Sentenze recenti reddito di cittadinanza

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI Elisabetta - Presidente Dott. PELLEGRINO Andrea - Consigliere Dott. FLORIT Francesco - Consigliere Dott. TURTUR M. Marzia - rel. Consigliere Dott. CERSOSIMO Emanuele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato in (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 28/12/2022 del GIP presso TRIBUNALE DI VIBO VALENTIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Marzia MINUTILLO TURTUR; le conclusioni del difensore Avv. Rosario ROCCHETTO, che ha chiesto di annullare il provvedimento impugnato con ogni conseguente statuizione. RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il Tribunale di Vibo Valentia in data 28/12/2022 ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip del Tribunale di Vibo Valentia in data 03/11/2022 nei confronti del ricorrente, in relazione alla imputazione provvisoria allo stesso ascritta ai sensi dell'articolo 640-bis c.p. e dell'articolo 483 c.p. per avere illecitamente usufruito del reddito di cittadinanza, avendo lo stesso dichiarato di essere in possesso della cittadinanza italiana da almeno dieci anni nella presentazione della domanda, requisito non ricorrente, atteso che lo stesso risultava iscritto nell'ufficio anagrafico del Comune di Brognatura per immigrazione dalla Guinea in data 16/10/2017, con ingresso nel territorio dello Stato italiano dalla costa siciliana in data 25/07/2017. Veniva, quindi, disposto il sequestro preventivo delle somme costituenti profitto dei reati contestati sia in forma diretta che per equivalente tenuto conto della previsione di cui all'articolo 640-quater c.p.. 2. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, deducendo con un unico motivo di ricorso violazione di legge in relazione all'articolo 240 c.p., comma 1. Le somme di denaro oggetto di apprensione sul conto corrente del ricorrente, come dimostrava la documentazione prodotta e allegata al ricorso, avevano provenienza lecita e non erano direttamente collegate alle condotte oggetto di contestazione; mancavano dunque i requisiti per procedere anche ad una eventuale confisca per equivalente. 3. Il ricorso e' inammissibile perche' proposto con motivo manifestamente infondato. Il ricorrente nel proporre il ricorso non si confronta con la motivazione del Tribunale che ha chiarito esplicitamente come il sequestro finalizzato alla confisca debba essere inteso come diretto nel caso di rinvenimento di somme di denaro e che, tuttavia, possa anche essere anche per equivalente ove queste non siano rinvenute in relazione al titolo di reato di cui all'imputazione provvisoria. In tal senso, dopo aver richiamato la ricorrenza dei presupposti del sequestro impugnato, ha evidenziato la confluenza delle somme illegittimamente percepite sul conto corrente collegato alla postepay del ricorrente. In tal senso e' stato correttamente applicato il principio di diritto affermato dal massimo consesso di questa Corte secondo il quale la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell'autore della condotta, e che rappresenti l'effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non e' ostativa alla sua adozione l'allegazione o la prova dell'origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione (Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, C., Rv. 282037-01). Il ricorrente, dunque, piuttosto che evidenziare una violazione di legge si limita a proporre una propria lettura alternativa, entrando nel merito, mediante richiamo ad una produzione documentale allegata e non consentita in questa sede, richiamando le originarie doglianze che si presentavano caratterizzate invece da genericita' gia' dinnanzi al Tribunale del riesame. 4. L'inammissibilita' del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, stimata equa, di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende. Motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ANDREAZZA Gastone - Presidente Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. CORBETTA Stefano - Consigliere Dott. REYNAUD Gianni Filipp - Consigliere Dott. ANDRONIO A.M. - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lamezia Terme; nel procedimento penale nei confronti di: (OMISSIS), nato in (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 03/10/2022 del Tribunale di Lamezia Terme; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro Maria Andronio; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pratola Gianluigi che ha concluso chiedendo che il ricorso sia accolto. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 3 ottobre 2022, il Tribunale di Lamezia Terme, nel corso del giudizio dibattimentale conseguente ad opposizione a decreto penale di condanna, ha disposto la restituzione degli atti all'ufficio del pubblico ministero, in ragione del convincimento della necessita' dell'udienza preliminare, in ipotesi di giudizio immediato, incardinato a seguito della richiesta effettuata contestualmente all'opposizione al decreto penale di condanna, per il reato di cui al Decreto Legge n. 4 del 2019, articolo 7, comma 1, contestato perche' l'imputato, al fine di ottenere indebitamente il beneficio economico del reddito di cittadinanza rendeva e utilizzava dichiarazioni false ed attestanti circostanze non veritiere. 2. Avverso l'ordinanza il Procuratore della Repubblica di Lamezia Terme ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento e deducendo, con un unico motivo di doglianza, l'abnormita' del provvedimento. Il ricorrente deduce che il provvedimento di specie e' abnorme, in quanto ha determinato un'indebita regressione del processo alla fase precedente all'esercizio dell'azione penale, in base all'errato convincimento della necessita' dell'udienza preliminare, che al contrario non doveva celebrarsi, essendo il giudizio nato a seguito di opposizione a decreto penale con richiesta di giudizio e conseguente legittima emissione del decreto di giudizio immediato, sollecitata dallo stesso imputato nel proprio atto di opposizione. Sul punto, e' stato richiamato il costante orientamento della Suprema Corte di Cassazione, secondo il quale il provvedimento con tali caratteristiche sia da qualificare abnorme per la determinazione di una stasi processuale (Sez. 5, n. 46489 del 26/10/2015, Rv. 265870). CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso e' fondato. L'ordinanza del 3 ottobre 2022 ha determinato un'indebita regressione del processo alla fase precedente all'esercizio dell'azione penale, in base all'errato convincimento della necessita' dell'udienza preliminare, che al contrario non doveva celebrarsi, essendo il giudizio nato a seguito di opposizione a decreto penale, con contestuale richiesta di giudizio immediato. In proposito, e' costante l'orientamento di questa Corte secondo il quale il provvedimento con tali caratteristiche sia da qualificare abnorme per la determinazione di una stasi processuale. Infatti, e' abnorme il provvedimento del giudice del dibattimento che disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero, in base all'errato convincimento della necessita' dell'udienza preliminare, nel caso di giudizio immediato, sorto a seguito di opposizione a decreto penale (Sez. 5, n. 38743 del 10/07/2019, Rv. 277638; Sez. 5, n. 32160 del 07/03/2016, Rv. 267715; Sez. 4, n. 53382 del 15/11/2016, Rv. 268487; Sez. 3, n. 55516 del 14/11/2017, Rv. 272164). Nel caso di specie, l'atto impugnato per il quale non e' previsto autonomo mezzo di impugnazione, deve ritenersi funzionalmente abnorme, avendo determinato una indebita regressione del procedimento, alla stregua di una ravvisata, insussistente violazione di legge processuale. L'articolo 461 c.p.p., infatti, prevede che, con l'atto di opposizione, l'imputato puo' chiedere al giudice il giudizio immediato, ovvero il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena a norma dell'articolo 444 c.p.p. Di conseguenza, in base al chiaro disposto normativo, all'esito dell'opposizione, ove la parte non abbia optato per un rito alternativo, il giudizio segue a norma dell'articolo 456, commi 1, 3 e 5, ovvero mediante la fissazione della udienza dibattimentale. Il decreto penale di condanna, infatti, una volta fatto oggetto di opposizione, perde la sua natura di condanna anticipata e produce unicamente l'effetto di costituire il presupposto per l'introduzione di un giudizio (immediato, abbreviato o di patteggiamento) del tutto autonomo e non piu' dipendente da esso che, in ogni caso, ai sensi dell'articolo 464 c.p.p., comma 3, e' revocato ex nunc dal giudice che procede dopo la verifica di rituale instaurazione del giudizio. 4. Ne consegue che il provvedimento deve essere annullato senza rinvio, con trasmissione degli atti al Tribunale di Lamezia Terme per il corso ulteriore. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata, con trasmissione degli atti gli atti al Tribunale di Lamezia Terme per l'ulteriore corso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppin - Presidente Dott. VERGA Giovan - Consigliere Dott. MESSINI D'AGOSTINI Piero - Consigliere Dott. COSCIONI G - rel. Consigliere Dott. CERSOSIMO Emanue - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 16/05/2022 della CORTE APPELLO di BARI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE COSCIONI; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale PEDICINI ETTORE, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Bari, con sentenza del 16 maggio 2022, confermava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva condannato (OMISSIS) per il reato di estorsione commesso ai danni dei genitori. 1.1 Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS), lamentando l'erronea applicazione della legge penale sia con riferimento all'insussistenza del delitto di estorsione per difetto dell'elemento psicologico del reato, sia, in subordine, per errata qualificazione giuridica in relazione alla sussunzione del fatto nella fattispecie di reato per il quale vi era stata condanna, essendo configurabile la diversa fattispecie di cui all'articolo 393 c.p.; la Corte di appello aveva ritenuto che l'imputato avesse problemi di alcolismo e che quindi il denaro chiesto fosse destinato all'acquisto di alcool, mentre tale circostanza non era stata riferita in dibattimento, per cui non era stato escluso che quelle somme potessero essere dovute a concrete necessita'. 1.2 Il difensore lamenta che la motivazione della Corte di appello in punto di dosimetria della pena era carente ed illogica, se confrontata con il motivo di appello proposto, visto che non si era tenuto conto dei disturbi di personalita' del ricorrente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 1.1 Quanto alla eccezione secondo cui il reato contestato avrebbe dovuto essere derubricato in quello previsto dall'articolo 393 c.p., deve rilevarsi che, come precisato da ultimo da Cass. civ. sez. I, ordinanza n. 17183 del 14/08/2020 (Rv. 658568 - 02, "il figlio divenuto maggiorenne ha diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un'occupazione in base alle opportunita' reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell'attesa di una opportunita' lavorativa consona alle proprie ambizioni". Pertanto, il fatto che il ricorrente avesse uno status di filius familias, in mancanza di qualsiasi considerazione su come mai non avesse una attivita' lavorativa all'eta' di 41 anni (all'epoca dei fatti) comporta che non potesse ritenere di avere un diritto al mantenimento da parte dei genitori; conclusione che si impone a maggior ragione in base a quanto considerato dal giudice di appello, che ha evidenziato che l'imputato era percettore del reddito di cittadinanza e comodatario di un alloggio di proprieta' della madre, che quindi comunque assolveva in tal modo all'obbligo di mantenimento. Anche a voler ritenere che il ricorrente avesse il diritto di essere mantenuto dai genitori, cio' non comportava certo che potesse stabilire lui in che modo il mantenimento dovesse essere effettuato e che potesse pretendere le somme richieste quotidianamente. 1.2 Quanto alla dosimetria della pena ed alla mancata concessione delle attenuanti generiche, la Corte di appello ha rilevato che lo stato psicopatologico dell'imputato aveva trovato considerazione nella concessione dell'attenuante ex articolo 89 c.p.. 2. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile; ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonche' - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' - al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 3.000,00 cosi' equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RICCIARELLI Massimo - Presidente Dott. APRILE Ercole - Consigliere Dott. GIORGI Maria Silvi - Consigliere Dott. VIGNA M.Sabina - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata il (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 14/12/2022 del Tribunale di Messina, sezione riesame. Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Maria Silvia Giorgi; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Alessandro Cimmino, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO 1. Il Tribunale di Messina, in funzione di giudice del riesame dei provvedimenti cautelari reali, con ordinanza del 14 dicembre 2022 ha accolto l'appello del P.M. averso il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, reiettivo della richiesta di sequestro preventivo nei confronti di (OMISSIS) della somma di Euro 11.500, in relazione ai reati di cui al Decreto Legge n. 4 del 2019, articolo 7, comma 1, conv. con L. n. 26 del 2019, e 316-ter c.p., per avere falsamente dichiarato nelle domande presentate il (OMISSIS) per ottenere il reddito di cittadinanza di "avere risieduto in Italia per almeno dieci anni", percependone indebitamente i relativi importi. Ha, infatti, rilevato il Tribunale che dal certificato di residenza acquisito presso il comune di San Filippo del Mela la (OMISSIS), risultava ivi residente a decorrere dal (OMISSIS) "per immigrazione da estero", cioe' dalla (OMISSIS). Sicche', verificato il documentato difetto del requisito della residenza decennale, appariva falsa e strumentale la dichiarazione dell'interessata diretta all'ottenimento del beneficio, concretamente e indebitamente percepito nella misura suindicata, integrando gli estremi dei reati provvisoriamente contestati. Osservava il Tribunale che, pur volendo accedere a una nozione di effettiva presenza decennale nel territorio dello Stato, svincolata dal mero dato della certificazione anagrafica, l'indagata non aveva assolto il relativo onere probatorio. La stessa non aveva neppure dedotto o allegato circostanze dimostrative del radicamento decennale, di segno contrario rispetto a quanto attestato dalla registrazione anagrafica, ne' poteva porsi in capo alla pubblica accusa l'inesigibile onere di fornire la prova negativa del fatto contestato. 2. Ha interposto ricorso per cassazione la difesa dell'indagata, denunciando con un unico motivo di ricorso la violazione di legge in cui sarebbe incorso il Tribunale nel ritenere integrato il fumus delicti idoneo a sorreggere la misura cautelare reale, con riferimento al tenore della dichiarazione circa il requisito temporale della presenza sul territorio nazionale, alla stregua della mera attestazione formale del certificato anagrafico di residenza, pure in difetto di alcun accertamento in concreto svolto dalla pubblica accusa. 3. Il ricorso e' stato trattato in forma cartolare. 4. E' pervenuto in data 19 aprile 2023 il formale atto di rinunzia al ricorso, essendo nelle more intervenuta la revoca della misura, sicche' questo va dichiarato inammissibile per sopravvenuta mancanza di interesse. Alla dichiarazione di inammissibilita' del ricorso per cassazione per il venir meno dell'interesse alla decisione sopraggiunto alla sua proposizione non consegue la condanna della ricorrente alle spese del procedimento, ne' al pagamento della sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende, in quanto non si configura una ipotesi di soccombenza della parte, neppure virtuale (Sez. U, n. 7 del 25/06/1997, Chiappetta, Rv. 208166; Sez. 1, n. 11302 del 19/09/2017, Rezmuves, Rv. 256225). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta mancanza di interesse.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GIORDANO E.Anna - Presidente Dott. GIORGI Maria Silvi - Consigliere Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - Consigliere Dott. DI GIOVINE Ombret - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS) avverso l'ordinanza del 13/01/2023 del Tribunale di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Ombretta Di Giovine; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Tomaso Epidendio, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza sopra indicata, il Tribunale di Palermo, in parziale accoglimento della richiesta di riesame, sostituiva l'obbligo di dimora nei Comuni di Trapani e Erice, disposto nel corso di un procedimento per resistenza a pubblico ufficiale (articolo 337 c.p.) a carico di (OMISSIS), con la misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. 2. Contro l'ordinanza presenta ricorso il difensore dell'indagata, avvocato (OMISSIS), articolando un unico motivo. In particolare, viene dedotto vizio della motivazione, per aver i giudici argomentato il pericolo di reiterazione del reato sulla base di precedenti condanne dell'imputata (per molestia continuata alle persone e danneggiamento aggravato) e dei rilievi dattiloscopici cui la stessa e' stata sottoposta. Tuttavia, i precedenti riguardano condotte di scarsa gravita', come si desume dalla tipologia dei reati (due contravvenzioni e un delitto) nonche' dalla pena in concreto applicata (pecuniaria), e sono risalenti nel tempo, l'ultima condanna essendo del 2011. Quanto ai precedenti dattiloscopici, oltre all'arresto del (OMISSIS), per cui si procede, risulta soltanto un precedente rilievo, nel 1986. Nell'ordinanza impugnata si e' inoltre affermato che la misura dell'obbligo di dimora, inizialmente applicata, non avrebbe eliminato il rischio di commissione di nuovi reati. A maggior ragione, dunque, tale rischio non puo' essere evitato disponendo l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. 