Sentenze recenti residenza

Ricerca semantica

Risultati di ricerca:

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 508 del 2020, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Iv. Po., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale di (...); contro Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Fi. Lo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); Dipartimento Politiche Abitative Roma Capitale, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. -OMISSIS-, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 6 marzo 2024 il Cons. Roberta Ravasio e udito per le parti costituite l'avvocato I. Po.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. L'appellante -OMISSIS- dal 1999 risiede in Roma, via -OMISSIS-, in appartamento di proprietà di Roma Capitale della quale la assegnataria era la di lui madre, signora -OMISSIS-: 2. La stessa, appunto nel 1999, decideva di trasferire la propria residenza in altro Comune, e ad abitare l'appartamento subentrava l'odierno appellante con la sua famiglia: ciò, tuttavia, senza darne comunicazione alcuna al Dipartimento Politiche Abitative di Roma. 3. L'11 ottobre 2007 il sig. -OMISSIS- presentava istanza di regolarizzazione ai sensi dell'art. 53 della L.R. Lazio n. 57/2006. Detta istanza veniva esitata con nota del 22 dicembre 2016 con la quale si comunicava al sig. -OMISSIS- il diniego: a motivo della decisione il Dipartimento Politiche Abitative di Roma allegava che alla data del 20 novembre 2006 l'appartamento era ancora assegnato alla signora -OMISSIS-, deceduta il 9 gennaio 2007 e che l'uso dell'appartamento da parte del sig. -OMISSIS- non integrava abusiva occupazione dell'immobile che legittimava la regolarizzazione ai sensi dell'art. 53 della L.R. 27/2006. 4. Avverso tale determinazione il sig. -OMISSIS- ha proposto impugnazione al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, e con motivi aggiunti ha anche impugnato il decreto di rilascio n. 25917 del 28 marzo 2019, a mezzo del quale si intimava al sig. -OMISSIS- lo sgombero dell'immobile entro 30 giorni dalla notifica del provvedimento. 5. Con la sentenza in epigrafe indicata il TAR ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti. 4.1. A motivo della decisione il TAR ha ritenuto circostanza pacifica quella secondo cui la signora -OMISSIS- era legittima assegnataria dell'immobile, presso il quale aveva conservato la propria residenza sino al decesso, avvenuto il 9 gennaio 2007. Di conseguenza l'utilizzo dell'appartamento da parte del figlio avrebbe potuto configurare occupazione abusiva di esso solo se avvenuta dopo il decesso della assegnataria, tenuto conto del fatto che la morte dell'assegnatario determina la decadenza dal provvedimento amministrativo ad personam e la risoluzione di diritto del contratto di locazione per la stretta interdipendenza esistente tra il provvedimento concessorio (assegnazione) e il negozio stipulato tra amministrazione e privato. Ha inoltre precisato il TAR, in replica agli argomenti dell'appellante, che l'allontanamento dell'appartamento da parte della signora -OMISSIS- e il subentro del sig. -OMISSIS- nell'utilizzo di esso integrava parziale cessione dell'alloggio, implicante, ai sensi di quanto previsto dall'art. 53, comma 5, della L.R. n. 27/2006, decadenza dalla assegnazione che preclude all'occupante l'acquisto dell'immobile o la regolarizzazione della posizione amministrativa. 5. Avverso tale decisione ha proposto appello il sig. -OMISSIS-. 6. Roma Capitale si è costituita in giudizio per resistere al gravame. 7. La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione all'udienza straordinaria del 6 marzo 2024. DIRITTO 8. Con il primo motivo d'appello si denuncia l'erroneità della sentenza per non aver ritenuto formato il silenzio-assenso sulla istanza di regolarizzazione presentata dall'appellante, secondo quanto previsto dall'art. 20 della L. n. 241/90, tenuto conto del fatto che l'istanza dell'11 ottobre 2007 è stata evasa solo il 22 dicembre 2016. 8.1. La censura è infondata. La giurisprudenza è consolidata nel senso di affermare che l'art. 20 della L. n. 241/90 non si applica alla materia dell'assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica (Cons. Stato, Sez. V, n. 1013 del 19 febbraio 2018 e n. 4014 del 23 giugno 2020; Cass. Civ. SS.UU. n. 20761 del 20 luglio 2021; Corte d'Appello di Roma, n. 6316 del 4 ottobre 2023). 