Sentenze recenti pertinenze

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 353 del 2023, proposto da El. Za., rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Ar. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Regione Emilia-Romagna, Provincia di Reggio Emilia, non costituiti in giudizio; per l'annullamento - dell''atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 con oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell''art. 14 comma 6 LR 15/2013"; - della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Paola Pozzani, nessuno presente per le parti come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso introduttivo la ricorrente ha chiesto l'annullamento dell'atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 recante in oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell'art. 14 comma 6 LR 15/2013", e dell'ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi n. 80 del 27.10.2023. Il Comune di (omissis), costituitosi in giudizio il 28 dicembre 2023, ha speso le proprie difese con memoria del 18 gennaio 2024 ed ha depositato memoria ex art. 73 C.p.a. il 4 aprile 2024. La ricorrente ha precisato la propria posizione con memoria depositata in giudizio il 19 aprile 2024. Entrambe le parti hanno depositato copiosa documentazione. Alla pubblica udienza del 22 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO La ricorrente, proprietaria, in (omissis) (RE), via (omissis), di un edificio residenziale in zona agricola, rappresenta che presentava al Comune di (omissis), in data 8.7.2023, prot. n. 8753, una s.c.i.a. in sanatoria avente ad oggetto la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina, del relativo locale tecnico, della pavimentazione perimetrale, di un piccolo fabbricato in legno ad uso spogliatoio e di una tettoia; ricevuti i documenti ed i chiarimenti richiesti, il Comune di (omissis), con atto 11.10.2023 prot. n. 13122 della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio, comunicava alla ricorrente l'inefficacia della s.c.i.a., "verificata l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP; verificata la non applicabilità dell'art. 4.1.3. comma 6 del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq. di SU". Faceva seguito l'ordinanza 27.10.2023 n. 80, con la quale l'Amministrazione comunale ha disposto la demolizione delle opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria ed anche di una recinzione, accertando, altresì, la sussistenza di una lottizzazione abusiva: "...Confermando quanto relazionato dalla comunicazione di inefficacia trasmessa dal Comune di (omissis) con Prot. n. 13122 del 11.10.2023 si precisa che dagli atti trasmessi risulta quanto segue: 1. Accertata difformità urbanistica ed edilizia sul mappale (omissis) (ex (omissis)) ad uso piscina e manufatti diversi (spogliatoio e wc, locale tecnico, tettoia); le dimensioni della difformità riguardano la piscina di mq. 132,92 di superficie, uno spogliatoio e wc di mq. 8,00, un locale tecnico di mq. 12,00 e una tettoia di mq. 35,02; 2. Accertata difformità urbanistica ed edilizia di muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis); 3. Accertata difformità urbanistica ed edilizia della pavimentazione realizzata sul mappale (omissis); 4. I succitati lavori di esecuzione dei manufatti e della recinzione risultano terminati da tempo, a maggio 2019, come da dichiarazione allegata alla scia 2023/041/S; 5. Accertata difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis) Pratica n. RE0065467 in atti dal 11.5.2023 Protocollo NSD n. ENTRATE.AGEV-STI.REGISTRO UFFICIALE.20433-58.11/05/2023 presentato il 11.5.2023 (n. 65467.1/2023)". Con il primo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" la ricorrente evidenzia, con riguardo alle opere di cui alla s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023, che l'art. 37, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001, nel prevedere l'accertamento di conformità, mediante s.c.i.a. in sanatoria, degli interventi edilizi di cui all'articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività, non detta alcuna disposizione volta a disciplinare il relativo procedimento e prospetta che in materia sussistano due orientamenti giurisprudenziali, l'uno rivolto a riconoscere l'applicabilità dell'istituto del silenzio assenso, l'altro a negarla. In particolare la difesa attorea si riferisce, quanto al primo, alle pronunce che affermano che "la s.c.i.a. in sanatoria, presentata ex art. 37 D.P.R. n. 380 del 2001, si presta a rendere operanti le correlate prescrizioni di cui all'art. 19 e ss., legge n. 241 del 1990, in materia di silenzio assenso, dovendo essere ragionevolmente riconosciuto a tale segnalazione carattere e natura confessoria, diretta a provare la verità dei fatti attestati e a produrre, con l'inutile decorso del tempo per l'emanazione di provvedimenti inibitori, effetti direttamente stabiliti dalla legge, indipendentemente da una diversa volontà delle parti, ossia l'avvenuta formazione del titolo abilitativo in sanatoria... Di talché, non essendo intervenuto alcun motivato provvedimento inibitorio allo spirare del trentesimo giorno dalla segnalazione, il titolo in sanatoria deve essere considerato esistente...". (facendo riferimento a T.A.R. Campania, Salerno, 24.3.2022 n. 809; T.A.R. Campania, Napoli, 9.12.2019 n. 5789; T.A.R. Lazio, Roma, 9.1.2018 n. 156; T.A.R. Calabria 29.5.2019 n. 1085; Cons. Stato, Sez. V, 31.3.2014 n. 1534). Nel caso di specie, tale silenzio significativo si sarebbe formato in quanto il Comune di (omissis), a seguito della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria in data 8.7.2023, ha chiesto tempestivamente alla ricorrente, in data 7.8.2023, prima della scadenza del termine di 30 giorni, chiarimenti e determinata documentazione e, ottenute, in data 6.9.2023, le precisazioni richieste, l'Amministrazione comunale si è pronunciata con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, successivamente alla scadenza del termine di 30 giorni dal ricevimento delle integrazioni e, pertanto, quando il titolo edilizio in sanatoria sarebbe ormai venuto ad esistenza. Parte attrice da atto che un diverso orientamento qualifica la fattispecie come silenzio rigetto (facendo riferimento a T.A.R. Lombardia, Milano, 21.3.2017 n. 676) o come silenzio inadempimento (in riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20.2.2023 n. 1708), ma ne contesta il fondamento poiché la prima declinazione ermeneutica replicherebbe la disciplina dell'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, precisando che nelle relative sentenze si farebbe riferimento anche al termine di 60 giorni previsto dall'art. 36, comma 3, quando, invece, il legislatore avrebbe tenuto ben distinte le fattispecie, prevedendo: - la disciplina dell'art. 36 per i casi di "interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio di attività nelle sole ipotesi di cui all'art. 23, comma 01, o in difformità da essa"; - la disciplina di cui all'art. 37 per la diversa fattispecie riguardante "la realizzazione di interventi di cui all'art. 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla s.c.i.a.", senza operare alcun riferimento, neppure indirettamente, all'art. 36 né prevedere che il mancato, tempestivo, pronunciamento della Amministrazione sia da qualificarsi come silenzio rigetto. Quanto alla seconda declinazione interpretativa dell'orientamento in disamina, la difesa attorea sottolinea che sarebbe stato affermato (in riferimento a Cons. Stato, n. 1708/2023 cit.) che "il procedimento può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento" in considerazione del fatto che "dalla lettura della norma emerge che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall'intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell'aumento di valore dell'immobile compiuta dall'Agenzia del Territorio": sul punto la ricorrente sottolinea che nella impossibilità, sulla base di detta impostazione, di far riferimento, per il pronunciamento dell'Amministrazione comunale, ad alcun termine determinato - non al termine dell'art. 19 della L. n. 241/1990, la cui inosservanza comporterebbe il silenzio assenso, non al termine di cui all'art. 36, la cui inosservanza è qualificata come silenzio rigetto, e neppure al termine previsto in via generale dall'art. 2, comma 2, della L. n. 241/1990, atteso che, sulla base della giurisprudenza citata, 30 giorni non sarebbero sufficienti per accertare la duplice conformità urbanistica di un'opera abusiva - verrebbe a determinarsi una situazione di assoluta incertezza, non essendo dato comprendere quando possa configurarsi l'inadempimento, così da consentire all'interessato di attivarsi giudizialmente per contrastare l'inerzia della Amministrazione. Né tale tesi sarebbe percorribile, ad avviso del patrocinio attoreo, sulla scorta del fatto che, in caso di esito favorevole, il quantum della somma da corrispondersi a titolo di oblazione debba essere determinato dal responsabile del procedimento medesimo, poiché non sussisterebbe alcuna preclusione a che la somma dovuta venga determinata in un momento successivo alla formazione, per decorso del termine di 30 giorni, del titolo edilizio in sanatoria: tale tesi sarebbe ancora meno spendibile con riferimento al caso di specie, avuto riguardo alla normativa regionale di riferimento. La ricorrente fa riferimento all'art. 17, comma 3, della L. Reg. 21.10.2004 n. 23 laddove prevede per le nuove costruzioni il pagamento di un importo a titolo di oblazione predeterminato dalla stessa norma, commisurato "al contributo di costruzione in misura doppia ovvero, in caso di esonero, in misura pari a quella prevista dalla normativa regionale e comunale, e comunque per un ammontare non inferiore a 2.000 euro": pertanto, assume la difesa attorea, l'intervento del responsabile del procedimento, nel caso considerato, non sarebbe a rigore necessario e il modulo relativo alla s.c.i.a. in sanatoria prevede che l'importo della oblazione sia indicato dal privato e preventivamente versato. L'esponente contesta l'impostazione della decisione del Consiglio di Stato n. 1708/2023 laddove si legge, altresì, che il silenzio inadempimento è soluzione che "appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio", poiché la disciplina di cui all'art. 19 della L. n. 241/1990 non esclude una valutazione espressa della Amministrazione, prevedendo anzi, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti prescritti, l'adozione di "motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa". Inoltre, aggiunge parte attrice, la s.c.i.a. in sanatoria ha per oggetto opere di minore impatto e rilevanza, per le quali l'accertamento della doppia conformità rispetto alla disciplina urbanistico - edilizia può essere adeguatamente effettuato nel termine di 30 giorni previsto dalla legge, tenuto conto anche del fatto che il termine in questione è suscettibile di essere interrotto per chiarimenti e integrazioni, per poi, una volta ottenuto quanto richiesto, riprendere nuovamente il suo corso. In conclusione, la difesa attorea prospetta che la comunicazione di cui all'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, in quanto pervenuta oltre il termine di 30 giorni dall'inoltro delle integrazioni richieste dall'Amministrazione comunale, sarebbe da ritenersi, sulla scorta dell'orientamento giurisprudenziale che ritiene preferibile, priva di efficacia, come previsto anche dall'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 (in riferimento al comma 8-ter) che il Comune di (omissis), a dimostrazione della ritenuta applicabilità della norma in questione anche nel caso di specie, avrebbe richiamato espressamente in detta comunicazione: il titolo edilizio in sanatoria sarebbe, pertanto, venuto ad esistenza e l'inefficacia dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 si riverberebbe sulla ordinanza 27.10.2023 n. 80, determinandone l'illegittimità per vizio derivato ed anche per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, difettando il presupposto per ordinare il ripristino dello stato dei luoghi, costituito dalla abusività delle opere considerate. Nella memoria finale la difesa attorea aggiunge che la tesi volta ad escludere la possibile formazione del silenzio assenso sulla s.c.i.a. in sanatoria confliggerebbe anche con quanto previsto dal D.Lgs. 25.11.2016 n. 222 ("Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell'articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124") sottolineando che l'art. 2 del D.Lgs. citato sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990": la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" indica la "S.c.i.a. in sanatoria" prospettando, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria è da considerarsi soggetta al regime del silenzio assenso, secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Con il secondo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Violazione dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione degli artt. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. del Comune di (omissis). Eccesso di potere per travisamento. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" parte ricorrente ritiene che nel caso di specie sussista il presupposto della doppia conformità posto che, a differenza di quanto ritenuto dal Comune di (omissis), le opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023 sarebbero conformi alla disciplina urbanistico - edilizia vigente sia al momento della loro realizzazione, sia alla data di presentazione di detta segnalazione: precisa, infatti, che si tratterebbe della medesima disciplina, atteso che le opere di cui trattasi sono state realizzate nel maggio del 2019 e il vigente R.U.E. del Comune di (omissis) è stato approvato con delibera di C.C. 21.12.2011 n. 72. La determinazione del Comune sarebbe erronea nel ritenere non sanabili le opere ridette, adducendo "l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP" ed anche la "non applicabilità dell'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" poiché la s.c.i.a. in sanatoria di cui si discute riguarda la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina e delle relative strutture accessorie costituite dal locale tecnico ove sono alloggiati gli impianti della piscina, da uno spogliatoio in legno, da una tettoia a bordo piscina per la sosta e il riparo delle persone e dalla pavimentazione perimetrale alla piscina: le opere descritte - prospetta l'esponente - sarebbero state realizzate in stretta contiguità spaziale rispetto all'attiguo edificio abitativo (la piscina è posta di fronte a detto edificio, alla distanza di una ventina di metri), per il quale, con autorizzazione edilizia 7.1.2000 n. 47/99/A, è stato assentito il mutamento di destinazione d'uso da fabbricato rurale a edificio residenziale. A sostegno della pertinenzialità la ricorrente adduce che la Regione Emilia-Romagna, con nota 24.6.2020 n. PG/2020/463171 del Servizio giuridico del territorio, disciplina dell'edilizia, sicurezza e legalità (in actis al documento n. 8), ha precisato che costituisce pertinenza dell'edificio residenziale la piscina posta a servizio dell'edificio medesimo, "con dimensioni non superiori al 20% del volume dell'edificio principale, che non ha una potenziale autonoma utilizzazione economica" e, come si evincerebbe dalla relazione tecnica del Geom. Al. Be. del 5.12.2003 (in actis al documento n. 9), la piscina di cui trattasi ha un volume di 152 mc. inferiore al 20% del volume del fabbricato principale, pari a 1462,27 mc. (1462,27mc x 20% = 292,45 mc.). Inoltre, aggiunge la ricorrente, la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonoma utilizzazione economica, considerato che la stessa, come risulterebbe dalla relazione succitata, ha le dimensioni di una piscina ad uso privato destinata a soddisfare le esigenze delle persone residenti nell'edificio abitativo, risultando, altresì, strettamente connessa all'edificio medesimo non solo per la sua ubicazione, ma anche per il fatto che la piscina è dotata di impianti derivanti dalla abitazione ridetta, sia per l'adduzione idrica, sia per l'energia elettrica: la pertinenzialità sarebbe implicitamente - ad avviso della difesa attorea - riconosciuta dallo stesso Comune di (omissis) che nulla avrebbe eccepito in ordine al fatto che, per la sua sanatoria, sia stata presentata una s.c.i.a. Inoltre, sottolinea la esponente, il riferimento operato dal Comune di (omissis), con l'atto impugnato, alla assenza di titolo per intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E., non sarebbe corretto trattandosi di pertinenza di un edificio residenziale, e avrebbe, perciò, titolo per intervenire il proprietario dell'edificio medesimo, ancorché privo della qualifica di imprenditore agricolo. A sostegno della tesi, la ricorrente evidenzia che l'art. 4.1.3. del R.U.E. del Comune di (omissis) prevede la possibilità di ottenere il mutamento di destinazione d'uso degli edifici rurali in edifici residenziali, così che, una volta assentito detto mutamento, deve ritenersi consentita, per il proprietario, la realizzazione di opere pertinenziali dell'edificio principale: questa prospettazione sarebbe confermata dalla giurisprudenza, essendosi ritenuta legittima la realizzazione, in ragione del riconosciuto carattere pertinenziale, di una piscina di dimensioni contenute a corredo di un edificio a destinazione residenziale sito in zona agricola (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. V, 16.4.2014 n. 1951; idem, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Puglia, Lecce, 1.6.2018 n. 931; idem, 14.1.2019 n. 40; T.A.R. Liguria 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Sicilia, Palermo, 13.2.2015 n. 441). Sarebbero, così, suscettibili di sanatoria anche il locale tecnico, lo spogliatoio in legno, la tettoia e la pavimentazione perimetrale, trattandosi di elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina (citando con riferimento al locale tecnico, Cons. Stato, n. 1951/2014), insuscettibili, per le loro dimensioni contenute, di alterare in modo significativo l'assetto del territorio. Quanto al fatto che il Comune di (omissis), con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, ha addotto altresì, che, nel caso di specie, non sarebbe applicabile l'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. "in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" la difesa attorea ne contesta l'assunto in quanto la disposizione medesima disciplinerebbe l'ampliamento delle unità edilizie abitative e delle superfici accessorie esistenti, senza escludere la possibilità di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: nel caso in esame, detto limite, come sarebbe evidenziato nella relazione sopra del Geom. Be., sarebbe stato rispettato anche considerando i locali accessori (spogliatoio e locale tecnico), mentre la tettoia non sarebbe computabile a fini volumetrici, essendo aperta su tutti i lati. Aggiunge l'esponente che il locale spogliatoio e il locale tecnico hanno, rispettivamente, una volumetria di 17,78 mc. e di 27 mc. che sommata al volume della piscina (152 mc.) porta ad una volumetria complessiva di 196,78 mc., inferiore al 20% del volume del fabbricato principale (292,45 mc.) concludendo che le opere oggetto di sanatoria sarebbero da considerarsi conformi alla disciplina urbanistico-edilizia di riferimento e, così, suscettibili di sanatoria. Con il terzo motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di rimessione in pristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione degli artt. 31 e 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23, nonchè per eccesso di potere per travisamento sotto altro profilo" la ricorrente lamenta che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha disposto la demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", ma la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, per alcune difformità riguardanti l'edificio principale e anche la recinzione anzidetta: su tale s.c.i.a. l'Amministrazione comunale non si sarebbe ancora pronunciata, avendo chiesto integrazioni, da ultimo, con nota 26.9.2023 prot. n. 12395, alla quale ha fatto seguito, in data 26.10.2023, la trasmissione delle integrazioni richieste; anche in tale caso si sarebbe formato il silenzio assenso, dovendosi, così, escludere la possibilità di ordinare la demolizione dell'opera medesima. Inoltre, l'ordinanza 27.10.2023 n. 80 oggetto di gravame sarebbe da considerarsi illegittima anche nell'ipotesi in cui il procedimento di sanatoria dovesse considerarsi ancora pendente poiché per giurisprudenza consolidata - prospetta la difesa attorea - è "illegittima l'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive emessa in pendenza della già avvenuta presentazione di una domanda in sanatoria; questo in quanto nelle more della definizione di tali domande i procedimenti sanzionatori in materia edilizia sono sospesi" (citando Cons. Stato, Sez. VI, 9.11.2021 n. 7448). I Con il quarto motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione e falsa applicazione dell'art. 30 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380 e dell'art. 12 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Eccesso di potere sotto i profili della illogicità e del travisamento sotto ulteriore profilo" evidenzia l'esponente che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha contestato anche una "difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis)", la quale nel caso di specie non sussisterebbe. La difesa attorea sottolinea che la lottizzazione c.d. "cartolare", come espressamente sancito dall'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001 e dall'art. 12 della L. Reg. n. 23/2004, è ravvisabile allorquando la trasformazione del suolo sia predisposta "mediante il frazionamento e la vendita, ovvero mediante atti negoziali equivalenti, del terreno frazionato in lotti", i quali, per le loro oggettive caratteristiche - con riguardo soprattutto alla dimensione correlata alla natura dei terreni ed alla destinazione degli appezzamenti considerata sulla base degli strumenti urbanistici, al numero, all'ubicazione o all'eventuale previsione di opere di urbanizzazione - rivelino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio degli atti adottati dalle parti (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20 maggio 2019, n. 3215, Sez. V, 3 agosto 2012, n. 4429, Sez. IV, 13 maggio 2011, n. 2937). Nel caso di specie, precisa il patrocinio della ricorrente, mancherebbe il presupposto fondamentale per la sussistenza di una lottizzazione "cartolare", atteso che al frazionamento dell'originario mappale n. (omissis) non ha fatto seguito alcuna vendita del terreno frazionato, vendita che non sarebbe configurabile, considerato che la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonomo sfruttamento economico: il frazionamento di cui trattasi è stato effettuato in data 16.5.2023, dandone comunicazione anche al Comune di (omissis) (con riferimento al documento n. 13 in actis), in funzione della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria riguardante la piscina, al fine di distinguere catastalmente la piscina medesima dalla restante area di proprietà, in cui era presente un magazzino, anch'esso realizzato in assenza di titolo edilizio, per il quale è stata presentata dalla ricorrente, in data 7.7.2023, prot. n. 8752, una c.i.l.a. ai fini della sua demolizione. Pertanto, conclude sul punto l'esponente, ancorché l'Amministrazione comunale, con l'atto impugnato, pare essersi riferita esclusivamente alla lottizzazione c.d. "cartolare", sarebbe da escludersi che possano configurarsi anche la lottizzazione "materiale" e la lottizzazione c.d. mista, caratterizzata, quest'ultima, dalla compresenza delle attività negoziali e delle attività materiali volte alla edificazione del terreno dovendosi, in base alla giurisprudenza, considerare che la fattispecie lottizzatoria nella veste "materiale" implica la realizzazione di "opere finalizzate alla trasformazione urbanistica di terreni in zona non adeguatamente urbanizzata in violazione della disciplina a quest'ultima impartita dalla legislazione e dagli strumenti pianificatori; siffatti interventi devono risultare globalmente apprezzabili in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, di aggravio del relativo carico insediativo e di pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita all'amministrazione" (citando Cons. stato, Sez. VI, 4.11.2019 n. 7530): deve, pertanto, trattarsi di una radicale trasformazione del suolo a fini edificatori che non può riscontrarsi, a prescindere dalla dimostrata legittimità dell'intervento, nella realizzazione di una piscina a servizio di un edificio residenziale in zona agricola, non comportando tale opera, tra l'altro, alcun aggravio del carico urbanistico (rinviando a Cons. Stato, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142). Il Comune resistente precisa in fatto che la ricorrente è proprietaria di un complesso immobiliare sito in via (omissis) a (omissis) (RE), che consta di un'abitazione principale (già fabbricato rurale, oggi edificio residenziale) e di un'ampia porzione di terreno agricolo, compendio su cui - nel corso degli anni - sono stati fatti diversi interventi di trasformazione edilizia in assenza di valido titolo. In particolare, in data 28.04.2023 la ricorrente depositava presso il Comune di (omissis) la comunicazione di avvenuto frazionamento dell'ex mappale (omissis) nei nuovi mappali (omissis) e (omissis), frazionamento che era stato presentato all'Agenzia delle Entrate - Ufficio Provinciale di Reggio Emilia - in data 18.04.2023; sul mappale (omissis), secondo la difesa dell'Ente, sono stati commessi svariati abusi edilizi, che - di fatto - lo caratterizzano in modo del tutto differente rispetto al mappale (omissis), sul quale pure sono stati commessi abusi edilizi che la ricorrente ha dichiarato di voler demolire con CILA presentata al Comune in data 08.07.2023, prot. n. 8752, ripristinando in tal modo l'originaria connotazione agricola del terreno (con riferimento ai documenti nn 3, 4, 5, 6, 7 e 8 in actis). Inoltre, prosegue l'Amministrazione, al fine di sanare le opere abusive non rimosse con la CILA di cui sopra, la ricorrente presentava al Comune due distinte pratiche di Segnalazione Certificata di Inizio Attività : la n. 2023/029/S, acquisita con prot. n. 5985 del 12.05.2023, relativa alla sanatoria di opere eseguite su edificio residenziale e sulla recinzione esterna dell'area cortiliva (immobile identificato catastalmente al foglio 20, mappale 205) e la n. 2023/041/S, acquisita con prot. n. 8753 del 08.07.2023, relativa alla sanatoria di una piscina - di oltre 112 mq. di superficie - e di manufatti annessi (su terreno agricolo, identificato catastalmente al foglio 20, mappale (omissis)). Quindi, sottolinea l'Amministrazione, emerge che le opere realizzate sul mappale (omissis) (piscina, tettoia, pavimentazione, locali tecnici, spogliatoio, recinzioni perimetrali alla piscina) sono dalla ricorrente medesima qualificate come "pertinenze" dell'edificio residenziale di cui al mappale 205, ma non sono state inserite nella stessa comunicazione di SCIA in sanatoria. Il Comune resistente aggiunge che dalla relazione fotografica e dagli elaborati grafici allegati alla SCIA prot. 8753, peraltro, si evince che gli interventi abusivamente realizzati sul mappale (omissis) hanno determinato la creazione di un autonomo lotto, con piscina e locali accessori, oltre ad una tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo (di oltre 35 mq. di superficie coperta), lotto del tutto indipendente rispetto all'abitazione principale, al punto che da questa è separata da due cancelli e da uno stradello carrabile (rinviando ai documenti nn. 20 e 21 in actis): ciò comporterebbe che gli abusi edilizi e i frazionamenti dei mappali catastali hanno determinato la creazione di tre distinti lotti all'interno della proprietà della ricorrente, tutti serviti da uno stradello privato interno: uno con abitazione a area cortiliva di pertinenza, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale 205), uno con piscina, zona relax, tettoia con zona pranzo-cucina e locali accessori, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale (omissis)) ed uno che - a seguito della demolizione dei fabbricati abusivi che vi insistono - riacquisterà la sua originaria natura di terreno agricolo (mappale (omissis)). Inoltre, le due SCIA menzionate hanno avuto una sorte tra loro differente: - la n. 2023/029/S, prot. n. 5985, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale 205, dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata accettata dal Comune con atto prot. n. 602/2024; - la n. 2023/041/S, prot. n. 8753, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale (omissis), dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata dichiarata inefficace dal Comune con atto prot. n. 13122 del 11.10.2023. Quest'ultima, oggetto di impugnazione, è stata dal Comune motivata con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti (rinviando all'estratto del PSC di cui al documento n. 25 ed all'estratto del RUE di cui al documento n. 26 in actis) per i seguenti motivi: - assenza di titolo ad intervenire in zona agricola, ai sensi dell'art. 4.1.1 e seguenti del RUE (in quanto intervento in zona agricola effettuato da non imprenditore agricolo - IAP); - per l'inapplicabilità dell'art. 4.1.3 comma 6 del RUE, in quanto l'intervento è stato eseguito su edificio non di recente costruzione e con ampliamento superiore ai 30 mq. di superficie (la sola tettoia sarebbe di 35,02 mq. con riferimento al documento n. 20 in actis). Con l'ordinanza impugnata il Comune ingiungeva di demolire le opere abusive, non sanabili perché in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (PSC e RUE) realizzate in assenza di valido titolo edilizio sul mappale (omissis), e di ripristinare lo stato dei luoghi, con precisa identificazione delle opere da demolire: piscina, spogliatoio-wc, locale tecnico, tettoia, muri perimetrali, pavimentazione esterna e recinzioni sul lato ovest, sud ed est. Sul primo motivo l'Amministrazione precisa che le tesi della ricorrente non sono condivise dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha invece affermato essere necessario un espresso pronunciamento del Comune sulla SCIA in sanatoria: "... il procedimento (relativo alla sanatoria di abusi edilizi tramite SCIA, n. d.r.) può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento. Innanzitutto, infatti, l'art. 37 non prevede esplicitamente un'ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell'art. 36 del medesimo D.P.R. n. 380 del 2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento... Al tempo stesso la soluzione appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio" (citando Cons. Stato, sez. II, 20.02.2023, n. 1708 e per una puntuale ricostruzione dell'istituto della SCIA in sanatoria riferendosi a T.A.R. Lazio Roma, sez. II-quater, 07.12.2023, n. 18386): di conseguenza, sottolinea la resistente, il procedimento avviato dalla ricorrente con la SCIA prot. n. 8753/2023 è stato correttamente concluso dal Comune con la comunicazione di inefficacia della SCIA stessa (prot. n. 13122, del 11.10.2023), atto motivato con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti. Sul secondo motivo, il Comune precisa che la nota della Regione citata dalla ricorrente si riferisce al quantum del contributo e non al concetto di pertinenzialità e che la declaratoria di inefficacia della SCIA impugnata è corretta in quanto non sussiste nel caso di specie la consistenza della misura inferiore ai 30 mq sostanziandosi l'intervento in un'opera che non sarebbe sanabile nemmeno da un imprenditore agricolo; la pertinenzialità sarebbe esclusa in quanto si tratta di un opera non contenuta ma di una piscina di 112 mq, e ai fini IMU (l'art. 1, comma 741, lett. b) della L. n. 160/2019 individua le pertinenze dell'abitazione principale nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7), e le piscine, che sono da ricomprendere ai sensi delle descrizioni contenute nella Circolare del Ministero delle Finanze n. 5 del 14.03.1992 "Revisione generale della qualificazione della classificazione e del classamento del N.C.E.U." nella categoria C/4 (Fabbricati e locali per esercizi sportivi), sono escluse dal concetto di pertinenza. Inoltre, sottolinea l'Amministrazione, la giurisprudenza citata dalla ricorrente, al fine di affermare la pertinenzialità della piscina rispetto all'edificio principale, ha comunque quale presupposto per l'applicazione del regime di SCIA la circostanza che la piscina stessa sia costituita da un elemento prefabbricato e non determini modifiche al territorio, circostanze che non ricorrono nel caso de quo. Di conseguenza, controdeduce sul punto l'Amministrazione, risulterebbe irrilevante la tesi sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: non si tratterebbe di una questione di limite percentuale, ma è la natura stessa delle opere abusive che non ne consentirebbe la sanatoria tramite SCIA. Infine, conclude il Comune, l'argomento relativo all'implicito riconoscimento della piscina quale pertinenza dell'abitazione da parte del Comune stesso, che nulla avrebbe eccepito in ordine alla sanatoria dell'abuso tramite SCIA, non terrebbe conto del tenore della "comunicazione di inefficacia" della SCIA stessa, che - attraverso il richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE - implicitamente affermerebbe che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, avrebbero potuto essere realizzate solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Sul terzo motivo di ricorso il Comune di (omissis) precisa che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, Prot. n. 5985 e ciò sarebbe agevolmente rilevabile dalla tavola di raffronto tra la porzione di recinzione sanata con la SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985, segnata in viola, e la porzione di recinzione - non sanata - oggetto dell'ordinanza di demolizione n. 80/2023, segnata in giallo (con riferimento al documento n. 28 in actis): sarebbero secondo la resistente, pertanto, irrilevanti le argomentazioni del ricorso relative alla "pendenza" del procedimento SCIA n. 2023/029/S poiché la eventuale pendenza del medesimo non rileverebbe, avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Sul quarto motivo di ricorso l'Amministrazione sottolinea che il frazionamento di più opere abusive censurate in via sostanziale integrerebbe una fattispecie di lottizzazione abusiva mista rinviando alla pronuncia del T.A.R. Sardegna, Sez. II, 20.03.2023, n. 194, che la descrive come categoria dogmatica "... caratterizzata dalla compresenza delle attività materiali e negoziali individuate dall'art. art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001, consistente nell'attività negoziale di frazionamento di un terreno in lotti e nella successiva edificazione dello stesso...": nel caso in esame, conclude sul punto l'Amministrazione, è stato accertato un disegno unitario, con un rilevante impatto negativo sul territorio rurale, con aggravio del relativo carico urbanistico e con pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita al Comune a garanzia del corretto uso del territorio deponendo per la correttezza della qualificazione della fattispecie come "lottizzazione abusiva". Illustrate brevemente le posizioni delle parti, il Collegio ritiene che le questioni poste dalla ricorrente sugli effetti del decorso del termine di 30 giorni dalla presentazione della s.c.i.a. in sanatoria non siano rilevanti nel caso de quo in quanto la fattispecie concreta non rientra in tale istituto di semplificazione in base ad un consolidato principio espresso dalla giurisprudenza in materia. Va premesso che l'art. 2 del D.Lgs. n. 222 del 2016, richiamato dal ricorrente, sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990", prevedendo la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" il richiamo alla "S.c.i.a. in sanatoria"; in ragione di ciò prospetta, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria sarebbe da considerarsi soggetta al regime del "silenzio assenso", secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Sul punto il Collegio rileva che il citato n. 41 della tabella A, Sez. II, si riferisce alla s.c.i.a. in sanatoria per interventi realizzati in assenza di s.c.i.a. o in difformità da essa, mentre nel caso concreto, si tratta, come sarà approfondito nel prosieguo della presente decisione, di attività esclusa dai procedimenti semplificati: la costruzione delle opere di cui è causa avrebbe necessitato il permesso di costruire e non la s.c.i.a e, perciò, nel caso di specie, è assente il presupposto stesso - previsto dalla norma - per l'applicazione della disposizione invocata con la conseguenza che alla declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. impugnata non è applicabile il regime amministrativo previsto dall'art. 19 della Legge n. 241 del 1990. Il Collegio, sul punto richiama la sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, n. 1055 del 10 aprile 2024 laddove precisa in via generale che dalla necessaria applicazione dell'istituto del permesso di costruire alla fattispecie concreta "deriva l'inapplicabilità dell'art. 19 della legge 241/1990: "L'errore sui requisiti soggettivi o oggettivi della d.i.a. (oggi SCIA) poiché frutto di una dichiarazione unilaterale, non può comportare in favore di chi la rende un affidamento vincolante per la parte pubblica che si limita a riceverla, per il solo fatto che quest'ultima non avrebbe esercitato i conseguenti poteri correttivi o inibitori, potendo tale omissione comportare un'eventuale responsabilità amministrativa, non già la sanatoria della d.i.a. mancante di un requisito essenziale; di conseguenza, il provvedimento con cui l'Amministrazione accerta che le opere edili non potevano essere realizzate mediante d.i.a., occorrendo il permesso di costruire, non è espressione di autotutela, ma ha valore meramente accertativo di un abuso doverosamente rilevabile e reprimibile senza, peraltro, il limite di dover agire entro un termine ragionevole, chiaramente inapplicabile all'attività di vigilanza edilizia, tanto più che il dichiarante non può, per le ragioni anzidette, vantare nessun affidamento" (cfr.: T.a.r. Puglia Bari, sez. II, 20.02.2017 n. 147)". In particolare, sulla s.c.i.a. in sanatoria, la sentenza del T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, n. 809 del 24 marzo 2022, ritiene che non è ricollegabile portata infirmante all'inosservanza del termine di 30 giorni ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990 quando le opere abusive esulano dal perimetro del regime abilitativo della SCIA, essendo subordinate al previo rilascio del permesso di costruire: la pronuncia precisa che a tale premessa consegue "l'assenza di effetti legittimanti ricollegabili alla SCIA in sanatoria prot. n. 67995 del 21 novembre 2019, la quale, dacché formata al di fuori del corrispondente modello legale tipico (stante l'assoggettamento dell'opera eseguita ad un più rigoroso regime abilitativo), era da considerarsi 'tamquam non esset', così da giustificare l'impugnata determinazione reiettiva senza l'operatività della preclusione temporale ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990". Quanto alla sussistenza nel caso concreto della necessità del permesso di costruire anziché dell'applicabilità degli istituti di semplificazione, vanno considerati sia gli aspetti definitori del concetto di pertinenzialità rilevante in materia sia l'orientamento ermeneutico sulla qualificazione della specifica opera abusiva, nonché la concreta consistenza dell'intervento edilizio di cui è causa. Sul concetto generale di pertinenzialità il Collegio rinvia a quanto precisato dal T.A.R. Lazio, Sez II Stralcio, n. 7463 del 16 aprile 2024, in adesione al pacifico orientamento giurisprudenziale che "assegna al concetto di "pertinenza", in campo urbanistico-edilizio, un significato più ristretto e meno ampio rispetto alla definizione civilistica di cui all'art. 817 c.c., essendo configurabili come tali "solo le opere prive di autonoma destinazione e che esauriscono la loro destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico, e dovendosi altresì tener conto, oltre che della necessità e oggettività del rapporto pertinenziale, anche della consistenza dell'opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l'assetto del territorio, essendo il vincolo pertinenziale caratterizzato oltre che dal nesso funzionale, anche dalle dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce, per cui soggiace a permesso di costruire la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa" (cfr. ex multis T.A.R. Lazio, Sez. II S, 17 novembre 2023, n. 17168; T.A.R Lazio, II quater, 21 novembre 2022, n. 15371; id., 12 luglio 2022, n. 9594; 26 aprile 2021, n. 4824)". In particolare, sulle piscine l'esegesi cui intende aderire il Collegio ritiene che l'opera interrata costituisca una nuova costruzione assoggettata al permesso di costruire e non sia qualificabile in termini di pertinenza dell'edificio principale in ragione della significativa trasformazione del territorio che comporta e della non necessaria complementarità all'uso delle abitazioni poiché non riveste un'obiettiva funzione di migliore utilizzazione della res principalis, tale che in sua assenza risulterebbero impedite o sacrificate talune delle materiali possibilità di sfruttamento o godimento di quest'ultima (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, n. 993 del 24.10.2022; T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 9.9.2020, n. 3730; T.A.R. Emilia-Romagna Bologna, sez. II, n. 800 del 30.09.2021). In coerenza con tale indirizzo interpretativo, si è di recente rilevato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VII, 02/01/2024, n. 44) che la piscina è una struttura di tipo edilizio che incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata e perciò configura una nuova costruzione, non potendo essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, atteso che, sul piano funzionale, non è esclusivamente complementare all'uso delle abitazioni e non costituisce una mera attrezzatura per lo svago alla stessa stregua di un dondolo o di uno scivolo installati nei giardini o nei luoghi di divertimento; in effetti, la realizzazione della piscina comporta una "durevole trasformazione del territorio" e, sotto il profilo urbanistico, presenta una funzione autonoma rispetto a quella propria dell'edificio cui accede, sì che non può coincidere con la relativa nozione civilistica di pertinenza, nel presupposto che la nozione di pertinenza urbanistica è invocabile per opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, viceversa tali non sono i manufatti che per dimensioni e funzione possiedono una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale sì da avere una potenziale attitudine ad una diversa e specifica utilizzazione. Nel caso di specie, una piscina di oltre 112 mq. di superficie, assistita da opere ulteriori (locali accessori e tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo di oltre 35 mq. di superficie coperta), non può essere definita come "di dimensioni contenute" incidendo, pertanto, significativamente sulla trasformazione del territorio e non riveste il carattere di intrinseca funzionalità rispetto alla res principalis sopra delineato; nel provvedimento impugnato di declaratoria di inefficacia della s.c.i.a., infatti, emerge, attraverso il riferimento all'istruttoria svolta in contraddittorio endoprocedimentale ed al richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE, sia che le opere costituiscono un ampliamento superiore ai 30 mq di SU in edificio di non recente costruzione sia che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, si sarebbero potute realizzare solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Di conseguenza, risulta inconferente la tesi attorea sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale, in quanto difetta nel caso concreto la natura stessa di opera pertinenziale. Infine, la nota della Regione Emilia-Romagna invocata a sostegno della pertinenzialità della piscina è chiaramente rivolta alla definizione della medesima esclusivamente ai fini del pagamento e alla qualificazione del contributo di costruzione e, pertanto, la relativa portata interpretativa è confinata in tale ambito: nella nota medesima, infatti, si chiarisce che la natura pertinenziale di una piscina di volume inferiore al 20% dell'abitazione principale rileva al fine di considerarla quale Superficie accessoria che non richiede il versamento della quota degli oneri di urbanizzazione (U1 e U2) ma è soggetta al solo versamento della quota relativa al costo di costruzione (QCC) da calcolarsi non sulla classificazione catastale, bensì, in relazione alla tipologia OMI, formulando un chiarimento di connotazione sostanzialmente tecnico-economica ai fini dell'imposizione della prestazione patrimoniale imposta, che risponde a presupposti diversi da quelli rilevanti nella presente sede. Quanto, poi, al locale tecnico, allo spogliatoio in legno, alla tettoia e alla pavimentazione perimetrale, che la stessa ricorrente qualifica come elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina, vale il consolidato orientamento per cui la valutazione dell'abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 11/03/2024, n. 2321). Pertanto, al regime edilizio della piscina, necessitante di un permesso di costruire, si associano evidentemente le altre opere alla stessa collegate. Sul terzo motivo di ricorso, relativo all'ordine di demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", proposto in base all'assunto attoreo secondo il quale la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, il Collegio ritiene che l'Amministrazione abbia ampiamente chiarito, con precisazioni sulle quali la difesa attorea non ha ulteriormente coltivato il motivo in disamina, che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985: pertanto, la eventuale "pendenza" di quest'ultima è irrilevante nel presente giudizio avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Il Collegio, infine, ritiene che l'esame dell'ultima doglianza possa dichiararsi assorbito in considerazione della dirimente questione esaminata, relativa all'inconfigurabilità della consistenza pertinenziale delle opere de quibus quale elemento fondante della declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. presentata dalla ricorrente e di per sé idoneo a sorreggere il conseguente ordine di ripristino dello stato dei luoghi. Il Collegio ritiene che, in considerazione della peculiarità della materia, le spese di lite possano essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese di lite compensate. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto - Referendario Paola Pozzani - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 14/01/2022 della CORTE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; udito il Sostituto Procuratore Generale ANDREA VENEGONI che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata in accoglimento del primo motivo di ricorso. uditi i difensori: l'avv. (OMISSIS) del foro di Roma, che insiste per l'accoglimento del ricorso; l'avv. (OMISSIS) del foro di Nola, che si riporta ai motivi del ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Nola datata 9.1.2020, ha confermato la condanna di (OMISSIS), per il delitto di concorso in bancarotta fraudolenta documentale, alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione, nonche' alle pene accessorie fallimentari indicate nella misura di cinque anni; ha rideterminato, invece, la pena inflitta nei confronti di (OMISSIS) in anni due di reclusione, in relazione al delitto di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale, concessegli le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante dell'articolo 219, comma 1, n. 1, L. Fall., rimodulando nei suoi confronti anche le pene accessorie previste dall'articolo 216, u.c., L.F. nella durata di due anni. I reati di bancarotta al centro della piu' ampia vicenda processuale si riferiscono al fallimento della societa' (OMISSIS) s.r.l., dichiarato con sentenza del 2.4.2014; viene in esame, in questa sede, la contestazione di cui al capo a), bancarotta fraudolenta documentale, ascritta agli amministratori, di diritto e di fatto, della fallita nonche' al commercialista della societa', (OMISSIS), condannato nel suo ruolo di extraneus, concorrente nel delitto, per aver fornito consigli ed indicazioni che hanno portato all'occultamento o alla soppressione delle scritture contabili contestate, al fine di impedire la ricostruzione degli affari della fallita, in vista della dichiarazione di decozione. 2. Ha proposto ricorso avverso tale sentenza d'appello l'imputate (OMISSIS), tramite i difensori di fiducia, deducendo quattro motivi di censura diversi. 