3. La difesa della ricorrente presenta altresi' conclusioni scritte con cui insiste per l'accoglimento del ricorso, ritenendo persistente l'interesse all'impugnazione anche se "il passaggio in giudicato della sentenza, avvenuto in data (OMISSIS), ha comportato la caducazione della misura cautelare applicata", posto che in uno al provvedimento applicativo della misura cautelare, il Tribunale di Trapani ha disposto, ai sensi del Decreto Legge del 28 gennaio 2019, n. 4, articolo 7-ter, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 marzo 2019, n. 26, la sospensione del beneficio del reddito di cittadinanza, sicche' la dichiarazione di illegittimita' della misura cautelare applicata consentirebbe il riconoscimento del beneficio anche per il periodo in cui questo e' stato sospeso. 4. Il procedimento e' stato trattato nell'odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalita' di cui al Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, commi 8 e 9, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati da numerose successive disposizioni, da ultimo dal Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, articolo 94, comma 2, come introdotto del Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, articolo 5-duodecies, convertito dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2.1. Come rilevato nelle conclusioni scritte presentate dalla ricorrente, nelle more della trattazione della presente impugnazione, la misura dell'obbligo di presentazione alla p.g. e' cessata per effetto del passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Di conseguenza, l'interesse ad impugnare e' venuto meno. Secondo l'insegnamento costante di questa Corte, infatti, l'interesse richiesto dall'articolo 568 c.p.p., comma 4, come condizione di ammissibilita' di qualsiasi impugnazione, deve essere concreto, ovvero deve mirare a rimuovere l'effettivo pregiudizio che la parte asserisce di aver subito con il provvedimento impugnato e che, pertanto, deve persistere sino al momento della decisione. Pertanto, e' inammissibile il ricorso per cassazione contro il provvedimento del Tribunale che, all'esito del riesame, abbia confermato la misura applicata dal giudice per le indagini preliminari, qualora, nelle more, la misura sia cessata, posto che l'eventuale accoglimento dell'impugnazione verrebbe in ogni caso a cadere su un provvedimento ormai privo di efficacia (Sez. U, n. 7 del 25/06/1997, Chiappetta, Rv. 208165; principio ribadito, tra molte altre, da Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, Marinaj, Rv. 251694). 2.2. Ne' l'interesse ad impugnare puo' consistere, come dedotto dalla ricorrente, nella percezione del reddito di cittadinanza "anche per il periodo in cui questo e' stato sospeso", avendo questa Corte chiarito che le uniche situazioni in cui l'interesse a coltivare l'impugnazione permane sono quelle in cui la parte intende servirsi dell'eventuale pronuncia favorevole ai fini della richiesta di riparazione dell'ingiusta detenzione (Sez. 6, n. 19217 del 21/03/2013, Cionfrini, Rv. 255135; Sez. 3, n. 42443 del 06/02/2018, Rita, Rv. 274214). 3. Poiche' l'interesse alla decisione del ricorso per cassazione e' venuto meno dopo la proposizione di quest'ultimo, alla dichiarazione di inammissibilita' non consegue la condanna del ricorrente ne' alle spese del procedimento, ne' al pagamento della sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende, non configurandosi, in tal caso, un'ipotesi di soccombenza della parte, neppure virtuale (Sez. U, n. 7 del 25/06/1997, Chiappetta, cit.; Sez. 2, n. 4452 del 08/01/2019, Cristallo, Rv. 274736; Sez. 1, n. 11302 del 19/09/2017, Reznnuves, Rv. 272308; Sez. 6, n. 44723 del 25/11/2021, Tonti, Rv. 282397). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. IMPERIALI Luciano - Presidente Dott. CIANFROCCA P. - rel. Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere Dott. MINUTILLO TURTUR Marzia - Consigliere Dott. SARACO Antonio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti nell'interesse di: (OMISSIS), nato in (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato in (OMISSIS); (OMISSIS), nato in (OMISSIS); avverso la sentenza della Corte di Appello di Salerno del 2.5.2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Cianfrocca Pierluigi; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale che ha concluso per l'inammissibilita' di tutti i ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 19.9.2022, accogliendo la richiesta formulata all'esito della emissione del decreto di giudizio immediato, ed acquisito il consenso del PM, il GIP presso il Tribunale di Milano ha applicato a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la pena di: anni 2 e mesi 4 di reclusione ed Euro 1.000 di multa al (OMISSIS), a (OMISSIS) ed a (OMISSIS), la pena di anni 2 e mesi 4 di reclusione ed Euro 1.200 di multa a (OMISSIS), disponendo in oltre la confisca della somma di Euro 10.075,15 (cosi' precisata nel provvedimento del 12.10.2022) sequestrata al (OMISSIS) e la restituzione di quant'altro in sequestro agli altri imputati; 2. ricorrono per cassazione tutti gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia deducendo: 2.1 (OMISSIS), con ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS), la nullita' della sentenza per manifesta illogicita' della motivazione in ordine al sequestro preventivo ed alla confisca della somma di denaro: rileva che, con la sentenza, il GIP ha disposto il sequestro preventivo e la confisca della somma di Euro 9.980, gia' sottoposta a sequestro probatorio nel corso delle indagini; segnala che il sequestro preventivo adottato dal GIP e' totalmente immotivato e, percio', nullo, con conseguente nullita' della relativa confisca, a sua volta sorretta da una motivazione generica dal momento che la somma venne appresa mentre il ricorrente si trovava in aeroporto non essendovi alcun elemento per ricondurla alla condotta delittuosa ascrittagli piuttosto che alle attivita' lecite da lui comunque esercitate; 2.2 (OMISSIS), con ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS), inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all'articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, articoli 132 e 133 c.p.: richiama la imputazione elevata nei confronti del ricorrente e la richiesta di applicazione della pena in cui si faceva riferimento alle circostanze attenuanti generiche stimate prevalenti rispetto alle contestate aggravanti laddove, nella sentenza, la richiesta e' stata erroneamente riportata con la indicazione di un giudizio di equivalenza ed in tal senso e' stata resa la sentenza; rileva che la fattispecie incriminatrice di cui all'articolo 640-bis c.p. e' stata introdotta nel 1990 e, nel 2017 quando la pena detentiva e' stata elevata nella misura della reclusione da due a sette anni; aggiunge che l'ipotesi contemplata dalla norma e' ormai pacificamente considerata una fattispecie aggravata del delitto di truffa, come tale suscettibile di valutazione nel giudizio di valenza che, in caso di concorrenti circostanze attenuanti, stimate prevalenti o equivalenti, comporta la applicazione della pena stabilita per il delitto di truffa di cui all'articolo 640 c.p.; osserva che, in tal modo, la pena inflitta e' stata quantificata partendo dal massimo edittale, evidentemente sproporzionato rispetto alla entita' complessiva del fatto risultando peraltro del tutto carente la motivazione del GIP in crdilie alla congruita' del trattamento sanzionatorio, che non ha tenuto conto del periodo di restrizione della liberta' gia' sofferto dal ricorrente, che ha maturato una profonda consapevolezza della propria condotte illecita, del risarcimento del danno in favore dell'INPS e della intervenuta recisione di ogni legame con l'attivita' nell'ambito della quale si era originata la condotta illecita; 2.3 (OMISSIS), con ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS): 2.3.1 la erronea qualificazione del fatto: rileva che la fattispecie contemplata dall'articolo 640-bis c.p. e' pacificamente ritenuta una ipotesi aggravata del delitto di truffa di cui all'articolo 640 c.p. sul quale, nel caso di specie, era stata contestata la ulteriore aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 7; segnala che, tuttavia, il GIP ha ritenuto una sola aggravante considerando, percio', il delitto in esame come una fattispecie autonoma rispetto a quella di cui all'articolo 640 c.p., errando percio' nella qualificazione giuridica del fatto; 2.3.2 difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza: rileva che l'errore sulla qualificazione giuridica del fatto si e' direttamente riflesso sulla determinazione della pena, che avrebbe dovuto essere calcolata tenendo conto di quella prevista dall'articolo 640 c.p.; 2.3.3 illegalita' della pena: segnala che deve ritenersi illegale la pena laddove il giudice abbia operato una comparazione parziale tra le concorrenti circostanze spiegando che nel caso in esame il GIP ha considerato esclusivamente quella di cui all'articolo 61 c.p., n. 7 e non gia' quella relativa alla truffa aggravata; 2.4 (OMISSIS), con ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS), violazione di legge per erronea definizione giuridica dei fatti: rileva, infatti, che il fatto contestato, qualificato ai sensi dell'articolo 640-bis c.p., andava invece ricondotto nella fattispecie delineata dall'articolo 316-ter c.p.; segnala, peraltro, che la condotta ascritta al ricorrente e' solo quella di aver procurato i codici fiscali per le richieste di reddito di cittadinanza non avendo egli posto in essere alcun artificio o raggiro; ne', aggiunge, la limitatissima attivita' del ricorrente poteva giustificare la contestazione, nei suoi confronti, della aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 7, con conseguente erroneita' del calcolo della pena, stabilita senza tener conto del suo effettivo coefficiente e grado di responsabilita'; 3. la Procura Generale ha trasmesso le proprie conclusioni scritte concludendo per la inammissibilita' di tutti i ricorsi: rileva, infatti, la adeguatezza della motivazione con cui il GIP ha giustificato la confisca della somma di denaro nei confronti del (OMISSIS); segnala che gli altri ricorsi sono del pari inammissibili insistendo sulla errata qualificazione giuridica del fatto, suscettibile di essere dedotta soltanto nel caso in cui essa risulti in maniera manifesta, con immediatezza ed in termini eccentrici rispetto alla descrizione della condotta; 4. in data 23.2.2023, la difesa del (OMISSIS) ha trasmesso una memoria con allegata documentazione circa le lecite fonti di reddito del ricorrente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso di (OMISSIS). Il ricorso e' manifestamente infondato. La sentenza di patteggiamento che abbia applicato una misura di sicurezza e' ricorribile per cassazione nei soli limiti di cui all'articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, qualora la misura sia stata oggetto dell'accordo tra le parti; quando cio' non sia accaduto, ovvero quando la misura sia rimasta estranea all'accordo, la sentenza e' invece ricorribile per vizio di motivazione ai sensi della disciplina generale prevista dall'articolo 606 c.p.p. (cfr., in tal senso, infatti, Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, Savin, Rv. 279348 01). Tanto necessariamente premesso, e preso atto che la misura di sicurezza non era stata oggetto di accordo, non par dubbio che, nel caso in esame, si e' presenza della confisca di una somma di denaro costituente profitto del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell'autore della condotta e che, per questa ragione, va qualificata come confisca diretta in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non e' ostativa, alla sua adozione, l'allegazione o la prova dell'origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione non rilevando e non essendo necessario un rapporto di "pertinenzialita'" tra il reato ed il denaro attinto (cfr., Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, C., Rv. 282037 - 01). La sentenza impugnata ha disposto la misura "... trattandosi del profitto del reato di cui all'articolo 640-bis c.p., atteso che e' emerso chiaramente come l'imputato traeva profitto proprio dalle attivita' illecite connesse all'indebita percezione del reddito di cittadinanza, percependo una somma di denaro per ciascuna pratica illecita connessa alle istanze di RDC e REM" (cfr., 4 della sentenza). Trattasi di motivazione adeguata e coerente rispetto alla natura della misura ablativa, tenendo peraltro conto che, in tema di patteggiamento, l'obbligo di motivazione del giudice in relazione alla confisca diretta del profitto del reato deve essere parametrato alla particolare natura della sentenza, rispetto alla quale - pur non potendo ridursi il compito del giudice a una funzione di semplice presa d'atto del patto concluso tra le parti - lo sviluppo argomentativo della decisione e' necessariamente correlato all'atto negoziale con cui l'imputato dispensa l'accusa dall'onere di provare i fatti dedotti nell'imputazione (cfr., Sez. 2, n. 28850 del 05/06/2019, Bushi, Rv. 276574 01; Sez. 2, n. 13915 del 05/04/2022, Anastasio Rv. 283081 - 01). 2. I ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). I ricorsi degli altri imputati hanno ad oggetto, con varie sfumature, la qualificazione giuridica del fatto, e sono inammissibili. Si assume, in primo luogo (cfr., i ricorsi nell'interesse di (OMISSIS) e di (OMISSIS)) che il fatto e' stato ricondotto nella fattispecie di cui all'articolo 640-bis c.p., pacificamente ritenuta una ipotesi aggravata del delitto di truffa di cui all'articolo 640 c.p. sul quale, nel caso di specie, era stata contestata la ulteriore aggravante di cui all'articolo 61 n. 7 c.p., laddove il GIP, nel calcolare la pena, ha invece considerato una sola aggravante e, in definitiva, "trattato" il delitto in esame come una fattispecie autonoma rispetto a quella di cui all'articolo 640 c.p., errando percio' nella qualificazione giuridica del fatto con applicazione di una pena che e' stata quantificata partendo dal massimo edittale ad un tempo errato ed evidentemente sproporzionato. Sotto altro profilo (cfr., il ricorso nell'interesse di (OMISSIS)) si assume che il fatto, qualificato ai sensi dell'articolo 640-bis c.p., andava invece ricondotto nella fattispecie delineata dall'articolo 316-ter c.p.. E' noto che, in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilita' di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell'articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, l'erronea qualificazione giuridica del fatto contenuto in sentenza e' limitata ai soli casi di errore manifesto, configurabile quando tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilita', palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione, sicche' e' inammissibile l'impugnazione che denunci, in modo aspecifico e non autosufficiente, una violazione di legge non immediatamente evincibile dal tenore dei capi di imputazione e dalla motivazione della sentenza (cfr., Sez. 4, n. 13749 del 23/03/2022, Gamal, Rv. 283023 - 01). E' pacifico che la truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche prevista dall'articolo 640-bis c.p. costituisce una circostanza aggravante del delitto di truffa di cui all'articolo 640 medesimo codice e non figura autonoma di reato (cfr., Sez. U, n. 26351 del 26/06/2002, Fedi, Rv. 221663 01; Sez. 2, n. 48394 del 19/11/2019, Maccioni, Rv. 277895 - 01). Per altro verso, si e' chiarito che il reato di indebita percezione di pubbliche erogazioni si differenzia da quello di truffa aggravata, finalizzata al conseguimento delle stesse, per la mancata inclusione, tra gli elementi costitutivi, della induzione in errore dell'ente erogatore, il quale si limita a prendere atto dell'esistenza dei requisiti autocertificati dal richiedente, senza svolgere una autonoma attivita' di accertamento, la quale e' riservata ad una fase meramente eventuale e successiva (cfr., Sez. F -, n. 44878 del 06/08/2019, Aldovisi, Rv. 279036 - 03); e la condotta descritta nella imputazione e riassunta nella sentenza, evoca delle domande "false" per soggetti spesso inesistenti. Irrilevante, poi, che taluno degli imputati abbia concorso con altri senza porre in essere la condotta "tipica" poiche', nel caso di concorso di persone nel reato, stante la struttura unitaria del reato concorsuale, allorche' si realizza la combinazione di diverse volonta' finalizzate alla produzione dello stesso evento, ciascun compartecipe e' chiamato a rispondere sia degli atti compiuti personalmente, sia di quelli compiuti dai correi nei limiti della concordata impresa criminosa per cui, quando l'attivita' del compartecipe si sia estrinsecata e inserita con efficienza causale nel determinismo produttivo dell'evento, fondendosi indissolubilmente con quella degli altri, l'evento verificatosi e' da considerare come l'effetto dell'azione combinata di tutti i concorrenti, anche di quelli che non hanno posto in essere l'azione tipica del reato (cfr., in tal senso, tra le tante, Sez. 2 -, n. 51174 del 01/10/2019, Luca', Rv. 278012 - 01). Ne', da ultimo, puo' rilevare che l'erronea considerazione della fattispecie di cui all'articolo 640-bis c.p. come ipotesi di reato autonoma abbia potuto riflettersi sul procedimento di quantificazione della pena finale, in quanto, come e' stato recentemente chiarito, la pena determinata a seguito dell'erronea applicazione del giudizio di comparazione tra circostanze eterogenee concorrenti e' illegale soltanto nel caso in cui essa ecceda i limiti edittali generali previsti dagli articoli 23 e seguenti, nonche' articoli 65 e 71 e seguenti, c.p., oppure i limiti edittali previsti per le singole fattispecie di reato, a nulla rilevando il fatto che i passaggi intermedi che portano alla sua determinazione siano computati in violazione di legge (cfr., da ultimo, Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, Sacchettino, Rv. 283886 - 01). In definitiva, i ricorsi sono articolati su censure non consentite in questa sede alla luce di quanto espressamente disposto dall'articolo 448 c.p.p., comma 2bis; il PM e l'imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena solo per motivi attinenti all'espressione della volonta' dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto e all'illegalita' della pena (sulla cui nozione, cfr., da ultimo, Sez. U, del 14/07/2022, Sacchettino, Rv. 283886 - 01) o della misura di sicurezza. 