9. Con il secondo motivo d'appello si deduce violazione dell'art. 53 della L.R. 27/2006: rileva l'appellante che l'allontanamento della madre dall'alloggio non era stato evidenziato, nel corso del procedimento, e quindi il provvedimento impugnato non poteva aver esaminato tale circostanza ai fini della decisione; sotto diverso profilo l'appellante contesta la statuizione del TAR secondo cui vi sarebbe stata cessione parziale dell'immobile, tenuto conto del fatto che la signora -OMISSIS-, pacificamente, si era stabilmente trasferita da tempo a vivere con la propria figlia. 9.1. La censura è irrilevante. 9.1. Infatti, anche a voler ritenere che la signora -OMISSIS- si fosse effettivamente trasferita dalla figlia, rimane il fatto, correttamente indicato nel provvedimento impugnato, che il subentro del figlio nell'appartamento non può aver integrato una ipotesi di occupazione "senza titolo". Sebbene l'allontanamento o l'abbandono dell'alloggio in assegnazione, così come la cessione a terzi di esso, sia causa di decadenza, questa non si verifica automaticamente, ma deve essere accertata dall'amministrazione, ragione per cui la decadenza dalla assegnazione opera solo dal momento dell'accertamento (art. 13, comma 1, L.R. n. 12/1999). Ne consegue che, correttamente, l'amministrazione, che non ha mai accertato l'inveramento di una causa di decadenza a carico della signora -OMISSIS-, nel provvedimento impugnato ha ritenuto la stessa legittima assegnataria sino al suo decesso, avvenuto nel 2007. 9.2. Ai fini della regolarizzazione l'art. 53 della L.R. n. 27/2006 presuppone(va) che alla data del 20 novembre 2006 il richiedente la regolarizzazione occupasse l'immobile "senza titolo": ma nella fattispecie il sig. -OMISSIS- legittimamente occupava l'alloggio in forza del titolo di assegnazione rilasciato alla madre, considerato che l'assegnazione consente l'uso del bene a tutti i componenti del nucleo famigliare, che comprende anche i figli legittimi con i loro conviventi. 9.3. Pertanto è evidente che nel caso di specie non ricorrevano i presupposti perché l'istanza di regolarizzazione presentata dal sig. -OMISSIS- potesse essere accolta, ragione per cui il provvedimento impugnato non potrebbe comunque essere annullato in applicazione dell'art. 21 octies della L. n. 241/90. 10. L'appello va, conclusivamente, respinto. 11. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante al pagamento, nei confronti di Roma Capitale, delle spese relative al presente grado di giudizio, che si liquidano in Euro. 3.000,00 (tremila), oltre accessori, se per legge dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2024, celebrata in videoconferenza ai sensi del combinato disposto degli artt. 87, comma 4 bis, c.p.a. e 13 quater disp. att. c.p.a., aggiunti dall'art. 17, comma 7, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, recante "Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l'efficienza della giustizia", convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF Giovanni Tulumello - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere Ugo De Carlo - Consigliere Roberta Ravasio - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di RIETI SEZIONE CIVILE Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. GIANLUCA MORABITO, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di appello iscritta al n. r.g. 1221/2023 promossa da: (...), con il patrocinio dell'avv. Fa.Fe., elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, come da delega rilasciata nel giudizio di prime cure APPELLANTE contro (...), con il patrocinio dell'avv. Ma.Fa., elettivamente domiciliato presso il suo studio in Fara Sabina (RI), (...), come da mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta in appello APPELLATO CONCLUSIONI I difensori delle parti concludevano come da note scritte ex art. 127ter c.p.c. depositate rispettivamente in data 02.05.2024 (parte appellante) e 16.04.2024 (parte appellata) e la causa veniva trattenuta in decisione con ordinanza del 30.05.2024, avendo le difese rinunciato ai termini per il deposito delle note conclusionali. FATTO E DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato (...) proponeva appello contro la sentenza del Giudice di Pace di Poggio Mirteto n. 2/2023 del 03.02.2023, con cui era