il potenziamento, dei legami del condannato con il proprio contesto lavorativo, educativo, affettivo e in generale sociale. E ciò sulla base di uno specifico «programma di trattamento elaborato dall’ufficio di esecuzione penale esterna, che prende in carico il condannato e che riferisce periodicamente sulla sua condotta e sul percorso di reinserimento sociale» (art. 56, secondo comma): in un’ottica complessiva che l’amicus curiae efficacemente definisce in termini di “pena-programma”, caratterizzata da «elasticità nei contenuti, predeterminati dalla legge, perché funzionale alla individualizzazione del trattamento sanzionatorio», in funzione della garanzia di rieducazione e risocializzazione del condannato e, al contempo, di prevenzione speciale. Una tale ottica, invece, non solo è assente – come è ovvio – nel regime degli arresti domiciliari, applicati a persone ancora presunte innocenti; ma è anche scarsamente percepibile, sul piano della concreta disciplina legislativa, nelle due forme di detenzione domiciliare attualmente previste come misure alternative alla detenzione: la cui attuale configurazione è soprattutto funzionale ad assicurare l’espiazione della pena al di fuori del carcere a persone particolarmente vulnerabili (in ragione della loro giovane età o, all’opposto, dell’età avanzata o ancora delle precarie condizioni di salute), oppure a chi debba avere cura di figli in tenera età o comunque particolarmente bisognosi; e dunque appare oggi ispirata a ragioni in senso lato umanitarie o solidaristiche, piuttosto che autenticamente rieducative (in questo senso, sia pure con riferimento specifico all’ipotesi della detenzione speciale per i condannati ultrasettantenni di cui all’art. 47-ter, comma 01, ordin. penit., sentenza n. 56 del 2021, punto 2.1. del Considerato in diritto). 3.3.2.– Per altro verso, il regime disegnato dalla disposizione censurata risulta funzionale anche alla seconda ratio perseguita dal legislatore delegante, e cioè alla finalità deflattiva del carico della giustizia penale, perseguita mediante l’incentivazione del ricorso a riti alternativi da parte degli imputati. Dal momento che il novero degli imputati cui la pena sostitutiva in parola risulta applicabile – quelli, cioè, esposti al rischio di una pena detentiva contenuta entro il limite dei quattro anni, anche per effetto delle riduzioni di pena connesse ai riti alternativi – coincide con la platea dei condannati ai quali il tribunale di sorveglianza potrebbe concedere l’affidamento in prova al servizio sociale, il legislatore delegato doveva necessariamente rendere in qualche modo conveniente per l’imputato la possibilità di negoziare sin da subito con il giudice della cognizione l’applicazione di una pena sostitutiva di per sé più gravosa rispetto all’affidamento in prova. Per conseguire tale obiettivo, il legislatore delegato ha connotato la pena sostitutiva in parola in modo da assicurare al condannato possibilità di allontanarsi dal domicilio durante la giornata più ampie rispetto a quelle concesse a chi si trovi agli arresti domiciliari o fruisca dei benefici di cui agli artt. 47-ter e 47-quinquies ordin. penit., nell’ambito del programma individualizzato di trattamento di cui si è detto. In tal modo, il Governo ha confidato sulla possibilità che l’imputato possa accettare, in sede di patteggiamento, l’obbligo di permanenza nel domicilio per una parte della giornata in cambio del vantaggio di sottrarsi all’alea della possibile determinazione di una pena superiore al limite di quattro anni in esito a un processo ordinario, ovvero – nell’ipotesi di pena comunque applicata entro il limite dei quattro anni – all’alea di una decisione favorevole da parte del tribunale di sorveglianza sull’istanza di applicazione di una misura alternativa. Decisione, peraltro, che spesso interviene a svariati anni di distanza dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna, con conseguente creazione di un enorme numero di cosiddetti “liberi sospesi”: e cioè di circa novantamila persone condannate in via definitiva, la cui pena è attualmente sospesa ex art. 656, comma 5, cod. proc. pen. in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza sulla misura alternativa richiesta (come emerge dalla risposta scritta del Ministro della giustizia all’interrogazione 4-00072, pubblicata lunedì 13 febbraio 2023 nell’Allegato B ai resoconti della seduta n. 50 della Camera dei deputati). 3.4.– Le scelte del legislatore delegato qui censurate, infine, si inseriscono coerentemente, dal punto di vista sistematico, nel quadro di un complessivo intervento legislativo volto anche – come concordemente sottolineano la difesa della parte privata e l’amicus curiae – ad assicurare risposte sanzionatorie al reato certe, rapide ed effettive, ancorché alternative rispetto al carcere. Tale risultato è conseguito sia mediante la regola dell’inapplicabilità della sospensione condizionale alle pene sostitutive (art. 61-bis della legge n. 689 del 1981), sia mediante la disciplina dell’esecuzione delle stesse dettata dall’art. 62 della stessa legge n. 689 del 1981: esecuzione che segue immediatamente il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, e durante la quale non possono essere concesse misure alternative alla detenzione (art. 67 della legge n. 689 del 1981), fatta salva la possibilità – per il condannato alla semilibertà o alla detenzione domiciliare sostitutive – di accedere all’affidamento in prova dopo l’espiazione di metà della pena (art. 47, comma 3-ter, ordin. penit.). In tal modo, come osserva la relazione illustrativa del d.lgs. n. 150 del 2022, la riforma intende realizzare «una anticipazione dell’alternativa al carcere all’esito del giudizio di cognizione», essa stessa funzionale a un più efficace perseguimento di obiettivi di prevenzione generale e speciale, realizzati attraverso l’immediata applicazione di misure che consentono anche di controllare l’eventuale pericolosità sociale del condannato sin dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna (se del caso, mediante specifiche procedure di sorveglianza elettronica ai sensi dell’art. 56, quarto comma, della legge n. 689 del 1981). Controllo che sarebbe invece rinviato anche per vari anni dopo il passaggio in giudicato di una condanna a pena detentiva non sostituita e non superiore a quattro anni, la cui esecuzione resterebbe sospesa sino a che il tribunale di sorveglianza decida sull’istanza di applicazione di una misura alternativa al condannato in forza del citato art. 656 comma 5, cod. proc. pen., nel testo risultante a seguito della sentenza n. 41 del 2018 di questa Corte. 3.5.– In conclusione, le scelte qui censurate del legislatore delegato: – sono certamente compatibili con il dato letterale della legge delega, che imponeva di mutuare soltanto «in quanto compatibile» la disciplina della detenzione domiciliare stabilita dalla legge sull’ordinamento penitenziario; – appaiono corrispondere alle due essenziali rationes sottese al disegno del legislatore delegante (mettere a disposizione del giudice di cognizione risposte sanzionatorie non carcerarie a spiccato orientamento rieducativo, e incentivare definizioni alternative del processo); – e si inseriscono, altresì, in modo coerente all’interno di un quadro normativo volto nel suo complesso ad assicurare risposte certe, rapide ed effettive al reato, ancorché alternative rispetto al carcere. Conseguentemente, deve escludersi che il legislatore delegato abbia ecceduto dai limiti della delega nell’esercizio del fisiologico margine di discrezionalità connaturato all’istituto stesso della delegazione legislativa: margine che è specialmente ampio – fatte salve eventuali puntuali indicazioni su singoli profili che la legge delega abbia comunque fornito – nel caso in cui il Governo sia chiamato a riforme normative di ampio respiro, come quella oggetto della legge n. 134 del 2021 e poi attuata con il d.lgs. n. 150 del 2022, le quali richiedono interventi su distinti corpora normativi e complesse operazioni di coordinamento sistematico tra le molteplici discipline su cui la riforma deve necessariamente incidere. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 71, comma 1, lettere s) e v), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 27 e 76 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Bologna, sezione terza penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe; 2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 71, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 150 del 2022, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., dalla Corte d’appello di Bologna, sezione terza penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe; 3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 71, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 150 del 2022, sollevata, in riferimento all’art. 76 Cost., dalla Corte d’appello di Bologna, sezione terza penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 aprile 2024. F.to: Augusto Antonio BARBERA, Presidente Francesco VIGANÒ, Redattore Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Repubblica Italiana In Nome del Popolo Italiano Il Tribunale Ordinario di Latina Sezione II Civile in composizione monocratica nella persona del giudice dott. (...) ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. (...)/2018 del R.G.A.C, trattenuta in decisione nell'udienza cartolare del 15 febbraio 2024 con i termini di cui all'art. 190 c.p.c. e vertente TRA - (...) (C.F. (...)) rappresentata e difesa dall'avv. (...) per delega in calce all'atto di citazione (...) E - (...) (C.F. (...)) rappresentato e difesa dall'avv. (...) per delega in calce alla comparsa di costituzione (...) OGGETTO: responsabilità ex artt. 2049 - 2051 - 2052 c.c. CONCLUSIONI Per l'udienza di precisazione delle conclusioni a trattazione scritta del 15 febbraio 2024 i procuratori delle parti depositavano note di trattazione scritta atti da intendersi in questa sede (...)prosieguo riassunti (...) Con atto di citazione notificato in data 30 novembre 2018 la sig.ra (...) conveniva in giudizio il sig. (...) deducendo: a) in data (...) alle ore 11.00 circa, in (...) mentre passeggiava veniva improvvisamente aggredita da un cane di tipo pitbull nero di taglia media - femmina - dal quale veniva morsa alla gamba destra e, per effetto dell'aggressione, cadeva rovinosamente a terra; b) il cane, pur se tenuto al guinzaglio dal proprietario sig. (...) era tuttavia privo di museruola; c) il sig. (...) recava al guinzaglio ma senza museruola anche un altro cane di grossa taglia, tipo un pastore tedesco; d) sul posto intervenivano gli agenti della (...) municipale che redigevano verbale; e) a causa delle ferite riportate la sig.ra (...) veniva soccorsa dal personale del 118, presso l'(...) di (...) f) successivamente alla guarigione clinica con postumi, come da certificato medico allegato, la sig.ra (...) si sottoponeva a perizia medico-legale del Dr. (...); g) con lettera raccomandata A/R del 06.02.2017 la Sig.ra (...) contestava il danno subito al (...) invitandolo al risarcimento dei danni patiti e con raccomandata A/R del 11.01.2018 invitava il sig. (...) alla stipula di una convenzione di negoziazione assistita ai sensi della (...) 162/2014; h) il sig. (...) comunicava la propria adesione all'invito di negoziazione; i) esperita visita medica collegiale, i rispettivi periti nominati da entrambe le parti, concordemente riconoscevano in capo alla sig.ra (...) una invalidità pari al 4-5%; j) dall'esame della documentazione medica (inoltre, si evince che la stessa subiva una ITT di gg. 20 ed una ITP di gg. 30 con spese sostenute per Euro.517,69 (oltre al costo delle perizie per complessivi Euro.976,00); k) la responsabilità dell'accaduto va ascritta ex art.2052 c.c., o in subordine ex art. 2043 c.c., al proprietario sig. (...) l) il cane, seppur vaccinato, risultava privo di copertura assicurativa; m) alcuna imprudente condotta ex se idonea a provocarne l'accertato impeto aggressivo dell'animale, risulta imputabile all'attrice ex art. 1227 c.c.; n) le richieste risarcitorie rimanevano prive di riscontro; (...) attrice concludeva chiedendo di accertare la responsabilità del convenuto (...) nella causazione dell'evento dannoso, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2052 c.c. ovvero, in subordine dell'art. 2043 c.c., e dichiarare che le lesioni riportate da (...) sono conseguenza immediate e diretta dell'omesso o inadeguato controllo del sig. (...) sul cane di sua proprietà, per gli effetti, condannare il convenuto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dall'attrice pari ad (...) 9.323,52 (e/o nella diversa somma che sarà quantificata e provata in corso di causa) oltre interessi legali dal giorno dell'evento a quello dell'effettivo soddisfo; condannare il convenuto alle spese, funzioni ed onorari di lite da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario ai sensi e per gli effetti dell'art. 93 c.p.c.. Si costituiva con comparsa in data 25 marzo 2019 il sig. (...) deducendo: a) improcedibilità del giudizio non potendosi ritenere correttamente esperito il procedimento di negoziazione assistita, non avendo comunque la parte invitante proposto la domanda giudiziale entro 30 gg. dal rifiuto; b) l'attrice avrebbe dovuto provare ex art.2697 c.c. di non aver fatto un movimento inconsulto che ha provocato la naturale reazione dell'animale, che le cure ricevute furono appropriate, di aver seguito scrupolosamente le indicazioni dei sanitari; c) il Sig. (...) risponde solo di quei danni direttamente riconducibili alla propria responsabilità ed il danno riconducibile al leggero morso di cane non ammonta a più di 2 punti percentuali di invalidità permanente; d) restano a carico dell'attrice o di terzi la restante percentuale accertata nella collegiale medica espletata in data (...); (...) convenuta concludeva chiedendo, dichiarare il giudizio improcedibile, nel merito rigettare la domanda di risarcimento del danno; in subordine ed in caso di condanna tener conto dell'incidenza nella verificazione degli esiti del danno, della concorrente corresponsabilità di terzi o della stessa danneggiata, la quale, con l'uso della normale diligenza, avrebbe potuto evitare il danno o il suo aggravarsi; vittoria di spese, competenze ed onorari. All'udienza del 26 marzo 2019, il giudice concedeva i termini per consentire l'esperimento del procedimento di negoziazione obbligatoria. All'udienza del 16 luglio 2019, il giudice, preso atto dell'esito negativo della procedura di negoziazione assistita (verbale 06.06.2019), assegnava alle parti i termini di cui all'art.183 comma sei c.p.c.. In considerazione dell'emergenza epidemiologica da (...)19, visto il d.l. n. 125 del 7.10.2020, l'art. 221, co. 4, d.l. n. 34/2020, convertito con modificazioni dalla L. n. 77/2020, il giudice disponeva la trattazione c.d. scritta della causa previo deposito di note scritte. Con ordinanza in data 3 dicembre 2020 il giudice, quanto alle istanze istruttorie formulate dalle parti, ammetteva per parte attrice la prova per interrogatorio formale e per testi, nel limite di due, sui cap. 1 - 7 formulati nella memoria ex art. 183 co. VI n. 2 c.p.c., accoglieva l'ordine di esibizione sub C) (libretto sanitario del cane), ammetteva la CTU medica (chiesta anche da parte convenuta) nominando a tale fine il dott. (...) ammetteva per parte convenuta la prova con il teste indicato sui cap.a) - d), ad esclusione dei capitoli seguenti tutti irrilevanti ai fini del decidere; non ammetteva l'interrogatorio formale dell'attrice, vertendo tutti i capitoli su circostanze di natura tecnica non demandabile alla parte; non accoglieva l'ordine di esibizione, irrilevante ai fini del decidere. Alla udienza del 2 ottobre 2021 rendeva l'interrogatorio formale il convenuto (...) il quale, sui capitoli della memoria istruttoria di parte attrice, rispondeva: Capitolo 1): non è vero; (...) 2): non è vero; (...) 3): non è vero; (...) 4): è vero erano senza museruola perché gliela avevo appena tolta altrimenti non mozzicava. (...) 5): l'ambulanza è arrivata. (...) 6): è vero. (...) 7): non è vero. Alla stessa udienza veniva sentito il primo testimone di parte attrice, il dott. (...) di professione medico di chirurgia generale, il quale sul capitolo B della memoria istruttoria di parte attrice dichiarava: confermo il rapporto di pronto soccorso a mia firma in data 20 dicembre 2016. Interrogato sui capitoli della memoria istruttoria di parte convenuta, rispondeva: (...) A): è vero. (...) B): è vero come ho scritto nel verbale. (...) C): non ricordo penso si trattasse di un unico foro. (...) D): è vero come ho sopra detto. Con ordinanza in pari data il giudice, a scioglimento della riserva assunta all'udienza, a modifica della precedente ordinanza istruttoria ammetteva per parte convenuta la teste (...) All'udienza del 5 aprile 2022 veniva escusso il primo testimone di parte attrice (...) il quale, sul capitolo 1 della memoria istruttoria di parte attrice, dichiarava: confermo la relazione a mia firma del 20 dicembre 2016. A conclusione dell'udienza, su richiesta congiunta delle parti, il giudice rinviava per tentativo di bonario componimento della lite. Con note in data 16 settembre 2022 le parti comunicavano l'esito negativo delle trattative di bonario componimento, parte attrice chiedeva rinviarsi l'udienza per la convocazione del CTU già nominato, parte convenuta, chiedeva disporsi rinvio per la precisazione delle conclusioni. Con ordinanza in data 22 settembre 2022 il giudice, lette le note di udienza depositate dalle parti, confermava la nomina del (...) già nominato con ordinanza in data 3 dicembre 2020, ponendo il seguente quesito: 1) descriva il CTU le lesioni riportate da (...) nell'incidente per cui è causa, la loro evoluzione, i trattamenti praticati e lo stato attuale delle lesioni stesse, precisando se detto stato sia suscettibile di miglioramento o di aggravamento e se il soggetto dovrà in futuro sottoporsi a cure mediche e/o ad interventi riabilitativi e/o medicochirurgici, specificandone in caso positivo natura e caratteristiche; descriva lo stato psico-fisico preesistente del soggetto onde tenerne conto nelle valutazioni elencate di seguito; 2) stabilisca se, in conseguenza delle lesioni, si sia verificata compromissione temporanea (totale e/o parziale) della validità psicofisica del soggetto, intesa come incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni e ne determini la durata, rilevando altresì se il periziando, per il periodo di invalidità temporanea, abbia avuto la necessità di assistenza personale infermieristica o comunque generica a causa del tipo di lesioni riportate; 3) stabilisca se, in conseguenza delle lesioni, sussistano esiti di compromissione permanente della validità psicofisica del soggetto (con conseguente menomazione del modo di essere della persona, del suo stato di benessere, delle consuete attività anche soltanto potenziali, non escluse quelle del tempo libero e di svago), ne quantifichi la percentuale sotto il profilo del danno biologico e dica inoltre se il soggetto medesimo abbia riportato danno estetico; 4) precisi la eventuale incidenza che tale compromissione della validità psicofisica del soggetto abbia avuto e/o abbia sulla capacità lavorativa propria del medesimo, sia temporanea che permanente, ed in riferimento sia alla capacità generica che a quella specifica eventuale; 5) precisi se e quale attività lavorativa, diversa da quella precedentemente esercitata, sia in tutto o in parte compatibile con il predetto danno permanente alla validità, tenuto conto della personalità del soggetto, della sua età e di ogni altra circostanza soggettiva e obiettiva all'uopo ritenuta utile; riferisca quant'altro ritenuto utile ai fini dell'indagine. Alla successiva udienza del 25 ottobre 2022 il giudice conferiva l'incarico al nominato CTU ed in data 22 marzo 2023 il CTU depositava l'elaborato peritale definitivo. Con ordinanza in data 27 aprile 2023 il giudice, lette le note di udienza depositate da parte attrice in data 20 aprile 2023 e da parte convenuta in data 27 aprile 2023, lette le risultanze della (...) ritenuta la causa matura per la decisione, rinviava all'udienza di precisazione delle conclusioni del 15 febbraio 2024, disponendone la trattazione ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c. con termine per note fino al giorno dell'udienza. Precisate le conclusioni delle parti con note depositate da parte attrice in data 30 gennaio 2024 e da parte convenuta in data 14 febbraio 2024, con ordinanza in data 15 febbraio 2024 il giudice, lette le note di udienza depositate dalle parti, assegnava i termini di cui all'art. 190 c.p.c. ed assumeva la causa in decisione. (...) attrice depositava comparsa conclusionale in data 11 aprile 2024 e comparsa conclusionale di replica in data 29 aprile 2024 ribadendo le proprie difese e insistendo per l'accoglimento della domanda. (...) convenuta depositava comparsa conclusionale in data 14 aprile 2024 e comparsa conclusionale di replica in data 6 maggio 2024 chiedendo il rigetto parziale della domanda e l'accoglimento delle proprie conclusioni. MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda di parte attrice è fondata e deve essere accolta. La fattispecie di causa va ricondotta nell'alveo normativo dell'art. 2052 c.c. perché il proprietario di un animale, o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito. Come per l'ipotesi di responsabilità da cose in custodia, la giurisprudenza è conforme nel ritenere che la responsabilità del proprietario di un animale sia di natura oggettiva, prescindente dalla colpa del proprietario, fondandosi sul mero rapporto intercorrente con l'animale, nonché sul nesso causale tra il comportamento di quest'ultimo e l'evento dannoso. Ne consegue, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte del danneggiato-attore del rapporto eziologico tra il comportamento dell'animale e l'evento lesivo, rimanendo a carico del convenuto fornire la prova liberatoria del caso fortuito rappresentato dall'intervento di un elemento estraneo alla sfera soggettiva del proprietario, che può consistere anche nel fatto del terzo o del danneggiato, avente carattere di imprevedibilità, inevitabilità e assoluta eccezionalità, idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra il comportamento dell'animale e l'evento lesivo, non essendo sufficiente la prova di aver usato la comune diligenza nella custodia dell'animale (Cass. n. 5895/2011; 7260/2013; Cass. n. 17091/2014; Cass. n. 10402/2016). Nel caso di specie, il fatto storico dedotto da parte attrice, rappresentato dall'aver subito, mentre passeggiava su strada pubblica, un morso alla gamba destra da parte del cane di razza pitbull di taglia media di proprietà del convenuto e della successiva caduta a terra della vittima dell'aggressione, non è mai stato oggetto di contestazione del convenuto, risultando, comunque, provato dal rapporto della (...) del 20.12.2016, il cui contenuto è stato confermato in sede testimoniale dall'agente (...) nonché dalle dichiarazioni rese agli agenti nell'immediatezza del fatto dallo stesso proprietario del cane, odierno convenuto. Si aggiunga che dal verbale di (...) risulta che l'attrice (...) presentava una ferita da morso di cane lacerocontusa escoriata con perdita di sostanza, di circa 3 centimetri, al terzo medio della gamba destra ed una escoriazione al ginocchio sinistro seguente a caduta; circostanze, queste, tutte confermate in sede testimoniale dal medico che ha redatto il Verbale di (...) Dr. (...) convenuta invoca l'intervento del caso fortuito rappresentato, a suo dire, da un gesto inconsulto della danneggiata che avrebbe provocato l'improvvisa aggressiva reazione del cane. Tuttavia, dall'istruttoria non è emersa alcuna condotta colposa rimproverabile alla danneggiata. Risulta invece accertato che il cane, sebbene legato al guinzaglio, era privo di museruola in luogo pubblico. Ciò detto, la reazione improvvisa dell'animale non può di per sé integrare gli estremi del fortuito idoneo ad interrompere il nesso causale, non potendosi ritenere che il mordere o aggredire un passante sia un evento imprevedibile ed inevitabile estraneo al rischio tipico relativo alla specie animale; infatti, l'imprevedibilità e l'inevitabilità non ricorrono nel fatto che il custode può prevenire esercitando i poteri di vigilanza che gli competono (Cass. n. 1655/2005). Pertanto, rimasto non provato il caso fortuito dedotto dal convenuto, dei danni cagionati all'attrice dall'aggressione da parte del cane, deve risponderne ai sensi dell'art.2052 c.c. il suo proprietario. In ordine all'accertamento dei danni, il nominato CTU ha accertato postumi a carattere permanente consistenti ferita della gamba destra da morso di cane, escoriazione di ginocchio sinistro da successiva caduta, trattate secondo la prassi e guarite nei tempi usuali, non più suscettibili di miglioramento o di aggravamento; tali ferite hanno determinato 10 giorni di inabilità temporanea totale e 40 giorni di inabilità temporanea parziale, senza necessità di assistenza personale infermieristica o generica, ed una compromissione permanente della validità psicofisica del soggetto, rappresentata da "sindrome da allarme ed esito cicatriziale con minimo pregiudizio estetico", valutabile nella misura del 5% , inteso come danno biologico comprensivo del danno estetico; precisa il CTU che tale compromissione non ha inciso sull'attività? lavorativa specifica e generica; riconosce il CTU la congruità delle spese sostenute per acquisto di farmaci per un importo complessivo di Euro 255,03, e spese mediche per un importo complessivo di Euro 1.118,00. Quanto alle osservazioni alla bozza peritale formulate dal CTP di parte convenuta relativamente alla presenza di eventuali comorbilità proprie dell'attrice incidenti sul tempo di guarigione della perizianda e sulla determinazione degli esiti permanenti della ferita, il CTU confermava le conclusioni raggiunte precisando che "sulla scorta dell'ecocolordoppler degli arti inferiori, eseguito dopo tre mesi dall'evento, e dell'esame obiettivo della visita eseguita in sede di operazioni peritali, il sottoscritto non ha evidenziato alterazioni pregresse del circolo artero-venoso degli arti inferiori, che possano aver avuto incidenza sui tempi di guarigione e sulla determinazione degli esiti permanenti della ferita". Le conclusioni del CTU vanno condivise, perché adeguatamente motivate ed immuni da vizi logici. Pertanto, l'esito dell'istruttoria conduce a ritenere raggiunta la prova, gravante su parte attrice ex art.2697 c.c., del verificarsi dell'evento dannoso e del nesso causale tra il comportamento del cane e le lesioni subite. Di contro, sono rimasti sforniti di prova, di cui era onerato il convenuto, l'intervento del caso fortuito e le dedotte concause nella determinazione del danno. In ordine alla liquidazione del danno, tenuto conto dei postumi permanenti accertati dal CTU (5%), trattandosi di lesioni c.d. micro-permanenti (postumi di lieve entità fino a 9%), deve farsi applicazione dei criteri fissati dall'art.139 del D.lgs. 209/2005 ((...) delle (...) private), aggiornati dal D.M. 16.10.2023. Si osserva che il danno non patrimoniale da lesione della salute ha natura unitaria ed il relativo risarcimento deve essere liquidato in una somma omnicomprensiva di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla danneggiata (all'integrità psico-fisica, dinamicorelazionale, morale, ecc.) che non costituiscono voci di danno autonomamente risarcibili ((...) Un. n. 26972/08), e della cui allegazione e prova è onerato il richiedente, non sussistendo alcuna automaticità parametrata al danno biologico (Cass. n. 339/2016). In applicazione dei richiamati criteri, considerata l'età dell'attrice al momento del sinistro (65 anni), devono essere liquidati Euro 5.110,05 per danno biologico permanente (5%), Euro 548,00 per invalidità temporanea totale (10 giorni), Euro 1.096,00. per invalidità temporanea parziale al 50% (40 giorni). Tenuto conto che il CTU ha precisato che la misura del 5% di danno biologico è comprensiva anche della alterazione comportamentale (sindrome d'allarme alla vista dei cani) e dei postumi di carattere estetico, non si ritiene di dover riconoscere la c.d. "personalizzazione" del danno in difetto di allegazione e prova di ulteriori pregiudizi eccedenti quelli normalmente correlati alle lesioni personali subite dall'attrice (Cass. n. 23469/2018). Devono riconoscersi le spese mediche documentate, come accertate dal (...) per complessivi Euro 1.373,03. (...) totale ottenuto par a Euro 8.127,05 deve essere devalutato alla data dell'evento lesivo (20.12.2016) e rivalutato con (...) ((...) indice (...), per un importo finale complessivo di Euro 8.771,19. Per tutto quanto considerato, parte convenuta deve essere condannata ex art.2052 c.c. a risarcire i danni patiti dall'attrice per l'importo complessivo di Euro 8.771,19 già rivalutato all'attualità, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo. La soccombenza di parte convenuta nel merito della domanda regola le spese di lite che vengono liquidate, nella misura media, come in dispositivo sulla base del D.M. 55/14 e successive modifiche. Le spese di (...) già liquidate con decreto in data 22 marzo 2023, vengono poste definitivamente a carico di parte convenuta che deve rifondere quanto anticipato da parte attrice. P.Q.M. Il Tribunale di (...) monocraticamente e definitivamente pronunciando nella causa n. (...)/2018, ogni diversa domanda rigettata, così provvede: - dichiara la responsabilità in capo al convenuto per i danni subiti da parte attrice; - condanna il sig. (...) al pagamento in favore della sig.ra (...) dell'importo di Euro 8.771,19 già rivalutato all'attualità, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo; - condanna il sig. (...) al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 5.077,00 per compensi, Euro 264,00 per esborsi, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore dell'Avv. (...) dichiaratasi antistataria; - pone le spese di (...) già liquidate con decreto in data 22 marzo 2023 definitivamente a carico di parte convenuta che deve rifondere quelle anticipate da parte attrice. Così deciso in Latina il 9 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PESCARA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. r.g. (...)/2021 e promossa da (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliato in (...) PESCARA, presso il difensore avv. (...) ATTORE contro (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliati in (...) PESCARA presso il difensore avv. (...) CONVENUTI CONCLUSIONI All'udienza di precisazione delle conclusioni del 7.2.204, tenuta con le modalità previste dall'art. 127 ter cpc, le parti hanno così concluso: l'attore ha chiesto che il Tribunale disponga perizia tecnica finalizzata a ricostruire la dinamica del sinistro verificatosi in (...) in data (...), procedendo al rinnovo della CTU medico-legale, disposta nel corso del presente giudizio, di cui contesta gli esiti. Nel merito, riportandosi alle richieste formulate con l'atto di citazione, ha chiesto che il tribunale, accertata la responsabilità esclusiva o comunque prevalente del conducente del veicolo (...) tg. (...) assicurato con la (...) condanni (...) e la (...) in solido tra loro, al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati, quantificati nella complessiva somma di Euro 774.485,16, già decurtata dell'importo di Euro 200.000,00 incassato dall'attore a titolo di provvisionale, ovvero al risarcimento della differente somma ritenuta di giustizia, oltre interessi, rivalutazione monetaria e maggior danno derivante da ritardato adempimento, con decorrenza dalla data del sinistro al saldo effettivo. (...) e (...) hanno chiesto che il Tribunale, previa ammissione delle richieste istruttorie e rinnovo della CTU medico-legale espletata nel presente giudizio, ammetta la CTU cinematica, finalizzata a ricostruire la dinamica del sinistro, rigettando all'esito le domande formulate dall'attore. In subordine e salvo gravame, ritenuta la prevalente e concorrente responsabilità del (...) nella causazione del sinistro, limiti l'accoglimento della domanda al danno effettivamente dovuto e dimostrato, al netto della somma già corrisposta da (...) con integrale compensazione delle spese di lite. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Con atto di citazione ritualmente notificato e depositato il (...) ha convenuto in giudizio (...) e la (...) nelle rispettive qualità di proprietario/conducente e (...) assicuratrice per la responsabilità civile della vettura (...) tg. (...) chiedendo al Tribunale di accertare la responsabilità esclusiva o concorrente del convenuto (...) nella causazione del sinistro avvenuto in (...) il giorno 3.12.2010 alle ore 19:52 circa, in corrispondenza dell'intersezione tra Via da (...) e (...) tra il veicolo del (...) ed il ciclomotore modello (...) tg (...) da lui condotto. A sostegno della domanda formulata ha dedotto che, giunto in prossimità dell'intersezione con la Via da (...) di (...) posta alla sua destra, era stato travolto dal veicolo (...) tg. (...) che, provenendo dalla direzione opposta, nell'effettuare la manovra di svolta a sinistra verso Via da (...) aveva imboccato contromano la suddetta strada, omettendo di dare la precedenza al ciclomotore, che proveniva nel senso contrario. Ha quantificato i danni patrimoniali e non patrimoniali da lui subiti nella somma di Euro 774.485,16, già decurtata dell'importo di Euro 200.000,00 versato a titolo di provvisionale dalla (...) ovvero nella somma maggiore o minore ritenuta di giustizia. Ha allegato la sentenza n. (...)/2014 emessa dal Giudice di (...) di (...) in data (...) nel procedimento penale n. (...)/2011 RGnr, che aveva attribuito la responsabilità del sinistro avvenuto in data (...) all'imputato (...) nella misura dei 2/3 e per la quota residua all'attore, condannando l'imputato e la (...) citata come responsabile civile, al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede (...)suo favore una provvisionale dell'importo di Euro 200.000,00. 2. Con comparsa depositata il (...) si sono costituiti i convenuti evidenziando che l'attore, con querela del 2/03/2011 (v. doc. n. 5 fasc. attore) aveva denunciato che il sinistro era avvenuto il 3 dicembre 2010 alle 19,45 circa in (...) n. 72 km 963, mentre spingeva a piedi il ciclomotore di sua proprietà. Successivamente, in sede di costituzione come parte civile nel procedimento penale iscritto al (...) n. 464/2011 davanti al Giudice di pace di (...) aveva dedotto che, al momento del fatto, si trovava alla guida del ciclomotore. In sede di esame dibattimentale, reso davanti al Giudice di (...) di (...) nella duplice veste di teste e persona offesa costituita parte civile, (...) aveva dichiarato che, al momento dell'incidente, conduceva a mano sul proprio fianco destro il ciclomotore, in quanto privo di carburante, aggiungendo che il motorino, essendo spento, aveva anche le luci spente e che, conducendo a piedi il mezzo non indossava il casco. Con sentenza penale n. (...)/2014 emessa all'udienza del 12.6.2014, il Giudice di pace di (...) sulla base delle lesioni riportate dal (...) e dei danni rilevati sui mezzi coinvolti nel sinistro, aveva ritenuto che l'attore, al momento del fatto, si trovasse alla guida del motociclo. Considerato che il motociclo procedeva a fari spenti, a velocità non commisurata allo stato dei luoghi e che il (...) era privo di casco, aveva attribuito il sinistro nella misura di 2/3 all'imputato e per la quota residua alla parte civile. La sentenza, impugnata dal (...) era stata confermata dal Tribunale di Pescara e dalla Corte di Cassazione. 3. All'esito della fase di trattazione ed istruttoria, nel corso della quale è stata parzialmente ammessa la prova per interrogatorio e testi capitolata dalle parti e disposta CTU medico legale, finalizzata ad accertare la sussistenza di un aggravamento delle lesioni riportate dal (...) rispetto a quelle già esaminate dal perito nella relazione redatta in data (...) nel procedimento penale n. (...)/11 (...) la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 7/02/2024, nella quale è stata riservata per la decisione, con assegnazione alle parti dei termini previsti dall'art, 190 c.p.c. ******** A. Sulla rilevanza, nel presente giudizio civile, della sentenza penale allegata dalle parti. a.1 Il convenuto (...) e la compagnia di assicurazioni (...) sono stati citati rispettivamente come imputato e responsabile civile nel giudizio penale conclusosi con sentenza di condanna n. (...)/2014 emessa dal Giudice di (...) di (...) in data (...), impugnata dalla parte civile e confermata nei successivi gradi di giudizio dal Tribunale di Pescara e dalla Corte di Cassazione. a.2 Con riguardo alla rilevanza, nel presente giudizio, della sentenza penale allegata dalle parti, va precisato che, nel successivo giudizio civile, risarcitorio e restitutorio il giudicato penale copre, ex art. 651 cpp, solo la condotta del condannato e non anche il fatto commesso dalla persona offesa, pur costituita parte civile, anche se l'accertamento della responsabilità abbia richiesto la valutazione della correlata condotta della vittima ((...) civ. 3, n. 1665 del 29/01/2016). In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione promosso dalla parte civile, volto a censurare l'accertamento del giudice di merito in ordine al concorso di colpa della vittima nella determinazione causale dell'evento, trattandosi di accertamento che non ha efficacia di giudicato nell'eventuale giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento del danno (Cassazione penale sez. IV, 20/03/2019, n.17219). B. Sulle prove raccolte in sede penale ed allegate dalle parti b.1 Il giudice civile, chiamato a pronunciarsi su una richiesta di risarcimento del danno da reato, deve quindi procedere, autonomamente, a valutare la sussistenza di una eventuale concorrente responsabilità della persona offesa, senza essere vincolato dalla decisione assunta dal giudice penale. Può comunque legittimamente utilizzare, come fonte probatoria, le prove raccolte nel processo penale, purché acquisite con le garanzie di legge e basare la sua decisione anche su tali elementi e circostanze (Cassazione civile sez. III, 25/01/2024, n.2426). Nell'ordinamento processualcivilistico manca infatti una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, per cui è consentito al Giudice civile porre alla base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico con altre risultanze del processo (Cass. civ. 25 marzo 2004, n. 5965). (...)à delle prove è infatti categoria del solo rito penale, ignota al processo civile e le prove precostituite, quali gli stessi documenti provenienti da un giudizio penale, entrano legittimamente nel processo attraverso la produzione e nella decisione in virtù di un'operazione logico-giuridica (Cass. civ. 12 giugno 2019, n. 15859). b.2 (...) della dinamica del sinistro può essere quindi validamente effettuato sulla base della documentazione depositata da parte attrice, che ha allegato copia della sentenza penale del Giudice di pace di (...) copia delle sentenze emesse nei successivi gradi di giudizio, dal Tribunale di Pescara e dalla Corte di Cassazione, copia del verbale redatto dai (...) di (...) che avevano effettuato i rilievi e copia dei verbali delle dichiarazioni rese dai testi escussi davanti al Giudice di pace di (...) che aveva esaminato l'attore, costituito come parte civile ed i verbalizzanti che avevano effettuato i rilievi del sinistro. C. Sulla ricostruzione della dinamica del sinistro c.1 Assume l'attore che il (...), alle ore 19:52 mentre percorreva la (...) n. 72 Km 963, con direzione di marcia (...) a bordo del ciclomotore modello (...) tg (...) era stato investito dal veicolo (...) tg. (...) di proprietà e condotto dal convenuto (...) che, svoltando a sinistra, aveva invaso la corsia di pertinenza dell'attore. Considerato che, come sopra evidenziato, la sentenza penale emessa dal Giudice di pace di (...) che aveva accertato la condotta di guida dell'imputato (...) odierno convenuto, non è idonea ad accertare, con efficacia di giudicato, anche la condotta del (...) va evidenziato che tale accertamento è, nel caso in esame, irrimediabilmente compromesso proprio dalle dichiarazioni rese dall'attore. Questi, con querela da lui sottoscritta e datata 2.3. (v. doc. n. 5 fasc. attore) aveva dichiarato che, al momento del fatto, spingeva a piedi il ciclomotore di sua proprietà, non funzionante. In sede di costituzione di parte civile depositata nel procedimento penale iscritto al (...) n. 464/2011 davanti al Giudice di pace di (...) aveva genericamente dichiarato che il ciclomotore era da lui condotto al momento del fatto (cfr doc. 6). Sentito in sede di esame dal Giudice di (...) di (...) nella duplice veste di teste e persona offesa costituita parte civile, (...) aveva dichiarato che, al momento dell'incidente, conduceva a mano, sul proprio fianco destro il ciclomotore privo di carburante, aggiungendo che il motorino, essendo spento, aveva anche le luci spente e che, conducendo a piedi il mezzo non indossava il casco. Nel presente giudizio l'attore ha genericamente dichiarato che, al momento del fatto, stava percorrendo la (...) n. 72 Km 963, con direzione di marcia (...) (monti - mare) con il ciclomotore modello (...) tg (...) senza specificare se portasse a mano il veicolo spento oppure viaggiasse a bordo del veicolo in moto. (...) del ciclomotore come veicolo circolante ovvero come veicolo spento, condotto a mano, assume rilevanza dirimente nella ricostruzione del sinistro, in quanto se l'attore era a bordo del veicolo circolante con direzione (...) il convenuto che procedeva nell'opposto senso di marcia, prima di svoltare a sinistra, era tenuto a dare la precedenza al ciclomotore. Se invece l'attore conduceva a mano il veicolo spento, doveva comportarsi come un pendone ed attraversare l'incrocio, privo di strisce pedonali (cfr doc. 19 e fotografie del teatro del sinistro allegate alla perizia redatta dall'ing. (...) dando la precedenza a tutti i veicoli in transito, quindi nel caso di specie anche al (...) così come previsto dall'art. 190 comma 5 CdS. c.2 Sulla base dei rilevanti danni riportati da entrambi i veicoli coinvolti nel sinistro e delle gravi lesioni subite dall'attore, rinvenuto a circa 7 metri dal punto d'urto, sul lato opposto rispetto alla vettura del (...) il Giudice di pace di (...) aveva ritenuto che il (...) procedesse a bordo del ciclomotore e che, approssimandosi all'incrocio avesse tenuto una velocità non commisurata allo stato dei luoghi. Aveva inoltre evidenziato che la frattura, riportata dal (...) all'arto inferiore destro, non era compatibile con la versione che vedeva il medesimo condurre a mano lo scooter sul lato destro. Tale ricostruzione dei fatti, già condivisa dal Tribunale e dalla Corte di Cassazione, risulta certamente la più verosimile, in quanto riscontrata sulla base di dati oggettivi, quali l'entità dei danni riportati dai veicoli coinvolti nel sinistro, l'entità delle lesioni subite dall'attore ed il luogo nel quale questi era stato rinvenuto. È infatti evidente che se (...) conduceva a mano il motociclo non poteva essere sbalzato oltre la vettura, a distanza di sette metri dal punto d'impatto. c.3 Accertato che, al momento del fatto l'attore viaggiava a bordo del ciclomotore, si può quindi procedere all'accertamento della condotta di guida del medesimo sulla base dei criteri dettati dall'art. 2054 cc. Ai sensi della norma citata, l'accertamento dell'intervenuta violazione, da parte di uno dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro, dell'obbligo di dare la precedenza, non dispensa il giudice dal verificare il comportamento dell'altro conducente, onde stabilire se quest'ultimo abbia a sua volta violato o meno le norme sulla circolazione stradale ed i normali precetti di prudenza, potendo l'eventuale inosservanza di dette norme comportare l'affermazione di una colpa concorrente. Il conducente che invoca la responsabilità esclusiva dell'altra parte, nella causazione del sinistro, deve infatti vincere la presunzione di pari responsabilità di cui all'art. 2054 comma II c.c. e fornire la prova dell'esatta dinamica dell'incidente, della riconducibilità eziologica dello stesso ad una colpa esclusiva dell'altro conducente e della piena conformità della propria condotta alle norme cautelari comuni e specifiche (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 124 del 08/01/2016). (...) violazione, da parte del (...) dell'obbligo di dare la precedenza e la condotta di guida del (...) che, in prossimità di un incrocio, procedeva a velocità sostenuta e a luci spente, consente di attribuire al convenuto una maggiore percentuale di responsabilità, quantificata nella misura di 2/3, con attribuzione all'attore della percentuale residua. Trattasi di valutazione complessiva che, alla luce delle contraddizioni evidenziante nella ricostruzione del fatto da parte dell'attore, non verrebbe sostanzialmente modificata nell'ipotesi in cui fosse possibile accertare che il convenuto aveva svoltato a sinistra, impegnando l'incrocio senza portarsi prima al centro dell'intersezione. Trattasi infatti di manovra che, valutata alla luce della condotta di guida dell'attore, ben poteva essere stata attuata dal (...) proprio allo scopo di evitare la collisione con il motociclo, che procedeva a fari spenti, nell'opposto senso di marcia. Sulla base dell'accertato il grado di corresponsabilità dell'attore nella causazione del sinistro, si può passare ad esaminare l'entità dei danni riportati dall'attore. D. Sugli accertamenti svolti dal CTU d.1 Dall'esame degli atti risulta che l'attore, a seguito del sinistro stradale verificatosi in data (...), aveva riportato lesioni per le quali era stato soccorso e accompagnato al P.O. di (...) e da qui trasferito presso la U.O. di Rianimazione del P.O. di Pescara per "stato di coma profondo in politrauma severo". In data (...) era stato trasferito presso l'(...) di riabilitazione ospedaliera (...) di (...) dove era rimasto degente fino al 21/02/2011, per poi continuare la riabilitazione presso il proprio domicilio. La diagnosi definitiva era stata "(...) di trauma cranico con ematoma subdurale cerebellare bilaterale ed ematoma epidurale frontale sinistro. Frattura biossea gamba destra trattata con fissatore esterno. Frattura branca ischio-pubica destra. Frattura polso sinistro trattata con osteosintesi. Neuropatia del nervo ulnare sinistro. Pregressa cannula tracheostomica. Granulomi tracheali trattati con laserbroncoscopia. Pregresso intervento di rimozione di fili di (...) al polso sinistro e di fissatori esterni alla gamba destra". d.2 Al CTU, dott. (...) già nominato come perito dal Giudice di (...) di (...) è stato chiesto di accertare l'esistenza di un eventuale aggravamento delle lesioni riportate dal DI (...) rispetto all'accertamento compiuto dal perito in data (...) precisando, laddove possibile, se ed in quale misura, le lesioni riportate dall'attore erano state determinate anche dall'omesso utilizzo del casco di protezione. Il CTU, considerato che le lesioni riportate dal (...) a seguito del sinistro per cui è causa, sono rappresentate da: "(...) di trauma cranico con ematoma subdurale cerebellare bilaterale e ematoma epidurale frontale sinistro. Frattura biossea della gamba destra trattata con fissatore esterno. Frattura della branca ischio-pubica destra. Frattura del polso sinistro trattata con osteosintesi. Neuropatia del nervo ulnare sinistra. Pregressa cannula tracheostomica. Granulomi tracheali trattati con laser - broncoscopia. Pregresso intervento di rimozione di filo di (...) al polso sinistro e dei fissatori esterni alla gamba destra", aveva evidenziato che la guarigione clinica era intervenuta con rilevanti menomazioni di natura permanente, a carico di numerosi e vari organi funzionali. All'esito dell'esame del periziando, aveva accertato che i principali organi ed apparati interni non mostravano alterazioni significative sul piano clinico, mentre l'esame dettagliato dei distretti corporei, oggetto di lesioni, consentiva di rilevare una cicatrice chirurgica, rotondeggiante lunga cm 2, in esito a tracheostomia in regione giugulare. Piccola area cicatriziale quadrangolare di cm 1,5 (...) 1,5 in medio torace bilateralmente, lato esterno e obiettività toraco-polmonare negativa. (...) del sistema nervoso centrale non mostrava significativa alterazione a focolaio, mentre erano evidenti disturbi del coordinamento alla prova indice naso e calcagno-ginocchio. (...) saggiato in (...) dava luogo ad oscillazioni pluridirezionali del tronco con tendenza alla caduta posteriore, che miglioravano tuttavia all'apertura degli occhi. (...) psichico faceva rilevare la presenza di un'amnesia perilesionale con persistenza di deficit della memoria recente e un apprezzabile rallentamento ideativo. (...) dell'apparato locomotore mostrava un rachide in asse con spiccata spinalgia pressoria al segmento cervicale, dove i movimenti risultavano rigidi, dolenti e limitati globalmente di un terzo su tutte le direzioni. (...) temporomandibolare destra risultava dolente alla mobilizzazione, che evocava scrosci in chiusura. (...) dell'arto superiore sinistro in destrimane consentiva di rilevare la presenza di una cicatrice chirurgica, ben riparata, lunga cm 5, in regione carpale, lato palmare. Altra cicatrice chirurgica, lunga cm 5, era presente sul lato dorsale della mano, a decorso longitudinale e ubicata tra il III e IV raggio metatarsale. I movimenti dell'articolazione del polso sinistro risultavano così limitati: la flessione era consentita per 30 mentre l'estensione risultava possibile per solo 5; la flessione ulnare e radiale risultavano anch'esse possibili per solo pochi gradi. Normale la pronosupinazione. La mano sinistra presentava una muscolatura evidentemente ipotrofica e ipotonica con riduzione volumetrica rispetto alla mano controlaterale e deficit perimetrico di cm 2 al metacarpo. La cute si presentava fredda al termotatto con ipoestesia diffusa. La forza prensile era significativamente ridotta così come la formazione del pugno. (...) dell'arto inferiore destro consentiva di rilevare un accorciamento di cm 2 rispetto all'arto controlaterale. Soddisfacente il trofismo muscolare mentre vi era una ipoestesia sulla regione laterale della gamba e a livello della caviglia. Rilevava la presenza di varie cicatrici rappresentate da cicatrice stellata sulla regione malleolare laterale con diametri massimi di cm (...), area cicatriziale di cm 7(...)5 sul lato esterno, III medio della gamba, altra cicatrice di cm 2(...)2 presente sul lato mediale III medio della gamba, cicatrice lunga cm 6 sulla coscia destra, III inferiore, lateralmente. Non erano state rilevati cicatrici a livello del cranio che, ove presenti, risultavano del tutto ricoperte dai capelli e pertanto non visibili. (...) del ginocchio destro si presentava asciutta, mobile ma con flessione limitata di circa un quinto, estensione completa. La caviglia destra risultava dolente alla mobilizzazione limitata di circa un quarto, con tonotrofismo muscolare in ordine rispetto all'arto controlaterale. Il restante apparato locomotore risultava indenne, mentre la deambulazione si svolgeva con lieve zoppìa. Le lesioni come sopra descritte avevano comportato per il periziando i seguenti effetti: i) sindrome neurologica deficitaria, in esito agli ematomi cerebrali plurimi (subdurale, cerebellare bilaterale ed epidurale frontale sinistro) e al prolungato stato di coma, caratterizzato da amnesia perilesionale, disturbi della memoria e del sonno, cefalea, vertigini, deficit del coordinamento motorio e rallentamento ideativo; ii) deficit funzionale del polso e dell'articolazione della mano sinistra, in destrimane, in esiti delle lesioni fratturative ossee (frattura dello scafoide trattata chirurgicamente) e riconducibili alle lesioni del nervo ulnare con ipotonotrofia muscolare e associati disturbi sensitivomotori; iii) esiti di frattura biossea della gamba destra con accorciamento dell'arto, ipoanestesia a livello della gamba, numerosi esiti cicatriziali discromici e modesto deficit funzionale delle articolazioni del ginocchio e della caviglia omolaterale; iv) esiti algico-disfunzionali della frattura ischio-pubica; v) postumi del trauma distorsivo cervicale e dell'articolazione temporo-mandibolare destra riconducibili al trauma facciale destro. Il danno biologico permanente complessivo, riconducibile alle menomazioni come sopra descritte, è stato ritenuto dal CTU sostanzialmente sovrapponibile a quello già accertato con relazione peritale del 04/03/2013 versata in atti, ancorché rivalutato secondo le indicazioni fornite dalla (...) intervenute in epoca successiva (2016). Tenuto conto dei plurimi danni accertati, il perito aveva valutato nella percentuale del 45% la riduzione dell'integrità psicofisica riportata dal (...) a seguito del sinistro stradale del 3.12.2010 Considerato il prolungato periodo di cure e riabilitazione aveva quantificato l'inabilità temporanea totale in mesi 6, l'inabilità temporanea parziale al 75% in mesi 3 e l'inabilità temporanea parziale al 50% in mesi 3. (...) del danno biologico sulla capacità lavorativa specifica era stata stimata nella misura del 20%. d.3 In relazione all'omesso utilizzo del casco di protezione, considerato che il (...) all'esito dell'investimento, era stato proiettato a distanza di quasi 7 metri dal punto d'urto, il CTU aveva evidenziato che l'utilizzo di un casco protettivo, regolarmente indossato, poteva contenere e limitare le lesioni a livello del cranio, ferme restando le menomazioni riportate alle restanti parti del corpo, ivi comprese quelle di natura neurologica periferica (lesione del nervo ulnare). Con riferimento al danno di esclusiva origine cerebrale, stimabile percentualmente e singolarmente, sempre sulla base delle indicazioni fornite dalla (...) nella misura di circa il 20%, in termini di riduzione della integrità psico fisica, evidenziava che non era possibile stabilire con certezza in quale misura le lesioni neurologiche centrali potevano essere state determinate anche dall'omesso utilizzo del casco di protezione. La dinamica cruenta del sinistro, gli ingenti danni materiali riportati da entrambi i veicoli coinvolti, le multiple e gravi lesioni fratturative contusive distribuite sul capo, sul tronco e sui quattro arti lasciavano supporre, con alto grado di probabilità scientifica, che il danno alle strutture cerebrali centrali si sarebbe comunque determinato. In tale contesto, considerato che non erano state rilevate lesioni fratturative della calotta cranica, l'uso del casco di protezione avrebbe potuto, al massimo, attutire l'impatto lesivo. Richiamate le (...) guida per la valutazione medico-legale del danno alla persona in ambito civilistico fornite dalla (...) aveva ritenuto, in termini esclusivamente probabilistici (nel senso del più probabile che non) che l'utilizzo del casco di protezione cranica, regolarmente indossato, poteva ridurre di almeno un terzo l'incidenza menomativa delle lesioni cerebrali (ematoma subdurale cerebellare bilaterale ed ematoma epidurale frontale sinistro) di natura contusiva/concussiva, che si erano prodotte con meccanismo traumatico derivante da un urto frontale e successivo contraccolpo nucale del cranio, con conseguente riduzione del danno neurologico derivante dalle lesioni di natura cerebrale nella misura di circa il 13%. d.4 Ritenute le valutazioni effettuate dal CTU pienamente condivisibili, in quanto esposte con rigore logico ed all'esito di un attento esame della documentazione sanitaria in atti e delle attuali condizioni psicofisiche del (...) valutata l'adeguatezza delle risposte formulate dal CTU ai rilievi svolti dal (...) considerato che l'omesso corretto uso di un casco protettivo omologato, da parte del conducente infortunato in un incidente stradale è idoneo, salva prova rigorosa del contrario, rispettosa delle leggi della medicina, a contribuire alle modalità di accadimento dell'evento lesivo, il danno biologico permanente riportato dall'attore può essere ragionevolmente rivalutato, nella misura complessiva del 40%, incidente sulla capacità lavorativa specifica nella misura di circa il 17% - 18%. Resta invariata la quantificazione dell'invalidità temporanea, come sopra determinata. E. Sull'importo del danno non patrimoniale riportato dall'attore e.1 Sulla base degli accertamenti svolti dal (...) si può quindi procedere alla quantificazione del danno non patrimoniale riportato dall'attore. Considerata la tipologia del danno, vanno applicate le (...) di (...) vigenti che, nell'ultima edizione del 2021, prevedono da un lato una liquidazione del danno non patrimoniale conseguente a "lesione permanente dell'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico legale nei suoi risvolti anatomo-funzionali e relazionali medi ovvero peculiari", dall'altro una liquidazione del "danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termine di dolore, sofferenza soggettiva in via di presunzione in riferimento ad un dato tipo di lesione". e.2 Tenuto conto dell'età dell'attore nel momento in cui l'invalidità temporanea (della durata complessiva di 12 mesi) si è cronicizzata in invalidità permanente (21 anni circa) per il principio per cui "nella liquidazione del danno biologico permanente occorre fare riferimento all'età della vittima non al momento del sinistro, ma a quello di cessazione dell'invalidità temporanea, perché solo a partire da tale momento, con il consolidamento dei postumi, quel danno può dirsi venuto ad esistenza", (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10303 del 21/06/2012) il danno non patrimoniale permanente in questione, accertato nella percentuale del 40%, è pari alla somma tabellare di Euro 288.265,00 già all'attualità, di cui Euro 192.177,00 per danno biologico ed Euro 96.088,00 per danno morale, spettante nel caso di specie, considerata la gravità e la pluralità dei distretti interessati dalle lesioni, il lungo periodo di riabilitazione ospedaliera durante il quale l'attore era stato degente presso l'(...) di (...) protrattosi fino al 21/02/2011 e la successiva riabilitazione domiciliare. Non sussistono invece i presupposti per una personalizzazione del danno come sopra liquidato, non essendo stata dimostrata dall'attore l'esistenza di circostanze particolari, tali da giustificare la liquidazione di un danno maggiore rispetto a quello come sopra liquidato. Lo svolgimento di attività amatoriali quali il calcetto o le arti marziali, effettuate dall'attore prima del sinistro, genericamente confermato dal teste (...) sentito all'udienza del 22.4.2022, non ha infatti trovato riscontro in alcuna documentazione comprovante l'iscrizione dell'attore a palestre o corsi sportivi. Premesso che, in relazione al calcetto e alle arti marziali, nessuna documentazione fotografica di allenamenti, partite o tornei, organizzati a livello amatoriale, è stata allegata dall'attore, va segnalato che, l'esame delle fotografie pubblicate dall'attore sul proprio profilo facebook, in epoca successiva al sinistro, mostrano l'immagine di un giovane sorridente, in grado di indossare pattini da ghiaccio e montare su un cavallo (cfr doc. depositata da parte convenuta). e.3 Considerato che, per l'invalidità temporanea totale, le (...) prevedono una forbice di valori monetari che va da un minimo di Euro. 99,00 ad un massimo di Euro. 149,00 al giorno, all'attore spetta il ristoro del danno non patrimoniale temporaneo riportato in conseguenza delle lesioni subite, determinato nel complessivo importo di Euro 29.250,00, considerato come punto base quello di Euro 100,00 per ogni giorno di invalidità totale, applicandola in percentuale ai successivi giorni di invalidità temporanea. Il danno non patrimoniale complessivamente riportato dall'attore, in conseguenza del sinistro, è quindi pari ad Euro 317.515,00 (288.265,00+ 29.500,00). F. Sull'importo del danno patrimoniale riportato dall'attore f.1 Non è contestato che l'attore, al momento del sinistro, prestasse attività lavorativa coadiuvando il gestore di un bar. Nessuna documentazione reddituale è stata dal medesimo depositata in relazione a tale attività, probabilmente non remunerata. (...) ha dimostrato che, a decorrere dal 30.09.2011, previo superamento del corso di formazione iniziale di cui all'art. 9, comma I del D.P.R. 6 febbraio 2004 n. 76, era stato ammesso nell'elenco del personale volontario del (...) dei (...) del (...) di (...) (cfr doc. n. 25). Assume l'attore che, a causa delle lesioni riportate a seguito del sinistro, non essendo in possesso dei requisiti di cui alla tabella A del DPR n. 76/04, non aveva potuto partecipare al corso di formazione, il cui superamento gli avrebbe consentito l'impiego effettivo nel (...) dei (...) del (...) Va al riguardo precisato che la perdita di chance (...) si sostanziata nella privazione della possibilità di conseguire risultati patrimoniali vantaggiosi e costituisce un danno patrimoniale risarcibile (Cass. sent. n. 22376/2012; n. 14820/2007; n. 12243/2007; n. 11322/2003; n. 682/2001; n. 8468/2000; n. 6906/2000). Deve però trattarsi di un danno certo (anche se non nel suo ammontare) consistente non in un lucro cessante bensì nel danno emergente da perdita di possibilità attuale e non di un futuro risultato. Detto altrimenti, la chance è anche essa un bene patrimoniale, un'entità giuridicamente a sé stante ed economicamente valutabile che rivendica una propria autonomia, la cui perdita produce un danno attuale risarcibile, purché ne sia provata la sussistenza anche secondo un calcolo di probabilità e presunzione. La chance è quindi un'attitudine attuale del soggetto e non futura, costituendo economicamente una componente già acquisita al patrimonio del danneggiato. Ai fini della risarcibilità del danno da perdita di chance non occorre che l'avente diritto offra la prova del sicuro conseguimento dell'utilità finale perduta, ma è sufficiente che egli fornisca dimostrazione di taluni segmenti della fattispecie che l'avrebbero posto in condizione di realizzare la situazione giuridica di vantaggio, mentre il grado di probabilità del suo pieno conseguimento incide sulla percentuale delle chances di successo; in altri termini sul danno risarcibile. Quanto più la percentuale di consecuzione sarà prossima al 100%, tanto più il danno risarcibile si avvicinerà all'ammontare stimato dell'utilità finale. Per converso, quanto più esigua risulterà quella percentuale, tanto più il danno risarcito si discosterà dal bene della vita cui si aspirava finanche, in ipotesi, ad escludere in toto la risarcibilità qualora fosse accertato la prossimità a zero della percentuale di consecuzione dell'effetto favorevole e, quindi, la completa inattitudine del segmento di fattispecie realizzato a far conseguire il risultato sperato (cfr., in motivazione, Cass. n. 23846/2008; sent. n. 13241/2006). (...), che ha allegato il provvedimento con il quale era stato ammesso al corso di formazione iniziale, di cui all'art. 9, comma I del D.P.R. 6 febbraio 2004 n. 76, per l'ammissione nell'elenco del personale volontario del (...) dei (...) del (...) di (...) ha omesso di indicare e provare la sussistenza dei titoli e dei requisiti morali, psico-fisici ed attitudinali prescritti per la partecipazione al corso di formazione, il cui superamento gli avrebbe consentito di aspirare all'impiego effettivo nel (...) dei (...) del (...) Non ha neppure indicato il numero dei posti messi a concorso ed il numero dei partecipanti effettivi al corso di formazione. Trattasi di omissioni che impediscono di formulare una qualsivoglia prognosi favorevole sulle effettive possibilità di assunzione dell'attore nel (...) dei (...) del (...) f.2 (...), che al momento del sinistro non era titolare di attività di lavoro retribuita e che non ha prodotto documentazione reddituale recente, sentito all'udienza del 12.1.2022 ha dichiarato di prestare lavoro da casa, con il computer, per una compagnia che si chiama (...) facendo assistenza ai clienti. Il danno patrimoniale, conseguente la riduzione della capacità lavorativa specifica dell'attore, andrà quindi determinato utilizzando il criterio residuale del triplo della pensione sociale (Cassazione civile sez. III, 13/06/2023). Rilevato che il CTU ha quantificato nella misura del 17-18% la riduzione della capacità lavorativa specifica, per la capitalizzazione di tale tipologia di danno si ritiene opportuno adottare le vigenti tabelle elaborate dal Tribunale di (...) per la capitalizzazione anticipata di una rendita, visibili sul sito https://ius.giuffrefl.it/dettaglio/10473970/capitalizzazione-anticipata-di-una-rendita-milano-2023-i- nuovi-criteri-elaborati-dallosservatorio-sulla-giustizia-civile-di-milano, da ritenersi senza dubbio più adeguate del R.D. 1403/22 adottato in precedenza. Esaminata la nuova tabella di capitalizzazione del Tribunale di (...) relativa ai maschi in cui, nella prima colonna (quella in giallo) è riportata l'età dell'infortunato, si individua la riga dei 20 anni e si scorre sulla stessa fino a rinvenire la colonna n. (...) (l'arco temporale selezionato va dai 20 fino all'età pensionabile che si assume pari a 67 anni). Nell'incrocio tra le due colonne vi è un numero (il c.d. coefficiente moltiplicativo) che, nel caso in esame è 56,67, che va moltiplicato per il reddito fiscale annuale del soggetto all'epoca del sinistro, in questo caso pari al triplo della pensione sociale per l'anno 2024 che è di Euro 534,41, da moltiplicare per 13 mesi. Il parametro del triplo porta l'importo annuale di Euro 6.947,33 a un totale di Euro 20.841,99 che va moltiplicato per il coefficiente del 56,67, proprio di un ventenne che, astrattamente, dovrebbe lavorare per altri 47 anni fino all'età della pensione che si assume a 67 anni. Sull'importo così calcolato di Euro 1.181.115,57 va applicata la percentuale di riduzione della capacità lavorativa, pari al 18%, pervenendosi ad un importo finale già rivalutato di Euro 212.600,80. G. Sul quantum debeatur g.1 Accertato che il danno non patrimoniale riportato dall'attore è pari ad Euro 317.515,00 e che il danno patrimoniale come sopra calcolato è pari ad 212.600,80, sull'importo complessivo del danno, pari ad Euro 530.115,80 va applicata la riduzione di 1/3 considerata la percentuale di responsabilità attribuita all'attore. g.2 Dall'importo finale così determinato nella misura di Euro 353.(...),53 va detratto l'acconto di Euro 200.000,00 già versato da (...) in data antecedente all'8.7.2013 pari oggi (a seguito della relativa rivalutazione (...) ad Euro. 238.600,00. È infatti noto che la liquidazione del danno extracontrattuale, che dev'essere effettuata con riferimento alla data della sentenza, quando deve tener conto degli acconti versati anteriormente dal danneggiante o dal responsabile civile, dev'essere compiuta sottraendo questi importi in maniera che i termini del calcolo siano omogenei. Ciò si può conseguire sottraendo gli acconti dal valore del danno al momento del versamento degli stessi acconti oppure rivalutando l'importo degli acconti alla data della liquidazione finale del danno (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16726 del 17/07/2009; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16448 del 15/07/2009; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17743 del 03/09/2005; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2074 del 10/03/1999). La somma risarcitoria attribuibile all'attore a titolo di danno patrimoniale e non patrimoniale è quindi pari ad Euro 114.810,53 (353.(...),53 - 238.600,00) alla quale devono aggiungersi, a titolo di danno da ritardo ed in misura equitativa, gli interessi legali tempo per tempo vigenti, sulla somma via via devalutata e rivalutata dal 3/12/2011 (approssimativa epoca in cui il danno non patrimoniale temporaneo, traducendosi in danno permanente, ha fatto maturare in capo all'attore gran parte del credito risarcitorio qui riconosciuto) sino alla data odierna (cfr. ex multis (...) della Cassazione n.1712/95, Cass. N. 608/2003; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5671 del 09/03/2010; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 9194 del 19/05/2020). g.3 Sulla somma finale di cui sopra spetteranno, dalla data di pubblicazione della presente sentenza al saldo, gli interessi corrispettivi al tasso legale ai sensi dell'art. 1282 c.c., in quanto somma convertitasi in debito di valuta (cfr. in tal senso ex multis Cass. Sent. 22 giugno 2004 n. 11594; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9711 del 21/05/2004). H. Sulla liquidazione delle spese h.1 (...) corresponsabilità dell'attore e l'ammontare del danno liquidato ante causam dalla (...) di assicurazione, giustificano la parziale compensazione delle spese di lite che, liquidate come in dispositivo sulla base del valore della causa come sopra accertato, amentato in considerazione del numero delle parti, vanno compensate nella misura del 50% e poste per la quota residua a carico dei convenuti, in solido. Spese da distrarsi in favore del difensore, dichiaratosi antistatario. h.2 Per le medesime ragioni le spese di (...) liquidate come da separato decreto, vanno poste nella misura del 50 % a carico dell'attore e per la quota residua a carico dei convenuti, in solido tra loro, con conseguente diritto agli eventuali conguagli. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al R.G. n. (...)/2021, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, (...) che il complessivo danno patrimoniale e non patrimoniale risarcibile in favore di (...) quale conseguenza del sinistro avvenuto in data (...), già decurtato della quota di responsabilità a lui attribuita e dell'acconto ricevuto in corso di causa è pari ad Euro.114.810,53 calcolato all'attualità, oltre accessori, (...) e la (...) in solido tra loro, a versare all'attore a titolo risarcitorio la somma di Euro.114.810,53 già all'attualità, oltre (a titolo di danno da ritardo) gli interessi legali tempo per tempo vigenti, sulla somma via via devalutata e rivalutata dal 3/12/2011 sino alla data odierna, oltre interessi legali sulla somma complessiva così come determinata, dalla data della pubblicazione della presente sentenza al saldo effettivo. (...) e la (...) alla rifusione delle spese sostenute dall'attore che, previa compensazione nella misura del 50%, liquida nel residuo in Euro 1.512,00 per l'attivazione e la fase di negoziazione, in Euro 856,50 per esborsi ed in Euro 9.166,95 per onorari, oltre spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.A.P. come per legge. Spese da distrarsi in favore del difensore, dichiaratosi antistatario. PONE le spese di (...) liquidate come da separato decreto, nella misura del 50% a carico dell'attore e per la quota residua a carico dei convenuti in solido. Così deciso in Pescara il 6 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 6 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA In composizione monocratica Sezione XIII Civile in persona del giudice monocratico, dott.ssa Ornella Baiocco, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile, iscritta al nr. 53680/2018 del ruolo generale affari contenziosi dell'anno 2018 promossa da Ba.Ba. (C.F. (...)), nata a R. ed ivi residente in Via V. Ba. 101, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente fra loro, dagli avv.ti Ma.Ta. (c.f. (...)) e Ma.Pa. (c.f. (...)), giusta procura alle liti rilasciata, su foglio separato, in calce all' atto di citazione ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo sito in Roma Viale (...) -Attrice- Contro AVV. To.Fe. (C.F. (...)), nato a R. il (...), rappresentato e difeso da sé medesimo ex art. 86 c.p.c. nonché AVV. Sa.Ma. (C.F. (...)) rappresentata e difesa da sé medesimo ex art. 86 c.p.c. nonché dall'avv. To.Fe., nato a R. il (...), (c.f.: (...)) ed elettivamente domiciliati presso il loro studio, sito in Roma alla via (...), giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta - Convenuti- Nonché Hc. PLC, (C.F. e P.I. (...)) con sede in L. (G.B.), A. n. 1, in persona del Dottor Cr.Ka., nato a P. il (...), in qualità di preposto della Sede Secondaria in Italia e Rappresentanza Generale per l'Italia, domiciliata in M., Via (...), rappresentata e difesa dall'avvocato Cl.Ac. del Foro di Milano, con Studio in Milano, Corso (...), giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta e con elezione di domicilio ai fini della procedura presso l'avvocato An.Bo. (C.F. (...)) - Terza chiamata in causa - Oggetto: RESPONSABILITA' PROFESSIONALE. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, la Sig.ra Ba.Ba. ha convenuto in giudizio gli Avvocati To.Fe. e Sa.Ma. per sentire "... disattesa ogni contraria istanza, deduzione o eccezione, accertare e dichiarare, per le ragioni esposte in narrativa ed ai sensi degli artt. 2229 e ss., 1176, co. 2, 1218 e 1223 c.c., l'inadempimento e la conseguente responsabilità professionale degli avv.ti Sa.Ma. e To.Fe. e, per l'effetto, condannarli, anche in solido fra loro, a risarcire i danni subìti dalla Sig.ra Ba.Ba., da quantificarsi nel corso del giudizio, corrispondenti alla somma che la stessa avrebbe percepito a titolo di risarcimento dei danni per i fatti del 27 e 28 luglio 1996 per le voci indicate nel cap. 19, lett. a - f della narrativa (ossia per invalidità temporanea parziale, per invalidità temporanea assoluta, per invalidità permanente connessa alla perdita dell'utero e della capacità di procreare, per il danno alla salute connesso alla sindrome ansioso depressiva che ha vissuto l'attrice a seguito del ricovero, per la riduzione permanente della capacità lavorativa nella misura del 40% con perdita di chance lavorative future e, infine, per danno morale); con l'aggiunta di interessi e rivalutazione monetaria, dal giorno dell'evento dannoso (27 luglio 1996) fino a quello dell'effettivo soddisfo. Quanto precede con espressa riserva di agire con autonomo e separato giudizio ai fini dell'integrale risarcimento dei danni ulteriori, subìti e subendi, in questa sede non espressamente menzionati. Con vittoria di spese e competenze, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA". L'attrice ha dedotto che: 1) la attrice agisce in giudizio per far accertare la responsabilità professionale degli avv.ti Sa.Ma. e To.Fe. e per sentirli condannare al risarcimento dei danni, dalla stessa subiti e subendi, a causa della grave negligenza con la quale gli odierni convenuti hanno svolto la propria opera professionale nei giudizi appresso indicati. Gli avv.ti Sa.Ma. e To.Fe. hanno assistito la attrice, invero in modo negligente, nei due seguenti giudizi: causa RG. n. 71017/2004, giudizio di primo grado innanzi al Tribunale Civile di Roma, Sez. II, Giudice Dott. E.C., contro i dottori Fr.Pr., Ro.Ma., Um.Ca., nonché contro la Gestione Liquidatoria - A.U., conclusasi con la sentenza n. 14049/2009; causa RG. n. 5280/2010, giudizio di appello avverso la richiamata sentenza del Tribunale Civile di Roma, svoltosi innanzi alla Corte d'Appello di Roma, Sez. III, conclusosi con la sentenza n. 6576/2015. 2) i giudizi appena richiamati avevano ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni subìti dall'odierna attrice in occasione di un ricovero, risalente alla data 27 luglio 1996, presso la struttura ospedaliera A.U.; 3) in occasione di tale ricovero, infatti, l'attrice rimase vittima di una evidente e acclarata condotta omissiva colposa, caratterizzata da negligenza, imprudenza e imperizia dei sanitari, nonché da gravi disfunzioni e carenze organizzative della struttura ospedaliera, che hanno determinato l'insorgenza di gravissimi danni, consistenti, fra l'altro, nella perdita dell'utero e dunque della possibilità di procreare, nonché in disturbi psichici ed esistenziali; 4) sia i gravissimi danni subìti dalla Sig.ra Ba., sia la responsabilità di alcuni dei sanitari che l'hanno avuta in cura e la (conseguente e connessa) responsabilità della struttura ospedaliera, sono stati accertati nel doppio grado di giudizio sopra richiamato; 5) ed infatti con la sentenza n. 14049/2009 il Tribunale di Roma ha accertato e dichiarato ...la sussistenza in capo al personale sanitario operante durante il turno di guardia notturno, di una condotta omissiva colposa, caratterizzata da negligenza, imprudenza e imperizia, condotta causalmente ricollegabile alle conseguenze dannose subìte dalla Ba., consistenti nella perdita dell'utero e dunque della possibilità di procreare, nonché in disturbi psichici. La responsabilità del personale sanitario in oggetto comporta la necessaria estensione della responsabilità alla struttura ospedaliera, sia in virtù del rapporto intercorrente con i propri medici sia per le gravi disfunzioni organizzative verificatesi nel caso di specie. Nella fattispecie, però, la parte attrice ha convenuto in giudizio soltanto la Gestione Liquidatoria dell'A.U., ritenendo tale soggetto legittimato passivo in relazione alla domanda di risarcimento proposta... (letteralmente da pag. 15, par. 6, della sentenza di primo grado: cfr. doc. 2); 6) inoltre, con la sentenza n. 6576/2015, la Corte d'Appello di Roma, nel confermare la sentenza di prime cure, ha ribadito che: ...la ricostruzione della triste vicenda evidenzia una responsabilità, oltre che dei due medici di turno dalle ore 21:00 del 27.6.1996, una responsabilità della struttura ospedaliera - come evidenziato dal Tribunale - per le gravi carenze organizzative che hanno concorso alla produzione dei gravissimi danni subìti dalla giovane donna... (letteralmente da pag. 8 della sentenza di appello: doc. 5); 7) nonostante le sentenze abbiano accertato sia i gravissimi danni, sia la responsabilità dei sanitari e della struttura ospedaliera, l'attrice non ha ottenuto alcun ristoro di tali danni a causa della grave negligenza, stigmatizzata peraltro anche nelle citate sentenze, che ha caratterizzato lo svolgimento dell'attività professionale da parte degli avv.ti Sa.Ma. e To.Fe.; 8) l'attrice, infatti, non ha ottenuto alcun risarcimento dei danni - ed anzi è stata addirittura condannata alla refusione delle spese di lite del giudizio di appello nella misura complessiva di Euro 21.000,00 oltre accessori di legge - poiché gli odierni convenuti hanno instaurato il giudizio contro i soggetti sbagliati, omettendo di citare (A) i medici effettivamente responsabili e (B) il soggetto legalmente legittimato a rappresentare la struttura ospedaliera; 9) (A) con riferimento ai MEDICI, gli odierni convenuti, infatti, hanno instaurato il giudizio unicamente nei confronti dei medici del turno pomeridiano (in servizio fino alle ore 21:00 del giorno 27.7.1996), ritenuti da entrambe le sentenze privi di qualsiasi responsabilità, ed hanno omesso, inspiegabilmente, di citare in giudizio i medici del turno notturno (in servizio dalle ore 21:00 del giorno 27.7.1996), considerati invece da entrambe le sentenze gli unici responsabili dei danni subìti dalla odierna attrice; 10) tale errore è stato compiuto sebbene il coinvolgimento dei medici del turno notturno risultasse, chiaramente, dalla documentazione in loro possesso (e offerta in comunicazione anche nell'odierno giudizio), dalla quale emergeva, fra le altre cose, che le condizioni di salute della Sig.ra Ba. si fossero aggravate soltanto durante la notte del 27.7.1996, tanto da rendere inevitabile un intervento chirurgico eseguito alle ore 8:00 della mattina del 28.7.1996; 11) (B) con riferimento alla STRUTTURA OSPEDALIERA, invece, gli odierni convenuti hanno citato in giudizio, addirittura, un soggetto del tutto privo di legittimazione passiva, il quale, per tale ragione, non si è mai costituito in giudizio. Più precisamente, gli odierni convenuti instaurarono il giudizio di primo grado unicamente nei confronti della Gestione Liquidatoria della A.U., sebbene (come evidenziato dalla stessa sentenza di primo grado) il D.L. 1 ottobre 1999, n. 341 (convertito in L. 3 dicembre 1999, n. 453) rendesse palese che l'unico soggetto legalmente deputato a rappresentare la struttura ospedaliera fosse, nel caso di specie, l'Università degli Studi di Roma La Sapienza; 12) tanto è vero che gli odierni convenuti, ammettendo implicitamente il macroscopico errore compiuto, non hanno gravato con l'appello il capo della decisione relativo al difetto di legittimazione passiva, il quale, conseguentemente, ha acquistato il valore della cosa giudicata; 13) si aggiunga che, oltre ad aver evocato in giudizio soltanto soggetti privi di responsabilità e/o di legittimazione passiva, gli odierni convenuti non hanno mai compiuto, anche solo in via cautelativa e prudenziale, alcun atto interruttivo della prescrizione del diritto al risarcimento dei danni, né nei confronti dei medici responsabili del turno notturno, né nei confronti del soggetto che aveva per legge la legale rappresentanza della struttura ospedaliera, ossia l'Università degli Studi di Roma La Sapienza; 14) per queste ragioni, l'accertato diritto dell'attrice ad ottenere il risarcimento dei gravissimi danni subìti, si è prescritto nei confronti dei soggetti effettivamente responsabili, contro i quali, pertanto, l'attrice non può spiegare alcuna domanda e/o richiesta: 15) alla luce dei fatti sin qui descritti - che risultano tutti provati per tabulas dalla documentazione offerta in comunicazione - la prestazione professionale resa dagli odierni convenuti risulta senz'altro negligente e, dunque, in contrasto con i doveri gravanti sul professionista intellettuale in forza degli artt. 2229 e ss. e 1176, comma 2, c.c.; tanto più se si considera che la scelta e l'individuazione dei legittimati passivi non implicava, nel caso di specie, la soluzione di particolari problemi tecnici, essendo a tal scopo sufficiente l'esame della documentazione in possesso degli odierni convenuti e del D.L. 1 ottobre 1999, n. 341; 16) l'inadempimento, negligente, dei convenuti ha cagionato notevoli danni alla attrice, dei quali gli stessi convenuti sono tenuti a rispondere ai sensi dell'artt. 1218 e 1223 c.c. I danni che l'attrice ha subìto, e che verranno meglio quantificati nel corso del giudizio, sono rappresentati, in primo luogo, dalle somme che la stessa, in mancanza degli errori degli odierni convenuti, avrebbe certamente percepito (dai medici del turno notturno e dall'Università degli Studi La Sapienza di Roma) a titolo di risarcimento dei gravissimi danni conseguenti al ricovero del 27.7.1996; 17) tali ultimi danni - già accertati nell'an dalle sentenze di primo e secondo grado e quantificati dagli odierni convenuti nella somma di Euro 3.003.510,00 (cfr. atto di citazione di primo grado: doc. 1), sono rappresentati dalle seguenti voci: a. danno per invalidità temporanea parziale; b. danno per invalidità temporanea assoluta; c. danno per invalidità permanente connessa alla perdita dell'utero e della capacità di procreare; d. danno alla salute per sindrome ansioso depressiva che ha vissuto l'attrice a seguito del ricovero; e. danno per riduzione permanente della capacità lavorativa nella misura del 40% con perdita di chance lavorative future; f. danno morale; 18) a tali danni si aggiungono, in secondo luogo, le somme che la ricorrente ha già esborsato e che sarà tenuta a sborsare in conseguenza delle richiamate sentenze di primo e secondo grado, per il cui integrale ristoro l'attrice si riserva di agire con autonomo e separato giudizio; 19) vano è stato il tentativo di soluzione bonaria della vertenza, poiché gli avv.ti S. e T., ricevuta la richiesta di risarcimento dei danni (doc. 6: diffida del 18.6.2018), hanno negato apoditticamente ogni responsabilità (doc. 7: lettera degli odierni convenuti del 21.6.2018) e, con diffida ricevuta dall'attrice in data 21.6.2018, hanno addirittura avanzato delle estemporanee richieste di pagamento, per pretesi e non dovuti compensi professionali (doc. 8: diffida degli avv.ti S. e T. per il pagamento dei compensi professionali). Si costituivano in giudizio, con comparsa di costituzione e risposta, gli Avvocati To.Fe. e Sa.Ma., i quali rassegnavano le seguenti conclusioni: " In via preliminare: - Autorizzare il convenuto ai sensi dell'art. 269 c.p.c. a chiamare in causa ( e quindi ad integrare il contraddittorio ) la Hc. PLC (assicuratore), Rappresentanza Generale per l'Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in L. (G.) Via O.A., cap EC3N 1RE R.U. e con sede secondaria in I. alla Via T. 2, M. ed elettivamente domiciliata presso la U. srl con sede a M., in Corso S. 21, e di conseguenza chiede che il G.I. Voglia differire sempre ai sensi dell'art. 269 c.p.c. la prima udienza di comparizione allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini di cui all'art. 163-bis c.p.c. e la relativa costituzione in giudizio. Nel merito: In via principale - Rigettare la domanda attrice per intervenuta prescrizione, ovvero per mancanza dei presupposti dell'azione e comunque in quanto infondata in fatto e diritto nel merito - In via subordinata, qualora il Tribunale accertasse la responsabilità professionale dei convenuti e li condannasse al pagamento di una somma di denaro in favore dell'attrice, voglia accertare la sussistenza delle coperture assicurative di cui ai contratti depositati e dichiarare la compagnia assicuratrice terza chiamata tenuta a manlevare dalla responsabilità civile i convenuti ed a versare direttamente in nome per conto dei convenuti in favore dall'attrice la somma che sarà eventualmente liquidata a costei, ovvero a dichiarare che la predetta compagnia di assicurazione sia tenuta a rimborsare dette somme, condannando la medesima a rimborsare ai convenuti le somme che gli stessi debbano versare all'attrice allo stesso titolo; In via riconvenzionale, accertare e dichiarare che la sig.ra Ba.Ba. è debitrice nei confronti degli convenuti della somma complessiva di Euro 25.830,28 relativa al pagamento dei compensi come da parametri forensi per l'attività professionale espletata nel procedimento penale n.35448/1999 R.G. (parcella 2/2016 di Euro 4.990,19), nel procedimento civile numero R.G. 71017/2004 dinanzi al Tribunale di Roma, sez. II Giudice Dott. Curatola contro i Dottori Um.Ca., Fr.Pr., Ro.Ma. e la Gestione Liquidatoria - A.U., definito con sentenza n.14049/2009 (parcella n.13/2016 di Euro 10.213,84) e nel procedimento di appello avverso la suddetta sentenza, iscritto al numero R.g.5280/2010 innanzi alla Corte di Appello di Roma definito con sentenza n.6576/2015, (parcella n. 42/2015 di Euro 10.626,25) come esposto in narrativa; per l'effetto, condannare la sig.ra Ba.Ba. al pagamento dei suddetti compensi professionali per un importo complessivo di Euro 25.830,28 (venticinquemilaottocentotrenta/28) o di quel diverso maggiore o minore importo che sarà accertato come dovuto ai sensi di legge, oltre interessi legali dalla costituzione in mora sino alla data del soddisfo; Con vittoria di spese legali del giudizio, nei confronti dell'attrice e dei terzi". Eccepivano in via preliminare che la domanda attorea fosse assolutamente infondata, in fatto e diritto, per i seguenti motivi: 1) in base all'interpretazione giurisprudenziale sull'applicazione dell'art. 2935 c.c. di codesto Tribunale, o l'azione è prescritta in quanto sono trascorsi oltre dieci anni dal fatto, oppure l'azione non è prescritta e in questo secondo caso l'attrice può ancora agire anche nei confronti dei medici e dell' Università degli Studi La Sapienza, mancando quindi il presupposto dell'azione. 2) manca il presupposto essenziale della responsabilità professionale: l'attrice non ha conferito il mandato ai professionisti, per agire contro i medici P. e Ba. e contro l'Università degli Studi La Sapienza. Evidenziavano, inoltre, che l'attrice aveva effettuato una errata rappresentazione dei fatti, omettendo gravemente di riportare diverse circostanze accadute durante gli undici anni di giudizio, che escludevano ineluttabilmente qualsiasi responsabilità professionale degli stessi convenuti. Rilevavano che l'attrice adduceva, erroneamente, come motivi della responsabilità dei convenuti: 1. l'errata indicazione dei soggetti legittimati passivi - secondo l'attrice i convenuti hanno instaurato il giudizio contro i soggetti sbagliati, omettendo di citare i medici effettivamente responsabili; 2. l'errata citazione di un soggetto privo di legittimazione passiva, ossia la Gestione Liquidatoria della A.U. e non dell'Università degli Studi di Roma La Sapienza, che era l'unico soggetto legalmente deputato a rappresentare la struttura ospedaliera; 3. la conseguente prescrizione dei diritti dell'attrice nei confronti dei responsabili. Rilevavano che la richiesta di risarcimento danni della cliente, sembrava diretta a paralizzare la richiesta di pagamento degli onorari per l'attività (ex 133 co.3, 134 co.3, 136 co. 3, 170 c.p.c.) professionale svolta dai convenuti per conto della sig.ra Ba., in quanto giunta proprio in coincidenza della ennesima richiesta di pagamento. Sul punto l'attrice tentava di sostenere che la richiesta di pagamento degli onorari fosse stata inviata in data 21 giugno 2018, dopo aver ricevuto la richiesta di risarcimento danni in data 18.6.2018. Precisavano che l'ultima lettera contenente il sollecito di pagamento degli onorari, era stata inviata via posta in data 15 giugno 2018 (doc.2), ma vi era stata copiosa corrispondenza pregressa, con richieste di pagamento a partire dal mese di novembre 2015 (doc.3). I convenuti spiegavano, dunque, domanda riconvenzionale. Evidenziavano che la responsabilità del professionista era soggetta all'ordinario termine decennale di prescrizione, con decorrenza dal compimento dell'atto dannoso e poiché i fatti occorsi all'attrice erano accaduti nel 1996, la prescrizione ordinaria nei confronti dei dottori P. e Ba. sarebbe spirata nel 2006. Tuttavia, essendovi stato il procedimento penale definito con sentenza del 20 novembre 2003, che avrebbe sospeso i termini, il termine prescrizionale decennale nel caso della sig.ra Ba. sarebbe spirato al più tardi il 19.11.2013; allo stesso modo, visto che la citazione introduttiva del giudizio civile era del 2004, la prescrizione si sarebbe verificata nel 2014 anche nei confronti degli avvocati convenuti. Rilevavano che la perizia del CTU. dott. Leoluca Parisi, era stata depositata il 07/02/2008 nel fascicolo del Tribunale civile e, quindi, da quel momento e fino al 6 febbraio 2018, sarebbe stato possibile per l'attrice esercitare il diritto nei confronti degli odierni convenuti, ma avrebbe potuto agire anche nei confronti dei dottori P. e Ba., nonché dell'Università degli Studi La Sapienza, visto che trattavasi di responsabilità solidale ex art. 1306 c.c., con le ulteriori conseguenze di cui all'art. 1310 c.c. Puntualizzavano che la sig.ra Ba. nel 2016 aveva revocato il mandato agli avv.ti S. e T. e solo il 18.6.2018 a prescrizione ormai verificatasi, era pervenuta la diffida dell'avv. Ta., legale a cui l'attrice si era rivolta, dopo l'emissione della sentenza della Corte di Appello nel 2015. Ritenevano che fosse intervenuta la prescrizione, in quanto né l'attrice, che aveva revocato il mandato ai convenuti, né i suoi nuovi difensori, si erano avveduti di esperire tale azione nei termini, ovvero nel 2016, allorchè era ancora in tempo utile. Sottolineavano la possibilità di un'ulteriore soluzione interpretativa nel caso in cui il Tribunale avesse ritenuto il momento della pubblicazione della sentenza (2009), quale momento accertativo della riconoscibilità, allora la prescrizione della responsabilità dei professionisti convenuti andrebbe a scadere nel 2019 e l'attrice, in questo caso, sarebbe ancora in tempo per agire sia contro i dottori P. e Ba., responsabili secondo la CTU espletata nel procedimento civile, sia nei confronti dell'Università degli Studi La Sapienza, in quanto nessuna prescrizione si sarebbe ancora verificata. La presente azione sarebbe, in tale ultimo caso, priva dei presupposti oggettivi e le relative domande andrebbero immediatamente respinte. Specificavano che i convenuti erano assicurati per la responsabilità civile dal 1989 al 2006, con la Milano assicurazione, giusta polizza in convenzione con il Sindacato Avvocati, dal 2007 al 2015 con le G.A., nel 2016 con la A., nel 2017 con la Marsch e nel 2018 con la T.M. - Hc.. Nel merito, evidenziavano che l'attrice come motivo della responsabilità dei convenuti, richiamava la sentenza n.14049/2009 del Tribunale di Roma, nella parte in cui accertava la sussistenza in capo al personale sanitario operante durante il turno di guardia notturno, di una condotta omissiva colposa, caratterizzata da negligenza, imprudenza e imperizia. Precisavano che la sentenza n. 6576/2015 della Corte di Appello di Roma, di conferma della sentenza di primo grado, risultava errata nella parte in cui non aveva ritenuto responsabili i medici Um.Ca., Fr.Pr. e Ro.Ma., del turno pomeridiano, colpevoli dell'omissione che aveva determinato ontologicamente il problema fisico e poteva e doveva essere impugnata davanti al Giudice di Legittimità, per vari motivi di legittimità, azione che l'attrice, tuttavia, non aveva esperito neanche tramite i nuovi difensori, operando una propria scelta, non condivisa dagli odierni convenuti, che aveva determinato il passaggio in giudicato della sentenza stessa. Rilevavano come i convenuti, avvocati iscritti all'Albo professionale da oltre trenta anni - mai una causa di responsabilità professionale nei loro confronti - avevano operato in modo corretto e non avevano alcuna responsabilità al riguardo. Evidenziavano che l'attrice, consapevole di una responsabilità professionale medica, aveva sporto querela contro ignoti, ma era venuta a conoscenza della responsabilità dei medici dott. P.F.M., dott.ssa M.R. e dott. C.U.M., cosicché il giudizio di primo grado fu iniziato nei confronti di costoro, in quanto il P.M. li aveva ritenuti responsabili, esercitando l'azione penale soltanto nei confronti di questi ultimi. Rilevavano che la sig.ra Ba. non aveva inteso agire contro i medici de turno notturno, dottori P. e Ba., né prima, né dopo la CTU in sede civile, in quanto conscia che fossero stati proprio loro a salvarle la vita, anche se con una operazione demolitiva, decisione di estrema urgenza, dovuta non alla loro incapacità, bensì alle omissioni dei colleghi dei turni precedenti. Né tantomeno gli odierni convenuti avrebbero potuto imporre alla propria assistita, di agire contro dei soggetti che erano stati invece ritenuti dal PM estranei ai fatti. Evidenziavano che 1) contrariamente a quanto affermato dall'attrice, non appena presa cognizione della CTU circa una eventuale responsabilità dei medici del turno di notte, ancor prima dell'emissione della sentenza di primo grado, gli odierni convenuti avevano informato immediatamente la sig.ra Ba.Ba. dei rischi per l'ipotizzabile esito negativo del giudizio e, come già detto, avevano provveduto a redigere un atto di citazione (cfr.doc.11), ultima modifica effettuata in data 31 marzo 2009 (doc. n. 18), con la quale iniziare un nuovo giudizio proprio contro i due medici del turno di notte (P. e B.); 2) la sig.ra Ba., dopo vari solleciti, si era recata presso lo studio dei convenuti, tuttavia, si era rifiutata di conferire il mandato per detta nuova azione per i motivi suesposti; 3) risultava ovvio che senza la procura, i convenuti non potevano procedere con il secondo giudizio, che avrebbe avuto comunque un corso autonomo rispetto al primo, essendo ormai in fasi diverse, ma avrebbe potuto dare alla sig.ra Ba. una possibilità in più di vedersi riconosciuto il proprio diritto al risarcimento del danno; 4) successivamente, in seguito alla pubblicazione della sentenza di primo grado, l'avv. Sa.Ma. aveva provveduto nuovamente a convocare la sig.ra Ba., per rappresentarle la necessità di procedere con l'introduzione del nuovo giudizio nei confronti dei dottori P. e Ba., essendo ormai conclamata la responsabilità di costoro e nei confronti dell'Università degli Studi di Roma La Sapienza, indicata dalla sentenza di primo grado come il soggetto munito di legittimazione passiva; 5) i convenuti avevano convocato l'attrice presso il loro studio. Quest'ultima tuttavia rimaneva ferma nella propria decisione: si mostrava contraria ad intraprendere nuovi giudizi e/o inviare comunicazioni di qualsiasi tipo, anche di interruzione della prescrizione - incaricando i sottoscritti esclusivamente di appellare la sentenza del Tribunale, nella parte in cui escludeva la responsabilità professionale dei medici dott. P.F.M., dott.ssa M.R. e dott. C.U.M. per le conseguenze lesive subite dall'attrice. Secondo la sentenza del Tribunale di Roma l'istruttoria espletata in corso di causa ha, invece, accertato la sussistenza, in capo al personale sanitario operante durante il turno di guardia notturno di una condotta omissiva colposa... (punto 6, pag.13 doc.1 attrice); infatti, come risulta per tabulas, l'attrice sottoscriveva la procura a margine dell'atto di appello; 6) quindi gli odierni convenuti prendevano atto della decisione della cliente di non introdurre nuovi giudizi e/o inviare comunicazione per l'interruzione della prescrizione, ma di presentare soltanto l'atto di appello; 7) per sollecitare l'attrice ad iniziare l'azione, in prossimità dello spirare del decennio dalla fine del procedimento penale, l'attrice veniva di nuovo contattata più volte telefonicamente, ma poiché non rispondeva mai alle telefonate, in data 22 luglio 2013 le veniva inviata anche una raccomandata del seguente tenore da parte dei convenuti a firma della segretaria dott.ssa E.R. " le scrivo per invitarla a prendere contatti con il nostro Studio quanto prima e fissare un appuntamento. Sono molti giorni che provo a contattarla al numero telefonico (...) senza ricevere mai una risposta. Attendiamo notizie. Cordiali saluti. La segreteria" (cfr.doc.8); 8) la sig.ra Ba. tuttavia si opponeva per l'ennesima volta e invitava gli odierni convenuti ad occuparsi soltanto dell'atto di appello e di non inviare alcuna ulteriore comunicazione o prendere nuove iniziative. Evidenziavano i convenuti che il danneggiato può agire sulla base di una responsabilità contrattuale (ex art. 1218 c.c.) in capo solidalmente sia alla struttura ospedaliera, sia del medico, nel rispetto del termine prescrizionale decennale, quindi nel caso della sig.ra Ba., entro il 19.11.2013 (in quanto, il procedimento penale veniva definito con sentenza del 20 novembre 2003). Ritenevano, dunque, l'assenza di qualsiasi responsabilità professionale dei difensori convenuti, avendo informato sin dal 2008 l'attrice della necessità di promuovere un nuovo giudizio, nei confronti dei nuovi soggetti ritenuti responsabili dalla sentenza del Tribunale di Roma, ovvero quantomeno di inviare una comunicazione per interrompere il termine di prescrizione, nonché di averla resa edotta dei rischi ai quali andava ad incorrere. Ribadivano che la ferma decisione della sig.ra Ba. di presentare soltanto l'atto di appello ed il rifiuto a sottoscrivere la procura del nuovo atto di citazione, esoneravano i difensori da qualsiasi responsabilità, mancando ogni presupposto circa la asserita responsabilità professionale, non essendo stato conferito l'incarico, più volte sollecitato. Rilevavano che contrariamente agli esiti del procedimento penale, con la sentenza di primo grado veniva riconosciuta esclusivamente in capo al personale sanitario operante durante il turno di guardia notturno (e quindi proprio i dottori dott. P.L. e la dott.ssa B.P.) una condotta omissiva colposa, caratterizzata da negligenza, imprudenza ed imperizia, condotta casualmente ricollegabile alle conseguenze dannose subite dalla Ba., consistenti nella perdita dell'utero e dunque della possibilità di procreare, nonché in disturbi psichici, (v. pag.15 parag.3 sentenza), ma l'attrice non aveva voluto attivarsi contro costoro. I convenuti, in merito alla asserita responsabilità professionale circa l'errata citazione del soggetto legalmente legittimato a rappresentare la struttura ospedaliera, rilevavano che la sentenza di primo grado accertava e constatava che la questione giuridica era talmente complessa, nonché soggetta ad una recente riforma, che decideva di compensare le spese legali di primo grado, anche per "la non facile individuazione delle responsabilità". Rilevavano che 1) i fatti sono del 1996, la normativa è intervenuta nel 1999 e la legge non è mai retroattiva; quindi, il legittimato passivo all''epoca della notifica della citazione, avrebbe dovuto essere sempre l'Ente che gestiva l'Ospedale e quindi la Gestione autonoma del Policlinico; 2) la Gestione liquidatoria del Policlinico ha risposto alle richieste di risarcimento danni inviate dai convenuti, non eccependo alcunché in merito alla proprio legittimazione passiva, anzi iniziava anche la propria istruttoria e indicava ai convenuti la compagnia assicuratrice che garantiva i rischi de quo (cfr. doc n.11bis); 3) la sig.ra Ba. si rifiutò di procedere anche nei confronti dell'Università degli Studi di Roma La Sapienza - soggetto legittimato passivo indicato nella sentenza di primo grado, terzo convenuto nel nuovo atto di citazione, la cui procura rimase priva di sottoscrizione - che in ogni caso sarebbe stato condannato per responsabilità oggettiva e solidale (fatto quest'ultimo, che avrebbe consentito l'interruzione della prescrizione anche nei suoi confronti); 4) impugnando la suddetta sentenza davanti alla Suprema Corte di Cassazione, la mancata citazione della struttura ospedaliera non avrebbe assolutamente compromesso l'esito del giudizio che, laddove riformata la sentenza, avrebbe comportato il conseguente dovuto risarcimento anche nei confronti dei debitori solidali; infatti, l'attrice avrebbe ottenuto ugualmente il risarcimento dei danni dalle compagnie assicuratrici dei medici del turno pomeridiano, anche in assenza del soggetto munito di legittimità passiva, al quale si sarebbe potuto estendere il giudicato successivamente, in virtù del principio della responsabilità solidale, che avrebbe consentito l'interruzione della prescrizione anche nei suoi confronti. Rilevavano che l'obbligazione che il legale assume nei confronti del cliente è un'obbligazione di mezzi e non di risultato, sicchè il mancato raggiungimento del risultato voluto dal cliente non prova alcun inadempimento, in quanto il diritto al risarcimento del danno non insorge automaticamente quale conseguenza di qualsivoglia inadempimento del professionista, dovendosi piuttosto valutare, sulla base di un giudizio probabilistico, se, in assenza dell'errore commesso dall'avvocato, l'esito negativo per il cliente si sarebbe ugualmente prodotto. Inoltre, sullo stesso tema e sul grado di diligenza richiesto al professionista ai sensi dell'art. 1176 c.c. la Suprema Corte afferma essere quello medio. Precisavano che nel caso concreto, i convenuti avevano adottato tutte le misure prescritte ed avevano informato la cliente dei possibili rischi nel limitare la domanda e nel rimanere inerti. La sig.ra Ba. a distanza di dieci anni aveva deciso di perseguire la strada ritenuta più facile, ossia chiedere il risarcimento dei danni ai propri difensori, a coloro che l'avevano difesa e tutelata durante i circa 15 anni di giudizio, senza che l'attività professionale prestata fosse stata retribuita. Ribadivano che, è esclusa ogni responsabilità dei convenuti: la Ba. lamenta danni per colpa professionale allegando delle asserite omissioni dei convenuti, ma, allo stesso tempo, ha impedito agli stessi convenuti di procedere nella difesa con coerenza, limitando il loro mandato, non ha ascoltato i loro consigli professionali, ha revocato loro l'incarico professionale e non ha proseguito nelle azioni tramite i nuovi difensori. Infine, ritenevano di aver assolto pienamente anche al dovere di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, avendo rappresentato alla sig.ra Ba. tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi e sconsigliandola dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole. Evidenziavano che 1) la sig.ra Ba.Ba. non ha ancora corrisposto la somma totale di Euro 25.830,28 e complessiva della intera prestazione professionale per la fase istruttoria penale, il giudizio penale, il primo grado del giudizio civile e per la fase di Appello; 2) la condotta della sig.ra Ba.Ba. integra palesemente un'ipotesi di inadempimento contrattuale, in quanto la stessa, con la sottoscrizione della procura alle liti ha stipulato con gli odierni convenuti un contratto di prestazione d'opera professionale relativo a prestazioni giudiziali, rimasto non onorato; 3) l'attrice dal 1997 al 2015 ha versato ai convenuti Euro 3.030,00 (tremilatrenta/00), che hanno coperto solo le spese dei tre procedimenti, le più importanti delle quali sono state la CTP del Prof. Giusti (Euro 516,46), il contributo unificato del primo grado civile (Euro 932,58) ed il contributo Unificato della Corte di Appello (Euro 414,00) (doc.19). Si costituiva in giudizio la Hc. Plc, con comparsa di costituzione e risposta, la quale contestando integralmente le deduzioni e le produzioni avversarie, rassegnava le seguenti conclusioni: " ..respinta ogni contraria istanza, eccezione e difesa, In via preliminare: - accertare e dichiarare la nullità/invalidità/illiceità/inesistenza della chiamata in causa della Hc. PLC per i motivi dedotti in via preliminare in narrativa (da intendersi quivi integralmente riportati) e, per l'effetto, estromettere Hc. PLC dal presente Giudizio, sancendo la decadenza dalla possibilità della possibilità di chiamata nell'ambito di questo procedimento; In via principale, nel merito del rapporto contrattuale: - accertare e dichiarare che il sinistro de quo si è verificato in data antecedente a quella di efficacia delle polizze N. (...) del 01 giugno 2018 e N. (...) del 01 giugno 2018, e, quindi, dichiarare l'invalidità totale o parziale e comunque la non efficacia della garanzia assicurativa, per le ragioni esposte in narrativa (da intendersi quivi integralmente riportate), in particolare per essere operativa l'ipotesi di esclusione della garanzia assicurativa prevista nel paragrafo 2 "ESCLUSIONI" delle rispettive garanzie assicurative, posta l'esistenza di una probabile richiesta di risarcimento del danno e di circostanze note a norma di contratto e, pertanto, dichiarare la risoluzione totale o parziale dei contratti, con conseguente INEFFICACIA e NON OPERATIVITÀ dello stesso e della seguente garanzia assicurativa; per quanto innanzi e, per l'effetto, respingere le domande tutte, nessuna esclusa, formulate dagli avvocati To.Fe. e Sa.Ma. nei confronti della Hc. PLC relativamente ai contratti N. (...) del 01 giugno 2018 e N. (...) del 01 giugno 2018. In via principale, nel merito della questione attorea: - Accertata e dichiarata l'assenza di qualsivoglia responsabilità degli avvocati To.Fe. e Sa.Ma. verso la parte attrice, rigettare le domande attoree nei confronti di Hc. PLC per i motivi tutti esposti in narrativa (quivi da intendersi integralmente riportati), perché infondate in fatto e in diritto. In subordine nel merito: - Nel denegato e non creduto caso di soccombenza, anche parziale, degli avvocati To.Fe. e Sa.Ma., accertare e dichiarare il diritto di questi ultimi ad essere tenuti indenne da Hc. PLC - detratto, in ogni caso, lo scoperto e le franchigie contrattualmente previste e poste rispettivamente a carico degli avvocati To.Fe. e Sa.Ma. - salvo ogni diritto di surroga e/o di regresso della compagnia nei confronti di eventuali terzi. In ogni caso, - con vittoria di compensi professionali e spese tutte da liquidarsi in favore dell'avvocato Claudio Acampora, quale anticipatario". La Terza Chiamata, preliminarmente eccepiva che l'atto di citazione per chiamata in causa notificatole, risultava essere incompleto: nella formazione dello stesso la controparte aveva omesso di allegare le difese e le domande della parte attrice (dandone brevi cenni solo in qualche riga e non riportando per intero il contenuto dell'atto di citazione con il quale è stato introdotto l'odierno giudizio), provocandone così la nullità/invalidità/inesistenza per indeterminatezza, con conseguente rilevante limitazione - compressione del diritto di difesa e del diritto al contraddittorio. Chiedeva allo stato, l'estromissione della Hc. Plc dal presente giudizio per nullità/invalidità e inesistenza della chiamata in causa, con dichiarazione di decadenza dalla possibilità di chiamata nel presente giudizio, con condanna, in solido tra loro, delle due parti chiamanti alla rifusione delle spese di Difesa delle fasi di studio e introduttiva ex art. D.M. n. 55 del 2014. Riguardo alla domanda di garanzia e manleva, formulata dagli avvocati T. e S. nei confronti dell'esponente, la Hc. Plc evidenziava di non accettare il contraddittorio e respingeva, nella loro interezza, tali domande a fronte dell'inoperatività della copertura assicurativa. Sottolineava, in via preliminare, come le polizze sottoscritte N. (...) del 01 giugno 2018 e N. (...) del 01 giugno 2018, alla pagina n. 2 delle condizioni di assicurazione (cfr. all. doc. 2) che formavano parte integrante della polizza, precisava: "Si noti che tutte le garanzie del contratto di assicurazione sono prestate nella forma Claims Made (grassetto aggiunto) e sono operanti per le richieste di risarcimento fatte per la prima volta contro l'Assicurato durante il periodo di Assicurazione in corso e da lui denunciate agli Assicuratori durante il periodo di assicurazione e riferite ad Atti illeciti commessi dopo la data di retroattività se concessa". Inoltre, le medesime condizioni di assicurazione prevedevano tra le ipotesi di "esclusioni" che: "l'assicurazione non opera per le richieste di risarcimento causate da, connesse o conseguenti in tutto od in parte circostanze esistenti prima od alla data di decorrenza di questo contratto, che l'assicurato conosceva o delle quali poteva avere ragionevolmente conoscenza (cfr. doc. all. 2 - pagina n. 4 condizioni di assicurazione). Nel merito comunque, evidenziava che nessuna pretesa risarcitoria poteva essere invocata nei confronti dei predetti avvocati, anzitutto per avere essi adempiuto con diligenza al mandato ricevuto. Sottolineava, in ogni caso, come gli Avvocati T. e S., al momento della sottoscrizione delle polizze con la H., fossero consci della esistenza/presenza del sinistro (non dichiarato) per cui è causa e ciò in ragione delle Sentenze emesse dal Tribunale di Roma prima, in data 25 giugno 2009 (cfr. doc. 12 fascicolo parti convenute), nonché della Corte d'Appello di Roma poi, in data (cfr. doc. 12 bis fascicolo parti convenute), che respingevano le domande svolte nell'interesse della Sig.ra Ba. (odierna attrice). Rilevavano che gli avvocati T. e S., anche in ragione della propria professione e della trentennale esperienza (lo dichiarano gli stessi convenuti), al momento della sottoscrizione della polizza potevano e dovevano almeno presumere che le circostanze relative al rigetto dell'azione di risarcimento su mandato della Sig.ra Ba., anche alla luce delle risultanze della CTU assunta nel giudizio di primo grado avanti il Tribunale di Roma (R.G. n 71017/2004), potessero generare una richiesta di risarcimento del danno da parte della propria assistita, oggi attrice nel presente procedimento. Rilevava, inoltre, la Compagnia assicuratrice, come anche le risultanze della relativa sentenza di primo grado n. 14049/2009, in ordine alla errata individuazione dei soggetti legittimati passivi, avrebbero potuto e ben dovuto allertare l'attenzione dei professionisti (come di fatto è avvenuto, avendo gli stessi predisposto e sottoposto alla Signora Ba. un ulteriore atto di citazione da azionare nei confronti dei soggetti individuati come legittimati passivi), circostanze di cui, in tutta evidenza, avrebbero dovuto dare preventiva comunicazione alla H. in sede di stipula dei rapporti contrattuali, in forza dei quali oggi i professionisti pretenderebbero di essere garantiti. Precisava che tuttavia, era avvenuto che i convenuti assicurati avevano omesso di dare atto in occasione della stipula del contratto e della compilazione del questionario/modulo di proposta di assicurazione, entrambi datati 30 maggio 2018, di essere a conoscenza di qualche circostanza che potesse dare origine ad una perdita o ad una richiesta di risarcimento contro gli assicurati. Sottolineava che pertanto, si era verificata una delle ipotesi di esclusione disciplinata dal contratto assicurativo al paragrafo "ESCLUSIONI" punto 2, che prevedeva specificamente la non risarcibilità delle richieste di risarcimento causate da, connesse o conseguenti in tutto o in parte a circostanze esistenti prima o alla data di decorrenza del contratto di assicurazione, che l'assicurato conosceva o delle quali poteva avere ragionevolmente conoscenza; circostanza questa provata per tabulas, nei moduli di proposta sottoscritti dagli assicurati il 30 maggio 2018, rispettivamente allegati alle polizze N. (...) del 01 giugno 2018 e N. (...) del 01 giugno 2018, i professionisti dichiaravano espressamente, apponendo una crocetta nella casella corrispondente al "NO" del punto n. 11 del questionario, di non essere a conoscenza di qualche circostanza che potesse dare origine ad una perdita o ad una richiesta di risarcimento contro l'assicurato/gli assicurati. Ribadiva la pacifica operatività dell'ipotesi di esclusione contrattualmente prevista e, conseguentemente, l'invalidità e comunque l'inoperatività totale o parziale della garanzia assicurativa rispetto alle richieste di manleva formulate dagli avvocati T. e S. essendo stato espressamente assunto il rischio da parte della H. sulla base delle dichiarazioni, rivelatesi reticenti e omissive, dei contraenti assicurati. Evidenziava che l'indicazione dei soggetti legittimati passivi, la cui mancata corretta individuazione era stata poi accertata in sentenze che avevano assunto l'efficacia di giudicato - ancorché, nel caso di specie, non evocati in giudizio per scelta deliberata della sig.ra Ba. e ferme le contestazioni circa l'assenza di responsabilità da parte di questi ultimi, che qui si richiamano - fosse in ogni caso una circostanza rilevante per un professionista che, di certo, non avrebbe dovuto essere omessa in sede di dichiarazione precontrattuale alla compagnia di assicurazione, la quale, ne eccepiva la conoscenza in capo ai contraenti assicurati, rilevando, altresì, come essi fossero stati reticenti ed avessero omesso di fornire le informazioni richieste e dovute prima della stipula, con ogni conseguenza sulla invalidità totale o parziale delle garanzie assicurative, quanto meno con specifico riferimento al sinistro oggetto del presente giudizio. Rilevava che, laddove la garanzia fosse considerata operante, essa doveva essere limitata nei limiti del massimale pattuito e al netto della franchigia di Euro 500,00 prevista per ciascun contratto. Nel merito, la H. contestava la richiesta di risarcimento danni formulata dalla parte attrice, che si appalesava comunque generica e lacunosa, oltre che infondata; richiamava, infatti, a ragione della richiesta risarcitoria a carico dei professionisti, esclusivamente la mancata indicazione dei soggetti legittimati passivi, avendo instaurato il giudizio contro i soggetti poi non ritenuti responsabili (Dottori P., M. e C.) e per aver citato la "Gestione Liquidatoria della A.U.", in luogo dell'"Università degli studi di Roma La Sapienza", determinando la prescrizione dei diritti dell'attrice. Sottolineava che i dottori P., M. e C., indagati nel procedimento penale n. 35448/99 R.G., all'esito delle indagini durate circa sette anni, erano stati "individuati quali responsabili delle lesioni cagionate alla Sig.ra Ba. nel corso del pomeriggio del 27 luglio 1996 e nella notte tra il 27 e il 28 luglio 1996" (perizia dottoressa R. e dottor V.) e che il P.M. aveva chiesto il rinvio a giudizio solo nei confronti di predetti soggetti, ritenendo evidentemente estranei ai fatti, i medici del turno notturno, Dottori P. e Ba.. Evidenziava che il rifiuto da parte dell'odierna attrice di attivare un ulteriore giudizio nei confronti dei medici del "turno notturno" Dottori P. e Ba. - sia pur tempestivamente informata e resa edotta dai propri difensori, avv. T. e S. - rappresentava una deliberata scelta della sig.ra Ba. che, opportunamente informata e messa di fronte all'atto di citazione confezionato nel suo interesse, aveva rifiutato di sottoscrivere il mandato, confermando di non voler procedere nei confronti di quei dottori che, sia pur in modo invasivo e invalidante, le avevano a suo dire "salvato la vita", né contro l'Università. Rilevava che, di conseguenza, l'aver lasciato spirare inutilmente il termine per l'impugnativa in Cassazione, aveva comunque contribuito a cristallizzare l'esito negativo della sentenza di secondo grado, potere di impugnativa di cui gli Avvocati T. e S. non disponevano più, a fronte della intervenuta revoca del mandato professionale da parte della Sig.ra Ba., puntualmente informata dei termini per promuovere l'eventuale gravame. Riteneva dunque la H., non provata e non giustificata la esorbitante richiesta risarcitoria dell'attrice. Rilevava che la sig.ra Ba., alla fine dell'anno 2015, aveva provveduto a revocare il mandato conferito ai legali T. e S., quando l'azione nei confronti dei medici del turno di notte e nei confronti dell'Università La Sapienza, sarebbe ancora state esperibile, per non essere ancora spirato il termine prescrizionale. Evidenziava, in particolare, l'assenza di prova del nesso causale fra i danni lamentati da parte attrice e i presunti e inesistenti inadempimenti contestati dalla Sig.ra Ba.Ba., rispetto all'espletamento del mandato professionale ricevuto, per come impone l'art. 2697 c.c. Sottolineava che alcuna responsabilità poteva essere imputata nel caso di specie ai professionisti, considerato che la vertenza aveva ad oggetto la risoluzione di questioni opinabili; risultavano essere contrapposte le risultanze di due diverse consulenze tecniche di segno opposto, l'una, resa in sede penale, che avrebbe individuato la responsabilità dei dottori Fr.Pr., Ro.Ma. e Um.Ca. - soggetti nei confronti dei quali è stata attivata la causa civile da parte degli odierni convenuti a seguito della sentenza di "non doversi procedere" del 20 novembre 2003 - l'altra, resa in sede civile, che, viceversa, ha individuato quali soggetti responsabili dei danni subiti dalla Sig.ra Ba. i dottori L.P. e P.B.. Ribadiva, dunque, che doveva ritenersi esclusa la responsabilità professionale, a meno che questa non discendesse da dolo o colpa grave dei professionisti, il cui onere probatorio ricadeva inevitabilmente su chi intendeva far valere tale responsabilità. Rilevava, infine, che la Sig.ra Ba., con la decisione di non impugnare la sentenza della Corte d'Appello (determinandone il passaggio in giudicato), aveva contribuito a rendere definitivo un danno che, anche solo in astratto, avrebbe potuto non concretizzarsi mai a seguito di un eventuale accoglimento del ricorso in Cassazione: tale comportamento, nella denegata e non creduta ipotesi di accoglimento, anche solo parziale, delle domande attoree, doveva pertanto, essere valutato ai fini del concorso del danneggiato nell'evento dannoso ai sensi e per gli effetti dell'art. 1227 c.c.. Il Giudice, ritenute ultronee le prove testimoniali richieste, essendo la causa di natura documentale, rinviava per la precisazione delle conclusioni, all'udienza del 28.10.2021. Detta udienza veniva rinviata, per esigenze di riorganizzazione del ruolo dovute all'emergenza epidemica, all'udienza del 24.02.2022 per i medesimi incombenti. La causa, assegnata a questo Giudice l'8.8.2022. Precisate le conclusioni all'udienza a trattazione scritta del 9.10.2023, il Giudice con ordinanza del 6.11.2023, tratteneva la causa in decisione, concedendo alle parti i termini ex art. 190 c.p.c. a decorrere dalla data di comunicazione del suddetto provvedimento. MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda è fondata per i motivi che di seguito si riportano. L'attrice agisce chiedendo il risarcimento di tutti i danni da lei subiti, a causa della condotta negligente degli Avvocati To.Fe. e Sa.Ma., per la propria opera professionale svolta nei giudizi: 1) causa RG. n. 71017/2004, giudizio di primo grado innanzi al Tribunale Civile di Roma, contro i dottori Fr.Pr., Ro.Ma. e Um.Ca., nonché contro la Gestione Liquidatoria - A.U., conclusasi con la sentenza n. 14049/2009; 2) causa RG. n. 5280/2010, giudizio di appello avverso la richiamata sentenza del Tribunale Civile di Roma, svoltosi innanzi alla Corte d'Appello di Roma, Sez. III, contro i dottori Fr.Pr., Ro.Ma. e Um.Ca., conclusasi con la sentenza n. 6576/2015, non impugnata. Tali giudizi avevano ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni subìti dall'odierna attrice in occasione di un ricovero, risalente alla data 27 luglio 1996, presso la struttura ospedaliera A.U.. Narra l'attrice che in occasione di tale ricovero rimase vittima di una evidente e acclarata condotta omissiva colposa, caratterizzata da negligenza, imprudenza e imperizia dei sanitari, nonché da gravi disfunzioni e carenze organizzative della struttura ospedaliera, che hanno determinato l'insorgenza di gravissimi danni, consistenti, fra l'altro, nella perdita dell'utero e dunque della possibilità di procreare, nonché in disturbi psichici ed esistenziali. Ritiene che nonostante le sentenze abbiano accertato sia i gravissimi danni sia la responsabilità dei sanitari e della struttura ospedaliera, la stessa non ha ottenuto alcun ristoro di tali danni, a causa della grave negligenza, che ha caratterizzato lo svolgimento dell'attività professionale da parte degli Avvocati Sa.Ma. e To.Fe.. Rileva di essere stata addirittura condannata alla refusione delle spese di lite del giudizio di appello nella misura complessiva di Euro 21.000,00 oltre accessori di legge, poiché gli odierni convenuti hanno instaurato il giudizio contro i soggetti sbagliati, omettendo di citare i medici effettivamente responsabili ed il soggetto legalmente legittimato a rappresentare la struttura ospedaliera. Rileva che con riferimento ai medici, gli odierni convenuti, infatti, hanno instaurato il giudizio unicamente nei confronti dei medici del turno pomeridiano (in servizio fino alle ore 21:00 del giorno 27.7.1996), ritenuti da entrambe le sentenze privi di qualsiasi responsabilità, ed hanno omesso, inspiegabilmente, di citare in giudizio i medici del turno notturno (in servizio dalle ore 21:00 del giorno 27.7.1996), considerati invece da entrambe le sentenze gli unici responsabili dei danni subìti dalla odierna attrice. Ritiene che tale errore è stato compiuto sebbene il coinvolgimento dei medici del turno notturno, risultasse chiaramente dalla documentazione in loro possesso (e offerta in comunicazione anche nell'odierno giudizio), dalla quale emergeva, che le condizioni di salute della Sig.ra Ba. si fossero aggravate soltanto durante la notte del 27.7.1996, tanto da rendere inevitabile un intervento chirurgico eseguito alle ore 8:00 della mattina del 28.7.1996. Con riferimento alla Struttura ospedaliera, l'attrice sottolinea che gli odierni convenuti hanno citato in giudizio, addirittura, un soggetto (Gestione Liquidatoria della A.U.) del tutto privo di legittimazione passiva, il quale, per tale ragione, non si è mai costituito in giudizio, sebbene il D.L. 1 ottobre 1999, n. 341 (convertito in L. 3 dicembre 1999, n. 453), rendesse palese che l'unico soggetto legalmente deputato a rappresentare la struttura ospedaliera fosse, nel caso di specie, l'Università degli Studi di Roma La Sapienza. Evidenzia che gli odierni convenuti, ammettendo implicitamente l'errore compiuto, non hanno gravato con l'appello il capo della decisione relativo al difetto di legittimazione passiva, il quale, conseguentemente, ha acquistato il valore della cosa giudicata. Ritiene che gli odierni convenuti, oltre ad aver evocato in giudizio soltanto soggetti privi di responsabilità e/o di legittimazione passiva, non hanno mai compiuto, anche solo in via cautelativa e prudenziale, alcun atto interruttivo della prescrizione del diritto al risarcimento dei danni, né nei confronti dei medici responsabili del turno notturno, né nei confronti del soggetto che aveva per legge la legale rappresentanza della struttura ospedaliera, ossia l'Università degli Studi di Roma La Sapienza. Evidenzia che l'accertato diritto della attrice ad ottenere il risarcimento dei gravissimi danni subìti, si è prescritto nei confronti dei soggetti effettivamente responsabili contro i quali, pertanto, la attrice non può spiegare alcuna domanda e/o richiesta. Rileva che la scelta e l'individuazione dei legittimati passivi non implicava, nel caso di specie, la soluzione di particolari problemi tecnici, essendo a tale scopo sufficiente l'esame della documentazione in possesso degli odierni convenuti e del D.L. 1 ottobre 1999, n. 341. L'attrice, dunque, chiede "accertare e dichiarare, per le ragioni esposte in narrativa ed ai sensi degli artt. 2229 e ss., 1176, co. 2, 1218 e 1223 c.c., l'inadempimento e la conseguente responsabilità professionale degli avv.ti Sa.Ma. e To.Fe. e, per l'effetto, condannarli, anche in solido fra loro, a risarcire i danni subìti dalla Sig.ra Ba.Ba., da quantificarsi nel corso del giudizio, corrispondenti alla somma che la stessa avrebbe percepito a titolo di risarcimento dei danni per i fatti del 27 e 28 luglio 1996 per le voci indicate nel cap. 19, lett. a - f della narrativa (ossia per invalidità temporanea parziale, per invalidità temporanea assoluta, per invalidità permanente connessa alla perdita dell'utero e della capacità di procreare, per il danno alla salute connesso alla sindrome ansioso depressiva che ha vissuto l'attrice a seguito del ricovero, per la riduzione permanente della capacità lavorativa nella misura del 40% con perdita di chance lavorative future e, infine, per danno morale); con l'aggiunta di interessi e rivalutazione monetaria, dal giorno dell'evento dannoso (27 luglio 1996) fino a quello dell'effettivo soddisfo. Quanto precede con espressa riserva di agire con autonomo e separato giudizio ai fini dell'integrale risarcimento dei danni ulteriori, subìti e subendi, in questa sede non espressamente menzionati. Con vittoria di spese e competenze, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA". Orbene, è opportuno, prima di passare ad analizzare il caso che ci occupa, fare alcune premesse. La responsabilità professionale dell'avvocato non sorge automaticamente nel caso di non corretto adempimento dell'attività professionale - da provare a cura del cliente - ma è necessario altresì 1) verificare se il danno sia riconducibile alla condotta del legale commissiva o omissiva , ovvero la sussistenza di un nesso eziologico tra la condotta del legale ed il risultato derivatone; 2) verificare se effettivamente sussista il danno; 3) infine accertare che, qualora l'avvocato avesse tenuto la condotta dovuta, l'assistito avrebbe conseguito, alla stregua di criteri probabilistici, il riconoscimento delle proprie ragioni e/o il danno non si sarebbe in tutto o in parte verificato, alla stregua dell'id quod plerumque accidit. (Cassazione civile sez. III, 28/05/2021, n.15032) Dunque, l'avvocato deve considerarsi responsabile nei confronti del proprio cliente, ai sensi degli artt. 2236 e 1176 cod. civ., in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge e, in genere, nei casi in cui, per negligenza o imperizia, compromette il buon esito del giudizio. In tema di responsabilità professionale dell'avvocato per omesso svolgimento di un'attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente opera la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile" da applicarsi non solo all'accertamento del nesso di causalità fra l'omissione e l'evento di danno, ma anche all'accertamento del nesso di causalità tra quest'ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell'omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull'esito che avrebbe potuto avere l'attività professionale omessa. (Cassazione civile sez. II, 25/08/2021, n.23434; Cassazione civile sez. VI, 13/01/2021, n.410) Come noto, le obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna alla prestazione della propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non al suo conseguimento. Ne deriva che l'inadempimento del professionista alla propria obbligazione non può essere desunto, ipso facto, dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti lo svolgimento dell'attività professionale e, in particolare, del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo al tradizionale criterio della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dall'art. 1176, comma 2, c.c. - parametro da commisurarsi alla natura dell'attività esercitata. Secondo il consolidato e costante orientamento della Corte di Cassazione, la responsabilità dell'avvocato non insorge automaticamente quale conseguenza di qualsivoglia inadempimento del professionista, ma sussiste solo nel caso in cui l'inadempienza dello stesso sia causalmente rilevante sull'esito della controversia, ed inoltre, l'onere di allegare e provare gli elementi sulla scorta dei quali effettuare la predetta valutazione prognostica grava sul cliente danneggiato. (cfr., da ultimo, anche Cass. Civ., Ordinanza n. 410/2021; Cass. Civ., Sez. III, Ordinanza n. 7064/2021; Cass. Civ., Sez. III, n. 20516/2020) Si deve osservare, altresì, che "la responsabilità dell'avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone" (cfr. Cass. Civ., Sez. III, n. 15032/2021; Cass. Civ., Sez. III, n. 4742/2019). Nel caso di specie, innanzitutto deve essere esaminata l'eccezione di prescrizione sollevata da parte convenuta. La responsabilità dell'avvocato nei confronti del cliente rientra nella responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., pertanto, il termine di prescrizione è decennale (art. 2946 c.c.). Vi sono due indirizzi giurisprudenziali riguardo al momento in cui inizia a decorrere la prescrizione: secondo un primo indirizzo essa decorre dal compimento dell'atto dannoso, secondo un altro indirizzo invece, decorre dal momento in cui il cliente ha la consapevolezza del danno. Nelle ipotesi di inadempimento del mandato difensivo in ambito giudiziario, la prescrizione del diritto al risarcimento, ai sensi dell'art. 2935 c.c., decorre dal momento in cui l'esito del processo diventa definitivo. In tema di responsabilità professionale per l'attività giudiziale dell'avvocato, il termine di prescrizione inizia a decorrere da quando il danno si manifesta ed è oggettivamente percepibile e conoscibile dal danneggiato, vale a dire dalla pubblicazione della sentenza e non dal momento in cui la condotta del professionista ha determinato l'evento dannoso (Cass. sentenza n. 24270/2020 e n. 18606/2016). Orbene, applicando tali principi al caso di specie, si deve ritenere che l'evento dannoso collegato alla negligenza professionale dei convenuti, è divenuto percepibile all'esterno e conoscibile dalla Sig.ra Ba., con la Sentenza della Corte d'Appello di Roma (sentenza n. 6576/2015), irrevocabile. Dunque, il diritto della Sig.ra Ba. al risarcimento dei danni conseguenti alla asserita negligenza professionale dei convenuti, oggetto di diffida in via stragiudiziale del 18.6.2018, non risulta prescritto, decorrendo il termine decennale dal 2015. D'altra parte, anche voler ritenere che l'attrice avesse percepito la negligenza dei professionisti ed il danno provocatole già con la sentenza di primo grado del 2009, anche in questo caso il termine di prescrizione decennale non sarebbe spirato. Applicando le suesposte coordinate giurisprudenziali al caso di specie, al fine di verificare la fondatezza della domanda dell'attrice, occorre valutare se via sia stata negligenza da parte degli avvocati convenuti cui è stato conferito il mandato professionale e, successivamente, valutare l'esistenza del nesso causale con un danno risarcibile, inquadrando la responsabilità dell'avvocato nell'ambito della c.d. "perdita di chance", accertando la ragionevole probabilità che la controversia avrebbe avuto una diversa e più favorevole evoluzione, con l'uso dell'ordinaria diligenza professionale. E' pacifico e non contestato che l'attrice avesse conferito mandato ai legali convenuti, al fine di essere risarcita delle conseguenze subite in occasione di un ricovero, effettuato in data 27 luglio 1996, presso la Struttura ospedaliera A.U.. È mancata, effettivamente, la corretta esecuzione della prestazione dedotta nel mandato professionale, per l'errata individuazione del soggetto legittimato passivo della pretesa, ossia "Gestione Liquidatoria -A.U." in luogo della "Università degli studi di Roma La Sapienza". La sentenza che ha definito il giudizio di primo grado - alla luce del D.L. n. 341 del 1999, convertito in L. 3 dicembre 1999, n. 453 (che ha attribuito alle neocostituite " A.P." e " A.O." una autonoma personalità giuridica di diritto pubblico ( art.1 comma 19) e che tuttavia nulla ha disposto per i rapporti pregressi - ha statuito che " la domanda proposta dalla Ba. nei confronti della Gestione liquidatoria deve essere respinta per difetto di legittimazione passiva". Ebbene, gli Avvocati T. e S., non hanno applicato quanto prevedeva il decreto Legge prima richiamato e quindi non hanno correttamente citato in giudizio l'effettivo legittimato passivo (Università degli Studi di Roma La Sapienza). Sul punto, la giurisprudenza di legittimità, ritiene che "L'omessa osservanza della regola sulla legittimazione passiva costituisce fonte di responsabilità professionale dell'avvocato difensore "(Cass. 10822/2020). Sussiste dunque, rispetto al difetto di legittimazione passiva della struttura sanitaria, un'ipotesi di inadempimento contrattuale. Nel caso di specie però, l'attrice è tenuta a provare non solo di aver sofferto un danno per l'omessa tempestiva e corretta azione giudiziale da parte dei propri difensori (tesa ad accertare la responsabilità dei sanitari e della struttura ospedaliera), ma anche il danno e che questo danno sia stato causato dall'insufficiente o inadeguata attività del professionista (nesso causale). Pertanto - poiché l'art. 1223 cod. civ. postula la dimostrazione dell'esistenza concreta di un danno, consistente in una diminuzione patrimoniale - la responsabilità degli avvocati per la mancata proposizione dell'azione giudiziale nei confronti dei sanitari ritenuti successivamente responsabili e della struttura ospedaliera legittimata passivamente, con conseguente preclusione della possibilità della Ba. di ottenere il risarcimento dei danni subiti - può essere affermata solo se la cliente dimostri che la corretta azione, ove proposta, avrebbe avuto concrete possibilità di essere accolta. Dalla lettura degli atti di causa, risulta che ella presentò querela il 31.7.1997 contro ignoti, per il reato di lesioni gravi commesse ai suoi danni dai sanitari che l'ebbero in cura il 27 e 28 luglio 1996 presso l'A.U., conferendo poi incarico all'avv. T. di assisterla nel processo penale, ove si era costituita parte civile. Ebbene, a seguito delle indagini svolte dal PM ed in particolare sulla base delle risultanze della CTU svolta su suo incarico, vennero rinviati a giudizio "solo i medici del turno pomeridiano", ovvero i tre sanitari citati in giudizio dagli attuali convenuti, nel giudizio civile di responsabilità medica. Tuttavia, dalla relazione espletata in sede di indagini, è emersa la responsabilità dei medici di turno del pomeriggio, ovvero in servizio al momento del ricovero in P.S. della Ba., i quali di fronte ad una emorragia, complicanza ben nota e prevedibile come conseguenza ricorrente del precedente e recente intervento di conizzazione cui l'attrice si era sottoposta, anziché procedere ad una sutura, procedura che i consulenti hanno ritenuto doverosa ed adeguata al fine di evitare l'evoluzione ingravescente poi verificatasi, si erano limitati ad inserire un tampone vaginale e senza ulteriori controlli nemmeno degli esiti delle analisi del sangue e dei valori preoccupanti che ne emergevano, l'avevano affidata alle ore 21 ai colleghi del turno di notte, con la sola raccomandazione di controllare il tampone vaginale. Tuttavia, dalla medesima relazione, è emersa anche la responsabilità dei sanitari del turno notturno. Nella medesima consulenza infatti, vengono messi in risalto profili di responsabilità anche di tali ultimi sanitari, i quali, nonostante la paziente lamentasse nella notte dolore e chiedesse più volte l'intervento dei medici, non la sottoponevano ad alcuna visita o controllo, nemmeno del tampone vaginale, come da indicazioni dei colleghi che li avevano preceduti, che veniva quindi espulso naturalmente alle ore 7 di mattina, dalla forte ed inarrestabile emorragia in corso, che la costringeva poco dopo, ad un intervento di urgenza di isterectomia, in condizioni gravi, anche per i valori ematochimici indubbiamente alterati per la grande perdita di sangue subita. In effetti dalla CTU svolta in sede di indagini a cura del PM, emergono profili di responsabilità di tutti i medici che l'ebbero in cura tra il 26 luglio ed il 27 luglio, indistintamente: i medici del turno pomeridiano, per l'erroneo iniziale approccio alla problematica della paziente, che con idonea sutura le avrebbe evitato l'emorragia e l'intervento; i medici del turno notturno, per la negligenza e l'omessa sorveglianza delle condizioni della paziente durante la notte, nonostante le sue richieste di aiuto, che a causa dell'intervento intempestivo dei medici, determinò l'asportazione dell'utero. E' ben vero che furono rinviati a giudizio solo i dottori P., M. e C. e non anche i sanitari del turno di notte, dottori Ba. e P.. Tuttavia, è principio noto a qualsiasi professionista esercente l'attività legale, che i criteri di attribuzione della responsabilità penale e quelli della responsabilità civile, sono diversi. Ciò sta a significare che il fatto che fossero stati rinviati a giudizio solo alcuni dei sanitari, verosimilmente perchè sotto il profilo penalistico non si ravvisavano nei confronti degli altri medici sufficienti indizi di colpevolezza, non escludeva che gli stessi potessero essere ritenuti responsabili in sede civile, tanto più che il materiale a disposizione dei convenuti, non consisteva in una CTU espletata in sede dibattimentale o in una sentenza penale di condanna, bensì in una consulenza espletata solo in sede di indagini ed in una sentenza di non doversi procedere. In sostanza, in sede penale non era stato accertato alcunchè. Pertanto, il fatto che i convenuti abbiano citato in giudizio solo i tre sanitari di turno nel pomeriggio, non trova giustificazione nè in diritto, e dunque sotto il profilo della perizia, né sotto un profilo di strategia processuale, e quindi sotto il profilo della diligenza. Parimenti è frutto di negligenza, il non aver comunque inoltrato atti interruttivi, anche solo in via cautelativa, nei confronti di tutti i sanitari coinvolti e nei confronti dei diversi soggetti giuridici che rappresentavano I.P., proprio alla luce delle difficoltà interpretative della norma che aveva riconosciuto personalità giuridica alla struttura ospedaliera ed ai contrasti giuresprudenziali sul punto, che gli stessi convenuti hanno ammesso, anche se a loro discolpa. Pertanto, l'attribuzione di responsabilità ai convenuti, per aver citato in giudizio i sanitari sbagliati e l'ente privo di legittimazione passiva, se da un lato può trovare giustificazione per quanto concerne l'erronea citazione in giudizio della struttura sanitaria, non esonera i convenuti da responsabilità, per non aver messo in atto tutte le procedure cautelative, idonee a riservarsi una nuova e diversa azione nei confronti di tutti i sanitari coinvolti e del soggetto che fosse risultati effettivamente legittimato a rappresentare la struttura sanitaria, prima dell'inutile decorso del termine di prescrizione e comunque impedendo che questo decorresse a danno dell'attrice. Quanto al difetto di legittimazione passiva della struttura, ovvero della citazione in giudizio della Gestione Liquidatoria (della cessata A.U.), benchè il decreto Legge risalisse temporalmente al 1999, non può solo per questo qualificarsi un errore causato da negligenza o imperizia, giacchè la sua applicazione al caso concreto, non avendo disposto nulla la suddetta normativa per i procedimenti in corso, era di difficile interpretazione, tanto che il Tribunale, ha all'uopo citato la sentenza della Corte di Cassazione a S.U. n. 584/08 chiamata a dirimere il contrasto intervenuto sul punto. Tale pronuncia, comunque successiva alla proposizione della domanda, comprova che esistesse un dibattito aperto sulla questione e che sussistessero, al momento dell'instaurazione della causa (2004), diversi orientamenti contrastanti. A conforto di quanto sopra detto, vi è la decisone del giudice di primo grado in punto spese, il quale, proprio in considerazione di tale difficoltà interpretativa e della difficoltà di individuare i sanitari responsabili, alla luce degli esiti del procedimento penale, ritenne di dover compensare le spese legali. Tuttavia, ciò non esime da responsabilità i convenuti, i quali, qualora avessero comunicato i dovuti atti interruttivi a tutti i possibili soggetti evocabili in giudizio, alla luce soprattutto della sentenza di primo grado, avrebbero potuto quanto meno promuovere immediatamente e contestualmente all'atto di appello, azione nei confronti degli altri sanitari, in virtù del rapporto di coobbligati solidali. La copiosa corrispondenza tra i convenuti e l'ente citato in giudizio, intrattenuta con i responsabili del loro ufficio legale e delle loro assicurazioni, che risposero, si attivarono ed aprirono persino la pratica relativa al sinistro, nella fase stragiudiziale volta ad una definizione bonaria, non è circostanza idonea a giustificare il comportamento omissivo dei convenuti: ciò prova soltanto che verosimilmente i dubbi interpretativi esistessero addirittura in seno all'ente stesso, che mai comunicò di non essere legittimato. Alla luce di quanto sopra esposto, le doglianze dell'attrice ricolte ai convenuti e consistenti nel non aver posto in essere atti interruttivi nei confronti degli altri sanitari coinvolti nella vicenda, né nei confronti dell'Università degli Studi La Sapienza, quanto meno prima della sentenza di primo grado del 2009, è assolutamente fondata. D'altra parte, alla luce della sentenza di primo grado confermata in appello e persino passata in giudicato, secondo il principio del più probabile che non, l'attrice, qualora fossero stati posti in essere atti interruttivi nei confronti dei due sanitari dottori P. e Ba., avrebbe avuto secondo il principio del più probabile che non, l'esito favorevole del giudizio. D'atra parte va anche sottolineato, che tutta la tesi difensiva dei convenuti improntata sul presunto rifiuto dell'attrice di agire nei confronti dei medici del turno notturno e dell'Università gli Studi La Sapienza, oltre ad essere stata puntualmente contestata dall'attrice nella memoria ex art.183 co.6 c.p.c. I termine, non ha trovato smentita negli atti prodotti dai convenuti. Ciò premesso, va affrontato innanzitutto il profilo di imprudenza, quanto alla mancanza di atti interruttivi nei confronti dell'Ospedale (Università degli Studi La Sapienza). Risulta infatti che