3. L'inammissibilita' dei ricorsi comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende non ravvisandosi ragione alcuna d'esonero. P.Q.M. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ACETO Aldo - Presidente Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. SEMERARO Luca - Consigliere Dott. GAI Emanuela - rel. Consigliere Dott. GALANTI Alberto - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 18/10/2022 del Tribunale di Napoli; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa GAI Emanuela; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ORSI Luigi che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per l'annullamento dell'ordinanza, in data 18/01/2022, con la quale il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del riesame, ha respinto l'istanza dal medesimo proposta avverso il decreto di sequestro preventivo della carta postamat intestata al medesimo nell'ambito di indagini in relazione al reato di cui al Decreto Legge n. 4 del 2019, articolo 7, comma 2, conv. con mod. dalla L. n. 26 del 2019, confermando l'impugnato decreto. 2. Deduce, con un unico e articolato motivo, la violazione di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 309, 300 24, 321 c.p.p., al Decreto Legge n. 4 del 2019, articolo 7, comma 2. Premesso che l'ordinanza conterrebbe una pluralita' di errori non comprendendosi la ragione per la quale oltre al sequestro del postamat, mediante il quale viene versato il sussidio al ricorrente, sia stato sottoposto a sequestro anche il conto corrente acceso presso il (OMISSIS) che non avrebbe attinenza con la contestazione, quanto ai presupposti del sequestro rileva, il ricorrente, che l'arresto in data 29 dicembre 2019 di (OMISSIS), figlio del ricorrente, non avrebbe in alcun modo inciso sul diritto dell'originario nucleo familiare alla percezione del reddito di cittadinanza, ma ne avrebbe solo determinato una marginale, riduzione certamente inferiore a quella dovuta al mutamento della composizione familiare del ricorrente a seguito di separazione. Infatti, a seguito di separazione personale il ricorrente aveva inoltrato una nuova richiesta di sussidio in data 08/02/2021 ed avrebbe ottenuto il sussidio di importo molto inferiore a quello originario e tale riduzione sarebbe conseguente al nuovo nucleo famigliare a seguito di separazione. Il nuovo successivo e diverso sussidio era erogato con la postamat sottoposta a sequestro, dunque, erroneamente sarebbero stati ritenuti sussistenti i presupposti per il sequestro, caduto su una carta postamat e un conto corrente relativi ad una nuova e successiva domanda di percezione del reddito di cittadinanza. In ogni caso, non sarebbero penalmente rilevanti le omissioni e falsita' che non incidono sul possesso dei requisiti per la percezione del sussidio. Infine, il tribunale avrebbe omesso la valutazione della memoria difensiva depositata. 3. Il Procuratore generale ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 4. Il ricorso e' inammissibile. Va, in primo luogo, rilevato che e' estraneo al perimetro della presente decisione la questione, sollevata dal ricorrente, relativa al sequestro del conto corrente dal momento che risulta dal provvedimento impugnato, nel riepilogo della vicenda, che era stato emesso, dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Torre Annunziata, decreto di sequestro preventivo della - sola - carta postamat RDC intestata al (OMISSIS) e che la difesa aveva contestato la sussistenza di entrambi i presupposti per l'applicazione della misura. Non risulta che il ricorrente avesse svolto censure sul punto nell'istanza di riesame. 5. Quanto al merito, il vizio di violazione di legge di cui Decreto Legge n. 4 del 2019, articolo 7, comma 2, e' manifestamente infondato. Va premesso che e' priva di allegazione la tesi secondo cui la carta postamat caduta in sequestro sarebbe collegata ad una erogazione del sussidio del reddito di cittadinanza conseguente ad una nuova istanza del 2021 del ricorrente, quale unico componente del nucleo famigliare, a seguito di separazione personale. La prospettazione difensiva, meramente allegata, non si confronta neppure con il provvedimento impugnato. Risulta, infatti, dal provvedimento impugnato, che il sequestro preventivo era stato disposto sulla carta postamat in suo possesso su cui veniva versato il sussidio del reddito di cittadinanza, beneficio che era stato riconosciuto al medesimo in data 15/11/2019 e che il successivo 28/12/2019 uno dei componenti del nucleo famigliare veniva tratto in arresto e il (OMISSIS) ometteva di comunicare tale circostanza all'ente erogatore. Il ricorrente, che a seguito di domanda percepisce il reddito di cittadinanza, ha omesso di comunicare il sopraggiunto stato di detenzione del figlio, ha percepito cosi', indebitamente ed in parte, il beneficio economico dal gennaio del 2020. Il Tribunale del riesame (cfr. pag. 1 e 2 dell'ordinanza impugnata) ha correttamente ritenuto che l'omessa comunicazione dello stato di detenzione del figlio del ricorrente sopravvenuta al riconoscimento del beneficio integri la condotta punita dal Decreto Legge n. 4 del 2019, articolo 7, comma 1, che e' punita con la reclusione da uno a tre anni. Il Decreto Legge n. 4 del 2019, articolo 2 prevede che i requisiti per l'ottenimento del beneficio economico devono sussistere, devono essere in possesso del nucleo familiare cumulativamente, al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell'erogazione del beneficio. L'articolo 2, facendo riferimento alla composizione del nucleo familiare ed alla sua incidenza sull'entita' del beneficio economico, impone la persistenza dei requisiti anche relativi al quantum per tutta la durata dell'erogazione del beneficio. Poiche' beneficiario ex lege del reddito di cittadinanza non e' il richiedente ma il nucleo familiare, ed il valore economico si calcola proprio in relazione alla sua composizione, lo stato di detenzione sopravvenuto del familiare determina la riduzione dell'importo del beneficio economico (Sez. 3, n. 1351 del 25/11/2021, Lacquaniti, Rv. 282637 - 01). Consegue che l'omessa comunicazione della variazione della composizione del nucleo famigliare, per la sopravvenuta carcerazione del figlio, integra una omissione di informazione dovuta ed incide sulla persistenza dei requisiti in relazione al quantum in quanto comporta la percezione di un sussidio "non ridotto". 6. Correttamente il Tribunale ha ritenuto sussistente il fumus del delitto di cui all'articolo 7, comma 2 cit. ed ha confermato il decreto di sequestro, non venendo qui in discussione i presupposti per il suo riconoscimento. 7. Quanto all'ulteriore requisito del periculum in mora, rileva il Collegio che trattasi di sequestro a fini impeditivi sussistendo il pericolo di aggravamento del reato per la possibilita' che il ricorrente, se lasciato in possesso della carta postamat, possa utilizzare le somme ivi accreditata, ma indebitamente percepite. Motivazione congrua e corretta in diritto. L'ordinanza impugnata, che ha disatteso implicitamente le deduzioni difensive svolte nella memoria, e' sorretta da motivazione presente e corretta in diritto. 8. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'articolo 616 c.p.p.. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e' ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. LIBERATI Giovanni - Presidente Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. SEMERARO Luca - rel. Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere Dott. MAGRO Beatrice - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 10/06/2022 della CORTE APPELLO di BOLOGNA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA SEMERARO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore STEFANO TOCCI Il Proc. Gen. chiede dichiararsi l'inammissibilita' per entrambi i ricorsi. udito il difensore; l'avvocata (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza del 10 giugno 2022 la Corte di appello di Bologna ha confermato la condanna inflitta dal Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Parma il 6 ottobre 2021 a (OMISSIS) e (OMISSIS), all'esito del giudizio abbreviato, alla pena, rispettivamente, di 4 anni ed 8 mesi di reclusione ed Euro 24.400 di multa e 5 anni e 9 mesi di reclusione ed Euro 27.200 di multa, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti sulla recidiva contestata ad entrambi quale specifica, reiterata ed infraquinquennale. 1.1. Gli imputati sono stati condannati, in concorso tra loro: - per il reato Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 73, comma 1, per la illecita detenzione di grammi 49,94 cocaina, gia' divisa in involucri con principio attivo variabile tra il 82% ed il 67,43%, di cui 2,27 grammi ceduti ad (OMISSIS), (capo 1; in Fidenza il 21 giugno 2021); - per il reato ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, per la illecita detenzione, al fine di cederla a terzi, di 565,05 grammi di hashish - 4 panetti da 100 grammi ciascuno e la restante parte gia' diviso per la cessione - con percentuale di principio attivo tra il 37,27% ed il 23,28%, con un panetto da 100 grammi ceduto a (OMISSIS) (capo 2; in Fidenza il 21 giugno 2021); - per il reato ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, per la illecita detenzione, al fine di cederla a terzi, di 199,2 grammi di marijuana divisa in diversi involucri, con percentuale di principio attivo tra il 20,97% ed il 6,54%, di cui cedevano grammi 5,70 a (OMISSIS), (capo 3; in Fidenza il 21 giugno 2021); 2. Avverso tale sentenza il difensore degli imputati ha proposto due distinti ricorsi ma di identico contenuto, ad esclusione del quarto motivo. 2.1. Preliminarmente si reitera l'eccezione relativa alla nullita' della sentenza impugnata per l'illegittimita' costituzionale, per contrasto con gli articolo 25 e 27 Cost., dell'articolo 81 c.p., comma 4, nella parte in cui prevede che quando i reati da porsi tra loro in continuazione siano commessi da un soggetto al quale e' stata applicata la recidiva ex articolo 99 c.p., comma 4, l'aumento per la continuazione della pena non possa essere inferiore ad 1/3 di quella stabilita per il reato piu' grave, e nella parte in cui non esclude tale aumento minimo nel caso in cui la recidiva reiterata sia stata ritenuta in giudizio equivalente alle circostanze attenuanti generiche, poiche' in tal caso dovrebbe venir meno la valutazione della recidiva con riferimento ad ogni aspetto del trattamento sanzionatorio. La Corte territoriale avrebbe risposto con motivazione apparente e non pertinente rispetto alla questione sollevata, relativa all'aumento di pena nell'ipotesi di giudizio di equivalenza tra le circostanze attenuanti generiche e la recidiva; ad (OMISSIS), il Giudice dell'udienza preliminare avrebbe ritenuto sussistente solo la recidiva specifica ed infraquinquennale. Si chiede, infine, valutata la non manifesta infondatezza dell'eccezione di legittimita' costituzionale dell'articolo 81, comma 4, c.p., di investire la Corte costituzionale della questione di legittimita' costituzionale ai sensi degli articoli 25 e 27 Cost. e per l'effetto riformare la sentenza impugnata. 2.2. Con il primo motivo si deduce l'inosservanza di norme processuali che determinano la nullita' del procedimento ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), con riferimento alle norme che presidiano la partecipazione dell'imputato al processo, stante la negata autorizzazione a consentire la partecipazione personale dell'imputato (OMISSIS), e la conseguente mancata traduzione dello stesso dal carcere per l'udienza del 6 ottobre 2021, nonostante la rituale richiesta avanzata per mezzo del proprio difensore e procuratore speciale in data (OMISSIS) e che era stata rigettata dal Giudice per le indagini preliminari in data 22 settembre 2021 e anche dal Giudice dell'udienza preliminare una volta riproposta dalla difesa in udienza e comunque la valutazione dello stesso come presente, omettendo di riferire che la presenza avveniva con modalita' telematiche, con evidente lesione del diritto di difesa degli imputati nel merito dei fatti contestati, nonche' l'illegittimita' costituzionale del Decreto Legge 137 del 2020 articolo 23, comma 4, sulla partecipazione all'udienza delle persone detenute per contrasto con gli articoli 111 e 3 Cost. 2.3. Con il secondo motivo si deduce il vizio di violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., lettera b), in ordine all'erronea qualificazione giuridica dei fatti contestati ai ricorrenti stante l'assenza dell'elemento oggettivo del reato; i fatti rientrerebbero nella fattispecie non punibile del "consumo di gruppo". Con il motivo si impugna anche il rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria mediante l'acquisizione degli atti del processo nei confronti di (OMISSIS), in particolare del verbale dell'udienza del 22 giugno 2021, con motivazione che sarebbe pretestuosa, infondata o illegittima. 2.4. Con il terzo motivo si deduce l'illogicita', la contraddittorieta' della motivazione, ravvisabile dal mero raffronto tra il testo del provvedimento impugnato e gli atti del procedimento; non sarebbero stati valutati gli elementi fattuali diretti ad escludere il reato contestato per carenza dell'elemento oggettivo ed a dimostrare la riconducibilita' nell'ipotesi non punibile del "consumo di gruppo". 2.5. Con il quarto motivo del ricorso di (OMISSIS), si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione sul mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche ex articolo 62-bis c.p. sulla recidiva "specifica e infraquinquennale" in capo ad (OMISSIS) e per l'eccessivita' della pena inflitta. 2.5. Con il quarto motivo del ricorso di (OMISSIS), si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione sul mancato riconoscimento della circostanza attenuante della minore partecipazione ex articolo 114 c.p. a (OMISSIS) e per l'eccessivita' della pena inflitta. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere analizzato seguendo l'ordine logico delle questioni dedotte. 1.1. In tal senso, la prima questione, posta con il primo motivo, e' quella relativa alla costituzione delle parti ed alla partecipazione dell'imputato al processo. Secondo la stessa ricostruzione del ricorso, all'udienza del 6 ottobre 2021 (OMISSIS), era presente in aula, detenuta agli arresti domiciliari, ed era assistita in aula da uno dei suoi difensori di fiducia, l'avv. (OMISSIS). (OMISSIS) era, invece, detenuto in carcere ed era presente in udienza perche' collegato in videoconferenza. Il suo difensore, l'avv. (OMISSIS), era in aula di udienza e non era presente in carcere. Secondo la prospettazione del ricorrente, non sarebbe stato garantito l'effettivo esercizio della partecipazione in udienza e dei diritti difensivi. 1.2. Con il motivo, in primo luogo, si deduce l'inosservanza di norme processuali che determinano la nullita' del procedimento ex 606 c.p.p., comma 1, lettera c). 1.2.1. Il motivo, oltre a quanto si riportera' successivamente, e' manifestamente infondato quanto alla posizione di (OMISSIS), posto che l'indagata era presente ed assistita dal suo difensore di fiducia ed alcuna violazione e' prospettabile nei suoi confronti. 1.2.2. Del tutto generica e' la prospettazione della lesione del principio del contraddittorio, tenuto conto della presenza delle parti e del difensore comune. 1.3. Il motivo e' manifestamente infondato in base ai dati di fatto che emergono dal verbale dell'udienza del 6 ottobre 2021. 1.3.1. Subito dopo la costituzione delle parti, in cui si e' dato atto che " (OMISSIS) - Difeso di fiducia dall'Avv. (OMISSIS) detenuto p.q.c." era presente a mezzo videocollegamento - TEAMS, cosi' come previsto dalla disciplina emergenziale in vigore, il difensore ha cosi' rappresentato la sua eccezione: "Il difensore ritiene illegittimo il mancato trasporto in udienza dell'imputato (OMISSIS) in quanto si crea una difficolta' difensiva per un eventuale contraddittorio. Fa presente che il proprio assistito e' stato vaccinato". 1.3.2. Il Giudice dell'udienza preliminare ha rigettato la questione con un corretto richiamo alle norme in vigore: "Il Giudice rigetta l'eccezione difensiva in virtu' di quanto gia' disposto dal GIP di questo Tribunale in data 22 Settembre 2021 in merito all'applicazione del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 4 sulla partecipazione a distanza delle persone detenute in presenza di stato di emergenza". Il Giudice dell'udienza preliminare ha anche avvisato il difensore delle prerogative a lui riconosciute dalla legge per eventuali colloqui e contatti con l'imputato: "Si rileva che il difensore e' nelle condizioni di poter vedere il proprio assistito nonche' in qualunque momento di chiedere una breve sospensione per avere un colloquio telefonico con lo stesso. Egli ha avuto inoltre la possibilita' di collegarsi dal carcere insieme al suo assistito potendo stabilire contatti a distanza in quel caso con l'altra imputata agli arresti domiciliari. Allo stato, comunque, la disposizione normativa che si applica in presenza di uno stato di emergenza ancora contemperando in modo ragionevole i plurimi interessi di rilevanza costituzionale. Sara' comunque cura di questo Giudice, qualora la reciproca visibilita' non sia attuata o i colloqui telefonici non siano possibili tra difensore e imputato, sospendere l'udienza per consentire un ripristino delle corrette modalita' di partecipazione dell'imputato tramite videocollegamento. Corrette modalita' che allo stato si ritengono rispettate". 