stata respinta l'opposizione dallo stesso proposta avverso il decreto ingiuntivo n. 157/21 reso dallo stesso Giudice di Pace e per effetto del quale gli era stato ingiunto di pagare al (...) la somma di Euro 1.681,68, oltre interessi e spese della procedura monitoria, a titolo di oneri condominiali risultanti dal relativo bilancio approvato dall'assemblea condominiale in data 13.02.2021. Con un primo motivo l'appellante lamentava la "nullità/annullabilità del decreto ingiuntivo sia in via di eccezione che in via di azione" deducendo, tra l'altro: che il decreto ingiuntivo era nullo per mancanza delle condizioni di ammissibilità di cui agli artt. 633 ss. c.p.c.; che il Giudice di Pace nulla aveva rilevato nella sentenza impugnata in merito alle eccezioni sollevate dall'opponente, limitandosi a sostenere che la spesa per "Appalto lavori corpo fabbricato A" era stata approvata, come da bilancio, dall'assemblea condominiale in data 13.02.2021; che si trattava, tuttavia, di approvazione di spesa per "Appalto lavori corpo fabbricato A" deliberato nel corso dell'assemblea straordinaria tenutasi in seconda convocazione; che la ragione della nullità della richiamata delibera era da rinvenirsi nel fatto che l'attore, come già argomentato nell'atto di citazione in via riconvenzionale al punto 1, non aveva mai ricevuto alcun atto di convocazione all'assemblea del 13/02/2021 e nemmeno alcuna delibera assembleare, ovvero il computo metrico di ben 22 pagine; che, quindi, l'oggetto della delibera assembleare del (...) del 13/02/2021 non risultava in alcun modo né determinato, né determinabile; che parte convenuta, nell'atto monitorio, non aveva allegato le ricevute di convocazione assembleare per il 12/02/2021 in prima convocazione e del 13/02/2021 in seconda e nemmeno le ricevute di spedizione della delibera assembleare contenente il computo metrico; che, difatti, dalla delibera stessa allegata al ricorso monitorio non era rinvenibile alcun oggetto e, ai sensi del combinato disposto degli l'art. 1418 e 1346 cod. civ., la stessa era affetta da nullità c.d. strutturale; che, altresì, nessuna notifica dell'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale, nessun verbale di assemblea e nessun atto di messa in mora gli erano pervenuti, così risultando carenti le condizioni di ammissibilità di cui agli artt. 633 ss. c.p.c.; che il Giudice di Pace non aveva motivato circa la mancata convocazione dell'appellante all'assemblea straordinaria del 13/02/2021 per "Appalto lavori corpo fabbricato A" in quanto la convocazione era stata inviata con raccomandata AR postale del 02/02/2021 n. 15447154568-7 (doc. 10) presso la vecchia residenza dello (...) in Frasso Sabino (RI) (...) Ind, - allegata nella comparsa di costituzione e risposta della convenuta del 10/03/2022 all'all. 4, pagg. 27 e 28 - non ritirato per compiuta giacenza poiché trasferitosi in (...) in Fara in Sabina in data precedente del 01/12/2020, come risultante da certificato storico del 02/12/2021 del Comune di Fara in Sabina (doc. 11); di non essere altresì venuto a conoscenza nemmeno del verbale di assemblea inviato dal (...) con plico spedito il 17/04/2021, raccomandata AR n. 15447154664-3 presso la medesima residenza in Frasso Sabino (...), - allegato 5 alla comparsa di costituzione e risposta della convenuta del 10/03/2022, pagg. 11 e 12 - non ritirato per compiuta giacenza (doc. 12), plico con raccomandata AR 15447154675-6 presso (...) a Fara in Sabina (RI) (doc. 13) - allegato 6 alla comparsa di costituzione e risposta della convenuta del 10/03/2022, pagg. 11 e 12 - anch'esso non ritirato per compiuta giacenza poiché notificato in residenza diversa dalla propria di (...) in Fara in Sabina (RI); che il Condominio aveva prodotto la ricevuta di ritorno della raccomandata n. 20138171029-5 del 19/05/2021 (pag. 13 comparsa costituzione e risposta del 10/03/2022) diretta al Sig. (...) alla precedente residenza di Frasso Sabino (RI) alla (...) (doc. 14) dichiarando che la stessa conteneva un sollecito di pagamento, senza però allegarlo, non ritirato anch'esso per compiuta giacenza poiché notificato in residenza diversa dalla propria di (...), in Fara in Sabina (RI); che nell'ipotesi di produzione della delibera nell'ambito della richiesta di un decreto ingiuntivo a carico del condomino, tale produzione o la notifica del decreto