l'attrice non si sia presentata allo studio dei professionisti, sebbene sollecitata nel 2013, ma non è indicato nella missiva il motivo dell'urgenza della sua convocazione. Sicchè, tale documento, nulla prova in difesa dei convenuti. Viceversa, con mail del 1.12.2015, l'attrice veniva informata dai convenuti dell'esito della sentenza della Corte di Appello di Roma del 25.11.2015 e sollecitata a presentarsi allo studio, non solo per procedere eventualmente con ricorso per Cassazione, pur rappresentandole il rischio del passaggio in giudicato della sentenza, ma per fornirle tutte le spiegazioni ed i chiarimenti del caso e per valutare come diversamente procedere a fronte dell'esito negativo del giudizio (sui prossimi eventuali passi da percorrere). Quand'anche si dovesse ritenere che in quella sede, l'attrice oltre a rifiutarsi di proporre ricorso in Cassazione, si fosse rifiutata di agire contro i sanitari del turno notturno e contro l'università degli Studi La Sapienza, in mancanza degli atti interruttivi di cui sopra, il suo rifiuto tamquam non esset, atteso che tali azioni non sarebbero state comunque più esperibili. Invero, è pregiudiziale all'esame di ogni altro aspetto, l'effettiva ricaduta dell'inadempimento sopra evidenziato, sulla denunciata perdita definitiva del diritto di agire per il risarcimento dei danni subiti, a causa del predetto inadempimento, ovvero verificare la sussistenza del nesso di causalità tra l'inadempimento ed il danno. A tal proposito, va precisato che i fatti sono accaduti nel luglio 1996 e quindi, trattandosi di responsabilità medica anteriore alla Legge G., la stessa si configurava di natura contrattuale anche nei confronti dei medici. La prescrizione ordinaria decennale pertanto, nei confronti dei dottori P. e Ba. e dell'Università La Sapienza, sarebbe inutilmente spirata a luglio del 2006. Infatti, anche applicando l'art.2935 c.c. invocato dai convenuti, non si può ritenere che l'attrice, alla quale sia stato asportato l'utero e sia stata privata della possibilità di procreare in data 28.7.1996, a seguito della vicenda sanitaria sopra descritta, non avesse compreso e percepito da subito, il grave danno subito e la sua connessione con l'attività negligente ed omissiva dei sanitari. E' dalla data dell'intervento di isterectomia eseguito con urgenza in data 28.7.1996, che deve dunque farsi decorrere la prescrizione decennale, come anche accertato dalla sentenza penale di non doversi procedere del 2003. Diversamente da quanto sostenuto dai convenuti, l'azione penale esercitata solo nei confronti dei dottori P., C. e M., ha avuto effetto sospensivo della prescrizione solo nei loro confronti, ma detto effetto sospensivo non si è esteso ai condebitori solidali, dottori P. e Ba., né all'Università La Sapienza di Roma, in virtù di quanto disposto dall'art.1310 comma 2 c.c. Quanto all'effetto estensivo della interruzione della prescrizione nei confronti dei condebitori solidali, ossia dei suddetti due medici non rinviati a giudizio e non citati in sede civile, nei confronti dei quali, proprio in base a quanto disposto dalla citata norma al comma 1, gli atti interruttivi con i quali il creditore interrompe il termine di prescrizione nei confronti di uno dei debitori solidali, interrompe la prescrizione anche nei confronti del comune debitore, ancorchè questi non sia venuto a conoscenza di detti atti, non va ignorato innanzitutto il limite dell'eccezione di giudicato di cui al'art.1306 comma 2 c.c. Come statuito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 20559/14 "la regola di cui all'art.1306 comma 2 c.c. secondo cui i condebitori in solido hanno facoltà di opporre al creditore la sentenza pronunciata tra questi ed uno degli atri condebitori, trova applicazione soltanto nel caso in cui la sentenza suddetta si stata resa in un giudizio in cui non abbiano partecipato i condebitori che intendano opporla". Inoltre, va precisato che nel caso di specie ci troviamo in presenza non di solidarietà nell'adempimento della medesima obbligazione, bensì di solidarietà derivante da medesimo fatto dannoso, ossia plurime condotte ciascuna con un contributo autonomo e distinto rispetto al fatto, ossia di SOLIDARIETA' RISARCITORIA. In questa ipotesi la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3633/18 ha precisato che: "quando a più soggetti sia imputabile un medesimo fatto dannoso, questi risponderanno in solido per l'intero danno, tuttavia il giudizio contro solo uno dei condebitori non si svolge entro i binari dell'art.2055 c.c.; rimane un giudizio di responsabilità monosoggettiva. Le nozioni di solidarietà, di condebito risarcitorio e di quota ex art.2055 c.c. non entrano in quel giudizio. In quel giudizio, il primo debitore-non riguardato come obbligato in solido-è condannato per l'intero danno di cui è responsabile, anziché, parziariamente, per una quota di corresponsabiità del 50%. Il creditore può sempre agire nei confronti dei corresponsabili (anche dopo il passaggio in giudicato della prima statuizione, ma sempre nei limiti dei termini prescrizionali, decorrenti, peraltro, dal primo) per ottenere il ristoro residuo". In punto prescrizione, la Corte di Cassazione nella sentenza n. 286/15 ha chiarito che: "il danno di cui al'art.2055 c.c. è disciplinato da un unitario regime della prescrizione nei confronti di tutti gli autori delle diverse condotte illecite che hanno concorso a determinarlo, con estensione del termine di prescrizione di dieci anni (art.2953 c.c.) nei confronti di tutti i coobbligati solidali (art.1292 c.c.), in caso di passaggio in giudicato di una sentenza di condanna emessa nei confronti di uno solo dei coobbligati solidali" Invero i Giudici di Legittimità già con precedente sentenza n. 8136/01 avevano statuito che "la disciplina del'art.1310 c.c. e dunque dell'effetto estensivo dell'interruzione della prescrizione ai condebitori solidali, doveva essere letta in combinato disposto con l'art. 2945 c.c." (conf. Cass. n. 1463/16). Invero l'art.2945 c.c. al comma 2 così dispone: "Se l'interruzione è avvenuta mediante uno degli atti indicati dai primi due commi dell'art.2943 c.c., la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio". Ebbene, è evidente che detta norma vada letta in relazione a quanto disposo dall'art. 2935 c.c. che prevede che "i diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essa è intervenuta una sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con decorso di dieci anni". Come statuito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 2003/17: "la sentenza passata in giudicato, per poter determinare la conversione del termine di prescrizione, deve essere di "condanna", come esplicitamente sancito dall'art.2953 c.c. e cioè consistere in un provvedimento giudiziale definitivo che imponga, a chi vi è obbligato, l'esecuzione della prestazione dovuta per il soddisfacimento del diritto altrui fatto valere, con conseguente esclusione, delle sentenze di mero accertamento". Dala lettura combinata delle suddette norme, se ne ricava il conseguente corollario: l'interruzione della prescrizione, è strettamente connessa con l'esito favorevole del giudizio per l'attore, ovvero deriva dall'accoglimento della domanda ed al riconoscimento del diritto azionato (sentenza di condanna). Diversamente, se la sentenza che definisce il giudizio escludesse il diritto azionato (sentenza di rigetto), non si porrebbe proprio la questione della prescrizione e tanto meno della interruzione del termine di prescrizione o addirittura della sua estensione. Essendo stata esclusa la sussistenza del diritto, viene meno il tempo per farlo valere, nascendo invece a favore dell'altra parte, l'interesse all'exceptio rei iudcatae. L'art.2935 c.c. infatti dispone che "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere". Se dunque con sentenza passata in giudicato la domanda è stata rigettata ed è stato escluso il diritto, è evidente che viene meno il termine necessario per farlo valere. Va inoltre precisato che anche una sentenza che dichiara l'inammissibilità della domanda interrompe la prescrizione, sempre se le parti hanno avuto conoscenza del processo (Cass. 29609/18). Peraltro, le sentenze in rito che definiscono il giudizio, interrompono la prescrizione, sempre che non definiscano anche il merito. Ciò premesso, due sono dunque gli aspetti giuridici rilevanti nel caso in esame, in cui il danno lamentato è la perdita di chance, ovvero la perdita definitiva di poter agire per il risarcimento del danno, stante la condotta omissiva dei convenuti che ha comportato la prescrizione del diritto: 1) Il tipo di sentenza passata in giudicato (sentenza di rigetto), che ha definito il giudizio promosso dai convenuti nei confronti solo di alcuni dei condebitori solidali; 2) La pronuncia di inammissibilità per difetto di legittimazione passiva nei confronti di soggetto privo della legittimazione a resistere in giudizio (che ha anche rigettato la domanda nel merito nei confronti dei medici e del cui giudizio non era a conoscenza il soggetto legittimato a rappresentare il condebitore solidale struttura sanitaria). Ebbene, la Corte di Cassazione, partendo dal dettato dell'art.2055 c.c. che dispone che "se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno", ha ritenuto che ciò che rileva è l'unicità del fatto dannoso, indipendentemente dal fatto che sia stato determinato da più condotte autonome ovvero che i titoli di responsabilità di ciascuno siano diversi. Questo significa che il danneggiato potrà richiedere ad un solo condebitore l'integrale pagamento del danno, ma poi nei rapporti interni (tra debitori), ciascuno risponde nella misura in cui ha partecipato alla verificazione del danno e a titolo di dolo o di colpa. In sostanza, colui che ha risarcito il danno per intero, ha poi azione di regresso contro ciascuno degli altri condebitori, e nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall'entità delle conseguenze che ne sono derivate. Trattandosi di responsabilità solidale, non sussiste un'ipotesi di litisconsorzio necessario, sicchè il creditore danneggiato non deve citare tutti i debitori. Inoltre, sempre a favore del danneggiato, vale il principio per cui ogni atto di interruzione della prescrizione effettuato verso uno dei debitori in solido, interrompe la prescrizione anche nei confronti degli altri condebitori ai sensi dell'art.1310 c.c. che dispone: "gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido hanno effetto riguardo agi altri debitori". Tipico atto interruttivo è l'atto di citazione. Sicchè se il creditore cita in giudizio solo uno dei debitori in solido ed il giudizio si definisce con la sua condanna, il termine di prescrizione ricomincia a decorrere dalla sentenza passata in giudicato, anche nei confronti del condebitore non citato in giudizio e che non ha partecipato al processo. Poiché l'art.2953 c.c. fa riferimento genericamente al "diritto", in linea con la solidarietà, la Corte di Cassazione ha ritenuto che a seguito della sentenza di condanna passata in giudicato, il giudicato formatosi nei confronti di un coobbligato solidale, operi anche nei riguardi degli altri coobbligati rimasti estranei al giudizio. Non vi è dubbio, in virtù dei principi sopra delineati in ordine al concetto di solidarietà risarcitoria, nonchè avuto riguardo al rapporto contrattuale instaurato tra paziente-medico e paziente-struttura all'epoca del fatto, che sia i primi che la struttura, possano ritenersi debitori solidali. Di recente la Corte di Cassazione a S.U. nella sentenza n. 13143/22, ha ritenuto di dover estendere il principio di solidarietà passiva di cui all'art.2055 c.c., anche alle ipotesi di solidarietà da risarcimento del danno derivante da più condotte che hanno concorso a provocare il danno, ancorchè il loro obbligo nascesse da fonti diverse, contrattuale ed extracontrattuale. In questo modo ha ritenuto applicabile anche alle condotte lesive autonome l'art.1310 c.c. e dunque l'estensione del termine di prescrizione anche agli altri debitori solidali. La Corte di Cassazione con la suddetta sentenza infatti, in una causa di risarcimento del danno, rappresentato dalla perdita dei capitali conferiti dagli attori nelle società fiduciarie, domanda proposta dagli investitori nei confronti del Ministero dello Sviluppo Economico per omessa sorveglianza delle società fiduciarie, ha risolto il contrasto in materia di estensione dell'interruzione del termine di prescrizione ai condebitori solidalmente obbligati, ritenendo applicabile l'art.1310 comma 1 c.c. anche al soggetto solidalmente responsabile ai sensi dell'art.2055 c.c., ancorchè la sua responsabilità si fondasse un titolo diverso rispetto alla fonte negoziale, in virtù della quale le società fiduciarie avevano assunto l'obbligo, non adempiuto, di amministrare con diligenza e profitto il denaro degli investitori e nonostante il Ministero non avesse mai ricevuto alcun atto interruttivo, enunciando il seguente principio di diritto: "nel caso di società fiduciaria posta in L.C.A. l'ammissione allo stato passivo determina, sia per i creditori ammessi direttamente a seguito della comunicazione inviata dal commissario liquidatore ai sensi del'art.207 primo comma L.F, sia per i creditori ammessi a domanda ai sensi del'ar.208 stessa legge, l'interruzione della prescrizione con effetto permanente per tutta la durata della procedura, a far data dal deposito dell'elenco dei creditori ammessi, ove si tratti di ammissione d'ufficio, o a far data dalla domanda rivolta al commissario liquidatore per l'inclusione del credito al passivo, nel caso previsto dall'art. 208 L.F.: tale effetto, ai sensi del'art.1310, primo comma, c.c., si estende anche al Ministero ove coobbligato solidale per il risarcimento del danno da perdita dei capitali fiduciariamente conferiti nella società soggetta a vigilanza divenuta insolvente". Orbene, nel caso di specie, le lettere di diffida e di richiesta di risarcimento danni inviate ai tre medici del turno pomeridiano prima del giudizio e l'atto di citazione del 2004, hanno sicuramente interrotto la prescrizione anche nei riguardi dei medici rimasti estranei a quel giudizio. Di talchè, la prescrizione decennale ha ricominciato a decorrere dal 2004 anche nei loro confronti e dunque sarebbe spirata nel 2014 (Cass. S.U. n. 13143/22). Come sopra esposto però, la Corte di Cassazione nella sentenza n. 8136/01, ha statuito che: "l'estensibilità dell'interruzione della prescrizione ai condebitori solidali va completata con la disciplina degli effetti della durata dell'interruzione contenuta nell'art. 2945 c.c., con la conseguenza che l'azione giudiziaria e la pendenza del relativo processo, determina l'interruzione permanente della prescrizione anche nei confronti del condebitore rimasto estraneo al giudizio, fino al passaggio in giudicato della sentenza" (Conf. Cass. 22594/19; Cass. 1463/16). Tuttavia, in base proprio ai principi sopra enunciati, essendo stato definito quel giudizio con "sentenza di rigetto" nei confronti dei convenuti (medici del turno pomeridiano) e di "inammissibilità" nei confronti del soggetto privo della legittimazione a stare in giudizio in rappresentanza dell'O.U., essendo detta sentenza passata in giudicato nel 2015, non avendo avuto conoscenza la struttura sanitaria legittimata del processo, né essendo stati mai inviati atti interruttivi né a quest'ultima, nè agli altri condebitori solidali, la suddetta sentenza non ha avuto effetto interruttivo della prescrizione nei confronti dei condebitori solidali, ovvero nè nei confronti dei dottori P.L. e P.B., né nei confronti dell'Università degli Studi La Sapienza. Da ciò ne discende una considerazione di notevole importanza nella fattispecie in esame. Invero, stante l'indubitabile rapporto di solidarietà passiva tra i cinque medici operanti nella stessa struttura e la struttura stessa, tutti coinvolti nello stesso fatto generatore di danno, sebbene ciascuno con proprie autonome condotte, peraltro i medici P. e Ba. ritenuti responsabili nella sentenza civile passata in giudicato, a fronte dell'inutile spirare del termine di prescrizione nei confronti dei medici non citati in giudizio e nei confronti della struttura non citata correttamente, è evidente il gravissimo ed irreparabile danno provocato dai convenuti all'attrice, con il loro comportamento imprudente ed omissivo. Peraltro, il fatto è ancora più grave, se si considera che con l'atto di citazione del 2004, quanto meno nei confronti dei medici condebitori solidali, il termine di prescrizione si era interrotto e poteva essere promossa azione ai loro danni subito dopo la sentenza di primo grado del 2009. Invero, il termine di prescrizione per esercitare l'azione di risarcimento nei confronti dei dottori P. e Ba. andava a scadere nel 2014. Sussiste dunque il danno irreparabile lamentato dall'attrice nel presente giudizio ed il nesso di causalità tra l'inadempimento dei convenuti ed il danno. D'altra parte, alla luce della sentenza civile di secondo grado, secondo il principio del più probabile che non, l'esito del ricorso in Cassazione sarebbe stato comunque sfavorevole all'attrice ed in ogni caso non le avrebbe consentito comunque di agire nei confronti della struttura sanitaria, benchè già in sede penale fossero emerse le gravi carenze organizzative dell'ospedale, che avevano concorso a determinare il danno (solo due medici di turno quella notte, a servizio sia del reparto che della sala operatoria). Sicuramente, il profilo di colpa più grave, è la mancata interruzione dei termini di prescrizione nei confronti di tutti i medici coinvolti, che già dalla consulenza tecnica svolta in sede di indagini preliminari, risultavano parimenti responsabili. Pertanto, anche qualora si volesse ritenere che l'attrice convocata con la mail del 2015 presso lo studio dei convenuti, non fosse stata convocata solo per valutare a possibilità di proporre ricorso in Cassazione, essendo ormai spirati i termini di prescrizione, non si comprende a quale altro titolo sarebbe stata convocata. Il fatto che ella revocò il mandato il 15.12.2015, è dunque circostanza irrilevante, non avendo impedito ai convenuti con il suo comportamento, di proporre una nuova causa nei confronti dei condebitori solidali. L'attrice non ha negato di essere stata dovutamene informata dei rischi a cui si esponeva qualora non avesse proposto ricorso in cassazione, ma tale rischio era poca cosa rispetto al danno ormai procuratole, che poteva essere evitato e del cui rischio invece non risulta essere stata mai informata. L'altro aspetto pregnante della vicenda, riguarda la contestata inadempienza dei professionisti, per aver citato in giudizio un soggetto non legittimato a rappresentare la struttura ospedaliera ove era stata ricoverata. Ebbene, a parte le considerazioni già fatte in ordine alla difficoltà interpretativa e di individuare il legittimato passivo, va anche qui aperta una parentesi di ordine processuale di non poco momento. Invero, la sentenza di primo grado con la quale è stato dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Gestione Liquidatoria-A.S., per essere legittimata passiva l'Università degli Studi La Sapienza, è stata confermata in appello. Tuttavia, la decisione sul punto, non è una mera pronuncia in rito, ma anche nel merito e per di più la pronuncia in rito è stata emessa senza che il soggetto legittimato fosse a conoscenza del processo. Pertanto, in base a quanto sopra detto, il danno anche sotto questo profilo, è irreparabile. Qualora si fosse trattato solo di una mera pronuncia in rito, che avesse comportato solo l'inammissibilità della domanda proposta nei confronti di quel determinato soggetto, come statuito dalla sentenza della Corte di cassazione a S.U. n.1516/16, anche la domanda dichiarata inammissibile avrebbe interrotto il termine di prescrizione fino al passaggio in giudicato della sentenza, ma sempre a condizione che fossero stati comunicati atti interruttivi nei confronti del soggetto legittimato. Sul punto la recente pronuncia della Corte di Cassazione n. 29069/18, ha infatti precisato che: "il principio sancito dall'art.2945 secondo comma c.c., secondo cui l'interruzione della prescrizione determinata dalla proposizione della domanda giudiziale si protrae fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, trova infatti deroga soltanto nel caso di estinzione del processo e resta pertanto applicabile anche nell'ipotesi in cui detta sentenza NON abbia deciso sul merito della domanda, ma si sia limitata a definire eventuali questioni di carattere pregiudiziale, purchè essa sia stata pronunciata nell'ambito di un rapporto processuale della cui esistenza le parti siano a conoscenza; l'effetto interruttivo permanente previsto da tale disposizione deve essere pertanto riconosciuto anche alla domanda nuova introdotta, in quanto la relativa dichiarazione di inammissibilità presuppone, in ogni caso, una pronuncia idonea a passare formalmente in giudicato e dunque una difesa attiva della controparte, la quale resta compiutamente edotta della volontà dell'attore di esercitare il proprio diritto" (Conf. Cass. 13603/21 e Cass. 21008/22). Qualora come nel caso di specie invece, venga proposta una domanda nei confronti del soggetto sbagliato dal punto di vista della sua legittimazione ad processum, detta domanda, inammissibile, in assenza di atti interruttivi nei confronti del vero legittimato, non può essere riproposta in un altro giudizio ed impedisce dunque all'attore, di riproporre la stessa domanda nei confronti del soggetto effettivamente legittimato passivo, anche perché la suddetta sentenza, ha deciso anche sul merito e non solo in rito. Sicchè, l'effetto estensivo dell'interruzione della prescrizione invocato dai convenuti, non trova spazio nel caso in esame. Ne discende, dunque, la fondatezza della domanda. Orbene, avendo l'attrice assolto al suo onere probatorio, può liberarsi dall'obbligo di pagamento del compenso in favore del professionista. "Non può essere applicata l'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. per negare il pagamento del compenso all'avvocato che sia incorso in negligenza professionale, se il cliente non dimostri che la condotta sia stata causativa del danno subìto non potendosi avvalere, perché contrario a buona fede, dell'esercizio di poteri di autotutela" (Cass. civ., sez. 6, 12.11.2020, n. 25464) "Il legale non ha diritto all'onorario quando la sua negligenza, secondo un criterio probabilistico, abbia impedito di conseguire un esito della lite altrimenti ottenibile" (Cass. n. 3830/2022) Dunque, riguardo alla domanda riconvenzionale proposta dai convenuti, sussistono i presupposti affinchè la Sig.ra Ba. possa sottrarsi al pagamento dei compensi, in ragione della dedotta responsabilità professionale. La domanda riconvenzionale proposta dai convenuti deve pertanto essere rigettata. Deve essere rigettata parimenti, ogni eccezione di nullità della chiamata in causa del terzo, in quanto l'atto contiene gli elementi essenziali per predisporre una difesa, tanto che la compagnia assicurativa si è difesa punto per punto anche in ordine alle contestazioni mosse dall'attrice agli assicurati. Quanto alla difesa svolta nel merito dalla compagnia di assicurazione, deve ritenersi infondata l'eccepita inoperatività della polizza, in quanto basata sul presupposto che in assenza di una denuncia o di una diffida da parte del cliente, pervenuta solo in data 18.6.2018, ogni qualvolta vi sia l'esito sfavorevole del giudizio, l'assicurato dovrebbe prevedere un'eventuale futura azione di responsabilità, anche in assenza di consapevolezza di valide ragioni e dichiarare tali sue supposizioni in sede di stipula della polizza. E' incontestabile che la diffida sia pervenuta ai convenuti solo successivamente alla stipula della polizza, datata 1.6.2018, sicchè la domanda di manleva deve essere accolta, dovendo gli assicurati in base al n.4 delle condizioni della polizza pag. 2, dichiarare l'esistenza di denunce, domande di risarcimento o di illeciti di cui avessero consapevolezza, ma non certo di ipotesi, supposizioni, previsioni future o atti di autocritica. D'altra parte, non si può sostenere che gli assicurati fossero consapevoli del danno procurato alla cliente e della sicura richiesta di risarcimento del danno, già sulla base della sola CTU espletata nel giudizio civile di primo grado. Non è infatti un dato certo ed incontrovertibile, che il Giudice si attenga sempre e pedissequamente agi esiti della CTU. Non avendo poi la compagnia precisato in alcun modo nella comparsa di costituzione, né nella prima memoria istruttoria, i limiti del massimale o della franchigia, non potrà che farsi un rinvio generico al contratto, essendo suo onere precisare i limiti della polizza o fare precisi rinvii e clausole o condizioni di contratto sul punto. Con riferimento al quantum debeatur, essendo stato il danno ormai cristallizzato nella CTU posta a base della sentenza passata in giudicato, nessun'altra valutazione può essere fatta in questa sede o contestazione in ordine a tale valutazione medico-legale. Dalla reazione suddetta, risulta che l'attrice ha subito una ITP di 20 giorni, una ITP al 50% di 20 giorni ed un danno biologico permanente del 30%, comprensivo sia della perdita dell'utero e della capacità di procreare, sia del disturbo di ansia conseguente (di cui non è stata data prova alcuna che sia ancora sussistente), con esclusione della perdita della capacità lavorativa. Pertanto, considerata l'età dell'attrice al momento del fatto (28.7.1996), ossia 33 anni, della percentuale di invalidità del 30%, applicando le Tabelle de Tribunale di Roma in vigore al 2023, deve liquidarsi a titolo di danno biologico permanente la somma di Euro 146.197,71. Quanto alla ITT di giorni 20 va liquidata la somma di Euro 2.561,40 (pari ad Euro 128,07 X 20 giorni), mentre per la ITP al 50% la somma di Euro 1.280,60 (pari ad Euro 64,03 X 20). Complessivamente dunque all'attrice deve essere liquidato a titolo di danno biologico, la somma di Euro 150.039,71. Ebbene, la somma di Euro 150.039,71 è stata valutata all'attualità. Pertanto, detta somma va devalutata al momento del fatto (28.7.1996) e via via rivalutata ad anno per anno secondo gli indici Istat, dal dì del fatto alla sentenza. La giurisprudenza infatti ha ritenuto applicabile anche al debito di valore derivante da inadempimento contrattuale, i medesimi criteri di rivalutazione applicabili al risarcimento del danno da fatto illecito. Poiché se il mandato conferito ai convenuti fosse stato adempiuto correttamente, l'attrice avrebbe avuto il risarcimento del danno a far data dall'inadempimento contrattuale per colpa medica, il danno dalla stessa subito è pari al medesimo risarcimento da colpa medica che si sarebbe vista riconoscere in assenza dell'inadempimento dei convenuti, a decorrere dalla data dell'intervento. Sulla suddetta somma via via rivalutata, vanno computati poi gli interessi "compensativi", volti a compensare il ritardo con cui il danneggiato riceve il risarcimento, dalla data dell'inadempimento (intervento) alla sentenza. Da questo momento invece il debito di valore si converte in debito di valuta, pertanto dalla sentenza al saldo, sulla somma come sopra liquidata, vanno computati gli interessi nella misura legale. Infatti, va osservato, che i danni sono stati liquidati all'attualità ed invece va effettuata la liquidazione all'epoca dell'inadempimento. Quanto invece agli interessi, si rileva che "il danno subito per la mancata corresponsione dell'equivalente pecuniario del bene danneggiato può essere liquidato in via equitativa, attraverso il ricorso agli interessi, non necessariamente determinati in misura corrispondente al saggio legale, da calcolarsi sulla somma corrispondente al valore del bene al momento dell'illecito via via rivalutata ". In pratica "qualora la liquidazione del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata per equivalente, con riferimento cioè, al valore del bene perduto all'epoca del fatto illecito, e tale valore venga poi espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione intervenuta fino alla data della decisione definitiva, è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del mancato guadagno, che questi provi essergli stato provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma. Tale prova può essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi, quale l'attribuzione degli interessi, ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del caso; in siffatta ultima ipotesi, gli interessi non possono essere calcolati (dalla data dell'illecito) sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata, mentre è possibile determinarli con riferimento ai singoli momenti (da stabilirsi in concreto, secondo le circostanze del caso ) con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un indice medio" (Cass. Sez. Unite 1712/95). Questo Giudice ritiene equo adottare, come risarcimento del pregiudizio da ritardato conseguimento delle somme dovute, quello degli interessi "compensativi" nella misura del 2,5%, tenuto conto del graduale mutamento del potere di acquisto della moneta e dell'andamento medio dei tassi di impiego del denaro. Nulla invece deve essere liquidato, come voce a sé stante, per il danno morale, esistenziale o relazionale, in quanto secondo il recente insegnamento della Corte di Cassazione di cui alla sentenza n. 901/18, tale voce di danno, pur costituendo attualmente una categoria autonoma rispetto a quella del danno biologico, va intesa come "personalizzazione" del danno, solo quando il danno abbia cagionato conseguenze significative e ostative nelle condizioni di vita future del danneggiato. Qualificati entrambi come danni di natura non patrimoniale, il danno biologico è da ricondursi ad una violazione dei diritti costituzionalmente tutelati (diritto alla salute ex art. 32 Cost.), mentre il danno morale o relazionale è da intendersi come un autonomo "danno esistenziale", consistente, di converso, proprio nel vulnus arrecato a tutti gli aspetti dinamico relazionali della vita della persona conseguenti alla lesione della salute; quello stesso danno "relazionale" è predicabile in tutti i casi di lesione di altri diritti costituzionalmente tutelati. Pertanto, esso va quantizzato, "in un aumento percentuale" del danno biologico, solo quando sia dovutamente provato e dimostrato. Secondo un orientamento giurisprudenziale ancor più recente, inoltre, il danno relazionale o morale, inteso come sofferenza, si verifica solo quando le conseguenze di un danno alla salute, si configurino come "peculiari ed eccezionali", rispetto ad altri soggetti della stessa età, i quali abbiano goduto di conseguenze ordinarie e non straordinarie da quel tipo di menomazione: in applicazione di tali princìpi, questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Cass. 7513/2018). Pertanto, non essendo state né allegate, né provate, conseguenze straordinarie alla menomazione subita dalla sig. Ba., ed essendo tali voci di danno non straordinarie già ricomprese nei valori tabellari, non dovrà essere effettuata alcuna "personalizzazione del danno biologico", in funzione di un danno morale (sofferenza) o relazionale subito. Invero, non avendo l'attrice né dedotto, né provato, di aver subito una sofferenza eccezionale o diversa da quella già contemplata nei valori tabellari corrispondenti all'invalidità riportata, quantificare una ulteriore voce di danno morale, costituirebbe una ingiusta duplicazione. I convenuti sono dunque tenuti in solido al risarcimento in favore dell'attrice della somma di Euro 150.039,71 devalutata al 28.7.1996 e via via rivalutata come sopra, oltre interessi compensativi e legali come sopra specificato. Dal pagamento di tale somma, i convenuti devono essere manlevati dalla Hc. PLC, nei limiti del massimale e della franchigia di cui alla polizza, così come devono essere manlevati ai sensi dell'art.1917 comma 3 c.c., dalle spese legali liquidate nel presente giudizio. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, secondo i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 e successivi aggiornamenti, scaglione 52.000,00-260.000,00. P.Q.M. Il Tribunale di Roma, XIII sezione civile, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Ba.Ba. nei confronti degli avvocati To.Fe. e Sa.Ma., sulla domanda riconvenzionale proposta da questi ultimi nei confronti dell'attrice e sulla domanda di manleva proposta da costoro nei confronti di Hc. PLC, così provvede: 1) Accoglie la domanda attorea e per l'effetto condanna gli avvocati To.Fe. e Sa.Ma., in solido tra loro, al pagamento in favore dell'attrice della somma di Euro 150.039,71 devalutata al 28.7.1996 e via via rivalutata, anno per anno, secondo gli Indici Istat, dalla suddetta data alla sentenza; sulla somma via via rivalutata anno per anno, vanno computati gli interessi compensativi nella misura del 2.5 % dal 28.7.1996 alla sentenza e sulla somma così liquidata vanno computati gli interessi legali, dalla sentenza al saldo; 2) Rigetta la domanda riconvenzionale spiegata dai convenuti nei confronti dell'attrice; 3) Condanna gli avvocati To.Fe. e Sa.Ma., in solido tra loro, alla refusione delle spese di lite sostenute dall'attrice, che si liquidano in Euro 600,00 per esborsi ed Euro 13.430,00 per compensi di giudizio, oltre iva, cpa e rimborso spese generali nella misura del 15%; 4) Condanna la Hc. PLC a manlevare i convenuti dal pagamento delle somme che sono tenuti a versare in virtù della presente sentenza, nei limiti del massimale e della franchigia cui alla polizza. Così deciso in Roma il 2 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di VALLO DELLA LUCANIA Unica Il Tribunale, in persona del Giudice dott. (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. r.g. (...)/2010 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) e dell'avv. (...) elettivamente domiciliato presso i predetti difensori ATTORE contro (...) S.C.p.A. ((...)), in persona del legale rappresentante p.t., nella qualità di procuratrice speciale della (...) S.P.A., con il patrocinio dell'avv. (...) e dell'avv. (...) elettivamente domiciliata presso i predetti difensori (...) Oggetto: lesione personale (...) Parte attrice ha concluso per l'accoglimento della domanda e la condanna della convenuta al risarcimento dei danni patiti nella somma ritenuta di giustizia, oltre interessi dalla data del sinistro, vinte le spese. Parte convenuta ha concluso per il rigetto della domanda, con vittoria di spese. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione del 21/1/2010, (...) citava in giudizio innanzi all'intestato Tribunale la compagnia (...) S.p.A., quale impresa designata per la gestione del (...) di (...) per le (...) della (...) per sentirla condannare al risarcimento dei danni per le lesioni subite a seguito del sinistro verificatosi in data (...). (...), a sostegno della propria domanda, deduceva, in particolare, che il giorno 5/9/2008, alle ore 20:30 circa, nel percorrere, con direzione sud, la e(...) SS 267, alla guida del suo motociclo BMW 650 GS, tg. (...) in località (...) di (...) nei pressi del chilometro 26 IV, all'uscita di una curva, veniva investito da un'automobile di colore scuro, probabilmente un (...) proveniente dall'opposto senso di marcia, che, nel percorrere la stessa strada, con direzione nord, nel sorpassare altra automobile, invadeva completamente l'opposta corsia di marcia dove circolava il motociclo dell'attore, il quale, pur viaggiando sul margine destro della strada, veniva investito andando, poi, a sbattere contro la ringhiera di recinzione posta sul lato destro e rimanendo incastrato con il piede fra la ringhiera ed il proprio motociclo, mentre l'auto investitrice si dava alla fuga; deduceva, poi, che, essendo egli medico, si prestò i primi soccorsi, avvisò i sanitari della (...) di (...) di (...) dove lavorava, e lì si fece trasportare subito per l'intervento chirurgico; che, a seguito di svariati interventi chirurgici e terapia, egli è risultato clinicamente guarito dal trauma solo in data (...), con postumi gravi valutabili in sede medico-legale; che, inoltre, il (...) egli si sottoponeva a visita medica presso la (...) di (...) per l'accertamento degli stati d'invalidità civile di (...)# dell'(...) che gli riconosceva un'invalidità con una riduzione della capacità lavorativa pari al 46 %; che, a breve distanza dal sinistro, in data (...), l'attore provvedeva a sporgere denuncia-querela per il sinistro occorsogli e che il procedimento penale, iscritto a carico di ignoti, veniva archiviato per impossibilità di identificarne l'autore; che, con racc. a/r del 19/5/2009, egli inviava richiesta di risarcimento danni alla (...) S.p.A. (...) di (...) per le vittime della strada e all'(...) S.p.A., quale impresa designata per la gestione del (...) di (...) che, in data (...), il (...) di (...) della (...) richiedeva all'istante eventuale verbale di incidente redatto dalle (...) e dichiarazioni testimoniali e che, con raccomandata del 14/9/2009, veniva inviata l'informativa debitamente sottoscritta, la dichiarazione di un teste presente ai fatti e resa ai carabinieri di (...) di (...) la documentazione sanitaria e, nel contempo, si chiedeva alla compagnia di voler nominare un proprio perito che potesse sottoporre l'attore a visita medica, ma che, benché previsto ai sensi di legge, la compagnia non provvedeva a formulare alcuna offerta per il risarcimento dei danni. Partendo, dunque, dal presupposto, in diritto, dell'applicabilità della garanzia coperta dal (...) parte attrice così concludeva: "(...) l'(...) adito, contrariis reiectis, così giudicare: Nel merito: affermata la responsabilità del conducente dell'auto investitrice rimasto sconosciuto nella determinazione del sinistro per cui è causa, per l'effetto condannare la compagnia (...) S.p.A., già (...) spa, quale impresa designata per la gestione del (...) di (...) per le (...) della (...) in nome e per conto della (...) a risarcire tutti i danni subiti dall'attore che alla luce della CTU ed in base alle (...) del Tribunale di Milano (2018) si quantificano in Euro 141.450,00 danno biologico 30%, Euro 41.020,50 aumento personalizzato (tenuto conto del danno all'immagine, e alla vita di relazione), Euro 14.700,00 per danno da invalidità temporanea totale e parziale, Euro 100.000,00 per danno da lesione alla capacità lavorativa specifica, Euro 1800,00 per spese mediche, per un totale complessivi di Euro 298.970,00 oltre interessi dal fatto o nella diversa somma determinata dall'(...)mo Tribunale; Con vittoria di spese e compensi professionali da liquidarsi, con distrazione per dichiarato anticipo ai sottoscritti difensori". Con comparsa depositata in data (...), si costituiva in giudizio la (...) solutions (...) quale procuratrice speciale dell'(...) spa, impresa designata, la quale, in via preliminare, chiedeva dichiararsi l'improponibilità della domanda e, nel merito, il rigetto o, in subordine, la limitazione del quantum indicato dall'attore, circoscrivendo la condanna dell'impresa designata entro il minimo di garanzia. A sostegno delle proprie ragioni, parte convenuta deduceva, in via preliminare, come anticipato, l'improponibilità ed inammissibilità della domanda per violazione della normativa prevista dagli artt. 145, 148 e 287 del d.lgs. n. 209/2005, per non essere stata fornita la prova dell'invio delle raccomandate, come indicate in citazione, alla (...) e all'(...) convenuta. Deduceva, inoltre, che l'attore non avrebbe dato prova dell'esistenza dei presupposti atti a legittimare, in virtù dall'art. 283 d. lgs. n.209/2005, l'intervento del (...) di (...) per le vittime della strada, il cui onere grava su chi invoca la relativa tutala. Deduceva, inoltre, la convenuta, che la prova del fatto doveva essere fornita, nella sua completezza, dall'attore. Evidenziava, infine, che nessuna dichiarazione e(...) art. 142 del d.lgs. n. 209/2005 era stata resa da parte attrice, al fine di evitare duplicazioni risarcitorie. Concludeva, dunque, per il rigetto della domanda e, comunque, in subordine, per la limitazione del quantum richiesto, con vittoria di spese. Concessi i termini di cui all'art. 183, comma 6 c.p.c., la causa è stata istruita con l'escussione dei testi ammessi, l'espletamento di c.t.u. medicolegale e l'acquisizione della documentazione depositata dalle parti. A seguito di una serie di rinvii per carico di ruolo, mutato il magistrato, è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni rassegnate dalle parti, con concessione dei termini e(...) art. 190 c.p.c. In via del tutto preliminare, va rigettata l'eccezione di improponibilità e improcedibilità della domanda spiegata, per la mancata o incompleta richiesta inviata all'assicurazione convenuta, ai sensi degli artt. 145, 148 e 287 del d.lgs. n. 209/2005. Ed infatti, è vero che, in considerazione del fatto che l'art. 287 d.lgs. n. 209/2005, al pari dell'art. 145 d.lgs. n. 209/2005, ha un chiaro intento deflattivo, che si realizza mediante la partecipazione attiva dell'assicuratore alla trattativa ante causam ed è finalizzato a pervenire ad una conciliazione precontenziosa, come previsto dall'art. 287, comma 1, primo periodo, nelle ipotesi di intervento del (...) l'azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è obbligo di assicurazione, può, pertanto, essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni da quello in cui il danneggiato abbia chiesto il risarcimento del danno, a mezzo raccomandata, all'impresa designata di cui all'art. 286 d.lgs. n. 209/2005, ed alla (...) di (...) per le (...) della (...) (cfr. Cass., sez. III, 2/3/2018, n. 4936). Tuttavia, a fronte dell'invio della richiesta, qualora essa sia incompleta, trova, parimenti, applicazione il principio generale previsto per la richiesta risarcitoria di cui all'art. 148 del Codice delle (...) private carente dei requisiti previsti dalla norma predetta; in particolare, tale eventuale carenza non rende automaticamente improponibile la successiva domanda risarcitoria del danneggiato, allorquando si tratti del difetto di requisiti che non impediscano alla impresa assicuratrice di stimare il danno e formulare l'offerta risarcitoria (ovvero opporre motivato diniego alla stessa). In dettaglio, è stato, poi, evidenziato che "anche nel caso in cui sussista carenza di requisiti che, al contrario, non consentano all'assicuratore di stimare il danno e formulare l'offerta risarcitoria (ovvero opporre motivato diniego alla stessa) tale carenza non rende improponibile la successiva domanda risarcitoria del danneggiato nel caso in cui l'impresa assicuratrice, di fronte a tale difetto, non abbia richiesto tempestivamente, nel rispetto del termine di giorni 30 previsto dal comma 5 dell'art. 148 predetto, la integrazione degli elementi ritenuti carenti, di guisa che la mancata tempestiva richiesta sana il difetto dei requisiti mancanti e non incide sulla proponibilità della domanda" (Cass., sez. III, 9/11/2022, n. (...)). Ebbene, nel caso di specie, è stata fornita prova della richiesta inviata, cui l'assicurazione ha risposto con una richiesta di integrazione documentale, puntualmente onorata da parte attrice, cui, tuttavia, non è seguita alcuna proposta di risarcimento. Non può, dunque, l'assicurazione dolersi di alcuna mancanza da parte dell'attore, che ha posto in essere l'iter procedimentale atto a fondare la corretta instaurazione del presente giudizio e la conseguente procedibilità della domanda, il cui atto di citazione è stato notificato ben oltre il termine minimo di 60 giorni richiesto dalla succitata normativa. In via parimenti preliminare, è corretta l'evocazione in giudizio dell'assicurazione designata per il (...) poiché risulta provato che il veicolo che ha provocato il sinistro per cui è causa, della cui dinamica si dirà in seguito, è rimasto effettivamente ignoto. Tanto risulta sia dalle dichiarazioni testimoniali rese dal sig. (...) il quale ha espressamente dichiarato che "Il veicolo (...) proseguiva la marcia velocemente, non riuscii a prendere il numero di targa, ho proseguito la marcia per circa 200 metri per trovare una piazzola per effettuare la svolta di marcia", quanto dalle indagini svolte in sede penale, a seguito della denuncia-querela sporta dall'attore, che si sono concluse con una richiesta di archiviazione, avanzata dall'(...) del Pubblico Ministero ed avallata dal GIP presso il Tribunale di Vallo della (...) proprio per la mancata identificazione del responsabile. È appena il caso di evidenziare, sul punto, che, in materia di sinistri stradali cagionati da veicoli ignoti, la proposizione di una querela o di una denuncia contro ignoti non è condizione di proponibilità dell'azione di risarcimento del danno contro l'impresa designata dal (...) di garanzia per le vittime della strada, né sul danneggiato grava l'onere di attivarsi per identificare il veicolo, poiché l'accertamento giudiziale, nel cui contesto la presentazione o meno della querela o della denuncia rappresenta un semplice indizio, non afferisce alla diligenza della vittima nel permettere l'individuazione del responsabile, bensì il fatto che l'occorso medesimo sia stato effettivamente provocato da un veicolo rimasto ignoto (C. App. Napoli, 04/05/2023, n.1992). Nel caso di sinistro causato da veicolo non identificato, infatti, l'obbligo risarcitorio del (...) di (...) nei confronti della vittima - in linea con l'art. 1, comma 4, direttiva Ce del Consiglio 30 dicembre 1983, n. 84/5, trasfuso nell'art. 10, comma 1, direttiva Ce 16 settembre 2009 n. 2009/103 - sorge non soltanto nei casi in cui il responsabile si sia dato alla fuga nell'immediatezza del fatto, ma anche quando la sua identificazione sia stata impossibile per circostanze obiettive da valutare caso per caso e non imputabili a negligenza della vittima (Cass., sez. VI, 17/12/2019, n. (...)). La Suprema Corte di Cassazione ha, altresì, chiarito che non è consentito addebitare al danneggiato l'onere di indagini articolate o complesse, purché egli abbia tenuto una condotta diligente; ne deriva che l'identificazione deve risultare impossibile per circostanze obiettive, da valutare caso per caso, e non imputabili a negligenza della vittima (Cass. sent. n. 18308 del 2015); pertanto, il danneggiato è tenuto a mantenere una condotta improntata alla normale diligenza del buon padre di famiglia, secondo l'accertamento del giudice del merito. Peraltro, se è vero che la vittima di un sinistro stradale causato da un veicolo non identificato non ha alcun obbligo, per ottenere il risarcimento da parte dell'impresa designata per conto del (...) di (...) per le vittime della strada, di presentare una denuncia od una querela contro ignoti, è, però, altresì vero che la sussistenza o meno di tale denuncia costituisce un indizio, che deve essere valutato alla luce del complessivo quadro probatorio a disposizione del giudice (Cass. sent. n. 18308 del 2015; nello stesso senso, Cass. ord. n. 9873 del 2021). Ebbene, ferma la sussistenza dell'indizio costituito dalla presentazione della denuncia-querela, è, poi, emersa un'oggettiva impossibilità nell'identificazione del veicolo, che si è immediatamente dato alla fuga, come confermato dalle succitate dichiarazioni e, alla luce delle condizioni in cui versava la vittima e della circostanza che lo stesso teste ha, com'è ovvio, prestato soccorso alla stessa, non può essere addebitata all'attore alcuna negligenza nelle ricerche non effettuate. Tanto premesso, venendo al merito della pretesa risarcitoria, ritiene il Tribunale che la domanda sia fondata e meriti, pertanto, accoglimento. È stata, infatti, fornita prova rassicurante della dinamica del sinistro, confermata dal teste escusso, sig. (...) che ha dichiarato di aver visto l'automobile (...) rimasta non meglio identificata, sorpassare, in prossimità di una curva, il veicolo che la precedeva, così invadendo l'opposta corsia ed attingendo il motociclo dell'attore che teneva la destra nella carreggiata del contrario senso di marcia. È certamente vero, come allegato dalla convenuta, che, in materia, vige la presunzione, in caso di scontro tra due veicoli, di concorso di colpa, di cui all'art. 2054 c.c., ma, nel caso di specie, la circostanza, provata, che il motociclo condotto dall'attore viaggiasse regolarmente sulla propria corsia di marcia, tenendo la destra e che il veicolo rimasto ignoto abbia invaso l'opposta corsia in fase di sorpasso ed in prossimità di una curva, rende oggettivamente inesigibile qualunque condotta diversa e più prudente da parte dell'attore, che deve essere ritenuto esente da ogni responsabilità a suo carico per il sinistro occorso. Venendo alla quantificazione del danno patito, è necessario, preliminarmente, precisare quanto segue. Parte convenuta, infatti, ha eccepito l'inammissibilità della domanda relativa al risarcimento del danno per perdita della capacità lavorativa specifica, rilevando che la stessa non sia stata tempestivamente articolata dall'attore, che sarebbe, incorso, dunque, nelle preclusioni che scandiscono il giudizio civile. (...) non coglie nel segno. Ed infatti, salvo quanto sarà in seguito precisato circa il danno da riduzione della capacità lavorativa, è, comunque, principio consolidato in giurisprudenza quello secondo cui "in tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, l'unitarietà del diritto al risarcimento e la normale non frazionabilità del giudizio di liquidazione comportano che, quando un soggetto agisca in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni a lui cagionati da un dato comportamento del convenuto, la domanda si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta. Ne consegue che, laddove nell'atto introduttivo siano indicate specifiche voci di danno, a tale specificazione deve darsi valore meramente esemplificativo dei vari profili di pregiudizio dei quali si intenda ottenere il ristoro, a meno che non si possa ragionevolmente ricavarne la volontà di escludere dal petitum le voci non menzionate" (Cass., sez. III, 23/10/2014, n. 22514, ma cfr. anche 17/12/2009, n. 26505; 31/8/2011, n. 17879). Tale volontà non poteva certo dirsi sussistente nel caso di specie, in cui, anzi, nessuna precisa voce di danno è stata puntualmente enucleata da parte attrice, con la conseguenza che nessuna preclusione può essere maturata in suo confronto con riguardo alla relativa definizione. Peraltro, ferma restando la risarcibilità del danno biologico, nella sua unitarietà, con riguardo alle voci in esso incontestabilmente ricomprese, del danno alla salute, di quello morale e del danno esistenziale, è opportuno effettuare, in punto di diritto, alcune precisazioni con riferimento alla richiesta personalizzazione e al danno da perdita di capacità lavorativa generica e specifica. Con riferimento al primo profilo, infatti, è noto che la lesione alla salute può comportare conseguenze diverse, ma tutte inquadrabili teoricamente in due fattispecie, riconducibili nelle conseguenze comuni a tutte le persone che hanno patito quel tipo di lesione e conseguenze peculiari, che hanno provocato un danno diverso e maggiore rispetto alla normalità dei casi. Entrambe le ipotesi rientrano nella categoria del danno non patrimoniale, ma, mentre le prime presuppongono la semplice prova del danno, le seconde esigono la dimostrazione del maggior pregiudizio sofferto. Dunque, le conseguenze "generali" ed inevitabili per tutti coloro che abbiano patito il medesimo tipo di lesione non giustificano alcun aumento del risarcimento, mentre le conseguenze della menomazione che non sono comuni, ma sono state patite solo dal singolo danneggiato nel caso specifico, giustificano un aumento del risarcimento di base del danno biologico. Se questo è vero, è, però, anche innegabile che, in materia, la misura "standard" del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito (nella specie, le tabelle milanesi) può essere incrementata dal giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna "personalizzazione" in aumento. Di conseguenza, alla luce di quanto evidenziato, deve essere oggetto di puntuale allegazione e prova la sussistenza di circostanze particolari che giustifichino la sussistenza di una personalizzazione del danno, in quanto il patimento sofferto dalla vittima, per le peculiarità del caso concreto, è ulteriore rispetto a quello generalmente patito da chiunque altro subisca quello stesso genere di lesione. A tale profilo, si collega, poi, il risarcimento del danno da perdita della capacità lavorativa generica e specifica, in quanto, nei limiti di quanto si dirà, esso può incidere sulla suddetta personalizzazione. Ed infatti, con riferimento alla riduzione della capacità lavorativa generica, la giurisprudenza di legittimità ha posto in rilievo come essa non attenga alla produzione del reddito, ma si sostanzi in un danno alla persona, in quanto lesione di un'attitudine o di un modo d'essere del soggetto, in una menomazione dell'integrità psico-fisica risarcibile quale danno biologico (v. Cass., 25/8/2014, n. 18161; Cass., 6/8/2004, n. 15187). Di conseguenza, tale danno rientra, normalmente, nella liquidazione della unitaria categoria del danno biologico, sotto il profilo del danno morale e di quello esistenziale. Il danno da riduzione della capacità lavorativa specifica è, viceversa, generalmente ricondotto nell'ambito, non già del danno biologico, bensì del danno patrimoniale (cfr. Cass., 9/8/2007, n. 17464 e Cass., 27/1/2011, n. 1879), precisandosi, peraltro, al riguardo, che l'accertamento dell'esistenza di postumi permanenti incidenti sulla capacità lavorativa specifica non comporta l'automatico obbligo di risarcimento del danno patrimoniale da parte del danneggiante, dovendo comunque il soggetto leso dimostrare, in concreto, lo svolgimento di un'attività produttiva di reddito e la diminuzione o il mancato conseguimento di questo in conseguenza del fatto dannoso (cfr. Cass., 25/8/2006, n. 18489, Cass., 8/8/2007, n. 17397, e Cass., 21/4/2010, n. 9444). E tuttavia, la Suprema Corte ha altresì precisato come la circostanza che i postumi permanenti di lieve entità rientrino nel danno biologico come menomazione della salute psicofisica della persona non significa lo stesso "assorba" anche la menomazione della generale attitudine al lavoro, giacché al danno alla salute resta pur sempre estranea la considerazione di esiti pregiudizievoli sotto il profilo dell'attitudine a produrre guadagni attraverso l'impiego di attività lavorativa, sicché gli effetti pregiudizievoli della lesione della salute del soggetto leso possono consistere in un danno patrimoniale da lucro cessante, laddove vengano ad eliminare o a ridurre la capacità di produrre reddito (cfr. Cass., 24/2/2011, n. 4493). Se così è, vanno al danneggiato risarciti non solo i danni patrimoniali subiti in ragione della derivata incapacità di continuare ad esercitare l'attività lavorativa prestata all'epoca del verificarsi del medesimo (danni da incapacità lavorativa specifica), ma anche gli eventuali danni patrimoniali ulteriori, derivanti dalla perdita o dalla riduzione della capacità lavorativa generica, allorquando il grado di invalidità patito non consenta al danneggiato la possibilità di attendere (...) ad altri lavori, confacenti alle attitudini e condizioni personali ed ambientali dell'infortunato, idonei alla produzione di fonti di reddito. In tale ipotesi l'invalidità subita dal danneggiato in conseguenza del danno evento lesivo si riflette, infatti, comunque in una riduzione o perdita della sua capacità di guadagno, da risarcirsi sotto il profilo del lucro cessante (cfr. Cass., sez. III, 25/7/2023, n. 22360). La lesione della capacità lavorativa generica, consistente nella idoneità a svolgere un lavoro anche diverso dal proprio, ma confacente alle proprie attitudini, può, invero, costituire anche un danno patrimoniale, non ricompreso nel danno biologico, la cui sussistenza va accertata, caso per caso, dal giudice di merito, il quale non può escluderlo per il solo fatto che le lesioni patite dalla vittima abbiano inciso o meno sulla sua capacità lavorativa specifica (cfr. Cass., 16/1/2013, n. 908). Si è, infatti, precisato che l'invalidità di gravità tale da non consentire alla vittima la possibilità di attendere neppure a lavori diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistro, e comunque confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, integra non già lesione di un modo di essere del soggetto, rientrante nell'aspetto del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, quanto un danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance, ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacità lavorativa specifica, e piuttosto derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica, il cui accertamento spetta al giudice di merito in base a valutazione necessariamente equitativa e(...) art. 1226 c.c. (Cass., 12/6/2015, n. 12211). Sotto questo punto di vista, il danno patrimoniale futuro va valutato su base prognostica ed il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici, sicché, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa non rientri tra i postumi permanenti di piccola entità, è possibile presumere, salvo prova contraria, che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura - non necessariamente in modo proporzionale - qualora la vittima già svolga una attività lavorativa. Tale presunzione, peraltro, copre solo l'an dell'esistenza del danno, mentre, ai fini della sua quantificazione, è onere del danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro, non potendo il giudice, in mancanza, esercitare il potere di cui all'articolo 1226 c.c., perché esso riguarda solo la liquidazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, può dimostrare di quanto sia diminuito (Cass., sez. III, 25/7/2023, n. 22360). Tuttavia, qualora sia innegabilmente compromessa la capacità lavorativa del danneggiato e, però, manchi la prova rigorosa circa la quantificazione del danno futuro da perdita di chance, non è precluso al giudice di merito, alla luce del complessivo quadro probatorio al suo vaglio, operare, a fronte di lesioni macropermanenti, un aumento della percentuale di personalizzazione del danno non patrimoniale, quale ristoro maggiorato, in virtù della peculiarità del caso concreto, della perdita da capacità di lavoro generica (cfr. Cass., sez. III, 25/7/2023, n. 22360 cit.). In altri termini, il danno da riduzione della capacità lavorativa generica, ricompreso, salvi casi peculiari, per le lesioni micropermanenti, nella liquidazione del danno non patrimoniale, quale categoria risarcitoria unitaria, può essere, in sé, considerato, anche quale voce ulteriore di danno, che si configura quale danno patrimoniale da lucro cessante o da perdita di chance, a fronte di lesioni gravi, qualora si dimostri che il danneggiato, in concreto ed in base alle proprie attitudini e competenze, non possa più svolgere alcuna attività, anche diversa rispetto a quella che prima svolgeva e, per questo verso, può, pertanto, essere riconosciuto anche in favore di colui che non svolgesse, al momento del sinistro, alcuna attività lavorativa. Per contro, il danno da riduzione della capacità lavorativa specifica è danno futuro, sempre qualificabile come da perdita di chance e, dunque, danno patrimoniale, che può essere provato, nella sua sussistenza, per presunzioni, date dall'effettiva attività svolta e dai guadagni percepiti dal danneggiato, ma che deve essere dimostrato, nella sua consistenza, rigorosamente, con la prova dei redditi percepiti e di quelli effettivamente persi, a seguito dell'evento dannoso subito. Qualora, peraltro, tale rigorosa prova non sia raggiunta, il giudice di merito, a fronte di una compromissione accertata della capacità lavorativa, tanto generica, quanto specifica, del danneggiato, che si sostanzi in conseguenze ulteriori e più gravi rispetto a quelle che, nella generalità dei casi, colpiscono coloro che patiscano le stesse lesioni, può, comunque, riconoscere, quale personalizzazione del danno non patrimoniale, la maggiore compromissione che la vittima delle lesioni abbia, in concreto, patito, della propria capacità lavorativa, come conseguenza del sinistro. Detto altrimenti, proprio in virtù del fatto che la perdita di capacità lavorativa (...) si sostanzia in una lesione delle attitudini personali del soggetto e delle aspettative ed aspirazioni dello stesso, è possibile operare una personalizzazione della liquidazione, alla luce di una provata compromissione anche della capacità lavorativa specifica, ma in assenza di una rigorosa prova sulla quantificazione del relativo danno. Nel caso di specie, l'espletata c.t.u., dalle cui risultanze il Tribunale non ha ragione di discostarsi per la congruità dell'iter logico seguito, ha evidenziato che, a causa ed in occasione dell'incidente stradale, occorso in data (...), (...) riportava a carico dell'arto inferiore destro "frattura trimalleolare,comminuta ed esposta; lussazione tibio tarsica; lesione completa del tendine tibiale anteriore e tibiale posteriore; frattura con esplosione del I cuneiforne; frattura lussazione columno spatulare (...) V metatarsale ; lussazione della (...) lussazione metatarso falangea III e IV raggio; necrosi gangrenosa della cute" e che, al momento della consulenza, il danneggiato era affetto da "esiti dolorosi e funzionali di: frattura trimalleolare piede d(...) , di lussazione tibio tarsica di d(...), di lesione completa del tendine tibiale anteriore e tibiale posteriore di d(...), di frattura con esplosione del I cuneiforme del piede d(...), di frattura lussazione columno spatulare del (...) V metatarsale di d(...), di lussazione della (...) di d(...), di lussazione metatarso falangea III e IV raggio di d(...), di necrosi gangrenosa della cute del piede d(...)", specificando che "le patologie sopra descritte, considerato il lasso di tempo trascorso dall'evento traumatico, sono stabilizzate e non sono suscettibili significativi miglioramenti". Su tali basi, il consulente ha individuato il periodo di (...) al 100%, in giorni 60, il periodo di (...) al 50%, in giorni 120 e la sussistenza di postumi permanenti, consistenti in un danno biologico complessivamente valutabile nella misura del 30%. Egli ha, inoltre, specificato che nella valutazione era compresa la riduzione della capacità lavorativa generica ed ha constatato una "riduzione di grado medio della capacità lavorativa specifica per il rilievo anatomico e funzionale dei postumi residuati". Ebbene, l'attore ha, altresì, allegato lo svolgimento di attività sportive, quali lo sci e la pesca subacquea e si è doluto di una perdita di capacità lavorativa specifica, oltre che generica, per non essere egli, nello svolgimento della propria attività di chirurgo ortopedico, a causa dell'evento sinistroso, più in grado di effettuare interventi chirurgici che richiedano lo stare in piedi per un tempo superiore ai 30 minuti e di provare forte dolore al piede anche nell'esecuzione di interventi da seduto. Sul punto, mentre la prova in ordine al primo profilo non permette al Tribunale di giungere ad effettuare alcuna personalizzazione, giacché le dichiarazioni testimoniali rese sul punto sono generiche, limitate ad un solo teste, (...) il quale ha solo dichiarato, peraltro, senza alcuna dovizia di particolari, di aver sporadicamente partecipato alle succitate attività ricreative e sportive con il danneggiato, il che non dimostra, in effetti, il patimento di un danno ulteriore e maggiormente incidente sulla vita di relazione dello stesso, discorso diverso è a farsi con riferimento al profilo del danno da perdita di capacità lavorativa. Ed infatti, in primo luogo, va sul punto, rimarcato che l'attore ha fornito adeguata prova circa l'an della compromissione della propria capacità lavorativa specifica. Invero, oltre alla documentazione in atti, anche le dichiarazioni testimoniali rese da colleghi e collaboratori del medico sono, effettivamente, concordi nell'evidenziare che il danneggiato non è più in grado di attendere alla propria attività lavorativa come, invece, soleva in passato. È stato, infatti, dichiarato che (...) non è più in grado di eseguire interventi chirurgici, che, invece, in passato, pacificamente eseguiva, che richiedano lo stare in piedi per un tempo superiore ai 30 minuti e che, anche da seduto, egli patisce dolore al piede, circostanza che non gli consente di svolgere la propria professione come prima del sinistro occorsogli. Ciò nonostante, non è altrettanto rassicurante la prova con riguardo al quantum del danno a liquidarsi. Ed infatti, per come qualificato, il danno patrimoniale futuro da perdita di chance avrebbe dovuto, ai fini della relativa quantificazione, meglio essere circostanziato nelle sue concrete potenzialità lesive. Nulla è stato provato, innanzitutto, circa i guadagni effettivamente percepiti dal danneggiato prima dell'evento lesivo, né è stata allegata alcuna perdita di guadagno o di occasioni lavorative concrete che l'attore avrebbe perso a cagione della compromissione delle proprie capacità. La circostanza che (...) non possa aspirare alla carriera di primario, infatti, per quanto potenzialmente veritiera, si sostanzia nella concretizzazione di una mera aspettativa, non confortata da alcun riscontro reale e, come tale, non giuridicamente tutelabile, nemmeno nelle forme del danno da perdita di chance, che, per contro, presuppone la sussistenza di una concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, quale entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione. Tuttavia, è vero che, dalle risultanze dell'istruttoria, per come descritte, sussistono i margini per una personalizzazione del risarcimento della compromissione della capacità lavorativa generica. Invero, per quanto il c.t.u. abbia ricompreso tale voce nella quantificazione del danno e per quanto sia, altresì, innegabile che l'attore sia, comunque, in grado di svolgere una professione confacente alle proprie capacità ed attitudini, è anche, però, incontestabile che egli non è più in grado di attendere alla propria professione come invece soleva in passato, da un punto di vista, sia quantitativo, che qualitativo. La circostanza che egli eseguisse interventi di particolare complessità, che richiedevano un peculiare sforzo, anche fisico, ed il fatto che tale facoltà gli sia, a seguito dell'incidente, preclusa sono indice di una compromissione notevole delle proprie attitudini, che va oltre i limiti della ordinaria tutela assicurata con il risarcimento del danno non patrimoniale senza il riconoscimento di un'adeguata personalizzazione. Ed infatti, come evidenziato più volte, i testi escussi hanno confermato che l'attività del (...) si sostanziasse, prima dell'incidente, nell'esecuzione di interventi complessi, di lunga durata, che gli sono, a seguito dello stesso, irrimediabilmente preclusi, a causa dell'impossibilità di restare in piedi per troppo tempo e del dolore che egli prova anche nell'effettuare interventi da seduto, trascorso un certo lasso di tempo. Tutto ciò, allora, comporta un'irrimediabile frustrazione della realizzazione della personalità del danneggiato per il tramite della propria attività lavorativa, che, per quanto non debba essere dallo stesso del tutto abbandonata, è stata, in ogni caso, fortemente limitata; tale limitazione non può essere ristorata senza prendere in considerazione un'adeguata personalizzazione, discendente dalle peculiari modalità di svolgimento, in capo al danneggiato, delle proprie mansioni, che consentono di addivenire ad un aumento della quantificazione del danno, proprio in ragione del fatto che le conseguenze del sinistro si sono riverberate sulla vittima del medesimo in maniera più profonda, essendo idonee a compromettere l'esistenza e la realizzazione personale del danneggiato. (...) di procedere alla quantificazione del danno, peraltro, è necessario precisare quanto segue in ordine alla somma percepita dal danneggiato a titolo di indennità di malattia dall'(...) La questione è tradizionalmente indicata come "compensatio lucri cum damno", in ordine alla quale anche la Corte di cassazione è approdata a soluzioni contrastanti. Il contrasto creatosi in giurisprudenza sul relativo ambito di applicazione è stato, come noto, risolto con la sentenza delle (...) n. 12564 del 22/5/2018, secondo cui non corrisponderebbe al principio di razionalità- equità e non sarebbe coerente con la poliedricità delle funzioni della responsabilità civile ritenere che la sottrazione del vantaggio sia consentita in tutte quelle vicende in cui l'elisione del danno con il beneficio pubblico o privato corrisposto al danneggiato a seguito del fatto illecito finisca per avvantaggiare esclusivamente il danneggiante, apparendo preferibile in tali evenienze favorire chi senza colpa ha subito l'illecito rispetto a chi colpevolmente lo ha causato. (...) le (...) è, dunque, dirimente la circostanza che l'ordinamento preveda un meccanismo di surroga o di rivalsa a favore del "terzo", nei confronti del danneggiante. Solo a queste condizioni, infatti, si evita che quanto erogato dal "terzo" al danneggiato si traduca in un vantaggio inaspettato per l'autore dell'illecito: la facoltà di surroga o di rivalsa assicura che il danneggiante, esposto all'azione di "recupero" da parte del terzo da cui il danneggiato ha ricevuto il beneficio collaterale, non potrà avvantaggiarsi della detrazione della posta positiva dal risarcimento. In sostanza, l'elemento decisivo è costituito dalla "indifferenza del risarcimento", ossia dalla circostanza che, quale che sia il soggetto che corrisponderà il risarcimento al danneggiato, a sopportarne il costo finale sia comunque l'autore dell'illecito, facendo, inoltre, riferimento al criterio della non omogeneità delle funzioni delle poste attive riscosse dal danneggiante. Il caso in esame pone a confronto il danno conseguente alla perdita della capacità lavorativa, da un lato, e l'indennità di malattia, dall'altro, che pure è stato esaminato dalla Suprema Corte. (...) è diversa da quella della pensione di reversibilità, che ha costituito l'oggetto specifico della decisione delle (...) La pensione di reversibilità, infatti, costituisce una forma di tutela previdenziale volta a garantire la continuità del sostentamento ai superstiti (Corte Cost., sentenza n. 286 del 1987) e quindi non ha natura propriamente risarcitoria. (...)