Sentenze recenti prescrizione ICI

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOCCI Mauro - rel. Presidente Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere Dott. PAPA Patrizia - Consigliere Dott. SCARPA Antonio - Consigliere Dott. CHIECA Danilo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 17701/2018 R.G. proposto da: (OMISSIS) SRL, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)) che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)); - ricorrente - contro COMUNE DI RIMINI, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)) rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), ( (OMISSIS)), (OMISSIS), ( (OMISSIS)); - controricorrente e ricorrente incidentale - avverso la sentenza della CORTE D'APPELLO BOLOGNA n. 682/2018 depositata il 13/03/2018; Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/10/2023 dal Presidente Dott. MAURO MOCCI. FATTI DI CAUSA Nel corso dell'anno 2003, il Comune di Rimini evocava la s.r.l. (OMISSIS) avanti il Tribunale di Rimini, affermando di aver trasferito a controparte alcune aree, con rogito del (OMISSIS), dietro obbligo della societa' di eseguire importanti opere edificatorie sui terreni medesimi. A fronte di un contenzioso sorto in ordine all'esecuzione del contratto, le parti pervenivano, nel (OMISSIS), ad un atto transattivo, in virtu' del quale le aree non edificate sarebbero state restituite all'Amministrazione, mentre quelle edificate sarebbero state considerate definitivamente acquisite in capo alla (OMISSIS) stessa. Il Comune domandava pertanto l'accertamento del suo diritto di proprieta' sulle aree indicate dalla transazione, destinate fin dagli anni ‘60 a verde pubblico, ancorche' formalmente intestate alla convenuta, o, in via subordinata, l'acquisto delle stesse per intervenuta usucapione. A sua volta, la (OMISSIS) sollecitava il rigetto delle domande avversarie ed, in via riconvenzionale, la declaratoria di risoluzione della transazione per fatto e colpa del Comune. Attesosi all'istruttoria del caso, il Tribunale di Rimini rigettava la domanda principale del Comune ma accoglieva in parte quella subordinata di usucapione (relativamente alle particelle nn. (OMISSIS)). Accoglieva altresi' la domanda riconvenzionale, volta ad accertare la risoluzione del contratto transattivo del (OMISSIS) per colpa del Comune, negando pero' il risarcimento del danno per carenza di prova. Su gravame di entrambe le parti, con sentenza n. 682 del 13 marzo 2018, la Corte d'Appello di Bologna rigettava l'impugnazione principale della (OMISSIS) e quella incidentale del Comune di Rimini. La Corte distrettuale, per un verso, disattendeva la tesi dell'appellato, giacche', una volta riconosciuta la natura non novativa della transazione e la conseguente efficacia del rogito del (OMISSIS), a seguito della risoluzione per inadempimento dell'accordo transattivo, sarebbe stato insussistente il diritto di proprieta' in capo al Comune. Per altro verso, ribadiva la carenza di prova in ordine al danno subito dalla (OMISSIS), a fronte dell'inadempimento di controparte. Ricorre per cassazione la s.r.l. (OMISSIS), sulla base di quattro motivi. Si e' costituito il Comune di Rimini per resistere al ricorso avversario e proporre ricorso incidentale, affidato anch'esso a quattro motivi. In prossimita' dell'udienza pubblica, la ricorrente ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c. La requisitoria scritta del P.G. ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi. RAGIONI DELLA DECISIONE Il ricorso principale. 1) Attraverso la prima censura, la ricorrente principale lamenta l'errata considerazione giuridica dei fatti materiali quali atti di possesso, in violazione e falsa applicazione degli articoli 1140, 1141, 1144 e 1158 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3. La Corte distrettuale avrebbe erroneamente qualificato, ai fini dell'accoglimento della domanda di usucapione, circostanze - quali l'adibizione delle aree a parco pubblico ed a parcheggio, curandone la manutenzione tramite terzi incaricati - anche astrattamente inidonee ad esercitare il possesso, ossia un potere di fatto, nei confronti della proprietaria (OMISSIS) D'altronde, tali attivita' avrebbero costituito l'adempimento di un obbligo assunto dal Comune con la transazione del (OMISSIS). 2) Mediante la seconda doglianza, la ricorrente principale deduce la violazione o falsa applicazione degli articoli 1140, 1158, 1165, 2944 e 2937 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3. La sentenza impugnata avrebbe trascurato di considerare l'avvenuta riscossione, da parte dell'Ente, dell'imposta ICI regolarmente corrisposta da (OMISSIS) sulle aree oggetto della statuizione di usucapione, il che avrebbe avuto valore di riconoscimento della proprieta' della societa', con conseguente interruzione della prescrizione acquisitiva ex articolo 2944 c.c., o comunque rinuncia implicita a farne valere gli effetti, ai sensi dell'articolo 2937 c.c. 3) Il terzo motivo e' volto a contestare che la mera illecita occupazione possa essere utilizzata per l'acquisto della proprieta', in violazione dell'articolo 1 comma 1 Prot. 1 C.E.D.U, dell'articolo 17, p. 1, Carta dei diritti UE, in relazione all'articolo 117 Cost., comma 1 con violazione e falsa applicazione dell'articolo 1158 c.c., ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3. La Corte d'appello avrebbe violato i principi e le norme di rango costituzionale e sovranazionale a tutela del diritto di proprieta', le quali vieterebbero che l'ente pubblico che abbia occupato illegittimamente e sine titulo il bene di un privato, utilizzandolo e destinandolo a pubblica utilita', possa maturarne l'acquisto in proprieta', in assenza di un legittimo procedimento espropriativo di acquisizione sanante Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, ex articolo 42 bis. 4) La quarta lagnanza s'impernia sull'invocata violazione degli articoli 1218, 1226 e 2697 c.c., ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, giacche', negando il risarcimento, la Corte d'appello avrebbe mortificato il principio, per il quale, in ipotesi di risoluzione del contratto preliminare di compravendita per inadempimento del promissario acquirente, al promittente venditore sarebbe spettato il risarcimento del danno per la sostanziale incommerciabilita' del bene nella vigenza del preliminare, trattandosi di un danno in re ipsa, non necessitante di prova. Il ricorso incidentale. 5) Attraverso il primo mezzo d'impugnazione, il Comune assume la violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 c.c. e ss. in tema di applicazione dei criteri ermeneutici di interpretazione contrattuale, nonche' degli articoli 1965 e 1976 c.c., riguardanti il carattere novativo della transazione stipulata dalle parti nel (OMISSIS), ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3 In particolare, i punti richiamati dalla Corte distrettuale non escluderebbero il carattere novativo dell'accordo transattivo raggiunto fra le parti. 6) Il secondo rilievo lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 c.c. e ss., in tema di applicazione dei criteri ermeneutici di interpretazione contrattuale, nonche' degli articolo 1453 c.c. e articolo 112 c.p.c., ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all'obbligazione dedotta dalla (OMISSIS) a fondamento della risoluzione della transazione. Con esso, il Comune rileva che la Corte d'appello non avrebbe minimamente tenuto conto della risoluzione, stabilita dalle parti con riguardo al contratto del (OMISSIS), anche relativamente agli obblighi di trasferimento dei beni del demanio statale. In proposito, l'impegno del Comune a dare inizio alle pratiche del caso avrebbe riguardato non gia' le aree del demanio statale, ma quelle comunali, sulle quali persistevano ancora vincoli di destinazione pubblica. 7) Mediante il terzo ed il quarto motivo, da scrutinare unitariamente, il ricorrente incidentale invoca la violazione e falsa applicazione degli articoli 948, 1453 e 1362 c.c., ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, in relazione all'azione di accertamento della proprieta' delle aree non edificate, per effetto della risoluzione contrattuale dell'accordo del (OMISSIS). La sentenza impugnata avrebbe omesso di valutare la censura riguardante l'accertamento della proprieta' in capo al Comune, ritenendola assorbita dall'accoglimento dell'impugnazione avversaria, laddove invece si sarebbe verificata una retrocessione delle aree, senza bisogno di un successivo atto di ritrasferimento, come sarebbe emerso dalla lettura dell'atto transattivo del (OMISSIS). Si sarebbe trattato di un'azione di mero accertamento della proprieta' delle aree che, avendo i caratteri della rivendica, sarebbe stata per sua natura imprescrittibile. 8) La Corte deve preliminarmente rilevare che, in data 10 ottobre 2023, la (OMISSIS) ha fatto pervenire un atto di rinuncia all'odierno ricorso, che e' stato accettato dal Comune di Rimini, il quale, a sua volta, ha dichiarato di rinunciare al ricorso incidentale, in data 10 ottobre 2023, rinuncia ritualmente accettata ex adverso. Entrambe le parti, nei rispettivi atti, hanno richiesto che la Corte si astenga dal liquidare le spese di giudizio. Pertanto, s'impone la declaratoria di estinzione del giudizio, senza statuizione sulle spese, dando atto che la presente decisione deve adottarsi con ordinanza (Sez. 2 n. 14922 del 16 luglio 2015) P.Q.M. dichiara l'estinzione del giudizio di cassazione. Nulla spese.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI NICOLA Vito - Presidente Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 24-11-2021 del Tribunale di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Fabio Zunica; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Tocci Stefano, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 24 novembre 2021, il Tribunale di Napoli, quale giudice dell'esecuzione, all'esito di udienza camerale (celebrata dopo che una precedente decisione era stata annullata senza rinvio da questa Corte per carenza di contraddittorio), rigettava la richiesta avanzata nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS), aventi causa di (OMISSIS), nelle more deceduto, volta a ottenere la revoca o la sospensione dell'ordine di demolizione impartito con la sentenza di patteggiamento del 2 luglio 1998, divenuta irrevocabile il 23 settembre 1998, con cui il Pretore di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, aveva applicato a (OMISSIS) la pena concordata dalle parti in relazione al compimento di illeciti edilizi accertati in Bacoli il 28 dicembre 1993. 2. Avverso l'ordinanza del Tribunale partenopeo, (OMISSIS) e (OMISSIS), tramite il loro comune difensore, hanno proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi. Con il primo, la difesa deduce la violazione della L. n. 47 del 1985, articolo 31, n. 3, articolo 38, n. 5 e della L. n. 724 del 1994, articolo 39, n. 8 osservando che, nel caso di specie, i figli del condannato, (OMISSIS) e (OMISSIS), hanno presentato due istanze di sanatoria ai sensi della L. n. 724 del 1994, per ciascuno dei due appartamenti oggetto di contestazione, venendo a entrambi rilasciati i permessi in sanatoria dal Comune di Bacoli, nel 2013 e nel 2014. Entrambi i permessi richiamavano il parere favorevole della Commissione edilizia integrata, l'autorizzazione paesaggistica e la nota della Soprintendenza che decideva di non proporre l'annullamento delle sanatorie ad essa sottoposte, per cui la L. n. 724 del 1994, articolo 39, comma 8 doveva ritenersi rispettato, a cio' aggiungendosi che la legittimazione a presentare l'istanza di condono riguarda un numero di soggetti piu' ampio di quelli legittimati a presentare il permesso di costruire, fino a comprendere chiunque vi abbia interesse. Nel caso di specie, le due domande sono state presentate nella qualita' formale di figli del proprietario, ma con il titolo sostanziale di comodatari dei beni adibiti ad abitazione principale della famiglia, dovendosi escludere in ogni caso che vi sia stato alcun frazionamento elusivo, posto che e' lo stesso capo di imputazione che individua, ab origine, due autonome unita' abitative, essendo stata emessa la sentenza in relazione a due distinti appartamenti realizzati prima del 1993. Con il secondo motivo, e' stata eccepita sia l'inosservanza della L. n. 848 del 1955, articolo 2 in relazione agli articoli 6 e 8 della C.E.D.U., per violazione del principio del legittimo affidamento, di non contraddittorieta' dell'ordinamento giuridico e di proporzionalita' della sanzione, sia l'erronea applicazione dell'articolo 1 prot. 1 della C.E.D.U. per violazione del diritto di proprieta'. Si evidenzia in particolare che (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno legittimamente confidato nell'azione dello Stato, il primo presentando istanza di condono nel 1995 quale parente di primo grado del proprietario e sostanziale possessore dell'immobile, versando gli oneri di oblazione, pagando negli anni l'ici e conseguendo nel 2014 il permesso di costruire in sanatoria, e la seconda acquistando a titolo oneroso nel 2014 il cespite oggetto di permesso, indebitandosi con un istituto di credito, pianificando entrambi le proprie scelte economiche e la vita di relazione, oltre che l'affido dei figli, sulla base della prima casa che e' stata valutata ai fini degli accordi di separazione tra i due coniugi. Con il terzo motivo, i ricorrenti contestano infine l'inosservanza degli articolo 173 c.p. e 7 della C.E.D.U., rilevando che l'ordine di demolizione in materia edilizia deve qualificarsi, in ragione della sua natura repressiva e delle sue gravi ripercussioni sugli interessi del condannato, come sanzione penale a ogni effetto, con conseguente applicazione del regime della prescrizione, dovendo in tal senso richiamarsi i canoni interpretativi della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, a partire dalla sentenza "Engel contro Paesi Bassi" del 1976. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi sono infondati. 1. Iniziando dal primo motivo, occorre evidenziare che, con considerazioni pertinenti, il giudice dell'esecuzione ha escluso la legittimita' del condono ex lege n. 724 del 1994 rilasciato ad (OMISSIS) e (OMISSIS), figli di (OMISSIS), destinatario della sentenza di patteggiamento per gli abusi edilizi riferiti all'immobile poi oggetto dell'ordine di demolizione, dovendosi sul punto innanzitutto premettere che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimita' (cfr. Sez. 3, n. 37470 del 22/05/2019, Rv. 277668), ai fini della revoca dell'ordine di demolizione di un immobile oggetto di condono edilizio, il giudice dell'esecuzione deve verificare la legittimita' del sopravvenuto atto concessorio, sotto il profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione, dovendo in particolare verificare la disciplina normativa applicabile, la legittimazione di colui che abbia ottenuto il titolo in sanatoria, la tempestivita' della domanda, il rispetto dei requisiti strutturali e temporali per la sanabilita' dell'opera e, ove l'immobile edificato ricada in zona vincolata, il tipo di vincolo esistente nonche' la sussistenza dei requisiti volumetrici o di destinazione assentibili. Cio' posto, e' stato infatti osservato che nel caso di specie non poteva ritenersi rispettato il limite di condonabilita' quantitativo fissato in 750 mc., a nulla rilevando che l'opera abusiva per cui si e' proceduto era stata suddivisa in due unita' immobiliari per essere oggetto di due distinte domande di condono e di due differenti procedimenti di sanatoria, uno relativo alla domanda n. 867 per 616,97 mc e uno relativo alla domanda n. 855 per 499,38 mc.; si e' infatti osservato al riguardo che tale operazione di suddivisione delle istanze non puo' essere ritenuta corretta, posto che uno stesso soggetto non puo' utilizzare separate domande di sanatoria per aggirare il volume di volumetria, dovendo le richieste essere valutate in maniera unitaria quando, come nella vicenda in esame, si riferiscono alla stessa costruzione, cui si riferisce peraltro il titolo di condanna. Orbene, tale impostazione deve ritenersi immune da censure, in quanto coerente con il condiviso orientamento di questa Corte (Sez. 3, n. 44596 del 20/05/2016, Rv. 269280 e Sez. 3, n. 12353 del 02/10/2013, dep. 2014, Rv. 259292), secondo cui, in materia di condono edilizio disciplinato dalla L. 24 novembre 1994, n. 724, ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilita' della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario che faccia capo ad unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unita' che compongono tale edificio devono riferirsi a una unica concessione in sanatoria, onde evitare la elusione del limite di 750 mc. attraverso la considerazione di ciascuna parte in luogo dell'intero complesso. Di qui l'infondatezza della doglianza difensiva, risultando la questione sul mancato rispetto sostanziale del limite volumetrico di 750 mc. (limite eluso artatamente mediante la presentazione di due autonome istanze riferite a un medesimo complesso edilizio abusivo), assorbente rispetto all'ulteriore tema, pure evocato nell'ordinanza impugnata, circa la carenza di legittimazione attiva dei richiedenti il condono, i quali hanno presentato le istanze di condono nella loro veste, invero irrituale, di "parenti di primo grado del proprietario". 2. Al di la' di ogni approfondimento, in questa sede non necessario, circa la legittimazione formale dei figli del condannato a presentare la richiesta di condono, il coinvolgimento di (OMISSIS) nella procedura di sanatoria, come si e' visto illegittima, consente comunque di superare le censure difensive circa l'asserita violazione del principio di affidamento del ricorrente, oltre che della consorte (OMISSIS), avendo l'ordinanza impugnata ragionevolmente osservato sul punto che gli immobili in esame sono stati acquistati da persone perfettamente a conoscenza della loro condizione giuridica, non solo per il rapporto di stretta familiarita' con l'autore degli abusi, ma anche perche' nei titoli di acquisto, in cui sono intervenuti a vario titolo entrambi i ricorrenti, era stato chiaramente esplicitato il peculiare status delle unita' immobiliari in esame, per cui doveva escludersi la buona fede dei ricorrenti, e cio' a prescindere dal rilascio di provvedimenti di sanatoria rivelatisi illegittimi, stante la sostanziale elusione del limite volumetrico previsto dalla normativa sul condono del 1994. A cio' deve solo aggiungersi che, come chiarito piu' volte da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Rv. 273368 e Sez. 3, n. 18949 del 10/03/2016, Rv. 267024), in tema di reati edilizi, l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all'articolo 8 C.E.D.U., posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto "assoluto" a occupare un immobile, anche se abusivo, solo perche' casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettivita' a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato e a ripristinare l'equilibrio urbanistico-edilizio violato. Piu' di recente, e' stato altresi' affermato (cfr. Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022, Rv. 282950 e Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Rv. 280270) che il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, e' tenuto a rispettare il principio di proporzionalita' enunciato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze della Corte EDU Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria del 21/04/2016 e Kaminskas c. Lituania del 04/08/2020, valutando la disponibilita', da parte dell'interessato, di un tempo sufficiente per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile o per risolvere, con diligenza, le proprie esigenze abitative, la possibilita' di far valere le proprie ragioni dinanzi a un tribunale indipendente, l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui sarebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola, nonche' l'eventuale consapevolezza della natura abusiva dell'attivita' edificatoria, consapevolezza nel caso di specie e' stata ritenuta sussistente dal giudice dell'esecuzione all'esito di un percorso argomentativo non manifestamente illogico e dunque non sindacabile in sede di legittimita'. 3. Da ultimo, va disattesa l'eccezione di prescrizione dell'ordine demolitorio. In ordine alla rilevanza del decorso del tempo ai fini della operativita' dell'ordine di demolizione, questa Corte ha infatti piu' volte affermato (cfr. Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Rv. 275850 - 02 e Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Rv. 264736), che l'ordine di demolizione non riveste, nel nostro ordinamento, una funzione punitiva, quale elemento di pena da irrogare al colpevole, ma, diversamente, una funzione ripristinatoria del bene interesse tutelato. La ratio della previsione, infatti, non e' quella di sanzionare ulteriormente (rispetto alla pena irrogata) l'autore dell'illecito, ma quella di eliminare le conseguenze dannose della condotta medesima, rimuovendo la lesione del territorio cosi' verificatasi e ripristinando quell'equilibrio urbanistico-edilizio che i vari enti preposti - ciascuno per la propria competenza - hanno voluto stabilire, al punto che tale ordine, quando imposto dall'Autorita' giudiziaria in uno con la sentenza di condanna, non si pone in rapporto alternativo con l'omologo ordine emesso dall'Autorita' amministrativa, ferma restando la necessita' di un coordinamento tra le due disposizioni in sede esecutiva; da cio' consegue che, essendo privo di finalita' punitive, l'ordine di demolizione non e' soggetto alla prescrizione stabilita dall'articolo 173 c.p. per le sanzioni penali, ne' alla prescrizione stabilita dalla L. n. 689 del 1981, articolo 28 che riguarda soltanto le sanzioni pecuniarie con finalita' punitiva. Sotto tale profilo, e' stato escluso che la sottrazione dell'ordine di demolizione al regime della prescrizione delle pene si ponga in contrasto con la Costituzione o con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo. Per quanto riguarda il primo aspetto, occorre evidenziare che questa Corte (Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Rv. 267977) ha gia' ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, per violazione degli articoli 3 e 117 Cost., del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 31 rispetto alla mancata previsione di un termine di prescrizione dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna, osservando che la differente natura della sanzione amministrativa ripristinatoria della demolizione, rispetto alla finalita' rieducativa delle sanzioni penali, alla quale e' connessa l'estinzione per prescrizione, gia' integra una situazione diversa, idonea giustificare il differente regime giuridico; l'imprescrittibilita' dell'ordine di demolizione, infatti, deriva da una scelta legislativa rientrante nei limiti dell'esercizio ragionevole del potere legislativo, non sindacabile in sede di vaglio della legittimita' costituzionale sotto il profilo della pretesa irragionevolezza, in quanto fondata su differenti natura e finalita' rispetto alle sanzioni penali soggette a prescrizione. Quanto al secondo aspetto, allo stesso modo, e' stato ribadito che l'ordine di demolizione non si pone in contrasto con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, in quanto non puo' essere qualificato come una pena. L'intervento del giudice penale si colloca, infatti, a chiusura di una complessa procedura amministrativa finalizzata al ripristino delle originario assetto del territorio alterato dall'intervento edilizio abusivo, nell'ambito del quale viene considerato il solo oggetto del provvedimento (l'immobile da abbattere), prescindendo del tutto dall'individuazione di responsabilita' soggettive, tanto che la demolizione si effettua anche in caso di alienazione del manufatto abusivo a terzi estranei al reato, i quali potranno poi far valere in altra sede le proprie ragioni; l'intervento del giudice penale, peraltro, non e' neppure scontato, dato che egli provvede ad impartire l'ordine di demolizione se la stessa ancora non sia stata altrimenti eseguita (cfr. Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Rv. 2655409). Cosi' ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, la doglianza difensiva risulta priva di fondamento, ponendosi l'ordinanza impugnata nel solco delle premesse ermeneutiche appena richiamate. 4. In conclusione, stante l'infondatezza delle doglianze proposte e in sintonia con le conclusioni del Procuratore generale, i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) devono essere rigettati, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di SPOLETO Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Martina Marini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2570/2016 trattenuta in decisione all'udienza del 13 ottobre 2022 con concessione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c., in misura ridotta, vertente tra (...) (C.F. (...) ), (...) (C.F. (...) ) e (...) (C.F. (...) ) tutti rappresentati e difesi dall'Avv. OR.CA. e dall'Avv. CO.ME. ed elettivamente domiciliati in Perugia, alla Via (...), pressi i Difensori; - ATTORI - e (...) S.P.A. in persona del legale rappresentante pro tempore (C.F. (...), P.IVA.(...)) rappresentata e difese dall'Avv. ST.LO. e dall'Avv. TI.LO. ed elettivamente domiciliata in Spoleto (PG), alla Via (...), presso lo studio dell'Avv. TI.; e (...) rappresentato e difeso dall'Avv. ST.LO. e dall'Avv. TI.LO. ed elettivamente domiciliato in Spoleto (PG), alla Via (...), presso lo studio dell'Avv. TI.; - CONVENUTI - SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Allegazioni delle parti e trattazione (...), (...) e (...) con atto di citazione ritualmente notificato, hanno convenuto in giudizio (...) SPA (già (...) SPA e prima (...) SPA) e l'Arch. (...), nelle rispettive qualità di parte venditrice e Direttore Lavori/Progettista, esponendo in sintesi: - di avere stipulato, in data 29.05.2009, atto notarile di compravendita con (...) SPA per l'acquisto di un immobile sito in N.U., (...) SNC - foglio (...), p.lla n. (...) sub (...) e sub (...) prevedendo che il prezzo della compravendita fosse di Euro 387.343.000, interamente versati alla data del rogito; - che gli Attori avevano acquistato il predetto immobile allo scopo di trasferirvi lo Studio di Consulenza del lavoro e la (...) - (...) elaborazioni dati di (...) s.a.s. nonché lo sportello (...) per il quale (...) opera come professionista incaricata dal 2001; - di avere preso possesso dell'immobile solo nel 2010 a causa di un grave lutto familiare; - che, una volta entrati nel possesso, gli acquirenti avevano iniziato a constatare una serie di vizi e difetti relativi sia alla porzione di loro proprietà esclusiva che alle parti comuni, pregiudicanti l'uso del bene e la destinazione per il quale era stato acquistato; - che gli stessi Attori avevano deciso di intervenire sull'edificio di proprietà, rivolgendosi ad un tecnico di fiducia che aveva evidenziato plurime lacune ed incongruenze di tipo amministrativo (tra cui l'assenza del certificato di agibilità) oltre che carenze e vizi di tipo tecnico costruttivi dell'edificio, che ne inibivano la fruibilità per lo scopo per cui era stato acquistato (tra cui le scale esterne contrarie alle disposizioni normative di cui al D.M. n. 236 del 1989 e D.Lgs. n. 624 del 1994 poi trasfuso nel D.Lgs. n. 81 del 2008); - che, con missiva del 14 febbraio 2014, era stata trasmessa la suddetta relazione alla Banca venditrice, all'Arch. (...) quale Progettista e Direttore Lavori e alle ditte esecutrici, - che, nell'aprile 2014, è stato incardinato dinanzi al Tribunale di Spoleto il procedimento di ATP n. 1801/2014 R.G., conclusosi con il deposito della relazione del CTU incaricato, Geom. La., il quale aveva rilevato: - la mancanza del certificazione di agibilità relativa all'appartamento acquistato dagli Attori; - la difformità amministrativa dell'immobile locale uso ufficio rispetto al progetto autorizzato dal Comune con la Concessione edilizia n. 112/99 del 26.04.2000 (mancanza di tramezzi divisori all'interno del secondo piano che risulta uno spazio aperto); - la mancanza di titoli amministrativi dichiarati nell'atto di compravendita e segnatamente la concessione edilizia in variante dell'8.07.2022 e la domanda di condono edilizio relativa allargamento del marciapiede del 10.12.2004 relativa alla occupazione di spazio esterno ad uso pubblico; - la carenza della parte impiantistica (termica ed elettrica) dichiarato invece conforme alla normativa di riferimento; - la mancata indicazione nell'atto di vendita delle pompe di sentina poste nella fossa dell'ascensore, la mancata regolamentazione delle parti comuni e delle servitù, oltre all'omesso accatastamento del lastrico solare; - la presenza di fenomeni di umidità sul piano interrato e presenza di acqua nel vano ascensore; - la presenza nel vano magazzino di una piccola apertura che collega la proprietà (...) con i restanti locali; - la realizzazione della scala esterna che collega il piano terra con il piano secondo, ossia l'accesso ai locali degli Attori, in violazione della normativa di cui al D.M. n. 236 del 1989 sull'abbattimento delle barriere architettoniche e sulla normativa di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994 (oggi TU 81/2008) in materia di sicurezza sul lavoro, risultando la stessa meno larga di quanto previsto dalla normativa sopra richiamata e con pedate non regolari. Sulla base di quanto sopra, fallito il tentativo di definire stragiudizialmente la controversia, gli Attori hanno convenuto in giudizio la (...) venditrice nonché l'Arch. (...), quest'ultimo anche veste di Progettista e Direttore dei lavori, al fine di: a) in via principale, sentir pronunciare l'annullamento del contratto per vizio del consenso determinato da dolo della (...) venditrice; b) sempre in via principale, sentir dichiarare la risoluzione del contratto di compravendita per responsabilità della venditrice, nella specie di vendita aliud pro alio; c) per l'effetto, sentire condannare la venditrice alla restituzione delle somme versate a titolo di corrispettivo pari ad Euro 387.343,00 interamente versato dagli acquirenti; d) accertare il dolo incidente della (...) e, per l'effetto, condannare la stessa alla restituzione di parte del prezzo, oltre al risarcimento del danno in via equitativa e al solito ingentissimo asserito danno; e) in ogni caso, sentir condannare la venditrice al pagamento della somma di Euro 352.045,22 (poi rideterminata in sede di pc in Euro 373.196,76) per tutti i danni patrimoniali subiti, sia a titolo di danno emergente che di lucro cessante. f) in ulteriore subordine, condannare i Convenuti, in solido tra loro e nelle rispettive qualità di venditrice e direttore lavori a risarcire i danni ex art. 1669 c.c.. (...) SPA e ARCH. (...) si sono costituiti in giudizio con due distinte comparse depositate in data 15.03.2017, svolgendo difese del medesimo tenore ed in sintesi chiedendo il rigetto delle domande attoree perché del tutto infondate, oltre al fatto che gli Attori sarebbero decaduti dalla possibilità di denunciare i vizi; in via subordinata, hanno chiesto la riduzione del danno eventualmente accertato ex art. 1227 c.c. per concorso di colpa degli Attori, avendo questi omesso di aderire alla richiesta di rilascio della sanatoria e del certificato di agibilità proposte dalla (...). Il Giudice, alla prima udienza del 5.04.2017, ha concesso i richiesti termini ex art. 183 c.p.c. con rinvio all'udienza del 15.11.2017 per la discussione dei mezzi istruttori. Con ordinanza riservata, il magistrato precedente assegnatario della causa ha disposto la comparizione personale delle parti per tentare una conciliazione. Il fascicolo è stato assegnato al nuovo Istruttore nell'aprile 2019, di fronte al quale la causa è stata per la prima volta chiamata all'udienza del 15.05.2019 ove è stato concesso un rinvio, su richiesta concorde delle parti, per pendenza di trattative. La causa è stata di seguito istruita tramite acquisizione del fascicolo relativo al giudizio per ATP pendente di fronte al Tribunale di Spoleto (n. 1804/2014 Rg), la cui Relazione è stata di seguito integrata, e tramite escussione dei testi di parte Attrice (ud. istruttorie del 2.12.2020 e 20.10.2020). Il processo ha poi subito plurimi differimenti d'udienza su richiesta dell'ausiliario; esauriti i predetti incombenti istruttori, la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 24.02.2022. Rimessa sul ruolo per incompletezza dell'incartato processuale e verificatane la integrità anche tramite attestazione di Cancelleria, è stata di nuovo fissata per la precisazione delle conclusioni al 13.10.2022 ove il Giudice la ha definitivamente trattenuta in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. in misura ridotta. MOTIVI DELLA DECISIONE 2. Qualificazione giuridica della domanda e delimitazione del thema decidendum: (...), in via principale, hanno svolto in giudizio una domanda di annullamento del contratto di compravendita immobiliare per vizio del consenso deducendo che, dopo l'acquisto dell'immobile sito in N.U. avrebbero scoperto gravi vizi in tesi dolosamente taciuti dalla parte venditrice e dal professionista, Progettista e Direttore Lavori. In via principale alternativa, gli stessi hanno svolto domanda di risoluzione del contratto per inadempimento della (...), poiché il bene non sarebbe idoneo a svolgere la funzione per cui era stato acquistato (aliud pro alio) oltre al risarcimento del danno patrimoniale patito per avere acquistato un immobile privo di agibilità. In via subordinata, hanno proposto domanda risarcitoria per dolo incidentale, sulla base del fatto che se avessero conosciuto dette circostanze avrebbero certamente stipulato il contratto a condizioni diverse. In via ulteriormente subordinata, hanno svolto domanda di accertamento della responsabilità ex art. 1669 c.c. della (...) e dell'Arch. (...) e, conseguentemente, hanno domandato la condanna degli stessi a risarcire il danno cagionato nelle rispettive qualità. La (...) ha resistito alle domande chiedendone il rigetto ed eccepito in via assorbente la decadenza degli Attori dal poter far valere la garanzia per i vizi, oltre alla prescrizione della relativa azione. 2.1. La domanda di annullamento del contratto Non può trovare accoglimento la domanda di annullamento del contratto ex art. 1439 c.c.. Invero, affinché possa configurarsi il dolo omissivo e possa addivenirsi all'annullamento del contratto, è necessario che l'inerzia o il silenzio di uno dei contraenti s'inserisca in un comportamento complesso preordinato, con malizia ed astuzia, ad ingannare la controparte; il semplice silenzio o reticenza, viceversa, anche se afferenti a situazioni che risultino d'interesse per la controparte, non sono di per sé sufficienti a costituire il dolo omissivo e ad invalidare il contratto. Ciò perché essi non mutano la realtà, ma si limitano a non contrastarne la percezione, cui la controparte sia autonomamente pervenuta (Cassazione, 8 maggio 2018, n. 11009). Svolte le premesse giuridiche sin qui richiamate, la domanda di annullamento proposta dagli Attori non può essere accolta per difetto di valido supporto probatorio: si ritiene di non poter rintracciare indizi sufficienti per poter sostenere che i Convenuti abbiano maliziosamente taciuto all'acquirente circa la mancanza del certificato di agibilità/abitabilità dell'immobile alienato, al precipuo fine di trarre in inganno gli acquirenti rammentandosi - tra l'altro - che a norma dell'art. 2697 c.c. spetta all'Attore di fornire evidenza di detti elementi costitutivi dell'azione (anche) di annullamento. 2.2. La domanda di risoluzione del contratto per aliud pro alio Il Tribunale ritiene, invece, sulla base dei principi di diritto da applicare alla decisione, degli asserti e della documentazione dimessa, che la domanda di risoluzione del contratto di vendita del 29.05.2009 è fondata, in considerazione delle ragioni di seguito esposte. Resta assorbita ogni decisione sulle domande svolte in via subordinata anche nei confronti del Convenuto Arch. (...). Come meglio precisato in sede di allegazione, gli Attori fondano la propria domanda sulla esistenza sia di difformità di tipo amministrativo che di vizi di natura tecnico-costruttiva che varrebbero a rendere la porzione dell'edificio acquistato dalla (...) per la sua finalità, accertati dal proprio tecnico di fiducia e confermati in sede di ATP. Tra le difformità di natura amministrativa, il CTU ha posto in evidenza la mancanza del certificato di agibilità dell'immobile. Sul punto, è opportuno innanzitutto premettere in diritto che: - l'abitabilità o l'agibilità (la differenza è più terminologica che sostanziale) consiste nel nulla osta rilasciato dall'ufficio sanitario, con il quale si attesta l'idoneità igienico-sanitaria del locale da occupare. Il 2 comma dell'art. 221 R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 (t.u. delle leggi sanitarie) sanziona penalmente il proprietario che abita o fa abitare un edificio privo del necessario certificato. - Il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha l'obbligo di consegnare all'acquirente il certificato di abitabilità, senza il quale l'immobile stesso è incommerciabile e non acquista la normale attitudine a realizzare la sua funzione economico-sociale (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009). Lo stesso obbligo vale con riferimento al certificato di agibilità, qualora si tratti di immobile destinato ad uso commerciale (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009). - Nella compravendita d'immobili destinati ad abitazione ovvero all'esercizio di attività commerciali, il venditore ha quindi l'obbligo di ottenere dall'autorità competente la licenza di abitabilità o di agibilità, che deve essere rimessa all'acquirente al momento della consegna dell'immobile; si tratta di documento relativo all'uso della cosa venduta, da consegnare in esecuzione degli obblighi di cui all'art. 1477 c.c. (Cass. Sez. 3, 1701 del 23/01/2009; Cass., nn. 8880/2000, cui adde n. 15969/2000, 1391/98, 442/96, 11521/95Cass. 20 agosto 1990, n. 8450; Cass. 11 agosto 1990, n. 8199). - Nelle vendite immobiliari, il certificato di abitabilità o di agibilità costituiscono dunque requisito giuridico essenziale del bene compravenduto poiché valgono a incidere sull'attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico - sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità (Cass., n. 1514 del 2006) e quindi di soddisfare i concreti bisogni che hanno indotto l'acquirente ad effettuare l'acquisto (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 442 del 20/01/1996); pertanto, la consegna del certificato di abitabilità dell'immobile oggetto del contratto, ove questo sia un appartamento da adibire ad abitazione, pur non costituendo di per sè condizione di validità della compravendita, integra un'obbligazione incombente sul venditore ai sensi dell'art. 1477 c.c., attenendo ad un requisito essenziale della cosa venduta, in quanto incidente sulla possibilità di adibire legittimamente la stessa all'uso contrattualmente previsto (Cass., n. 16216/2008). - Sicchè, il mancato o il tardivo rilascio dei suddetti certificati, a prescindere dalle cause che abbiano determinato una tale evenienza, comportano comunque l'inadempimento del promittente venditore agli obblighi contrattuali sussistenti verso il promissario acquirente' (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15969 del 2000 anche in motivazione). - Ne consegue che la sola conoscenza da parte del compratore del mancato rilascio della licenza diabitabilità al momento della stipulazione, non accompagnato da una rinuncia da parte dello stessoal requisito dell'abitabilità, soddisfatto solo da rilascio della relativa licenza o dalla di lui volontàdi esonerare comunque il venditore del relativo obbligo, non vale ad escludere l'inadempimentodel venditore per consegna di "aliud pro alio" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 442 del 20/01/1996; Sez. 2, Sentenza n. 10703 del 1994; Cass. 10 giugno 1991 n. 6576). - Parimenti, per gli stessi motivi, si ritiene che il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilità o di agibilità e di conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato rilascio dipende da inerzia del Comune - nei cui confronti, peraltro, è obbligato ad attivarsi il promittente venditore - è giustificato, ancorché anteriore all'entrata in vigore della L. 28 febbraio 1985, n. 47, perché l'acquirente ha interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all' acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene, per cui i predetti certificati devono ritenersi essenziali (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10820 del 11/05/2009; Cass. n. 15969 del 19/12/2000; Cass. n. 12556 del 22.09.2000Cass. 19.7.1999 n. 7681; Cass. 20.1.1996 n. 442). - Conseguentemente, la mancata consegna di tale licenza implica un inadempimento che, sebbene non sia tale da dare necessariamente luogo a risoluzione del contratto, può comunque essere fonte di un danno risarcibile ovvero costituire il fondamento dell'"exceptio" prevista dall'art. 1460 c.c., per il solo fatto che si è consegnato un bene che presenta problemi di commerciabilità, essendo irrilevante la circostanza che l'immobile sia stato costruito in conformità delle norme igienico - sanitarie, della disciplina urbanistica e delle prescrizioni della concessione ad edificare, ovvero che sia stato concretamente abitato (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009; Cass., nn. 8880/2000, cui adde n. 15969/2000, 1391/98, 442/96, 11521/95). - La violazione di tale obbligo può legittimare sia la domanda di risoluzione del contratto, siaquella di risarcimento del danno, sia l'eccezione di inadempimento (Cassazione civile sez. II,30/01/2017, n.2294; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009; Tribunale di Teramo,09/03/2021, n. 226) e non è sanata dalla mera circostanza che il venditore, al momento dellastipula, avesse già presentato una domanda di condono per sanare l'irregolarità amministrativadell'immobile (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009). Tanto evidenziato in termini generali, con diretto riferimento al caso di specie, si osserva che: - In data 29.05.2009, gli odierni Attori e la (...) sono addivenuti alla compravendita dell'immobile sito in N.U. al foglio (...), p.lla n. (...) sub (...) e sub (...) prevedendo che il prezzo della compravendita fosse di Euro 387.343.000, interamente versati alla data del rogito (doc. 1 fascicolo (...)); - La parte venditrice ha dichiarato che, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 40 della L. n. 47 del 1985, il fabbricato contenente le porzioni oggetto di vendita era stato costruito antecedentemente al 1 settembre 1967 e che era stato oggetto demolizione e ricostruzione a seguito degli eventi sismici del 1997 "in conformità a Concessione Edilizia n. 259 del 22 dicembre 1999 n. 112/99 del 26 aprile 2000 successive concessione contributiva n. 52 del 28 febbraio 2022 e successive varianti del 17 maggio 2002 del 8 luglio 2002 del 10 dicembre 2004 e del 3 marzo 2005 tutte rilasciate dalle competenti autorità del Comune di N.U. e per le opere difformi è stata rilasciata dallo stesso Comune concessione in sanatoria n. 58/326/21 in data 9 aprile 2008 e che successivamente non ha subito modifiche" (art. 5 doc. 1 fascicolo (...) SPA); - A partire dall'anno 2010 coincidente con la effettiva presa di possesso dell'immobile, erano stati constatati dagli Attori vizi sia relativamente alla porzione di proprietà esclusiva che alle parti comuni del fabbricati; sicché, gli stessi Attori sono intervenuti sull'edificio di proprietà, rivolgendosi ad tecnico di fiducia che ha accertato difformità di natura amministrativa e vizi strutturali che lo rendevano inservibile rispetto al fine per cui era stato acquistato - in ragione di ciò, gli Attori hanno adito il Tribunale di Spoleto promuovendo ricorso per accertamento tecnico preventivo onde accertare la effettiva sussistenza delle suddette difformità amministrative, dei vizi strutturali dell'immobile, delle cause degli stessi oltre alla quantificazione dei danni; - gli addebiti sono stati confermati all'esito della espletata CTU a firma del Geom. L., acquisita agli atti di questo giudizio, e che, pure all'esito della integrazione disposta dalla scrivente, è stata condotta con metodo circostanziato e motivato, i cui risultati devono intendersi pertanto quivi integralmente richiamati per relationem perché condivisi come parte integrante del presente percorso motivazionale e pienamente utilizzabili nel presente giudizio. Il CTU ha, in sintesi, riscontrato che: - l'immobile è privo del certificato di agibilità, come emerso dalle ricerche effettuate presso gli uffici comunali; - l'immobile è difforme rispetto al progetto autorizzato dal Comune di N.U. con Concessione Edilizia n. 112/99 del 26.04.2000 sia a livello strutturale (tramezzatura al momento non presenti) sia per quanto riguarda l'impiantistica (sia termica che idrica); - alcuni dei titoli dichiarati dalla parte venditrice all'art. 5 dell'atto sono stati archiviati o non sono perfezionati; - l'immobile presenta vizi anche sul piano costruttivo, tra cui la scala esterna che collega il piano terra alla porzione oggetto di causa che sarebbe stata realizzata in violazione della normativa di cui al D.M. n. 236 del 1989 in materia di accessibilità e superamento delle barriere architettoniche ed al D.Lgs. n. 626 del 1994 oggi trasfuso nel D.Lgs. n. 81 del 2008 in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro. In particolare, le scale prevedono una larghezza inferiore a 120 cm previsti dalla normativa di riferimento; - per quanto propriamente interessa a questo punto della trattazione, essendo un profilo controverso tra le parti causa la classificazione della porzione compravenduto (ufficio pubblico, ufficio privato ad uso pubblico, ufficio privato) cui segue l'applicabilità o meno della normativa sopra richiamata, il CTU ha rilevato che la porzione compravenduta è catastalmente identificabile come categoria (...) (uffici e studi privati) e che, pertanto, in detti locali può essere esercitata l'attività degli Attori; il CTU, inoltre, nella bozza di Relazione aveva ritenuto corretto equiparare i locali privati ad uso pubblico (quale è quello oggetto del presente giudizio) ai locali pubblici catastalmente identificati come categoria (...); - ora, il D.M. n. 236 del 1989 ha come oggetto dettare norme e prescrizioni tecniche necessarie a garantire la accessibilità, la adattabilità e la visibilità degli edifici pubblici privati di edilizia residenziale pubblica al fine del superamento e della eliminazione delle barriere architettoniche; l'art. 1 - rubricato campo di applicazione - elenca gli interventi che vanno assoggettati al decreto tra cui, al sub 1, gli edifici di nuova costruzione residenziali e non ivi compresi quelli di edilizia residenziale convenzionata, quale è quello di specie; - pertanto, il CTU, previo confronto con la A. e con il Comune di N.U. ha concluso che, indipendentemente dalla classificazione catastale, l'intervento di cui al presente giudizio deve rispettare la normativa tecnica contenuta nel DM sopra richiamato; - sicché la scala di accesso ai locali posti al secondo piano, così come previsto dall'art. 8.1.10 del DM e come previsto pure nell'originario progetto architettonico doveva presentare una larghezza minima di cm 120; attualmente, invece, l'immobile presenta una scala esterna, la cui larghezza varia a seconda delle rampe da 104 a 118 cm e, pertanto, risulta non conforme al progetto architettonico e al D.M. n. 236 del 1989; - la predetta non conformità alla normativa di riferimento di cui al D.M. n. 2 del 3 6, ribadita dal CTU anche in sede di integrazione, non è stata ritenuta sanabile dall'ausiliario alla luce del parere rilasciato agli Attori dalla U.U. 2 - DIPARTIMENTO DI PREVENZIONE E SICUREZZA NELL'AMBIENTE DI LAVORO DI FOLIGNO il quale recita "(..) si fa presente che la normativa sopra citata non consente deroghe alle non conformità evidenziate" Da quanto precede, si ricava che: - L'immobile compravenduto è risultato privo del certificato di agibilità, il cui rilascio sarebbe stato comunque precluso dai vizi strutturali inerenti la scala esterna realizzata in violazione del progetto e della normativa sopra richiamata. - La gravità e la non sanabilità dei vizi che colpiscono la scala, per quanto sopra detto, comporta infatti la impossibilità di rendere l'immobile aderente alla normativa in materia di accessibilità e superamento delle barriere architettoniche ed in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro, con inevitabile ripercussione sulla possibilità di dichiarare la conformità dell'opera realizzata e, conseguentemente, di ottenere la certificazione di agibilità dell'immobile e quindi di destinare lo stesso allo scopo per cui gli Attori lo avevano acquistato, per come risulta dalla documentazione complessivamente dimessa, non essendo stato neppure puntualmente contestato dalla parte Convenuta; - è lecito concludere, di conseguenza, ritenendo che l'assenza di tale elemento strutturale - già di per sé ostativa al rilascio del certificato - abbia realmente compromesso la destinazione dell'immobile all'usoper cui era stato acquistato, giustificando la domanda di risoluzione. Giova a questo punto sottolineare- in relazione al tema della distribuzione dell'onere della prova nei giudizi (quale quello di specie) di responsabilità contrattuale - che: - in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca (come nel presente giudizio) per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 577 del 11/01/2008; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9351 del 19/04/2007; Cass. N. 1743 del 2007; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8615 del 12/04/2006; Cass. N. 20073 del 2004); - vige il principio della presunzione di persistenza del diritto, desumibile art. 2697 c.c., per il quale, una volta provata dal creditore l'esistenza di un diritto destinato ad essere soddisfatto, grava sul debitore l'onere di provare l'esistenza del fatto estintivo costituito dall'adempimento (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9351 del 19/04/2007 anche in motivazione); - vertendosi in tema di responsabilità contrattuale, la colpa dell'inadempiente è presunta sino a prova contraria e tale presunzione è superabile solo da risultanze positivamente apprezzabili, dedotte e provate dal debitore, le quali dimostrino che, nonostante l'uso della normale diligenza, non è stato in grado di eseguire tempestivamente le prestazioni dovute per cause a lui non imputabili (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2853 del 11/02/2005; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14124 del 26/10/2000). Nella specie gli Attori, nel pieno assolvimento dei propri oneri di allegazione e di prova (come sopra richiamati), hanno anche fornito prove 'positive' dei propri assunti: a) risulta prodotto agli atti il contratto sottoscritto in data 29.05.2009, con cui gli odierni Attori e la (...) sono addivenuti alla compravendita dell'immobile sito in N.U. al foglio (...), p.lla n. (...) sub (...) e sub (...) prevedendo che il prezzo della compravendita fosse di Euro 387.343.000, interamente versati alla data del rogito e in cui la parte venditrice ha dichiarato che, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 40 della L. n. 47 del 1985, il fabbricato contenente le porzioni oggetto di vendita era stato costruito antecedentemente al 1 settembre 1967 e che era stato oggetto demolizione e ricostruzione a seguito degli eventi sismici del 1997 "in conformità a Concessione Edilizia n. 259 del 22 dicembre 1999 n. 112/99 del 26 aprile 2000 successive concessione contributiva n. 52 del 28 febbraio 2022 e successive varianti del 17 maggio 2002 del 8 luglio 2002 del 10 dicembre 2004 e del 3 marzo 2005 tutte rilasciate dalle competenti autorità del Comune di Nocera Umbra e per le opere difformi è stata rilasciata dallo stesso Comune concessione in sanatoria n. 58/326/21 in data 9 aprile 2008 e che successivamente non ha subito modifiche" (art. 5 doc. 1 fascicolo (...) SPA); b) è stato pure prodotto il contratto di mutuo fondiario sottoscritto in pari data dagli Attori davanti al Notaio, ove è specificato all'art. 3 che "la parte mutuataria conferma che il presente mutuo viene richiesto allo scopo di finanziare l'acquisto di un immobile ad uso non abitativo destinato ad ufficio" (cfr., doc. 2 attori); c) hanno ritualmente dedotto (il fatto 'negativo') di non essere stati a conoscenza, al momento della stipula di detto contratto, del fatto che in realtà l'immobile in esame fosse sprovvisto del certificato di agibilità, per averlo scoperto soltanto nel 2010, in seguito agli accertamenti tecnici compiuti dopo la effettiva immissione nel possesso; d) hanno dimostrato (anche grazie all'ausilio delle risultanze tecniche della CTU) che detto immobile presentava difformità progettuali (insanabili) che avrebbero impedito il rilascio di detto certificato. A fronte di siffatto composito corredo di allegazioni e di prove, fornite dagli Attori, i Convenuti si sono difesi eccependo che: - non ricorrerebbe la fattispecie di aliud pro alio, considerato che gli Attori conoscevano il progetto, l'immobile e la destinazione dello stesso non potendo dirsi integrata la consegna di un immobile diverso rispetto a quello venduto; - le incongruenze tra progetto e attuazione dello stesso sono tutte sanabili e tale sanatoria consentirebbe di ottenere il certificato di agibilità; - la (...) ha già presentato la richiesta per la parte di immobile di sua proprietà non potendo procedere per la restante parte in assenza del consenso degli Attori. Siffatte eccezioni non colgono nel segno, osservandosi che si legge espressamente nella integrazione di CTU come la dimensione della scala esterna inferiore rispetto a quanto previsto dalla normativa di riferimento, alla luce del parere espresso dalla U. e offerto in comunicazione dagli Attori non sia sanabile e che ciò pertanto non avrebbe consentito in alcun modo di presentare agli uffici competenti la dichiarazione di conformità dei lavori al progetto depositato, senza la quale l'edificio non avrebbe potuto ottenere il certificato di agibilità. Le considerazioni che precedono conducono, in definitiva, all'accoglimento della domanda di risoluzione del contratto di vendita in ragione della ravvisata fattispecie di aliud pro alio, con le conseguenze restitutorie che ne derivano. 