ingiuntivo non equivaleva a conoscenza della delibera stessa; che il termine per il condomino per l'impugnazione decorreva quindi dalla comunicazione della delibera all'indirizzo del condomino (cfr. Cass. 16081/2016); in merito alle eccezioni del (...) convenuto in prime cure sulla contestata mancata comunicazione del cambio della propria residenza, che la legge prevedeva l'obbligo per l'amministratore di eseguire delle indagini per reperire la nuova residenza del condomino, addebitando su quest'ultimo le relative spese; che "In subordine al mancato riconoscimento della sopra descritta nullità, in via di azione, (cfr. Cass. S.U. 9839 del 14/04/2021)..." l'appellante riproponeva "...l'annullamento del decreto ingiuntivo per lo stesso oggetto e motivazioni sopra esposte ai sensi dell'art. 1137, II comma da intendersi di seguito riportate e trascritte (cfr. Cass. S.U. 9839 del 14/04/2021 Con un secondo motivo il sig. (...) prospettava la "...annullabilità della delibera per approvazione dei lavori di manutenzione straordinaria in via di azione ai sensi dell'art. 1137 comma 2, per mancata costituzione dell'assemblea di tutti gli aventi diritto e senza l'approvazione della relativa maggioranza ex art. 1136 comma 2 e 4" evidenziando, tra l'altro, che considerato che ai sensi dell'art. 1137 comma 2 cod. civ. esso appellante non aveva ricevuto alcuna comunicazione per la partecipazione all'assemblea straordinaria del 12/13.02.2021 per l'approvazione di lavori straordinari al corpo del fabbricato "A" del (...) appellato e, quindi, non aveva potuto parteciparvi e considerato, inoltre, che non gli era stata data alcuna comunicazione delle deliberazioni assunte nella suddetta assemblea, si doveva ritenere che i termini di 30 giorni per adire l'autorità giudiziaria per chiedere l'annullamento della delibera condominiale in via di azione (cfr. Cass. S.U. 9839 del 14/04/2021) non fossero ancora decorsi e, comunque, non fossero decorsi dalla data della notifica del decreto ingiuntivo opposto, che, pertanto, il vizio denunciato determinava l'annullabilità della delibera assembleare per mancanza sia del quorum costitutivo pari alla totalità degli aventi diritto pari a 1.000,000 in luogo di 785,334, sia di quello deliberativo pari a 500,000 in luogo di 392,667 della maggioranza assoluta dell'assemblea condominiale; che la delibera in questione non era valida e quindi andava annullata poiché il quorum deliberativo era stato di 444,575, come tale inferiore ai 500 millesimi previsti per l'approvazione delle delibere per lavori straordinari anche per l'approvazione dei lavori per una sola parte del (...) Con un terzo motivo l'appellante lamentava, infine, la "annullabilità della delibera assembleare in via di azione per violazione ai sensi dell'art. 1137 comma 2 per violazione dell'art. 1136 VI comma cod. civ. e dell'art. 66 disp. att. cod civ." deducendo, tra l'altro: che la busta contenente la convocazione per l'assemblea del 12-13/02/2021 corredata dal computo metrico afferente i lavori straordinari del corpo di fabbrica "A" risultava essere stata spedita in data 02/02/2021 a mezzo raccomandata postale AR n. 15447154568-7 presso la vecchia residenza dello (...) in Frasso Sabino, (...) e non ritirata dopo la compiuta giacenza; che il Condominio aveva affermato che quella era la sua residenza conosciuta dall'amministratore e che, pertanto, la notifica era regolare; che, tuttavia, la notifica non si era perfezionata, essendo stata inviata nella vecchia residenza a Frasso Sabino in (...) (doc. 10); di non averne avuto conoscenza, non essendo più residente in quel luogo e non avendovi conservato la propria residenza effettiva ed abituale, ovvero alcuna dimora, come risultava anche dal certificato di residenza storico del 02/12/2021 della Città di Fara in Sabina allegato al doc. 3 dell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo e dalla circostanza che l'agente notificatore non aveva provveduto a ricercare la residenza effettiva ed abituale, ovvero la dimora del destinatario della notificazione; che conseguentemente la notificazione era tamquam non esset, ovvero inesistente con accoglimento della richiesta di annullamento della delibera del 13/02/2021 del (...) convenuto; che anche a voler ritenere detta notifica regolare, doveva comunque "dichiararsi" l'annullamento ai sensi