2.1. Il primo argomento difensivo si incentra sulla violazione degli articoli 247, 252 e 355 c.p.p., denunciando l'illegittima apprensione di un CD contenente file audio (importanti per la prova della responsabilita' del ricorrente, n.d.r.), all'esito di un'attivita' di perquisizione e sequestro indirizzata a soggetti diversi dall'imputato ricorrente - il quale, tra l'altro, in quel momento non era neppure iscritto nel registro degli indagati - e genericamente rivolta a sequestrare, oltre ai beni ed alle scritture contabili della societa' fallita, anche "qualsiasi altra documentazione utile ai fini di indagine". Tale indicazione, alquanto generica, avrebbe richiesto la necessita' che il sequestro del CD fosse legittimato da un provvedimento apposito di convalida successiva, provvedimento che, a dispetto di quanto lascia intendere la sentenza impugnata, non e' mai stato adottato, neppure tardivamente. 2.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia carenza o manifesta illogicita' della motivazione della sentenza d'appello, la' dove ha rigettato la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale volta ad espletare una perizia audio per analizzare i contenuti del CD con le registrazioni di conversazioni tra il ricorrente ed altri interlocutori, utilizzate nell'affermazione della sua responsabilita'. L'imputato aveva chiesto la perizia poiche' i dispositivi informatici contenenti le registrazioni non sono stati ritrovati presso di lui, ma in casa e nelle pertinenze dell'abitazione del coimputato (OMISSIS), ne' vi e' prova che egli sia uno degli interlocutori delle conversazioni (e non rileverebbe, quale prova del fatto che egli abbia ammesso di esserlo, la circostanza processuale che il ricorrente, per difendersi nel merito, abbia risposto alle domande relative al contenuto di tali conversazioni, durante il suo esame dibattimentale). Il concorso dell'imputato nella soppressione delle scritture contabili, avvenuta successivamente alle conversazioni registrate, non e' mai stato realmente provato: il consulente della fallita, (OMISSIS), non le ha consegnate al ricorrente, nell'aprile 2011, bensi' a (OMISSIS). 2.3. Il terzo argomento di censura eccepisce mancanza e manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla condanna per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale. La prova fondamentale per l'attribuzione della condotta di concorso dell'extraneus nel reato e' stata individuata, dai giudici di merito, nel contenuto delle conversazioni trascritte dalle registrazioni del CD in sequestro, ritrovato nel corso dell'attivita' di indagini preliminari, nelle quali si e' creduto di individuare il ricorrente come interlocutore e dalle quali si e' ritenuto che egli abbia ideato la soppressione delle scritture contabili. Tuttavia, la registrazione dell'espressione rivelatrice ("...non dare le carte"), letta secondo le indicazioni della consulenza trascrittiva acquisita nel corso dell'udienza del 2.3.2020, dimostra che l'imputato pronuncia una frase interrogativa, sicche' essa non sarebbe un elemento da cui desumere che egli abbia concorso all'ideazione della trama delittuosa. 2.4. Il quarto motivo di ricorso denuncia vizio di motivazione contraddittoria o manifestamente illogica, quanto al rigetto della censura d'appello dedicata ad escludere l'aggravante dell'aver causato un danno di rilevante gravita'. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' parzialmente fondato, limitatamente al quarto motivo di ricorso ed al vizio di motivazione afferente all'aggravante prevista dall'articolo 219, comma 1, L. Fall.. 2. Il primo motivo di censura e' manifestamente infondato ed anche diffusamente generico. Anzitutto deve rilevarsi l'inesattezza della prospettiva difensiva (ancorche' evocata dal PG nella sua requisitoria), che si muove su di un piano di inefficacia cautelare del sequestro alla base della prima acquisizione (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 9858 del 21/1/2016, Yun, Rv. 266465), laddove la questione sottoposta al Collegio attiene al diverso profilo dell'utilizzabilita' probatoria dei contenuti di quanto sequestrato (il CD con le registrazioni tra presenti, dalle quali, anche, e' stata tratta la prova del concorso del ricorrente nel reato). E riguardo a tale utilizzabilita', non puo' che rilevarsi come, sia dai verbali d'udienza in atti che dalla motivazione delle due sentenze di merito, ed in particolare dalla pronuncia di primo grado, risulti che il CD e la trascrizione della registrazione delle conversazioni registrazione operata da uno degli interlocutori e, come e' stato ritenuto affidabilmente (cfr. pag. 5 della sentenza d'appello), da attribuirsi al coimputato (OMISSIS) (che ha patteggiato la pena, con sentenza divenuta definitiva), presso il quale e' stato ritrovato e sequestrato il CD - sono stati acquisiti al fascicolo dibattimentale all'udienza del 2.3.2020, utilmente riconosciuti dalla consulente tecnica autrice delle trascrizioni. All'udienza del 2.3.2020, poi, nessuna obiezione e' stata formulata dalla difesa, che ha svolto anche il controesame del consulente. L'utilizzabilita' delle prove costituite dalle registrazioni trascritte, dunque, deriva dalla fonte autonoma dell'acquisizione dibattimentale, acquisizione operata dal Tribunale senza l'obiezione della difesa e su richiesta del pubblico ministero; di talche' deve ritenersi superata e manifestamente priva di pregio la censura, ancorche' generica, sulla mancata convalida del sequestro operato dalla polizia giudiziaria. Quanto alla genericita' del motivo, deve segnalarsi come il ricorrente non abbia in alcun modo enunciato la decisivita' dell'obiezione sulla prova, sottintendendola, forse, soltanto nella richiesta di eliminazione del supporto audio con le registrazioni poi trascritte dal novero delle prove utilizzabili. Orbene, al di la' della necessita', ai fini dell'ammissibilita' della censura, di specificare le ragioni in base alle quali la prova che si chiede di espungere sia decisiva, necessita' di cui pure il ricorso non si e' fatto carico (cfr. Sez. U, n. 23868 del 23/4/2009, Fruci, Rv. 243416, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, e' onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilita' di atti processuali indicare, pena l'inammissibilita' del ricorso per genericita' del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresi' la incidenza sul complessivo compendio indiziario gia' valutato, si' da potersene inferire la decisivita' in riferimento al provvedimento impugnato), la difesa neppure si e' preoccupata di ragionare in termini di inutilizzabilita', evocando soltanto l'inefficacia del sequestro, inutilmente per le ragioni gia' esposte. Inoltre, non si e' neppure dato conto del fatto che, oltre alla prova costituita dalle registrazioni trascritte delle conversazioni intervenute tra il ricorrente ed altro coimputato, vi e' in atti la prova costituita dall'esame dell'imputato che, per quanto contestata nei suoi contenuti con la seconda censura difensiva, quanto meno doveva essere presa in esame per evidenziare, nell'ambito del primo motivo di ricorso, la decisivita' della prova di cui si chiede l'espunzione. Del resto, la sentenza di primo grado, in particolare, ha chiarito che il ricorrente non ha affatto negato di essere uno dei due interlocutori, insieme a (OMISSIS), della registrazione, da cui e' stata tratta in particolare la conversazione-chiave utilizzata nei suoi confronti; anzi egli ha fornito particolari sul momento in cui la conversazione era avvenuta, pur fornendo una diversa lettura delle espressioni verbali registrate (cfr. pag. 25 della sentenza del Tribunale di Nola). 2.1. Proprio le ultime osservazioni consentono di superare agevolmente anche le obiezioni difensive contenute nel secondo e nel terzo motivo di ricorso, in cui si denuncia un contrasto della motivazione della sentenza impugnata circa l'atteggiamento del ricorrente, contestando sia il portato della conversazione registrata tra questi e (OMISSIS), che la stessa individuazione dell'imputato quale interlocutore. Da un lato, infatti, si e' ben chiarito dai giudici di merito, in entrambe le sentenze del giudizio di cognizione, che e' stato lo stesso imputato ad accettare la qualita' di interlocutore, nel corso del suo esame, al netto dell'ammissione circa i contenuti delle conversazioni registrate. Da qui l'inammissibilita', per genericita' e richiesta di rivedere il merito della decisione, anche del motivo di ricorso dedicato a sindacare la scelta della Corte d'Appello di non procedere alla rinnovazione istruttoria richiesta per una perizia apposita con una nuova analisi tecnica: i giudici di secondo grado hanno ritenuto inutile disporre un nuovo accertamento tecnico, alla luce della certezza gia' in atti, sia dell'individuazione del ricorrente come interlocutore (insieme a (OMISSIS)) che dei contenuti trascritti. D'altro canto, l'eccezione formulata con il secondo motivo di censura e' comunque fuori fuoco. Il concorso dell'imputato nella soppressione delle scritture contabili, secondo la difesa, non sarebbe mai stato realmente provato, poiche' il consulente della fallita, (OMISSIS), non le avrebbe consegnate al ricorrente, nell'aprile 2011, bensi' ad altro soggetto ( (OMISSIS), altra coimputata nel connesso reato di bancarotta patrimoniale, in quanto amministratrice di diritto della fallita, per un determinato periodo) e perche' non vi sarebbe prova che il ricorrente abbia mai avuto in suo possesso la documentazione contabile della fallita. E tuttavia risulta evidente l'errore ermeneutico in cui incorre il ricorso, poiche' all'imputato e' attribuita una condotta di concorso morale nel reato, quale extraneus, nel reato commesso in concorso con gli intranei qualificati (i due amministratori (OMISSIS) e (OMISSIS), separatamente giudicati), mediante istigazione ed ideazione della strategia delittuosa finalizzata alla soppressione ed all'occultamento delle scritture contabili, e non gia' di concorso materiale: e', dunque, irrilevante che non sia stato lui a ricevere materialmente le scritture contabili, cosi' come priva di significato e' l'osservazione che non vi sarebbe prova che le medesime scritture siano state mai in suo possesso. Infatti, la giurisprudenza costante di questa Corte regolatrice ritiene l'atipicita' del contributo concorsuale disciplinato dall'articolo 110 c.p., sicche' il contributo causale del concorrente morale puo' manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa, tra le quali l'istigazione o determinazione all'esecuzione del delitto, l'agevolazione alla sua preparazione o consumazione, il rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, la mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso (cfr. Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226101; Sez. 2, n. 43067 del 13/10/2021, Taglialatela, Rv. 282295; Sez. 3, n. 30035 del 16/3/2021, R., Rv. 281968); pur precisandosi che tale atipicita' concorsuale non esime il giudice di merito dall'obbligo di motivare sulla prova dell'esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalita' efficiente con le attivita' poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l'atipicita' della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall'articolo 110 c.p., con l'indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realta' (cfr. Sez. U Andreotti, cit.). Sulle basi generali che concernono il concorso di persone nel reato proprio non esclusivo, deve ribadirsi, altresi', che risponde del reato di bancarotta fraudolenta colui che, pur non rivestendo la qualifica di imprenditore commerciale (ovvero di amministratore, direttore generale, sindaco o liquidatore di societa' fallita), ed essendo, dunque, un extraneus rispetto al reato, apporti un concreto contributo materiale o morale alla produzione dell'evento (Sez. 5, n. 5158 del 27/2/1992, Capriolo, Rv. 189959; vedi, altresi', coerentemente, Sez. 5, n. 2245 del 14/12/2022, dep. 2023, Vallepiano, Rv. 284118, per un'ipotesi speculare relativa al concorso materiale). Il principio vale anche per il concorso morale nella bancarotta fraudolenta documentale: ne risponde chi, estraneo al reato poiche' coinvolto, come nel caso di specie, non gia' in quanto amministratore o gestore della fallita, bensi' perche' professionista (commercialista) incaricato di fornire consulenze, abbia indotto l'amministratore legale ad attuare condotte di occultamento, distruzione o sottrazione delle scritture contabili, al fine di impedire la ricostruzione degli affari economici della societa' e di recare pregiudizio ai creditori, ideando una vera e propria strategia delittuosa e determinando l'amministratore a realizzarla. La prova del contributo morale di istigazione e vera e propria ideazione del reato proviene, per il ricorrente, dalla chiara indicazione delle conversazioni registrate, trascritte ed acquisite in dibattimento - pienamente utilizzabili, per quanto gia' osservato - delle quali si evidenzia il tenore inequivoco nella sentenza impugnata: (OMISSIS), nel tentativo dichiarato di "limitare i danni", in vista dell'imminente fallimento, prospetta possibili "avvicinamenti" illeciti del curatore ed esplicitamente suggerisce a (OMISSIS) di "non dare le carte" (aggiungendo "..noi non gli diamo in mano una carta della contabilita' 2011: ci sta tutto quanto ma noi non gli daremo niente.. questo e' per imbriacare le carte.. Alla fine le carte non ce ne stanno per ricostruire"). Il tentativo di rivedere la lettura dei contenuti di tali conversazioni si infrange, infine, contro il consolidato principio secondo cui l'interpretazione dei contenuti del linguaggio utilizzato in conversazioni, finanche intercettate, e' questione di fatto, sottratta al sindacato di legittimita' e rimessa alla valutazione del giudice di merito se logica rispetto alle massime di esperienza utilizzate (cfr. Sez. U, n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263715: nel caso di specie, neppure puo' parlarsi di interpretazione, alla luce della chiarezza delle frasi pronunciate dal ricorrente ed attribuitegli al di la' di ogni ragionevole dubbio, per sua stessa ammissione. Anche il secondo ed il terzo motivo di censura, pertanto, sono inammissibili. 4. Fondato e', invece, l'ultimo motivo di ricorso, che denuncia vizio di motivazione contraddittoria o manifestamente illogica, quanto al rigetto della censura d'appello dedicata ad escludere l'aggravante dell'aver causato un danno di rilevante gravita'. La motivazione del provvedimento impugnato, infatti, sconta al riguardo una non chiara formulazione, pregiudicata ulteriormente dalla laconicita' ed unicita' del richiamo argomentativo. Si legge, infatti, "Non si condivide la tesi difensiva in ordine all'esclusione dell'aggravante del danno di rilevante entita', atteso che l'assenza delle scritture contabili, con riferimento alla massa dei creditori, alle dimensioni dell'impresa, nonche' alla possibilita' di esercitare azioni e strumenti a tutela dei loro interessi." La frase sembra interrotta o, quanto meno, frutto di un refuso, sicche' rimane non adeguata, poiche' non chiara e significativamente carente, la motivazione utilizzata dai giudici d'appello per rispondere alla censura difensiva dedicata ad escludere la significativa aggravante prevista dall'articolo 219, comma 1, L. Fall.. In proposito, peraltro, e' utile rammentare che la circostanza aggravante del "danno patrimoniale di rilevante gravita'" di cui all'articolo 219, comma 1, L.F. si configura solo se ad un fatto di bancarotta di rilevante gravita', quanto al valore dei beni sottratti all'esecuzione concorsuale, corrisponda un danno patrimoniale per i creditori che, complessivamente considerato, sia di entita' altrettanto grave (Sez. 5, n. 48203 del 10/7/2017, Meluzio, Rv. 271274). 5. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata limitatamente alla circostanza aggravante del danno di rilevante gravita' ex articolo 219, comma 1, L. Fall., con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Napoli. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente all'aggravante di cui all'articolo 219 L.F. e rinvia per nuovo esame sul punto ad altra Sezione della Corte d'Appello di Napoli. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. MOROSINI E.M. - rel. Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovanni - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 13/09/2022 della CORTE di APPELLO di BOLOGNA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere Elisabetta Morosini; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Lignola Ferdinando, che ha chiesto di rigettare il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bologna ha confermato la condanna di (OMISSIS) per il reato di furto in luogo di privata dimora, aggravato da violenza sulle cose (capo A) nonche' per il delitto di cui all'articolo 495 c.p. (capo B); mentre ha ridotto l'entita' della pena inflitta. 2. Avverso l'indicata pronuncia ricorre l'imputato, tramite i difensori, articolando due motivi. 2.1. Con il primo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di qualificazione del fatto come furto in abitazione. Il fatto e' avvenuto nell'androne di un palazzo ove era ubicato uno studio medico, ed e' stato commesso sottraendo a una paziente dell'ambulatorio il monopattino che aveva parcheggiato nell'androne. In tale situazione non vi sarebbe quel legame tra persona offesa e luogo che anche le Sezioni Unite postulano come qualificante il concetto di privata dimora: l'androne del palazzo puo' essere considerato luogo ove si svolgono manifestazioni della vita privata di tipo non occasionale dei condomini del palazzo, non di chi, come la persona offesa, vi si trattenga un modo occasionale e transitorio per sottoporsi a visita medica e sia quindi privo dello ius excludendi alios. Inoltre le caratteristiche del luogo (aperto al pubblico e caratterizzato da un continuo via vai di persone) non avrebbero consentito all'imputato di coglierne la natura di privata dimora "atteso che l'azione e' durata pochissimo tempo". 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente invoca il principio del nemo tenetur se detegere per escludere la punibilita' in ordine al reato di cui al capo B). L'imputato era stato colto in flagranza di reato a Ferrara e, se avesse declinato le proprie generalita', avrebbe immediatamente rivelato di aver violato la misura cautelare dell'obbligo di dimora nel Comune di Comacchio, cui era sottoposto in altro procedimento. Quindi l'imputato avrebbe dichiarato il falso per evitare un'autoincriminazione. 3. Il ricorso e' stato trattato, senza intervento delle parti, nelle forme di cui alla L. n. 176 del 2020 e successive modifiche, articolo 23, comma 8. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato. 2. Il primo motivo e' infondato. 2.1. La fattispecie punita dall'articolo 624-bis c.p. richiede che il furto avvenga "mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa". E' pacifico che l'androne di un palazzo e' "pertinenza" delle abitazioni private che ne fanno parte e pertanto il furto commesso su cose ivi riposte va ricondotta all'ipotesi di cui all'articolo 624-bis c.p.; in tal senso si e' gia' espressa la Corte di cassazione quando ha riconosciuto che: "Integra il reato previsto dall'articolo 624-bis c.p. la condotta di chi si impossessa di una bicicletta introducendosi nell'androne di un edificio destinato ad abitazioni, in quanto detto luogo costituisce pertinenza di privata dimora" (Sez. 5, n. 1278 del 31/10/2018, dep. 2019, Sini, Rv. 274389 - 01). Il testo della norma incriminatrice e' chiaro: quel che rileva e' il luogo in cui il furto viene commesso; mentre non e' richiesto uno specifico legame tra la specifica persona offesa e il luogo (come osserva il P.G., anche nel caso deciso da Sez. 5, n. 1278 del 31/10/2018, dep. 2019, Sini, citata, "la persona offesa non aveva la propria dimora nello stabile in cui si era verificato il furto, ove abitava invece la nonna"). E' al luogo in se' che il codice penale riconosce particolare protezione, in ragione del fatto che trattandosi di "privata dimora", propria o altrui non rileva, il legislatore ha inteso garantire maggiore tutela ai beni ivi custoditi. 2.2. E' irrilevante la circostanza che il luogo sia aperto al pubblico in determinati orari, poiche': "Integra il reato di furto in abitazione la sottrazione illecita di beni mobili posti all'interno di aree condominiali, anche quando le stesse non siano nella disponibilita' esclusiva dei singoli condomini" (Sez. 4, n. 4215 del 10/01/2013, B., Rv. 255080 - 01). 2.3. L'assunto difensivo per cui l'imputato non sarebbe stato consapevole di trovarsi in luogo di privata dimora e' una mera asserzione che, per un verso, investe questioni fatto e, per altro verso, sembra evocare un errore sulla legge penale, irrilevante ex articolo 5 c.p.. 3. Il secondo motivo e' manifestamente infondato, poiche' coltiva una tesi in contrasto con i consolidati arresti della giurisprudenza di legittimita'. L'imputato, tratto in arresto, ha dichiarato falsamente alla polizia giudiziaria, in sede di identificazione, di chiamarsi (OMISSIS) nato a (OMISSIS). 3.1. Secondo ius receptum integra il delitto di cui all'articolo 495 c.p. la condotta dell'indagato che fornisca false generalita' alla polizia giudiziaria, non potendo trovare applicazione la scriminante dell'esercizio di una facolta' legittima perche', pur essendo l'indagato titolare del diritto al silenzio e della facolta' di mentire, egli ha comunque l'obbligo di fornire le proprie generalita' secondo verita' (Sez. 5, n. 4264 del 06/12/2021, dep. 2022, Orlando, Rv. 282740; Sez. 5, n. 15654 del 05/02/2014, Vlatko, Rv. 259876 che ha riconosciuto la sussistenza del reato in rassegna a carico di un soggetto che, colpito da mandato di arresto internazionale, aveva fornito false generalita' alla polizia giudiziaria che procedeva alla sua identificazione). 3.2. Va chiarito che nel caso in esame l'oggetto della falsita' riguarda il nome e la data di nascita della persona sottoposta alle indagini, in sede di identificazione. Pertanto la fattispecie in esame non e' toccata dalla questione di legittimita' costituzionale - sollevata dal Tribunale di Firenze (ordinanza del 14 luglio 2022) e tuttora pendente - dell'articolo 495 c.p. nella parte in cui si applica alle false dichiarazioni rese nell'ambito di un procedimento penale dall'imputato o indagato in relazione ai precedenti penali e in generale alle circostanze indicate nell'articolo 21 norme att. c.p.p.. 4. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. LIBERATI Giovanni - Presidente Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. REYNAUD Gianni Filippo - Consigliere Dott. GALANTI Alberto - Consigliere Dott. MAGRO M.Beatrice - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 05/04/2022 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MARIA BEATRICE MAGRO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCA COSTANTINI che ha concluso chiedendo l'inammissibilità dei ricorsi. L'avvocato (OMISSIS), per (OMISSIS), chiede l'annullamento della sentenza senza rinvio e rideterminazione della pena; I' avvocato (OMISSIS), per (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), insiste per l'accoglimento del ricorso; I' avvocato (OMISSIS) chiede l'accoglimento del ricorso: I' avvocato (OMISSIS), per (OMISSIS), conclude per l'accoglimento del ricorso e deposita la nomina a sostituto processuale. RITENUTO IN FATTO 1. Il Gup del Tribunale di Milano, con sentenza del 15/07/2021, a seguito di giudizio abbreviato, ha affermato la penale responsabilita' di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per i capi relativi ai reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 1 e 4, in relazione a numerosi episodi di detenzione e di cessione di cocaina, marijuana ed hashish, ed assolto i medesimi imputati per il delitto ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 articolo 74 c.p.p., articolo 530, comma 2, per insufficienza della prova sulla sussistenza del fatto. La Corte di appello di Milano, con la sentenza in epigrafe indicata, ha confermato la penale responsabilita' per quanto concerne i reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1 e 4, mentre, in riforma parziale della sentenza di primo grado, ha ribaltato l'esito assolutorio in ordine al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, condannando tutti gli imputati per il reato associativo. 2. Avverso la predetta sentenza ricorrono per cassazione (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). 3.1. (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno presentato un unico ricorso articolato in due motivi, deducono violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) in relazione agli articoli 591 e 581 c.p.p., per non avere la corte territoriale rilevato l'inammissibilita' dell'appello proposto dal pubblico ministero per carenza di specificita'. I ricorrenti rappresentano in particolare che l'appello si e' limitato ad offrire una ricostruzione alternativa a quella contenuta nella sentenza impugnata senza formulare specifithe critiche, sia in fatto che in diritto, alla ricostruzione fattuale contenuta nel provvedimento impugnato e alle questioni gia' esaminate dal giudice di primo grado. Pertanto, la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare l'inammissibilita' dell'appello. 3.2. I ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) deducono, inoltre, violazione di legge e vizio della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla affermazione della penale responsabilita' per il reato associativo, avendo il giudice erroneamente ravvisato la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, affermando che il reato possa essere integrato da una anomala struttura associativa, composta da sole quattro persone, due delle quali avvinte da vincolo familiare, priva di capi, di organizzatori, di costitutori, sostanzialmente anarchica e priva di una suddivisione dei ruoli tra i componenti. Deducono quindi l'illogicita' dell'iter motivazionale, in quanto la corte territoriale, pur ammettendo di non poter individuare una netta separazione tra organizzatori, promotori e subalterni, ha ravvisato la sussistenza di una struttura organizzata, composta sostanzialmente da soli partecipi. Rappresentano che la Corte di appello ha ribaltato l'esito assolutorio sulla base di una diversa interpretazione dei medesimi elementi probatori che il giudice di primo grado aveva posto alla base dell'assoluzione, ovvero: il numero limitato di partecipanti, trattandosi di associazione composta di solo quattro sodali; il tempo esiguo di operativita' dell'associazione, operativa tra (OMISSIS); l'assenza di luoghi comuni, deputati allo stoccaggio della sostanza stupefacente, accessibili a tutti correi; il numero e l'entita' delle cessioni di sostanza stupefacente. I ricorrenti, quindi, lamentano la violazione delle norme penali relative alla configurazione del concorso di persone nel reato fine, in quanto la Corte ha posto a fondamento dell'affermazione della penale responsabilita' per il reato associativo i medesimi elementi che integrano gli estremi del concorso di persone nel reato fine. Rappresentano l'assenza di quel quid pluris, rappresentato dall'affectio societatis e dal vinculum che, nella giurisprudenza di legittimita', e' ritenuto elemento indispensabile del reato associativo, che segna il discrimen tra reato associativo e concorso di persone nei reati fine; piu' precisamente, il giudice territoriale si e' avvalso dei medesimi indici fattuali richiamati dal primo giudice limitandosi a valutarli in senso contrario, senza aggiungere elementi ulteriori. Deducono quindi anche l'illogicita' della motivazione, posto che la medesima Corte di Appello ha riconosciuto che il gruppo (OMISSIS) fosse composto principalmente da due sole persone legate da vincolo familiare e che l'organizzazione non fosse dotata di autonoma stabilita' e solidita'. 4.1. Il ricorrente (OMISSIS) ricorre per cassazione formulando quattro motivi di ricorso. Con il primo, lamenta la violazione degli articoli 591 e 581 c.p.p., per non avere la corte territoriale rilevato l'inammissibilita' dell'appello proposto dal pubblico ministero per carenza di specificita' (motivo comune a (OMISSIS) e (OMISSIS)). 4.2. Nel secondo motivo di ricorso, il ricorrente formula argomentazioni non dissimili da quelle contenute nel ricorso di (OMISSIS) e (OMISSIS) relativamente alla insussistenza degli elementi costitutivi del reato associativo, che si intendono quindi richiamate. 4.3. (OMISSIS), inoltre, nel terzo motivo di ricorso, affronta approfonditamente il profilo relativo al contenuto e alla natura dell'accordo e alla sussistenza di un vincolo permanente e stabile tra ciascun associato. Specifica che, in tal senso, non depongono, contrariamente a quanto affermato dal giudice d'appello, le intercettazioni delle conversazioni fra i sodali, le comunicazioni sulla chat criptata suresport, i servizi di o.p.c., ne' il fatto che nessuno degli imputati abbia una stabile occupazione lavorativa. Trattasi, ad avviso del ricorrente, di elementi che valgono invero a supportare la sussistenza della continuazione tra la pluralita' di reati avvinti dal medesimo disegno criminoso, o anche la sussistenza di un accordo finalizzato a commettere i suddetti reati, ma non la sussistenza di una stabile, sotto il profilo temporale, ed organizzata, sotto il profilo strutturale, associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti. Rileva che la Corte si e' limitata ad affermare, in modo del tutto assertivo e privo di qualunque riscontro, la preesistenza della associazione alle condotte contestate, sebbene queste siano realizzate nell'arco di tempo di poco meno di due mesi, tra (OMISSIS). Non e' dimostrata l'esistenza di una cassa comune destinata a supportare le spese legali per ciascun sodale. Non e' sufficiente il fatto che (OMISSIS), durante una conversazione, riferendosi a (OMISSIS), abbia usato l'appellativo di "capo". Di valenza altrettanto neutra e' l'elemento relativo alle consistenti partite di droga acquistate e alla somma di Euro 20.000 rinvenuta in sede di perquisizione in capo al medesimo ricorrente (OMISSIS), elemento da cui il giudice ha tratto il convincimento che tali quantitativi di droga sarebbero difficilmente gestibili se non per mezzo di una struttura associativa ben radicata e preesistente. Il giudice non ha tenuto conto della tesi difensiva secondo cui la somma rinvenuta costituisce il ricavato della gestione di un esercizio commerciale. Dall'istruttoria non emerge alcun elemento per inferire che i luoghi dove veniva custodita la sostanza stupefacente costituissero strutture logistiche a servizio dell'associazione, piuttosto che pertinenze e porzioni di abitazioni rimessi alla esclusiva disponibilita' di ciascun imputato detentore. Infine illogica e' l'affermazione che l'associazione gestiva il traffico nel quartiere Tessera di (OMISSIS), solitamente frequentato da numerosi spacciatori e tossicodipendenti, posto che in quel quartiere gestisce lo spaccio di stupefacente una potente associazione criminale. 5.3. Infine il ricorrente, con il quarto motivo di ricorso, deduce omessa motivazione in ordine alla sussistenza dell'ipotesi attenuata dell'associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, e al mancato riconoscimento dell'ipotesi di minore gravita' di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73,comma 5. 6.1. (OMISSIS), articola otto motivi di ricorso. Con il primo motivo, deduce violazione di legge e vizio della motivazione in ordine all'affermazione della responsabilita' per il reato associativo. Oltre alle argomentazioni comuni agli altri ricorrenti, che si richiamano, evidenzia che il ribaltamento dell'esito assolutorio e' avvenuto in violazione dei principi giurisprudenziali elaborati dalla giurisprudenza di legittimita' in tema di obbligo di motivazione rafforzata. La Corte di appello si e' limitata ad effettuare un diverso apprezzamento del compendio probatorio senza sostenere il giudizio di condanna con una motivazione rafforzata tale da superare il principio di presunzione di innocenza oltre ogni ragionevole dubbio, evidenziando cosi' l'incompletezza e l'insostenibilita', sul piano logico e giuridico, dell'iter argomentativo della decisione di primo grado. 6.2. (OMISSIS), con il secondo motivo di ricorso, deduce che la rivalutazione meramente cartolare del materiale probatorio e' avvenuta in violazione dell'articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, che avrebbe imposto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e, in particolare, la riassunzione dell'esame del ricorrente, il quale ha partecipato all'udienza e ha reso dichiarazioni in causa propria, come e' dimostrato dal riconoscimento dell'attenuante della collaborazione, e ha prodotto memorie difensive, da qualificare non solo come esercizio del diritto di difesa ma anche come attivita' di collaborazione. 6.3. Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla responsabilita', evidenziando l'assenza di quegli elementi su cui si fonda l'affermazione della responsabilita' degli altri imputati, in ragione della sua scarsa caratura criminale e la scarsa considerazione di cui godeva all'interno del gruppo. Emerge inconfutabilmente dagli elementi probatori acquisiti in giudizio che egli, pur aspirando a far parte dell'associazione, non era riconosciuto dai sodali quale partecipe in ragione della sua condizione di tossicodipendente, e non godeva quindi di quella affectio societatis e di quella condizione di protezione che connota i partecipanti la struttura associativa. Egli era pilotato prevalentemente da (OMISSIS) ma era estraneo al gruppo. I giudici di merito, in proposito, non hanno considerato che non vi e' nessuna intercettazione telefonica intercorsa con gli altri sodali che lo riguarda, la mancata frequentazione, da parte dei fratelli (OMISSIS), del luogo di stoccaggio della sostanza stupefacente nella sua disponibilita', il mancato uso di un sistema di comunicazione di tipo criptico e segreto, ne' il fatto di non aver usufruito del difensore di fiducia individuato dai fratelli (OMISSIS), a riprova della sua non appartenenza all'associazione criminale. 6.4. Con il quarto motivo di ricorso, lamenta una erronea applicazione delle norme relative al concorso di persone nel reato, articolando argomentazioni non dissimili da quelle formulate da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sul punto. 6.5.Con il quinto motivo di ricorso, deduce violazione di legge e vizio della motivazione in quanto la corte di appello, erroneamente, ha qualificato il reato di cui al capo 4), relativo all'acquisto e alla detenzione a fini di spaccio di un chilogrammo di cocaina, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4. Assume il ricorrente che la Corte ha accolto il secondo motivo di appello, con il quale l'imputato ha chiesto la qualificazione del fatto ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 ma, con determinazione illogica, ha effettuato le riduzioni di pena ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4 anziche' comma 5. 6.6. Con il sesto motivo di ricorso deduce erronea qualificazione del capo 7), relativo alla detenzione a fini di spaccio di 7 kg di cocaina, sebbene il ricorrente abbia chiesto la riqualificazione ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. La Corte si e' limitata ad affermare che la doglianza non puo' essere presa in considerazione, a fronte del considerevole quantitativo di stupefacente e ha richiamato per relazione la motivazione della sentenza di primo grado. Pertanto, la determinazione non e' accompagnata da una adeguata motivazione in ordine all'impossibilita' di addivenire ad una modifica dell'imputazione ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, non essendo sufficiente il mero richiamo al quantitativo di stupefacente e alla motivazione del primo giudice. 6.7. Con il settimo motivo di ricorso si duole della omessa motivazione in relazione all'aumento di pena ai sensi dell'articolo 81 c.p. per il capo 7), originariamente individuato quale reato base e che, a seguito della riforma della sentenza di primo grado e alla conseguente condanna per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 e' divenuto un reato satellite. La Corte di appello, nel rideterminare la pena base e nel rideterminare l'aumento per il reato di cui al capo 7), nulla ha affermato in ordine al riconoscimento della circostanza attenuante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 7. Non essendovi alcuna specificazione, parrebbe quindi che la riduzione per il riconoscimento della suddetta circostanza non sia stata effettuata. 6.8. Con l'ottavo motivo si duole della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione, in quanto il giudice ha valutato ingiustificatamente in senso sfavorevole all'imputato il precedente penale rappresentato dalla sentenza n. 2930 del 2019, divenuta irrevocabile nel 2020, nonostante l'avvenuto riconoscimento della continuazione con i reati giudicati con tale ultima sentenza, cosi' esprimendo un giudizio contraddittorio sul medesimo elemento, che era stato valutato in senso positivo ai fini della continuazione, e poi come elemento negativo ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione. 7. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' dei ricorsi. 8. (OMISSIS), ha depositato memoria illustrativa con la quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso e ulteriormente articolato le doglianze coltivate con i motivi di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Si premette che sono partitamente esaminate le doglianze sollevate da ciascun ricorrente, ad eccezione di quella relativa all'inammissibilita' dell'appello del PM che, per omogeneita' tipologica, e' trattata in via preliminare e unitariamente. La disamina quindi prende le mosse dall'analisi del motivo di ricorso concernente l'inammissibilita' dell'appello del PM, motivo comune ai ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). In proposito si osserva che la doglianza e' generica, in quanto i ricorrenti si sono limitati a esternare generiche critiche all'atto di appello, senza descriverne e riportarne i contenuti e, peraltro, senza adempiere all'onere di allegazione, posto che l'atto di appello non e' allegato al ricorso. Si osserva, in ogni caso, che il Pm, nell'atto di appello, esaminato dal Collegio, ha articolato specifiche doglianze alla sentenza pronunciata dal primo giudice: ha dedotto la mancata considerazione della stabilita' dei rapporti intercorrenti fra gli imputati, accertata mediante le attivita' di intercettazioni telefoniche ambientali e dalle comunicazioni sulla chat surespot e dai servizi di o.p.c.; ha eccepito la mancata considerazione del ricorso ad un linguaggio criptico, condiviso da tutti e quindi precedentemente concordato; ha evidenziato l'ambito territoriale ben perimetrato nel quale i sodali operavano ed esercitavano un controllo del territorio, risultante dalle intercettazioni ambientali a bordo dell'Audi A3 tra (OMISSIS) e tale (OMISSIS); il primo giudice non ha considerato la suddivisione. dei ruoli tra i membri del sodalizio, che emerge dalle consolidate modalita' operative delle singole cessioni, da cui si evince che (OMISSIS) e' l'organizzatore indiscusso, che suo fratello Stefano il suo braccio destro, che (OMISSIS) era stabilmente a disposizione dell'associazione per mettere in sicurezza lo stupefacente e che anche (OMISSIS), era stabilmente a disposizione dell'associazione, tanto da percepire un compenso fisso da parte dei fratelli (OMISSIS), per svolgere l'attivita' di confezionamento e di consegna agli acquirenti della sostanza stupefacente. L'atto di appello contiene, dunque, una diffusa esposizione delle doglianze in ordine ai suddetti punti, ragione per cui non puo' essere certo tacciato di genericita'. L'appello inoltre contiene doglianze concernenti altri profili, attinenti al quantitativo ingente di stupefacente trattato e alla contestazione dell'associazione armata. 2. Il motivo formulato da (OMISSIS) e da (OMISSIS), volto a contestare l'affermazione di responsabilita' in merito al reato associativo, e' infondato. Si premette, in proposito, che in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che, come nel caso in disamina, riformi totalmente la decisione di primo grado, sostituendo alla pronuncia di assoluzione quella di condanna dell'imputato, ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i piu' rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dimostrandone in modo rigoroso l'incompletezza o l'incoerenza (Sez. U, 12/07/2005, Mannino). Giova ricordare che il giudice di prime cure ha posto, alla base della pronuncia assolutoria, l'esiguita' del numero dei partecipanti all'associazione, composta solo da quattro persone, e la limitata estensione cronologica dell'operativita' della stessa, compresa tra il 15 maggio e il 3 luglio del 2019, premettendo che tali elementi impongono una particolare cautela nella valutazione dell'apparato organizzativo predisposto per il conseguimento delle finalita' di spaccio di stupefacenti. Tanto affermato, il primo giudice ha ritenuto che non assuma in tal senso rilevanza il fatto che gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si siano avvalsi di un sistema criptato per le comunicazioni volto ad eludere le investigazioni delle autorita'. Il giudice ha ritenuto che tale sistema di comunicazione criptata non fosse posta a servizio dell'associazione, in quanto non utilizzata da tutti i partecipi, non risultando comprensibile perche' un associato, ovvero l' (OMISSIS), ne fosse rimasto escluso. Il giudice di primo grado ha inoltre ritenuto che non assumesse rilevante significato probatorio il rinvenimento dei luoghi deputati allo stoccaggio dello stupefacente, ovvero la cantina pertinente all'abitazione della figlia di (OMISSIS), il garage nella disponibilita' di (OMISSIS) a titolo di locazione, ed uno spazio dell'abitazione dello stesso (OMISSIS) destinato al frazionamento della sostanza. Il giudice ha infatti ritenuto che tali luoghi fossero in origine nella disponibilita' di ciascun imputato, fossero frequentati sempre soltanto da ciascun imputato, fossero adibiti all'uso esclusivo dell'imputato detentore dello stupefacente e non fossero a servizio dell'intera organizzazione. Anche il rinvenimento di una pistola semiautomatica presso la cantina della figlia di (OMISSIS), quale provento di un furto consumato il (OMISSIS), non e' da riferirsi, secondo il giudice di primo grado, alla attivita' dell'associazione, non assumendo alcun rilievo il fatto che la pistola fosse custodita all'interno di una busta recante la scritta " (OMISSIS) classe bianca" secondo gli investigatori da riferirsi alla figlia di (OMISSIS), di nome (OMISSIS). Il Giudice ha ritenuto che, in assenza di una prova della consapevolezza da parte da tutti gli altri imputati dell'esistenza di questa pistola, non puo' inserirsi la disponibilita' dell'arma a servizio dell'intero gruppo criminale, non rilevando affatto la corrispondenza fra il nominativo impresso nel sacchetto contenente la pistola e il nome di battesimo della figlia di (OMISSIS). Il giudice di primo grado ha ritenuto, inoltre, che non assumesse alcun significato probatorio il rinvenimento di un apparecchio disturbatore di frequenze di tipo jammer presso l'abitazione di (OMISSIS). Neppure rileva la circostanza che (OMISSIS), non essendo in grado di nominare un difensore di fiducia, abbia nominato lo stesso difensore di fiducia nella persona dell'avvocatessa (OMISSIS), nominata dai (OMISSIS) e (OMISSIS); non rileva in tal senso il fatto che i fratelli (OMISSIS) si siano recati in auto a (OMISSIS), abbiano parcheggiato il veicolo a qualche centinaia di metri dallo studio dall'avvocatessa (OMISSIS) e che successivamente a tale spostamento il ricorrente abbia nominato la stessa quale suo difensore di fiducia, in quanto la circostanza non e' dimostrativa dell'esistenza di una cassa comune posta a disposizione delle esigenze di tutela legale dei sodali. Infine, il giudice di primo grado ha ritenuto che nessuna rilevanza assuma la capacita' degli imputati di gestire rilevanti quantitativi di droga pesante e la possibilita' di trarne rilevanti profitti, trattandosi di elementi compatibili con una efficace e proficua conduzione di un'attivita' di traffico di stupefacenti continuata ad opera di piu' persone in concorso nel reato. Ebbene, con riferimento a tale iter argomentativo, si osserva che la Corte d'appello ha analiticamente esaminato le risultanze probatorie in merito a ciascuno degli specifici profili appena enunciati, ribaltando l'epilogo decisorio sulla base di un'accurata confutazione delle argomentazioni formulate dal primo giudice. La Corte territoriale ha, infatti, evidenziato che, ai fini della configurabilita' del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, e' necessaria l'esistenza di un'entita' autonoma, a carattere permanente, dotata di una struttura organizzativa, che puo' anche essere rudimentale, non sofisticata e non necessariamente caratterizzata da un vincolo rigorosamente gerarchico fra i sodali, ne' tantomeno da una specifica suddivisione dei compiti, ma deve comunque essere idonea a fornire un supporto stabile alle singole deliberazioni criminose. In tale senso, la Corte territoriale ha ritenuto che fosse acquisita la prova dell'esistenza di tale struttura organizzativa posta a servizio delle singole determinazioni, traendo tale convincimento dalla stabilita' dei rapporti intessuti tra tutti gli indagati, risultante dalle intercettazioni delle loro conversazioni e dalle comunicazioni sulla chat criptata, e dai servizi di o.p.c., dalla precisa suddivisione dei ruoli, dalla disponibilita' comune a tutti i sodali appartenenti all'associazione di mezzi e luoghi per acquistare, trasportare e cedere lo stupefacente. In particolare, piu' dettagliatamente, con riferimento ai luoghi in cui veniva occultato lo stupefacente, la Corte ha evidenziato che, contrariamente a quanto sostenuto dal primo giudice, emerge dagli atti processuali un elemento trascurato dalla sentenza impugnata che, pertanto sotto questo profilo, si connota di incompletezza, costituito dal fatto che il canone di locazione del box locato da (OMISSIS), destinato alla custodia di parte della sostanza stupefacente, era in realta' pagato dai fratelli (OMISSIS) con i proventi dell'attivita' illecita del gruppo. Tale elemento e' emerso dalla intercettazione dell'utenza in uso al (OMISSIS) che, parlando con un soggetto terzo, affermava proprio che il (OMISSIS) avrebbe dovuto dargli i soldi per pagare il box. Da un'altra conversazione intercettata intercorsa tra (OMISSIS) e altro interlocutore, il primo ha fatto riferimento all'esistenza di un libro paga per un compenso fisso di Euro 1.400 mensili, a prescindere dalla quantita' di sostanza stupefacente ceduta, e appellava (OMISSIS), con il termine di "capo", che, per quanto possa essere usato genericamente, conferma l'ipotesi di un rapporto di stabile collaborazione lavorativa tra i due e dell'esistenza di una struttura organizzata. Ulteriore elemento valorizzato dalla Corte d'appello riguarda l'utilizzo comune dell'applicazione messaggistica criptata surespot, in particolare concernente la posizione processuale di (OMISSIS). La Corte territoriale ha ritenuto erronea l'argomentazione del primo giudice secondo la quale (OMISSIS), non ne faceva uso e che quindi per tale motivo, dovesse ritenersi estraneo al sodalizio criminale. Tuttavia, con espresso riferimento alla posizione di (OMISSIS), la Corte territoriale ha evidenziato il suo ruolo, circoscritto alla custodia e lo stoccaggio dello stupefacente presso la cantina di via (OMISSIS), ragione per la quale, a differenza del (OMISSIS), non aveva bisogno di comunicare frequentemente con gli altri partecipi, non occupandosi direttamente del commercio della sostanza stupefacente; ma soprattutto, oltre alle suddette considerazioni, la Corte ha evidenziato che anche Urciuoli aveva a disposizione un'ulteriore canale di comunicazione criptato sottratto alle intercettazioni. Tale circostanza si evince da una conversazione intercettata, intercorsa da tra (OMISSIS), (OMISSIS) e tale flagrano (OMISSIS), ove si fa riferimento a messaggi che non sono transitati sui numeri oggetto di intercettazione e che dunque confermano l'ipotesi che anche Urciuoli, come tutti gli altri sodali, disponesse di un sistema di comunicazione segreto. La Corte territoriale ha sottolineato che tali ultimi elementi non sono stati presi in considerazione dal giudice di primo grado e che essi, d'altra parte, fondano l'affermazione dell'esistenza di una struttura associativa consistente, radicata nel tempo e stabile, tale da poter gestire e movimentare, anche in un breve arco temporale, consistenti partite di droga, come conferma il rinvenimento della somma di Euro 20.000 in capo a (OMISSIS). Inoltre, emerge dalle intercettazioni che i fratelli (OMISSIS) erano impegnati anche nel recupero di crediti presso acquirenti non paganti, e che i membri del sodalizio avevano a disposizione punti fissi di incontro per il ritiro di denaro e per l'incontro con i trafficanti e la vendita della sostanza. I fratelli (OMISSIS), non avevano una stabile occupazione lavorativa ed erano soliti trascorrere la giornata a bordo delle proprie autovetture, pattugliando la zona ove svolgevano l'attivita' di spaccio. Inoltre, emerge dalle intercettazioni richiamate dalla Corte territoriale, la chiara volonta' di difendere il territorio da eventuali spacciatori concorrenti che avrebbero voluto espandere l'attivita'. La Corte territoriale, in ordine all'esiguita' del numero dei componenti l'associazione, ha affermato che il gruppo poteva contare anche sull'appoggio di altri sodali sfuggiti alle investigazioni, quali, ad esempio, tale (OMISSIS) che aveva coadiuvato (OMISSIS) nello spostamento dello stupefacente. Altro significativo aspetto concerne l'interessamento dei fratelli (OMISSIS) alla difesa legale dell' (OMISSIS), a riprova della sussistenza di un rapporto di solidarieta' reciproca fra tutti i partecipanti all'associazione, conformemente al principio secondo cui la prova dell'appartenenza al sodalizio criminoso puo' essere desunta anche dall'accertamento dell'assistenza legale fornita ad un partecipe e dell'aiuto economico assicurato ai suoi familiari, una volta che costui sia tratto in arresto, consistendo in condotte prestate a vantaggio dell'intera consorteria e non solo della persona assistita (Sez.3, n. 12705 del 15/02/2019, Rv. 275478). Pertanto la Corte territoriale ha ritenuto che, malgrado le piccole dimensioni del gruppo, la natura prevalentemente familiare dello stesso, la non verticistica struttura organizzativa, sussistessero tutti gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice. Dunque, i giudici di merito hanno diffusamente chiarito le ragioni per le quali hanno ritenuto inattendibile la prospettazione difensiva secondo la quale non e' possibile, nella specie, enucleare la benche' minima struttura, ne' un accordo stabile, ne' la consapevolezza di far parte di una struttura organizzata, trattandosi di soggetti legati da vincolo familiare che concorrono nel reato fine. In proposito, si ricorda che l'esistenza della consorteria criminosa non e' esclusa per il fatto che la stessa sia imperniata per lo piu' intorno a componenti della stessa famiglia (Sez.3, n. 48568 del 25/02/2016, Rv. 268184). La Corte si e' quindi fatta carico di confutare la tesi assolutoria specificamente, dimostrandone in modo rigoroso l'inattendibilita', attraverso un adeguato apparato argomentativo, inferendo l'esistenza di una compagine criminale da una serie di elementi, come lo scambio delle informazioni necessarie per lo svolgimento dell'attivita' di spaccio su una chat criptata non oggetto di intercettazione, il fatto che la cantina in uso al sodale (OMISSIS) fosse pagata dai (OMISSIS), il fatto che il (OMISSIS) fosse "a libro paga" mensile, elementi che erano stati trascurati del tutto dal giudice di primo grado. Trattasi, come si vede, di una motivazione precisa, fondata su specifiche risultanze processuali e del tutto idonea a illustrare l'itinerario concettuale seguito dal giudice di merito. D'altronde, dedurre vizio di motivazione della sentenza significa dimostrare che essa e' manifestamente carente di logica e non gia' opporre alla ponderata ed argomentata valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione dei fatti, magari altrettanto ragionevole (Sez. U, 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621). Esula infatti dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa - e, per il ricorrente, piu' adeguata-valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207941). 