1.3.3. A tal punto, il difensore non ha eccepito alcuna (insussistente) nullita' dell'ordinanza letta in udienza ma ha ribadito la richiesta di definizione del giudizio con il rito abbreviato condizionato all'esame di (OMISSIS) o, in subordine, con il giudizio abbreviato "secco". Il Giudice dell'udienza preliminare ha ammesso il giudizio abbreviato non condizionato e le parti hanno discusso il processo, deciso alla stessa udienza. 1.4. Quanto alla posizione di (OMISSIS), il motivo e' inammissibile perche', in violazione dell'articolo 581 c.p.p., lettera d), non qualifica in alcun modo quale sarebbe la nullita' che si sarebbe concretizzata e nemmeno quale sarebbe stata la norma di legge violata. Anzi, si prospetta l'osservanza della norma, dell'articolo 23 del Decreto Legge 137 del 2020. 1.5. Del tutto errata e' poi l'affermazione sull'omessa traduzione in aula del ricorrente il quale, invece, correttamente non e' stato tradotto in applicazione del Decreto Legge 137 del 2020, articolo 23, comma 4. Ne' e' stata dedotta la concreta violazione delle norme di attuazione, richiamate dal del Decreto Legge 137 del 2020, articolo 23, che consentivano o la presenza del difensore in carcere o la possibilita' di collegarsi riservatamente con l'imputato con mezzi idonei. La presenza in aula del difensore di fiducia e' frutto della sua specifica scelta, che ex lege non gli avrebbe impedito di comunicare con l'imputato presente in video conferenza, come possibile secondo l'articolo 146-bis disp. att. c.p.p.. 1.6. L'omessa qualificazione della nullita' che si sarebbe concretizzata e dell'indicazione delle norme violate previste da sanzione e' rilevante, inoltre, in quanto per le nullita' vige il principio di tassativita' ai sensi dell'articolo 177 c.p.p., che prevede, infatti, che "L'inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento e' causa di nullita' soltanto nei casi previsti dalla legge". La qualificazione nell'impugnazione della nullita' dedotta e' rilevante anche sotto un altro profilo: l'articolo 438 c.p.p., comma 6-bis, prevede che la richiesta di giudizio abbreviato determini la sanatoria delle nullita', sempre che non siano assolute. Ai sensi dell'articolo 179 c.p.p. sono nullita' assolute, insanabili e rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del processo, solo quelle previste dall'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera a), quelle concernenti l'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale, quelle derivanti dall'omessa citazione dell'imputato o dall'assenza del suo difensore nei casi in cui ne e' obbligatoria la presenza, o quelle definite assolute da specifiche disposizioni di legge. La lesione dei diritti difensivi, per altro inesistente, nell'ottica difensiva non concernerebbe ne' l'omessa citazione dell'imputato ne' l'assenza del difensore, che era presente: ogni questione, pertanto, non trattandosi di nullita' assoluta, e' da ritenersi preclusa dalla richiesta di giudizio abbreviato e cio' rende, di conseguenza, la questione di legittimita' costituzionale del tutto irrilevante. 1.7. A cio' si aggiunga che le argomentazioni con cui si chiede di sollevare la questione non sono generali ed astratte ma riferite al caso particolare - come l'argomento per cui il ricorrente era vaccinato, senza alcuna considerazione sulla ratio della norma emergenziale e della necessita' di impedire la circolazione di piu' soggetti, fra cui quelli adibiti alla traduzione; o del tutto infondate, come il richiamo all'articolo 111 Cost. in cui la presenza del detenuto e' stata garantita, seppure con diverse modalita' e con effettivita', come richiesto dalla Corte costituzionale in piu' occasioni (cfr. ad esempio la sentenza n. 342 del 1999). 2. E' inammissibile il secondo motivo laddove si deduce che la Corte territoriale non avrebbe risposto alla richiesta, formulata con l'appello, di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale mediante l'esame di (OMISSIS), padre del ricorrente. 2.1. Dall'esame degli appelli, cfr. in particolare le pagine 9 e le conclusioni, risulta che le richieste istruttorie riguardavano esclusivamente l'acquisizione degli atti relativi al processo nei confronti di (OMISSIS). 2.2. E' manifestamente infondato il motivo quanto al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale mediante l'acquisizione degli atti relativi al processo nei confronti di (OMISSIS). La Corte di appello ha correttamente ritenuto il processo decidibile allo stato degli atti ed irrilevante l'acquisizione delle dichiarazioni dell'imputato in procedimento connesso (OMISSIS) poiche' gli elementi di prova a carico dei ricorrenti sulla cessione non sono in alcun modo scalfiti da quanto si riporta negli appelli e nel ricorso: il panetto rinvenuto nella disponibilita' di (OMISSIS) era identico per "marca" e peso a quelli trovati nell'abitazione dei ricorrenti; (OMISSIS), non aveva con se' somme di denaro. Per altro, le dichiarazioni di (OMISSIS), riportate nel ricorso, sono del tutto in contrasto con la tesi difensiva dell'uso di gruppo. 3. Il secondo ed il terzo motivo, con cui si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione sulla ritenuta sussistenza della responsabilita' degli imputati e sul rigetto della tesi del cd. uso di gruppo, sono manifestamente infondati. 3.1. La destinazione a terzi della sostanza stupefacente rinvenuta e' stata ritenuta provata dai giudici di merito in base ad una pluralita' di elementi di prova: - il sequestro di sostanza stupefacente ai danni di soggetti, (OMISSIS) ed (OMISSIS), subito dopo essersi recati dagli imputati, il primo per un quantitativo significativo (un panetto da 100 grammi); - il rinvenimento di tre tipi diversi di sostanza stupefacente (cocaina, hashish e marijuana) nell'appartamento dei ricorrenti in quantitativi significativi, come prima indicato; - il rinvenimento di un panetto recante la stessa dicitura di quello trovato in possesso di (OMISSIS), del materiale per il peso ed il confezionamento delle sostanze stupefacenti (bustine di plastica e bilancini), di notevoli somme di denaro, di documenti su cui era riportata la contabilita', con nomi e cifre. 3.2. Correttamente, la tesi alternativa, riproposta con il ricorso, e' stata ritenuta congetturale. 3.2.1. Secondo Sez. U, n. 25401 del 31/01/2013, Galluccio, Rv. 255258 - 01, "Anche all'esito delle modifiche apportate dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49 al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, il c.d. consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, sia nell'ipotesi di acquisto congiunto, che in quella di mandato all'acquisto collettivo ad uno dei consumatori, non e' penalmente rilevante, ma integra l'illecito amministrativo sanzionato dal stesso Decreto del Presidente della Repubblica n., articolo 75, a condizione che: a) l'acquirente sia uno degli assuntori; b) l'acquisto avvenga sin dall'inizio per conto degli altri componenti del gruppo; c) sia certa sin dall'inizio l'identita' dei mandanti e la loro manifesta volonta' di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo anche finanziariamente all'acquisto". In motivazione, le Sezioni Unite hanno precisato che con il riferimento all'uso "esclusivamente personale", inserito dall'articolo 4-bis del Decreto Legge n. 272 del 2005, conv. in L. n. 49 del 2006, il legislatore non ha introdotto una nuova norma penale incriminatrice, con una conseguente restrizione dei comportamenti rientranti nell'uso personale dei componenti del gruppo, ma ha di fatto ribadito che la non punibilita' riguarda solo i casi in cui la sostanza non e' destinata a terzi, ma all'utilizzo personale degli appartenenti al gruppo che la codetengono. 3.2.2. Deve ribadirsi l'orientamento secondo cui ai fini della formazione del libero convincimento del giudice, sussiste un effettivo contrasto fra opposte versioni, oggetto di valutazione da parte del giudice anche al fine di verificarne l'attendibilita', solo nel caso in cui sia l'imputato personalmente ad aver fornito la contrastante versione dei fatti, non essendo sufficiente invece, come nel caso in esame, una mera prospettazione da parte del suo difensore (Sez. 3, n. 20884 del 22/11/2016, dep. 2017, A., Rv. 270123-01). La ricostruzione alternativa della difesa deve fondarsi su elementi di prova, cioe' sui dati acquisiti al processo, non su fatti meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili. 3.3. Orbene, la tesi dell'uso di gruppo non trova nessun fondamento probatorio, tenuto conto delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) la quale ha rappresentato che l'hashish e la marijuana erano per l'uso personale del marito; i bilancini servivano per pesare il cibo per i cani; i 7000 Euro erano un prestito del suocero; i 900 Euro che il marito aveva nel portafogli servivano per pagare le bollette; ignorava cosa avessero fatto (OMISSIS) e (OMISSIS) con il marito - il che conferma che i due soggetti trovati in possesso delle sostanze stupefacenti si recarono effettivamente presso l'abitazione dei ricorrenti; solo lei frequentava il Sert di Fidenza. 3.4. Dunque, atteso il silenzio del ricorrente, (OMISSIS) non ha minimamente dichiarato che: a) l'acquirente sia uno degli assuntori, anzi ha escluso che il marito frequentasse il Sert per l'uso di cannabinoidi; b) l'acquisto era avvenuto sin dall'inizio per conto degli altri componenti del gruppo: anzi, l'uso personale e' stato riferito solo alle cd. droghe leggere ed al marito; c) sia certa sin dall'inizio l'identita' dei mandanti e la loro manifesta volonta' di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo anche finanziariamente all'acquisto. Tali dati non emergono in alcun modo dalle dichiarazioni della ricorrente che, anzi, non ha minimamente indicato l'esistenza di. un gruppo che avrebbe dovuto consumare insieme e neanche ha indicato che la sostanza stupefacente era per il suo uso personale. Non risulta, rispetto a quanto riportato nella sentenza di primo grado, dedotto il travisamento delle dichiarazioni di (OMISSIS). 3.5. Manifestamente infondato e' poi il terzo motivo nella parte in cui ci si duole della mancata risposta ai motivi di appello, tutti specificamente analizzati. 4. Con il motivo preliminare si chiede contraddittoriamente di sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 81, comma 4, c.p.p. e di riformare la sentenza impugnata. 4.1. La questione, che concerne l'aumento di pena di un terzo ex articolo 81 c.p.p., comma 4, ove sia applicata la recidiva anche se equivalente a circostanze attenuanti, dedotta per il ricorrente (OMISSIS), e' inammissibile per carenza di interesse, posto che l'articolo 81, comma 4, c.p. non e' stato applicato nei suoi confronti. Per (OMISSIS), l'aumento per la continuazione e' stato di 6 mesi di reclusione e 6.000 Euro di multa, rispetto alla pena base per il piu' grave reato Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 73, comma 1, di cui al capo 1), di 6 anni e 6 mesi di reclusione ed Euro 30.600 di multa. 4.2. Quanto a (OMISSIS), il motivo e' inammissibile per il difetto del requisito della specificita' estrinseca e la questione di legittimita' costituzionale manifestamente infondata. 4.2.1. La Corte di appello non ha effettuato una sterile rassegna di giurisprudenza ma ha richiamato le sentenze, anche delle Sezioni Unite, da cui' risulta che la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 81 c.p., comma 4, anche nell'ipotesi di applicazione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, e' stata gia' dichiarata manifestamente inammissibile dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 193 del 2008 e ribadita dall'ordinanza n. 171 del 2009. Il ricorso non si confronta in alcun modo con la motivazione della sentenza fondata sulla giurisprudenza costituzionale e di legittimita'. 4.2.2. Va ricordato che Sez. U, n. 31669 del 23/06/2016, Filosofi, Rv. 267044 - 01, ha affermato il principio - che va ribadito - per cui "In tema di reato continuato, il limite di aumento di pena non inferiore ad un terzo di quella stabilita per il reato piu' grave, previsto dall'articolo 81 c.p., comma 4, nei confronti dei soggetti ai quali e' stata applicata la recidiva di cui all'articolo 99, comma 4, c.p., opera anche quando il giudice consideri la recidiva stessa equivalente alle riconosciute attenuanti". 4.3. Del tutto priva di fondamento normativo e di logica e' la tesi per cui l'aver riconosciuto ad (OMISSIS), solo la recidiva specifica ed infraquinquennale e non quella reiterata specifica ed infraquinquennale contestata genererebbe una nullita' perche' sarebbe stata necessaria una modifica dell'imputazione. Non solo il ricorrente non indica quale norma prevederebbe tale nullita', ma il Giudice dell'udienza preliminare ha assunto una decisione favorevole poiche' ha escluso un elemento giuridico della contestazione: nessuna norma prevede che il giudice, ove escluda una circostanza aggravante, debba procedere alla modifica dell'imputazione; ne' cio' sarebbe logicamente possibile, posto che la modifica dell'imputazione sarebbe possibile solo prima della decisione e non dopo. Non si comprende poi quale sarebbe stata la lesione del diritto di difesa dei ricorrenti, uno dei quali ha ricevuto una decisione favorevole. 4.4. Del tutto insussistente e' l'invocata disparita' di trattamento: in nessun modo la difesa ha dimostrato che sia errata la decisione di riconoscere in un caso la recidiva specifica ed infraquinquennale e nell'altro quella reiterata specifica ed infraquinquennale contestata. 5. Manifestamente infondato e' il quarto motivo del ricorso di (OMISSIS), sull'applicazione dell'articolo 114 c.p.: nell'appello gli elementi di fatto posti a sostegno della richiesta erano costituiti dalle dichiarazioni dell'imputata, nella parte in cui ha riferito che (OMISSIS) e (OMISSIS) "sarebbero al piu' venute a trovare il marito e che nulla sapeva su cosa era avvenuto quel giorno in casa..." (cosi' pag. 13 dell'appello); della condizione di tossicodipendente, cilLtIla percezione del reddito di cittadinanza. Gli elementi di fatto indicati nell'appello, riproposti con il ricorso per cassazione, sono stati correttamente ritenuti irrilevanti ai fini dell'applicazione della circostanza attenuante invocata, ritenuta la sussistenza della codetenzione. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, in tema di concorso di persone nel reato, ai fini dell'integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all'articolo 114 c.p., non e' sufficiente una minore efficacia causale dell'attivita' prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto e' necessario che il contributo dato si sia concretizzato nell'assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale cosi' lieve rispetto all'evento da risultare trascurabile nell'economia generale dell'iter criminoso (Sez. 6, n. 34539 del 23/06/2021, I., Rv. 281857). 6.1. Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita' qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la piu' idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 24593101). In motivazione le Sezioni Unite hanno affermato che a giustificare la soluzione della equivalenza deve ritenersi sufficiente l'implicito riferimento ad una valutazione complessiva dell'episodio criminoso e della personalita' dell'imputato, che si traduce in sostanza in un giudizio di non meritevolezza di un trattamento sanzionatorio ancor piu' mite. Uno dei parametri normativi per effettuare il giudizio di bilanciamento e' l'articolo 133 c.p.; cfr. Sez. 1, n. 17494 del 18/12/2019, dep. 2020, Defilippi, Rv. 279181 - 02, per cui, in tema di bilanciamento di circostanze eterogenee, non incorre nel vizio di motivazione il giudice di appello che, nel confermare il giudizio di equivalenza fra le circostanze operato dal giudice di primo grado, dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell'articolo 133 c.p. e gli altri dati significativi, apprezzati in modo logico e coerente rispetto a quelli concorrenti di segno opposto. 6.2. Il rigetto della richiesta e' avvenuto richiamando esplicitamente i parametri ex articolo 133 c.p.: la gravita' del reato e' stata ampiamente descritta in sentenza, tenuto conto dei quantitativi significativi detenuti e ceduti. Inoltre, la Corte di appello ha rigettato la richiesta in base ai tre precedenti penali, di cui due specifici. Ha, dunque, fondato la valutazione anche sulla capacita' a delinquere dell'imputato. La decisione e' corretta in diritto ed immune da vizi logici. 6.3. Va ribadito che sono manifestamente infondate le doglianze che fanno leva sulla ingiustizia di un trattamento sanzionatorio "parificato" a quello del coimputato, in quanto il trattamento sanzionatorio deve essere definito sulla base di parametri squisitamente individuali, non essendo richiesta nessuna valutazione comparativa tra posizioni omogenee. Ne' tra i parametri di legittimita' per la definizione della pena si rinviene quello della valutazione comparativa tra concorrenti. L'accertamento di responsabilita' e la definizione del trattamento sanzionatorio sono, infatti, il risultato di valutazioni concernenti la posizione dei singoli imputati e sul giudice non grava alcun onere motivazionale in ordine alla eventuale differenziazione delle pene inflitte (Cfr. in tal senso Sez. 2, n. 1886 del 15/12/2016, dep. 2017, Bonacina, Rv. 269317 - 01). 