dell'articolo 1137 comma 2 del codice civile su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati ai sensi dell'art. 66 disp. att. cod. civ., come rinnovato nel 2012, secondo cui l'avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell'ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione; che, difatti, come evincibile dalla documentazione postale allegata (doc. 18), la raccomandata postale dell'avviso di convocazione per le adunanze dell'assemblee del 1213/02/2021 risultava giunta all'ufficio postale di Frasso Sabino disponibile al ritiro il 09/02/2021, ovvero solo tre giorni prima non liberi dalla convocazione della prima adunanza per il giorno 12/02/2021 ore 06.00 (doc. 4 allegato memoria cost. del Condominio). Il sig. (...) rassegnava, all'esito, le seguenti conclusioni: "Voglia il Tribunale di Rieti adito, in funzione di giudice di Appello, per i motivi esposti, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, in riforma della sentenza n. 5 del 03/02/2023 del Giudice di Pace di Poggio Mirteto (doc. A) depositata in cancelleria il 27/02/2023, di cui al R.G.N. 21/2023, non notificata all'appellante: accertare e dichiarare che il decreto ingiuntivo n. 157/2021 - RG N 242/2021 emesso dal Giudice di Pace di Poggio Mirteto, notificato all'opponente il 18/11/2021, è affetto da nullità e/o annullabilità e per l'effetto revocarlo. Si chiede l'acquisizione del fascicolo d'ufficio contenente quello di parte presso la cancelleria del Giudice di Pace di Poggio Mirteto. Con vittoria di spese, competenze ed onorari dell'odierno giudizio e di quello in prime cure nonché della procedura di mediazione". Il (...) costituitosi in giudizio, contestava integralmente l'appello, concludendo come segue: "Nel merito - Accertare e dichiarare l'infondatezza in fatto e diritto delle domande formulate dal Sig. (...), per tutti i motivi di cui in premessa; E per l'effetto - Confermare integralmente la sentenza di primo grado n. 5 del 03.02.2023, resa tra le parti dal Giudice di Pace di Poggio Mirteto, Dott. (...) (Rg. n. 21/22); In ogni caso - Condannare il Sig. (...) al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio". La causa, di natura documentale, veniva trattenuta in decisione con ordinanza del 30.05.2024 sulle conclusioni rassegnate dalle parti in sede di note autorizzate ex art. 127ter c.p.c. depositate rispettivamente in data 02.05.2024 (parte appellante) e 16.04.2024 (parte appellata), previa rinuncia delle difese ai termini per il deposito di note conclusive. Tanto premesso, il primo motivo di appello è infondato e deve essere respinto. Costituisce, invero, principio consolidato in giurisprudenza quello secondo cui "l'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario, autonomo giudizio di cognizione, che, sovrapponendosi allo speciale sommario procedimento monitorio (ex-art. 633, 644 e ss. c.p.c.), si svolge nel contraddittorio tra le parti secondo le norme del procedimento ordinario (art. 645 c.p.c.). Ne consegue che il giudice dell'opposizione ..(..).. è investito del potere-dovere di pronunciare sulla pretesa fatta valere con la domanda di ingiunzione (nonché sulle eccezioni e l'eventuale domanda riconvenzionale dell'opponente) ancorché il decreto ingiuntivo sia stato emesso fuori delle condizioni stabilite dalla legge per il procedimento monitorio e non può limitarsi ad accertare e dichiarare la nullità del decreto emesso all'esito dello stesso. Ne consegue altresì che non può avere alcuna rilevanza, per la validità della pronuncia, né che il giudice non ne dichiari la nullità e non lo revochi, né che non motivi sul punto" (Cass. civ. n. 1184/2007; Cass. civ. n. 13001/2006). Di conseguenza, qualora venga proposta rituale opposizione, ciò a cui in quella sede deve aversi riguardo è, sostanzialmente, la pretesa azionata dall'ingiungente, indipendentemente dai vizi che possano eventualmente avere inficiato il decreto ingiuntivo a suo tempo emesso. Stante quanto sopra, nel caso che ci occupa il lamentato vizio di "nullità" o "annullabilità" del decreto ingiuntivo emesso nei confronti del sig. (...) giammai sarebbe, in sé, suscettibile di determinare una riforma della gravata decisione di primo grado, dovendosi in ogni caso avere riguardo alla pretesa sostanziale fatta valere dal Condominio in sede monitoria. Ne discende l'inevitabile reiezione del