4.1.Con riferimento alla doglianza coltivata da (OMISSIS), in ordine alla sussistenza della associazione criminosa, articolata nel secondo e terzo motivo di ricorso, si richiamano le considerazioni formulate per l'analogo motivo di ricorso proposto da (OMISSIS) e (OMISSIS). 4.2.Con riferimento alla doglianza formulata da (OMISSIS) nel quarto motivo di ricorso, relativa alla sussistenza dell'ipotesi attenuata dell'associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 articolo 74, comma 6, e relativa al mancato riconoscimento dell'ipotesi di minore gravita' di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, si osserva quanto segue. La fattispecie associativa prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74, comma 6, e' configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entita', predisponendo modalita' strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravita' e che, in concreto, l'attivita' associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, (Sez.6, n. 1642 del 09/10/2019, Rv. 278098). Sul punto, si osserva che i capi di imputazione fanno riferimento a cospicui e talora imprecisati quantitativi di sostanza stupefacente: in particolare, in un capo d'imputazione si contesta la detenzione di 4 chili di hashish (capo 1), in un altro di 1 kg di cocaina (capo 4), in altro ancora la detenzione di 7 kg di cocaina (capo 7), sicche' la doglianza non e' fondata. Per le stesse ragioni, concernenti il dato quantitativo degli approvvigionamenti, deve ritenersi infondata la doglianza della qualificazione dei singoli reati scopo come ipotesi di lieve entita' di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5, posto che la quantita' di stupefacente movimentata costituisce un indice della finalizzazione degli stessi alla commissione di fatti non riconducibili allo spaccio di lieve entita' (Sez. 4, n. 476 del 25/11/2021, Rv. 282704). 5.1.Con riferimento alla posizione processuale di (OMISSIS), il ricorrente nel primo e nel secondo motivo di ricorso evidenzia che il ribaltamento dell'esito assolutorio e' avvenuto in violazione dei principi giurisprudenziali elaborati dalla giurisprudenza di legittimita' in tema di obbligo di motivazione rafforzata e di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, ragione per la quale l'imputato doveva essere esaminato e rinnovata la sua testimonianza. Rappresenta di aver effettuato interrogatorio, nonche' depositato, sempre a corredo di questo, diversi memoriali. In proposito si ricorda che la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, con sentenza n. 8999 del 5 luglio 2011, Dan. C Moldavia, si e' espressa nel senso che il giudice che, per ultimo, ha la responsabilita' di decidere la colpevolezza o l'innocenza di un imputato deve ascoltare personalmente i testimoni dalla cui deposizione deriva la prova principale dei fatti, poiche' la valutazione della loro attendibilita' e' un compito complesso, che non puo' ridursi alla mera lettura dei verbali delle loro dichiarazioni (conf. CEDU, n. 36605 del 05/03/2013; CEDU, n. 17520 del 09/04/2013). Il principio e' stato ribadito dalle Sezioni unite, che, con sentenza del 28/04/2016, Dasgupta, e poi infine cristallizzato dal legislatore, nell'articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, Pertnto, il giudice di appello, qualora ritenga di riformare nel senso dell'affermazione di responsabilita' dell'imputato, la sentenza di proscioglimento di primo grado, sulla base di una diversa valutazione della prova dichiarativa, ritenuta decisiva dal primo giudice, deve disporre la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, mediante l'esame dei soggetti che hanno reso le relative dichiarazioni. Nel caso in disamina, tuttavia, si osserva che la Corte territoriale, nel ribaltare l'esito assolutorio del giudizio di primo grado, non ha effettuato alcuna rivalutazione dell'elemento dichiarativo fornito dal ricorrente (OMISSIS), ma si e' avvalsa di elementi probatori diversi, relativi all'esistenza di un sistema di comunicazione criptato, all'esistenza di luoghi comuni in uso a tutti i sodali adibiti alla custodia della sostanza stupefacente, all'esistenza di un una cassa comune messa a disposizione per le esigenze di tutela legale. Nessun rilievo ha assunto, quindi, cio' che ha riferito il ricorrente (OMISSIS), neppure in merito alla interpretazione dell'ingente mole di intercettazioni di cui si e' avvalsa la Corte per ritenere dimostrata l'esistenza di una strutturata associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, e quindi per ribaltare l'esito assolutorio del giudizio di primo grado. 5.2.Con riferimento alla terza e quarta doglianza, concernente la responsabilita' per il reato associativo, si richiama quanto affermato dalla corte territoriale, la quale ha posto in evidenza la circostanza che il box locato da (OMISSIS) era in realta' pagato dai fratelli (OMISSIS) con i proventi dell'attivita' illecita del gruppo e che lo stesso (OMISSIS) ricevesse un compenso mensile fisso. Da tali elementi la corte ha inferito che il ricorrente fosse un partecipe componente dell'associazione. 5.3. Con riferimento al quinto motivo di ricorso, con cui assume il ricorrente che la Corte di appello erroneamente abbia qualificato il reato di cui al capo 4), relativo all'acquisto e alla detenzione a fini di spaccio di un chilogrammo di cocaina, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, pur avendo accolto il secondo motivo di appello, con il quale l'imputato ha chiesto la qualificazione del fatto ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 comma 5, si evidenzia che si tratta di doglianza manifestamente infondata, non solo perche' generica ed assertiva e considerato che la Corte di appello ha implicitamente disatteso la suddetta richiesta di riqualificazione del reato di cui al capo 4), in ragione della significativita' del dato ponderale dello stupefacente, ne' puo' ritenersi che vincoli in tal senso la richiesta dell'imputato. 5.4. Altrettanto infondato e' il sesto motivo di ricorso in ordine alla erronea qualificazione del capo 7), relativo alla detenzione a fini di spaccio di 7 kg di cocaina, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, e in ordine alla carenza di motivazione. Si osserva, in proposito, che alla pagina 35 della sentenza impugnata il giudice di merito ha fornito adeguata ed autonoma motivazione, richiamando l'ammontare della sostanza stupefacente detenuta, oltre a fare richiamo espressamente alle motivazioni contenute nella sentenza di primo grado e a particolari in essa contenuti, relativi all'intercettazione del (OMISSIS) con tale (OMISSIS), sicche' la doglianza e' meramente ripetitiva e non si confronta con quanto argomentato dai giudici di merito. Si ricorda che le Sezioni unite hanno affermato la legittimita' della motivazione per relationem, a condizione che: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti, come nel caso di specie, congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento ad quem; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione delle ragioni del provvedimento di riferimento e le ha meditate e ritenute coerenti con la sua decisione, come nel caso in disamina, in cui ne ha richiamato alcuni passaggi; 3) l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento, sia conosciuto o comunque ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facolta' di valutazione, di critica ed eventualmente di gravame (Sez. U, 21/06/2000, Primavera). 5.5. Infondata e' la settima doglianza relativa alla omessa motivazione in relazione all'aumento di pena ai sensi dell'articolo 81 c.p. per il capo 7), e in ordine alla mancata applicazione, nella sua massima estensione, della circostanza attenuante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 7. In proposito, si osserva che il giudice ha, con motivazione congrua ed esente da vizi logici, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, preso in considerazione tale profilo, e condiviso le determinazioni del giudice di primo grado in ragione della tardivita' e della limitatezza del contributo investigativo con riferimento all'individuazione di terzi fornitori, evidenziando che il (OMISSIS) ha atteso l'esecuzione dell'ordinanza custodiale nei confronti degli altri coimputati prima di fornire qualunque indicazione agli investigatori e che si e' limitato a individuare un solo fornitore (vedasi pag.37 della sentenza impugnata). Inoltre, la Corte territoriale, ai fini della quantificazione dell'aumento per la continuazione esterna, ha fatto riferimento alla quantita' e qualita' delle sostanze stupefacenti detenute (pari a grammi 881 di cocaina, 1080 grammi di marijuana, 34 grammi di hashish), ed ha dichiarato di condividere la misura degli aumenti in continuazione disposti dal primo giudice ad eccezione del capo 4) o'per il quale ha disposto un aumento di mesi uno di reclusione. 5.6. Infine, in relazione all'ottavo motivo, si precisa che la valutazione del medesimo elemento, ma a fini diversi e in relazione a istituti diversi, non assume alcuna rilevanza, sicche' il medesimo elemento puo' costituire oggetto di valutazione ai fini dell'applicazione dell'articolo 81 c.p., e d'altra parte, essere considerato negativamente ai fini della concessione delle attenuanti, o della commisurazione nella loro massima estensione. Pertanto, non vi e' alcuna incompatibilita' tra il riconoscimento del vincolo della continuazione di cui all'articolo 81 c.p., e la valutazione del precedente penale ai fini di una contenuta diminuzione del trattamento sanzionatorio per effetto del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. 6. I ricorsi devono, dunque, essere rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MICCOLI Grazia - Presidente Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. SGUBBI Vincenz - rel. Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 08/11/2022 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. VINCENZO SGUBBI; lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. PASSAFIUME SABRINA, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio per difetto della condizione di procedibilita'. RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIIRITTO 1. Con il provvedimento impugnato la Corte di appello di Milano ha riqualificato in violazione di domicilio - aggravata dalla violenza sulle cose e continuata - il reato di tentato furto aggravato continuato per il quale il Tribunale di Monza aveva condannato (OMISSIS), a sua volta riqualificando l'imputazione originaria che ascriveva all'imputato l'accusa di tentato furto in abitazione aggravato continuato. Il fatto era consistito in due distinti accessi all'oratorio di una parrocchia di (OMISSIS), avvenuti il (OMISSIS), in ora notturna, mediante l'effrazione della porta di ingresso. Il Tribunale non aveva ritenuto configurabile la nozione di "privata dimora", mentre la Corte di appello ha ritenuto corretta, sotto questo profilo, l'impostazione originaria del pubblico ministero, non ritenendo pero' provato il fine di profitto nei due accessi violenti, durati pochi minuti, posti in essere dall'imputato nei locali dell'oratorio parrocchiale. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, affidandosi ad un unico motivo con il quale ha dedotto violazione di legge - con riguardo all'articolo 614 c.p. - e vizio di motivazione: i locali dell'oratorio non potrebbero essere considerati "privata dimora". Infatti, ad essi potrebbe accedersi liberamente, perche' il parroco non opera una selezione all'ingresso, che sarebbe "in aperto contrasto con i principi di inclusivita' ed accoglienza su cui si fonda la dottrina cristiana" (pag. 4 del ricorso), e dunque difetta in capo a lui lo ius excludendi alios. La Corte territoriale ha affermato che nell'oratorio si realizzano anche atti della vita privata e si e' riferita proprio al locale adibito a bagno, dove il ricorrente si era indirizzato in entrambe le occasioni. La motivazione sarebbe pero' illogica perche' la presenza di un bagno, necessario agli avventori della struttura, non ne cambia la destinazione. Mancherebbero, in definitiva, le condizioni indicate dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 31345 del 23/03/2017. 3. Il ricorso e' stato trattato, senza intervento delle parti, nelle forme di cui alla L. n. 176 del 2020, articolo 23, comma 8, e successive modifiche. Il Procuratore generale ha concluso per iscritto chiedendo l'annullamento senza rinvio per difetto della condizione di procedibilita'. 4. Il ricorso e' infondato, ma si deve prendere atto della mancanza della necessaria condizione di procedibilita' e, dunque, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio. 5. Nel caso in esame, l'ingresso non autorizzato e' avvenuto in un "oratorio", struttura chiusa a chiave e dotata di ufficio di segreteria e di bagno, oltre che di altri locali. Non si tratta dell'"oratorio" in senso canonico, cioe' "il luogo destinato, su licenza dell'Ordinario, al culto divino in favore di una comunita' o di un gruppo di fedeli che ivi si radunano, e al quale possono accedere anche altri fedeli con il consenso del Superiore competente" (can. 1223 del codice di diritto canonico). Non puo' dunque applicarsi la giurisprudenza che nega carattere di privata dimora al luogo di culto (Sez. 5, n. 23641 del 29/01/2016, Della Gatta, Rv. 266913). Si tratta, invece, dell'"oratorio" inteso quale luogo, di pertinenza normalmente di una Parrocchia (nel caso di specie, della Parrocchia di (OMISSIS)), destinato a luogo di ritrovo e di educazione dei giovani, preso in considerazione dalla L. 1 agosto 2003, n. 206, articolo 1 e dalla Legge Regionale Lombardia 23 novembre 2001, n. 22, articolo 2. Si discute, pertanto, di un immobile di pertinenza della Parrocchia, destinato agli scopi educativi appena riassunti. Dunque, di un luogo sottoposto alla custodia del parroco, che, dovendo curare la destinazione dell'immobile all'educazione dei giovani, ha certamente la possibilita' ed il diritto di escludere determinate persone (per esempio in ragione della loro appartenenza a gruppi che siano antagonisti della dottrina cristiana) ovvero addirittura, per ragioni assicurative o di altro genere, di ammettere solo gli avventori che siano in possesso di regolare iscrizione. Non e' certo dirimente, nel senso auspicato dal ricorrente, la considerazione svolta nel ricorso, secondo la quale la dottrina cristiana suggerisce un'indiscriminata apertura alla carita', e, dunque, nel luogo adibito ad oratorio sarebbe non esercitabile lo ius excludendi alios. Piuttosto, sono pertinenti le considerazioni che la giurisprudenza di legittimita' ha gia' svolto con riguardo ad altri luoghi destinati all'educazione, come gli asili-nido (cfr. Sez. 5, n. 5755 del 19/12/2022, dep. 2023, Bettera, Rv. 284219), accessibili solo con il consenso del gestore, ovvero con riguardo ad altre pertinenze di luoghi di culto, diversi pero' dal luogo stabilmente destinato alla preghiera comunitaria, come per esempio le sagrestie (Sez. 4, n. 13492 del 21/01/2020, Anselmo, Rv. 279002). In un oratorio si svolgono attivita' riservate di educazione e di svago di giovani, fedeli e non, i cui criteri di accesso possono essere determinati dal parroco; l'oratorio e' luogo di svago dello stesso parroco, titolare ed amministratore dei beni parrocchiali; non e' un luogo stabilmente destinato (esclusivamente) alle attivita' di culto, aperte tendenzialmente a tutti, come il locale adibito a chiesa. A maggior ragione sono pertinenti le osservazioni della Corte di appello in merito alla circostanza che il locale al quale l'imputato ha avuto accesso era il bagno dell'oratorio, e dunque un luogo riservato destinato ad attivita' della vita privata. Non sussiste, dunque, il denunciato vizio di violazione di legge. 6. Il reato e' procedibile a querela, secondo la previsione introdotta dal Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, articolo 2, comma 1, lettera g), e la querela, quando la persona offesa - come nel caso in esame - ha avuto notizia del fatto prima dell'entrata in vigore della citata disposizione, doveva essere presentata entro il termine di tre mesi dalla data di entrata in vigore della norma, cioe' dal 30 dicembre 2022 (cfr. articolo 85 Decreto Legislativo cit.). La querela non risulta presentata, nonostante il decorso del termine, mentre e' stata presentata una mera denuncia, non contenente alcuna clausola dalla quale desumere la volonta' di punizione del colpevole. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per difetto della condizione di procedibilita'. Motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. SOCCI Angelo Matteo - Consigliere Dott. DI STASI Antonella - rel. Consigliere Dott. REYNAUD Gianni Filippo - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI BRESCIA; (OMISSIS), nata in (OMISSIS); (OMISSIS), nato in (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato in (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); (OMISSIS), nato in (OMISSIS); (OMISSIS), nato in (OMISSIS); (OMISSIS), nato in (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato in (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato in (OMISSIS); (OMISSIS), nato in (OMISSIS); (OMISSIS), (alias (OMISSIS)), nato in (OMISSIS); avverso la sentenza del 28/04/2022 della Corte di appello di Brescia; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa DI STASI Antonella; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PICCIRILLO Raffaele, che ha concluso chiedendo: il rigetto dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ed in alternativa rimessione alle Sezioni Unite per la decisione in ordine al capo 20); declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e per quest'ultimo annullamento con rinvio per i reati di cui ai capi 23) e 28); rigetto del ricorso nei confronti dell'imputato (OMISSIS); udito per gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) l'avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso o rimessione alle Sezioni Unite; udito per l'imputato (OMISSIS) l'avv. (OMISSIS) e l'avv. (OMISSIS), che hanno concluso chiedendo l'annullamento con rinvio; udita per l'imputato (OMISSIS) l'avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 28/04/2022, la Corte di appello di Brescia, per quanto rileva in questa sede, in parziale riforma della sentenza emessa in data 30/09/2021, all'esito di giudizio abbreviato, dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Brescia (la sentenza di primo grado aveva riconosciuto la sussistenza dell'associazione criminosa finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti contestata al capo 52) dell'imputazione, della quale facevano parte (OMISSIS), con funzioni di capo e organizzatore, e, quali partecipi, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e dei reati-fine contestati), in accoglimento della richiesta del P.G. e dell'imputato ex articolo 599-bis c.p.p. rideterminava la pena inflitta (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS); ritenuta per (OMISSIS) la continuazione tra i fatti di cui alla sentenza della Corte di appello di Brescia del 2.3.2021 (irrevocabile il 14.12.2021) e quelli oggetto nel presente procedimento, confermava la pena allo stesso inflitta nella complessiva misura di anni 23, mesi quattro di reclusione ed Euro 800,00 di multa; riqualificati i fatti contestati ai capi 40) e 41) a (OMISSIS) e (OMISSIS) nei termini dell'originaria imputazione, confermava la pena loro inflitta; revocava la dichiarazione di delinquenza professionale nei confronti di (OMISSIS) e confermava nel resto. 2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Brescia ed i suindicati imputati, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, articolando i seguenti motivi, enunciati in base al disposto dell'articolo 173 disp. att. c.p.p.. Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Brescia propone un unico motivo di ricorso, con il quale deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all'articolo 102 c.p.. Argomenta che erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto che (OMISSIS) non fosse nelle condizioni di essere dichiarato delinquente abituale poiche' l'ultimo precedente risaliva al 10.11.2004 e dunque oltre il termine di legge dei dieci anni dai fatti contestati, collocabili tra il maggio ed il luglio del 2018; secondo il disposto dell'articolo 102 c.p., comma 2, nei dieci anni in questione non va computato il tempo in cui il condannato ha scontato pene detentive o e' stato sottoposto a misure di sicurezza detentive; nella specie, come evincibile dal certificato del casellario giudiziale, (OMISSIS) aveva scontato pena detentiva dal 10.11.2004 al 29.2.2016 e, quindi, computando nel conteggio tale periodo, i fatti per i quali il predetto ha riportato condanna nel presente procedimento erano stati commessi entro il termine di cui all'articolo 102 c.p.. (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia, propone un unico motivo di ricorso, con il quale deduce vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Argomenta che con l'atto di appello si censurava la decisione del primo giudice sul punto relativo alla ritenuta sussistenza del sodalizio criminoso, sottolineando, in particolare, che i cinque soggetti, ritenuti partecipi dell'associazione, avessero tra loro stretti rapporti parentali; la (OMISSIS) era la moglie di (OMISSIS), ritenuto il promotore del sodalizio, e la sua presenza in giudizio era frutto piu' di dinamiche familiari che di progetti criminali; secondo la giurisprudenza di legittimita' nel caso di sovrapposizione tra struttura familiare e organizzazione criminale e' necessario procedere ad una valutazione particolarmente prudente, poiche' la frequentazione ed i vincoli di solidarieta' che legano componenti dello stesso gruppo familiare non possono essere recepiti come prova dell'affectio societatis ma occorre provare la costituzione di un'altra struttura organizzativa dotata di distinta e autonoma attivita' criminosa; nella specie, mancavano del tutto elementi indicativi di una struttura organizzativa, sia pure minimale, quali la disponibilita' di mezzi e strutture, atteso che i luoghi ove era gestito il traffico illecito era l'abitazione dello (OMISSIS) e quella della moglie e le autovetture ed i telefoni cellulari erano beni personali dei singoli imputati; le intercettazioni non comprovavano il ruolo attribuito alla ricorrente, quello di "portavoce" del marito nei rapporti con gli altri soggetti coinvolti nell'attivita' illecita; la Corte di appello si era limitata a ribadire tale ruolo senza confrontarsi con le censure mosse con l'atto di appello in ordine alla inconsistenza di tale ipotesi; in particolare, la sentenza impugnata non si confrontava con la necessita' di provare l'esistenza di una struttura organizzativa stabile e permanente, dotata di mezzi predisposti alla realizzazione del programma, elemento che costituiva il vero elemento di discrimine con l'ipotesi del concorso di piu' persone nel reato; non poteva valere da sola a supportare l'ipotesi associativa l'assistenza legale prestata in occasione degli arresti di (OMISSIS) e (OMISSIS), alla luce dei rapporti di parentela intercorrenti tra gli imputati. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), propongono un unico motivo di ricorso, con il quale deducono violazione dell'articolo 129 c.p.p. e correlato vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello, nel ritenere meritevoli di accoglimento le richieste di concordato all'articolo 599-bis c.p.p., aveva omesso di motivare in ordine alla ritenuta insussistenza delle cause di non punibilita' indicate dall'articolo 129 c.p.p.; esistevano, al contrario, le condizioni per pronunciare sentenza di proscioglimento nei confronti degli imputati per non aver commesso il fatto, non risultando univocamente provata la penale responsabilita' degli stessi in ordine ai fatti contestati in considerazione del contenuto ambiguo e fraintendibile delle conversazioni telefoniche. (OMISSIS) propone un unico motivo di ricorso, con il quale lamenta vizio di motivazione della sentenza di condanna pronunciata a seguito di concordato ex articolo 599-bis c.p.p.. (OMISSIS) propone due motivi di ricorso. Con il primo motivo deduce vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello, nel ritenere meritevole di accoglimento la richiesta di concordato di cui all'articolo 599-bis c.p.p., aveva omesso di motivare sia in ordine al profilo della responsabilita' che in ordine al profilo di congruita' della pena irrogata, apparendo la pena irrogata appariva eccessiva in relazione al contesto illecito e piu' adeguata una pena base fissata in misura vicina al minimo edittale. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione con riferimento al mancato vaglio del processo di formazione della volonta' della parte di accedere al concordato; lamenta che la volonta' della parte di aderire al concordato sarebbe stata viziata dalla necessita' di contenere l'asperita' del trattamento sanzionatorio disposto in primo grado; essa era, quindi, frutto di una coercizione mentale che aveva determinato l'adesione al concordato per il timore di vedersi riconfermata la pena irrogata dal primo giudice. (OMISSIS) propone un unico motivo, con il quale deduce l'erronea qualificazione giuridica del fatto in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73; lamenta che la Corte di appello avrebbe dovuto assolvere il ricorrente dal reato di vendita di sostanza stupefacente perche' difettava la prova della materiale consegna della sostanza stupefacente; i Giudici di appello, invece, si erano limitati a dare conto della non sussistenza dei presupposti per l'applicabilita' dell'articolo 129 c.p.p.. (OMISSIS), propone due motivi di ricorso. Con un primo motivo, con il quale deduce vizio di motivazione in relazione all'identificazione dell'imputato in relazione al reato di cui al capo 72) dell'imputazione. Argomenta che la Corte di appello era incorsa nello stesso errore di fatto contenuto nella sentenza di primo grado, che aveva ritenuto certa l'identificazione del ricorrente nel soggetto che, in data 25.07.2018, si era incontrato con il coimputato (OMISSIS) presso il Centro Commerciale (OMISSIS) per definire le condizioni di un futuro scambio di sostanza stupefacente; come dedotto con i motivi di appello la semplice lettura dell'allegato n. 267 smentiva la presenza del ricorrente all'appuntamento, avendo l'operante riconosciuto con certezza solo uno dei due magrebini presenti e, cioe', (OMISSIS); inoltre, il richiamo effettuato dalla Corte di merito a ripetuti servizi di osservazioni al quale era stato sotto posto il ricorrente era generico. Con un secondo motivo deduce inosservanza ed erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 in relazione all'articolo 1376 c.c.. Espone che in tema di sostanze stupefacenti vige il principio consensualistico, in base al quale integra il reato di cessione di sostanze stupefacenti l'accordo tra piu' soggetti, mentre la traditio resta un post factum non punibile; il ricorrente non era responsabile del reato ascrittogli perche' non era presente alle trattative con il coimputato italiano e nemmeno in auto al momento del fermo dei connazionali operato dalla Polizia; l'intercettazione telefonica 556 del 28/07/2018 analizzata dalla Corte di merito, poi, non era riferibile al ricorrente ma a (OMISSIS) che aveva utilizzato l'utenza e, comunque, aveva un contenuto che dava atto solo di una preoccupazione per la sorte degli amici arrestati. (OMISSIS) propone due motivi di ricorso. Con il primo motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell'associazione criminosa di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Argomenta che con l'atto di appello si censurava la decisione del primo giudice sul punto relativo alla ritenuta sussistenza del sodalizio criminoso, sottolineando, in particolare, che i cinque soggetti, ritenuti partecipi dell'associazione, avessero tra loro stretti rapporti parentali; (OMISSIS) (cosi' come (OMISSIS)) era il nipote di (OMISSIS), ritenuto il promotore del sodalizio, e la sua collaborazione era limitata ad un periodo di due mesi; secondo la giurisprudenza di legittimita' nel caso di sovrapposizione tra struttura familiare e organizzazione criminale e' necessario procedere ad una valutazione particolarmente prudente, poiche' la frequentazione ed i vincoli di solidarieta' che legano componenti dello stesso gruppo familiare non possono essere recepiti come prova dell'affectio societatis ma occorre provare la costituzione di un'altra struttura organizzativa dotata di distinta e autonoma attivita' criminosa; nella specie, mancavano del tutto elementi indicativi di una struttura organizzativa, sia pure minimale, quali la disponibilita' di mezzi e strutture, atteso che i luoghi ove era gestito il traffico illecito era l'abitazione dello (OMISSIS) e quella della moglie e le autovetture ed i telefoni cellulari erano beni personali dei singoli imputati; la sentenza impugnata non si confrontava con la necessita' di provare l'esistenza di una struttura organizzativa stabile e permanente, dotata di mezzi predisposti alla realizzazione del programma, elemento che costituiva il vero elemento di discrimine con l'ipotesi del concorso di piu' persone nel reato; non poteva valere da sola a supportare l'ipotesi associativa l'assistenza legale prestata in occasione degli arresti di (OMISSIS) e (OMISSIS), alla luce dei rapporti di parentela intercorrenti tra gli imputati. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli aumenti di pena stabiliti a titolo di continuazione per i reati satellite del delitto associativo. Argomenta che la Corte territoriale aveva giustificato gli aumenti di pena in questione con motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria limitandosi a richiamare il contesto associativo ed un particolare protagonismo del ricorrente, che in realta' risulta smentito dalla stessa sentenza di appello; inoltre, gli aumenti di pena erano illogici ed irragionevoli se confrontati a quelli disposti per i medesimi capi di imputazione al coimputato (OMISSIS), ritenuto organizzatore del sodalizio. (OMISSIS) propone diciannove motivi di ricorso. Con il primo motivo deduce violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 in relazione al capo 52) della imputazione. Argomenta che la sentenza di appello, confermativa della sentenza di primo grado, risultava viziata dalla violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 nella parte in cui aveva ritenuto sussistente il reato associativo contestato, pur in difetto degli elementi costituitivi della fattispecie criminosa; difettava la prova sia dell'esistenza del sodalizio criminoso che della condotta partecipativa, con ruolo apicale, attribuita al ricorrente, dovendo distinguersi l'occasionale concorso dato per la realizzazione di singoli reati dalla partecipazione punibile ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 2; quanto alla configurabilita' dell'associazione criminosa, non vi era prova, al di la' di ogni ragionevole dubbio, dell'esistenza di una struttura organizzativa che consentisse la realizzazione del programma criminoso, del pactum sceleris, di una apprezzabile continuita' temporale dell'associazione, della sussistenza di ruoli di indispensabile preminenza, di un preciso programma criminoso susseguente al pactum sceleris; in particolare, gli episodi che coinvolgevano di soggetti indicati in imputazione come intranei al sodalizio criminoso riguardavo un lasso temporale di pochi mesi, i mezzi finalizzati alla realizzazione del programma criminoso erano, in realta', beni personali e destinati ad un uso personale, non risultavano provati i canali di fornitura dello stupefacente e difettava una struttura stabile; non vi era prova che i reati fine contestati al ricorrente erano collegati all'associazione e, comunque, non potevano costituire prova dell'esistenza dell'associazione, in quanto erano stati storicamente determinati di volta in vola e non si collocavano nell'ambito di esecuzione di un programma criminoso associativo; difettava un continuativo e permanente accordo fra i soggetti protagonisti della vicenda, il compendio intercettivo non consentiva di evincere la condotta partecipativa contestata al ricorrente, non risultava circostanza dirimente il ravvisato sistema di "mutuo soccorso" che sarebbe intervenuto dopo l'arresto dei coimputati (OMISSIS) ed (OMISSIS), l'operata riqualificazione da parte del primo giudice in termini di favoreggiamento delle condotte di cui agli articoli 40) e 41) collideva con la sussistenza del pactum sceleris; la condotta del ricorrente poteva al piu' qualificarsi come concorso in reati di spaccio, difettando, anche sul piano soggettivo, una societas sceleris. Con il secondo motivo deduce violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 in relazione al capo 52) della imputazione in punto di mancata riqualificazione della condotta apicale in quella di mero partecipe dell'associazione. Argomenta che la sentenza di appello, confermativa della sentenza di primo grado, aveva erroneamente ritenuto che il ricorrente svolgesse il ruolo di promotore ed organizzatore dell'asserito sodalizio criminoso, non emergendo alcuna prova in tal senso dal compendio probatorio, costituito prevalentemente dalle conversazioni intercettate; i Giudici di merito avevano solo genericamente affermato il predetto ruolo, non dimostrato in concreto attraverso specifiche condotte sintomatiche di un potere di direzione e controllo dell'asserito gruppo associativo da parte dell'imputato; nella sentenza impugnata non emergeva prova che il ricorrente avesse personalmente contatti con i fornitori ne' che egli godesse di autonomia decisionale ne' che coordinasse l'azione degli altri coimputati; indimostrata, poi, era la circostanza che il ricorrente avesse mantenuto il ruolo di promotore ed organizzatore anche nel corso della propria carcerazione. Con il terzo motivo deduce violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 in relazione al capo 52) della imputazione in punto di sussistenza della condotta di mero partecipe dell'associazione. Argomenta che la sentenza di appello, confermativa della sentenza di primo grado, aveva erroneamente ritenuto che il ricorrente fosse un partecipe dell'associazione criminosa, difettando sia l'elemento oggettivo che quello soggettivo della cd affectio societatis; in particolare non vi era prova di uno stabile ed organico inserimento nella struttura organizzativa dell'associazione; inoltre, la preesistenza del legame familiare ed amicale escludeva che potesse configurarsi una volontaria adesione ad una societas sceleris; ancora la condotta del ricorrente risultava essere stata una condotta autonoma e sostanzialmente egoistica, volta al perseguimento di obiettivi e vantaggi personali. Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione in relazione al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 contestato al capo 52) dell'imputazione. Argomenta che la motivazione della sentenza impugnata era viziata e carente nella parte in cui si era limitata a richiamare la sentenza di primo grado senza fornire adeguate risposte alle specifiche censure difensive di cui al pag. 10 dell'atto di appello; in particolare, con riferimento al breve lasso temporale in cui l'ipotizzata associazione avrebbe operato, la Corte affermava la non rilevanza di tale circostanza alla luce della circostanza che l'attivita' era stata interrotta per effetto dei provvedimenti repressivi adottati dall'autorita' giudiziaria e non per cause naturali; inoltre tale argomentazione si poneva in contraddizione con il successivo rilievo che l'attivita' delittuosa continuava anche dopo l'arresto dello (OMISSIS), il quale, grazie ai colloqui carcerari con la (OMISSIS), continuava a gestire l'organizzazione; era, poi, illogica e contraddittoria, l'affermazione della Corte territoriale in ordine alla esistenza di rodati meccanismi interni in grado di reperire nuovi canali di approvvigionamento, a fronte del breve lasso temporale della durata dell'associazione. Con il quinto motivo deduce violazione degli articoli 63, 64, 191 e 350 c.p.p. in relazione al capo 20) dell'imputazione. Argomenta che, contrariamente a quanto affermato dai Giudici di merito, erano inutilizzabili ai fini dell'affermazione di responsabilita' per il reato di cui al capo 20) dell'imputazione le dichiarazioni rese dal coimputato (OMISSIS) in data 5.3.2018 presso il Comando Compagnia Carabinieri di Brescia dopo il furto subito presso la propria abitazione il 4.3.2018, in quanto non emergeva la prova che fossero state rese spontaneamente e liberamente ed erano state solo riportate in un'annotazione di servizio non sottoscritta dal dichiarante; inoltre, le dichiarazioni avrebbero dovuto essere rese ed acquisite con le formalita' e le garanzie di cui all'articolo 63 c.p., essendovi in atto plurimi eventi investigativi a carico del dichiarante; tali dichiarazioni, infine, erano rilevanti in quanto le residue risultanze probatorie erano insufficienti a giustificare l'identico convincimento dei giudici di merito, come gia' ritenuto, in sede cautelare, dal Giudice per le indagini preliminari, che aveva ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni rese dal (OMISSIS) e, quindi, escluso la gravita' indiziaria in ordine al reato contestato. Con il sesto motivo deduce violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 in relazione al capo 20) dell'imputazione. Argomenta che la prova della sussistenza del reato di cui al capo 20) si fonda principalmente sulle dichiarazioni inutilizzabili del coimputato (OMISSIS) del 5.3.2018; le ulteriori risultanze probatorie (analisi dei tabulati del traffico telefonico del (OMISSIS) non comprovavano l'effettiva importazione in Italia di sostanza stupefacente, difettando i sequestri ed intercettazioni successive alle ipotizzate importazioni; gli elementi indiziari, di valenza generica, erano stati valutati dai giudici di merito con argomentazioni apodittiche, illogiche, congetturali e prive di riscontro nel complessivo compendio probatorio (modalita' di accompagnamento del trasporto del carico con un'altra auto in funzione di staffetta, esito negativo del controllo del 2.12.2017, timore palesato dal (OMISSIS) alla fidanzata, immediata consegna dell'auto da parte del (OMISSIS) alla (OMISSIS), moglie di (OMISSIS), al momento del rientro in Italia, conversazione ambientale tra (OMISSIS) e (OMISSIS), attivita' di spaccio che sarebbe stata posta in essere dal (OMISSIS) solo il 24.11.2017). Con il settimo motivo deduce violazione dell'articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 in relazione al capo 21) dell'imputazione. Argomenta che l'affermazione di responsabilita' dello (OMISSIS) per il contestato acquisto di sostanza stupefacente da tale (OMISSIS) era stata fondata su un manoscritto con contabilita' rinvenuto presso l'abitazione dello (OMISSIS) e sul contenuto di una conversazione dello (OMISSIS) ad un suo connazionale; la valutazione dei predetti elementi da parte dei Giudici di merito era stata basata su argomentazioni illogiche e congetturali, senza individuazione del quantitativo della sostanza stupefacente oggetto della presunta cessione. Con l'ottavo motivo deduce violazione dell'articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 in relazione al capo 23) dell'imputazione. Argomenta che l'affermazione di responsabilita' del ricorrente per la contestata importazione dall'Olanda di 14 Kg di cocaina era stata basata su elementi indiziari costituiti dai tabulati telefonici dell'utenza tedesca in uso al corriere rimasto ignoto, che davano conto di alcuni viaggi all'estero dello stesso corriere e di (OMISSIS) verso l'Italia nel periodo dal 10 gennaio al 28 febbraio 2018; i Giudici di merito, con argomentazioni apodittiche e congetturali avevano tratto da tale elementi che le modalita' di viaggio dei due soggetti rientravano nell'abituale modus operandi riscontrato nel corso dell'indagine; non risultava adempiuto l'onere di motivazione rafforzato che sussiste nelle ipotesi in cui manchi il sequestro della sostanza stupefacente; difettava, inoltre, ogni riscontro in ordine alla ipotizzata attivita' di smercio della sostanza stupefacente. Con il nono motivo deduce violazione dell'articolo 133 c.p. in relazione ai capi 25, 26, e 27 dell'imputazione. Argomenta che la pena irrogata dai Giudici di merito a titolo di continuazione per i reati in oggetto, pari ad anni uno e mesi sei di reclusione, era eccessiva e non giustificata in maniera razionale e logica, in quanto il rilievo del dato quantitativo dello stupefacente si basava solo sulla comparazione di fotogrammi tratti dalle riprese video in via (OMISSIS). Con il decimo motivo deduce violazione dell'articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 in relazione al capo 30) dell'imputazione. Argomenta che l'affermazione di responsabilita' del ricorrente per la contestata cessione di stupefacente era stata basata principalmente sulle conversazioni ambientali intercettate, dal cui contenuto non si evinceva, pero', la prova del perfezionamento della cessione ne' dell'oggetto della stessa; i Giudici di merito aveva espresso in merito argomentazioni contraddittorie e congetturali non risultava adempiuto l'onere di motivazione rafforzato che sussiste nelle ipotesi in cui manchi il sequestro della sostanza stupefacente. Con l'undicesimo motivo deduce violazione degli articoli 81 cpv. e 133 c.p. in relazione al capo 32) dell'imputazione. Argomenta che la pena irrogata dai Giudici di merito a titolo di continuazione per il reato in oggetto, pari a mesi quattro e giorni quindici di reclusione, era eccessiva e non giustificata in maniera razionale e logica in relazione al quantitativo della sostanza stupefacente, in quanto basata su un'interpretazione non condivisibile dell'intercettazione ambientale n. 1125 e non correlata alla effettiva gravita' del fatto. Con il dodicesimo motivo deduce violazione degli articoli 81 cpv. e 133 c.p. in relazione al capo 41) dell'imputazione. Argomenta che la pena irrogata dai Giudici di merito a titolo di continuazione per il reato in oggetto, pari ad anni uno e mesi uno di reclusione, era eccessiva e dovrebbe essere diminuita in ragione della tipologia della sostanza stupefacente (marijuana) e della scarsa qualita' della stessa; inoltre, essa non era giustificata in maniera razionale e logica, in quanto, in maniera generica ed apodittica, si argomentava che il quantitativo della sostanza stupefacente comprovava l'intraneita' del gruppo criminale nell'ambiente del traffico di sostanze stupefacenti anche di tipo leggero. Con il tredicesimo motivo deduce vizio di motivazione in relazione al capo 22) dell'imputazione con riferimento al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione ex articolo 81 c.p., comma 2. Argomenta che la Corte territoriale aveva escluso il requisito dell'unicita' del disegno criminoso con riferimento al reato di furto aggravato contestato al capo 22) dell'imputazione, pur riconoscendo che tale reato si inquadrava nel tentativo di recuperare un credito per le pregresse cessioni di cocaina, cosi' riconoscendo la medesima natura degli altri reati contestati; inoltre, emergeva anche il contenuto intervallo temporale tra il reato in oggetto e le altre fattispecie criminose contestate. Con il quattordicesimo motivo deduce violazione dell'articolo 133 c.p. in relazione al capo 22) dell'imputazione. Argomenta che la Corte territoriale, nel determinare la pena per il reato di cui al capo 22) dell'imputazione, aveva giustificato il discostamento dal minimo edittale con argomentazioni illogiche, limitandosi a richiamare la gravita' dei fatti ed il contesto criminale nel quale si inquadrava la vicenda. Con il quindicesimo motivo deduce vizio di motivazione in relazione al capo 22) dell'imputazione, lamentando la mancata applicazione di una pena base coincidente con il minimo edittale ed evidenziando che, nonostante specifica richiesta difensiva contenuta nell'atto di appello, la Corte di appello non vagliava tale circostanza. Con il sedicesimo motivo deduce violazione dell'articolo 99 c.p., lamentando che i Giudici di merito avevano ritenuto sussistente la contestata recidiva, limitandosi a determinare un automatico aumento del trattamento sanzionatorio, senza verificare in concreto se la reiterazione del reato esprimeva o meno una criminosita' piu' accentuata. Con il diciassettesimo motivo di ricorso deduce violazione degli articoli 78, 81, 133 c.p. nonche' degli articoli 442 e 671 c.p.p., in relazione al riconoscimento della continuazione con i fatti di cui alla sentenza della Corte di appello di Brescia del 2.3.21 ed i fatti per cui e' processo. Lamenta l'illegalita' della pena stabilita, chiedendo che, in base al criterio moderatore di cui all'articolo 78 c.p., venga rideterminata nella pena finale di anni venti di reclusione. Con il diciottesimo motivo lamenta l'illogicita' della motivazione con riferimento alla declaratoria di professionalita' nel reato e all'applicazione della misura di sicurezza, lamentando che i Giudici di merito avevano omesso l'accertamento in concreto della pericolosita' sociale del condannato, essendosi limitati a richiamare la pericolosita' dell'imputato in riferimento alle contestazioni alle stesse ascritte, con particolare riferimento al ruolo associativo contestato. Con il diciannovesimo motivo deduce vizio di motivazione con riferimento all'applicazione della sanzione prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 86, lamentando che la Corte territoriale, con motivazione carente, aveva giustificato l'applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione dal territorio dello Stato, basando la valutazione di pericolosita' sociale del prevenuto sulla gravita' dei fatti e sul ruolo attivo svolto nelle attivita' di mutuo soccorso finalizzate a garantire la sopravvivenza della presunta associazione; la Corte di merito, inoltre, aveva valutato la pericolosita' sociale del prevenuto senza procedere ad un esame comparativo della condizione familiare dell'imputato. Con memoria trasmessa il 3.4.2023 il difensore di (OMISSIS) ha proposto motivi nuovi, approfondendo le ragioni poste a fondamento dei motivi secondo e sedicesimo ed insistendo per l'annullamento della sentenza impugnata. (OMISSIS) propone dodici motivi di ricorso. Con il primo motivo deduce violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 in relazione al capo 52) della imputazione. Argomenta che la sentenza di appello, confermativa della sentenza di primo grado, risultava viziata dalla violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 nella parte in cui aveva ritenuto sussistente il reato associativo contestato, pur in difetto degli elementi costituitivi della fattispecie criminosa; difettava la prova sia dell'esistenza del sodalizio criminoso che della condotta partecipativa attribuita al ricorrente, soggetto autonomo nell'approvvigionamento dello stupefacente, dovendo distinguersi l'occasionale concorso dato per la realizzazione di singoli reati dalla partecipazione punibile ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 2; quanto alla configurabilita' dell'associazione criminosa, non vi era prova, al di la' di ogni ragionevole dubbio, dell'esistenza di una struttura organizzativa che consentisse la realizzazione del programma criminoso, del pactum sceleris, di una apprezzabile continuita' temporale dell'associazione, della sussistenza di ruoli di indispensabile preminenza, di un preciso programma criminoso susseguente al pactum sceleris; in particolare, gli episodi che coinvolgevano di soggetti indicati in imputazione come intranei al sodalizio criminoso riguardavo un lasso temporale di breve durata (quattro mesi, nel periodo febbraio 2018-maggio 2018), i mezzi finalizzati alla realizzazione del programma criminoso erano, in realta', beni personali e destinati ad un uso personale, non risultavano provati i canali di fornitura dello stupefacente e difettava una struttura stabile; non vi era prova che i reati fine contestati al ricorrente erano collegati all'associazione e, comunque, non potevano costituire prova dell'esistenza dell'associazione; difettava un continuativo e permanente accordo fra i soggetti protagonisti della vicenda; il compendio intercettivo non consentiva di evincere la condotta partecipativa contestata al ricorrente; non risultava circostanza dirimente il ravvisato sistema di "mutuo soccorso" che sarebbe intervenuto dopo l'arresto dei coimputati (OMISSIS) ed (OMISSIS); l'operata riqualificazione da parte del primo giudice in termini di favoreggiamento delle condotte di cui agli articoli 40) e 41) collideva con la sussistenza del pactum sceleris. Con il secondo motivo deduce violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 in relazione al capo 52) della imputazione in punto di sussistenza della condotta di mero partecipe dell'associazione. Argomenta che la sentenza di appello, confermativa della sentenza di primo grado, aveva erroneamente ritenuto che il ricorrente fosse un partecipe dell'associazione criminosa, difettando sia l'elemento oggettivo che quello soggettivo della cd affectio societatis; in particolare non vi era prova di uno stabile ed organico inserimento nella struttura organizzativa dell'associazione, essendo le intercettazioni, valorizzate a tal fine dalla Corte territoriale, brevi ed incomprensibili; inoltre, la preesistenza del legame familiare ed amicale escludeva che potesse configurarsi una volontaria adesione ad una societas sceleris; ancora la condotta del ricorrente risultava essere stata una condotta autonoma e sostanzialmente egoistica, volta al perseguimento di obiettivi e vantaggi personali; l'essersi attivato, poi, per assicurare ai familiari assistenza legale e per reperire un'abitazione finalizzata alla sostituzione della misura cautelare imposta a due dei coimputati era spiegabile nell'ottica del legame familiare ed amicale preesistente; la qualificazione ai sensi dell'articolo 378 c.p. delle condotte contestate ai capi 40) e 41) operata dal primo giudice, del tutto condivisibile, escludeva la sussistenza del pactum sceleris. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in relazione al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 contestato al capo 52) dell'imputazione. Argomenta che la motivazione della sentenza impugnata era viziata e carente nella parte in cui si era limitata a richiamare la sentenza di primo grado senza fornire adeguate risposte alle specifiche censure difensive di cui al pag. 10 dell'atto di appello; in particolare, con riferimento al breve lasso temporale in cui l'ipotizzata associazione avrebbe operato, la Corte affermava la non rilevanza di tale circostanza alla luce della circostanza che l'attivita' era stata interrotta per effetto dei provvedimenti repressivi adottati dall'autorita' giudiziaria e non per cause naturali; inoltre tale argomentazione si poneva in contraddizione con il successivo rilievo che l'attivita' delittuosa continuava anche dopo l'arresto dello (OMISSIS), il quale, grazie ai colloqui carcerari con la (OMISSIS), continuava a gestire l'organizzazione; era, poi, illogica e contraddittoria, l'affermazione della Corte territoriale in ordine alla esistenza di rodati meccanismi interni in grado di reperire nuovi canali di approvvigionamento, a fronte del breve lasso temporale della durata dell'associazione. Con il quarto motivo deduce violazione della norma di cui all'articolo 378 c.p. in relazione ai capi 40) e 41) dell'imputazione. Argomenta che il Tribunale aveva riqualificato i fatti contestati ai capi 40) e 41) dell'imputazione nel delitto di cui all'articolo 378 c.p. e che la Corte di appello aveva, invece, confermato l'originaria imputazione per il delitto di cui all'articolo 110 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73; la valutazione del primo giudice era corretta in quanto emergeva dalle risultanze istruttorie che il ricorrente era stato mosso dall'intento di disfarsi della droga al fine di eludere le investigazioni dell'autorita' nei confronti del familiare (OMISSIS); tale corretta valutazione renderebbe insussistente il pactum sceleris e la condotta partecipativa attribuita al ricorrente. Con il quinto motivo deduce violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, in relazione al capo 40) dell'imputazione. Argomenta che la Corte di appello aveva ritenuto sussistente la condotta originariamente contestata con argomentazioni illogiche e congetturali, affermando che il ricorrente aveva la diretta ed immediata disponibilita' della sostanza stupefacente, difettando il sequestro della sostanza stupefacente. Con il sesto motivo deduce vizio di motivazione in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, con riferimento al capo 40) dell'imputazione. Argomenta che la Corte di appello aveva ritenuto sussistente la condotta originariamente contestata con argomentazioni contraddittoria, in quanto l'affermazione che il ricorrente aveva la diretta ed immediata disponibilita' della sostanza stupefacente si poneva in contrasto con la circostanza che il pregresso acquisto era rimasto indimostrato e che dello stupefacente erano rimasti solo gli involucri vuoti. Con il settimo motivo deduce violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, in relazione al capo 43). Argomenta che, come gia' dedotto con il relativo motivo di appello, non risultava provato il perfezionamento della fornitura della sostanza stupefacente, in quanto l'affermazione di responsabilita' si basava unicamente sulle intercettazioni ambientali e non vi era prova che il viaggio del ricorrente avesse avuto ad oggetto un quantitativo di droga, non essendo stato effettuato alcun sequestro e non essendo stato identificato l'acquirente ed i trasferimenti di denaro. Con l'ottavo motivo deduce violazione dell'articolo 133 c.p. con riferimento al capo 41) dell'imputazione. Il ricorrente lamenta l'eccessivita' dell'aumento di pena disposto a titolo di continuazione in relazione al reato di cui al capo 41) dell'imputazione, aumento che meriterebbe di essere diminuito in considerazione della tipologia della sostanza stupefacente (marijuana) e della scarsa qualita' della stessa, emergente dalle conversazioni intercettate; la motivazione espressa dalla Corte di merita, che giustificava l'entita' dell'aumento in ragione del dato quantitativo dello stupefacente era lacunosa, generica ed apodittica. Con il nono motivo deduce violazione dell'articolo 133 c.p. con riferimento ai capi 42) e 51) dell'imputazione. Il ricorrente lamenta l'eccessivita' dell'aumento di pena disposto a titolo di continuazione in relazione ai reati in oggetto, aumento, pari a mesi sei di reclusione per ciascun reato, che andrebbe diminuito, non essendo emersa prova - come genericamente affermato dalla Corte di merito - che i fatti fossero maturati in un contesto finalizzato a garantire la sopravvivenza della presunta associazione. Con il decimo motivo deduce vizio di motivazione in relazione al capo 22) dell'imputazione con riferimento al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione ex articolo 81 c.p., comma 2. Argomenta che la Corte territoriale aveva escluso il requisito dell'unicita' del disegno criminoso con riferimento al reato di furto aggravato contestato al capo 22) dell'imputazione, pur riconoscendo che tale reato si inquadrava nel tentativo di recuperare un credito per le pregresse cessioni di cocaina, cosi' riconoscendo la medesima natura degli altri reati contestati; inoltre, emergeva anche il contenuto intervallo temporale tra il reato in oggetto e le altre fattispecie criminose contestate. Con l'undicesimo motivo deduce violazione dell'articolo 133 c.p. con riferimento al capo 22) dell'imputazione. Argomenta che la Corte territoriale, nel determinare la pena per il reato di cui al capo 22) dell'imputazione, aveva giustificato il discostamento dal minimo edittale con argomentazioni illogiche, limitandosi a richiamare la gravita' dei fatti ed il contesto criminale nel quale si inquadrava la vicenda. Con il dodicesimo motivo deduce vizio di motivazione con riferimento all'applicazione della sanzione prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 86, lamentando che la Corte territoriale, con motivazione carente, aveva giustificato l'applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione dal territorio dello Stato, basando la valutazione di pericolosita' sociale del prevenuto sulla gravita' dei fatti e sul ruolo attivo svolto nelle attivita' di mutuo soccorso finalizzate a garantire la sopravvivenza della presunta associazione; la Corte di merito, inoltre, aveva valutato la pericolosita' sociale del prevenuto senza procedere ad un esame comparativo della condizione familiare dell'imputato. Con memoria trasmessa il 3.4.2023 il difensore di (OMISSIS) ha proposto motivi nuovi, approfondendo le ragioni poste a fondamento del secondo motivo di ricorso ed insistendo per l'annullamento della sentenza impugnata. (OMISSIS) propone due motivi di ricorso. Con il primo motivo deduce violazione dell'articolo 191 c.p.p.. Argomenta che, contrariamente a quanto affermato dai Giudici di merito, erano inutilizzabili ai fini dell'affermazione di responsabilita' per il reato di cui al capo 20) dell'imputazione le dichiarazioni rese dal coimputato (OMISSIS) in data 5.3.2018 presso il Comando Compagnia Carabinieri di Brescia dopo il furto subito presso la propria abitazione il 4.3.2018, in quanto non emergeva la prova che fossero state rese spontaneamente e liberamente ed erano state solo riportate in un'annotazione di servizio non sottoscritta dal dichiarante; inoltre, le dichiarazioni avrebbero dovuto essere rese ed acquisite con le formalita' e le garanzie di cui all'articolo 63 c.p.p.; la non utilizzabilita' delle dichiarazioni in questione costituiva patrimonio del presente procedimento, in quanto, in sede cautelare, il Giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni rese dal (OMISSIS), escludendo la gravita' indiziaria per l'applicazione di custodia cautelare in carcere. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilita', lamentando che la Corte di appello, con argomentazioni illogiche, aveva fondato la decisione basandosi sulle dichiarazioni inutilizzabili di (OMISSIS) e su elementi meramente indiziari, non decisivi per provare la colpevolezza del ricorrente. (OMISSIS) propone sette motivi di ricorso. Con il primo motivo deduce violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e vizio di motivazione in relazione al capo 54) dell'imputazione. Argomenta che la cessione di mezzo chilogrammo di sostanza stupefacente del tipo cocaina in favore di (OMISSIS) doveva ritenersi quale post factum non punibile rispetto alla piu' grave condotta di acquisto a fini di spaccio, contestata al capo 53) dell'imputazione; erroneamente la Corte di appello, confermando la decisione del primo giudice, aveva ritenuto, con argomentazioni inadeguate, che la divergenza del dato quantitativo tra le due condotte ed il lasso temporale intercorso tra le stesse, evidenziava la pluralita' dei reati; in realta' il lasso temporale era breve, quattro giorni, ed il dato quantitativo non era rilevante in quanto era possibile- e fisiologico - che lo stupefacente venga reimmesso sul mercato in modo frazionato. Con il secondo motivo deduce violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e vizio di motivazione in relazione al capo 57) dell'imputazione. Argomenta che la cessione di un chilogrammo di sostanza stupefacente del tipo cocaina in favore di (OMISSIS) doveva ritenersi quale post factum non punibile rispetto alla piu' grave condotta di acquisto a fini di spaccio, contestata al capo 58) dell'imputazione; il lasso temporale tra le due condotte era breve, due giorni, ed il dato quantitativo della sostanza stupefacente era lo stesso; la Corte di appello aveva ritenuto la sussistenza di una pluralita' di reati, senza chiarire perche' un intervallo di pochi giorni determinasse una soluzione di continuita' tra le due condotte criminose. Con il terzo motivo deduce violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e vizio di motivazione in relazione al capo 60) dell'imputazione. Argomenta che la cessione di mezzo chilogrammo di sostanza stupefacente del tipo cocaina del 30.05.2018 doveva ritenersi quale post factum non punibile rispetto alla piu' grave condotta di acquisto a fini di spaccio, contestata al capo 53) dell'imputazione; il lasso temporale tra le due condotte pur non era breve, quindici giorni era spiegabile in considerazione dei tempi tecnici connaturati alla natura dell'attivita' illecita; la Corte di appello aveva ritenuto la sussistenza di una pluralita' di reati, limitandosi a richiamare la differenza del dato quantitativo e il lasso temporale tra le due condotte criminose. Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione in relazione ai fatti di cui al capo 62) dell'imputazione. Argomenta che la Corte territoriale aveva confermato l'affermazione di responsabilita' per l'acquisto e detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente del tipo cocaina da parte del ricorrente in concorso con (OMISSIS) richiamando conversazioni telefoniche intercettate in data 5.6.2018 precedenti al fatto contestato come posto in essere in data 9.6.2018; inoltre, in maniera congetturale i Giudici di appello avevano evidenziato che il venditore, (OMISSIS), era persona inserita nel gruppo di cittadini stranieri che riforniva di sostanze stupefacenti il ricorrente; il Tribunale del riesame aveva escluso la sussistenza della gravita' indiziaria rimarcando l'assenza di conversazioni ambientali coeve che confermassero il contestato acquisto di stupefacente. Con il quinto motivo deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'articolo 384 c.p. con riferimento ai fatti di favoreggiamento personale di cui al capo 68) dell'imputazione. Argomenta che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto non applicabile l'esimente di cui all'articolo 384 c.p., in quanto tale esimente trova applicazione anche nel caso il cui l'agente, come nella specie avvenuto, compie un favoreggiamento personale a favore di un terzo per tutelare la propria liberta' intesa come esigenza di evitare un'accusa penale, cioe' un procedimento penale o soltanto delle indagini penali nei propri confronti. Con il sesto motivo deduce vizio di motivazione in relazione ai fatti di cui al capo 76) dell'imputazione. Argomenta che la Corte territoriale aveva ritenuto dimostrato che la spedizione punitiva oggetto del capo 76) dell'imputazione era stata organizzata dal ricorrente, senza pero', confrontarsi ne' con gli atti di indagine che smentivano la ricostruzione operata nella sentenza di primo grado ne' con l'ordinanza genetica della misura cautelare che aveva ritenuto la telefonata del (OMISSIS) al (OMISSIS) del 26 giugno era elemento insufficiente a sostenere la contestazione; la Corte territoriale, inoltre, aveva richiamato le dichiarazioni di (OMISSIS), ritenendole indispensabili per l'affermazione di penale responsabilita' del ricorrente senza, pero', confrontarsi con gli atti di indagine e le valutazioni del giudice cautelare. Con il settimo motivo deduce vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento della continuazione tra il reato di favoreggiamento personale di cui al capo 68) dell'imputazione, i reati di lesioni personali e violenza privata di cui al capo 76) dell'imputazione e i reati di cui agli altri reati contestati. Argomenta che la Corte territoriale aveva escluso il vincolo della continuazione tra i reati in questione con motivazione carente e parziale ed in violazione del principio di diritto secondo cui la continuazione presuppone l'anticipata e unitaria ideazione di piu' violazioni della legge penale, presente nella mente dell'agente almeno a grandi linee; tale unitaria ideazione deve essere ricavata da indici esteriori significativi (omogeneita' delle condotte, il bene giuridico oggetto, il contenuto intervallo temporale, la sistematicita', le abitudini programmate di vita la presenza di compartecipi); espone, quindi, che nel momento in cui si organizza un'attivita' di narcotraffico e' verosimile programmare, seppure in maniera generica, le ulteriori condotte correlate e necessarie per svolgere il commercio illecito, in particolare quelle per garantire l'impunita', la prosecuzione dell'approvvigionamento di sostanza ed evitare che terzi possano intralciare la stessa attivita'. (OMISSIS) propone undici motivi di ricorso. Con il primo motivo deduce error in procedendo in jure per vizio di travisamento per omissione di una risultanza probatoria. Argomenta che, contrariamente a quanto affermato dai Giudici di merito, erano inutilizzabili ai fini dell'affermazione di responsabilita' per il reato di cui al capo 20) dell'imputazione le dichiarazioni rese da (OMISSIS) in data 5.3.2018 presso il Comando Compagnia Carabinieri di Brescia dopo il furto subito presso la propria abitazione il 4.3.2018, in quanto riportate in un'annotazione di servizio non sottoscritta dal dichiarante, in violazione del disposto articolo 357 c.p.p., comma 2, lettera b). Con il secondo motivo deduce error in procedendo in jure per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilita' delle fonti probatorie di accusa ex articolo 191 c.p.p., lamentando che le dichiarazioni rese da (OMISSIS) in data 5.3.2018 presso il Comando Compagnia Carabinieri di Brescia dopo il furto subito presso la propria abitazione il 4.3.2018, erano inutilizzabili perche' riportate in un'annotazione di servizio non sottoscritta dal dichiarante, come da condivisibile orientamento di legittimita' che la Corte territoriale aveva disatteso; si osserva che in base al disposto dell'articolo 357 c.p.p., comma 2, le dichiarazioni del (OMISSIS) avrebbero dovuto essere documentate mediante "verbale" per la tutela dei diritti fondamentali dell'indagato. Con il terzo motivo deduce error in procedendo in jure per inosservanza dell'articolo 191 c.p.p., comma 1. Argomenta che, contrariamente a quanto affermato dai Giudici di merito, erano inutilizzabili ai fini dell'affermazione di responsabilita' per il reato di cui al capo 20) dell'imputazione le dichiarazioni rese dal coimputato (OMISSIS) in data 5.3.2018 presso il Comando Compagnia Carabinieri di Brescia dopo il furto subito presso la propria abitazione il 4.3.2018, in quanto esse avrebbero dovuto essere rese ed acquisite con le formalita' e le garanzie di cui agli articoli 63 e 64 c.p.p.. Con il quarto motivo deduce error in procedendo in jure per inosservanza dell'articolo 191 c.p.p., comma 1. Argomenta che, contrariamente a quanto affermato dai Giudici di merito, erano inutilizzabili ai fini dell'affermazione di responsabilita' per il reato di cui al capo 20) dell'imputazione le dichiarazioni rese da (OMISSIS) in data 5.3.2018 presso il Comando Compagnia Carabinieri di Brescia dopo il furto subito presso la propria abitazione il 4.3.2018, in quanto il contributo informativo fornito dal (OMISSIS) non era indubbiamente apporto libero e spontaneo in quanto il predetto si era recato presso la Caserma dei Carabinieri non di sua iniziativa ma determinato ed indotto dal padre; dalla annotazione della Polizia Giudiziaria emergeva che le dichiarazioni e le informazioni rese da (OMISSIS) erano state sollecitate, e meglio stimolate ed indotte dalla volonta' paterna e, quindi, la narrazione era frutto del condizionamento paterno. Con il quinto motivo deduce error in procedendo in jure per inosservanza dell'articolo 191 c.p.p., comma 1. Argomenta che, contrariamente a quanto affermato dai Giudici di merito, erano inutilizzabili ai fini dell'affermazione di responsabilita' per il reato di cui al capo 20) dell'imputazione le dichiarazioni rese dal coimputato (OMISSIS) in data 5.3.2018 presso il Comando Compagnia Carabinieri di Brescia dopo il furto subito presso la propria abitazione il 4.3.2018, in quanto esse avrebbero dovuto essere rese ed acquisite con le formalita' e le garanzie di cui agli articoli 63 e 64 c.p.p., perche' contenenti indizi autoincriminanti; pertanto, erano stati violati il principio del nemo tenetur se detegere, il diritto a non collaborare con l'autorita' procedente, il diritto di difesa giudiziaria a mezzo di difensore tecnico. Con il sesto motivo deduce vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilita' per il reato di cui al capo 20) dell'imputazione - importazione di 8 Kg di cocaina dall'Olanda -, lamentando che la Corte territoriale aveva ritenuto la colpevolezza del ricorrente basandosi non su prove storiche dirette ma sulle dichiarazioni inutilizzabili del (OMISSIS) e su indicia leviora, labili ed indeterminati, utilizzati come riscontro alle dichiarazioni del (OMISSIS). Con il settimo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilita' per il reato di cui al capo 20) dell'imputazione - importazione di 8 Kg di cocaina dall'Olanda -, lamentando che la Corte territoriale aveva ritenuto la colpevolezza del ricorrente sulla base di una prova logica fondata sul semplice sospetto di reato ed ancorata a generiche congetture. Con l'ottavo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilita' per il reato di cui al capo 16) dell'imputazione, lamentando che la Corte territoriale aveva ritenuto la colpevolezza del ricorrente, in difetto di una prova storica diretta, ma sulla base di brevi ed irrilevanti messaggi scambiati tra i due coimputati e su una semplice frase "vecio fai mezza pensione per domani", interpretata in maniera strumentale e capziosa dai Giudici di merito. Con il nono motivo deduce vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilita' per il reato di cui al capo 16) dell'imputazione, lamentando che la Corte territoriale aveva basato l'affermazione di responsabilita' su indicia laeviora emersi dalle intercettazioni telefoniche e dalle chat non suffragati da riscontri esterni oggettivi; in caso di "droga parlata", come nella specie, difettando il sequestro della sostanza stupefacente la prova della colpevolezza non poteva desumersi dalle mere congetture elaborate dagli inquirenti. Con il decimo motivo deduce violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, in relazione al capo 18) dell'imputazione. Argomenta che non poteva ritenersi configurata la contestata cessione di sostanza stupefacente, in quanto non era stata con certezza acclarata la tipologia della sostanza stupefacente, il dato ponderale della stessa e non era stato operato alcun sequestro; agli atti processuali era presente solo una conversazione telefonica intercettata e la valutazione di colpevolezza era stata basata su una frase estrapolata dalla conversazione telefonica. Con l'undicesimo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilita' in relazione al reato di cui al capo 16)- rectius capo 18) - dell'imputazione, argomentando che, in presenza di una prova indiziaria aporetica ed insufficiente, i Giudici di merito avrebbero dovuto assolvere l'imputato perche' il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto e non riqualificarlo ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5; la sentenza impugnata era, dunque, viziata sul punto per violazione dell'articolo 530 c.p.p., comma 2. 3. Gli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno chiesto, a norma del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, conv. in L. n. 176 del 2020, la trattazione orale del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Vanno, in primo luogo, precisate le ragioni per le quali sono state disattese le comunicazioni di adesione alla astensione dalle udienze proclamata in data 27.3.2023 dall'Unione della Camere Penali Italiane per le giornate del 19,20,21 aprile 2023, trasmesse dall'avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), e dall'avv. (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)). Va rimarcato che il presente procedimento si caratterizza per la presenza di piu' soggetti sottoposti a misura custodiate (tra i quali anche (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), difesi dai predetti avvocati). Vanno, pertanto, richiamati i principi fissati dalla Corte Costituzionale con la nota pronunzia n. 180 del 10-27 luglio 2018, ha dichiarato l'incostituzionalita' della L. 13 giugno 1990, n. 146, articolo 2-bis (relativa all'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali), nella parte in cui consente che il codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, nel regolare l'astensione nei procedimenti e processi in relazione ai quali l'imputato si trovi in stato di custodia cautelare, interferisca con la disciplina della liberta' personale dell'imputato. Dal tenore complessivo della motivazione della sentenza emerge come la dichiarazione di incostituzionalita' faccia, comunque, venire meno il diritto del difensore di astenersi dall'attivita' processuale quando il suo assistito si trovi in stato di custodia cautelare. Sebbene la pronuncia incida espressamente sulla facolta' dell'imputato di prestare acquiescenza alla volonta' del difensore di esercitare il suo diritto di astensione, onde evitare che tale "assenso" interferisca con la disciplina della sua liberta' personale, l'effetto concreto di questa decisione e' nel senso che il processo non possa subire sospensioni o differimenti in conseguenza della astensione del difensore. Come si legge nella sentenza la tutela della liberta' personale, che si realizza attraverso i limiti massimi di custodia cautelare, che l'articolo 13 Cost., comma 5), demanda alla legge di stabilire, e' "un valore unitario e indivisibile, che non puo' subire deroghe o eccezioni riferite a particolari e contingenti vicende processuali" (Corte Cost., sent. n. 299 del 2005). E' chiaro che l'astensione dalle udienze dei difensori di imputati in stato di custodia cautelare finisce inevitabilmente per interferire con la disciplina della durata massima della custodia stessa presidiata da riserva di legge. In definitiva, alla luce di questi principi, si puo', quindi, affermare che l'astensione dalle udienze proclamata dalle associazioni di categoria, che costituisce un diritto costituzionale (articolo 18 Cost.) del difensore che trova la sua base giuridica non nel codice di rito ma in una legge speciale (combinato disposto della L. n. 146 del 1990 come modificata dalla L. n. 83 del 2000 e del codice di autoregolamentazione), non puo' rilevare nei processi con imputati sottoposti a custodia cautelare, onde evitare un vulnus alla liberta' personale dell'imputato ossia al diritto fondamentale espressamente definito inviolabile dall'articolo 13 Cost., comma 1. Ulteriore corollario che ne discende e' che nell'ipotesi di processo con piu' imputati, solo alcuni dei quali in custodia cautelare, con posizioni processuali tra loro connesse e non separabili - come nella specie -, anche i difensori degli imputati liberi non potranno astenersi dall'udienza (cfr. Sez. 2, n. 23890 del 01/04/2021, Rv. 281463 - 01). 2. Vanno, poi, previamente esaminati i ricorsi proposti da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Nei confronti dei predetti ricorrenti la Corte di appello di Brescia ha emesso sentenza ex articolo 599-bis c.p.p., rideterminando la pena per i reati contestati, previa rinuncia concordata ai motivi di appello relativi all'affermazione di responsabilita' (vedi pag. 233, 234, 235, 236 e 237 della sentenza impugnata). 2.1. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) propongono doglianze afferenti all'affermazione di responsabilita', alla qualificazione giuridica ovvero alla mancata pronuncia di sentenza di proscioglimento nei loro confronti per non aver commesso il fatto ex articolo 129 c.p.p.. Le doglianze dedotte sono inammissibili perche' relative a motivi oggetto di rinuncia in sede di giudizio di appello. Trovano, infatti, applicazione i seguenti principi di diritto: e' inammissibile il ricorso per cassazione relativo a questioni, anche rilevabili d'ufficio, alle quali l'interessato abbia rinunciato in funzione dell'accordo sulla pena in appello, in quanto il potere dispositivo riconosciuto alla parte dal nuovo articolo 599-bis c.p.p., introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado ai motivi non oggetto di rinuncia, ma ha effetti preclusivi sull'intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimita', analogamente a quanto avviene nella rinuncia all'impugnazione (Sez. 4, n. 53565 del 27/09/2017, Ferro, Rv. 271258; Sez. 5, n. 29243, del 04/06/2018, Rv.273194 - 01; Sez.5, n. 46850 del 11/11/2022, Rv. 283878 - 01); le questioni attinenti alla qualificazione giuridica dei fatti, attengono chiaramente al profilo della responsabilita', con la conseguenza che, in caso di rinuncia dell'imputato ai motivi di appello relativi all'affermazione della responsabilita' penale, la relativa questione non puo' essere oggetto di censura in sede di legittimita' ne' di rilievo d'ufficio (cfr. Sez. 2, n. 47698 del 18/09/2019, Rv. 278006 - 01); in tema di "patteggiamento in appello" come reintrodotto ad opera della L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, comma 56, il giudice di secondo grado, nell'accogliere la richiesta di pena concordata, non deve motivare sul mancato proscioglimento dell'imputato per una delle cause previste dall'articolo 129 c.p.p., ne' sull'insussistenza di cause di nullita' assoluta o di inutilizzabilita' delle prove, in quanto, in ragione dell'effetto devolutivo proprio dell'impugnazione, una volta che l'imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice e' limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 13/01/2020, Rv. 278170 - 01; Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, Rv. 276102 - 01; Sez. 4, n. 52803 del 14/09/2018, Rv. 274522 - 01; Sez. 5, n. 15505 del 19/03/2018, Rv. 272853 - 01), con la precisazione che e' consentito proporre ricorso per cassazione con il quale si deduca l'estinzione per prescrizione del reato, maturata anteriormente la pronuncia di secondo grado - ipotesi che qui non ricorre -, come affermato dalla recente sentenza delle Sezioni Unite n. 19415/20203, in quanto a proposizione dell'accordo non implica di per se' rinuncia alla prescrizione, causa estintiva alla quale consegue l'obbligo di immediata declaratoria previsto dall'articolo 129 c.p.p., comma 1. 2.2. Del pari inammissibile e' l'ulteriore doglianza proposta da (OMISSIS) con il primo motivo di ricorso con il quale si contesta la congruita' della pena concordata perche' eccessiva. Va, infatti, richiamato il principio di diritto, secondo cui, in tema di "patteggiamento in appello" ex articolo 599-bis c.p.p., introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, comma 56, e' inammissibile il ricorso per cassazione proposto in relazione alla misura della pena concordata, atteso che il negozio processuale liberamente stipulato dalle parti, una volta consacrato nella decisione del giudice, non puo' essere unilateralmente modificato, salva l'ipotesi di illegalita' della pena concordata - ipotesi che qui non ricorre (Sez. 5, n. 7333 del 13/11/2018, dep. 18/02/2019, Rv. 275234 - 01; Sez. 5, n. 7333 del 13/11/2018, dep. 18/02/2019, Rv. 275234 - 01). 2.3. Inammissibile e' anche la doglianza oggetto del secondo motivo di ricorso di (OMISSIS), con la quale si deduce che la volonta' della parte di aderire al concordato sarebbe stata viziata dalla necessita' di contenere l'asperita' del trattamento sanzionatorio irrogato in primo grado. Va osservato che con la richiesta dell'imputato di concordare la pena ai sensi dell'articolo 599-bis c.p.p. e di rinunciare ai motivi di impugnazione la parte chiede, attraverso l'accordo, una determinata pena rispetto al quadro normativo in quel momento vigente; dal contenuto di tale richiesta, raggiunto l'accordo, non puo' piu' recedere per ragioni di convenienza, salvo il caso in cui l'oggetto del patto sia illegale sin dall'inizio (pena illegale) o per fatti sopravvenuti (es. dichiarazione di illegittimita' costituzionale). Secondo il condivisibile orientamento di questa Corte, pur ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex articolo 599-bis c.p.p. che deduca motivi relativi alla formazione della volonta' della parte di accedere al concordato, non puo', invece, attribuirsi rilevanza, rispetto alla volonta' dichiarata, ai motivi individuali, cioe' alla convenienza soggettiva del patto (Sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019, dep. 03/06/2020, non massimata sul punto, nella quale si afferma l'irrilevanza dei motivi individuali, cioe' alla convenienza soggettiva; nonche' Sez. 6, n. 1409 del 02/12/2014, dep. 2015, Minardi, non massimata sul punto, in cui e' ribadita l'irrilevanza, in ordine all'accordo sottostante la sentenza di applicazione di pena, dei vizi della volonta' - salvo il caso del dolo della controparte - e dei motivi; sul tema vedi anche Sez. 5, n. 7445 del 03/10/2013, Sassanelli, Rv. 259512); deve, dunque, rimarcare l'indifferenza dei motivi che inducono ciascuna delle parti a considerare per se' conveniente la sanzione concordata, sempreche' naturalmente l'accordo sia stato accettato con la consapevolezza del suo oggetto e delle sue conseguenze, presupposti questi non contestati dal ricorrente. Nel caso di specie, dunque, non e' ravvisabile alcun vizio relativo alla formazione della volonta', prospettando il ricorrente esclusivamente la rilevanza dei motivi individuali che lo avrebbero determinato alla conclusione del concordato. 2.4. Del tutto generico e', infine, il motivo di ricorso di (OMISSIS), con il quale si lamenta, genericamente, un difetto di motivazione della sentenza impugnata. Il motivo, caratterizzandosi per assoluta genericita', integra la violazione dell'articolo 581 c.p.p., lettera d), che nel dettare, in generale, quindi anche per il ricorso per cassazione, le regole cui bisogna attenersi nel proporre l'impugnazione, stabilisce che nel relativo atto scritto debbano essere enunciati, tra gli altri, "I motivi, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta"; violazione che, ai sensi dell'articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), determina, per l'appunto, l'inammissibilita' dell'impugnazione stessa (cfr. Sez. 6, 30.10.2008, n. 47414, Rv. 242129; Sez. 6, 21.12.2000, n. 8596, Rv. 219087). 3. Prima di procedere all'esame dei restanti ricorsi, ragioni di economia processuale e di ordine sistematico impongono di svolgere alcune considerazioni di carattere generale allo scopo sia di evitare inutili ripetizioni che di illustrare i criteri cui questo Collegio intende attenersi nella valutazione dei motivi di ricorso presentati dagli imputati. 3.1. E' pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni gia' discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificita' del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericita', intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non puo' ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificita' che conduce, a norma dell'articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), alla inammissibilita' della impugnazione (in tal senso sez. 2, n. 29108 del 15.7.2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15.2.2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9.2.2012, Pezzo, Rv. 253849; sez. 2, n. 19951 del 15.5.2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3.7.2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30.9.2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22.2.2002, Palma, Rv. 221693). Ancora di recente, questa Corte di legittimita' ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilita' delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericita' delle doglianze che, cosi' prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (sez. 3, n. 44882 del 18.7.2014, Cariolo e altri, Rv. 260608). 3.2. Va, poi, evidenziato che ci si trova di fronte ad una "doppia conforme" affermazione di responsabilita' - per quanto rileva in questa sede - e che, legittimamente, in tale caso, e' pienamente ammissibile la motivazione della sentenza di appello per relationem a quella della sentenza di primo grado, sempre che le censure formulate contro la decisione impugnata non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli gia' esaminati e disattesi. E', infatti, giurisprudenza pacifica di questa Suprema Corte che la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi e' difformita' sui punti denunciati, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entita' logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruita' della motivazione, integrando e completando con quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella di appello (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595; Sez. 2 n. 34891 del 16.05.2013, Vecchia, Rv. 256096, non massimata sul punto; conf. Sez. 3, n. 13926 del 1.12.2011, dep. 12.4.2012, Valerio, Rv. 252615: sez. 2, n. 1309 del 22.11.1993, dep. 4.2. 1994, Albergano ed altri, Rv. 197250). Ne consegue che il giudice di appello, in caso di pronuncia conforme a quella appellata, puo' limitarsi a rinviare per relationem a quest'ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non oggetto di specifiche censure, dovendo soltanto rispondere in modo congruo alle singole doglianze prospettate dall'appellante. In questo caso il controllo del giudice di legittimita' si estendera' alla verifica della congruita' e logicita' delle risposte fornite alle predette censure. Inoltre, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non e' tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo (Sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, Caruso e altro, Rv. 250900; Sez. 5, n. 8411 del 21/05/1992, Chirico ed altri, Rv. 191488). Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Sez. 6, n. 49970 del 19.10.2012, Muia' ed altri Rv. 254107, Sez. 3, n. 7406 del 15/01/2015, dep. 19/02/2015, Rv. 262423). La motivazione della sentenza di appello e' del tutto congrua, in altri termini, se il giudice d'appello abbia confutato gli argomenti che costituiscono "l'ossatura" dello schema difensivo dell'imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell'iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte (Sez. 6, n. 1307 del 26.9.2002, dep. 14.1.2003, Delvai, Rv. 223061). E' stato anche sottolineato da questa Corte che in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l'omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisivita', non possono dar luogo all'annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma e' solo l'esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisivita' degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell'impianto argomentativo della motivazione (Sez. 2, n. 9242 dell'8.2.2013, Reggio, Rv. 254988). Non e', dunque, censurabile in sede di legittimita' la sentenza che indichi con adeguatezza e logicita' le circostanze e le emergenze processuali che siano state determinanti per la formazione del convincimento del giudice, consentendo cosi' l'individuazione dell'iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata. Pertanto, anche il silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame non rileva qualora questa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata perche' non e' necessario che il giudice confuti esplicitamente la specifica tesi difensiva disattesa, ma e' sufficiente che evidenzi nella sentenza una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa (cfr. Sez. 2, 12/02/2009, n. 8619). 3.3. Infine, ulteriore causa di inammissibilita' del ricorso per cassazione deve individuarsi nella esposizione di censure che si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicita' tali da evidenziare la sussistenza di ragionevoli dubbi, ricostruzione e valutazione, quindi, in quanto tali precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, Rv. 235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Piras, Rv. 235508). Va, quindi, ribadito, che, anche a seguito delle modifiche dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), introdotte dalla L. n. 46 del 2006, articolo 8 non e' consentito dedurre il "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimita' di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006, Rv. 234559; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv. 253099) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148). La Corte di Cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimita', sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell'assenza, in quest'ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realta' degli appartenenti alla collettivita', o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa, tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilita', cosi' da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Sez. 4 08/04/2010 n. 15081; Sez. 6 n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989; Sez. 5, n. 6754 del 07/10/2014, dep. 16/02/2015, Rv. 262722). 4. Cio' posto, vanno, quindi, esaminati congiuntamente il motivo unico di (OMISSIS), il primo motivo di (OMISSIS), i motivi primo, secondo (e correlato motivo nuovo), terzo e quarto di (OMISSIS), i motivi primo, secondo (e correlato motivo nuovo) e terzo di (OMISSIS), tutti motivi che afferiscono all'affermazione di responsabilita' per il contestato reato associativo. Appare opportuna una preliminare disamina dei principi di diritto affermati da questa Corte in subiecta materia. Va ricordato che, ai fini della configurabilita' di un'associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico, questa Corte ha chiarito che e' necessaria la presenza di tre elementi fondamentali: a) l'esistenza di un gruppo, i membri del quale siano aggregati consapevolmente per il compimento di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti; b) l'organizzazione di attivita' personali e di beni economici per il perseguimento del fine illecito comune, con l'assunzione dell'impegno di apportarli anche in futuro per attuare il piano permanente criminoso; c) sotto il profilo soggettivo, l'apporto individuale apprezzabile e non episodico di almeno tre associati, che integri un contributo alla stabilita' dell'unione illecita (Sez. 4, n. 44183 del 02/10/2013, Rv. 257582 Sez. 1, n. 10758 del 18.02.2009, Rv. 242897). Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, alla base della figura dell'associazione finalizzata a traffici di sostanze stupefacenti (Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74) e' identificabile un accordo destinato a costituire una struttura permanente in cui i singoli associati divengono - ciascuno nell'ambito dei compiti assunti o affidati - parti di un tutto finalizzato a commettere una serie indeterminata di delitti ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, preordinati alla cessione o al traffico di droga. Ai fini della configurabilita' dell'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, non e' richiesto un patto espresso fra gli associati, ben potendo desumersi la prova del vincolo dalle modalita' esecutive dei reati-fine e dalla loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori, dalla ripartizione dei ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiungimento di un comune obiettivo e dall'esistenza di una struttura organizzativa, sia pure non particolarmente complessa e sofisticata, indicativa della continuita' temporale del vincolo criminale (Sez. 6, n. 40505 del 17/06/2009, Rv. 245282; Sez. 6, n. 10781 del 13/12/2000, dep. 16/03/2001, Rv. 218731); si e' precisato, inoltre, che, il patto associativo puo' costituirsi di fatto fra soggetti consapevoli che le attivita' proprie ed altrui ricevono vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscono all'attuazione dello scopo comune (Sez.3, n. 32485 del 24/05/2022,Rv.283691 - 02). Si e', inoltre, affermato che la commissione dei "reati-fine", di qualunque tipo essa sia, non e' necessaria ne' ai fini della configurabilita' dell'associazione ne' ai fini della prova della sussistenza della condotta di partecipazione (Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, Rv. 280703 - 02; Sez. 3, n. 9459 del 06/11/2015, dep. 08/03/2016, Rv. 266710 - 01). In considerazione dell'autonomia tra reato associativo e reato-fine, derivante dal fatto che il primo prescinde dalla commissione degli illeciti oggetto del programma criminoso, la commissione di reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, non puo', da sola ed automaticamente, costituire prova della commissione del reato associativo, costituendo al piu' indice sintomatico dell'esistenza dell'associazione (cosi' Sez. 4, n. 23518 del 29/04/2008, Saracini, Rv. 240843; nello stesso senso anche Sez. 6, n. 9898 del 21/06/1995, Tolone, Rv. 202646); si e' anche precisato che la ripetuta commissione, in concorso con i partecipi al sodalizio criminoso, di reati-fine integra, per cio' stesso, gravi, precisi e concordanti indizi in ordine alla partecipazione al reato associativo, superabili solo con la prova contraria che il contributo fornito non e' dovuto ad alcun vincolo preesistente con i correi e fermo restando che detta prova, stante la natura permanente del reato "de quo", non puo' consistere nell'allegazione della limitata durata dei rapporti intercorsi (Sez. 3, n. 42228 del 03/02/2015, Prota, Rv. 265346; Sez. 2, n. 5424 del 22/01/2010, Sindyal, Rv. 246441; Sez. 5, 10 n. 6026 del 25/03/1997, Puglia, Rv. 208088); Inoltre, l'elemento oggettivo del reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti prescinde dal numero di volte in cui il singolo partecipante ha personalmente agito, per cui il coinvolgimento in un solo episodio criminoso non e' incompatibile con l'affermata partecipazione dell'agente all'organizzazione di cui si e' consapevolmente servito per commettere il fatto (Sez. 1, n. 43850 del 03/07/2013, Rv. 257800; Sez. 4, n. 45128 del 11/11/2008 Rv. 241927). E si e' anche precisato che, in tema di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione al sodalizio, ed in particolare dell'affectio di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che puo' essere anche breve, purche' dagli elementi acquisiti possa inferirsi l'esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benche' per un periodo di tempo limitato (Sez. 6 n. 42937 del 23/09/2021, Rv. 282122 - 01). Quanto all'elemento organizzativo, si e' precisato che, per la configurabilita' dell'associazione dedita al narcotraffico, non e' richiesta la presenza di una complessa e articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilita' economiche, ma e' sufficiente l'esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi, per il perseguimento del fine comune, create in modo da concretare un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, con il contributo dei singoli associati (Sez. 2, n. 19146 del 20/02/2019, Rv. 275583 01). Tanto premesso, va osservato che i motivi in esame sono manifestamente infondati, secondo le argomentazioni che seguono. 