7.1. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, nel caso in cui sia irrogata una pena al di sotto della media edittale, non e' necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo all'adeguatezza, alla congruita', alla non eccessivita', all'equita' e simili della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'articolo 133 c.p. Inoltre, il criterio di determinazione e' desumibile anche dal testo della sentenza e non solo nella parte destinata alla quantificazione della pena (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949). In tal caso, cosi' come per gli aumenti e le diminuzioni per le circostanze aggravanti ed attenuanti, l'uso del potere discrezionale del giudice e' insindacabile ed e' inammissibile il ricorso che tenda ad una nuova valutazione della congruita' della pena. 7.2. Oltre a rilevare che la pena base era di poco superiore al minimo edittale, dato questo indiscutibile, la Corte di appello ha specificamente motivato la congruita' della pena in base alla gravita' del reato, descritta nel par. 4.6.; ha specificamente valutato i motivi di appello sul punto, ritenendoli sub valenti rispetto alla gravita' dei reati. 7.3. Del tutto errata in diritto e' l'affermazione che le sostanze stupefacenti rientrerebbero anche nella tabella medicali, trattandosi di ipotesi del tutto diversa. Tale motivazione e' del tutto sufficiente ed e' corretta in diritto, poiche' si tratta della concreta applicazione dell'articolo 133 c.p.. 8. Pertanto, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. si condannano i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende, considerato che non vi e' ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SARNO Giulio - Presidente Dott. GALTERIO Donatella - Consigliere Dott. DI STASI Antonella - Consigliere Dott. GAI Emanuela - rel. Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 18/05/2022 del Tribunale di Palmi visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Gai Emanuela; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale CASELLA Giuseppina, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa in data 18 maggio 2022, il Tribunale di Vibo Valentia ha applicato, a norma dell'articolo 444 c.p.p., all'imputato, la pena di anni uno di reclusione, in relazione al reato di cui al Decreto Legge n. 4 del 2019, articolo 4 in relazione alla indebita percezione del reddito di cittadinanza, da aprile 2019 a settembre 2020, per un ammontare di Euro 13.016,37, ed ha disposto la confisca, ai sensi dell'articolo 240 c.p., del profitto del reato pari a Euro 13.016,37. 2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata il difensore di fiducia dell'imputato, articolando, con un univo motivo di ricorso, la violazione di cui all'articolo 448 c.p.p., comma 2 bis, in relazione alla disposta confisca in assenza dell'accordo delle parti e di motivazione sul punto. Il Tribunale avrebbe disposto la confisca facoltativa non compresa nell'accordo delle parti e senza motivazione. 3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 4. Il ricorso e' inammissibile. Va detto che il ricorso per cassazione avverso alla sentenza di applicazione di pena su richiesta, e' ammissibile, ai sensi dell'articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, solo per motivi attinenti all'espressione della volonta', al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, alla qualificazione giuridica e all'illegalita' della pena o misura di sicurezza. Quanto ai motivi per cui e' ammissibili il ricorso per cassazione avverso una sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 c.p.p. (nella versione vigente ratione temporis precedente alla modifica di cui al Decreto Legislativo n. 150 del 2022 che ha introdotto l'articolo 444 c.p.p., comma 3 bis) le Sezioni Unite di Questa Corte hanno precisato che: 1) se la misura di sicurezza e' parte dell'accordo tra le parti, il giudice, nel ratificare tale accordo complesso, potra' ricorrere a una motivazione sintetica, tipica del rito, e comunque la sentenza sara' ricorribile per cassazione nei limiti previsti dall'articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, 2) se, a seguito del ricorso per cassazione, l'applicazione concordata della misura di sicurezza dovesse risultare "illegale", la conseguenza sara' l'annullamento senza rinvio della sentenza di "patteggiamento", dal momento che la rilevata illegalita' rende invalido l'intero accordo, 3) se l'applicazione della misura di sicurezza, obbligatoria o facoltativa, personale o patrimoniale, non e' concordata fra le parti, puo' essere comunque disposta, ai sensi dell'articolo 445 c.p.p., comma 1, con la sentenza prevista dall'articolo 444 c.p.p., comma 2. In tal caso, se la sentenza dispone una misura di sicurezza, sulla quale non e' intervenuto accordo tra le parti, la statuizione relativa - che richiede accertamenti circa i previsti presupposti giustificativi e una pertinente motivazione che non ripete quella tipica della sentenza di "patteggiamento", ed e' inappellabile, alla luce del disposto del, tuttora vigente, articolo 448 c.p.p., comma 2 - "e' impugnabile, per coerenza dello sviluppo del ragionamento giuridico non disgiunto da esigenze di tenuta del sistema secondo postulati di unitarieta' e completezza, con ricorso per cassazione anche per vizio della motivazione, ex articolo 606 c.p.p., comma 1" (Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, Savin, Rv. 279348 - 02). 5. Alla luce di tali principi ermeneutici, non essendo stata, la misura di sicurezza della confisca, oggetto dell'accordo, la sentenza che la applica e' impugnabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., e non ai sensi dell'articolo 448 c.p.p., comma 2 bis per difetto di correlazione tra richiesta e sentenza come sostiene il ricorrente, consegue la manifesta infondatezza del primo profilo di censura. Rilevata l'ammissibilita' del ricorso per cassazione, nei termini sopra indicati, avverso la sentenza di applicazione di pena nella parte in cui ha disposto la confisca (Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, Savin, Rv. 279348 - 01), l'ulteriore profilo di censura di mancanza di motivazione e' manifestamente infondato. In tema di patteggiamento, l'applicabilita' della confisca, per effetto della L. 12 giugno 2003, n. 134, e' stata estesa a tutte le ipotesi previste dall'articolo 240 c.p., e non piu' solo a quelle previste dal comma 2 di tale articolo. A norma del comma 1 dell'articolo 240 c.p., sono suscettibili di confisca facoltativa solo le cose che abbiano una speciale qualita' (i cd. mezzi di esecuzione del reato ossia le cose servite o destinate a commettere il reato e quelle che costituiscono il prodotto o il profitto del reato). Deve trattarsi di cose che siano direttamente riferibili al fatto di reato, potendo essere oggetto di confisca solo quelle che siano eziologicamente collegate, in maniera diretta ed essenziale, con il reato commesso, fermo restando che il giudice deve dare conto, nella confisca facoltativa, dell'uso del potere discrezionale che va esercitato in vista di considerazioni di prevenzione speciale fondate sull'esigenza di prevenire la commissione di altri reati, sottraendo alla disponibilita' del colpevole cose connesse al reato che potrebbero costituire stimolo alla perpetrazione di nuovi reati (Sez. 3, n. 4252 del 15/01/2019, Caruso, Rv. 274946 - 01; Sez. 3, n. 2444 del 23/10/2014, Anibaldi, Rv. 262399; Sez. 6, n. 6062 del 05/11/2014, Moro, Rv. 263111; Sez. 4, n. 11982 del 14/02/2007, Indelicato ed altri, Rv. 236282). Quanto al caso in esame, il Tribunale ha disposto la confisca del profitto del reato di cui al Decreto Legge n. 4 del 2019, articolo 7 argomentando che il profitto del reato era costituito dal vantaggio economico ricavato in via immediata a diretta dalla condotta dell'imputato con la quale aveva ottenuto l'indebita percezione dei contributi, erogati al percettore del reddito di cittadinanza, per il periodo da aprile 2019 a settembre 2020, per l'ammontare di Euro 13.016,37. La motivazione soddisfa i requisiti di congruita' e completezza ed e' corretta in diritto. 6. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e' ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GALTIERO Donatella - rel. Presidente Dott. LIBERATI Giovanni - Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. SEMERARO Luca - Consigliere Dott. SCARCELLO Alessio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata ad (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 27/9/2022 del Tribunale di Vibo Valentia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso, trattato ai sensi Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8; udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi Giordano, che ha concluso chiedendo il rinvio del procedimento a data successiva alla decisione delle Sezioni unite. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 27 settembre 2022 il Tribunale di Vibo Valentia ha rigettato la richiesta di riesame presentata da (OMISSIS) nei confronti del decreto di sequestro preventivo del 14 luglio 2022 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con il quale era stato disposto il sequestro della somma di Euro 15.684,20 in relazione al reato di cui all'articolo 7, comma 1, in relazione al Decreto Legge n. 4 del 2019, articolo 2, comma 1, lettera b), n. 4, (disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni, convertito nella L. n. 26 del 2019). 2. Avverso tale ordinanza l'indagata ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite dell'Avvocato (OMISSIS), che lo ha affidato a un unico articolato motivo. La ricorrente ha denunciato l'errata applicazione del Decreto Legge n. 4 del 2019, articolo 7 e l'assoluta illogicita' della motivazione dell'ordinanza impugnata, nella parte relativa alla affermazione della configurabilita' di una omissione dichiarativa rilevante ai fini della riconoscibilita' del reddito di cittadinanza, e alla conseguente configurabilita' del reato di cui all'articolo 7 citato contestatole, in quanto il suddetto Decreto Legge 4 del 2019, articolo 2, comma 1, lettera b), n. 4, nell'individuare i potenziali beneficiari del reddito di cittadinanza, non include, al fine della determinazione del reddito familiare, anche i possessori di partita iva, circostanza comunque di per se' neutra, dovendo in ogni caso essere accertata la percezione di redditi incompatibili con i limiti stabiliti al fine della erogazione del reddito di cittadinanza e l'idoneita' dell'azione censurata al raggiungimento dell'obiettivo della indebita percezione del beneficio (tanto che l'obbligo di trasmissione da parte dei soggetti incaricati della vigilanza sulla legittimita' della percezione del beneficio era previsto solamente per i casi in cui dalle dichiarazioni mendaci sia derivata la illegittima percezione del beneficio del reddito di cittadinanza). Ha aggiunto che, come gia' affermato dalla giurisprudenza di legittimita' (si richiama la sentenza n. 29910 del 2022), avrebbe comunque dovuto essere esclusa la rilevanza penale delle condotte commissive od omissive prive di collegamento funzionale con il risultato della indebita percezione del beneficio, e ha sottolineato la necessita' di accertare, per poter ritenere configurabile detto reato, la sussistenza del dolo specifico richiesto dal Decreto Legge 4 del 2019 citato, articolo 7, comma 1. Nel caso in esame il Tribunale, pur dando atto della necessita' di accertare il carattere indebito della prestazione, ha ritenuto di confermare il provvedimento di sequestro senza accertare la percezione di redditi derivanti dalla attivita' lavorativa non dichiarata, escludendo la legittimita' della erogazione solamente a causa del possesso di una partita iva da parte della ricorrente, con la conseguente erroneita' della affermazione della configurabilita' del reato provvisoriamente contestato alla ricorrente. 3. Il Procuratore Generale nelle sue conclusioni ha chiesto il rinvio del ricorso, in attesa della decisione delle Sezioni Unite di questa Corte sulla questione rimessa dalla Terza Sezione con l'ordinanza n. 2588 del 11/10/2022, depositata il 20/1/2023, sul quesito "Se le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell'autodichiarazione finalizzata all'ottenimento del reddito di cittadinanza integrino il delitto di cui al Decreto Legge 28 gennaio 2019, n. 4, articolo 7, conv. in L. 28 marzo 2019, n. 26, indipendentemente dalla effettiva sussistenza o meno delle condizioni patrimoniali stabilite per l'ammissione al beneficio". CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. Va, in premessa, ricordato il consolidato orientamento interpretativo di questa Corte secondo cui, in tema di sequestro preventivo, non e' necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti sia operato il sequestro, essendo sufficiente che sussista il fumus commissi delicti, vale a dire la astratta sussumibilita' in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato (v. Sez. 2, n. 2248 del 11/12/2013, dep. 2014, Mirarchi, Rv. 260047; Sez. 2, n. 5656 del 28/01/2014, P.M. in proc. Zagarrio, Rv. 258279; Sez. 1, n. 18491 del 30/01/2018, Armeli, Rv. 273069), in quanto nella misura cautelare reale e' la pericolosita' della cosa in se' che giustifica l'imposizione della misura stessa e per questa ragione la misura, pur raccordandosi, nel suo presupposto giustificativo, a un fatto criminoso, puo' prescindere totalmente da qualsiasi profilo di colpevolezza, essendo ontologicamente legata non necessariamente all'autore del reato, bensi' alla cosa, che viene riguardata dall'ordinamento come strumento, la cui libera disponibilita' puo' rappresentare una situazione di pericolo; ne consegue che la verifica della legittimita' del provvedimento applicativo di una misura cautelare reale non dovra' mai sconfinare nel sindacato della concreta fondatezza dell'accusa, ma dovra' limitarsi all'astratta possibilita' di sussumere il fatto attribuito a un soggetto in una determinata ipotesi di reato. 3. Ora, nel caso in esame, il Tribunale di Vibo Valentia, dato atto del contrasto interpretativo esistente in ordine alla natura del reato di cui al Decreto Legge 4 del 2019, articolo 7, se di pericolo presunto o di pericolo concreto, ossia configurabile in presenza di dichiarazioni mendaci od omissioni circa l'effettiva situazione patrimoniale e reddituale dei soggetti che intendono accedere al reddito di cittadinanza a prescindere dalla effettiva sussistenza o meno dei presupposti per l'ammissione al beneficio e della loro incidenza su questi (come affermato da Sez. 3, n. 5289 del 25/10/2019, dep. 2020, Sacco, Rv. 278573, e da Sez. 2, n. 2402 del 5/11/2020, dep. 2021, Giudice, non massimata, da Sez. 3, n. 30302 del 15/9/2020, Colombo, non massimata, da Sez. 3, n. 33808 del 21/4/2021, Casa', non massimata, da Sez. 3, n. 5309 del 24/9/2021, dep. 2022, Tuono, non massimata, e da Sez. 3, n. 1351 del 24/11/2021, dep. 2022, Lacquaniti, non massimata), oppure configurabile solamente qualora il mendacio o l'omissione abbiano avuto una efficienza causale ai fini della erogazione del beneficio (come affermato da Sez. 3, n. 44366 del 15/09/2021, Gulino, Rv. 282336, e da Sez. 2, n. 29910 del 08/06/2022, Pollara, Rv. 283787), tanto che per risolvere tale contrasto la relativa questione e' stata rimessa alle Sezioni Unite con ordinanza n. 2588 del 2023 (ed e' gia' stata fissata per la decisione all'udienza del 25/5/2023), ha ritenuto astrattamente configurabile detto reato, costituente il presupposto della misura cautelare di cui si duole la ricorrente, non solamente in base al solo dato formale della omissione dichiarativa da parte della dichiarante, bensi' in considerazione della rilevanza del dato omesso, sottolineando come lo stesso si riferisca alla mancata dichiarazione dello svolgimento di una attivita' di lavoro autonomo consistente nell'esercizio di coltivazioni agricole associate all'allevamento di animali, evidenziando la prosecuzione delle indagini volte ad accertare la misura della redditivita' di tali attivita'. Si tratta di motivazione sufficiente, anche secondo l'orientamento che richiede, ai fini della configurabilita' del reato, che il mendacio o l'omissione abbiano avuto una efficienza causale ai fini della erogazione del beneficio, in quanto, sia pure nella ricordata prospettiva della verifica della astratta possibilita' di sussumere il fatto attribuito alla ricorrente nella ipotesi di reato contestata, il Tribunale ha dato atto della rilevanza della omissione da parte della ricorrente e della sua, quantomeno potenziale, incidenza sull'entita' dei redditi della ricorrente medesima, in tal modo dando conto in modo sufficiente sia della strumentalita' della omissione (quindi della sussistenza del dolo specifico richiesto dal secondo degli orientamenti ricordati); sia della sua idoneita' a consentire di ritenere configurabile il reato ipotizzato a carico della ricorrente, anche nella prospettiva piu' rigorosa richiesta dal secondo degli orientamenti ricordati, stante la chiara rilevanza in tale prospettiva dell'esercizio di una attivita' di impresa, anche in pendenza degli accertamenti in ordine ai ricavi dalla stessa generati e ai redditi che ne possono derivati a favore della ricorrente. Ne consegue la evidente infondatezza dei rilievi sollevati dalla ricorrente, non avendo affatto omesso il Tribunale la necessaria indagine circa l'intenzionalita' della condotta della ricorrente stessa e la sua strumentalita' all'indebito ottenimento del beneficio, ne' la verifica della configurabilita' della ipotesi di reato contestata alla ricorrente medesima, compiuta entro i limiti necessari alla conferma della misura cautelare censurata, ma comunque evidenziando l'idoneita' della condotta a conseguire indebitamente il beneficio, stante la rilevanza del dato non dichiarato. La ricorrente ha poi omesso di confrontarsi con tali rilievi, essendosi in sostanza limitata a richiamare il secondo e piu' rigoroso orientamento interpretativo, e anche di allegare al giudice di merito qualsiasi dato in ordine ai ricavi prodotti dall'impresa individuale di cui e' titolare, essendosi limitata a sottolineare l'insufficienza della sola omissione dichiarativa, senza altro aggiungere a proposito della attivita' di impresa di cui e' titolare e non dichiarata, ne', tantomeno, a proposito dei relativi ricavi, la cui, quantomeno potenziale, rilevanza e' stata sottolineata dal Tribunale. 4. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione della manifesta infondatezza dei rilievi sollevati dalla ricorrente, risultando corretta, adeguata e non certamente apparente la motivazione dell'ordinanza impugnata, anche nella prospettiva interpretativa indicata dalla ricorrente, le cui censure sono, in realta', volte a censurare l'adeguatezza e la logicita' della motivazione, omettendo di considerare che cio' non e' consentito nel giudizio di legittimita' relativo a misure cautelari reali (cfr., ex multis, Sez. U., n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 e, da ultimo, Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv.254893; Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656). Conseguono l'onere delle spese del procedimento e la condanna della ricorrente al pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. CORBETTA Stefano - Consigliere Dott. GAI Emunuela - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - rel. Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) n. in (OMISSIS); avverso la ordinanza del 31/10/2022 del tribunale di Monza; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Noviello; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Raffaele Piccirillo che ha chiesto l'annullamento con rinvio della ordinanza impugnata. RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Con ordinanza del 31 ottobre 2022, il tribunale del riesame di Monza, adito nell'interesse di (OMISSIS) avverso il decreto di sequestro del Gip del medesimo tribunale del 13 settembre 2022, rigettava l'istanza di dissequestro. 2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso (OMISSIS) mediante il suo difensore, con un unico motivo di impugnazione. 3. Deduce vizi di violazione degli articoli 545 c.p.c., richiamato dall'articolo 104 disp. att. c.p.p., e il vizio di mancanza e contraddittorieta' della motivazione. Si lamenta la mancata restituzione delle somme sequestrate siccome non eccedenti i limiti stabiliti ai sensi dell'articolo 545 c.p.c., con riferimento alla pignorabilita' di somme dovute a titolo di stipendio, salario o altre indennita' relative al rapporto di lavoro o di impiego, con particolare riguardo alla relativa pignorabilita' per il solo importo eccedente il triplo dell'assegno sociale. Si aggiunge la deduzione del vizio di motivazione, per non avere compreso, il tribunale, la deduzione immediatamente sopra citata, e per avere lo stesso formulato considerazioni smentite dai documenti allegati dalla difesa, dimostrativi di come la somma di Euro 380,89, pure sequestrata il (OMISSIS), corrispondesse perfettamente a quanto versato alla ricorrente quale stipendio alla stessa spettante. Si aggiunge che, diversamente da quanto sostenuto dal tribunale, le somme accreditate a titolo di reddito di cittadinanza non sarebbero liberamente disponibili, essendo impossibile effettuare bonifici in "giro conto". CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato. Il tribunale non ha tenuto conto del principio per cui l'articolo 545 c.p.c. costituisce espressione di una regola generale che deve trovare applicazione anche con riferimento all'esecuzione derivante dal sequestro preventivo, in ragione della sua diretta discendenza da principi di ordine costituzionale, piu' volte correttamente posta in evidenza da questa stessa Corte nonche' dalla Corte costituzionale. Con necessita' di una lettura costituzionalmente orientata delle norme in materia di sequestro preventivo finalizzate alla confisca, volta ad assicurare l'operativita', anche in tali casi, dei medesimi limiti di sequestrabilita' e pignorabilita' di cui all'articolo 545 cit., sebbene (a differenza dell'articolo 316 c.p.p. in tema di sequestro conservativo) non richiamati espressamente (Sez. 1, n. 41905 del 23/9/2009, Cardilli, Rv. 245049), in quanto idonei a garantire al lavoratore un minimo vitale per le sue esigenze primarie (Sez, 3, n. 17386 del 7/12/2018, dep. 2019, Calandrini, non mass., e Sez. 3, n. 15099 del 22/3/2016, Moreschi, non mass.). In un tale contesto, non osta il mero mancato richiamo, nella disposizione dell'articolo 321 c.p.p., ai "limiti" entro i quali la legge consente il pignoramento dei beni, testualmente presente, invece, nel comma 1 dell'articolo 316 c.p.p. in tema di sequestro conservativo e valorizzato ai fini della propugnata impermeabilita' del sequestro preventivo per equivalente alle disposizioni dell'articolo 545 c.p.c.. Tanto piu' in quanto un tale mancato richiamo appare invece del tutto spiegabile, ove si abbia riguardo all'articolo 104 disp. att. c.p.p. che, nel regolare l'esecuzione del sequestro preventivo, dispone che la stessa abbia luogo, con riferimento ai beni mobili e ai crediti, nelle "forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo in quanto applicabili". Neppure il tribunale ha tenuto conto, conseguentemente, della correlata necessaria esclusione che la confusione delle somme, corrisposte a titolo di emolumenti retributivi o pensionistici, con il restante patrimonio immobiliare, possa avere una valenza ostativa all'applicazione dei limiti. Sul punto occorre ricordare che le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno precisato che l'interpretazione della norma processual civilistica ex articolo 545 c.p.p., per cui essa non sarebbe operante laddove le somme di denaro, accreditate sul conto corrente, finiscano per perdere la loro identita' perche' confuse nel patrimonio del lavoratore o pensionato, appare dissonante rispetto al complessivo assetto normativo dell'articolo 545 c.p.c., come definito all'esito della entrata in vigore della L. 6 agosto 2015, n. 132 di conversione del Decreto Legge 27 giugno 2015, n. 83, che ha inserito, nella norma, il comma 8, specificamente dedicato proprio alle somme accreditate su conto corrente bancario o postale intestato al lavoratore. Nel precedente regime si era, infatti, affermato, che le somme accreditate fossero sottoposte all'ordinario regime dei beni fungibili secondo le regole del contratto di deposito irregolare ex articolo 1782 c.c., in virtu' del quale le somme versate perdono appunto la loro identita' di crediti lavorativi o pensionistici, si da farne derivare, anche a fronte del principio generale della responsabilita' patrimoniale del debitore di cui all'articolo 2740 c.c., l'inapplicabilita' dei limiti di pignorabilita' dipendenti dal titolo degli accrediti (si veda, tra le altre, Cass. civ., Sez. L., n. 26042 del 17/10/2018, Rv. 651193 01). E tale indiscriminata pignorabilita' delle somme accreditate su conto corrente a titolo di emolumenti retributivi o di trattamenti pensionistici era stata successivamente oggetto della sentenza della Corte costituzionale n. 85 del 2015, fondamentalmente risoltasi, pur a fronte di una formale pronuncia di inammissibilita', in una sollecitazione al legislatore ad intervenire a tutela delle esigenze di vita del debitore esecutato. Di qui, dunque, la successiva introduzione, nell'articolo 545 cit., del comma 8, che superando, con riferimento a tali specifici crediti qualificati, il principio di "confusione" conseguente all'accredito in conto corrente bancario o postale delle somme corrisposte dal datore di lavoro o dall'istituto previdenziale, ha previsto un regime di parziale impignorabilita', differenziato proprio in base al momento dell'accredito: se anteriore al pignoramento, dette somme possono essere pignorate solo per l'importo eccedente il triplo della pensione sociale; se, invece, l'accredito avvenga alla data del pignoramento o in data successiva, dette somme possono essere pignorate entro i limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e comma 7, nonche' dalle speciali disposizioni di legge. Anche in tal caso, le somme eccedenti detti limiti sono considerate nella piena disponibilita' del debitore e, dunque, pignorabili. Ne consegue, dunque, che e' la stessa regolazione normativa a considerare, dal 2015, non dirimente, ai fini dell'applicabilita' dei limiti di pignorabilita', il momento dell'accredito delle somme, idoneo invece solo a differenziare l'entita' delle predette limitazioni. Va altresi' sottolineato che alla operativita' dell'articolo 545 citato si accompagna, sul piano probatorio, la necessita' che risulti attestata la causale dei versamenti, ovvero, in altri termini, sia certo che le somme interessate siano riconducibili ad emolumenti corrisposti nell'ambito del rapporto di lavoro o d'impiego (cfr. in motivazione Sez. U - n. 26252 del 24/02/2022 Rv. 283245 - 01). Alfine, occorre rilevare, posta la citata irrilevanza della "confusione", nella tematica in esame, tra elementi mobiliari, non appare logicamente e giuridicamente coerente la rilevazione del tribunale circa la mancata allegazione di un estratto conto, inerente il conto corrente interessato dal sequestro, attestante la circostanza del mancato transito sul medesimo dei fondi indebitamente percepiti a titolo di reddito di cittadinanza. 2.Di conseguenza, l'ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al tribunale di Monza per nuovo giudizio, alla luce dei principi suesposti. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al tribunale di Monza competente ai sensi dell'articolo 324 comma 5 c.p.p..

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. CALVANSE Ersilia - Consigliere Dott. VIGNA Maria S. - Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - rel. Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 29 luglio 2022 del Tribunale di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Debora Tripiccione; udite il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Gargiulo Raffaele, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; udito il difensore, avv. (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Palermo, in parziale accoglimento dell'istanza di riesame presentata da (OMISSIS), ha annullato l'ordinanza di custodia cautelare in relazione al reato di cui all'articolo 416-bis c.p., confermando il titolo cautelare in relazione al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74, comma 1. Secondo l'imputazione provvisoria (OMISSIS) dirigerebbe ed organizzerebbe la piazza di spaccio nel quartiere palermitano del (OMISSIS), operando nell'ambito di una piu' ampia associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti di diversa qualita', facente capo a (OMISSIS) (ucciso nel giugno scorso) nella quale altro ruolo di vertice sarebbe ricoperto da (OMISSIS), quale reggente del mandamento. 2. (OMISSIS), tramite i difensori (OMISSIS) e (OMISSIS), propone ricorso per cassazione deducendo due motivi di ricorso di seguito riassunti nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Con un primo motivo deduce i vizi di violazione di legge e di motivazione in merito alla valutazione del quadro indiziario. Il (OMISSIS) e' stato ritenuto organizzatore sulla base delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) e di due conversazioni ambientali, del 18/2/2020, tra (OMISSIS) e (OMISSIS), e del 27/2/2020, tra (OMISSIS) e il (OMISSIS). Sostiene il ricorrente che il Tribunale ha violato l'articolo 192 c.p.p., comma 3, e con motivazione illogica ed apodittica ha ritenuto che dalle dichiarazioni rese da (OMISSIS) siano desumibili indizi del ruolo di organizzatore della piazza di spaccio contestato al capo 3), sebbene tali dichiarazioni non facciano alcun riferimento ne' alla presenza di almeno due dei sodali indicati al capo 3), ne' ad attivita' di detenzione di stupefacenti da parte del (OMISSIS), ne', infine, a contatti con i presunti sodali. Il (OMISSIS), infatti, prosegue ancora il ricorrente, si e' limitato a riferire che questo era in societa' con (OMISSIS), che non risulta indagato, ed altro soggetto il cui nome e' stato omissato, nella gestione dello spaccio nel quartiere palermitano del (OMISSIS). Parimenti carente e' la valutazione delle due conversazioni intercettate mancando nell'ordinanza impugnata qualunque motivazione in merito alla loro rilevanza rispetto alla condotta contestata al capo 3, avuto riguardo, in particolare, all'unica conversazione in cui il (OMISSIS) partecipa direttamente e manifesta le sue perplessita' a riorganizzare una piazza al (OMISSIS) a causa della difficolta' di reperire pusher. Con il secondo motivo deduce, in via subordinata, i vizi di violazione di legge e di motivazione in merito alla valutazione della gravita' del quadro indiziario concernente il ruolo di organizzatore ascritto al ricorrente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente in quanto entrambi attinenti alla valutazione di gravita' del quadro indiziario a carico del ricorrente, sono inammissibili in quanto generici, versati in fatto e di carattere meramente confutativo. 2. Va, innanzitutto, ribadito il principio di diritto reiteratamente espresso in sede di legittimita', secondo cui, allorche' sia denunciato con ricorso per cassazione il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare se la decisione impugnata abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno indotto il collegio ad affermare la gravita' del quadro indiziario a carico dell'indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828), dovendo qualificarsi inammissibile il motivo che si risolva nella censura di non aver preso in esame alcuni o tutti i singoli elementi risultanti in atti. In tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione e', dunque, ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, restando, invece, escluso dal perimetro del giudizio di legittimita' il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze gia' esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976) o che, comunque, attengono alla ricostruzione dei fatti (Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi, Rv. 269884). 3. L'ordinanza impugnata, con motivazione persuasiva ed immune da vizi logici o giuridici, ha formulato un giudizio di gravita' del quadro indiziario di cui i motivi di ricorso tendono a prospettare una diversa ed alternativa lettura. Innanzitutto, il principale elemento a carico del ricorrente e' rappresentato dalla chiamata in correita' di (OMISSIS) il quale, oltre ad ammettere di far parte del mandamento di (OMISSIS) e di occuparsi delle attivita' del sodalizio relative a furti e rapine, ha riferito che (OMISSIS) - riconosciuto fotograficamente dal dichiarante - era in affari con (OMISSIS) e con un terzo, il cui nome e' stato omissato, nella gestione della piazza di spaccio del quartiere palermitano del (OMISSIS); ha, altresi', specificato che (OMISSIS) si occupava di rifornire gli spacciatori che operavano nelle strade della piazza, operando sotto il controllo di (OMISSIS), reggente del mandamento da (OMISSIS) a (OMISSIS), il quale riforniva di sostanza stupefacente tutte le piazze ricadenti nel suo territorio. Contrariamente a quanto genericamente dedotto dal ricorrente, il Tribunale ha valutato la chiamata in correita' del (OMISSIS) facendo corretta applicazione del criterio di giudizio indicato dall'articolo 192 c.p.p., comma 3. L'ordinanza impugnata, infatti, oltre a valutare l'attendibilita' intrinseca delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, in quanto sufficientemente precise, spontanee ed autonome, ha valorizzato, quali riscontri, gli elementi emersi dalle due intercettazioni ambientali del 18/2/2020 e del 27/2/2020, di cui il ricorrente, nel tentativo di sollecitare una diversa ricostruzione del quadro indiziario, lamenta la carente valutazione. Dall'ordinanza impugnata risulta, infatti, che nella prima di tali conversazioni (OMISSIS), ritenuto plenipotenziario di (OMISSIS) nella gestione di tutte le piazze di spaccio del mandamento di (OMISSIS), si lamentava con (OMISSIS) in quanto non riusciva a trovare una persona che si era impegnata a versargli 3000 Euro al mese ed il (OMISSIS) gli proponeva di andare con il (OMISSIS) e di vendergli qualcosa al prezzo ridotto di "28" in quanto in quel momento vi era carenza di quella merce. Nella seconda conversazione, intercorsa tra (OMISSIS) e (OMISSIS), l'indagato riferiva delle difficolta' a vendere droga, usando termini espliciti quali "erba", "fumo" e "grammi" e (OMISSIS) si dimostrava disponibile ad aiutarlo a vendere in altre piazze; il (OMISSIS) informava inoltre, (OMISSIS) che in quel momento c'era una sola persona che spacciava nella piazza del (OMISSIS); (OMISSIS) ipotizzava, infine, una riorganizzazione della piazza e (OMISSIS) si dimostrava a causa delle difficolta' di reperire dei pusher a causa del reddito di cittadinanza. Dalla lettura complessiva di tali elementi indiziari l'ordinanza impugnata, con motivazione non manifestamente illogica, incensurabile in questa Sede, ha ricostruito il ruolo del ricorrente all'interno del sodalizio collocandolo ad un livello intermedio tra i vertici dell'associazione, autonomamente strutturatasi nell'ambito del mandamento mafioso di (OMISSIS), ed i pusher, occupandosi il (OMISSIS) della gestione della piazza e della scelta dei pusher ai quali imponeva l'acquisto in esclusiva della sostanza stupefacente che a sua volta acquistava da (OMISSIS). 