à di malattia, così come la pensione di invalidità, corrisposta al lavoratore che, per effetto dell'infortunio cagionatogli da un terzo, abbia ridotto o perso la propria capacità lavorativa in modo temporaneo o permanente è, invece, direttamente compensativa del danno da perdita del reddito. Le due diverse prestazioni (il risarcimento del danno e le indennità previdenziali) assolvono, questa volta, ad una funzione omogenea, essendo entrambe dirette a compensare il danneggiato per la perdita del medesimo bene della vita (la capacità di produrre reddito). Inoltre, l'ordinamento prevede la possibilità per l'ente previdenziale di recuperare presso il danneggiante quanto corrisposto al danneggiato, ai sensi del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 148 (Codice delle assicurazioni) e, in precedenza, della L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 28, nonché della L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 14. Si tratta di ipotesi specifiche di surroga previste dalla legge in favore dell'istituto di previdenza, riconducibili allo schema generale di cui agli artt. 1203 e 1916 c.c. Sussiste, quindi, quella particolare condizione di "indifferenza del risarcimento", in ragione della quale, se, da un lato, il danneggiato non può duplicare il risarcimento del danno del medesimo bene della vita, dall'altro il danneggiante non si avvantaggia dell'intervento dell'ente previdenziale, restando esposto alle azioni di recupero che potranno essere intentate da questo nei suoi confronti. Su tali presupposti, la Corte di Cassazione ha, dunque, delineato il principio di diritto secondo il quale "In caso di sinistro che comporti la perdita totale o parziale, temporanea o definitiva, della capacità lavorativa, il danneggiato non può cumulare la prestazione previdenziale che abbia eventualmente percepito con l'integrale risarcimento del danno patrimoniale, essendo entrambe le poste finalizzate al ristoro della lesione del medesimo bene della vita (la capacità di produrre reddito). Pertanto, nel caso in cui l'ente previdenziale abbia corrisposto a tale titolo un'indennità al danneggiato, di quest'importo si dovrà tenere conto nella liquidazione del danno il cui risarcimento è posto a carico del danneggiante, fermo restando che quest'ultimo resta esposto alle azioni di recupero che potranno essere intentate contro di lui dall'ente previdenziale ai sensi ai sensi del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 148 (Codice delle assicurazioni) e della L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 14" (Cass., sez. III, 5/7/2019 n. 18050). Avendo, dunque, nel caso di specie, il danneggiato percepito la somma di Euro 12.472,00 dall'(...) a titolo di indennità per malattia, tale somma deve essere scomputata dal totale dovuto a titolo di risarcimento. Ritiene, pertanto, il Tribunale di poter quantificare il danno come segue. Il totale per il danno risarcibile ancorato alla percentuale del 30% va quantificato, applicando le (...) milanesi, in Euro 143.406,00; applicando, per le ragioni evidenziate, una personalizzazione pari al 29%, la somma va aumentata ad Euro 171.891,00, cui vanno aggiunti Euro 11.880,00 a titolo di danno biologico temporaneo (di cui Euro 5.940,00 per I.T.P. ed Euro 5.940,00 per I.T.T.), ed Euro 1.800,00, a titolo di spese mediche documentate e ritenute congrue da c.t.u., per un totale di Euro 185.571,00, da cui vanno detratte le somme percepite dall'(...) ed ammontanti ad Euro 12.472,00, con la conseguenza che il danno riconosciuto a (...) deve essere complessivamente quantificato in Euro 173.099,00, somma che si precisa essere liquidata all'attualità, facendo riferimento alle (...) del Tribunale di Milano, come da ultimo aggiornate. Con riguardo agli interessi, la Suprema Corte ha avuto, anche di recente, modo di precisare che le obbligazioni nascenti da illecito aquiliano, comportando esse la sussistenza di un debito di valuta, non danno vita alla produzione di interessi di pieno diritto, dovendo, pertanto, procedersi alla sola liquidazione degli interessi compensativi, con decorrenza dalla maturazione del diritto, e cioè dal momento del fatto illecito (art. 1219, comma 2, n. 1, c.c.), fino al passaggio in giudicato della sentenza che decide sulla loro liquidazione e ciò "in funzione compensativa del pregiudizio subito dal creditore per il tardivo conseguimento della somma corrispondente all'equivalente pecuniario dei danni subiti, dei quali, quindi, costituiscono, al pari della rivalutazione monetaria, una componente" (Cass., sez. III, 13/4/2024, n. 10376). Peraltro, se la necessaria rivalutazione della somma è inclusa nel calcolo della stessa liquidata all'attualità, non possono dirsi altrettanto ricompresi nello stesso gli interessi compensativi, che, a fronte di specifica richiesta, devono essere dal giudice di merito conteggiati individuando un saggio scelto in via equitativa (cfr. Cass., sez. III, 7/8/2023, n. 23927). Ebbene, nel caso di specie, sin dagli atti introduttivi del presente giudizio, l'attore ha espressamente richiesto riconoscersi gli interessi a decorrere dalla data del sinistro, ragion per cui il Tribunale ritiene equo stimare la somma liquidabile a titolo di interessi in Euro 8.116,68, con un saggio dello 0,3 % annuo, a decorrere dalla data del sinistro, sino all'attualità. A decorrere dalla sentenza, saranno, poi, dovuti gli interessi legali sulla somma come quantificata. La convenuta deve, dunque, essere condannata al risarcimento, nei confronti di (...) della complessiva somma di Euro 181.215,68. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e sono quantificate sulla base dei parametri medi dello scaglione di valore per giudizi di valore indeterminabile e di complessità media. In ragione della soccombenza devono, poi, essere poste a definitivo carico della convenuta le spese dell'espletata c.t.u., come liquidate in separato decreto. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa o assorbita, così provvede: - Accoglie la domanda e, per l'effetto, condanna (...)# S.C.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., nella qualità di procuratrice speciale della (...) S.P.A., a corrispondere, in favore di (...) Euro 181.215,68, a titolo di risarcimento del danno, oltre interessi legali a decorrere dalla comunicazione della presente sentenza, sino al soddisfo. - (...) S.C.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., nella qualità di procuratrice speciale della (...) S.P.A., a corrispondere, in favore di (...) le spese di lite, che si liquidano in Euro 348,00 per esborsi ed Euro 10.860,00, per compensi, oltre spese generali al 15%, iva e cpa come per legge, da distrarsi in favore dell'avv. (...) e dell'avv. (...) per dichiarato anticipo. - Pone le spese della espletata c.t.u., come liquidate in separato decreto, a definitivo carico di (...) S.C.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., nella qualità di procuratrice speciale della (...) S.P.A. Così deciso in Vallo della Lucania il 22 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 22 aprile 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1443 del 2024, proposto da So. It. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 97868858FD, rappresentata e difesa dagli avvocati St. Mi., Br. Bi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Br. Bi. in Roma, via (...); contro Ro. Di. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fi. Br., Gi. Cr. Sc., Fr. Sa. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fi. Br. in Roma, via (...); nei confronti Gi. 20. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ar. Ca., Fr. Va., Ma. Nu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; At. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Ca., Lu. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Commissario Straordinario di Governo per il Giubileo della Chiesa Cattolica 2025, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 02617/2024, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Gi. 20. S.p.A., di At. Spa, del Commissario Straordinario di Governo per il Giubileo della Chiesa Cattolica 2025 e di Ro. Di. S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 aprile 2024 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e uditi per le parti gli avvocati Br., Sc., Ba., D'O., Nu. in dichiara delega di Ca. e la Procuratrice dello Stato De Ni.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha accolto il ricorso proposto da Ro. Di. S.p.A. contro la società Gi. 20. S.p.A., il Commissario Straordinario di Governo per il Giubileo della Chiesa Cattolica 2025, l'At., Azienda per la mobilità, e nei confronti di So. It. S.r.l. per l'annullamento del provvedimento (comunicato con nota 20.09.2023 prot. n. 1897) con il quale Gi. 20. S.p.A. ha aggiudicato alla So. It. S.r.l. la "Gara europea a procedura telematica aperta per l'affidamento, in nome e per conto di At. S.p.A., della fornitura con servizio di full service manutentivo di 244 autobus di lunghezza12 metri, classe I, con motorizzazione a metano (CNG) oltre l'opzione ex art. 106, co. 1, lett. a), D.lgs. 50/2016, per ulteriori 78 autobus identici, sempre con servizio di fullservice manutentivo di 10 anni - CIG 97868858FD - CUP I80I22000040001". 1.1. In punto di fatto, il tribunale, dopo avere riportato le disposizioni del bando, del disciplinare di gara e del capitolato tecnico, nonché i chiarimenti della stazione appaltante, rilevanti ai fini della decisione, ha esposto le seguenti circostanze: - in data 24 luglio 2023, la Commissione ha condotto la prova statica sul veicolo prototipo fornito da ciascun concorrente; in tale occasione la Commissione ha proceduto "ad ispezionare il veicolo prova fornito dall'Operatore Economico So. It. S.r.l.", senza tuttavia rilevare la difformità del veicolo di prova messo a disposizione dall'odierna controinteressata (avente soltanto 2 porte) rispetto a quello richiesto dalla specifica tecnica approvata (avente 3 porte); - in data 25 luglio 2023, la Commissione ha poi svolto anche la prova dinamica sul veicolo prototipo fornito da ciascun concorrente, consistente "nell'analisi del comfort di marcia e della guidabilità "; anche in questo caso non è stata rilevata la sostanziale differenza del veicolo fornito dall'odierna controinteressata (avente due porte in luogo delle tre prescritte dalla lex specialis); - in pari data, ma in seduta riservata, la Commissione ha assegnato i punteggi per le prove statica e dinamica; per quanto di rilievo, in corrispondenza del sub-criterio valutativo n. 3.1 denominato "esame esterno", la Commissione ha assegnato alla ricorrente un punteggio tecnico pari a 1,87 e alla controinteressata un punteggio tecnico pari a 1,20; in corrispondenza del sub-criterio valutativo n. 3.3 denominato "esame del comparto passeggeri" la Commissione ha assegnato alla ricorrente un punteggio tecnico pari a 3 e alla controinteressata un punteggio tecnico pari a 1,60; in corrispondenza del sub-criterio valutativo n. 4.1 denominato "confort di marcia" la Commissione ha assegnato alla ricorrente un punteggio tecnico pari a 2,90 e alla controinteressata un punteggio tecnico pari a 1,60. 1.2. Dato conto dei due motivi di ricorso, il tribunale ha ritenuto fondate le censure concernenti la difformità del veicolo di prova (o veicolo "campione" o "prototipo") della So. It. rispetto ai requisiti essenziali prescritti dall'art. 15 del disciplinare di gara, in particolare perché la legge di gara sarebbe stata chiara nel prevedere che avrebbe dovuto avere tre porte, non due soltanto come quello messo a disposizione dalla controinteressata. 1.3. Ritenuto che la mancanza delle tre porte nel veicolo di prova non potesse che condurre all'esclusione del concorrente, l'atto di aggiudicazione impugnato è stato annullato, in accoglimento dei primi tre profili di illegittimità dedotti col primo motivo, con assorbimento degli altri e del secondo motivo. 1.3.1. In applicazione dell'art. 122 c.p.a. è stata dichiarata l'inefficacia del contratto (ove eventualmente stipulato) e disposto il subentro della ricorrente nella sua titolarità, "ferme restando tutte le verifiche che la stazione appaltante riterrà eventualmente necessarie in base alla lex specialis e alla normativa applicabile, nonché impregiudicato ogni margine di discrezionalità riconosciuto in tale fase alla stazione appaltante, nel rispetto però del vincolo conformativo discendente dalla presente sentenza.". 1.4. Le parti resistenti e la controinteressata sono state condannate, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali in favore della ricorrente. 2. La So. It. S.r.l. ha proposto appello con due motivi. Il Commissario Straordinario di Governo per il Giubileo della Chiesa Cattolica 2025, la società Gi. 20. e l'At. si sono costituiti associandosi all'appello. Ro. Di. S.p.A. si è costituita per resistere all'appello ed ha riproposto i motivi non esaminati in primo grado. 2.1. Con ordinanza cautelare dell'11 marzo 2024 n. 866, è stata accolta l'istanza di sospensione dell'esecutività della sentenza, avanzata dalla società appellante. 2.2. All'udienza del 4 aprile 2024 la causa è stata discussa e assegnata a sentenza, previo deposito di memorie e repliche. Alla stessa udienza le parti pubbliche appellate hanno chiesto la pubblicazione del dispositivo. 3. Col primo motivo So. It. impugna la sentenza nella parte in cui - ritenendo erroneamente che la lex specialis fosse assolutamente chiara nel qualificare le tre porte come "caratteristica essenziale" ai sensi dell'art. 15 del disciplinare - avrebbe malgovernato le disposizioni in materia di interpretazione degli atti di gara, ed in particolare il detto art. 15. L'appellante sostiene che proprio il criterio dell'interpretazione letterale invocato dal giudice di prime cure avrebbe dovuto condurre al risultato opposto, dato che le statuizioni dell'art. 15 in ordine al numero di porte del veicolo di prova risulterebbero, proprio in senso letterale, incompatibili con una sanzione escludente. Aggiunge che, anche laddove dal testo della clausola del disciplinare discendessero almeno due soluzioni interpretative differenti, la statuizione sull'esclusione non potrebbe essere privilegiata alla luce dei noti principi del favor partecipationis, come applicati da consolidata giurisprudenza. Il motivo è fondato. 3.1. Va premesso che il veicolo oggetto della fornitura doveva essere dotato di tre porte, come da specifiche tecniche precisate nel capitolato (in specie, punti C.2.6. e D.14), e che non è in discussione che il veicolo descritto nell'offerta tecnica di So. It. fosse conforme a tali specifiche tecniche. La questione controversa attiene alle caratteristiche del veicolo di prova, che la Commissione tecnica avrebbe dovuto sottoporre ad una prova statica e dinamica, rilevanti ai fini dell'attribuzione dei punteggi per l'offerta tecnica. 3.1.1. Riguardo alla presentazione del veicolo di prova va tenuto presente l'art. 86 del d.lgs. n. 50 del 2016, laddove, per la prova del rispetto dei criteri di selezione, rimanda all'allegato XVII, che, per gli appalti di forniture, prevede quale possibile mezzo di prova, in riferimento ai prodotti da fornire, "campioni, descrizioni o fotografie la cui autenticità deve poter essere certificata a richiesta dell'amministrazione aggiudicatrice" (lett. k, punto i). In proposito, la sentenza di primo grado ha richiamato la giurisprudenza secondo cui il campione non è elemento costitutivo, ma soltanto dimostrativo, dell'offerta tecnica (cfr. già Cons. Stato, V, 30 gennaio 2017, n. 371, riferito all'art. 42, comma 1, lett. l, del d.lgs. n. 163 del 2006, del tenore ana al combinato disposto dell'art. 86 e dell'allegato XVII del d.lgs. n. 50 del 2016). Vi ha tuttavia contrapposto l'affermazione secondo cui, essendo stato affermato in giurisprudenza che la concreta funzione della campionatura va esaminata in relazione alle caratteristiche e alla disciplina della singola gara (citando il precedente di merito di cui a T.a.r. Lombardia - Milano, 10 agosto 2016, n. 1598), "nel caso in cui la gara preveda l'attribuzione di un punteggio tecnico sulla base della valutazione di campioni, detti campioni rappresentano un elemento costitutivo dell'offerta tecnica e ne seguono le vicende". 3.1.2. L'affermazione, espressa in termini così perentori, non è condivisibile e necessita delle precisazioni di cui appresso. Il campione è un mezzo di prova delle qualità promesse o di raffronto tra le caratteristiche del prodotto offerto e quello che sarà consegnato in fase esecutiva e tale rimane anche quando la legge di gara ne prescrive la presentazione "a pena di esclusione" e quando ne fa oggetto di un'apposita valutazione da parte della commissione giudicatrice per l'attribuzione di punteggi. Piuttosto che affermare che, in tali eventualità, il campione diviene elemento "costitutivo" dell'offerta, è più esatto esprimere il concetto affermando che dette previsioni non valgono a rendere lo stesso parte integrante dell'offerta tecnica, ma soltanto a imporre la presentazione di un campione quando l'adempimento è prescritto a pena di esclusione ed a richiedere che questo abbia determinate caratteristiche, da individuarsi secondo la corretta interpretazione della legge di gara, anche quanto alle conseguenze della loro mancanza. Siffatta impostazione comporta comunque che qualora il concorrente non presenti il campione ovvero ne presenti uno privo, in tutto o in parte, delle caratteristiche richieste, si abbia la violazione della legge di gara; le conseguenze di tale mancata corrispondenza, possono essere varie fino ad arrivare alla sanzione espulsiva e, ove la legge di gara preveda espressamente quest'ultima, ne va verificata la compatibilità con l'art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016, in tema di nullità di clausole escludenti (che pure qualche precedente giurisprudenziale ha affermato proprio in tema di campionatura: cfr. CGARS, 20 luglio 2020, n. 634 e Cons. Stato, III, 4 agosto 2022, n. 6827). 3.1.3. Va quindi ribadita la costante giurisprudenza secondo cui la campionatura non costituisce un elemento costitutivo, ma semplicemente dimostrativo dell'offerta tecnica documentale, essendo destinata a comprovare, con la produzione di capi o prodotti dimostrativi detti, appunto, campioni, la capacità tecnica dei concorrenti e la loro effettiva idoneità a soddisfare le esigenze, spesso complesse, delle stazioni appaltanti (Cons. Stato, III, 15 marzo 2021, n. 2243; id. 5 maggio 2017, n. 2076). Così intesa, la campionatura non vale a costituire una componente essenziale ed intrinseca dell'offerta, anche se resta ad essa strettamente connessa rivelandosi funzionale alla sua migliore valutazione qualitativa (Cons. Stato, 9 marzo 2022, n. 1699; id. 5 luglio 2021 n. 5135; id. 20 agosto 2020, n. 5149). L'affermazione, pure presente in giurisprudenza, secondo cui la concreta funzione della campionatura va esaminata in relazione alle caratteristiche e alla disciplina della singola gara, va intesa quindi nel senso, sopra illustrato, che è demandato alla legge di gara stabilire l'obbligo e le modalità della campionatura e le conseguenze in caso di inosservanza. La rilevanza delle prescrizioni della lex specialis è stata valorizzata anche dal più recente arresto giurisprudenziale di cui a Cons. Stato, III, 7 febbraio 2024, n. 1238, citato nella memoria conclusiva della Ro. Di.. 3.1.4. Le considerazioni che precedono dimostrano la manifesta infondatezza dell'eccezione di "giudicato interno" sollevata dalla Ro. Di. con riferimento alle parti della sentenza in cui si afferma che la campionatura è individuata dalla lex specialis della gara in oggetto come elemento "essenziale" o "costitutivo" dell'offerta tecnica. Si tratta di mera argomentazione puntualmente riferita dal giudice di prime cure all'unica questione controversa nel presente giudizio. Il thema decidendum infatti consiste proprio nel verificare (prestando "attenzione al concreto contenuto della lex specialis", come detto in sentenza) la configurazione, da parte del disciplinare di gara, del numero delle porte quale caratteristica "essenziale" (anche) del veicolo campione, a fini escludenti o, in subordine, per la valutabilità del veicolo mediante le prove collegate alla presentazione del "campione". Si tratta esattamente della questione affrontata col primo motivo di appello. 3.2. Occorre quindi esaminare la disciplina della gara de qua, al fine di comprendere quali fossero le "caratteristiche essenziali" del veicolo di prova richieste a pena di esclusione. L'art. 15 del disciplinare di gara (intitolato "Contenuto della busta B - Offerta tecnica") prevede, tra l'altro, che: "Il Concorrente che presenta offerta dovrà, a pena di esclusione, mettere a disposizione di At. S.p.A. un veicolo le cui caratteristiche essenziali corrispondano al veicolo offerto ai fini di consentire le prove di seguito descritte. Il veicolo in prova dovrà corrispondere al veicolo offerto il più possibile; in particolare, si richiede attenzione per quanto riguarda: - autotelaio (motore, trasmissione, sterzo, sospensioni, ecc.); - carrozzeria (numero delle porte, finestrature, ecc.) potendo essere difforme relativamente alla livrea (caratterizzazione cromatica), a componenti marginali (p.e. parabrezza, tipologia finestrini, etc.); - allestimenti: sedili (come da offerta), aria condizionata, potendo essere a scelta della Ditta il modello del sedile autista e dei sedili passeggeri purché questi ultimi corrispondano al numero richiesto di 10 unità . Potrà essere difforme la realizzazione del posto guida relativamente alla sua chiusura e personalizzazione At. S.p.A. L'esame del veicolo è finalizzato alla verifica della qualità del veicolo proposto attraverso l'esame di un veicolo che per caratteristiche essenziali delinei la capacità del Costruttore di fornire veicoli corrispondenti alla specifica missione definita per il materiale rotabile oggetto della fornitura. Pertanto la prova sarà articolata in due fasi, in particolare l'esame del veicolo, a cura della Commissione Tecnica, comprenderà : - prova statica - prova su strada ciascuna eseguita in base al protocollo più avanti precisato". 3.2.1. La stessa sentenza appellata ha posto in evidenza la trattazione distinta, da parte del disciplinare di gara, della fattispecie di cui al primo dei detti periodi (d'ora innanzi primo periodo e successivi, per comodità espositiva, pur non trattandosi dei primi tre commi dell'art. 15) - che prevede esplicitamente l'esclusione del concorrente che non forniva il veicolo di prova - e quella di cui al secondo periodo -dove è detto che "il veicolo di prova dovrà corrispondere al veicolo offerto il più possibile", aggiungendo che "si richiede attenzione" riguardo ad alcune caratteristiche, tra le quali "carrozzeria (numero delle porte, finestrature, ecc.) potendo essere difforme relativamente alla livrea (caratterizzazione cromatica), a componenti marginali (p.e. parabrezza, tipologia finestrini, etc.)". Secondo il primo giudice, le due parti sono "logicamente collegate", nel senso che la seconda chiarirebbe quali erano le "caratteristiche essenziali" del campione, indicando, in contrapposizione, gli elementi che "possono anche differire e che, quindi, non rivestono carattere essenziale" (come detto in sentenza). Dall'esame della previsione nella sentenza si è quindi tratta la conclusione che avrebbe "proprio il senso di assegnare natura di "caratteristica essenziale" al requisito delle porte". 3.2.2. Il "collegamento logico" tra i due periodi dell'art. 15 in contestazione non è tuttavia così palese come ritenuto dal primo giudice, già per le ragioni di ordine letterale evidenziate dall'appellante So. It.. Quest'ultima argomenta dall'utilizzazione delle espressioni porre "attenzione" o corrispondenza "il più possibile" vicina a quella del modello offerto, per sostenere, secondo un'interpretazione - altrettanto plausibile quanto quella della ricorrente, condivisa dalla sentenza - che, mentre la prima parte della disposizione concerne le caratteristiche, da ritenersi "essenziali" (per le finalità ivi specificate, su cui si tornerà ), l'elenco contenuto nella seconda concerne le altre caratteristiche, per le quali il disciplinare "richiede attenzione" e raccomanda che siano "il più possibile" corrispondenti a quelle del mezzo offerto. Condivisibile è anche l'argomento di supporto rappresentato dall'appellante, secondo cui l'utilizzazione di dette espressioni sarebbe del tutto incompatibile con una sanzione escludente, considerato l'orientamento giurisprudenziale interno e della Corte di giustizia UE per il quale il principio del clare loqui in tema di appalti impedisce che l'Amministrazione possa escludere un concorrente dalla gara in difetto di indicazioni specifiche e univoche contenute nella legge o negli atti di gara (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 19/2016, nonché CGUE, sentenza 2 giugno 2016, C-27/15). 3.2.3. In effetti la previsione del disciplinare di gara consente un'interpretazione per la quale i due periodi piuttosto che in rapporto di complementarietà siano in rapporto di contrapposizione, ai fini della sanzione espulsiva, prevista nel primo e non nel secondo, di modo che: - nel primo risultano contemplate le caratteristiche costruttive e prestazionali, che, pur non singolarmente individuate, tipizzano il modello offerto, nei limiti in cui siano necessarie all'espletamento delle prove; - nel secondo risultano contemplate alcune delle caratteristiche del veicolo che non sono "essenziali" a tale fine, tra le quali per alcune è raccomandato di assicurare una tendenziale corrispondenza col veicolo offerto, per altre è pure possibile che siano addirittura "difformi". La constatazione - valorizzata dal T.a.r. - che il veicolo offerto da So. fosse dotato di tre porte di servizio a doppia anta e che questa fosse una specifica tecnica prevista dal capitolato come obbligatoria del veicolo da offrire, non è utilizzabile per supportare l'interpretazione dell'art. 15 sostenuta nella sentenza: portata infatti alle sue logiche conseguenze imporrebbe una perfetta coincidenza tra il veicolo di prova ed il veicolo offerto, nel senso che il primo dovrebbe avere, a pena di esclusione, tutte le caratteristiche tecniche prescritte dal capitolato per il secondo (salvo che per la caratteristiche indicate nell'art. 15 come suscettibili di "difformità "). La tesi sottostante, fondata sulla coincidenza delle "caratteristiche essenziali" richieste per il campione e le specifiche tecniche richieste per il veicolo da fornire (che riguardano tutti gli elementi tecnici, costruttivi e prestazionali richiesti dalla committenza per il prodotto oggetto della fornitura) è contraria alla funzione meramente dimostrativa prevista per il "campione" dal Codice dei contratti pubblici e dalla giurisprudenza sopra menzionata. 3.2.4. Essa inoltre non trova significativo supporto nell'articolato testo dell'art. 15 del disciplinare di gara. Piuttosto, la considerazione dell'intera previsione del disciplinare induce ad escludere che tra le "caratteristiche essenziali" richieste, a pena di esclusione, per il veicolo di prova, vi fosse anche quella del numero delle porte, non solo perché contemplata nel secondo periodo. La richiesta del veicolo "campione" è infatti specificamente motivata, nel primo periodo, con la finalità di "consentire le prove di seguito descritte". Nell'ultimo periodo dello stesso art. 15 è poi precisato che scopo dell'esame del veicolo di prova è quello di verificare "la capacità del Costruttore di fornire veicoli corrispondenti alla specifica missione definita per il materiale rotabile oggetto della fornitura", per come confermato dalla tipologia delle prove da eseguirsi secondo il "protocollo" dello stesso disciplinare (vale a dire: A) prova statica: esame esterno; esame del sotto-cassa e degli impianti; esame del comparto passeggeri; esame del posto-guida; esame dell'impiantistica ausiliaria; B) prova su strada: comfort di marcia, con particolare riguardo al sistema di sospensioni; guidabilità ). 3.2.5. La disciplina di gara consente di individuare agevolmente la funzione della campionatura, dato che la presentazione del veicolo di prova era strumentale all'esecuzione delle prove. Il veicolo campione avrebbe quindi dovuto avere le "caratteristiche essenziali" per rendere possibile ed efficace l'esecuzione delle prove. Si tratta, come ben evidenziato dalle difese della società stazione appaltante, Gi. 20., di una nozione di "essenzialità " preordinata alla messa a disposizione di un veicolo idoneo all'utile esperimento delle prove. Queste, d'altronde, erano previste per apprezzare, non tanto immediatamente la qualità e le caratteristiche tecniche del prodotto offerto, quanto - per come si desume dall'ultimo periodo dell'art. 15 sopra riportato - la capacità tecnica del concorrente con specifico riguardo alla fornitura di tale prodotto (senza con ciò trasformare la campionatura in requisito di ammissione dell'operatore economico, restando essa comunque finalizzata alla migliore valutazione qualitativa dell'offerta tecnica: cfr. Cons. Stato, III, 4 agosto 2022, n. 6827 nel senso che va escluso che la campionatura sia finalizzata a dimostrare il possesso della capacità tecnica, dato che "resta strettamente connessa all'offerta tecnica e funzionale alla sua migliore valutazione qualitativa, pur se non integrante una componente essenziale e intrinseca di quest'ultima"). A riscontro di quanto appena detto sulla (limitata) finalità delle prove, va sottolineato che dei complessivi 80 punti disponibili per l'offerta tecnica 65 erano riservati alle qualità del veicolo e della fornitura valutabili in base all'offerta e soltanto 15 alle risultanze delle prove per le quali era richiesto il "campione". D'altronde, la non "essenzialità " del numero delle porte del veicolo campione per effettuare la relativa valutazione è stata data per presupposta dalla Commissione tecnica, che ha sottoposto ad entrambe le prove il prototipo So., esprimendo, anche con l'attribuzione dei punteggi, il relativo giudizio discrezionale. Questo non appare affatto illogico né manifestamente errato, in base ai sub-criteri di valutazione dell'offerta collegati all'espletamento delle prove, per come si dirà anche nel prosieguo. 3.2.6. Ne consegue l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la sola considerazione della campionatura ai fini dell'assegnazione del punteggio attribuisse al "campione" la qualità di "elemento costitutivo dell'offerta", da cui trarre la necessaria conseguenza della corrispondenza del campione al veicolo offerto, a pena di esclusione. 3.3. Esposte le ragioni di preferenza per l'interpretazione del disciplinare di gara sostenuta dall'appellante, e smentita con ciò la perentoria affermazione della sentenza secondo cui "l'interpretazione strettamente letterale e sistematica di dette disposizioni ne offre...un contenuto precettivo nient'affatto ambiguo o contraddittorio", v'è da aggiungere che, a voler ritenere compatibile con il testo dell'art. 15 del disciplinare anche la lettura fattane dal tribunale, ne risulterebbe certamente l'ambiguità che è stata erroneamente esclusa. Pur prescindendo dal chiarimento fornito dalla stazione appaltante, col quale - realizzando appieno la funzione "chiarificatrice" della risposta al quesito - si è ammesso il prototipo a due porte doppie anziché tre, va tuttavia affermato che, nella ipotizzata praticabilità di due possibili interpretazioni della legge di gara, andrebbe scelta comunque quella favorevole alla più ampia partecipazione dei concorrenti, in ossequio al principio del favor partecipationis (applicato dalla giurisprudenza con speciale riguardo all'interpretazione di clausole che possono portare all'esclusione del concorrente: cfr., tra le tante, di recente Cons. Stato, V, 15 febbraio 2023, n. 1589). In proposito, è condivisibile l'osservazione dell'appellante che l'interpretazione per la quale sarebbe stata imposta ai costruttori la presentazione di un veicolo di prova con gran parte delle caratteristiche del veicolo da fornire (vale a dire tutte quelle non previste come suscettibili di "difformità " dal secondo dei periodi dell'art. 15 sopra esaminati), comprese le tre porte, si rivela chiaramente anticoncorrenziale, perché rende necessaria già nella fase della presentazione dell'offerta l'assunzione di costi ed oneri costruttivi che appaiono sproporzionati senza la certezza dell'aggiudicazione ed invece giustificati, anche nella prospettiva di tutela dell'interesse pubblico, nella fase di collaudo del c.d. proto-serie, che, dotato di tutte le caratteristiche del prodotto oggetto della fornitura, è previsto dal capitolato prima dell'avvio della fase esecutiva. 3.3.1. Giova precisare che la conclusione appena raggiunta non è inficiata dalla mancata impugnazione specifica del capo di sentenza col quale il tribunale ha ritenuto l'illegittimità del sopra detto chiarimento fornito dalla stazione appaltante e rispetto al quale la difesa di Ro. Di. ha eccepito la formazione di un "giudicato interno". La pronuncia sul punto non risolve una questione controversa avente autonoma portata ai fini della decisione, quindi non è idonea alla formazione del giudicato (atteso che per consolidata giurisprudenza amministrativa e civile, "la formazione della cosa giudicata su un capo della sentenza per mancata impugnazione può verificarsi solo con riferimento ai capi che siano completamente autonomi perché fondati su distinti presupposti di fatto e di diritto, sicché l'acquiescenza alle parti della sentenza non impugnata non si verifica quando queste si pongano in nesso conseguenziale con altra e trovino in essa il suo presupposto": Cons. Stato, sez. V, 30.11.2021, n. 7958; cfr., nello stesso senso, da ultimo Cass. ord. 30 giugno 2022, n. 20951, secondo cui il giudicato interno può formarsi soltanto su un capo autonomo della sentenza che risolva una questione avente una propria individualità e autonomia, così da integrare una decisione del tutto indipendente). Per di più, detto punto di sentenza non si trova in rapporto di pregiudizialità -dipendenza con la presente decisione in modo da determinare il vincolo pro-iudicato preteso dall'appellata, ma all'opposto attiene ad una parte della sentenza dipendente dalla parte riformata, perciò travolta dalla riforma indipendentemente dall'impugnazione (arg. ex art. 336 c.p.c.). 3.4. In conclusione, il primo motivo di appello va accolto e, per l'effetto, in riforma della sentenza di primo grado, vanno respinte le corrispondenti censure del primo motivo del ricorso proposto da Ro. Di. S.p.A. 4. L'accoglimento del primo motivo d'appello comporta l'assorbimento del secondo. Con questo la sentenza è stata impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la società So. fosse tenuta a proporre ricorso incidentale avverso l'art. 15 del disciplinare al fine di caducarne gli effetti. L'affermazione è venuta meno in ragione della detta riforma della sentenza e del suo effetto espansivo interno, trattandosi di capo dipendente da quelli riformati. 5. Vanno quindi esaminati i motivi di ricorso non esaminati in primo grado e riproposti da Ro. Di. ex art. 101, comma 2, c.p.a. 5.1. In primo luogo, vengono riproposti gli ulteriori quattro profili di censura articolati nel primo motivo di ricorso sui quali il tribunale non si è pronunciato; e segnatamente: - la violazione del Regolamento UE 858/2018 del 31 maggio 2018 in materia di omologazione di veicoli, laddove all'allegato III (procedure da seguire per l'omologazione UE) prevede la rilevanza del numero delle porte per la valutazione in sede di omologazione. Ne conseguirebbe l'illegittimità della modifica della previsione di gara che sarebbe stata disposta col chiarimento di cui sopra; - l'illegittimità dei verbali e dei provvedimenti della Commissione di gara, in particolare dei verbali relativi alle operazioni di valutazione del veicolo campione mediante la prova statica e la prova dinamica previste dal disciplinare di gara, perché, anziché escludere So. It., la Commissione non si sarebbe nemmeno posta il problema della valutabilità del veicolo a due porte; - l'errore di fatto e l'irragionevolezza del giudizio della Commissione per avere sottoposto alle prove, dinamica e statica, ed avere attribuito i punteggi di cui ai relativi sub-criteri 3.1, 3.3 e 4.1, un veicolo campione a due porte, che rendeva l'offerta incompleta, tanto da dover comportare l'esclusione di So. dalla gara o, quanto meno, la non attribuzione dei punteggi per i detti criteri; - in subordine, l'illegittimità della disciplina di gara, interpretata come sopra, per avere reso possibile la presentazione di un veicolo campione a due porte. 5.2. In secondo luogo, viene riproposto il secondo motivo di ricorso, avanzato in via subordinata, avente ad oggetto censure corrispondenti a quelle del primo motivo ma prospettate al fine di criticare, non la mancata esclusione della controinteressata, bensì l'attribuzione dei punteggi tecnici relativi ai già detti sub-criteri 3.1., 3.3 e 4.1. La Ro. Di. assume che, oltre che per le ragioni tecniche esposte, l'irragionevolezza e l'errore di fatto del giudizio valutativo reso dalla Commissione emergerebbero anche per il rilievo che tutte le attribuzioni di punteggi contestate sono state riportate nei verbali di gara in totale assenza di motivazioni tecniche. 5.2.1. In via di estremo subordine, è impugnato il disciplinare di gara, sia nella parte in cui declina i sub-criteri di valutazione 3.1, 3.3 e 4.1 sia nella parte in cui stabilisce 11 coefficienti valutativi e relativi giudizi, senza prevedere una "motivazione discorsiva" nel caso di valutazione dei veicoli a due porte, anziché a tre porte. 6. I motivi riproposti, che possono essere esaminati congiuntamente perché connessi, non meritano accoglimento. 6.1. La censura concernente il regolamento europeo sull'omologazione dei veicoli va respinta poiché l'attività valutativa richiesta alla Commissione tecnica sugli autobus oggetto di prova, aventi la funzione di mera campionatura, non ha nulla a che vedere con gli accertamenti tecnici riservati all'organismo di omologazione disciplinato dalla normativa europea. Lo scopo delle prove, statica e dinamica, non è coincidente con quello dell'omologazione dei veicoli (peraltro comprovata dai certificati prodotti in gara dai concorrenti), ma di valutazione dell'offerta tecnica secondo i criteri indicati nel disciplinare di gara. 6.2. Le restanti censure del primo motivo e quelle del secondo, riguardanti l'operato della Commissione tecnica, si fondano tutte sull'assunto della Ro. Di. che i veicoli a due porte non sarebbero stati valutabili oppure, se valutabili, non avrebbero consentito l'attribuzione dei punteggi in base ai detti tre sub-criteri di valutazione dell'offerta tecnica, in riferimento alla prova statica ed a quella dinamica. 6.2.1. Riconosciuto come sopra che l'art. 15 del disciplinare di gara imponeva l'esclusione solo in mancanza della presentazione di un veicolo campione o in caso di presentazione di un veicolo privo delle caratteristiche essenziali per l'esecuzione delle prove, tra le quali non vi era il numero delle porte, non può che conseguirne la valutabilità del veicolo campione a due porte. Di qui la ragionevolezza dell'esame compiuto dalla Commissione senza necessità di motivare esplicitamente in merito al numero delle porte, fatta salva la discrezionalità nell'attribuzione di punteggi a seguito delle prove condotte secondo il "protocollo" individuato dalla legge di gara. 6.2.2. L'incidenza del numero delle porte sul comportamento dinamico del veicolo e la sua rilevanza pure ai fini della prova statica sostenute dalla Ro. Di., anche mediante la produzione di una consulenza tecnica di parte, vanno considerate, non in astratto, ma con specifico riferimento ai sub-criteri di valutazione collegati alle prove da espletarsi col veicolo campione. In proposito, è sufficiente osservare che: - in merito al sub-criterio 3.1, riguardo all'esame esterno ("È preferibile un veicolo che abbia una lastratura continua con poche sigillature in modo che la stessa risulti piana e regolare alla vista. Gli sportelli ispettivi e le finestrature siano ben allineati alla carrozzeria con sigillature "pulite" e regolari. Il tegolo sia progettato in modo da impedire ogni sorta di infiltrazione di acqua piovana all'interno della vettura per causa del flusso di caduta per gravità dallo stesso"), la Ro. Di. ha fondato i motivi di censura, sulla mera affermazione della differenza tra la lastratura e la finestrazione di un veicolo a due porte e quelle di un veicolo a tre; l'affermazione, oltre a non tenere specifico conto delle caratteristiche costruttive dei mezzi oggetto dell'offerta tecnica di So. (su cui si soffermano gli scritti difensivi di quest'ultima), appare irrilevante alla luce della constatazione che il sub-criterio riguarda la qualità delle lastrature tenuto conto delle relative sigillature, nonché l'allineamento delle finestrature e la qualità delle relative sigillature: tali elementi, in sé, sono indipendenti dall'allestimento del veicolo con due o tre porte, posto che, nei termini richiesti dalla descrizione del sub-criterio, sono apprezzabili in riferimento alla singola porta; - in merito al sub-criterio 3.3., riguardo all'esame del comparto passeggeri ("È preferibile un veicolo che presenti spazi fruibili ed una buona circolazione del flusso di passeggeri all'interno. Con sedili ben fissati e organizzati in modo da rendere semplice in ogni contesto la seduta. È preferibile un veicolo che sia dotato di una linea di mancorrenti di estetica gradevole e ottimale per garantire il sostegno in marcia alla clientela in ogni posizionamento. È preferibile un comparto passeggeri curato ed esteticamente gradevole che non presenti evidenti e continue sigillature del pavimento e delle pannellature interne. È preferibile un comparto passeggeri che sia particolarmente curato nell'allineamento e nella qualità delle chiusure dei vani ispettivi interni"), la Ro. Di. ha fondato i motivi di censura sull'asserzione del diverso layout dei posti a sedere e degli spazi fruibili, delle diverse altezze interne e delle aree di passaggio nel corridoio, dell'assenza della superficie di salita - discesa prospiciente la porta posteriore (illustrata da confronti grafici); i rilievi della Ro. Di. si prestano alla contestazione di So., secondo cui la mancata considerazione del prototipo So. effettivamente esaminato dalla Commissione tecnica comporta l'inattendibilità dell'illustrazione della ricorrente, laddove il confronto grafico tra il veicolo a due porte presentato da So. (come da disegno quotato della pianta del comparto passeggeri: doc. 14) e il veicolo offerto a tre porte (come da offerta tecnica) rappresenterebbe comparti interni coincidenti (per quote, altezze, distanze e spazi percorribili all'interno), salvo che per lo spazio occupato da quattro sedili nel prototipo e lasciato invece libero nel bus offerto in gara per consentire l'apertura della terza porta. In merito, poi, alle caratteristiche costruttive interne (riguardanti i corridoi, le superfici calpestabili, i mancorrenti e i pali di sostegno), le censure della parte ricorrente appaiono generiche e comunque poco giustificabili per la presenza o meno della terza porta, la cui incidenza ben poteva essere apprezzata dalla Commissione tecnica anche avvalendosi della documentazione di gara e dei rendering interni allegati all'offerta secondo le previsioni dello stesso art. 15 del disciplinare di gara: l'assunto di Ro. Di. secondo cui questi sarebbero stati inutilizzabili allo scopo è del tutto priva di fondamento giuridico e di qualsivoglia riscontro nella legge di gara (tale non essendo, ed anzi dovendosi intendere in senso contrario, la previsione del disciplinare di gara secondo cui "le prove effettuate costituiranno elemento di valutazione nell'ambito del punteggio tecnico attribuibile; i punteggi associati alle due prove sono esplicitati nel successivo paragrafo 17.1."); - in merito al sub-criterio 4.1., riguardante il comfort di marcia ("È preferibile un veicolo che abbia un ottimo sistema di sospensioni atto a ridurre al massimo le asperità della strada e tale che non trasmetta particolari vibrazioni all'interno del veicolo. È preferibile un veicolo che non presenti fastidiosi rumori di interferenze e/o del vano motore durante la marcia"), Ro. Di. ha sostenuto che un veicolo a due porte sarebbe "molto più performante in termini di rumorosità, di risonanze e di vibrazioni percepite rispetto ad un veicolo a tre porte". In proposito, senza necessità di addentrarsi nel merito di questioni tecniche riservate alla valutazione della Commissione, dal punto di vista giuridico, appare decisivo constatare che veicolo a due porte fosse certamente valutabile relativamente al "confort di marcia", tanto da consentire l'attribuzione di punteggio, e che So., in riferimento al sub-criterio in esame, così come peraltro in riferimento agli altri sub-criteri, ha conseguito un punteggio inferiore a quello di Ro. Di., senza perciò aver tratto alcun vantaggio competitivo dall'asserita maggiore resa del veicolo a due porte. 6.2.3. Per disattendere la contestazione dei punteggi attribuiti dalla Commissione, di cui al secondo motivo riproposto, è sufficiente richiamare l'univoca giurisprudenza sull'insindacabilità delle valutazioni tecniche operate dalle commissioni giudicatrici, se non nei limiti di travisamento manifesto, pretestuosità o irrazionalità (cfr., per tutte, Cons. Stato, V, 22 ottobre 2018, n. 6012), non riscontrabili nell'attribuzione dei punteggi riguardanti i detti sub-criteri di valutazione, risultati per di più per So. It. notevolmente inferiori a quelli assegnati alla concorrente Ro. Di.. A ciò si aggiunga che ai fini dell'attribuzione del punteggio per ciascuno dei sub-criteri contestati da quest'ultima - per come risulta dal testo di ognuno sopra riportato - vi erano da prendere in considerazione, nello spettro di punti compreso tra il minimo e il massimo, plurimi aspetti, tutti connotati da ampia discrezionalità, ma alcuni soltanto dei quali interessati dalle censure della ricorrente di primo grado. Il dettaglio riservato dalla legge di gara alla descrizione di ciascuno dei detti sub-criteri e la corrispondenza con una tabella di valutazione dei coefficienti contenente ben undici valutazioni distinte, esprimenti "il livello di aderenza di ciascun criterio ai requisiti di offerta" (come da art. 17 del disciplinare, riguardante il "metodo discrezionale") per l'attribuzione dei punteggi, rende inoltre infondata la censura di vizio di motivazione del giudizio della commissione giudicatrice, in base alla giurisprudenza per la quale il punteggio numerico, assegnato ai singoli elementi di valutazione dell'offerta tecnica, dà luogo a motivazione sufficiente quando siano fissati con chiarezza i criteri di valutazione (cfr. Cons. Stato, V, 14 giugno 2023, n. 5854). 6.3. Altrettanto infondate sono le censure subordinate secondo cui il disciplinare di gara sarebbe illegittimo nella parte in cui ha consentito la valutazione del veicolo campione a due porte ovvero, in ulteriore subordine, laddove non ha imposto una motivazione ad hoc in tale eventualità . 6.3.1. Le ragioni di infondatezza della prima censura sono speculari a quelle per le quali si è preferita l'interpretazione dell'art. 15 del disciplinare di gara che ha portato all'accoglimento del primo motivo di appello. 6.3.2. La seconda censura sconta l'infondatezza dell'assunto della ricorrente secondo cui la differente dotazione di porte dei veicoli avrebbe reso non espletabile l'attività valutativa della Commissione secondo le previsioni del disciplinare di gara. 6.4. In conclusione, non essendo richiesta a pena di esclusione la presentazione di un veicolo di prova coincidente con quello dell'offerta, in specie quanto al numero delle porte, nemmeno è stata impedita dalla consegna del veicolo di prova a due porte la valutazione dei diversi aspetti dei sub-criteri contestati da Ro. Di., con la conseguente non irragionevole attribuzione alla So. It. di un punteggio oscillante tra "sufficiente" e "appena sufficiente". 7. Va quindi accolto il primo motivo dell'appello di So. It. S.r.l., assorbito il secondo, e vanno respinte le censure riproposte da Ro. Di. S.p.A. Per l'effetto, in riforma della sentenza di primo grado, va respinto il ricorso proposto dalla Ro. Di. S.p.A.. 8. Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi per la novità e la complessità delle questioni oggetto di contenzioso. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie il primo motivo, assorbito il secondo e, respinti i motivi riproposti ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a., in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso proposto da Ro. Di.. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Rosanna De Nictolis - Presidente Valerio Perotti - Consigliere Alberto Urso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere, Estensore Sara Raffaella Molinaro - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI NAPOLI NONA SEZIONE CIVILE riunita in camera di consiglio nelle persone dei magistrati: dr. Eugenio Forgillo - Presidente dr. Pasquale Maria Cristiano - Consigliere dr. Giuliano Tartaglione - Consigliere rel./est. ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 2510/2021 R.G.A.C., posta in decisione all'udienza collegiale del 19.12.2023, con concessione dei termini fino al 4.3.2024 per il deposito delle comparse conclusionali e fino al 25.3.2024 per il deposito delle memorie di replica, e vertente TRA Bi.An., nata ad O. (N.) il (...), C.F. (...), Am.Lo., nata ad O. (N.) il (...), C.F. (...), e Am.Vi. nata a P. T. (N.) il (...), C.F. (...), tutte residenti in P. (N.) alla via A. n. 129, in proprio e nella qualità di eredi di Am.Gi., nato a T. (N.) il (...), elettivamente domiciliate in Santa Maria La Carità (NA) alla via (...) presso lo studio dell'avvocato Pa.Ca. (C.F. (...)) che le rappresenta e difende unitamente all'avvocato Ge.To. (C.F. (...)) in virtù di procura rilasciata su foglio separato ed allegato all'atto di appello; APPELLANTI E AZIENDA Sa. (ex ambito Salerno 1), in persona del legale rappresentate pro tempore, con sede legale in Salerno alla via (...), P.I. (...), elettivamente domiciliata in Castellammare di Stabia (NA) alla piazza (...) presso lo studio dell'avvocato Vi.Ru. (C.F. (...)), che la rappresenta e difende in virtù di procura rilasciata su foglio separato ed allegato alla comparsa di costituzione e risposta; APPELLATA E Bo.Nu., C.F. (...), e Sa.Ca., C.F. (...), elettivamente domiciliati in Palma Campania (NA) alla via (...) presso lo studio degli avvocati Bi.Ar. (C.F. (...)) e Gi.Ca. (C.F. (...)), che li rappresentano e difendono in virtù di procura rilasciata su foglio separato ed allegato alla comparsa di costituzione e risposta; APPELLATI E Ma.Ma., C.F. (...), e Si.Bi., C.F. (...), elettivamente domiciliati in Palma Campania (NA) alla via (...) presso lo studio dell'avvocato Gi.Ca. (C.F. (...)) che li rappresenta e difende in virtù di procura rilasciata su foglio separato ed allegato alla comparsa di costituzione e risposta; APPELLATI E Ca.An., C.F. (...), elettivamente domiciliato in Palma Campania (NA) alla via (...) presso lo studio dell'avvocato Mi.Sa. (C.F. (...)) che lo rappresenta e difende in virtù di procura rilasciata su foglio separato ed allegato alla comparsa di costituzione e risposta; APPELLATO E An.Si., C.F. (...), elettivamente domiciliata in Palma Campania (NA) alla via (...) presso lo studio dell'avvocato Fr.Fe. (C.F. (...)) che la rappresenta e difende in virtù di procura rilasciata su foglio separato ed allegato alla comparsa di costituzione e risposta; APPELLATA E Sa.Fr., C.F. (...), elettivamente domiciliato in Napoli (NA) alla via (...) presso lo studio dell'avvocato Da.Ma. (C.F. (...)), che lo rappresenta e difende in virtù di procura rilasciata su foglio separato ed allegato alla comparsa di costituzione e risposta; APPELLATO E Sf.Sa., C.F. (...), rappresentato e difeso, in virtù di procura rilasciata su foglio separato ed allegato alla comparsa di costituzione e risposta, dall'avvocato Ar.Pe. (C.F. (...)), elettivamente domiciliato extra districtum (Nocera Inferiore-SA) e, per l'effetto presso la cancelleria di questa Corte; APPELLATO E Ca.Ma., C.F. (...), Ro.En. C.F. (...), Ca.Do., C.F. (...), Mu.Ra., C.F. (...), Ca.Cl., C.F. (...) e Sc.An. C.F. (...), elettivamente domiciliati in Torre Annunziata (NA) al corso (...) presso lo studio dell' avvocato Al.Ve. (C.F. (...)), che li rappresenta e difende in virtù di procura rilasciata su foglio separato ed allegato alla comparsa di costituzione e risposta; APPELLATI E St.Vi., C.F. (...), e Du.Pa., C.F. (...), rappresentati e difesi dall'avvocato Vi.Vi. (C.F. (...)) in virtù di procura rilasciata su foglio separato ed allegato alla comparsa di costituzione e risposta di primo grado e presso la cui casella pec (...) hanno eletto domicilio digitale; APPELLATI E Ma.Ma. C.F. (...), e Pe.Ma., C.F. (...), rappresentati e difesi dall'avvocato Ar.Pe. (C.F. (...)) in virtù di procura rilasciata a margine della comparsa di costituzione e risposta in primo grado, elettivamente domiciliati extra districtum (Nocera Inferiore-SA) e, per l'effetto, presso la cancelleria di questa Corte APPELLATI E Od.It., C.F. (...), rappresentata e difesa dell'avvocato An.Vi. (C.F. (...)) in virtù di procura rilasciata su foglio separato ed allegato alla comparsa di costituzione e risposta in appello, elettivamente domiciliata extra districtum (Nocera Inferiore-SA) e, per l'effetto, presso la cancelleria di questa Corte; APPELLATA E Vi.Vi., C.F. (...), e Pa.Ca., C.F. (...), elettivamente domiciliati in Torre Annunziata (NA) alla piazza (...) presso lo studio dell'avvocato Vi.Fu. (C.F. (...)), che li rappresenta e difende in virtù di procura rilasciata su foglio separato ed allegato alla comparsa di costituzione e risposta; APPELLATI E Am. s.p.a. (già Am. s.r.l.), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in M. alla via C. n. 14, P.I. (...), elettivamente domiciliata in Castellammare di Stabia (NA) alla Piazza (...) presso lo studio dell'avvocato Mi.Cu. (C.F. (...)), che la rappresenta e difende in virtù di procura rilasciata su foglio separato ed allegato alla comparsa depositata il 1.4.2022; APPELLATA E Am. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in M. alla via C. n. 14, P.I. (...), quale cessionaria del portafoglio assicurativo di Am. LIMITED, con sede legale in N., St. J. S., e sede secondaria in M. alla via C. n. 14, C.F. (...), elettivamente domiciliata in Teano (CE) al Viale (...) presso lo studio dell'avvocato Gr.D'As. (C.F. (...)), che la rappresenta e difende in virtù di procura rilasciata su foglio separato ed allegato alla comparsa di costituzione e risposta; APPELLATA E Ha. s.p.a. (già Am. s.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in M. in viale C. n. 222, P.I. (...), elettivamente domiciliata in Napoli alla via (...) presso lo studio dell'avvocato Gi.Va. (C.F. (...)), che la rappresenta e difende in virtù di procura rilasciata su foglio separato ed allegato alla comparsa di costituzione e risposta; APPELLATA NONCHE' Pa.Ni., C.F. (...), Pa.Cl., C.F. (...), Fa.It., C.F. (...), Na.Al., C.F. (...), Lu.Gi., C.F. (...), Ma.Vi. C.F. (...), Pa.Sa., C.F. (...), Sp.Lu., C.F. (...), Pe.Ma., C.F. (...), e Pa.Sa., C.F. (...); APPELLATI CONTUMACI SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E CONCLUSIONI 1. Con atto di citazione ritualmente notificato il 14.10.2014 Bi.An., Am.Lo. e Am.Vi., in proprio e in qualità di eredi di Am.Gi., convenivano innanzi al Tribunale di Torre Annunziata, l'Azienda Sa. (d'ora in avanti solo As.) e i soggetti indicati in epigrafe come appellati al fine di ottenere l'accertamento della responsabilità dei sanitari e dell'As. per il decesso di Am.Gi. e la loro condanna in solido al risarcimento dei danni iure proprio e iure hereditatis subiti dal de cuius e dagli eredi. In particolare, gli attori deducevano che: - alle 17:40 del 14.12.2011 Am.Gi. accedeva al Pronto Soccorso del Presidio Ospedaliero Umberto I di Nocera Inferiore per ematesi associata a melena e i sanitari di turno disponevano il ricovero in barella del paziente nella Divisione di Chirurgia d'Urgenza (pagina 1 della citazione); - alle 20:30 veniva eseguita un'indagine gastroscopica (EDG) che documentava la presenza di un bulbo deformato per la presenza di grossa lesione ulcerosa in parte ricoperta da coagulo e in parte ancora sanguinante (ancora pagina 1); - l'endoscopista prescriveva un ulteriore controllo endoscopico dopo dodici ore, mai eseguito; - il personale del pronto soccorso informava i familiari delle gravi condizioni del paziente e della necessità di un intervento chirurgico, rassicurandoli, tuttavia, della idoneità della struttura ospedaliera per la patologia diagnosticata e l'intervento a farsi; - trasferito nella divisione di chirurgia d'urgenza, ad Am.Gi. veniva, quindi, applicato un sondino naso-gastrico e, stante la fuoriuscita di sangue fresco i familiari chiedevano l'intervento del medico di turno - dott. Bo.Nu. - il quale riferiva che la perdita di sangue era la normale conseguenza del trattamento endoscopico eseguito e che non era "sangue fresco" ma residui che il paziente avrebbe pian piano espulso (pagina 2); - a causa dello stato di anemizzazione del paziente, veniva intrapresa terapia di reintegro volemico (trasfusione di una sacca ematica) e farmacologica antiemorragica (pagina 2); - le condizioni del paziente andavano peggiorando e si verificava un costante abbassamento dei valori dell'emoglobina; - alle 12.30 del 15.12.2011 Am.Gi., durante una visita dei familiari, nel tentativo di parlare e facendo cenno di aprire la finestra della stanza perdeva conoscenza con contestuale perdita di sangue per via orale e anale (ancora pagina 2); - in tale circostanza il personale sanitario era assente ed intervenivano il dott. S. con altro personale sanitario, dopo qualche minuto e solo a seguito di continue richieste di assistenza; - i sanitari dopo aver accertato le gravi condizioni del paziente invitavano i presenti ad allontanarsi e richiedevano l'intervento dell'anestesista, il quale, dopo aver rianimato il paziente, prescriveva oltre alla terapia emotrasfusiva, l'esecuzione urgente di una EGDS, una ecografia/TC addome e una rivalutazione chirurgica del paziente; - il personale del reparto si limitava ad eseguire esclusivamente la terapia emotrasfusiva disattendendo tutte le altre indicazioni diagnostiche e terapeutiche (ancora pagina 2); - dopo la rianimazione i familiari constatavano che Am.Gi. risultava visibilmente pallido ed affaticato e che dal sondino naso-gastrico continuava la fuoriuscita veloce di sangue (pagina 3 della citazione); - i familiari, pertanto, chiedevano ai sanitari se fosse necessario procedere chirurgicamente anche alla luce della emorragia in atto e questi dichiaravano che il sig. A. era affetto da un'ulcera sanguinante e che tale patologia non richiedeva alcun intervento chirurgico (pagina 3); - all'1:45 del 16.12.2013, dopo un'ulteriore crisi emorragica, i familiari facevano presente al dott. S. che il congiunto era sudato, freddo, ansimante e privo di coscienza (pagina 3) e questi li invitava a non creare "inutili allarmismi" e che il paziente si sarebbe ripreso di lì a poco e che era necessario attendere gli effetti della terapia eseguita (emotrasfusione) (ancora pagina 3); - a seguito delle insistenze dei familiari il dott. S., poi, riferiva che le condizioni del paziente erano tali da non poter essere sottoposto ad un intervento chirurgico e si allontanava dalla stanza (sempre pagina 3); - alle 4:00 del 16.12.2013 Am.Gi. veniva portato d'urgenza in sala operatoria per essere sottoposto ad intervento di gastrectomia sub-totale con gastrodigiunostomia, in stato comatoso; - i familiari non ricevevano alcuna informazione sull'intervento da eseguire; - Am.Gi., dopo l'intervento, veniva trasferito nel reparto di rianimazione in condizioni ancora critiche; - il giorno 17.12.2013 i sanitari sospendevano la sedazione per valutazione neurologiche per poi riprenderla riferendo che "il paziente si era svegliato male" (pagina 4); - il dott. S.A. riferiva che il paziente aveva subito un danno cerebrale la cui entità allo stato delle sue condizioni cliniche era da considerarsi un problema secondario (pagina 4); - nei giorni successivi i sanitari del reparto di rianimazione riferivano ai familiari che le condizioni critiche del paziente erano dovute al ritardato intervento chirurgico; - alle 11:30 del 24.12.2011 si verificava l'exitus di Am.Gi.; - il 31.1.2014 gli attori avevano depositato domanda di mediazione innanzi all'Organismo di Mediazione del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Torre Annunziata; - il 23.4.2014 il mediatore, verificata l'assenza delle parti convocate e l'impossibilità di comporre la lite, dichiarava l'esito negativo del procedimento (cfr. verbale del 23.04.2014). Si costituivano in giudizio l'As., Bo.Nu., Ma.Vi., Ma.Ma., Pa.Sa., Sa.Fr., Sa.Ca., Sf.Sa., Si.Bi., Sp.Lu., Ca.An., An.Si., Ca.Ma., Pe.Ma., Ro.En., St.Vi., Ma.Ma., Vi.Vi., Ca.Do., Pa.Sa., Mu.Ra., Pa.Ca. Pe.Ma., Ca.Cl., Du.Pa. e Sc.An., contestando la pretesa attorea e deducendone la sua infondatezza. Od.It. si costituiva in giudizio contestando l'avverso gravame e deducendone la sua infondatezza e, spiegava domanda riconvenzionale al fine di ottenere la condanna degli attori ex art. 96 c.p.c.. Pur essendo stati ritualmente citati in giudizio restavano contumaci i sanitari Fa.It., Lu.Gi., Na.Al., Pa.Ni. Pa.Ca.. Con ordinanza del 24.2.2015 il giudice autorizzava la chiamata in causa della Am. s.r.l. richiesta dai convenuti Sc.An., Ca.Cl., Ca.Ma., Ca.Do., Ro.En., Mu.Ra., Si.Bi., Sa.Ca., Ma.Ma., Bo.Nu., Ca.An. ed An.Si.. Con ordinanza del 25.2.2015 il giudice autorizzava la chiamata in causa della Ca.An. s.p.a. richiesta dai convenuti Du.Pa. e Pa.Sa.. Con ordinanza del 3.3.2015 il giudice rigettava la richiesta di chiamata in causa formulata dai convenuti Ma.Ma., Pe.Ma. e Sf.Sa., poiché costituitisi tardivamente. Con ordinanza del 12.3.2015 il giudice autorizzava anche la chiamata in causa della Am. Limited chiesta dai convenuti Sc.An., Ca.Cl., Ca.Ma., Ca.Do., Ro.En., Mu.Ra., Si.Bi., Sa.Ca., Ma.Ma., Bo.Nu., Ca.An. ed An.Si.. Con comparsa di costituzione e risposta si costituivano il 25.9.2015 Am. Limited e Ca.An. s.p.a.. Istruita la causa mediante acquisizione di documenti ed espletamento di CTU, il Tribunale di Torre Annunziata con ordinanza del 16.1.2018 formulava invano alle parti una proposta di transazione ex art. 185 bis c.p.c., e successivamente con la sentenza n. 470/2021 pubblicata il 5.3.2021 così decideva: - accoglie per quanto di ragione la domanda nei confronti dell'ASL di S. e pertanto condanna la predetta A., in persona del legale rapp. p.t. al pagamento dei seguenti importi: - in favore di B. An elina Euro 162 859 00 - in favore di Am.Lo. Euro 148.447,00 - in favore di Am.Vi. Euro 148.447,00 - in favore di tutte le attrici in solido fra loro l'importo di Euro 4.700,00, il tutto oltre gli interessi legali da oggi al saldo - dichiara inammissibili le domande avanzate nei confronti degli altri convenuti e rigetta altresi la domanda riconvenzionale spiegata da Od.It. - dichiara non luogo a provvedere sulla domanda di garanzia avanzata nei confronti di Am. Limited e spa Am. (ex Ca.An. spa) - condanna l'ASL di S., in persona del legale rapp. pro-tempore al pagamento, in favore dell'avv. Pasquale Calabrese, Difensore distrattario delle attrici, delle spese di giudizio che liquida in Euro 7.500,00 per spese vive ed Euro 20.000,00 per onorari oltre accessori come per legge; - condanna le attrici Bi.An. - Am.Lo. - Am.Vi. al pagamento della giusta metà delle spese di giudizio, di cui appresso (le somme di cui appresso sono già calcolate nell'importo ridotto al 50%): - in favore di Mu.Ra., Ro.En., Ca.Do., Ca.Ma., Ca.Cl., Sc.An. Euro 1.700,00 per compensi professionali ed Euro 1.000,00 per spese, oltre accessori come per legge con distrazione in favore dell'avv. Al.Ve. - in favore di St.Vi. e Du.Pa. Euro 1.200,00 per compensi professionali ed Euro 518,00 per spese oltre accessori come per legge, con distrazione in favore dell'avv. Vi.Vi. - in favore di Od.It. Euro 1.000,00 per compensi professionali ed Euro 237,00 per spese oltre accessori come per legge, con distrazione in favore dell'avv. An.Vi. - in favore di Pa.Sa. Euro 1.000,00 per compensi professionali ed Euro 518,00 per spese, oltre accessori come per legge con distrazione in favore dell'avv. Ci.De. - in favore di Pe.Ma. e Ma.Ma. Euro 1.200,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge - in favore di Pe.Ma. e Pa.Sa. Euro 1.200,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, con distrazione in favore dell'avv. Em.Na. - in favore di Vi.Vi. e Pa.Ca. Euro 1.200,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, con distrazione in favore dell'avv. Vi.Fu.; - dichiara interamente compensate fra le parti le restanti spese. Il Tribunale preliminarmente: - rigettava l'eccezione di incompetenza per territorio in considerazione del fatto che non tutti i convenuti hanno formulato tale eccezione e che uno di essi (dott. Sp.Lu.) risiede in T. A. (pagina 6 della sentenza); - riteneva abbandonate le richieste istruttorie degli attori posto che a fronte delle numerose richieste istruttorie (interrogatorio formale e prove testi) è stata disposta la sola CTU e gli attori, all'esito della stessa, non hanno in alcun modo insistito su tali richieste (ancora pagina 6); - rigettava la domanda avanzata nei confronti della Ca.Ma. ritenendo che questa in quanto mandataria e rappresentante in Italia della Eu., non poteva essere convenuta in proprio bensì esclusivamente quale rappresentante della seconda (pagina 7 della sentenza); - riteneva ammissibile la domanda attorea formulata nei confronti dell'As. in quanto gli attori hanno descritto in maniera piuttosto precisa i fatti posti a fondamento delle loro pretese (pagina 7); - riteneva inammissibile in quanto generica la domanda attorea formulata nei confronti dei singoli medici, in quanto né l'atto introduttivo, né le memorie ex art. 183 c.p.c. consentivano in qualche modo comprendere quale sia stato l'operato di ciascuno di essi nella vicenda e nemmeno di capire se addirittura essi fossero stati presenti e per quale momento e/o attività (pagina 8) ritenendo che gli attori abbiano inteso sparare nel mucchio senza preoccuparsi di descrivere cosa ciascun medico abbia concretamente fatto (pagina 8 della sentenza). Nel merito, invece, in primo luogo escludeva la responsabilità dei sanitari per la mancanza del consenso informato dedotta dalle attrici in quanto l'intervento chirurgico fu deciso per il grave precipitare del quadro clinico del paziente e quindi in condizioni di estrema urgenza e ciò rende più che verosimile l'impossibilità di ottenere un previo consenso espresso all'intervento (pagine 8 e 9 della sentenza); in secondo luogo riteneva sussistente la responsabilità dell' A. per il ritardo nel decidere l'intervento chirurgico che ha aggravato i parametri vitali già precari del paziente e ne ha compromesso la ripresa al punto che nonostante la correttezza dell'intervento stesso si è verificata comunque l'exitus (pagina 11 della sentenza). Precisamente, riguardo a questo secondo profilo, il Tribunale, facendo proprie le risultanze della CTU, riteneva che nel lasso di tempo intercorso tra lo shock emorragico (13:20 del 15.12.2011) e l'intervento chirurgico (4:15 del 16.12.2011), le linee guida per la diagnosi e la cura delle emorragie digestive imponevano che si intervenisse ben prima (pagina 10 della sentenza) e il decorso di circa 13 ore prima di decidere l'intervento ha aggravato irrimediabilmente le condizioni già critiche del paziente e ha compromesso la riuscita dell'intervento stesso (ancora pagina 10). Il Tribunale, inoltre, osservava (pagina 10 della sentenza) che: - non è stato dato corso alla seconda endoscopia che l'operatore aveva prescritto dopo 12 ore; - non si è tenuto conto dei valori costantemente bassi di emoglobina (segno di anemia che era causata dal sanguinamento in atto); - alle ore 13,20 del 15.11 con la nuova emorragia (di notevole gravità al punto che il paziente dovette essere rianimato) era evidente che il primo intervento endoscopico non era stato risolutivo e quindi dopo avere stabilizzato il paziente si sarebbe dovuti intervenire, come espressamente consigliato dall'anestesista che ebbe a rianimarlo: ed è intuitivo (anche per un profano) che un sanguinamento imponente significava che l'ulcera duodenale continuava (ovvero aveva ripreso) a sanguinare e che ciò richiedeva una nuova emostasi, da attuare nuovamente per via endoscopia oppure direttamente per via chirurgica; - si è optato per un atteggiamento attendista e l'intervento è stato deciso solo dopo un nuovo shock emorragico ed un notevole calo dei valori tanto che il paziente è giunto in sala operatoria in condizioni estremamente critiche (l'anestesista annota: "pallido, tachicardico, con polso periferico non rilevabile"); - in cartella clinica è annotato un tentativo di sottoporre il paziente a nuova endoscopia (subito dopo l'inizio del turno pomeridiano dei sanitari, che va dalle 14 alle 20 v. CTU pagg. 3 e 4) e il rifiuto da parte del paziente anche se senza alcuna firma da parte dello stesso: tuttavia il CTU evidenzia che a fronte di una situazione piuttosto grave i medici avrebbero dovuto insistere e comunque prospettare l'intervento chirurgico, cosa invece che non è avvenuta e che ha compromesso in maniera severa le riserve vitali (invero già scarse) del paziente; - il cardiologo, chiamato per un consulto subito dopo lo shock emorragico delle 13,20, ha escluso alterazioni cardiache: pertanto intorno alle 14 le condizioni generali del paziente, soprattutto dal punto di vista cardiaco erano chiaramente migliori rispetto a quelle poi repertate all'ingresso in sala operatoria dove è annotata tachicardia, pallore e polso periferico non rilevabile: cosa che dimostra inequivocabilmente che l'aver atteso troppo è stato certamente deleterio. Pertanto, il Tribunale individuava i profili di responsabilità nell'operato dei sanitari del secondo turno di guardia (che va dalle ore 14 alle ore 20) i quali non potevano limitarsi a monitorare il paziente ma dovevano proporre chiaramente l'intervento chirurgico o almeno una nuova endoscopia: essi intervengono infatti subito dopo cardiologo e anestesista e questi in particolare aveva consigliato espressamente nuova endoscopia e rivalutazione chirurgica (pagina 10). Ciò posto, il Tribunale riteneva evidente che la maggior parte dell'evento infausto sia da attribuire all'aver atteso ingiustificatamente per circa 12 ore (dalle 14 alle 2,00 circa) prima di decidere l'intervento: nessuno potrà mai dire con certezza se lo A. sarebbe sopravvissuto, ma è certo che la principale causa del decesso è quella di essere giunto all'intervento con parametri vitali troppo compromessi (pagina 11 della sentenza) e stimava, poi, nel 30% il grado di severità dei fattori pregressi (episodio di ischemia cerebrale del 2010, obesità del paziente, ulcera attiva da un mese al momento del ricovero, assunzione di Toradol senza prescrizione medica), rispetto alla condotta censurata cui va attribuita una responsabilità del 70% nella causazione dell'evento (ancora pagina 11). Infine, il Tribunale riteneva inammissibile la domanda azionata dagli attori nei confronti di Am. in quanto la Compagnia con cui l'Asl Di Salerno ha stipulato polizza assicurativa è la Am. LIMITED (pagina 12 della sentenza) e, rigettava la domanda riconvenzionale di Od.It. in quanto se è pur vero che la condotta del medico in questione non ha palesato alcun motivo di responsabilità, tuttavia si tratta pur sempre di medico che ebbe ad intervenire su Am.Gi., per cui non si vede quali siano i profili di temerarietà della lite instaurata nei suoi confronti, al di là dell'evidente infondatezza della domanda in parte qua (pagina 12). 