2.1. La (...) dovrà, quindi, restituire il prezzo versato dagli Attori, quale corrispettivo della vendita, nonché risarcire i danni sofferti dai medesimi in ragione del lamentato inadempimento. Nella specie, è circostanza pacifica oltre che documentale che il contratto di compravendita (allegato al doc. 1 fascicolo INTESA) all'art. 6 fissasse il prezzo di vendita in Euro 387.343,00 interamente versato alla venditrice che ha rilasciato ampia e definitiva quietanza di saldo con espressa rinuncia alla iscrizione della ipoteca legale. Il pagamento della corrispondente somma non è infatti contestato dalla parte Convenuta (ex art. 115 c.p.c.). Sicché, tali somme andranno restituite dalla B.A.A. per effetto della dichiarata risoluzione del contratto di compravendita, oltre interessi legali dalla domanda al saldo. Invero, secondo la giurisprudenza di legittimità dalla quale non si ha ragione di discostarsi, l'obbligo restitutorio relativo alla originaria prestazione pecuniaria, conseguente ad una pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento, ha natura di debito di valuta e, come tale, non è soggetto a rivalutazione monetaria, se non nei termini nel maggior danno da allegarsi e provarsi dal creditore rispetto a quello soddisfatto dagli interessi legali ex art. 1224 c.c. (cfr., Cass., n. 5639/2914). 3. Il risarcimento del danno Accertato l'illecito contrattuale da parte della (...) nei termini sopra indicati, si tratta ora di chiarire quale sia l'importo del risarcimento del danno. Quest'ultima domanda si declina nella necessità di determinare quale parte del danno sia stata provata e previamente nello stabilire - per ragioni di ordine logico - se c'è stato concorso di colpa del creditore nella sua causazione, in ragione dell'eccezione svolta in tal senso dalla parte Convenuta. 3.1. Sulla responsabilità degli Attori ex art. 1227 c.c. (...) SPA eccepisce invero il concorso colposo degli Attori, rilevante al fine di ridurre ovvero di escludere il danno, ex art. 1227 commi 1 e 2 c.c., e in tesi consistito nel non avere aderito alla richiesta in sanatoria dell'immobile proposta dalla (...) venditrice. Il Tribunale ritiene l'eccezione infondata. Al di là della genericità dell'allegazione, nella vicenda in esame non è stato dimostrato che la (...) si fosse resa disponibile agli adempimenti di cui sopra e che gli Attori si siano ingiustificatamente rifiutati. In ogni caso, considerato che si tratta di vizi insanabili per come concluso dal CTU in sede di integrazione - almeno quelli riguardanti la scala esterna - ne deriva che anche l'asserita mancanza di collaborazione da parte degli Attori non avrebbe in alcun modo potuto incidere sulla causazione del danno di cui ora chiedono il risarcimento, né sul suo aggravamento. 3.2. Il quantum debeatur Fermo quanto precede, oltre che la restituzione del prezzo versato a titolo di corrispettivo, gli Attori hanno richiesto in via diretta nei confronti della (...) il risarcimento di tutti i danni a loro dire subiti e che vengono così suddivisi: a) Danno emergente che, così come precisato all'udienza del 24.02.2022, è pari ad Euro.148.446,76 per le spese sostenute dal 2009 per l'acquisto dell'immobile; spese notarili per la stipula dell'atto di compravendita e per il mutuo fondiario oltre agli interessi versati dagli Attori in relazione al predetto mutuo; spese sostenute per completare la pratica amministrativa relativa all'ascensore; esborsi sostenuti per la messa in funzione e la manutenzione degli impianti, per gli allacci alle forniture di energia elettrica, gas e acqua, e per la loro erogazione; esborsi sostenuti per il pagamento delle imposte relative all'immobile; spese sostenute per l'istruttoria e per gli interessi versati agli Istituti di Credito ((...), (...) e (...)) in relazione ai finanziamenti ed ai fidi richiesti in ragione dei maggiori esborsi e dei mancati incassi a titolo di locazione patiti a causa dei gravi vizi che colpiscono l'immobile; spese per gli incarichi professionali conferiti a tecnici e legali per promuovere il giudizio di accertamento tecnico preventivo e per gli onorari versati al CTU. b) Lucro cessante che, così come precisato all'udienza del 24.02.2022, è determinato in Euro 224.750,00 e dato dal mancato guadagno subito per non aver potuto locare alcune stanze dell'immobile acquistato ad altri professionisti o società concretamente interessati ad ivi operare, nonché per la mancata locazione dell'ufficio di proprietà in cui gli Attori continuano ad esercitare le loro attività, e ciò a causa della non agibilità e funzionalità del bene compravenduto. Con riguardo al sub a), parte Attrice ha allegato e documentato di aver sostenuto una serie di spese correlate alla stipula ed alla attuazione del contratto, che devono essere oggetto di rimborso e, segnatamente: - Risulta in atti la fattura di pagamento emessa per l'importo indicato di Euro 18.000,00 dal notaio (...) che ha redatto l'atto pubblico di compravendita (doc. 11), prevedendo espressamente il contratto in questione, oggi risolto, all'art. 9, che "le spese del presente atto e conseguenti sono a carico della parte acquirente"; - Risulta pure in atti fattura di pagamento emessa per l'importo indicato in Euro 1.418,00 dal notaio (...) relativa ai mutui contratti per l'acquisto dell'immobile di cui trattasi (doc. 1 e 12); - Risulta in atti documentazione attestante spese per l'opera professionale del consulente di parte CTP Ing. (...) e spese legali sostenute per l'assistenza dell'Avv. (...) di cui alle fatture dimesse (doc. 28 e 29) per Euro complessivi 27.317,94 sulle quali compare espressamente la dicitura "pagato"; - Risulta ancora in atti documentazione inerente spese relative al pagamento di tasse (ICI e IMU, doc. 13 e 14) per l'importo complessivo di Euro 13.416,00; - Risulta in atti documentazione inerente spese sostenute per l'allaccio di energia elettrica per Euro 1.811,46 (all. 15) e per le successive spese di fornitura per Euro 5.886,97 (all. 16); - Risulta in atti documentazione inerente le spese sostenute per la messa in funzione dell'ascensore, assegnazione numero matricola e sua manutenzione per Euro 6.794,50 (doc. 17 e 18) espressamente poste a carico della parte acquirente all'art. 2 del contratto di vendita (doc. 1 Intesa) oltre che per le successive verifiche e manutenzioni per Euro 470,04; - Risulta in atti documentazione attestante le spese sostenute per fornitura acqua V. (all. 22) per l'importo di Euro 593,98; - Risulta in atti documentazione attestante le spese sostenute per la riparazione di tubature (doc. 23) per l'importo di Euro 246,00; - Risulta in atti documentazione attestante le spese sostenute per interventi sulle pompe di sentina, per interventi ditta F. come attestati dalle fatture (doc. 24, 25) per le somma rispettivamente di Euro 2.364,00 e Euro 1.028,50 sulle quali compare espressamente la dicitura 'pagato'. Il tutto, per un totale di Euro 79.347,39. A fronte di detto impianto documentale, parte Convenuta ha svolto una contestazione insanabilmente generica e quindi processualmente irrilevante, essendosi arrestata ad affermare che l'eventuale danno asseritamente patito in conseguenza della vendita andrebbe ridotto a quanto non dedotto dagli Attori, intervenuti quali titolari di imprese. Detta contestazione è già carente sul piano assertivo - non potendosi neppure capire a quali delle voci di spesa, puntualmente elencati dagli Attori, si riferisca - oltre che probatorio, essendo sfornita di qualsivoglia supporto documentale, non potendosi a ciò sopperire neppure con il chiesto ordine di esibizione - il cui rigetto si conferma anche nella presente sede decisoria - ricordandosi che il rimedio di cui all'art. 210 c.p.c. è fruibile non certo per sollevare la parte istante dall'onere della prova. Osserva quindi il Tribunale che, per effetto della dichiarata risoluzione, le somme sopra citate e relative alle spese certamente sostenute per un immobile privo del certificato di agibilità pari ad un totale di Euro 79.347,39 andranno restituite agli Attori da parte della (...) venditrice. La domanda non è invece fondata con riguardo alle ulteriori voci di spesa - rispetto alle quali, indipendentemente dalla genericità della contestazione della controparte, non risulta a monte assolto l'onere probatorio gravante sugli Attori - e relative: - al rilascio di effetto cambiario per Euro 2000,00 mancando documentazione a supporto (cfr. il vuoto al riguardo); - per gli importi in tesi versati dagli Attori per l'aumento di due linee di credito non essendo provato l'effettivo collegamento negoziale con la risolta vendita; - per l'istallazione impianto gas da NUOVA IRSIA SAS e successiva fornitura E., difettando prova dell'effettivo pagamento, come anche per smontaggio e trasporto mobili; - per l'acquisto di mobilio, attesa la genericità della dicitura di cui alla fattura in atti e mancando sicura riferibilità all'immobile per cui è causa. Va pure esclusa la domanda di risarcimento in relazione alle spese dell'accertamento tecnico preventivo, attesa la natura di spese giudiziali, da porre, salva l'ipotesi di compensazione, a carico del soccombente (Cassazione civile ordinanza n. 35510 2021). Con riguardo, poi, al sub b), gli Attori hanno chiesto il risarcimento del danno da mancato guadagno subito per non avere, in tesi, potuto locare alcune stanze dell'immobile acquistato ad altri professionisti o società, nonché per la mancata locazione dell'ufficio di proprietà in cui gli Attori continuano ad esercitare le loro attività. In realtà, nella specie, si constata che il fondamento della pretesa attorea non risulta sufficientemente provato. Dagli atti in causa e dalle emergenze testimoniali, si ha evidenza che taluni professionisti si fossero rivolti alla (...) per avere un immobile in locazione e che l'Attrice avrebbe proposto loro il nuovo ufficio in N.U., salvo poi indirizzarli su altri immobili sempre di loro proprietà. Tuttavia, gli Attori non ha fornito compiuta prova in merito agli affari persi ed ai mancati guadagni imputabili allo stato di inagibilità dell'immobile per cui è causa. E invero nessuno dei testi ha riferito di avere effettivamente raggiunto un accordo con gli Attori per la locazione, non avendo gli stessi neppure mai visionato l'immobile in questione; tutti i testi escussi hanno invece dato atto di avere avuto un primo contatto esplorativo con gli Attori perché interessati ad affittare un ufficio in zona. Ciò, tuttavia, è ben distante da quanto richiesto dalla condivisibile giurisprudenza di legittimità in punto di danno da lucro cessante, per cui occorre che il danneggiato provi che in difetto dell'inadempimento avrebbe con certezza o comunque ragionevolmente conseguito una corresponsione economica, cheinvece non ha conseguito a causa dell'inadempimento (ex multis: Cass. civ., sez. 3, 28.01.2005, n. 1752). Deve ritenersi, pertanto, che i pregiudizi lamentati a titolo di mancato guadagno (per perdita di affittuari) non risultano provati. Pertanto, in parziale accoglimento della pretesa risarcitoria fatta valere in via principale nei confronti della Banca Convenuta, nei termini sopra precisati, la stessa dovrà essere condannata al pagamento in favore degli Attori della somma di Euro 79.347,39. Atteso che tale somma, liquidata a titolo di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, è un credito di valore, deve tenersi conto della svalutazione monetaria sopravvenuta sino alla decisione, nonché degli interessi compensativi maturati, anche d'ufficio (Cass. n. 2037/2019) che devono essere calcolati anno per anno, sul valore della somma via via rivalutata nell'arco temporale compreso tra l'evento dannoso e la liquidazione. Su tali somme, corrispondenti all'intero danno risarcibile liquidato al creditore, sono altresì dovuti gli interessi al tasso legale sino al saldo, con decorrenza dalla data della presente pronuncia, coincidente con la trasformazione del debito di valore in debito di valuta. In conclusione: - in accoglimento della domanda principale avanzata dagli Attori, il contratto di vendita del 29.05.2009, stipulato con la (...) Spa deve essere dichiarato risolto, ravvisandosi la fattispecie di aliud pro alio; - per l'effetto, in ragione delle conseguenze che ne derivano sotto il profilo restitutorio, la (...) dovrà restituire la somma di Euro 387.343,00 pari al corrispettivo versato in sede di vendita; - in parziale accoglimento delle domande risarcitorie spiegate dagli Attori, la (...) dovrà essere condannata al pagamento di Euro 79.347,39 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale subito per gli esborsi eseguiti in relazione all'immobile venduto privo di agibilità. Il tutto, stando ai principi giurisprudenziali sopra richiamati, con la rivalutazione monetaria e gli interessi legali dalla data della domanda al saldo effettivo; - tutte le altre domande risarcitorie degli Attori vanno rigettate; - restano assorbite quelle svolte in via subordinata anche nei confronti dell'Arch. (...). 5. Le spese processuali Con riguardo alle spese di lite, considerato che la domanda di annullamento del contratto è risultata infondata, valorizzato l'evidente e considerevole ridimensionamento della pretesa pecuniaria attorea, sussistono gravi ragioni per disporne la compensazione. È noto invero che la riduzione, anche sensibile, della somma richiesta con la domanda giudiziale non integra gli estremi della soccombenza reciproca, ma ugualmente, con valutazione discrezionale, incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata, il giudice ne può tenere conto, ai fini della compensazione, totale o parziale, delle spese di lite, (cfr. da ultimo Cass. Sent. 5.8.2005 n. 16526 in motivazione; Cass. 12295/01; Cass. 23.6.2000, n. 8352). Nella vicenda indagata, facendo applicazione del citato principio, l'accertato riconoscimento di un credito risarcitorio degli Attori di gran lunga inferiore alla somma pretesa non può che riverberarsi a danno degli stessi, ancorché formalmente vittoriosi nel presente giudizio, disponendosi pertanto la compensazione delle spese di lite. Per le medesime ragioni e considerati anche peculiari esiti degli accertamenti tecnici compiuti, vanno compensate pure le spese della CTU svolta nel giudizio per ATP e quelle relative alla integrazione della CTU espletata nel presente giudizio di merito, entrambe già liquidate in separato decreto. Lo si ripete: la regola, statuita dalla Suprema Corte, è infatti la seguente: le spese dell'accertamento tecnico preventivo, al termine del procedimento, devono essere poste a carico del richiedente. Qualora nel successivo giudizio di merito l'accertamento sia ammesso agli atti di causa dal Giudice, come avvenuto nella specie, anche tali spese saranno computate a carico dalla parte soccombente, salva l'ipotesi della compensazione (cfr., Cass. Civ. n. 1690/2000). P.Q.M. Il Tribunale di Spoleto, definitivamente pronunciando nella causa civile iscritta al R.G. n. 2570 del 2016 così provvede: 1. DICHIARA la risoluzione del contratto di vendita stipulato in data 29.05.2009 tra gli Attori G.C., M.G. e M.G. e (...) SPA, poi (...) SPA oggi (...) SPA, relativo all'immobile sito in N.U., (...) SNC - foglio (...), p.lla n. (...) sub (...) e sub (...), ricorrendo la fattispecie di aliud pro alio, per le causali di cui in motivazione e per l'effetto 2. CONDANNA la Convenuta (...) SPA alla restituzione in favore degli Attori della somma di Euro 387.343.000 pari al corrispettivo che si è dichiarato ricevuto in sede di vendita oltre interessi come da motivazione; 3. In parziale accoglimento delle domande risarcitorie, CONDANNA la Convenuta (...) SPA al pagamento in favore degli Attori della somma di Euro 79.347,39 oltre rivalutazione ed interessi come da motivazione; 4. RIGETTA ogni altra domanda, eccezione ed istanza proposta dalle parti; 5. COMPENSA integralmente le spese processuali tra tutte le parti in causa comprese le spese di CTU, con diritto per la parte che le abbia integralmente anticipate a rivalersi pro quota nei confronti di tutte le altre. Così deciso in Spoleto il 19 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. MANTOVANO Alfredo - Consigliere Dott. BORSELLINO Maria D. - Consigliere Dott. NICASTRO Giuseppe - rel. Consigliere Dott. MONACO Maria Maria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza del 09/10/2020 della Corte d'appello di Bari; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GIUSEPPE NICASTRO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. GARGIULO RAFFAELE, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili; udito l'avv. (OMISSIS), anche quale sostituto dell'avv. (OMISSIS), in difesa delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), il quale si e' associato alle richieste del Sostituto Procuratore generale, riportandosi alle conclusioni scritte che ha depositato unitamente alle note spese; udito l'avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS) e di (OMISSIS), che, nel riportarsi ai motivi di ricorso, ha concluso chiedendone l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 09/10/2020, la Corte d'appello di Bari, in riforma della sentenza del 19/05/2016 del Tribunale di Foggia, dichiarava non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS) per essere il reato loro ascritto di appropriazione indebita pluriaggravata di denaro del condominio "(OMISSIS)" nella loro qualita' di amministratori, rispettivamente, di fatto e di diritto dello stesso condominio e il primo anche di "coadiutore" della madre (OMISSIS) - estinto per prescrizione, confermando la condanna dei due imputati al risarcimento del danno cagionato alle costituite parti civili e condannando, altresi', gli stessi imputati al pagamento di una provvisionale in favore della parte civile (OMISSIS). Secondo il capo d'imputazione, il reato di appropriazione indebita era stato contestato agli imputati "perche', in concorso tra di loro, (OMISSIS) nella qualita' di amministratrice del condominio "(OMISSIS)" fino al (OMISSIS), (OMISSIS), figlio dell'amministratrice, nella qualita' di coadiutore della madre e di amministratore di fatto del predetto condominio, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, si appropriavano delle somme di seguito indicate rinvenienti dal pagamento delle quote condominiali da parte dei singoli condomini a titolo di spese di gestione, delle quali avevano il possesso a causa delle mansioni amministrative disimpegnate, non destinandole alla finalita' per le quali erano state versate ne' consegnandole al nuovo amministratore condominiale: - 272.736,78 Euro quale saldo attivo del conto corrente nel mese di maggio 2008; - 2.850,01 Euro quale saldo di cassa nel mese di maggio 2008; - 36.605,00 Euro versate per il pagamento del saldo d'imposta ICI relativa all'anno 2007, nonche' per il pagamento dell'intera imposta relativa all'anno 2008; - 46.513,00 Euro versate per il pagamento della TARSU relativa agli anni dal 2004 al 2008; - 163.320,64 quale saldo attivo del bilancio per l'annualita' 2008/09". 2. Avverso l'indicata sentenza della Corte d'appello di Bari, hanno proposto ricorsi per cassazione, con un unico atto, (OMISSIS) e (OMISSIS), per il tramite del loro difensore, affidato a tre motivi. 2.1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), l'inosservanza e l'erronea applicazione degli articoli 521 e 522, nonche' la "mancanza e manifesta illogicita' della sentenza" impugnata. I ricorrenti lamentano il difetto di correlazione tra l'imputazione contestata, consistente nella "sottrazione delle somme commess(a) in un unico momento", cioe' in "una sola e unica sottrazione", "e con un prelievo dal conto corrente di una somma ivi depositata", e quanto era emerso dall'istruttoria dibattimentale (e, soprattutto, dalla ricostruzione operata dal perito (OMISSIS), in base alla quale, nel maggio 2008, non vi erano somme sul conto corrente del condominio) - cioe' la "sottra(zione) di singole somme nei singoli anni" ("in dieci anni di piccole somme trattenute") - e ritenuto in sentenza. I ricorrenti lamentano, altresi', la mancanza o la manifesta illogicita' della motivazione della sentenza impugnata con riguardo al rigetto del motivo di appello concernente tale aspetto. 2.2. Con il secondo motivo - relativo, in particolare, all'affermazione di responsabilita' di (OMISSIS) - i ricorrenti deducono, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 110 c.p. e dell'articolo 237 c.p.p., nonche' la "mancanza e manifesta illogicita' della sentenza" impugnata. I ricorrenti lamentano che la Corte d'appello di Bari abbia ritenuto la responsabilita' del (OMISSIS), in quanto amministratore di fatto del condominio e "coadiutore" della madre (OMISSIS), sulla base, oltre che di un verbale di assemblea condominiale (del 17 gennaio 2009) non sottoscritto dal (OMISSIS) e riportante dichiarazioni dello stesso (OMISSIS) non confermate da alcuna persona presente all'assemblea, della dichiarazione di (OMISSIS), amministratore del condominio succeduto alla (OMISSIS), secondo cui il (OMISSIS) gli si era presentato come "rappresentante della madre", reputando, illogicamente, che tale qualifica implicasse il concorso del (OMISSIS) nel reato. 2.3. Con il terzo motivo - relativo anch'esso all'affermazione di responsabilita' di (OMISSIS) - i ricorrenti deducono, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 43 c.p., nonche' la "mancanza e manifesta illogicita' della sentenza" impugnata. I ricorrenti lamentano che la Corte d'appello di Bari abbia fondato l'affermazione della responsabilita' del (OMISSIS) sulla gia' ricordata dichiarazione di (OMISSIS) secondo cui l'imputato gli si era presentato come "rappresentante della madre", sostenendo come tale "rappresentanza" non implicasse che il (OMISSIS) avesse attivamente e consapevolmente partecipato alle contestate sottrazioni. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo e' manifestamente infondato. Anzitutto, si deve rilevare l'assoluta genericita' e la mancanza di autosufficienza del motivo la' dove i ricorrenti deducono che dall'istruttoria dibattimentale e, soprattutto, dalla ricostruzione operata dal perito (OMISSIS), sarebbe emersa l'assenza di somme sul conto corrente del condominio nel maggio 2008, atteso che gli stessi ricorrenti hanno omesso del tutto di indicare da quali atti dell'istruttoria dibattimentale tale fatto sarebbe emerso, come pure di riportare (o di fare allegare al ricorso, ex articolo 165-bis c.p.p., comma 2) le invocate dichiarazioni del perito (OMISSIS). Con riguardo, comunque, alla doglianza secondo cui, mentre la contestazione contenuta nell'imputazione consisteva nella "sottrazione delle somme commessa in un unico momento", l'istruttoria dibattimentale avrebbe fatto emergere, e le sentenze dei giudici di merito avrebbero ritenuto, la "sottra(zione) di singole somme nei singoli anni", si deve osservare come, come evidenziato dalla Corte d'appello di Bari (pag. 3 della sentenza impugnata), il Tribunale di Foggia (pagine 9 e 10 della sentenza di primo grado) avesse ritenuto che gli atti appropriativi posti in essere dagli imputati integrassero un unico reato di appropriazione indebita - stante, oltre che l'identita' delle persone offese, la contestualita' degli stessi atti, rispetto ai quali l'interversione del possesso del denaro si era avuta alla cessazione della carica dell'amministratrice (OMISSIS) - in totale corrispondenza con l'imputazione, nella quale, data anche l'assenza di qualsiasi riferimento all'articolo 81 c.p. o, comunque, alla continuazione, era stato contestato, appunto, un unico reato. 2. Il secondo motivo e' manifestamente infondato. L'articolo 237 c.p.p. (secondo cui "(e') consentita l'acquisizione, anche di ufficio, di qualsiasi documento proveniente dall'imputato, anche se sequestrato presso altri o da altri prodotto") costituisce una norma che tende a estendere, in materia documentale, il diritto di difesa dell'imputato, al fine di consentire allo stesso di fare giungere all'attenzione del giudice - il quale, ai fini dell'acquisizione, puo' anche attivare i propri poteri d'ufficio (costituendo percio' la stessa norma una delle poche ipotesi in cui si e' concretizzata la riserva di legge di cui all'articolo 190 c.p.p., comma 2) - documenti utili ai fini della decisione riconducibili allo stesso imputato. Tale norma non comporta tuttavia, contrariamente a quanto mostrano di ritenere i ricorrenti, che documenti non provenienti dall'imputato - quali sono, come correttamente ritenuto dalla Corte d'appello di Bari (pag. 4 della sentenza impugnata), i verbali delle assemblee condominiali del condominio "(OMISSIS)" cui aveva partecipato il (OMISSIS) - ed eventualmente contenenti, come nella specie, dichiarazioni dell'imputato autoindizianti, non possano essere acquisiti come prova documentale, ai sensi dell'articolo 234 c.p.p., e utilizzati, con valenza indiziaria, come ha fatto la Corte d'appello di Bari, ai fini della decisione, non essendo le predette dichiarazioni soggette alla disciplina dell'articolo 63 c.p.p., comma 2, (la quale si riferisce solo alle dichiarazioni rese all'autorita' giudiziaria o alla polizia giudiziaria). Cio' chiarito, si deve osservare che la Corte d'appello di Bari ha ritenuto la responsabilita' del (OMISSIS) sulla base di una pluralita' di elementi, considerati nel loro insieme, costituiti: dalla dichiarazione resa dal (OMISSIS) nel corso dell'assemblea condominiale del (OMISSIS) - non illogicamente ritenuta dalla Corte d'appello come "autoaccusatoria" - secondo cui egli, unitamente alla madre, "avrebbe provveduto a restituire le somme al residence"; dalla dichiarazione del testimone (OMISSIS), secondo cui, in occasione del suo subentro nel ruolo di amministratore, il (OMISSIS) gli si era presentato "quale rappresentante della madre", gli aveva consegnato le chiavi degli appartamenti del condominio nonche', successivamente, un "elenco che (...) riteneva di condomini morosi per l'anno 2008", condotte che la Corte d'appello ha, non illogicamente, ritenuto "incompatibili con l'estraneita' alla gestione amministrativa" del condominio; dalle risultanze del verbale dell'assemblea condominiale del 29 novembre 2008, nel quale si dava atto del fatto che la (OMISSIS) aveva incaricato il figlio (OMISSIS) di relazionare in quanto amministratore di fatto del condominio; dalle risultanze del gia' menzionato verbale dell'assemblea condominiale del (OMISSIS), sottoscritto da tutti i partecipanti, dal quale risultava che il (OMISSIS) si era speso come amministratore di fatto delegato dall'ex amministratrice (OMISSIS). Tale motivazione della responsabilita' del (OMISSIS), in particolare del suo ruolo di amministratore di fatto del condominio, fondata sulla pluralita' degli indicati elementi, valutati nel loro complesso, appare priva di incoerenze o illogicita', mentre la doglianza del ricorrente, relativa alla valenza attribuita dalla Corte d'appello di Bari alla dichiarazione del testimone (OMISSIS) secondo cui il (OMISSIS) gli si era presentato "quale rappresentante della madre", valuta inammissibilmente - in modo isolato tale elemento, omettendo di considerarlo, come necessario, nel contesto della piu' ampia e logica motivazione della Corte d'appello di Bari. 3. Il terzo motivo e' inammissibile, atteso che, anche in questo caso, i ricorrenti hanno formulato la propria doglianza considerando isolatamente l'elemento della ricordata dichiarazione del testimone (OMISSIS), omettendo di confrontarsi compiutamente con la motivazione della sentenza impugnata, fondata, come si e' detto, su una pluralita' di ulteriori elementi probatori. 4. Pertanto, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., comma 1, al pagamento delle spese del procedimento e al pagamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro tremila. I ricorrenti devono essere altresi' condannati alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), che si liquidano, per ciascuna di esse, in complessivi Euro 3.510,00, oltre agli accessori di legge. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, nonche' alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) che liquida per ciascuna di esse in complessivi Euro 3.510,00 oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI NICOLA Vito - Presidente Dott. GALTERIO Donatella - Consigliere Dott. CERRONI Claudio - Consigliere Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. CORBO Antonio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza in data 26/04/2022 del Tribunale di Frosinone; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. GIORDANO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso; lette le conclusioni presentate nell'interesse del ricorrente dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali insistono per l'accoglimento del ricorso, anche con riferimento alla proposizione della questione di legittimita' costituzionale. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza emessa in data 26 aprile 2022, e depositata il 27 aprile 2022, il Tribunale di Frosinone, pronunciando quale Giudice dell'esecuzione, ha respinto, a seguito di udienza camerale, le richieste di (OMISSIS) di revocare la confisca per equivalente disposta con sentenza divenuta irrevocabile in relazione al reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, per la somma di 569.777,00 Euro, ed eseguita dalla Guardia di Finanza in data 2 febbraio 2022, previo provvedimento del Pubblico Ministero del 22 dicembre 2021, ovvero, in subordine, di limitare detta confisca alla somma di 427.775,86 Euro, per l'avvenuto pagamento della somma di 142.001,14 Euro. La richiesta di revoca della confisca per equivalente e' stata avanzata perche' difetterebbe la condizione di procedibilita', asseritamente introdotta dall'articolo 1, comma 14, Legge delega n. 134 del 2021, della notifica dell'avviso di pagamento, da effettuarsi, in caso di difetto di previo sequestro, prima di eseguire l'ablazione. La richiesta di limitazione della confisca, invece, e' stata formulata in ragione dell'avvenuto pignoramento di 118.629,40 Euro nell'ambito di procedura esecutiva esperita da Equitalia e dell'effettuazione di due pagamenti, uno per 9.663,38 Euro, l'altro per 13.708,36 Euro. Il Tribunale ha rigettato la prima richiesta perche' ha escluso l'immediata applicabilita' dell'articolo 1, comma 14, Legge delega n. 134 del 2021 in mancanza del decreto legislativo delegato, e la seconda richiesta perche' ha ritenuto i documenti prodotti inidonei a riferire il pignoramento e i pagamenti precedentemente specificati al debito erariale per il quale e' stata disposta la confisca. 2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l'ordinanza indicata in epigrafe (OMISSIS), con atto sottoscritto dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), articolato in tre motivi, preceduti dalla prospettazione di una questione di legittimita' costituzionale. 2.1. La questione di legittimita' costituzionale e' formulata in relazione all'articolo 2 c.p., u.c., nella parte in cui non prevede l'immediata applicabilita' delle disposizioni della legge delega, indipendentemente dalla successiva emanazione o mancanza del decreto legislativo di attuazione, per contrasto con l'articolo 3 Cost., e articolo 25 Cost., comma 2, nonche' in relazione all'articolo 1, comma 14, legge delega n. 134 del 2021, nella parte in cui non prevede che, per i fatti commessi anteriormente alla sua promulgazione, debba essere inviato un avviso al soggetto nei confronti del quale e' disposta la confisca per equivalente prima di eseguire il provvedimento ablatorio, in difetto di precedente sequestro, per contrasto con l'articolo 25 Cost., comma 2. Si deduce, quanto alla prospettata illegittimita' costituzionale dell'articolo 2 c.p., u.c., che la mancata previsione dell'immediata applicabilita' delle disposizioni della legge delega, indipendentemente dalla successiva emanazione o mancanza del decreto legislativo di attuazione, si pone in contrasto con la previsione, invece, dell'immediata applicabilita' delle disposizioni di un decreto-legge, pur se non convertito. Si sottolinea che appare manifestamente irragionevole riconoscere efficacia immediata ad un atto dell'esecutivo, qual e' il decreto-legge, e non ad un atto del legislativo gia' entrato in vigore, qual e' la legge delega. Si precisa, inoltre, che la disciplina dell'articolo 1, comma 14, legge delega n. 134 del 2021, prevede una differente modalita' esecutiva della pena piu' favorevole al reo, la quale, quindi, in applicazione dei principi generali dell'ordinamento, e' da ritenersi immediatamente applicabile. 2.2. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento alla L. n. 134 del 2021, articolo 1, comma 14, e Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 212, a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), avendo riguardo alla mancata applicazione della disciplina prevista per le modalita' di esecuzione delle pene pecuniarie, e, quindi, al difetto di notifica, in via preliminare, dell'invito al pagamento. Si premette che la L. n. 134 del 2021, articolo 1, comma 14, lettera a), dispone di "prevedere che l'esecuzione della confisca per equivalente, quando non ha a oggetto beni mobili o immobili gia' sottoposti a sequestro, avvenga con le modalita' di esecuzione delle pene pecuniarie (...)", e che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 212, contempla, dopo il passaggio in giudicato del provvedimento da cui sorge l'obbligo, la notificazione dell'invito al pagamento dell'importo dovuto, con espressa avvertenza che si procedera' ad iscrizione a ruolo, in caso di mancato pagamento nel termine di un mese. Si rappresenta, poi, che nessun invito al pagamento e' stato notificato al ricorrente, e che, pero', secondo la giurisprudenza di legittimita', la notificazione dell'invito al pagamento costituisce condizione di procedibilita' per l'esecuzione delle pene pecuniarie (si cita Sez. 1, n. 25355 del 16/05/2014). Si precisa, quindi, che la legge delega e' immediatamente applicabile, perche': -) gerarchicamente sovraordinata rispetto al decreto legislativo di attuazione; -) fonte direttamente produttiva di norma giuridiche, secondo l'insegnamento di Corte Cost., sent. n. 224 del 1990; -) nella specie, e' anche "palesemente chiara nel voler indicare l'avviso di pagamento come condizione di procedibilita' per procedere alla confisca". 2.3. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), avendo riguardo alla natura della confisca per equivalente e alla individuazione dei beni confiscabili. Si deduce che l'ordinanza impugnata ha confuso la disciplina del sequestro con quella della confisca, la quale puo' riguardare esclusivamente i beni indicati dall'articolo 240 c.p.. Si aggiunge che, anche a voler prendere come paradigma la disciplina della confisca per sproporzione o confisca allargata, occorre dimostrare la correlazione tra il reato e l'acquisto del bene, e che, pero', nella specie, l'immobile sottoposto ad ablazione e' stato acquistato per meta' nel 1982 e per l'altra meta' con preliminare del 1992, ossia moltissimo prima della data del commesso reato, mentre l'autovettura e' stata pagata con le rate della pensione. Si deduce, inoltre, che la scelta dei beni sui quali e' stata eseguita la confisca e' stata effettuata dalla Guardia di Finanza, e non dal Pubblico Ministero, ossia l'organo competente secondo la giurisprudenza (si cita Sez. 6, n. 53832 del 25/10/2017, Cavicchi, Rv. 271736); si segnala, infatti, che l'autorita' giudiziaria requirente si e' limitata a disporre l'ablazione della somma di 569.777,00 Euro, senza fornire alcuna indicazione in ordine ai beni da apprendere. 2.4. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), avendo riguardo alla esecuzione della confisca, siccome avvenuta in difetto di previo avviso. Si deduce che l'ordinanza impugnata, nel respingere la richiesta di revoca della confisca, ha violato norme processuali stabilite a pena di nullita', inutilizzabilita', di inammissibilita' o di decadenza, perche' la mancata notifica dell'avviso prima di procedere all'ablazione, in caso di mancanza di preliminare sequestro, costituisce necessaria condizione di procedibilita'. 3. Nell'interesse dei (OMISSIS) hanno presentato due memorie gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS). Nelle memorie, si insiste per l'accoglimento delle censure formulate nel ricorso e si rappresenta, in particolare, che, nelle more, e' intervenuto il decreto delegato, il quale e' perfettamente in linea con la legge delega. Si segnala, per la precisione, che il decreto delegato ha inserito nell'articolo 86 disp. att. c.p.p., il comma 1 bis, il quale recita: "1-bis. Qualora sia stata disposta una confisca per equivalente di beni non sottoposti a sequestro o, comunque, non specificamente individuati nel provvedimento che dispone la confisca, l'esecuzione si svolge con le modalita' previste per l'esecuzione delle pene pecuniarie (...)". CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' nel complesso infondato per le ragioni di seguito precisate. 2. Manifestamente infondata, per due autonomi ordini di ragioni, e' la questione di legittimita' costituzionale formulata in relazione all'articolo 2 c.p., u.c., nella parte in cui non prevede l'immediata applicabilita' delle disposizioni della legge delega, indipendentemente dalla successiva emanazione o mancanza del decreto legislativo di attuazione, per contrasto con l'articolo 3 Cost., e articolo 25 Cost., comma 2, nonche' in relazione all'articolo 1, comma 14, legge delega n. 134 del 2021, nella parte in cui non prevede che, per i fatti commessi anteriormente alla sua promulgazione, debba essere inviato un avviso al soggetto nei confronti del quale e' disposta la confisca per equivalente prima di procedere all'esecuzione del provvedimento ablatorio, in difetto di precedente sequestro, per contrasto con l'articolo 25 Cost., comma 2. 3. Sotto un primo profilo, di carattere generale e sistematico, appare manifestamente infondata la questione dell'applicabilita' della disciplina di cui all'articolo 2 c.p., u.c., anche con riguardo alle disposizioni recate da una legge di delegazione legislativa, perche' quest'ultima produce effetti diversi dal decreto legge e non e' immediatamente applicabile ai "rapporti della vita" senza l'esercizio della delega da parte del Governo. 3.1. L'articolo 2 c.p., u.c., prevede: "Le disposizioni di questo articolo (relativo alla successione di leggi penali nel tempo ed alla prevalenza della disciplina piu' favorevole per il reo o per l'imputato) si applicano altresi' nei casi di decadenza e di mancata ratifica di un decreto legge e nei casi di un decreto legge convertito in legge con emendamenti". Questo comma, peraltro, e' stato dichiarato costituzionalmente illegittima dalla Corte Cost., sent. n. 51 del 1985, nella parte in cui rende applicabili alle ipotesi da esso previste le disposizioni contenute nel secondo e nel terzo, ora quarto, comma dell'articolo 2 c.p.: precisamente, per effetto della sentenza appena citata, la disciplina della retroattivita' della legge sopravvenuta piu' favorevole al reo o all'imputato non si applica nel caso di decadenza e di mancata ratifica di un decreto legge, anche solo nella parte recante la disciplina di favore. L'articolo 77 Cost., che regola l'istituto del decreto legge, attribuisce inequivocabilmente la forza di legge a tale provvedimento sin dal momento in cui lo stesso e' adottato, e a condizione della sua tempestiva presentazione alle Camere e della sua successiva conversione in legge ad opera di queste. In particolare, l'articolo 77 Cost., u.c., dispone: "I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti". L'articolo 76 Cost., che contempla l'istituto della delega legislativa, invece, prefigura un sistema complesso, nel quale la funzione normativa e' "cogestita" dal Parlamento e dal Governo. Lo stesso, precisamente, dispone: "L'esercizio della funzione legislativa non puo' essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti". 