4. All'inammissibilita' del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila da versare in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. n. 186 del 2000). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TARDIO Angela - Presidente Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere Dott. LANNA Angelo V - rel. Consigliere Dott. TOSCANI Eva - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 30/06/2022 del TRIB. SORVEGLIANZA di PALERMO; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. LANNA ANGELO VALERIO; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott. TOCCI STEFANO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Palermo ha rigettato l'impugnazione presentata da (OMISSIS), a norma dell'articolo 680 c.p.p., avverso il provvedimento emesso in data 29/04/2022 dal Magistrato di sorveglianza di Agrigento, che aveva prorogato per anni uno la durata della misura di sicurezza della liberta' vigilata disposta in data 30/04/2021 e decorrente dal 07/05/2021, avendo ritenuto non esseri cessata la pericolosita' del condannato. 1.1. Nell'impugnato provvedimento, viene dato atto di come il condannato, dichiarato delinquente abituale, si sia reso autore di plurime violazioni del contenuto prescrittivo della misura di sicurezza, non rispettando in quattro occasioni l'obbligo di presentazione, nonche' effettuando un numero insufficiente di incontri con il Ser.T., ossia sottoponendosi ad un solo controllo finalizzato alla verifica circa l'astensione dal consumo di sostanze alcoliche. Il soggetto non aveva inoltre regolarizzato la propria attivita' lavorativa, venendo anzi denunciato per aver indebitamente percepito il reddito di cittadinanza fino al mese di aprile del 2021. Condividendo, dunque, le valutazioni effettuate dal giudice monocratico quanto alla insufficienza di dati deponenti nel senso della cessazione della pericolosita' sociale del soggetto, nonche' per l'adozione, ad opera di questi, di uno stile di vita aderente ai parametri della legalita' -, oltre che sottolineando il disinteresse del condannato nei confronti dei contenuti rieducativi della misura, il Tribunale di sorveglianza di Palermo ha come detto rigettato l'impugnazione interposta dall'odierno ricorrente. 2. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del difensore avv. (OMISSIS), deducendo contestualmente - con motivo unico di ricorso, che viene di seguito brevemente riassunto nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p. - la violazione di legge e il vizio di motivazione di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione agli articoli 208 e 228 c.p., articolo 679 c.p.p. e L. 26 luglio 1975, n. 354, articolo 69. 2.1. La motivazione del provvedimento impugnato - in ipotesi difensiva risulterebbe carente, per non aver adeguatamente ponderato gli elementi positivi raccolti, atti a contrastare il giudizio di persistente pericolosita'. Il (OMISSIS) avrebbe infatti compiuto un percorso virtuoso, improntato ad una revisione critica delle pregresse esperienze devianti ed avrebbe infine adottato uno stile di vita ordinato e corretto. Osserva poi il ricorrente che: a) le trasgressioni al contenuto prescrittivo della misura (che peraltro si sostiene essere conformata secondo parametri particolarmente invasivi e rigorosi), sono in numero contenuto e appaiono in realta' frutto di mere difficolta' di tipo logistico; b) il diritto alla percezione del reddito di cittadinanza e' decaduto al momento dell'assunzione del (OMISSIS), in qualita' di manovale, presso una societa' attiva nel settore dell'edilizia; c) di valenza evocativa sostanzialmente neutra sarebbero poi i controlli di polizia effettuati a carico del condannato (trovato in una occasione in compagnia di soggetti attinti da precedenti di polizia). 3. Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso, proposto sulla base di censure manifestamente infondate ovvero generiche o non consentite, deve essere dichiarato inammissibile con ogni conseguenza di legge. 2. E' opportuno premettere, tenuto conto che il difetto e' comune a piu' motivi di ricorso che denunciano il vizio della motivazione, come il compito del giudice di legittimita' non consista nel sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito; tale compito si sostanzia invece esclusivamente nel fatto di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione degli stessi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n, 930 del 13/12/1995 dep. 1996, Clarke, Rv. 203428; Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 dep. 2000, Moro G, Rv. 215745; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 dep. 2004, Elia, Rv. 229369). Dall'affermazione di questo principio, si traggono alcuni corollari. Ad eccezione del caso in cui il ricorso prospetti compiutamente l'esistenza di un "ragionevole dubbio", esula dai poteri della Corte di cassazione, nell'ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacche' tale attivita' e' riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimita' solo la verifica dell'iter argomentativo di tale giudice, accertando se quest'ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione. 3. Il Tribunale di sorveglianza di Palermo - con ampia e convincente motivazione, espressiva di un coerente e puntuale percorso logico e deduttivo ha ritenuto trattarsi di soggetto ancora dotato di una spiccata pericolosita' sociale. Ha ritenuto, sulla base delle pendenze e dei pregiudizi, nonche' della condotta serbata, rivelatasi indifferente al contenuto rieducativo della misura di sicurezza in esecuzione, trattarsi di soggetto la cui personalita' e' ancora caratterizzata da spiccata pericolosita' sociale. Si e' in tal modo adeguato ai principi di diritto costantemente espressi dalla giurisprudenza di legittimita', a mente della quale - all'indomani della modifica introdotta dalla L. 10 ottobre 1986, n. 633, articolo 31, comma 2, - l'applicazione delle misure di sicurezza puo' essere disposta, anche da parte del giudice della cognizione, esclusivamente all'esito del positivo scrutinio circa l'effettiva pericolosita' sociale del soggetto, da valutarsi in concreto in base agli elementi di cui all'articolo 133 c.p. complessivamente considerati, nonche' delle allegazioni difensive, senza che possa farsi ricorso a forme di automatismo (Sez. 1, n. 7188 del 10/12/2020, dep. 2021, Pavone, Rv. 280804 - 01); valutazione da effettuare quindi considerando la valenza dimostrativa dei reati perpetrati, la condotta "post delictum" e il comportamento serbato durante e dopo l'esecuzione della pena (Sez. 1, n. 1027 del 31/10/2018, dep. 2019, Argento, Rv. 274790-01). 4. Il ricorso, inoltre, censura l'ordinanza impugnata per essere la stessa una mera riproposizione delle conclusioni gia' raggiunte dal giudice monocratico. Non si confronta pero' con il complessivo tessuto motivazionale del provvedimento reiettivo, ne' valuta la piena legittimita' della motivazione "per relationem", consentita anche per quanto attiene ai provvedimenti emessi dal Tribunale di sorveglianza. La giurisprudenza di legittimita' ha infatti chiarito la validita' di tale tecnica di motivazione, sebbene pronunciandosi in ordine al richiamo per relationem ad elementi conoscitivi forniti dal personale dei servizi sociali, che vengano poi recepiti dal giudice (Cass. sez. 1, n. 4581 del 03/11/1993, Maugeri, Rv. 195784; Sez.1,n. 50921 del 27/11/2013, Di Lieto, Rv. 258401 - 01). Piu' in generale, il principio di diritto e' peraltro nel senso che, nel giudizio di appello, sia possibile adottare una motivazione "per relationem" rispetto alla pronuncia di primo grado, laddove le censure formulate dall'appellante non esplicitino elementi di novita' rispetto alle doglianze gia' esaminate e disattese dalla sentenza richiamata (Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013, Autieri, Rv. 257056 - 01). 4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche' di una somma in favore della Cassa delle Ammende, in misura che si stima equo determinare in Euro tremila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROCCHI Giacomo - Presidente Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Consigliere Dott. ALIFFI Francesc - rel. Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 15/04/2022 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALIFFI FRANCESCO; lette le conclusioni del PG Dott.ssa SALVADORI SILVIA che ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza indicata nel preambolo la Corte d'Appello di Reggio Calabria, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha rigettato l'istanza con cui (OMISSIS) aveva chiesto revocarsi la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, applicatagli ai sensi dell'articolo 29 c.p. dalla sentenza, in data 15 dicembre 2000, che lo aveva condannato alla pena di anni 7 mesi 8 di reclusione perche' dichiarato colpevole dei reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 73 e 74. A ragione della decisione osserva che non e' previsto dall'ordinamento processuale uno strumento in grado di operare l'eliminazione in sede esecutiva della pena accessoria che consegue automaticamente alla condanna a pena detentiva superiore a cinque anni di reclusione. Ne' in senso contrario possono utilizzarsi, come sostenuto dal condannato, le argomentazioni spese dall'ordinanza con cui la sesta sezione penale della Corte di cassazione (la n. 37796 del 08/04/2020, Romano, Rv. 280961 - 01) ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 317-bis c.p. - nel testo anteriore alle modifiche recate dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, articolo 1, comma 1, lettera m), - in riferimento agli articoli 3 e 27 Cost.. La sanzione perpetua irrogata dal (OMISSIS) non contrasta, infatti, "con la discrezionalita' del legislatore nella materia del trattamento sanzionatorio degli illeciti penali", come delimitata da numerose pronunce del Giudice delle leggi che hanno individuato come unico limite l'utilizzo di tale potere "in maniera arbitraria e contrastante con i principi di ragionevolezza ed uguaglianza", ravvisabile nel caso di previsione di pene identiche per situazioni diverse o di sanzioni differenti per situazioni eguali. 2. Ricorre (OMISSIS), per il tramite del suo difensore avv. (OMISSIS), deducendo violazione di legge in relazione all'articolo 28 c.p. e, in subordine, chiedendo di sollevare questione di legittimita' costituzionale di tale disposizione, per contrasto con gli articoli 3 e 27 Cost., se interpretata nel senso di non prevedere la revocabilita' della misura della interdizione dei pubblici uffici. Lamenta che l'automatica applicazione della misura accessoria applicatagli in via perpetua per un fatto di reato commesso in epoca risalente, nonostante l'intervenuto cambiamento di vita maturato a seguito della lunga esperienza carceraria, comporta un vulnus ai principi di proporzionalita' e necessaria individualizzazione del trattamento sanzionatorio. La lesione di tali principi e' ancora piu' grave se si considera che l'interdizione dai pubblici uffici impedisce a (OMISSIS) di usufruire dei benefici assistenziali di legge divenutigli indispensabili per far fronte ai bisogni di vita primaria del suo nucleo familiare, a causa della perdita del posto di lavoro, determinata da un evento eccezionale, quale l'emergenza pandemica. La pena accessoria stabilita in maniera fissa e non modificabile non soddisfa l'esigenza di individualizzazione della pena direttamente discendente dall'articolo 3 Cost. e si risolve in un ostacolo alla funzione rieducativa della pena prevista dall'articolo 27 Cost., dando vita ad un meccanismo ingiustificatamente rigido che non appare compatibile con il "volto costituzionale della sanzione penale". In questo senso si sono espresse non solo la sentenza della Corte Costituzionale n. 222 del 2018 ma anche l'ordinanza della sesta sezione penale di questa Corte, richiamata nel provvedimento impugnato, con l'enunciazione di principi di carattere generale e non limitati alla fattispecie di cui all'articolo 317-bis c.p.. Tali argomenti valgono a fortiori nel caso dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici considerato che i suoi effetti incidono su una vasta gamma di diritti fondamentali del condannato al punto da ridurre drasticamente la sua possibilita' di esercitare un'attivita' lavorativa in via perpetua, rimanendo del tutto indifferente all'evoluzione positiva della sua personalita' ed a qualsiasi mutamento dei presupposti di fatto che hanno giustificato l'applicazione della sanzione. Qualora l'articolo 28 c.p. non sia suscettibile di essere interpretato in conformita' ai principi costituzionali indicati negli articoli 3 e 27 della Carta, si solleva questione di legittimita' costituzionale. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' infondato e deve essere rigettato. 1. L'affermazione della Corte di appello sull'inesistenza di uno strumento, di diritto sostanziale o processuale, in grado di operare l'eliminazione in sede esecutiva delle pene accessorie e' corretta. L'unico strumento a disposizione del condannato per conseguire l'invocato obbiettivo e' quello di ottenere la riabilitazione che, ricorrendo i presupposti e le condizioni indicate nell'articolo 179 c.p., prima delle modifiche introdotte L. 9 gennaio 2019, n. 3, estingueva le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna sempreche' l'interessato abbia dato prova di effettiva e costante di buona condotta (Sez. 6, n. 16250 del 12/03/2013, Schirinzi, Rv. 256186 - 01) e, che, nel nuovo assetto normativo, consente ancora l'estinzione delle pene accessorie perpetue, sia pure dopo il decorso di almeno sette anni dal provvedimento che l'ha applicata, sempre che il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta (articolo 179 c.p., comma 7, aggiunto dalla L. n. 3 del 2019, articolo 1, comma 1, lettera i)). Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente con la formulazione della questione di legittimita' costituzionale in relazione agli articoli 3 e 27 Cost., siffatto sistema, imperniato, da una parte sulla tendenziale irrevocabilita' della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici di cui all'articolo 28 c.p. applicata, in modo automatico, a seguito di condanna per reati di particolare allarme sociale individuati dall'articolo 29 c.p. con riferimento alla misura della pena inflitta, e, dall'altra, sulla eliminazione dei suoi effetti attraverso l'estinzione determinata da un istituto, come la riabilitazione, che fornisce garanzie, anche di ordine temporale, sulla avvenuta rieducazione del condannato, non e' in contrasto con i principi di proporzionalita' e di individualizzazione del trattamento sanzionatorio, oltre che con la funzione rieducativa della pena. 2. Tanto posto il Collegio ritiene la questione di costituzionalita' manifestatamente infondata. 2.1. Nel dichiarare, con la sentenza n. 222 del 2018, l'illegittimita' costituzionale del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, articolo 216, u.c., (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui dispone: "la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacita' per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa", anziche': "la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacita' ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni", la Corte costituzionale ha ricordato la sua costante giurisprudenza secondo la quale "la determinazione del trattamento sanzionatorio per i fatti previsti come reato e' riservata alla discrezionalita' del legislatore, in conformita' a quanto stabilito dall'articolo 25 Cost., comma 2; tuttavia, tale discrezionalita' incontra il proprio limite nella manifesta irragionevolezza delle scelte legislative, limite che - in subiecta materia - e' superato allorche' le pene comminate appaiano manifestamente sproporzionate rispetto alla gravita' del fatto previsto quale reato. In tale ipotesi si profila infatti una violazione congiunta degli articoli 3 e 27 Cost., giacche' una pena non proporzionata alla gravita' del fatto (e non percepita come tale dal condannato) si risolve "in un ostacolo alla sua funzione rieducativa". L'esigenza di "mobilita'" o "individualizzazione" della pena, prosegue la sentenza, costituisce "naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali, tanto di ordine generale (principio d'uguaglianza) quanto attinenti direttamente alla materia penale" (sentenza n. 50 del 1980), rispetto ai quali "l'attuazione di una riparatrice giustizia distributiva esige la differenziazione piu' che l'uniformita'" (cosi', ancora, la sentenza n. 104 del 1968). Con la rilevante conseguenza, espressamente tratta dalla citata sentenza n. 50 del 1980, che "(i)n linea di principio, previsioni sanzionatorie rigide non appaiono in linea con il "volto costituzionale" del sistema penale; ed il dubbio d'illegittimita' costituzionale potra' essere, caso per caso, superato a condizione che, per la natura dell'illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, quest'ultima appaia ragionevolmente "proporzionata" rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato". La pena "fissa" (principale o accessoria che sia) "e' per cio' solo "indiziata" di illegittimita'; e tale indizio potra' essere smentito soltanto in seguito a un controllo struttura/e della fattispecie di reato che viene in considerazione, attraverso la puntuale dimostrazione che fa peculiare struttura della fattispecie la renda "proporzionata" all'intera gamma dei comportamenti tipizzati". Con specifico riferimento all'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e all'incapacita' per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, la Corte costituzionale ha affermato che tale misura limita "una vasta gamma di diritti fondamentali del condannato, riducendo drasticamente la sua possibilita' di esercitare attivita' lavorative per un arco temporale di dieci anni, destinati a decorrere - in forza dell'articolo 179 c.p. dopo l'integrale esecuzione della pena detentiva (la quale, a sua volta, potrebbe avere luogo molti anni dopo la commissione del fatto di reato)", sicche' "una durata fissa di dieci anni delle pene accessorie in questione non puo' ritenersi "ragionevolmente "proporzionata" rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato". La prospettiva - prosegue la Corte - "che assegna alle pene accessorie una funzione almeno in parte distinta rispetto a quella delle pene detentive, e marcatamente orientata alla prevenzione speciale negativa - imperniata sull'interdizione del condannato da quelle attivita' che gli hanno fornito l'occasione per commettere gravi reati -, e' di per se' immune da censure sotto il profilo della sua legittimita' costituzionale" ed aggiunge che "essenziale a garantire la compatibilita' delle pene accessorie di natura interdittiva con il "volto costituzionale" della sanzione penale e', infatti, che esse non risultino manifestamente sproporzionate per eccesso rispetto al concreto disvalore del fatto di reato, tanto da vanificare lo stesso obiettivo di "rieducazione" del reo, imposto dall'articolo 27 Cost., comma 3", sicche' "nulla osta, sul piano dei principi costituzionali, a che il legislatore possa articolare strategie di prevenzione di gravi reati attraverso la previsione di sanzioni interdittive, la cui durata sia stabilita in modo indipendente da quella della pena detentiva; e cio' in ragione della diversa finalita' delle due tipologie di sanzione, oltre che del loro diverso grado di afflittivita' rispetto ai diritti fondamentali della persona". 