2. Con atto di citazione innanzi a questa Corte, ritualmente notificato a controparti a mezzo p.e.c. il 4.6.2021, Bi.An., Am.Lo., Am.Vi., in proprio in qualità di eredi di Am.Gi., proponevano appello avverso la detta sentenza. Argomentando motivi a sostegno del gravame, chiedevano l'accoglimento delle seguenti conclusioni: I. accertare e dichiarare la responsabilità dell'An.Si. (EX AMBITO SALERNO 1), in persona del legale rappresentate pro tempore, e dei medici Bo.Nu., Ca.An., Sa.Ca., Si.Bi., Ma.Ma., Sf.Sa., Sa.Fr., nella causazione dell'evento morte del sig. Am.Gi., e per l'effetto, condannare gli stessi con le rispettive compagnie assicurative, in solido tra loro e/o ciascuno per il proprio titolo e le proprie responsabilità, al risarcimento iure proprio del danno da perdita parentale quantificato nella somma di Euro 331.900,00 in favore di Bi.An. (coniuge convivente), Euro 331.900,00 in favore di L.A. (figlia convivente) ed Euro 331.900,00 in favore di Am.Vi. (figlia convivente), oltre interessi compensativi a titolo di lucro cessante nella misura non inferiore al quattro per cento annuo sulla somma via via rivalutata dalla data dell'evento alla data di liquidazione, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal di dell'evento all'effettivo soddisfo; II. accertare e dichiarare la responsabilità dell'An.Si. (EX AMBITO SALERNO 1), in persona del legale rappresentate pro tempore, e dei medici Bo.Nu., Ca.An., Sa.Ca., Si.Bi., Ma.Ma., Sf.Sa., Sa.Fr., nella causazione dell'evento morte del sig. Am.Gi., e per l'effetto, condannare gli stessi con le rispettive compagnie assicurative, in solido tra loro e/o ciascuno per il proprio titolo e le proprie responsabilità, al risarcimento iure proprio del danno morale e del danno biologico patito dalle attrici da liquidarsi in via equitativa, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal di dell'evento all'effettivo soddisfo; III. accertare e dichiarare la responsabilità dell'An.Si. (EX AMBITO SALERNO 1), in persona del legale rappresentate pro tempore, e dei medici Bo.Nu., Ca.An., Sa.Ca., Si.Bi., Ma.Ma., Sf.Sa., Sa.Fr., nella causazione dell'evento morte del sig. Am.Gi., e per l'effetto, condannare gli stessi con le rispettive compagnie assicurative, in solido tra loro e/o ciascuno per il proprio titolo e le proprie responsabilità, al risarcimento iure proprio del danno da lucro cessante individuato nella perdita delle sovvenzioni durevoli e costanti di cui avrebbero beneficiato quantificato in Euro 200.000,00 considerata la capacità lavorativa del de cuius, così come documentata, o in quella diversa misura che il giudice riterrà di giustizia, e di un ulteriore somma per il mancato accesso al sistema pensionistico con conseguente impossibilità della coniuge di essere beneficiaria della relativa pensione di reversibilità nella misura di legge, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal di dell'evento all'effettivo soddisfo; IV. accertare e dichiarare la responsabilità dell'An.Si. (EX AMBITO SALERNO 1), in persona del legale rappresentate pro tempore, e dei medici Bo.Nu., Ca.An., Sa.Ca., Si.Bi., Ma.Ma., Sf.Sa., Sa.Fr., nella causazione dell'evento morte del sig. Am.Gi., e, per l'effetto, condannare gli stessi con le rispettive compagnie assicurative, in solido tra loro e/o ciascuno per il proprio titolo e le proprie responsabilità, al risarcimento iure hereditatis del danno da perdita di vita che andrà liquidato muovendo dal dato tabellare di Milano dettato per il danno biologico riferito ad un soggetto con invalidità al cento per cento e procedendo alla relativa personalizzazione o in quella diversa misura che il giudice riterrà di giustizia, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal di dell'evento all'effettivo soddisfo; V. accertare e dichiarare la responsabilità dell'An.Si. (EX AMBITO SALERNO 1), in persona del legale rappresentate pro tempore, e dei medici Bo.Nu., Ca.An., Sa.Ca., Si.Bi., Ma.Ma., Sf.Sa., Sa.Fr., nella causazione dell'evento morte del sig. Am.Gi., e, per l'effetto, condannare gli stessi con le rispettive compagnie assicurative, in solido tra loro e/o ciascuno per il proprio titolo e le proprie responsabilità, al risarcimento iure hereditatis del danno biologico terminale sofferto dal de cuius, che andrà liquidato secondo i criteri dettati dall'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano con applicazione della personalizzazione del danno nella misura non inferiore ad Euro 40.000,00 e/o in quella diversa misura che il giudice riterrà di giustizia, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal di dell'evento all'effettivo soddisfo; VI. accertare e dichiarare la responsabilità dell'An.Si. (EX AMBITO SALERNO 1), in persona del legale rappresentate pro tempore, e dei medici Bo.Nu., Ca.An., Sa.Ca., Si.Bi., Ma.Ma., Sf.Sa., Sa.Fr., nella causazione dell'evento morte del sig. Am.Gi., e, per l'effetto, condannare gli stessi con le rispettive compagnie assicurative, in solido tra loro e/o ciascuno per il proprio titolo e le proprie responsabilità, al risarcimento iure hereditatis del danno morale sofferto dal de cuius, che andrà liquidato in via equitativa garantendo una liquidazione congrua e adeguata, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal di dell'evento all'effettivo soddisfo; VII. condannare l'An.Si. (EX AMBITO SALERNO 1), in persona del legale rappresentate pro tempore, e dei medici Bo.Nu., Ca.An., Sa.Ca., Si.Bi., Ma.Ma., Sf.Sa., Sa.Fr. con le rispettive compagnie assicurative, in solido tra loro e/o ciascuno per il proprio titolo e le proprie responsabilità, al risarcimento del danno in favore delle attrici per la violazione degli obblighi informativi perpetratasi per tutta la durata di degenza del de cuius, che andrà liquidato in via equitativa alla luce delle gravi omissioni accertate, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal di dell'evento all'effettivo soddisfo; VIII. condannare l'An.Si. (EX AMBITO SALERNO 1), in persona del legale rappresentate pro tempore, e dei medici Bo.Nu., Ca.An., Sa.Ca., Si.Bi., Ma.Ma., Sf.Sa., Sa.Fr., con le rispettive compagnie assicurative, in solido tra loro e/o ciascuno per il proprio titolo e le proprie responsabilità, al pagamento di un indennizzo in favore delle attrici ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c. che andrà liquidato nella misura che il giudice riterrà di giustizia; IX. condannare l'An.Si. (EX AMBITO SALERNO 1), in persona del legale rappresentate pro tempore, e dei medici Bo.Nu., Ca.An., Sa.Ca., Si.Bi., Ma.Ma., Sf.Sa., Sa.Fr. al pagamento di tutte le spese e competenze del doppio grado di giudizio. Si costituivano Du.Pa., St.Vi., Od.It., Ca.Cl., M.C., D.C., R.M., E.R., A.C.S. e Sf.Sa., contestando l'avverso gravame, eccependone preliminarmente inammissibilità e, nel merito la sua infondatezza. Si costituivano, altresì, An.Si., Ca.An., Si.Bi., Ma.Ma., Sa.Ca. e Bo.Nu., contestando l'avverso gravame, eccependone preliminarmente l'inammissibilità, il proprio difetto di legittimazione passiva e, nel merito la sua infondatezza. Chiedevano, altresì, di essere manlevati dall'As. e da A.T.E. LTD nell'ipotesi di accoglimento dell'appello e insistevano per la condanna, nei confronti degli appellati, ex art. 96 comma 3 c.p.c. per aver immotivatamente avanzato il gravame. Si costituiva F.S. contestando l'avverso gravame, eccependone preliminarmente l'inammissibilità, deducendo poi il proprio difetto di legittimazione passiva e, nel merito, l'infondatezza dell'appello. Chiedeva, altresì, di essere manlevato dall'As. nell'ipotesi di accoglimento dell'appello. Si costituivano M.P. e Ma.Ma. contestando l'avverso gravame, eccependone preliminarmente l'inammissibilità ex art. 348 bis c.p.c. e chiedendo alla Corte di dichiarare l'intervenuto giudicato della sentenza impugnata rispetto alle loro posizioni. Si costituiva Am. chiedendo preliminarmente la conferma della sentenza di primo grado nella parte in cui ha declarato il suo difetto di legittimazione passiva e, subordinatamente, contestando l'avverso gravame deducendone la sua infondatezza in fatto ed in diritto. Insisteva, altresì, per la condanna degli appellanti ex art. 96 comma 3 c.p.c.. Si costituiva l'As. contestando l'avverso gravame in quanto infondato in fatto ed in diritto ed insistendo per la condanna degli appellanti ex art. 96 comma 3 c.p.c.. Si costituiva la Am. s.p.a. in qualità di cessionaria del portafoglio assicurativo di Am. LIMITED, contestando l'avverso gravame, deducendone la sua infondatezza nel merito e, in via subordinata, chiedeva alla Corte di dichiarare l'assorbimento della domanda di manleva formulata dai dottori S., C., Capuano, R., M., C., e l'inammissibilità delle domande di manleva degli altri medici in quanto tardive e, in via ulteriormente subordinata, la riduzione dell'obbligo di garanzia nei limiti del massimale. Si costituiva la A. s.p.a. contestando l'avverso gravame e chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni: 1) in via preliminare dichiarare non luogo a procedere nei confronti della soc. A. S.p.A. la quale è stata convenuta in giudizio per soddisfare l'esigenza processuale di garantire la regolarità del contraddittorio; 2) dichiarare subordinatamente nullo, inammissibile, improcedibile l'atto di appello per le ragioni esposte in narrativa; 2)ulteriormente disporre di non luogo a procedere in relazione al rapporto tra la dott.ssa D., il dott. P. e la soc. A. S.p.A. ovvero ed in via subordinata, e solo nell'ipotesi in cui l'adita Corte dovesse ritenere di affrontare le ragioni dell'istanza di manleva, si chiede accogliersi le eccezioni sollevate e quindi rigettarsi la domanda di manleva per quanto espresso in narrativa ed anche in ragione delle eccezioni sollevate nel giduizio di primo grado che qui deveno intendersi per trascritte e ripetute; 3)con il favore delle spese del doppio grado di giudizio. Ma.Vi., Pa.Sa., Sp.Lu., Pe.Ma., Pa.Sa., Fa.It., Lu.Gi., Na.Al., Pa.Ni. Pa.Ca., pur essendo stati ritualmente citati in giudizio, restavano contumaci. All'udienza del 19.12.2023, celebrata nelle modalità previste dall'articolo 127ter c.p.c. (trattazione scritta), sulle rinnovate conclusioni delle parti, la causa veniva assegnata a sentenza, con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. fino al 4.3.2024 per il deposito delle comparse conclusionali e fino al 25.3.2024 per il deposito delle memorie di replica. CONCISA ESPOSIZIONE IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE 3. L'appello - ammissibile ai sensi dell'articolo 342 c.p.c. perché contenente specifiche censure alla motivazione della sentenza di primo grado e, perciò, conforme alla detta norma come da ultimo interpretata dalla Suprema Corte (sent. SS.UU. n. 21799/2017, secondo cui gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contesta ti della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di 'revisio prioris instantiae' del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata) - è solo in parte fondato e va, pertanto, accolto nei limiti e nei termini di seguito precisati. 4. Con il primo motivo le appellanti censurano la sentenza impugnata, lamentando la violazione delle norme e dei principi di diritto dettati in materia di responsabilità sanitaria e di riparto dell'onere probatorio tra le parti del processo. In particolare, impugnano la statuizione con cui il Tribunale ha dichiarato inammissibili le domande di condanna proposte dalle odierne appellanti nei confronti dei diversi sanitari convenuti in primo grado. Nella sentenza impugnata il Tribunale avrebbe erroneamente posto a carico delle attrici l'onere di allegare le condotte colpose poste in essere da ciascun sanitario e, nello specifico, di non aver indicato (e quindi conosciuto) anche i turni di lavoro (orario di monto e smonto in reparto) dei sanitari convenuti nonché "il come e quando i sanitari abbiano avuto in carico il paziente e cosa abbiano concretamente fatto o non fatto" (cfr. pagg. 7-8 della sentenza) (pag. 22 dell'atto di appello). Il motivo viene quindi argomentato con riferimento all'onere probatorio posto a carico della parte attrice, riportando l'orientamento giurisprudenziale prevalente in materia di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e del medico per l'inesatto adempimento della prestazione sanitaria. Il motivo non coglie nel segno. Il Tribunale, infatti, ha dichiarato l'inammissibilità delle domande risarcitorie proposte nei confronti dei medici convenuti rilevandone l'assoluta genericità, che non consente in alcun modo di comprendere quale sia stato l'operato di ciascuno di essi nella vicenda e nemmeno di capire se addirittura essi fossero stati presenti e per quale momento e/o attività (pag. 8 della sentenza impugnata). Secondo il Tribunale, inoltre, la genericità dell'oggetto delle domande, riferibile a tutti i sanitari convenuti (compresi i dottori B., Siano e S. nominati espressamente nella citazione), non viene dalle attrici superata nelle successive memorie istruttorie, né può essere compensata con la documentazione in atti, che opera sul piano probatorio e non esonera le attrici dall'onere di specifica allegazione dei fatti posti a fondamento della domanda. La motivazione del Tribunale va condivisa e la sentenza in parte qua non merita censura con le precisazioni di seguito esposte. E' noto che il difetto della determinazione della cosa oggetto della domanda e dell'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che ne costituiscono la ragione determina nullità della domanda proposta ai sensi dell'art. 163 comma 3 c.p.c.. In linea generale, va premesso che la domanda di risarcimento proposta concerne un diritto di credito a cosa generica (il denaro), in quanto tale ha ad oggetto un diritto c.d. eterodeterminato, cioè uno di quei diritti che sono individuati non già dall'indicazione della sola tipologia normativa di diritto fatta valere e del bene che ne è oggetto, ma anche e necessariamente dai fatti costitutivi che l'hanno originato. Ne consegue che detta domanda deve essere proposta con la loro necessaria individuazione, incorrendo altrimenti nella causa di nullità per omessa o volutamente incerta indicazione del requisito di cui al n. 3 dell'art. 163 c.p.c.. Per i diritti eterodeterminati, infatti, secondo una consolidata opinione dottrinale, sostanzialmente condivisa dalla giurisprudenza di legittimità, l'espressione "cosa oggetto della domanda" di cui al n. 3 dell'art. 163, quale elemento che allude all'identificazione del diritto fatto valere in giudizio e, quindi, della domanda proposta, comprende i "fatti costituenti le ragioni della domanda", cui allude il n. 4 dell'art. 163 (Cass. SS.UU. sentenza n. 4712/1996). Nel caso di specie, quindi il comportamento concreto posto in essere da ciascun sanitario costituisce un fatto costitutivo della domanda risarcitoria. La proposizione della stessa, pertanto, esige, a pena di indeterminatezza del requisito del n. 3 dell'art. 163, che l'atto di citazione individui il comportamento specifico posto in essere da ciascun medico integrante, secondo la prospettazione della parte attrice, la malpratice medica. Va inoltre osservato che in materia di nullità dell'atto di citazione, i vizi riguardanti la editio actionis sono rilevabili d'ufficio dal giudice e non sono sanati dalla costituzione in giudizio del convenuto, essendo la costituzione inidonea a colmare le lacune della citazione stessa, che compromettono lo scopo di consentire non solo al convenuto di difendersi, ma anche al giudice di emettere una pronuncia di merito, sulla quale dovrà formarsi il giudicato sostanziale, con la conseguenza che non può farsi applicazione degli artt.156 comma 3 e 157 c.p.c., essendo la nullità in questione prevista in funzione di interessi che trascendono quelli del convenuto (Cass. ord. nn. 6673/2018 e 10577/2018). Tale effetto sanante, per il generale principio del raggiungimento dello scopo, può all'opposto attribuirsi, ai sensi dell'art. 164 c.p.c., esclusivamente all' integrazione della domanda, che elimini incertezza, genericità e contraddittorietà dell'originario atto di citazione. Inoltre, di fronte all'eccezione di nullità della domanda ai sensi del quarto comma dell'art. 164 (nullità relativa alla c.d. editio actionis), formulata nel caso di specie da alcuni dei convenuti (Sa.Fr., Sa.Ca., Bo.Nu., Si.Bi. e Ma.Ma. e riproposta dagli stessi anche in appello), il Tribunale avrebbe dovuto ordinare l'integrazione della citazione a mente dell'art. 164 quinto comma c.p.c.. Nell'inerzia del Tribunale, tuttavia, la parte attrice, che abbia dato corso alla nullità e se la sia vista eccepire, avrebbe dovuto sollecitare il giudice a concederle il termine per la rinnovazione. Pertanto, le conseguenze negative della pronuncia di inammissibilità della domanda da parte del Tribunale debbono - nonostante l'esistenza di un errore del giudice (che avrebbe dovuto rilevare la nullità e ordinare la rinnovazione) - essere risentite dalla parte attrice, atteso che è anch'essa responsabile, avendo omesso di sollecitare il giudice a concederle di rinnovare la domanda, onde il processo sulla domanda nulla va definito con una pronuncia che accerti il vizio in rito di essa (Cass. sent. n. 17408/2012) La situazione, in ogni caso, non viene neanche fatta valere dalle appellanti in sede di impugnazione, e, di conseguenza, preso d'atto che non sì è fatto luogo alla fattispecie di rinnovazione della domanda, che sola poteva consentire di decidere su di essa, e che la responsabilità è da addebitare sia alla parte attrice che al giudice, la Corte deve confermare la statuizione di inammissibilità della domanda. Infatti, solo se la parte attrice, di fronte all'eccezione del convenuto, avesse riconosciuto la nullità e chiesto al giudice inutilmente di ordinare il rinnovo della domanda, si potrebbe ipotizzare che in sede di impugnazione, ove la nullità della domanda venga riconosciuta dal giudice dell'impugnazione, alla parte attrice possa riconoscersi il diritto alla rinnovazione. 5. Con il secondo motivo di gravame le appellanti rilevano un vizio di motivazione della sentenza impugnata con riferimento all'individuazione delle concause dell'evento e chiedono, in riforma della stessa, il riconoscimento a carico dei sanitari di una responsabilità pari al 100% nella causazione dell'evento. In particolare, le appellanti assumono che il Tribunale abbia nella sentenza impugnata descritto un quadro morboso del D., preesistente all'accesso al nosocomio di Nocera Inferiore, inesistente e non supportato da riscontri probatori, sia in relazione alla sussistenza delle patologie pregresse (obesità, TIA e patologia cardiovascolare) e dei comportamenti impropri (quale assunzione non controllata di farmaci), sia in relazione all'incidenza causale sull'evento dannoso. Il motivo è infondato. Il consulente tecnico nominato di ufficio, all'esito di una analisi che appare completa ed esaustiva, individua, sulla base dei dati anamnestici e clinici riportati in cartella, la presenza di concause nella determinazione dell'evento che descrive: 1) episodio di ischemia cerebrale acuta nel dicembre 2010 con esiti non meglio precisati, probabilmente un TIA senza alterazioni parenchimali; 2) le condizioni di obesità non classificata , ma descritta nelle consulenze riportate in cartella; 3) epigastralgia persistente da circa un mese prima del ricovero del 14/12 che ha costretto il paziente a presentarsi due volte in PS a Boscotrecase; 4) l'assunzione non controllata di farmaci FANS gastrolesivi la preesistenza di alcune concause che hanno avuto una incidenza nella determinazione dell'evento. (pag. 17 della consulenza di ufficio) Le concause, descritte in maniera precisa, anche in ordine all'incidenza causale delle stesse rispetto all'evento, portano il consulente del Tribunale a concludere che bisogna tenere conto dell'influenza che questi dati anamnestici e clinici hanno avuto sulla vicenda clinica della emorragia duodenale verificatasi nel Sig. A., condizionandone l'evoluzione in senso negativo, ovvero limitando la capacità reattiva sistemica allo stress emorragico del paziente, agendo quali concause del decesso con un grado di incidenza che non è possibile calcolare con esattezza ma che può essere giudicato come severo, considerando in particolar modo la precedente disordinata assunzione di FANS e il disordine metabolico e renale innescato dall'emorragia duodenale, prima occulta e poi franca, che ha determinato persistente azotemia e dalla patologia cardiovascolare, più o meno latente, ma comunque documentata in anamnesi e all'autopsia, che ha impedito una ripresa emodinamica valida dopo il blocco dell'emorragia attiva gastrointestinale ottenuta dall'intervento chirurgico (pag. 18). L'indagine svolta dal consulente appare corretta, completa ed esaustiva, in quanto fondata sulla copiosa documentazione medica in atti, e viene correttamente condivisa dal Tribunale nella sentenza impugnata. Di contro le generiche argomentazioni utilizzate dalle appellanti a fondamento del motivo in esame non sono idonee ad inficiare la validità degli accertamenti tecnici espletati di ufficio. Il motivo va rigettato e la sentenza in parte qua non merita alcuna censura, anche in ordine alla percentuale di incidenza delle concause rispetto all'evento, definita dal Tribunale nella misura del 30%, che, in ogni caso, non è oggetto di impugnazione da parte delle appellanti. 6. Con il terzo motivo le appellanti censurano la sentenza impugnata con riferimento alla determinazione del quantum risarcitorio riconosciuto dal Tribunale. In particolare, il Tribunale avrebbe omesso, secondo le appellanti, l'indicazione in sentenza dei criteri logici, giuridici e di calcolo utilizzati nella determinazione del quantum liquidato (pag. 32 dell'atto di appello), riportandosi erroneamente nella determinazione degli importi alle somme liquidate nella ordinanza ex art. 185 bis c.p.c., che conteneva una mera proposta transattiva. Lamentano, quindi: - la mancata applicazione delle Tabelle dettate dall'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano nella determinazione delle voci di danni non patrimoniali, in quanto recanti parametri maggiormente idonei ad evitare ingiustificate disparità di trattamento (pag. 34 atto di appello); - l'errore di calcolo aritmetico rispetto alla quantificazione del lucro cessante dovuto sulle somme liquidate a titolo di risarcimento per ritardata disponibilità delle somme; - l'omessa pronuncia in ordine ad alcune delle poste di danno richieste dalle appellanti iure hereditatis con riferimento in particolare al danno morale e al danno da perdita della vita; - infine, la violazione del diritto al consenso informato, che avrebbe determinato una lesione del diritto alla libera autodeterminazione del paziente. Il motivo è parzialmente fondato e va accolto nei termini che seguono. Il motivo viene argomentato con riferimento alle singole voci di danno, che vengono esaminate dalla Corte nell'ordine seguito dalle appellanti. 6.1 Danno non patrimoniale da perdita del congiunto Il Tribunale, nella quantificazione del danno de quo, con il manifesto intento di dare continuità alla proposta conciliativa ex art. 185 bis c.p.c., si riportata integralmente alla liquidazione effettuata dal precedente istruttore in detta ordinanza, che prevedeva in favore di Bi.An. l'importo di Euro 220.000,00, in favore di Am.Lo. la somma di Euro 200.000,00 ed in favore Am.Vi. l'importo di Euro 200.000,00 a titolo di danno non patrimoniale da perdita del congiunto (pag. 5 sentenza impugnata), e operando sugli importi la riduzione del 30% stante l'acclarata sussistenza delle concause nella determinazione dell'evento. Sul punto, va preliminarmente osservato che l'ordinanza ex art. 185 bis c.p.c. è risalente al 16.1.2018 e in essa il danno non patrimoniale, con particolare riferimento al danno iure proprio da perdita parentale, viene liquidato con riferimento alle Tabelle del Tribunale di Milano del 2014, che per il danno da perdita del coniuge e del genitore prevedevano il riconoscimento di un importo compreso tra Euro 163.990,00 ed Euro 327.990,00. Secondo il costante e consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, quando, all'esito del giudizio di primo grado, l'ammontare del danno alla persona sia stato determinato secondo il sistema "tabellare", la sopravvenuta variazione - nelle more del giudizio di appello - delle tabelle utilizzate legittima il soggetto danneggiato a proporre impugnazione, per ottenere la liquidazione di un maggiore importo risarcitorio, allorquando le nuove tabelle prevedano l'applicazione di differenti criteri di liquidazione o una rideterminazione del valore del "punto-base" in conseguenza di una ulteriore rilevazione statistica dei dati sull'ammontare dei risarcimenti liquidati negli uffici giudiziari, atteso che, in questi casi, la liquidazione effettuata sulla base di tabelle non più attuali si risolve in una non corretta applicazione del criterio equitativo previsto dall'art. 1226 c.c. (Cass. sent. n. 25485/2016; Cass. ord. n. 22265/2018). Il Tribunale, di conseguenza, ha errato riproponendo una liquidazione del danno effettuata sulla base di Tabelle non più attuali al momento della redazione della sentenza impugnata. La liquidazione così operata non può essere condivisa con accoglimento del motivo di appello in parte qua. Ne segue la necessità di operare una nuova liquidazione di tale posta di danno, secondo i criteri ritenuti dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. ord. n. 37009/2022) più idonei, ovvero secondo il sistema del cd. valore punto e con riferimento, in applicazione del principio giurisprudenziale sopra ricordato, alla Tabelle attualmente in vigore (Tribunale di Milano anno 2022). In termini generali, la morte di un prossimo congiunto determina per i prossimi congiunti superstiti un danno iure proprio di natura non patrimoniale, in quanto viene meno il godimento del rapporto personale con il congiunto defunto (c.d. danno da perdita del rapporto parentale), specialmente nel suo essenziale aspetto affettivo o di assistenza morale. L'evento morte determina per i congiunti superstiti la perdita di un sistema di vita basato sull'affettività, sulla condivisione, sulla quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell'alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti. Per quanto attiene all'onere della prova, non è corretto considerare il danno parentale come sussistente in re ipsa, per il mero fatto del decesso del parente; il danno, invece, va in ogni caso allegato e descritto dalla parte interessata e la prova deve essere diretta a dimostrare tutti gli aspetti sopra esaminati, per consentire di desumere, in primis, l'attualità del legame affettivo tra il parente e la vittima, la sua importanza e la sua non occasionalità. In un recente arresto, la Suprema Corte (ordinanza n. 26440/2022) ha affermato che: -la liquidazione di pregiudizi sine materia come il danno da uccisione d'un prossimo congiunto...può dirsi "equa" - per i fini di cui all'art. 1226 c.c. - quando sia compiuta con un criterio che rispetti due principi: a) garantisca la parità di trattamento a parità di danni; b) garantisca adeguata flessibilità per tenere conto delle peculiarità del caso concreto; -"uniformità pecuniaria di base" e "flessibilità" della liquidazione sono dunque i due momenti indefettibili di ogni liquidazione dei pregiudizi non patrimoniali; -il rispetto del principio della "uniformità pecuniaria di base" esige il ricorso, da parte del giudice del merito, ad un criterio prestabilito e standard di liquidazione (quali le tabelle milanesi); -il rispetto del principio della "flessibilità" della liquidazione esige che: a) si accertino tutte le circostanze di fatto nel caso concreto, per quanto dedotto e provato dalle parti; b) si sceverino quelle "ordinarie" da quelle "eccezionali"; c) si attribuisca rilievo soltanto alle seconde, per aumentare o diminuire la misura standard del risarcimento; -sono ordinarie le conseguenze che qualunque persona della stessa età, dello stesso sesso e nelle medesime condizioni familiari della vittima, non avrebbe potuto (presumibilmente) non subire; sono eccezionali le conseguenze legate all'irripetibile singolarità dell'esperienza di vita individuale, idonee a giustificare una variazione del risarcimento (beninteso, tanto in aumento quanto in diminuzione); -la liquidazione del danno inferiore al minimo tabellare presuppone l'accertamento di ulteriori e diverse (dall'età della vittima e del superstite, dalla convivenza) circostanze di fatto, quali ad esempio l'assenza di un saldo vincolo affettivo, l'esistenza di dissapori intrafamiliari, l'anaffettività del superstite nei confronti del defunto. Nel caso di specie, le appellanti (coniuge e figlie del de cuius) hanno chiesto nell'atto introduttivo del primo grado di lite il risarcimento dei danni non patrimoniali derivanti dalla perdita del congiunto deducendo esclusivamente il rapporto parentale, senza allegare e provare circostanze ulteriori, neanche in merito all'eventuale convivenza con il de cuius. Pertanto, in conformità ai parametri predisposti dalle Tabelle di Milano per l'anno 2022 ed al cd. valore punto, questa Corte ritiene equa, alla luce del deficit probatorio sopra evidenziato, le seguenti quantificazioni: -Bi.An. (coniuge convivente) Euro 275.930,00, pari a 82 punti, quale importo medio del risarcimento; -Am.Lo. (figlia) Euro 218.725,00, pari a 65 punti, quale importo poco inferiore al medio; -Am.Vi. (figlia) Euro 225.455,00, pari a 67 punti, quale importo poco inferiore al medio. Sui detti importi vanno riconosciuti interessi e rivalutazione come già liquidati in primo grado. 6.2 Danno patrimoniale da lucro cessante Le odierne appellanti hanno altresì chiesto nell'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado il riconoscimento dei danni patrimoniali, intesi come lucro cessante, derivanti dalla perdita del contributo economico che Am.Gi. avrebbe loro conferito, quale coniuge e genitore, continuando a produrre reddito. Il motivo anche in parte qua deve essere accolto avendo il Tribunale omesso di statuire sul punto. In via generale, ai congiunti di un soggetto deceduto in conseguenza del fatto illecito addebitabile ad un terzo, va riconosciuto un ulteriore risarcimento di natura patrimoniale laddove gli stessi siano stati privati di utilità economiche di cui già beneficiavano e/o di cui, presumibilmente, avrebbero beneficiato in futuro. In particolare, la prova di tale danno è raggiunta quando, alla stregua di una valutazione compiuta sulla scorta dei dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, messi in relazione alle circostanze del caso concreto, risulti che il defunto avrebbe destinato una parte del proprio reddito alle necessità della famiglia o avrebbe comunque apportato utilità economiche (così Cass. sent. n. 18490/2006). Tale danno deve essere liquidato sulla base di una valutazione equitativa circostanziata, a carattere satisfattivo, che tenga conto, da un lato, della rilevanza del legame di solidarietà familiare e, dall'altro, delle prospettive di reddito professionale (Cass. n. 3966/2012), in ogni caso ponendo a base del calcolo il reddito della vittima, al netto sia di tutte le spese per la produzione dello stesso prudentemente stimabili, sia del prelievo fiscale (in tal senso Cass. n. 10853/2012). Inoltre, ai fini di una corretta liquidazione, va evidenziata la necessità di distinguere il danno passato, costituito dalla lesione effettivamente già subita dal danneggiato fino al momento della decisione, e il pregiudizio c.d. futuro, rappresentato dall'ipotetica contrazione economica che la vittima andrà verosimilmente a subire per gli anni a venire (Cass. ord. nn. 10321/2018 e 9048/2018). Difatti, sino al momento della liquidazione, il lucro cessante si è già verificato e va accertato, seppure con criterio probabilistico, ricostruendo i redditi definitivamente perduti e che, senza l'evento di danno, sarebbero stati acquisiti. Dopo la liquidazione, dovrà invece necessariamente procedersi a un'operazione di capitalizzazione dei redditi futuri, avuto riguardo al presumibile periodo di protrazione della capacità della vittima di produrre il reddito di cui trattasi (Cass. ord. n. 10321/2018 cit.). Va inoltre considerato che il risarcimento del danno è operazione governata dal principio di indifferenza, in virtù del quale la liquidazione deve comprendere tutto il danno e nient'altro che il danno (art. 1223 cod. civ.). Da ciò consegue che dall'importo del reddito goduto dalla vittima al momento della morte deve essere opportunamente detratto l'ammontare delle spese per la produzione del reddito ed il carico fiscale, che in assenza del fatto illecito avrebbero rappresentato voci di spesa, e come tali avrebbero ridotto il reddito disponibile per i familiari. Tuttavia, è altrettanto doveroso tenere conto - se la circostanza sia stata debitamente allegata e provata, anche per presunzioni - dei verosimili incrementi futuri che quel reddito avrebbe avuto, se la vittima avesse potuto continuare a svolgere il proprio lavoro. Va infatti considerato che qualsiasi reddito da lavoro è destinato, secondo l'id quod plerumque accidit, a crescere col tempo, per l'affinamento delle capacità del lavoratore autonomo, dovuto all'accrescimento delle esperienze, o per effetto del maturare dell'anzianità del lavoratore dipendente, che comporta di norma incrementi salariali. Tanto osservato in termini generali sul danno da lucro cessante, occorre a questo punto soffermarsi sul caso concreto. Dall'esame della documentazione in atti, contrariamente a quanto affermato dalle odierne appellanti, non vi è prova che Am.Gi., al momento del decesso, svolgesse una attività lavorativa remunerata. Sono infatti allegati in atti il contratto di lavoro a tempo indeterminato con la G.Sf.Sa. s.r.l. con decorrenza dall'1.11.2009 e le buste paga relative alle mensilità di novembre e dicembre 2009 e gennaio 2010 per una retribuzione mensile netta di Euro 1.007,00 (netto busta paga gennaio 2010). Il CUD 2011 riporta, invece, un reddito di lavoro dipendente a tempo indeterminato di Euro 8.316,00 percepito nell'anno 2010. A fronte della evidenziata carenza probatoria, va tuttavia ritenuto sussistente nei confronti della moglie Bi.An. una stabile relazione coniugale e un rapporto di convivenza decorrente presumibilmente dal 1977 (anno di nascita della prima figlia) e, quindi, una pratica di vita in cui rientra l'erogazione di provvidenze economiche da parte del coniuge deceduto, la cui perdita si risolve in un danno patrimoniale per il coniuge superstite. In applicazione dei richiamati principi, il danno in esame dovrà, nella specie, essere determinato come segue. Quale parametro reddituale si avrà riguardo a quanto dichiarato nell'ultima Certificazione Unica del defunto di cui all'allegato n. 12 della produzione di parte appellante, dalla quale risulta un reddito da lavoro annuo pari, al netto delle ritenute fiscali, ad Euro 7.043,37. Su tale somma non possono essere calcolati incrementi futuri, in considerazione della già rilevato mancanza di prova della costanza del rapporto di lavoro al momento del decesso e non avendo le appellanti allegato possibili futuri scenari lavorativi o sviluppi di carriera del de cuius. Dall'importo così individuato deve sottrarsi la quota di reddito che la vittima avrebbe presumibilmente destinato a sé e alle spese per la produzione del reddito (considerato che è già stata sottratta la somma relativa al carico fiscale, trattandosi di reddito netto). A tal fine, considerata l'entità del reddito, e in mancanza di qualsiasi allegazione in ordine alla produzione di reddito in capo alle appellanti, appare equo determinare la cosiddetta quota sibi nella misura del 50% del reddito netto annuale, da ritenersi nella restante parte interamente destinato alla coniuge. Va invece esclusa una qualsivoglia contribuzione in favore delle figlie in considerazione dell'età adulta delle stesse al momento del decesso del padre (Am.Lo. età 34 anni e Am.Vi. età 27 anni) e in mancanza di specifiche allegazioni e prova di ulteriori circostanze. Va riconosciuto in favore della moglie un danno patrimoniale, che viene determinato, in via equitativa, in misura pari ad 1/2 del reddito percepito dalla vittima nell'anno 2010, per il periodo di tempo che intercorre tra la data del decesso (24.12.2011) ed il raggiungimento del sessantasettesimo anno, in cui il de cuius avrebbe acquisito i requisiti per la pensione di vecchiaia (sei anni). L'importo così quantificato in Euro 21.130,11, rappresenta, in quanto danno passato ovvero interamente verificatosi al momento della redazione della sentenza, la quota di reddito che Am.Gi. avrebbe presumibilmente destinato per il periodo di tempo indicato alla contribuzione economica destinata al nucleo familiare formato con il solo coniuge. Per il periodo successivo al raggiungimento dell'età pensionabile, in mancanza di elementi in ordine alla posizione previdenziale del de cuius e all'eventuale occupazione lavorativa del coniuge superstite, non possono trovare accoglimento le ulteriori richieste risarcitorie operate dalle appellanti con particolare riferimento alla perdita della quota di pensione di reversibilità . 6.3 Danno tanatologico e danno biologico terminale È opportuno procedere ad una breve premessa in termini generali. Il danno c.d. tanatologico, costituito dalla morte di un soggetto, avvinto da nesso di causalità con un fatto illecito, è stato qualificato come danno biologico dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 372/1994, che ne ha ristretto l'applicabilità ai casi di morte non istantanea, in cui si riscontrasse un apprezzabile lasso di tempo tra lesione e decesso. Orbene, dopo tale pronuncia si sono affermati due orientamenti contrastanti: il primo motivava l'ammissibilità del risarcimento qualificando il danno biologico e il danno tanatologico quali espressioni di offese di differente e crescente intensità ad un bene giuridico sostanzialmente unitario, quello della incolumità personale; il secondo ne escludeva la risarcibilità, in quanto il danno tanatologico è per definizione un danno evento e, il concetto di danno conseguenza basato sulla selezione differenziale delle menomazioni prodotte dall'illecito, presuppone la sopravvivenza del soggetto. A dirimere il contrasto sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che con la sentenza n. 15350/2015 hanno escluso la risarcibilità del danno tanatologico da perdita del bene vita. Precisamente, le Sezioni Unite hanno rilevato come vita e salute siano beni giuridici distinti e che, conseguentemente, la morte non può essere configurata come danno biologico, atteso che la stessa non rappresenta la massima offesa possibile del bene salute, bensì la lesione del diverso e autonomo bene vita. Invero, prosegue la Corte, la funzione essenzialmente reintegratoria del risarcimento del danno esclude che la perdita in sé del bene vita possa tradursi nell'acquisto al patrimonio della vittima di un credito risarcitorio trasferibile iure hereditatis e, ne deriva l'impossibilità che detta funzione operi con riguardo alla lesione di un bene - la vita - intrinsecamente legato alla persona del suo titolare e da questi fruibile solo in natura, quando tale persona abbia cessato di vivere; infatti, la perdita della vita non può comportare l'acquisto al patrimonio della vittima di un diritto al risarcimento, atteso che il defunto in seguito alla morte perde la capacità di acquistare diritti, fra cui quello al risarcimento del danno. Sulla base di tali argomentazioni, le Sezioni Unite hanno concluso nel senso che la morte in sé non integra un danno biologico ma un danno alla vita non risarcibile e che, di conseguenza, in caso di morte conseguente all'illecito altrui, il diritto al risarcimento del danno biologico - c.d. danno biologico terminale - viene acquisito dalla vittima e dalla stessa trasmesso iure hereditatis solo quando fra il fatto e la morte sia riscontrabile un apprezzabile lasso di tempo nel corso del quale la vittima stessa abbia subito e patito un autonomo pregiudizio al bene salute, viceversa, il danno c.d. catastrofico derivante dal pregiudizio subito dalla vittima che, rimasta lucida, abbia coscienza della morte incombente non evitabile, si sostanzia in un mero patema d'animo, in un sentimento di sofferenza, angoscia e sgomento per un tempo sufficiente a che lo stesso si somatizzi. Pertanto, sulla scorta dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità (v. anche Cass. ord. n. 18056/2019) si può affermare che il danno non patrimoniale patito dalla vittima può manifestarsi in due modi, pur restando un concetto giuridico unitario: 1) come lesione della salute, in quanto trattasi di un pregiudizio che ha fondamento medico-legale, consistente nella forzata rinuncia alle attività quotidiane durante il periodo della invalidità e sussistente anche quando la vittima sia stata incosciente; 2) come turbamento e spavento derivanti dalla consapevolezza della morte imminente; in questo caso il pregiudizio non ha fondamento medico legale, consiste in un moto dell'animo e sussiste solo quando la vittima sia stata cosciente e consapevole. Fatta questa premessa, va confermato il riconoscimento del solo danno biologico terminale operato dal Tribunale. Anche con riferimento a tale posta di danno il Tribunale aveva fatto riferimento agli importi indicati nell'ordinanza ex art. 185 bis c.p.c. che sul punto prevedeva: le Tabelle in uso presso il Tribunale di Milano (Cass. 12408/2011), prevedono per la liquidazione del danno da inabilità temporanea totale un importo variabile compreso tra Euro 96,00 ed Euro 145,00 per ciascun giorno. Tali importi, alla stregua della giurisprudenza richiamata, vanno tuttavia parametrati alle circostanze del caso concreto, ed, in particolare, alla gravissima compromissione delle condizioni generali del paziente ed all'elevato grado di sofferenza fisica connesso alle lesioni subite. In tale ottica appare equo riconoscere a titolo di danno biologico maturato da Am.Gi. l'importo di Euro 1.500,00 per ciascun giorno dal fatto al decesso, per un totale di Euro 28.000,00, già rivalutati all'attualità (e dunque Euro 6.000,00 per ciascuna erede) (pag. 5 sentenza impugnata). La liquidazione così effettuata non può essere condivisa in quanto utilizza un parametro meramente equitativo e si discosta, senza fornire una adeguata motivazione, dalle Tabelle del Tribunale di Milano, che tuttavia richiama. Sul punto la giurisprudenza ha chiarito che nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 cod. civ. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziari. Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale - e al quale la Sa.Ca., in applicazione dell'art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ. -, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono. (Cass. sent. n. 12408/2011; Cass. ord. n. 33005/2021). Di conseguenza, come richiesto dalla parte appellante, il danno non patrimoniale subito dal de cuius va liquidato applicando le tabelle adottate dal Tribunale di Milano pubblicate nell'anno 2018, aggiornate al 2021, contenenti i criteri orientativi per la liquidazione del danno biologico terminale, per il periodo di giorni 10 dalla data della seconda emorragia (15.12.2011) alla data del decesso (24.12.2011), nella misura complessiva di Euro 40.204,50, come di seguito precisato: Euro 30.000,00 per i primi tre giorni + Euro 6.803,00 (per ciascun giorno successivo al terzo e fino al decimo) + Euro 3.401,50 (aumento personalizzato del 50% su Euro 6.803,00). L'importo di Euro 40.204,50 va suddiviso tra le appellanti in parti uguali non essendoci sul punto impugnazione della relativa statuizione della sentenza. . 6.4 Consenso informato del paziente In linea generale, in conformità con l'orientamento giurisprudenziale prevalente e consolidato, la Corte di Cassazione ha espresso i seguenti principi di diritto: - la manifestazione del consenso da parte del paziente alla prestazione sanitaria costituisce espressione del fondamentale diritto all'autodeterminazione in relazione al trattamento medico che gli viene proposto; in quanto diritto autonomo e distinto dal diritto alla salute, trova fondamento direttamente in quanto disposto negli artt. 2, 13 e 32 della Cost.; -in materia di responsabilità sanitaria, l'inadempimento dell'obbligo di acquisire il consenso informato del paziente assume diversa rilevanza causale a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all'autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute posto che, se, nel primo caso, l'omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia "ex se" una relazione causale diretta con la compromissione dell'interesse all'autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario, nel secondo, invece, l'incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell'atto terapeutico correttamente eseguito dipende dall'opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato ed è configurabile soltanto in caso di presunto dissenso, con la conseguenza che l'allegazione dei fatti dimostrativi di tale scelta costituisce parte integrante dell'onere della prova - gravante sul danneggiato - del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso. Ciò non esclude comunque che, anche qualora venga dedotta la violazione del diritto all'autodeterminazione, sia indispensabile allegare specificamente quali altri pregiudizi, diversi dal danno alla salute eventualmente derivato, il danneggiato abbia subito, dovendosi negare un danno in "re ipsa" (Cass. ord. nn. 2471/2020 e 9706/2020). Pertanto, la omessa informazione assume di per sé carattere neutro sul piano eziologico rispetto al danno da lesione del diritto alla salute, quale esito negativo prevedibile dell'atto operatorio eseguito secundum leges artis, atteso che la rilevanza causale dell'inadempimento viene a dipendere indissolubilmente dalla alternativa "consenso/dissenso" che qualifica detta omissione, laddove, in caso di presunto consenso, l'inadempimento, pur esistente, risulterebbe privo di alcuna incidenza deterministica sul risultato infausto dell'intervento, in quanto comunque voluto dal paziente; diversamente, in caso di presunto dissenso, assumendo invece efficienza causale sul risultato pregiudizievole, in quanto l'intervento terapeutico non sarebbe stato eseguito - e l'esito infausto non si sarebbe verificato - non essendo stato voluto dal paziente (in parte motiva Cass. ord. n. 19199/2018) Nel caso in cui il trattamento sanitario debba essere praticato in via d'urgenza e il paziente non sia in grado di manifestare la propria volontà, l'omessa acquisizione del consenso informato preventivo al trattamento stesso non determina la lesione in sé della libera determinazione del paziente, quale valore costituzionalmente protetto dagli artt. 32 e 13 Cost., ricomprendente la libertà di decidere in ordine alla propria salute ed al proprio corpo, a prescindere quindi dalla presenza di conseguenze negative sul piano della salute. Nel caso di specie, va osservato che le appellanti si limitano in appello a mere argomentazioni difensive volte ad affermare la lesione del diritto della persona alla libera autodeterminazione ed alla volontarietà del trattamento sanitario (pag. 30 atto di appello), che non consentono di superare i pertinenti rilievi del Tribunale che ha rigettato la richiesta risarcitoria rilevando che l'intervento fu deciso per il precipitare del grave quadro clinico del paziente e quindi in condizioni di estrema urgenza (è abbastanza chiaro che quel paziente era in stato di shock e quindi non in grado di esprimere alcuna volontà) (pag. 9 sentenza impugnata). Al riguardo la Corte condivide la motivazione resa dal Tribunale, escludendo l'esistenza di un danno non patrimoniale autonomamente risarcibile, anche con riferimento ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. in relazione alla violazione del diritto di autodeterminazione del paziente. . 6.5 In definitiva, in accoglimento parziale del motivo e in riforma della sentenza appellata, l'Azienda Sa. va condannata al risarcimento dei danni iure proprio come di seguito determinati: - in favore di Bi.An. (coniuge convivente) in Euro 275.930,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del rapporto parentale ed Euro 21.130,11 per il lucro cessante derivante dalla perdita della contribuzione economica del marito, per complessivi Euro 297.060,00, da cui va detratto l'importo di Euro 89.118,00 pari al 30% del danno complessivamente riconosciuto per la sussistenza delle concause nella produzione dell'evento, per un totale di Euro 207.942,00; - in favore di Am.Lo. (figlia maggiore) in Euro 218.725,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del rapporto parentale da cui va detratto l'importo di Euro 65.617,50 pari al 30% del danno complessivamente riconosciuto per la sussistenza delle concause nella produzione dell'evento, per un totale di Euro 153.107,50; - in favore di Am.Vi. della somma di Euro 225.455,00 a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del rapporto parentale da cui va detratto l'importo di Euro 67.636,50 pari al 30% del danno complessivamente riconosciuto per la sussistenza delle concause nella produzione dell'evento, per un totale di Euro 157.818,50. L'Azienda Sa. va inoltre condannata al risarcimento dei danni iure hereditatis quantificati in Euro 40.204,50, da cui va detratto l'importo di Euro 12.061,35 per la sussistenza delle accertate concause per un totale di Euro 28.143,15, da suddividere tra le appellanti in parti uguali. Vanno, poi, attribuiti alle appellanti gli interessi al saggio legale in vigore anno per anno dalla data del fatto lesivo (24.12.2011) sino alla data di pubblicazione della presente sentenza sugli importi di cui supra svalutati in base agli indici Istat fino alla data dell'accadimento lesivo ed ogni anno rivalutato secondo i medesimi indici (quale lucro cessante consistente nel pregiudizio subito dal danneggiato per la ritardata corresponsione dell'importo dovuto a titolo risarcitorio e secondo i criteri di liquidazione di cui alla sentenza delle S.U. della Suprema Corte 17.2.1995 n. 1712). Dalla data di pubblicazione della sentenza sulla somma complessivamente determinata decorreranno gli interessi al saggio legale e fino all'effettivo soddisfo, in quanto dalla pronuncia della sentenza, con la trasformazione dell'obbligazione di valore in debito di valuta, sono dovuti gli ulteriori interessi al saggio legale (Cass. n. 11899/2016; Cass. sentenza n. 13463/1999 e n. 4030/1998). 7. Con il quarto e ultimo motivo di gravame le appellanti censurano la sentenza impugnata in ordine alla regolamentazione delle spese di lite chiedendo la compensazione integrale anche delle spese di lite sostenute dai sanitari Mu.Ra., Ro.En., Ca.Do., Ca.Ma., Ca.Cl., Sc.An., St.Vi., Du.Pa., Od.It., Pa.Sa., Pe.Ma., Ma.Ma., Pe.Ma., Pa.Sa., Vi.Vi. e Pa.Ca., convenuti in primo grado. Rispetto ai sanitari sopra indicati il Tribunale ha ritenuto di effettuare una compensazione parziale delle spese di lite da essi sostenute ponendo il residuo a carico delle odierne appellanti. La motivazione del Tribunale resa sul punto appare corretta e condivisibile, posto che le attrici hanno ritenuto di convenire in giudizio anche medici il cui intervento nella vicenda era del tutto marginale, nonostante fosse evidente sin da subito la loro estraneità alle condotte incriminate (ciò perché si avevano a disposizione sin ab initio tutti gli elementi per individuare le singole condotte, come pure fatto dallo stesso CTP di esse attrici). Le odierne appellanti pongono a fondamento del motivo generiche asserzioni difensive in ordine alla oggettiva difficoltà di accertamento - a priori-dei ruoli che ciascun sanitario ha avuto nella vicenda (pag. 41 atto di appello), smentite dalla documentazione in atti (cartella clinica e consulenze tecniche di parte). Le appellanti hanno inteso convenire in giudizio anche i sanitari, che non hanno in alcun modo interferito nei fatti di causa e rispetto ai quali la circostanza era evidente anche prima della citazione. Il motivo è infondato e la sentenza non merita censure in parte qua. L'accoglimento parziale dell'appello comporta infine l'assorbimento delle domande di condanna ex art. 96 c.p.c. formulate dagli appellati in ordine alla asserita temerarietà del gravame e delle domande di garanzia. 8. Le spese del doppio grado del giudizio seguono la soccombenza della Azienda Sanitaria Locale di Salerno e vengono liquidate come da dispositivo, facendo applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, come integrato con il D.M. n. 37 del 2018 e modificato D.M. n. 147 del 2022, negli importi dello scaglione di riferimento (da Euro 260.000,01 a Euro 520.000,00), attestando i compensi nei minimi per il secondo grado in considerazione dell'attività difensiva concretamente svolta e delle questioni giuridiche affrontate, con esclusione per il secondo grado della voce per la fase istruttoria, non svoltasi (Cass. ord. n. 10206/2021) e senza attribuzione poiché non richiesta. Nei rapporti tra le odierne appellanti e i sanitari Bo.Nu., Ca.An., Sa.Ca., Si.Bi., Ma.Ma., Sf.Sa., Sa.Fr. vengono compensate le spese del presente grado di giudizio, in considerazione dei dubbi di adeguatezza professionale, rilevati dal Tribunale e condivisi dalla Corte. Vengono integralmente compensate le spese di lite tra le odierne appellanti e i restanti sanitari appellati nonché le compagnie assicurative essendo l'appello proposto nei loro confronti per mera litis denuntiatio. P.Q.M. La Corte di Appello di Napoli, Nona Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da Bi.An., Am.Lo. e Am.Vi. nei confronti di Azienda Sa. e gli appellati in epigrafe indicati avverso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata n. 470/2021 pubblicata il 5.3.2021, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede: 1) Accoglie in parte l'appello e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, condanna l'Azienda Sa., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento: - in favore di Bi.An. della somma di euro Euro 207.942,00; - in favore di Am.Lo. della somma di Euro 153.107,50; - in favore di Am.Vi. della somma di Euro 157.818,50; somme da devalutarsi alla data dell'evento (24.12.2011), e rivalutate anno per anno, con applicazione sull'importo progressivamente rivalutato degli interessi legali fino alla presente pronuncia e, successivamente, solo gli interessi legali; 2) Condanna l'Azienda Sa., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento, in favore di Bi.An., Am.Lo. e Am.Vi., della somma di Euro 28.143,15, da suddividere tra le appellanti in parti uguali, da devalutarsi alla data dell'evento (24.12.2011), e rivalutata anno per anno, con applicazione sull'importo progressivamente rivalutato degli interessi legali fino alla presente pronuncia e, successivamente, solo gli interessi legali; 3) condanna l'Azienda Sa., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese di lite in favore di Bi.An., Am.Lo. e Am.Vi., che liquida, in relazione al primo grado, in complessivi Euro 29.957,00, di cui Euro 7.500,00 per esborsi ed Euro 22.457,00 per compensi, oltre Iva e Cpa se dovute, oltre rimb. spese forf. pari al 15% dei compensi, e, in relazione al presente grado, in complessivi Euro 10.864,00, di cui Euro 804,00 per esborsi ed Euro 10.059,00 oltre Iva e Cpa se dovute, oltre rimb. spese forf. pari al 15% dei compensi; 4) compensa integralmente le spese di lite del grado tra le restanti parti del giudizio. Così deciso in Napoli il 2 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 15 aprile 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI AVEZZANO Il Tribunale Monocratico, nella persona del giudice dott.ssa (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al R.G. n. (...)/2018 promosso da (...) (c.f. (...)) nata a L'(...) il (...), (...) (c.f. (...)) nata a (...) dei (...) il (...), (...) (c.f. (...)) nato ad (...) il (...), (...) (c.f. (...)) nata ad (...) il (...), in proprio ed in qualità di eredi di (...) (c.f. (...)), nato il (...) a (...) dei (...) e deceduto il (...), tutti rappresentati e difesi dall'avv. (...) elettivamente domiciliati presso lo studio del predetto difensore sito in (...) contro (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, con (...) legale in (...) n 45 - 40128 Bologna, rappresentata e difesa dall'Avv. (...) elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo in L'(...) Convenuta nonché contro (...) nato il (...) e residente in (...) dei (...)# snc Convenuto contumace (...) risarcimento danni. CONCLUSIONI: le parti hanno concluso riportandosi ai propri scritti difensivi, come da verbale del 12.12.2023. ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO 1. Con atto di citazione ritualmente notificato, gli attori ((...)(...) e (...) convenivano in giudizio dinanzi all'odierno Tribunale il sig. (...) e la (...) al fine di ottenere il risarcimento dei "danni patrimoniali e non patrimoniali, subiti e subendi, secondo i criteri indicati nella parte narrativa dell'atto introduttivo ovvero nella diversa somma, maggiore o minore, accertata in corso di causa". A sostegno della domanda gli attori esponevano: - che il 24 gennaio 2017, (...) all'epoca pensionato, dopo aver condotto al pascolo il suo piccolo gregge (composto da una trentina di esemplari), si apprestava a fare rientro nella stalla di sua proprietà sita alle porte del centro abitato di (...) dei (...); - che, nell'occasione, il sig. (...) indossava un giubbotto di color grigio chiaro, con bande ad alta visibilità e catarifrangenti di colore giallo, orizzontali sul petto e sul dorso e verticali sulle maniche; - che il (...) si trovava ad attraversare la strada conosciuta come "(...) Variante", una strada ancora non nominata sita nel Comune di (...) dei (...) la quale si snoda da strada 44 del (...) correndo parallelamente ad est della (...) - che dopo aver fatto attraversare il piccolo gregge (da ovest ad est) e dopo aver oltrepassato la ideale linea di mezzeria, in prossimità dell'intersezione con una strada (anch'essa) non nominata (che congiunge la (...) con la (...), sopraggiungeva, a velocità sostenuta, il veicolo (...) targato (...) condotto da di (...) - che la vettura condotta dal convenuto (...) proveniente da (...) 44, malgrado la visibilità ottima, non si arrestava minimamente all'intersezione, né rallentava, finendo con il travolgere l'attore sbalzandolo ad alcuni metri di distanza dal punto d'impatto; - che il conducente della (...) malgrado la visibilità fosse buona, pur approssimandosi ad una intersezione stradale (distante appena 15/20 metri dal luogo dell'attraversamento) e pur percorrendo un lungo rettilineo di una strada molto larga, non si avvedeva minimamente né del gregge e tantomeno del pastore; - che il conducente della (...) non teneva la destra e viaggiava al centro della strada, tanto è vero che, come già osservato sopra, il (...) aveva già fatto attraversare il gregge e si apprestava anch'egli, dopo aver superato la linea di mezzeria, a seguire gli animali lungo una stradina sterrata che conduce alla propria stalla; - che il sig. (...) è un pensionato, vive anch'egli a (...) ed era conosciuto da (...) e dai suoi familiari, i quali deducevano che (...) soffriva e soffre di gravi deficit visivi; - che a seguito del violentissimo urto, il (...)# (colpito nella parte sinistra del corpo) veniva sbalzato di alcuni metri dinanzi alla (...) rimanendo esanime, proprio al centro della carreggiata, steso sul fianco destro e con il viso rivolto verso il margine sinistro (rispetto al senso di marcia dell'autovettura) della carreggiata; - che la sig.ra (...) sopraggiunta nell'immediatezza dell'accaduto aveva rilasciato una dichiarazione scritta sui fatti accaduti; - che, prima dell'arrivo della (...)ra (...) il sig. (...) era già sceso dal veicolo e, resosi subito conto della gravità della situazione, aveva chiesto l'intervento del 118 chiamando dal proprio cellulare; - che malgrado il grave incidente e malgrado le lesioni gravissime riportate da (...) nessuno degli astanti aveva chiesto l'intervento delle (...) ((...) e/o (...); - che a seguito del sinistro e a causa delle gravissime lesioni riportate, il (...) veniva trasportato a mezzo ambulanza presso il P.S. del Presidio Ospedaliero di (...) - che giunto presso il P.S., i sanitari formulavano la diagnosi iniziale di: "Trauma cranico non commotivo. Frattura della V, VII costa sinistra. Frattura della clavicola sinistra. Pneumotorace sinistro. Frattura malleolo tibiale sinistro, frattura falange ungueale I dito piede sinistro" con prognosi di giorni 30, cui seguiva il ricovero presso il (...) di (...) del medesimo (...) - che (...) veniva costretto ad una lunga degenza ospedaliera (dal 24 gennaio al 24 marzo) durante la quale veniva sottoposto a numerosi interventi chirurgici, esami, cure mediche e fisioterapiche, per essere poi trasferito presso la (...) di (...) con la seguente diagnosi: "(...) con ematoma subdurale, fratture costali multiple, frattura clavicola sinistra, frattura di tibia sinistra sottoposta a intervento di osteosintesi, pneumotorace sinistro e versamento pleurico sinistro, infezione dal (...) sindrome ipocinetica"; - che presso la (...) (struttura specializzata in trattamenti riabilitativi) il paziente rimaneva fino all'8 maggio 2017, data in cui veniva dimesso con la diagnosi principale di "(...) sinistra". - che la lettera di dimissioni descriveva un grave "(...) di politrauma con ematoma sub durale - fratture costali multiple, frattura clavicola s(...) frattura tibia s(...) sottoposta ad osteosintesi, pregresso pneumotorace s(...) e s. ipocinetica con attuale presenza di emiparesi s(...), impossibilità alla stazione eretta e alla deambulazione..."; - che il giorno delle dimissioni dalla (...) (08.05.2017) veniva attivato il (...) di (...) e (...) non ospedaliere; - che negli anni seguenti e fino a giorno della morte, intervenuta in corso di causa e, segnatamente, il 25 dicembre del 2021, (...) veniva sottoposto a continue cure mediche e fisioterapiche senza, tuttavia, un miglioramento significativo delle condizioni di salute; - che al momento della domanda, (...) era costretto a letto, mostrava evidentissime difficoltà durante l'eloquio, con tonalità della voce incomprensibile, scarsamente orientato nel tempo e nello spazio, indossava pannoloni e presentava un grave rallentamento ideo motorio associato ad un severo deterioramento cognitivo; - che le lesioni riportate dal (...) avevano compromesso definitivamente la facoltà di deambulare dell'attore; - che dal giorno dell'incidente, inoltre, gli stretti congiunti di (...) (l'anziana moglie ed i tre figli) avevano radicalmente cambiato le proprie abitudini di vita ed erano costretti a prestare assistenza continua al loro prossimo congiunto, non potendo lasciare da solo quest'ultimo neppure per un istante; - che (...) prima dell'incidente, era persona molto attiva e perfettamente autosufficiente, sempre disponibile, marito attento e padre premuroso; - che il medico legale, (...) aveva certificato come la gravità delle lesioni riportate in occasione dell'incidente, da subito drammatiche, ebbero a porre in grave pericolo di vita il (...) interessando diversi organi, distretti ed apparati - primo fra tutti l'encefalo - ed avevano determinato un gravissimo quadro menomativo; - che il prof. M. (...) aveva accertato come ".. le condizioni generali post traumatiche..." avessero determinato una "condizione di precario equilibrio con successivo scompenso multi organo, in particolar modo dell'encefalo, dalla quale ebbe poi a scaturire quella seriazione causale, che divenne vieppiù ingravescente sino alle attuali condizioni psico - fisiche in cui versa il periziando a quella condizione di allettamento che lo rendono totalmente invalido"; - che il Consulente di parte aveva stimato una invalidità permanente nella misura del 100 % ed aveva altresì stimato in giorni 168 il periodo di incapacità temporanea assoluta definendo "oramai la condizione stabilizzata e non più suscettibile di miglioramento" prognosticando inoltre una condizione ormai irreversibile del quadro di salute del (...) - che con lettera inviata a mezzo pec in data 11 aprile 2017, era stato richiesto il risarcimento dei danni alla (...) - che in data (...), sempre a mezzo pec, veniva richiesto alla (...) assicuratrice di provvedere alla nomina di un fiduciario medico al fine di valutare l'entità dei danni subiti dal (...) - che la (...) aveva incaricato la dottoressa (...) come fiduciario medico la quale aveva eseguito la visita presso il domicilio di (...) figlia di (...) ove quest'ultimo si era nel frattempo trasferito, unitamente alla moglie (...) non potendo più stare presso la sua abitazione, avendo necessità di cure e assistenze continue da parte dei familiari; - che in data (...), la (...) assicuratrice (...) spa comunicava di non poter procedere ad alcuna offerta con la seguente e sintetica motivazione: "la responsabilità del sinistro è totalmente addebitabile alla condotta del sig. (...) che in ora notturna, senza indossare alcun indumento che lo rendesse visibile, attraversava la strada da destra verso sinistra in violazione delle norme sulla circolazione stradale"; - che in data (...), gli attori inoltravano alla (...) assicuratrice l'invito ad aderire alla negoziazione assistita; 2. Si costituiva in giudizio la (...) S.p.A. che, in via principale, domandava l'accertamento della responsabilità esclusiva di (...) nella determinazione del sinistro e, per l'effetto, chiedeva il rigetto delle domande attoree. In subordine, l'(...) chiedeva l'attribuzione di un congruo concorso di colpa a carico del pedone chiedendo inoltre una riduzione del risarcimento a causa delle preesistenti patologie della vittima. La compagnia assicuratrice eccepiva che (...) "in ore notturne e privo di idoneo abbigliamento rifrangente, attraversava inopinatamente la (...) denominata (...) da destra verso sinistra portando a mano una bicicletta, senza tenere conto che si tratta di una sede viaria priva di illuminazione e di segnaletica stradale". L'(...) produceva inoltre la dichiarazione sottoscritta dal proprio assicurato, il quale, in sede di denuncia di sinistro, aveva affermato: "Non mi è stato possibile evitare l'impatto, malgrado la ridotta velocità, a causa della ridotta distanza di avvistamento del pedone e a causa delle condizioni della strada priva di illuminazione e di segnaletica. Infatti, malgrado il mio tentativo di frenata e a causa del manto stradale reso scivoloso dall'umidità e dalla neve in scioglimento, non riuscivo ad evitare l'incidente". Infine, la convenuta chiedeva di respingere la domanda formulata dai prossimi congiunti, iure proprio, volta ad ottenere il risarcimento dei danni per grave lesione del rapporto parentale, sul presupposto che nel nostro ordinamento non v'è spazio per il risarcimento dei danni morali da parte dei congiunti di persona macrolesa. 3. All'udienza di prima comparizione, il Giudice dell'epoca, dott. (...) dichiarava la contumacia del convenuto E. (...) e, su richiesta delle parti, assegnava i termini ex art. 183 comma 6 c.p.c., cui le parti provvedevano. 4. All'udienza del 16.06.2020, svoltasi con modalità cartolare, il nuovo Giudice istruttore. designato, dott.ssa (...) riservava ordinanza sulla richiesta di provvisionale e sull'ammissione dei mezzi istruttori. 5. Con ordinanza del 23/07/2020 il Tribunale respingeva la richiesta di concessione della provvisionale ritenendo, allo stato, insussistenti i presupposti per l'accoglimento viste le contestazioni sollevate dalla (...) assicuratrice in ordine all'an che non consentivano, rebus sic stantibus, di ravvisare quei gravi elementi di responsabilità richiesti dalla legge per provvedere in ordine alla provvisionale. Il Tribunale ammetteva comunque la prova orale (per interpello e per testi) richiesta dagli attori, limitatamente ai capitoli indicati nel citato provvedimento, reputando inammissibili gli altri capitoli in quanto relativi a circostanze non contestate o irrilevanti ai fini della decisione, riservandosi di provvedere sulla CTU medico-legale all'esito dell'espletamento delle prove orali. Nella ridetta ordinanza il Giudice allora titolare del ruolo, dott.ssa (...) delegava tutta l'istruttoria orale assunzione dell'interpello delle parti e escussione testi al (...) dott.ssa (...) 6. (...) l'istruttoria venivano sentiti i testimoni di parte attrice. 7. Il convenuto (...) rimaneva contumace e non si presentava all'udienza del 12.11.2020 per rendere l'interrogatorio formale senza fornire giustificazione in merito all'assenza. 8. All'esito della fase istruttoria orale, il Tribunale riservava ordinanza sulla richiesta di (...) 9. Nelle more della pronuncia dell'ordinanza, il giorno di natale del 2021, (...) decedeva. 10. Con provvedimento del 23 gennaio 2022 il Tribunale scioglieva l'ordinanza e nominava CTU la dott.ssa (...) fissando per il giuramento l'udienza del 31.01.2022. 11. Con comparsa depositata il 27 gennaio 2022, (...) (coniuge convivente del (...) e i tre figli F. (...) F. (...) e F. (...) già costituiti nel presente giudizio per aver chiesto (iure proprio) i danni non patrimoniali, subiti e subendi, derivanti dalle gravissime lesioni riportate dal prossimo congiunto, avendo interesse a proseguire il giudizio anche per conto di quest'ultimo, dichiaravano la morte di (...) e, in qualità di eredi, intervenivano volontariamente nel giudizio, rassegnando le seguenti e definitive conclusioni: "(...) il Tribunale adito, contrariis reiectis, previa dichiarazione di ammissibilità del presente intervento volontario, in accoglimento dei motivi esposti nell'atto introduttivo del giudizio accertare e dichiarare che l'evento per cui è causa è imputabile a fatto, colpa e responsabilità esclusiva del sig. (...) e, per l'effetto, condannare la (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, ed il convenuto (...) (conducente e proprietario del mezzo) al risarcimento, in favore degli attori, di tutti i danni (patrimoniali e non) subiti e subendi secondo i criteri di valutazione indicati nella parte narrativa del presente atto e comunque nelle somme, maggiori e minori, che risulteranno accertate e dovute in corso di causa anche a mezzo di nominanda CTU medico legale di cui sin d'ora s'invoca richiesta e/o in quella che sarà liquidata equitativamente dal Giudice adito (art. 1226 c.c.); oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge dalla data del dovuto e fino a quella dell'effettivo soddisfo. Il tutto con vittoria delle spese e competenze di lite, con rimborso delle spese generali 15%, IVA e CPA come per legge, da liquidarsi in favore dell'Avv. (...) procuratore antistatario ex art. 93 c.p.c.". 12. All'udienza del 31.01.2022, il CTU prestava giuramento e il Giudice formulava il seguente quesito: "(...) il (...) sulla base della documentazione in atti, natura ed entità delle lesioni subite dall'attore (...) in conseguenza del sinistro per cui è causa, determini il grado di ITT e (...) valuti la congruità delle spese sanitarie sostenute, dica altresì se sussista nesso di causalità tra il detto sinistro e la morte del (...)". Le parti nominavano i rispettivi (...) 13. Il CTU depositava l'elaborato definitivo senza alcuna osservazione delle parti. 14. Dopo numerosi rinvii e dopo varie istanze finalizzate ad ottenere l'anticipazione e la fissazione dell'udienza di p.c., motivate dalla grave situazione economica familiare delle parti, la causa veniva assegnata per la decisione, con provvedimento del Presidente f.f. dott.ssa (...) del 14.10.2023 (in atti), all'odierno magistrato che, all'udienza del 12.12.2023 la tratteneva in decisione concedendo alle parti i termini ex art. 190 c.p.c., ridotti a 30 gg per il solo deposito delle comparse conclusionali e di giorni 20 per le memorie di replica, dando atto della precisazione delle conclusioni ad opera delle parti, come sopra riportate. RAGIONI DELLA DECISIONE I. In merito alla responsabilità. 1. Con il presente giudizio gli attori, nelle rispettive qualità, chiedono il risarcimento dei danni (patrimoniali e non), iure proprio e iure hereditatis, per le gravissime lesioni personali subite da (...) in conseguenza del sinistro avvenuto il (...), lesioni che hanno dapprima provocato un lunghissimo periodo di sofferenze della vittima, protrattesi per ben 5 anni (accompagnate da invalidità pressoché totale), e poi la morte, sopraggiunta nel corso del giudizio (25.12.2021). La morte, inoltre, come accertato dal CTU è eziologicamente riconducibile alle lesioni subite da (...) il (...) allorquando venne investito dal convenuto E. (...) La domanda è fondata e meritevole di accoglimento sia pur nei limiti appresso indicati. 