4.1. I Giudici di merito, facendo buon governo dei summenzionati principi di diritto, accertavano l'esistenza di un'associazione finalizzata a commettere una serie indeterminata di delitti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, operante nel territorio della provincia di Brescia fino al maggio del 2018; in particolare, in aderenza alle risultanze istruttorie, si evidenziava, con congrue e logiche argomentazioni, che: la struttura associativa si avvaleva di un'organizzazione che, sebbene rudimentale, risultava idonea al perseguimento del preordinato programma criminoso di realizzazione di una continua attivita' di commercio di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina (cfr. pag. 273-277 e ss della sentenza della Corte di appello e pagg 97-113 della sentenza di primo grado, richiamate dalla Corte territoriale); i mezzi destinati alla realizzazione del programma criminoso si individuavano nell'appartamento sito in via (OMISSIS) (ove i sodali ricevevano fornitori e clienti, stoccavano lo stupefacente e lo suddividevano nei quantitativi destinati alla vendita), nelle autovetture in uso agli associati e nella strumentazione destinata al peso, taglio e confezionamento dello stupefacente (rinvenuta e sequestrata presso l'abitazione di (OMISSIS) in occasione dell'arresto di (OMISSIS) e (OMISSIS), unitamente al "libro mastro della contabilita'", ove erano riportate operazioni per oltre centomila Euro, riconducibili agli acquisti di cocaina, nonche' operazioni per decine di migliaia di Euro, riconducibili alla successiva vendita dello stupefacente ai clienti); l'esistenza del pactum sceleris era dimostrata, oltre che dalla condivisione del piano di azione, relativo alla scambio tra consociati di informazioni sui clienti, sui prezzi da praticare e sui quantitativi delle cessioni delle sostanze stupefacenti, dalla sinergica attivita' dei sodali, rimasta operante anche dopo l'arresto di alcuni sodali; rilevante era anche la capacita' del sodalizio di realizzare in tempi piuttosto ristretti una serie di reati-fine, consistenti nell'importazione di rilevanti partite di cocaina dall'estero con modalita' seriali e sovrapponibili (utilizzo di corriere con staffetta e presenza di un referente al momento del carico all'estero) con ingenti movimentazioni di denaro; ulteriore circostanza significativa dell'accordo associativo era costituita dall'attivita' di mutuo soccorso posta in essere dopo l'arresto dei predetti sodali (messa a disposizione del legale di fiducia del denaro necessario per l'attivita' difensiva, reperimento di domicilio idoneo per la collocazione dei detenuti agli arresti domiciliari, attivita' di riscossione dei crediti ancora in essere). Venivano ritenuti partecipi dell'associazione criminosa, secondo i ruoli contestati ed accertati, (OMISSIS), (OMISSIS) (non impugnante in questa sede), (OMISSIS) e (OMISSIS), quali associati, e (OMISSIS), con funzioni di capo e organizzatore. La Corte territoriale, nel richiamare e condividere le valutazioni del primo giudice, valutava, poi, partitamente le singole posizioni dei partecipi all'associazione criminosa, esaminando compiutamente le fonti di prova in linea con i suesposti principi di diritto e fornendo adeguata risposta alle censure difensive riproposte in sede di legittimita', come di seguito esposto. 4.2. Posizione di (OMISSIS). La Corte territoriale, nel confermare la valutazione del giudice di primo grado, evidenziava che (OMISSIS), in aderenza alle risultanze istruttorie, era stabilmente inserita nella struttura associativa, con un ruolo attivo, quale portavoce e consigliere di (OMISSIS), al quale era legata da rapporto do coniugio, nonche' custode della sostanza stupefacente presso l'abitazione di via (OMISSIS). L'adesione all'associazione e lo stabile inserimento nel contesto associativo veniva desunto, con argomentazioni congrue e logiche, da plurimi dati fattuali emergenti dalle risultanze istruttorie: contatti in prima persona con i corrieri della droga, su delega del coniuge (OMISSIS); consegna diretta della sostanza stupefacente; custodia della sostanza stupefacente riposta nel sottotetto della lavanderia del fabbricato ove si trovava l'abitazione di via (OMISSIS); attivita' di recupero dei crediti vantati dallo (OMISSIS) verso i clienti per la droga ceduta, curata direttamente dalla (OMISSIS), unitamente al sodale (OMISSIS), dopo l'arresto del predetto. I Giudici di appello esaminavano, poi, le censure difensive rimarcandone l'infondatezza con argomentazioni adeguate e prive di vizi logici. In particolare, i Giudici di merito desumevano correttamente la prova dell'appartenenza della ricorrente all'associazione dalla lettura dell'intero compendio probatorio, escludendo ogni automatismo tra la sussistenza di un vincolo familiare tra la stessa e lo (OMISSIS), capo dell'associazione, e l'appartenenza a quest'ultima; in risposta alle doglianze difensive va, in ogni caso, ribadito il principio secondo il quale l'esistenza di una associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, una volta verificata la sussistenza dei requisiti inerenti alla continuita' e sistematicita' dello spaccio ed alla predisposizione di una struttura operativa stabile, non e' esclusa per il fatto che il sodalizio sia per lo piu' imperniato attorno a componenti dello stesso nucleo familiare, poiche', al contrario, i rapporti parentali o coniugali, sommandosi al vincolo associativo, lo rendono ancora piu' pericoloso (ex multis Sez. 1, n. 35992 del 14 giugno 2011, De Witt e altri, Rv. 250773 - 01; Sez. n. 5, n. 6782 del 16/01/2015, Amante, Rv. 262733 - 01, in cui si afferma che "integra gli estremi costitutivi dell'associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti lo svolgimento continuativo, da parte di un nucleo familiare, di un'attivita' di spaccio presso l'abitazione dotata di una stabile clientela, di una rudimentale organizzazione fondata sull'interscambio dei ruoli esecutivi e sulla predisposizione di un nascondiglio funzionale al deposito dello stupefacente nelle pertinenze dell'abitazione nonche' di stabili canali di rifornimento"; e da ultimo Sez. 3, n. 48568 del 25/02/2016, Zineddine, Rv. 268184 - 01). Ne' coglie nel segno la deduzione difensiva, secondo cui dalla sentenza impugnata non emergerebbe prova della sussistenza di una struttura organizzativa stabile e permanente, elemento di discrimine con il concorso di persone. Va ricordato che l'elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato nel carattere dell'accordo criminoso, avente ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti e nella permanenza del vincolo associativo nonche' nell'esistenza di una organizzazione che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (Sez. 6 n. 17467 del 21/11/2018, dep. 23/04/2019, Rv. 275550 - 01), elementi, nella specie, tutti ricorrenti. La Corte di appello ha ampiamente valutato la sussistenza di tali elementi, come gia' evidenziato, e la doglianza difensiva e' meramente contestativa e priva di confronto critico con le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata. Ne' la circostanza che i sodali si servissero di beni personali, puo' escludere l'esistenza del sodalizio criminoso, in quanto l'organizzazione puo' avere carattere rudimentale ed avere ad oggetto beni personali (abitazioni, autovetture, telefoni cellulari), in quanto cio' che rileva e' l'utilizzazione degli stessi per l'attuazione degli scopi illeciti del sodalizio criminoso. 4.3. Posizione di (OMISSIS). La Corte territoriale, nel confermare la valutazione del giudice di primo grado, evidenziava, con argomentazioni congrue e logiche, che (OMISSIS), in aderenza alle risultanze istruttorie, era stabilmente inserito nella struttura associativa, nella quale operava con il ruolo di supporto al corriere della sostanza stupefacente proveniente dall'Olanda e provvedendo anche (in almeno due casi) all'immediato smercio e distribuzione della cocaina, secondo le direttive ricevute dallo (OMISSIS); inoltre, il (OMISSIS), assumeva anche l'importante ruolo di accompagnare un nuovo intermediario ( (OMISSIS)n) per l'apertura di un nuovo canale di approvvigionamento della sostanza stupefacente. Esaminava, quindi, le censure difensive rimarcandone l'infondatezza con argomentazioni adeguate e prive di vizi logici. In particolare, si evidenziava che la condotta del (OMISSIS) non poteva ritenersi occasionale in quanto avente ad oggetto concrete attivita' funzionali, apprezzabili come effettivo e operativo contributo all'esistenza e al rafforzamento dell'associazione; il (OMISSIS), infatti, aveva preso parte a tutta una serie di reati-fine, concernenti sia l'approvvigionamento che lo smercio della sostanza stupefacente, si era coordinato con gli altro sodali per tutta una serie di attivita' strategiche per l'esistenza dell'associazione, quali la risoluzione delle problematiche con alcuni clienti per crediti non ancora riscossi, aveva raccolto il denaro necessario ai pagamenti delle forniture, si era occupato anche dell'attivita' di depistaggio delle forze di polizia; ne' rilevava in senso negativo la durata limitata nel tempo dell'apporto associativo, in quanto l'interruzione del rapporto con gli altri sodali veniva determinata dalla circostanza che il sodalizio criminoso era stato disarticolato per effetto dell'intervento repressivo delle forze dell'ordine. La valutazione e' in linea con il principio di diritto, secondo cui per la configurabilita' della condotta di partecipazione ad un'associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti non e' richiesto un atto di investitura formale, ma e' necessario che il contributo dell'agente risulti funzionale per l'esistenza stessa dell'associazione in un dato momento storico (Sez. 3, n. 22124 del 29/04/2015, Rv. 263662 - 01; Sez. 4, n. 51716 del 16/10/2013, Rv. 257905 - 01); e', quindi, indispensabile la volontaria e consapevole realizzazione di concrete attivita' funzionali, apprezzabili come effettivo e operativo contributo all'esistenza e al rafforzamento dell'associazione (Sez. 6, n. 34563 del 17/07/2019, Rv. 276692 01). Risulta, inoltre, evidente che la Corte territoriale, nel valutare la condotta associativa escludeva ogni automatismo tra la sussistenza di un vincolo familiare tra il (OMISSIS) e lo (OMISSIS) ( (OMISSIS) era il nipote di (OMISSIS)), capo dell'associazione, risultando, quindi, manifestamente infondata la relativa doglianza difensiva e sul tale aspetto vanno richiamate le argomentazioni ed il principio di diritto evidenziate al paragrafo 4.2. Neppure coglie nel segno la deduzione difensiva, secondo cui dalla sentenza impugnata non emergerebbe prova della sussistenza di una struttura organizzativa stabile e permanente, elemento di discrimine con il concorso di persone, potendosi, anche su tale aspetto e su quello correlato dell'esistenza del pactum sceleris vanno richiamate le argomentazioni esposte ai paragrafi 4.1. e 4.2. 4.4. Posizione di (OMISSIS). La Corte territoriale, nel confermare la valutazione del giudice di primo grado, evidenziava, con argomentazioni congrue e logiche, in aderenza alle risultanze istruttorie, che (OMISSIS) era stabilmente inserito nella struttura associativa quale soggetto che, unitamente ai sodali (OMISSIS) e (OMISSIS), provvedeva alla distruzione degli importanti quantitativi di cocaina importati dal sodalizio criminoso; inoltre, si era dimostrato soggetto particolarmente attivo sia nella realizzazione dei reati-fine che nell'attivita' di recupero del denaro non ancora riscosso dalla cessione della sostanza stupefacente, secondo le direttive ricevute dal carcere da (OMISSIS) ed in sinergia con la sodale (OMISSIS). Esaminava, quindi, le censure difensive, qui riproposte, rimarcandone l'infondatezza con argomentazioni adeguate e prive di vizi logici. In particolare, quanto alla prova della sussistenza di una struttura organizzativa stabile e permanente, elemento di discrimine con il concorso di persone, e del pactum sceleris vanno richiamate le argomentazioni gia' svolte ai paragrafi 4.1. e 4.2.; ed analogo richiamo va effettuato con riferimento alla valutazione dei legami familiari esistenti tra alcuni dei sodali. Ne' coglie nel segno la deduzione difensiva che contesta la rilevanza ai fini della prova del vincolo associativo del sistema di mutuo soccorso posto in essere successivamente all'arresto di (OMISSIS) e di (OMISSIS). Secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte, infatti, in tema di associazione a delinquere finalizzata al commercio di sostanze stupefacenti, la prova dell'appartenenza al sodalizio criminoso puo' essere desunta anche dall'accertamento dell'assistenza legale fornita ad un partecipe e dell'aiuto economico assicurato ai suoi familiari, una volta che costui sia tratto in arresto, consistendo in condotte prestate a vantaggio dell'intera consorteria e non solo della persona assistita; al fine del consolidamento dell'organizzazione criminale assume, infatti, una importanza vitale la circostanza che l'associato abbia consapevolezza di poter contare, in caso di arresto, sulla continuita' del vincolo associativo e sul rapporto di solidarieta' tra gli associati (Sez. 3, n. 12705 del 15/02/2019, Rv. 275478 - 01). 4.5. Posizione di (OMISSIS). La Corte territoriale, nel confermare la valutazione del giudice di primo grado, evidenziava che (OMISSIS), sulla base delle convergenti risultanze istruttorie ricopriva il ruolo apicale del gruppo associativo, quale capo ed organizzatore dell'associazione: egli compiva direttamente i piu' rilevanti reati-fine e dirigeva tutta l'attivita' associativa mediante l'organizzazione dell'attivita' degli altri partecipi, fornendo direttive ai consociati in relazione ai tempi e modalita' di approvvigionamento e vendita dello stupefacente ed assumendo ogni iniziativa volta alla prosecuzione dell'attivita' illecita e all'attuazione del programma criminoso. La Corte territoriale rispondeva, poi, con argomentazioni congrue e logiche alle censure difensive, qui riproposte. In particolare, quanto alla prova della sussistenza di una struttura organizzativa stabile e permanente, elemento di discrimine con il concorso di persone, e del pactum sceleris, vanno richiamate le argomentazioni gia' svolte ai paragrafi 4.1. e 4.2.; ed analogo richiamo va effettuato con riferimento alla valutazione dei legami familiari esistenti tra alcuni dei sodali; quanto alla rilevanza ai fini alla prova del vincolo associativo del sistema di mutuo soccorso posto in essere successivamente all'arresto di (OMISSIS) e di (OMISSIS), vanno richiamate le argomentazioni gia' svolte al paragrafo 4.4. La valutazione dei Giudici di merito, che hanno attribuito allo (OMISSIS) un ruolo apicale di direzione e di organizzazione dell'associazione criminosa, e' congruamente e logicamente motivata e, quindi, insindacabile in questa sede. Il ruolo apicale dello (OMISSIS), trovava esplicita dimostrazione, in particolare, nella circostanza, emersa dalle intercettazioni, che le decisioni risolutive per la vita dell'associazione, le direttive e le indicazioni strategiche dell'attivita' illecita erano di competenza esclusiva del predetto (cfr. pag. 277 della sentenza impugnata, ove si menzionano le decisioni di sospendere l'attivita' di importazione della cocaina tramite (OMISSIS) e dell'apertura di un nuovo canale di rifornimento della cocaina all'estero a mezzo di corrieri stranieri, di individuare altri fornitori della sostanza stupefacente; e si da' atto degli innumerevoli contatti telefonici attraverso i quali (OMISSIS), personalmente o per il tramite di (OMISSIS), impartiva agli associati ordini e direttive vincolanti per la gestione delle fasi operative dell'attivita' illecita, ricevendo i relativi proventi); ulteriore conferma del ruolo apicale dello (OMISSIS) veniva desunta dalla circostanza che, all'indomani della carcerazione dello (OMISSIS) e del sequestro della contabilita' del sodalizio criminoso, gli associati (OMISSIS) e (OMISSIS) si rivolgevano al predetto per sapere quali fossero i crediti ancora da riscuotere (informazione necessaria per poter reperire il denaro necessario al pagamento delle spese legali ed alla prosecuzione dell'attivita' illecita), cosi' rimarcandone il ruolo di vertice dell'organizzazione criminosa. Correttamente, quindi, la Corte territoriale dava rilievo al contenuto concreto dell'attivita' svolta dallo (OMISSIS) nel sodalizio criminoso, caratterizzata dalla preminenza rispetto a quella svolta dagli altri associati con funzioni decisionali e di direzione, nonche' di organizzazione dell'attivita' illecita. Va ricordato che questa Corte ha affermato che, in tema di associazione per delinquere, l'attivita' dei soggetti, che si ritengano capi o promotori di essa, deve essere valutata in considerazione del suo contenuto concreto e caratterizzato dalla preminenza di quei soggetti rispetto a quella svolta dagli altri associati (Sez. 2, n. 11957 del 09/04/1987, Rv. 177131 - 01) e che "capo" e' non solo il vertice dell'organizzazione, quando questo esista, ma anche colui che abbia incarichi direttivi e risolutivi nella vita del gruppo criminale e nel suo esplicarsi quotidiano in relazione ai propositi delinquenziali realizzati (Sez. 4, n. 29628 del 21/06/2016, Rv. 267464 - 01; Sez. 2, n. 7839 del 12/02/2021, Rv. 280890 - 01); e si e' precisato che la qualifica di organizzatore spetta a colui che, in autonomia, cura il coordinamento e l'impiego delle strutture e delle risorse associative nonche' reperisce i mezzi necessari alla realizzazione del programma criminoso, ponendo in essere un'attivita' che assume i caratteri dell'essenzialita' e dell'infungibilita'; (Sez. 1, n. 47741 del 29/11/2017, dep. 19/10/2018, Rv. 274369 - 01; Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 17/01/2019, Rv. 274816 - 03, nonche' da ultimo da Sez. 2, n. 20098 del 03/06/2020, Rv. 279476 - 02, che ribadito che la qualifica di "organizzatore" spetta a chi coordina l'attivita' degli associati ed assicura la funzionalita' delle strutture del sodalizio). 4.6. In definitiva, risultano puntualmente evidenziati in motivazione, con argomentazioni adeguate e non manifestamente illogiche, plurimi elementi fattuali che comprovano lo stabile coinvolgimento dei ricorrenti nelle dinamiche del gruppo associativo di riferimento, emergendo dalla valutazione di tali elementi probatori una condotta di consapevole ed efficace partecipazione associativa, in coerenza con i singoli ruoli contestati. 5. Vanno, quindi, esaminati i motivi di ricorso afferenti all'affermazione di responsabilita' per i singoli reati contestati. 6. Vanno, innanzitutto, esaminati congiuntamente i motivi di ricorso quinto e sesto di (OMISSIS), i due motivi di ricorso di (OMISSIS), i primi sette motivi di ricorso di (OMISSIS), tutti afferenti all'affermazione di responsabilita' per il reato di cui al capo 20) dell'imputazione - acquisto in Olanda, in piu' occasioni, e successivi trasporto in Italia ed illecita detenzione, di un quantitativo complessivo pari ad 8 Kg di sostanza stupefacente del tipo cocaina. La Corte di appello, con argomentazioni congrue e prive di vizi logici, rimarcava che le risultanze istruttorie (dichiarazioni spontanee rese da (OMISSIS), analisi dei tabulati telefonici dell'utenza in uso ed intestata al (OMISSIS), analisi delle conversazioni telefoniche sull'utenza del predetto, controllo di Pg che riscontrava la presenza, a bordo dell'auto del (OMISSIS), di (OMISSIS) e (OMISSIS), rinvenimento nell'autovettura del (OMISSIS) di un sofisticato doppio fondo elettronico, ricavato nel cruscotto; rinvenimento da parte della Pg di contabilita' manoscritta dello (OMISSIS) relativa al traffico illecito di stupefacenti), complessivamente valutate, comprovavano che (OMISSIS) e (OMISSIS), quali corrieri, e (OMISSIS), in qualita' di importatore, avevano posto in essere le condotte contestate ( (OMISSIS) e (OMISSIS) con riferimento ai soli due episodi di importazione del 10 novembre e del 19 novembre 2017 ed il (OMISSIS) con riferimento a tali episodi ed anche a quello del 3.12.2017). I motivi proposti sono infondati ed in parte inammissibili. Le censure con le quali si lamenta l'inutilizzabilita' ai fini dell'affermazione di responsabilita' delle dichiarazioni rese dal coimputato (OMISSIS) in data 5.3.2018 presso il Comando Compagnia Carabinieri di Brescia sono infondate. Va osservato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, le dichiarazioni spontanee rese dall'indagato alla polizia giudiziaria o comunque da questa recepite sono pienamente utilizzabili nella fase delle indagini preliminari, e dunque nell'incidente cautelare e negli eventuali riti a prova contratta, perche' l'articolo 350 c.p.p., comma 7, ne limita l'inutilizzabilita' esclusivamente al dibattimento (S.U., n. 1150 del 25/09/2008 dep. 2009, Correnti, Rv. 241884; Sez. 5, n. 32015 del 15/03/2018, Carlucci, Rv. 273642). Ed e' stato precisato che deve emergere con chiarezza che l'indagato abbia scelto di rendere dette dichiarazioni liberamente, ossia senza alcuna coercizione o sollecitazione (Sez. 2, n. 26246 del 03/04/2017, Rv. 271148 - 01; Sez. 2, n. 22962 del 31/05/2022, Rv. 283409 - 01). E' chiaro, infatti, che le dichiarazioni "sollecitate", rese dall'indagato nell'immediatezza dei fatti ed in assenza di garanzie, a differenza di quelle "spontanee", non sono in alcun modo utilizzabili, neanche a favore del dichiarante (Sez. 1, n. 15197 del 08/11/2019, dep. 15/05/2020, Rv. 279125 - 01 Sez. 2 n. 3930 del 12/01/2017, Rv. 269206; Cass. Sez. un. 1150 del 25/09/2008, dep. 2009, Rv. 241884). Secondo la condivisibile giurisprudenza maggioritaria, inoltre, nel caso di dichiarazioni spontanee ex articolo 350 c.p.p., comma 7, non rileva l'assenza di difensore ed il difetto degli avvisi di cui all'articolo 64 c.p.p., in quanto al soggetto indagato non si applicano le disposizioni dell'articolo 63 c.p.p., comma 1, e dell'articolo 64 c.p.p., giacche' la prima concerne l'esame di persona non imputata o non sottoposta ad indagini, mentre la seconda attiene all'interrogatorio, atto diverso dalle spontanee dichiarazioni (Sez. 3, n. 29641 del 14/03/2018, Rv. 273209 - 01; Sez. 1, 15197 del 08/1/2019, Rv. 279125; Sez. 2, n. 47580 del 23/09/2016, Rv. 268509 - 01); si e', inoltre, precisato che non trova applicazione il disposto dell'articolo 63 c.p.p., comma 2, in quanto l'articolo 350 c.p.p., comma 7, costituisce espressa eccezione a tale regola, che trova la sua la ratio nella natura eminentemente "difensiva" e "libera" delle dichiarazioni spontanee (cfr. Sez. 2, n. 14320 del 13/03/2018, Rv. 272541 - 01, che ha chiarito che la lettera dell'articolo 350 c.p.p., comma 7 e' esplicita nel prevedere l'inutilizzabilita' "relativa", ovvero solo dibattimentale delle dichiarazioni spontanee, il che impedisce di ritenere che la regola specifica in essa prevista possa essere "vanificata" dalla disciplina generale che sancisce l'inutilizzabilita' assoluta delle dichiarazioni rese dall'indagato senza garanzie e che la norma si configura piuttosto come un espressa eccezione a tale regola, che trova la sua la ratio nella natura eminentemente "difensiva" e "libera" delle dichiarazioni spontanee). In definitiva, le dichiarazioni spontanee rese, ai sensi dell'articolo 350 c.p.p., comma 7, dall'indagato alla polizia giudiziaria in assenza delle garanzie difensive, devono ritenersi utilizzabili nel procedimento cautelare o nel rito abbreviato in ragione della prevalenza riconosciuta alla disciplina di cui all'articolo 350 c.p.p., comma 7 - che limita l'inutilizzabilita' al dibattimento - su quella prevista dall'articolo 63 c.p.p., comma 2, attinente all'interrogatorio, atto diverso dalle spontanee dichiarazioni (ex multis, Sez. 4, n. 2124 del 27/10/2020, dep. 2021, Minauro, Rv. 28024201; Sez. 1, n. 15197 del 08/11/2019, dep. 2020 -, Fornaro, Rv. 27912501; Sez. 3, n. 20466 del 03/04/2019, S., Rv. 27575201; Sez. 5, n. 32015 del 15/03/2018, Carlucci, Rv. 273642 01; Sez. 3, n. 29641 del 14/03/2018, Ermo, Rv. 273209; Sez. 2, n. 14320 del 13/03/2018, Basso, Rv. 27254101; Sez. 2, n. 26246 del 03/04/2017, Di Stefano, Rv. 27114801; Sez. 5, n. 13917 del 16/02/2017, Pernicola, Rv. 26959801: Sez. 5, n. 44829 del 12/06/2014, Fabbri, Rv. 262192; Sez. 5, n. 6346 de116/01/2014, Pagone, Rv. 258961). Quanto alla questione della mancata verbalizzazione delle dichiarazioni rese spontaneamente dal coindagato riportate dalla polizia giudiziaria in annotazioni o relazioni di servizio, redatte e sottoscritte dall'ufficiale di polizia giudiziaria, il Collegio condivide l'orientamento piu' diffuso di questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 22962 del 31/05/2022, Rv. 283409; Sez. 3, n. 15798, del 30/4/2020, Rv. 279422; Sez. 6, n. 51503 del 11/10/2018, Rv. 274155-01; Sez. 1, n. 33819 del 20/06/2014, Rv. 261093-01; Sez. 1, n. 15563 del 22/01/2009, Rv. 243734-01; Sez. 3, n. 5777 del 17/01/2014, Rv. 258916-01; Sez. 1, n. 36842, del 14/4/2021, n. m.; Sez. 3, n. 12534 del 2022, n. m.; Sez. 4, n. 10113 del 2023. n. m., Sez. 3, n. 12151 del 2023, n. m, Sez.5, n. 19392 del 2023), che afferma l'utilizzabilita' di tali dichiarazioni, ancorche' non verbalizzate. Come chiarito da Sez. 3, 30 aprile 2020, n. 15798, Musolino, Rv. 279422, "le dichiarazioni non verbalizzate assunte dalla polizia giudiziaria dalle persone informate sui fatti o spontaneamente rese alla stessa dall'indagato o dal coindagato, riportate in un'annotazione di servizio o in un'informativa di reato, sono riconducibili, tutte, a un unico genus perche' le regole che prevedono e disciplinano la redazione del verbale in caso di informazioni assunte da persone informate sui fatti e di spontanee dichiarazioni rese dalla persona nei cui confronti sono svolte le indagini, sono identiche, come reso evidente dall'articolo 357 c.p.p., comma 2, lettera b), che le accomuna "; tali dichiarazioni devono ritenersi "valide ed utilizzabili nella fase procedimentale anche se non verbalizzate, ma riportate nelle informative ovvero nelle annotazioni e relazioni di servizio. E' stato osservato, innanzitutto, che risulta da escludere la configurabilita' di nullita'. Per un verso, infatti, la legge non prevede alcuna nullita' espressa in caso di omessa redazione del verbale nelle ipotesi previste dall'articolo 357 c.p.p., comma 2. Per l'altro, poi, la situazione appena descritta non risulta sussumibile nelle fattispecie previste dall'articolo 178 c.p.p.; in particolare, le disposizioni relative alla redazione del verbale con riguardo a dichiarazioni di una persona informata sui fatti o di un coindagato in sede di indagini preliminari non sembrano qualificabili nemmeno come concernenti "l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato", anche perche' si riferiscono ad un soggetto diverso da questo, ed in relazione ad una escussione che avviene fisiologicamente al di fuori del contraddittorio. Risulta, poi, da escludere che la mancata verbalizzazione dia luogo ad una inutilizzabilita'. A tal proposito, in primo luogo, va ribadito, come del resto non e' posto in discussione nemmeno da alcuna delle decisioni affermative della tesi della inutilizzabilita', che alle dichiarazioni rese in fase di indagini alla polizia giudiziaria sia applicabile la disciplina relativa alla testimonianza di cui all'articolo 194 c.p.p., e s.s., posto che, come puntualmente rilevato da diverse pronunce, tale regolamentazione attiene alle dichiarazioni rese in dibattimento (o nell'incidente probatorio). Va in secondo luogo rilevato che non sembra persuasivo nemmeno ipotizzare una violazione del divieto di cui all'articolo 191 c.p.p.. Da un lato, infatti, questa soluzione implicherebbe l'adozione di una interpretazione molto estesa e dai confini non facilmente definibili della proibizione posta dall'articolo 191 c.p.p.: essa, infatti, presupporrebbe, da un punto di vista logico e sistematico, non solo l'inclusione, tra i "divieti stabiliti dalla legge", anche dei divieti impliciti, ma, ulteriormente, ed in aggiunta, l'ascrizione, tra i divieti impliciti, di tutte le disposizioni riguardanti le forme degli atti. Dall'altro, poi, la soluzione in questione sembra davvero eccessiva e sproporzionata se si considera che, nell'ambito della disciplina generale sui verbali, la nullita' e' prefigurata, salvo diverse e particolari disposizioni di legge, soltanto "se vi e' incertezza assoluta sulle persone intervenute o se manca la sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha redatto" (articolo 142 c.p.p.), ma non anche per l'ipotesi di mancata sottoscrizione delle persone intervenute, pur essendo questo adempimento espressamente previsto, nel medesimo Titolo 3 del Libro 2 del Codice di rito, per i verbali diversi da quelli relativi al dibattimento (articolo 137 c.p.p.)". Il diverso orientamento, che afferma l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni spontanee assunte dalla polizia giudiziaria e non verbalizzate (Sez. 6, n. 14843 del 17/02/2021, Rv. 280880 - 01, Sez. 1, n. 12752 del 27/02/2019, Rv. 276176 e Sez. 1 n. 37676 del 03/05/2022, Rv. 283740 - 01), ritiene, invece, che "la polizia giudiziaria, a norma dell'articolo 357 c.p.p., comma 2, deve redigere verbale, tra l'altro, degli atti non ripetibili compiuti e delle dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona nei cui confronti vengono svolte indagini. Pur non essendo richiesto che la polizia giudiziaria rediga un autonomo verbale per ciascuna delle attivita' svolte, specialmente se in contestualita' spazio-temporale, resta fermo che le dichiarazioni spontaneamente rese dall'indagato, proprio perche' allo stesso riferibili come espressione della sua volonta' di rendere una dichiarazione, devono trovare confezione formale in un verbale che sia dal medesimo sottoscritto, non potendo essere sostituito detto atto dall'annotazione di polizia giudiziaria che di dette dichiarazioni fornisca contezza o riassunto". Quando, invece, "le dichiarazioni vengano rese alla polizia giudiziaria mentre procede a perquisizione o sequestro, le stesse ben possono essere inserite nel verbale di perquisizione o di sequestro, senza che occorra redigere distinto e autonomo verbale (ex plurimis: Sez. 1, n. 15563 del 22/01/2009, Perrotta, Rv. 243734; Sez. 6, n. 8675 del 26/10/2011 dep. 2012, Labonia, Rv. 252279), ma proprio perche' il relativo verbale viene sottoscritto dall'indagato" (cosi' in motivazione, Sez. 1, n. 12752 del 2019, ripresa pedissequamente dalla piu' recente Sez. 6, n. 14843 del 2021). Deve, invero, al contrario, osservarsi che, come affermato di recente da questa Suprema Corte (Sez. 3, n. 12534 del 2022, cit.), il dovere della polizia giudiziaria di redigere il verbale delle sommarie informazioni rese e delle dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona nei cui confronti sono svolte le indagini, previsto dall'articolo 357 c.p.p., comma 2, lettera a), non e' sancito a pena di nullita' o inutilizzabilita' della prova (Sez. 1, n. 33821 del 20/06/2014, Rv. 263218-01 che esclude sia ravvisabile una nullita' per la mancata redazione del verbale stante la sua mancata previsione; Sez. 5, n. 6346 de116/01/2014, Pagone, non mass. sul punto, che rileva che l'articolo 357 c.p.p. regola soltanto un onere di forma di tali dichiarazioni in vista della loro utilizzabilita' in dibattimento; Sez. 1, n. 15437 del 16/03/2010, Rv. 246837-01). L'articolo 357 c.p.p., comma 2 non esclude il ricorso alle modalita' di documentazione degli atti di polizia giudiziaria previsti dal comma 1 del medesimo articolo. In nessun caso una forma di verbalizzazione diversa da quella prevista dall'articolo 357 c.p.p., comma 2, determina l'inutilizzabilita' della prova, non trattandosi di prova acquisita in violazione dei divieti di legge, bensi' di prova documentata con modalita' diverse da quelle specificamente previste dalla legge. Quando il legislatore ha inteso imporre una ben precisa e specifica modalita' di documentazione dell'atto a pena di inutilizzabilita' della prova, lo ha fatto espressamente (articolo 141-bis c.p.p.); se dovesse spiegarsi la ragione di fondo per la quale il fatto storicamente certo della dichiarazione spontaneamente resa dalla persona sottoposta alle indagini debba essere considerata processualmente inesistente sol perche' documentata da un'annotazione di servizio, essa non potrebbe che rinvenirsi nella sostanziale diffidenza che imporrebbe l'adozione di forme tali da dare certezza al requisito, soprattutto, della spontaneita' della dichiarazione. La sottoscrizione, da parte del dichiarante, del verbale redatto ai sensi dell'articolo 357 c.p.p., comma 2, lettera b), fornirebbe maggiori garanzie di certezze sul punto, salvo pero' metterle in crisi ove il dichiarante per un qualsiasi motivo non voglia o non sia in grado di sottoscrivere il verbale (articolo 137 c.p.p., comma 2). Da questo punto di vista, anche l'autonoma verbalizzazione delle dichiarazioni spontaneamente rese alla polizia giudiziaria potrebbe porre, secondo una linea di pensiero qui non condivisa, il problema della loro utilizzabilita' se il dichiarante dovesse rifiutare di sottoscrivere il verbale. Occorre piuttosto distinguere il "fatto-prova" (le dichiarazioni) dal "documento-prova" (il verbale o l'annotazione); quando l'esistenza del fatto-prova (sostanza) non e' condizionata (ne' imposta dal legislatore, ai fini della sua utilizzazione) dalle modalita' della sua verbalizzazione (forma), non v'e' ragione alcuna per escludere il fatto-prova dalla platea degli atti utilizzabili dal giudice ai fini della decisione. L'utilizzabilita' delle dichiarazioni spontaneamente rese alla polizia giudiziaria ai sensi dell'articolo 350 c.p.p., comma 7 e' condizionata al sol fatto che siano, appunto, spontanee: e' questo il fatto processuale che determina l'utilizzabilita' (limitata) della prova. L'autonoma verbalizzazione di tali dichiarazioni e la sottoscrizione del relativo verbale costituiscono indice di maggiore certezza dell'esistenza del requisito, ma non si vede perche' tale requisito debba essere escluso in radice per il sol fatto che delle dichiarazioni e della loro spontaneita' dia atto un pubblico ufficiale in verbale fidefacente la cui falsita' (ideologica) e' severamente punita (articolo 479 cpv. c.p.). La mancata autonoma verbalizzazione di tali dichiarazioni comportera' una piu' pregnante verifica della natura spontanea di tali dichiarazioni, senza precluderne per cio' solo l'utilizzo. Il Collegio condivide, pertanto, tale principio, che risulta essere prevalente nonche' validamente ed articolatamente argomentato (con argomentazioni non superate dall'orientamento difforme) ed al quale va dato continuita'. Va, quindi, ribadito che la mancata redazione del verbale da parte della polizia giudiziaria per documentare le dichiarazioni raccolte in fase di indagini costituisce mera irregolarita', sempre che siano precisamente individuati il pubblico ufficiale che ha formato l'atto contenente tali dichiarazioni, e i soggetti da cui queste ultime provengono. La mancata verbalizzazione delle dichiarazioni spontaneamente rese alla polizia giudiziaria ai sensi dell'articolo 350 c.p.p., comma 7, non osta alla loro utilizzazione se: a) il contenuto di tali dichiarazioni viene sintetizzato in un'annotazione di polizia giudiziaria; b) non v'e' dubbio della loro natura spontanea (Sez. 3, n. 15798 del 30/04/2020, Rv. 279422 - 02). Nella specie, le doglianze in tema di mancanza di spontaneita' nelle dichiarazioni del (OMISSIS) sono formulate in fatto e sollecitano una diversa interpretazione degli elementi congruamente valutati dalla Corte di merito. Va osservato che i Giudici di appello esaminavano congruamente le obiezioni difensive, che avevano contestato la natura spontanea delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS), poi poste alla base dell'accertamento di responsabilita', ritenendo corretta e incensurabile tale qualificazione. In particolare, veniva rimarcato che il (OMISSIS) si era presentato spontaneamente ai Carabinieri di Brescia, in compagnia del genitore, allarmato per il furto subito presso la sua abitazione e da lui percepito come un possibile atto ritorsivo per il mancato soddisfacimento integrale del debito contratto con il sodalizio criminoso facente capo a (OMISSIS); inoltre, dall'annotazione di PG si evinceva in modo chiaro che non vi era stata alcuna sollecitazione o indicazione da parte dei militari nei confronti del (OMISSIS): il giovane si era presentato senza alcuna sollecitazione alla P.g. ed il genitore che lo aveva accompagnato, preoccupato che la situazione potesse degenerare, lo aveva aiutato a superare l'iniziale ritrosia mostrata nell'affrontare l'argomento a monte della vicenda che lo vedeva come persona offesa. La Corte di merito stimava, di conseguenza, che tali dichiarazioni spontanee, potessero essere poste legittimamente a base della decisione nel giudizio abbreviato. D'altro canto e' pacifico che spetti al giudice accertare, sulla base di tutti gli elementi a sua disposizione, la effettiva natura spontanea delle dichiarazioni raccolte dalla polizia giudiziaria ai sensi dell'articolo 350 c.p.p., comma 7, dando atto di tale valutazione con motivazione che, se espressa in modo congruo e adeguato, come quella contenuta nella sentenza impugnata, non e' sindacabile in questa sede (Sez. 3 n. 2627 del 19/11/2013, P.M. in proc. Cuberi, Rv. 258368:" Le dichiarazioni rese dall'indagato, non possono essere ritenute "spontanee" solo perche' cosi' qualificate dalla polizia giudiziaria che le ha raccolte, essendo invece necessario che il giudice accerti d'ufficio, sulla base di tutti gli elementi a sua disposizione, l'effettiva natura libera e volontaria delle stesse, dando atto di tale valutazione con motivazione congrua ed adeguata). Ne' puo' avere rilievo ostativo alla valutazione di spontaneita' delle dichiarazioni e, quindi, alla loro utilizzabilita' nel presente giudizio, la circostanza che le stesse siano state agevolate dall'intervento di un terzo (nella specie, il padre del (OMISSIS) che lo aveva accompagnato presso la stazione dei Carabinieri). Come correttamente osservato dalla Corte territoriale, infatti, la spontaneita' richiede che vi sia un'autonoma determinazione volitiva da parte dell'indagato, non provocata da richieste degli stessi organi di indagine. Le ulteriori doglianze mosse dai ricorrenti si profilano quali inammissibili censure in fatto: attraverso una formale denuncia di vizio di motivazione si, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali, esponendo censure le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, precluse in sede di giudizio di cassazione. Su punto, al fine di evitare inutili ripetizioni, si richiamano i principi di diritto esposti al paragrafo 3.3. 7. Vanno, poi, esaminati i due motivi di ricorso di (OMISSIS), i sette motivi di ricorso di (OMISSIS), i motivi settimo, ottavo e decimo di (OMISSIS), i motivi dall'ottavo all'undicesimo di ricorso di (OMISSIS), i motivi quarto, quinto, sesto, settimo di (OMISSIS), motivi tutti afferenti all'affermazione di responsabilita' per gli altri reati contestati. 7.1. I due motivi di ricorso di (OMISSIS) sono manifestamente infondati. La Corte territoriale, nel richiamare e confermare le valutazioni del giudice di primo grado, affermava, con apprezzamento di fatto sorretto da argomentazioni congrue e logiche e, dunque, insindacabile in sede di legittimita', che (OMISSIS), nelle circostanze di tempo e di luogo contestate al capo 72) dell'imputazione, aveva concordato la vendita di sostanza stupefacente del tipo cocaina del peso di 514 grammi a (OMISSIS) e (OMISSIS); il chiaro ed inequivoco contenuto delle conversazioni intercettate nonche' i servizi di osservazione che ne costituivano riscontro, comprovavano che (OMISSIS), unitamente al coimputato (OMISSIS), in data 25.7.2018, si incontrava con (OMISSIS)- incaricato per tale incontro da (OMISSIS) - presso il centro commerciale (OMISSIS) per accordarsi in ordine ai termini ed alle modalita' della cessione dello stupefacente; tale incontro era stato programmato il giorno precedente, a seguito di intesa a mezzo telefono, tra (OMISSIS) e (OMISSIS); dopo l'incontro il (OMISSIS) si recava a casa di (OMISSIS) per informarlo dell'accordo raggiunto ed il (OMISSIS) subito dopo contattava telefonicamente (OMISSIS) per avere conferma della fornitura il sabato successivo; il giorno convenuto per la consegna, il 28.07.2018, dopo alcuni contatti telefonici avvenuti nell'immediatezza tra coloro che dovevano presenziare e, in particolare tra (OMISSIS) che doveva ricevere lo stupefacente e (OMISSIS) che, unitamente a (OMISSIS), doveva provvedere alla consegna, la consegna non avveniva per l'intervento degli operanti, che procedevano sequestro dei 514 grammi di cocaina rinvenuti all'interno del borsello che il (OMISSIS) portava a tracolla nonche' delle utenze telefoniche utilizzate per da (OMISSIS) e (OMISSIS); si procedeva, quindi, all'arresto di (OMISSIS) e di (OMISSIS) ed alla denuncia a piede libero di (OMISSIS) e dopo l'arresto intercorrevano una serie di telefonate concitate tra (OMISSIS) e (OMISSIS). Sulla base di tali risultanze istruttorie, quindi, si riteneva integrato il contestato reato di vendita di sostanza stupefacente. La Corte territoriale esprimeva congrua e logica motivazione anche in ordine all'interpretazione del contenuto delle conversazioni intercettate, evidenziando la chiara evidenza ed il risconto operato dai correlati servizi di osservazione. Del pari congrua e logica e' la motivazione relativa alla identificazione di (OMISSIS); la Corte di merito, in aderenza alle risultanze istruttorie, rimarcava come il predetto era stato oggetto di servizi di osservazione che lo avevano visto sopraggiungere in data 25.7.2018 nel luogo concordato per l'incontro con (OMISSIS) ed era stato ripreso anche dalle telecamere di videosorveglianza del centro commerciale (OMISSIS) e, quindi, riconosciuto dagli operanti, in quanto gia' attenzionato nel corso di pregresse attivita' infoinvestigative della Sezione Antidroga della Squadra Mobile di Brescia; inoltre, l'utenza n. (OMISSIS), utilizzata per i contatti telefonici con (OMISSIS), prima e dopo l'incontro del 25.7.2018 e dopo l'arresto dei coimputati in data 28.7.2018, era gia' stata rinvenuta nella disponibilita' di (OMISSIS) nel corso di uno specifico controllo operato dalle forze dell'ordine in data 19.07.2018. I Giudici di appello, pertanto, correttamente confermavano la valutazione del primo giudice, ritenendo provato che (OMISSIS) aveva concorso nella vendita di 514 grammi di cocaina a (OMISSIS) e (OMISSIS), in quanto aveva svolto un ruolo primario nella conclusione dell'accordo di compravendita. Va ricordato che la consumazione del reato di acquisto e cessione di sostanze stupefacenti si consuma nel momento in cui e' raggiunto il consenso tra venditore ed acquirente, indipendentemente dall'effettiva consegna della merce e del pagamento del prezzo, perfezionandosi la compravendita con il solo incontro delle volonta' del compratore e del venditore (Sez. 2, n. 30374 del 16/05/2019, Rv. 276981 - 01; Sez. 4, n. 3950 del 11/10/2011, dep. 31/01/2012, Rv. 251736 - 01). A fronte di tale adeguato, logico e corretto percorso argomentativo, le censure proposte sono, quindi, manifestamente infondate, riproduttive delle medesime doglianze prospettate in appello e, peraltro, orientate a sollecitare una diversa valutazione in fatto delle risultanze istruttorie, preclusa in sede di legittimita'. 