primo motivo di appello. Il secondo motivo di appello è infondato e come tale deve essere respinto. Sostiene il sig. (...): che la delibera avente ad oggetto l'approvazione dei lavori di manutenzione straordinaria debba essere annullata "...per mancata costituzione dell'assemblea di tutti gli aventi diritto e senza l'approvazione della relativa maggioranza ex art. 1136 comma 2 e 4", non avendo egli ricevuto alcuna comunicazione - stante la "inesistenza" della stessa, in ragione della sua notifica ad indirizzo di residenza dell'appellante non più attuale - in ordine alla data di svolgimento dell'assemblea straordinaria e non avendo, quindi, egli potuto parteciparvi; che, non essendogli stata data - per identiche ragioni - alcuna comunicazione delle deliberazioni assunte nella suddetta assemblea, i termini di 30 giorni per adire l'autorità giudiziaria al fine di chiedere l'annullamento della delibera condominiale in via di azione non siano ancora decorsi e, comunque, non siano decorsi dalla data della notifica del decreto ingiuntivo opposto; che, pertanto, il vizio denunciato determini l'annullabilità della delibera assembleare "per mancanza sia del quorum costitutivo pari alla totalità degli aventi diritto pari a 1.000,000 in luogo di 785,334, sia di quello deliberativo pari a 500,000 in luogo di 392,667 della maggioranza assoluta dell'assemblea condominiale"; che essendo stato il quorum deliberativo di 444,575 millesimi, come tale inferiore ai 500 millesimi previsti per l'approvazione delle delibere per lavori straordinari anche per l'approvazione dei lavori per una sola parte del (...) la delibera in questione sia, per l'appunto, invalida e debba essere annullata. Sul tema, occorre premettere: che ai sensi dell'art 66, comma 3, disp. att. c.c., l'avviso di convocazione dell'assemblea, contenente specifica indicazione dell'ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l'indicazione del luogo e dell'ora della riunione; che in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile, ai sensi dell'articolo 1137 del codice, su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati. A ciò deve aggiungersi che per pacifico insegnamento della Suprema Corte (ex multis, Cassazione civile, sez. II, sentenza 25/03/2019 n. 8275) l'avviso di convocazione, trattandosi di atto unilaterale ricettizio, segue la comune regola fissata dall'art. 1335 c.c., secondo il quale la proposta, l'accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia. Nel caso che ci occupa il sig. (...) sostiene, peraltro, che tanto l'avviso di convocazione dell'assemblea, quanto il verbale della stessa assemblea non gli siano stati regolarmente comunicati, gli stessi essendo stati inviati ad indirizzo non corrispondente a quello di residenza anagrafica attuale. L'assunto non può essere condiviso, per le ragioni di seguito esposte. Ed invero, l'introduzione del registro dell'anagrafe condominiale ex art. 1130, n. 6, c.c. ha posto a carico dell'amministratore l'obbligo di annotare in esso le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e personali di godimento, comprensivi dei dati ad essi inerenti anche in caso di variazioni: è quindi compito dell'amministratore provvedervi direttamente, ovvero a spese del condomino qualora questi non provveda di sua spontanea volontà a comunicare i dati richiesti. Il legislatore ha previsto, altresì, come ogni variazione dei dati vada comunicata all'amministratore in forma scritta, entro sessanta giorni, prevedendosi, altresì, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, non solo la possibilità che l'amministratore richieda, con lettera raccomandata, le informazioni necessarie all'aggiornamento del registro di anagrafe, ma anche, nell'ipotesi di omessa o incompleta risposta nel termine di trenta giorni dalla richiesta, la facoltà, per costui, di acquisire personalmente le informazioni necessarie, addebitandone il relativo costo al condomino. In ogni caso, va tenuto presente che se l'amministratore del condominio ha il dovere di regolare tenuta ed aggiornamento costante del registro di anagrafe condominiale, il condomino ha a sua volta l'obbligo di comunicare tempestivamente all'amministratore il proprio eventuale trasferimento in altro e diverso domicilio: in caso contrario, la comunicazione all'indirizzo di residenza risultante dall'anagrafe