3.2. Secondo l'orientamento generalmente condiviso nella giurisprudenza di legittimita', penale e civile, deve escludersi che le disposizioni contenute in una legge di delegazione legislativa al Governo abbiano efficacia immediata, e deve invece ritenersi necessaria, ai fini dell'operativita' della nuova disciplina, l'emanazione dei decreti delegati. In particolare, nella giurisprudenza penale, si e' osservato che le disposizioni inserite nella L. 28 aprile 2014, n. 67, che prevedono la delega al Governo per la depenalizzazione di una serie di reati ivi elencati, non hanno effetti immediatamente abrogativi, i quali, invece, sono subordinati all'emanazione dei decreti delegati, avendo la legge delega natura di atto normativo strumentale alla futura produzione legislativa, cui spetta anche la previsione di meccanismi compensatori, quali adeguate sanzioni civili (cfr., tra le tantissime: Sez. 2, n. 26216 del 03/06/2015, Mercurio, Rv. 264398-01, con riferimento alle fattispecie di cui gli articoli 633 e 635 c.p.; Sez. 3, n. 20547 del 14/04/2015, Carnazza, Rv. 263632-01, relativamente alla fattispecie di cui al Decreto Legge 12 settembre 1983, n. 463, articolo 2, comma 1 bis, convertito con modificazioni in L. 11 novembre 1983, n. 638; Sez. 3, n. 23944 del 17/03/2015, Casartelli, Rv. 263647-01; Sez. 1, n. 44977 del 19/09/2014, Ndiaye, Rv. 261124-01). Identico principio, del resto, era stato gia' enunciato con riferimento a precedenti leggi di delegazione legislativa. Ad esempio, una decisione ha affermato: "Il legislatore, con la legge valutaria 26 novembre 1986 n. 599, non ha inteso procedere ad una immediata abrogazione della precedente normativa valutaria (ne', tanto meno, riconoscere l'irrilevanza penale di tutti i fatti comunque attinenti a tale materia), ma si e' unicamente limitato a concedere delega al governo per l'emanazione di future, nuove disposizioni sul punto, specificando i relativi criteri e principi da seguire in tale elaborazione. Ne deriva, pertanto, che, fino a che il governo non avra' provveduto ad emanare tale nuova disciplina, tutte le operazioni in materia valutaria non potranno che essere regolate dalle vecchie norme, ancora pienamente operative ed in vigore, e, quindi, che ancora oggi la esportazione di valuta all'estero o la Costituzione di capitali o di attivita' all'estero continuano ad essere assoggettate alla disciplina della previa autorizzazione amministrativa" (cosi' Sez. 3, n. 3619 del 16/02/1987, Lichtenstein, Rv. 175426-01). Nella giurisprudenza civile, nello stesso ordine di idee, si e' affermato che la legge di delegazione - determinando l'oggetto dell'attivita' legislativa delegata al governo e segnandone i limiti, senza innovare direttamente e immediatamente l'ordinamento giuridico preesistente - non esplica effetti sulle controversie pendenti al momento della sua entrata in vigore e non e', quindi, ad esse applicabile come ius superveniens (cfr., tra le altre, Sez. 1 civ., n. 430 del 12/02/1973, Rv. 362418, nonche' Sez. L. civ., n. 5984 del 14/12/1978, Rv. 395816-01). E, in applicazione di questo principio, si e' precisato che, in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), la L. 23 ottobre 1992, n. 421, articolo 4, lettera a), che delega il Governo ad emanare uno o piu' decreti legislativi diretti all'istituzione della detta imposta, secondo i principi e criteri direttivi ivi indicati, ha, come tutte le leggi di delegazione, quale unico destinatario il Governo, con la conseguenza che i principi in esso dettati - ancorche' eventualmente espressi in modo dettagliato - sono privi di autonomo vigore normativo e di efficacia innovativa diretta sull'ordinamento giuridico, la quale si produce soltanto con l'emanazione, nei termini fissati, della normativa delegata da parte del Governo, e che, quindi, prima dell'entrata in vigore (1 gennaio 1993) del decreto delegato, e cioe' del Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, l'imposta comunale sugli immobili non faceva ancora parte dell'ordinamento giuridico positivo (cosi' Sez. 5 civ., n. 455 del 15/01/2004, Rv. 569432-01, la quale ha derivato da cio' che la delibera con la quale il Comune, anteriormente a detta data, abbia stabilito l'aliquota da applicare - nell'ambito della misura variabile tra il 4 ed il 6 per cento, prevista dalla legge di delega - deve considerarsi, in quanto emanata in carenza di potere, illegittima ed inefficace, ed insuscettibile di convalida per effetto del sopravvenuto conferimento di tale potere). 3.3. Ne' i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita', in tema di non immediata applicabilita' delle disposizioni della legge delega ai "rapporti della vita" prima dell'entrata in vigore dei decreti delegati, risultano in contrasto con quelli affermati dalla giurisprudenza costituzionale. Innanzitutto, il Giudice delle Leggi rappresenta che la delega legislativa non esclude ogni discrezionalita' del legislatore delegato, la quale puo' essere piu' o meno ampia, in relazione al grado di specificita' dei criteri fissati nella legge delega (cfr., da ultimo, Corte Cost. n. 231 del 2021). Inoltre, la giurisprudenza costituzionale ammette si' l'impugnazione della legge di delega davanti alla Corte costituzionale prima ancora dell'adozione dei decreti legislativi delegati, ma si riferisce al giudizio di legittimita' "in via principale", promosso cioe' dal Governo o dalle Regioni, in caso di disposizioni dettagliate, per l'esigenza di evitare l'elusione del termine perentorio stabilito per tale tipologia di questioni, oggi pari a sessanta giorni a norma dell'articolo 127 Cost., comma 2, nel testo sostituito dall'articolo 8 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. E le pronunce espressive di tale orientamento hanno comunque contestualmente precisato che la legge delega "ha ad oggetto la futura regolamentazione (con il decreto delegato)" (cosi' Corte Cost., n. 261 del 2017, p. 6.2.4.), e che, nei giudizi di legittimita' "in via principale", e' irrilevante l'assenza di concreta efficacia delle disposizioni della legge delega "nei rapporti della vita" (cfr. Corte Cost., n. 224 del 1990). In particolare, Corte Cost., n. 224 del 1990, osserva: "In realta', diversamente da quanto accade nei giudizi di legittimita' sui provvedimenti amministrativi o nei conflitti di attribuzione aventi per oggetto i medesimi, l'attualita' dell'interesse a ricorrere nei giudizi di legittimita' costituzionale sulle leggi dev'esser valutata, non gia' in relazione alla effettiva producibilita' di effetti delle singole disposizioni e, tantomeno, alla concreta applicabilita' delle stesse nei rapporti della vita, ma, piuttosto, in relazione all'esistenza giuridica delle disposizioni impugnate nell'ordinamento giuridico. Ed e' percio' che l'articolo 2, comma 1, della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 (Norme sui giudizi di legittimita' costituzionale e sulle garanzie d'indipendenza della Corte), e la L. 11 marzo 1953, n. 87, articolo 32, comma 2, (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte), fanno decorrere il termine per la promozione dell'azione di legittimita' costituzionale "dalla pubblicazione della legge o dell'atto avente forza di legge", e non gia' dal momento in cui le disposizioni in esse contenute diventano concretamente efficaci nei rapporti della vita (v. in tal senso, in relazione alla legge delega, sentt. nn. 75 del 1957, 37 del 1966, 242 del 1989, nonche', a contrario, sent. n. 39 del 1971)". 3.4. Posta la non immediata applicabilita' delle disposizioni contenute in una legge delega ai "rapporti della vita" prima dell'entrata in vigore dei decreti legislativi delegati, deve escludersi l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 2, ultimo comma, c.p., nella parte in cui non prevede l'immediata applicabilita' delle disposizioni della legge delega, indipendentemente dalla successiva emanazione o mancanza del decreto legislativo di attuazione, per contrasto con l'articolo 3 Cost., e articolo 25 Cost., comma 2. In primo luogo, infatti, l'articolo 2 c.p., u.c., laddove non prevede la immediata applicabilita' delle disposizioni della legge delega, non si pone in contrasto con i principi di cui all'articolo 3 Cost., per disparita' di trattamento rispetto al decreto legge o per manifesta irragionevolezza. Invero, il decreto legge, indicato nel ricorso come termine di riferimento per comparazione e lo scrutinio della disparita' di trattamento, ha, come si e' evidenziato in precedenza, un'efficacia del tutto eterogenea rispetto a quella della legge di delegazione: per un verso, il decreto legge e' immediatamente applicabile ai "rapporti della vita" sin dal momento della sua adozione, mentre la legge di delegazione legislativa non lo e', fino all'entrata in vigore dei decreti legislativi delegati; per altro verso, l'emanazione di decreto legge, nel caso di decadenza o di mancata conversione in legge, ha un'efficacia limitata anche a norma dell'articolo 2 c.p., u.c., perche', per effetto della dichiarazione di illegittimita' costituzionale pronunciata da Corte Cost., n. 51 del 1985, non puo' comunque determinare l'applicazione della disciplina della retroattivita' della legge sopravvenuta piu' favorevole al reo o all'imputato. Inoltre, non puo' nemmeno ritenersi manifestamente irragionevole la mancata applicazione della disciplina di cui all'articolo 2 c.p., u.c., con riguardo alle disposizioni di una legge di delegazione, in quanto tale atto normativo non solo non e' immediatamente operativo nei "rapporti di vita", ma conferisce una delega che potrebbe essere anche non esercitata, o che potrebbe essere revocata o modificata prima dell'entrata in vigore dei decreti legislativi delegati. In secondo luogo, l'articolo 2 c.p., u.c., laddove non prevede la immediata applicabilita' delle disposizioni della legge delega, non si pone in contrasto neppure con i principi di cui all'articolo 25 Cost., comma 2, il quale sancisce il principio del divieto di retroattivita' della legge penale sfavorevole. In effetti, anche a voler interpretare la disposizione di cui all'articolo 25 Cost., comma 2, come espressiva dell'ulteriore principio della retroattivita' favorevole, occorre comunque tenere presente che la legge di delegazione non e' immediatamente efficace nei "rapporti di vita", perche' la delega, come gia' evidenziato, potrebbe essere anche non esercitata, ovvero revocata o modificata prima dell'entrata in vigore dei decreti legislativi delegati. 4. Sotto altro profilo, appare manifestamente la questione di legittimita' costituzionale formulata in relazione all'articolo 1, comma 14, legge delega n. 134 del 2021, nella parte in cui non prevede che, per i fatti commessi anteriormente alla sua promulgazione, debba essere inviato un avviso al soggetto nei confronti del quale e' disposta la confisca per equivalente prima di procedere all'esecuzione del provvedimento ablatorio, in difetto di precedente sequestro, perche' lo stesso ha ad oggetto una disposizione ad effetti tipicamente processuali, come tale applicabile secondo il principio tempus regit actum. 4.1. Va innanzitutto rilevato che, secondo la giurisprudenza costituzionale, in materia di successione di leggi processuali, pure se inerenti al settore penale, vige il principio tempus regit actum, salvo il caso di disposizioni incidenti sul diritto penale sostanziale o sulla natura della pena. Anche le piu' recenti decisioni, infatti, hanno ribadito che per le norme processuali penali, in linea generale, "trova applicazione, di per se', in quanto regola del processo, il (..) canone del tempus regit actum" (cosi' ad esempio, Corte Cost., n. 149 de 2021, la quale ha individuato l'eccezione, con conseguente operativita' del divieto di retroattivita', in relazione ad una disciplina processuale idonea ad allungare la durata del termine di prescrizione, e, quindi, ad incidere in malam partem su un istituto di diritto penale sostanziale). Hanno anzi espressamente indicato anche quali sono le deroghe all'applicazione dell'indicato principio, precisando che, "(s)e, in materia di successione di leggi processuali, vige, in via generale, il principio tempus regit actum - in forza del quale ciascun "atto" processuale e' regolato dalla legge in vigore al momento dell'atto, e non da quella in vigore al momento in cui e' stato commesso il fatto di reato per cui si procede - tuttavia una deroga a tale principio e' giustificata con riferimento a tutte le norme processuali o penitenziarie che incidano direttamente sulla qualita' e quantita' della pena in concreto applicabile al condannato" (esattamente in termini Corte Cost., n. 260 del 2020). Inoltre, proprio in materia di esecuzione delle sanzioni penali, ed in occasione della dichiarazione di illegittimita' costituzionale di una disposizione con efficacia retroattiva, si e' comunque ribadita la generale applicabilita' del principio tempus regit actum. In particolare, Corte Cost., n. 32 del 2020, ha precisato: "(...) non v'e' dubbio che vi siano ragioni assai solide a fondamento della soluzione, sinora consacrata dal diritto vivente, secondo la quale le pene devono essere eseguite - di regola in base alla legge in vigore al momento dell'esecuzione, e non in base a quella in vigore al tempo della commissione del reato", procedendo anche ad una elencazione delle stesse (cfr. § 4.3.2.). Quindi, ha chiarito che il divieto di applicazione retroattiva di qualsiasi modifica relativa all'esecuzione della pena deve "soffrire un'eccezione allorche' la normativa sopravvenuta non comporti mere modifiche delle modalita' esecutive della pena prevista dalla legge al momento del reato, bensi' una trasformazione della natura della pena, e della sua concreta incidenza sulla liberta' personale del condannato; questo perche' nelle ipotesi appena indicate, "la successione normativa determina, a ogni effetto pratico, l'applicazione di una pena che e' sostanzialmente un aliud rispetto a quella stabilita al momento del fatto" (cfr. § 4.3.3.). Successivamente, in linea con queste indicazioni, il Giudice delle Leggi ha anche affermato che e' sottratta al divieto di applicazione retroattiva una disciplina che rende piu' gravosa la posizione del condannato in materia di "meri" benefici penitenziari, come i permessi premio (v. Corte Cost., n. 20 del 2022). 4.2. Non sembra dubbio, poi, che la previsione di cui all'articolo 1, comma 14, legge delega n. 134 del 2021, nella parte in cui prevede (indirettamente) la necessita', prima di procedere all'esecuzione del provvedimento ablatorio, dell'invio di un avviso al soggetto nei confronti del quale, in difetto di precedente sequestro, e' disposta la confisca per equivalente, abbia natura ed effetti esclusivamente processuali. La disposizione appena citata, per quanto di specifico interesse in questa sede, recita: "Nell'esercizio della delega di cui al comma 1, i decreti legislativi 10 recanti modifiche al codice di procedura penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al Decreto Legislativo 28 luglio 1989, n. 271, in materia di amministrazione dei beni sottoposti a sequestro e di esecuzione della confisca, per le parti di seguito indicate, sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) prevedere che l'esecuzione della confisca per equivalente, quando non ha a oggetto beni mobili o immobili gia' sottoposti a sequestro, avvenga con le modalita' di esecuzione delle pene pecuniarie (...)". Il significato della L. n. 134 del 2021, articolo 1, comma 14, lettera a), e' completato con il riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 212, relativo all'esecuzione delle pene pecuniarie, il quale prevede, dopo il passaggio in giudicato del provvedimento da cui sorge l'obbligo, la notificazione dell'invito al pagamento dell'importo dovuto, con espressa avvertenza che si procedera' ad iscrizione a ruolo, in caso di mancato pagamento nel termine di un mese. Come e' immediatamente rilevabile, le disposizioni di cui si chiede l'applicazione attengono alle modalita' di esecuzione di una confisca gia' disposta, e disciplinano esclusivamente le forme attraverso cui deve svolgersi il procedimento di attuazione dell'ordine giudiziale. E del resto, nel ricorso, laddove si invoca l'immediata applicabilita' della disposizione di cui alla L. n. 134 del 2021, articolo 1, comma 14, si mette in luce proprio la prospettiva "procedimentale" della tutela richiesta perche' l'immediata applicabilita' della previsione della legge delega e' chiesta in funzione dell'operativita' del principio giurisprudenziale secondo cui la notificazione dell'invito al pagamento costituisce condizione di procedibilita' per l'esecuzione delle pene pecuniarie. 4.3. In considerazione di quanto precedentemente esposto nei pp. 4.1 e 4.2, deve concludersi che la mancata previsione, nella L. n. 134 del 2021, articolo 1, comma 14, della necessita' di inviare un preventivo avviso al soggetto nei confronti del quale e' disposta la confisca per equivalente, ove questa non sia stata preceduta da sequestro, anche per i fatti commessi anteriormente alla sua promulgazione, non si pone in contrasto con l'articolo 25 Cost., comma 2. Invero, la disposizione di cui alla L. n. 134 del 2021, articolo 1, comma 14, nella parte in cui prevede l'invio di un preventivo avviso al soggetto nei confronti del quale e' disposta la confisca per equivalente, se questa non sia stata preceduta da sequestro, e' norma processuale che incide esclusivamente sulle modalita' di esecuzione del provvedimento ablatorio, ma non anche, almeno "direttamente", come richiede Corte Cost., n. 32 del 2020, sulla qualita' e quantita' della pena in concreto applicabile al condannato. La disposizione in questione, pertanto, quand'anche la si volesse ritenere immediatamente efficace nei "rapporti della vita", e' estranea alla sfera di operativita' del divieto di irretroattivita' di cui all'articolo 25 Cost., comma 2, nonche', a fortiori, del principio di retroattivita' favorevole al reo e all'imputato desunto dalla medesima previsione costituzionale. Di conseguenza, la sua applicazione ai fatti commessi anteriormente alla sua promulgazione non puo' ritenersi costituzionalmente necessaria. 5. Infondate sono le censure esposte nel primo motivo, che contestano la mancata applicazione della disciplina prevista per le modalita' di esecuzione delle pene pecuniarie dalla L. n. 134 del 2021, articolo 1, comma 14, e, quindi, il difetto di notifica, in via preliminare, dell'invito al pagamento. 5.1. Si e' detto in precedenza, nei pp. 3, 3.1, 3.2, 3.3 e 3.4, perche' le disposizioni di una legge delega non sono immediatamente applicabili ai "rapporti della vita", fino alla entrata in vigore dei decreti legislativi delegati. Si puo' aggiungere che una puntuale conferma e' desumibile anche dalla L. n. 134 del 2021, la quale prevede che la modifica delle disposizioni (anche) del codice di procedura penale e di quelle ad esse collegate e' determinata dai decreti legislativi delegati. Segnatamente, l'articolo 1, comma 1, legge cit. statuisce: "Il Governo e' delegato ad adottare, nel termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o piu' decreti legislativi per la modifica del codice di procedura penale, delle norme di attuazione del codice di procedura penale, del codice penale e della collegata legislazione speciale nonche' delle disposizioni dell'ordinamento giudiziario in materia di progetti organizzativi delle procure della Repubblica, per la revisione del regime sanzionatorio dei reati e per l'introduzione di una disciplina organica della giustizia riparativa e di una disciplina organica dell'ufficio per il processo penale, con finalita' di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo penale, nel rispetto delle garanzie difensive e secondo i principi e criteri direttivi previsti dal presente articolo". 5.2. Appare utile precisare che la disciplina applicabile non muterebbe nemmeno in caso di entrata in vigore, dopo l'esecuzione della confisca, del decreto o dei decreti legislativi delegati in attuazione della L. n. 134 del 2021, che prevedessero necessita' di inviare un preventivo avviso al soggetto nei confronti del quale e' disposta la confisca per equivalente, ove questa non sia stata preceduta da sequestro. Si e' infatti gia' evidenziato in precedenza, nei §§ 4, 4.1, 4.2 e 4.3, che una disciplina del contenuto indicato non puo' ritenersi necessariamente applicabile ai fatti commessi anteriormente alla sua promulgazione in forza dei principi costituzionali, ma anzi soggiace, salvo diverse e specifiche previsioni di legge, al principio generale del tempus regit actum. E, nella specie, la confisca e' gia' stata eseguita dalla Guardia di Finanza in data 2 febbraio 2022, sulla base di provvedimento del Pubblico Ministero del 22 dicembre 2021, mentre il decreto legislativo delegato di attuazione della L. n. 134 del 2021, il Decreto Legislativo n. 150 del 2022, non solo e' stato approvato successivamente, in data 10 ottobre 2022, ma non e' ancora entrato in vigore alla data della presente decisione (nella more della redazione della presente motivazione, anzi, la sua efficacia e' stata rinviata al 30 dicembre 2022, secondo quanto stabilito con decreto L. 31 ottobre 2022, n. 162). 6. Manifestamente infondate sono le censure formulate nel secondo motivo, che contestano sia la scelta dei beni confiscabili, sia perche' nella specie non ricollegabili in alcun modo al reato, sia perche' concretamente individuati ad opera della polizia giudiziaria e non dal pubblico ministero. 6.1. Per quanto attiene al primo ordine di censure, e' sufficiente rilevare che la confisca per equivalente, per sua natura, e' indifferente all'inesistenza di qualunque legame tra il bene sottoposto ad ablazione ed il reato. La misura indicata, infatti, si applica proprio per evitare che il reo possa conservare in tutto o in parte i benefici economici conseguiti attraverso la commissione del reato, eventualmente avvantaggiandosi di una condotta di alienazione od occultamento delle utilita' direttamente conseguite attraverso la condotta illecita. E una precisa conferma di questa soluzione e' inferibile anche dalla disciplina specificamente dettata dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis, applicata nel caso di specie, in quanto la confisca e' relativa al profitto del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter. Invero, l'articolo 12 bis, comma 1, Decreto Legislativo cit., recita: "Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 c.p.p., per uno dei delitti previsti dal presente decreto, e' sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il prezzo o il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando questa non e' possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilita', per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto". 6.2. Con riguardo al secondo ordine di censure, va rilevato che, se il pubblico ministero e' organo che sovrintende all'esecuzione, nessuna disposizione vieta al medesimo di delegare alla polizia giudiziaria la ricerca e la concreta individuazione dei beni da confiscare. In effetti, la possibilita' per il pubblico ministero di rivolgersi alla polizia giudiziaria per individuare i beni da sottoporre ad ablazione deve ritenersi consentita, anche perche' l'individuazione dei medesimi implica fisiologicamente un'attivita' di ricerca e, pur quando fosse effettuata dall'autorita' giudiziaria requirente, sarebbe comunque compiuta in assenza di contraddittorio e senza la necessita' di adottare forme specificamente predeterminate. Inoltre, e soprattutto, la garanzia per l'interessato relativamente all'individuazione dei beni da sottoporre ad ablazione e' costituita dalla facolta' di promuovere incidente di esecuzione davanti al giudice, secondo quanto previsto dall'articolo 676 c.p.p.. E' in quella sede, infatti, che l'interessato puo' esporre le proprie ragioni e far controllare la legittimita' delle scelte effettuate. 6.3. Nella specie, il pubblico ministero risulta aver correttamente eseguito la statuizione di confisca per equivalente disposta con sentenza divenuta irrevocabile. Invero, posta la non necessita' del collegamento dei beni da sottoporre ad ablazione con il reato, va rilevato che non e' in contestazione la disponibilita' di quelli concretamente individuati in capo al ricorrente, condannato per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter. Inoltre, risulta in atti che la polizia giudiziaria ha proceduto alla concreta individuazione dei beni da confiscare in forza di delega espressamente conferita dal Procuratore della Repubblica di Frosinone, ossia del pubblico ministero presso il giudice competente, a norma del combinato disposto degli articoli 655 e 665 c.p.p.. 7 Infondate, infine, sono le censure enunciate nel terzo motivo che contestano la nullita', inutilizzabilita', inammissibilita' o decadenza della esecuzione della confisca, siccome avvenuta in difetto di previo avviso. Queste censure, infatti, presuppongono la fondatezza di quelle proposte con il primo motivo, e, stante il mancato fondamento delle medesime, ne ripetono necessariamente il giudizio di infondatezza. 8. Alla complessiva infondatezza delle censure segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda Bis ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 11675 del 2013, proposto da Ni. D'A., rappresentata e difesa dall'avvocato Fe. Sc., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Roma Capitale, in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Um. Ga., dell'Avvocatura Capitolina, con domicilio presso la sua sede in Roma, via (...); per l'annullamento della "comunicazione di rilascio concessione in sanatoria e procedura di eventuale iscrizione a ruolo esattoriale in caso di mancato pagamento degli importi" protocollo UCE: 2013/49298 del'1.7.2013 di Roma Capitale, notificata alla sig.ra D'A. in data 27.8.2013, con cui il Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica - Direzione Attuazione degli Strumenti Urbanistici - UO Condono Edilizio di Roma Capitale ha comunicato alla ricorrente che "presso l'ufficio condono edilizio di Roma può essere ritirata la concessione edilizia relativa all'istanza di condono n. 0/514236 sott. 0, presentata da D'A. Ni. per l'immobile sito in Largo (omissis). Il ritiro della concessione è subordinato al pagamento di quanto dovuto a titolo di oneri concessori, diritti di segreteria, diritti, vincoli ed obliazioni"; e ha stabilito, come dovuti a titolo di conguagli comprensivi di interessi, la somma complessiva di euro 24.257,85; di tutti gli atti presupposti, collegati, connessi e consequenziali, ivi compresi, semmai adottati, gli eventuali atti di interruzione della prescrizione delle somme richieste a conguaglio, mai comunicati, nonché, comunque l'Ordine di Servizio n. 989 del 19.9.2013, prot. n. 67251 recante "recepimento del punto 1) del Verbale Comitato Studi e Controllo Interno nr. 10 del 6.10.2011 - pratiche condono Legge n. 326/203 e Legge Regionale 12/2004 - regolamentazione dei cambi di destinazione d'uso"; il verbale Comitato Studi e Controllo Interno n. 10 del 6.10.2011, nonché il provvedimento del Dipartimento Programmazione ed Attuazione Urbanistica - Direzione Attuazione degli Strumenti Urbanistici - U.O. Condono Edilizio di Roma Capitale prot. n. 42834 del 14.9.2011, avente ad oggetto "Legge n. 326/03. Pratiche sospese in fase di controllo e/o in attesa di definizione.... " ed infine là dove di contenuto provvedimentale lesivo, la Circolare esplicativa 7 dicembre 2005, n. 2699 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti; nonché per l'accertamento e la declaratoria della intervenuta prescrizione del diritto dell'Amministrazione Comunale ai richiesti conguagli ai sensi dell'art. 6 della L.R. Lazio n. 12/2004 e dell'art. 32, del DL n. 269/2003 e, per converso, del conseguente obbligo dell'Amministrazione comunale medesima di provvedere al dovuto, immediato ed incondizionato rilascio materiale del titolo edilizio in sanatoria medio tempore maturato per silentium ai sensi di legge. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2022 il dott. Salvatore Gatto Costantino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO In data 30.03.2004, la Sig.ra D'A. Ni. presentava, per l'immobile sito in Roma in Via (omissis), istanza di condono prot. n. 514236/04 per la realizzazione di un cambio d'uso da soffitta a civile abitazione per mq. 64,00 di s.u.r., allegando la documentazione prescritta dalla legge, ovvero l'attestazione di pagamento della prima rata di oblazione (euro 1.920,00), della prima rata di oneri concessori (euro 1.709,00) nonché la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ed il corredo fotografico. La richiedente dichiarava che i lavori erano stati ultimati il 31.03.03 e che l'abuso realizzato rientrava nella Tipologia 3 (ristrutturazione edilizia eseguita all'interno della sagoma originale del fabbricato anche con aumento della superficie utile entro e fuori terra). Entrata in vigore la LR Lazio nr. 12/2004, la ricorrente depositava il relativo adeguamento della domanda (28.4.2006), avendo la legge predetta comportato la qualificazione dell'abuso come opere di ristrutturazione edilizia (art. 2, comma 1, lett. e) della LR 12/2004) e rideterminava il calcolo dell'oblazione e degli oneri (con il pagamento dei relativi importi come seconda e terza rata, rispettivamente il 30.05.2005 ed il 30.09.2005; nonché il 30.06.2005 ed il 30.12.2005). Nonostante l'odierna ricorrente avesse provveduto a depositare la documentazione prevista per legge, il 17.4.2009, con nota prot. 2009/53711 il Comune di Roma chiedeva la visura storica catastale, la planimetria dell'immobile, la denuncia ICI e la denuncia TARSU-AMA relative all'anno 2003, nonostante fossero già state prodotte il 28.4.2006. Solo per spirito collaborativo, dunque, la ricorrente le produceva il 18.6.2009 (prot. 123856). Su ulteriori richieste dell'Amministrazione: - il 7.11.2012 la ricorrente, per il tramite del proprio tecnico, produceva depositava dichiarazione asseverata inerente l'immutazione della sagoma esterna dell'edificio, concernendo l'abuso solo opere interne; - il 28.5.2013 depositava (ancora una volta) le planimetrie dell'immobile e la relazione tecnica inerente il volume dell'immobile da sanare (affermando che dette documentazioni fossero già state prodotte nel 2009). In data 01.07.2013, il Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica - Direzione Attuazione degli Strumenti Urbanistici - U.O. Condono Edilizio di Roma Capitale, con nota prot. n. 49298, notificata in data 28.08.2013, trasmetteva alla Sig.ra D'A. Ni. la lettera di invito al ritiro della concessione edilizia in sanatoria relativa all'istanza di condono prot. n. 514236/04, nella quale venivano quantificati, in Euro 24.257,85, gli importi da corrispondere a titolo di oblazione, oneri concessori e diritti di segreteria, per gli abusi di cui trattasi, applicando i parametri normativi in vigore. La ricorrente impugna tale determinazione, assumendo (I) la prescrizione del credito essendosi verificata l'approvazione tacita della domanda; (II) l'irrilevanza, a tali fini, delle integrazioni documentali intervenute successivamente ed adempiute per mero spirito di collaborazione; e (III) l'erroneo computo dell'importo. Si è costituita Roma Capitale, che resiste al ricorso. Con ordinanza n. 102/2014, depositata in data 10.01.2014, veniva respinta la domanda cautelare. Con propria memoria, Roma Capitale deduce che l'integrazione documentale atteneva ad elementi essenziali, la cui assenza nella domanda originaria avrebbe determinato sia l'insussistenza dell'approvazione tacita, sia il mancato decorso del termine di prescrizione, iniziato solo al compimento dell'istruttoria; nel caso di specie, non sarebbe maturato il termine di prescrizione delle somme dovute a titolo di conguaglio invocato dalla parte ricorrente in quanto, come evidenziato dal Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica - Direzione Attuazione degli Strumenti urbanistici - Ufficio Condono, con nota prot. n. 94257 del 19.12.2013, il termine temporale veniva interrotto a seguito della richiesta di documentazione, prot. UCE n. 83131/12, utile alla definizione dell'istruttoria tecnica; in tale documentazione, acquisita al prot. UCE 19485 in data 1.03.2013, costituita da un progetto ante e post operam, veniva rappresentato anche un terrazzo pertinenziale all'unità abitativa, la cui superficie non residenziale, pari a mq. 46,43, era stata omessa in fase di presentazione della domanda di condono. Circa il computo del dovuto, evidenzia Roma Capitale quanto segue: - il punto 1) del Verbale di Riunione del 6.10.11 n. 10/11 del Comitato Studi e Controllo Interno dell'UCE, recepito con Ordine di Servizio n. 989/13 indica: "il calcolo degli oneri concessori potrà avvenire applicando i parametri previsti dalla tipologia 3 o 1 a seconda che il cambio d'uso abbia interessato volumetrie precedentemente assentite. In sostanza sarà necessario stabilire se la volumetria della preesistenza sia stata o meno computata nel calcolo del "volume imponibile", così come previsto all'art 11 della D.C.C. 2961/78"; - non risulterebbe dagli atti del fascicolo, l'attestazione che la volumetria da sanare fosse già assentita come "volume imponibile"; - risulta, invece, agli atti (documento acquisito al prot. UCE n. 19485/13), un elaborato grafico in cui tali volumetrie, poste al piano quarto, vengono dichiarate con destinazione d'uso a deposito e soffitte, tali da configurarsi come "volumi tecnici", e pertanto originariamente non sono stati ricompresi nel calcolo del "volume imponibile", anche se assentito. Pertanto, in applicazione del predetto Ordine di Servizio, tali opere abusive, sarebbero da considerarsi come veri e propri aumenti di volumetria della sagoma esistente e, tali da essere soggette al pagamento dell'importo massimo degli oneri concessori (art. 11 del D.C.C. n. 2961/78), configurando, la tipologia d'abuso in 3 ai soli fini oblativi atti all'estinzione del reato penale, come previsto dalla Legge n. 47/85 e dalle successive Leggi n. 724/94 e n. 326/03. In replica, la ricorrente afferma che sarebbe assurdo che dopo tutti gli anni passati in attesa della definizione del condono e della (ri)determinazione del conguaglio, possano essere richiesti al ricorrente gli interessi legali per un'istruttoria durata un decennio ed all'esito della quale l'Amministrazione comunale non avrebbe neppure esplicitato i criteri e le modalità di calcolo utilizzati. I dati provenienti dall'UCE conteggiano una superficie totale dell'abuso per mq. 91,86, costituiti dalla somma della superficie dell'abuso (mq. 64) con la superficie del terrazzo (mq. 46,43) ragguagliata al 60%. In realtà, come chiaramente indicato nella relazione tecnica in atti (doc. 13) il terrazzo non sarebbe oggetto di condono, in quanto conforme al progetto approvato e comunicante sin dall'origine, oltre che con la soffitta trasformata, anche con l'abitazione attraverso la scala interna, come evidenziato nello stralcio planimetrico allegato alla perizia. Sicché, a tutto voler concedere, nell'ipotesi in cui non sia ritenuto prescritto il diritto dell'Amministrazione a pretendere il conguaglio richiesto, l'odierna ricorrente dovrebbe essere tenuta al versamento del solo (minor) importo di Euro 486,57, tenuto conto di quanto già in precedenza versato. Nella pubblica udienza del 19 ottobre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione. Secondo pacifica giurisprudenza (da ultimo Cons, Stato, Sez. VI, 30.8.22 n. 7543 e 15 marzo 2022 n. 181): - affinché possa formarsi il silenzio assenso sulle istanze di condono edilizio, il termine di 24 mesi decorre dalla presentazione della medesima domanda, purché risulti completa in ogni sua parte, non essendo peraltro l'amministrazione tenuta a chiedere l'integrazione della documentazione incompleta nel predetto termine biennale (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. II, 18 febbraio 2021 n. 1474); - in materia di condono edilizio, quindi, il termine legale per la formazione del silenzio-assenso presuppone che la relativa istanza sia stata corredata dalla prescritta documentazione, non sia infedele, sia stata interamente pagata l'oblazione e, inoltre, che l'opera non sia in contrasto con i vincoli di inedificabilità (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 24 novembre 2020 n. 7382). Tenuto conto di quanto sin qui richiamato, e sulla base degli atti di giudizio, deve escludersi che, nel caso di specie, si sia formato il silenzio assenso sull'istanza di condono presentata dalla ricorrente, essendo essenziali le integrazioni documentali richieste dall'Ufficio già sulla base di quanto rappresentato nello stesso ricorso, ovvero con riguardo alla produzione del 7.11.2012 (dichiarazione asseverata inerente l'immutazione della sagoma esterna dell'edificio, concernendo l'abuso solo opere interne) e del 28.5.2013 (planimetrie dell'immobile e relazione tecnica inerente il volume dell'immobile da sanare, documenti che è solo affermato essere già stati prodotti nel 2009 mentre, dalla nota sub 8 al ricorso, datata 28 agosto 2013, a firma della ricorrente, tale circostanza è da escludersi, avendo la ricorrente elencato espressamente i documenti prodotti che non includono quelli indicati). Non potendosi considerare formato il silenzio assenso sulla domanda di condono, neppure si può porre un problema di prescrizione dei relativi importi a conguaglio che, secondo la giurisprudenza pacifica, sono soggetti a termini decorrenti dalla formazione del titolo (che è condizione di esigibilità delle relative somme, in quanto solo al compimento del procedimento è possibile verificare le eventuali differenze ancora dovute sulla base della metratura e della qualità dell'abuso; per tutte, vedasi Consiglio di Stato sez. II, 12/04/2021, n. 2952 e T.A.R. Roma, sez. II, 27/05/2022, n. 6885 come richiamate da Roma Capitale). Quanto alla censura con la quale si contesta il criterio di quantificazione dell'importo dovuto, si osserva quanto segue. In primo luogo, si rileva che, pur avendo formalmente impugnato la ricorrente l'ordine di servizio n. 989 del 19.9.2013, prot. n. 67251, non sono state formulate censure in ordine al principio che, in forza di esso, è osservato dall'Ufficio nel procedimento. Più precisamente, in forza di tale provvedimento interno (che costituisce il recepimento dei provvedimenti deliberativi meglio ivi elencati e che non sono oggetto di gravame), il calcolo degli oneri concessori viene eseguito applicando i parametri previsti dalla tipologia 3 o 1 a seconda che il cambio d'uso abbia interessato volumetrie precedentemente assentite. L'Ufficio deve, cioè, verificare se le volumetrie oggetto del condono erano state in precedenza computate nel calcolo degli oneri dell'edificio legittimamente assentito per poi applicare, laddove così non fosse, l'importo massimo degli oneri e dell'oblazione dovendosi considerare l'abuso come un aumento di volumetria (in quanto sostanzialmente l'abuso rende superficie residenziale un ambiente o una struttura che prima non lo era, con la conseguenza che si amplia la superficie originariamente computata al momento degli oneri concessori dell'edificio legittimo). Sulla legittimità di tale criterio, come accennato, il Collegio non può pronunciarsi, non essendo formulate censure al riguardo: deve quindi osservarsi che è infondato il ricorso laddove lamenta che la rideterminazione degli importi sarebbe immotivata o comunque afflitta da un difetto di istruttoria. Invero, nel giudizio avverso il computo degli oneri di urbanizzazione, che ricade nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, una volta determinato dall'Ufficio l'importo richiesto è sulla parte interessata a contestarne l'ammontare, che grava l'onere della prova dell'esatto conteggio, in funzione di un accertamento dell'esatto dovuto; soccorre, quindi, il risalente, ma sempre valido, insegnamento della giurisprudenza, per cui a norma dell'art. 2697 c.c., chiunque chiede l'attuazione della volontà della legge in relazione ad un diritto che faccia valere in via di azione o di eccezione deve provare il fatto giuridico da cui fa discendere il preteso diritto, e quindi tutti gli elementi o requisiti per legge necessari alla nascita dello stesso, che costituiscono le condizioni positive della pretesa (incluso l'interesse ad agire), principi pienamente recepiti nel codice del processo amministrativo a norma dell'art. 63 c.p.a. (cfr. per diverse applicazioni in varie fattispecie, TAR Lazio, Roma, II stralcio 15 luglio 2020, nr. 8117; TAR Lazio, Roma, II ter, 22 gennaio 2018, nr. 788; 8 maggio 2017, nr. 5497; 12 agosto 2014, nr. 8928; TAR Reggio Calabria 6 giugno 2014, nr. 238). Nel caso di specie, il gravame è formulato in termini meramente impugnatori e basato sul difetto formale di motivazione, ma senza che, al contempo, la parte ricorrente alleghi o comprovi in alcun modo l'erroneità dei calcoli effettuati da Roma Capitale. Quanto alla censura inerente il decorso del computo degli interessi, il gravame è generico e, nei limiti in cui è formulato il ricorso, da respingersi allo stato, considerando che, secondo la giurisprudenza, nel caso del c.d. terzo condono il dies a quo della liquidazione degli interessi legali relativo agli oneri concessori coincide con la data di presentazione delle istanze di sanatoria configurandosi, a tale data, a carico dell'istante l'assunzione di un'obbligazione pecuniaria, le cui somme la parte è tenuta ad autoliquidare e versare, risultando definiti e certi tutti gli elementi dell'obbligazione (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 12 gennaio 2018, n. 341 che richiama T.A.R. Salerno, II, 5 ottobre 2009, n. 5318; più di recente, v. anche T.A.R. Catania, 3 novembre 2022, nr. 2859). Tenuto conto di ciò, quando l'Ufficio "ridetermina" gli importi dovuti per oneri ed oblazione nel caso del c.d. "terzo condono", sta accertando una somma che era dovuta sin dall'origine (in quanto connessa alla consistenza delle opere condonate) e dunque la decorrenza della corresponsione degli accessori segue l'effetto proprio dell'accertamento. In ordine alla riferibilità dell'eccezione di prescrizione al computo degli interessi (tenuto conto della natura generica dell'eccezione) il Collegio rileva che il termine quinquennale previsto dall'art. 2948 c.c. è applicabile soltanto se l'obbligazione da cui gli interessi derivano sia obbligazione periodica e di durata, caratterizzata dal fatto che la prestazione è suscettibile di adempimento solo con il decorso del tempo, sicchè non sarà applicabile agli interessi moratori di fonte legale (cfr. Tribunale, Roma, sez. II, 19/10/2021, n. 16283). Le argomentazioni variamente sviluppate nella memoria conclusiva circa l'illegittimità ed ingiustizia del ritardo con il quale l'Ufficio ha rideterminato gli importi e concluso il procedimento di condono (comportando un pregiudizio economico per la decorrenza degli interessi), non essendo formulata una rituale azione di risarcimento per il danno ex art. 2 bis della l. n. 241/90 (la memoria conclusiva non è notificata), non possono essere esaminate. In ogni caso, il rigetto del ricorso fa salvo il possibile recupero delle differenze che dovessero riscontrarsi tra l'importo dovuto e quello corrisposto previo l'esperimento delle opportune azioni di ripetizione, laddove ne dovessero ricorrere i presupposti. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda Bis, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna parte ricorrente alle spese di lite che liquida in euro 1.500,00 oltre accessori come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati: Pietro Morabito - Presidente Salvatore Gatto Costantino - Consigliere, Estensore Giuseppe Licheri - Referendario