7.2. I sette motivi di ricorso di (OMISSIS) sono manifestamente infondati o inammissibili. Con i primi tre motivi si lamenta il mancato assorbimento della condotta di cessione di cui al capo 54) nella piu' grave condotta di acquisto a fini di spaccio di cui al capo 53), della condotta di cessione di cui al capo 57) in quella piu' grave di acquisto a fini di spaccio di cui al capo 58), della condotta di cessione di cui al capo 60) nella piu' grave condotta di acquisto a fini di spaccio di cui al capo 53). Tali motivi sono manifestamene infondati. La Corte territoriale, disattendendo le censure qui riproposte, ha rimarcato come le condotte in questione risultavano essere tutte ontologicamente distinte sotto il profilo temporale e dell'oggetto materiale, specificando, quanto al primo profilo, che le condotte erano state poste in essere in tempi diversi e, con riferimento al secondo profilo, la diversita' del dato quantitativo oggetto di acquisto e detenzione rispetto a quello oggetto di cessione (pag. 253- 254-255 della sentenza impugnata). La valutazione, insindacabile in fatto in quanto congruamente e logicamente motivata, e' corretta in diritto. Costituisce ius receptum che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 ha natura giuridica di norma a piu' fattispecie, con la conseguenza che, da un lato, il reato e' configurabile allorche' il soggetto abbia posto in essere anche una sola delle condotte ivi previste, dall'altro, deve escludersi il concorso formale di reati quando un unico fatto concreto integri contestualmente piu' azioni tipiche alternative previste dalla norma, poste in essere senza apprezzabile soluzione di continuita' dallo stesso soggetto ed aventi come oggetto materiale la medesima sostanza stupefacente (Sez. 3, n. 8999 del 05/12/2019, dep. 05/03/2020, Rv. 278418 - 0101; Sez. 4, n. 109 del 28/11/2018, dep. 03/01/2019, Rv. 275075 - 01; Sez. 3, n. 7404 del 15/01/2015, Rv. 262421). E perche' possa escludersi il concorso formale, occorre la presenza di piu' circostanze: a) che si tratti dello stesso oggetto materiale; b) che le attivita' illecite minori siano compiute dallo stesso soggetto che ha commesso quelle maggiori o dagli stessi soggetti che ne rispondono a titolo di concorso; c) che vi sia identita' spazio- temporale tra le condotte e, cioe', si verifichi il susseguirsi di vari atti, sorretti da un unico fine, senza apprezzabili soluzioni di continuita'. Ne consegue che qualora le differenti azioni tipiche siano distinte sul piano ontologico e cronologico, esse costituiscono, conseguentemente, piu' violazioni della stessa disposizione di legge e, dunque, reati distinti, eventualmente unificabili per continuazione, se commessi dagli stessi soggetti in concorso tra loro ed in presenza di un disegno criminoso unitario (Sez. 3, n. 8163 del 26/11/2009, dep. 02/03/2010, Rv. 246211; Sez. 3, n. 7404 del 15/01/2015, Rv. 262421). Il quarto motivo e' inammissibile. La Corte territoriale, condividendo la valutazione del primo giudice, confermava l'affermazione di responsabilita' relativa alla condotta di acquisto e detenzione di sostanza stupefacente del tipo cocaina contestata al capo 62) dell'imputazione, richiamando le convergenti risultanze istruttorie, in particolare, il contenuto delle conversazioni intercettate, l'informativa di Pg e la relativa annotazione di monitoraggio di autovetture, il sistema di videosorveglianza cittadino, nonche' la chiamata in correita' di (OMISSIS); tali risultanze istruttorie, complessivamente valutate, comprovavano l'incontro in data (OMISSIS) presso il parcheggio di via (OMISSIS), tra il venditore della sostanza stupefacente, (OMISSIS), e gli acquirenti (OMISSIS) e (OMISSIS) nonche' la consegna dello stupefacente, che veniva, poi, ceduto, nello stesso giorno, dal (OMISSIS) nel comune cremonese di (OMISSIS) ad un cliente abituale (cliente che nei giorni precedenti aveva contattato telefonicamente il (OMISSIS) per chiedere, insistentemente, una fornitura di cocaina). A fronte di tale adeguata e logica motivazione, il ricorrente propone censure in fatto, finalizzate ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa in sede di legittimita'. Il quinto motivo e' manifestamente infondato. I Giudici di merito, in aderenza alle risultanze istruttorie, ritenevano integrato il reato di favoreggiamento personale contestato al (OMISSIS) al capo 68) dell'imputazione; il (OMISSIS), assunto a sommarie informazioni testimoniali dai Carabinieri di Verolanuova a seguito dei fatti di cui ai capi 66) e 67) - rapina e lesioni personali commesse in danno dello stesso (OMISSIS)- dichiarava falsamente di non conoscere l'identita' dei suoi aggressori ne' i motivi del gesto, cosi' aiutando (OMISSIS), (OMISSIS) ed un terzo soggetto non identificato ad eludere le indagini. Il ricorrente lamenta che la Corte di appello avrebbe erroneamente denegato l'applicazione dell'esimente di cui all'articolo 384 c.p.. Deve osservarsi che la Corte territoriale motivava ampiamente in ordine al diniego in questione, rimarcando che il (OMISSIS), come emergente dalle conversazioni intercettate, aveva riconosciuto almeno uno dei suoi aggressori ed osservando che riferire tale circostanza agli inquirenti non avrebbe comportato alcun nocumento per la sua liberta', trattandosi di circostanza del tutto eventuale e incerta, legata a sviluppi investigativi del tutto aleatori. Le argomentazioni sono congrue e non manifestamente illogiche, e, pertanto, non sindacabili in questa sede. Va ricordato che, secondo il pacifico orientamento di questa Corte, l'operativita' dell'esimente di cui all'articolo 384 c.p. non puo' essere invocata dall'imputato per il semplice timore, prospettato anche solo in forma presunta o ipotetica, di essere coinvolto nella vicenda criminosa, occorrendo invece un effettivo pericolo di danno nella liberta' o nell'onore, il cui concreto verificarsi puo' essere evitato solo con la commissione di uno dei reati in relazione ai quali opera l'esimente in questione (Sez. 6, n. 2806 del 20/11/2006, dep. 25/01/2007, Rv. 235723). Siffatta esimente, invero, implica un rapporto di derivazione del fatto commesso dall'esigenza di tutela di quei beni, che va in concreto rilevato sulla base di un criterio di immediata ed inderogabile consequenzialita', e non certo di semplice supposizione (Sez. 6, n. 10271 del 15/11/2012, dep. 05/03/2013, Rv. 255716, nonche', piu' di recente, Sez. 6, n. 27604 del 18/03/2016, Rv. 267405 01, che ha ribadito che l'esimente prevista dall'articolo 384 c.p., comma 1, non puo' essere invocata sulla base del mero timore, anche solo presunto o ipotetico, di un danno alla liberta' o all'onore, implicando essa un rapporto di derivazione del fatto commesso dalla esigenza di tutela di detti beni che va rilevato sulla base di un criterio di immediata ed inderogabile consequenzialita' e non di semplice supposizione); e si precisato che il correlativo apprezzamento presuppone una valutazione di merito, come tale non consentita in sede di legittimita' (Sez. 2, n. 22362 del 19/04/2013, dep. 24/05/2013, Rv. 255940). Il sesto motivo e' inammissibile. La Corte territoriale, condividendo la valutazione del primo giudice, confermava l'affermazione di responsabilita' relativa ai reati di lesioni personali e violenza privata posti in essere in data 25.6.2018 in danno di (OMISSIS) contestati al capo 76) dell'imputazione. Innanzitutto, deve osservarsi, quanto alla procedibilita' dei reati, che la procedibilita' a querela disposta dalla novella legislativa (Decreto Legislativo n. 150 del 2022) e' esclusa ove ricorra, per il reato di lesione personale, una delle aggravanti previste dall'articolo 585 (fatto commesso con armi improprie o da persona travisata o da piu' persone riunite; ipotesi dell'articolo 576 c.p.) e, per il reato di cui all'articolo 610 c.p. la circostanza che la persona offesa e' incapace, per eta' o per infermita', oppure se concorrono le condizioni previste dall'articolo 339 c.p. (nuovo comma 3: violenza commessa mediante il lancio o l'utilizzo di corpi contundenti o altro oggetti atti ad offendere, compresi gli artici pirotecnici, in modo da creare pericolo per le persone). Ne consegue che, essendo stata le condotte commesse con l'utilizzo di una mazza da baseball, oggetto atto ad offendere, e da piu' persone riunite, il reato deve ritenersi tuttora procedibile d'ufficio. Cio' posto, la Corte di appello, confermava l'affermazione di responsabilita' del (OMISSIS), richiamando le convergenti risultanze istruttorie (conversazioni intercettate, sms, chiamata in correita' di (OMISSIS)) e rimarcando il ruolo di mandante ed istigatore del (OMISSIS) delle condotte illecite materialmente poste in essere da (OMISSIS) e (OMISSIS); in particolare, i Giudici di appello rimarcavano come era emerso il desiderio di vendetta del (OMISSIS) estrinsecatosi nella spasmodica ricerca volta ad identificare tutti coloro che avevano preso parte all'aggressione ai suoi danni (capi 66 e 67 dell'imputazione) ed evidenziavano che all'aggressione in danno della donna aveva partecipato anche (OMISSIS), uomo di fiducia del (OMISSIS), il quale aveva contattato nei giorni precedenti il compartecipe (OMISSIS), dandone, poi, conferma al (OMISSIS), poco prima dell'aggressione, a mezzo sms (al quale riferisce di aver trovato "gli operai" per fare il trasloco); richiamavano inoltre, la circostanza che (OMISSIS), in un successivo colloquio in carcere con il proprio figlio, aveva indicato (OMISSIS) come mandante della spedizione punitiva organizzata ai danni del (OMISSIS), nonche' la chiamata in correita' di (OMISSIS). La motivazione espressa dalla Corte di appello risulta adeguata e priva di vizi logici e si sottrae al sindacato di legittimita', mentre il ricorrente propone censure in fatto, finalizzate ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa in sede di legittimita'; da tanto discende l'inammissibilita' della doglianza. Il settimo motivo e' manifestamente infondato. Deve evidenziarsi che l'unicita' del disegno criminoso costituente l'indispensabile condizione per la configurabilita' della continuazione non puo' identificarsi con la generale inclinazione a commettere reati, sotto la spinta di fatti e circostanze occasionali piu' o meno collegati tra loro, ovvero di bisogni e necessita' di ordine contingente, e neanche con la tendenza a porre in essere reati della stessa indole o specie, determinata o accentuata da talune condizioni psico-fisiche, dovendo le singole violazioni costituire parte integrante di un unico programma criminoso deliberato fin dall'inizio nelle linee essenziali per conseguire un determinato fine, a cui di volta in volta si aggiungera' l'elemento volitivo necessario per l'attuazione del programma medesimo; l'identita' del disegno criminoso, che caratterizza l'istituto disciplinato dall'articolo 81 c.p., comma 2, postula, pertanto, che l'agente si sia previamente rappresentato e abbia unitariamente deliberato una serie di condotte criminose (Sez. U n. 28659 del 18/05/2017, Rv. 270074 - 01; Sez. 1, n. 15955 del 08/01/2016, Rv.266615 - 01; Sez. 1, n. 5618 del 21/12/1993, dep. 22/02/1994, Rv. 196545 - 01). Va, invece, esclusa l'unicita' del disegno criminoso per quei tipi di reati che, non essendo stati preventivamente inizialmente, sono il risultato di decisioni assunte solo nel corso dell'esecuzione del programma (cfr. Sez. 3, n. 896 del 17/11/2015, dep. 13/01/2016, Rv. 266179 - 01, che ha affermato che, ai fini della configurabilita' della unicita' del disegno criminoso e' necessario che le singole violazioni costituiscano parte integrante di un unico programma deliberato fin dall'inizio per conseguire un determinato fine, con la conseguenza che tale unicita' e' da escludere quando la successione degli episodi criminosi, malgrado la contiguita' spazio-temporale e il nesso funzionale riscontrabile tra i distinti reati, evidenzia l'occasionalita' di uno di questi; nella specie, e' stato ritenuto corretto il mancato riconoscimento della continuazione tra il reato di cessione di sostanza stupefacente e quello successivo di resistenza a pubblico ufficiale, sul presupposto che l'imputato, al momento della consegna dello stupefacente, non poteva aver gia' deliberato di porre in essere la resistenza) e, quindi, qualora i reati successivi al primo "risultino frutto di determinazione estemporanea" (Sez. U n. 28659 del 18/05/2017, cit.). Nella specie, la Corte territoriale riteneva non sussistente il vincolo della continuazione tra i reati di reati di cui ai capi 68) e 76) e dei predetti con gli altri reati, in materia di stupefacenti, contestati al (OMISSIS), rimarcando che i reati in questione non potevano costituire sviluppi, deliberati e prevedibili, della programmata attivita' di cessione di stupefacenti, in quanto frutto di determinazione estemporanea per l'imprevedibilita' dell'evento presupposto che ne era a monte (l'aggressione subita in data (OMISSIS) dal (OMISSIS)). Da tali considerazioni in fatto, con congrue e logiche argomentazioni, e' stata tratta la conseguenza che non emergeva l'identita' del disegno criminoso e, quindi, non poteva riconoscersi l'esistenza del vincolo della continuazione tra i reati in questione. La motivazione si sottrae, pertanto, al sindacato di legittimita'; le doglianze mosse dal ricorrente sono, peraltro, anche orientate ad una diversa lettura delle risultanze istruttorie, non consentita in sede di legittimita'. 7.3. I motivi quarto, quinto, sesto e settimo di (OMISSIS) sono inammissibili. Il ricorrente lamenta l'errata qualificazione giuridica delle condotte di cui ai capi 40) e 41) nel delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, operata dalla Corte di appella in conformita' all'originaria contestazione. La Corte territoriale, nel riqualificare gli addebiti come contestati, evidenziava che, dalla complessiva valutazione delle risultanze istruttorie, emergeva per entrambe le ipotesi di reato un ruolo di (OMISSIS) pienamente attivo nelle operazioni dirette a disfarsi della sostanza stupefacente o dei relativi involucri (cfr. pag. 79, 80 e 81 della sentenza di primo grado), perfettamente aderente al suo coinvolgimento nella detenzione della sostanza stupefacente oggetto dei due reati contestati; le condotte, quindi, dovevano qualificarsi come concorso nella detenzione della sostanza stupefacente, unitamente agli altri associati, profilandosi una diretta e materiale disponibilita' della sostanza stupefacente da parte di (OMISSIS), evincibile dalla possibilita' di poter accedere al luogo di custodia e di poterne disporre senza intermediazioni. La Corte, quindi, valorizzava la circostanza che (OMISSIS) aveva agito in autonomia ben conoscendo il luogo di custodia della sostanza stupefacente, tanto da ritenersi dimostrato che egli avesse un'autonoma disponibilita' della stessa e, quindi, la sua piena partecipazione al reato. Le censure mosse dal ricorrente sono orientate a sollecitare una diversa valutazione delle risultanze probatorie effettuata dalla Corte di appello con congrua e non manifestamente illogica motivazione, valutazione di merito preclusa in sede di legittimita'. Quanto al reato di cui al capo 43) - illecita detenzione di 100 grammi del tipo cocaina e vendita ad un connazionale di Scutari-, la Corte di appello nel disattendere la censura difensiva qui riproposta, rimarcava che le risultanze istruttorie (intercettazioni ambientali effettuate nell'autovettura di (OMISSIS)) comprovavano che (OMISSIS) si era accordato con (OMISSIS) per portare 100 grammi di cocaina ad un cliente che risiedeva nel veronese; nell'occasione lo (OMISSIS) aveva fornito all' (OMISSIS) 50 grammi di cocaina, avendo la disponibilita' immediata solo di tale quantita', mentre la restante parte era stata gia' fornita ad (OMISSIS) da altro soggetto, tale Cimi; (OMISSIS) riferiva allo (OMISSIS) che avrebbe portato la droga al cliente l'indomani; a riscontro di tale ultima affermazione, (OMISSIS) effettivamente effettuava l'indomani il viaggio a Verona e, al suo ritorno, divideva con lo (OMISSIS) il ricavato della vendita; la Corte territoriale confermava, quindi, l'affermazione di responsabilita' di (OMISSIS) in relazione al reato contestato al capo 43) dell'imputazione, in aderenza al chiaro dato probatorio. A fonte di tale adeguato e logico percorso argomentativo, le censure mosse dal ricorrente risultano meramente contestative e prive di confronto critico con le argomentazioni dei Giudici di appello. 7.4 I motivi ottavo, nono, decimo ed undicesimo di (OMISSIS) sono inammissibili. La Corte territoriale, condividendo la valutazione del primo giudice, confermava l'affermazione di responsabilita' relativa alla condotta di cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina contestata al capo 16) dell'imputazione, richiamando le chiare risultanze istruttorie: in particolare, la messaggistica scambiatasi a mezzo whatsapp dai protagonisti della vicenda (il (OMISSIS) quale cedente ed il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) quali cessionari della sostanza stupefacente) e comprovava una serrata trattativa, a far data dal 21.9.2017 per l'acquisto di una sostanza stupefacente del tipo cocaina di ottima qualita'; la conclusione dell'accordo veniva desunta dal fatto che, al termine di concitate consultazioni, dalle quali emergeva che (OMISSIS) e (OMISSIS) non disponevano della somma necessaria all'acquisto dell'intera partita di cocaina (pari a Euro 36.000,00) e concordavano l'acquisto di mezzo chilo della sostanza stupefacente; l'analisi dei tabulati telefonici, poi, dava atto sia del viaggio del (OMISSIS) per recuperare la partita di droga che della consegna dello stupefacente al (OMISSIS) (pagg 240 e 241 della sentenza impugnata). La Corte territoriale, poi, condividendo la valutazione del primo giudice, confermava l'affermazione di responsabilita' anche in relazione alla condotta di cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina contestata al capo 18) dell'imputazione, richiamando le chiare risultanze istruttorie: in particolare, le conversazioni intercorse tra il (OMISSIS) quale venditore e (OMISSIS) quale acquirente della sostanza stupefacente, comprovavano una serrata trattativa, a far data dal 21.9.2017 per l'acquisto di una sostanza stupefacente del tipo cocaina, poi consegnata dal (OMISSIS) al (OMISSIS), quando i due si erano incontrati nel garage di quest'ultimo (pagg 248 e 249 della sentenza impugnata). A fronte di tale adeguata e logica motivazione, il ricorrente propone censure in fatto, meramente ripropositive di doglianze disattese con congrua e logica motivazione dai Giudici di merito, finalizzate ad una rivalutazione delle risultanze preclusa in sede di legittimita'. In particolare, quanto alle censure relative all'interpretazione del contenuto della messaggistica scambiatasi a mezzo WhatsApp dai protagonisti della vicenda, va ricordato che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, Sez. 6, n. 17619, del 08/01/2008, Gionta, Rv. 239724), in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, e' questione di fatto rimessa all'apprezzamento del giudice di merito e si sottrae al giudizio di legittimita', se la valutazione risulta congruamente motivata, come nella specie (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015 Rv. 263715). 7.5. I motivi settimo, ottavo e decimo di (OMISSIS) sono inammissibili. La Corte territoriale, condividendo la valutazione del primo giudice e disattendendo le censure difensive qui riproposte, confermava l'affermazione di responsabilita' in relazione alla condotta di acquisto e detenzione illecita di sostanza stupefacente del tipo cocaina del peso di circa 10 Kg - contestata al capo 21) dell'imputazione -, richiamando le chiare risultanze istruttorie: in particolare, l'arresto in flagranza dello (OMISSIS) nella detenzione del quantitativo di due chilogrammi di cocaina, da poco ricevuto dai suoi fornitori, nonche' il contestuale rinvenimento di materiale cartaceo, manoscritto, riferibile ad una chiara e importante contabilita' di smercio di cocaina, ed il contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate (il quale, correlato alla documentazione contabile rinvenuta, attestante un debito dello (OMISSIS) del valore complessivo di Euro 240.000,00,) comprovavano che la sostanza stupefacente complessivamente acquistata dallo (OMISSIS) corrispondeva a circa 10 Kg di cocaina (corrispondente all'entita' del debito emergente dal materiale cartaceo manoscritto). La Corte territoriale, poi, confermava l'affermazione di responsabilita' in relazione alle condotte di importazione di sostanza stupefacente del tipo cocaina del peso di complessivi Kg 14 - contestate al capo 23) dell'imputazione richiamando le chiare risultanze istruttorie (tabulati telefonici, accertamenti e controlli di Pg, intercettazione di conversazioni telefoniche sulle utenze in uso a (OMISSIS) e (OMISSIS), dichiarazioni del coimputato (OMISSIS)), dalle quali si evinceva che, a seguito dell'interruzione prudenziale delle modalita' di approvvigionamento della droga dall'Olanda tramite il (OMISSIS) e il (OMISSIS), il gruppo capeggiato dallo (OMISSIS) aveva fatto ricorso ad altre modalita' direttamente riconducibili al fornitore, con trasporto della merce affidato ad una coppia di albanesi (uno dei quali identificato in (OMISSIS)) che utilizzavano due distinte autovetture, una con targa belga e l'altra con targa tedesca. A fronte di tale adeguata e logica motivazione (pagg. 270, 271, 272 e 273 della sentenza impugnata), il ricorrente propone censure in fatto, finalizzate ad una rivalutazione delle risultanze preclusa in sede di legittimita'. Con riferimento, infine, alla conferma dell'affermazione di responsabilita' in relazione alle cessioni di sostanza stupefacente del tipo cocaina - contestate al capo 30) dell'imputazione - la Corte territoriale rimarcava, con congrue e logiche argomentazioni, come le chiare e convergenti risultanze istruttorie (intercettazione ambientali e visione delle registrazioni delle telecamere montate in via (OMISSIS)) comprovavano plasticamente le condotte illecite (cfr. pag. 272 e 273 della sentenza impugnata); a fronte di tale percorso argomentativo, il ricorrente propone censure che non si confrontano con specificita' censoria con le argomentazioni espresse dai Giudici di appello (confronto doveroso per l'ammissibilita' dell'impugnazione, ex articolo 581 c.p.p., perche' la sua funzione tipica e' quella della critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso, (cfr. Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Rv. 243838; Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Rv. 244181). 8. Vanno, poi, esaminati i motivi nono, undicesimo, dodicesimo, tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo, sedicesimo, diciassettesimo, diciottesimo e diciannovesimo di (OMISSIS) (ed il motivo nuovo correlato al sedicesimo motivo di ricorso), i motivi dall'ottavo al dodicesimo di (OMISSIS), il secondo motivo di (OMISSIS), tutti afferenti al trattamento sanzionatorio. 8.1. I motivi nono, undicesimo, dodicesimo e tredicesimo di (OMISSIS) sono manifestamente infondati. La Corte territoriale ha ritenuto congruo e confermato l'aumento di pena a titolo di continuazione per i reati di cui ai capi 25), 26) e 27), nella misura di mesi quattro e giorni quindici di reclusione per ogni singolo capo, ritenendolo proporzionato alla gravita' dei fatti in ragione della tipologia di sostanza stupefacente (di tipo "pesante") e del contesto organizzato ed altamente criminogeno in cui le cessioni si collocavano; ha, del pari, ritenuto congruo e confermato l'aumento di pena a titolo di continuazione per il reato di cui al capo 32), nella misura di mesi quattro e giorni quindici di reclusione, ritenendolo proporzionato alla gravita' del fatto, in ragione del consistente quantitativo della sostanza stupefacente oggetto della cessione; ha, poi, ritenuto congruo e confermato l'aumento di pena a titolo di continuazione per il reato di cui al capo 41), nella misura di anni uno e mesi uno in considerazione del consistente dato ponderale. I Giudici di appello, con argomentazioni adeguate e non manifestamente illogiche, hanno, quindi, fatto corretto uso dei criteri di cui all'articolo 133 c.p., ritenuti sufficienti dalla Giurisprudenza di legittimita', per la congrua motivazione in termini di determinazione della pena. Va, a tal proposito, richiamato il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, secondo il quale, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato piu' grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, in quanto il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena e' correlato all'entita' degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall'articolo 81 c.p. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Rv.282269 - 01; Sez. U, n. 7930/94, Rv 201549-01). Manifestamente infondata e' anche la doglianza relativa al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione in relazione al reato di cui al capo 22) dell'imputazione. La Corte territoriale riteneva non sussistente il vincolo della continuazione tra il reato di cui al capo 22) e i reati, in materia di stupefacenti, contestati allo (OMISSIS), rimarcando che il reato in questione (tentativo di recuperare il credito maturato nei confronti del coimputato (OMISSIS) mediante il contestato furto) non poteva costituire sviluppo, deliberato e prevedibile, della programmata attivita' di cessione di stupefacenti, risultando imprevedibile l'evento presupposto che ne era a monte; tale reato, quindi, non poteva far parte dell'iniziale programma criminoso volto alla costituzione di un sodalizio criminoso avente ad oggetto il traffico di rilevanti quantitativi di sostanze stupefacenti, essendo frutto di determinazione estemporanea. Da tali considerazioni in fatto, con congrue e logiche argomentazioni, insindacabili in sede di legittimita', e' stata tratta la conseguenza che non emergeva l'identita' del disegno criminoso e, quindi, non poteva riconoscersi l'esistenza del vincolo della continuazione tra i reati in questione. La motivazione e' conforme al principio di diritto gia' esposto al paragrafo 7.2., con riferimento al settimo motivo di (OMISSIS) relativo ad analoga questione, principio che qui va richiamato per evitare inutili ripetizioni. 8.2. Il quattordicesimo ed il quindicesimo motivo di ricorso di (OMISSIS) sono manifestamente infondati. La Corte di appello riteneva congrua la pena determinata dal primo giudice con riferimento al reato contestato al capo 22), richiamando la gravita' del fatto in considerazione del piu' ampio contesto criminale nel quale si collocava la condotta. Va ricordato che, ai fini del trattamento sanzionatorio, e' sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare la determinazione della pena; e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l'adeguamento della pena concreta alla gravita' effettiva del reato e alla personalita' del reo, non e' censurabile in sede di legittimita' se congruamente motivato. Del resto costituisce principio consolidato che la motivazione in ordine alla determinazione della pena base (ed alla diminuzione o agli aumenti operati per le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti) e' necessaria solo quando la pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media edittale, ipotesi che non ricorre nella specie. Fuori di questo caso anche l'uso di espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congrua riduzione", "congruo aumento" o il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere dell'imputato sono sufficienti a far ritenere che il giudice abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall'articolo 133 c.p. per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al "quantum" della pena (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009 Rv. 245596; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Rv.256197). 8.3. Il sedicesimo motivo di ricorso (ed il correlato motivo nuovo ripropositivo della doglianza) di (OMISSIS) e' manifestamente infondato. L'applicazione dell'aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene all'esercizio di un potere discrezionale del giudice, del quale deve essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo all'apprezzamento dell'idoneita' della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacita' a delinquere del reo, conseguendo da cio' un preciso onere motivazionale da parte del giudice nell'ipotesi di aggravamento della pena per effetto della ritenuta recidiva (Sez. 6, n. 34702 del 16/07/2008, Rv. 240706; Sez. 5, n. 46452 del 21/10/2008, Rv. 242601; Sez. 6, n. 42363 del 25/09/2009, Rv. 244855; Sez. 6, n. 14550 del 15/03/2011, Bouzid Orna, Rv. 250039; Sez. 3, n. 19170 del 17/12/2014, dep. 08/05/2015, Rv. 263464). Nella specie, la Corte di appello ha compiutamente adempiuto all'onere motivazionale, rimarcando non solo i precedenti specifici dell'imputato ma anche la loro gravita' e le modalita' dell'azione dei nuovi reati dimostrative di un radicato inserimento nel traffico delle sostanze stupefacenti, quali elementi che davano atto che i nuovi delitti commessi fossero espressione di una elevata e spiccata capacita' a delinquere dell'imputato. 8.4. Il diciassettesimo motivo di ricorso di (OMISSIS) e' fondato e va accolto, secondo le argomentazioni che seguono. La Corte di appello riconosceva il vincolo della continuazione tra i reati oggetto del presente giudizio (ad eccezione di quello di cui al capo 22) e quelli di cui alla sentenza della Corte di appello di Brescia del 2.3.2021 (irrevocabile il 14.12.2021), reati che unificava ex articolo 81 cpv. c.p.; al contrario, avendo rigettato la relativa doglianza difensiva, escludeva dal vincolo della continuazione il reato di cui al capo 22) con le predette violazioni omogenee, unificate ex articolo 81 cpv. c.p.. Nel rideterminare la pena complessiva, i Giudici di appello violavano il disposto dell'articolo 78 c.p.. Tale norma pone un limite legale al massimo della pena irrogabile in caso di concorsi di reati, secondo il criterio del cumulo materiale temperato; secondo il dictum delle Sezioni Unite, la riduzione conseguente alla scelta del rito abbreviato deve operarsi dopo che la pena e' stata determinata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene stabilite dall'articolo 71 c.p., e s.s., tra cui vi e' anche la disposizione limitativa del cumulo materiale di cui all'articolo 78 c.p., in forza della quale la pena della reclusione non puo' essere superiore ad anni trenta (cfr. Sez. U. n. 45583 del 25/10/2007, Rv. 237692; e piu' di recente, cfr. Sez. I n. 40280 del 21/05/2013, Rv. 257325), e cio' anche nella ipotesi di applicazione della continuazione tra il reato per cui si procede ed altro reato per il quale sia intervenuta sentenza irrevocabile (Sez. 4, n. 48820 del 19/10/2016, Rv. 268332 01). Nella specie, la Corte territoriale determinava la pena per le violazioni omogenee unificate ex articolo 81 cpv. c.p. in anni trentuno, mesi sette e giorni quindici di reclusione e la riportava nel limite legale di anni trenta ex articolo 78 c.p., applicando, poi, la riduzione per il rito, giungendo alla pena di anni venti; escludeva, pero', erroneamente, dalla verifica del rispetto del limite legale del criterio del cumulo materiale temperato la pena determinata in via autonoma per il reato di cui al capo 22) in anni cinque di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa, poi ridotta per la scelta del rito in anni tre, mesi quattro di reclusione ed Euro 800,00 di multa. In tal modo determinava una pena finale detentiva di anni ventitre' e mesi quattro di reclusione, che solo apparentemente, risulta conforme al disposto dell'articolo 78 c.p., n. 1. Invero, la corretta determinazione della pena detentiva deve effettuarsi nei seguenti termini: alla pena detentiva determinata in anni trentuno, mesi sette e giorni quindici di reclusione per le violazioni omogenee unificate ex articolo 81 cpv. c.p., va sommata quella determinata in via autonoma per il reato di cui al capo 22) in anni cinque di reclusione; la pena detentiva complessiva, quindi, risulta pari ad anni trentasei, mesi sette e giorni quindici di reclusione; tale pena va, poi, ridotta ad anni trenta di reclusione in base al disposto dell'articolo 78 c.p. e, quindi, ad anni venti, per la ulteriore riduzione di 1/3 conseguente alla scelta del rito abbreviato. La sentenza deve essere, pertanto, annullata senza rinvio, limitatamente al trattamento sanzionatorio, nei confronti dell'imputato (OMISSIS), con rideterminazione della pena ai sensi dell'articolo 620 c.p.p., lettera l) in anni venti di reclusione ed Euro 800,00 di multa. 8.5. Il diciottesimo motivo di ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. La Corte territoriale ha evidenziando plurimi elementi fattuali (ruolo apicale del sodalizio criminoso dedito al traffico di sostanze stupefacenti, alta professionalita' nella commissione degli illeciti, vasta rete di contatti attraverso la quale il gruppo criminoso capeggiato dallo (OMISSIS) si assicurava con estrema duttilita' ed elasticita' il reperimento di sempre nuovi canali di riferimento per l'importazione della sostanza stupefacente; direzione del sodalizio criminoso anche a seguito della carcerazione subita dallo (OMISSIS)), dai quali, valutati complessivamente, e' stata coerentemente desunta l'elevata pericolosita' sociale dello (OMISSIS). Rispetto a tale adeguato e logico percorso argomentativo, il ricorrente propone una doglianza meramente contestativa, priva di specifico confronto critico con le diffuse argomentazioni dei Giudici di appello, e, pertanto, inammissibile perche' aspecifica. Trova, infatti, applicazione il consolidato principio di diritto secondo cui, in tema di inammissibilita' del ricorso per cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresi' quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008, Rv. 240109; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Rv. 255568; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Rv. 259425). 8.6. I motivi ottavo, nono, decimo ed undicesimo di (OMISSIS) sono manifestamente infondati. La Corte territoriale ha ritenuto congruo e confermato l'aumento di pena a titolo di continuazione per i reati di cui ai 42) e 51), ritenendolo proporzionato alla gravita' del fatto in ragione della tipologia di sostanza stupefacente (di tipo "pesante") e del consistente quantitativo della stessa; ha, del pari, ritenuto congruo e confermato l'aumento di pena a titolo di continuazione per il reato di cui al capo 41) in considerazione del consistente dato ponderale. I Giudici di appello, con argomentazioni adeguate e non manifestamente illogiche, hanno fatto corretto uso dei criteri di cui all'articolo 133 c.p., ritenuti sufficienti dalla Giurisprudenza di legittimita', per la congrua motivazione in termini di determinazione della pena. Va, a tal proposito, richiamato ancora una volta il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, secondo il quale, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato piu' grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, in quanto il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena e' correlato all'entita' degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall'articolo 81 c.p. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Rv. 282269 - 01; Sez. U, n. 7930/94, Rv 201549-01). Manifestamente infondata e' anche la doglianza relativa al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione in relazione al reato di cui al capo 22) dell'imputazione. La Corte territoriale riteneva non sussistente il vincolo della continuazione tra il reato di cui al capo 22) e i reati, in materia di stupefacenti, contestati ad (OMISSIS), rimarcando che il reato in questione (tentativo di recuperare il credito maturato nei confronti del coimputato (OMISSIS)) non potevano costituire sviluppo, deliberato e prevedibile, della piu' ampia attivita' di cessione di stupefacenti, risultando imprevedibile l'evento presupposto che ne era a monte; tale reato, quindi, non poteva far parte dell'iniziale programma criminoso volto alla costituzione di un sodalizio criminoso avente ad oggetto il traffico di rilevanti quantitativi di sostanze stupefacenti. Da tali considerazioni in fatto, con congrue e logiche argomentazioni, insindacabili in sede di legittimita', e' stata tratta la conseguenza che non emergeva l'identita' del disegno criminoso e, quindi, non poteva riconoscersi l'esistenza del vincolo della continuazione tra i reati in questione. La motivazione e' conforme al principio di diritto gia' esposto al paragrafo 7.2., con riferimento al settimo motivo di (OMISSIS) relativo ad analoga questione, principio che qui va richiamato per evitare inutili ripetizioni. 8.7. Il diciannovesimo motivo di (OMISSIS) ed il dodicesimo motivo di ricorso di (OMISSIS), che si trattano congiuntamente perche' oggettivamente connessi, sono inammissibili. Va ricordato che, ai fini dell'applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione dello straniero Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, ex articolo 86 per la avvenuta commissione di reati in materia di stupefacenti, e' necessario non solo il previo accertamento della sussistenza in concreto della pericolosita' sociale del condannato, in conformita' all'articolo 8 CEDU in relazione all'articolo 117 Cost., ma anche l'esame comparativo della condizione familiare dell'imputato, ove ritualmente prospettata, con gli altri criteri di valutazione indicati dall'articolo 133 c.p., in una prospettiva di bilanciamento tra interesse generale alla sicurezza sociale ed interesse del singolo alla vita familiare (Sez. 4, n. 52137 del 17/10/2017, Rv. 271257). Corollario di tale principio (ribadito da ultimo da Sez. 4, n. 9697 del 01/12/2021, dep. 2022) e' che, quant'anche l'ordinamento non sia insensibile alla salvaguardia del nucleo familiare sul territorio nazionale dell'imputato astrattamente destinatario di provvedimento di espulsione, non e' sufficiente tuttavia ad impedire l'allontanamento dallo Stato l'esistenza di un coniuge italiano, nell'assenza di qualsivoglia informazione fattuale ulteriore (la cui introduzione e' onere della parte interessata, cfr. Sez. 4, n. 50379 del 25/11/2014, e da Sez. 4, n. 52317 del 17/10/2017, cit.). Nella specie, i ricorrenti non propongono specifiche deduzioni sulla effettiva stabilita' e composizione del nucleo familiare e sulle probabili conseguenze della espulsione, e sotto questo profilo il ricorso si presenta generico, assertivo e privo di qualsiasi elemento che possa consentire una valutazione, in termini comparativi, delle esigenze familiari, meramente enunciate, ferma restando la acclarata condizione di rilevantissima pericolosita' sociale dell'istante valutata dalla Corte territoriale con diffuse argomentazioni (sez.5, n. 1953 del 29/11/2018, Neagu, Rv.274439; sez.3, n. 30289 del 20/04/2021, Gega, Rv. 281921). 8.8. Il secondo motivo di (OMISSIS) e' manifestamente infondato. La Corte territoriale ha ritenuto congruo e confermato l'aumento di pena a titolo di continuazione per i reati- satellite ritenendolo proporzionato alla gravita' dei fatti in ragione della gravita' del contesto in cui i reati si erano realizzati, come desumibile da una reiterata attivita' di spaccio di sostanza stupefacente di tipo pesante su scala organizzata e dalla personalita' negativa dell'imputato dimostrata dalle modalita' dell'azione che lo vedevano sovente al centro delle attivita' illecite del gruppo criminoso; ha, poi, precisato, quanto all'aumento disposto a titolo di continuazione con il reato di cui al capo 38), che esso era congruo in considerazione dell'eccezionale quantitativo di sostanza stupefacente detenuto. La motivazione e' congrua e non manifestamente illogica ed il linea con il principio di diritto di cui alla sentenza (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Rv. 282269 - 01), in precedenza esposto e si sottrae, quindi, al sindacato di legittimita'. Ne' coglie nel segno la doglianza che gli aumenti di pena sarebbero irragionevoli perche' di identica misura a quelli disposti per i medesimi capi di imputazione al coimputato (OMISSIS), ritenuto capo ed organizzatore del sodalizio. Va ricordato che, questa Corte ha affermato, in tema di ricorso per cassazione, che non puo' essere considerato come indice del vizio di motivazione il diverso trattamento sanzionatorio riservato nel medesimo procedimento ai coimputati, anche se correi, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento del caso, che si prospetta come identico, sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (Sez. 3, n. 27115 del 19/02/2015, Rv. 264020 - 01), ipotesi che qui non ricorre, avendo la Corte territoriale argomentato congruamente in ordine alle ragioni giustificatrici dell'aumento di pena richiamando non solo la gravita' del contesto criminoso in cui avvenivano i fatti ma anche specifici profili soggettivi attinenti alle modalita' della condotta ed alla personalita' dell'imputato. 9. Il ricorso del Procuratore generale della Repubblica presso il Tribunale di Brescia e' fondato. Osserva il Collegio che l'articolo 105 c.p. contempla una figura di pericolosita' qualificata, quella del delinquente professionale, che si configura come una forma speciale di abitualita' criminosa caratterizzata dal proposito di vivere dei proventi del reato. Cio' comporta che, ricorrendo i presupposti stabiliti da tale disposizione, il reo viene sottoposto non solo alla pena prevista per i reati commessi ma anche allo strumento deputato specificamente a perseguire la finalita' special-preventiva e cioe' la misura di sicurezza. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini della declaratoria di professionalita' nel reato, il soggetto deve trovarsi nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualita' e deve avere riportato la condanna per un altro reato. A tale ultimo riguardo va puntualizzato che non occorre che l'imputato commetta un altro reato oltre a quelli gia' richiesti per la dichiarazione di abitualita'. Ed invero i precedenti sono quelli stabiliti dall'articolo 102 c.p. (abitualita' presunta dalla legge) e articolo 103 c.p. (abitualita' ritenuta dal giudice) mentre l'altro successivo reato e' quello che potra' discrezionalmente condurre alla dichiarazione di abitualita' o di professionalita'. A tale conclusione si perviene sia sulla base del dato testuale dell'articolo 105 c.p. ove non si fa riferimento a condanne aggiuntive, limitandosi a richiamare le medesime condizioni per la dichiarazione di abitualita', che alla stregua di un'interpretazione esegetica dell'istituto tesa evidentemente a valorizzare aspetti criminologici qualitativi e non solo meramente quantitativi. L'ulteriore presupposto imprescindibile e' rappresentato dall'accertamento giudiziale che il reo "viva abitualmente, anche in parte soltanto, dei proventi del reato" (Sez. 4, n. 13463 del 05/11/2019, dep. 30/04/2020, Rv. 278919 - 01; Sez. 1, n. 23194 del 2022, non massimata; Sez. 2, n. 43650 del 2021, non massimata; Sez. 2, n. 33612 del 2020, non massimata). Inoltre, la professionalita' nel reato non puo' essere presunta sulla base delle condanne anteriori, ma e' una qualifica che si attribuisce solo ove risulti dimostrato che il delinquente abituale tragga fonte di guadagno pressoche' costante dalla reiterazione delle sue azioni criminose. La ratio di tale forma di pericolosita' qualificata va infatti ravvisata nel "sistema di vita" e, quindi, nella maggiore pericolosita' ed allarme sociale che suscita questa particolare categoria di soggetti (Sez. 5, n. 13933 del 24/09/1986, Rv. 174558; Sez. 2, n. 2483 del 15/12/1969 - dep. 1970 - Rv. 114612). Nella specie, la Corte territoriale, accogliendo il relativo motivo di appello di (OMISSIS), ha ritenuto la declaratoria di professionalita' non conforme al disposto dell'articolo 102 c.p., cosi' riqualificandone il presupposto applicativo. Va osservato (cfr. Sez. 2, n. 6344 del 16/01/1974, Rv. 128045 - 01) che in tema di abitualita' nel reato presunta dalla legge, secondo il dettato dell'articolo 102 c.p. i decenni da prendersi in considerazione sono due: nel primo l'imputato deve aver commesso tre o piu' delitti non colposi della stessa indole, non contestualmente e riportato condanna ad oltre cinque anni di reclusione; nel secondo, con inizio dalla data dell'ultimo dei precedenti delitti, deve aver commesso altro delitto colposo della stessa indole per il quale abbia riportato condanna. Il computo dei precedenti penali non va fatto quindi a ritroso, ma in avanti, dopo essersi accertata la sussistenza, nel primo decennio, della prima condizione (cioe' la condanna ad oltre cinque anni di reclusione per tre o piu' delitti non colposi della stessa indole, commessi non contestualmente). La Corte territoriale ha ritenuto non sussistente il presupposto temporale del secondo decennio, rimarcando che l'ultimo precedente era stato commesso dal (OMISSIS) in data 10.11.2004 e, quindi, i fatti per cui si procede (commessi tra il maggio ed il luglio 2018) si porrebbero oltre il limite del secondo decennio previsto dalla norma con inizio dalla data dell'ultimo dei precedenti delitti. Tale affermazione e' erronea, in quanto non tiene conto del disposto dell'articolo 102 c.p., comma 2, secondo cui "Nei dieci anni indicati nella disposizione precedente non si computa il tempo in cui il condannato ha scontato pene detentive o e' stato sottoposto a misure di sicurezze detentive". Tale disposizione trova applicazione nella specie, atteso che, come evincibile dal certificato del casellario giudiziale in atti e prodotto anche dal ricorrente, il (OMISSIS) si era trovato a scontare pene detentive nel periodo dal 10/11/2004 al 29/02/2016, circostanza che non e' stata considerata dalla Corte di appello. La sentenza, pertanto, in accoglimento del ricorso del Procuratore generale della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, va annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia limitatamente alla disposta revoca della declaratoria di delinquenza professionale nei confronti di (OMISSIS). 10. In definitiva, all'esito dell'esame dei ricorsi, deve cosi' statuirsi: la sentenza impugnata va annullata con rinvio limitatamente al punto concernente la revoca della dichiarazione di delinquenza professionale nei confronti di (OMISSIS); la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al punto concernente il trattamento sanzionatorio con rideterminazione della pena al medesimo inflitta in anni venti di reclusione ed Euro 800,00 di multa, con rigetto del ricorso nel resto (il ricorrente non deve essere condannato al pagamento delle spese processuali, stante il parziale annullamento della sentenza impugnata); vanno rigettati i ricorsi (OMISSIS) e (OMISSIS), nel complesso infondati, con condanna dei ricorrenti, in base al disposto dell'articolo 616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali; vanno dichiarati inammissibili i ricorsi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (alias (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), e, conseguentemente, in base al disposto dell'articolo 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), i predetti vanno condannati al pagamento delle spese del procedimento e della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente la revoca della dichiarazione di delinquenza professionale nei confronti di (OMISSIS) e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al punto concernente il trattamento sanzionatorio e ridetermina la pena al medesimo inflitta in anni venti di reclusione ed Euro 800,00 di multa. Rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS). Dichiara inammissibili i ricorsi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (alias (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Rigetta i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - rel. Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 26/01/2022 del TRIBUNALE di NAPOLI; udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ACETO; lette le conclusioni del PG, PASQUALE FIMIANI, che ha chiesto l'annullamento con rinvio; letta la memoria del difensore, AVV. (OMISSIS), che ha replicato alle richieste del PG chiedendo la declaratoria di inammissibilita' del ricorso o comunque il suo rigetto. RITENUTO IN FATTO 1.11 Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ricorre per l'annullamento dell'ordinanza del 26/01/2022 del medesimo Tribunale che, in parziale accoglimento dell'istanza della sig.ra (OMISSIS), ha sospeso l'esecuzione dell'ingiunzione emessa in attuazione dell'ordine di demolizione di un manufatto edilizio per la cui abusiva realizzazione la (OMISSIS) era stata irrevocabilmente condannata con sentenza pronunciata dal medesimo tribunale. 1.1.Con unico motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606, lettera b) ed e), c.p.p., violazione di legge e vizio di motivazione contraddittoria e manifestamente illogica. Sostiene, al riguardo, che in assenza di elementi tali da giustificare la revoca dell'ordine (assenza di cui l'ordinanza stessa da' contraddittoriamente conto), il Giudice ne ha ordinato la sospensione, di fatto, "sine die". Il Tribunale, prosegue, non ha fatto corretta applicazione del principio di proporzionalita', cui deve essere informato il procedimento di demolizione in esecuzione di sentenze penali di condanna, cosi' come "codificato" da questa Corte di cassazione in ossequio alla giurisprudenza della Corte E.D.U. Sotto il profilo logico non e' credibile, infatti, la tesi del "disagio economico" in capo ad un soggetto che, sloggiato dalla precedente abitazione nel 1990: a) nel 1995 aveva realizzato, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e sismico, un immobile in cemento armato sviluppato su due livelli, estesi, rispettivamente, mq. 120,00 (piano terra, destinato a deposito garage) e mq. 190,00 (primo piano, destinato ad abitazione), di volumetria complessiva pari a mc. 948,00; b) tra il 2013 ed il 2014, aveva trasformato il piano terra da garage ad abitazione onde sistemarvi il figlio ed il suo nucleo famigliare; c) nel 2021 aveva realizzato altre opere quali: i) un muro di cemento armato lungo quindici metri ed alto cinque; ii) un muro di recinzione lungo otto metri e alto due; iii) una platea di cemento estesa sedici metri quadrati. Quanto al principio di proporzionalita', afferma, il GE non ha tenuto conto: - della consapevolezza della illiceita' dell'abuso da parte dell'esecutata che ha reiteratamente serbato un atteggiamento di sfida ai divieti normativi; - della natura e del grado della illegalita'; - della natura degli interessi protetti e tutelati dai numerosi vincoli gravanti sull'area; - del tempo che l'esecutata aveva avuto a disposizione dalla notificazione dell'ingiunzione senza aver trovato una sistemazione alternativa. 2.11 difensore di (OMISSIS) ha depositato memoria concludendo per l'inammissibilita' del ricorso siccome manifestamente infondato e privo di un reale confronto con la "ratio decidendi". CONSIDERATO IN DIRITTO 1.11 ricorso e' fondato. 2.Dalla lettura del provvedimento impugnato risulta che: 2.1.l'ingiunzione a demolire era stata emessa dal PM il 24/03/2014 e notificata il 21/07/2014; 2.2.con istanza dell'11/05/2021, (OMISSIS) aveva chiesto la revoca o la sospensione dell'ingiunzione rappresentando le precarie condizioni economiche proprie e del suo nucleo familiare, nonche' la mancanza di una valida situazione alloggiativa; 2.3.dopo essere stati sloggiati dalla propria abitazione il 24/08/1990, la sig.ra (OMISSIS) ed il marito (che nel gennaio 1990 avevano chiesto l'assegnazione di un alloggio popolare, richiesta reiterata il 14/12/2021), nell'impossibilita' di reperirne un'altra e non avendo disponibilita' economiche, aveva provveduto a costruirne una âEuroËœex novo' nella quale risiedono anche il figlio ed il nucleo famigliare di questi composto da moglie e due bambine; 2.4.non era stata presentata alcuna istanza di condono (circostanza che aveva indotto il Giudice a non accogliere la domanda, formulata in via principale, di annullamento dell'ordine); 2.5.erano state prodotte le dichiarazioni ISEE e la nota dell'INPS di accoglimento del reddito di inclusione che dimostrano, a giudizio del Tribunale, il dedotto disagio socio-economico che legittima, in ossequio al principio di proporzionalita', la sospensione dell'ordine in attesa dell'assegnazione di un alloggio popolare. 