2. Deve innanzitutto ritenersi pienamente provata la responsabilità esclusiva del conducente (...) nella determinazione dell'evento. Nessuna responsabilità, al contrario, può essere ascritta a (...) 3. Il luogo in cui si è verificato l'investimento si trova all'ingresso del centro abitato di (...) dei (...) La strada, non nominata (cd. (...), di larghezza ampiamente superiore a 10 mt, per chi proviene da (...) costituisce uno degli ingressi principali del predetto comune marsicano. Il punto preciso dove si è verificato il sinistro, inoltre, è posto a pochissimi metri da una intersezione. Qui insiste un piccolo agglomerato urbano, formato da alcune private abitazioni e capannoni agricoli (uno dei quali, adibito a stalla, di proprietà della vittima) ed è in questo preciso punto, evidenziato con il colore rosso nelle planimetrie prodotte dalla difesa degli attori (docc. 15 - 16), che (...) venne investito dalla vettura (...) targata (...) condotta dal convenuto E. (...) 4. Il pedone, come dedotto nell'atto introduttivo e come provato nel corso dell'istruttoria, il 24 gennaio del 2017, dopo aver condotto al pascolo un piccolo gregge di pecore, composto da una trentina di esemplari si apprestava a fare rientro nella stalla di sua proprietà e, mentre attraversava la cd. (...) portando a mano una bicicletta, veniva investito dalla vettura condotta dal (...) proveniente da (...) Rispetto alla direzione di marcia dell'autovettura il pedone attraversava l'arteria stradale da destra verso sinistra. (...) avveniva al centro della strada fra la parte anteriore del veicolo ed il fianco sinistro del pedone, in prossimità della linea di mezzeria, allorquando il pedone aveva già attraversato la semicarreggiata percorsa dal (...) ed era quindi in procinto di attraversare l'altra semicarreggiata. A seguito dell'urto, (...) veniva sbalzato in avanti di alcuni metri e cadeva a terra. Le gravissime lesioni riportate nella caduta ne provocavano uno stato di completa invalidità e poi il decesso che, come già riferito sopra, interveniva dopo un lunghissimo periodo di sofferenze protrattesi dal giorno dell'incidente fino al giorno di natale del 2021. 5. La fattispecie in esame è regolata dall'art. 2054 comma 1 c.c. la quale prevede che il conducente di veicolo senza la guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno, se non prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno. (...) il consolidato indirizzo della Suprema Corte "in caso di investimento pedonale, il conducente del veicolo investitore può vincere la presunzione di colpa posta a suo carico dall'art. 2054, comma 1, c.c., dimostrando che non vi era alcuna possibilità di prevenire ed evitare l'evento; a tal fine, non è sufficiente l'accertamento del comportamento colposo del pedone, ma è necessario che si dia prova non solo che il predetto abbia tenuto una condotta anormale e ragionevolmente non prevedibile, ma anche che il conducente abbia adottato tutte le cautele esigibili in relazione alle circostanze del caso concreto, pure sotto il profilo della velocità di guida mantenuta" (cfr. Cass. Ord. n. 9856 del 28/03/2022). Il significato della presunzione imposta dal legislatore dell'art. 2054 c.c., comma 1, include sia un elemento negativo, ovvero il non avere violato il conducente le specifiche regole normative e quelle della diligenza, prudenza e perizia, sia un elemento positivo, ovvero l'essersi il conducente attivato per "fare il possibile", cioè anche manovre di emergenza, in rapporto alla concreta situazione. Logicamente, dalla coesistenza, accanto all'elemento negativo in termini di violazioni di regole, di un obbligo positivo di porre in essere una condotta diretta a infrangere il nesso causale, deriva che, anche nell'ipotesi in cui il danneggiato abbia condotto un comportamento colposo, quest'ultimo non è sufficiente ad espungere l'esclusiva responsabilità del conducente gravato dalla presunzione ex art. 2054 c.c., comma 1, al quale rimane ancora l'onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele esigibili nella situazione concreta in cui veniva a trovarsi, e ciò pure in rapporto alla prevedibilità della condotta del soggetto danneggiato (Cass. civ. (...)/2017). Soltanto ove risulti provato che il pedone abbia tenuto un comportamento del tutto anormale ed imprevedibile, che abbia posto il conducente nell'oggettiva impossibilità di avvistarlo e di osservarne tempestivamente i movimenti o comunque di attuare una qualche manovra di emergenza idonea ad evitare il sinistro, potrà, invece, escludersi una responsabilità di quest'ultimo per la causazione del sinistro, in conformità con la ratio della richiamata disposizione (cfr. Cass. civ. n. 25027/2019). 6. Il convenuto (...) ai sensi dell'art. 2054/1 del c.c., non ha fornito alcuna prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare l'urto. 7. Pur in assenza di testimoni oculari è stato possibile ricostruire l'esatta dinamica dell'incidente attraverso la testimonianza di (...) giunta pochissimi istanti dopo l'investimento e alla "confessione scritta" (denuncia di sinistro) proveniente dal convenuto e prodotta in giudizio proprio dalla (...) assicuratrice. Analizzando il contenuto delle anzidette dichiarazioni nonché il teatro dell'accaduto (rappresentato dalle numerose immagini prodotte dalla difesa degli attori), è possibile affermare, senza ombra di dubbio, che il pedone non ha violato alcuna norma sulla precedenza. Anzi, e a rigore, avendo percorso diversi metri della strada, dopo aver fatto attraversare un piccolo gregge di pecore, composto da una trentina di esemplari, si può indubbiamente giungere alla conclusione che il (...) costituiva un ostacolo ben visibile e quindi evitabile dal conducente. 8. La prima regola violata dal conducente dell'autovettura è l'art. 141/2 del C.d.S. che impone ai conducenti di veicoli di evitare qualsiasi ostacolo visibile. La teste (...) che percorreva la strada nella stessa direzione di marcia del veicolo condotto dal convenuto, sopraggiunta nell'immediatezza dell'investimento, all'udienza del 12.11.2020 ha affermato di aver visto "già ad una distanza di circa 200 mt, una vettura ferma al centro della strada". Questa circostanza prova di per sé sola che l'ostacolo (un pedone che portava una bicicletta a mano) era ben visibile e quindi evitabile. La sig.ra (...) inoltre, ha dichiarato che al momento del suo arrivo sul luogo dell'accaduto: "la visibilità era buona..." ed ha aggiunto che il (...) "giaceva a terra, al centro della strada, steso sul fianco destro e con il volto rivolto verso il bordo della carreggiata di marcia sinistra". Infine, la teste ha dichiarato che "dal punto in cui si trovava il corpo a terra del (...) all'incrocio vi erano 10-15 mt" aggiungendo che "la vettura si trovava al centro della strada" ("la vettura del (...) era al centro della strada ma sia a destra che a sinistra potevano viaggiare le autovetture perché la strada è ampissima"). Il pedone, pertanto, portando a mano la sua bicicletta, dopo aver fatto attraversare un piccolo gregge di pecore, aveva anche lui già attraversato gran parte della strada ed era ormai giunto in prossimità della linea di mezzeria, apprestandosi ormai a completare l'attraversamento dell'altra semicarreggiata. E ancora, dalla documentazione fotografica dello stato dei luoghi, prodotta dalla difesa degli attori, risulta che il tratto di strada ove è avvenuto l'incidente è privo di attraversamenti pedonali, negligenza quest'ultima imputabile all'amministrazione comunale e non certo al pedone. Pertanto il pedone non ha di fatto violato alcuna regola sulla precedenza ed ha anzi dimostrato, nonostante la presunzione iuris tantum posta dall'art. 2054, comma 1 c.c., la esclusiva responsabilità del conducente dell'autovettura, che ha invece violato l'art. 141/2 del C.d.S. 9. Quanto, infine, all'invocato concorso colposo del danneggiato nella causazione del sinistro - che diversamente dall'ipotesi di scontro tra vetture (art. 2054, comma 2, cod. civ.) non è affatto presunto - va osservato innanzitutto che i convenuti non hanno offerto alcuna prova. Lo stesso conducente, (...) E., ha addirittura confessato, per iscritto, di non aver avvistato per tempo il (...) il quale stava attraversando l'incrocio in prossimità del segnale di stop. La dichiarazione del convenuto, che viene qui di seguito riportata fedelmente, costituisce ulteriore fonte di convincimento della responsabilità esclusiva del conducente, perché prova una serie di ulteriori e vistose violazioni del C.d.S commesse dal (...) "(...) di giungere all'intersezione... investivo un uomo... quest'ultimo .... stava facendo transitare il gregge di pecore ... da un lato all'altro della strada. Non mi è stato possibile evitare l'impatto, malgrado la ridotta velocità, a causa della ridotta distanza di avvistamento del pedone e a causa delle condizioni della strada priva di illuminazione e priva di segnaletica. Infatti, malgrado il mio tentativo di frenata e a causa del manto stradale reso scivoloso dall'umidità e dalla neve in scioglimento, non riuscivo ad evitare l'incidente". (...) dichiarazione (avente valore confessorio), unitamente alla dichiarazione resa dalla teste (...) conferma la violazione dell'art. 141/2 C.d.S. e rende evidente la violazione di altre regole di condotta come verrà di seguito spiegato. Come correttamente rilevato dalla difesa degli attori, la condotta colposa del convenuto (...) - che non ha scorto su un rettilineo così ampio, in prossimità di una intersezione, un gregge di pecore prima e poi il pastore che vi era al seguito - può spiegarsi solo con una grave disattenzione, essendo l'ostacolo certamente visibile. Né vale obiettare che il disperato tentativo di frenata su una strada che, per stessa ammissione del convenuto, presentava un manto stradale scivoloso possa valere come prova liberatoria. (...) l'art. 140 C.d.S., infatti, gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione stradale ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale L' utente della strada, infatti, ha l'obbligo non solo di regolare la propria condotta in modo che essa non costituisca pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose, ma deve anche preoccuparsi delle prevedibili irregolarità di comportamento degli altri, che possano determinare situazioni di pericolo ed adeguarvi conseguentemente la propria condotta. Difatti è proprio la norma che, nel dettare la condotta da mantenere in determinate situazioni in cui è insito un precipuo carattere di pericolosità, formula il giudizio di prevedibilità ed evitabilità. Il conducente ha l'obbligo di ispezionare la strada costantemente (art. 141 C.d.S.), ha l'obbligo di mantenere sempre il controllo del veicolo e, infine, ha l'obbligo di prevedere tutte le situazioni di pericolo che la comune esperienza comprende. 10. Il convenuto (...) inoltre, ha violato l'art. 143, comma 1, del (...) il quale recita che "I veicoli devono circolare sulla parte destra della carreggiata e in prossimità del margine destro della medesima, anche quando la strada è libera". Questa violazione è provata dalla testimonianza resa da (...) che ha dichiarato: "la vettura del (...) era al centro della strada e sia a destra che a sinistra potevano viaggiare le autovetture perché la strada è ampissima". 11. Infine, il conducente ha violato l'art. 191, comma 2, del CDS il quale stabilisce che "(...) strade sprovviste di attraversamenti pedonali i conducenti devono consentire al pedone, che abbia già iniziato l'attraversamento impegnando la carreggiata, di raggiungere il lato opposto in condizioni di sicurezza". (...) è stato investito al centro della larghissima strada ed aveva quindi già iniziato l'attraversamento e impegnato la carreggiata di marcia percorsa dal (...) quest'ultimo, pertanto, aveva l'obbligo di consentire al pedone di raggiungere il lato opposto. Questo Tribunale, pertanto, ritiene, nella specie, che il conducente dell'autoveicolo ha violato gli articoli 140, 141, commi 1 e 2, e 143 C.d.S. 12. Diversamente, nessun elemento probatorio acquisito al giudizio consente di formulare giudizi di negatività e/o di concorso a carico della vittima. Per escludere la colpa del conducente, occorreva, quindi, affermare (e provare) la colpa esclusiva del pedone, dovuta ad una condotta imprevedibile ed inattesa, che nella fattispecie, non si è concretizzata. 13. Il sinistro è avvenuto di giorno, in condizioni meteorologiche di sereno, su un tratto di strada rettilineo e con una visibilità buona. Né risulta, e neppure è stato provato dai convenuti, che il (...) pur avendo iniziato l'attraversamento in strada priva di passaggio pedonale, non fosse visibile dai veicoli in transito sulla carreggiata per la presenza di ostacoli che impedivano parzialmente la visuale, oppure che il pedone avesse attraversato di corsa o repentinamente la strada o altre simili condotte tali da costituire effettivamente un ostacolo improvviso e imprevedibile, quindi non evitabile. 14. La Suprema Corte di Cassazione, in più occasioni, ha avuto modo di affermare, che il conducente di veicolo a motore è onerato da una presunzione iuris tantum di colpa, e ove il giudice si trovi a dover valutare e quantificare l'esistenza di un concorso di colpa tra la condotta del conducente e quella del pedone investito deve: a) muovere dall'assunto che la colpa del conducente sia presunta e pari al 100 per cento; b) accertare in concreto la colpa del pedone; c) ridurre progressivamente la percentuale di colpa presunta a carico del conducente via via che emergono circostanze idonee a dimostrare la colpa in concreto del pedone (Cass. sez. 6-3, 28/01/2019, n. 2241 Cass., sez. 3, 04/04/2017, n. 8663; Cass., sez. 3, 18/11/2014, n. 24472; Cass., sez. 3, 19/02/2014, n. 3964). 15. La giurisprudenza ha elaborato come ulteriore criterio generale, che deve ispirare rigorosamente la condotta degli utenti della strada, il dovere per ciascun utente di adeguare la propria condotta alle prevedibili condotte imprudente altrui: Cass., sez. IV, 23 aprile 1996, n. 4257, Lado) "(...) le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza proprio per fare fronte a situazioni di pericolo, anche quando siano determinate da altrui comportamenti irresponsabili, la fiducia di un conducente nel fatto che altri si attengano alle prescrizioni del legislatore, se mal riposta, costituisce di per sé condotta negligente. (Nella fattispecie, la ricorrente aveva dedotto che, giunta con l'auto in prossimità dell'incrocio a velocità moderata e, comunque, nei limiti della norma e della segnaletica, aveva confidato che l'autista del mezzo che sopraggiungeva arrestasse la sua corsa in ossequio all'obbligo di concedere la precedenza); v. anche Cass., sent. (...), 8 novembre 1990-17 gennaio 1991, sez. 4, Bertolotti "In tema di lesioni o omicidio colposi commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, è compreso nell'obbligo di tenere un comportamento prudente ed accorto da parte del conducente di un autoveicolo, quello di prevedere le imprudenze altrui ragionevolmente prevedibili, e tale deve considerarsi l'inosservanza dell'obbligo di dare la precedenza da parte di chi da una strada secondaria s'immette su strada privilegiata, pur dopo essersi temporaneamente fermato sulla linea di stop". 16. Tanto consente di affermare con certezza che se il convenuto (...) avesse tenuto rigorosamente la destra, avesse mantenuto il controllo del mezzo, avesse tenuto un'andatura prudente, avesse azionato tempestivamente i freni alla vista del pedone - il quale aveva ormai fatto transitare il gregge e che, conducendo a mano una bicicletta, si trovava al centro della strada - con ciò ottemperando agli obblighi imposti dalle norme più sopra richiamate, avrebbe avuto tutto il tempo per fermarsi per evitare l'impatto, tanto più in considerazione del fatto che, per stessa ammissione del convenuto, l'asfalto era scivoloso "a causa dell'umidità e della neve in scioglimento", circostanza questa che imponeva una condotta di guida ancor più prudente. 17. Un cenno a parte merita la (tardiva e vibrata) difesa della (...) assicuratrice che, nella comparsa conclusionale, ha introdotto un nuovo tema di indagine, invocando l'applicazione dell'art. 184 C.d.S.. Sebbene trattasi di eccezione tardiva, la norma invocata induce a sondare anche tale aspetto che si risolve, comunque, in senso sfavorevole alla tesi della stessa (...) Trattasi innanzitutto di questione del tutto nuova, per di più prospettata dalla convenuta solo in sede di conclusionale. Come correttamente evidenziato dalla difesa degli attori, tale eccezione neppure potrebbe essere scrutinata da questo giudice, non tanto perché la convenuta ha invocato l'applicazione di una norma di legge (art. 184 C.d.S.), quanto piuttosto perché l'anzidetta disposizione contiene una serie di regole che disciplinano fattispecie completamente diverse tra loro e quei fatti non sono mai stati prima dedotti dalla difesa della convenuta (...) Quest'ultima, pertanto, ha surrettiziamente introdotto fatti mai dedotti prima e, segnatamente, che la sede viaria fosse sprovvista di segnalazione relativa al pericolo circa il possibile attraversamento degli animali. La difesa degli attori, in sede di comparsa conclusionale di replica, ha denunciato la violazione del diritto di difesa perché trattandosi di questione del tutto nuova e non rilevabile d'ufficio, essa non può formare oggetto di valutazione da parte del Giudice, perché su tale questione gli attori non hanno potuto contraddire. La convenuta, infatti, come già rilevato, si è limitata a riprodurre la disposizione di cui all'art. 184 CDS senza nemmeno ipotizzare quale delle sette differenti fattispecie che la norma disciplina sia attinente al caso di specie, minando così, altrettanto evidentemente, il diritto di difesa degli attori costretti in sede di repliche (190) a congetturare quale fosse la fattispecie concretamente violata. 18. Per completezza espositiva si può comunque affermare che, al di là della fondata denuncia di violazione del contraddittorio, (...) non ha violato alcuna delle differenti fattispecie previste dall'art. 184 C.d.S.. Non ha minimamente violato la regola di condotta imposta dal comma 1 dell'anzidetta disposizione, trattandosi di fattispecie completamente estranea a quella per cui è causa (la condotta degli animali da tiro). Ad analoga conclusione si perviene laddove si supponga la violazione del comma 2, fattispecie completamente estranea al thema decidendum perché il gregge non ha creato alcun intralcio al traffico essendo la vittima dell'investimento un pedone e non il gregge. Similmente, nemmeno la fattispecie regolata dal comma 3 appare attinente al thema decidendum. Questa regola, infatti, si rivolge ai "conducenti di animali da tiro" o ai conducenti "degli animali indomiti" che circolano su strade "con poca o assente illuminazione". E qualora siffatta regola di condotta dovesse, per ipotesi, estendersi anche a coloro che circolano conducendo greggi o altre moltitudini di animali (ma così non è perché le regole di condotta imposte a questi ultimi sono regolate nei successivi commi 5 e 7), la disposizione non è stata violata poiché al momento dell'investimento "la visibilità era buona" (come riferito dalla teste (...) e il sinistro non si è verificato in un orario "con poca o assente illuminazione". In ogni caso, l'eventuale violazione non ha avuto alcun nesso causale con l'investimento del (...) perché non è stato investito il gregge ma il pedone. Anche il comma 4 dell'art. 184 CDS descrive un fatto diverso da quello sottoposto al vaglio dell'adito Tribunale. Infine, nemmeno il comma 5 dell'art 184 è stato violato ("gli armenti, le greggi e qualsiasi altre moltitudini di animali quando circolano su strada devono essere condotte da un guardiano fino al numero di 50..."). Questa regola è stata osservata dal (...) perché, come dedotto nell'atto introduttivo e come confessato perfino dallo stesso convenuto (...) il gregge era composto da una trentina di esemplari. Da ultimo, verificando la condotta dell'attore con riferimento al comma 7 ("Le moltitudini di animali di cui al comma 5 non possono sostare sulle strade e, di notte, devono essere precedute da un guardiano e seguite da un altro: ambedue devono tenere acceso un dispositivo di segnalazione che proietti luce arancione in tutte le direzioni"), appare evidente che l'eccezione non coglie nel segno. Infatti, la teste (...) ha riferito che al momento dell'investimento la visibilità era buona, che la giornata era serena e che l'investimento è avvenuto in orario ancora diurno. Concludendo sul punto, la tardiva eccezione appare comunque infondata, in fatto ed in diritto. 19. Ciò posto sotto il profilo dell'an, risultando dimostrato il nesso causale tra il sinistro occorso all'attore e le lesioni personali riportate dallo stesso, occorre ora analizzare le voci di danno concretamente risarcibili a favore degli attori. II. Sulla domanda svolta dagli attori iure successionis. 1. Giova in primo luogo evidenziare che (...) ha intrapreso il presente giudizio quando era ancora in vita, domandando il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali (subiti e subendi) per le gravissime lesioni subite in conseguenza del fatto illecito: lesioni che lo avevano reso completamente invalido (al 100 %). Alla sua morte, intervenuta in corso di causa, gli eredi (la coniuge ed i tre figli), che avevano anch'essi agito unitamente al prossimo congiunto per ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti iure proprio (cd. danni riflessi), hanno proseguito il giudizio, intervenendovi volontariamente, per ottenere il risarcimento del danno, iure hereditatis, patito dal proprio congiunto quando era in vita. 2. Occorre, pertanto, esaminare la domanda attorea tenendo presenti gli insegnamenti della Suprema Corte. In primo luogo, il danno non patrimoniale è una categoria unitaria e, in secondo luogo, come ancora di recente sottolineato dalla Suprema Corte, "Nel caso di lesione della salute, costituisce ... duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico - inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali - e del danno cd. esistenziale, appartenendo tali c.d. "categorie" o "voci" di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (l'art. 32 Cost.). Non costituisce duplicazione risarcitoria, di converso, la differente ed autonoma valutazione compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute, come stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss. (ove si legge che la norma di cui all'art. 139 cod. ass. "non è chiusa anche al risarcimento del danno morale"), e come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell'art. 138, lett. e), cod. ass., introdotta - con valenza evidentemente interpretativa - dalla legge di stabilità del 2016" (cfr. Cass. n. 24473/20). 3. Ora, gli attori, proseguendo il giudizio intrapreso dal prossimo congiunto, hanno innanzitutto chiesto iure successionis il risarcimento dei danni non patrimoniali patiti dal proprio familiare in relazione ai fatti per cui è causa: in particolare hanno allegato (e ampiamente provato) la lesione dell' integrità psico-fisica del sig. F. il quale ha vissuto in condizioni di menomata integrità psicofisica per un periodo di quasi 5 anni (dal momento dell'evento e sino alla morte), nel corso dei quali il F. ebbe a maturare in sé la percezione della gravità delle proprie condizioni cliniche concretizzatasi sia nella sofferenza fisica, sia nella sofferenza psicologica derivante dall'avvertita imminenza dell'"exitus". 4. Gli attori hanno inoltre prospettato che, ai fini della liquidazione, l'importo liquidabile dal Giudice deve essere ancorato, stante la peculiarità del caso (cd. danno catastrofale), da un lato, per quanto concerne il danno biologico terminale, alle tabelle relative all'invalidità temporanea operando una necessaria personalizzazione e , dall'altro, per quanto concerne il danno morale, ad un criterio equitativo puro o comunque ai criteri di calcolo elaborati dalle tabelle milanesi o romane, propendendo per queste ultime in quanto garantirebbero non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi. Infine, in più passaggi delle articolate difese, gli attori hanno più volte ribadito ed evidenziato l'eccezionalità del caso sottoposto all'attenzione di questo Tribunale. 5. Gli attori hanno altresì allegato "la violazione degli altri diritti costituzionalmente garantiti", dovendo il risarcimento comprendere anche il cd. danno esistenziale; hanno ampiamente descritto la sofferenza soggettiva patita, ovvero il pregiudizio di ordine morale patito dal (...) e quindi "il danno da lucida agonia" con riferimento al dolore provato da (...) che, a dire degli attori, nel corso degli ultimi cinque anni della sua vita, era perfettamente in grado di percepire lucidamente e consapevolmente l'avvicinarsi della fine. A tal riguardo si osserva che tutti i testimoni escussi in corso di causa hanno confermato che (...) era perfettamente consapevole del proprio stato di salute. Circa la lucida consapevolezza del (...) si richiamano le dichiarazioni rese all'udienza del 7 dicembre 2020 dall'ex# della (...) di (...) dei (...) ten. (...) il quale ha riferito che "(...) in tutte le visite appariva lucido e consapevole della propria disabilità totale, tanto che lo stesso si imbarazzava e cercava di giustificarsi". Tale circostanza, è stata confermata altresì da (...) amico da sempre della vittima (cfr udienza del 10.06.2021), da (...) "...l'ultima volta quando mi ha visto gli uscivano le lacrime..." (udienza 12.03.2021), da (...) vicina di casa (cfr. udienza del 10.06.2021) nonché dal medico di famiglia, dr. (...) il quale, all'udienza del 18.03.2021, ha riferito "(...) stato medico di famiglia del signor (...) per oltre 40 anni e lo conosco come una persona molto laboriosa ed anche moralmente corretta; prima dell'incidente era autonomo ed abile al 100% mentre dopo l'incidente completamente inabile. (...) dell'incidente aveva solo qualche problema legato all'età, pressione, artrosi, dolori alla schiena; attualmente sta male sia dal punto di vista fisico in quanto allettato e bisognoso di cure domiciliari, sia dal punto di vista psicologico in quanto soffre di depressione". 6. Risulta pertanto allegato e provato in modo espresso e inequivoco, come (...) vesse certamente percepito il senso della propria condizione, della propria sofferenza, del proprio stato di totale invalidità, al punto da aver sviluppato perfino una sindrome depressiva, nonché una grave sofferenza interiore, un dolore dell'animo, un senso addirittura di vergogna ("si imbarazzava, cercava di giustificarsi" così riferisce il tenente (...). 7. Tutte queste prove valgono ad attestare l'inevitabile percezione di sofferenza da parte del (...) con la conseguenza che, di detta ammessa sofferenza soggettiva percepita, il giudice di merito non può non tener conto nella liquidazione del danno subito dal de cuius e trasmesso, iure haereditario, agli odierni attori, in conformità al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, "in caso di decesso non immediato della vittima di un illecito, al danno biologico terminale, consistente in un danno da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell'evento lesivo fino a quella del decesso), può sommarsi una componente di sofferenza psichica (danno catastrofale), sicché, mentre nel primo caso la liquidazione può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all'invalidità temporanea, nel secondo la natura peculiare del danno rende necessaria una liquidazione affidata ad un criterio equitativo puro che tenga conto dell'enormità della sofferenza psichica, giacché tale danno, ancorché temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità e la durata della consapevolezza della vittima non rileva ai fini della sua oggettiva configurabilità, ma soltanto sul piano della quantificazione del risarcimento secondo criteri di proporzionalità e di equità" (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 16592 del 20/06/2019, Rv. 654294 - 01) 8. Ebbene, venendo a prendere in esame le plurime voci di danno allegate dagli attori e a ricondurle necessariamente ad unitarietà (per le ragioni che a breve si esporranno), un primo elemento da tenere presente è il seguente: nel caso di specie secondo le conclusioni cui è pervenuto il CTU (in parte non condivisibili per le ragioni che appresso saranno evidenziate) il fatto illecito avrebbe determinato a carico del danneggiato postumi permanenti (nella misura dell'85%), stabilizzatisi dopo 185 giorni, che ne provocarono poi la morte dopo quasi cinque anni. 9. Il CTU ha quindi affermato che la morte, sopraggiunta in corso di causa (il (...)), sarebbe eziologicamente riconducibile alle lesioni riportate il 24 gennaio 2017 "(...) rapporto causale tra il decesso del sig. (...) avvenuto in data (...), e il sinistro stradale del 24 gennaio 2017 le cui lesioni furono "trauma cranico-encefalico con focolai contusivi emorragici intraparenchimali, ematoma subdurale in cerebropatia vascolare cronica; trauma chiuso del torace con fratture costali multiple bilaterali (dalla I alla I(...) costa a s(...) e dalla I alla (...) costa a d(...)) e pneumotorace s(...), versamento pleurico e atelectasia polmonare bilaterale; frattura del terzo prossimale della clavicola s(...); frattura meta epifisaria prossimale della tibia s(...) con estensione al piatto tibiale; frattura del terzo prossimale del perone s(...) e frattura malleolo tibiale omolaterale; frattura della falange unueale del 1 dito del pied s(...)... La riconducibilità del decesso alle lesioni posttraumatiche si ricava dalla documentazione sanitaria presente in atti: l'evento finale (obitus del (...) fu conseguenza delle gravi lesioni traumatiche riportate nel sinistro che comportarono una severa sindrome ipocinetica e l'allettamento del soggetto come si evince dallo stato invalidante validato dall'(...) di (...) in data 9 giugno 2017 in cui è scritto "condizioni marcatamente scadute, al momento della visita il paziente è allettato, con marcato rallentamento ideomotorio, disartrico, solo parzialmente orientato, deambulazione possibile solo se sostenuto" La condizione di allettamento del (...) fu rilevata anche dal medico fiduciario della (...) nella visita domiciliare del 04.10.2017 ("condizioni generali scadute, diffusa ipomiotrofia da sindrome ipocinetica, soggetto allettato..."". 10. E qui si evidenzia la contraddizione (l'unica in verità) nella quale è incorso il (...) avendo questi affermato come le lesioni subite il (...) hanno comportato una invalidità permanente (intesa come danno biologico) in misura dell'85 % nonché una invalidità temporanea totale di (...) 185 giorni, perché quelle lesioni si sarebbero stabilizzate, aggiungendo che tuttavia la morte sarebbe dipesa da quelle lesioni. 11. Le conclusioni appena riportate, tuttavia, non convincono o meglio non sono condivisibili né logicamente sostenibili. Delle due l'una. O la morte è dipesa dalle lesioni riportate quattro anni prima, ma in questo caso non vi sarebbe alcuno spazio per ritenere le lesioni "ormai stabilizzate", in quanto l'unico danno biologico risarcibile sarebbe, nella specie, quello correlato dall'inabilità temporanea (dal 24 gennaio 2017 al 25.12.2021) per un totale di 1796 giorni (e non di soli 185 giorni), poiché per definizione non è in questo caso concepibile un danno biologico da invalidità permanente (cfr, tra le tante, Cassazione - (...) terza civile - sentenza 30 gennaio16 maggio 2003, n. 7632), ovvero, la morte non è dipesa dalle lesioni subite e quindi il danno risarcibile sarebbe quello da invalidità permanente e temporanea (stimati rispettivamente nella misura dell'85 % e in 185 giorni di totale invalidità temporanea). 12. (...), come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, se la morte trova causa nelle lesioni, l'unico danno biologico risarcibile è quello correlato dall'inabilità temporanea, in quanto per definizione non è in questo caso concepibile un danno biologico da invalidità permanente. Ed infatti, secondo i principi medico-legali, a qualsiasi lesione dell'integrità psicofisica consegue sempre un periodo di invalidità temporanea, alla quale può conseguire talora un'invalidità permanente. Per l'esattezza l'invalidità permanente si considera insorta allorché, dopo che la malattia ha compiuto il suo decorso, l'individuo non sia riuscito a riacquistare la sua completa validità. Pertanto, il consolidarsi di postumi permanenti può mancare in due casi: o quando, cessata la malattia, questa risulti guarita senza reliquati; ovvero quando la malattia si risolva con esito letale. La nozione medico-legale di "invalidità permanente" presuppone, dunque, che la malattia sia cessata, e che l'organismo abbia riacquistato il suo equilibrio, magari alterato, ma stabile. Si intende, pertanto, come nell'ipotesi di morte causata dalla lesione, non sia configurabile alcuna invalidità permanente in senso medico-legale: la malattia, infatti, non si risolve con esiti permanenti, ma determina la morte dell'individuo. Ne consegue che quando la morte è causata dalle lesioni, dopo un apprezzabile lasso di tempo, il danneggiato acquisisce (e quindi trasferisce agli eredi) soltanto il diritto al risarcimento del danno biologico da inabilità temporanea e per il tempo di permanenza in vita. 13. Resta inteso che nella quantificazione del danno biologico da inabilità temporanea assoluta subito dalla vittima nel lungo intervallo di tempo tra la lesione del bene salute e la morte conseguente a tali lesioni, debbano tenersi presenti le caratteristiche peculiari di questo pregiudizio, costituite dal fatto che si tratta di un danno alla salute che, se pure è temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità. Di tanta sofferenza, prolungatasi per un lustro, questo giudice non può evitare di tener conto, contrariamente a quanto prospettato dalla convenuta (...) sia se applica il criterio di liquidazione equitativa, cosiddetto "puro", sia se applicano i criteri di liquidazione tabellare o a punto, poiché, come ha più volte ribadito la giurisprudenza di legittimità, l'utilizzo di detti ultimi sistemi liquidatori, fondati sempre sul potere di liquidazione equitativa del giudice, deve necessariamente passare attraverso la cosiddetta "personalizzazione" degli stessi, costituita dall'adeguamento al caso concreto (Cassazione 5134/98; 11532/98; 9835/96; 5005/96; 4236/97). La peculiarità del "danno biologico" subito da (...) è che esso è stato di tale entità ed intensità da condurlo a morte non in un limitato o pure apprezzabile lasso di tempo ma dopo un periodo lunghissimo ed in uno stato di completo allettamento, accompagnato da indicibili sofferenze fisiche e psichiche. (...) era consapevole del proprio stato (di totale invalidità) ed ha dovuto trascorrere gli ultimi 5 anni della sua vita chiuso nelle mura domestiche, bisognoso di attenzioni e cure quotidiane che lo hanno gettato in uno stato di sconforto e depressione. Ovviamente ciò non significa che attraverso l'utilizzo di un criterio equitativo puro si vuole dare ingresso ad un danno che non è previsto dall'(...) (i.e. il danno tanatologico) perché l'evento morte, nel caso di specie, non rileva di per sé ai fini del risarcimento, per tutti i motivi sopra esposti, dovendo venire in rilievo esclusivamente due fattori: l'entità della perdita subita (per effetto della lesione al bene salute) ed il tempo di durata di detta perdita. Orbene, mentre il fattore tempo è circoscritto necessariamente al periodo tra l'evento lesivo e la morte successiva conseguente, per cui se esso è pari o prossimo allo zero, finisce per azzerare il risultato finale risarcitorio, il fattore della lesione del bene salute va valutato nella sua espressione massima, per entità ed intensità, avendo essa avuto come esito la morte. È di tutta evidenza che la "perdita della vita" deve restare fuori dal danno biologico, poiché il danno alla salute presuppone pur sempre un soggetto in vita, ma è altrettanto evidente che nessun danno alla salute è più grave, per entità ed intensità, di quello che, trovando causa nelle lesioni che esitano nella morte, temporalmente la precede. In questa ipotesi, infatti, il danno alla salute raggiunge quantitativamente la misura del 100%, come nel caso dell'inabilità temporanea assoluta, cui consegue la guarigione, ovvero una stabilizzazione dei postumi, sia pure nella stessa entità, in quanto sotto il profilo dell'entità, il limite massimo ovviamente non può essere superiore alla misura del 100%. Ciò che fa la differenza è che il danno (biologico e morale) terminale è più intenso perché l'aggressione subita dalla salute dell'individuo incide anche sulla possibilità di essa di recuperare (in tutto o in parte) le funzionalità perdute o quanto meno di stabilizzarsi sulla perdita funzionale già subita. In altri termini nel danno biologico terminale anche questa capacità recuperatoria o, quanto meno stabilizzatrice, della salute risulta irreversibilmente compromessa. La salute danneggiata non solo non recupera (cioè non "migliora") né si stabilizza, ma degrada verso la morte: quest'ultimo evento rimane fuori dal danno alla salute, per i motivi sopra detti, ma non la "discesa" verso di esso, poiché durante detto periodo il soggetto leso era ancora in vita. Anche se si utilizza la nozione giuridica (e non medico-legale) di danno alla salute, che non si limita a postulare in via logica la vita futura, ma si manifesta ed esiste solo all'interno di quella vita, immersa in essa in termini di minore qualità esistenziale, anche la perdita di quest'ultima estrema attitudine della salute rende più intenso quel minus esistenziale che accompagna la residua vita della vittima, anche se è chiaro che detto danno cessi con il decesso. 14. La tesi prospettata dalla (...) secondo cui la liquidazione del danno biologico (...) andrebbe eseguita mediante la mera applicazione dei valori liquidatori tabellari a punti per ogni giorno di invalidità temporanea, non è assolutamente condivisibile perché, da un lato, comporta la violazione del principio anzidetto in tema di necessaria "personalizzazione" dei criteri di valutazione del danno, che devono essere conformati alla peculiarità del caso concreto (e nella fattispecie in esame la peculiarità consiste nel fatto che la lesione alla salute non solo è stata massima, ma anche così intensa e così duratura da essere esitata nella morte dopo 5 anni), e dall'altro finisce per porsi in contrasto logico-argomentativo, con quanto ormai pacificamente ammesso in sede di liquidazione del danno non patrimoniale. 15. Questo Tribunale non può quindi evitare di tener conto delle singolarità del caso giudicato, dovendo effettuare la necessaria "personalizzazione" del criterio detto al caso concreto ed apportando, se del caso gli eventuali consequenziali correttivi in aumento o in diminuzione. Pertanto, condividendo le conclusioni del CTU (non contestate da alcuno dei (...) di parte), laddove si afferma che la morte è eziologicamente riconducibile alle gravissime lesioni riportate il (...), l'odierno giudicante reputa innanzitutto che il danno non patrimoniale subito dalla vittima (e trasmesso agli eredi) deve essere liquidato nella duplice componente di danno biologico, cioè di danno biologico da invalidità temporanea assoluta, e di danno morale consistente nella sofferenza patita dal danneggiato che per un lunghissimo periodo della sua esistenza (5 anni), lucidamente e coscientemente, ha assistito allo spegnersi della propria vita. 16. Dunque, sulla base delle considerazioni tutte che precedono, deve affermarsi che il (...) è deceduto a causa delle lesioni riportate nel corso dell'investimento, dovendosi ritenere vincolante l'accertamento in punto nesso causale compiuto dal CTU con valutazione "condivisa" da tutte le parti: il fatto illecito non ha pertanto determinato a carico del danneggiato postumi permanenti ormai stabilizzati, ma ne ha purtroppo cagionato la morte. 17. Veniamo ora alla liquidazione del cd. danno non patrimoniale terminale subito da (...) e da esso trasmesso agli eredi. Richiamando i principi sopra esposti, la liquidazione equitativa del danno in questione si deve effettuare commisurando la componente del danno biologico all'indennizzo da invalidità temporanea assoluta e valutando altresì la componente morale del danno non patrimoniale mediante una personalizzazione che tenga conto dell'entità e dell'intensità delle conseguenze derivanti dalla lesione della salute in vista del prevedibile exitus (in tal senso, tra le altre, Cass. febbraio 2020 n.5448; Cass.28 giugno 2019 n.17577; Cass. 8 luglio 2014 n.15491). La relativa liquidazione può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all'invalidità temporanea, considerando tuttavia anche la natura peculiare del pregiudizio (...) subito dalla vittima, secondo un criterio equitativo puro, che tenga conto della "enormità" del danno che, sebbene temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, tanto da esitare nella morte (Cass. 20 giugno 2019 n.16592 Cass. 31 ottobre 2014 n.23183). Nel caso che ci occupa e in primo luogo, il periodo di inabilità deve essere individuato in quello compreso tra il fatto illecito, e quindi dall'inizio della causa o della serie causale che ha condotto alla morte di (...) e il giorno del suo decesso, ovverosia dal 24.01.2017 (giorno dell'investimento) fino al 25.12.2021 per un totale di 1796 giorni. Inoltre, ai fini della liquidazione questo giudice non può ignorare il fatto che (...) oltre al danno biologico (...) ha patito anche un danno morale, consistente nell'aver conservato per tutti i cinque anni una capacità di intendere che lo ha reso consapevole del proprio stato di totale infermità, quest'ultimo deve essere oggetto di opportuno adeguamento affinché venga risarcito equitativamente e non in maniera simbolica o irrisoria. Dal 24 gennaio 2017, infatti, la vittima è rimasta totalmente invalida. (...) questo lunghissimo periodo, le cui conseguenze "catastrofali" sono state ampiamente allegate e provate, il (...) era consapevole del proprio stato di salute. Il medico di famiglia, dr. (...) all'udienza del 18.03.2021, ha riferito: "(...) stato medico di famiglia del signor (...) per oltre 40 anni e lo conosco come una persona molto laboriosa ed anche moralmente corretta; prima dell'incidente era autonomo ed abile al 100% mentre dopo l'incidente completamente inabile" ed ha aggiunto "prima dell'incidente aveva solo qualche problema legato all'età, pressione, artrosi, dolori alla schiena; attualmente sta male sia dal punto di vista fisico in quanto allettato e bisognoso di cure domiciliari, sia dal punto di vista psicologico in quanto soffre di depressione". 19. Sulla scorta della documentazione depositata ed in esito a valutazione medico legale appare di indiscussa evidenza l'importante danno subito dall'attore in ragione delle incontestabili sofferenze della vittima protrattasi per ben cinque anni ovvero dalla data del sinistro alla morte (intervenuto il (...)) Tali sofferenze emergono dall'esame della documentazione depositata a corredo del giudizio nonché trovano riscontro nella frequenza dei ricoveri e nelle complicazioni maturatesi nel corso dell'evoluzione della patologia (cfr relazione di consulenza tecnica). 20. Sempre prendendo per corrette le conclusioni del CTU nella parte in cui quest'ultimo ha ritenuto che la morte sia conseguenza delle lesioni riportate in occasione dell'incidente, e non condividendo, invece, la conclusione, secondo cui l'invalidità temporanea assoluta sarebbe di 185 giorni e non di 1796 si procede a stimare il danno secondo il meccanismo di liquidazione dell'invalidità temporanea assoluta elaborato dalle tabelle milanesi operando una necessaria personalizzazione. 21. La Suprema Corte ha più volte ribadito (cfr.Cass. n. 23183/2014), che laddove la liquidazione del danno biologico terminale può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all'invalidità temporanea, in relazione al danno morale terminale (cd. catastrofale) la natura peculiare del pregiudizio comporta la necessità di una liquidazione che si affidi ad un criterio equitativo puro, che tenga conto della "enormità'" del pregiudizio, giacché tale danno, sebbene temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, tanto da esitare nella morte. Ed è esattamente a questi criteri che il Tribunale intende attenersi ai fini di una liquidazione effettivamente riparatrice e non meramente simbolica di tale voce di danno. 22. Le tabelle milanesi prevedono per ogni giorno di inabilità temporanea assoluta, l'importo di Euro 99,00. Tale valore deve essere adeguato al caso di specie in ragione della particolare gravità delle lesioni patite dal de cuius (che sin dal principio sono apparse infauste), con conseguente impatto psicologico fortemente negativo, dalla necessità di ripetuti interventi, dalle prolungate degenze ospedaliere, dai numerosi cicli di fisioterapie, dalla necessità di assistenza continua di un macroleso ridotto in stato di allettamento. Questa condizione di allettamento della vittima - la quale, prima dell'incidente, godeva di un perfetto stato di salute e che, come comprovato dalle numerose testimonianze, era attiva e dotata di straordinaria vitalità - notoriamente, implica rilevanti e negativi effetti collaterali per la qualità della vita. 23. Pertanto, tenuto conto delle condizioni in cui è vissuta la vittima negli ultimi 5 anni della sua vita, della consapevolezza che questi aveva circa il proprio stato di salute, della necessità di essere accudito quotidianamente da parte dei familiari e di avere necessità di continua assistenza domiciliare, dal fatto che la vittima è stata perfino costretta a cambiare residenza trasferendosi dalla propria abitazione presso quella messa a disposizione da una delle figlie e, quindi, del progressivo intensificarsi delle sofferenze psichiche provate dal sig. (...) nonché delle limitazioni allo svolgimento delle attività quotidiane e relazionali, si ritiene equo adeguare il valore giornaliero anzidetto in Euro 99,00 quintuplicandolo. 24. Nel caso di specie, dovendosi liquidare solo il danno da invalidità temporanea, la semplice applicazione dei criteri elaborati dalle tabelle (meneghine o romane) per liquidare il danno temporaneo non garantirebbe un giusto ristoro a fronte di un danno così enorme: il danno morale non verrebbe neppure risarcito poiché è notorio che le tabelle includono il danno morale soltanto nel punto percentuale di invalidità permanente e non prevedono la componente del danno morale nel valore giornaliero della invalidità temporanea. 25. Se si dovesse aderire alla tesi prospettata dalla convenuta (...) la quale ha proposto di liquidare il danno subito da F.G. commisurandolo solo all'inabilità temporanea (individuata nei 185 giorni indicati dal (...), la liquidazione sarebbe di appena Euro 26.700,00. Questa somma sarebbe evidentemente irrisoria e, per certi versi, perfino mortificante. I cinque anni di indicibili sofferenze trascorsi dalla vittima (che prima dell'incidente era una persona dotata di straordinaria vitalità) verrebbero risarciti con una somma certamente inadeguata, inferiore addirittura a quella che viene corrisposta per una lesione micro permanente. 26. Applicando il criterio equitativo qui proposto, si perviene ad una somma complessiva di Euro 889.020,00 (1796 giorni (...) Euro 99,00 (...) 5). (...) somma, da ripartirsi tra i coeredi, in ragione delle rispettive quote, è destinata a risarcire l'intero danno non patrimoniale subito dal de cuius, poiché la relativa liquidazione è stata eseguita tenendo conto, da un lato, del carattere unitario del danno (sentenza n. 2719/2023 del 15/03/2023 RG n. 10438/2021) non patrimoniale ex art. 2059 c.c., dall'altro delle necessità di un integrale risarcimento di tale danno, tenendo conto di tutte le peculiari modalità di atteggiarsi dello stesso nel caso di specie, tramite l'incremento della somma dovuta a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione, secondo i principi affermati dalla più recente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., SS.UU. n. 26972/2008, Cass. n. 24864/2010, Cass. n. 11950/2013, Cass. n. 21716/2013, Cass. n. 17577/2019). Tale importo, essendo così liquidato secondo il valore attuale, non deve essere ulteriormente rivalutato; sullo stesso sono invece dovuti gli interessi sul capitale ricondotto al valore del mese di febbraio del 2017 - data in cui l'inizio della situazione di sofferenza è individuabile - (attraverso l'applicazione a ritroso degli indici (...) con riferimento al costo della vita) nella misura legale e calcolati sul predetto importo gradualmente rivalutato con periodicità annuale, a decorrere dalla predetta data fino a quella della pubblicazione della presente sentenza e, di seguito, fino al saldo. 28. Ad ogni buon conto va osservato che la liquidazione innanzi operata con l'importo di Euro 889.020,00 appare equa anche ipotizzando possibili soluzioni alternative. 29. Nella Relazione di aggiornamento delle (...) per la valutazione del danno biologico elaborata dal Tribunale di Roma (ed. 2023) "(...) H" (...) "(...) Catastrofale" (pag. 21) si legge: "86) Il più recente orientamento della Suprema Corte (Cassazione n. 26727 del 23/10/2018) peraltro definisce il danno terminale (nella componente biologica e morale) come quel danno che la vittima in condizione di "lucidità agonica" patisce, in caso di morte cagionata da un illecito, nel periodo di tempo interposto tra la lesione e la morte, ovvero il danno da percezione, concretizzabile sia nella sofferenza fisica derivante dalle lesioni, sia nella sofferenza psicologica (...) derivante dall'avvertita imminenza dell'"exitus". 87) E' chiaro che tale situazione implica che il danneggiato abbia modo di rendersi conto dell'aggravarsi della sua condizione e, sotto questo aspetto, anche in tal caso non si tratta di un danno che si accresce in modo costante per ogni giorno di agonia, ma si acquisisce al momento della constatazione della esistenza di un rischio di decesso, a causa del comportamento del soggetto responsabile, in relazione alla durata della sopravvivenza senza che si siano consolidati i postumi. 88) Resta inteso che, in caso di consolidamento dei postumi, si dovrà tener conto a) per un verso, del danno biologico e morale cagionato alla vittima e definitivamente acquisito al suo patrimonio ante mortem in ragione del detto consolidamento (risarcimento trasmissibile iure hereditatis) e b) per altro verso dei criteri elaborati per il danno da morte per altra causa (risarcimento iure proprio). 89 Nel caso di cui alla lettera a) si dovrà tener, altresì, conto della valutazione del danno morale ulteriore tra il consolidamento dei postumi e l'exitus con una personalizzazione che tenga conto della peggiore qualità della vita per effetto della consapevolezza del maggior rischio di decesso". 30. Orbene, applicando i criteri indicati ai punti 88) e 89) della predetta (...) laddove si ipotizza il "consolidamento dei postumi" seguito poi dalla morte come conseguenza dell'illecito, e volendo aderire alle conclusioni del CTU che ha stimato il danno subito da (...) in misura dell'85% come danno biologico e in 185 giorni l'invalidità temporanea assoluta ed applicando i "criteri elaborati da morte per altra causa" richiamate dalle tabelle romane, il risarcimento del danno sarebbe compreso tra la somma di Euro 848.339,49 e quella di Euro 1.435.735,33 (Età del danneggiato alla data del sinistro 83 anni; (...) di invalidità permanente 85%; (...) danno biologico Euro 16.443,60, (...) base I.T.T. Euro 128,07, (...) di invalidità temporanea totale 185, (...) non patrimoniale risarcibile Euro 824.646,54 - Oscillazione di fascia (min 71,23% del danno biologico) Euro 1.412.042,27 - Oscillazione di fascia (ma(...) 65,4% del danno biologico) Euro 1.363.965,38, Invalidità temporanea totale Euro 23.692,95 - Totale generale: Euro 848.339,49; Totale con oscillazione minima Euro 1.435.735,22; Totale con oscillazione massima Euro 1.387.658,33). 31. Analogamente, sempre dando per corretta la valutazione compiuta dal CTU (che afferma come i postumi si sarebbero stabilizzati dopo il 185° giorno residuando una ITP stimata nella misura dell'85% del danno biologico) e applicando le tabelle meneghine del danno da morte per altra causa, si giunge ad una liquidazione pressoché identica: il danno risarcibile sarebbe infatti compreso tra la somma di Euro 631.462,00 e quella di Euro 733.653,00 (Età del danneggiato alla data del sinistro 78 anni, (...) di invalidità permanente 85%, (...) danno biologico Euro 8.150,84, Incremento per sofferenza soggettiva + 50% (4.075,42) (...) danno non patrimoniale Euro 12.226,26, (...) base I.T.T. Euro 99,00, (...) di invalidità temporanea totale 185 (...) biologico risarcibile Euro 426.085,00 (...) non patrimoniale risarcibile Euro 639.128,00 Con personalizzazione massima (ma(...) 25% del danno biologico) Euro 745.649,00 Invalidità temporanea totale Euro 18.315,00 Totale danno biologico temporaneo Euro 18.315,00 Totale generale: Euro 657.443,00 Totale con personalizzazione massima Euro 763.964,00). 32. Concludendo sul punto, si ritiene pertanto equo liquidare il danno non patrimoniale subito da F.G. e da questi trasmesso agli eredi nella complessiva somma di Euro 889.020,00 (1796 giorni (...) Euro 99,00 (...) 5) oltre interessi sul capitale ricondotto al valore del mese di febbraio del 2017 - data in cui l'inizio della situazione di sofferenza è individuabile - (attraverso l'applicazione a ritroso degli indici (...) con riferimento al costo della vita) nella misura legale e calcolati sul predetto importo gradualmente rivalutato con periodicità annuale, a decorrere dalla predetta data fino a quella della pubblicazione della presente sentenza e, di seguito, fino al saldo. III. Il risarcimento dei danni in favore dei prossimi congiunti: il danno da perdita del rapporto parentale 1. Anche la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale per la perdita del rapporto parentale è fondata, in quanto la coniuge e i tre figli hanno diritto a vedersi riconosciuto il danno non patrimoniale per lesione del vincolo parentale, dal momento che la condotta illecita ha leso diritti della persona costituzionalmente qualificati fondati sugli artt. 2, 29, 30 della (...) con ciò nel rispetto dei principi relativi al riconoscimento del danno non patrimoniale, come configurati dalla Cass., Sez. Unite, 11.11.2008 n. 26972. 2. Con riguardo al danno da perdita parentale, deve premettersi che, secondo l'ormai costante ed univoca giurisprudenza di legittimità, esso costituisce un danno conseguenza, da allegare e provare, anche mediante presunzioni, nella sua duplice componente di sofferenza morale e negativa ripercussione sul piano dinamicorelazionale, quale sconvolgimento delle abitudini di vita del congiunto: "in tema di pregiudizio derivante da perdita o lesione del rapporto parentale, il giudice è tenuto a verificare, in base alle evidenze probatorie acquisite, se sussistano uno o entrambi i profili di cui si compone unitario danno non patrimoniale subito dal prossimo congiunto e, cioè, interiore sofferenza morale soggettiva e quella riflessa sul piano dinamico - relazionale, nonché ad apprezzare la gravità ed effettiva entità del danno in considerazione dei concreti rapporti col congiunto, anche ricorrendo elementi presuntivi fuori la maggiore o minore prossimità del legame parentale, la qualità dei legami affettivi (anche se al di fuori di una configurazione formale), la sopravvivenza di altri congiunti, la convivenza o meno col danneggiato, l'età delle parti ed ogni altra circostanza del caso" (cfr. ord. n. 907/2018). E ancora: "il danno non patrimoniale da uccisione di un congiunto, quale tipico danno - conseguenza, non coincide con la lesione dell'interesse (ovvero non è in "re ipsa") e, pertanto, deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento, anche se, trattandosi di un pregiudizio proiettato nel futuro, è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche e a presunzioni sulla base di elementi obiettivi che onere del danneggiato fornire, mentre la sua liquidazione avviene in base a valutazione equitativa che tenga conto dell'intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore circostanza utile, quali la consistenza più o meno ampie del nucleo familiare, l'abitudine di vita, l'entità della vittima e dei singoli superstiti ed ogni altra circostanza allegata" (cfr.Cass. civ. nn 28989/19 e 11200/2019). 3. Nel caso di specie, la moglie (...) ed i tre figli (non conviventi) di (...) hanno agito nelle rispettive qualità allegando e provando di avere avuto con il prossimo congiunto un rapporto quotidiano, che la loro famiglia era una famiglia per così dire di tipo tradizionale, che la frequentazione dei vari nuclei familiari era quotidiana (come anche provato dalla continua assistenza versata nel corso dei cinque anni antecedenti la morte di F.G.), che le abitazioni di tutti i nuclei familiari coinvolti si trovano a poca distanza l'una dalle altre e, dunque, all'esito della prova orale svolta nel giudizio (cfr. le dichiarazioni dei testi escussi), in assenza di indici contrastanti, deve ritenersi presuntivamente provato il danno non patrimoniale anche in applicazione del disposto di cui all'art.2727 c.c. per cui tale voce di danno deve essere risarcita. 4. Quanto ai criteri per procedere alla liquidazione, questo Tribunale ritiene che le tabelle del Tribunale di Milano pubblicate nel giugno del 2022 costituiscono idoneo criterio per la liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale, in quanto fondate su un sistema "a punto variabile" (il cui valore base è stato ricavato muovendo da quelli previsti dalla precedente formulazione "a forbice") che prevede l'attribuzione dei punti in funzione dei cinque parametri corrispondenti: A) all'età della vittima primaria B) all'età della vittima secondaria, C) alla convivenza tra le stesse, D) alla sopravvivenza di altri congiunti E) alla qualità e intensità della specifica relazione affettiva perduta, ferma restando la possibilità, per il giudice di merito, di discostarsene procedendo a una valutazione equitativa "pura", purché sorretta da adeguata motivazione. (Sez. 3, Ordinanza n. (...) del 16/12/2022). 5. Conseguentemente, alla luce dei richiamati principi, in considerazione dell'età della vittima (83 anni) e dei congiunti al momento della morte, lo stato di sostanziale convivenza con la vittima, la sofferenza patita nei cinque anni antecedenti la morte del congiunto e tenuto altresì conto della necessità di continua e quotidiana assistenza del familiare (macro leso) per tutto il periodo sopra evidenziato e, da ultimo, del mutamento delle abitudini di vita dell'intero nucleo familiare (si ricordi che gli anziani coniugi sono stati costretti a trasferirsi perfino dalla propria residenza) il risarcimento può liquidarsi come segue: a) in favore di (...) (coniuge convivente) la somma di Euro 222.090,00; la coniuge aveva 80 anni al momento del decesso di F.G., ed era convivente. La vittima aveva 83 anni al momento del decesso; inoltre dal giorno del sinistro (24.01.2017) quest'ultima è stata costretta a trasferirsi dall'abitazione in cui risiedeva unitamente al coniuge per andare a vivere in un monolocale messo a disposizione da una delle figlie al fine di offrire una continua assistenza al coniuge per 5 lunghi anni. Nel nucleo familiare sono presenti altri familiari non conviventi (fino al 2° grado di parentela) e nessun altro convivente del congiunto ((...) del (...) Euro 3.365,00 - Punti in base all'età del congiunto 12 - (...) in base all'età della vittima 8 - (...) per la convivenza 16 - (...) in base alla intensità della relazione 30 - (...) per l'assenza di altri familiari conviventi 3 - (...) totali riconosciuti 66 - (...) Euro 3.365,00 (...) 66 = Euro 222.090,00. Nella valorizzazione del parametro sub E), valutato nel massimo punteggio attribuibile, si è considerata la particolare penosità dell'evento che cagionò il decesso di (...) nonché l'intenso rapporto avuto con la moglie convivente che deve ritenersi provata, non solo sulla base di normali presunzioni accreditabili in tema di rapporto coniugale, ma anche alla luce delle concrete circostanze. (...) donna è stata costretta a mutare le proprie abitudini di vita, a trasferirsi dalla propria residenza e ad assistere quotidianamente il coniuge durante gli ultimi 5 anni della sua vita rinunciando al sostegno materiale, morale e affettivo del marito, ridotto in uno stato di completa immobilità. La moglie, pertanto, ha dovuto confrontarsi con un uomo che prima dell'incidente era attivo, completamente autonomo, dotato di vitalità straordinaria (a dispetto dell'età) e poi è stato privato della mobilità, e divenuto bisognoso di cure e assistenza costanti, ormai impossibilitato a fornire qualsiasi forma di apporto materiale alla famiglia e alla moglie. b) in favore di (...)# la somma di Euro 242.280,00. La congiunta aveva 57 anni al momento del decesso di (...) (...), è figlia della vittima e non era convivente. Va tuttavia rilevato che nel corso degli ultimi 5 anni (dal 2017 al 2021), (...) a causa delle condizioni di salute del padre, ormai compromesse, ha ospitato entrambi i genitori in un piccolo appartamento posto nello stesso stabile ove ella risiede per consentire una maggiore presenza sua e degli altri familiari nel corso della giornata anche in ragione del fatto che l'abitazione della congiunta dista poche centinaia di metri da quelle degli altri due fratelli. La circostanza, allegata e provata in corso di causa, è dipesa dalla necessità di offrire una continua assistenza all'anziano genitore. A tal riguardo, si evidenzia che le tabelle milanesi prevedono la possibilità di attribuire un punteggio ulteriore o in caso di convivenza ovvero nell'ipotesi in cui il congiunto abiti nello stesso stabile o condominio, sul presupposto che la vicinanza del congiunto favorisca una maggiore frequentazione ovvero un rapporto più intenso. (...) nel caso di specie tutti i figli risiedono in un piccolo paese della (...) e dato che le abitazioni ove essi risiedono distano a poche centinaia di metri le une dalle altre, questo Tribunale ritiene di poter attribuire un punteggio ulteriore pari ad 8 (equivalente a quello previsto dalle tabelle milanesi per l'ipotesi in cui si abiti in un medesimo stabile non essendovi differenze). La vittima aveva 83 anni al momento del decesso. Nel nucleo familiare sono presenti altri familiari conviventi e altri familiari non conviventi ((...) del (...) Euro 3.365,00 - (...) in base all'età del congiunto 18 - (...) in base all'età della vittima 8 - (...) per la "convivenza" 16 - (...) in base alla intensità della relazione 30 - (...) totali riconosciuti 42 - (...) Euro 3.365,00 (...) 42 = Euro 242.280,00) Nella valorizzazione del parametro sub E), valutato nel massimo punteggio attribuibile, si è considerata la particolare penosità dell'evento che cagionò il decesso di (...) nonché l'intenso rapporto avuto con i figli che deve ritenersi provato, non solo sulla base di normali presunzioni accreditabili in tema di rapporto genitoriale, ma anche alla luce delle concrete circostanze che hanno costretto la figlia a doversi prendere cura del padre (unitamente ai fratelli), mutando le proprie abitudini di vita finendo con il dover ospitare gli anziani genitori per 5 anni, ma soprattutto del fatto di aver dovuto prestare assistenza ad una persona macrolesa e bisognosa di cure e attenzioni in ogni momento della giornata. c) in favore di (...)# la somma di Euro 242.280,00. (...) aveva 54 anni al momento del decesso del padre e non era con questi convivente. Va tuttavia rilevato che, come avvenuto per le sorelle, nel corso degli ultimi 5 anni di vita del padre (dal 2017 al 2021), a causa delle condizioni di salute di quest'ultimo, è stato costretto a prendersi cura del congiunto che, come più volte rilevato, era stato trasferito in un piccolo appartamento messo a disposizione della sorella e posto a poche centinaia di metri dalla propria abitazione. La circostanza, allegata e provata in corso di causa, è dipesa dalla necessità di offrire una continua assistenza all''anziano genitore. Anche in questo caso per le ragioni sopra esposte, il Tribunale ritiene di poter attribuire un punteggio ulteriore pari ad 8 (equivalente a quello previsto dalle tabelle milanesi per l'ipotesi in cui si abiti in un medesimo stabile non ravvisandosi sostanziali differenze). La vittima aveva 83 anni al momento del decesso. Nel nucleo familiare sono presenti altri familiari conviventi e altri familiari non conviventi ((...) del (...) Euro 3.365,00 - (...) in base all'età del congiunto 18 - (...) in base all'età della vittima 8 - (...) per la "convivenza" 16 - (...) in base alla intensità della relazione 30 - (...) totali riconosciuti 42 - (...) Euro 3.365,00 (...) 42 = Euro 242.280,00) Nella valorizzazione del parametro sub E), valutato nel massimo punteggio attribuibile, si è considerata la particolare penosità dell'evento che cagionò il decesso del sig. G.F., nonché l'intenso rapporto avuto con i figli che deve ritenersi provato, non solo sulla base di normali presunzioni accreditabili in tema di rapporto genitoriale, ma anche alla luce delle concrete circostanze che hanno costretto la figlia a doversi prendere cura del padre (unitamente ai fratelli), mutando le proprie abitudini di vita in quanto costretto con le sorelle e la madre a prendersi cura del genitore durante 5 anni, ma soprattutto del fatto di aver dovuto prestare assistenza ad una persona macrolesa e bisognosa di cure e attenzioni in ogni momento della giornata. c) in favore di (...) (figlia non convivente) la somma di (...) 242.280,00. (...) aveva 59 anni al momento del decesso del padre e non era convivente. Richiamando le considerazioni sopra svolte per la posizione del fratello (...) e della sorella (...) in ordine all'intensità del rapporto affettivo, alla vicinanza delle abitazioni, alle cure e all'assistenza continua prestata unitamente ai fratelli in favore dell'anziano padre per un lungo periodo e tenuto conto dei presumibili disagi e delle sofferenze subite il calcolo del danno è il seguente: (...) del (...) Euro 3.365,00 - (...) in base all'età del congiunto 18 - (...) in base all'età della vittima 8 - (...) per la "convivenza" 16 - (...) in base alla intensità della relazione 30 - (...) totali riconosciuti 42 - (...) Euro 3.365,00 (...) 42 = Euro 242.280,00) 6. Ai predetti importi devono essere aggiunti gli interessi legali decorrenti dal 25.12.2021 (data del decesso) fino al soddisfo da calcolare sulla somma mediamente devalutata alla stessa data. 7. Non si ritiene necessario applicare ulteriori correttivi (aumenti o riduzioni) per adeguare il risarcimento alla fattispecie concreta qui in esame, dovendo ritenersi che le somme liquidate tengono in debito conto il lungo periodo, si ripete, di 5 anni, durante il quale i tre figli e la moglie convivente si sono trovati costretti ad assistere quotidianamente il prossimo congiunto che, come più volte osservato, ha vissuto gli ultimi anni della propria esistenza in stato di completa invalidità. A tal riguardo viene in rilievo l'enorme pregiudizio che tutto il nucleo familiare è stato costretto a sopportare (vedasi, ad esempio, la necessità di mutare abitudini di vita, il forzato trasferimento del congiunto presso un'altra abitazione, messa a disposizione di una delle figlie, perché priva di barriere architettoniche e più consona allo stato di salute della vittima, bisognosa di assistenza e cure per 24 ore al giorno etc.) IV. Sui danni patrimoniali 1. Quanto ai danni patrimoniali vanno innanzitutto riconosciute le spese mediche sostenute dagli attori ovvero quelle relative all'onorario del CTP di importo pari ad Euro 3.660,00. Le spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, la quale ha natura di allegazione difensiva tecnica, infatti, rientrano tra quelle che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate, a meno che il giudice non le ritenga eccessive o assolutamente superflue. 2. Vanno altresì riconosciute le altre spese mediche pari a complessivi Euro 3.741,00 (docc. dal n. 26 al n 31 del fascicolo di parte attrice). (...) complessivamente dovuto per le voci di danno sopra elencate ammonta a complessivi Euro 7.401,00. 3. E' riconosciuto altresì il risarcimento del danno (...) subito per le spese stragiudiziali ivi incluse le spese di negoziazione assistita. Le spese sostenute per l'assistenza stragiudiziale hanno natura di danno emergente, consistente nel costo sostenuto per l'attività svolta da un legale nella fase precontenziosa, con la conseguenza che il loro rimborso è soggetto ai normali oneri di domanda, allegazione e prova e che, anche se la liquidazione deve avvenire necessariamente secondo le tariffe forensi, esse hanno natura intrinsecamente differente rispetto alle spese processuali vere e proprie, pertanto, gli importi riconosciuti per il ristoro delle spese stragiudiziali non possono essere compensati con le somme liquidate, a diverso titolo, per le spese giudiziali relative alle successive prestazioni di patrocinio in giudizio (cfr. Cass. 24481/2020). La relativa obbligazione risulta dimostrata dall'esperimento della negoziazione assistita da parte del legale da cui deriva la conseguente obbligazione di pagamento. La somma dovuta e accertata è pari complessivamente ad Euro 3.000,00, oltre interessi, da dividersi in parti uguali per ciascuna delle parti processuali del giudizio. Orbene, nel caso di specie è del tutto evidente la prova della idoneità dell'attività difensiva, in base ad una valutazione ex ante, ad una stragiudiziale definizione della controversia. Complessivamente il danno non patrimoniale ammonta ad Euro 10.401,00 (Euro 7.401,00 + 3.000,00). V. Spese di lite. Per le ragioni sopra esposte, le spese processuali seguono la soccombenza dei convenuti in solido tra loro e sono liquidate, con applicazione dei valori di cui al DM n.55/2014 come da dispositivo. Segnatamente, si reputano congrui i parametri compresi tra i medi ed i massimi previsti per i giudizi avanti al Tribunale senza alcun aumento per la presenza di più parti per un totale di Euro 45.000,00 per compenso (nello specifico fase di studio della controversia Euro 7.000,00 fase introduttiva Euro 4.000,00 fase istruttoria e/o di trattazione Euro 22.000 fase decisionale Euro.12.000,00), oltre al 15% per rimborso forfettario spese generali, CPA ed (...) se e come dovuti per legge. VI. Spese di CTU Le spese di CTU devono essere poste definitivamente a carico dei convenuti in solido tra loro. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - accerta la responsabilità esclusiva di (...) quale conducente del veicolo (...) targato (...) nella causazione del sinistro di cui è causa e delle gravissime lesioni nonché del decesso di (...) e, per l'effetto, condanna i convenuti (...) e la (...) S.p.A., in solido tra loro e nelle rispettive qualità di conducente e proprietario del mezzo (...) targato (...) e di compagnia assicuratrice del veicolo, al risarcimento dei danni subiti dagli attori e quindi a pagare agli stessi le seguenti somme: a) a (...)