  • CORTE DEI CONTI SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE PIEMONTE composta dai seguenti magistrati Cinthia PINOTTI - Presidente Giuseppe Maria MEZZAPESA - Consigliere Cristiano BALDI - Consigliere Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di responsabilità amministrativa iscritto al n. 22866 del Registro di Segreteria, ad istanza della Procura Regionale della Corte dei conti per la Regione Piemonte, nei confronti di: Wa., nato a (omissis) l’(omissis), residente a (omissis) in Via (omissis), C.F. (omissis); Fr. nato a (omissis) il (omissis) e residente a (omissis) in Strada (omissis), C.F. (omissis); Gi., nato a (omissis) il (omissis), residente a (omissis) in Via (omissis), C.F. (omissis), tutti rappresentati e difesi ai fini del presente giudizio dagli Avv.ti Al. SC. (C.F.: (omissis)), Se. VI. (C.F.: (omissis)) e Di. IU. (C.F.: (omissis)) del Foro di Torino, ed elettivamente domiciliati presso il loro studio in Torino, C.so (…); Pa., nato a Torino il (omissis) e residente a (omissis), Via (omissis), C.F. (omissis), rappresentato e difeso ai fini del presente giudizio dall’Avv. Al. MA. (C.F. (omissis)) del Foro di Torino, con Studio in Torino, Corso (…); Em., nato il (omissis) a (omissis) e residente in (omissis), Via (omissis), C.F. (omissis) rappresentato e difeso ai fini del presente procedimento dagli Avv.ti Em. A. BA. e Ma. CA. entrambe del Foro di Torino, ed elettivamente domiciliato presso il di loro studio in Torino, Via (…); Uditi nell’udienza camerale del 16 giugno 2022 il relatore dr. Cristiano Baldi, il rappresentante del Pubblico Ministero ed il difensore della convenuta. Ritenuto e considerato quanto segue. FATTO La Procura regionale, con atto di citazione del 29 settembre 2021, agiva nei confronti di Ga. Eu., AL. Wa., Ba. Pi. Ca., CO. Fr., GA. Gi., Ra. Av. Si., Ro. El., Na. An., componenti della Giunta comunale di (omissis), MI. Em., Segretario Direttore generale, e BA. Pa., Responsabile dell’esecuzione del contratto, per sentirli condannare al pagamento, in favore del Comune di (omissis), del complessivo importo di euro 592.804,93, in relazione alla presunta illiceità di plurimi affidamenti diretti, per lo svolgimento del servizio di controllo della banca dati tributaria e perequazione catastale, alla Società Fr. Si. impresa sociale ONLUS. In particolare, il requirente ricorda che con Delibera n. 71 del 26 aprile 2012 la Giunta comunale di (omissis) decideva di affidare alla Cooperativa Fr. Si. Impresa sociale “un lavoro di verifica e di accertamento tributario” per il triennio 2012/2015, con possibilità di rinnovo per l’eventuale completamento, dando atto che si sarebbe proceduto, in deroga al codice degli appalti, all’affidamento diretto in forza dell’art. 5, commi 1 e 2, legge 381/1991. La Procura richiama, quindi, la successiva Determinazione del Segretario - Direttore generale I Settore Finanziario, dott. MI. Em., di effettivo affidamento dell’incarico nonché i successivi atti modificativi della convenzione e integrativi dell’impegno di spesa: l’importo complessivo dei pagamenti effettuati dall’Ente, nel periodo 2012-2018, è risultato pari ad euro 1.429.570,15. In diritto, richiamato il contenuto dell’articolo 5 legge n. 381/1991, la Procura rileva che l’appalto non è stato preceduto da un’adeguata procedura comparativa ai fini della individuazione del soggetto al quale affidare il servizio di banca dati tributaria, rilevando che la proposta per la stipula della convenzione veniva avanzata dalla stessa Cooperativa Fraternità e Sistemi ed accettata dalla Giunta comunale senza ulteriori indagini valutative. Assume la Procura che “il confronto concorrenziale sarebbe stato tanto più necessario tenuto conto del fatto che, ignorando tutte le possibili analoghe realtà regionali, fu selezionata una cooperativa con sede in Brescia e iscritta nell’albo regionale delle cooperative sociali della Lombardia, in contrasto con quanto previsto dall’art. 13, comma 4, lett. c) della legge regionale piemontese 9 giugno 1994, n. 18, di attuazione della legge n. 381/1991, che individua tra i criteri di priorità ai fini della scelta il legame col territorio, sia delle persone svantaggiate, sia relativamente all'ambito di intervento della cooperativa”. Ancora, la Procura rileva che “solo una persona con certificazione di inserimento lavorativo ha dichiaratamente operato “anche” nel Comune di (omissis)”, così segnalando l’inadempimento all’obbligo normativo (art. 4, comma 2, della legge n. 381/1991) e convenzionale (art. 7) che prevedeva l’utilizzo e l’inserimento lavorativo di lavoratori svantaggiati nonché la redazione di progetti personalizzati di inserimento lavorativo ai sensi dell’art. 9 della Convenzione. Secondo la Procura, tali circostanze, che integravano un grave inadempimento legittimante la risoluzione del contratto, non furono segnalate né dal Responsabile dell’esecuzione del contratto, dott. BA. Pa., né dal Segretario-Direttore Generale MI. Em. che aveva sottoscritto la Convenzione per conto dell’Ente. Ancora, la Procura rileva come l’importo dell’appalto, da determinarsi ai sensi dell’art. 29 del d.lgs. 163/2006, sia risultato sensibilmente superiore alla soglia comunitaria (7 volte superiore) e ricorda come tale limite fosse necessario per l’affidamento senza gara ai sensi della legge n. 381/91. Da ultimo, un ulteriore profilo di illegittimità discenderebbe dalla inutilità dell’affidamento in considerazione della idoneità delle risorse interne a svolgere le attività affidate all’esterno. Attraverso un confronto tra le competenze dell’Ufficio tributi del Comune e le attività affidate alla Cooperativa, la Procura regionale evidenzia come queste ultime non avessero requisiti di eccezionalità o novità e come il Comune non avesse fatto alcuna previa verifica di indisponibilità di risorse interne. In conclusione, secondo il requirente la spesa per l’esternalizzazione del servizio, oltre che indebita, sarebbe stata anche inutile. In ordine alle singole responsabilità, accanto alle condotte dei conventi BA. e MI., che omisero di verificare l’avvenuto rispetto degli obblighi da parte della Cooperativa, la Procura richiama i componenti della Giunta autori delle deliberazioni di conferimento e conferma incarico. Tenuto conto del termine di prescrizione, la Procura limita quindi la richiesta risarcitoria ad euro 592.804,93, da ripartirsi tra la Giunta, nella misura del 40% (importo da suddividere in parti uguali tra i suoi componenti), il Segretario-Direttore Generale e Responsabile Finanziario MI. Em., nella misura del 40%, e il Responsabile dell’esecuzione del contratto BA. Pa., nella misura del 20%. Con comparsa 16 gennaio 2022 si sono costituiti i convenuti AL., CO. e GA., membri della Giunta comunale di Moncalieri (solo fino al 2013) che approvò la Delibera n. 71 del 26/04/2012 di indirizzo per l’affidamento del servizio alla Cooperativa. In via preliminare eccepiscono la nullità della citazione ai sensi dell’articolo 87 c.g.c. per la mancata considerazione delle deduzioni difensive, in particolare quanto all’inesistenza di danno alla luce dei guadagni che ha portato al Comune il servizio svolto dalla Cooperativa. Sempre in via preliminare la difesa eccepisce la prescrizione integrale della pretesa e ciò considerato che l’unica azione riconducibile ai convenuti membri della Giunta è quella di aver approvato all’unanimità la Delibera di Giunta Comunale n. 71 del 26/04/2012 e ciò tenendo anche conto che “nel 2013 la Giunta composta dai convenuti decadde e, dunque, nessuna condotta commissiva e/o omissiva successiva all’adozione delle citate Delibere può essere loro imputata”. Trattandosi di illecito istantaneo ad effetti permanenti, la prescrizione non può decorrere dai successivi pagamenti. Nel merito, la difesa, richiamati i principi di limitata sindacabilità nel merito delle scelte discrezionali, rileva come nel 2012 vi fosse la necessità di procedere ad una mappatura immobiliare per un aggiornamento dei dati catastali, evidenziando come tale attività richiedesse competenze tecniche non presenti in Comune (l’Ufficio preposto era infatti composto da soli tre dipendenti in categoria C-istruttori, di cui due con diploma di scuola superiore e uno di scuola media inferiore, più un Funzionario Responsabile in categoria D3, il convenuto BA., assegnato all’Ufficio esclusivamente per il 10% del suo orario di lavoro). D’altra parte, ricorda la difesa, tale conclusione veniva espressa anche nell’annotazione della Guardia di Finanza prodotta dalla Procura. In ogni caso, la difesa ricorda come la scelta dell’affidamento esterno del servizio mirasse anche all’inserimento di persona con disabilità. Ancora, sotto altro profilo, la difesa richiama l’esimente di cui all’articolo 1, comma 1 ter, legge n. 20/94 e ricorda come l’obbligo di procedura selettiva sia stato inserito, all’interno della legge n. 381/91, solo dalla legge n. 190/2014. Quanto al superamento dei valori soglia per l’affidamento diretto, rileva come tale superamento si sia concretizzato solo nel 2014 e, inoltre, come la delibera di Giunta imputabile ai convenuti avesse previsto la possibilità di risolvere la convenzione proprio in tale evenienza. In ogni caso, rileva come sulla base degli incassi del Comune nel triennio precedente non fosse prevedibile il sensibile incremento maturato dal 2014, frutto dell’attività propedeutica di recupero dell’evasione compiuta dalla Cooperativa. Quanto alla retrocessione al Comune del servizio di gestione ordinaria I.C./I.MU./I.M.P., disposto con la Delibera di Giunta n. 171 del 22/10/2012, la difesa osserva come, a fronte dei più specialistici compiti rimasti in capo alla Cooperativa, la retrocessione del servizio di gestione ordinaria (già svolto dall’Ufficio Tributi) risultava più che legittima, anche perché sostituita, senza ulteriori spese per il Comune, con l’affidamento alla Cooperativa dell’ulteriore servizio di creazione del Codice Ecografico. Ancora, la difesa evidenzia i risultati dell’attività affidata alla Cooperativa, tanto sotto il profilo dei maggiori incassi immediati quanto nell’incremento di valore degli immobili soggetti a tassazione frutto dell’attività di perequazione catastale. Contesta la sussistenza della colpa grave, eccepisce la compensatio lucri cum damni e, in via di estremo subordine, chiede la riduzione al minimo del danno contestato. Con comparsa del 25 gennaio 2022 si è costituito il convenuto BA. Pa., all’epoca funzionario responsabile dell’esecuzione del contratto con la Cooperativa. La difesa contesta, in primo luogo, che nella fattispecie sia configurabile un inadempimento della Cooperativa quanto ai lavoratori svantaggiati, ricordando che l’art. 4 legge n. 381/91 si limita a prevedere nell’organico dell’impresa sociale un certo numero di lavoratori svantaggiati ma non che questi dovessero essere impiegati in quel particolare servizio. Da ciò deriva, secondo la difesa, che il Comune non avrebbe potuto azionare alcuna clausola risolutiva espressa per sciogliere il vincolo con la Cooperativa e, pertanto, al convenuto BA. nessun rimprovero può essere mosso sotto tale profilo. In ogni caso, soffermandosi sulla clausola risolutiva espressa di cui all’articolo 13 della convenzione in essere tra le parti, la difesa rileva come essa non contenesse alcuna previsione risolutiva collegata all’impiego dei lavoratori svantaggiati in un certo numero. Esaurite le difese relative alla posizione personale, il convenuto si sofferma sui profili di responsabilità specificamente rivolti agli altri convenuti e ciò atteso che, secondo il difensore del BA., la Procura avrebbe azionato una responsabilità solidale. Contesta, quindi, che nella fattispecie in esame vi sia stata lesione della procedura selettiva e ciò considerato che la relativa previsione normativa è successiva l’affidamento dell’appalto e che la Cooperativa affidataria era l’unica in possesso dei requisiti normativi per l’affido diretto (l’unica Cooperativa sociale di tipo B) iscritta all’Albo nazionale dei soggetti abilitati ad effettuare attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi ai sensi dell’art. 53 comma I^ del D.Lgs. 15 dicembre 1997 n. 446). Quanto alla supposta inutilità dell’appalto, la difesa evidenzia a contrario l’utilità dell’attività svolta in favore dell’Ente e la non adeguatezza dell’organico dell’Ufficio tributi del comune di Moncalieri, con particolare riferimento all’attività prodromica di adeguamento valori di arre fabbricabili e capannoni industriali. Rappresenta, in particolare, che la sola attività di perequazione ha portato ad un incremento di valore della base immobiliare imponibile di circa 22 milioni di euro cui consegue un maggior gettito tributario di circa euro 200.000,00 per anno. Evidenzia, ancora, l’ampio delta tra quanto incassato dal Comune prima del 2012 e i risultati conseguiti con l’operato della Cooperativa. Quanto al superamento dei valori soglia, ricorda che un’eventuale risoluzione sarebbe potuta avvenire solo nell’accordo tra le parti, non essendo per tale ipotesi prevista alcuna clausola risolutiva e potendo un’eventuale iniziativa portare ad un contenzioso con la Cooperativa dannoso per il Comune. Eccepisce comunque la prescrizione quinquennale: gli importi antecedenti il 25 giugno 2016 sarebbero da ritenersi prescritti e, pertanto, potrebbe essere oggetto di ipotetica pretesa di addebito solo la minor somma di euro 199.928,42. Da ultimo, eccepisce la compensatio lucri cum damno e invoca l’applicazione del potere riduttivo dell’addebito. Con comparsa 27 gennaio 2022 si costituiva MI. Em., già Segretario Comunale e Direttore Generale del Comune di (omissis) dal 2009, eccependo in via preliminare la nullità dell’atto di citazione ai sensi dell’articolo 87 c.g.c. Eccepiva, sempre in via preliminare, l’intervenuta prescrizione del danno, ancorando l’esordio della prescrizione alla delibera 26.4.2012 o, al più alla data del pensionamento avvenuto nel settembre 2013, e richiamando giurisprudenza contabile in ordina alla qualifica della pretesa azionata in giudizio dal requirente come illecito istantaneo ad effetti permanenti. Venendo al merito, ed in particolare alla contestata assenza di evidenza pubblica nella selezione dell’appaltatore, la difesa ricorda che nel 2012 la Cooperativa Fraternità e Servizi era l’unica cooperativa di tipo B) iscritta nell’Albo nazionale di cui alla L. 446/1997 dei soggetti abilitati a svolgere servizi di riscossione tributaria. Quanto al superamento dei valori soglia, rammenta che, per quanto di competenza del convenuto MI., prima quindi del suo pensionamento, l’importo pattuito era di soli euro 44.000,00, ben al di sotto della soglia comunitaria per l’applicazione della disciplina di evidenza pubblica. La difesa, in ogni caso, rimarca la non imputabilità al convenuto di tutti i profili di illegittimità verificatisi dopo il suo pensionamento: il superamento dei valori soglia, il mancato inserimento di lavoratori svantaggiati e la mancata risoluzione contrattuale. Quanto alla contestata inutilità dell’appalto, richiama le considerazioni già sopra riportate in relazione ai vantaggi economici ottenuti dal Comune di (omissis) grazie all’attività di aggiornamento, in senso lato, del proprio sistema tributario. Sotto tale profilo, quindi, contesta la stessa esistenza di un danno erariale in capo all’Ente. Contesta l’esistenza di una colpa grave e, in ogni caso, chiede la riduzione del danno imputabile al convenuto MI. in termini minali, tenuto conto del limitato periodo di prestazione del servizio e della circostanza che, ove provate le circostanze di illegittimità addotte dalla Procura, esse al più potrebbero determinare un danno alla concorrenza. Con comparsa del 26 gennaio 2022 si costituivano i convenuti Ba., Ga., Na., Ro. e Ra. chiedendo accedere al rito abbreviato ai sensi dell’art. 130 del c.g.c. I relativi giudizi venivano definiti con sentenza n. 111/2022. DIRITTO La domanda non può essere accolta. In via preliminare va respinta l’eccezione di nullità dell’atto di citazione ai sensi dell’articolo 87 c.g.c. sollevata dalla difesa dei convenuti MI., AL., CO., GA.: la ricostruzione giuridica sostenuta dalla Procura, volta a sostenere la totale illegittimità dell’appalto e, quindi, della relativa spesa, è oggettivamente incompatibile con le prospettazioni difensive circa l’utilità dell’appalto per il Comune. Da ciò deriva la considerazione che l’atto di citazione, pur non esplicitando in maniera chiara il rigetto delle deduzioni difensive sul punto, si pone con esse in totale antitesi, così potendosi ritenere il loro implicito rigetto (e non escludere, pertanto, la loro considerazione da parte del requirente). Sempre in via preliminare va esaminata l’eccezione di prescrizione sollevata sotto vari profili dai convenuti. Quanto all’individuazione del dies a quo, la giurisprudenza consolidata di questa Corte ha affermato che, in tema di responsabilità per erogazione di somme non dovute, la prescrizione decorre dal momento in cui avviene il pagamento, senza che si debba tener conto della data del fatto che ha reso dovuta l’erogazione (C. Conti, Sez. Giur. I n. 272 del 01.08.2002; id. Sez. I n. 304 del 18.09.2003; id. Sez. II n. 97 del 26.03.2002; id. Sez. III n. 343 del 23.07.2003). Le SS.RR. di questa Corte, con sentenza n. 7/2000/Q.M. del 24.05.2000 hanno fornito specifici chiarimenti per le ipotesi di illecito con effetti che si protraggono nel tempo, stabilendo che i danni si verificano con i singoli esborsi dei corrispettivi periodici, soggetti, ciascuno, ad un proprio termine di prescrizione quinquennale, con decorrenza dalla data dei pagamenti stessi. Il medesimo principio è stato affermato nella sentenza delle Sezioni Riunite n. 5/QM del 19.07. 2007, in cui è stato ulteriormente chiarito che “la diminuzione del patrimonio dell’ente danneggiato - nel che consiste l’evento dannoso - assume i caratteri della concretezza e della attualità e diviene irreversibile solo con l’effettivo pagamento; è, quindi, da ogni singolo pagamento... che decorre il termine di prescrizione”. L’attualità del danno, elemento imprescindibile dell’azione erariale, si realizza con l’esborso monetario a carico del Comune. Inconferente, invece, la sentenza n. 314/2020 della II Sezione d’Appello richiamata dalla difesa AL., relativa alla diversa fattispecie della distrazione di un finanziamento pubblico per realizzazione di un progetto non conforme. Così individuato il dies a quo, va ancora considerato il richiamato articolo 85, comma 2, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27. Tale norma, dettata per fronteggiare l’emergenza epidemiologica, rimette ai vertici degli uffici la facoltà di adottare varie misure organizzative, tra cui anche l’eventuale rinvio delle udienze a periodi successivi il 30 giugno 2020. In questo caso, il comma 4 dispone che “con riferimento a tutte le attività giurisdizionali, inquirenti, consultive e di controllo intestate alla Corte dei conti, i termini in corso alla data dell'8 marzo 2020 e che scadono entro il 30 giugno 2020, sono sospesi e riprendono a decorrere dal 1° luglio 2020. A decorrere dall'8 marzo 2020 si intendono sospesi anche i termini connessi alle attività istruttorie preprocessuali, alle prescrizioni in corso ed alle attività istruttorie e di verifica relative al controllo”. Tale periodo di sospensione, individuato al primo periodo del comma 4 dell’art. 85 sopra riportato, è stato successivamente esteso prima al 31 luglio 2020 (art. 5, c. 1, lett. A del D.L. 30 aprile 2020, n. 28), poi al 31 agosto 2020, in virtù delle modifiche apportate dalla legge di conversione del D.L. n. 28/2020 (L. 25 giugno 2020, n. 70). Secondo una ragionevole lettura interpretativa, ai termini per le attività istruttorie preprocessuali ed a quelli prescrizionali menzionati nel secondo periodo del richiamato articolo 85 deve essere esteso il regime della sospensione ex lege (la sospensione dall’8 marzo 2020 sino al 31 agosto 2020) previsto dal primo periodo dello stesso comma per i termini processuali relativi a giudizi oggetto di rinvio. Infatti, come condivisibilmente argomenta la giurisprudenza contabile (C. conti, sez. giur. reg. Lombardia, ord. n. 1/2021), “risulterebbe illogico che la sospensione di cui al secondo periodo avesse una data certa di inizio (8 marzo 2020) e non una data certa di fine. Inoltre, la congiunzione “anche” ha appunto il significato e la funzione lessicale di estendere alla seconda categoria di atti il regime previsto per la prima”. Ciò posto, nella determinazione dei pagamenti non soggetti alla prescrizione quinquennale occorre tenere conto della sospensione del termine di prescrizione tra l’8 marzo ed il 31 luglio 2020 (tale era il termine vigente al momento della notifica degli inviti a dedurre) e cioè per 4 mesi e 23 giorni. Considerate le date di notifica degli inviti a dedurre (tra il 25 giugno ed il 5 luglio del 2021), possono ritenersi non prescritti i pagamenti successivi al periodo 2 - 13 febbraio 2016. Utilizzando i dati contenuti nella relazione della Guardia di Finanza 20.07.2020 (pag. 8) e prendendo a riferimento le date dei mandati di pagamento, le somme non prescritte sono quelle a partire dal mandato n. 1181 del 6 aprile 2016. Sommando tutti i successivi mandati, si ottiene il complessivo importo di euro 509.083,91, da intendersi quale residuo importo di danno non prescritto. Venendo al merito, osserva il Collegio che nella fattispecie in esame la Procura regionale, con l’atto introduttivo del giudizio, ha contestato la legittimità dell’affidamento dell’appalto di servizi alla Cooperativa Società Fr. Si. sotto 4 differenti profili che, in estrema sintesi, possono così sintetizzarsi: a) Mancato rispetto della procedura comparativa nella fase di scelta dell’affidatario del servizio tributi, anche ove ammessa la natura di impresa sociale e la finalità di inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. In sostanza, il requirente lamenta l’illegittimità dell’affidamento per mancato esperimento di alcuna selezione comparativa come prevista dallo stesso articolo 5 legge n. 381/1991; b) Illegittimità del ricorso all’affidamento diretto atteso il superamento dei limiti di soglia comunitaria, presupposto per l’affidamento diretto ai sensi del menzionato articolo 5, comma 1; c) Illegittimità nell’esecuzione dell’appalto e ciò considerato che la Cooperativa affidataria si sarebbe resa inadempiente all’obbligo di inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. Tale inadempimento, quindi, avrebbe consentito la risoluzione contrattuale che, nella prospettazione attorea, era doverosa. d) Inutilità dell’affidamento atteso che il servizio affidato alla Cooperativa poteva essere svolto dagli uffici comunali e ciò sarebbe confermato dalla retrocessione del servizio ordinario ai medesimi uffici disposta con la Delibera di Giunta n. 171 del 22/10/2012. Da tali profili di illegittimità, secondo la parte attrice, discenderebbe un danno erariale pari all’importo corrisposto dal Comune alla Cooperativa in forza del servizio affidato. Invero, a parere del Collegio, occorre affrontare separatamente i profili di illegittimità azionati dalla Procura, preliminarmente ricordando che la domanda attorea si qualifica e cristallizza in base a petitum e causa petendi che, nella fattispecie in esame, sono quelli sopra enucleati, senza possibilità di introdurre in giudizio alcuna mutatio libelli. In relazione ai primi tre profili sopra richiamati - sub a), b) e c) - ritiene il Collegio che non vi sia alcun danno erariale azionabile in relazione alla causa petendi che qualifica la domanda attorea. In generale, va ricordato che non ogni illegittimità nella fase di scelta del contraente o di esecuzione del contratto determina, ipso facto, un’inutilità di spesa e, quindi, un danno erariale per l’intero corrispettivo contrattuale corrisposto. Va anche ricordato, peraltro, che i vizi nella fase di scelta del contraente, invocati dalla Procura per il mancato esperimento della procedura di evidenza pubblica (o quantomeno di una selezione comparativa), potrebbero al più determinare un danno alla concorrenza ma non certamente un danno da totale illiceità della spesa per inutilità, danno azionato dalla Procura e, infatti, quantificato in un importo pari all’intero ammontare dei compensi. Il danno alla concorrenza, nella fattispecie in esame, non è stato azionato. I profili di illegittimità sub a) e sub b), pertanto, determinerebbero, al più, un’illegittimità dell’appalto azionabile avanti la giustizia amministrativa da un’eventuale società pretermessa. Non appare configurabile un concreto danno erariale neppure in relazione al profilo sub c), e cioè all’inadempimento della Cooperativa all’obbligo di inserimento di lavoratori svantaggiati, inadempimento che avrebbe legittimato il Comune alla risoluzione del contratto. Anche tale ricostruzione, infatti, non prova l’esistenza di un danno erariale: non vi è discussione, infatti, circa l’efficacia o l’utilità del servizio (sul punto, vedi infra) ma solo sull’adempimento di un obbligo accessorio che avrebbe legittimato l’affidamento diretto dell’appalto. Detto in altri termini, anche questa contestazione, in ultima analisi, rifluisce sulle modalità di scelta del contraente e sulle considerazioni sopra svolte. D’altra parte, anche a voler ammettere che il Comune avrebbe potuto risolvere il contratto, non si giustifica il salto logico nel senso di configurare la scelta risolutiva come doverosa in assenza di pregiudizio economico patrimoniale per l’Ente: l’inserimento di lavoratori svantaggiati, infatti, non ha incidenza sulla prestazione resa dalla Cooperativa e sul corrispettivo pagato per l’attività di accertamento/riscossione tributi. In conclusione, detto in altri termini, l’inadempimento dell’appaltatore ad un obbligo accessorio (peraltro, non quantificato in alcun modo), se non si è tradotto in un inefficiente svolgimento del suo servizio, non integra necessariamente un danno erariale. Va ribadito, ancora una volta, che non ogni illegittimità contrattuale o esecutiva si traduce, per ciò solo, in una fattispecie rilevante sotto il profilo erariale. Quanto esposto conduce al rigetto della domanda nei confronti del convenuto BA. Pa. e ciò considerato che allo stesso veniva imputata esclusivamente la scelta di non aver risolto il contratto (o suggerito tale risoluzione) a fronte dell’inadempimento della Cooperativa sopra descritto. Da ultimo, la Procura Regionale contesta l’assoluta inutilità dell’appalto conferito alla Cooperativa Fraternità e Servizi attesa l’ordinarietà dell’attività a questa affidata, assolutamente gestibile dagli stessi funzionari del Comune, così come sarebbe dimostrato dalla circostanza che con Delibera di Giunta n. 171 del 22/10/2012 l’Amministrazione retrocedeva il servizio di accertamento IMU/ICI in capo all’Ufficio tributi del Comune di Moncalieri. In sostanza, secondo il requirente, l’appalto non solo sarebbe illegittimo perché non preceduto da una ricognizione del personale interno, ma anche del tutto inutile sotto il profilo dell’esternalizzazione del servizio. Ritiene il Collegio che quanto affermato dal requirente sia del tutto destituito di sostegno probatorio trovando invece conferma, quantomeno a livello indiziario, la ragionevolezza ed utilità della scelta di esternalizzazione del servizio. E ciò, va ricordato, tenuto conto che il sindacato di una scelta discrezionale deve limitarsi alla sua compatibilità con i fini pubblici ed al rispetto delle regole di efficienza ed efficacia codificate dalla legge n. 241/90. Sotto tale profilo, la Sezione ritiene di valorizzare plurimi elementi a conferma della peculiarità del servizio esternalizzato e dell’utilità della scelta effettuata. In primo luogo, occorre considerare la oggettiva modestia dell’Ufficio tecnico del Comune: a fronte di un comune con un media demografica dell’ultimo decennio di 50 mila abitanti e una superficie di quasi 50 km quadrati, la dotazione di 3 unità di categoria C (di cui una con licenza di scuola media inferiore) ed un solo funzionario in servizio per il 10% del suo orario di lavoro manifesta dubbi sulla sua sufficienza, specie per operazioni di revisione sistemica. Un simile ufficio, infatti, non può che limitarsi ad assicurare la gestione ordinaria, senza possibilità (non avendo le competenze specialistiche né la disponibilità di risorse qualificate a tempo pieno) di attivare progetti di ampio respiro come quello affidato alla Cooperativa Fraternità e Servizi. Sotto tale profilo, illuminante è la lettura del Disciplinare allegato alla Convenzione di affidamento del servizio stipulata dal Comune. Da esso si ricava che il servizio affidato alla Cooperativa non si risolveva nella gestione ordinaria dell’attività di accertamento/riscossione Ici, Imu e Imp ma prevedeva, piuttosto, l’implementazione dell’attività di accertamento attraverso esame incrociato di dati (catastali, dai registri immobiliari, dati Tarsu), l’informatizzazione degli strumenti urbanistici con trasposizione su mappa catastale, la creazione di apposite banche dati e, da ultimo, la gestione del contraddittorio con i contribuenti. Ancora, particolarmente rilevante risulta il compito di perequazione catastale, volto ad una complessiva revisione (e aggiornamento) dei valori degli immobili accatastati nel comune di Moncalieri, in presenza di immobili non accatastati o con situazioni di fatto non più coerenti con la classificazione catastale. La descrizione di tale attività, come risulta dalle pagine 20 e seguenti, ne evidenzia l’assoluta straordinarietà, essendo espressione di una revisione una tantum della situazione catastale degli immobili insistenti nel territorio del comune di Moncalieri. In sostanza, come riconosciuto dalla Delibera di Giunta n. 71/2012, il servizio assegnato alla Cooperativa rappresentava un “supporto necessario ed imprescindibile all’ufficio tributi”, la cui necessità si evidenziava anche dalla considerazione dei “risvolti economico sociali che tale attività svolta a tappeto può generare nei contribuenti”. D’altra parte, la stessa Guardia di Finanza, nella relazione del 20 luglio 2020, paragrafo 4.3, escludeva la sussistenza di un danno erariale per la mera esternalizzazione del servizio e ciò ritenendo che “non si sia trattato di esternalizzazione di un'attività amministrativa tipica dell'Ente, dal momento che le prestazioni richieste non attengono alla riscossione e non attribuiscono all'affidatario funzioni pubblicistiche. Il servizio in questione è consistito, più che altro, in un'attività di supporto all'accertamento e al recupero dei tributi, lasciando in capo al Comune, quindi, la titolarità degli atti e la riscossione delle entrate derivanti dal servizio stesso”. Ciò priva di argomentazione anche la circostanza che con la successiva Delibera n. 171 il servizio di accertamento e riscossione IMU/ICI sia stato retrocesso agli uffici comunali. Intanto, resta la peculiarità del servizio di perequazione catastale e accertamento riscossione del sommerso già affidato alla Cooperativa, cui si affiancava quello di mappatura ecografica degli immobili comunali in modo da consentire un collegamento tra le unità immobiliari nelle diverse banche dati comunali. Inoltre, va considerata la ragionevolezza di tale retrocessione: una volta che la Cooperativa aveva proceduto all’implementazione del lavoro di verifica e recupero impositivo per il pregresso, l’attività di accertamento e riscossione poteva effettivamente essere svolta dall’Ufficio tecnico del Comune. Detto in altri termini, il compito della cooperativa era quello di far ripartire il sistema riorganizzandolo e recuperando il sommerso: una volta mappato, l’attività ben poteva proseguire con i tecnici del comune. Da ultimo, a conferma non solo dell’utilità del servizio reso dalla Cooperativa ma anche e soprattutto della profonda differenza strutturale del lavoro svolto in appalto e, conseguentemente, dell’inidoneità dell’Ufficio tecnico comunale a svolgere un simile compito, vanno valorizzati i dati dell’impatto economico di tale attività. Tali dati, forniti dal convenuto BA. già in sede di deduzioni e apparentemente neppure considerati dal requirente (e quindi men che meno contestati), evidenziano risultati a dir poco importanti. L’attività di perequazione, per esempio, ha portato ad un incremento del valore degli immobili insiti sul territorio comunale di oltre 20 milioni, passando da euro 38.440.760,00 ad euro 60.725.583,00: è chiaro che l’incremento di base imponibile ha determinato e determinerà un sensibile incremento negli anni del gettito tributario del Comune. Ancora, se si confronta il dato delle entrate tributarie da immobili nel triennio 2010-2012 rispetto al triennio successivo, esso mostra un incremento da euro 683.302,00 ad euro 2.968.872,85: ciò dimostra in maniera incontestabile che l’attività ordinaria svolta dai tecnici del Comune non era in alcun modo paragonabile con il diverso servizio, evidentemente anche sotto il profilo dell’efficienza, esternalizzato alla Cooperativa Fraternità e Servizi. Alla luce di quanto esposto la domanda va respinta anche nei confronti dei rimanenti convenuti. Stante l’assoluzione nel merito e visto l’articolo 31, comma 2, c.g.c., le spese di lite vengono liquidate come in dispositivo. P.Q. M. La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Piemonte, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando, Respinge la domanda. Liquida le spese di lite in favore di ciascuno dei convenuti AL. Wa., CO. Fr., GA. Gi., MI. Em. e BA. Pa. in euro 3.200,00 per diritti ed onorari, oltre il 15% per spese generali ed oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge. Manda alla segreteria per le comunicazioni di rito. Così deciso in Torino, nella camera di consiglio del 16 giugno 2022 con l’intervento dei magistrati: Cinthia Pinotti - Presidente Giuseppe Maria Mezzapesa - Consigliere Cristiano Baldi - Consigliere Estensore Il Giudice estensore - Cristiano Baldi F.to digitalmente Il Presidente - Cinthia Pinotti F.to digitalmente Depositata in Segreteria il 20 ottobre 2022 Il Direttore della Segreteria Caterina Scrugli F.to digitalmente

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI TORINO - SEZIONE TERZA CIVILE - riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei Signori Magistrati: dott.ssa Ombretta Salvetti - Presidente dott. Francesco Rizzi - Consigliere relatore dott.ssa Silvia Orlando - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 371/21 R.G. promossa da: Il Condominio (...) sito in S. T., in persona del suo Amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in Torino presso lo studio dell'Avv. M.Ba. che lo rappresenta e difende per procura in atti, con rituale indicazione dell'indirizzo PEC - PARTE APPELLANTE - contro (...) elettivamente domiciliato in Settimo T.se presso lo studio dell'Avv. F.Ro. che lo rappresenta e difende per procura in atti, con rituale indicazione dell'indirizzo PEC - PARTE APPELLATA - OGGETTO: richiesta di risarcimento danni a seguito della gestione dell'amministratore condominiale. MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il Condominio "(...)" sito in via della Costituzione n.16-32 in S. T. (T.) con atto di citazione d'appello ritualmente notificato impugna la sentenza del tribunale di Ivrea n.692/20 del 16.9.20 con la quale è stata (solo) parzialmente accolta (per la somma di Euro 47.789,37) la sua domanda di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale nei confronti dell'amministratore uscente (...) per atti di gestione contrari ai principi di diligenza professionale del mandatario, e sono state dichiarate parzialmente estinte le restanti domande, per traslazione nel processo penale dell'azione civile ex art.75, 1 c., c.p.p., relativamente alla richiesta somma di Euro 66.987,33 (per "fornitura di gas non pagata" denominata dalla parte attrice "vertenza E.") e di Euro 62.785,26 ("fatture non pagate sino al 10.11.15"). Il tribunale di Ivrea riteneva che la costituzione di parte civile del Condominio (...) nel processo penale pendente dinanzi al Tribunale di Ivrea, RG 307-2018, richiamasse integralmente il decreto penale di citazione in giudizio in relazione ai fatti di reato in esso contestati e che l'inciso tra parentesi nella medesima contenuto ("diversi e ulteriori rispetto a quelli già azionati in separata azione civile...") fosse meramente chiarificativo o, meglio, una mera formula di stile. Rilevava che il petitum delle summenzionate azioni coincidesse con riferimento alla richiesta di restituzione delle somme di Euro 66.987,33 per "fornitura di gas non pagata" denominata dalla parte attrice "vertenza E." e di Euro 62.785,26 per "fatture non pagate sino al 10.11.15"; con la conseguenza che per tali importi l'azione civile era stata traslata nel procedimento penale comportando ai sensi dell'art. 75 c.p.p. la rinuncia agli atti del giudizio civile e l'estinzione della relativa domanda. Alla luce dell'esame dai documenti prodotti, rilevava che l'amministratore non solo non avesse consegnato tutti i documenti condominiali al suo successore, ma che altresì per sua stessa ammissione, in violazione al principio di diligenza professionale e di buona amministrazione, non avesse redatto tutta la documentazione contabile necessaria. In considerazione di tale rilievo e in adesione alle conclusioni della esperita CTU il Tribunale condannava, per la restante parte della domanda restitutoria (non ricompresa nella costituzione di parte civile in sede penale), l'amministratore (...) alla ripetizione delle somme versate dai condomini e indebitamente trattenute e non destinate al pagamento degli oneri condominiali pari a Euro 47.789,37, oltre interessi moratori dalla messa in mora sino all'effettivo saldo, rigettando invece la domanda di risarcimento dei danni in quanto il Condominio non aveva provato il danno patito. Accoglieva anche la domanda generica, ex art. 278 c.p.c., di manleva per gli esborsi che il Condominio sarà costretto ad affrontare in relazione ai rapporti con soggetti terzi (Agenzie Fiscali, Vertenza il Diamante, pagamenti ad altri Condomìni), giacché il convenuto non solo non aveva contestato specificamente le allegazioni di controparte ex art. 115 c.p.c., ma non aveva neppure provato ai sensi dell'art. 2697 c.c. l'adempimento delle proprie obbligazioni gestorie risultate, al contrario, del tutto carenti. Disponeva, infine, l'integrale compensazione delle spese di lite alla luce della reciproca soccombenza delle parti e di conseguenza rigettava la domanda ex art. 96 c.p.c. proposta da parte attrice. Propone appello il Condominio (...) allegando, nel primo motivo, che la sentenza dev'essere riformata perché ha erroneamente statuito l'estinzione parziale del giudizio per traslazione nel processo penale dell'azione civile ex art.75, 1 c., c.p.p. Ribadisce che la domanda formulata nell'ambito del giudizio civile atteneva all'azione restitutoria, all'azione di risarcimento del danno patrimoniale e all'azione di manleva; mentre la costituzione di parte civile aveva ad oggetto esclusivamente il risarcimento del danno morale (azionabile solo in sede penale) e materiale e non azioni restitutorie come quelle azionate in sede civile ovvero si trattava di danni ulteriori rispetto a quelli richiesti in sede civile, quantificati in seguito nel corso dell'udienza penale del 27/2/2019, in Euro 6.000,00 (per danni morali e costi di ricostruzione contabile sopportati dal nuovo amministratore), somma del tutto diversa da quella proposta civilmente. Sottolinea che l'atto di citazione (10.10.2016) è precedente al decreto di citazione a giudizio (21.3.2018) e che, in ogni caso, non si comprende la ragione logico-giuridica per cui dal mero rilievo che le somme indicate nei due atti siano eguali il giudice di prime cure sia arrivato a ritenere "traslata nel processo penale ogni relativa questione". Eccepisce che il processo penale si è concluso con una sentenza di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, che nulla ha statuito con riferimento all'azione di risarcimento dei danni, sicché essendosi concluso il processo penale senza una pronuncia sull'azione civile la domanda nel processo civile non poteva estinguersi. Nel merito, evidenzia che la sentenza debba essere riformata con la conseguente condanna dell'appellato a restituire Euro 26.204,58 (di cui Euro 449,14 per incasso rata sig.ra (...) Giudice ed Euro 25.755,44 per finanziamento (...)) ed Euro 66.987,93 con riferimento alla transazione (...) (rispetto alla quale rileva che benché il CTU non abbia preso in considerazione la fattura (...), poiché non risultante agli atti il bilancio delle gestione riscaldamento dell'esercizio 2013, tale fattura dovrà essere comunque conteggiata dal momento che la controparte non ha provato il relativo pagamento). Lamenta, nel secondo motivo di appello, l'iniquità dell'integrale compensazione delle spese di lite, giacché tutte le domande azionate sono risultate accoglibili nel merito, anche quelle dichiarate estinte ex art. 75 c.p.p.. Chiede, infine nel terzo motivo di appello, la condanna dell'appellato ex art. 96 c.p.c., deducendo che: quest'ultimo non ha partecipato alla mediazione obbligatoria, ha tenuto una condotta processuale "defatigatoria" e soprattutto ha dichiarato nel precedente ricorso azionato dal condomino ex art. 700 c.p.c. (terminato con rigetto e conseguente compensazione delle spese di lite) di non possedere alcuni dei documenti che ha invece prodotto nel presente giudizio. Si costituisce (...) chiedendo il rigetto integrale dell'appello principale, aderendo sul punto alla motivazione espressa dal giudice di primo grado; precisando che, in ogni caso, anche qualora la Corte non dovesse ritenere estinte ex art. 75 c.p.p. le domande di controparte, comunque, queste dovranno essere rigettate, giacché le risultanze della CTU sono viziate e le pretese avversarie non risultano provate. Chiede, altresì, il rigetto della domanda di condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., asserendo di non aver mai agito o resistito in mala fede né di aver tenuto una condotta "defatigatoria". L'appellato propone, poi, appello incidentale tardivo sul capo della sentenza che lo condanna alla restituzione della somma di Euro 47.789,37, eccependo, da un lato, la nullità della CTU per violazione del contraddittorio, giacché al CTP di parte convenuta non è stata data comunicazione dei vari incombenti istruttori, e dall'altro, che l'elaborato peritale è viziato da gravi errori logici e di calcolo dovuti ad un'errata lettura dei documenti prodotti in atti. Sottolinea che l'appellante, nonostante l'onere probatorio gravasse su di lui, non ha in alcun modo dimostrato la fondatezza della domanda di manleva ex art. 278 c.p.c. Tanto più che in primo grado non ha prodotto alcun documento che dimostrasse né le richieste di pagamento da parte del Il Diamante o degli altri Condomìni, né le richieste di pagamento ICI/IMU comprovandosi in questo modo che le stesse non sono mai state azionate e dunque sono ormai prescritte. Richiede, infine, che alla luce delle eccezioni svolte in sede di appello incidentale e sulla base della conseguente soccombenza pressoché totale di parte appellante venga riformata la sentenza anche in punto spese. Nel primo motivo d'appello, il Condominio (...) lamenta l'erronea statuizione del giudice di primo grado sull'estinzione parziale del giudizio per traslazione nel processo penale dell'azione civile ex art.75, 1 c., c.p.p. Tale motivo d'appello è infondato. La Suprema Corte spiega che (neretto dell'estensore) "Il trasferimento dell'azione civile nel processo penale, regolato dall'art. 75 cod. proc. pen., determina una vicenda estintiva del processo civile riconducibile al fenomeno della litispendenza, e non a quello disciplinato dall'art. 306 cod. proc. civ., in quanto previsto al fine di evitare contrasti di giudicati. Ne consegue che detta estinzione è rilevabile anche d'ufficio, ma può essere dichiarata solo se, nel momento in cui il giudice civile provvede in tal senso, persista la situazione di litispendenza e non vi sia stata pronuncia sull'azione civile in sede penale" (Cass. S.U. 8353/2013, Conformi: Cass. 35951/2021, Cass. 15995/2011, Cass. 18193/2007). Orbene, nel caso di specie il Tribunale di Ivrea in sede civile (causa incardinata a novembre 2016) si è pronunciato il 16.9.2020, cioè circa un mese prima che si pronunciasse il Tribunale di Ivrea (a seguito di decreto di citazione in giudizio del 21.3.2018) in sede penale (sentenza del 7.10.2020), sicché quando il giudice di prime cure ha dichiarato la domanda civile parzialmente traslata ed estinta persisteva la situazione di litispendenza, non essendo ancora stata emanata la sentenza penale. Appurata la correttezza della decisione dal punto di vista giuridico occorre valutare, nel merito, se effettivamente vi sia "parziale collimanza tra le azioni". A tale fine si riportano il decreto di citazione in giudizio del 21.3.2018 e la costituzione di parte civile del Condominio (...) nel processo penale RG. 307-2018 datata 20.2.2019. Nel primo, il PM formula tale capo di imputazione "reato di cui all'art. 61 n. 11, 646 c.p., perché, per procurarsi un ingiusto profitto, si appropriava di Euro 129.773,19 (di cui Euro 62.785,26 per fatture non pagate, ed Euro 66.987,93 per fornitura di gas metano non pagata) di cui aveva il possesso in quanto amministratore dall'anno 2000 sino al novembre 2015 del Condominio (...) sedente in Settimo Torinese via della Costituzione dal n. 16 al n. 30. Fatto aggravato in quanto commesso con abuso di prestazione d'opera. In Settimo Torinese (TO) in data 10 novembre 2015". Nella seconda, il Condominio (...) con l'avv. M.Ba. "dichiara di costituirsi parte civile nei confronti di (...) nato a C. il (...) imputato del reato di cui agli artt. 61 n. 11 e 646 c.p. per i fatti di cui al decreto che dispone il giudizio che qui si richiama interamente. La presente costituzione viene formulata al fine di ottenere il ristoro di tuttii danni morali e materiali patiti nelle circostanze de quibus (diversi ed ulteriori rispetto a quelli già azionati in separata azione civile, pendente nanti al Tribunale di Ivrea RG 4683/2016) per i comportamenti posti in essere dall'imputato; danni da quantificarsi nelle sedi deputate". Si osserva che la costituzione di parte civile richiama integralmente il decreto di citazione in giudizio in relazione ai fatti (specifici) ivi contenuti e che questo cita espressamente i due fatti di appropriazione indebita che costituiscono l'oggetto della domanda civile dichiarata traslata ed estinta, cosicché l'inciso relativo ai danni morali e materiali "(diversi e ulteriori)" va inteso o come clausola di stile (tipo "veriori somme") o semplicemente come danni (anche) ulteriori rispetto a quelli "già azionati" e, quindi, comunque contenuti nella costituzione di parte civile. Tanto più che in questo caso l'inciso (oltretutto posto tra parentesi), che normalmente serve per chiarire o completare, se interpretato diversamente sarebbe in contraddizione con quanto affermato precedentemente (circa l'integrale richiamo al contenuto del decreto di citazione in giudizio). Attraverso, dunque, un'interpretazione che tenga conto del complesso delle espressioni utilizzate non si può che ritenere che la costituzione di parte civile sia omnicomprensiva (tutti i danni morali e materiali). Si ribadisce, peraltro, come già indicato dal giudice di prime cure, che vi è perfetta collimanza tra l'importo indicato dal PM nel decreto di citazione in giudizio "Euro 129.773,19 (di cui Euro 62.785,26 per fatture non pagate, ed Euro 66.987,93 per fornitura di gas metano non pagata)" e la somma richiesta dall'appellante nell'atto di citazione pari ad Euro 66.987,93 con riferimento alla "(...)" e pari ad Euro 62.785,26 per le "fatture non pagate sino al 10.11.2015". Neppure influisce ai suddetti fini la circostanza che all'udienza penale del 27.2.2019 l'avvocato della parte civile a verbale "quantifica i danni in circa 6.000,00 euro ..." trattandosi di dichiarazione del tutto generica certamente non individuante specifiche voci di danno (il che sostanzialmente costringerebbe il convenuto-imputato ad un doppio gravoso ed inammissibile onere di difesa tanto in sede civile che in sede penale). Del tutto irrilevante è inoltre che l'atto di citazione sia precedente al decreto di citazione in giudizio, giacché ciò che viene in rilievo è che nella costituzione di parte civile si richiami integralmente il decreto di citazione in giudizio al fine di ottenere il risarcimento di tutti i danni morali e materiali (e non che eventualmente il PM abbia ritenuto corretti i calcoli effettuati dal Condominio (...) e li abbia trasfusi nel capo di imputazione). Ne consegue che, vista la persistenza della litispendenza nel momento in cui il Tribunale si è pronunciato e la parziale identità di petitum tra le azioni, ai sensi dell'art. 75 c.p.c. l'azione civile deve ritenersi traslata nel procedimento penale, con conseguente rinuncia agli atti del giudizio civile ed estinzione delle relative domande in parte qua. Si passa ora ad esaminare l'appello incidentale svolto da (...). L'appellato chiede che la Corte dichiari che nulla deve al Condominio (...), eccependo sia la violazione del contraddittorio da parte del CTU sia gli errori logici e di calcolo presenti nell'elaborato peritale. Tale motivo di appello è infondato. In primis, si rileva che non vi è stata alcuna violazione del contraddittorio da parte del CTU. Il giudice istruttore, infatti, in data 16.10.2019 ha tenuto l'udienza per chiedere chiarimenti al CTU, in cui quest'ultimo ha esibito (come emerge dal verbale di udienza) le PEC con cui diede comunicazione alle parti delle varie operazioni peritali e della data in cui avrebbe depositato la relazione. Il riscontro cartaceo di tali PEC è stato visionato dall'avvocato del sig. (...) che si è riservato le relative verifiche senza fornire in seguito alcun riscontro né sollevare alcuna contestazione specifica sul punto neppure nel grado di appello. Con riferimento ai vizi logici e di calcolo lamentati dall'appellato si osserva che i rilievi del sig. (...) sono totalmente generici e privi di motivazioni che esplichino in cosa consistano gli errori di calcolo del CTU nella lettura del contenuto dei documenti agli atti. Per consolidato orientamento giurisprudenziale, infatti, non è sufficiente che l'atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità da correlare, peraltro, con la motivazione della pronuncia impugnata (sottolineature dell'estensore, Cass. 6145/2022, Cass. 795/2020). L'unico riferimento specifico di parte appellata (p. 23 comparsa di costituzione e risposta) ove si fa riferimento ad un errore di calcolo del CTU è poi del tutto infondato giacché tra il saldo finale (-5.903,31) del bilancio (...) e quello rettificato dal CTU (+4.477,72) la differenza è esattamente 10.380,73 come chiarito dal CTU e non certamente - 1.425,59 (come pretenderebbe l'appellante incidentale). La relazione peritale, in ogni caso, risulta priva di vizi, in quanto organica e ben motivata, avendo il consulente risposto in modo puntuale alle osservazioni delle parti ed esaminato scrupolosamente i documenti versati in atti, cosa specificamente fatta anche all'udienza del 16.10.2019 dove il CTU in sede di chiarimenti ha puntualmente ribattuto alle eccezioni sollevate dalla parte appellata. Con riferimento alla domanda di manleva si osserva che non c'è alcun onere probatorio che grava sull'appellante relativamente alle somme di cui chiede di essere sollevato perché la condanna è generica ex art. 278 c.p.c., perciò è sufficiente che sia comprovato il diritto presupposto. Diritto che in questo caso è provato, in primo luogo, perché le poste erariali ICI/IMU sono dovute per legge e il Condominio ha dimostrato che dal cassetto fiscale non emergono tali pagamenti (doc. 29 appellante), in secondo luogo, perché l'appellante ha prodotto la diffida di pagamento ricevuta dalla