6.Tanto premesso, osserva il Collegio: 6.1.correttamente il Tribunale ha richiamato la giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui la sanzione della demolizione del manufatto abusivo, prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 6 giugno 2001 n. 380, articolo 31, e' sottratta alla regola del giudicato ed e' riesaminabile in fase esecutiva, sicche' il giudice dell'esecuzione ha l'obbligo di revocare l'ordine di demolizione del manufatto abusivo impartito con la sentenza di condanna o di patteggiamento, ove sopravvengano atti amministrativi con esso del tutto incompatibili, ed ha, invece, la facolta' di disporne la sospensione quando sia concretamente prevedibile e probabile l'emissione, entro breve tempo, di atti amministrativi incompatibili (Sez. 3, n. 24273 del 24/03/2010, Petrone, Rv. 247791 - 01; Sez. 3, n. 23992 del 16/04/2004, Cena, Rv. 228691 - 01); 6.2. Occorre, a tal fine, che sussista un'incompatibilita' insanabile e non meramente futura o eventuale con i concorrenti provvedimenti della P.A. che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato la abusivita' (Sez. 3, n. 37120 dell'11/05/2005, Morelli, Rv. 232173 - 01), fermo restando il potere-dovere del giudice dell'esecuzione di verificare la legittimita' e l'efficacia del titolo abilitativo, sotto il profilo del rispetto dei presupposti e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio, la corrispondenza di quanto autorizzato alle opere destinate alla demolizione e, qualora trovino applicazione disposizioni introdotte da leggi regionali, la conformita' delle stesse ai principi generali fissati dalla legislazione nazionale (Sez. 3, n. 55028 del 09/11/2018, Rv. 274135 - 01; Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci, Rv. 260972 - 01; Sez. 3, n. 42164 del 09/07/2013, Brasiello, Rv. 256679 - 01); 6.3.dato atto della inesistenza di provvedimenti amministrativi incompatibili con l'esecuzione dell'ordine di demolizione il GE ne ha comunque sospeso l'esecuzione in considerazione delle precarie condizioni economiche della ricorrente "in attesa dell'assegnazione di un alloggio popolare" chiesto con nuova istanza del dicembre 2021, a distanza, cioe', di sette anni dalla notifica dell'ingiunzione di demolizione e di ventuno dalla irrevocabilita' della sentenza di condanna (che tale ordine conteneva); 6.4.il GE ha richiamato, a giustificazione della propria decisione, la giurisprudenza di legittimita' che, nel fare applicazione del cd. principio di proporzionalita' di derivazione convenzionale (cosi' come elaborato dalla Corte EDU in materia di tutela del diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all'articolo 8, Conv. EDU), ha affermato che il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, e' tenuto a rispettare il principio di proporzionalita' enunciato nelle sentenze della Corte EDU Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria del 21/04/2016 e Kaminskas c. Lituania del 04/08/2020, valutando la disponibilita', da parte dell'interessato, di un tempo sufficiente per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile o per risolvere, con diligenza, le proprie esigenze abitative, la possibilita' di far valere le proprie ragioni dinanzi a un tribunale indipendente, l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui sarebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola, nonche' l'eventuale consapevolezza della natura abusiva dell'attivita' edificatoria (Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022, D'Auria, Rv. 282950 - 01, che ha ritenuto corretta la decisione di rigetto dell'istanza di revoca dell'ingiunzione a demolire un immobile abusivo, rilevando che i ricorrenti avevano commesso numerose contravvenzioni urbanistiche e paesaggistiche e piu' delitti di violazione dei sigilli, avevano potuto avvalersi di plurimi rimedi per la tutela in giudizio delle proprie ragioni, avevano beneficiato di un congruo tempo per individuare altre situazioni abitative e non avevano indicato specifiche esigenze che giustificassero il rinvio dell'esecuzione dell'ordine di demolizione onde evitare la compromissione di altri diritti fondamentali; nello stesso senso, Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Leoni, Rv. 280270 - 01); 6.5.come spiegato in motivazione dalla citata Sez. 3, D'Auria, "(a)i fini della valutazione del rispetto del principio di proporzionalita', la Corte EDU ha (...) valorizzato essenzialmente: la possibilita' di far valere le proprie ragioni davanti ad un tribunale indipendente; la disponibilita' di un tempo sufficiente per "legalizzare" la situazione, se giuridicamente possibile, o per trovare un'altra soluzione alle proprie esigenze abitative agendo con diligenza; l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui verrebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola. Inoltre, ai medesimi fini, un ruolo estremamente rilevante e' stato attribuito alla consapevolezza della illegalita' della costruzione da parte degli interessati al momento dell'edificazione ed alla natura ed al grado della illegalita' realizzata (...) La maggior parte delle decisioni di legittimita' ha ritenuto rispettato il principio di proporzionalita' valorizzando il tempo a disposizione del destinatario dell'ordine di demolizione per "cercare una soluzione alternativa" (cosi' Sez. 3, n. 48021 del 11/09/2019, Giordano, Rv. 277994-01, e Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Ferrante, Rv. 273368-01, la quale ha escluso rilievo a situazioni di salute "solo "cagionevole"") o la gravita' delle violazioni (cfr. Sez. 3, n. 43608 del 08/10/2021, Giacchini, che ha valorizzato le dimensioni del fabbricato e la violazione di piu' disposizioni penali, anche in tema di paesaggio, conglomerato cementizio e disciplina antisismica), o entrambe le circostanze (Sez. 3, n. 35835 del 03/11/2020, Santoro ed altro, non massirnata)"; 6.6.orbene, come correttamente dedotto dal PM ricorrente, il Giudice dell'esecuzione ha fatto malgoverno tanto della logica quanto del cd. "principio di proporzionalita'"; 6.7.sul piano della logica, dopo aver escluso la possibilita' di revocare l'ordine di demolizione, il Tribunale ne ha sospeso l'efficacia in assenza di una qualsiasi ragionevole previsione sull'esito della domanda di assegnazione dell'alloggio popolare, senza contestualmente tener conto del lunghissimo lasso di tempo trascorso dalla data di irrevocabilita' della sentenza e dell'ingiunzione, e senza considerare le notevoli potenzialita' economiche sottese alla abusiva realizzazione del fabbricato e relative pertinenze; 6.8.sul piano del rispetto del principio di proporzionalita', il Tribunale non ha effettivamente considerato la reiterazione (e il consolidamento) dell'illecito nel tempo, la gravita' degli illeciti (per dimensione), la consapevolezza di tale gravita', la natura degli interessi gravanti sull'area, la ulteriore trasformazione dell'immobile per ospitarvi un ulteriore nucleo famigliare; 6.9.il Giudice dell'esecuzione ha considerato esclusivamente le condizioni economiche precarie della (OMISSIS) che, peraltro, non sono di per se sufficienti ai fini della revoca/sospensione dell'ordine di demolizione; 6.10.I'ordinanza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio al Tribunale di Napoli. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. VIGNA Maria Sabina - Consigliere Dott. DI NICOLA Paola - Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - rel. Consigliere Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso il decreto emesso il 6 aprile 2022 dal Tribunale di Reggio Calabria; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Debora Tripiccione; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Piergiorgio Morosini, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Reggio Calabria, Sezione misure di prevenzione, pronunciandosi sull'istanza dell'Agenzia Nazionale per l'amministrazione dei beni sequestrati e confiscati, nell'ambito del procedimento a carico, tra gli altri, di (OMISSIS) e (OMISSIS), ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 48, comma 7-ter, ha disposto, per quanto rileva in questa Sede, la divisione dei terreni ubicati in (OMISSIS) iscritti al NCT al foglio (OMISSIS), secondo il progetto divisionale n. 2 redatto dal CTU, assegnando la quota A a (OMISSIS) e ponendo a carico di questo l'onere di corrispondere all'Agenzia il conguaglio di Euro 10.175,12, quantificato dal CTU; la divisione del complesso immobiliare ubicato in (OMISSIS), iscritto al (OMISSIS) e delle pertinenze iscritte al (OMISSIS), secondo il progetto divisionale n. 2 dell'integrazione peritale depositata dal CTU in data 24 maggio 2021, assegnando ad (OMISSIS) il sub. (OMISSIS) (deposito) per la quota del 100% e l'appartamento sito al primo piano per la quota del 100% con l'onere di corrispondere a titolo di conguaglio all'Agenzia la somma di Euro 71.100,00. 2. Propongono separati ricorsi per cassazione (OMISSIS) e (OMISSIS). 2.1 (OMISSIS) deduce la violazione del Decreto Legislativo n. 159 dl 2011, articolo 48, il travisamento della prova nonche' la manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione. Premesso che il terreno oggetto di divisione appartiene in quote uguali al ricorrente e all'Agenzia Nazionale, il ricorrente lamenta l'omesso accoglimento dell'istanza di acquisto dell'intera proprieta' del bene, da considerare non agevolmente divisibile secondo i criteri indicati dal decreto impugnato, con corresponsione di un conguaglio all'Agenzia Nazionale. Nel corpo del motivo si censurano, inoltre, le ragioni poste a fondamento di tale rigetto sia con riferimento al dissenso dell'Agenzia - a dire del ricorrente mai manifestato - in merito al conguaglio determinato dal CTU che alla necessita', non prevista dalla norma, che lo stesso fosse titolare di una quota di maggioranza. 2.2 (OMISSIS) deduce due motivi, tra loro logicamente connessi, con i quali denuncia vizi cumulativi di violazione di legge, omessa motivazione sulle risultanze della CTU ed omessa motivazione sulle soluzioni contenute nelle consulenze tecniche di parte (secondo motivo). La questione centrale intorno alla quale ruotano i due motivi attiene alla scelta del progetto di divisione n. 2, indicato dal CTU, in relazione al quale e' stato determinato un importo a carico del ricorrente a titolo di conguaglio senza considerare il credito a questo riconosciuto dallo stesso CTU di Euro 95.000 per le opere di completamento dell'edificio, i lavori di ripristino dei danni causati dalle infiltrazioni di acqua piovana, l'attivita' urbanistica in sanatoria, l'adeguamento sismico e l'agibilita' dell'edificio. Tenendo conto di tale credito, la relazione del CTU considerava un conguaglio pari a zero a carico del (OMISSIS), con un credito di 23.900 verso l'Agenzia Nazionale; di contro, il decreto impugnato ha erroneamente quantificato l'importo dovuto a titolo di conguaglio in Euro 71.000, omettendo di considerare quanto esposto dal CTU ed ha, altresi', omesso di motivare sul credito di Euro 23.900 che sarebbe maturato a favore del (OMISSIS) dalla scelta del progetto n. 2. Nel secondo motivo si denuncia, infine, l'omessa motivazione sulle diverse e piu' razionali soluzioni divisionali prospettate nella consulenza tecnica di parte. Si afferma, infatti, il carattere apparente dell'unica argomentazione adottata al riguardo dal Tribunale in merito alla difficile divisibilita' degli immobili. Manca, infine, nel provvedimento un riferimento alla corte esterna posta sul lato est del fabbricato. 3. Il Sostituto Procuratore Generale, nel concludere per il rigetto del ricorso, ha rilevato che i giudici di merito, nel procedere alla divisione dei beni e al conguaglio, hanno pienamente rispettato le norme di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 48, giustificando con dovizia di argomentazioni l'opzione effettuata sulla base di indicazioni adeguate e immuni da vizi logici, nonche' ancorate ai dati della consulenza tecnica d'ufficio. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Entrambi i ricorsi pongono come questione centrale la illegittimita' del rigetto dell'istanza di assegnazione esclusiva dei beni formulata da entrambi i ricorrenti. Cio' nella prospettiva, quanto ad (OMISSIS), della violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 48, comma 7-ter, e, quanto a (OMISSIS), della omessa motivazione sulle proposte contenute nella consulenza tecnica di parte, una delle quali (soluzione A) contempla proprio l'assegnazione esclusiva del complesso immobiliare (secondo motivo di ricorso). Va, innanzitutto, premesso che, per quanto rileva in questa Sede, il provvedimento di confisca ha investito quote indivise dei beni di cui sono comproprietari i due ricorrenti e, specificamente, la meta' del terreno di cui e' comproprietario (OMISSIS) e i due terzi del compendio immobiliare di cui e' comproprietario (OMISSIS). Il decreto impugnato, nel ritenere detti beni indivisibili, ha rigettato le istanze di assegnazione formulate da entrambe i ricorrenti, sulla base di un duplice ordine di ragioni: a) la mancanza di accordo tra le parti; b) la circostanza che nessuno dei due ricorrenti e' titolare della quota di maggioranza. Cosi' facendo il tribunale e' incorso nella violazione dell'articolo 48, comma 7-ter, Decreto Legislativo cit. Tale norma contempla, infatti, quattro possibili soluzioni della procedura: a) la divisione del bene confiscato; b) l'assegnazione, su istanza di uno o piu' partecipanti in buona fede alla comunione, del bene immobile indivisibile con versamento dei conguagli; c) se non e' chiesta l'assegnazione, la vendita o, in alternativa, l'acquisizione del bene per intero al patrimonio dello Stato con versamento agli altri partecipanti alla comunione di una somma equivalente al valore determinato dal perito nominato dal tribunale; d) l'acquisizione del bene a titolo gratuito al patrimonio dello Stato nel caso in cui il partecipante alla comunione non dimostri la propria buona fede. Nella fattispecie in esame, dovendosi ritenere implicitamente accertata dal provvedimento impugnato, che nulla dice al riguardo, la buona fede dei ricorrenti, viene in rilievo la fattispecie sub b). La norma prevede, al riguardo, che qualora il bene risulti indivisibile, i partecipanti in buona fede possono chiedere l'assegnazione del bene oggetto di divisione, versando un conguaglio in favore degli aventi diritto nella misura determinata dal perito designato dal tribunale. Quando tale assegnazione e' richiesta da piu' partecipanti alla comunione, la norma prevede che si privilegi nell'assegnazione il titolare della quota maggiore o l'assegnazione in favore di piu' partecipanti se questi lo chiedono congiuntamente. Nel caso in cui, come nella fattispecie in esame, l'assegnazione sia richiesta solo da uno dei partecipanti alla comunione, la norma non richiede affatto, come erroneamente ritenuto dal Tribunale, che l'istante sia titolare di una quota maggioritaria del bene, ne', tantomeno, un accordo tra le parti, rilevando, ai fini della quantificazione del conguaglio, il valore determinato dal perito nominato dal tribunale (in relazione al quale, sulla base di specifiche censure delle parti, il giudice potra', eventualmente disporre ulteriori approfondimenti). Va, dunque, affermato il seguente principio di diritto: in tema di misure di confisca di prevenzione di quote di beni indivisibili, ai fini dell'accoglimento dell'istanza di assegnazione formulata dal terzo comproprietario in buona fede, non e' necessario che questo sia titolare di una quota maggioritaria del bene ne' tantomeno l'accordo con l'Agenzia Nazionale per l'amministrazione dei beni sequestrati e confiscati. 2. L'accoglimento della questione posta da (OMISSIS) con il secondo motivo di ricorso ha valenza assorbente rispetto all'esame del primo motivo di ricorso in relazione al quale va, comunque, rilevato che dal prospetto prodotto dal ricorrente sembrerebbe che effettivamente nulla doveva essere posto a suo carico a titolo di conguaglio in caso di scelta del progetto n. 2. 3. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, va disposto l'annullamento del decreto impugnato con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Reggio Calabria in diversa composizione. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Reggio Calabria in diversa composizione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SIANI Vincenzo - Presidente Dott. MASI Paola - Consigliere Dott. SANTALUCIA Giusepp - rel. Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 23/11/2022 del TRIB. LIBERTA' di NAPOLI; udita la relazione svolta dal Consigliere SANTALUCIA GIUSEPPE; sentite le conclusioni del PG, CASELLA G., che conclude per annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata per nuovo giudizio, limitatamente al capo 23. Innammissibilita' nel resto. udito il difensore: L'avv. (OMISSIS) conclude associandosi alla richiesta del PG ed insiste per l'accoglimento degli altri motivi. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del riesame, ha confermato l'ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale ha applicato a (OMISSIS) la misura cautelare della custodia in carcere per due episodi di detenzione illegale di armi comuni da sparo, aggravate dalla finalita' mafiosa, commesse rispettivamente il (OMISSIS) (capi 23 e 26 dell'imputazione provvisoria). E ha contestualmente annullato la medesima ordinanza nella parte in cui aveva applicato la misura carceraria anche per il reato di associazione di tipo mafioso, specificamente camorristico, per aver fatto parte del clan (OMISSIS), dominante tra l'agro nolano e una parte della provincia avellinese (capo 1 dell'imputazione cautelare). 2. Gli elementi indiziari sono stati desunti dai contenuti di conversazioni oggetto di intercettazione. (OMISSIS), adepto del clan (OMISSIS), contatto' il sodale (OMISSIS) chiedendogli di attivarsi rapidamente per recuperare e recapitargli una delle armi in loro possesso, convenzionalmente indicata col nome di "giumenta" al fine di porre in essere un'azione punitiva nei confronti di alcuni soggetti che avevano avuto una discussione con i suoi figli (OMISSIS) ed (OMISSIS). Quindi (OMISSIS) si rivolse a (OMISSIS), il quale si disse disponibile a recuperare lui un'arma dimostrando di averne la disponibilita' e di detenerla a Marzano. Cio' fece mettendo a disposizione l'arma per finalita' proprie del clan, quali la rappresaglia progettata da (OMISSIS). L'aggravante dell'agevolazione mafiosa sussiste anche in relazione alla illegale detenzione di cui al capo 26. (OMISSIS), unitamente a (OMISSIS) e (OMISSIS), furono rilevati dal sistema di sorveglianza predisposto dalla polizia giudiziaria mentre si trovavano all'interno delle pertinenze della masseria di (OMISSIS) ove, dopo aver prelevato dei fucili da una vecchia cella frigorifero, provvedevano a ripulirli e sistemarli. Si recarono quindi su per la montagna ed esplosero alcuni colpi. Le riprese fotografiche furono precedute dalla intercettazione di alcune conversazioni tra (OMISSIS) che contatto' (OMISSIS) e gli chiese aiuto per caricare la legna, con chiaro uso di un termine convenzionale. Il fatto poi che si assistette alla pulizia e alla preparazione dei fucili dimostra che la legna a cui si fece riferimento erano in verita' armi. 3. Avverso l'ordinanza hanno proposto ricorso i difensori di (OMISSIS), che hanno articolato piu' motivi. 3.1. Con il primo motivo hanno dedotto difetto di motivazione in punto di ritenuta gravita' indiziaria in ordine al capo 23), di illegale detenzione di una pistola, e alla correlata aggravante della finalita' mafiosa, sulla base di una ricostruzione travisata dei colloqui intercorsi il (OMISSIS) tra (OMISSIS) e (OMISSIS). Il Tribunale ha indicato il contenuto del colloquio in modo diverso da quello reale, per effetto di un travisamento probatorio desumibile sia dal testo impugnato che dall'allegato progressivo (32600/2016 rit. 904). Il travisamento e' consistito nel ritenere che la pistola richiesta cripticamente con il termine "giumenta" da (OMISSIS) a (OMISSIS) fosse una pistola diversa rispetto a quella nella asserita disponibilita' di (OMISSIS), che si sarebbe spontaneamente offerto di andare a reperire a Marzano una sua arma. (OMISSIS), invero, si disse disponibile non gia' a prelevare un'arma che deteneva a Marzano, quanto a recarsi da (OMISSIS) che, rispondendo a (OMISSIS), aveva appena riferito di essere rimasto a piedi - a casa sua - e quindi aveva bisogno di qualcuno che lo prelevasse con una autovettura. Vi e' stato un evidente errore di trascrizione che ha alterato il senso del colloquio. D'altronde, se non fosse cosi' non si spiegherebbe logicamente il prosieguo del colloquio con la frase di (OMISSIS): "va da (OMISSIS) e digli che la porta". 3.2. Con il secondo motivo hanno dedotto difetto di motivazione in punto di sussistenza dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa per il reato di cui al capo 23). L'ordinanza ha affermato che (OMISSIS) aveva in animo di sedare, seppure ricorrendo ad una reazione armata, una lite tra alcuni ragazzi che avevano picchiato i suoi due figli, (OMISSIS) e (OMISSIS). Non si comprende allora la contestazione dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa, perche' non vennero in rilievo finalita' proprie del clan ma una fibrillazione familiare del solo (OMISSIS). 3.3. Con il terzo motivo hanno dedotto difetto di motivazione in punto di riconoscimento dell'aggravante di mafia per il reato di cui al capo 26). L'ordinanza non ha spiegato in che modo l'aver maneggiato uno/due fucili passandoci sopra un panno bianco e/o sparando dei colpi in aria in aperta campagna nella masseria di (OMISSIS) si sia sostanziato in condotte di agevolazione del sodalizio criminoso. 4. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio di cui al capo 23), assorbito il motivo sull'aggravante, e la dichiarazione di inammissibilita' in riferimento al capo 26). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso merita accoglimento, nella parte e nei limiti che ora si illustrano. 2. L'affermazione di gravita' indiziaria per il capo 23) e' fondata sulla lettura e l'interpretazione dei contenuti di una conversazione oggetto di intercettazione. E' principio di diritto consolidato nella giurisprudenza di legittimita' che costituisca questione di fatto, "rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita' se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite" - Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Rv. 282337 Ed e' appunto nei limiti della manifesta illogicita' e irragionevolezza che si apprezza la fragilita' della interpretazione offerta dal giudice del merito. Se, infatti, si accoglie la lettura proposta, ossia che (OMISSIS) disse che si sarebbe recato a prendere una pistola diversa da quella a cui appena prima (OMISSIS) aveva fatto riferimento, non si comprende il senso dell'affermazione appena successiva di (OMISSIS), che rispose dicendo a (OMISSIS) di recarsi da (OMISSIS) ( (OMISSIS)) per riferirgli di portare lui cio' di cui stavano discorrendo, ossia la pistola, convenzionalmente denominata prima "giumenta" nella conversazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS). Tra i due passaggi di conversazione, posti in immediata consecuzione, si apprezza, dalla prospettiva accolta dal giudice del merito cautelare, una frattura logica che non pare componibile. 3. E' invece infondato il rilievo di ricorso in ordine all'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p.. La pistola a cui fa riferimento l'addebito di cui al capo 23), oggetto ora di annullamento per difetto di motivazione in punto di gravita' indiziaria, sarebbe dovuta servire per dare "una lezione" a dei ragazzi che avevano avuto una discussione con i figli di (OMISSIS). Nei termini della ricostruzione in fatto accolta dall'ordinanza impugnata, e' dunque logica e compiutamente argomentata l'affermazione dell'aggravante perche' la finalita' della condotta non era confinata entro un interesse meramente privato di (OMISSIS) che, di contro, aveva necessita' di affermare e riaffermare la forza criminale del gruppo di cui era partecipe e che sarebbe apparsa appannata ove non fosse stata percepita una reazione non in quanto singoli ma appunto quali partecipi di un sodalizio che esercita su quella porzione territoriale il predominio. Allo stesso modo l'aggravante e' stata correttamente ritenuta per il capo 26). E' appena il caso di precisare che l'interessato ha un interesse attuale e concreto a proporre impugnazione anche soltanto in merito all'aggravante dell'addebito cautelare, atteso che "nel procedimento incidentale cautelare, deve ritenersi concreto ed attuale l'interesse del pubblico ministero a ricorrere per cassazione avverso l'ordinanza con la quale il tribunale del riesame, pur confermando il provvedimento applicativo degli arresti domiciliari, abbia escluso la sussistenza della circostanza aggravante ad effetto speciale del c.d. metodo mafioso, L. n. 203 del 1991, ex articolo 7), quando dal riconoscimento della predetta circostanza possa conseguire l'applicazione di termini di durata della misura maggiori, ovvero l'applicazione della presunzione relativa di adeguatezza della misura custodiale prevista dall'articolo 275 c.p.p., comma 3" - Sez. 6, n. 33473 del 06/06/2018, Rv. 274057 Il Tribunale ha messo in evidenza, con logicita' di esame, che le condotte oggetto di addebito si sono sostanziate nella manutenzione delle armi e nella verifica della loro funzionalita', con chiara destinazione di tal tipo di incombenti alla agevolazione del gruppo criminale di appartenenza. E' quindi ben motivata l'affermazione dell'aggravante anche in ordine a tale addebito. 4. L'ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio in ordine all'addebito di cui al capo 23), al Tribunale di Napoli in funzione di giudice del riesame cautelare. Per il resto il ricorso deve essere rigettato. La Cancelleria provvedera' agli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente al reato di cui al capo 23) e rinvia per nuovo giudizio su tale punto al Tribunale di Napoli competente ai sensi dell'articolo 309 c.p.p., comma 7. Rigetta nel resto il ricorso. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ACETO Aldo - Presidente Dott. GAI Emanuela - Consigliere Dott. CORBO Stefano - Consigliere Dott. GALANTI Alberto - rel. Consigliere Dott. MAGRO Beatrice - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la ordinanza n. 224/2022 R.Es. del Tribunale di Catania del 28 ottobre 2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Alberto Galanti; lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Alessandro Cimmino, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con una prima ordinanza del 29 gennaio 2021 il Tribunale di Catania, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha rigettato la istanza del 8 giugno 2020 con la quale (OMISSIS), assumendo la esistenza di provvedimenti amministrativi ostativi, ha chiesto la revoca dell'ordine di demolizione del manufatto edilizio abusivo sito in Comune di (OMISSIS), disposto con sentenza n. 60/1999 emessa, a carico del medesimo (OMISSIS), in data 9 marzo 1999 dal Gip della Pretura circondariale di Catania, divenuta definitiva in data 27 aprile 1999, sulla base della considerazione che in data 26 novembre 2013 il Comune di (OMISSIS) aveva rilasciato, per le opere oggetto della sentenza di condanna, concessione edilizia in sanatoria n. (OMISSIS) e che, pertanto, ad oggi l'immobile della cui demolizione si tratta risultava essere stato regolarmente assentito. Il Tribunale aveva tuttavia rilevato che la predetta concessione in sanatoria era stata rilasciata sulla base di un prospettato assetto dei luoghi che si e' palesato essere diverso rispetto a quello effettivamente esistente, sicche' la concessione rilasciata doveva ritenersi inefficace ai fini della revoca dell'ordine di demolizione dell'immobile abusivo. 2. Avverso tale ordinanza l'imputato aveva proposto ricorso per cassazione, dichiarato inammissibile con sentenza n. 30345 del 24/06/2021. 3. Il ricorrente presentava quindi nuova istanza di revoca dell'ordine di demolizione, con parere positivo del pubblico ministero del 23/03/2022, avendo il medesimo presentato una SCIA avente ad oggetto le difformita' riscontrate rispetto alla concessione in sanatoria. 4. Il giudice dell'esecuzione di Catania, con il provvedimento impugnato, rigettava l'istanza ritenendo che l'assenza di conformita' tra le opere oggetto di permesso di costruire in sanatoria e quelle effettivamente realizzate (preclusivo alla sanabilita' dell'intervento edilizio) non potrebbe essere surrettiziamente eleminata mediante presentazione di una SCIA avente ad oggetto una parte degli interventi edilizi che, in quanto eseguiti su immobile abusivo, non possono che ripetere le caratteristiche di illegittimita' dell'opera principale cui accedono. 5. Avverso tale provvedimento propone ricorso il (OMISSIS), lamentando con un unico motivogl:trazzOla illegittimita' dell'ordinanza impugnata in quanto avrebbe ritenuto l'assenza di titoli abilitativi (concessione edilizia in sanatoria e successiva SCIA) incompatibili con l'ordine di demolizione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. Preliminarmente, occorre sottolineare come questa Corte non ha accesso agli atti del procedimento, sicche' i plurimi richiami effettuati in ricorso ai provvedimenti amministrativi emanati nell'ambito dei procedimenti attivati dal ricorrente non possono comportare alcuna valutazione degli stessi da parte del Collegio. Cio' nonostante, dal contenuto del ricorso e del provvedimento impugnato si desume che, a fronte della costruzione di un fabbricato abusivo, consistente in un edificio a tre livelli per una consistenza di circa 280 metri quadri, il ricorrente avrebbe ottenuto in data 26 novembre 2013 un permesso a costruire in sanatoria, che il giudice dell'esecuzione di Catania avrebbe ritenuto illegittimo per l'accertata difformita' tra lo stato di fatto di quanto realizzato e di quanto oggetto di sanatoria. La questione e' gia' stata affrontata da questa Corte che, con sentenza n. 30345 del 24/06/2021, ebbe a dichiarare inammissibile il ricorso presentato dall'odierno ricorrente. 3. Scendendo in concreto, la giurisprudenza della Corte ha sempre ribadito che il sindacato del giudice penale sul titolo abilitativo edilizio non costituisce esercizio del potere di disapplicazione, bensi' doverosa verifica dell'integrazione della fattispecie penale (ex plurimis, Sez. 3, n. 30168 del 25/05/2017, Pepe, Rv. 270252; Sez. 3, n. 37847 del 14/05/2013, Sonni, Rv. 256971. Sez. 3, n. 21487 del 21/03/2006, Tantillo, Rv. 234469, con dettagliata ricostruzione dell'evoluzione della giurisprudenza sul tema) e che tale potere/dovere deve essere esercitato anche riguardo a provvedimenti amministrativi di sanatoria o condono, poiche' il mancato effetto estintivo non e' riconducibile ad una valutazione di illegittimita' del provvedimento cui consegua la disapplicazione dello stesso, ma alla verifica della inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell'estinzione del reato in sede di esercizio del doveroso sindacato della legittimita' del fatto estintivo, incidente sulla fattispecie tipica penale (Sez. 3, n. 36366 del 16/6/2015, Faiola, Rv. 26503401; Sez. 3, n. 23080 del 16/04/2008, Proietti, non massimata; Sez. 3, n. 26144 del 22/4/2008, Papa, Rv. 24072801 ed altre prec. conf.). Questa Corte ha anche affermato che analogo potere/dovere deve essere svolto nel giudizio di esecuzione, con riferimento al quale ha precisato che il rilascio del titolo abilitativo conseguente alla procedura di "condono edilizio" non determina l'automatica revoca dell'ordine di demolizione, permanendo in capo al giudice l'obbligo di accertare la legittimita' sostanziale del titolo sotto il profilo della sua conformita' alla legge (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci e altro, Rv. 26097201; Sez. 3, n. 42164 del 9/7/2013, Brasiello, Rv. 25667901; Sez. 3, n. 40475 del 28/9/2010, Ventrici, Rv. 24930601; Sez. 3, n. 39767 del 28/9/2010, Esposito, non massimata; Sez. 3, n. 46831 del 16/11/2005, Vuocolo, Rv. 23264201). Il giudice dell'esecuzione dovra' pertanto procedere ad una valutazione unitaria di quanto realizzato. Come reiteratamente affermato dalla Corte, infatti (v. da ultimo n. 24478 del 17/02/2021, Sarcone), "qualsiasi intervento effettuato su una costruzione realizzata abusivamente, ancorche' l'abuso non sia stato represso, costituisce una ripresa dell'attivita' criminosa originaria, che integra un nuovo reato, anche se consista in un intervento di manutenzione ordinaria, perche' anche tale categoria di interventi edilizi presuppone che l'edificio sul quale si interviene sia stato costruito legittimamente" (Cass. Pen. 11788/2021, n. 27993/2020, n. 25985/2020, n. 48026/2019, n. 9648/2019, n. 51427/2014, n. 26367/2014)". Analogamente n. 6604/2017: "non si possono realizzare interventi di ristrutturazione o di manutenzione straordinaria su un manufatto abusivo, che non sia stato oggetto di sanatoria edilizia, e che tale ulteriore attivita' costruttiva va valutata in modo unitario rispetto alle opere precedentemente.,realizzata". Ancora, questa Corte ha sempre escluso la possibilita4Pe'seguire interventi soggetti a D.I.A. (ora S.C.I.A.) su manufatti abusivi che non siano stati sanati ne' condonati, poiche' gli interventi ulteriori, sia pure riconducibili nella loro oggettivita' alle categorie di opere realizzabili tramite tale strumento autorizzativo, ripetono le caratteristiche di illegittimita' dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente (cosi' Sez. 3, n. 21490 del 19/04/2006, Pagano, Rv. 23447201. Conf. Sez. 3, n. 45070 del 24/10/2008, Rubino non mass.; Sez. 3, n. 1810 del 2/12/2008 (dep. 2009), P.M. in proc. Cardito, Rv. 24226901: Sez. 3, n. 2112 del del 2/12/2008 (dep. 2009), Pizzolante, non massimata. Sez. 3, n. 51427 del 16/10/2014, Rossignoli e altri, Rv. 26133001. V. anche Sez. 3, n. 8865 del 8/11/2016 (dep.2017), Visone, non massimata). Analoga posizione assume la giurisprudenza amministrativa, la quale ha ribadito che "in presenza di manufatti abusivi non sanati ne' condonati, gli interventi ulteriori (pur se riconducibili, nella loro oggettivita', alle categorie della manutenzione straordinaria, della ristrutturazione o della costruzione di opere costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le caratteristiche d'illiceita' dell'opera abusiva cui ineriscono strutturalmente" (Consiglio di Stato, Sez. 6, n. 2171 del 25/11/2021). Rispetto alle citate pronunce, la Corte precisa che al caso descritto (immobili abusivi non sanati ne' condonati) va equiparato quello in cui vi sia stata una procedura di condono o sanatoria, ma essa risulti illegittima. Anche in questo caso, infatti, attraverso il meccanismo della c.d. "eliminazione mentale", il giudice dovra' valutare il manufatto nella sua consistenza materiale prescindendo dal titolo edilizio in sanatoria o condono e verificare se esso sia o meno conforme alla disciplina urbanistica (e paesaggistica e sismica). Infatti, se e' ben vero che l'ordine di demolizione legittimamente impartito dal giudice con la sentenza di condanna per un reato edilizio e' suscettibile di revoca quando esso risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorita', che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l'abusivita' (Sez. 3, n. 47402 del 18/11/2014, Chisci, Rv. 260973), e' altrettanto vero che il giudice dell'esecuzione - investito dell'istanza di revoca o sospensione dell'ordine di demolizione conseguente a condanna per costruzione abusiva - ha il potere/dovere di verificare la legittimita' e l'efficacia del titolo abilitativo, sotto il profilo del rispetto dei presupposti e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio, la corrispondenza di quanto autorizzato alle opere destinate alla demolizione e, qualora trovino applicazione disposizioni introdotte da leggi regionali, la conformita' delle stesse ai principi generali fissati dalla legislazione nazionale (Sez. 3, n. 55028 del 10/12/2018, Bertolami, Rv. 274135 - 01; Sez. 3, n. 47402 del 18/11/2014, citata; Sez. 3, n. 42164 del 9/7/2013, Brasiello, Rv. 256679; Sez. 3, n. 40475 del 28/9/2010, Ventrici, Rv. 249306; Sez. 3, n. 17066 del 4/4/2006, Spillantini, Rv. 234321; Sez. 3, n. 46831 del 16/11/2005, Vuocolo, Rv. 232642). 4. Nel caso concreto, il giudice dell'esecuzione ha fatto buon governo dei principi sovraesposti. Egli ha infatti valutato in concreto, nell'esercizio dei poteri attribuitigli dall'articolo 666, comma 5, c.p.p., i titoli abilitativi rilasciati ed e' pervenuto ad un giudizio negativo in ordine alla validita' ed efficacia dei provvedimenti, ritenendo, correttamente, che in presenza di un condono o una sanatoria illegittimi per mancata corrispondenza tra le opere effettivamente realizzate e quelle per le quali e' stata ottenuta la sanatoria, tutto l'immobile deve ritenersi tuttora abusivo e quindi non sia possibile " procedere alla regolarizzazione mediante SCIA delle difformita' riscontrate. La Corte non puo' che prendere atto dell'accertamento di fatto della originaria natura abusiva delle opere realizzate, accertata con sentenza irrevocabile; della illegittimita' della procedura di condono, rilevata dal giudice dell'esecuzione con provvedimento che non puo' essere oggetto di censura in questa sede; della perdurante abusivita' delle opere realizzate, e infine della loro insanabilita' mediante semplice SCIA, essendo ancora abusivo l'immobile nel suo complesso. 5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e' ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PETRUZZELLIS Anna - Presidente Dott. RICCIARELLI Massimo - rel. Consigliere Dott. APRILE Ercole - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere Dott. RICCIO Stefania - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata il (OMISSIS); (OMISSIS), nata il (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso il decreto in data 09/09/2022 della Corte di appello di Caltanissetta; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere RICCIARELLI Massimo; letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Perelli Simone, che ha concluso per il rigetto del ricorso di (OMISSIS) e per l'annullamento con rinvio in accoglimento del ricorso delle terze interessate in ordine alla confisca dei fondi su cui sono stati edificati o migliorati fabbricati. letta le memorie inviate dai difensori dei ricorrenti. RITENUTO IN FATTO 1. Con decreto in data 09/09/2022 la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato quello del Tribunale di Caltanissetta in data 23/03/2022, con il quale e' stata disposta la confisca di prevenzione, in relazione alle ipotesi di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, comma 1, lettera a) o lettera b), di beni ritenuti nella disponibilita' del proposto (OMISSIS), anche se intestati ai terzi interessati (OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente moglie e figlia del proposto. 2. Ha proposto ricorso (OMISSIS) tramite il suo difensore. 2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e apparenza di motivazione in ordine al rigetto del primo motivo di appello riguardante l'accertamento della pericolosita'. Era stata prospettata l'anteriorita' degli acquisti rispetto alla manifestazione della pericolosita', che il Tribunale aveva desunto da un decreto applicativo di misura di prevenzione e da un'ordinanza di applicazione di misura cautelare per appartenenza a "cosa nostra", ipotesi che in sede di giudizio era stata derubricata nella violazione dell'articolo 418 c.p., poi dichiarato estinto per prescrizione. In particolare il Tribunale aveva perimetrato la pericolosita' tra la seconda meta' degli anni ottanta e la fine degli anni novanta, ma la Corte aveva da un lato ritenuto incongrua tale valutazione, dovendosi aver riguardo ad anni anteriori, dovendosi escludere l'improvvisa acquisizione di un ruolo di rilievo nell'ambito dell'associazione, e dall'altro rilevato che la perimetrazione avrebbe dovuto ritenersi cristallizzata, anche se di seguito aveva sostenuto che il profilo del periodo di espressione della pericolosita' non avrebbe potuto dirsi operante nel caso di specie. In tal modo la motivazione non consentiva di comprendere quale fosse stato il criterio e il periodo concretamente considerato dalla Corte. 2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e motivazione inesistente in relazione al rigetto del secondo motivo relativo alla mancanza del presupposto oggettivo per disporre la confisca, cioe' la sproporzione. La Corte aveva omesso di motivare a fronte di plurimi rilievi, in primo luogo incentrati sulla relazione dell'11/01/2021 del consulente tecnico di parte e sulle note redatte dal Dott. (OMISSIS), dopo la lettura del decreto del Tribunale, con specifico riguardo ai redditi rivenienti dai terreni agricoli, al portafoglio titoli, anche in relazione alla necessita' di attualizzare il valore degli introiti, fermo restando che il Tribunale aveva incluso nella tabella riportata nel decreto, per attestare la sperequazione, le movimentazioni finanziarie relative al conto titoli, pur avendo dichiarato di non volerle ammettere. Di qui le diverse conclusioni del consulente di parte, tali da escludere la sproporzione nel corso degli anni e da dar conto anche della distribuzione dei lavori di ristrutturazione. 2.3. Con il terzo motivo denuncia violazione di legge e motivazione apparente in ordine alla confisca per intero dei beni di proprieta' del proposto. Era stato dedotto che si sarebbe semmai potuta sequestrare e confiscare solo una quota ideale del bene modificato e valorizzato con l'apporto di somme non giustificate, in quanto ritenute di provenienza illecita. 3. Hanno proposto ricorso le terze interessate (OMISSIS) e (OMISSIS) tramite il loro difensore, munito di procura speciale. 3.1. Con il primo motivo denunciano violazione dell'articolo 568 c.p.p., comma 3, articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera a), in ordine alla dichiarata inammissibilita' dell'impugnazione delle terze interessate per carenza di legittimazione e di interesse, e conseguente mancanza di motivazione sui motivi proposti. I motivi di appello ritenuti inammissibili riguardavano l'insussistenza dei presupposti per la confisca, la violazione del principio di correlazione, la violazione delle regole in materia di oneri dimostrativi gravanti sulle parti, il riferimento solo in sede di confisca ad un'evasione fiscale, la valutazione dei rapporti bancari, la riferibilita' dei beni ad epoca anteriore a quello in relazione alla quale era stata prospettata la pericolosita' del proposto, la circostanza che la confisca avesse riguardato beni sui quali erano state fatte addizioni e migliorie, senza un riferimento alla quota idonea del bene, rapportata al maggior valore assunto per effetto del reimpiego di risorse illecite. Inoltre, era stata chiesta l'acquisizione di una relazione tecnica. La Corte aveva reputato che si trattasse di profili non deducibili dai terzi interessati. Le ricorrenti delineano le varie figure di terzi interessati e segnalano che la Corte le aveva ricondotte a quella dei terzi titolari fittizi dei beni. Ma il principio a tal fine affermato nel provvedimento impugnato era svincolato dal caso di specie. Delineano i beni che risultano intestati alle terze ricorrenti e richiamano l'epoca dei relativi acquisiti, risalenti agli anni âEuroËœ72/'73. Segnalano inoltre che i beni oggetto del secondo provvedimento di sequestro (foglio 223, particolo 1,2,3,4,5,6,451) erano oggetto di contratto di affitto di fondo rustico da parte di (OMISSIS) in favore della figlia (OMISSIS), ed avevano un'autonomia funzionale. Indebitamente i beni erano stati ancorati al ravvisato periodo di pericolosita', di gran lunga successivo, non ricorreva l'ipotesi di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 26, comma 2, (OMISSIS) non era semplice prestanome, ma proprietaria dei beni e delle relative accessioni. Peraltro, la legittimazione spetta ai terzi, fermo restando che non era stata dedotta l'appartenenza del bene al proposto e non era stata formulata alcuna deduzione in ordine alla pericolosita', essendo per il resto impensabile che il terzo non possa dedurre sul giudizio di sproporzione in ordine al reddito familiare, nonche' in ordine alla provenienza dei beni. 3.2. Con il secondo motivo denunciano violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24 e all'articolo 111 Cost., nonche' mancanza di motivazione, in quanto priva dei requisiti di completezza e logicita', in ordine alla confisca dei terreni su cui insistono migliorie. La confisca degli immobili in (OMISSIS) si fondava sulla sussistenza di miglioramenti, consistenti in opere edili effettuate reimpiegando risorse illecite. Ma cio' avrebbe semmai imposto il riferimento alla quota ideale del bene rapportata al maggior valore assunto con il reimpiego delle risorse illecite. Non era stata operata comparazione tra valore dei miglioramenti e valore dei terreni su cui insistono. Erano stati confiscati anche terreni sui quali non insiste alcuna riscontrata miglioria. Riportano l'analisi contenuta nel provvedimento di sequestro e nel decreto del Tribunale con riguardo all'epoca dei vari beni: a fronte di cio', richiamano le deduzioni formulate nell'atto di appello, invocando i principi elaborati dalla giurisprudenza in ordine alla confisca della quota ideale del valore, principi volti a contemperare il diritto di proprieta' con le esigenze di prevenzione, e sottolineano la mancanza di giustificazione della confisca di beni acquistati in epoca remota sui quali non erano state fatte addizioni e migliorie. Segnalano l'erroneita' della confisca di terreni su cui non insiste alcunche', che non avrebbero potuto neppure considerarsi pertinenze di quelli su cui insistono fabbricati, fermo restando che le relative particelle sono autonomamente oggetto di contratto di comodato di fondo rustico, per il quale vengono incassati contributi comunitari. 4. Il Procuratore generale ha inviato requisitoria concludendo per il rigetto del ricorso di (OMISSIS) e per l'annullamento con rinvio in accoglimento del ricorso delle terze interessate in ordine alla confisca dei fondi su cui sono stati edificati o migliorati fabbricati. 5. I difensori dei ricorrenti hanno inviato memorie contenenti le rispettive conclusioni, con le quali si insiste nei motivi di ricorso. 6. Il procedimento rientra nell'ambito di applicazione dell'articolo 611 c.p.p., risultando dunque inconferente la formulata richiesta di trattazione orale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso delle terze interessate (OMISSIS) e (OMISSIS) e' inammissibile. 2. Va al riguardo rimarcato come la misura di prevenzione patrimoniale sia diretta contro il proposto e correlata all'esigenza di sottrarre beni che possano dirsi illecitamente accumulati da chi -in un arco di tempo delimitato ovvero corrispondente all'intero percorso esistenziale- abbia espresso la sua pericolosita', riconducibile a talune delle figure soggettive in varia guisa delineate dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 1 e 4 (sul punto devono richiamarsi i principi affermati da Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262604-5). A tal fine possono prendersi in considerazione anche i beni che, sebbene intestati a terzi, risultino nondimeno nella disponibilita' del proposto, cioe' del soggetto di cui si prospetta la pericolosita', in quanto a lui direttamente o indirettamente riconducibili sul piano patrimoniale e delle risorse necessarie per la loro acquisizione. Nel caso dell'intestazione a terzi, la confisca sara' possibile solo in quanto, in aggiunta agli altri presupposti previsti, possa concretamente dirsi dimostrata quella disponibilita'. Cio' consente di rimarcare come i presupposti per la confisca non riguardino i terzi interessati, i quali sono coinvolti solo dalla prospettata disponibilita' del bene in capo al proposto: ma, nel contempo, risulta evidente che, cosi' come la misura del coinvolgimento dei terzi e' delineata dall'accertamento di quella disponibilita', in assenza della quale viene meno la possibilita' della confisca, al tempo stesso, una volta attestata quella disponibilita', i presupposti per la confisca concernono esclusivamente il proposto, non essendo ravvisabile alcuna concreta legittimazione dei terzi ad interloquire sulla posizione di altro soggetto, ormai indipendente dalla loro. Ed allora deve convenirsi con i rilievi formulati dalla Corte territoriale in ordine alla radicale inammissibilita' dei motivi di ricorso delle due terze interessate, che riguardano in varia guisa i presupposti per la confisca, cioe' la pericolosita', il suo ambito temporale, il computo della sproporzione, la provenienza delle risorse, la disponibilita' di fonti lecite, profili -compresi quelli relativi a taluni temi di natura processuale- correlati all'applicabilita' della misura di prevenzione, una volta accertata la disponibilita' dei beni in capo al proposto. Si tratta del resto di giudizio conforme a quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimita', che ha riconosciuto la legittimazione del terzo a rivendicare l'effettiva titolarita' dei beni, essendo per contro "del tutto estraneo ad ogni questione giuridica relativa ai presupposti per l'applicazione della misura nei confronti di quest'ultimo - quali la condizione di pericolosita', la sproporzione fra il valore del bene confiscato ed il reddito dichiarato, nonche' la provenienza del bene stesso - e che solo costui puo' avere interesse a far valere" (Sez. 5, n. 333 del 20/11/2020, dep. 2021, Icardi Rv. 280249; Sez. 6, n. 7469 del 04/06/2019, Hudorovic, Rv. 278454; Sez. 2, n. 31549 del 06/06/2019, Simply Soc. Coop, Rv. 277225). Corrispondentemente il proposto non potrebbe utilmente difendersi adducendo solo l'insussistenza del rapporto fiduciario e dunque l'effettiva titolarita' del bene in capo al terzo intestatario (Sez. 1, n. 20717 del 21/01/2021, Loiero, Rv. 281389). 3. Deve aggiungersi che le deduzioni formulate nei due motivi del ricorso delle terze interessate non vulnerano specificamente l'assunto della disponibilita' dei beni in capo al proposto. Puo' al riguardo osservarsi che il Tribunale ha, a tal fine, fatto leva sul dato cruciale dello stretto vincolo familiare, qualificato dall'indisponibilita' di redditi o di altre risorse idonee da parte della moglie e della figlia di (OMISSIS). Si tratta di valutazione che si correla a principi consolidati nella giurisprudenza di legittimita', essendosi ripetutamente affermato che "in tema di sequestro e confisca di prevenzione, il rapporto esistente tra il proposto e il coniuge, i figli e gli altri conviventi costituisce, pur al di fuori dei casi delle specifiche presunzioni di cui alla L. n. 575 del 1965, articolo 2-ter, comma 13 (ora Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 26, comma 2), circostanza di fatto significativa della fittizieta' della intestazione di beni dei quali il proposto non puo' dimostrare la lecita provenienza, quando il terzo familiare convivente, che risulta finalmente titolare dei cespiti, e' sprovvisto di effettiva capacita' economica" (Sez. 6, n. 43446 del 15/06/2017, Cristodaro, Rv. 271222; Sez. 5, n. 8922 del 26/10/2015, dep. 2016, Poli, Rv. 266142; il principio trova eco e conferma, in motivazione, anche in Sez. U, n. 12621 del 22/12/2016, dep. 2017, De Angelis, Rv. 270081). A fronte di cio', le ricorrenti si sono limitate a censure generiche e inconferenti, facendo riferimento alla coltivazione dei terreni, alla percezione di fondi comunitari, al rapporto di comodato in favore della figlia, all'autonomia funzionale ed economica del fondo rustico, profili in realta' inidonei a censurare il giudizio alla base della ravvisata disponibilita' dei beni in capo al proposto e valutabili nell'ambito di tale disponibilita' e in coerenza con essa. 4. Altrettanto inammissibile risulta il ricorso di (OMISSIS). 