## e (...) in qualità di eredi di (...) per il danno non patrimoniale, la somma complessiva di Euro 889.020,00 al valore attuale, oltre interessi sul capitale ricondotto al valore del mese di febbraio del 2017 nella misura legale e calcolati sul predetto importo gradualmente rivalutato con periodicità annuale, a decorrere dalla predetta data fino a quella della pubblicazione della presente sentenza e, di seguito, fino al saldo; b) a (...) per il danno non patrimoniale subito iure proprio per la perdita del coniuge (...) la somma di Euro 222.090,00 oltre interessi legali decorrenti dal 25.12.2021 (data del decesso) fino al soddisfo da calcolare sulla somma mediamente devalutata alla stessa data; c) a (...)#, per il danno subito iure proprio per la perdita del padre (...) la somma di Euro 242.280,00 oltre interessi legali decorrenti dal 25.12.2021 (data del decesso) fino al soddisfo da calcolare sulla somma mediamente devalutata alla stessa data; d) a (...), per il danno subito iure proprio per la perdita del padre (...) la somma di Euro 242.280,00 oltre interessi legali decorrenti dal 25.12.2021 (data del decesso) fino al soddisfo da calcolare sulla somma mediamente devalutata alla stessa data; e) a (...), per il danno subito iure proprio per la perdita del padre (...) la somma di Euro 242.280,00 oltre interessi legali decorrenti dal 25.12.2021 (data del decesso) fino al soddisfo da calcolare sulla somma mediamente devalutata alla stessa data; - condanna i convenuti, in solido tra loro, a risarcire agli attori la somma di Euro 10.401,00 per i danni patrimoniali; - condanna i convenuti, in solido tra loro, a rifondere agli attori le spese di lite liquidate in Euro. Euro 45.000,00 per compenso (di cui Euro 7.000,00 per fase di studio della controversia; Euro 4.000,00; per fase introduttiva Euro 22.000,00 per fase istruttoria e/o di trattazione e Euro 12.000,00 per fase decisionale), oltre al 15% per rimborso forfettario spese generali, CPA ed (...) se e come dovuti per legge; - rigetta ogni altra domanda; - pone definitivamente a carico dei convenuti in solido le spese di (...) come liquidate in corso di causa.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE nella persona del Giudice dottoressa (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. r.g. 9258/2020 promossa da: (...) (C.F. (...)) nato a (...) l'8/04/1987 e (...) (C.F. (...)) nata a (...) il (...), in proprio e quali genitori esercenti la responsabilità genitoriale sui minori (...) (C.F. (...)), nato a (...) il (...), (...) (C.F. (...)) nato a (...) il (...) e (...) (C.F. (...)), nato a (...) il (...), tutti residenti a (...), in via (...) n. 10, rappresentati e difesi dall'Avv. (...) (C.F. (...)) del foro di (...) ed elettivamente domiciliati presso il di lui studio in (...)# e (...) 31/5 ATTORI contro (...) nata a (...) il (...) e residente in (...)# Tobbiana in (...) n. 20. c.f. (...), rappresentata e difesa dall'avvocato (...) c.f. (...), del (...) di (...) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio professionale in (...) in Via dello (...) 2/D, come da procura ed indirizzo telematico in atti; (...) di (...) c.f. (...), in persona del legale rappresentante e dirigente scolastico in carica, IL MINISTERO (...) in persona del (...) pro tempore, elettivamente domiciliato in Via degli (...) 4 - C.A.P. 50100 presso l'Avvocatura dello Stato - (...) di (...) (CONVENUTI) (...) s.p.a., c.f. (...), in persona del legale rappresentate e procuratore in carica (...) rappresentata e difesa dall'avvocato (...) c.f. (...), ed elettivamente domiciliata presso il suo studio professionale in (...) in (...) 8. TERZA CHIAMATA IN GARANZIA CONCLUSIONI Nell'interesse di parte attrice: In via principale, - accertare e dichiarare la responsabilità civile della (...)ra (...) in solido con l'(...) di (...) ed il Ministero dell'(...) dell'(...) e della (...) in ordine ai fatti di causa per le motivazioni dedotte in narrativa; - e per l'effetto condannare le parti convenute, in solido tra loro, al rimborso di tutte le spese sostenute, nonché al pagamento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali, compreso il danno morale e il danno riflesso da macroleso, nessuno eccettuato o escluso, patiti e patiendi, riportati dagli attori in dipendenza dell'evento lesivo, nella misura descritta in narrativa, ovvero nella misura emersa a seguito dell'espletata CTU medico-legale; - il tutto con rivalutazione monetaria ed interessi dalla domanda al saldo; - (...) le spese di giudizio di cui lo scrivente procuratore si dichiara antistatario". Nell'interesse della parte convenuta (...) Voglia l'Ill.mo (...) di (...) contrariis reiectis, - in via principale, rigettare le domande formulate da parte attrice, ciascuno nella propria veste, poiché infondata in fatto e diritto; - in via subordinata, accertare e dichiarare, nei limiti del provato, la responsabilità della (...)ra (...) in solido con gli altri convenuti e per l'effetto condannarLi al ristoro dei danni accertati in corso di causa. - (...) di spese ed onorari di giudizio". Nell'interesse dell'(...) scolastico e del Ministero: In via pregiudiziale, nel rito, dichiarare il difetto di legittimazione passiva delle (...) convenute; - in via preliminare, nel rito, dichiarare la nullità dell'atto di citazione e, per l'effetto, adottare i provvedimenti di cui all'art. 164 c.p.c.; - in via ulteriormente preliminare, disporre lo spostamento della prima udienza allo scopo di consentire la chiamata in causa di (...) allo scopo di ottenere la condanna di quest'ultima a tenere indenne l'(...) da qualsiasi conseguenza pregiudizievole in forza di quanto stabilito nel contratto di assicurazione, nonché di rimborsare le spese sostenute nel presente giudizio; - nel merito rigettare le domande di parte attrice, perché infondate in fatto e in diritto per quanto detto in narrativa; - in denegata ipotesi di accoglimento della richiesta, accertare e ridurre il risarcimento per concorso di colpa del danneggiato ex art. 1227 c.c.; - con vittoria di spese e di onorari. Nell'interesse dell'impresa assicuratrice: in via istruttoria domanda la rinnovazione della consulenza tecnica con sostituzione dei consulenti tecnici; - nel merito dichiarare non dovuta l'indennità da (...) con vittoria delle spese di lite. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione gli istanti hanno convenuto in giudizio il plesso scolastico (...) statale di (...), il Ministero dell'(...) ed (...) insegnante di scuola materna, per ottenere il risarcimento di tutti i danni da lesioni subiti dagli stessi e dai loro figli a seguito dei ripetuti maltrattamenti inferti dall'insegnante (...) al minore (...) durante la sua permanenza nella scuola materna presso l'(...) per un periodo compreso nell'anno scolastico 2017-2018 fino a tutto il mese di giugno del 2018. A sostegno delle proprie ragioni, gli attori hanno dedotto che: - dopo ripetute segnalazioni di disagi dei piccoli studenti, e denuncia degli stessi istanti, i (...) di (...) predisponevano indagini su quanto avveniva presso la locale scuola materna, anche mediante intercettazioni ambientali ed audiovisive; - a seguito di questa attività emergevano i gravi comportamenti assunti da (...) durante le sue ore di insegnamento, in particolare nei confronti di (...) - alla maestra (...) veniva quindi applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari, la stessa veniva sospesa dall'insegnamento, e, infine, processata per il reato di maltrattamenti aggravati previsto dall'articolo 572 c.p.; - prima del dibattimento (...) chiedeva ed otteneva l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p., con condanna ad anni uno e mesi undici di reclusione sospesa e subordinata allo svolgimento di lavori di pubblica utilità con la sentenza numero 81 del Giudice delle (...) del (...) di (...) depositata il 7 marzo 2019, divenuta irrevocabile. (...) si è costituita nel presente giudizio, negando la sussistenza degli episodi di maltrattamenti e la valenza, nel procedimento civile, della sentenza penale di patteggiamento; ha chiesto quindi il rigetto delle domande attrici perché non provate anche in relazione all'entità del risarcimento preteso. Si sono costituiti anche l'(...) scolastico ed il Ministero, eccependo preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva, chiedendo e ottenendo ancora in via preliminare di chiamare in causa la società assicuratrice (...) S.p.A., garante dell'(...) scolastico per i rischi da responsabilità civile, e deducendo poi l'infondatezza in fatto ed in diritto delle richieste delle controparti. In particolare il Ministero ha negato la propria responsabilità quella dell'istituto per culpa in eligendo e in vigilando. (...) è stata in servizio presso l'(...) scolastico di (...) sin dal 1993 ed è stata assunta a tempo indeterminato alle dipendenze dell'(...) dell'(...) a partire dal 1settembre 1981 (oggi in pensione, dal 31 agosto 2019). Non v'è dubbio quindi che la docente fosse in possesso dei titoli per poter svolgere il proprio incarico. Inoltre, la docente ha sempre goduto di ottima stima da parte dei colleghi e dei genitori. La sua professionalità e stata sempre apprezzata, sia nella gestione dei gruppi classe, sia per la realizzazione di iniziative didattiche particolari, quali l'organizzazione di feste aperte a genitori e bambini e la messa in scena di spettacoli a fine anno scolastico. Ogni anno i bambini della scuola della frazione di (...) ove ella lavorava, realizzavano uno spettacolo teatrale di gran pregio che vedeva la partecipazione anche degli alunni della scuola primaria e della secondaria. Alla realizzazione di questi spettacoli contribuivano molti genitori che aiutavano le maestre nell'allestimento e nell'organizzazione generale, partecipando molte volte alle prove, che si svolgevano anche oltre l'orario scolastico. Ogni anno veniva rappresentato un nuovo spettacolo, portato in scena in vari teatri locali e non solo. Per molti anni la scuola partecipava a concorsi, quali la rassegna nazionale "(...) nella scuola" di (...) di (...) (primo premio), quella di (...) ad (...) o quella di (...) Inoltre, ogni anno sono state organizzate feste di fine anno, anche in ragione delle pressanti richieste di molti genitori, così come lo spettacolo di giugno 2017, che è stato replicato per due volte su richiesta dei genitori del consiglio di istituto e della (...) che si è fatta portavoce delle richieste a lei pervenute in quanto molti apprezzavano il lavoro compiuto dalla docente (...) Con specifico riferimento all'attività scolastica, merita inoltre segnalare che nell'anno scolastico 2015/2016 la maestra (...) era così apprezzata per la sua professionalità da parte del collegio dei docenti, che da questo è stata nominata tutor di una insegnante in prova al primo anno di contratto a tempo indeterminato. Non vi erano, quindi, indici che potevano far in alcun modo dubitare la scuola sulla professionalità e sulle capacità della professoressa (...) Anche dopo il trasferimento dalla scuola di (...) a quella di (...) l'(...) ha poi cercato di formare i docenti, tra cui la maestra (...) in modo da supportarli nel nuovo e più grande ambiente di (...) In particolare, la docente in questione ha potuto interagire quotidianamente con la fiduciaria di plesso, con i collaboratori del Dirigente e con il Dirigente stesso; molteplici sono state le azioni di sostegno organizzate dall'ente pubblico. In conseguenza, le avverse censure relative a un'errata scelta della docente in questione sono del tutto infondate e dovranno essere rigettate. Nel merito, infondatezza della pretesa risarcitoria per insussistenza di prove. (...) procedimento viene instaurato non solo al fine di richiedere la riparazione dei danni subiti dall'alunno (...) ma anche per quelli asseritamente cagionati al padre, alla madre e ai fratelli dell'alunno, (...) e (...) Anche sotto questo profilo, non si può fare a meno che contestare l'infondatezza di ogni pretesa risarcitoria, per assenza della prova necessaria a dimostrare gli elementi costitutivi della responsabilità; manca, infatti, l'allegazione circa l'obiettiva sussistenza di un danno - evento subito dal genitore e, altresì, del pregiudizio sofferto (c.d. danno - conseguenza) - dal momento che controparte ha prodotto esclusivamente un parere medico, che ha valore di una mera consulenza tecnica di parte: un eventuale riconoscimento del risarcimento del danno darebbe pericolosamente origine a un'ipotesi di responsabilità in re ipsa al di fuori dei casi espressamente tipizzati, finendo per annullare la funzione esclusivamente riparatoria (e non punitiva) della responsabilità civile. Nel caso di specie, si osserva che, nell'anno 2017/2018, il piccolo (...) - di tre anni - è stato inserito nella sezione affidata alla docente (...) Il bambino presentava dall'inizio problematiche particolari, in quanto - sin dal momento dell'inserimento - portava il pannolino e necessitava di essere cambiato più volte durante il giorno. Nonostante il percorso intrapreso con la famiglia, affinché il bambino potesse imparare ad andare in bagno, la situazione non migliorava. Le collaboratrici scolastiche manifestavano la propria preoccupazione perché l'alunno si rifiutava di essere cambiato e temevano che potesse tornare a casa con tumefazioni. Pertanto, il Dirigente scolastico aveva disposto di non cambiare più il bambino autonomamente, ma di chiamare ogni volta i genitori. Nel corso dell'anno scolastico 2018/2019 il piccolo (...) è stato poi trasferito in altra scuola dell'infanzia. Con riferimento ai fratelli più grandi (...) e (...) invece, gli stessi hanno partecipato alla vita scolastica sempre con interesse e impegno, come risulta dai giudizi espressi nelle schede di valutazione allegate. Gli stessi alunni hanno frequentato la scuola dell'infanzia di (...) capoluogo e hanno partecipato alle attività didattiche svolte anche dalla docente (...) ma non risultano fatti particolari. Gli odierni attori, comunque, non hanno provato i danni concretamente subiti. Quanto poi alla pretesa risarcitoria, l'avvocatura deduce che le parti attrici producono un parere medico, che tuttavia ha valore solo di consulenza tecnica di parte (Cass. civ. sez. lav. 10/12/2002, n. 175556; Cass. civ. sez. III, 18/04/2001, n. 5687; Cass. civ. sez. II, 29/08/1997, n. 8240). Ha eccepito la moltiplicazione ingiustificata delle poste risarcitorie (nella parte in cui si riferisce a diverse voci di danno, ossia biologico, morale, esistenziale) in contrasto con il celebre insegnamento delle (...) 2008 n. 26972 (c.d. sentenze (...). In ogni caso, nelle denegata ipotesi di riconoscimento della responsabilità civile in capo al Ministero adito, ha chiamato in garanzia la sua assicuratrice e ha chiesto di tenere in considerazione gli eventuali altri effetti vantaggiosi attribuiti al danneggiato in occasione dell'illecito, in virtù dell'(...) della compensatio lucri cum damno. Infatti, in base al principio di c.d. indifferenza, il risarcimento non deve impoverire il danneggiato, ma neppure arricchirlo, sicché non può creare in favore di quest'ultimo una situazione migliore di quella in cui si sarebbe trovato se il fatto dannoso non fosse avvenuto, immettendo nel suo patrimonio un valore economico maggiore della differenza patrimoniale negativa indotta dall'illecito. Inoltre, in denegata ipotesi di riconoscimento della responsabilità civile in capo al Ministero adito, si chiede fin d'ora all'On.le (...) di ridurre il risarcimento del danno dovuto alle odierne controparti in ragione del concorso di colpa del danneggiato ex art. 1227 c.c., in virtù della mancata tempestiva segnalazione da parte dei genitori. Per la denegata ipotesi di accoglimento della domanda avversaria, si deduce ulteriormente che, in forza del contratto di assicurazione stipulato con (...) per rischi da responsabilità civile e allegato alla presente comparsa, l'(...) ha diritto ad essere garantita dalla società di assicurazione, poiché l'oggetto del giudizio rientra perfettamente gli eventi assicurati e la copertura assicurativa era sussistente al momento del sinistro per cui è causa. Pertanto si chiede che, nella denegata ipotesi in cui venisse riconosciuto il diritto al risarcimento del danno in favore degli attori, (...) in forza di quanto stabilito nel contratto di assicurazione, venga condannata a tenere indenne l'(...) scolastica da qualsiasi conseguenza pregiudizievole e delle eventuali somme corrisposte all'attore e, in ogni caso, a norma dell'art. 1917, comma 3 c.c., vengano condannate alla rifusione delle spese sostenute per resistere all'azione degli odierni attori. Si è, infine, costituita la società (...) chiamata in garanzia, la quale mentre non ha contestato la sussistenza di una valida polizza stipulata dal Ministero dell'istruzione al momento dei fatti (2017 e 2018) e mentre non ha contestato di dover rispondere di fatti anche dolosi compiuti dai dipendenti del Ministero e di cui dunque quest'ultimo debba rispondere, ha tuttavia negato che la polizza debba essere applicata in questo caso per difetto di prova circa gli episodi denunciati dagli attori. In particolare ha dedotto che non sembra essere stata raggiunta la prova certa di singole specifiche condotte non legittime poste in essere dalla maestra (...) nei confronti del piccolo (...) Nella contestata ipotesi nella quale il Ministero dell'(...) e/o l'(...) di (...) fossero ritenuti nella causa principale responsabili in via solidale per i pretesi fatti dolosi commessi dalla (...) è evidente che il datore di lavoro Ministero dell'(...) è titolare del diritto di regresso nei confronti di (...) diritto che avrebbe dovuto diligentemente essere esercitato nell'attuale giudizio e che non è stato esercitato con l'inevitabile conseguenza che gli eventuali effetti pregiudizievoli dovranno essere posti a carico della convenuta e non dell'assicuratore della responsabilità civile. Per completezza difensiva (...) rileva che la garanzia assicurativa è prestata con il limite del massimale e della franchigia pattuiti tra le parti. Nell'ipotesi in cui fosse ritenuta sussistente una responsabilità di (...) la causa dei danni sarebbe comunque riferibile (non ad una reale situazione di pericolo imputabile ad un'attività/inattività colposa riconducibile alle pubbliche amministrazioni convenute, ma) ad un evento imprevedibile commesso dalla maestra (...) al di fuori di un qualsiasi rapporto di occasionalità necessaria: in realtà si configura una condotta del tutto estranea alle pretese mansioni affidategli ovvero realizzata per finalità proprie alle quali il preponente non era in nessun modo interessato o compartecipe e non per finalità coerenti con quelle in vista delle quali le mansioni gli erano state affidate ; - il giudice di legittimità ritiene infatti che sia riferibile all'amministrazione pubblica esclusivamente l'attività posta in essere dal dipendente pubblico che "si manifesti come esplicazione dell'attività dell'ente pubblico, e cioè tenda, sia pure con abuso di potere, al conseguimento dei fini istituzionali di questo nell'ambito delle attribuzioni dell'ufficio o del servizio cui il dipendente è addetto; tale riferibilità viene meno, invece, quando il dipendente agisca come un semplice privato per un fine strettamente personale ed egoistico che si riveli assolutamente estraneo all'amministrazione -o addirittura contrario ai fini che essa persegueed escluda ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell'agente, atteso che in tale ipotesi cessa il rapporto organico fra l'attività del dipendente e la P.A." (vedi sul tema le decisioni di Cass. 5/11/2018 n.28079, Cass. 12/4/2011 n.48306, Cass. 14 8/10/2007 n.20986 e Cass. 21/11/2006 n.24744); - nell'ipotesi in esame è evidente che il ricorso della docente (...) alla violenza al fine di mantenere l'ordine (se il Giudice riterrà dimostrato nel giudizio in corso le singole specifiche condotte violente nei confronti del piccolo (...) che sono oggi contestate alla maestra (...) costituisce sicuramente un comportamento assolutamente estraneo e contrario ai fini educativi propri della scuola. La causa, una volta integrato il contraddittorio, è stata istruita con prove documentali, testimoniali e CTU mediche, ed è stata assegnata a sentenza in data (...); viene ora decisa. Le domande attrici risultano fondate e meritano l'accoglimento. MOTIVI La domanda va accolta per i seguenti motivi. sull'eccezione di carenza di legittimazione passiva formulata dalle amministrazioni pubbliche sul presupposto della condotta dolosa addebitabile solo alla parte responsabile se ne rileva l'infondatezza; sul punto, oltre che richiamare l'articolo 28 della Costituzione è sufficiente riportarsi alla fondamentale, ed insuperata, sentenza Cassazione civile a sezioni unite 13246/19: "Lo Stato o l'ente pubblico risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del suo dipendente anche quando questi abbia approfittato delle proprie attribuzioni ed agito per finalità esclusivamente personali od egoistiche ed estranee a quelle della amministrazione di appartenenza, purché la sua condotta sia legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri che esercita o di cui è titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa - e, quale sua conseguenza, il danno ingiusto a terzi - non sarebbe stato possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base ad un giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta, senza l'esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviati o abusivi od illeciti, non ne integri uno sviluppo oggettivamente anomalo."; poiché la parte convenuta (...) al momento degli eventi dolosi, era una insegnante statale nel regolare esercizio delle sue funzioni, non può non applicarsi questo principio. (2) Nel merito va affermata la responsabilità di (...) che è, senza dubbio, venuta gravemente meno ai suoi compiti e ai suoi doveri di insegnante statale materna. Difatti le prove orali raccolte in giudizio (5 testimoni) unitamente agli atti delle indagini penali con i video dei maltrattamenti sofferti da (...) ed altri bambini ad opera della maestra (...) giustificano la condanna solidale dei convenuti come richiesto dagli attori. Da tali prove emerge che la (...) era solita violare il regolamento scolastico che imponeva di tenere aperta la porta dell'aula e che dunque, con la porta chiusa, vessava i bambini di tenera età strattonandoli e minacciandoli, umiliandoli e facendo loro soffrire delle vessazioni traumatizzanti come capitato al piccolo (...) al quale venne persino conficcata nel naso la parte di una spugnetta impiegata nelle attività didattiche, pezzetto di spugna poi fuoruscita quando era a casa sua, alla presenza di alcuni testimoni. La zia (...) ha in particolare riferito dei segni delle contusioni ossia lividi nella schiena del piccolo e dell'episodio fortemente traumatizzante ed umiliante della spugnetta conficcata nel naso del bambino da parte della maestra (...) "Capo 12 vero e non erano le contusioni che aveva, ce n'erano tante altre soprattutto quella del naso; a domanda risponde: in quel periodo che ho notato queste contusioni abitavo da mia sorella; io sto con i miei genitori a (...) ((...). Capo 13 assolutamente si aveva il naso nero si vedeva ad occhio, in più emanava una gran puzza, credevano fosse un batterio e in realtà chiesi a (...) di soffiarsi il naso e gli è uscito un pezzo di spugna e non era una spugna normale, era una spugna che visibilmente veniva usata per dipingere con le tempere ed era di color blu. Capo 14: vero io l'ho sentito proprio da mio nipote (aveva 3 anni) In ogni caso, e come già indicato, nel presente giudizio si ritiene provata la responsabilità civile dell'insegnante e, di conseguenza, quella degli enti pubblici per cui lavorava - (...) di (...) e (...) - e di cui era dipendente, e, infine, della società (...) chiamata in garanzia in forza del contratto assicurativo non contestato. Sulle eccezioni di (...) e del convenuto (...) deve osservarsi che i fatti ascritti alla (...) non sono capitati come un fulmine a ciel sereno, ma si sono verificati per un lungo lasso temporale, nel 2017 e nel 2018, e, come emerge dagli atti penali prodotti, avevano interessato molti altri bambini e famiglie con lamentele delle stesse; inoltre si erano verificate anche delle segnalazioni delle colleghe della (...) per alcuni suoi comportamenti di mancanza di rispetto delle regole della scuola, e dette colleghe hanno anche riferito di una prassi anomala della medesima maestra, quella cioè, facilitante gli abusi, di tener la porta dell'aula chiusa in contrasto con le disposizioni date dal dirigente scolastico, il quale aveva precipui doveri di controllo sull'osservanza delle stesse, doveri di controllo che sono stati evidentemente del tutto disattesi. Difetta dunque il caso fortuito, l'imprevedibilità di quelle condotte, la loro totale estraneità ad ogni possibile immaginazione, trattandosi anzi di condotte che è stato dimostrato (con testi e documenti di causa) essere precipuamente riferibili a fatti illeciti della maestra (...) dipendente del (...) dell'(...) condotte per giunta reiterate nel tempo, e certamente dipanatesi in un contesto che avrebbe dovuto indurre il dirigente dell'istituto scolastico ad assumere provvedimenti diligenti e solleciti al fine della vigilanza sull'operato dei suoi dipendenti e per la tutela dei bambini affidati all'(...) Sono qui soddisfatti gli oneri probatori posti e carico del danneggiato come ribaditi da cass. Sez. 3 - , Sentenza n. 5118 del 17/02/2023. QUANTIFICAZIONE DANNI Per la liquidazione dei danni da lesioni richiesti dagli attori ci si riporta alla consulenza d'ufficio che ha verificato la sussistenza di un danno biologico patito da (...) e, di conseguenza, dai suoi genitori; mentre non hanno avuto seguito istruttorio le richieste di risarcimento degli altri due minori. Invero il CTU medico legale, coadiuvato da un consulente psichiatrico ausiliario, ha riconosciuto nel piccolo (...) di soli 4 anni all'epoca dei fatti, l'esistenza di una grave patologia da (...) da (...) in relazione causale con i comportamenti vessatori dell'insegnate della scuola d'infanzia, anche senza poter escludere un certo grado di disturbo presente nel bimbo già prima di quegli eventi, anche se di grado medio-lieve. (...) peritale d'ufficio, e i successivi chiarimenti, redatti dai dottori (...) e (...) hanno riconosciuto per (...) un danno permanente pari al 20% ed una invalidità temporanea di tre mesi al 50% ed altri tre mesi al 25%. Si ottengono così i conteggi di seguito riportati, con la precisazione che si ritiene di applicare agli stessi, in considerazione della peculiarità della fattispecie in esame, come da Cassazione 12408/2011, sia l'incremento massimo per sofferenza soggettiva, vista l'imprevedibile e triste vicenda abbattutasi sul bambino, che la personalizzazione massima del danno non patrimoniale, valutata la gravità degli episodi subiti da un soggetto in tenerissima età e già in difficoltà per un esordio di disturbo oppositivo provocatorio, con purtroppo prevedibili risultanze negative che si protrarranno nel tempo, come testualmente riportato a pagina 12, punto 3, della consulenza tecnica d'ufficio e dei chiarimenti richiesti: (...) di riferimento: (...) di (...) 2021 (...) per (...) di riferimento: (...) di (...) 2021 Età del danneggiato alla data del sinistro 4 anni (...) di invalidità permanente 20% Punto danno biologico Euro 3.277,87 Incremento per sofferenza soggettiva (+ 36%) Euro 1.180,03 Punto danno non patrimoniale Euro 4.457,90 Punto base I.T.T. Euro 149,00 Giorni di invalidità temporanea totale 0 Giorni di invalidità temporanea parziale al 75% 0 Giorni di invalidità temporanea parziale al 50% 90 Giorni di invalidità temporanea parziale al 25% 90 (...) biologico risarcibile Euro 64.574,00 (...) non patrimoniale risarcibile Euro 87.821,00 Con personalizzazione massima (ma(...) 39% del danno biologico) Euro 113.005,00 Invalidità temporanea parziale al 50% Euro 6.705,00 Invalidità temporanea parziale al 25% Euro 3.352,50 Totale danno biologico temporaneo Euro 10.057,50 Totale generale: Euro 97.878,50 Totale con personalizzazione massima Euro 123.062,50 Pertanto, la somma totale di 123.062,50 Euro a favore di (...) Si attribuisce la massima personalizzazione del danno per la gravità dei fatti occorsi al piccolo (...) in un ambiente che avrebbe dovuto proteggerlo, per la efferatezza delle modalità in cui il bambino è stato vessato all'asilo, come emerso dalle deposizioni dei testi e prove documentali, elementi che hanno presuntivamente causato un significativo danno morale, distinto da quello biologico-organico e che dunque va liquidato ulteriormente. Da notare che secondo un certo orientamento della Cassazione il danno morale va liquidato persino in aggiunta alla personalizzazione del danno tabellato, affermandosi la differenza ontologica del danno morale rispetto alle voci del danno biologicodinamico e relazionale. In ogni caso qui sussiste anche un significativo danno relazionale, perché, come si legge nella ctu e nei chiarimenti, resi da specialisti in medicina legale e in psichiatria infantile, è emerso che i comportamenti vessatori illeciti della maestra (...) hanno causato un disturbo post-traumatico da stress di significativa entità (20%), in un soggetto che aveva di base un disturbo oppositivo provocatorio in fase di esordio (stimata al 5%), con la conseguenza che questo ha determinato quanto meno una perdurante difficoltà relazionale, ma, secondo la letteratura scientifica riferita dal ctu e suo ausiliario, questo quadro è suscettibile di evolvere in peius verso fenomeni dissociativi, depressivi, disturbi alimentari, così compromettendo durevolmente la vita di relazione di (...) e di riflesso dei suoi genitori. Dunque si liquida a (...) la somma di euroEuro 123.062,50 a valori attuali. Tale danno, liquidato secondo le tabelle milanesi che meglio rappresentano l'equità del caso concreto e che sono state giudicate estensibili su tutto il territorio nazionale (vd. sent. cass. 12408/2014), rappresenta l'equivalente monetario attuale del bene della vita perduto, ovvero del danno all'integrità fisica e dei danni collaterali sul versante esistenziale, della vita di relazione e morale; tali tabelle infatti, apprezzano in modo omnicomprensivo, tutte le conseguenze che normalmente si associano a quella percentuale di lesione all'integrità fisica, conseguenze sul versante esistenziale, della vita di relazione e della sofferenza subita dal danneggiato, sia in termini di danno morale che di danno psichico contingente. In considerazione del principio dell'integralità del risarcimento, però, il danneggiato deve essere risarcito anche per il danno da ritardo; infatti, trattandosi di debito da fatto illecito, sorge una mora ex re dal giorno del fatto, e la liquidazione non immediata ha presuntivamente causato un ulteriore danno al danneggiato per il ritardato risarcimento, che deve essere apprezzato a fini liquidatori, secondo l'insuperata sentenza della Corte di Cassazione a s. u. n. 1712/1995; pertanto, deve procedersi alla devalutazione dei valori tabellari alla data del fatto, e successivamente deve applicarsi la rivalutazione secondo indici istat con interessi legali sulla somma via via rivalutata anno per anno fino all'effettivo pagamento. Quanto ai due genitori, la consulenza riconosce pure ad essi un danno permanente di tipo psichiatrico, sotto forma di disturbo dell'adattamento, di grado lieve al 6%, con inabilità temporanea di mesi 3 al 25% e di mesi 3 al 15%. Per i motivi anzi detti anche tale danno sofferto dai genitori, va liquidato con la massima personalizzazione ivi comprendendovi danno morale e relazionale; paiono infatti condivisibili le valutazioni del ctu e del suo ausiliario, laddove sottolineano le difficoltà e l'impegno che questi due genitori dovranno sostenere per far fronte alle conseguenze del fatto illecito per cui è causa e che si traduce in una negativa alterazione del comportamento del figlio, che aggrava il disturbo provocatorio ed oppositivo che aveva all'inizio in fase di esordio e che determina quindi un aggravamento stabile delle difficoltà relazionali del figlio e che potrebbe anche evolvere verso forme dissociative, disturbi alimentari e stati depressivi; tutto ciò ridonda già ora e ridonderà per il futuro evidentemente sulla vita dei genitori che devono occuparsene. (...) del padre (...) di riferimento: (...) di (...) 2021 Età del danneggiato alla data del sinistro 31 anni (...) di invalidità permanente 6% Punto danno biologico Euro 1.648,30 Incremento per sofferenza soggettiva (+ 25%) Euro 412,08 Punto danno non patrimoniale Euro 2.060,38 Punto base I.T.T. Euro 149,00 Giorni di invalidità temporanea totale 0 Giorni di invalidità temporanea parziale al 75% 0 Giorni di invalidità temporanea parziale al 25% 90 Giorni di invalidità temporanea parziale al 15% 90 (...) biologico risarcibile Euro 8.406,00 (...) non patrimoniale risarcibile Euro 10.508,00 Con personalizzazione massima (ma(...) 50% del danno biologico) Euro 14.711,00 Invalidità temporanea parziale al 25% Euro 3.352,50 Invalidità temporanea parziale al 15% Euro 2.011,50 Totale danno biologico temporaneo Euro 5.364,00 Totale generale: Euro 15.872,00 Totale con personalizzazione massima Euro 20.075,00 (...) della madre (...) di riferimento: (...) di (...) 2021 Età del danneggiato alla data del sinistro 30 anni (...) di invalidità permanente 6% Punto danno biologico Euro 1.648,30 Incremento per sofferenza soggettiva (+ 25%) Euro 412,08 Punto danno non patrimoniale Euro 2.060,38 Punto base I.T.T. Euro 149,00 Giorni di invalidità temporanea totale 0 Giorni di invalidità temporanea parziale al 75% 0 Giorni di invalidità temporanea parziale al 25% 90 Giorni di invalidità temporanea parziale al 15% 90 (...) biologico risarcibile Euro 8.456,00 (...) non patrimoniale risarcibile Euro 10.570,00 Con personalizzazione massima (ma(...) 50% del danno biologico) Euro 14.798,00 Invalidità temporanea parziale al 25% Euro 3.352,50 Invalidità temporanea parziale al 15% Euro 2.011,50 Totale danno biologico temporaneo Euro 5.364,00 Totale generale: Euro 15.934,00 Totale con personalizzazione massima Euro 20.162,00 La somma finale complessiva delle tre partizioni del risarcimento da danni da lesioni a favore degli istanti è pari a 163.300,00 Euro, e dal momento che trattasi di equivalente in moneta del risarcimento dell'integrità fisica per fatti evidentemente illeciti, essa va prima devalutata al mese di giugno 2018 e successivamente rivalutata anno per anno applicando gli interessi legali sulla somma via via rivalutata fino al soddisfo, come da sent. Cassazione, sezione unite, 1172/1995. A questa cifra sono da aggiungere Euro 6.282,66 come spese mediche, anche per la consulenza d'ufficio, e di parte e perizie di parte comprovate dagli attori marche e contributo unificato e marca (vd. Nota allegata alla memoria conclusionale di replica e documenti di riferimento). Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano, nella misura indicata in dispositivo, come da richiesta di notula in atti, sia pure inferiore al valore dei compensi medi, e con l'attribuzione diretta a favore dell'avvocato (...) dichiaratosi antistatario. Le spese di ctu vanno poste definitivamente a carico dei convenuti in solido con manleva dell'assicuratrice (...) che in base alla polizza garantisce capitale interessi e spese del giudizio. (...) dovrà tenere indenne il (...) dell'(...) contraente di polizza, dalle conseguenze pregiudizievoli della presente sentenza. P.Q.M. (...) con sentenza che definisce il giudizio 1) accertata la responsabilità della maestra (...) e del (...) dell'(...) convenuti, li condanna in solido al pagamento di complessivi a 163.300,00 Euro a favore di (...) e (...) in proprio e nella qualità di genitori del figlio (...) secondo quanto specificato in parte motiva, somma prima da devalutare a giugno 2018 e poi rivalutare anno per anno applicando sulla somma via via rivalutata, gli interessi al tasso di legge fino al soddisfo; 2) condanna la maestra (...) e del (...) dell'(...) convenuti, al risarcimento in favore degli attori, del danno patrimoniale in Euro 6.282,66 oltre interessi dal dì dell'expensum fino al soddisfo; 3) condanna le parti convenute in solido al pagamento delle competenze legali di 10.860,00 Euro a favore dell'avvocato antistatario (...) oltre accessori di legge. 4) Pone le spese di ctu definitivamente a carico dei convenuti in solido. 5) In accoglimento della domanda di garanzia, condanna (...) a tenere indenne il (...) dalle conseguenze pregiudizievoli della presente sentenza, in virtù della polizza assicurativa, sia per capitale che per interessi e spese. Così deciso in Firenze il 2 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 2 aprile 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta da: Dott. ANDREAZZA Gastone - Presidente Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. DI STASI Antonella - Consigliere Dott. REYNAUD Gianni Filippo - Relatore Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: 1) Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Castrovillari nel procedimento a carico di 2) Sa.Ma., n. a R il (omissis) 3) Mo.Ca., n. a R il (omissis) avverso l'ordinanza del 20/09/2023 del G.i.p. del Tribunale di Castrovillari; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Stefano Tocci, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata nei confronti di Sa.Ma. e la declaratoria di inammissibilità del ricorso nei confronti di Mo.Ca. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 20 settembre 2023, il G.i.p. del Tribunale di Castrovillari, all'esito dell'udienza di convalida del fermo di Sa.Ma. e Mo.Ca., indagati dei reati di violenza sessuale di gruppo e cessione alla persona offesa di tale reato di sostanza stupefacente, non ne ha convalidato il fermo e ha disposto nei confronti del primo la misura cautelare della custodia in carcere, rigettando invece la richiesta di analoga misura nei confronti del secondo, disponendone l'immediata liberazione. 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il suddetto Tribunale, deducendo la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione per travisamento di un fondato elemento di fatto, vale a dire che nel corso della perquisizione domiciliare eseguita nei confronti dell'indagato Sa.Ma., in uno stanzino adiacente alla camera da letto del medesimo, era stata trovata una valigia semiaperta contenente abbigliamento riferibile all'indagato. Nella richiesta di convalida del fermo si era allegato che nei confronti degli operanti egli aveva spontaneamente riferito che "era uscito dal carcere da quasi un mese e che era sua intenzione andare a vivere fuori poiché qui a R. non stava più bene". Diversamente da quanto affermato nell'ordinanza impugnata, dunque, la richiesta di convalida del fermo non poggiava su una "tesi" fondata su mere "allegazioni", ma sulle parole degli indagati aventi portata confessoria e su fatti inequivoci dimostrativi della loro volontà di darsi alla fuga. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Pur sussistendo l'interesse del pubblico ministero a ricorrere avverso l'ordinanza di rigetto della richiesta di convalida del fermo di indiziato di delitto, in ragione del principio generale per cui è sempre necessaria la verifica di legittimità dell'arresto e del fermo (cfr., di recente, Sez. 1, n. 37634 del 23/03/2023, Uzdienov, Rv. 285283), nel caso di specie il ricorso è inammissibile non solo con riguardo alla posizione dell'indagato Mo.Ca. - come richiesto dallo stesso Procuratore generale - ma anche in relazione al coindagato Sa.Ma. 2. In diritto va premesso che, in tema di convalida del fermo, l'apprezzamento del pericolo di fuga - in quanto valutazione prognostica, discrezionalmente vincolata a specifici e concreti elementi di fatto, in ordine alla rilevante plausibilità che l'indagato, se lasciato in libertà, si sottragga alla pretesa di giustizia - è insindacabile in sede di legittimità, ove si caratterizzi per uno sviluppo argomentativo logico e consequenziale quanto al significato da attribuire, secondo canoni di ragionevolezza, alle emergenze procedimentali (Sez. 2, n. 2935 del 15/12/2021, dep. 2022, Sylla, Rv. 282592; Sez. 2, n. 33531 del 16/06/2021, Ferrara, Rv. 281861). Il pericolo di fuga non può essere presunto sulla base del titolo di reato in ordine al quale si indaga, ma deve essere fondato su elementi specifici, ossia dotati di capacità di personalizzazione, desumibili da circostanze concrete (Sez. 2, n. 26605 del 14/02/2019, Hossain, Rv. 276449-02, che ha annullato senza rinvio il provvedimento di convalida per difetto dei presupposti di legge, avendo il giudice richiamato a tal fine il contegno mantenuto dal solo coindagato, senza individuare alcun elemento specifico riferito al comportamento del ricorrente). 3. In applicazione del principio di diritto da ultimo richiamato, è evidente come il ricorso sia inammissibile per manifesta infondatezza con riguardo alla posizione dell'indagato Mo.Ca., posto che il pubblico ministero ricorrente allega l'omessa valutazione di circostanze di fatto che riguardano il solo coindagato Sa.Ma., senza neppure provare ad argomentare perché le stesse dovrebbero essere riferite anche al primo e quali sarebbero gli elementi che dovrebbero indurre a ritenere concreto, nei suoi confronti, il pericolo di fuga. 4. Quanto alla posizione di Sa.Na., il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi non consentiti e, in ogni caso, per irrimediabile genericità. 4.1. Quanto al primo aspetto, va rilevato che, a fronte dell'insussistenza del pericolo di fuga, secondo l'ordinanza impugnata "non sia evincibile dall'esame complessivo della vicenda", la doglianza del ricorrente si fonda sul "travisamento di un fondato elemento di fatto". È noto, tuttavia, che anche a seguito della modifica apportata all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta dal giudice di merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507), così come non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico e a., Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362). 4.2. Volendo intendere la doglianza come travisamento del dato probatorio (la valigia rinvenuta semiaperta in uno stanzino adiacente la camera da letto dell'indagato e la sua spontanea dichiarazione circa l'intenzione di trasferirsi da R.), va rilevato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, tale vizio ricorre quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva (Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, Borriello, Rv. 276567; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499). Il vizio, peraltro, deve risultare dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, ed è ravvisabile ed efficace solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell'elemento frainteso o ignorato, ferma restando, tra l'altro, l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 5, del 02/07/2019, S., Rv. 277758; Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio e a., Rv. 258774). Quanto al primo dei cennati profili, il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere coerente e logica rispetto agli elementi di prova in essa rappresentati ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica. Sotto il secondo profilo, la motivazione non deve risultare incompatibile con altri atti del processo indicati in modo specifico ed esaustivo dal ricorrente nei motivi del suo ricorso (c.d. autosufficienza), in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr. Sez. 2, n. 38800 del 01/10/2008, Gagliardo e a., Rv. 241449), essendo indispensabile l'inequivoca e specifica rappresentazione degli atti processuali su cui fa leva il motivo (Sez. 5, n. n. 21914 del 16/03/2023, Castaldo, Rv. 284517). Ne deriva che il ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l'omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non può limitarsi, pena l'inammissibilità, ad addurre l'esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece, a) identificare l'atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato nonché della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilità" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 2019, Papini, Rv. 274816; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035). Nel caso di specie, il pubblico ministero ricorrente non ha assolto ai richiamati oneri, con particolare riguardo alla mancata identificazione - e allegazione al ricorso, o trascrizione in esso del contenuto - dell'atto processuale la cui valutazione sarebbe stata omessa e al difetto di argomentazione circa l'incidenza di tale omissione sulla tenuta logica della ritenuta esclusione del pericolo di fuga. Il ricorso, infatti, fa riferimento non già ad uno specifico atto processuale (non identificato), ma a quanto allegato nella richiesta di convalida, ciò che non consente al Collegio di apprezzare il contenuto dell'atto ai fini della verifica di cui sopra e, ancor prima, l'utilizzabilità delle stesse dichiarazioni spontanee a cui si fa generico riferimento alla luce delle diverse regole previste dall'art. 350, commi 5 e 7, cod. proc. pen. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Torre Annunziata Seconda sezione civile Il giudice monocratico del Tribunale di Torre Annunziata, seconda sezione civile, dott. Francesco Coppola, ha pronunciato SENTENZA nel giudizio civile di primo grado iscritto al n. 4230/2021, R.G., vertente TRA Fa.Gi., elettivamente domiciliato in Portici alla Piazza S. Poli n. 9, presso lo studio dell'avvocato El.Ma., che lo rappresenta e difende in virtù di procura apposta in calce all'atto di citazione. ATTORE E Ba.An., in proprio e nella qualità di erede di Ba.Vi., nonché Ba.Ma. e Ac.Ni., nella qualità di eredi di Ba.Vi., elettivamente domiciliati a Napoli alla via (...), presso lo studio dell'avvocato Vi.Ce., che li rappresenta e difende in virtù di procura apposta in calce alla comparsa di costituzione e risposta. CONVENUTI E GESTIONE LIQUIDATORIA EX Uc., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliati in Boscoreale (NA) alla via (...), presso lo studio dell'avvocato Ippolito Matrone, che li rappresenta e difende in virtù di procura apposta in calce alla comparsa di costituzione e risposta. CONVENUTA NONCHÉ Un. S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Napoli alla via (...), presso lo studio degli avvocati Al.Ci., Ro.Ma. e Em.Ci., in virtù di procura apposta in calce alla comparsa di risposta. TERZA CHIAMATA IN CAUSA E He. S.A., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Napoli al Largo (...), presso lo studio dell'avvocato Ai.La. e rappresentata a e difesa dagli avvocati Fi.Ma. e Ma.Ro. in virtù di procura apposta in calce alla comparsa di risposta. TERZA CHIAMATA IN CAUSA E As. S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Salerno alla via (...), presso lo studio dell'avvocato Lu.Ca. che, congiuntamente e disgiuntamente all'avvocato Fr.Pa., la rappresentano a difendono in virtù di procura apposta in calce alla comparsa di risposta. TERZA CHIAMATA IN CAUSA E Me. S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Napoli alla via (...), presso lo studio dell'avvocato Al.Iz. che, unitamente all'avvocato Pa.Ga., la rappresentano a difendono in virtù di procura apposta in calce alla comparsa di risposta. TERZA CHIAMATA IN CAUSA Oggetto: azione di risarcimento danni MOTIVAZIONE DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione notificato in data 22-7/2-8-2021, Fa.Gi. evocava in giudizio, dinanzi a questo Tribunale, Ba.An., in proprio e nella qualità di erede di Ba.Vi., Ba.Ma. e Ac.Ni., nella qualità di eredi di Ba.Vi., e Gestione Liquidatoria ex Uc., per: a) sentir dichiarare la responsabilità esclusiva e/o concorrente, ex artt. 1218 e 1228 c.c. e/o ex art. 2043 c.c., del dott. Ba.Vi., del dott. Ba.An. e della Us. (oggi Gestione Liquidatoria della ex Us.), di cui faceva parte, all'epoca dei fatti per cui è causa, il P.O. A. Cardarelli di Napoli, per la perdita dei feti e della capacità di procreazione subite dal coniuge; b) per l'effetto, condannare, in solido e/o chi di ragione, i convenuti, al pagamento, in favore dell'attore di quelle somme ritenute giuste dal tribunale a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali, dallo stesso subiti e subendi, ovverosia danno da perdita del frutto del concepimento, danno morale e danno esistenziale, il tutto oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal dì del fatto all'effettivo soddisfo; c) condannare i convenuti, in solido e/o chi di ragione, al pagamento delle spese e competenze professionali del giudizio, con attribuzione al procuratore per aver anticipato le prime e non riscosso le altre ex art. 93 c.p.c.. I convenuti hanno eccepito la improcedibilità della domanda, la prescrizione dell'azione e contestato la domanda nel merito, chiedendo la Gestione Liquidatoria della ex Us., in caso di accoglimento della domanda, l'accertamento della quota di responsabilità dei convenuti. In particolare, gli eredi di Ba.Vi. osservavano che per la cura richiesta era stata prescritta a Ba.Ma. una terapia che all'epoca dei fatti era corrispondente al protocollo sanitario da adottare mentre Ba.An. sottolineava che la propria condotta era esente da colpa essendosi limitato alla prescrizione del Metrodin dall'11-31994. Su richiesta degli eredi di Ba.Vi. sono state poi chiamate in causa Un. s.p.a e Me. s.p.a. nonché, su richiesta di Ba.An., He. s.a., Me. s.p.a. e As. s.p.a., al fine di essere manlevati in caso di condanna Le terze chiamate in causa si sono separatamente costituite e hanno contestato la domanda e le richieste di manleva. 2. In via preliminare, deve essere dichiarata la procedibilità della domanda. Invero, in corso di causa, a seguito di ordinanza emessa dal tribunale (in data 5-5-2022) è stato esperito il procedimento di mediazione, di cui all'art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010, il quale non ha avuto esito positivo. L'eccezione ulteriore della convenuta Gestione Liquidatoria della ex Us., relativa all'invalidità della convocazione in quanto effettuata ex art. 8 D.Lgs. n. 28 del 2010 presso il difensore costituito in giudizio e non alla parte personalmente, non è fondata. Invero, condividendo quanto affermato dalla Corte di Appello di Napoli (sentenza n. 2547 del 7-6-2022, in studiolegale.leggiditalia.it), se è vero che la mediazione demandata dal giudice apre una parentesi non giurisdizionale all'interno del processo (Cass. civ., n. 40035 del 14-12-2021) ciò non impedisce che attraverso la comunicazione al procuratore costituito nel processo si possa raggiungere la medesima finalità indicata dal legislatore di informare la parte perché possa partecipare personalmente all'incontro di mediazione. La comunicazione dell'invito in mediazione, infatti, non può non fondarsi sul concetto dell'effettiva conoscibilità, non essendo predicabile che questa possa avere sempre una conoscenza concreta. Infatti, le garanzie di conoscibilità da parte del destinatario devono essere ispirate al principio generale di effettività, dovendo risultare assicurata anche una tutela concreta ed effettiva del contraddittorio, indispensabile per garantire la regolare instaurazione ed il corretto svolgimento della procedura. Per cui appare ragionevole ritenere che la comunicazione dell'invito presso il procuratore costituito nel processo durante il quale viene disposta la mediazione sia sufficiente alla effettiva conoscibilità della stessa per la parte rappresentata a consentire a questa ultima di partecipare al procedimento di mediazione, salvo, in ogni caso, il diritto di scegliere liberamente il difensore da cui farsi assistere nella suddetta fase stragiudiziale conferendo idonea procura (conf., Tribunale Asti, n. 735 del 28-10-2022, n. 735, in deiure.it). 3. Infondata è anche l'eccezione di prescrizione del diritto azionato. Invero, posto che, per quanto meglio illustrato nei paragrafi successivi, la domanda è stata proposta nei confronti dei convenuti a titolo contrattuale, per cui la prescrizione del diritto al risarcimento del danno è decennale, ex art. 2946 c.c., la tempestiva interruzione della prescrizione effettuata dall'attore nei confronti dei debitori solidali ex art. 2055 c.c., unitamente alla tempestiva proposizione dell'azione, esclude la maturazione della prescrizione. L'attore ha inviato, unitamente alla moglie, ripetute lettere di costituzione in mora ai convenuti (a Ba.An.: 15-7-1999; 15/27-11-2005, 15/19-11-2010; 1-10/13-11-2013; 13/17-10-2014; a Ba.Ma. e Ac.Ni., il 13/24-4-2018; a Ba.Vi.: 30-6/1-7-1999; 25/27-11-2005; 15/19-10-2010; 13/17-10-2014; alla Gestione Liquidatoria ex Us.: 23/30-4-2018; 13/31-10-2018), si è costituito parte civile nel processo penale (in data 9-6-1997) n. 4728/1995 R.G. e n. 299/PO/1997 R.G. nei confronti di Ba.Vi., per il reato di cui all'art. 590, 2 comma, c.p., in relazione all'art. 583, 2 comma, n. 3, c.p., e ha poi richiesto il risarcimento dei danni con la presente azione. Per cui appare evidente che - a prescindere dalla effettiva idoneità dei primi atti di costituzione in mora in cui, sebbene inviati nell'interesse dei coniugi F. - B., veniva richiesto il risarcimento dei danni subiti dalla seconda - la tempestiva richiesta di risarcimento dei danni formulata dall'attore con la costituzione di parte civile (a cui seguiva il riconoscimento in suo favore di una somma a titolo di provvisionale, con la sentenza di condanna 1175 del 25-7-2000 di questo Tribunale, le cui statuizioni civili erano confermate con la sentenza della Corte di Appello di Napoli con sentenza del 7245 del 21-11-2001), seguita dalle lettere di costituzione in mora espressamente formulate per i danni subiti anche dall'attore (le ultime tre indirizzate a Ba.An., l'ultima indirizzata a Ba.Vi. e le altre inviate agli altri convenuti) e dalla presente domanda, costituiscono atti idonei che tempestivamente hanno interrotto la prescrizione ai sensi dell'art. 2943 c.c.. Peraltro, la costituzione di parte civile nel processo penale comporta, ai sensi dell'art. 2943 c.c., comma 2 e art. 2945 c.c., comma 2, che la prescrizione non corre sino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio (Cass. pen., sez. V, n. 15658 dell'11-2-2020). La descritta tempestiva interruzione del termine di prescrizione nei confronti di alcuni dei condebitori solidali - segnatamente, prima di Ba.Vi., mediante la descritta costituzione di parte civile del 9-6-1997, poi di Ba.An., con le costituzioni in mora del 1-10/13-11-2013 e del 13/17-10-2014 -, in ragione dell'unitarietà dell'eventus damni e della solidarietà della responsabilità dei convenuti, ha effetto anche nei confronti degli altri convenuti. L'art. 1310 comma 1 c.c., invero, stabilisce - fra l'altro - che gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido, hanno effetto riguardo agli altri debitori (cfr. Cass. civ., sentenza n. 1406 del 21-1-2011). La prescrizione risulta, quindi, tempestivamente interrotta, ex artt. 1310 e 2055 c.c., anche nei confronti degli altri convenuti. Pertanto, avendo l'attore provato di aver proposto la domanda tempestivamente, l'eccezione di prescrizione proposta dai convenuti deve essere respinta. 4. Nel merito la domanda è fondata e va accolta nei termini che seguono. In proposito occorre evidenziare che l'attore ha dedotto che: Ba.Ma., al fine di risolvere un problema di acne, su consiglio medico, si sottoponeva a trattamento con "Diane", dall'età di 25 anni e fino al mese di ottobre 1993, allorquando, in data 9-10-1993, contratto matrimonio concordatario con l'attore, decideva, unitamente al coniuge, di sospendere l'assunzione del suddetto farmaco contraccettivo, onde garantirsi la possibilità di divenire genitori ed ampliare, quindi, la famiglia, secondo i propri desiderata; atteso il perdurare dell'affezione dovuta all'acne, Ba.Ma. si rivolgeva ad altro medico, il dott. Ba.Vi., il quale le consigliava di curare e risolvere la sintomatologia acneica attraverso una gravidanza favorita da stimolazione ovarica mediante la somministrazione di F.S.H. (Metrodin fiale) ed He.G. (Profasi HP 5000 fiale); a partire dal mese di dicembre 1993 e fino a marzo 1994, Ba.Ma. veniva sottoposta alla predetta terapia ma, nella seconda metà del mese di marzo, la stessa iniziava a risentire di forti dolori addominali accompagnati da perdite ematiche, che inducevano il dott. Ba.Vi., opportunamente consultato, a consigliarle riposo a letto; nel perdurare della predetta sintomatologia e data la scarsa assistenza frattanto dimostratale dal dott. Ba.Vi., Ba.Ma. e l'attore decidevano di rivolgersi al dott. Z.A., che, a seguito di ricovero della paziente presso la C.C. (dal 12-4-1994 al 17-4-1994), eseguito l'esame ecografico ed il dosaggio dell'ormone Beta He.G., tenuto conto dell'ultimo ciclo mestruale della B., giungeva alla conclusione della riconducibilità delle perdite ematiche ad aborti spontanei e, comunque, del persistere di uno stato gravidico; nel mese di maggio 1994, veniva accertata una gravidanza plurima, per cui il dott. Z. consigliava una riduzione embrionale presso il Servizio Gravidanza a Rischio e Centro Diagnosi Prenatale dell'Ospedale A. Cardarelli di Napoli, all'epoca dei fatti per cui è causa, facente parte della Us.; nel corso del ricovero dal 23-5-1994 al 28-5-1994, presso tale ospedale, alla B. veniva rilevata una gravidanza pentagemellare ed effettuata la riduzione di due embrioni; il giorno 19-7-1994, la B., su consiglio del dott. Z., veniva nuovamente ricoverata presso la C.C. per perdite ematiche e dolori addominali, e, nel corso della degenza presso detta struttura, il 21-7-1994, si verificava l'espulsione spontanea di sei feti ed, a causa di un'atonia uterina, Ba.Ma. veniva sottoposta ad un intervento di isterectomia sub-totale; a seguito della querela sporta dalla B., ai sensi dell'art. 590 c.p. (lesioni personali colpose), in data 4-6-1996, veniva disposta la citazione a giudizio davanti al Pretore di Pompei del dott. Ba.Vi. per il reato di cui all'art. 590, 2 comma, c.p., in relazione all'art. 583, 2 comma, n. 3, c.p.; con atto depositato il 19-6-1997, l'attore e la moglie si costituivano parti civili, introducendo nel processo penale una domanda di risarcimento dei danni conseguenti al contestato reato; in data 25-7-2000, il tribunale di Torre Annunziata dichiarava Ba.Vi. colpevole del reato a lui ascritto e lo condannava alla pena di mesi otto di reclusione e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, da liquidarsi in separata sede, assegnando la provvisionale immediatamente esecutiva di L. 30.000.000 in favore della B. e di L. 10.000.000 in favore dell'attore; con sentenza n. 7245/2001, la Corte di Appello di Napoli, veniva dichiarato estinto per prescrizione il reato ascritto al dott. B. e confermata nel merito la sentenza di primo grado; tale ultima sentenza non veniva impugnata e passava in giudicato il 3-1-2002; con atto citazione notificato in data 27-9-2002, Ba.Ma. evocava in giudizio, innanzi al Tribunale di Torre Annunziata, Ba.Vi., al fine di ottenere la condanna dello stesso al risarcimento di tutti i danni dalla stessa sofferti, in conseguenza della condotta professionale medica, imperita, imprudente e penalmente rilevante, del predetto sanitario; nel giudizio venivano chiamati in garanzia, dal convenuto, Me. s.p.a. e Me. s.p.a., che, a sua volta, nel costituirsi, chiedeva ed otteneva di essere autorizzata alla chiamata in causa del dott. Ba.An. e del dott. Z.A.; il dott. R.M., c.t.u. nominato in tale giudizio, concludeva il proprio elaborato peritale, riconoscendo, in merito all'evento dannoso oggetto di causa, la responsabilità, nella misura del 40% cadauno, sia del dott. Ba.Vi. che del dott. Ba.An., i quali, per imprudenza ed imperizia, avevano prescritto, senza indicazione e senza alcun monitoraggio, le fiale di Metrodin e di Profasi, inducendo una iperstimolazione ovarica, da cui una gravidanza plurigemellare, esitata in una atonia uterina post-abortiva e successiva isterectomia sub-totale, resasi necessaria, per evitare una morte certa per shock emorragico; inoltre, per la prima volta, veniva riconosciuta anche la responsabilità professionale (nella misura del 20%) dei sanitari del Servizio di Gravidanza a Rischio della U.O. di Ostetricia e Ginecologia del P.O. Cardarelli di Napoli, estranei al prefato giudizio, ma che, secondo il c.t.u., nel porre l'erronea diagnosi di gravidanza pentagemellare, anziché esagemellare, e nell'eseguire la riduzione selettiva di solo due embrioni, avevano contribuito ad incrementare il rischio abortivo e l'esito relativo; con sentenza 2028 del 3-7-2014, il tribunale di Torre Annunziata, condannava Ba.Vi. nella misura del 40%, Ba.An. nella misura del 40% con relative assicurazioni chiamate in causa, tutti in solido con le loro rispettive assicurazioni, al pagamento delle somme di Euro 542.836,00 per i danni subiti dall'attrice (di cui Euro 92.836,00 per danno biologico ed Euro 450.000,00 per la perdita di 6 feti), oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, oltre alle spese di consulenze tecniche d'ufficio; con sentenza n. 3869 del 1-8-2018, la corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza n. 2028/2014, affermava, in merito al c.d. danno da perdita del frutto del concepimento, che a Ba.Ma. spettasse il risarcimento solo per i quattro feti rispetto a cui la gravidanza era proseguita sino all'aborto spontaneo e, pertanto, la somma dovuta per la perdita dei feti veniva rideterminata in Euro 300.000,00 (Euro 75.000,00 x 4) a cui era aggiunta la somma riconosciuta a titolo di danno biologico, per complessivi Euro 392.834,00; aveva chiesto, con svariate raccomandare a/r, prima al dott. Ba.Vi. e poi ai suoi eredi (Ac.Ni., Ba.An. e Ba.Ma.), nonché al dott. Ba.An., inizialmente, solo in proprio e, successivamente, anche nella qualità di erede del primo, di essere integralmente risarcito dei danni dallo stesso sofferti; avendo appreso, solo a seguito del deposito della c.t.u., nel corso del giudizio civile n. 2333/2002 R.G., della corresponsabilità anche dei sanitari del Servizio di Gravidanza a Rischio della U.O. di Ostetricia e Ginecologia del P.O. Cardarelli di Napoli, all'epoca dei fatti facente parte della Us., con lettere raccomandate a/r di ottobre 2014 ed aprile 2018, aveva altresì chiesto, sempre infruttuosamente, il risarcimento dei danni alla Gestione Liquidatoria della ex Us.. 5. La domanda è stata proposta dall'attore espressamente a titolo di responsabilità contrattuale. Gli approdi della giurisprudenza di legittimità in punto di responsabilità professionale sanitaria, dai quali non si ravvisano ragioni per discostarsi, confermano la natura contrattuale della pretesa in esame. La responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente ha, infatti, natura contrattuale, e può conseguire, ai sensi dell'art. 1218 cod. civ., oltre che all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, anche, ai sensi dell'art. 1228 cod. civ. (disposizione con cui è stata estesa nell'ambito contrattuale la disciplina contenuta negli artt. 2048 e 2049 cod. civ.: Cass. civ., sez. III, 17 maggio 2001, n. 6756), all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario (e ciò anche in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale: Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2004, n. 13066). In particolare, si è in presenza, per quanto concerne la responsabilità della struttura sanitaria, di un contratto atipico a prestazioni corrispettive (cosiddetto "contratto di spedalità"), che si conclude all'atto dell'accettazione del paziente presso la struttura e da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo (da parte del paziente, dell'assicuratore ovvero del Se. Sanitario Nazionale) insorgono, a carico della struttura sanitaria, accanto a quelli di tipo "lato sensu" alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico, nonché di apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni o emergenze (cfr., all'uopo, anche Cass. civ., sez. III, 14 giugno 2007, n. 13593, Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2006, n. 1698; Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2004, n. 13066; Cass. civ., sez. III, 8 gennaio 1999, n. È appena il caso di precisare come alcuna rilevanza assuma, ai fini delle considerazioni finora sviluppate, la disposizione normativa contenuta nell'art. 3, comma 1, del D.L. 13 settembre 2012, n. 158, come modificato dalla legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189 (cd. "Legge Balduzzi"), ai sensi della quale "l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile". E ciò in quanto come chiarito, anche di recente, dalla giurisprudenza di legittimità, "il D.L. 13 settembre 2012, n. 158, articolo 3, comma 1 come modificato dalla Legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189, nel prevedere che "l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve", fermo restando, in tali casi, "l'obbligo di cui all'articolo 2043 c.c.", non esprime alcuna opzione da parte del legislatore per la configurazione della responsabilità civile del sanitario come responsabilità necessariamente extracontrattuale, ma intende solo escludere, in tale ambito, l'irrilevanza della colpa lieve" cfr., all'uopo, Cass. civ., sez. VI, ord. 24 dicembre 2014, n. 27391, nonché Cass. civ., sez. VI, ord. 17 aprile 2014, n. 8940 secondo cui "L'art. 3, comma 1, delle L. n. 189 del 2012, là dove omette di precisare in che termini si riferisca all'esercente la professione sanitaria e concerne nel suo primo inciso la responsabilità penale, comporta che la norma dell'inciso successivo, quando dice che resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 c.c., poiché in lege aquilia et levissima culpa venit, vuole solo significare che il legislatore si è soltanto preoccupato di escludere l'irrilevanza della colpa lieve in ambito di responsabilità extracontrattuale, ma non ha inteso prendere alcuna posizione sulla qualificazione della responsabilità medica necessariamente come responsabilità di quella natura. La norma, dunque, non induce il superamento dell'orientamento tradizionale sulla responsabilità da contatto e sulle sue implicazioni (da ultimo riaffermate da Cass. n. 4792 del 2013)". Alcuna rilevanza assume nemmeno il disposto dell'art. 7 della L. 8 marzo 2017, n. 24 ("Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie"), nella parte in cui (al comma 3) ha previsto che l'esercente la professione sanitaria che presti la propria opera all'interno di una struttura sanitaria, risponde del proprio operato ai sensi dell'art. 2043 cod. civ.. Sul punto è stato chiarito dalla giurisprudenza di legittimità che "il principio dell'irretroattività della legge comporta che la legge nuova non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita se, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi del fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali e future di esso", dovendosi propendere per l'applicazione retroattiva della nuova normativa ai fatti, agli "status" e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto trascorso, solo allorquando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in sé stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore (Cass. civ., 27 maggio 1971, n. 1579; Cass. civ., sez. lav., 3 marzo 2000, n. 2433; Cass. civ., sez. I, 3 luglio 2013, n. 16620). Ebbene, nel caso di specie, appare evidente che, a differenza di quanto previsto dalla cd. "Legge Balduzzi" (già sopra citata), l'applicazione della L. 8 marzo 2017, n. 24 (cd. "Legge Gelli - Bi.") a fattispecie già verificatesi al momento della sua entrata in vigore inciderebbe negativamente sul fatto generatore del diritto alla prestazione, ledendo, così, in maniera peraltro del tutto ingiustificata, il legittimo affidamento riposto dalla generalità dei consociati in ordine al regime contrattuale della responsabilità del medico. Ne deriva che le fattispecie perfezionatesi - come quella in esame - in epoca anteriore rispetto all'entrata in vigore della riforma di cui si tratta dovranno continuare ad essere disciplinate dai principi del previgente quadro normativo e giurisprudenziale, sicché si dovrà applicare la normativa della responsabilità contrattuale anche al medico (in forza del cd. "contatto sociale") - a prescindere da un formale rapporto di dipendenza - in quanto fondata sulla ormai ben conosciuta teoria del contatto sociale. In tal senso, si è ormai espressa anche la giurisprudenza di legittimità, secondo cui le norme poste dagli artt. 3, comma 1, del D.L. n. 158 del 2012, convertito dalla L. n. 189 del 2012, e dall'art. 7, comma 3, della L. n. 24 del 2017, non hanno efficacia retroattiva e non sono applicabili ai fatti verificatisi anteriormente alla loro entrata in vigore, non hanno portata retroattiva e non possono applicarsi ai fatti avvenuti in epoca precedente alla loro entrata in vigore (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. III, sentenza n. 28994 dell'11-11-2019; Cass. civ., sez. III, sentenza n. 28811 dell'8-11-2019). Peraltro, così ricostruita la fattispecie, la struttura sanitaria certamente risponde, in via contrattuale, non solo delle obbligazioni direttamente poste a proprio carico (servizio alberghiero attrezzature, eccetera), ma anche dell'opera svolta dai propri dipendenti ovvero ausiliari (personale medico e paramedico), secondo lo schema proprio dell'art. 1228 cod. civ. A tale proposito, peraltro, la Suprema Corte, con la sentenza 8 gennaio 1999, n. 103 (ma cfr. anche Cass. civ., sez. III, 22 marzo 2007, n. 6945), applicando in ambito sanitario principi già costantemente esposti nell'ordinario ambito contrattuale, ha ulteriormente chiarito - così sgombrando il campo da qualsivoglia dubbio ed equivoco - che rispetto al detto inquadramento dogmatico non rileva la circostanza per cui il medico che eseguì l'intervento fosse o meno inquadrato nell'organizzazione aziendale della casa di cura (ovvero dell'ospedale), né che lo stesso fosse stato scelto dal paziente ovvero fosse di sua fiducia (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. III, 14 giugno 2007, n. 13593; Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2006, n. 1698), posto che la prestazione del medico è comunque indispensabile alla casa di cura (ovvero all'ospedale) per adempiere l'obbligazione assunta con il paziente e che, ai fini qualificatori predetti, è sufficiente la sussistenza di un nesso di causalità tra l'opera del suddetto ausiliario e l'obbligo del debitore (cfr., in tal senso, Cass. 11 maggio 1995, n. 5150). Il rapporto è contrattuale anche nei confronti di Fa.Gi.. Invero, il rapporto che si instaura tra il paziente e la struttura sanitaria ha efficacia "ultra partes" allorché costituisce fonte di obbligazioni aventi ad oggetto prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione. Viene in considerazione, in particolare, proprio il caso del contratto stipulato dalla gestante, avente ad oggetto la prestazione di cure finalizzate a garantire il corretto decorso della gravidanza (Cass. n. 6735 del 2002; Cass. n. 14488 del 2004; Cass. n. 10741 del 2009; Cass. n. 2354 del 2010; Cass. n. 16754 del 2012; Cass. n. 10812 del 2019; Cass. n. 14615 del 2020). L'inesatta esecuzione della prestazione che forma oggetto di tali rapporti obbligatori, infatti, incide in modo diretto sulla posizione del nascituro e del padre talché la tutela contro l'inadempimento deve necessariamente essere estesa a tali soggetti, i quali sono legittimati ad agire in via contrattuale per i danni che da tale inadempimento siano loro derivati. Al di fuori di queste specifiche ipotesi, poiché l'esecuzione della prestazione che forma oggetto della obbligazione sanitaria non incide direttamente sulla posizione dei terzi, torna applicabile anche al contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria la regola generale secondo cui esso ha efficacia limitata alle parti (art.1372, secondo comma, c.c.) (Cass. 11320/2022). Su questo punto si evidenzia ancora che "con il contratto di ricovero ospedaliero della gestante l'ente ospedaliero si obbliga non soltanto a prestare alla stessa le cure e le attività necessarie al fine di consentirle il parto, ma altresì ad effettuare, con la dovuta diligenza, tutte quelle altre prestazioni necessarie al feto (ed al neonato), sì da garantirne la nascita evitandogli - nei limiti consentiti dalla scienza - qualsiasi possibile danno. Detto contratto, intercorso tra la partoriente e l'ente ospedaliero, si atteggia come contratto con effetti protettivi a favore di terzo nei confronti del nato, alla cui tutela tende quell'obbligazione accessoria, ancorché le prestazioni debbano essere assolte, in parte, anteriormente alla nascita; ne consegue che il soggetto che, con la nascita, acquista la capacità giuridica, può agire per far valere la responsabilità contrattuale per l'inadempimento delle obbligazioni accessorie, cui il contraente sia tenuto in forza del contratto stipulato col genitore o con terzi, a garanzia di un suo specifico interesse" (Cass. civ., 14488 del 29 luglio 2004). Rientrando il contratto stipulato nella fattispecie dalla paziente con la struttura ospedaliera in uno di quelli volti alla procreazione deve affermarsi che lo stesso ha effetti riflessi anche sugli stretti congiunti e, quindi, anche in favore del marito. 