Ditta Il Diamante pari ad Euro 12.379,62 (sub. doc. 30 appellante) e in terzo luogo, perché è l'appellato stesso a confermare che sono stati versati (per suo tramite) dei denari sul conto corrente del Condominio (...) da parte degli altri Condomìni amministrati dall'appellante (che hanno diritto alla relativa restituzione), che nell'eventualità (assunta dall'appellato) "fossero sempre solo denari di proprietà del (...) a lui dovuti da questi Condomìni" non si comprende perché mai dovessero confluire sul conto corrente condominiale Rogi e non sul conto personale del (...). Si rileva, peraltro, che solo in sede di appello, e per la prima volta, è stata eccepita dalla parte appellata (del tutto genericamente) la prescrizione di tali eventuali domande dei terzi, con conseguente inammissibilità ex art. 345, co.2, c.p.c. Deve confermarsi, dunque, la condanna di manleva generica ex art. 278 c.p.c. per gli esborsi che il Condominio (...) potrebbe essere costretto ad affrontare in futuro in relazione ai rapporti con le Agenzie Fiscali, la Ditta il Diamante e i pagamenti ad altri Condomìni. Entrambe le parti hanno proposto specifico appello (rispettivamente, principale ed incidentale) in punto spese di lite e di CTU, integralmente compensate dal giudice di primo grado, chiedendo il riconoscimento integrale delle medesime. L'appello principale risulta, sul punto, parzialmente fondato giacché il giudice di primo grado ha, comunque, accolto la domanda risarcitoria dell'attore (anche per manleva ai sensi dell'art. 278 c.p.c.), seppur nel quantum in misura considerevolmente inferiore a quanto richiesto, il che giustifica, a fronte della conferma della sentenza sul punto e del rigetto integrale dell'appello incidentale, la compensazione parziale delle spese di lite ai sensi dell'art. 92, co.2, c.p.c. nella misura del 50% a favore dell'attuale appellante. Le spese di CTU rimangono, invece, a carico di entrambe le parti nella medesima misura del 50% (come già statuito dal giudice di primo grado) perché l'ammontare delle somme accertate dal CTU come dovute da (...) al Condominio (...) è inferiore a quanto richiesto. Ciò posto, deve rigettarsi anche la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. richiesta da parte appellante, in quanto la responsabilità aggravata integra una particolare forma di responsabilità processuale a carico della parte soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, sicché non può farsi luogo alla applicazione della norma nel caso di soccombenza reciproca (Cass. 24383/2021, sottolineature dell'estensore). P.Q.M. La Corte d'Appello di Torino, Sezione Terza Civile, ogni altra istanza, eccezione e deduzione respinta, così definitivamente pronunciando; in parziale accoglimento dell'appello principale e in parziale riforma della sentenza n.692/2020 pubblicata il 16.9.20 dal Tribunale di Ivrea: condanna il sig. (...) a rimborsare al Condominio (...), in persona del suo Amministratore, le spese del primo grado di giudizio nella misura del 50%, che liquida, di conseguenza, già dimidiate, in Euro 7.108,00 (di cui Euro 6.715,00 per compensi ed Euro 393,00 per esposti), oltre rimborso forfettario 15%, oltre C.P.A. e I.V.A. come per legge; respinge l'appello incidentale formulato dal sig. (...); conferma per il resto la sentenza del Tribunale di Ivrea n.692/2020; condanna il sig. (...) a rimborsare al Condominio (...), in persona del suo Amministratore, le spese del presente grado di giudizio nella misura del 50%, che liquida, di conseguenza, già dimidiate, in Euro 5.340,25 (di cui Euro 4.757,50 per compensi ed Euro 582,75 per esposti), oltre rimborso forfettario 15%, oltre C.P.A. e I.V.A. come per legge; per effetto della presente decisione, sussistono i presupposti per il versamento dell'ulteriore contributo unificato a carico dell'appellante incidentale. Così deciso in Torino il 12 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 28 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PETRUZZELLIS Anna - Presidente Dott. COSTANZO Angelo - Consigliere Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere Dott. AMOROSO R. - rel. Consigliere Dott. PATERNO' RADDUSA Benedett - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 11/01/2021 della Corte di appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Amoroso Riccardo; letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Lettieri Nicola, depositata ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, che ha concluso per il rigetto del ricorso; lette le conclusioni scritte dell'avv. (OMISSIS), difensore delle parti civili (OMISSIS) S.p.a. e (OMISSIS) S.p.A., nonche' quelle dell'avv. (OMISSIS), difensore della parte civile (OMISSIS) S.p.A, che chiedono il rigetto del ricorso e la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese oltre accessori come da nota spese allegata; lette le conclusioni scritte deli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) di Sala, in difesa dell'imputato (OMISSIS), con cui insistono nell'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con il provvedimento in epigrafe indicato, la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza di condanna alla pena di anni tre e mesi due di reclusione, emessa dal Tribunale di Torino in data 18 febbraio 2015, con la quale il ricorrente e' stato ritenuto responsabile del reato di peculato di cui all'articolo 314 c.p., perche' in qualita' di amministratore delegato di (OMISSIS) S.p.a., societa' a partecipazione pubblica, si appropriava del denaro di detta societa', affidando all'impresa (OMISSIS), intestata a (OMISSIS), ma a lui riconducibile disponendo del relativo conto corrente bancario intestato al predetto formale intestatario dell'impresa, alcune prestazioni di lavoro collegate ai servizi svolti per conto della (OMISSIS) S.p.a., per un importo imprecisato pari alla differenza tra il maggiore importo indicato nelle fatturazioni della predetta (OMISSIS) rispetto al minore valore dei servizi effettivamente resi dalla predetta ditta individuale, nel periodo compreso tra l'1 gennaio 2004 ed il 14 luglio 2008, durante il quale ha svolto le funzioni di amministratore delegato della (OMISSIS) S.p.a.. Va evidenziato che l'imputazione descritta nel decreto di rinvio a giudizio, dopo una precedente dichiarazione di nullita' per indeterminatezza dei fatti, e' stata riformulata con un contenuto piu' ampio di quello per il quale il Tribunale, prima, e la Corte d'appello, poi, hanno ritenuto provata la responsabilita' dell'imputato. In particolare, il Tribunale ha ritenuto non dimostrata la parte dell'imputazione in cui l'importo del peculato era stato rapportato alla valutazione del maggiore costo sopportato dalla (OMISSIS) S.p.a. per avere affidato alla impresa individuale (OMISSIS) delle prestazioni di lavoro che potevano essere, con minore aggravio di spesa, inquadrate in un rapporto di lavoro subordinato del (OMISSIS), ove fosse stato assunto come dipendente della (OMISSIS), (calcolate in Euro 175 mila, pari alla differenza tra l'importo di Euro 902.761 - somma versata da (OMISSIS) al netto dell'IVA alla (OMISSIS) nel periodo 2004-2008, e l'importo di Euro 726.984,89, pari al costo presumibile del rapporto di lavoro subordinato nello stesso periodo). Ugualmente indimostrata ed infondata e' stata ritenuta la parte dell'imputazione relativa al periodo successivo alla cessazione della carica di amministratore delegato, dal 14 luglio 2008 al 9 giugno 2009, in cui era stato contestato un peculato per induzione in errore ai sensi dell'articolo 48 c.p., del nuovo amministratore (OMISSIS). Sono state confermate le statuizioni civili di condanna in favore delle parti civili costituite (OMISSIS) S.p.a., (OMISSIS) S.p.a, (OMISSIS) S.p.a. (OMISSIS) S.p.a.. 2. Tramite il proprio difensore di fiducia, (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito sintetizzati. 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera c), con riferimento all'articolo 333 c.p.p. per l'inutilizzabilita' dei verbali relativi alle dichiarazioni del (OMISSIS) e conseguentemente di tutti gli atti del procedimento. In particolare si obietta che l'assunzione di informazioni testimoniali da parte di un soggetto che avrebbe dovuto essere assunto come indagato sulla base degli esposti anonimi, in quanto inutilizzabile non puo' essere sanata dall'assunzione dei suoi successivi interrogatori. 2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., lettera c), per nullita' della sentenza emessa dalla Corte di appello in violazione degli articoli 516 e 522 c.p.p. non essendovi correlazione tra il capo di imputazione come modificato all'udienza del 7 maggio 2014 e la condotta per cui e' stata affermata la responsabilita' dell'imputato con la sentenza di primo grado, confermata da quella del grado di appello. Si rappresenta che con la modifica dell'imputazione si e' fatto riferimento ad un fenomeno di sovrafatturazione e non a fatturazioni per operazioni inesistenti rispetto alle quali e' invece intervenuta la condanna. 2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., lettera c), per nullita' della sentenza emessa dalla Corte di appello in relazione agli articoli 518 e 522 c.p.p., in riferimento alla modifica dell'imputazione effettuata dal Pubblico Ministero all'udienza del 7 maggio 2014. Si censura la decisione della Corte di appello che ha ritenuto tale modifica regolata dagli articoli 516 e 517 c.p.p., essendo invece il riferimento alle sovrafatturazioni un fatto nuovo rispetto alla contestazione di un peculato che era stato riferito alla differenza dovuta ai maggiori costi dell'affidamento dei lavori ad una ditta esterna anziche' ad un rapporto di lavoro subordinato. 2.4. Con il quarto motivo deduce violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., lettera c), per inutilizzabilita' dell'interrogatorio reso da (OMISSIS), giacche' l'impossibilita' di sentirlo in dibattimento era prevedibile ex ante, stante la conoscenza della grave malattia da cui era affetto e che ha cagionato il suo decesso. 2.5. Con il quinto motivo deduce violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., lettera c), per nullita' della sentenza impugnata per inosservanza degli articoli 416 e 429 c.p.p., articolo 178 c.p.p., lettera b, articoli 179 e 181 c.p.p., per l'assoluta indeterminatezza della contestazione suppletiva formulata all'udienza del 7 maggio 2014. Si rappresenta che l'imputazione iniziale era stata gia' censurata con la declaratoria di nullita' pronunciata dal Tribunale con l'ordinanza del 13 novembre 2012, ma che la nuova imputazione riformulata e poi modificata il 7 maggio 2014 e' rimasta generica, tale da non consentire di individuare le singole fatture ritenute gonfiate anche ai fini della decorrenza della prescrizione e della determinazione della pena per individuare il reato piu' grave. Il Tribunale per risolvere il problema ha dovuto affidare ad un perito nominato ex articolo 507 c.p.p., il tentativo di individuare le singole fatturazioni, ma sulla base di una imputazione affetta da nullita' assoluta ex articolo 179 c.p.p., perche' afferente un carente esercizio dell'azione penale. Si obietta poi che anche se si fosse trattato di nullita' a regime intermedio, la stessa andava rilevata ex officio, e che e' stata comunque dedotta tempestivamente tenuto conto che fu eccepita nell'udienza di discussione immediatamente successiva a quella del 7 maggio 2014. 2.6. Con il sesto motivo deduce violazione di legge in relazione alla qualifica di incaricato di pubblico servizio, necessario presupposto per la configurabilita' del peculato, che e' stata erroneamente riconosciuta all'imputato, sulla base dell'attribuzione alla societa' (OMISSIS) della natura pubblica, considerata invece la sua natura privata, avendo anche pagato l'ICI sugli immobili e tenuto conto della sua gestione con criteri di economicita' rivolti al perseguimento di un utile e dell'assenza di contributi pubblici, essendo le erogazioni di denaro pubblico qualificabili come corrispettivi versati da parte della Regione Piemonte, regolati da convenzioni sulla base di un rapporto contrattuale. Si conclude che (OMISSIS) S.p.a. non presenta i caratteri dell'organismo di diritto pubblici delineati dalla Corte di Giustizia dell'U.E. anche sotto il profilo delle sue finalita' istituzionali che non sono volte a soddisfare bisogni di interesse generale, perseguendo fini di lucro con metodo economico. 2.7. Con il settimo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento sempre alla qualifica di incaricato di pubblico servizio ma sotto il profilo della violazione dell'elemento soggettivo del reato, in ordine alla consapevolezza da parte dell'imputato di rivestire tale ruolo. 2.8. Con l'ottavo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), per non avere la Corte di appello riformato la sentenza di primo grado in relazione all'appropriazione di Euro 175 mila correlata al mancato risparmio di spesa per la mancata assunzione di (OMISSIS) come dipendente della (OMISSIS). Il Tribunale sebbene non abbia condiviso questa parte dell'imputazione non ha assolto l'imputato ravvisando un carattere unitario del fatto di peculato in realta' insussistente. 2.9. Con il nono motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b) e e), in relazione alla ritenuta veste di prestanome del (OMISSIS), alla ritenuta finalita' della costituzione dell' (OMISSIS) per drenare pubblico denaro da (OMISSIS), contradetta dalle risultanze della perizia (OMISSIS) e dalle consulenze di parte e dalle testimonianze rese da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS). Si contesta la logicita' delle argomentazioni dei giudici di merito circa l'inadeguatezza del (OMISSIS) a condurre una impresa individuale e la contraddittorieta' rispetto alle indicazioni fornite dai predetti testi e alle conclusioni del perito (OMISSIS) sulla congruita' delle fatturazioni della (OMISSIS) con la disponibilita' dei propri mezzi e del proprio personale. Si contesta la credibilita' riconosciuta al (OMISSIS) che essendo coindagato avrebbe dovuto essere adeguatamente riscontrata, essendone mancato anche il vaglio dibattimentale nel contraddittorio con la difesa. Vengono, poi, passati in rassegna i punti relativi all'assunzione fittizia di (OMISSIS) (la cognata dell'imputato, assunta solo per farle pagare dei contributi a fini pensionistici), non ascritta all'imputato e valorizzata dalla Corte di appello come indice della riferibilita' della impresa del (OMISSIS) all'imputato medesimo, nonche' quello relativo alla prova della disponibilita' del conto corrente bancario della (OMISSIS) su cui confluiva anche la pensione del (OMISSIS), nonche' quello sulla credibilita' della giustificazione della girata dei due assegni da parte del (OMISSIS) per la restituzione di un prestito. 2.10. Con il decimo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b), e), in relazione al travisamento del contenuto della perizia di (OMISSIS), delle conclusioni del predetto perito e del consulente del Pubblico Ministero (Rivella) circa la fittizieta' dei costi indicati nelle fatture emesse da (OMISSIS). In particolare, le conclusioni del perito che ha ritenuto la congruita' degli importi fatturati rispetto a quelli dei costi sostenuti sono state disattese dai giudici di merito attraverso congetture formulate sulla base di presunti anomalie e irregolarita' delle fatture, e della ritenuta fittizieta' degli importi dei costi fatturati da (OMISSIS), sebbene esclusa dalle informazioni assunte dai testi escussi anche dal perito, che ha comunque tenuto conto dei costi fittizi, scomputandoli. Inoltre, si osserva che il Tribunale su 81 fatture emesse da (OMISSIS) ne ha individuate solo 15 anomale, ritenendo il carattere fittizio delle prestazioni fatturate relative a lavori di giardinaggio solo perche' relative a lavorazioni eseguite nello stesso giorno e fatturate distintamente in giorni diversi, spiegabili come meri errori contabili, nonche' quelle relative ad attivita' promozionali svolte in alcune discoteche in giornate non compatibili tra loro e nelle scuole in giornate festive, in contrasto con quanto riferito dai testi e con articoli di stampa che documentano lo svolgimento di tali attivita' in piu' piazze ed in diverse citta'. 2.11. Con un undicesimo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b), e), in relazione agli articoli 81 e 314 c.p. poiche' i fatti potevano essere ricondotti nel peculato per distrazione e che le spese essendo pertinenti all'attivita' della societa' non costituirebbero appropriazione. 2.12. Con il dodicesimo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b) e e), in relazione alla mancata declaratoria di prescrizione trattandosi di peculati distinti, uniti dalla continuazione, essendosi fatto riferimento al tempo di commissione del delitto alla data del (OMISSIS) di cessazione dalla carica di amministratore delegato, peraltro in modo errato, considerato che gia' alla data del (OMISSIS), come emerge dai relativi verbali assembleari, (OMISSIS) S.p.a. aveva nominato un nuovo amministratore delegato, essendo irrilevante a tale scopo la data di iscrizione nei registri camerali. Inoltre, facendo riferimento alle date dei pagamenti delle ultime fatture enucleate dal Tribunale, ovvero il 4 ottobre 2007, il 19 novembre 2007, il 7 aprile 2008, anche tenendo conto della sospensione Covid (di 64 gg.), i reati si sarebbero prescritti rispettivamente il 6 giugno 2020, il 22 luglio 2020, il 10 dicembre 2020, quindi prima della sentenza di appello. 2.13. Con il tredicesimo motivo si richiede annullamento senza rinvio per erronea applicazione della normativa sulla prescrizione del reato continuato anche con riferimento alle fatturazioni non meglio specificate stante l'indeterminatezza del tempus di commissione del delitto, in applicazione dell'articolo 531 c.p.p., comma 2. 2.14. Con l'ultimo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b) e e), in relazione alla mancata specificazione dei reati in continuazione ai fini della determinazione della pena e dei relativi aumenti, a fronte della condanna intervenuta per una generica ed indistinta condotta di peculato, nonche' alla dosimetria della pena ed al diniego della massima riduzione per le riconosciute attenuanti generiche. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi dodicesimo e tredicesimo di ricorso che investono la questione della prescrizione del reato sono fondati ed impongono l'annullamento senza rinvio delle statuizioni penali per intervenuta prescrizione dei reati di peculato. A norma dell'articolo 578 c.p.p., essendo stata pronunciata condanna generica al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, ed essendo la prescrizione del reato maturata in ogni caso dopo la sentenza di primo grado, i restanti motivi devono essere comunque esaminati ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, tenuto conto dei criteri di giudizio indicati dalla Corte costituzionale con la sentenza 182 del 2021 e quindi attraverso un esame dei motivi che "impinge unicamente sugli elementi costitutivi dell'illecito civile", essendo, invece, precluso qualsiasi vaglio della responsabilita' penale dell'interessato, non potendosi riconoscere, neppure incidenter tantum, la responsabilita' dell'imputato per il reato estinto per prescrizione. 2. Per ragioni di ordine logico si ritiene di dover trattare in primo luogo i motivi dal secondo al quinto che investono le questioni processuali afferenti la dedotta nullita' della sentenza per difetto della corrispondenza tra la condanna e la contestazione, nonche' la dedotta violazione dell'articolo 518 c.p.p. a seguito dell'eccepita novita' del fatto rispetto alla disposta modifica dell'imputazione originariamente contestata. Ritiene il Collegio che pur risultando fondate le dedotte violazioni delle norme processuali che regolano la formulazione di nuove contestazioni ad opera del pubblico ministero nel corso dell'istruzione dibattimentale, deve esserne rilevata nella specie la indeducibilita', trattandosi di nullita' di ordine generale a regime intermedio soggette alle sanatorie previste dall'articolo 183 c.p.p. ed ai termini di decadenza previsti dall'articolo 182 c.p.p.. E' senz'altro innegabile la genericita' della imputazione nella parte modificata attraverso l'aggiunta in calce alla originaria imputazione della contestazione suppletiva del Pubblico Ministero autorizzata all'udienza del 7 maggio 2014, apparendo palesemente contraddetto dalla stessa lettura dell'imputazione il ravvisato carattere riepilogativo dell'integrazione operata dal P.M., come in modo evidentemente superficiale ed incoerente e' stato sostenuto dalla Corte di merito che ha ritenuto l'eccezione infondata anche nei suoi presupposti sostanziali oltre che tardivamente dedotta e percio' sanata. Al riguardo appare, invece, indiscutibile come l'originario reato di peculato contestato all'imputato fosse stato descritto dal Pubblico Ministero in modo non solo diverso rispetto alla nuova formulazione oggetto della contestazione suppletiva, ma anche come un fatto radicalmente distinto ed autonomo da quello oggetto dell'integrazione dell'imputazione dibattimentale, tale da potersi effettivamente inquadrare nell'ipotesi del fatto nuovo di cui all'articolo 518 c.p. e non anche in quello della mera modifica dell'imputazione prevista dall'articolo 516 c.p.p.. E' noto che per "fatto nuovo" si intenda un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello contestato, ossia un episodio storico che non si sostituisce ad esso, ma che eventualmente vi si aggiunge, affiancandolo quale autonomo "thema decidendum", mentre il "fatto diverso" e' quello che integra l'imputazione rispetto al fatto originariamente descritto i cui connotati materiali risultino difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, rendendo necessaria una puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato (Sez. 6, n. 26284 del 26/03/2013, Tonietti, Rv. 256861). Il peculato contestato all'imputato nella formulazione originaria dell'imputazione e' correlato, infatti, ad una appropriazione dell'importo di 175 mila Euro conseguita non gia' attraverso il pagamento di prestazioni commerciali inesistenti o sovrafatturate della ditta individuale (OMISSIS), ritenuta come facente capo all'imputato ed intestata a nome di un suo prestanome ( (OMISSIS)), ma per effetto del maggiore costo sopportato dalla (OMISSIS) S.p.a. per avere regolato il rapporto contrattuale con la predetta ditta individuale a titolo di contratto di lavoro autonomo anziche' come rapporto di lavoro subordinato. Quindi la imputazione del peculato originario non solo prescinde del tutto dalla verifica dell'effettivita' delle prestazioni fatturate, ma anzi muovendo dal presupposto della loro veridicita' e calcolandone il relativo importo complessivo (Euro 902.761), addebita all'imputato il fatto di essersi avvantaggiato, quale titolare effettivo della ditta individuale (OMISSIS), della differenza tra detto maggiore importo ed il minore importo (calcolato in Euro 726.984,89) che la (OMISSIS) S.p.a. avrebbe dovuto ipoteticamente pagare se le prestazioni d'opera offerte dalla (OMISSIS) fossero state invece retribuite sulla base di una assunzione del (OMISSIS) come dipendente, durante l'intero periodo 2004-2008 in cui l'imputato quale amministratore delegato della (OMISSIS) ha avuto la disponibilita' dei conti correnti della predetta societa'. 3. Prescindendo dalle valutazioni operate nel merito della descritta imputazione di peculato che hanno portato sostanzialmente all'assoluzione da tale accusa secondo la concorde valutazione dei giudici di merito - seppure priva di corrispondenza in un dispositivo di parziale assoluzione, come dedotto nel motivo ottavo del ricorso - cio' che emerge in modo palese e' che la contestazione suppletiva che di seguito testualmente si riporta addebita all'imputato un fatto non solo diverso ma anche autonomo e distinto da quello descritto nell'imputazione originaria: "e comunque di essersi appropriato della somma pari alla differenza tra i maggiori importi da lui liquidati ad (OMISSIS) ed il minor valore dei servizi effettivamente resi dalla predetta ditta individuale in Susa dal 1 gennaio 2004 a tutto il 2008, con ultimo pagamento il 9 giugno 2009". Non si tratta all'evidenza di una mera specificazione della prima formulazione del peculato correlato alla appropriazione della differenza tra i costi dovuti alla tipologia del rapporto contrattuale con cui sono state pagate le prestazioni di opera del (OMISSIS), ma dell'appropriazione delle ulteriori e diverse somme - non specificate - pari alla differenza tra il minore valore delle prestazioni d'opera rese dalla predetta ditta individuale ed il maggiore importo dei pagamenti effettuati. Non vi e' dubbio, percio', che sarebbero senz'altro fondate le questioni dedotte in merito alla impropria qualificazione della contestazione suppletiva come una mera integrazione esplicativa della imputazione originaria, ma si tratta di violazioni di norme processuali che risultano non piu' deducibili, avendo l'imputato, presente all'udienza, ed il suo difensore di fiducia prestato entrambi acquiescenza alla integrazione dell'imputazione come riformulata dal pubblico ministero, rinunciando espressamente anche ad avvalersi del termine a difesa, dopo aver ricevuto l'avviso del Presidente del Collegio a norma dell'articolo 519 c.p.p.. Inoltre, la questione dedotta nei motivi di appello e poi riproposta rispetto alla violazione della correlazione tra sentenza di condanna e contestazione attiene non solo alla mancata osservanza delle forme previste dall'articolo 518 c.p.p., ovvero alla mancanza di consenso dell'imputato alla contestazione del fatto nuovo, ma al diverso profilo della indeterminatezza della contestazione suppletiva, che deve ugualmente ritenersi sanata perche' non dedotta dalla parte presente all'atto, secondo quanto previsto dall'articolo 182 c.p.p., comma 2. Le nullita' prevista dall'articolo 522 c.p.p., relativamente alla inosservanza delle disposizioni che regolano le modifiche dell'imputazione, non hanno carattere assoluto e insanabile ai sensi dell'articolo 179 c.p.p., mancando una specifica previsione in tal senso (comma 2 di quest'ultima norma), ma integrano nullita' a regime intermedio che vanno dedotte nel rispetto dei termini di decadenza previsti dall'articolo 182 c.p.p., e, in caso di rigetto da parte del giudice che procede, vanno riproposte con i motivi di appello (articolo 180 c.p.p.), ed in mancanza (come nel caso concreto) non possono costituire oggetto di ricorso per cassazione (Sez. 6, n. 7957 del 14/05/1997, Egidi, Rv. 209753; Sez. 2, n. 9171 del 29/01/2008, De Stefano, Rv. 239545). Si deve ritenere che la contestazione del fatto nuovo nella medesima udienza, senza il consenso dell'imputato presente,da' luogo alla nullita' comminata dal combinato disposto dell'articolo 518 c.p.p., comma 2 e articolo 522 c.p.p., ma anche detta nullita' deve ritenersi sanata perche' non tempestivamente eccepita nel corso della stessa udienza ove l'imputato presente abbia rinunciato al previsto termine a difesa, e cio' non perche' la rinuncia a detto termine implichi la manifestazione del consenso dell'imputato alla nuova contestazione, che deve essere espresso, ma perche' impedisce di considerare la nullita' come dedotta tempestivamente, ovvero immediatamente dopo il compimento della contestazione stessa, ai sensi dell'articolo 181 c.p.p. e articolo 182 c.p.p., comma 2. Invero, il consenso alla nuova contestazione non puo' essere presunto, ma va sollecitato e manifestato, ma, d'altro canto, la rinuncia al termine a difesa ex articolo 519 c.p.p., comporta che e' in quella stessa udienza che doveva essere dedotta la nullita' conseguente a detta violazione. 4. Quanto alla diversita' tra condanna e contestazione, neppure se ne puo' ravvisare la sussistenza rispetto all'unico profilo dedotto dal ricorrente nell'atto di appello e che attiene all'asserita contestazione di peculati correlati al pagamento di sovrafatturazioni ed alla intervenuta condanna per peculati correlati al pagamento di fatture per operazioni inesistenti. Nell'atto di appello non e' stata dedotta la diversita' della condanna rispetto ai singoli reati di peculato che sono stati liberamente individuati dal Tribunale in difetto di una contestazione degli specifici pagamenti ritenuti non dovuti, ma unicamente la diversita' del fatto per il quale e' intervenuta la condanna riferito a fatture per operazioni inesistenti, ed il fatto contestato riferito a fatture per importi maggiorati. E sotto tale specifico profilo, il motivo e' da ritenersi infondato per le ragioni gia' esposte dalla Corte di merito, essendo certamente ricomprese nella nuova imputazione contestata all'esito dell'istruttoria dibattimentale, in ragione proprio della sua stessa ampia e generica formulazione, tanto le ipotesi di fatture per prestazioni sovrafatturate come anche quelle per prestazioni mai effettuate. Sussiste certamente un profilo di indubbia indeterminatezza della nuova imputazione formulata in sede di contestazione suppletiva, non risultando specificate le prestazioni oggetto delle fatture che si assumono emesse per operazioni inesistenti, ne' essendosi specificato se le prestazioni fatturate dovessero ritenersi contestate come totalmente o solo parzialmente fittizie, ne' tanto meno risultano indicati gli importi dei singoli peculati correlati ai pagamenti delle prestazioni ritenute insussistenti, o comunque realizzati attraverso il pagamento di un prezzo piu' alto di quello dovuto. E' mancata nella contestazione suppletiva anche la specificazione degli importi dei singoli peculati correlati ai pagamenti non dovuti delle predette operazioni fittizie, essendovi solo il riferimento all'indistinta appropriazione di una somma di importo imprecisato, pari alla differenza tra i maggiori importi liquidati all' (OMISSIS) ed il minore valore dei servizi effettivamente resi nel periodo compreso tra l'1 gennaio 2004 e la data di cessazione della carica di amministratore delegato rivestita dal (OMISSIS). Ciononostante, la nullita' della modifica dell'imputazione per la insufficiente determinatezza dei fatti di reato, analogamente alla nullita' della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto di citazione a giudizio per indeterminatezza e genericita' dell'imputazione, ha natura relativa e, in quanto tale, non e' rilevabile d'ufficio e deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall'articolo 182 c.p.p., comma 2 e, dunque, immediatamente dopo che il pubblico ministero ha proceduto ad effettuare la contestazione suppletiva, considerato che l'imputato ed il suo difensore erano presenti e nulla hanno eccepito al riguardo, avendo anche espressamente rinunciato alla facolta' di chiedere un termine a difesa. 5. Cio' detto in relazione alle nullita' di ordine processuale ed esclusa la fondatezza della richiesta di regressione del procedimento, si puo' procedere rapidamente alla disamina degli altri motivi che si ritengono inammissibili in parte per manifesta infondatezza ed in parte per genericita'. Manifestamente infondato e' il primo motivo relativo alla violazione dell'articolo 333 c.p.p., in rapporto alla dedotta inutilizzabilita' dei verbali relativi alle dichiarazioni rese da (OMISSIS), non essendovi ovviamente alcuna correlazione tra il divieto di utilizzazione delle denunce anonime e l'interrogatorio reso da soggetto indagato sulla base degli esposti anonimi, assunto nel pieno rispetto delle garanzie difensive, non potendosi estendere un divieto probatorio ad atti diversi da quelli considerati dalla norma che lo prevede e ne delimita il relativo contenuto. 6. Manifestamente infondato e' il quarto motivo in merito alla dedotta inutilizzabilita' dell'interrogatorio reso da (OMISSIS), essendo stata congruamente motivata la ritenuta imprevedibilita' dell'aggravamento del suo stato patologico che ne ha cagionato il decesso, non essendo nota al momento dell'assunzione dell'atto la gravita' della sua patologia. Risulta, quindi, corretta la verifica del presupposto dell'imprevedibilita' operata dalla Corte di merito nel rispetto del principio per cui, in tema di letture dibattimentali ex articolo 512 c.p.p., l'imprevedibilita' dell'evento che rende impossibile la ripetizione dell'atto deve essere accertata dal giudice secondo il criterio della "prognosi postuma", sulla base della valutazione effettuata dalla parte interessata all'acquisizione delle dichiarazioni secondo canoni di ragionevolezza, tenuto conto delle circostanze di fatto allora note o conoscibili, a prescindere dagli accadimenti in concreto intervenuti (Sez. 5, n. 4945 del 20/01/2021, T., Rv. 280669). 7. Manifestamente infondate sono anche le questioni dedotte con il sesto ed il settimo motivo in relazione alla qualifica di incaricato di pubblico servizio, necessario presupposto per la configurabilita' del peculato, essendo indubbia la natura pubblica della societa' (OMISSIS) S.p.a., trattandosi di una societa' di servizi della Regione Piemonte, con quasi totale partecipazione pubblica, che si avvale di finanziamenti pubblici e persegue finalita' di interesse generale quale quello della sicurezza stradale. Data l'indiscutibile natura pubblica della societa', risulta per le stesse ragioni privoldi qualunque fondamento la dedotta inconsapevolezza da parte dell'imputato di gestire finanziamenti erogati dalla Regione, considerato che costituisce principio pacifico che ai fini della integrazione del reato di peculato, i soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di una societa' per azioni possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, allorquando la ragione d'essere della societa' medesima risieda nel generale perseguimento di finalita' connesse a servizi di interesse pubblico, a nulla rilevando che dette finalita' siano realizzate con meri strumenti privatistici. 8. La questione dedotta nell'ottavo motivo, in relazione all'appropriazione di Euro 175 mila correlata al maggiore esborso dovuto alla mancata assunzione di (OMISSIS) come dipendente della (OMISSIS), appare strettamente collegata alla intervenuta sanatoria della nullita' dell'imputazione per genericita' della descrizione del fatto-reato, e, sebbene fondata nel merito per le ragioni gia' esposte, deve ritenersi assorbita dalla rilevata decadenza della causa di nullita'. Nonostante l'errata assimilazione delle due forme di appropriazione in un unico indistinto peculato, si deve ritenere che tale appropriazione e' stata formalmente sostituita nell'imputazione da quella correlata alla fatturazione per operazioni parzialmente o totalmente inesistenti, per la quale e' intervenuta la condanna. Il Tribunale sebbene abbia ritenuto infondata l'originaria formulazione dell'imputazione non ha assolto l'imputato sulla base dell'assunto - erroneo - del carattere unitario del fatto di peculato in realta' insussistente. Ma si tratta di un errore non piu' rimediabile per effetto della intervenuta sanatoria della nullita' della contestazione suppletiva, fermo restando agli effetti civili che l'unica appropriazione accertata e' solo quella descritta nella contestazione suppletiva. 9. I motivi nono, decimo ed undicesimo sono inammissibili perche' rivolti a sottoporre al giudizio di legittimita' aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all'apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito. Secondo l'incontrastata giurisprudenza di legittimita', esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e' riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali. Nella sentenza impugnata, che conferma quella di primo grado in punto di responsabilita', l'obbligo di motivazione e' stato esaustivamente soddisfatto con argomentazioni coerenti sotto il profilo logico-giuridico con le quali il ricorrente non si confronta limitandosi a reiterare la propria alternativa versione dei fatti, nonostante la non illogica valutazione dell'attendibilita' della versione resa da (OMISSIS) per la presenza di spese assolutamente incoerenti con il suo stile di vita, per la ritenuta fittizieta' non solo dei costi indicati nelle fatture "attive" emesse da (OMISSIS) in favore della (OMISSIS), ma anche delle fatture "passive" emesse dai fornitori dell' (OMISSIS) per giustificare le anomali uscite registrate sui relativi conti bancari, effettuate con assegni emessi senza l'indicazione del beneficiario. 10. Come gia' anticipato, sono invece fondati il dodicesimo e tredicesimo motivo per la mancata declaratoria di prescrizione, essendo imprescindibile ai fini della determinazione del termine di prescrizione la individuazione del momento consumativo del reato, che non puo' essere evidentemente ricollegato sic e simpliciter alla cessazione della qualita' di pubblico ufficiale rivestita dall'imputato. Essendo il peculato un reato a consumazione istantanea che si perfeziona con l'interversio possessionis, per individuare il tempus commissi delicti occorre necessariamente fare riferimento ai singoli pagamenti con cui il denaro e' stato sottratto all'ente di appartenenza da parte del pubblico ufficiale e trasferito nella esclusiva disponibilita' del predetto agente, trattandosi di una pluralita' di peculati distinti, uniti dalla continuazione. La Corte di merito ha, invece, in modo del tutto erroneo considerato il peculato come un reato unico a carattere permanente e ne ha fatto coincidere la consumazione con la data in cui l'imputato ha dismesso la sua carica di amministratore della societa'. Peraltro, con l'ulteriore errato riferimento alla data del (OMISSIS) di iscrizione nei registri camerali della cessazione dalla carica di amministratore delegato, in luogo di quella del (OMISSIS) in cui e' stata deliberata la sua sostituzione con altro amministratore in seno alla (OMISSIS), dovendosi al contrario fare riferimento ai fini della integrazione del reato di peculato alla data della cessazione effettiva dell'esercizio del potere di amministrazione, e quindi alla perdita sostanziale della qualifica, indipendentemente dal regime di pubblicita' ed opponibilita' nei confronti dei terzi. Ma ancor prima, si deve rilevare che ai fini della consumazione dei reati di peculato era necessario individuare le date dei pagamenti delle fatture emesse da (OMISSIS) che sono state enucleate dal Tribunale in quanto ritenute relative a prestazioni inesistenti, perche' per i reati uniti dalla continuazione le modifiche introdotte dalla L. n. 251 del 2005 (L. 5 dicembre 2005, n. 251, entrata in vigore l'8 dicembre 2005) che, eliminando dall'articolo 158 c.p. ogni riferimento al reato continuato, hanno fatto decorrere il termine di prescrizione, per i reati uniti da tale vincolo, dalla consumazione di ciascuno di essi e non piu' dalla data di cessazione della continuazione, trovano applicazione per i reati commessi in epoca successiva alla loro entrata in vigore e quindi anche per i reati di peculato per cui si procede. Va considerato che non puo' trovare, invece, applicazione la nuova normativa introdotta dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, entrata in vigore a decorrere dal 1 gennaio 2020, che ha ripristinato la rilevanza della continuazione ai fini della prescrizione, ma non per i reati commessi prima alla sua entrata in vigore - come quelli per cui si procede - essendo la nuova normativa sulla continuazione piu' sfavorevole in quanto allunga il termine di prescrizione posticipandone la decorrenza iniziale. 11. Conseguentemente, attesa la fondatezza del motivo di ricorso sulla disciplina della prescrizione in relazione alla continuazione dei reati, per effetto della valida instaurazione del rapporto di impugnazione, deve ritenersi rilevante il decorso del termine di prescrizione anche successivo alla pronuncia della sentenza di appello. Cio' perche', diversamente da quanto si verifica in presenza di ricorso inammissibile (Sez. U, n. 21 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266), l'eventuale causa di estinzione del reato deve essere rilevata finche' il giudizio non sia esaurito integralmente in ordine al capo di sentenza concernente la definizione del reato al quale la causa stessa si riferisce. Si deve considerare che la individuazione dei singoli peculati costituiva un accertamento necessario non solo ai fini della prescrizione ma anche ai fini della determinazione della pena in base alla disciplina della continuazione che impone di specificare la pena per la violazione piu' grave, nonche' gli aumenti per i reati meno gravi, con la conseguente fondatezza anche del quattordicesimo motivo di ricorso, che rimane evidentemente assorbito per effetto della intervenuta prescrizione. Pertanto, trattandosi di un punto della decisione essenziale per la determinazione della prescrizione e della pena per tutti i reati di peculato indistintamente contestati, non puo' trovare applicazione il diverso principio che in forza dell'autonomia dell'azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l'ammissibilita' dell'impugnazione per uno dei reati possa determinare l'instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali tutti i motivi dedotti siano inammissibili con la conseguente formazione del giudicato parziale che ricorre, pertanto, solo se i punti della decisione impugnata ritenuti ammissibili siano riferiti esclusivamente ad uno dei capi medesimi (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016 Aiello, Rv. 268966). Va pero' osservato che la decorrenza inziale della prescrizione dei reati di peculato, al di la' della specifica individuazione delle date di consumazione dei singoli peculati, puo' ritenersi che in ogni caso non abbia oltrepassato la data in cui l'imputato ha dismesso la qualifica di amministratore della societa', costituendo questa il termine ultimo entro il quale i pagamenti possono essere ascritti al suo potere di operare sui conti correnti intestati alla societa' (OMISSIS), non risultando che ne abbia fatto uso dopo la sua dismissione dalla carica. 12. Pertanto, il termine massimo di prescrizione di dodici anni e mesi sei previsto per il peculato ai sensi del combinato disposto degli articoli 157 e 161 c.p., considerate le interruzioni, e' sicuramente decorso per tutti i peculati alla data del 19 maggio 2020, non essendo necessario un rinvio al giudice di merito per verificare le date dei singoli pagamenti per determinare le date di consumazione dei singoli reati di peculato uniti dalla continuazione, tenuto conto di quanto osservato sulla data della cessazione della qualifica soggettiva e della conseguente perdita del potere di disposizione del denaro della societa' (OMISSIS), oltre la quale non e' ipotizzabile la consumazione di nuovi peculati. Cio' vale anche a prescindere dalla sospensione di giorni settantaquattro per la normativa emergenziale da Covid-19, che peraltro e' stata applicata dalla Corte di merito immotivatamente senza tenere della sua applicazione ai soli procedimenti la cui udienza fosse stata fissata nel periodo compreso dal 9 marzo all'11 maggio 2020, nonche' a quelli per i quali fosse prevista la decorrenza, nel predetto periodo, di un termine processuale, presupponendo la sospensione della prescrizione che il procedimento abbia subito una effettiva stasi a causa delle misure adottate per arginare la pandemia (Sez. U, n. 5292 del 26/11/2020, Sanna, Rv. 280432). 13. In conclusione deve essere disposto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali, per intervenuta prescrizione dei reati. Per l'effetto della conferma delle statuizioni civili, in ragione della ritenuta infondatezza dei motivi concernenti il merito degli elementi costitutivi dell'illecito civile, il ricorrente deve essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa in favore delle parti civili costituite che si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perche' il reato e' estinto per prescrizione. Condanna l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS) S.p.a. e (OMISSIS) S.p.a. che liquida in complessivi Euro 4.200, oltre accessori di legge e dalla parte civile (OMISSIS) S.p.a. che liquida in complessivi Euro 3510, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI CATANIA La Corte di Appello di Catania, seconda sezione civile, composta dai Signori Magistrati: - Dott. Roberto Centaro - Presidente - Dott.ssa Claudia Cottini - Consigliere - Dott. Sergio Florio - Giudice ausiliario-rel.