5. Il primo motivo e' manifestamente infondato. Alla luce dell'analisi del Tribunale la Corte ha confermato il giudizio di pericolosita' qualificata del ricorrente, ponendo in evidenza i plurimi elementi, costituiti dalle dichiarazioni convergenti di numerosi collaboratori di giustizia, da cui poteva desumersi che il predetto aveva con continuita' posto in essere condotte espressive di appartenenza alla consorteria mafiosa, quale soggetto di fiducia, in grado di proteggere la latitanza di personaggi di spicco del sodalizio, condotte tali da far rientrare il ricorrente nella figura soggettiva di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, comma 1, lettera a) alla luce dell'interpretazione fornita dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione (sul punto si richiama Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, Rv. 271512, secondo cui "il concetto di "appartenenza" ad una associazione mafiosa, rilevante per l'applicazione delle misure di prevenzione, comprende la condotta che, sebbene non riconducibile alla "partecipazione", si sostanzia in un'azione, anche isolata, funzionale agli scopi associativi, con esclusione delle situazioni di mera contiguita' o di vicinanza al gruppo criminale"). In tale prospettiva la Corte ha rilevato che il Tribunale aveva perimetrato sotto il profilo temporale la pericolosita' del ricorrente, facendo riferimento al periodo dal 1986 al 2002: ha, al riguardo, aggiuntivamente osservato che un siffatto giudizio, anche se aveva cristallizzato sul piano processuale l'ambito temporale rilevante, non teneva conto sul piano logico del fatto che un rapporto fiduciario, implicante l'affidamento e la protezione di personaggi apicali di primario rilievo, come (OMISSIS), non avrebbe potuto sorgere all'improvviso ma implicava un processo evolutivo, sviluppatosi nel corso degli anni, anche prima del 1986. Peraltro, tale rilievo della Corte non ha avuto alcuna concreta influenza innovativa rispetto alla valutazione dei presupposti per far luogo alla confisca di prevenzione, ma solo quella di corroborare il rilievo gia' formulato dal Tribunale in ordine alla mancanza di elementi per ravvisare la disponibilita' da parte del ricorrente, in epoca anteriore, di risorse lecite concretamente incidenti sul giudizio di sproporzione, risorse che, con riferimento al profilo degli investimenti bancari, i giudici di merito hanno ritenuto non dimostrate e di cui hanno comunque prospettato, in assenza di indici diversi, la derivazione da evasione fiscale, tale da precluderne il computo tra le disponibilita' comparabili. Deve al riguardo aggiungersi che l'evasione fiscale, anche quando non si traduce in condotte di per se' penalmente rilevanti, idonee a rendere configurabile una figura soggettiva di pericolosita', assume comunque rilievo, in quanto in nessun caso i proventi di essa possono essere invocati al fine di escludere la sproporzione reddituale. Alla luce di tali rilievi deve dunque radicalmente escludersi qualsivoglia vizio della motivazione, tale da tradursi addirittura nella sua radicale mancanza o nell'impossibilita' di cogliere il percorso logico alla base della valutazione formulata dalla Corte, dovendosi inoltre escludere che sia stata operata un'indebita reformatio in peius, rispetto a quanto gia' oggetto del giudizio del Tribunale. 6. Il secondo motivo di ricorso e' inammissibile, perche' genericamente formulato. Il ricorrente si e' limitato a contestare la valutazione della Corte, sostenendo che non era stata data risposta al secondo motivo di appello, incentrato sul mancato inserimento dei redditi rivenienti dai terreni agricoli, sulla mancata considerazione del portafoglio titoli, sull'attualizzazione dei valori, sulle valutazioni del consulente di parte, motivo che e' stato all'uopo riprodotto. Ma in realta' siffatta doglianza non tiene conto del fatto che le deduzioni riproponevano temi sui quali si era ampiamente soffermato il Tribunale con valutazioni che la Corte ha inteso ribadire. Va invero rilevato che il Tribunale aveva nitidamente escluso la configurabilita' di provviste lecite tali da alterare il giudizio di sproporzione, reputando dunque non determinanti le risultanze del portafoglio titoli, non comprovati redditi derivanti dai terreni agricoli in misura superiore a quella in concreto prudenzialmente stimato, non decisivi i diversi rilievi del consulente, a fronte di quanto osservato da perito all'uopo nominato. Tale analisi e' stata sostanzialmente suffragata dalla Corte, che ha dato conto dell'insussistenza di elementi idonei a comprovare risorse lecite tali da giustificare l'incidenza degli investimenti bancari e delle cedole, fermo restando che il Tribunale aveva inoltre segnalato come non fossero state escluse dal calcolo matematico le plusvalenze derivanti da operazioni di disinvestimento a valle di beni immobili e mobili il cui acquisto a monte non era giustificato sulla base di risorse lecite a disposizione, ne' utili derivanti da sfruttamento di assets che avevano fatto illegittimo ingresso nel patrimonio, operazione che avrebbe condotto al rilievo di una ancora maggiore sperequazione. Ed ancora va rimarcato come la Corte abbia comunque escluso, alla luce della sproporzione anno per anno evidenziata, la rilevanza di operazioni di attualizzazione dei valori in denaro, avendo inoltre ribadito l'insussistenza di elementi idonei a suffragare l'assunto di proventi derivanti da un fiorente allevamento. A fronte di cio', il motivo risulta dunque aspecifico e privo di concreta concludenza. 7. Inammissibile risulta infine il terzo motivo. In poche righe il ricorrente ha inteso riproporre il tema della sequestrabilita' solo di una quota ideale dei beni via via soggetti a trasformazione. Si tratta di doglianza aspecifica, che non si confronta in alcun modo con le valutazioni dei Giudici di merito, che hanno dato rilievo, a prescindere dall'epoca degli acquisti, alle cospicue opere effettuate nel periodo ricompreso nella perimetrazione della pericolosita' del ricorrente, tutte connotate da sproporzione rispetto al computo delle risorse disponibili. Posto che tali opere, secondo la valutazione della Corte, hanno assunto rilievo pregnante e tale da determinare una decisiva trasformazione della qualita' e della fruibilita' degli immobili, coerentemente su tali basi e' stata ravvisata la sussistenza dei presupposti per far luogo alla confisca dei beni nella loro integralita' (in senso conforme puo' del resto farsi rinvio a Sez. 2, n. 27933 del 15/03/2019, Lampo, Rv. 276211). L'assunto difensivo muove dal presupposto che dovesse aversi riguardo all'incremento di valore derivante dagli interventi effettuati nel periodo connotato da pericolosita' e sproporzione, in funzione della determinazione di una quota ideale dei beni sottoponibile a confisca. Ma, atteso il tenore del motivo di ricorso, che non espone specifici elementi a supporto di quanto genericamente prospettato ed a confutazione della motivazione del provvedimento impugnato, non e' dato rinvenire le condizioni per uno scrutinio ammissibile in sede di legittimita', tanto piu' considerando che la censura dovrebbe essere apprezzabile in termini di violazione di legge, in rapporto ai presupposti per l'adozione della misura di prevenzione. 8. In conclusione, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, conseguendone la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa sottesi alla causa dell'inammissibilita', a quello della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GENTILI Andrea - Presidente Dott. REYNAUD Gianni Filippo - Consigliere Dott. MACRI Ubalda - Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro - rel. Consigliere Dott. MAGRO Maria Beatrice - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 17/11/2021 della Corte d'appello di Lecce; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere ANDRONIO Alessandro Maria; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Manuali Valentina, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili; udito, per le parti civili, l'avvocato (OMISSIS), che ha depositato conclusioni scritte e nota spese; uditi l'avv. (OMISSIS), per (OMISSIS), e l'avv. (OMISSIS), per (OMISSIS). RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 17 novembre 2021 la Corte d'appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto - decidendo nel giudizio di rinvio scaturito dalla sentenza della Corte di Cassazione del 23 marzo 2021, n. 14634, di annullamento della sentenza assolutoria emessa in data 14 aprile 2019 dalla medesima Corte d'appello, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Taranto in data 20 luglio 2015 - ha confermato, per quanto qui rileva, la sentenza di primo grado, con cui gli imputati erano stati condannati alla pena di un anno e due mesi di reclusione e al risarcimento del danno in favore delle parti civili per il reato di cui all'articolo 40 c.p., comma 2, articolo 114 c.p., articolo 589 c.p., comma 2, per aver cagionato, con azioni indipendenti, la morte di (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali, mentre percorrevano a bordo di un'autovettura Lancia Y la strada provinciale 12, perdevano il controllo del mezzo, fuoriuscivano dalla sede stradale terminando in un canale di bonifica parallelo e decedevano a seguito del sinistro. 2. Avverso la sentenza (OMISSIS) ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 2.1. Con un primo motivo di doglianza, si denunciano vizi della motivazione e di violazione dell'articolo 40 c.p., comma 2, articolo 114 c.p., articolo 589 c.p., comma 2. Innanzitutto, la difesa evidenzia come non sia stato assolutamente accertato che il conducente dell'auto, (OMISSIS), non avesse ingerite alcool o sostanze psicotrope, visto che non e' stato espletato alcun esame autoptico. Il medico, infatti, aveva effettuato unicamente l'ispezione cadaverica, ritenendo che la causa del decesso del (OMISSIS) e del (OMISSIS) fosse ascrivibile ad asfissia per annegamento. Nel caso di specie - per la difesa - il sinistro andava ascritto unicamente alla condotta imprudente ed imperita del (OMISSIS), il quale, come risultava dalla perizia tecnica del consulente del Pubblico ministero, violava le norme del codice della strada. Ne' si sarebbero considerate le condizioni climatiche, che imponevano un'andatura moderata, e la condotta imprudente e negligente del conducente. Inoltre - sottolinea la difesa - (OMISSIS) era unicamente direttore dei lavori per la costruzione degli argini a seguito dell'inondazione del fiume Lato e non anche, come invece ritenuto nella sentenza impugnata, per tutto cio' che riguardava la viabilita' e la messa in sicurezza della Strada provinciale 12, in quanto la vigilanza delle strade nella zona interessata dal sinistro non era mai stata di sua competenza. In aggiunta, si evidenza come la segnaletica presente al momento del sinistro fosse assolutamente esplicita nello stabilire che il transito dopo il ponte non era permesso indistintamente a tutti gli utenti della strada, essendovi a impedire il passaggio ben due cartelli di divieto di transito, con il panello che escludeva dal divieto stesso solo i frontisti. Un'ulteriore circostanza di rilievo sarebbe, secondo la difesa, quella che l'impresa esecutrice aveva consegnato da piu' di un mese dalla data del sinistro le opere all'ente proprietario, cosicche' la stessa non aveva piu' competenza su quel tratto di strada. In ogni caso, dalle determine dirigenziali n. 126 del 22 luglio 2005 e n. 155 del 26 settembre 2005 emergeva che l'imputato aveva sottoscritto solo l'impegno di spesa necessario per effettuare i lavori di ripristino dell'alveo del fiume, liquidando gli onorari alla ditta, ma non aveva ulteriori competenze. 2.2. Con un secondo motivo di ricorso si lamentano vizi della motivazione e di violazione delle disposizioni prima indicate,, anche con riferimento al Decreto Ministeriale n. 223 del 1992, articolo 3. Si sostiene che (OMISSIS) non e' mai stato officiato di compiti di progettazione di opere stradali o di protezione stradale, come invece asserito nella sentenza impugnata. Pertanto, pretendere di individuare una sua responsabilita' per omessa progettazione e realizzazione di opere rientranti nella sua competenza rappresenterebbe una palese violazione delle norme che individuano i compiti e le responsabilita' dei pubblici dipendenti. L'eventuale scelta di proteggere la zona con l'istallazione di un guardrail non sarebbe stata di spettanza dell'imputato, ma semmai di altri soggetti, dotati di specifica competenza progettuale per quella specifica zona territoriale, ovvero di chi aveva superiori doveri di controllo e vigilanza. D'altronde, secondo la difesa, la stessa pretesa che un guardrail fosse istallato in un punto in cui il canale di bonifica dista ben 24 metri dalla sede stradale e' quantomeno di dubbia fondatezza, anche considerando il fatto che la strada provinciale 1.2 era al momento del sinistro chiusa al traffico per la perdurante efficacia dell'ordinanza presidenziale n. 70 del 2004. In ogni caso, secondo la difesa, la norma da prendere in considerazione nella specie non e' l'art, 3 del Decreto Ministeriale n. 223 del 1992 ma l'articolo 3 delle Istruzioni tecniche per la progettazione, l'omologazione e l'impiego dei dispositivi di ritenuta nelle costruzioni stradali, allegate al Decreto Ministeriale stesso. Si sarebbe dovuto considerare che nella zona il traffico era ridotto, che la pendenza della scarpata era nulla, che il raggio di curvatura dell'asse stradale non presentava particolari problematicita' e che, dunque, non vi era obbligo di guard-rail, come anche confermato dalla persona trasportata sopravvissuta all'incidente. Inoltre, si afferma che la motivazione della sentenza impugnata appare contraddittoria laddove esclude la penale responsabilita' di (OMISSIS) - titolare dell'omonima impresa, esecutrice dei lavori - sul rilievo che la stessa impresa aveva gia' consegnato i lavori, ma non esclude quella dell'odierno ricorrente (OMISSIS). Non si sarebbe considerato che anche quest'ultimo aveva terminato il suo rapporto rispetto al contratto di appalto, con la consegna dell'opera alla Provincia di Taranto da parte della ditta appaltatrice. 2.3. In terzo luogo, si lamentano la violazione delle disposizioni gia' menzionate e dell'articolo 185 c.p., nonche' la mancanza di motivazione, nella parte in cui la Corte territoriale ha pronunciato nei confronti degli imputati la sentenza di condanna al risarcimento dei danni, anche in relazione alla mancata attestazione dell'avvenuto risarcimento del danno subito dalle parti civili. Si chiede, inoltre, che sia sospesa la provvisoria esecuzione delle provvisionali gia' concesse; provvisoria esecuzione gia' sospesa con ordinanza della Corte d'appello di Taranto. 2.4. Con una quarta doglianza, si lamentano vizi della motivazione e la violazione delle disposizioni gia' menzionate e degli articoli 132 e 133 c.p., in punto di determinazione della pena. La Corte d'appello - secondo la difesa avrebbe omesso di effettuare un distinguo sulla pena irrooata dal Tribunale, perche' la posizione di (OMISSIS), in relazione alla contestazione di cui al capo di imputazione, va ritenuta meno incisiva di quella del dirigente (OMISSIS), anche alla luce del fatto che lo stesso non aveva nessuna posizione di garanzia rispetto alla messa in sicurezza della strada. 2.5. Con un quinto motivo di ricorso,, si denunciano la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione e la violazione dell'articolo 40 c.p., comma 2, articolo 114 c.p., articolo 589 c.p., comma 2 e, con riferimento al Decreto Ministeriale n. 223 del 1992, articolo 3, in quanto la Corte territoriale si sarebbe limitata a respingere le doglianze difensive con formule di stile e in base ad assunti erroneamente assertivi e distonici rispetto alle risultanze istruttorie, con particolare riferimento all'obbligo di predisporre il guard rail e alla sua sussistenza in capo all'imputato. 3. La sentenza e' stata impugnata anche nell'interesse di (OMISSIS), con un unico motivo di ricorso, con cui si lamentano la mancanza, la contraddittorieta', la manifesta illogicita' della motivazione, non avendo la motivazione impugnata tenuto conto delle plurime prospettazioni difensive volte a scardinare l'impianto accusatorio. Il difensore sottolinea come il ruolo rivestito da (OMISSIS) di responsabile del procedimento sia consistito solo nel garantire che tutte le fasi del procedimento fossero realizzate, al fine di evitare l'inerzia della pubblica amministrazione. Con riferimento al canale oggetto della disamina tecnica, si evidenzia che non puo' essere considerato una pertinenza della strada perche', in ossequio all'articolo 24 C.d.S., le pertinenze per essere tali devono essere destinate in modo permanente al servizio o all'arredo funzionale della strada. Nel caso di specie, invece, il canale non serve una strada, ma la attraversa, in corrispondenza di un ponte realizzato ad hoc. Inoltre - asserisce il difensore lo spazio percorso dall'automobile nel luogo del sinistro e' di oltre 20 metri, come tale fuori dalla fascia di pertinenza massima di 6 metri. 4. Con memorie pervenute presso la cancelleria di questa Suprema Corte il 20 dicembre 2022 e il 12 gennaio 2023, i difensori degli imputati insistono per l'accoglimento dei ricorsi e, in particolare, per l'annullamento o revoca delle statuizioni civili. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' infondato. 1.1. Il primo motivo di doglianza - sostanzialmente riferito alla motivazione della sentenza impugnata circa le modalita' di causazione del sinistro e l'obbligo di garanzia in capo all'imputato - e' infondato. La motivazione della sentenza impugnata, in linea con i principi affermati dalla Corte di cassazione in sede di annullamento con rinvio, evidenzia come la segnaletica presente sul luogo fosse contraddittoria e che a tale contraddittorieta' fosse ascrivibile l'incidente occorso, dovendosi ritenere recessivi ulteriori elementi - peraltro frutto di mere illazioni difensive - quale l'eventualita' che il conducente avesse ingerito alcol o sostanze stupefacenti o quello relativo alla violazione di norme del codice della strada, di per se' insufficiente a giustificare il sinistro. Nella sentenza di primo grado, con la quale quella impugnata si salda sul piano argomentativo, si afferma, in particolare, che la segnaletica di cantiere con sfondo giallo (divieto di transito solo in caso di allagamento) avrebbe dovuto prevalere per l'utente della strada rispetto a quella ordinaria di divieto di transito ugualmente presente, con specifica violazione dell'articolo 30 reg. esec. cod. str., che pone il divieto di apporre segnaletiche contraddittorie (pagg. 5-7 della sentenza di primo grado). Il Tribunale ha giuridicamente ricostruito la responsabilita' di (OMISSIS), evidenziando che lo stesso aveva personalmente disposto l'apposizione della nuova segnaletica di accesso alla strada in esecuzione delle determinazioni dirigenziali nn. 126 e 155 del 2005, a fronte di un'ordinanza del Presidente della Provincia che non era stata revocata e che prevedeva la chiusura al traffico della strada in questione; chiusura che costituiva il solo rimedio idoneo a consentire che la strada restasse priva di barriere protettive nonostante la pericolosita' della presenza del canale di bonifica. Tale ricostruzione, sulla scorta dei principi affermati dalla Corte di cassazione in sede di annullamento, e' stata fatta propria dalla Corte d'appello, la quale ha valorizzato la permanenza dell'efficacia dell'ordinanza di chiusura della strada, con la quale le determinazioni dirigenziali a firma (OMISSIS), eseguite dall'imputato, si ponevano in contraddizione. 1.2. Il secondo motivo di ricorso - con cui si lamentano vizi della motivazione e di violazione delle disposizioni incriminatrici e del Decreto Ministeriale n. 223 del 1992, articolo 3 - e' inammissibile, alla luce di quanto affermato da questa Corte nella sentenza di annullamento dalla quale e' scaturito il giudizio di rinvio. Con tale pronuncia, infatti, si e' ricostruito il ruolo svolto dall'imputato nella vicenda e si e' evidenziato come l'obbligo di apposizione del guard rail derivi dall'articolo 14 C.d.S., a mente del quale "gli enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidita' della circolazione, provvedono: a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonche' delle attrezzature, impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell'efficienza delle strade e relative pertinenze" (sul rilievo dell'articolo 14 quale fonte dell'obbligo manutentivo cfr. anche Sez. 4, n. 46831 del 27/10/2011, Rv. 252141;). Non e' quindi applicabile, come invece sostenuto dalla difesa, il Decreto Ministeriale n. 223 del 1992, articolo 3. La norma evocata, infatti, prevede quali contenuti debba avere la progettazione delle strade pubbliche, in modo che essa contempli i tipi di barriera di sicurezza da adottare e, invero, l'esistenza di una fonte di pericolo impone di per se' l'intervento volto a eliminarlo, oppure, ove non possibile una soluzione radicale, almeno a ridurlo, senza alcun rilievo del carattere occulto o palese di tale pericolo e ferma restando l'ipotizzabilita' di un concorso dell'utente della strada, ove tenga una condotta colposa causalmente efficiente. 1.3. Il terzo motivo di ricorso - riferito alla mancata revoca delle statuizioni civili - e' infondato. Risulta infatti dall'ordinanza della Corte d'appello del 14 giugno 2016 che le parti civili sono state integralmente risarcite dalle assicurazioni, con conseguente sospensione dell'esecuzione della condanna al pagamento delle provvisionali. Se tale sospensione dell'esecuzione impedisce, in concreto, alle parti civili di lucrare ulteriori somme a titolo di risarcimento del danno, facendo venire meno la funzione anticipatoria della provvisionale, la statuizione civile di condanna contenuta nella sentenza di primo grado e confermata nella sentenza impugnata e' limitata al generico accertamento della responsabilita' civile, ampiamente suffragato dalle risultanze processuali. Trattasi, dunque, di questioni che potranno essere affrontate eventualmente nella sede civile, nella quale troveranno regolamentazione i rapporti fra danneggiati, danneggianti e assicurazioni. 1.4. La quarta doglianza - relativa al trattamento sanzionatorio - deve ritenersi assorbita in forza di quanto si dira' sub 3. 1.5. Quanto al quinto motivo di ricorso, deve rilevarsi come lo stesso sia in parte generico, perche' riferito a non meglio precisati i vizi motivazionali della sentenza impugnata, e in parte comunque inammissibile, essendo riferito a all'obbligo di predisporre il guard rail e alla sua sussistenza in capo all'imputato, su cui e' sufficiente qui richiamare quanto gia' evidenziato sub 1.2. 2. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' infondato. Per quanto riguarda le censure relative alla provvisionale e all'omessa considerazione del disposto di cui al Decreto Ministeriale n. 223 del 1992, articolo 3 valgono le considerazioni gia' svolte per il coimputato (OMISSIS) sub 1.2. e 1.3. Quanto invece alla ricostruzione della posizione di garanzia gravante su (OMISSIS), deve darsi atto di come il ricorso risulti formulato in maniera generica, non avendo contrastato in modo diretto la valenza logica dirimente dell'affermazione secondo cui l'imputato era il dirigente che aveva adottato le deliberazioni che avevano portato alla posizione della segnaletica contraddittoria, in espresso contrasto con l'ordinanza presidenziale che disponeva la chiusura della strada. 3. Cio' premesso, essendo i ricorsi infondati e non inammissibili, occorre rilevare come i reati ascritti agli imputati risultino essere gia' prescritti alla data odierna. Al termine prescrizionale ordinario secondo la legge vigente al momento del fatto (decorso il 26 dicembre 2020) devono essere infatti aggiunti 9 mesi e 24 giorni per sospensione del decorso della prescrizione (dal 19 marzo 2012 al 28 giugno 2012, per adesione del difensore all'astensione dalle udienze proclamata da organismi di categoria; dal 13 dicembre 2012 al 7 febbraio 2013, per impedimento del difensore; dal 27 giugno 2013 al 18 luglio 2013, per impedimento del difensore; dal 12 dicembre 2018 al 12 aprile 2019, per richiesta difensiva), giungendosi cosi' alla data del 20 ottobre 2021. 4. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti dei ricorrenti, per essere il reato estinto per prescrizione. I ricorsi devono essere rigettati agli effetti civili, con condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, da liquidarsi in complessivi Euro 4900,00, oltre accessori di legge. P.Q.M Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti dei ricorrenti, per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta i ricorsi agli effetti civili e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, che liquida in complessivi Euro 4900,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. PEZZULLO Rosa - rel. Consigliere Dott. Scarl INI Enrico V. S. - Consigliere Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. BELMONTE Maria Teresa - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 04/07/2022 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere PEZZULLO ROSA; Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore VENEGONI ANDREA che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 4.07.2022, la Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza emessa il 16.10.2020 dal Tribunale di Lecco -di assoluzione di (OMISSIS) dai reati ascrittigli (capi A, B, C) - lo ha dichiarato, invece, colpevole del reato di cui al capo B, per avere cagionato lesioni, ex articolo 61, n. 11 quinquies, articolo 582, articolo 585, comma 1 e 2, articolo 576 n. 1 in relazione all'articolo 61 c.p., n. 2, articolo 576 c.p., n. 5, articolo 577 c.p., comma 2, alla propria coniuge (OMISSIS), del tipo "trauma cranico da percosse in paziente con reiterati episodi di percosse in famiglia in presenza di minori", giudicate guaribili in giorni 10, con l'aggravante di aver commesso il fatto con una sedia, quale strumento atto ad offendere. 2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), con atto a firma dell'avv. (OMISSIS), affidando le proprie censure a due motivi di ricorso, con i quali deduce: 2.1 con il primo motivo, il vizio di violazione di legge, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) per inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 585 c.p., comma 2, n. 2, per avere la Corte territoriale ritenuto la sussistenza dell'aggravante dell'utilizzo di strumenti atti ad offendere, dei quali e' dalla legge vietato il porto in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo; tuttavia l'aggravante in esame non e' configurabile poiche' l'oggetto utilizzato per colpire la persona non rientra affatto tra le "armi improprie" secondo la definizione di cui alla L. 18 aprile 1975, n. 110, articolo 4, tenuto conto del fatto che e' richiesto il porto dell'oggetto fuori dall'abitazione o dalle pertinenze e l'uso che di esso si intende fare al fine di ledere l'altrui integrita' fisica; l'oggetto in questione si trovava all'interno dell'abitazione dell'imputato, luogo ove e' usuale trovare cose simili e non si e' riscontrato il porto fuori dall'abitazione o dalle relative pertinenze; in secondo luogo, non sono state riscontrate le particolari circostanze di tempo e di luogo che rendevano la cosa chiaramente utilizzabile per offendere la persona; 2.2. con il secondo motivo il vizio di motivazione in relazione all'articolo 131 bis c.p., per non avere la Corte territoriale motivato la mancata applicazione della causa di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto ex articolo 131 bis c.p., non contenendo la sentenza impugnata un percorso logico che spieghi la conclusione di rigetto cui e' pervenuta, traducentesi in una motivazione apparente. 3. Il procuratore generale in sede, in persona del sostituto procuratore, Dott. Venegoni Andrea, ai fini della decisione del ricorso, ha fatto pervenire le sue richieste scritte, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, conv. con modificazioni dalla L. n. 176 del 2020, del Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, articolo 16, convertito con modificazioni dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15, nonche' del Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, articolo 94, comma 2, del come modificato dalle Legge di Conversione 30 dicembre 2022, n. 199, articolo 5 duodecies, il Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, concludendo per l'inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile, siccome manifestamente infondato. 1. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente reitera le doglianze in merito alla contestazione dell'aggravante di cui all'articolo 585 c.p., comma 2, n. 2, poiche' l'oggetto utilizzato per colpire al capo la persona offesa - una sedia - non rientrerebbe tra le "armi improprie", secondo la definizione di cui alla L. 18 aprile 1975, n. 110, articolo 4. All'uopo il ricorrente omette di confrontarsi con le ragioni per le quali i giudici di merito hanno correttamente ritenuto sussistente l'aggravante del fatto commesso con arma, rinvenibile nella circostanza che l'articolo 585 c.p., comma 2, n. 2, individua, tra l'altro, quali "armi" tutti gli strumenti atti ad offendere, dei quali e' dalla legge vietato il porto senza giustificato motivo. La norma in questione evoca il concetto di "arma impropria", di cui alla L. n. 110 del 1975, articolo 4, comma 2, ed all'uopo vanno richiamati i principi costantemente affermati da questa Corte (Sez. 5, n. 46482 del 20/06/2014, Rv. 261017), secondo cui per arma impropria deve intendersi qualsiasi oggetto, anche di uso comune e privo di apparente idoneita' all'offesa, che sia in concreto utilizzato per procurare lesioni personali, giacche' il porto dell'oggetto cessa di essere giustificato nel momento in cui viene meno il collegamento immediato con la sua funzione per essere utilizzato come arma. In definitiva, rientrano in tale categoria, oltre agli strumenti da punta e taglio, gli altri oggetti specificamente indicati, anche qualsiasi strumento, che, nelle circostanze di tempo e di luogo in cui sia portato, sia potenzialmente utilizzabile per l'offesa della persona (Sez. 5, n. 27768 del 15/04/2010; Sez. 5, n. 17942 del 07/02/2020, Rv. 279174). In tale contesto, sono stati, per esempio, considerati come arma impropria, ai fini dell'applicazione dell'aggravante in esame, un pezzo di legno, (Sez. 5, Sent. n. 8640 del 20/01/2016, Rv. 267713), un manico di scopa (Sez. 5, n. 54148 del 06/06/2016), una stampella per la deambulazione (Sez. 5, n. 41284 del 24/04/2015, Rv. 265090). 3.1. Alla luce dell'interpretazione "funzionale" del concetto di arma penalmente rilevante, si rileva che nella fattispecie in esame l'imputato ha pacificamente utilizzato una sedia per cagionare lesioni alla persona offesa. Cio' porta ad affermare, che, per quanto una sedia abbia, naturalmente, diversa destinazione d'uso, nel caso di specie, tuttavia, essa, per le modalita' di utilizzo che ne ha fatto l'imputato, ha finito per perdere le caratteristiche di oggetto di uso comune, per assumere quelle di un'arma, ovvero di uno strumento che per le sue caratteristiche rispetto alla persona nei cui confronti e' stata diretta ha assunto piena idoneita' e capacita' di produrre lesioni. Cio' che rileva, in particolare, e' l'utilizzo specifico che ne e' stato fatto, sicche' e' innegabile che, rivolgendo una sedia verso una persona, si trasforma quell'oggetto in uno strumento di elevata capacita' offensiva, essendo elemento determinante che l'arma sia stata usata o che essa abbia avuto un ruolo nell'azione. 2. Manifestamente infondato si presenta il secondo motivo di ricorso, con il quale l'imputato censura la mancata motivazione in merito al diniego di applicazione dell'istituto di cui all'articolo 131 bis c.p.. Invero, la Corte territoriale, con motivazione immune da censure, ha sufficientemente dato conto delle ragioni per le quali il fatto in esame non e' da ritenersi particolarmente tenue, tenuto conto del contesto complessivo dell'episodio scaturito da una reazione di gelosia non accettando l'imputato la fine della relazione con la moglie, compiendo atti di violenza verso la stessa, oltre a colpire la figlia per impedirle di chiamare i Carabinieri, fatto quest'ultimo da considerare, comunque, nella valutazione complessiva della condotta dell'imputato. Pertanto, la motivazione del diniego ha espressamente considerato la condotta in concreto serbata dall'imputato nei confronti della vittima, ai sensi dell'articolo 133 c.p., ed anche la negativa personalita' dell'imputato gia' autore di fatti di violenza, essendo gravato da un precedente specifico, elementi che valutati nel loro complesso sono stati ritenuti inidonei a determinare l'applicazione dell'istituto in questione. Con tale valutazione la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita', secondo cui ai fini della configurabilita' della causa di esclusione della punibilita' per particolare tenuita' del fatto, prevista dall'articolo 131 bis c.p., il giudizio sulla tenuita' richiede una valutazione complessa e congiunta delle peculiarita' della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'articolo 133 c.p., comma 1, delle modalita' della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entita' del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266590). 3. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. BIANCHI Michele - rel. Consigliere Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. CURAMI Micaela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso il decreto del 29/06/2022 del GIUD. SORVEGLIANZA di BOLOGNA; udita la relazione svolta dal Consigliere MICHELE BIANCHI; lette le conclusioni del PG Dott. Sabrina Passafiume che ha chiesto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. Con decreto in data 29 giugno 2022 il magistrato di sorveglianza di Bologna ha revocato a (OMISSIS), sottoposto a detenzione domiciliare, l'autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio per due ore, nel pomeriggio, ogni giorno. La modifica e' motivata in ragione dell'accertamento compiuto in data (OMISSIS) dalla polizia giudiziaria che, nella mattinata, non aveva trovato il detenuto presso la sua abitazione. 2. Ha proposto reclamo, qualificato come ricorso per cassazione, il difensore di (OMISSIS), chiedendo l'annullamento del decreto impugnato. La decisione era stata fondata su un presupposto di fatto non corrispondente alla realta', perche' in relazione all'orario dei controlli compiuti (OMISSIS) si trovava presso la sua abitazione ovvero nelle sue pertinenze, come documentato dalla dichiarazione scritta di una vicina di casa. Inoltre, la condotta del (OMISSIS) non aveva mai dato luogo a rilievi di sorta. 3. Il Procuratore generale ha chiesto l'annullamento con rinvio del decreto impugnato. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso propone motivo non consentito e ne va, percio', dichiarata l'inammissibilita'. 1. Si deve premettere che, a norma dell'articolo 47-ter, comma 4, ord. pen., "Il Tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare, ne fissa le modalita' secondo quanto stabilito dall'articolo 284 c.p.p. .... Tali prescrizioni e disposizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza del luogo in cui si svolge la detenzione domiciliare.". Inoltre, avverso il provvedimento del magistrato di sorveglianza di modifica delle modalita' della detenzione domiciliare e' consentito, ai sensi dell'articolo 111 Cost., trattandosi di provvedimento che incide sulla liberta' personale, l'impugnazione mediante ricorso per cassazione per violazione di legge (Sez. 1, n. 11578 del 05/02/2013, Povia, Rv. 255309; Sez. 1, n. 25639 del 21/05/2013, Giugliano, Rv. 255922; Sez. 1, n. 52134 del 07/11/2019, Z., Rv. 277884). 2. Il ricorso contesta la sussistenza del dato fattuale posto a fondamento del provvedimento di modifica, in pejus, delle modalita' della detenzione domiciliare, e quindi sollecita il collegio ad una nuova valutazione del merito della decisione, non consentita in questa sede di legittimita'. La proponibilita' di ricorso per cassazione limitato a motivi che denuncino violazione di legge consente, quindi, la denuncia dell'assenza di motivazione, in violazione dell'articolo 125 c.p.p., ovvero della violazione dell'articolo 284 c.p.p., che disciplina le specifiche modalita' della detenzione domiciliare, ovvero di altre norme di legge che vengano a incidere sulle modalita' della misura. Non e' consentito, invece, un sindacato sulla motivazione del provvedimento del magistrato, che non sia limitato al rilievo dell'assenza o mera apparenza di giustificazione, ne', tanto meno, un controllo sulla sussistenza dei dati fattuali posti a fondamento della decisione. 3. Va, dunque, dichiarata l'inammissibilita' del ricorso, cui consegue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche al versamento di una somma a favore della Cassa delle ammende, che si reputa equo determinare in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. BELMONTE Maria Teresa - Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - rel. Consigliere Dott. BORRELLI Paola - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 16/03/2022 della CORTE APPELLO di CAGLIARI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere BORRELLI PAOLA; lette le conclusioni del Procuratore generale SERRAO D'AQUINO PASQUALE, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. La sentenza impugnata e' stata pronunziata il 16 marzo 2022 dalla Corte di appello di Cagliari, che ha confermato la decisione del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale della stessa citta' che, all'esito di rito abbreviato, aveva condannato (OMISSIS) e (OMISSIS) per vari episodi di furto aggravato all'interno di bar in orario di chiusura (il (OMISSIS)) e per due furti in abitazione ai danni della medesima persona offesa avvenuti a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro nonche' per detenzione e porto abusivo delle armi rubate in uno dei furti (il (OMISSIS)). 2. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia. 3. Il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS) si compone di tre motivi. 3.1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso attengono al reato di cui al capo 22) - il furto pluriaggravato in abitazione ai danni di (OMISSIS) della notte tra il (OMISSIS) - e lamentano travisamento della prova, omessa motivazione e violazione di legge. A sostegno della doglianza, il ricorrente riporta un passaggio di un'intercettazione ambientale da cui dovrebbe ricavarsi che il furto di cui al capo 22) e' avvenuto solo all'interno di un magazzino, che era del tutto aperto, da dove erano stati sottratti attrezzi da lavoro. Cio' sarebbe confermato dal ritrovamento, presso l'abitazione del ricorrente, di una serie di beni che la persona offesa aveva indicato come sottratti dal magazzino e dall'interrogatorio del coimputato (OMISSIS), che, pur avendo ammesso l'addebito, aveva negato che i suoi complici fossero entrati in casa. Di contro, i beni sottratti dall'abitazione di (OMISSIS) furono asportati solo qualche giorno dopo, come da successivo capo di imputazione. Tanto premesso, il tema su cui la Corte di merito avrebbe dovuto interrogarsi - e non lo ha fatto - e' quello della riconducibilita' del fatto al reato di cui all'articolo 624-bis c.p. in assenza di prova circa un rapporto di pertinenzialita' tra il magazzino e l'abitazione di (OMISSIS). 3.2. Il secondo motivo di ricorso - che riguarda i reati di cui ai capi 22bis) e 23), rispettivamente l'altro furto in abitazione ai danni del (OMISSIS) e la detenzione e il porto delle armi comuni da sparo sottratte al predetto - denunzia vizio di motivazione per travisamento della prova e mancanza di motivazione. Sostiene, in particolare, il ricorrente che sarebbe stato travisato il verbale di perquisizione del 16 febbraio 2017 perche' i beni asportati dall'abitazione di (OMISSIS) non vennero ritrovati nelle pertinenze dell'abitazione di (OMISSIS), ma in un'area collocata all'interno del campo nomadi dove egli alloggiava. Quanto alla conversazione di (OMISSIS) con la fidanzata, essa aveva captato solo un sospetto del coimputato circa il ritorno di (OMISSIS) nell'abitazione di (OMISSIS) dopo il furto di cui al capo 22) (come peraltro chiarito successivamente da (OMISSIS) nel corso del suo interrogatorio). Il ragionamento indiziario sarebbe, dunque, viziato. 4. Il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS) si compone di un solo motivo, con il quale la parte lamenta vizio di motivazione in relazione alla conferma della condanna per i reati di cui ai capi 19) e 20). Ricorda il ricorrente che aveva confessato i reati di cui ai capi 15), 16), 17) e 18) ma che, sul reato sub capo 19), aveva contestato che la serratura fosse stata forzata, che fossero state rubate le sigarette e che l'importo fosse quello indicato nonche' che i denari fossero nella slot machine invece che nella macchina cambiamonete. Dalle intercettazioni era emerso che "il piede si era piegato", il che significa che non era stato utilizzato. Egualmente illogiche sarebbero le argomentazioni relative al reato sub 20), perche' (OMISSIS) non aveva mai negato che, dalle intercettazioni, si evincesse che egli stesse preparando un altro furto, ma l'intenzione manifestata era rimasta tale mentre nessuna prova era emersa del coinvolgimento del ricorrente che, d'altra parte, non aveva ragione di negare anche questo tentato furto, avendo ammesso gli altri. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso di (OMISSIS) e' fondato, mentre quello di (OMISSIS) e' inammissibile. 1. Quanto al ricorso del (OMISSIS), il Collegio osserva quanto segue. 1.1. E' fondato il primo motivo di ricorso laddove l'imputato - pur ammettendo la responsabilita' per il furto nel magazzino di proprieta' di (OMISSIS) - ne ha contestato la qualificazione come furto in abitazione, sulla scorta dell'inesplorato rapporto del luogo ove il reato e' stato perpetrato con l'abitazione della persona offesa. Ebbene, la sentenza impugnata non sfugge alle critiche del ricorrente giacche' la motivazione della Corte di appello - a fronte del motivo di appello sul punto - sconta un travisamento della prova ed una motivazione carente circa la qualificazione giuridica. Quanto al primo aspetto, la Corte territoriale ha fatto riferimento alla querela sporta dalla persona offesa il 14 febbraio 2017 quale prova della consumazione del furto di cui al capo 22) anche nell'abitazione della vittima. Ebbene, riguardando la querela, allegata all'atto di ricorso, si evince che la medesima e' unica e recava l'indicazione dell'intero maltolto, sia gli oggetti rubati dall'interno della casa che quelli sottratti dal magazzino; essa, tuttavia, non specificava - perche', probabilmente, (OMISSIS) si era reso conto degli atti predatori nello stesso momento ed aveva sporto un'unica denunzia - che i furti erano stati due (cosi' come e' stato contestato dal pubblico ministero e ritenuto dai Giudici di merito) e, di conseguenza, non precisava cosa fosse stato sottratto nella prima occasione e cosa nella seconda; cio' impedisce che, dall'indicazione della totalita' dei beni sottratti da parte della persona offesa il 14 febbraio 2017, possa inferirsi che essi siano stati rubati nella stessa e - per quanto interessa in questa sede - prima occasione, quella del furto avvenuto tra il (OMISSIS). Ne deriva ulteriormente che, sulla scorta della cattiva lettura della querela, la motivazione della sentenza impugnata si presenta manifestamente illogica in quanto ha attribuito rilevanza tranciante ad un dato probatorio decisivo equivocandone il contenuto e ritenendo che da essa potesse evincersi che il reato di cui al capo 22) fosse stato perpetrato anche all'interno dell'abitazione della vittima. Peraltro anche la seconda delle rationes decidendi della sentenza impugnata merita censura, dal momento che la Corte territoriale ha sostenuto che il furto, quand'anche consumato nel solo magazzino, fosse da considerarsi come commesso in luogo di privata dimora sulla scorta del fatto che non si trattava di un luogo aperto al pubblico. Non e' questa, tuttavia, la prospettiva in cui la Corte di merito avrebbe dovuto collocarsi onde accertare se vi fossero i presupposti in fatto per ritenere la sussistenza del reato di cui all'articolo 624-bis c.p.. In primo luogo, non e' stata esplorata l'esistenza di un rapporto pertinenziale tra il magazzino e la casa di (OMISSIS), il che, dato il disposto normativo di cui all'articolo 624-bis c.p. ("o nelle pertinenze di essa"), avrebbe reso applicabile tale disposizione. La Corte di merito avrebbe dovuto interrogarsi, infatti, sul se ricorressero le caratteristiche di cui all'articolo 817 c.c., secondo cui sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o a ornamento di un'altra cosa, secondo una destinazione impressa dal proprietario o da chi vanti un diritto reale sulla cosa. Neanche la Corte territoriale ha indugiato sulla natura del magazzino stesso, al di la' del rapporto di pertinenzialita', come luogo di privata dimora, tenendo conto degli insegnamenti della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 31345 del 23/03/2017 (ricorrente D'Amico, Rv. 270076) che - benche' relativa alla riconducibilita' dei luoghi di lavori a luoghi di privata dimora - ha fornito delle coordinate ermeneutiche di indubbio interesse. Secondo il massimo Consesso, infatti, e' rilevante, ai fini dell'assimilazione di un luogo a quello di privata dimora, che tale luogo abbia le caratteristiche proprie dell'abitazione perche' ivi il soggetto passivo compie atti della vita privata in modo riservato e precludendo l'accesso a terzi. E' evidente che, rispetto a questo punto della decisione, non e' sufficiente il segmento della motivazione che ha ragionato sulla sola non apertura al pubblico del magazzino, peraltro in termini preconcetti e senza fare riferimento ad elementi acquisiti nel caso concreto. 1.2. Anche il secondo motivo di ricorso e' fondato, dal momento che la Corte territoriale ha travisato il verbale di perquisizione domiciliare del (OMISSIS) presso il Campo nomadi (pure allegato al ricorso), assumendo che esso documenterebbe che, presso le pertinenze dell'abitazione del (OMISSIS), era stata trovata la refurtiva del furto nell'abitazione dell'imputato. Ebbene, dal predetto verbale risulta, invece, che, mentre gli oggetti sottratti nel magazzino sono stati effettivamente trovati presso l'abitazione del (OMISSIS), quelli rubati nell'abitazione sono stati rinvenuti in un "terreno retrostante le abitazioni del campo nomadi, sotto un cumulo di spazzatura e nascosto da un gabbiotto". Non e' specificato, contrariamente a quanto sostiene la Corte di merito, che si tratti di una pertinenza dell'abitazione di (OMISSIS), il che evidenzia come un dato primario nel ragionamento probatorio sia stato erroneamente percepito dai Giudici di appello, il che lascia la motivazione priva di un elemento decisivo, che ne impone una rimeditazione onde verificare se, in mancanza dell'informazione erroneamente veicolata nella decisione avversata, le argomentazioni della Corte di appello possano comunque resistere alle obiezioni di parte ovvero onde effettuare accertamenti in fatto che competono al Giudice di merito. 2. Il ricorso di (OMISSIS), come anticipato, e' inammissibile. 2.1. Quanto al reato sub 19), il ricorso e' manifestamente infondato e aspecifico in quanto ignora la motivazione che la Corte di merito ha diffusamente dedicato alla corrispondente censura dell'atto di appello, indicando sia le dichiarazioni delle persone offese circa la forzatura e lo smontaggio della saracinesca, sia le intercettazioni ambientali, del tutto eloquenti circa l'utilizzo di violenza alle cose sulla serranda. Il ricorso e' del pari estrinsecamente generico quando si limita a sostenere che il furto sub 20) fosse rimasto nelle intenzioni, mentre non affronta la razionale ricostruzione dei Giudici di merito (attuata richiamando le intercettazioni riportate nella sentenza di primo grado), che hanno valorizzato la specifica pianificazione del reato, anche da parte del ricorrente, avvenuta solo poche ore prima dell'arrivo presso il luogo del furto, nonche' il concreto inizio delle operazioni ad esso funzionali. 2.2. All'inammissibilita' del ricorso di (OMISSIS) consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, cosi' equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. 13/6/2000 n. 186). P.Q.M. annulla la sentenza impugnata, nei confronti di (OMISSIS), con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Cagliari. Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.

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