2.2. La disciplina dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici non contiene vizi di ragionevolezza nei termini chiariti dalla Consulta. La pena accessoria de qua, oltre ad essere solo tendenzialmente perpetua perche' puo' essere dichiarata estinta ai sensi dell'articolo 179 c.p., u.c., limita, anche a seguito di interventi demolitori e correttivi della Corte costituzionale sull'articolo 28 c.p., in maniera contenuta l'esercizio di alcuni diritti fondamentali della persona strettamente funzionali ad impedire occasioni di ricaduta nel reato. Non priva, per esempio, il condannato del diritto di godere dei benefici assistenziali invocati dal ricorrente come quello alla percezione del reddito di cittadinanza, posto che esso non e' ricompreso nella nozione di "assegni... a carico dello Stato", di cui quest'ultimo e' privato ex articolo 28 c.p., comma 2, n. 5 e che la preclusione alla sua percezione e' espressamente prevista dal Decreto Legge 28 gennaio 2019, n. 4, articolo 2, comma 1, lettera c-bis), convertito, con modificazioni, dalla L. 28 marzo 2019, n. 26, in casi specifici, legati alla precedente condanna per reati ostativi, divenuta definitiva nei dieci anni precedenti la richiesta (Sez. 2, n. 38383 del 05/07/2022, De Benedetto, Rv. 283949 - 01). Non rappresenta una reazione irragionevolmente sproporzionata rispetto alla oggettiva gravita' dei reati puniti in concreto con la pena dell'ergastolo o non inferiore a cinque anni di reclusione. 2.3. Va, per ragioni di completezza, tenuto presente che la Corte costituzionale, nella piu' volte citata sentenza n. 222 del 2018, ha comunque ribadito che anche nell'ipotesi in cui il trattamento sanzionatorio previsto dal legislatore sia manifestamente irragionevole a causa della sua evidente sproporzione rispetto alla gravita' del fatto o per un riscontrato vulnus ai principi di proporzionalita' e individualizzazione, un intervento correttivo del giudice delle leggi "e' possibile a condizione che il trattamento sanzionatorio medesimo possa essere sostituito sulla base di "precisi punti di riferimento, gia' rinvenibili nel sistema legislativo", intesi quali "soluzioni (sanzionatorie) gia' esistenti, idonee a eliminare o ridurre la manifesta irragionevolezza lamentata" (sentenza n. 236 del 2016)". Se non esiste, nel sistema, "un'unica soluzione costituzionalmente vincolata in grado di sostituirsi a quella dichiarata illegittima, come quella prevista per una norma avente identica struttura e ratio, idonea a essere assunta come tertium comparationis", ai fini del sindacato della Corte sulla congruita' del trattamento sanzionatorio e' sempre necessario che il "sistema nel suo complesso offra alla Corte "precisi punti di riferimento" e soluzioni "gia' esistenti" (sentenza n. 236 del 2016) - esse stesse immuni da vizi di illegittimita', ancorche' non "costituzionalmente obbligate" - che possano sostituirsi alla previsione sanzionatoria dichiarata illegittima; si' da consentire a questa Corte di porre rimedio nell'immediato al vulnus riscontrato, senza creare insostenibili vuoti di tutela degli interessi di volta in volta tutelati dalla norma incriminatrice incisa dalla propria pronuncia. Resta ferma, d'altra parte, la possibilita' per il legislatore di intervenire in qualsiasi momento a individuare, nell'ambito della propria discrezionalita', altra - e in ipotesi piu' congrua - soluzione sanzionatoria, purche' rispettosa dei principi costituzionali.". Tale condizioni non ricorrono nel caso in esame. L'eventuale eliminazione del carattere perpetuo dell'interdizione avrebbe come inevitabile effetto l'applicazione della regola residuale di cui all'articolo 37 c.p. che fa coincidere la durata delle pene accessorie con quella della pena detentiva concretamente inflitta; tale meccanismo che come, evidenziato dalla Corte costituzionale "assicurerebbe, sia pure in via mediata e indiretta, un certo grado di rispetto del principio di individualizzazione alle pene accessorie", considerato che le pene principali devono essere determinate rispettando i criteri di cui all'articolo 133 c.p., ma "finirebbe per sostituire l'originario automatismo legale con un diverso automatismo", per di piu' non in linea con lo scopo del legislatore di punire piu' severamente alcuni reati - quelli per cui attualmente e' prevista l'interdizione perpetua dai pubblici uffici - rispetto ad altri - quelli per cui e' prevista l'interdizione temporanea - provocando effetti perversi. Basti considerare che, in caso di condanna alla pena di anni cinque di reclusione, conseguirebbe automaticamente l'interdizione dai pubblici uffici di pari durata, quindi identica alla durata dell'interdizione "temporanea" che, pero', a mente dell'articolo 29 c.p., consegue alle condanne a pene della reclusione inferiori, variabili da tre a cinque anni. 3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. PEZZULLO Rosa - Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere Dott. SOCRDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. CARUSILLO Elena - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato in (OMISSIS); avverso la sentenza emessa il 12/03/2021 dalla Corte di Appello di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Elena Carusillo; udito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Tomaso Epidendio, che, riportandosi alla requisitoria scritta, ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza in verifica, limitatamente alla sospensione condizionale della pena, con declaratoria di inammissibilita' nel resto; preso atto delle conclusioni e della nota spese depositate dall'avv. Giuseppe Buscemi nell'interesse della parte civile; ascoltate le conclusioni formulate dal difensore dell'imputato, avv. Calogero Lanzarone. RITENUTO IN FATTO 1. Il difensore di (OMISSIS), avv. Calogero Lanzarone, ricorre per cassazione avverso la sentenza del 12 marzo 2021 con la quale la Corte d'Appello di Palermo ha confermato la decisione del Tribunale di Sciacca che, all'esito del giudizio celebrato con il rito abbreviato, ha affermato la penale responsabilita' dell'imputato in ordine al delitto di furto continuato in abitazione, aggravato ai sensi dell'articolo 61, comma 1, n. 2 e 5, c.p., e al delitto di cui all'articolo 55, comma 9, Decreto Legislativo n. 21 novembre 2007, n. 231, nella forma continuata, e lo ha condannato alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 590,00 di multa, subordinando il beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento, entro il termine di trenta giorni, del risarcimento del danno in favore della costituita parte civile. 2. La difesa articola le proprie censure in due motivi. 2.1 Con il primo motivo, proposto ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per vizio di motivazione, lamenta che la corte territoriale ha ritenuto la sussistenza del reato, senza considerare, per un verso, che l'ingresso dell'imputato all'interno dell'abitazione della vittima era avvenuto senza alcuna effrazione e, per altro verso, che i prelievi di denaro, effettuati dal (OMISSIS) mediante le carte bancomat intestate alla vittima, erano stati autorizzati da quest'ultima, in quanto dovuti a titolo di retribuzione per il lavoro svolto, e che i dissidi sorti tra i due, dopo i prelievi, erano dovuti alla pretesa della vittima di pagare al ricorrente un importo inferiore a quello dovuto e prelevato. 2.2 Con il secondo motivo, proposto ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) per violazione della norma penale in relazione all'articolo 165 c.p., lamenta che i giudici di appello hanno confermato la condizione di subordinazione del beneficio della sospensione della pena all'adempimento dell'obbligo risarcitorio in favore della costituita parte civile, rinvenendo la prognosi di inadempimento del (OMISSIS) nella condizione di bracciante agricolo "stagionale irregolare". CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' parzialmente fondato, nei limiti di seguito indicati. 2. Quanto al primo motivo, che e' privo di pregio, giova premettere che, nel caso in cui le sentenze di primo e secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente e forma con essa un unico complessivo corpo argomentativo (Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, Acampa, Rv. 278611; Sez. 4, n. 15227 dell'11/4/2008, Baratti, Rv. 239735; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorche' i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze gia' esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615). Il principio deve essere riaffermato anche nel caso di cui si tratta, posto che l'affermazione di responsabilita' dell'imputato fonda sugli stessi elementi valutati dal giudice di prime cure. 3. I giudici di appello, riprendendo, di fatto, la motivazione addotta dal giudice di primo grado, hanno dato riscontro al proprio argomentare, indicando le emergenze istruttorie poste a fondamento della decisione assunta, con le quali il ricorrente non si confronta, per un verso, limitandosi a una sterile critica ai criteri di valutazione utilizzati dai giudici, che, pertanto, va respinta per la sua totale inconsistenza, e, per altro verso, sviluppando censure attinenti a profili di merito imperniati su una lettura alternativa e una reinterpretazione dei dati processuali, estranea al giudizio di legittimita', tenuto conto anche della coerenza logica e della corretta applicazione dei canoni di valutazione della prova che connotano la decisione in verifica. 4. Fondato e' il secondo motivo. Dal corpo motivazionale delle pronunce di merito risulta che il beneficio della sospensione condizionale della pena all'imputato e' stato subordinato al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, entro il termine di giorni trenta. Con specifico motivo il ricorrente, nell'atto di appello, aveva articolato analoga censura, evidenziando l'assenza, nella sentenza di primo grado, di un motivato apprezzamento delle ragioni poste a fondamento della decisione sul punto. La Corte territoriale, invero, senza tener conto delle indicazioni della difesa in merito alla capacita' economica dell'imputato, percettore di reddito di cittadinanza e di aiuti economici da parte del comune di residenza, ha confermato la decisione assunta in primo grado sul presupposto di un plausibile inadempimento del ricorrente, bracciante agricolo "stagionale irregolare". 5. In merito alla possibilita' di subordinare la sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, nella giurisprudenza di legittimita', si agitano linee interpretative differenti. Secondo un primo orientamento, che puo' dirsi prevalente per il numero di pronunce piu' recenti che lo compongono, non sussiste l'obbligo di accertare le condizioni economiche del condannato da parte del giudice il quale subordini la sospensione al risarcimento del danno, tranne che non si versi in ipotesi nelle quali emergano situazioni che facciano dubitare della capacita' economica di adempiere, ovvero nelle quali siano forniti dalla parte interessata elementi che inducano a ritenere una tale incapacita' economica (Sez. 6, n. 46959 del 19/10/2021, P., Rv. 282348 - 01; Sez. 6, n. 22094 del 18/03/2021, Orsi, Rv. 281510 - 01; Sez. 5, n. 3187 del 26/10/2020, dep. 2021, Genna, Rv. 280407 - 01; Sez. 2, n. 26958 del 24/07/2020, Valente, Rv. 279648 - 01; Sez. 5, n. 40480 del 24/06/2019, P., Rv. 278381 - 02; Sez. 5, n. 40041 del 18/06/2019, Peron, Rv. 277604 - 01; Sez. 4, n. 50028 del 04/10/2017 Pastorelli, Rv. 271179-01; Sez. 6, n. 52730 del 28/09/2017, S., Rv. 271731 - 01). In altre pronunce - che, tuttavia, riguardano fattispecie in cui non era stata neppure dedotta un'ipotesi concreta di indigenza del condannato o di sua impossibilita' ad adempiere all'obbligo impostogli per usufruire del beneficio -, la giurisprudenza di legittimita' ha affermato il principio dell'insussistenza, in ogni caso, di un obbligo di verifica delle condizioni economiche dell'imputato. Tale linea ermeneutica e' fondata anche sul presupposto che dall'inadempimento incolpevole dell'obbligazione risarcitoria non possa derivare alcun grave e irreparabile danno per l'imputato, in quanto tale inosservanza non determina la revoca automatica della statuizione relativa alla sospensione condizionale ed il soggetto interessato, in sede di esecuzione, puo' allegare la comprovata assoluta impossibilita' dell'adempimento, della quale il giudice e' tenuto valutare l'attendibilita' e la rilevanza (Sez. 2, n. 26221 del 11/6/2015, Dannmico, Rv. 264013; Sez. 3, n. 38345 del 25/6/2013, Corsano, Rv. 256385; Sez. 3, n. 3197 del 13/11/2008, dep. 2009, Calandra, Rv. 242177; Sez. 6, n. 3450 del 5/2/1998, Cusumano, Rv. 210088). Secondo una terza linea interpretativa, che fa leva sulla necessita' di preferire un'interpretazione costituzionalmente orientata sul tema, in relazione all'articolo 3 Cost., l'obbligo di accertamento delle condizioni economiche sussiste comunque in capo al giudice che intenda subordinare la sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, il quale dovrebbe verificare sempre se l'imputato abbia la concreta possibilita' di sopportare l'onere del risarcimento pecuniario (Sez. 5, n. 21557 del 2/2/2015, Solazzo, Rv. 263675; Sez. 5, n. 4527 del 03/11/2010, dep. 2011, Rizk, Rv. 249248). Lo stesso Giudice delle leggi, nel dichiarare non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 165 c.p., nella parte in cui consente di subordinare la sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, ha sottolineato che spetta comunque al giudice la valutazione, caratterizzata da un apprezzamento motivato, pur se discrezionale, della capacita' economica del condannato e della sua concreta possibilita' di sopportare l'onere del risarcimento pecuniario (Corte Cost., sent. n. 49 del 1975). Piu' di recente, Sez. U, n. 37503 del 23/06/2022, Liguori, ha evidenziato in motivazione che, nel caso in cui il beneficio della sospensione condizionale della pena sia subordinato all'adempimento del risarcimento del danno, l'obbligo del giudice della cognizione di procedere, secondo le evidenze disponibili, all'accertamento delle condizioni economiche dell'imputato risponde alla necessita' di evitare, attraverso una tale preventiva valutazione, sia pure sommaria, "che si realizzi in concreto un trattamento di sfavore a carico dello stesso condannato in ragione delle sue condizioni economiche, ancor piu' quando vi sia gia' un accenno di prova dell'incapacita' dell'imputato di adempiere all'obbligazione risarcitoria, con la conseguenza che il dovere di scandagliare le effettive possibilita' del condannato di fruire del beneficio della sospensione condizionale subordinandolo ad un obbligo risarcitorio che egli possa realmente assolvere e' coerente con il principio costituzionale di eguaglianza di cui all'articolo 3 Cost. e con la funzione rieducativa della pena prevista dall'articolo 27 Cost.". 4. Cio' detto, nella sentenza impugnata, i giudici di appello hanno omesso di dare una risposta tarata sul motivo formulato nell'atto di appello, con il quale la difesa aveva censurato l'assenza, nella sentenza di primo grado, di qualsiasi indicazione delle ragioni poste a fondamento della decisione sul punto, limitandosi a dar conto della natura non stabile dell'attivita' lavorativa svolta dal ricorrente, senza neanche spiegare perche' l'asserita percezione, da parte del medesimo, del reddito di cittadinanza, nonche' di ulteriori aiuti economici da parte del comune di residenza, non fosse sufficiente a garantire ex se l'adempimento dell'onere risarcitorio, peraltro di non elevata entita'. 5. La corte territoriale, alla luce della censura formulata nell'atto di appello e delle asserite condizioni economiche del ricorrente, avrebbe dovuto motivare sul punto e non limitarsi a offrire una risposta non adeguata. 6. Si impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena all'adempimento dell'obbligo risarcitorio, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della corte territoriale competente. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla sospensione condizionale della pena, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo. Inammissibile il ricorso nel resto.

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