-est. ha emesso la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 284/2021 R.G. promossa da - (...), nato a C. il (...) (C.F. (...) ) e (...), nato a C. il (...) (C.F. (...) ), rappresentati e difesi, per procura in atti, dall'avvocato Va.Ma., elettivamente domiciliati nel suo studio, in Catania, Corso (...) APPELLANTI CONTRO - (...), nato a Catania il (...) (C.F. (...) ), rappresentato e difeso, per procura in atti, dagli avvocati Sa.Di. e Nu.Di., elettivamente domiciliato nel loro studio, in Catania, via (...) APPELLATO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Il Tribunale di Catania, con sentenza non definitiva, n. 1256/2019 pubblicata il 26.3.2019, rigettava la preliminare eccezione di prescrizione svolta dai convenuti e per l'effetto dichiarava che non è prescritto, in capo all'attore, il diritto di accettazione dell'eredità materna e paterna. Con separata ordinanza rimetteva la causa sul ruolo e nominava l'ing. (...), con il mandato di determinare il valore dei due appartamenti caduti in successione, quantificare il conguaglio dovuto dagli altri due coeredi in favore di (...) per l'attribuzione dei due cespiti nonché accertare il valore della fruttificazione, dal 2005, da porre a carico dei coeredi che hanno goduto in via esclusiva dei beni. (...) e (...) riservavano appello. Il Tribunale di Catania, con sentenza definitiva, n. 622/2021 pubblicata il 9.2.2021, dichiarava lo scioglimento della comunione sugli appartamenti in Catania, Corso delle Provincie n. 212, in catasto foglio (...), p.lla (...), piano 5 (sub (...)), valore euro 165.000,00 e piano 5 (sub (...)), valore euro 120.000,00. Per l'effetto assegnava a (...) l'appartamento in catasto f. (...) p.lla (...) sub (...) e a (...) l'appartamento f. (...), p.lla (...) sub (...), previo pagamento all'attore dei conguagli, pari ad euro 55.000,00 a carico di (...) e ad euro 40.000,00 a carico di (...). (...) al pagamento, a titolo di fruttificazione, di euro 83.970,33 (più le mensilità dovute dalla data della relazione a oggi), in favore di (...), e condannava altresì (...) al pagamento, a titolo di fruttificazione, di euro 61.206,23 (più le mensilità dovute dalla data della relazione a oggi) sempre in favore di (...) per un terzo le spese di lite e condannava i convenuti in solido al pagamento dei restanti due terzi in favore della parte attrice, che liquidava in complessivi euro 8.954,00 per compensi ed euro 759,00 per spese oltre rimborso forfettario iva e cpa. Spese di CTU a carico dei convenuti. Avverso dette due sentenze hanno proposto appello (...) e (...) con citazione notificata il 19.2.2021. Si è costituito (...) ed ha chiesto il rigetto dell'appello, con vittoria di spese, per intero, per entrambi i gradi, distratte in favore del difensore. Con ordinanza del 23.4.2021 la Corte ha sospeso, in parte, l'efficacia della sentenza di prime cure, relativamente alla condanna degli appellanti al pagamento della fruttificazione dei beni ereditari. All'udienza del 17.1.2022, svoltasi a trattazione cartolare, venivano depositate note scritte e la causa veniva posta in decisione con assegnazione dei termini per la produzione di comparse conclusionali e memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE I primi tre motivi di appello si esaminano congiuntamente, attesa l'evidente connessione, logica e giuridica. Con il primo motivo si deduce l'erroneità della sentenza di primo grado laddove ha ritenuto che costituisse accettazione tacita di eredità l'atto di costituzione di una società e di un comodato. In particolare, la costituzione della società, con indicazione della sede in corso delle Province n.212, era dovuta al fatto che lì vi era lo studio del dott. (...), commercialista, ben conosciuto dall'appellato, dal quale intendeva farsi rappresentare per gli atti della nuova società. Inoltre, al detto indirizzo corrispondono ben 12 appartamenti, 60 stanze in tutto; quindi la circostanza che la sede della società fosse al medesimo indirizzo dei beni ereditari (corso delle Province n. 212) non prova per nulla che si trovasse in uno degli appartamenti oggetto di causa. Né il contratto di costituzione della società avanti al Notaio menziona l'accettazione tacita di eredità, né la costituzione di un contratto di comodato, che invece poteva avvenire dopo la costituzione della società. (...), proseguono gli appellanti, l'iscrizione alla Camera di Commercio della società non vale a legalizzare l'accettazione tacita mai fatta. Né corrisponde al vero che (...), dal gennaio 1999, si recava nella casa per lavorare e per accudire l'infermo padre nelle incombenze, perché questi è deceduto il giorno 2 febbraio 1998. (...), quanto al comodato, sostengono gli appellanti che per la relativa prova sarebbe stato sufficiente chiamare a testimoniare il socio amministratore della società, (...). Inoltre, nessun documento è stato prodotto che potesse dimostrare l'esistenza di un ufficio, quali le fatture di una utenza telefonica o di energia elettrica, indispensabile attesa l'attività pretesamente svolta, relativa alla programmazione di computer. Né vale ad acquisire la qualità di erede la richiesta di una copia della denunzia di successione, perché non è sufficiente indicare "erede" nella relativa istanza. Con il secondo motivo di appello si deduce l'erroneità della sentenza di primo grado laddove ha ritenuto che costituisse accettazione tacita di eredità la ripartizione delle somme ricavate dalla vendita di buoni fruttiferi. Il giudice non ha tenuto in considerazione che era il padre delle parti che deteneva i buoni fruttiferi in oggetto, il medesimo li aveva dati a (...) "incaricandolo" di consegnarli al consuocero perché li custodisse; maturato il termine di pagamento, li ritirò, li mise all'incasso e divise il denaro in parti uguali ai tre figli. Quindi, a mente degli appellanti, sarebbe stato solo il padre ad operare una "gestione dell'eredità" e (...), senza l'ordine del padre, non avrebbe potuto, sua sponte, neppure acquisire la quota ereditaria della madre, perché non era erede. (...), la pulizia delle scale, di cui si occupò la controparte, costituisce un atto di amministrazione che rientra fra quelli che il chiamato può compiere senza diventare erede; lo stesso per le spese funerarie. Con il terzo motivo di appello si deduce l'erroneità della sentenza di primo grado laddove ha ritenuto che costituisse accettazione tacita di eredità il pagamento con denaro proprio di un debito dell'eredità. Specificano gli appellanti che chi paga un debito dell'eredità con denaro proprio, nel caso di specie la restituzione all'INPS di un rateo di pensione del padre, pagato per un periodo successivo al decesso, non diviene erede, a mente della Cassazione, perché ciò costituisce solo adempimento di un debito altrui, ex art. 1180 c.c.. I motivi sono infondati. In primo luogo emerge dalla certificazione notarile ventennale del notaio (...), del 12.2.2015, in atti, che tutte le parti hanno accettato tacitamente l'eredità materna, con atto trascritto a loro favore il 30.7.2014 ai n.ri 29220/21279. Inoltre, non è contestato che tutte le parti si divisero una parte del denaro liquidato alla morte della madre, di cui la medesima era titolare per la metà, trovandosi i genitori in regime di comunione legale dei beni, come emerge in atti. Siffatto comportamento è incompatibile con la volontà di rinunciare, bensì comporta la volontà di accettare l'eredità (Cass. VI, 01/03/2021, n.5569; II, 28/10/2020, n. 23737; VI, 06/03/2018, n.5247). (...), gli odierni appellanti riconobbero pienamente la qualità di erede dell'appellato con le due lettere, del 19 e 28.2.2014, con le quali uno dei germani si dichiarò pronto a versare il corrispettivo locativo dell'immobile e l'altro affermò che non era in grado di farlo per motivi economici, ma che vi avrebbe provveduto in futuro. Inoltre, in dette due lettere, i germani scrissero al difensore dell'appellato che essi erano pronti alla divisione dei due appartamenti, possibilmente bonaria. (...), nell'atto di permuta delle quote degli appartamenti, gli appellanti dichiarano pacificamente, in più parti, che il rimanente terzo è di proprietà del fratello (...), riconoscendogli la qualità di erede. Quanto all'eredità paterna, la cui successione si è aperta quasi quattro anni dopo quella della madre, gli odierni appellanti hanno ammesso, con l'interrogatorio formale, che il pagamento di tasse ed imposte della successione, ivi compresa quella relativa alla voltura degli immobili, avvenne con i soldi giacenti sul conto corrente del padre, cointestato in particolare per la cogestione, all'odierno appellato, sul quale confluivano i ratei di pensione del padre. Ciò, in collaborazione tra tutti i germani (...) e, in particolare, con il germano (...), che lavorava presso uno studio notarile e quindi era a conoscenza della prassi in materia. Al riguardo, osserva la Corte che la voltura dei beni ereditari, di cui vi è prova in atti attraverso la relativa documentazione catastale, effettuata di comune accordo tra le parti, nell'evidente interesse di tutti i coeredi, come è nel caso di specie (e con utilizzazione di denaro di chiara provenienza ereditaria) comporta accettazione di eredità (ex multis, Cass. VI, 30/04/2021, n. 11478; 22/01/2020, n. 1438). Analogo discorso vale per la restituzione del rateo INPS indebitamente corrisposto al padre V.(...) dopo il suo decesso, obiettivamente pagato con denaro ereditario giacente sul predetto conto corrente, coerentemente alla nota giurisprudenza sul punto in materia di atti dispositivi dell'eredità. (...), osserva la Corte, emerge chiaramente dagli atti che l'odierno appellato è stato, almeno per un periodo, nel possesso dei due beni ereditari, in particolare di uno degli appartamenti, comunicante con l'altro, poi lasciati liberi e sgombri in favore dei germani, che ebbero a separarsi dalle rispettive mogli. In mancanza di redazione di inventario, dunque, l'appellato deve essere considerato erede puro e semplice (tra molte, Cass, III, 11/05/2021, n.12437). (...), risulta dalla documentazione in atti che (...) ha pagato regolarmente le imposte e le tasse (IRPEF ed ICI) per molti anni, assumendo dunque un comportamento consono all'accettazione dell'eredità (Cass., II, 28/10/2020, n. 23737; VI, 06/03/2018, n.5247). I primi tre motivi di appello devono, quindi, essere rigettati. Con il quarto motivo di appello si deduce l'erroneità della sentenza di primo grado laddove ha condannato due dei germani (...) al pagamento della fruttificazione in favore del terzo. In primo luogo, deducono gli appellanti che le somme liquidate sono eccessive, in quanto il CTU, a p. 16 del suo elaborato, ha precisato che la fruttificazione dovuta al coerede (...) è pari ad un terzo di euro 83.970,33 ed euro 61.206,23. Ma, ancor prima, si deduce che deve essere tenuto conto che nulla è dovuto alla controparte, in quanto, per sua esplicita ammissione "i tre fratelli concordarono che gli occupanti (...) e (...), in compensazione del loro utilizzo e del mancato godimento da parte di (...), avrebbero pagato la sua quota di tutti gli oneri condominiali", come scritto a pag. 4 della memoria ex art. 183/6 n.2 c.p.c., depositata dall'attore il data 30/05/2015 e come ribadito dalla teste (...) (moglie di (...)) alla udienza del giorno 16/05/2017 Poiché la richiesta del pagamento delle somme a titolo di fruttificazione è stata formulata con atto depositato il giorno 21/04/2015, in seno alla memoria ex art. 183, comma 6 n. 1, ritengono gli appellanti che essa doveva ritenersi superata e revocata dalla successiva sopra trascritta dichiarazione di accordo con riguardo alle posizioni dei convenuti, atteso l'insanabile contrasto logico. In subordinata ipotesi, trattandosi di somme di denaro mai richieste prima del giorno 21/04/2015, esse andavano liquidate dalla data della domanda e non dalla data richiesta da controparte. In ogni caso, gli appellanti eccepiscono la prescrizione in relazione alle somme relative a data antecedente i 5 anni dalla richiesta. Inoltre, si assume che le eventuali somme devono essere compensate con quelle dovute dall'appellato per spese condominiali, gravate interamente sugli odierni appellanti, depositate in giudizio, e certificate dal dott. (...), nella qualità di amministratore del condominio. Tali spese ammontano a un totale (anni 2007-2019) di euro 39.071,90, e pertanto un terzo, pari a euro 13.023,96, dovrebbe rimanere a carico dell'appellato. Il motivo è, in parte, fondato. Come si legge alle pp. 3 e 4 della memoria di cui all'art. 183, c. 6, n. 2, c.p.c., depositata in prime cure da (...), la residenza dei germani (...) e (...) avvenne con il suo consenso, anche per spirito di solidarietà, in quanto questi ultimi si erano separati dalle mogli ed erano privi di abitazione, mentre (...) abitava in alloggio di proprietà della moglie. I germani concordarono che gli occupanti (...) e (...) pagassero tutti gli oneri condominiali e tutte le spese concernenti il loro utilizzo, mentre ciascuno dei germani avrebbe pagato imposte e tasse in proporzione alla rispettiva quota di proprietà. Detto accordo tra i germani è stato confermato dalla teste (...), moglie di (...), per averla appresa personalmente "in quanto mi è capitato di vivere in via diretta la situazione". Sussiste dunque un titolo per il godimento, esclusivo, dei due coeredi sui due appartamenti (Cass., II, 14/01/2014 n.640; 05/09/2013 n.20394; 06/04/2011 n.7881). Tuttavia, osserva la Corte, con la lettera del 4.2.2014, l'odierno appellato, a ministero del suo difensore, ha chiesto il pagamento dei frutti civili, esplicitamente "a far data da questo mese di febbraio 2014", mostrando di voler recedere dall'accordo verbale in precedenza intercorso con i due germani. A siffatta richiesta, come accennato sopra sotto diverso profilo, i germani (...) e (...) si sono mostrati disponibili, per iscritto, al pagamento a (...) di una somma corrispondente al godimento dell'appartamento relativamente al terzo di proprietà di quest'ultimo (vedi lettere del 19 e 28.2.2014). Quindi, osserva questa Corte, la fruttificazione è dovuta con decorrenza dalla richiesta di (...), quindi dal mese di febbraio del 2014, fino al mese di marzo del 2022, sempre coerentemente alla giurisprudenza in materia (Cass., 17/04/2019, n.10761; 09/02/2015 n. 2423; 21/12/2011 n.28025). Al fine della quantificazione, la Corte utilizza il conteggio esposto alle pp. 14 e 15 della CTU esperita in primo grado, a firma dell'ing. (...) (...), cui la Corte ha aggiunto il calcolo relativo ai mesi compresi tra ottobre dell'anno 2019 e marzo dell'anno 2022. Il complesso dovuto, tenuto conto sia della decurtazione per spese (30%), come si legge in CTU ed invocato da parte appellante, che della quota di proprietà dell'appellato, pari ad un terzo, ammonta ad euro complessivi 13.927,80 per l'appartamento distinto con il subalterno 13, occupato da (...) e ad euro complessivi 9.727,75 per l'appartamento distinto con il subalterno (...), occupato da (...). Alla sorte capitale si aggiungono gli interessi, nella misura di legge, dalle singole scadenze al soddisfo. Con il quinto motivo di gravame si deduce l'erroneità della sentenza di primo grado laddove ha condannato gli appellanti al pagamento delle spese di CTU. Invero, gli appellanti sostengono di non essersi opposti alla divisione e che la CTU era, in ogni caso, necessaria nell'interesse di tutte le parti. Questo motivo rimane assorbito dalla complessiva regolazione delle spese dei due gradi di giudizio, che segue. Al riguardo, tenuto conto di taluni profili di complessità della vicenda, relativa a due successioni, dei principi di globalità e soccombenza, degli esiti, del comportamento processuale delle parti, la Corte ritiene equo compensare le spese nella misura di due terzi e porre il rimanente terzo a favore di (...), ed a carico, in solido, di (...) e (...). Le spese del secondo grado di giudizio sono distratte in favore dei difensori di (...), avvocati (...) e (...), che ne hanno fatto rituale richiesta. I compensi difensivi si determinano ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, poiché l'attività difensiva si è esaurita nella sua vigenza, valore di causa tra euro 52.001,00 ed euro 260.000,00, importi medi, in ragione dell'attività svolta. Pertanto, le spese di giudizio del primo grado si liquidano, nella misura sopra specificata, in complessivi euro 4.751,66, di cui euro 275,00 per esborsi, euro 810,00 per la fase di studio, euro 516,66 per la fase introduttiva, euro 1.800,00 per la fase istruttoria ed euro 1.350,00 per quella decisionale e, per il secondo grado, in complessivi euro 3.171,66, di cui euro 945,00 per la fase di studio, euro 606,66 per la fase introduttiva ed euro 1.620,00 per quella decisionale, oltre il rimborso per spese generali (15%), CPA ed IVA come per legge per i due gradi di giudizio. Spese di CTU a carico, in solido, di tutte le parti. P.Q.M. la Corte, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 284/2021, accoglie, nei limiti di cui in parte motiva, l'appello proposto da (...) e (...) avverso le sentenze del Tribunale di Catania, non definitiva, n. 1256/2019 pubblicata il 26.3.2019, e definitiva, n. 622/2021 pubblicata il 9.2.2021 e, per l'effetto così dispone; 1) condanna (...) a pagare a (...) euro 13.927,80, oltre interessi di legge come in parte motiva; 2) condanna (...) a pagare a (...) euro 9.727,75, oltre interessi di legge come in parte motiva. Rigetta per il resto. Compensa per due terzi le spese di lite dei due gradi di giudizio e condanna in solido (...) e (...), al pagamento del rimanente terzo a favore di (...), pari a complessivi euro 4.751,66 per il primo grado ed a complessivi euro 3.171,66 per il secondo, oltre il rimborso per spese generali (15%), CPA ed IVA come per legge per entrambi i gradi. Distrae le spese del secondo grado di giudizio a favore degli avvocati (...) e (...). Spese di CTU a carico, in solido, di tutte le parti. Così deciso in Catania il 25 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 15 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PARMA SEZIONE LAVORO Il Tribunale, in persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Elena Orlandi, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa iscritta al Ruolo Generale N. 271/2020, promossa da: AZIENDA UNITÀ SANITARIA LOCALE (A.U.S.L.) DI PARMA (C.F: 01874230343), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato (...) ed elettivamente domiciliata nel suo studio in Parma, (...) - OPPONENTE - CONTRO (...) ((...)), rappresentato e difeso dall'avvocato (...) ed elettivamente domiciliato nel suo studio in Ravenna, (...) - OPPOSTO - OGGETTO: OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO CONCLUSIONI: All'udienza di discussione del 18.01.2022, le parti insistevano per l'accoglimento delle conclusioni rassegnate nei rispettivi atti introduttivi. MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 20.04.2020 e ritualmente notificato assieme al pedissequo decreto di fissazione di udienza, l'Azienda Unità Sanitaria Locale (A.U.S.L.) di Parma proponeva opposizione innanzi all'intestato Tribunale, sezione lavoro, avverso il decreto ingiuntivo n. 87/2020 emesso in data 02.03.2020 ed intimante il pagamento di un importo pari ad euro 9.296,40 oltre accessori, chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "Voglia l'Ill.mo Tribunale di Parma - sez. Lavoro, contrariis reiectis, e previo ogni e più utile provvedimento del caso e di legge, ai sensi degli artt. 414 e ss. e 645 c.p.c.: a) in via pregiudiziale ed assorbente, tenuto conto della liquidazione, avvenuta anteriormente alla notifica del d.i. opposto, in favore del ricorrente, di ben 55 mensilità dell'indennità di collaborazione informatica per il periodo corrente dall'1.07.2014 al 31.12.2018, oltre al periodo 01.06.2019-30.06.2019, per un ammontare di Euro 4.260,85, rigettare la relativa pretesa creditoria del ricorrente, in quanto infondata, e per l'effetto dichiarare inefficace ovvero revocare in parte qua il decreto ingiuntivo opposto fino alla concorrenza con l'importo di Euro 4.260,85 (euro quattromiladuecentosessanta/85); b) sempre in via pregiudiziale ed assorbente, tenuto conto che, entro il mese di aprile 2020, con il cedolino emesso in relazione al mese di marzo 2020, al ricorrente viene liquidato l'ulteriore importo di Euro 387,35, pari alle ultime 5 mensilità dell'indennità di collaborazione informatica per il periodo corrente dall'1.01.2019 al 31.05.2019, rigettare la relativa pretesa creditoria del ricorrente, in quanto infondata, ovvero, quantomeno, dichiarare la cessata materia del contendere, e per l'effetto dichiarare inefficace ovvero revocare in parte qua il decreto ingiuntivo opposto fino alla concorrenza con l'ulteriore importo di Euro 387,35 (euro trecentoottantasette/35); c) ferme le domande pregiudiziali di cui sub a) e b), in accoglimento della formulata eccezione pregiudiziale ed assorbente di intervenuta prescrizione quinquennale, dichiarare prescritto il diritto del ricorrente alla corresponsione della c.d. indennità di informatizzazione, relativamente al periodo corrente dall'1.01.2010 al 30.06.2014, e per l'effetto accogliere integralmente la proposta opposizione, revocando o dichiarando nullo ovvero inefficace il decreto opposto, in quanto illegittimo, infondato o come meglio; d) in via subordinata e denegata, nel merito, dichiarare il proposto ricorso improcedibile, inammissibile, infondato, non provato, o come meglio, per l'effetto revocando ovvero dichiarando nullo o inefficace o come meglio il decreto ingiuntivo opposto. Con vittoria di spese, compensi professionali ex d.m. n. 55/2014 e s.m.i. e rimborso forfettario 15%, oltre IVA e CPA di legge". Provvedeva a costituirsi tempestivamente in giudizio (...) al fine di chiedere l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "Che l'Ill.mo Tribunale adito Voglia, ogni contraria istanza disattesa e reietta, - respingere l'opposizione formulata dalla Azienda Unità Sanitaria Locale di Parma, confermando in ogni sua parte il decreto ingiuntivo opposto; - accertare e dichiarare comunque che l'Azienda Unità Sanitaria Locale di Parma è debitrice nei confronti del dott. (...) dell'importo di euro 9.296,40 detratte le somme corrisposte nelle more del presente procedimento dall'ASL di Parma al Dott. (...), cioè l'importo di euro 5.113,02 o quella diversa somma che risulterà in seguito all'istruttoria, per i motivi esposti in narrativa condannandola al pagamento, in favore di quest'ultimo, di tale somma oltre ad interessi e rivalutazione come per legge. Con vittoria di spese competenze ed onorari". Il procedimento veniva istruito tramite prove documentali e discusso all'udienza del 18.01.2022, ove le parti si riportavano agli atti ed insistevano per l'accoglimento delle conclusioni rassegnate nei rispettivi atti introduttivi; il Giudice, all'esito della camera di consiglio, pronunciava sentenza dando lettura del dispositivo, con riserva di deposito della motivazione in sessanta giorni. Tanto premesso in relazione allo svolgimento del processo, l'Azienda Unità Sanitaria Locale (d'ora innanzi anche Ausl) di Parma ha proposto opposizione ex art. 645 c.p.c. avverso il decreto ingiuntivo n. 87/2020 con cui il Tribunale di Parma, sezione lavoro, ha ad essa ingiunto il pagamento a favore del dott. (...), medico pediatra di libera scelta convenzionato con l'Azienda Sanitaria Locale di Parma, il pagamento dell'importo complessivo di euro 9.296,40 a titolo di indennità di informatizzazione prevista ex art. 58 dell'ACN del 15.12.2005 per il periodo dallo 01.01.2010 allo 01.08.2019. Parte opponente ha dedotto di aver iniziato a corrispondere la suddetta indennità di collaborazione informatica (c.d. ICI) a far tempo dall'emissione del cedolino del mese di agosto 2019, con riferimento alla mensilità di giugno 2019, per un importo pari ad euro 77,47, che, con il cedolino stipendiale afferente al mese di gennaio 2020 ed emesso prima della notifica del ricorso per decreto ingiuntivo, aveva spontaneamente corrisposto all'opposto gli arretrati relativi al periodo corrente dallo 01.07.2014 al 31.12.2018 pari a 54 mensilità per una somma complessiva pari ad euro 4.183,38, che, con il cedolino di aprile 2020, avrebbe infine corrisposto l'ulteriore importo di euro 387,35 afferente ai primi cinque mesi dell'anno 2019 e che, pertanto, alla data del 30.04.2020, il dott. (...) avrebbe incassato la somma totale di euro 4.648,20, pari all'ammontare totale dell'ICI maturata nel quinquennio anteriore alla data di decorrenza fissata con il primo pagamento effettuato dall'Ausl (ovvero la mensilità di giugno 2019 corrisposta ad agosto 2019). L'Ausl di Parma evidenziava come la liquidazione dell'ICI spontaneamente effettuata fosse stata correttamente limitata al quinquennio antecedente al primo pagamento in ragione dell'avvenuta prescrizione delle somme maturate a tale titolo nel periodo precedente dallo 01.01.2010 al 31.05.2014 in considerazione della pacifica natura retributiva dell'indennità di collaborazione informatica, come tale sottoposta al regime di prescrizione quinquennale ex art. 2948, n. 4, c.c.. L'opponente deduceva ancora, in punto di fatto, come l'opposto avrebbe dovuto essere a conoscenza dell'intenzione dell'Ausl di provvedere al pagamento dell'indennità di collaborazione informatica in relazione alle mensilità non ancora prescritte in quanto, con la determinazione n. 1440 del 10.12.2019, pubblicata nell'albo on line dell'ente per quindici giorni consecutivi dal 10.12.2019 al 25.12.2019, aveva dapprima proceduto, sulla base delle disposizioni contrattuali e regionali vigenti, alla verifica circa l'effettiva corresponsione dell'ICI al personale medico pediatra di libera scelta fino a tutto il 31.12.2018 e, all'esito del controllo, dopo aver constatato che, per mero errore materiale, tale compenso non risultava essere stato corrisposto a taluni pediatri, specificatamente indicati nell'allegato 1 e tra i quali risultava anche l'opposto, ne disponeva senza indugio la liquidazione nel rispetto del termine prescrizionale quinquennale. Nella memoria difensiva, parte opposta riconosceva l'avvenuto pagamento parziale da parte dell'Ausl di Parma, deduceva di aver provveduto ad installare e utilizzare il programma APINET necessario per adempiere agli obblighi di informatizzazione previsti dagli accordi nazionali e regionali e sosteneva come, in virtù della natura libero-professionale del rapporto di lavoro instaurato con l'opponente e della natura risarcitoria dell'indennità di informatizzazione, la prescrizione dovesse considerarsi decennale. Il dott. (...) rimarcava inoltre come l'indennità richiesta con il ricorso monitorio fosse quella prevista dall'accordo collettivo nazionale del 15.12.2005 e non quella c.d. ICI successivamente istituita dall'accordo regionale siglato il 17.12.2008, pacificamente di natura retributiva. In relazione in particolare ai pagamenti effettuati dall'Asl di Parma antecedentemente alla notifica del decreto ingiuntivo, l'opposto allegava che il cedolino del mese di gennaio 2020 era stato consegnato e consultato in data successiva al deposito del ricorso e, in riferimento al pagamento avvenuto nel mese di agosto 2019, che lo stesso non era stato da lui notato in quanto indicato erroneamente come riferito all'indennità di collaborazione informatica (ICI). Ciò posto in sintesi in merito alle argomentazioni delle parti, in primo luogo deve riconoscersi l'avvenuto pagamento da parte dell'Ausl di Parma dell'importo complessivo di euro 4.648,20 - di cui euro 4.260,85 prima della notifica del decreto ingiuntivo - a favore dell'opposto. Tale pagamento, oltre ad emergere dalle buste paga prodotte da parte opponente, è stato altresì espressamente riconosciuto da parte opposta. La materia del contendere è dunque limitata al residuo importo oggetto di domanda monitoria da parte del dott. (...) pari alla metà dell'importo ingiunto, ovvero ad euro 4.648,20. Al fine di valutare la fondatezza dell'eccezione di prescrizione quinquennale sollevata da parte opponente per negare la debenza del suddetto importo a favore del dott. (...), è necessario esaminare le disposizioni che hanno istituito l'indennità di informatizzazione a favore dei medici pediatri di libera scelta convenzionati. L'Accordo Collettivo Nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici pediatri di libera scelta sottoscritto in data 15.12.2005 ai sensi dell'art. 8 D.Lgs. n. 502/1992 ha previsto, all'art. 58, rubricato "trattamento economico", lett. B, intitolata "Quota Variabile finalizzata al Raggiungimento di Obiettivi e di Standard Erogativi ed Organizzativi", primo comma, che "(a) decorrere dal 01.01.2005, le quote già destinate ai pediatri di libera scelta per l'incentivazione di a) attività in forma associative b) collaborazione informatica c) collaboratore di studio d) personale infermieristico costituiscono il fondo a riparto di cui all'art. 45, quantificato in ogni Regione sulla base di Euro 2,09 per assistito/anno" e, al decimo comma, per quanto riguarda nello specifico la collaborazione informatica, che "(d)alla entrata in vigore del presente Accordo tutti i pediatri di libera scelta devono garantire, dal momento dell'assunzione dell'incarico, nel proprio studio e mediante apparecchiature e programmi informatici, la gestione della scheda sanitaria individuale e la stampa prevalente (non inferiore al 70%) delle prescrizioni farmaceutiche e delle richieste di prestazioni specialistiche. Le apparecchiature di cui sopra devono essere idonee ad eventuali collegamenti con il centro unico di prenotazione e devono consentire l'elaborazione dei dati occorrenti per ricerche epidemiologiche, il monitoraggio dell'andamento prescrittivo e la verifica di qualità dell'assistenza. Per questo e fino alla stipula degli accordi regionali, con le risorse già a questo destinate, con la corrispondente riduzione della quota capitaria (lett. A comma 1 art. 58) è corrisposta un'indennità forfettaria mensile di euro 77,47". Il comma successivo ha stabilito invece che i medici già titolari di incarico a tempo indeterminato al momento dell'entrata in vigore dell'accordo dovessero adempiere all'obbligo di informatizzazione previsto dal decimo comma entro termini temporali prefissati e scaglionati in relazione alla rispettiva anzianità di specializzazione, ovvero "a) fino a 10 anni di anzianità di specializzazione, al 1 gennaio 2004, entro 1 anno dall'entrata in vigore del presente accordo; b) da 10 a 20 anni di anzianità di specializzazione, al 1 gennaio 2004, entro 3 anni dall'entrata in vigore del presente accordo; c) da 20 a 30 anni di anzianità di specializzazione, al 1 gennaio 2004, entro 5 anni dall'entrata in vigore del presente accordo". In seguito, intervenivano ulteriori accordi regionali sottoscritti tra la Regione Emilia Romagna e le organizzazioni sindacali del personale medico convenzionato pediatra di libera scelta e medici di medicina generale in attuazione dell'accordo collettivo nazionale, tra cui quello sottoscritto in data 17.12.2008 e recepito con D.G.R. Emilia Romagna n. 17 del 29.01.2009. Tale accordo nulla innovava in merito all'indennità forfettaria stabilita per la collaborazione informatica, limitandosi a disciplinare il progetto c.d. Sole per la gestione dei flussi informatici stabilendo che "(a) tutti i pediatri sono forniti dall'Azienda gli strumenti informatici relativi ed i relativi supporti ed assistenza soft/hardware, con oneri di utenza a carico della Regione (compreso il canone annuale e l'aggiornamento del software), per garantire il collegamento tra loro e con la rete dei servizi aziendali", che "(l)a gestione dei flussi servizi del progetto Sole (in particolare le funzionalità precedentemente indicate) comporta l'attivazione da parte del pediatra di tutte le procedure ed aggiornamenti disponibili sulla base dell'effettivo avanzamento del progetto" e che "(i)l pagamento della quota di 5,00 euro assistito/anno, è legato all'effettivo utilizzo e correlato ad un obiettivo di risultato, concordato in sede di Comitato Aziendale, sugli invii delle prescrizioni di esami di laboratorio e prestazioni specialistiche". A prescindere, dunque, dai profili nominalistici, l'indennità di informatizzazione o di collaborazione informatica (ICI) richiesta dall'opposto è quella prevista dall'art. 58, lett. B, comma 10, dell'Accordo Collettivo Nazionale del 15.12.2005. L'Ausl di Parma sostiene che la suddetta indennità abbia natura retributiva, con la conseguenza che, stante l'applicazione del regime prescrizionale previsto dall'art. 2948, n. 4, c.c., le somme maturate a tale titolo dal gennaio 2010 al maggio 2014 non sarebbero dovute. Parte opposta ha invece rimarcato l'applicazione del termine prescrizionale decennale, avendo la suddetta indennità natura risarcitoria e traente origine da un rapporto di tipo contrattuale. Osserva in primo luogo il Giudice come, secondo consolidata giurisprudenza, i rapporti di lavoro che si instaurano tra il medico convenzionato ex artt. 48 l. n. 833/1978 e 8 D.Lgs. n. 502/1992 rientrino nell'ambito della parasubordinazione in quanto, "pur se costituiti allo scopo di soddisfare le finalità istituzionali del servizio sanitario nazionale, dirette a tutelare la salute pubblica, corrispondono a rapporti libero professionali, che si svolgono di norma su un piano di parità, non esercitando l'ente pubblico nei confronti del medico convenzionato alcun potere autoritativo, al di fuori di quello di sorveglianza, né potendo incidere unilateralmente, limitandole o degradandole ad interessi legittimi, sulle posizioni di diritto soggettivo discendenti per il professionista dal rapporto di lavoro autonomo" (Cass. civ., sez. lav., 13.04.2011, n. 8457; cfr. più recentemente, in tal senso, Cass. civ., sez. lav., 05.03.2020, n. 6294). Deve altresì rilevarsi che la Corte di Cassazione ha chiarito, proprio in riferimento ad un rapporto convenzionale tra un medico e un'unità sanitaria locale, che la sospensione del corso della prescrizione durante lo svolgimento del rapporto può essere invocata solo nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, perché è solo ad esso che fa riferimento la Corte costituzionale nelle sentenze nn. 63/1966, 143/1969 e 174/1972 con cui ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 2948, n. 4, nella parte in cui consente che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante lo svolgimento del rapporto di lavoro (Cass. civ., sez. lav., 26.10.2001, n. 13323). È dunque assodato che, in un rapporto di lavoro come quello in esame, la prescrizione decorre anche durante la vigenza del rapporto medesimo. Determinante al fine di valutare il regime prescrizionale applicabile è la natura del credito rivendicato. L'art. 2948, n. 4, c.c. stabilisce che si prescrivono in cinque anni "gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi". Per giurisprudenza pacifica, i crediti retributivi rientrano in tale ipotesi, posto che la retribuzione viene pagata al lavoratore dal datore di lavoro con cadenza periodica mensile. Reputa il Giudice che l'indennità prevista dall'art. art. 58 ACN del 15.12.2005 abbia natura retributiva e non risarcitoria. In primo luogo, si osserva come la suddetta indennità venga corrisposta mensilmente, di talché è sussistente il requisito della periodicità della corresponsione. In secondo luogo, si rileva come la natura di elemento retributivo di tale indennità si inferisca non solo tramite un'interpretazione letterale delle disposizioni introduttive di tale compenso previste nel comma 10, lett. B dell'art. 58 ma anche facendo ricorso ad un'interpretazione integrata e sistematica di tali norme con quelle regolative del compenso dei pediatri convenzionati. L'art. 8 dell'ACN 2005, rubricato "struttura del compenso" al secondo comma prevede che "(c)oncorrono alla costituzione del compenso dei pediatri di cui al presente accordo: a) quota capitaria ponderata per assistito; b) incentivi di struttura, di processo, di livello erogativo, di partecipazione agli obiettivi e al governo della compatibilità, nonché incentivi legati al raggiungimento degli obiettivi di qualificazione e appropriatezza; c) quota per servizi e prestazioni aggiuntive, per pediatra singolo, associazioni o per gruppi, calcolata in base al tipo ed ai volumi di prestazione; d) aumento previsto per rinnovo nella misura di cui al successivo articolo 9; e) incentivi legati al trasferimento di risorse, alla luce del perseguimento del riequilibrio delle prestazioni, fra ospedale e territorio derivanti da azioni e modalità innovative dei livelli assistenziali per l'assistenza primaria". Il successivo art. 28 dell'accordo collettivo nazionale, rubricato "articolazione del compenso" stabilisce, al primo comma, che "(a)i sensi dell'art. 8, comma 1, lett. d), del d.l.vo 502/1992 come successivamente modificato ed integrato, la struttura del compenso del pediatra di libera scelta così si articola: a) quota capitaria per ciascun soggetto iscritto nella lista, corrisposta su base annuale in rapporto alle funzioni definite dal presente Accordo; b) una quota variabile in funzione del grado di raggiungimento degli obiettivi previsti dai programmi di attività e del rispetto dei conseguenti livelli di spesa programmati di cui all'art. 8, comma 1, lett. f del decreto legislativo sopra richiamato; c) una quota variabile in funzione delle prestazioni e delle attività previste nel presente accordo e negli accordi regionali, in quanto funzionali allo sviluppo dei programmi di cui alla lettera f) sopra richiamata" mentre, al secondo comma, prevede che "(l)e modalità di corresponsione dei compensi di cui ai precedenti commi sono stabilite, nel rispetto dei principi generali di cui al presente articolo, dal successivo art. 58, e, per quanto di competenza, dagli Accordi Regionali e Aziendali". Il richiamato art. 58 ha stabilito, al primo comma, che "(i)n attuazione di quanto previsto all'art. 9 del presente Accordo, tenuto conto che il distretto deve assicurare i servizi di assistenza primaria relativi alle attività sanitarie e sociosanitarie (art. 3 quater del D.L.vo n. 502/92 e successive modifiche ed integrazioni), ivi compresa la continuità assistenziale, attraverso il coordinamento e l'approccio multidisciplinare, in ambulatorio e a domicilio, tra il pediatra di libera scelta, i medici di assistenza primaria, i servizi di continuità assistenziale ed i presidi specialistici ambulatoriali, nonché con le strutture ospedaliere ed extraospedaliere accreditate (art. 3-quinquies del D.l.vo n. 502/92 e successive modifiche e integrazioni) e che il "Programma delle attività territoriali" comprende, come previsto dall'art. 3-quater del D.L.vo n. 502/92, e successive modifiche, anche l'erogazione della pediatria di libera scelta e specifica le prestazioni ed attività di competenza della stessa risultanti dal presente Accordo e dagli accordi regionali e aziendali, il trattamento economico dei medici pediatri convenzionati, secondo quanto previsto dall'art. 8, comma 1, lett. d), del suddetto decreto legislativo, si articola in: a) quota capitaria per assistito ponderata, per quanto stabilito dall'art. 8, negoziata a livello nazionale; b) quota variabile finalizzata al raggiungimento di percorsi ed obiettivi concordati e di standard erogativi e organizzativi previsti dalla programmazione regionale e/o aziendale, compresi la medicina associata, l'indennità di collaborazione informatica, l'indennità di collaborazione di studio medico, l'indennità di personale infermieristico; c) quota per servizi calcolata in base al tipo ed ai volumi di prestazioni, concordata a livello regionale e/o aziendale comprendente prestazioni aggiuntive, assistenza domiciliare e ambulatoriale al cronico, vaccinazioni, prestazioni informatiche, possesso ed utilizzo di particolari standard strutturali e strumentali, ulteriori attività o prestazioni richieste dalle Aziende". Ebbene, reputa il Giudice che, dalla lettura combinata dell'art. 58, lett. B, decimo comma, con le norme sopra riportate, emerga chiaramente come l'indennità di collaborazione informatica (ICI) o indennità di informatizzazione sia uno speciale compenso che ha la finalità di retribuire il raggiungimento dell'obiettivo costituito dall'informatizzazione delle prestazioni sanitarie rese dai pediatri di libera scelta. Tale indennità è stata infatti espressamente inserita come elemento costitutivo della quota variabile del compenso erogato al pediatra di libera scelta nell'art. 58, primo comma. Nessuna previsione dell'ACN suggerisce invece che tale indennità costituisca il rimborso delle spese sostenute dal pediatra per adempiere agli obblighi di informatizzazione posto che non vi è alcun riferimento al costo delle apparecchiature quale parametro su cui basare la determinazione della misura dell'indennità. Stante dunque la natura di corrispettivo a favore del pediatra dell'attività posta in essere per il raggiungimento dell'obiettivo dell'informatizzazione nello svolgimento della propria attività, a tale compenso deve riconoscersi natura retributiva. Dovrà pertanto farsi applicazione del regime prescrizionale previsto dall'art. 2948, n. 4, c.c., con la conseguenza che le somme maturate a titolo di indennità di collaborazione informatica dall'opposto nel periodo dal gennaio 2010 al maggio 2014 non sono dovute in quanto il diritto alla loro corresponsione è estinto per prescrizione. In accoglimento del ricorso, stante la fondatezza dell'eccezione di prescrizione sollevata da parte opponente e il già avvenuto pagamento delle ulteriori somme oggetto del ricorso monitorio, il decreto ingiuntivo n. 87/2020 deve essere pertanto in toto revocato. Per quanto riguarda le spese di lite, ritiene il Giudice che le stesse debbano essere integralmente compensate per due ordini di motivi. Il primo ordine attiene alla peculiarità della questione attinente al regime prescrizione applicabile all'indennità oggetto di causa, il secondo al carattere ragionevolmente credibile della circostanza allegata dall'opposto per cui, al momento del deposito del ricorso monitorio in data 27.02.2020, lo stesso non aveva ancora preso visione del cedolino di gennaio 2020 contenente parte degli arretrati. P.Q.M. Il Giudice, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria domanda, eccezione e deduzione, così decide: - in accoglimento del ricorso, revoca il decreto ingiuntivo n. 87/2020 emesso dal Tribunale di Parma, sezione lavoro, in data 02.03.2020 per le ragioni di cui in parte motiva; - compensa tra le parti le spese del procedimento; - riserva in sessanta giorni il deposito della motivazione della sentenza. Parma, 18 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CAMPANILE Pietro - Presidente Dott. MELONI Marina - rel. Consigliere Dott. LAMORGESE Antonio Pietro - Consigliere Dott. SCALIA Laura - Consigliere Dott. CARADONNA Lunella - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 28442/2015 proposto da: (OMISSIS) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso e procura speciale per Notaio Dott.ssa (OMISSIS) di (OMISSIS); - ricorrente - contro Comune di Bagheria, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso; - controricorrente - avverso la sentenza n. 1734/2014 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 27/10/2014; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/07/2021 dal Cons. Dott. MELONI MARINA; lette le conclusioni scritte del Decreto Legge n. 137 del 2020, ex articolo 23, comma 8 bis, inserito dalla Legge di Conversione n. 176 del 2020, del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che chiede l'accoglimento del motivo n. 3) del ricorso. FATTI DI CAUSA Il Comune di Bagheria, ritenuto necessario procedere ad un'indagine conoscitiva nell'ambito del territorio comunale dei soggetti ai quali imporre la tassazione di alcuni cespiti tributari, tra cui TARSU, ICIAP e ICI, stipulo' un contratto di appalto di "servizio di accertamento di cespiti tributari" con (OMISSIS) spa nel quale erano previsti altresi' i criteri e le procedure per il pagamento del corrispettivo. Eseguita la prestazione e ricevuto in pagamento dal Comune l'importo di Euro 618.754,81, stante il rifiuto dell'ente appaltante di adempiere all'obbligo di pagamento delle ulteriori fatture emesse, l'(OMISSIS) spa chiese ed ottenne Decreto Ingiuntivo 28 giugno 2006, per l'ulteriore importo di Euro 995.714,84 piu' interessi per un totale di Euro 1.129.802,50. Il Tribunale di Palermo con sentenza 63 in data 21/10/2009 revoco' il Decreto Ingiuntivo 28 giugno 2006, n. 149, emesso a carico del Comune di Bagheria ed a favore di (OMISSIS) spa per un importo di Euro 1.129.802,50 oltre interessi e spese del procedimento monitorio relativo al servizio di accertamento di cespiti tributari e condanno' l'opponente Comune di Bagheria a corrispondere ad (OMISSIS) spa la complessiva somma di Euro 925.810,39 oltre interessi legali dal 6/7/2007. Su impugnazione del Comune di Bagheria la Corte di Appello di Palermo ritenne che il Comune di Bagheria aveun violato la normativa dettata in materia di spesa di cui al Decreto Legislativo 25 febbraio 1995, n. 77, articoli 35, commi 1 e 4 e articolo 27, e conseguentemente rigetto' la domanda avanzata da (OMISSIS) spa riformando la sentenza di primo grado. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo ha proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS) spa affidato a cinque motivi. Il Comune di Bagheria resiste con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo di ricorso la (OMISSIS) spa denuncia il difetto di giurisdizione ex articolo 113 Cost., L. 21 luglio 2000, n. 205, articolo 6, comma 1, L. 20 marzo 1865, n. 2248, articoli 2, 3 e 41, articolo 37 c.p.c., in riferimento all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche' la Corte di Appello di Palermo ha ritenuto che il Comune aveva adottato decisioni contrarie alle disposizioni dettate in tema di spesa in violazione della normativa contabile. Secondo il ricorrente invece il Giudice ordinario non aveva giurisdizione per pronunciarsi sul merito degli atti amministrativi del Comune e segnatamente delle Delib. n. 668 del 1995, Delib. n. 93 del 1996 e Delib. n. 402 del 1996, come gia' dichiarato dai giudici di primo grado del Tribunale di Palermo. Il motivo e' infondato e deve essere respinto. Infatti gia' il Tribunale in primo grado aveva dichiarato con sentenza non definitiva il difetto di giurisdizione de giudice ordinario in ordine ai punti 1, 2, 3, 4 e 6 della citazione in opposizione relativi alla nullita' del contratto per violazione delle norme disciplinanti l'affidamento a terzi del servizio di accertamento dei tributi nel territorio comunale nonche' la nullita' delle delibere della Giunta Municipale e l'annullabilita' del contratto. Con la sentenza definitiva numero 163 del 21/10/2009 il Tribunale di Palermo ha ritenuto invece la giurisdizione del giudice ordinario sulle ulteriori punti 5,7 e 8 della citazione e quindi sulle domande relative al rapporto obbligatorio tra (OMISSIS) spa e Comune di Bagheria di cui al Decreto Legislativo n. 77 del 1995, articolo 35, comma 4. La sentenza definitiva numero 163 del 21/10/2009 di primo grado del Tribunale di Palermo e' stata impugnata dal Comune di Bagheria davanti alla Corte di Appello di Palermo nella parte in cui ha rigettato l'eccezione di carenza di rapporto obbligatorio tra (OMISSIS) spa e Comune di Bagheria di cui al Decreto Legislativo n. 77 del 1995, articolo 35, comma 4, mentre l'(OMISSIS) spa ha chiesto in sede di appello la conferma della sentenza impugnata. Appare dunque evidente, in ordine alla giurisdizione del giudice ordinario, cosi' come affermata dal Tribunale di Palermo e confermata dalla Corte di Appello di Palermo con sentenza 1734 del 2014, che non sussiste difetto di giurisdizione nella fattispecie posto che non corrisponde al vero che la Corte di Appello si sia spinta ad un esame del merito amministrativo delle deliberazioni emanate dal Comune di Bagheria. Al contrario la Corte di Appello di Palermo ha limitato il proprio esame alla domanda di pagamento della (OMISSIS) spa dei corrispettivi a lei dovuti in virtu' del rapporto obbligatorio di tipo privatistico insorto tra il Comune di Bagheria ed (OMISSIS) spa sul quale ha sicuramente giurisdizione il giudice ordinario. La giurisprudenza di questa Suprema Corte ha piu' volte affermato che e' sottoposta alla cognizione del giudice ordinario la verifica della sussistenza dei requisiti formali (forma scritta) e sostanziali (legittimazione, copertura finanziaria) per la corretta espressione della volonta' dell'ente e conseguente formazione del rapporto obbligatorio, dovendo appunto decidere in ordine alla esistenza e validita' del rapporto obbligatorio e conseguenti oneri di pagamento. Sicche' le irregolarita' evidenziate nelle Delib. del Comune in materia di spesa, dalle quali e' conseguita la "mancata insorgenza del rapporto obbligatorio" privatistico tra ente pubblico e societa' appaltatrice del servizio e' materia riservata alla cognizione e giurisdizione del giudice ordinario chiamato a decidere sul pagamento del corrispettivo. Con il secondo motivo di ricorso la (OMISSIS) spa denuncia la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo 25 febbraio 1995, n. 77, articolo 35, commi 1 e 4 e articolo 27, perche' secondo la Corte territoriale il Comune di Bagheria aveva violato la normativa dettata in materia di spesa mentre, al contrario, il Comune nelle procedure e nelle deliberazioni adottate non aveva violato la normativa relativa alla contabilita' delle amministrazioni locali. Infatti secondo la ricorrente (OMISSIS) spa l'abrogazione espressa del Decreto Legge n. 66 del 1989, articolo 23, ad opera del Decreto Legislativo n. 77 del 1995, articolo 123 e la nuova disciplina di cui all'articolo 35 del medesimo D.Lgs., fa si' che il potere di assumere l'impegno di spesa non compete piu' al Consiglio o alla Giunta municipale, ma spetta ai dirigenti ed ai responsabili dei servizi i quali devono provvedere alla copertura finanziaria. Il motivo e' infondato. Correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto che i contratti con la Pubblica Amministrazione devono contenere la relativa copertura finanziaria e che la mancanza del relativo impegno di spesa comporta la nullita' del contratto. A tal riguardo "Ai sensi dell'articolo 55, comma 5, della legge sull'ordinamento delle autonomie locali 8 giugno 1990, n. 142 (nel testo anteriore alla modifica apportata con la L. 15 maggio 1997, n. 127, articolo 6, comma 11), la Delib. con la quale i competenti organi comunali o provinciali affidano ad un professionista privato l'incarico per la progettazione di un'opera pubblica, e' valida e vincolante nei confronti dell'ente soltanto se il relativo impegno di spesa sia accompagnato dall'attestazione, da parte del responsabile del servizio finanziario, della copertura finanziaria. L'inosservanza di tale prescrizione determina la nullita' della Delib., che si estende al contratto di prestazione d'opera professionale poi stipulato con il professionista, comportando l'esclusione di qualsiasi responsabilita' od obbligazione dell'ente pubblico in ordine alle spese assunte senza il suddetto adempimento. Pertanto quando la P.A., per la realizzazione delle proprie finalita', ricorra agli strumenti giuridici ordinariamente propri dei soggetti privati, solo la disciplina dei rapporti che scaturiscono dalla sua attivita' negoziale rimane assoggettata ai principi e alle regole del diritto comune, mentre resta operante la disciplina del diritto amministrativo per quanto attiene alla fase preliminare della formazione della volonta' della p.a., caratterizzata dalle regole della cosiddetta evidenza pubblica, e che si conclude con la Delib. a contrarre, destinata a disporre in ordine alla stipulazione del negozio e, con cio', a conferire all'organo qualificato alla rappresentanza dell'ente la effettiva potesta' di porlo in essere con le finalita' e l'oggetto specificati nella Delib. stessa" (Sez. U., Sentenza n. 13831 del 28/06/2005). Inoltre il Decreto Legge 2 marzo 1989, n. 66, articolo 23, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 24 aprile 1989, n. 144, articolo 1, comma 1 (oggi abrogato e sostituito dal Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, articolo 191, comma 4), secondo il quale l'ente pubblico non risponde dell'attivita' posta in essere dal proprio funzionario senza l'osservanza delle regole procedimentali ivi previste, si applica anche ai Comuni della Regione Sicilia, a prescindere dal suo formale recepimento nella legislazione regionale, in quanto norma destinata ad incidere sull'efficacia del contratto e, quindi, relativa all'area dell'ordinamento civile riservata alla competenza esclusiva della legislazione statale ai sensi dell'articolo 117 Cost., comma 2, lettera l), (Sez. U., Sentenza n. 26657 del 18/12/2014). Con il terzo motivo di ricorso la (OMISSIS) spa denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1346 c.c., articolo 97 Cost., comma 2, in riferimento all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche' la Corte di Appello ha errato nel ritenere che gli enti locali non possano stipulare contratti relativamente a prestazioni con oggetto non determinato anche se determinabile e che il meccanismo della percentuale quale criterio di individuazione del compenso dovuto sia in palese violazione dell'articolo 1346 c.c.. Il motivo e' infondato e deve essere respinto. Infatti come chiaramente illustrato nella sentenza impugnata, nella fattispecie non si verte in tema di contratti relativi a prestazioni con oggetto non determinato anche se determinabile e con il meccanismo della percentuale quale criterio di individuazione del compenso dovuto. Al contrario, il pagamento del corrispettivo determinato mediante percentuale nella misura del 30% delle maggiori entrate non era subordinato al materiale incasso da parte del Comune delle maggiori entrate ma, contrariamente ai principi generali in materia di aggio, alle somme meramente accertate, tant'e' che il Capitolato speciale prevede espressamente che "La mancata o ritardata riscossione dei tributi non pregiudichera' il diritto della Ditta al corrispettivo contrattuale, il cui importo non subira' alcuna decurtazione". Con il quarto motivo di ricorso la (OMISSIS) spa denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c. e articolo 115 c.p.c.: in riferimento all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche' la Corte di Appello ha violato il principio dispositivo ed erroneamente invertito l'onere probatorio incombente sulle parti in quanto il Comune di Bagheria non aveva mai prodotto nel corso del giudizio alcun bilancio o documento da cui dedurre l'inesistenza di stanziamenti o vincoli di bilancio per le spese relative al rapporto contrattuale con (OMISSIS) spa. Con il quinto motivo di ricorso la (OMISSIS) spa denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2 Cost., articoli 1175, 1227 e 1375 c.c., in riferimento all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche' la Corte di Appello ha sostenuto che la violazione della normativa in materia di spesa ha determinato la mancata insorgenza del rapporto obbligatorio tra l'ente pubblico e la societa' appellata mentre, al contrario, il Comune non puo' dolersi di una invalidita' alla quale ha dato causa in violazione del principio di buona fede. Il quarto e quinto motivo, tra loro avvinti, sono infondati e devono essere respinti. Infatti la produzione del bilancio comunale con gli stanziamenti o vincoli finalizzati al pagamento del corrispettivo dell'(OMISSIS) sono determinanti dovendo la previsione di spesa essere contenuta nella delibera del Comune che, pur avendovi dato luogo con la proprio condotta, puo' comunque avvalersi della nullita'. Infatti espressamente prevista dalla legge e' la norma che regola tale fattispecie con la previsione di responsabilita' a carico del funzionario agente. "In tema di obbligazioni della P.A., l'inserimento nel contratto d'opera professionale di una clausola di cd. copertura finanziaria in base alla quale l'ente pubblico territoriale subordina il pagamento del compenso al professionista incaricato della progettazione di un'opera pubblica alla concessione di un finanziamento - non consente di derogare alle procedure di spesa di cui al Decreto Legge 2 marzo 1989, n. 66, articolo 23, commi 3 e 4, convertito in legge, con modificazioni, L. 24 aprile 1989, n. 144, articolo 1, comma 1 (oggi sostituito dal Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, articolo 191), che non possono essere differite al momento dell'erogazione del finanziamento, sicche', in mancanza, il rapporto obbligatorio non e' riferibile all'ente ma intercorre, ai fini della controprestazione, tra il privato e l'amministratore o funzionario che abbia assunto l'impegno" (Sez. U., Sentenza n. 26657 del 18/12/2014). In considerazione di quanto sopra il ricorso deve essere respinto con condanna alle spese del giudizio di legittimita'. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita' in favore del controricorrente che si liquidano in Euro 13.000,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3 del 2020, proposto da: Se. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Er. Io., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'accertamento e la declaratoria del diritto della ricorrente a conseguire dal Comune di (omissis) il risarcimento dei danni ingiustamente patiti per il mancato completamento e relativo godimento dell'opificio da realizzare all'interno dei Lotti (omissis) e (omissis) ricadenti nell'ambito del P.I.P. esclusivamente a causa dell'illegittima attività amministrativa ovvero dell'inerzia della P.A.; nonché per la condanna del Comune di (omissis) al pagamento, in favore della società ricorrente, di tutte le somme derivanti dalla causale di cui sopra. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2021 il dott. Igor Nobile e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con ricorso notificato a mezzo pec il 18.12.2019 al Comune di (omissis) (Sa), tempestivamente depositato il 2.1.2020, la ricorrente in epigrafe ha adito questo Tribunale: - per l'accertamento e la declaratoria del diritto della ricorrente a conseguire dal Comune di (omissis) il risarcimento dei danni ingiustamente patiti per il mancato completamento e relativo godimento dell'opificio da realizzare all'interno dei Lotti (omissis) e (omissis) ricadenti nell'ambito del P.I.P. esclusivamente a causa dell'illegittima attività amministrativa ovvero dell'inerzia della P.A.; nonché per la condanna del Comune di (omissis) al pagamento, in favore della società ricorrente, di tutte le somme derivanti dalla causale di cui sopra. 2. In particolare, la ricorrente ha rappresentato quanto segue: - la medesima è impegnata da decenni nel settore della progettazione e realizzazione di macchine automatiche per l'imballaggio; - nell'esercizio della predetta attività, avendo interesse ad ampliare lo stabilimento di proprietà, ha partecipato al procedimento ad evidenza pubblica attivato dal Comune di (omissis) ai fini dell'assegnazione di alcuni lotti nell'ambito del vigente P.I.P., giusta delibera di C.C. n. 32 del 08.04.1999; - all'esito, con delibera di C.C. n. 19 del 28.06.2000, è stato approvato il provvedimento di assegnazione dei lotti ai soggetti inseriti in graduatoria. In particolare, alla società ricorrente sono stati assegnati i lotti contrassegnati con la sigla "D16" e "D18", in quanto contigui all'esistente perimetro aziendale; - in data 30.01.2002, all'esito della procedura fallimentare n. 192/95, con Decreto di trasferimento del Tribunale di Salerno, la ricorrente ha acquisito la proprietà della struttura industriale ex Om. Su.. Nell'ambito di detto stabilimento produttivo risultavano ricompresi anche due lotti, ciascuno di estensione complessiva di ca. 5.000 mq, già individuati nell'ambito del P.I.P. con la sigla (omissis) e (omissis). Per effetto di detta acquisizione, pertanto, la ricorrente è divenuta proprietaria anche di detti due lotti, interclusi, privi di qualsiasi accesso e/o immediata fruibilità ; - la discutibilità della scelta urbanistica operata dalla P.A. è subito emersa, in quanto la possibilità del relativo utilizzo è stata dall'Ente subordinata, secondo le previsioni di Piano, alla realizzazione di apposita strada di accesso in uno alle relative opere di urbanizzazione primaria. Trattandosi di lotti ubicati in area marginale e non servita, soltanto gli interventi di urbanizzazione avrebbero consentito il relativo utilizzo e, quindi, la relativa assegnazione ed effettiva utilizzabilità . Senonchè, tali indefettibili opere non sono mai state realizzate dalla P.A.; - in data 24.07.2002, con nota prot. n. 21526, la ricorrente ha chiesto al Comune di (omissis) di scambiare i lotti (omissis) e (omissis), dei quali è risultata assegnataria, con i lotti (omissis) e (omissis), già inclusi nell'area di sua proprietà . - già in pendenza della predetta procedura fallimentare la ricorrente aveva anticipato alla P.A. la futura acquisizione dell'area, e, dunque, la necessità di sospendere qualsivoglia eventuale assegnazione a terzi di detti lotti interclusi ((omissis) e (omissis)) rappresentando, nel contempo, la ragionevolezza della scelta di assegnare detti lotti alla stessa Se.; ciò nonostante, la P.A. ha, comunque, provveduto ad assegnare detti lotti alla Società Ag. S.r.l..; - ottenuta la disponibilità della Ag. ad una sostituzione dei lotti (omissis) e (omissis), dei quali risultava assegnataria, con altri lotti di eguale estensione tra quelli rimasti liberi, la ricorrente si è subì to attivata all'uopo depositando apposita domanda (note prot.n. 21746 del 26.07.2002 e prot. n. 22889 del 08.08.2002). Hanno fatto seguito: - nota prot. n. 7086 del 02.12.2002 recante il parere favorevole del Consulente convenzionato per l'attuazione del P.I.P.; - determinazione n. 2 del 09.01.2003 con la quale il Responsabile del Settore AA.PP. del Comune di (omissis) ha disposto l'assegnazione dei lotti (omissis) e (omissis) alla Ag. in sostituzione dei lotti (omissis) e (omissis) e la contestuale assegnazione di detti lotti alla ricorrente, in sostituzione dei lotti (omissis) e (omissis); - muovendo da tali presupposti, in data 27.01.2003, è stata, dunque, sottoscritta la Convenzione Preliminare con la quale il Comune ha assegnato in proprietà alla ricorrente i richiesti lotti. In altri e più chiari termini: - la ricorrente ha conseguito l'assegnazione dei lotti (omissis) e (omissis) in luogo di quelli precedentemente assegnati; - trattandosi di lotti interclusi, la relativa fruibilità era - ed è - subordinata alla realizzazione da parte dell'Ente delle necessarie urbanizzazioni di accesso. - senonchè, in data 23.09.2004, con nota prot. n. 29608, del tutto inaspettatamente, la P.A. ha comunicato l'avvio del procedimento di revoca dell'assegnazione dei lotti (omissis) e (omissis), muovendo da una presunta colpevole inerzia nel relativo utilizzo. - attesa l'erroneità di detta determinazione, la ricorrente ha subì to provveduto a trasmettere tutta la documentazione nella sua disponibilità comprovante l'erroneità del rilievo opposto ed, in particolare, ha depositato apposita relazione tecnica degli interventi eseguiti propedeutici alla edificazione sui lotti (omissis) e (omissis), gli unici possibili in mancanza di qualsivoglia urbanizzazione; - di contro, il Comune ha reiterato i medesimi rilievi, invitando "alla definizione degli atti necessari ed all'inoltro dell'istanza di rilascio del permesso di costruire entro i termini fissati dall'art. 11 del Regolamento di assegnazione". - la ricorrente ha quindi comunicato di aver già provveduto a tal fine. Nel contempo, ha anche evidenziato criticità ben note alla stessa Amministrazione ovvero tra le altre: - la mancata realizzazione della strada di accesso ai lotti - opere di urbanizzazione primarie a carico del Comune; - addirittura il mancato avvio delle procedure espropriative volte all'acquisizione delle aree all'uopo necessarie; - in ogni caso, nonostante tali criticità, confidando nella relativa risoluzione da parte del Comune, la ricorrente ha anche depositato domanda di permesso di costruire, "per la realizzazione di un opificio industriale con relativi annessi destinato all'attività di produzione di macchine ed impianti per l'imballaggio di prodotti preconfezionati, in area P.I.P. sui lotti (omissis) e (omissis) a destinazione industriale"; - in data 29.06.2009, il Comune ha rilasciato il permesso di costruire n. 6/2009, senza tuttavia adoperarsi per superare i summenzionati fatti ostativi; - la ricorrente, a conferma della relativa buona fede ed effettiva volontà di realizzare l'iniziativa, ha, comunque, iniziato i lavori. In data 11.04.2011, con nota prot. n. 14421, ha anche comunicato: - da un lato, l'avanzato stadio dei lavori; - dall'altro, l'impossibilità di provvedere al relativo completamento in assenza delle necessarie opere di urbanizzazione da parte del Comune (strada di accesso, scarichi fognari, alimentazione idrica, illuminazione); - sotto altro profilo, ha anche rilevato l'assenza di qualsivoglia iniziativa e/o almeno principio di attività da parte del Comune volto alla risoluzione delle criticità già da tempo rilevate; - nel contempo, in uno spirito di leale collaborazione, ha rappresentato plurime e possibili soluzioni alternative, senza alcun fattivo riscontro pervenuto da parte della P.A.; - successivamente, in data 06.04.2017, con nota prot. n. 18628, il Comune di (omissis) ha comunicato alla ricorrente: - la decadenza del P.I.P., atteso il decorso dei dieci anni di efficacia dalla delibera di C.C. di approvazione n. 11 del 03.03.1999; - l'impossibilità di realizzare le opere di urbanizzazione se non previa approvazione di un nuovo Piano; - per l'effetto, l'impossibilità di realizzare la strada di accesso ai lotti (omissis) e (omissis) attesa la mancanza di una qualsivoglia progettazione; - da ultimo, con delibera di G.C. n. 202 del 20.06.2017, il Comune ha autorizzato soltanto l'allacciamento alle reti già esistenti. Ma tali reti non sostanziano le urbanizzazioni primarie necessarie all'insediamento, prima tra tutte la strada di accesso; - il gravissimo danno arrecato alla ricorrente è evidente, in quanto, sin dal principio, la complessiva illegittima attività posta in essere dalla P.A. ha di fatto impedito la realizzazione del programmato intervento nei tempi all'uopo previsti, generando gravi danni con riferimento: - sia agli ingenti costi sostenuti per la realizzazione dell'opificio industriale, il quale, ancora oggi, non può essere utilmente ultimato, con danno connesso al mancato completamento e pieno godimento del bene; - alla effettiva perdita di valore del compendio immobiliare che, ad oggi, ha subito un decremento almeno della metà rispetto a quello originario non potendo essere concretamente fruito; - le circostanze sopra esposte danno conto della sussistenza dei presupposti per conseguire, ai sensi dell'art. 30 del D.lgs. 104/2010, la condanna della P.A. a risarcire tutti i danni subiti e subendi. 3. In ordine ai fatti rappresentati, insorgeva l'epigrafata ricorrente, chiedendo di accertare la responsabilità del Comune convenuto e la conseguente condanna al risarcimento dei danni patiti e patiendi, per i motivi di seguito indicati e come meglio articolati nel ricorso introduttivo: 3.1 ILLEGITTIMITÀ DELLA CONDOTTA POSTA IN ESSERE NEI CONFRONTI DELLA RICORRENTE - RESPONSABILITÀ DELLA P.A. - SPETTANZA DEL "BENE DELLA VITA" - DIRITTO AL RISARCIMENTO DANNI Il Comune è responsabile del danno lamentato dalla società ricorrente, avendo localizzato i lotti (omissis) e (omissis) in area interclusa e inservibile, a fini produttivi, in assenza di strada d'accesso e opere di urbanizzazione, che aveva il compito esclusivo di realizzare. Di tali problematiche, peraltro, il Comune era stato fin dall'origine edotto, come risulta anche dalla relazione del CTU nell'ambito della procedura fallimentare all'esito della quale la ricorrente ha acquisito i lotti (omissis) e (omissis). 3.2 SULLA COLPA DELLA P.A. - ILLEGITTIMITÀ DELL'ATTO - ONERE PROBATORIO - ASSENZA DI QUALSIVOGLIA "ERRORE SCUSABILE" La condotta censurata è ascrivibile in toto all'operato del Comune ed è caratterizzato da elevato grado di colpa, sussistendo i presupposti richiesti dall'art. 2043 c.c. per affermare la responsabilità della p.a. nella fattispecie in esame (danno, nesso eziologico, colpa). Il Comune, nonostante la consapevolezza delle criticità rilevate sui lotti (omissis) e (omissis), non ha mai realizzato la strada d'accesso e le relative opere di urbanizzazione, assegnando comunque i lotti alla ricorrente e rilasciando a quest'ultima finanche il permesso di costruire per la completa edificazione dell'opificio, esponendo dunque la stessa ad ingenti finanziamenti, e in ultimo, con la delibera n. 202 del 20.6.2017, ha consentito l'allacciamento alle reti comunali esistenti, senza tuttavia attivarsi per rimuovere la causa ostativa all'avvio dell'attività produttiva (mancanza delle opere di urbanizzazione primaria). 3.3 SUL NESSO EZIOLOGICO Il danno lamentato è interamente imputabile all'operato ed alla mancata attivazione del Comune, il quale, nonostante l'ampio intervallo temporale trascorso, è rimasto inerte. 3.4 SUI DANNI PATRIMONIALI SUBITI DALLA RICORRENTE La ricorrente lamenta danni patrimoniali, pari: - ad euro 769.000,00, per le spese realizzate per l'edificazione dell'opificio, a cui occorre aggiungere interessi legali e rivalutazione monetaria, per oltre 140.000,00 euro; - perdita di valore del compendio, stimabile nell'importo unitario di euro 10,80/mq., secondo la quantificazione operata dal Settore Tributi del Comune di (omissis), nell'ambito del procedimento di determinazione del valore immobiliare a fini ICI/IMU. 4. In data 9.1.2020 si costituiva il Comune di (omissis), per resistere al ricorso. 5. Seguiva la presentazione di memorie difensive, anche in replica, a cura delle parti. 5.1 In particolare, la difesa comunale deduceva ed eccepiva, in sintesi, quanto segue: - l'attuazione del Piano degli insediamenti produttivi è avvenuto per il tramite della società consortile mista, di cui è socia la stessa ricorrente. Tale società aveva, fra l'altro, il compito di realizzare le opere di urbanizzazione, primarie e secondarie, reclamate dalla ricorrente; - nella Convenzione del 27.1.2003, di assegnazione dei lotti (omissis) e (omissis) alla Se., in base al combinato disposto di cui agli artt.2 e 6, previsto l'obbligo dell'assegnataria di versare le quote per la realizzazione degli oneri di urbanizzazione che il Comune non intenda realizzare (art. 2) e di provvedere alla relativa realizzazione in conformità alla disciplina statutaria della società consortile mista per azioni, unico soggetto tenuto alla realizzazione delle opere di urbanizzazione. Il Comune, invece, non aveva assunto alcun obbligo in ordine alla realizzazione di dette opere e, peraltro, la stessa ricorrente nella corrispondenza intercorsa aveva evidenziato l'autonomia e la completezza dell'area (cd. ex Omep), che, rispetto ai lotti (omissis) e (omissis), ha in comune l'accesso; - la decadenza dall'azione risarcitoria ex art. 30, co.3 cpa, posto che- a dire della ricorrente- la conoscenza dei fatti asseritamente lesivi risalirebbe al 2002, mentre il ricorso è stato notificato soltanto nel 2019; - l'infondatezza nel merito della pretesa risarcitoria, atteso che nessun obbligo di realizzazione delle opere di urbanizzazione competeva al Comune di (omissis), in forza di quanto previsto dagli artt.2 e 6 della Convenzione sottoscritta fra le parti il 27.1.2003, nonché dallo statuto societario della società consortile per azioni partecipata anche dalla stessa ricorrente; - l'assegnazione dei lotti (omissis) e (omissis) è stata sollecitata al Comune dalla stessa ricorrente, lasciando inalterata la stessa Ar. Om.- su., interamente urbanizzata e facilmente accessibile; - anche in assenza di uno specifico obbligo a risolvere la problematica, il Comune di (omissis), in via meramente collaborativa, ha favorito il contraddittorio, con una serie di incontri a partire dal 2012. Ebbene, dai verbali dei suddetti incontri si evince, in particolare, che, con delibera assembleare dei soci del 28.11.2005, la società consortile ha stabilito la non necessità delle opere di urbanizzazione in area Nord del PIP e, contestualmente, l'esonero dall'addebito ai soci, ricorrente inclusa, dei relativi costi. L'assemblea, a cui ha partecipato la stessa Se., è stata da quest'ultima favorevolmente votata; - ulteriormente, l'operato della Se. è affetto da negligenza nella tutela delle pretese asserite, rilevante ex art. 30, co.3 cpa, non avendo questa tempestivamente richiesto il rilascio del permesso di costruire e impugnato le varianti al PIP approvate nel 2006 e nel 2009, nonostante queste continuassero ad includere i lotti (omissis) e (omissis). 5.2 La difesa di parte ricorrente replicava: - sulla opposta decadenza, non si applica l'art. 30, co.3 cpa, trattandosi di azione sottoposta all'ordinario termine di prescrizione decennale, per violazione di diritti soggettivi (e non di interessi legittimi), devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo ex art. 133, co.1, lett. f) cpa. Tale termine non sarebbe ancora decorso, tenuto conto che, a seguito del permesso di costruire rilasciato nel 2009, con nota prot.n. 14421 dell'11.4.2021 la ricorrente ha comunicato l'avanzato stato dei lavori, mentre solo successivamente a tale data non è stato possibile procedere a completare i lavori; - è pretestuoso il richiamo alle funzioni della società consortile mista, dal momento che, ai sensi dell'art. 2 dello Statuto, è il Comune il soggetto obbligato in via principale alle opere di urbanizzazione e, solo in via residuale, alla società consortile, cui compete ordinariamente la sola gestione delle cose comuni. Il Comune, del resto, ha realizzato direttamente le opere di urbanizzazione prima del PIP; - nessun ritardo nella richiesta del permesso di costruire è imputabile alla ricorrente, la quale non ha potuto completare l'opera, in armonia con quanto previsto dall'art. 12, co.1 D.p.r. n. 380/2001; - non corrisponde al vero che i lotti (omissis) e (omissis) sarebbero fruibili in quanto pienamente urbanizzati. Tale condizione, al contrario, si riferisce all'intera Area ex (omissis) e non ai lotti in questione, che restano interclusi; - è lo stesso Comune a riconoscere l'esclusiva responsabilità per la mancata realizzazione delle opere di urbanizzazione, propedeutiche al completamento dell'opificio ed all'avvio dell'attività produttiva, proprio nella delibera n. 202/2017, con la quale ha dato atto dell'insussistenza di azioni risolutive in ordine alla problematica più volte rappresentata dalla società ricorrente. 6. All'udienza del 1 dicembre 2021 la causa è stata quindi trattenuta in decisione. DIRITTO 1. La presente controversia ha ad oggetto la pretesa risarcitoria avanzata dalla società ricorrente nei confronti del Comune di (omissis), in relazione alla supposta mancata attivazione dello stesso per la realizzazione delle opere di urbanizzazione necessarie al completamento dei lavori di attrezzaggio dell'opificio, assegnato alla ricorrente nell'area PIP (lotti (omissis) e (omissis)), ed all'avvio dell'attività produttiva. 2. In via preliminare, il Collegio scrutina l'eccezione di decadenza, ex art. 30, co.3 cpa, formulata dalla difesa del Comune resistente. L'eccezione non è fondata. In primo luogo, la decadenza ex art. 30 co.3 cpa è applicabile in relazione al danno da lesione di interessi legittimi, laddove, nella fattispecie, come condivisibilmente argomentato da parte ricorrente, viene ad emersione una dedotta lesione di diritti soggettivi, conseguente, nella prospettiva attorea, al fatto materiale-inerzia del Comune nell'adempimento dei suoi obblighi conseguenti all'assegnazione dei lotti (omissis) e (omissis) alla ricorrente. Sebbene parte ricorrente non manchi di censurare, in modo trasversale, anche la stessa assegnazione di tali lotti, in quanto interclusi, e l'adozione di successivi provvedimenti (es. rilascio del permesso di costruire n. 6/2009 senza prescrizioni o avvertenze), la pretesa risarcitoria si fonda, essenzialmente, sulla violazione di obblighi consistenti in attività materiale e non provvedimentale, talchè appare applicabile, eventualmente, la prescrizione ex artt.2934 c.c. e ss. (piuttosto che la decadenza ex art. 30, co.3 cpa), tuttavia non eccepita dalla difesa del Comune e pertanto giammai rilevabile ex officio dal giudice in applicazione della regola di cui all'art. 2938 c.c.. Inoltre, non è provato, sulla base della prospettazione fornita dalla difesa del Comune nell'argomentazione dell'eccezione di decadenza, che i fatti dedotti a sostegno della pretesa risarcitoria siano successivi all'entrata in vigore del codice del processo amministrativo, di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, posto che, come affermato dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 6 del 6 luglio 2015, l'ipotesi decadenziale ivi prevista, avendo portata sostanziale innovativa, non è applicabile ai fatti illeciti anteriori al predetto codice. 3. Venendo al merito, il ricorso è infondato, avuto riguardo ai motivi ed alle argomentazioni riportati al par.3 (e relativa sottonumerazione), della parte in fatto della presente decisione, e come meglio articolati nel relativo atto processuale, per le ragioni di seguito esposte. 4. Ad avviso del Collegio, sulla base della complessiva ricostruzione dei fatti operata dalle parti in giudizio, non emerge la responsabilità del Comune di (omissis) nella causazione del danno per cui è controversia. Giova rilevare, al riguardo, che: - i lotti (omissis) e (omissis) sono stati assegnati dal Comune alla società ricorrente dietro esplicita richiesta di quest'ultima, e allo scopo è stata sottoscritta, fra le parti, la Convenzione del 27.1.2003, talchè non appare conferente la censura di parte ricorrente circa l'inopportunità di ricomprendere i lotti in questione nell'ambito del PIP. Inoltre, non è stata smentita l'affermazione della difesa comunale secondo cui la società ricorrente non ha impugnato le delibere del 2006 e del 2009, di variante al PIP, che continuavano a includere nel PIP i lotti (omissis) e (omissis), di proprietà della ricorrente ed alla medesima assegnati dal Comune con la citata Convenzione del 27.1.2003; - sulla base di quanto previsto dal combinato disposto di cui agli artt.2 e 6 di detta Convenzione, il Comune non ha assunto l'obbligo incondizionato di realizzare le opere di urbanizzazione. Viceversa, è l'assegnatario che si è esplicitamente obbligato a realizzare (e sostenere finanziariamente pro quota) le opere di urbanizzazione "che il Comune non intenda realizzare direttamente", sia pure nella misura e nella modalità indicate dalla società consortile mista per azioni cui la ricorrente stessa ha aderito divenendo socia; analoga disciplina, si ricava dalla piana lettura dell'art. 2 dello statuto della società consortile. Nello specifico, poi, consta in atti (cfr. all.to 18 deposito di parte resistente del 20.10.21) che, giuste delibere assembleari e di consiglio di amministrazione, rispettivamente del 28.11.2005 e del 6.12.2005, non avversate dalla odierna ricorrente, la società consortile ha stabilito di "non includere tra le urbanizzazioni da realizzare quelle afferenti l'area nord e di escludere quindi gli assegnatari di quei lotti dalla ripartizione dei relativi costi" (v. anche il verbale del 20.2.2012). Pertanto, non avendo il Comune proceduto direttamente all'urbanizzazione dell'area nord, in forza della Convenzione del 27.1.2003 (ed alla conforme previsione statutaria della società consortile mista per azioni, di cui la ricorrente era ed è socia), l'urbanizzazione competeva alla società consortile ed ai soci di quest'ultima, sostenendone i relativi costi; tuttavia, giuste le delibere sopra citate, peraltro inoppugnate (in difetto di prova a contrario), la società consortile (e non il Comune, quindi) ha espressamente stabilito di non procedere all'urbanizzazione dell'area nord, in cui si trovano i lotti in questione; - non emergono, in definitiva, specifiche responsabilità ascrivibili all'inerzia del Comune circa la mancata realizzazione delle opere propedeutiche alla realizzazione dell'opificio ed all'attivazione del ciclo produttivo, ovvero all'attività provvedimentale posta in essere in relazione alla vicenda de qua. Non sconfessano, vieppiù, tale assunto né l'avvenuto rilascio ("senza avvertenze") del permesso di costruire n. 6/2009 (incombenza necessaria, oltre che autonoma, rientrante nelle prerogative istituzionali del Comune ai sensi del D.p.r. n. 380/2001), né la delibera giuntale n. 202 del 20.6.2017, con la quale il Comune di (omissis) ha consentito l'allaccio della ricorrente alle reti comunali esistenti; trattasi, a ben guardare, di una determinazione (peraltro assunta per scopi di definizione bonaria e non comportante assunzione di responsabilità del Comune), del tutto ininfluente ai fini della presente controversia, posto che essa non modifica gli aspetti salienti della vicenda, come sopra ripercorsi e vagliati, né elide la circostanza, pacifica in atti, dell'avvenuta decadenza del PIP, per decorso del termine decennale, rappresentata alla ricorrente con nota prot.n. 18628 del 6.4.2017. 5. Per tutto quanto precede, il ricorso va respinto, in quanto infondato. Le spese di giudizio seguono l'ordinario criterio della soccombenza della ricorrente, per essere liquidate in favore del Comune resistente come indicato in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione Staccata di Salerno Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna altresì la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore del Comune di (omissis), che liquida in complessivi euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2021, con l'intervento dei magistrati: Nicola Durante - Presidente Paolo Severini - Consigliere Igor Nobile - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. IMPERIALI Luciano - Presidente Dott. PELLEGRINO Andrea - rel. Consigliere Dott. PARDO Ignazio - Consigliere Dott. DI PISA Fabio - Consigliere Dott. TUTINELLI Vincenzo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), n. a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. (OMISSIS) e dall'avv. (OMISSIS), di fiducia; avverso la sentenza n. 8/2019 in data 12/07/2019 della Corte di appello di Trento; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere PELLEGRINO Andrea; preso atto che e' stata avanzata tempestiva richiesta difensiva di discussione in presenza Decreto Legge n. 137 del 2020, ex articolo 23, comma 8, convertito dalla L. n. 176 del 2020; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale BALDI Fulvio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; uditi i difensori, avv. (OMISSIS) e avv. (OMISSIS), che hanno concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso con l'annullamento della sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 11/06/2016, il Tribunale di Bolzano assolveva, ex articolo 530 c.p.p., comma 2, (OMISSIS) dal reato di cui all'articolo 81 c.p., comma 2, articolo 314 c.p., comma 1 e articolo 61 c.p., n. 7 per essersi, quale Presidente della Giunta Provinciale della Provincia Autonoma di Bolzano, come tale pubblico ufficiale, appropriato di varie somme (complessivamente 556.189,65, costituente il c.d. "Fondo spese riservate" previsto dalla L.P. n. 6 del 1994, articolo 2) di cui aveva il possesso o comunque la disponibilita' in ragione del proprio ufficio, indicate al capo A) delle imputazioni, nei modi ivi descritti, tra il 2004 ed il 2012, perche' il fatto non sussiste in relazione ai fatti descritti ai n.ri 1, 2, 3 e 4 e perche' il fatto non costituisce reato in relazione ai fatti descritti al n. 5, nonche' dal reato di cui al capo B), ex articolo 81 c.p., comma 2 e L. 2 maggio 1974, n. 195, articolo 7, commi 1 e 2, perche' il fatto non sussiste. 1.1. Con sentenza in data 30/05/2017, la Corte di appello di Trento, parzialmente riformando quella di primo grado, assolveva (OMISSIS) da tutti i reati ascritti al capo A) perche' il fatto non costituisce reato, permanendo insuperabili ragionevoli dubbi sulla sussistenza dell'elemento psicologico del reato. 1.2. Con sentenza in data 11/09/2018, la Suprema Corte di cassazione, sesta sezione penale, annullava senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai fatti di peculato di cui al punto 5 tabella E, commessi sino all'11/03/2006 perche' estinti per prescrizione ed annullava con rinvio relativamente alla restante imputazione di cui al punto 5 tabella E, rinviando per nuovo giudizio su tale capo alla Corte di appello di Trento, con rigetto nel resto. 1.3. Con sentenza in data 12/07/2019, la Corte di appello di Trento, quale giudice di rinvio, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) in ordine al reato di peculato per le condotte distrattive consumate fino al 12/12/2006, per intervenuta prescrizione, condannandolo per le condotte successive alla pena di anni due, mesi sei di reclusione con la pena accessoria di legge, previa esclusione della contestata aggravante e riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. 2. Avverso detta sentenza, nell'interesse di (OMISSIS), viene proposto ricorso per cassazione. 3. Lamenta il ricorrente: - primo motivo: nullita' della sentenza per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita', inutilizzabilita', di inammissibilita' o di decadenza in relazione all'articolo 414 c.p.p.; si censura l'esercizio dell'azione da parte del pubblico ministero pur in presenza di precedente disposta archiviazione. Detta causa di improcedibilita' era stata rilevata dalla difesa fin dalle conclusioni assunte nell'ambito del giudizio di primo grado, successivamente riproposta quale specifico motivo di impugnazione e nuovamente risollevata in sede di conclusioni del giudizio di appello scaturito a seguito dell'annullamento con rinvio disposto dalla Suprema Corte; - secondo motivo: nullita' della sentenza per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita', inutilizzabilita', di inammissibilita' o di decadenza in relazione all'articolo 603 c.p.p. e articolo 627 c.p.p., comma 2, nonche' per carenza, manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato. La censura verte sul mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale formulata in sede di giudizio di rinvio, richiesta che, con specifico riferimento alla perizia contabile, era gia' stata avanzata con l'atto di appello incidentale del 29/10/2016 proposto avverso la sentenza di prime cure. Ed il potere del giudice di rinvio di rivisitare il fatto con pieno apprezzamento deve potersi esplicare anche a mezzo di integrazioni del compendio probatorio nelle forme di cui all'articolo 627 c.p.p., comma 2, nella specie finalizzata ad accertare la data del fatto appropriativo e della conseguente interversione del possesso; - terzo motivo: nullita' della sentenza per inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 314 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972, articolo 54, n. 1) in relazione al combinato disposto della Legge provinciale n. 6 del 1989, articolo 5, (legge istitutiva delle spese di rappresentanza) e della delibera della Giunta provinciale n. 1257/2009 ed in relazione all'articolo 12, comma 2 delle preleggi. Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha contestato il fondamento normativo che consente agli amministratori provinciali il rimborso delle spese sostenute ed anticipate con fondi propri, frutto di un'errata interpretazione del quadro normativo vigente all'epoca dei fatti contestati; - quarto motivo: nullita' della sentenza per inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 5 c.p., nella lettura data dalla Corte Cost. con sent. n. 364/1988, nonche' per carenza, manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato ovvero dall'omessa considerazione di prove decisive. Si ritiene che la Corte territoriale non abbia fatto buon governo del disposto dell'articolo 5 c.p., secondo l'interpretazione resa dalla Corte costituzionale n. 364/1988: invero, se si dovesse ritenere la delibera della Giunta Provinciale n. 1257/2009 non idonea a consentire - in via di applicazione analogica ex articolo 12 preleggi - il rimborso in caso di anticipazione di spese riservate con denaro proprio, cio' nonostante si dovrebbe concludere che la predetta norma di esecuzione, nel contesto del quadro legislativo all'epoca dei fatti in tema di spese riservate/spese di rappresentanza, ha indubbiamente favorito l'insorgenza di un errore inevitabile, come tale scusabile ai sensi dell'interpretazione costituzionalmente orientata dell'articolo 5 c.p., Un altro aspetto di contraddittorieta' e/o manifesta illogicita' della motivazione, sul punto del mancato riconoscimento dell'esimente, si ricava dall'omessa considerazione di prove acquisite nel corso dell'istruttoria dibattimentale del giudizio di primo grado (v. testimonianza (OMISSIS)) a comprova dell'esistenza di una prassi amministrativa da tutti considerata lecita consistente nell'anticipare con proprio denaro le spese assimilabili al cd. fondo riservato, anticipazione che poi ha trovato un esplicito riconoscimento, ai fini del rimborso, nella delibera della Giunta provinciale n. 1257/2009; parimenti, non era stata valutata la testimonianza dell'ex procuratore capo di Bolzano, (OMISSIS) che aveva creato un affidamento incolpevole del (OMISSIS) in materia di gestione del fondo "spese riservate", supportato dalla prassi seguita nei decenni precedenti dal dato normativo costituito dalla Delib. n. 1257 del 2009 e dalla tacita approvazione da parte della Procura della Repubblica di Bolzano che aveva proceduto a richiedere l'archiviazione del fascicolo nell'ambito del quale era emersa la titolarita' e la gestione del cd. fondo riservato; -quinto motivo: nullita' della sentenza per inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 314, 316 ter c.p., nonche' per carenza, manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato. Dalla motivazione della sentenza impugnata si evincono tutti gli elementi della fattispecie di cui all'articolo 316 ter c.p., nel testo vigente a seguito dell'entrata in vigore della L. n. 3 del 2019, da considerarsi norma incriminatrice piu' favorevole. E' indubitabile, infatti, che il cd. fondo riservato rientra nel concetto di contributi, finanziamenti o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, erogate da altri enti pubblici (come nella specie, la Provincia autonoma di Bolzano); - sesto motivo: nullita' della sentenza per inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 81 cpv. e 133 c.p., nonche' per carenza, manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato. La concreta determinazione della pena, oltre ad apparire eccessiva rispetto all'effettiva entita' delle condotte ascritte al ricorrente, risulta non concretamente motivata, risolvendosi essenzialmente in un generico e del tutto discrezionale aumento cumulativo per fatti avvinti dal nesso della continuazione. Nulla e' dato comprendere circa il criterio adottato e le considerazioni in base alle quali la Corte territoriale e' pervenuta a quell'aumento, cumulativamente determinato in violazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita'. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. La questione dedotta con il primo motivo di ricorso (difetto di procedibilita' ex articolo 414 c.p.p., con richiesta di non doversi procedere ex articolo 529 c.p.p.) risulta del tutto tardiva. La stessa e' stata sollevata per la prima volta come motivo subordinato nell'appello incidentale proposto dalla difesa con atto in data 29/10/2016 (la conferma dell'assoluzione nel merito da parte del giudice di secondo grado, con sentenza 30/05/2017, ha consentito di ritenere assorbita la questione nella decisione finale). Successivamente, detta censura non risulta essere stata piu' coltivata nella memoria difensiva depositata in data 10/09/2018 avanti la Suprema Corte a contrasto delle doglianze sollevata dalla Pubblica Accusa, con conseguente formazione di giudicato implicito sul punto, a giustificazione del relativo "silenzio" sulla questione sia da parte del giudice di legittimita' sia da parte del giudice del rinvio e conseguente impossibilita' di scrutinare la tardiva riproposizione della questione nella presente sede. Entrando nel merito della questione e per quanto ad abundantiam, va peraltro rilevato che - come evidenziato dalla Procura generale - essendosi in presenza di fatti di reato a consumazione prolungata (dal 2004 al 2012), la funzione preclusiva del decreto di archiviazione disposto dal giudice delle indagini preliminari deve ritenersi spiegare efficacia esclusivamente nei confronti di quei fatti a cui l'archiviazione si riferisce e non anche rispetto a quelli successivi. Ne consegue che, le condotte criminose databili in un momento cronologicamente successivo al decreto di archiviazione (emesso in data 02/02/2005) godono di autonoma rilevanza penale, sicche' per esse non rilevano i sentieri tracciati dall'articolo 414 c.p.p., ai fini della procedibilita' (cfr., Sez. 2, n. 26762 del 17/03/2015, Sciascia, Rv. 264222, secondo cui, in tema di archiviazione, nell'ipotesi di reato permanente, l'efficacia preclusiva del decreto emesso dal giudice per le indagini preliminari, non seguito dall'autorizzazione alla riapertura delle indagini, non impedisce lo svolgimento di nuove investigazioni e, quindi, l'esercizio dell'azione penale in relazione a fatti e comportamenti atti a dimostrare la consumazione dell'illecito limitatamente a segmenti temporali successivi all'archiviazione; nello stesso senso, v. Sez. 5, n. 43663 del 14/05/2015, Caponera, Rv. 264923; Sez. 2, n. 14777 del 19/01/2017, Caponera, Rv. 270221). 3. Manifestamente infondato e' il secondo motivo. Alcune premesse si rendono doverose. 3.1. La Suprema Corte, annullando parzialmente la sentenza di appello, ha demandato al giudice del rinvio l'accertamento del dolo del delitto di peculato. Correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto non piu' sindacabile la oggettiva materialita' della condotta ascritta al (OMISSIS), acclarata dai giudici di merito (che hanno espressamente ritenuto provata "... la condotta appropriativa in se', ossia la destinazione di denaro pubblico a finalita'... abnormi...": v. pag. 414 della sentenza 11/06/2016 del Tribunale collegiale di Bolzano) e convalidata dai giudici di legittimita'. Su queste premesse, la sentenza impugnata riconosce e ribadisce come "le spese per fini incontestabilmente privati (ndr., biglietti aerei per se', per la propria compagna e per i di lei familiari; viaggi in elicottero a Venezia; pagamento imposte dirette sue e di suo figlio, ICI, tassa rifiuti e sulle acque reflue; assicurazione sulla sua abitazione in localita' Falzes; pagamento onorari del dentista e del notaio per se' e per la propria ex compagna; computer portatile e assicurazioni private della ex compagna; fatture della sua ex moglie; gasolio per il riscaldamento della casa; quote associative per la pesca e per la confraternita del vino, per fiori, munizioni, rinnovo della propria patente di caccia, un binocolo, DVD ai familiari; spese annuali per i suoi alveari; bollo, cambio gomme e benzina per la sua autovettura privata; acquisto di medicinali; pranzo di nozze del figlio; articoli da regalo; quote associative di associazioni a cui era associato a titolo personale; imprecisati prestiti personali ed altro, per complessivi n. 547 prelievi)... sottratte al "fondo riservato" del bilancio della Provincia Autonoma di Bolzano, ammontano ed Euro 180.731,92, diluite entro un arco temporale che va dal dicembre 2004 al settembre 2012. La materialita' della confluenza di questo pubblico denaro nei conti privati dell'imputato... e'... incontestabile, emergente dalla complessa ed articolata istruttoria demandata alla Guardia di Finanza, istruttoria costituente a sua volta un'eco di quella condotta avanti la giustizia contabile, che pure ha accertato il danno erariale in capo a (OMISSIS)...". 3.1.1. Il ricorrente adduce a discolpa la restituzione a mezzo di una compensazione con il denaro che lo stesso dichiarava di aver anticipato di tasca propria, filantropicamente, a favore di privati cittadini, prevalentemente bisognosi. 3.1.2. Invero, come ricordato nella sentenza impugnata, il peculato si consuma nel momento in cui ha luogo l'appropriazione della "res" o del danaro da parte dell'agente, la quale, anche quando non arreca, per qualsiasi motivo, danno patrimoniale alla P.A., e' comunque lesiva dell'ulteriore interesse tutelato dall'articolo 314 c.p., che si identifica nella legalita', imparzialita' e buon andamento del suo operato (cfr., Sez. U, n. 38691 del 25/06/2009, Caruso, Rv. 244190, in fattispecie nella quale il ricorrente, concessionario di un pubblico servizio, aveva sostenuto di aver trattenuto le somme incassate per conto dell'ente, per soddisfare un proprio diritto di credito, vantato nei confronti di quest'ultimo, ricorrendo a una sorta di autoliquidazione; nello stesso senso, v., Sez. 6, n. 26476 del 09/06/2010, Rao, Rv. 248004; Sez. 6, n. 29262 del 17/05/2018, C., Rv. 273445). 3.2. Su queste premesse, perde totalmente di fondamento ed efficacia la tesi difensiva della liceita' dell'autoliquidazione attuata attraverso prelievi diretti dal "fondo riservato" di presunti. (perche' non controllati ne' controllabili) crediti vantati nei confronti del bilancio pubblico per somme asseritamente anticipate, con irrilevanza - rispetto al portato della disposizione normativa - della previsione contenuta nella deliberazione della Giunta nel 2009 (atto amministrativo) afferente il diverso capitolo delle "spese di rappresentanza". 