6. Nel merito, le domande sono fondate, nei limiti e per la ragioni di seguito illustrate. Sul piano processuale, in tema di responsabilità civile nell'attività medica, le conseguenze scaturenti dai principi appena evidenziati sono da ravvisarsi nel fatto che il paziente che agisca in giudizio deducendo l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria deve provare il contratto o il "contatto sociale" ed allegare l'inadempimento dei sanitari, che consiste nell'aggravamento della situazione patologica del paziente o nell'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento, restando a carico dell'obbligato - sia esso il sanitario o la struttura - la dimostrazione dell'assenza di colpa e, cioè, la prova del fatto che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (Cass. civ., sez. III, 28 maggio 2004, n. 10297). Con la precisazione, altresì, che, pur gravando sull'attore l'onere di allegare i profili concreti di colpa medica posti a fondamento della proposta azione risarcitoria, tale onere non si spinge fino alla necessità di enucleazione e indicazione di specifici e peculiari aspetti tecnici di responsabilità professionale, conosciuti e conoscibili soltanto agli esperti del settore (Cass. civ., sez. III, 19 maggio 2004, n. 9471). Più di recente si è affermato che "in tema di inadempimento di obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, il danno evento consta della lesione non dell'interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l'obbligazione (perseguimento delle "leges artis" nella cura dell'interesse del creditore) ma del diritto alla salute (interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato); sicché, ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l'inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l'aggravamento della situazione patologica (o l'insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile ed inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione della prestazione" (Cass. civ., 28991/2019; Cass. civ., 26907/2020; Cass. civ., 10050/2022; Cass. civ., 5490/2023). In sostanza questi arresti affermano il principio che l'attore-danneggiato-paziente non deve allegare, cioè dedurre, anche la colpa del sanitario, ma solo il nesso causale. Nel caso in cui venga dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria il danneggiato, invero, deve fornire la prova del contratto e dell'aggravamento della situazione patologica e quella del relativo nesso di causalità tra azione o omissione dei sanitari e l'evento di danno. Ma l'imputabilità del fattore causale a colpa dei sanitari non rientra più tra gli oneri probatori gravanti sul danneggiato. A carico del debitore-sanitario - struttura sanitaria è posto l'onere della prova circa l'esatto adempimento, mentre il creditore-paziente danneggiato, che agisca in giudizio deducendo l'inesatto adempimento, dovrà provare il contratto e allegare solo l'inadempimento. Secondo un generalizzato principio di prudenza e perizia, infatti, spetta al sanitario decidere, tra le varie terapie possibili, per quella che, nel perseguimento della cura, meglio assicura il rispetto degli interessi del paziente. In caso di inadempimento spetterà, come si ricava dal combinato disposto degli artt. 1218 e 2967 c.c., al debitore dimostrare che il danno-conseguenza è avvenuto senza sua colpa. Al creditore-paziente danneggiato spetta dare prova del fatto costitutivo e del nesso causale intercorrente tra l'insorgenza o aggravamento della patologia e la condotta del sanitario - causalità da intendersi in senso materiale ovvero con diretta riconducibilità dell'evento alla condotta del sanitario; di contro, il debitore-sanitario - struttura sanitaria, sempre in base all'ordinario criterio di riparto, in uno con il principio di vicinanza della prova, per andare esente da responsabilità è chiamato provare o che l'inadempimento non gli è imputabile, in quanto non esigibile alla stregua della diligenza richiesta dall'art. 1176 comma II c.c. nell'esecuzione per le prestazioni professionali (nel caso della responsabilità sanitaria nell'osservanza delle leges artis dell'arte medica) o che, nonostante la corretta esecuzione della prestazione, la lesione del diritto alla salute fu dovuta a imprevedibilità ovvero prevedibilità ma inevitabilità dell'evento infausto (Cass. civ., n. 4864/2021; Cass. civ., n. 12274/2011; Cass. civ., 18392/2017; Tribunale Firenze. 12-6-2023, in deiure.it). 7. Ciò posto, quanto alla qualificazione della domanda, l'attore ha certamente fornito la prova del titolo mediante il deposito della cartella sanitaria e del contenuto delle sentenze penali e civili descritte in precedenza; inoltre, deve aggiungersi che le prestazioni dedotte in giudizio, comprese quelle svoltesi presso la struttura sanitaria, non sono contestate dai convenuti. Occorre, quindi, stabilire: a) se vi è nesso causale tra le eventuali azioni od omissioni dei convenuti e l'evento lesivo, rappresentato, secondo la prospettazione dell'attore nella provocazione dell'aborto spontaneo di quattro feti al coniuge e perdita della capacità di procreazione; b) se la condotta dei sanitari sia stata conforme alle "leges artis" ed alla diligenza dell'"homo eiusdem generis et condicionis", ovvero se siano stati realizzati gli inadempimenti qualificati specificamente indicati e descritti nell'atto introduttivo del presente giudizio. Partendo dal punto a), l'accertamento del nesso causale è passaggio logicamente e cronologicamente precedente all'accertamento della colpa, in quanto solamente qualora sia dimostrato che la condotta attiva od omissiva dei sanitari sia stata causa dell'evento lesivo subito dal paziente, è possibile procedere ad accertare se questa condotta sia contraria alle "leges artis". È necessario, in altri termini, stabilire nel caso di specie se l'aborto spontaneo si sarebbe evitato ove la gestante fosse stata assistita con maggiore diligenza. Come risulta dall'insegnamento giurisprudenziale, il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento è quello per cui ogni comportamento antecedente (prossimo, intermedio, remoto) che abbia generato, o anche solo contribuito a generare l'evento, deve considerarsi "causa" dell'evento stesso. La valutazione di questo nesso, sotto il profilo della dipendenza dell'evento dai suoi antecedenti fattuali, va compiuta secondo criteri di probabilità scientifica. Anche nell'illecito civile, quindi, la cosiddetta "causalità materiale" trova disciplina negli artt. 40 e 41 cod. pen., ossia nel criterio della "condicio sine qua non" riempito di contenuto dalla teoria della sussunzione sotto leggi scientifiche. Come chiarito dal supremo organo di nomofilachia, insomma, il nesso di causalità materiale, tra condotta ed evento lesivo, anche nella responsabilità da illecito civile, deve essere accertato secondo i principi penalistici di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., per cui un evento è causato da un altro se non si sarebbe verificato in assenza del secondo. Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente precisato come una causalità materiale non sia sufficiente per avere una causalità giuridicamente rilevante, la quale impone di attribuire rilievo, secondo la teoria della regolarità causale o della causalità adeguata - con cui va integrata la teoria della "condicio sine qua non" - a quei soli accadimenti che, al momento in cui si produce l'evento causante il danno, non siano inverosimili e imprevedibili, secondo un giudizio "ex ante" (di cosiddetta "prognosi postuma"), da ricondurre al momento della condotta e da effettuare secondo le migliori conoscenze scientifiche disponibili (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2008, n 581). Come chiarito dalle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte, però, pur essendo gli stessi i principi che regolano il procedimento logico - giuridico ai fini della ricostruzione del nesso causale, ciò che muta tra il processo penale e quello civile è la regola probatoria, in quanto nel primo vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio", mentre, nel secondo, vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non" (cfr., al riguardo, la già citata Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581). In materia civile, quindi, l'accertamento della causalità materiale richiede una certezza di natura eminentemente probabilistica. Ed invero, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, condiviso dal Tribunale, il nesso causale fra il comportamento del medico e il pregiudizio subito dal paziente è configurabile qualora, attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si ritenga che l'opera del medico, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto serie ed apprezzabili probabilità di evitare il danno verificatosi (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2008, n. 867; Cass. civ., sez. III, 23 settembre 2004, n. 19133). Risulta, dunque, necessario accertare che il comportamento diligente e perito dei sanitari avrebbe avuto la probabilità di prevenire o elidere le conseguenze dannose concretamente verificatesi; probabilità, ovviamente, non meramente statistica, ma di natura logico-razionale. In conclusione, deve ritenersi sussistente un valido nesso causale tra la condotta colposa del sanitario e l'evento lesivo, allorché, se fosse stata tenuta la condotta diligente, prudente e perita, l'evento dannoso non si sarebbe verificato: giudizio da compiere non sulla base di calcoli statistici o probabilistici, ma unicamente sulla base di un giudizio di ragionevole verosimiglianza, che va compiuto alla stregua degli elementi di conferma (tra cui soprattutto l'esclusione di altri possibili e alternativi processi causali) disponibili in relazione al caso concreto. 8. Orbene, i fatti di causa possono ritenersi accertati in ragione di quanto emerso dalla c.t.u. redatta dal dott. R.M. nel giudizio n. 2333/2002 R.G., il cui contenuto è condiviso dal tribunale. Al riguardo è opportuno premettere, che le prove formate in un processo diverso, tra altre parti o alcune delle parti, ritualmente acquisite e sulle quali sia stato consentito il contraddittorio, come nella specie, possono essere utilizzate dal giudice (cfr. Cass. civ., sentenza n. 31312 del 3-11-2021; Cass. civ., sentenza n. 8496 del 24-3-2023 quanto alla relazione conclusiva di un accertamento tecnico preventivo; Cass. civ., ordinanza n. 30298 del 31-10-2023, in merito alla utilizzazione nel giudizio civile risarcitorio della consulenza tecnica svolta dal pubblico ministero nelle forme di cui all'art. 360 c.p.p.). Dall'elaborato peritale, il cui contenuto deve intendersi qui riportato, è risultato che i medici Ba.An. e Ba.Vi. ebbero a prescrivere, senza indicazione e senza alcun monitoraggio, le fiale di Metrodin e di profasi e che la conseguente stimolazione farmacologica della funzione ovarica ha causalmente determinato l'evento gravidanza plurimagemina e successiva riduzione selettiva embrionale seguita da intervento di isterectomia subtotale verificatosi il 21-7-1994. L'ausiliario ha inoltre precisato che, a differenza di quanto svolto dagli altri sanitari che ebbero in cura Ba.An., l'intervento di embrioriduzione, eseguito presso il servizio di gravidanza a rischio dell'U.O. di ostetricia e ginecologia dell'A.C., a cui la paziente fu sottoposta in data 27-5-1994, ha causalmente contribuito all'evento, risultando questo parzialmente inefficace allo scopo prefissato, a causa dell'errore diagnostico effettuato al momento del ricovero (diagnosi di gravidanza pentagemina successivamente rilevatasi esegemina: pag. 9 c.t.u.). Tali ragionamenti, fondati sui dati di fatto emergenti dalle cartelle cliniche acquisite e da tutta la documentazione medica prodotta, posti a base anche delle sentenze di primo e secondo grado pronunziate nel giudizio azionato dalla B. prima descritte, risultano del tutto condivisibili e sono sufficienti per ritenere accertato che l'aborto spontaneo dei feti e la successiva isteroctomia-sub totale è imputabile causalmente alle condotte omissive e negligenti dei sanitari, secondo il criterio di "preponderanza dell'evidenza" o del "più probabile che non" (Cass. Civ. S.U. n. 581/2008; Cass. civile, III sez., 22 ottobre 2013 n. 23933; Cass. civile, III sez., 20 giugno 2019, n. 16581, et al.)". Pertanto, quanto al punto a) sopra indicato, può, quindi, ritenersi raggiunta la prova del nesso causale tra la condotta dei sanitari e l'evento lamentato. Per quanto riguarda il profilo di cui al punto b), ovvero la condotta colposa dei medici, va evidenziato che sono emerse con evidenza le condotte scorrette e i profili di colpa dedotti in citazione (inadempimento qualificato). L'ausiliario ha, invero, sottolineato che assumono rilevanza causale le condotte colpose dei medici, dott. Ba.Vi. e dott. Ba.An., per aver prescritto, senza indicazioni e monitoraggio, le fiale di Metrodin e di Profasi. Ha in proposito osservato (cfr. pag. 6 e ss. della c.t.u.) che l'HFS di derivazione urinaria è un farmaco il cui utilizzo richiede indicazioni specifiche che al momento della prescrizione - da parte dei medici - non sussistevano; è da protocollo, prima di procedere alla somministrazione di ormone follicolo-stimolante, procedere all'esecuzione di dosaggi ormonali seriati i cui risultati ne giustifichino l'utilizzo o che ne impongano l'utilizzo prima di aver eseguito ciclo di stimolazione (induzione dell'ovulazione) con Clomifene citrato, farmaco molto più maneggevole con effetti collaterali notevolmente inferiori. L'utilizzo della Gonadotropine impone un attento monitoraggio ovulatorio sia ecografico (valutazione della crescita follicolare) che sierico (dosaggio del 17?Estradiolo) che per come è emerso dagli atti, non è stato eseguito. La valutazione dei dosaggi sierici del 17?Estradiolo dall'ottavo giorno del ciclo a seguire serve, nei casi di iperstimolazione, a sospendere o a ridurre la somministrazione di urinario ed evitare la crescita di numerosi follicoli che ha dato luogo a gravidanza plurigemina. Ha aggiunto che un attento monitoraggio ecografico dell'ovulazione seguito dall'ottavo al nono giorno del ciclo a giorni alterni avrebbe consentito di evidenziare la crescita di numerosi follicoli riducendo ponendo fino alla stimolazione in questione al fine di evitare un'ovulazione multipla. Ancora ha sottolineato l'inappropriato utilizzo del Profasi fiale senza una corretta "temporizzazione" dell'ovulazione. Tale farmaco viene utilizzato al fine di determinare l'ovulazione dopo cicli di stimolazione ovarica ma se ne impone l'utilizzo solo ed esclusivamente nelle condizioni in cui sia stato eseguito un attento monitoraggio dell'ovulazione in quanto la somministrazione va eseguita solo quando la crescita follicolare (evidenziata ecograficamente) ha raggiunto determinate dimensioni e in particolare ne è controindicato l'utilizzo in caso di crescita di numerosi follicoli se non finalizzata a tecnica di fecondazione assistita in vitro, anche al fine di evitare la sindrome di iperstimolazione ovarica. Nella specie, quindi, era doveroso sospendere la stimolazione ovarica e non somministrare la fiala di Profasi qualora fosse stato eseguito un monitoraggio della suddetta ovulazione. Come già prima evidenziato, inoltre, il consulente ha precisato che l'errore diagnostico effettuato dai medici dell'ospedale Cardarelli in occasione dell'intervento poi eseguito il 27-5-1994, consistente nella rilevazione di una gravidanza pentagemina in data 23-5-2024, ed effettuazione della riduzione di due embrioni, successivamente rivelatasi esagemina, anche se in maniera non determinante ha contribuito ad incrementare il rischio abortivo e l'esito relativo. I convenuti, quindi, non hanno provato - come era loro onere -, che il danno-conseguenza è avvenuto senza loro colpa ovvero che nonostante la corretta esecuzione della prestazione, le descritte conseguenze furono dovute a imprevedibilità ovvero prevedibilità ma inevitabilità dell'evento infausto. Deve, dunque, ravvisarsi la responsabilità dei medici Ba.Vi. e Ba.An. nonché della Us., ora Gestione Liquidatoria della ex Us., per l'inadempimento per cui è causa. Ne consegue che i convenuti (medici e loro eredi, e struttura sanitaria), sono tenuti in solido al risarcimento dei danni sofferti in conseguenza dell'inadempimento descritto. 9.1. Per ciò che concerne i pregiudizi patiti, l'attore ha chiesto il risarcimento del danno da perdita parentale derivante dalla perdita dei quattro feti da parte del coniuge dell'attore. Quanto ai criteri di liquidazione, la Suprema Corte ha chiarito che "in tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul "sistema a punti", che preveda, oltre all'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella" (Cass. civ., ordinanza n. 26300 del 29-9-2021; Cass. civ., sentenza n. 33005 del 10-11-2021). A tal fine soccorrono le tabelle del Tribunale di Milano del 2022, che fanno riferimento ad un valore punto, pari ad Euro 3.365,00 nel caso di perdita di genitori, figli, coniuge non separato, parte dell'unione civile e convivente di fatto, pari invece ad Euro 1.461,20 nel caso di perdita di fratelli/nipoti, e a cinque parametri (l'età della vittima primaria, l'età della vittima secondaria; la convivenza tra le due; la sopravvivenza di altri congiunti del nucleo familiare primario del de cuius nel primo caso e di altri congiunti entro il secondo grado nel secondo caso; la qualità e intensità della specifica relazione affettiva perduta). In particolare, mentre le Tabelle 2021 prevedevano una forbice da Euro 168.250,00 ad Euro 336.500,00, le Tabelle 2022 stabiliscono, invece, un "valore punto" di Euro 3.365,00, ottenuto dividendo per cento l'importo massimo previsto dalle Tabelle del 2021, ossia 336.500,00/100. Partendo dal valore punto, i punti totali attribuibili sono 118, per la tabella relativa alla perdita di genitori/figli/coniuge/assimilati, e di 116, per la tabella relativa alla perdita di fratelli/nipoti, con una soglia non superabile ("cap") di Euro 336.500,00 per la prima e di Euro 146.120,00 per la seconda. La distribuzione dei punti avviene tenendo conto dei parametri in precedenza richiamati: a. età della vittima primaria: sono distribuiti un massimo di 28 punti per danno non patrimoniale presumibile (sofferenza interiore e dinamico-relazionale); b. età della vittima secondaria: sono distribuiti un massimo di 28 punti come sopra; c. convivenza: sono attribuiti 16 punti per danno non patrimoniale presumibile (sofferenza interiore e dinamico relazionale) se le due vittime convivevano; mentre, vengono assegnati 8 punti per danno non patrimoniale presumibile (sofferenza interiore e dinamico relazionale) qualora le due vittime, benché non conviventi, abitino nello stesso stabile o complesso condominiale; d. sopravvivenza di altri congiunti: fino a 16 punti per danno non patrimoniale presumibile (sofferenza interiore e dinamico relazionale); e. qualità e intensità della relazione affettiva: sino a 30 punti. Per come sottolineato dalla S.C.: "La pubblicazione di due tabelle con una differente distribuzione di punti consente altresì di diversificare i criteri relativi alla perdita del parente di primo grado e coniuge/assimilati e quelli previsti per i parenti di secondo grado. Inoltre, emerge che, dei cinque parametri considerati ai fini della distribuzione a punti, quattro hanno natura oggettiva - e sono quindi dimostrabili - in guisa, va peraltro specificato, di presunzioni semplici, che consentono sempre la prova contraria - anche con documenti anagrafici, mentre il quinto ha natura soggettiva e riguarda sia gli aspetti dinamico relazionali (stravolgimento della vita della vittima secondaria in conseguenza della perdita) sia quelli da sofferenza interiore - entrambi, va ancora precisato, da allegare e provare, anche con presunzioni, non essendo predicabile, nel sistema della responsabilità civile, l'esistenza di una fattispecie di danno in re ipsa" (Cass. civ., ordinanza n. 37009 del 16-12-2022 (in tal senso, di recente, Cass. civ., sez. un., 33645/2022). Giova aggiungere che, con particolare riferimento al danno patito dai genitori per la nascita di feto morto, la Suprema Corte ha chiarito che "nella liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale per il parto di un feto morto, il giudice di merito, nell'applicare i parametri delle tabelle elaborate dal tribunale di Milano, può operare la necessaria personalizzazione, in base alle circostanze del caso concreto, riconoscendo ai danneggiati una somma inferiore ai valori minimi tabellari in considerazione della mancata instaurazione di una relazione affettiva, in quanto tale circostanza non è riconducibile alle tabelle ed esprime il differente caso di una relazione soltanto potenziale" (Cass. civ., ordinanza n. 22859 del 20-10-2020). Quindi, tenuto conto del vincolo affettivo e parentale esistente tra l'attore (genitore) e i quattro feti, la non convivenza, la sussistenza di altro familiare convivente (il coniuge: punti 16), l'età del congiunto (29 anni: punti 24) e delle vittime (zero anni), dell'inesistenza di una relazione affettiva con i soggetti mai nati, si ritiene di dover determinare l'ammontare risarcitorio spettante, in via equitativa ed a titolo di danno non patrimoniale, nella somma attualizzata di Euro 68.000,00 per ciascun feto, riducendo di circa 50% il punteggio complessivo di n. 40 punti, in ragione della natura solo potenziale della relazione genitoriale, senza che con ciò voglia minimizzarsi la sofferenza e lo shock fisico ed emotivo patito dal genitore, che, pur non potendosi qualificare in termini di perdita di rapporto parentale stabilizzato e fortificato dal decorso del tempo, sicuramente merita serio ed apprezzabile ristoro in tutte le sue sfaccettature fisiche, emotive e psicologiche. 9.2. L'attore ha chiesto, inoltre, il risarcimento del danno morale ed esistenziale subito per il dolore e la sofferenza psicologica subita a causa della perdita della possibilità di procreare da parte del coniuge e, quindi, di poter avere figli nati nel matrimonio, e nel dolore ed afflizione provato per la sofferenza del coniuge, per il perturbamento dei rapporti affettivi e familiari e per l'annullamento della vita di relazione, avendo il coniuge sviluppato, in conseguenza degli eventi in questione, una sindrome ansioso-depressiva che aveva coinvolto anche l'attore e la vita familiare. In proposito la giurisprudenza afferma che "Il familiare di una persona lesa dall'altrui condotta illecita può subire un pregiudizio non patrimoniale che può assumere il duplice aspetto della sofferenza soggettiva e del conseguito mutamento peggiorativo delle abitudini di vita, la cui prova può essere data anche mediante l'allegazione di fatti corrispondenti a nozioni di comune esperienza, e che deve essere integralmente risarcito, ove ricorrano i caratteri della serietà del danno e della gravità della lesione" (Cass. civ., sentenza n. 25843 del 13-11-2020; Cass. civ., n. 28220 del 4-11-2019). La gravità dell'evento, i rapporti affettivi esistenti tra i coniugi, la prospettiva di vita che la coppia aveva preventivato a seguito della gravidanza e quella che invece ha dovuto affrontare dopo la perdita dei feti e la consapevolezza della impossibilità di generarli, costituiscono circostanze univoche precise e concordanti dalle quali poter ritenere provata la lamentata sofferenza soggettiva dell'attore e il peggioramento delle abitudini di vita della coppia. Occorre anche valutare la circostanza che trattavasi della prima gravidanza e che, secondo l'id quod prelumque accidit, la coppia coniugale, durante la prima gravidanza affronta la trasformazione in coppia genitoriale, preparandosi all'evento nascita e alla gestione dell'arrivo del figlio riversando sullo stato di gravidanza e di attesa della nascita aspettative di vita, di condivisione e di cambiamento oltre che di responsabilizzazione e che, conseguentemente, la perdita dei feti ha determinato diversi profili di sofferenza che secondo l'id quod plerumque accidit coinvolgono la coppia neo-genitoriale.. Per tali ragioni, può essere riconosciuta, l'ulteriore somma di Euro 81.000,00, liquidata nella misura di circa il 30% del danno da perdita parentale, 9.3. Pertanto, sommando le varie voci di danno sopra specificate, si ottiene la complessiva somma di Euro 353.000,00. Oltre a tale importo, al danneggiato va attribuita la somma di Euro 201.943,27 a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante per il mancato godimento della somma liquidata a titolo di risarcimento. Tale somma è stata determinata equitativamente ex art. 2056 co. I c.c., secondo il noto orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass. civ., Sez. Un. 17-2-1995, n. 1712), ponendo a base di calcolo non la somma sopra liquidata (cioè rivalutata ad oggi), ma l'originario importo devalutato all'epoca dell'evento e rivalutato anno per anno ed applicando il saggio degli interessi legali nel periodo considerato. Complessivamente, quindi, il danneggiato ha subito un danno per Euro 554.943,27. Conseguentemente, i convenuti vanno condannati al pagamento di tale somma, oltre agli interessi legali dal deposito della presente sentenza al saldo. Poiché gli eredi di Ba.Vi. sono tenuti al pagamento del debito del de cuius nei limiti della quota ereditaria, ai sensi dell'art. 752 c.c., costoro sono tenuti in solido in proporzione della rispettiva quota ereditata. 10. La Gestione liquidatoria ex A.S., unitamente alle terze chiamate in causa As. s.p.a., Un. s.p.a. e Me. s.p.a., hanno chiesto di determinare le quote interne di responsabilità o comunque il grado di responsabilità della prima. In ragione del fatto che, per quanto emerso ed evidenziato dalla c.t.u., la causa dell'evento è da attribuire, in misura prevalente, al concorso delle condotte dei medici, dottori Ba.Vi. e Ba.An., per la descritta imperita ed imprudente stimolazione farmacologica della funzione ovarica, e, in parte, anche a quella successiva del servizio di gravidanza a rischio dell'U.O. di ostetricia e ginecologia dell'A.C., per il descritto errore diagnostico effettuato al momento del ricovero della paziente, il tribunale condivide l'individuazione delle quote di responsabilità indicate dall'ausiliario. Pertanto, le quote di responsabilità per l'evento in questione sono del 40 per cento in capo a ciascuno dei due medici, dottori Ba.Vi. e Ba.An., mentre la residua quota di responsabilità del 20 per cento è da imputare in capo alla Gestione liquidatoria ex A.S.. 11. Occorre ora passare all'esame delle domande di garanzie che gli eredi di Ba.Vi. e Ba.An. hanno proposto, in caso di soccombenza nella causa principale nei confronti di Un. s.p.a. e Me. s.p.a., i primi, ed He. s.a., Me. s.p.a. e As. s.p.a.. il secondo. Le imprese assicuratrici convenute, oltre a contestare la responsabilità dei propri assicurati e la prescrizione del diritto al risarcimento, hanno proposto varie eccezioni. In particolare: Un. s.p.a., ha eccepito: a) l'esistenza di una clausola claims made che limita l'operatività della polizza esclusivamente ai sinistri per i quali l'assicurato abbia ricevuto la richiesta risarcitoria durante il periodo di vigenza della polizza; b) la prescrizione annuale, rectius, biennale ex art. 2952 comma 2 c.c. dei diritti derivanti dal contratto di assicurazione, avendo ricevuto il dott. Ba.Vi. richiesta di risarcimento dal Fattorosso nel 1997 (mediante il deposito della costituzione di parte civile nel processo penale celebratosi innanzi alla Pretura di Pompei, poi definito con sentenza 1175/2000) mentre l'impresa assicuratrice aveva avuto notizia della richiesta del F. solo il 18-7-2019 mediante p.e.c. contenente la denunzia di sinistro con trasmissione dell'istanza di mediazione; c) l'inoperatività della garanzia, avendo ricevuto la richiesta risarcitoria successivamente al periodo di efficacia della polizza, avendo la polizza decennale, decorrente dal 30-10-1990, scadenza al 30-10-2020; d) il mancato pagamento delle rate di premio successive alla prima con conseguente copertura di tipo clailms made per il periodo compreso tra 20-10-1991 e il 30-10-1991; e) l'inoperatività della polizza per il danno non patrimoniale da perdita del frutto del concepimento; f) il massimale di polizza di Euro 258.228,45 (L. 500.000.000); g) il rapporto di coassicurazione con la H.; He. s.a. ha eccepito: a) di aver già corrisposto un importo di Euro 144.278,06, nell'ambito del procedimento azionato da Ba.Ma., "consumando" in parte il massimale di polizza di Euro 258.228,45: b) l'esistenza della ulteriore polizza stipulata da Ba.An. con Me. s.p.a. per cui ha chiesto l'applicazione dell'art. 1910 c.c.; Me. s.p.a. ha eccepito: a) la inoperatività della copertura assicurativa ai sensi dell'art. 1892 c.c. avendo gli assicurati Ba.Vi. e Ba.An., volontariamente reso dichiarazioni inesatte o reticenti, sottacendo l'esistenza dei fatti lamentati da Ba.Ma., del giudizio penale e di aver stipulato altre polizze per la responsabilità civile; b) la prescrizione biennale ex art. 2952 comma 2 c.c., degli eredi di Ba.Vi. e di Ba.An., avendo gli assicurati comunicato la ricezione della richiesta risarcitoria dell'attore solo il 18-7-2019, sebbene l'attore avesse in precedenza richiesto il risarcimento dei danni; c) i limiti della copertura assicurativa per Euro 1.032,913 detratte le somme versate a Ba.Ma. per Euro 129.858,26; As. s.p.a. ha eccepito: a) l'annullabilità e l'inoperatività della polizza ai sensi dell'art. 1892 c.c. per aver l'assicurato Ba.An. sottaciuto circostanze determinanti per la conclusione del contratto; b) l'operatività della polizza a secondo rischio per l'importo di danno eccedente il massimale previsto da altre polizze, ai sensi dell'art. 2 delle condizioni generali della polizza; c) la limitazione dell'obbligo di indennizzo nei limiti della quota di responsabilità dell'assicurato; d) la ripartizione dell'indennizzo ex art. 1910 c.c. con He. e Me. s.p.a.. 11.1.1. L'eccezione di prescrizione di cui all'art. 2952 comma 2 c.c., proposta da Un. s.p.a., è fondata. La norma stabilisce che i diritti derivanti dal contratto di assicurazione e dal contratto di riassicurazione, diversi da quello relativo al pagamento delle rate di premio, si prescrivono in due anni dal giorno in cui si è verificato il fatto su cui il diritto si fonda, ad esclusione del contratto di assicurazione sulla vita i cui diritti si prescrivono in dieci anni. Il comma 3 di tale articolo, stabilisce che "Nell'assicurazione della responsabilità civile, il termine decorre dal giorno in cui il terzo ha richiesto il risarcimento all'assicurato o ha promosso contro di questo l'azione". Come dedotto dalla chiamata in causa, nel processo penale conclusosi con la sentenza di condanna 1175/2000 del tribunale di Torre Annunziata, l'attore, unitamente alla moglie, si è costituito parte civile contro l'imputato il 19-6-1997, proponendo quindi azione di risarcimento danni nel processo penale, ai sensi dell'art. 74 c.p.p., peraltro conclusosi con la sentenza di condanna di una provvisionale di L. 10.000.000 confermata dalla sentenza 7245/2001 della corte di appello di Napoli. Non avendo provato i convenuti, eredi dell'assicurato Ba.Vi., di aver formulato la richiesta di indennizzo prima del 18-7-2019, giorno in cui la società assicuratrice ha dedotto di aver ricevuto la p.e.c. di denunzia del sinistro con la trasmissione dell'istanza di mediazione, è evidente la fondatezza dell'eccezione di prescrizione in esame. Pertanto, la richiesta di manleva proposta dagli eredi di Ba.Vi. nei confronti di Un. s.p.a. deve essere respinta. La fondatezza della eccezione descritta assorbe logicamente le altre questioni proposte dalla chiamata in causa. 11.1.2. La stessa eccezione è stata proposta anche da Me. s.p.a.. Anche in questo caso i convenuti, eredi di Ba.Vi. e Ba.An. in proprio, non hanno provato di aver richiesto alla società assicuratrice l'indennizzo prima della comunicazione del 18-7-2019, sebbene fossero state richieste loro i danni dall'attore sia mediante le costituzioni in mora (rivolte ad entrambi i medici, analiticamente descritte al punto 3., fra le quali anche quelle, per i danni subiti anche dall'attore, del 1-10/13-11-2013 e del 13/17-10-2014 indirizzate a Ba.An., e quella del 13/17-10-2014 indirizzata a Ba.Vi.), che mediante la proposizione dell'azione civile in sede penale nel 1997 (nei confronti di Ba.Vi.). Pertanto, anche la richiesta di manleva in esame, proposta dagli eredi di Ba.Vi. e da Ba.An. in proprio, non può essere accolta. 11.2.1. Me. s.p.a. e As. s.p.a. hanno eccepito la inoperatività della copertura assicurativa ai sensi dell'art. 1892 c.c. per gli assicurati. La prima, in particolare, ha dedotto che in data 8-8-2001 Ba.Vi. e Ba.An. avevano sottoscritto con essa contratti assicurativi contro la responsabilità civile professionale nn. (...) e (...); entrambi avevano reso dichiarazioni inesatte o reticenti ex artt. 1892 e 1893 c.c., avendo espressamente dichiarato che "per gli stessi rischi previsti dal presente contratto non hanno in corso altre assicurazioni" nonché "di non essere a conoscenza di atti e fatti che possano comportare richieste di risarcimento per i quali è prestata la presente assicurazione". Entrambi avevano taciuto l'esistenza sia dei fatti lamentati da Ba.Ma. nei loro confronti, sia del giudizio penale nel quale Ba.Vi. era stato condannato al risarcimento del danno e il P.M. aveva chiesto la trasmissione degli atti alla Procura per procedere contro Ba.An., sia di altre polizze contro la responsabilità civile sottoscritte con altre Compagnie, tra cui la Me. s.p.a. e H.A. s.p.a.. La seconda, invece, ha evidenziato che prima della stipula della polizza, in data 19-6-2019, il dott. Ba.An. aveva compilato, firmato ed inviato ad As. il Modulo di proposta - questionario per l'assicurazione della responsabilità civile professionale in cui dichiarava "di non aver ricevuto alcuna richiesta di risarcimento in ordine a comportamenti colposi posti in essere prima della compilazione del presente modulo e di non essere a conoscenza di alcun elemento che possa far supporre il sorgere di un obbligo di risarcimento di danno a lui imputabile per fatto già verificatosi al momento della compilazione del modulo, ovvero la copertura assicurativa non opera in relazione ai sinistri in attinenza ai quali l'Assicurando, prima della stipula della polizza, abbia già avuto notizia o conoscenza dei presupposti determinanti la sua responsabilità professionale, dichiarando altresì che i dati forniti rispondono a verità e di non aver sottaciuto informazioni relative a circostanze che influiscono sulla valutazione del rischio". Inoltre, aveva espressamente e specificamente negato che "negli ultimi 5 anni" gli fossero state rivolte "richieste di risarcimento per danni imputabili a una sua responsabilità professionale" e di essere "a conoscenza di circostanze che ritiene possano influire sulla scelta della Compagnia di concludere il contratto o di concluderlo a condizioni diverse". Ancora, con specifica integrazione al Modulo di Proposta firmata a parte, aveva dichiarato "di essere consapevole nel momento in cui richiede la retroattività di non aver ricevuto richieste di risarcimento danni per fatti precedenti alla stipula di questa polizza ed altresì di non essere a conoscenza di circostanze tali che, se fossero state comunicate alla Compagnia, avrebbero escluso la concessione della retroattività...". I convenuti (eredi di Ba.Vi. e Ba.An.), in riferimento alla eccezione proposta da Me. s.p.a., ne hanno contestato i presupposti e hanno replicato richiamando le motivazioni esposte nella sentenza della corte di appello di Napoli che rigettava l'eccezione proposta nel giudizio azionato da Ba.Ma.. Secondo tali argomentazioni il contratto assicurativo, tra Ba.Vi. e la M., era stato stipulato in data 8-8-2001, in pendenza del procedimento penale nel quale non erano state proposte istanze risarcitorie. A seguito, invece, della notifica dell'atto di citazione per il risarcimento dei danni, in data 27-9-2002, Ba.Vi. aveva inviato la comunicazione di manleva, alla società assicurativa, ai sensi dell'art. 1892 c.c. mediante lettera A/R in data 20-9-2002; del pari Ba.An., a seguito della chiamata in causa, notificatagli il 10-2-2003, aveva provveduto, mediante lettera racc. A/R, in data 12-2-2003, alla comunicazione alla propria compagnia perché provvedesse a tenerlo indenne, consentendo alla società di conoscere con precisione l'oggetto della manleva e la possibilità di recedere dal contratto. Conseguentemente, secondo la Corte di Appello, "... benchè l'assicuratore sia stato idoneamente informato e fosse a conoscenza della reale situazione di fatto, ovvero della richiesta di risarcimento in danno degli assicurati B., non ha esercitato, nel termine di legge, la facoltà di recesso dal contratto. Un attento esame del quadro probatorio formatosi nel primo grado del giudizio, induce a ritenere l'inapplicabilità dell'art. 1892 c.c. al caso di specie, stante la conoscenza da parte dell'assicuratore delle richieste risarcitorie in danno degli assicurati e, non avendo comunicato il recesso, nel termine di mesi tre dalle rispettive comunicazioni ricevute, per cui si ritiene che il contratto assicurativo sia pienamente operante". Pertanto, hanno eccepito che il giudicato formatosi nel precedente processo copre quanto dedotto nel precedente procedimento in merito all'inesistenza di elementi idonei a determinare l'inoperatività della polizza, nonché quanto deducibile, determinando l'inefficacia di eventuali comunicazioni trasmesse all'assicurato che, peraltro, sono sfornite di prova circa l'effettivo invio e la relativa ricezione. Secondo i convenuti, quindi, avendo la corte di appello di Napoli dichiarato l'inesistenza di elementi di fatto determinanti l'annullamento ex art. 1892 c.c. ovvero il legittimo esercizio del diritto di recesso ex art. 1893 c.c., altrettanto deve essere dichiarato dal tribunale, determinando, in caso contrario, un potenziale conflitto tra giudicati. 11.2.2. In diritto, si rammenta che presupposti necessari per l'operare dell'art. 1892 c.p.c. sono: l'inesattezza e la reticenza delle dichiarazioni rese dall'assicurato; l'essenzialità delle dichiarazioni stesse in ordine alla formazione del consenso dell'assicuratore; e il dolo o la colpa grave (Cass. civ., 25582/2011, 16769/2006, 3165/2003, 2740/2002, 5770/1998). Affinché le dichiarazioni suddette siano rilevanti ai fini dell'annullamento del contratto è necessario che se l'assicuratore avesse conosciuto il vero stato delle cose non lo avrebbe concluso o lo avrebbe concluso a condizioni diverse, devono essere quindi determinanti del consenso così come prestato dall'assicuratore. È necessario, quindi, che sussista un collegamento oggettivo tale per cui la situazione reale celata dia luogo ad una maggiore probabilità di verificazione dell'evento assicurato; è necessaria un'alterazione del rischio reale rispetto a quello dichiarato incidente sulla prestazione del consenso o sulle condizioni di questo da parte dell'assicurato (Cass. civ., 7418/1986). Secondo la S.C., la predisposizione di un questionario da parte dell'assicuratore, sebbene non abbia la funzione di "tipizzare" le possibili cause di annullamento del contratto per dichiarazioni inesatte o reticenti, evidenzia la particolare importanza attribuita dall'assicuratore a determinati requisiti (Cass. civ., 4682/1999). È infatti dovere dell'assicuratore fornire un quadro delle circostanze alle quali abbia interesse, cosicché in assenza di tale riferimento eventuali dubbi sulla rilevanza di circostanze non dichiarate restano a carico dell'assicuratore (Cass. civ., 17840/2003, 11206/1990). Parallelamente si è affermato che il contratto è annullabile, ai sensi dell'art. 1892, quando l'assicurato abbia, con coscienza e volontà, omesso di riferire all'assicuratore nonostante gli sia stata rivolta apposita domanda circostanze suscettibili di esercitare un'effettiva influenza sul rischio assicurato (Cass. civ., 784/2001). Quanto all'elemento soggettivo, si ritiene che: "In tema di annullamento del contratto di assicurazione per reticenza o dichiarazioni inesatte ex art. 1892 cod. civ., non è necessario, al fine di integrare l'elemento soggettivo del dolo, che l'assicurato ponga in essere artifici o altri mezzi fraudolenti, essendo sufficiente la sua coscienza e volontà di rendere una dichiarazione inesatta o reticente; quanto alla colpa grave, occorre invece che la dichiarazione inesatta o reticente sia frutto di una grave negligenza che presupponga la coscienza dell'inesattezza della dichiarazione o della reticenza in uno con la consapevolezza dell'importanza dell'informazione, inesatta o mancata, rispetto alla conclusione del contratto ed alle sue condizioni" (Cass. civ., sentenza n. 12086 del 10-6-2015; v. anche Cass. civ., ordinanza n. 19520 del 4-8-2017 e Cass. civ., ordinanza n. 20997 del 18-7-2023). Per quanto concerne, invece, il termine di decadenza per impugnare il contratto, è costante l'orientamento della S.C. secondo il quale "In tema di assicurazione contro gli infortuni, l'onere, imposto dall'art. 1892 c.c. all'assicuratore, di manifestare, allo scopo di evitare la decadenza, la propria volontà di esercitare l'azione di annullamento del contratto, per le dichiarazioni inesatte o reticenti dell'assicurato, entro tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto la causa di tale annullamento, non sussiste quando il sinistro si verifichi anteriormente al decorso del termine suddetto e, ancora più, ove avvenga prima che l'assicuratore sia venuto a sapere dell'inesattezza o reticenza della dichiarazione, essendo sufficiente, in questi casi, per sottrarsi al pagamento dell'indennizzo, che l'assicuratore stesso invochi, anche mediante eccezione, la violazione dolosa o colposa dell'obbligo, esistente a carico dell'assicurato, di rendere dichiarazioni complete e veritiere sulle circostanze relative alla rappresentazione del rischio". (Cass. civ., ordinanza n. 1166 del 21-1-2020; Cass. civ., sentenza n. 16406 del 13-7-2010) 11.2.3. Orbene, relativamente alla polizza stipulata con Me. s.p.a. in data 8-8-2001, non vi è dubbio che il dott. Ba.Vi. fosse consapevole a quella data delle pretese risarcitorie del F. e che, con piena consapevolezza, abbia negato di essere a conoscenza di queste. La costituzione di parte civile effettuata nel processo penale contro Ba.Vi. nel 1997, le lettere di costituzione in mora inviate nel 1999 a Ba.Vi. (elencate al precedente punto 3.), la sentenza penale di condanna del 2000 di Ba.Vi., dimostrano inequivocabilmente che prima della sottoscrizione della polizza fosse a conoscenza della richiesta risarcitoria che è stata consapevolmente taciuta. Per quanto riguarda il contratto stipulato con As. s.p.a., del pari, non vi sono dubbi che al momento della stipula della polizza (nel 2019) Ba.An. fosse consapevole della pretesa risarcitoria dell'attore, atteso l'invio di plurime lettere di costituzione in mora nei suoi confronti da parte di Fa.Gi., (elencate al precedente punto 11.1.2. nonché al punto 3.) e la pubblicazione delle sentenze di condanna al risarcimento dei danni del 2014 di questo tribunale e del 2018 della corte di appello di Napoli pronunziate anche nei suoi confronti su domanda del coniuge dell'attore in relazione ai medesimi fatti oggetto delle richieste risarcitorie. L'eccezione di giudicato proposta dai convenuti, riferita al rigetto della analoga eccezione esaminata nel giudizio civile proposto da Ba.Ma., è priva di pregio, atteso che non ricorre il presupposto fondamentale della identità di parti nei due giudizi, non essendone parte l'attore. Infine, si osserva che, alla luce dei principi prima richiamati, poiché la verificazione del sinistro si è verificata prima che l'assicuratore sia venuto a conoscenza dell'inesattezza o reticenza della dichiarazione, la proposizione della eccezione della violazione dell'obbligo di rendere dichiarazioni complete e veritiere è sufficiente per sottrarsi al pagamento dell'indennizzo. Pertanto, la richiesta di manleva proposta dai convenuti nei confronti di Me. s.p.a. e As. s.p.a. deve essere respinta. La fondatezza della eccezione descritta, nei termini esposti, assorbe logicamente le altre questioni proposte dalle chiamate in causa. 11.3. Infine, esaminando le eccezioni proposte da He. S.A., si osserva che l'accoglimento della eccezione di cui all'art. 1892 c.c. proposta da Me. s.p.a., con la quale Ba.An. era anche assicurato, ha comportato l'assorbimento della eccezione della richiesta di applicazione dell'art. 1910 c.c.. Per quanto concerne l'eccezione relativa al massimale di polizza fissato in Euro 258.228,45 e in parte "consumato" con il pagamento di Euro 144.278,06, nell'ambito del procedimento azionato da Ba.Ma., la stessa risulta fondata, atteso che dalle condizioni di polizza n. (...) del 18-1-1994 il massimale in questione è riferito ad ogni sinistro e ad ogni persona. Pertanto, la società assicuratrice deve essere dichiarata tenuta a manlevare Ba.An. sino alla somma di Euro 113.950,39 (quale differenza residua rispetto al massimale di Euro 258.228,45). 12. Le spese di lite seguono il regime della soccombenza, ai sensi dell'art. 91 c.p.c., e si liquidano di ufficio, in assenza del deposito della nota spese di cui all'art. 75 disp. att. c.p.c., riducendo del 35 % i valori medi previsti nei parametri disciplinati dal D.M. n. 55 del 2014 aggiornati dal D.M. n. 147 del 13 agosto 2022, tenuto conto del pregio delle difese, della natura della causa, delle questioni affrontate e del valore della causa (determinato in applicazione del criterio del "disputatum", risultando la domanda accolta, ex art. 5 D.M. n. 55 del 2014: cfr, ex multis, Cass. civ., ordinanza n. 35195 del 30-11-2022. Scaglione di riferimento da Euro 520.001,00 a Euro 1.000.000,00: fase studio, Euro 2.994,55; fase introduttiva, Euro 1.975,35; fase istruttoria/trattazione, Euro 8.797,10; fase decisionale, Euro 5.208,45), nella misura indicata in dispositivo, da distrarre in favore del difensore ai sensi dell'art. 93 c.p.c.. Nei rapporti tra Ba.An. ed He. S.A., in ragione del parziale accoglimento della domanda di manleva, le spese di lite devono essere compensate per la metà, seguendo la restante parte il regime della soccombenza. P.Q.M. Il giudice monocratico, definitivamente pronunziando sulla domanda proposta da Fa.Gi., nei confronti di Ba.An., in proprio e nella qualità di erede di Ba.Vi., Ba.Ma. e Ac.Ni., nella qualità di eredi di Ba.Vi., Gestione Liquidatoria ex Uc., in persona del legale rappresentante p.t., Un. s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., He. s.a., in persona del legale rappresentante p.t., Me. s.p.a. in persona del legale rappresentante p.t., As. s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., ogni altra istanza, eccezione, deduzione disattese, così provvede: A) accoglie la domanda e, per l'effetto, condanna Ba.An., in proprio e nella qualità di erede di Ba.Vi., Ba.Ma. e Ac.Ni., nella qualità di eredi di Ba.Vi., e Gestione Liquidatoria ex Uc., in persona del legale rappresentante p.t., in solido, al pagamento, in favore di Fa.Gi., della complessiva somma di Euro 554.943,27, oltre interessi legali dalla data odierna sino al saldo, limitando per gli eredi di Ba.Vi. la solidarietà alla rispettiva proporzionale quota ereditata; B) dichiara Ba.Vi. e Ba.An. responsabili dell'evento descritto in motivazione nella misura del 40 per cento ciascuno e la Gestione Liquidatoria ex Uc., in persona del legale rappresentante p.t, nella residua misura del 20 per cento; C) condanna He. s.a., in persona del legale rappresentante p.t., a manlevare Ba.An., in relazione a quanto dovuto in favore di Fa.Gi. in forza della presente sentenza, sino alla somma di Euro 113.950,39; D) rigetta le ulteriori domande di manleva; E) condanna Ba.An., in proprio e nella qualità di erede di Ba.Vi., Ba.Ma. e Ac.Ni., nella qualità di eredi di Ba.Vi., e Gestione Liquidatoria ex Uc., in persona del legale rappresentante p.t., in solido, al pagamento delle spese processuali in favore di Fa.Gi., che liquida in Euro 570,02 per esborsi ed Euro 18.975,45 per compenso professionale, oltre 15% per spese forfettarie, i.v.a e c.p.a., se dovute, con distrazione in favore dell'avvocato Elia Martino, ai sensi dell'art. 93 c.p.c.; F) condanna Ba.An., in proprio e nella qualità di erede di Ba.Vi., Ba.Ma. e Ac.Ni., nella qualità di eredi di Ba.Vi., al pagamento delle spese processuali in favore di Un. s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., che liquida in Euro 18.975,45 per compenso professionale, oltre 15 % per spese forfettarie, i.v.a e c.p.a., se dovute; G) compensa le spese processuali per la metà e condanna He. s.a., in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento della residua parte in favore di Ba.An. che liquida in Euro 9.487,72 per compenso professionale, oltre 15 % per spese forfettarie, i.v.a e c.p.a., se dovute; H) condanna Ba.An., in proprio e nella qualità di erede di Ba.Vi., Ba.Ma. e Ac.Ni., nella qualità di eredi di Ba.Vi., al pagamento delle spese processuali in favore di Me. s.p.a. in persona del legale rappresentante p.t., che liquida in Euro 18.975,45 per compenso professionale, oltre 15 % per spese forfettarie, i.v.a e c.p.a., se dovute; I) condanna Ba.An. al pagamento delle spese processuali in favore di As. s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., che liquida in Euro 18.975,45 per compenso professionale, oltre 15% per spese forfettarie, i.v.a e c.p.a., se dovute. Così deciso in Torre Annunziata il 23 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 27 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta da: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente - Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere - Dott. BELLINI Ugo - Relatore - Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere - Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Sa.Ma. (CUI Omissis) nato il (Omissis) avverso l'ordinanza del 27/06/2023 della CORTE APP.SEZ.MINORENNI di TORINO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere relatore; lette le conclusioni del I Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCA TAMPIERI che ha chiesto l'annullamento dell'ordinanza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Torino ha dichiarato la inammissibilità della impugnazione in appello proposta dalla difesa di Sa.Ma. avverso la sentenza emessa nei suoi confronti dal Tribunale dei Minorenni di Torino che lo aveva riconosciuto colpevole del reato di cui agli art.624 bis e 625 n.5 cod. pen. e lo aveva condannato alla pena di giustizia. Motiva il giudice di appello che la inammissibilità della impugnazione dipende dalla mancata osservanza dell'art.581, comma 1 ter cod. proc. pen., come novellato dall'art.33 lett. d) D.Lgs. n.150/2022 applicabile, ai sensi dell'art.89 comma 3 dello stesso decreto legislativo, alle sentenze pronunciate dopo l'entrata in vigore della riforma e pertanto a partire dal 30.12.2022 (secondo quanto previsto dall'art.99 bis d.l. 162/2022 convertito nella legge 199/2022). Secondo l'art.581, comma 1 ter c.p.p. con "l'atto di impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio". Rileva il giudice di appello che si verte in ipotesi di specifico adempimento cui la parte è tenuta dopo la pronuncia della sentenza impugnata e che si è realizzata la ipotesi di inammissibilità della impugnazione prevista dal legislatore in ragione del mancato deposito della dichiarazione di elezione di domicilio unitamente alla impugnazione. 2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la difesa di Sa.Ma. che ha articolato un unico motivo di ricorso con il quale deduce violazione di legge ed abnormità del provvedimento in ordine all'onere del giudice di valutare la dichiarazione di elezione di domicilio resa dal ricorrente in sede di atto di appello, laddove la verifica dell'adempimento prescritto dalla disciplina di cui all'art.581 comma 1 ter cod. proc. pen. avrebbe dovuto essere modulata sulla base della peculiarità del caso concreto poiché, nella specie, la dichiarazione di domicilio preesisteva alla pronuncia dell'ordinanza di inammissibilità, che la stessa era stata richiamata nell'atto di appello e che pertanto la Corte di Appello era resa edotta del luogo in cui avrebbe dovuta essere notificata la citazione in giudizio dell'imputato, tanto che al suddetto indirizzo era stata notificata l'ordinanza di inammissibilità. Doveva altresì considerarsi che l'imputato, fin dal 24/11/2022 risultava ristretto in stato di custodia cautelare, dapprima in carcere e successivamente presso la comunità "Nostra @2Si@ di G" in provincia di R, così da risultare reperibile e ben localizzato. La preesistente elezione di domicilio e lo stato custodiate consentono di ritenere del tutto salvaguardata la finalità di una corretta notifica ai fini del giudizio e tutelata l'esigenza di economia processuale. Una diversa interpretazione di tale disposizione si pone in contrasto con i principi costituzionali del diritto di difesa e di partecipazione consapevole al giudizio in quanto, mediante la esigenza del rispetto di un requisito formale dell'atto di impugnazione, viene mortificato il diritto di un minore di anni (Omissis) di ottenere una pronuncia in grado di appello, pur essendo lo stesso recluso per tale titolo a fronte di pronuncia di condanna a pena condizionalmente non sospesa, tenuto altresì conto che il giudizio di appello si sarebbe svolto in forma camerale senza la partecipazione delle parti e con giudizio cartolare; a tale fine la difesa ha richiamato il diritto sovranazionale e in particolare il patto internazionale sui diritti civili, ove viene ribadito il diritto dell'individuo al riesame in seconda istanza di una pronuncia di condanna. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. L'art.581 comma 1 ter, nel testo vigente a fare data dal 30 dicembre 2022 prevede che "con l'atto di impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o la elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio". La norma non si limita a richiedere che sussista una elezione di domicilio eventualmente eseguita dalla parte nel corso delle indagini preliminari o nel corso del giudizio di primo grado ma richiede che sia depositata la dichiarazione o la elezione di domicilio con l'atto di impugnazione ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio. 2. Sotto un primo profilo, che attiene alla collocazione sistematica della norma nel titolo I (Disposizioni generali) del libro IX riservato alle impugnazioni, la disposizione in esame (obbligo di dichiarazione/elezione di domicilio con l'atto di impugnazione a pena di inammissibilità) ha carattere generale e tassativo, si riferisce a tutte le impugnazioni proposte dalle parti private ed è funzionale acchè la notificazione del decreto di citazione a giudizio vada a buon fine e quindi raggiunga la sfera di conoscenza del destinatario. A questo proposito anche la nuova disciplina del procedimento notificatorio riservata alla prima notifica all'imputato non detenuto (art. 157 richiamato dall'art. 156 comma 3 cod. proc. pen.) persegue il massimo grado di conoscibilità dell'atto da notificare, in primo luogo escludendo la notifica telematica di cui all'art.148, comma 1 cod. proc. pen., in secondo estendendo le modalità di notificazione di copia analogica alla persona alle notifiche successive alla prima (art.156, comma 3 cod. proc. pen.). 3. Sotto il diverso profilo della ratio legis, la nuova disposizione che pone in capo alla parte privata l'onere della dichiarazione del domicilio mira da un lato a responsabilizzare la parte nella prospettiva impugnatoria, richiedendo un suo personale contributo (che si somma a quello, eventuale richiesto dal successivo comma 1 quater in caso di giudizio definito in assenza), e dall'altro mira ad agevolare il buon esito del procedimento notificatorio, in ossequio al principio di collaborazione e di lealtà processuale (sul punto sez.4, n.22140 del 3/05/2023, Eni Naji Kamal); cosicché tale adempimento, di carattere preliminare alla notifica della citazione in giudizio, riveste una funzione di razionalizzazione del giudizio di impugnazione e, al contempo, di personalizzazione del gravame in quanto la parte privata è chiamata a condividerne l'esperimento mediante la dichiarazione/elezione di domicilio finalizzata alla citazione a giudizio. Assolvendo tale adempimento la parte privata evidenzia di essere consapevole della impugnazione che verrà interposta dal proprio difensore, dovendo necessariamente interagire con lo stesso in tale prospettiva e sa che verrà citata per partecipare al giudizio di impugnazione, in tale modo rimanendo esclusi eventuali rimedi di restituzione nel termine e di rescissione del giudicato nelle fasi successive del giudizio. 3.1 A fronte di tali finalità, la questione oggetto del presente giudizio è se il principio di cui all'art.581, comma 1 ter cod. proc. pen., propedeutico alla notifica del decreto introduttivo del giudizio e, quindi, alla corretta, celere e informata instaurazione del rapporto processuale, debba valere anche nei confronti dell'imputato che, come il Sa.Ma., al momento della citazione si trovi in stato di custodia cautelare in carcere nei cui confronti quindi la notifica, anche successiva alla prima, debba avvenire nel domicilio legale e cioè presso il luogo di detenzione, ai sensi dell'art.156, comma 1 cod. proc. pen. 4. Questa Corte ritiene di potere dare una risposta negativa a tale quesito, uniformandosi sul punto a precedenti della giurisprudenza di legittimità per i quali l'onere del deposito della dichiarazione o elezione di domicilio della parte privata, unitamente all'atto di impugnazione, non opera nel caso in cui l'impugnante sia detenuto in carcere, ovvero sottoposto a misura custodiale in luogo di detenzione nella ipotesi prevista dall'art.156, comma 1 cod. proc. pen. (sez.2, n.33355 del 28/06/2023, Quattrocchi, Rv.285021; n.38442 del 13/09/2023,' Toure, Rv.285029). 4.1 Invero diversamente dalla ipotesi in cui il destinatario della notifica si trovi detenuto in luogo diverso dagli istituti penitenziari, per il quale valgono le regole del procedimento notificatorio di cui all'art. 157 cod. proc. pen. (per una interpretazione della compatibilità di tale procedimento con la disposizione di cui all'art.581, comma 1 ter cod. proc. pen. vedi sez.4, n.41858 del 8/06/2023, Andrioli, Rv.285146.01), a riconoscere la incompatibilità logica e sistematica tra l'onere processuale introdotto dall'art.581 comma 1 ter cod. proc. pen. rispetto ad una notifica da effettuarsi presso il luogo di detenzione, militano le seguenti ragioni. 4.1.1 In primo luogo, l'art.156, comma 1 cod. proc. pen. è stato anch'esso novellato dalla Riforma Cartabia, nel senso che è stato previsto che le notifiche all'imputato detenuto, anche successive alla prima, vanno "sempre" eseguite nel luogo di detenzione di talché, essendo la notifica indicata dall'art.581, comma 1 ter cod. proc. pen. funzionale alla citazione a giudizio del destinatario, se questi si trovi, al momento della proposizione della impugnazione, recluso o custodito presso luogo di detenzione, non vi è ragione che lo stessi indichi un domicilio diverso da quello "legale", poiché la dichiarazione di un diverso domicilio risulterebbe del tutto ultronea ed irrilevante, in quanto la notificazione del decreto di citazione a giudizio andrebbe comunque eseguita ai sensi dell'art. 156 cod. proc. pen. a mani proprie dell'imputato detenuto presso il luogo di detenzione. D'altro canto, l'eventualità di un mutamento dello status detentionis nelle more della citazione a giudizio non determinerebbe alcuna divaricazione dal modello processuale, in quanto la notifica sarebbe comunque assicurata dalla previsione di cui all'art.161, comma 3 cod. proc. pen. che pone l'obbligo a carico del detenuto scarcerato di procedere alla dichiarazione - elezione di domicilio, di talché la notifica andrebbe ivi indirizzata. 4.1.2 Sotto diverso profilo, la estensione all'imputato detenuto della disciplina di cui all'art.581, comma 1 ter cod. proc. pen. costituirebbe un vulnus alla disciplina sovranazionale in relazione al riconosciuto diritto di accesso effettivo alla giustizia, anche nel giudizio di appello (art.6 CEDU), esigenza ancora più forte nella ipotesi in cui l'aspettativa di una riforma di una pronuncia di condanna sia coltivata da un imputato in stato di detenzione, la cui protrazione potrebbe dipendere proprio dall'esito del giudizio di impugnazione. É stato affermato, invero, che l'applicazione da parte delle Corti riazionali di determinate formalità da osservare per il ricorso all'autorità giudiziaria, rischia di costituire un ingiustificato ostacolo all'accesso alla giustizia allorquando l'interpretazione eccessivamente formalistica della legge nazionale impedisce di fatto l'esame nel merito del ricorso proposto dall'interessato (Corte europea dei diritti dell'uomo, 12 luglio 2016, Reichman c. Francia; 5/11/2015, Henrioud c. Francia vedi n.38442 del 13/09/2023, Toure, cit.). 5. In conclusione il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata con trasmissione degli atti alla Corte di Appello di Torino, sezione per i Minorenni, per l'ulteriore corso. 5.1 A norma dell'art.52 D.Lgs. 196/03 va disposto l'oscuramento dei dati identificativi del ricorrente minorenne, trattandosi di adempimento imposto dalla legge. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti alla Corte di Appello di Torino, sezione per i Minorenni, per l'ulteriore corso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art.52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge. Così deciso in Roma il 12 dicembre 2023. Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta da Dott. ANDREAZZA Gastone - Presidente Dott. CORBETTA Stefano - Relatore Dott. MENGONI Enrico - Consigliere Dott. MACRÌ Ubalda - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Ma.Ma., nato a T il (Omissis) avverso la sentenza del 05/04/2023 della Corte di appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta; letta la requisitoria redatta ai sensi dell'art. 23 D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Raffaele Piccirillo, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità o, comunque, il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Torino e appellata dall'imputato, la Corte di appello di Torino ha ridotto a quattro anni e otto mesi di reclusione la pena inflitta nei confronti di Ma.Ma., nel resto confermando la decisione impugnata, la quale aveva affermato la penale responsabilità dell'imputato per i delitti di cui agli artt. 572, comma 1 e 2, cod. pen. commesso in danno della moglie e delle due figlie minorenni (capo A), 609-bis cod. pen. commesso in danno della figlia Al. (capo B) e 570, comma 2. n. 2 cod. pen. commesso in danno delle figlie (capo C). 2. Avverso la sentenza, l'imputato, tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. 2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. e in riferimento gali artt. 609-bis, 570 cod. pen., 192 e 530 cod. pen. Rappresenta il difensore che la Corte di merito si è limitata a una mera motivazione per relationem, senza confrontarsi con le doglianze difensive, con le quali si era chiesta l'assoluzione per i reati di violenza sessuale e di violazione degli obblighi di assistenza famigliare. In particolare, quanto al delitto di cui al capo B), la Corte di merito ha richiamato integralmente le dichiarazioni della persona offesa, ritenute però dal ricorrente inattendibili perché non riscontrate dal compendio probatorio, anche considerando che l'episodio più grave è stato taciuto nel messaggio inviato allo zio, e non potendosi escludere che il clima di forte contrapposizione tra i genitori possa aver condizionato la narrazione della figlia. Quanto al delitto di cui al capo C), la Corte di merito non avrebbe verificato che, a causa della contribuzione non integrale da parte dell'imputato, siano effettivamente venuti mancare i mezzi di sussistenza alle minori. 2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 62-bis, 81 e 133 cod. pen. Rappresenta il difensore che la Corte di merito non avrebbe motivato la riduzione non nella massima estensione delle circostanze attenuanti generiche, e, comunque, la pena complessivamente inflitta, anche in relazione agli aumenti per la continuazione, sarebbe oltremodo gravosa alla luce del principio rieducativo della pena ex art. 27, comma 3, Cost. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il primo motivo è inammissibile perché generico e fattuale. 2.1. Si osserva che la critica dell'apparato probatorio posto a fondamento della penale responsabilità per il delitto di violenza sessuale in danno della figlia è declinata mediante l'astratto riferimento all'obbligo di risposta della Corte territoriale ai motivi di appello, allo standard del ragionevole dubbio, alla necessità di attenta verifica dell'attendibilità della persona offesa del reato, senza alcuna specifica e argomentata allegazione delle ragioni concrete per le quali dette regole sarebbero state violate nel caso di specie. Oltre a ciò, si evidenzia che la censura in punto di attendibilità della persona offesa non solo ha una connotazione chiaramente apodittica e, comunque, priva di effettivo confronto con le argomentazioni della sentenza impugnata, ma pare assumere un presupposto - ossia la necessità di riscontri esterni per corroborare il narrato della persona offesa - che si pone in contrasto con la lettera dell'art. 192 cod. proc. pen., come interpretato dall'uniforme e costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui le regole dettate dall'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (per tutti, Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214). Si osserva, peraltro, che la Corte di merito (p. 5 della sentenza impugnata) ha ribadito la piena attendibilità della persona offesa con un percorso argomentativo immune da vizi logici, sulla base della puntualità del racconto della persona offesa, della sostanziale uniformità di quanto riferito, in sede extraprocessuale, alla madre e al compagno di costei e quanto riportato agli inquirenti; della "maturità" e della continenza del racconto; della congruenza degli stati emotivi riferiti e manifestati ai primi destinatari delle confidenze con la portata traumatica dell'accaduto: elementi, questi, in relazione ai quali il ricorrente non muove alcuna censura. Diversamente da quanto osservato dal ricorrente, la Corte d'appello si è anche adeguatamente confrontata con l'argomento, qui nuovamente riproposto, che enfatizza la circostanza che, nel riferire allo zio in un messaggio quanto accadutole, la giovane vittima lo avrebbe informato dei toccamenti al sedere e del bacio ma non anche dei più invasivi nelle zone intime, logicamente rilevando la "naturale e logica ritrosia" che poteva giustificare la (parziale) omissione. A fronte di tali argomenti, che giustificano l'adesione alle conclusioni raggiunte dal giudice di prime cure, appare puramente congetturale la prospettazione della possibilità che la persona offesa abbia interpretato in maniera distorta, sebbene aliena da intenti calunniatori, le attenzioni paterne, così come appare meramente esplorativa la prospettazione difensiva, che non trova riscontro nei dati probatori, secondo cui il narrato della minore potrebbe essere stato condizionato dalla conflittualità tra i genitori. 2.2. Ad analoghe conclusioni deve giungersi con riferimento alla censura ad oggetto la condanna per il delitto di violazione degli obblighi di assistenza, incentrata sulla asserita mancata prova dello stato di bisogno delle minori aventi diritto. Invero, non solo la Corte di merito ha evidenziato la genericità dell'affermazione secondo la quale le figlie sarebbero state comunque munite dei mezzi di sussistenza - genericità che pervade anche il motivo in esame - ma ha correttamente richiamato, in un contesto di inadempimento totale e protratto negli anni, il consolidato principio per il quale in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la minore età del figlio, a favore del quale è previsto l'obbligo di contribuzione al mantenimento, rappresenta in re ipsa una condizione soggettiva di stato di bisogno, che non è esclusa per il fatto che, in virtù della elevata disponibilità economica del genitore presso il quale è collocato, il figlio non versi in reale stato di bisogno, ma goda anzi di pieno benessere ed elevato tenore di vita (Sez. 6, n. 17766 del 27/02/2019, V., Rv. 275726; Sez. 6, n. 34675 del 07/07/2016, R., Rv. 267702; Sez. 6, n. 53607 del 20/11/2014, p.c. in c. S., Rv. 261871). Nel caso in esame, inoltre, la Corte di merito ha rilevato come l'imputato disponesse di reddito da attività artigianale, accertato nel corso delle indagini preliminari, che l'imputato medesimo aveva scelto di dissipare nel consumo di alcolici, piuttosto che destinare per il mantenimento delle figlie minorenni. 3. Inammissibile è anche il secondo motivo. Anche in tal caso, le censure si dipanano attraverso proposizioni generiche ed astratte, con un mero richiamo a massime giurisprudenziali e a principi generali, ma non evidenziano violazioni di legge, né attaccano la motivazione della Corte di merito, la quale, peraltro, in parziale accoglimento dei motivi, ha operato un non trascurabile ridimensionato della pena inflitta, con riferimento sia al reato base (anni due mesi sei di reclusione, pari ad una riduzione della metà della pena prevista per l'ipotesi di cui all'art. 609-bis, comma 1, cod. pen.), sia all'aumento ex art. 81 cpv. cod. pen. per i maltrattamenti delle figlie minori (mesi sei di reclusione per ciascuna). Orbene, il ricorrente non adduce circostanze di fatto ignorate dal giudice del merito, essendosi limitato a richiamare, in maniera del tutto generica - come già era accaduto con l'atto di appello - la necessità di adeguamento della pena alla concreta gravità del fatto e il principio di personalizzazione del trattamento sanzionatorio. 4. Essendo il ricorso inammissibile e ricorso e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 Euro in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso il 30 gennaio 2024. Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2024.
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