3.3. Fermo quanto precede, la censura difensiva volta a sindacare il mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale con riferimento all'espletamento di perizia contabile finalizzata a verificare la congruita' dei prelievi (nessuno dei quali - come detto - adeguatamente documentato, in quanto rimesso ad "informali e scarabocchiate autocertificazioni" di mano dello stesso (OMISSIS)) rispetto alle precedenti uscite, appare del tutto ultronea rispetto alla questione centrale che fissa il divieto assoluto di procedere a compensazione (vera o presunta che sia) in presenza di precedente condotta distrattiva di fondi pubblici ai fini privati. Va, peraltro, ricordato come, nel giudizio di rinvio, a seguito di annullamento per vizio di motivazione, non ricorre alcun obbligo di rinnovazione d'ufficio della prova dichiarativa ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, atteso che il giudice del rinvio, nell'ambito del perimetro delibativo fissato dalla pronuncia rescindente, e' libero di valutare autonomamente i dati probatori e la situazione di fatto concernente i punti oggetto di annullamento, mentre l'eventuale rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, ai sensi dell'articolo 627 c.p.p., comma 2, e' subordinata allo scrutinio in ordine alla rilevanza per la decisione - nella specie, motivatamente esclusa - delle prove nuovamente richieste dalle parti con i motivi di appello (Sez. 5, n. 5209 del 11/12/2020, dep. 2021, Ottino, Rv. 280408). 3.4. Con riferimento poi al dedotto vizio motivazionale, la manifesta infondatezza appare di tutta evidenza. 3.4.1. Sotto un primo aspetto, perche', come ripetutamente riconosciuto dalla giurisprudenza, in tema di ricorso per cassazione, i vizi di motivazione indicati dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non sono mai denunciabili con riferimento alle questioni di diritto, non solo quando la soluzione adottata dal giudice sia giuridicamente corretta, ma anche nel caso contrario, essendo, in tale ipotesi, necessario dedurre come motivo di ricorso l'intervenuta violazione di legge (da ultimo, Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo ed altri, Rv. 280027). E, d'altro canto, l'interesse all'impugnazione potrebbe nascere solo dall'errata soluzione di una questione giuridica, non dall'eventuale erroneita' degli argomenti posti a fondamento giustificativo della soluzione comunque corretta di una siffatta questione (cfr., ex multis, Sez. 4, n. 4173 del 22/02/1994, Marzola ed altri, Rv. 197993). 3.4.2. Sotto un secondo aspetto, perche', la concomitante proposizione di una censura cumulativa e/o alternativa in relazione a tutti e tre i profili del vizio di motivazione e', come tale, inammissibile (Sez. U, n. 29541/2020, cit., non massimata sul punto). Invero, il ricorrente che intenda denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimita' ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), ha l'onere - sanzionato a pena di aspecificita', e quindi di inammissibilita', del ricorso - di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimita' la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione. 4. Aspecifico e comunque manifestamente infondato e' il terzo motivo. Il ricorrente insiste pedissequamente, finendo per rendere aspecifico il motivo, su una censura che ha avuto ampia e giuridicamente corretta motivazione in sede di giudizio di merito. In sostanza, come si e' visto, la Corte territoriale ha chiaramente evidenziato come il ricorrente non potesse farsi accreditare somme dal "fondo riservato", nemmeno sotto forma di asseriti rimborsi per somme anticipate, ritenendo pertanto integrata la fattispecie di peculato. Del tutto inconsistenti sul punto sono gli assunti difensivi facenti perno sulla disciplina circa le spese di rappresentanza, in quanto i giudici del rinvio hanno esaurientemente motivato come le spese per le quali si e' penalmente proceduto non possano essere in tal senso qualificate. Le spese di rappresentanza - come si legge nella sentenza di annullamento - sono solo quelle che soddisfano il duplice requisito di essere destinate alla realizzazione di un fine istituzionale dell'ente che le sostiene e di essere funzionali a soddisfare la funzione rappresentativa esterna dell'ente pubblico, al fine di accrescere il prestigio della sua immagine e la diffusione delle relative attivita' istituzionali nell'ambito territoriale di operativita' (Sez. 6, n. 16529 del 23/02/2017, Ardigo', Rv. 270794; Sez. 6, n. 10135 del 06/11/2012, dep. 2013, Raimondi e altro, Rv. 254763). 5. Manifestamente infondato e' il quarto motivo. Ferme le valutazioni compiute nel precedente paragrafo 3.4.2. del considerato in diritto, con riferimento alla dedotta violazione di legge, evidenzia il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimita', in tema di peculato, l'errore del pubblico ufficiale circa la propria facolta' di disposizione di un bene pubblico per fini diversi da quelli istituzionali non configura un errore di fatto su legge diversa da quella penale, atto ad escludere il dolo, ma costituisce errore o ignoranza della legge penale il cui contenuto e' integrato dalla norma amministrativa che disciplina la destinazione del bene pubblico (Sez. 6, n. 13038 del 10/03/2016, Bertin, Rv. 266192). Pertanto, del tutto corretta e' la motivazione con la quale la sentenza impugnata ha escluso la asserita buona fede dell'imputato, non potendo escludere il dolo e far ritenere l'ipotesi dell'errore inevitabile una precedente prassi (tollerata) in tal senso ovvero una distorta interpretazione estensiva di un precedente giurisprudenziale di merito. In tal senso, si e' ritenuto di non poter escludere l'elemento soggettivo del reato di abuso di ufficio allorquando una prassi diffusa si sia inserita in un contesto giuridico amministrativo, se non contrario, incerto in ordine alla possibilita' di realizzare l'attivita' contestata, dovendo il pubblico dipendente, o comunque la persona addetta ad un pubblico servizio, astenersi dal porre in essere comportamenti dubbi ed acquisire dai competenti organi amministrativi le necessarie informazioni ed assicurazioni circa la legittimita' dell'attivita' svolta, in modo da adempiere a quell'onere informativo che puo' rendere scusabile l'errore sulla legge penale (Sez. 3, n. 33039 del 04/11/2015, dep. 2016, Guardigni e altri, Rv. 268120). 6. Manifestamente infondato e' il quinto motivo. Ferme - ancora una volta - le valutazioni compiute nel precedente paragrafo 3.4.2. del considerato in diritto, con riferimento alla dedotta violazione di legge, evidenzia il Collegio che, se e' ben vero che nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, al giudice e' consentito non solo procedere all'esame completo del materiale probatorio ma anche compiere eventuali nuovi atti istruttori necessari per la decisione che ben potrebbero condurre alla medesima decisione oggetto di pregresso annullamento (cfr., Sez. 2, n. 37407 del 06/11/2020, Pmt c/Tamburrino, Rv. 280660), e' altrettanto vero come il giudizio rescissorio incontri comunque due limiti ben precisi: il primo, rappresentato dall'obbligo di motivare adeguatamente rispetto ai singoli punti oggetto di annullamento da parte della sentenza rescindente; il secondo, costituito dal divieto di travolgere l'avvenuta formazione progressiva del giudicato. Nella fattispecie, la pronuncia di annullamento ha reso indiscutibile non solo l'oggettivita' del fatto nella sua dimensione oggettiva ma anche la sua qualificazione giuridica: da qui la conseguente impossibilita' di una sua rivisitazione. 7. Manifestamente infondato e' il sesto motivo. Ferme - ancora una volta - le valutazioni compiute nel precedente paragrafo 3.4.2. del considerato in diritto, con riferimento alla dedotta violazione di legge, evidenzia il Collegio come il trattamento sanzionatorio (ivi considerato l'aumento di pena ex articolo 82 c.p.) sia stato disposto in piena osservanza dei criteri di discrezionalita' vincolata di cui all'articolo 133 c.p.. Invero, la graduazione della pena rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, che la esercita, cosi' come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142), cio' che - nel caso di specie - non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantita' di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, e' necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p., le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596). Infine, in tema di determinazione della pena nel reato continuato, non sussiste obbligo di specifica motivazione per operare l'unico ovvero ogni singolo aumento, tanto piu' in ipotesi di contestazione di continuazione interna, essendo invece sufficiente indicare le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base (cfr., Sez. 2, n. 18944 del 22/03/2017, Innocenti, Rv. 270361; Sez. 4, n. 23074 del 22/11/2016, Paternoster, Rv. 270197; Sez. 2, n. 43605 del 14/09/2016, Ferracane, Rv. 268451; Sez. 5, n. 29847 del 30/04/2015, Del Gaudio, Rv. 264551). 8. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche' al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro duemila. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI VENEZIA - SECONDA SEZIONE CIVILE - La Corte d'Appello di Venezia, Seconda Sezione civile, riunita in Camera di Consiglio nella seguente composizione: dott. Guido Santoro Presidente dott. Enrico Schiavon Consigliere dott. Innocenza Vono Consigliere rel. ed est. ha pronunciato la seguente sentenza nella causa civile di secondo grado iscritta al n. r.g. 418 del ruolo generale dell'anno 2020 promossa DA Ministero dell'Interno (C.F. (...)), in persona del Ministro p.t., e Ministero dell'Economia e delle finanze (C.F. (...)), in persona del Ministro p.t., rappresentati e difesi dall'AVVOCATURA DISTRETTUALE DELLO STATO DI VENEZIA contro Comune di Cavaion Veronese (C.F. (...)), IN PERSONA DEL Sindaco p.t., con l'avv. MA.RO. OGGETTO: Appello avverso sentenza n. 63/2020 pubblicata il 15.1.2020 emessa dal Tribunale di Venezia nel proc. n. r.g. 12994-17 - Contenzioso di diritto tributario e doganale. Ministero dell'Interno (C.F. (...)), in persona del Ministro p.t., e ministero dell'economia e delle finanze (C.F. (...)), in persona del Ministro p.t., rappresentati e difesi dall'AVVOCATURA DISTRETTUALE DELLO STATO DI VENEZIA contro Comune di Cavaion Veronese (C.F. (...)), IN PERSONA DEL Sindaco p.t., con l'avv. MA.RO. OGGETTO: Appello avverso sentenza n. 63/2020 pubblicata il 15.1.2020 emessa dal Tribunale di Venezia nel proc. n. r.g. 12994-17 - Contenzioso di diritto tributario e doganale. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Svolgimento del processo. 1.1. La vicenda trae origine dai problemi interpretativi sorti in relazione all'art. 64 della L. 23.12.2000, n. 388 (Legge Finanziaria 2001) per la determinazione degli interventi statali a sostegno dei Comuni, resi necessari a seguito della diminuzione di gettito dell'Imposta Comunale sugli Immobili (c.d. ICI). 1.2. Nel presente giudizio, l'azione proposta dal Comune di Cavaion Veronese ha ad oggetto il pagamento delle somme indebitamente trattenute dal Ministero dell'Interno con riferimento agli anni d'imposta dal 2001 al 2009. 1.3. L'ente locale, nel convenire in giudizio davanti al Tribunale di Venezia il Ministero degli Interni e il Ministero dell'Economia e delle Finanze, ha chiesto l'accertamento del proprio credito di Euro 49.548,41, sostenendo che, in base all'art. 64 della L. n. 388/2000, i "minori introiti" del Comune da compensare con il trasferimento erariale per gli anni dal 2003 al 2009 (spettanze 20042010), andrebbero calcolati in relazione al complesso degli immobili "D" passati ad autodeterminazione della rendita catastale; ha chiesto, altresì, la condanna dei Ministeri convenuti al pagamento della corrispondente somma di Euro 49.548,41, oltre accessori e spese di lite. 1.4. I Ministeri convenuti si sono costituiti in giudizio chiedendo il rigetto delle pretese attoree, sostenendo l'erroneità dell'interpretazione dell'art. 64 della legge n. 388/2000 e del D.M. n. 197/2002 prospettata dal Comune attore, poiché la formulazione delle disposizioni in materia di trasferimenti compensativi imporrebbe di far riferimento esclusivamente ai minori introiti conseguiti nell'anno di riferimento e non già al gettito totale comprensivo della perdita già compensata con il trasferimento consolidato, con conseguente necessità di verificare, anno per anno, se la perdita aggiuntiva superi o meno l'importo di Euro 1.549,37 e lo 0,5% della spesa corrente risultante dal bilancio di previsione dello stesso anno in cui si era verificata. Hanno eccepito, in ogni caso, la prescrizione quinquennale, o, in subordine, decennale in relazione a ogni singola richiesta non preceduta da debita interruzione dei termini. 1.5. Il Tribunale di Venezia con sentenza n. 63/2020, pubblicata il 15.1.2020, ha accolto la domanda accertando l'ammontare complessivo spettante al Comune di Cavaion Veronese a titolo di trasferimenti compensativi del minore gettito ICI per gli immobili di categoria catastale D passati ad autodeterminazione, per gli anni dal 2001 al 2009 pari a Euro 49.548,41; ha condannato, per l'effetto, i Ministeri convenuti al pagamento della corrispondente somma, oltre interessi nella misura legale dalla data dell'1.3.2016 al saldo effettivo, oltre alla rifusione delle spese processuali. Il primo Giudice ha rigettato l'eccezione di prescrizione ritenendo applicabile il termine decennale in materia di restituzione dell'indebito, interrotto con la diffida datata 1.3.2016, evidenziando che a sostegno della tesi dell'ente comunale depongono quattro ordini di ragioni: - l'argomento "letterale", poiché né l'art. 64 cit. nè il D.M. attuativo n. 197/2002 del Ministro dell'Interno di concerto con il Ministro dell'Economia e Finanze fanno riferimento a raffronti tra gli anni in rilievo ma solo al "minor gettito" o "minor importo" di anno in anno rilevato; - l'argomento "teleologico", essendo il Legislatore intervenuto nel 1998, con la L. n. 448, per regolare la materia prevedendo il trasferimento compensativo per la differenza di reddito tra due anni specifici, il 1993 ed il 1998 (art. 31, comma 3). Se il legislatore, nel 2000, avesse voluto introdurre il criterio degli importi differenziali lo avrebbe previsto espressamente, ben conscio della normativa pregressa, mentre si è limitato a rimuovere le limitazioni temporali e prevedere criteri applicabili in generale, da un punto di vista diacronico. Nella previsione dell'art. 64, primo comma, cit., i minori importi costituiscono il minor gettito (v. art. 2 D.M. attuativo) e l'espressione letterale non consente di "scorporare" dal minor gettito di un anno quello compensato l'anno prima; - l'argomento "sistematico", fondandosi l'ICI sul possesso dell'immobile (c.d. presupposto d'imposta) che ha carattere durevole nel tempo, sicché il minor gettito rilevato in un anno non comporta affatto che l'anno successivo sia assorbito in quanto "il possesso perdura inesorabilmente (in capo all'originario titolare o in capo ad altri)"; - l'interpretazione data dalla stessa amministrazione convenuta pochi giorni prima del gennaio 2009, con la circolare 6/2008 (24 dicembre) nella quale al punto 3 si affermava il contrario di quanto sostenuto successivamente. Le spese di lite sono state poste a carico dei convenuti. 1.6. Avverso la sentenza hanno proposto appello i Ministeri degli Interni e dell'Economia e Finanze, chiedendo il rigetto integrale delle domande svolte dal Comune di Cavaion Veronese. 1.7. Si è costituito il Comune di Cavaion Veronese, opponendosi all'accoglimento dell'appello e chiedendo la conferma della sentenza impugnata. 1.8. L'udienza di precisazione delle conclusioni si è tenuta con le modalità previste dall'art. 83, D.L. n. 18/2020, convertito con legge n. 27/2020, come modificato dall'art. 221 del D.L. n. 34/20, conv. con L. n. 77/2020, e successive modificazioni. 2.I motivi di appello. 2.1. L'appello è articolato in tre motivi. 2.2. Con il primo motivo gli appellanti denunciano la "violazione o falsa applicazione delle norme di cui all'art. 64 della legge n. 388/2000, integrato dal d.m. 197/2000". Secondo la difesa erariale la decisione del Giudice primo grado è basata sull'accoglimento dell'interpretazione dell'art. 64 L. 388/2000 proposta dall'ente comunale, secondo cui i Ministeri avrebbero deciso del tutto arbitrariamente di mutare le modalità di calcolo dei trasferimenti riconosciuti ai Comuni per la diminuzione del gettito I.C.I., senza alcuna base normativa, bensì mediante il comunicato del 23.1.2009. Ad avviso degli appellanti, che evidenziano l'assenza di un orientamento consolidato nella giurisprudenza di merito e di pronunce sul punto della Suprema Corte, "dalla lettura della norma emerge in maniera incontrovertibile che il raffronto con i due parametri", ossia l'importo di Euro 1.549,37 e 0,5% della spesa corrente prevista per ciascun anno "deve essere effettuato esclusivamente con riferimento ai minori introiti dell'ICI derivanti dall'autodeterminazione delle rendite". Secondo le autorità appellanti, il sistema vigente prima del 2000 (c.d. dello "stock") si sostanziava nel riconoscimento a favore dei Comuni della semplice differenza algebrica fra il gettito conseguito dall'I.C.I. con aliquota al 4 per mille nel 1993 (quando a prevalere era il valore contabile) e quello conseguito nel singolo anno di riferimento, ad accatastamento ormai molto avanzato. Al contrario, l'art. 64 cit. ha introdotto il meccanismo del c.d. "differenziale" per cui, consolidati gli esborsi già effettuati in forza del regime previgente, l'aumento dei trasferimenti dovrebbe essere determinato di anno in anno in misura corrispondente ai minori introiti conseguiti dai Comuni per effetto dei minori imponibili derivanti dall'autodeterminazione provvisoria delle rendite catastali dei fabbricati del gruppo D, se superiori a determinate soglie. In altre parole, secondo la difesa erariale, il Legislatore del 2000 ha voluto fare riferimento alle perdite non compensate già con i trasferimenti erariali previamente calcolati e consolidati, posto che le stesse risultano neutralizzate proprio dai predetti trasferimenti. 2.3.A sostegno della tesi sostenuta, gli odierni appellanti evidenziano quanto segue: - dal punto di vista letterale, è, prima di tutto, necessario porre debita attenzione a quanto statuito dall'art. 2, comma 3 del D.M. 197/2002, secondo il quale "il contributo statale determinato in corrispondenza di tale perdita è attribuito nell'anno successivo a quello in cui si è verificata la perdita del gettito dell'ICI. ed è consolidato nei trasferimenti erariali dei comuni interessati". Da questa disposizione trae origine il consolidamento in un "trasferimento erariale" dei contributi prima riconosciuti annualmente, fisso e destinato ad essere incluso nel flusso dei trasferimenti di risorse dallo Stato ai Comuni. - si tratta di un introito consolidato e potenzialmente perpetuo, sicuramente idoneo a compensare le perdite riconducibili agli immobili accatastati negli anni precedenti e rispetto al quale assumono rilevanza solamente i nuovi accatastamenti, idonei a creare nuove perdite di gettito. I "trasferimenti erariali" rappresentano, anche per esplicita previsione dell'art. 149 D. Lgs. 267/2000 (c.d. TUEL) un'entrata per il Comune, ossia un'attività che in nessun caso potrà essere qualificata e considerata, ad altri fini, come una passività o una minore entrata. - l'aliquota applicata rimane cristallizzata al momento dell'accatastamento proprio perché il singolo aumento del contributo statale riconosciuto per ciascun immobile viene determinato e in seguito consolidato nei trasferimenti a favore dei Comuni, in questo modo destinati a sopperire in maniera potenzialmente perpetua al minor gettito del singolo cespite, in via definitiva; - l'interpretazione del comma 3 del D.M. 197/2002, nella parte in cui prevede "per il solo anno 2001 il contributo, come sopra determinato, è riconosciuto al netto degli eventuali contributi a tale titolo attribuiti in applicazione dell'articolo 1, comma 2, del decreto legge 17 dicembre 2000, n. 392, convertito dalla legge 28 febbraio 2001, n. 26" conforta l'idea del 2001 come "anno 0", ossia come inizio dell'applicazione del nuovo regime di computo dei trasferimenti erariali di cui trattasi; - l'All. A al D.M. 197/2002, recante il modello per le dichiarazioni della "minore entrata", fa riferimento, conformemente alla previsione dell'art. 2, comma 4 D.M. 197/2002, ai soli "minori introiti" "a seguito dell'autodeterminazione provvisoria della rendita catastale" conseguiti nell'anno di riferimento e non anche al gettito totale complessivo, già compensato dal trasferimento consolidato; - in senso conforme all'interpretazione sostenuta dai Ministeri si è espresso il Consiglio di Stato, sez. I, parere in sede di Ricorso al Presidente della Repubblica del 13.6.2013, n. 2746 (conf. Cons. Stato, sez. I, parere 14.1.2013, n. 70), il quale ha evidenziato che solamente eventuali perdite aggiuntive a quelle già accertate negli anni precedenti comportano un maggior contributo da calcolarsi in applicazione del nuovo meccanismo di cui al d.m. n. 197/2002, circoscritto, però unicamente al minor gettito risultante dalle tassazioni di immobili che non erano stati considerati negli anni precedenti"; - ulteriore conferma può trarsi da un obiter dictum contenuto in Cass. civ., sez. V, sent. 21.7.2006 n. 16824, da cui è lecito trarre argomenti a sostegno della diversità dei regimi che si sono succeduti nel tempo e, dunque, della diversità delle regole sottese al computo dei trasferimenti erariali a vantaggio dei Comuni; - accedendo alla tesi dell'ente locale si confondono due grandezze che devono essere mantenute ben distinte fra loro, ossia il trasferimento consolidato (che è oramai divenuto una stabile entrata per il Comune) e il minor introito (che persiste nella sua natura negativa), grandezze che non devono venir sommate, assumendo l'una segno positivo e l'altra, invece, negativo. - la circolare n. 6/2008 del Ministero dell'Interno, da cui il Giudice di primo grado ha tratto argomenti a sostegno della propria tesi interpretativa, è priva di forza normativa. Conclusivamente, gli appellanti chiedono l'applicazione del principio in virtù del quale solo eventuali perdite aggiuntive a quelle già accertate negli anni precedenti comportano un maggior contributo da calcolarsi in applicazione del nuovo meccanismo di cui al D.M. 197 del 2002, circoscritto, però, unicamente al minor gettito risultante dalle tassazione di immobili che non erano già stati considerati negli anni precedenti, ove quest'ultima perdita sia, però, di importo superiore a Euro 1.549,73 ed allo 0,5% della spesa corrente risultante dal bilancio di previsione dello stesso anno in cui si è verificato il minore introito. 2.4. Con il secondo motivo censurano il rigetto dell'eccezione di prescrizione, sostenendo l'applicabilità dell'art. 2948, n. 4 in ordine a "tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi". Secondo la difesa erariale sarebbe erronea l'interpretazione del giudice di prime cure nella parte in cui ha negato il sussistere di un unico titolo sotteso ai trasferimenti erariali di cui è causa, non potendo assumere rilievo la variabilità dell'entità del credito, poiché l'unico criterio rilevante è la periodicità della prestazione e, in altre parole, l'esigibilità condizionata al trascorrere del tempo. Il dies a quo dovrebbe essere individuato nella data di entrata in vigore della L. n. 388/2000, da cui chiaramente emerge il nuovo criterio prescelto dal Legislatore nel computo dei trasferimenti ai Comuni, o, in subordine, nella data della circolare 1.12.2009, con conseguente decorrenza del termine quinquennale, risultando priva di efficacia interruttiva la messa in mora datata 29.1.2016. Secondo gli appellanti, nella denegata ipotesi di adesione all'opzione ermeneutica proposta dall'Amministrazione comunale l'applicazione dell'art. 2948, n. 4 c.c. risulterebbe doverosa. 2.5.Con il terzo motivo è censurato il regolamento delle spese processuali, sussistendo, nel caso di specie, valide ragioni per disporre la compensazione, attesa la novità della questione, in luogo della condanna all'integrale rifusione degli oneri processuali adottata dal Tribunale di Venezia, sulla base del disposto dell'art. 92, comma 2 c.p.c., che prevede una deroga al principio di soccombenza "nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti". 3. Esame dei motivi di appello. 3.1. La questione oggetto del giudizio attiene ai criteri di computo della Imposta Comunale sugli immobili (ICI), segnatamente sugli immobili di categoria "D", e alle modificazioni di tali criteri che si sono susseguite nel tempo, nonché ai meccanismi compensativi che lo Stato ha previsto per assicurare una contropartita ai minori introiti conseguiti dagli enti locali a seguito del variare dei criteri di computo dell'imposta. 3.2. L'Imposta Comunale sugli Immobili è stata istituita dal D. Lgs. 30.12.1992, n. 504 a decorrere dall'anno 1993 per incrementare le entrate tributarie comunali, onde essa era stata accompagnata dalla riduzione dei trasferimenti statali, e trova come presupposto d'imposta il possesso di un fabbricato, ossia di un'unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta al catasto urbano. Tuttavia, a causa dell'elevato numero di immobili non iscritti al catasto, il Legislatore ha individuato medio tempore un criterio sussidiario, necessario per calcolare, provvisoriamente e fino all'iscrizione dell'immobile, il tributo dovuto. In particolare, per gli immobili di categoria "D" ai fini dell'ICI la base imponibile era rappresentata dal valore contabile sino a quando essi fossero rimasti privi di rendita catastale (o perché non ancora iscritti al catasto o perché, anche se iscritti, privi di attribuzione della rendita). Una volta attribuita la rendita catastale era questa a rappresentare la base imponibile per l'ICI. Considerato che, di regola, il valore contabile del bene comportava un ammontare dell'ICI più elevata rispetto a quella calcolata in base alla rendita catastale, si è consentito ai contribuenti di poter calcolare tale rendita, in attesa dell'accatastamento, su una base imponibile inferiore. 3.3.Il D.M. 701/1994 ha previsto la provvisoria autodeterminazione di tale rendita, precisando, all'art. 1, terzo comma, che la rendita "autodeterminata": "rimane agli atti catastali come rendita proposta fino a quando l'ufficio non provvede alla determinazione della rendita catastale definitiva, con mezzi di accertamento informatici o tradizionali, anche a campione e comunque entro 12 mesi dalla data di presentazione delle dichiarazioni di cui al primo comma". Poiché l'autodeterminazione delle rendite catastali, riducendo la base imponibile dell'imposta, ha comportato una riduzione del gettito per i Comuni, lo Stato ha adottato provvedimenti normativi diretti a compensare tale minore gettito (l. 448/1998 per gli anni 1998-1999 e, quindi, il d.lvo 388/2000). 3.4. In tale contesto si inserisce la previsione dell'art. 64 L. 388/2000. Tale disposizione normativa, ai primi tre commi, recita: "1. A decorrere dall'anno 2001 i minori introiti relativi all'ICI conseguiti dai comuni per effetto dei minori imponibili derivanti dalla autodeterminazione provvisoria delle rendite catastali dei fabbricati di categoria D, eseguita dai contribuenti secondo quanto previsto dal decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701, sono compensati con corrispondente aumento dei trasferimenti statali se di importo superiore a Lire 3 milioni e allo 0,5 per cento della spesa corrente prevista per ciascun anno. 2. Qualora, ai singoli comuni che beneficiano dell'aumento dei maggiori trasferimenti erariali di cui al comma 1 derivino, per effetto della determinazione della rendita catastale definitiva da parte degli uffici tecnici erariali, introiti superiori, almeno del 30 per cento, rispetto a quelli conseguiti prima della autodeterminazione provvisoria delle rendite catastali dei fabbricati classificabili nel gruppo catastale D ai sensi del decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701, i trasferimenti erariali di parte corrente spettanti agli stessi enti sono ridotti in misura pari a tale eccedenza. La riduzione si applica e si intende consolidata a decorrere dall'anno successivo rispetto a quello in cui la determinazione della rendita catastale e' divenuta inoppugnabile anche a seguito della definizione di eventuali ricorsi in merito. 3. Con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sono stabiliti i criteri e le modalità per l'applicazione dei commi 1 e 2". Con d.m. 197/2002 sono stati, quindi, stabiliti i modi della erogazione e all'allegato A è stato introdotto il modulo per la dichiarazione annuale del Comune al Ministero, ove era prevista l'indicazione del minore introito dell'anno con la dichiarazione che esso superava la percentuale dello 0,5% della spesa corrente dell'anno. Come si ricava dalla predetta disposizione, la rendita autodeterminata era prevista come meramente transitoria, tanto che avrebbe dovuto essere sostituita dalla rendita definitiva entro 12 mesi, come si desume anche dal secondo comma dell'art. 1 L. 388/2000, in base quale; "qualora ai singoli comuni che beneficiano dell'aumento dei maggiori trasferimenti erariali di cui al comma 1 derivino, per effetto della determinazione della rendita catastale definitiva da parte degli uffici tecnici erariali, introiti superiori, almeno del 30%, rispetto a quelli conseguiti primi della autodeterminazione provvisoria delle rendite catastali dei fabbricati classificabili nel gruppo catastale D ai sensi del decreto del ministero delle finanze 19 aprile 1994, n. 701, i trasferimenti erariali di parte corrente spettante agli stessi enti sono ridotti in misura pari a tale eccedenza. La riduzione si applica e si intende consolidata a decorrere dall'anno successivo rispetto a quello in cui la determinazione è divenuta inoppugnabile...". 3.5. La situazione di autodeterminazione si è protratta per più anni, e tale circostanza è all'origine del presente contenzioso, incentrato sulle modalità di calcolo delle somme che lo Stato è tenuto a pagare nel corso degli anni per compensare il minor gettito derivato ai comuni dalla autodeterminazione delle rendite catastali. Infatti, secondo il Comune, la perdita del gettito ICI derivante dal passaggio all'autodeterminazione della rendita dei fabbricati in questione andrebbe calcolata complessivamente, senza distinguere tra immobili passati ad autodeterminazione nell'anno di riferimento ovvero negli anni precedenti, in quanto il nuovo parametro comporta un minor gettito non solo nell'anno in cui è avvenuto, ma in ogni successiva annualità. Secondo l'ente locale, dunque, per verificare il superamento delle soglie stabilite dal primo comma dell'art. 64 (cioè se il minor introito superi Euro 1.594,37 o lo 0,50% della spesa corrente prevista per quell'anno) occorrerebbe tener conto ogni anno di tutti gli immobili passati ad autodeterminazione della rendita, a prescindere dal momento in cui tale passaggio sia avvenuto. La difesa erariale sostiene, al contrario, che la verifica circa il superamento delle soglie andrebbe condotta con riferimento ai soli immobili passati ad autodeterminazione della rendita catastale nell'anno di riferimento, in quanto - diversamente opinando - si produrrebbe un inammissibile effetto di sommatoria delle autodeterminazioni delle rendite avvenute nel corso degli anni. Dopo il primo anno (2001), dunque, nel quale per la prima volta i comuni hanno dichiarato il minor gettito derivante dall'intero ammontare degli immobili di categoria D, per i successivi anni le spettanze comunali andrebbero computate applicando i limiti di legge (0,5% della spesa e importo superiore a Lire 3 milioni) non già in ragione dell'intero stock immobiliare che quell'anno si trova in regime di autodeterminazione, ma soltanto per quella frazione di immobili passati in autodeterminazione in quell'anno o comunque in relazione alla mera differenza fra l'anno in questione e l'anno precedente. 3.6.La tesi degli appellanti non è condivisibile. Questa Corte con sentenza n. 2129/2020 pronunciata dalla I sezione civile ha già espresso il proprio orientamento sulla questione, dal quale non ci sono ragioni per discostarsi. Pacificamente il passaggio dal sistema del valore contabile a quello dell'autodeterminazione della rendita catastale ha comportato nella generalità dei casi - e, per quello che qui rileva, nel presente caso - una restrizione della base imponibile ai fini ICI rispetto a quella derivante dal sistema precedente e, conseguentemente, un minor gettito ICI. Proprio la riduzione del gettito ICI per i Comuni è all'origine della previsione dell'art. 64, primo comma, legge 388/2000, il cui scopo era il sostenimento delle finanze locali deprivate di parte di quel gettito fiscale. Attesa la periodicità del tributo, il minor gettito derivante dalle rendite "autodeterminate" di determinati immobili non si verifica soltanto al primo anno di passaggio dall'un sistema all'altro, ma anche con riguardo agli anni successivi, nel senso che il minor introito del primo anno torna a ripetersi per ogni successivo anno. Occorre ricordare che, a mente dell'art. 64 cit., primo comma, l'aumento dei trasferimenti statali per compensare il minor gettito ICI è subordinato alla condizione che esso sia superiore allo 0,50% della spesa corrente prevista per ciascun anno (oltre che a un importo espresso in termini assoluti, ma sostanzialmente irrilevante ai fini della decisione). Per gli anni successivi al passaggio in autodeterminazione si pone la questione - sollevata dalle diverse interpretazioni fornite dalle parti - attinente alla rilevanza dei singoli immobili in categoria "D" ai fini del superamento o meno della soglia dello 0,50% della spesa corrente prevista per ciascun anno. Ciò premesso, la disamina del tenore letterale dell'art. 64 evidenzia che la norma prende in considerazione i "minori introiti ... per effetto dei minori imponibili derivanti dall'autodeterminazione provvisoria delle rendite" in maniera globale e onnicomprensiva e non introduce alcuna distinzione fra l'anno in cui essi per la prima volta sono "passati in autodeterminazione" e i successivi. La previsione, inoltre, è strutturata "a decorrere dall'anno 2001' e non già unicamente per l'anno 2001, con separata e distinta previsione per i successivi anni. La tesi dei Ministeri si incentra sul c.d. consolidamento, nel senso che - secondo la difesa erariale - godendo il Comune di un trasferimento a regime e pertanto perpetuo per quegli immobili che hanno dato luogo a una perdita di gettito compensata con il citato trasferimento, non possono essere più presi in considerazione negli anni successivi a quello in cui la compensazione è stata riconosciuta stabilmente, proprio perché non generano più, grazie al trasferimento, una perdita e quindi un minore introito da confrontare con i citati parametri. Il d.m. n. 197/2002 contiene una disposizione (art. 3, comma 2), che deve peraltro ritenersi meramente applicativa della norma primaria, secondo la quale "il contributo statale determinato in corrispondenza di tale perdita è attribuito nell'anno successivo a quello in cui si è verificata la perdita del gettito dell'ICI, ed è consolidato nei trasferimenti erariali dei comuni interessati". Secondo i Ministeri, una volta che i minori introiti siano stati riconosciuti e compensati nel primo anno, con trasferimenti "consolidati" per gli anni successivi, i "minori introiti" mutano la loro "natura giuridica" e divengono "gettito" e, dunque, nell'anno successivo non dovrebbero più essere considerati come "minori introiti" ai fini del confronto con i parametri di legge. 3.7.Si tratta di un procedimento ermeneutico non condivisibile, in quanto muove da una norma secondaria per giungere a sovvertire il chiaro disposto della norma primaria (oltre che delle restanti previsioni dello stesso d.m. 197/2002). Invero nulla nella previsione di cui all'art. 64 cit. autorizza a giungere alle conclusioni fatte proprie dalla difesa erariale. La legge prevedeva, infatti, che i minori introiti fossero compensati "se superiori a Lire 3 milioni e allo 0,5 per cento della spesa corrente prevista per ciascun anno", laddove i ministeri hanno effettuato una interpretazione "additiva", aggiungendo alla norma la precisazione che la compensazione è dovuta per i "minori introiti" solo "se, detratti i minori introiti dell'anno precedente, superiori a Lire 3 milioni e allo 0,5 per cento della spesa corrente prevista per ciascun anno". Va, in contrario, evidenziato che la previsione di legge attiene ai "minori introiti" per effetto dei minori imponibili derivanti dall'autodeterminazione, senza alcun riferimento a "consolidamenti" (ai quali si fa riferimento unicamente con il d.m. 197/2002) e alla differenza fra questi e i minori introiti. Il c.d. "consolidamento" del trasferimento altro non è che una modalità tecnica contabile, che lasciava intatto l'obbligo del Comune, anche per gli anni successivi, di certificare il superamento delle soglie di legge anche per i minori introiti corrispondenti a contributi già "consolidati". In mancanza di tale superamento - ad esempio perché nel frattempo era cresciuta la spesa corrente - il Comune perdeva il diritto al trasferimento a prescindere dal "consolidamento" pregresso. Il d.m. n. 197/2002, introducendo il "consolidamento", non poteva certo impedire le verifiche di legge ai fini del riconoscimento dell'intera compensazione, rischiando altrimenti di frustrare la finalità normativa di tenere sotto controllo la spesa corrente. Il "consolidamento" del trasferimento per gli anni successivi, dunque, avveniva "sempre che fossero soddisfatti i due parametri di cui al comma 1 dell'art. 64, L. n. 388/2000". Va pure sottolineato che la soglia di riferimento è strutturata nella legge con riguardo allo 0,50% della spesa corrente prevista "per ciascun anno" e non per il solo anno di passaggio all'autodeterminazione, onde il c.d. "consolidamento" del trasferimento contemplato dalla norma secondaria regolamentare non esclude che tutti i trasferimenti presuppongano anno per anno il superamento della soglia. Il che vale sia per i trasferimenti consolidati (ossia generati dal minori introiti derivanti da immobili passati in autodeterminazione ulteriori rispetto a quelli con rendita già autodeterminata negli anni precedenti), sia per i trasferimenti con riguardo agli immobili passati in autodeterminazione nell'anno di riferimento. Non è dato, invero, ravvisare alcuna distinzione in merito a queste due categorie di immobili, che vengono considerate e disciplinate dal legislatore unitariamente, sia ai fini del maggior trasferimento da parte dello Stato sia ai fini della loro rilevanza per il superamento della soglia del 0,50%. Le quantità espresse dal legislatore sono indicate unicamente come "minori introiti" derivati dalla autodeterminazione, vale a dire con riguardo alla differenza fra quanto effettivamente incassato dal Comune e quanto avrebbe incassato se gli immobili (nella specie di categoria "D") fossero stati tassati in base al loro valore contabile e tali quantità vengono indicate sempre complessivamente, nel loro insieme e non separatamente o per anno. Del resto la riduzione del gettito, a seguito dell'autodeterminazione, è certamente costante per i Comuni, potendo variare in funzione dell'ammontare complessivo degli immobili di categoria "D". 3.8.Anche la considerazione dell'altro parametro quantitativo indicato dal legislatore, ossia quello riferito a una percentuale (0,50% della spesa corrente) corrobora la raggiunta conclusione. La previsione correlata alla "spesa corrente" di ogni singolo anno assume a riferimento sempre e comunque i "minori introiti", come sopra indicati. L'introduzione di tale parametro legato alla entità della "spesa corrente" ha l'evidente funzione di incentivare le finanze locali a controllare nel tempo l'entità di tali spese, promuovendo gli enti locali che assumano al riguardo una politica virtuosa. L'esito interpretativo raggiunto si basa esclusivamente sulla disamina del contenuto della disposizione di legge, ad avviso della Corte chiara e univoca, come tale da non richiedere ulteriori approfondimenti interpretativi. Nondimeno non può non notarsi come ulteriori elementi di conforto all'approdo ermeneutico innanzi traguardato possano desumersi proprio dal regolamento applicativo di cui al d.m. 197/2002. Nel ribadire la necessità che il minor introito ICI sia superiore allo 0,50% ai fini del trasferimento compensativo, il decreto precisa che si tratta "della spesa corrente risultante dal bilancio di previsione dello stesso anno in cui si è verificata la perdita". Come innanzi già evidenziato, la perdita è destinata a ripetersi ogni anno, ma anche la norma regolamentare non contiene alcun riferimento al momento in cui si è passati alla autodichiarazione per limitare gli immobili rilevanti ai fini della verifica della soglia. Anche la considerazione del tenore dell'apposita dichiarazione prevista dal quarto comma dell'art. 2 del d.m. 197 cit., conferma che nell'allegato "A" ai comuni era richiesto di attestare "l'importo complessivo del minor gettito dell'ICI derivante dai fabbricati classificabili nel gruppo catastale D a causa delle autodeterminazione provvisoria delle rendite catastali". Si tratta, dunque, di dichiarazioni annuali che evidenziano l'importo complessivo del minor reddito ICI derivante dai fabbricati "D". In tali dichiarazioni viene richiesto un unico dato, ogni anno, relativo a tutti i fabbricati "D", senza alcuna distinzione fra l'anno del passaggio in autodichiarazione e quelli successivi. 3.9. Come dovesse intendersi secondo il ministero l'importo da attestare da parte dei Comuni è reso esplicito anche nella circolare F.L. n. 6/2008 del Ministero dell'Interno ove si specifica che "per ogni anno certificato, l'importo richiesto a rimborso deve essere comprensivo di tutta la perdita accertata, cioè non deve essere indicata la sola - eventuale - maggiore perdita rispetto a quella in precedenza dichiarata, ma il complessivo importo che si chiede a rimborso per quell'anno". E la circolare aveva pure cura di precisare che "nel caso in cui venga compilata una dichiarazione per chiedere il rimborso di una minore entrata registrata in un anno, nell'anno successiva andrà riportata la stessa somma se l'importo è rimasto lo stesso, oppure, nel caso di ulteriori perdite registrate, andrà certificato un valore pari alla somma di queste ultime e di quella già certificata l'anno precedente". E' evidente, dunque, che lo stesso Ministero con la predetta circolare avesse inteso le disposizioni della legge secondo quanto emergente dal loro tenore testuale e alla luce della loro finalità di esse nei termini corrispondenti a quanto sopra ritenuto. Sotto altro profilo, l'art. 2 quater, comma settimo, del d.l. n. 154/2008, si è limitato a prevedere che le dichiarazioni annuali ai sensi delle norme in questione avrebbero dovuto essere ripresentate entro il 31 gennaio 2009 e corredate da un'attestazione a firma del responsabile del servizio finanziario dell'ente locale, nonché asseverate dall'organo di revisione. Non si tratta di previsione che possa sostenere l'interpretazione propugnata dai ministeri, tanto più se si tiene conto che nella circolare del Ministero dell'Economia del 29-12-2008 era stato espressamente ribadito che la nuova disposizione non innovava in alcun modo le precedenti. In definitiva, sul punto, l'analisi testuale e la considerazione della ratio della norma di legge, nonché della disposizione secondaria correttamente interpretata, oltre che - per quanto possa rilevare - della stessa prassi applicativa adottata dai ministeri, depongono a favore della tesi sostenuta nella sentenza impugnata, che va, pertanto, sul punto confermata. 3.10.Parimenti infondato è il secondo motivo. In assenza di un'espressa previsione, è applicabile l'ordinaria prescrizione decennale ex art. 2946 c.c., non potendo applicarsi l'estinzione per decorso quinquennale prevista dall'art. 2948, comma 1, n. 4, c.c. "per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi", perché non si è al cospetto di somme che devono "pagarsi periodicamente ad anno" sulla base di un unico titolo, ma di crediti distinti ed eventuali, che possono sorgere o meno di anno in anno sulla base delle certificazioni periodicamente inviate ai sensi del D.M. n. 197/2002. Il trasferimento erariale riconosciuto di anno in anno ai Comuni non è mai legato ai precedenti, bensì presuppone nuove ed autonome valutazioni in ordine alla sussistenza dei relativi presupposti, ben potendo anche non essere effettuato se per quell'anno non spetti alcunché all'ente comunale sulla base delle certificazioni periodicamente inviate ai sensi del D.M. n. 197/2002, ove ad esempio il minor gettito risulti superiore allo 0,5 per cento della spesa corrente risultante dal bilancio di previsione. È pacifico, e non è contestato, che oggetto di causa sono somme che lo Stato ha trattenuto detraendole dai futuri trasferimenti o non versandole, sicché il dies a quo deve essere individuato nella data delle trattenute operate dal Ministero; nel caso, per il Comune di Cavaion Veronese sono stati realizzati due "recuperi" in data 7.12.2009 - per l'importo di Euro 12.462,74 - e in data 6.12.2010 per importo di Euro 15.232,92, oltre ad una "revoca" (ossia un mancato versamento) di ulteriori Euro 21.852,75, la cui data non è stata precisata. In ogni caso, non può decorrere prima dell'1.12.2009, data del comunicato con il quale il Ministero dell'Interno ha dato conto della volontà di non voler più aderire all'interpretazione seguita sino ad allora, che ancorava i trasferimenti alla perdita complessiva del gettito ICI e non già al "differenziale". Ne consegue che prima dell'1.10.2009 il Comune di Cavaion Veronese non poteva esercitare il proprio diritto, ai sensi dell'art. 2935 c.c.. L'azione esercitata nel presente giudizio deve, pertanto, ritenersi tempestiva, in quanto il Comune ha inviato una diffida in data 1.3.2016 (doc. n. 18 fascicolo di primo grado Comune appellato), interrompendo la prescrizione decennale e facendo decorrere un nuovo termine prescrizionale; successivamente, ha agito in giudizio notificando l'atto di citazione in data 14.12.2017, entro il termine di dieci anni. 3.11.Il terzo motivo è, invece, fondato. Trattandosi di controversia iniziata nel 2017, trova applicazione l'art. 92 c.p.c. nella formulazione oggi vigente - come risultante dall'intervento della Corte Cost. con sentenza n. 77/2018, in ordine alle "analoghe gravi ed eccezionali ragioni" per disporre la compensazione - secondo la quale il giudice può procedere alla compensazione, parzialmente o per l'intero, delle spese di lite "se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità delle questioni trattate o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti". L'assoluta novità della questione, sulla quale non si è neppure mai espressa la Suprema Corte, e il contrasto esistente nella giurisprudenza di merito giustificano l'integrale compensazione fra le parti delle spese processuali, sicché sul punto la sentenza di primo grado deve essere riformata. 4. Regolamento delle spese. 4.1. Stante l'accoglimento parziale dell'appello e il contrasto interpretativo tuttora esistente sulla questione, sussistono i presupposti per la compensazione integrale delle spese anche del presente grado. P.Q.M. La Corte d'Appello di Venezia, II Sezione civile, definitivamente pronunciando nella presente controversia, disattesa ogni diversa domanda, difesa o eccezione, In parziale riforma della sentenza n. 63/2020, pubblicata il 15.1.2020, emessa dal Tribunale di Venezia nel proc. n. r.g. 12994-17, che per il resto conferma, compensa le spese del giudizio di primo grado. Compensa interamente tra le parti le spese del grado Così deciso in Venezia l'11 maggio 2021. Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2021.

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