condominiale, ancorché non più attuale, dovrà ritenersi regolarmente perfezionata e la mancata ricezione dell'avviso sarà necessariamente addebitabile al solo condomino negligente (in termini Trib. Palermo n. 4179/22), non essendo ragionevolmente esigibile in capo all'amministratore una continua e costante verifica in ordine all'esistenza o meno di trasferimenti di residenza di ciascun singolo condomino, specie alla luce dell'obbligo di cui sopra gravante sui condomini, che fa presumere la piena idoneità dell'indirizzo già comunicato alla ricezione delle comunicazioni, in assenza di successiva comunicazione di variazione del medesimo. Tornando al caso che ci occupa, i plichi contenenti la convocazione per l'assemblea e la successiva comunicazione del relativo verbale sono stati pacificamente inoltrati all'indirizzo del sig. (...) presente nel registro dell'anagrafe condominiale e cioè Frasso Sabino (RI), (...) (circostanza pacifica tra le parti), né dagli atti di causa risulta che l'appellante abbia provveduto a comunicare all'amministratore del condominio, precedentemente alla ricezione dell'avviso, la variazione della propria residenza anagrafica. Nello specifico, la raccomandata a/r contenente la convocazione dell'assemblea condominiale per il 13.02.2021 è stata recapitata dal postino presso l'indirizzo di residenza del sig. (...) presente nell'anagrafica condominiale, posto che, per giurisprudenza, con l'avviso di giacenza immesso nella cassetta postale (esito attestato nella specie dall'agente postale) l'atto di convocazione all'assemblea condominiale si presume conosciuto dal destinatario (v., tra le altre, Cass. civ. n. 20001/2020). Identiche considerazioni valgono con riferimento alla comunicazione del verbale di assemblea, inoltrato a identico indirizzo con esito di compiuta giacenza. Ne discende che dovendo entrambe le comunicazioni ritenersi - per le ragioni tutte di cui sopra - validamente effettuate (in entrambi i casi il plico non è stato ritirato per compiuta giacenza), risulta inesorabilmente spirato il termine perentorio di trenta giorni di cui all'art. 1137, II co., c.c. per proporre ricorso avverso la delibera assembleare avente ad oggetto l'approvazione dei lavori straordinari e della relativa spesa oggetto di ingiunzione. Le superiori considerazioni comportano l'inevitabile reiezione del secondo motivo di appello, non essendo consentito al (...) - stante la scadenza del termine di cui sopra, previsto a pena di decadenza - far valere alcun vizio di annullabilità della delibera assembleare de qua. Per le stesse ragioni deve essere, infine, respinto il terzo motivo di appello, con il quale il sig. (...) lamenta un ulteriore profilo di annullabilità della delibera (omessa ricezione dell'avviso di convocazione almeno cinque giorni prima della data dell'assemblea) il cui scrutinio è precluso in questa sede, stante la scadenza del termine perentorio per proporre ricorso avverso la delibera medesima. In definitiva, l'appello nel suo complesso dovrà essere respinto, siccome giuridicamente infondato. Le spese del presente giudizio di appello seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto dell'assenza di fase istruttoria e di note conclusionali Dovrà, infine, condannarsi parte appellante al pagamento di un ulteriore importo pari all'ammontare del contributo unificato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 13, comma 1quater, D.P.R. n. 115/02, trattandosi di rigetto di impugnazione. P.Q.M. il Tribunale in composizione monocratica, ogni contraria domanda, istanza, eccezione e deduzione disattesa o assorbita, definitivamente pronunciando, così provvede: - respinge l'appello proposto da (...) avverso la sentenza del Giudice di Pace di Poggio Mirteto n. 2/2023 del 03.02.2023; - condanna l'appellante a rifondere al (...) le spese del presente giudizio di appello, che liquida nell'importo complessivo di Euro 1.276,00 a titolo di compensi professionali, oltre alle spese forfettarie ex art. 2 D.M. n. 55/14 e oltre a IVA e CPA come per legge; - condanna il sig. (...) al pagamento di un ulteriore importo pari all'ammontare del contributo unificato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115/02. Così deciso in Rieti l'1 giugno 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9394 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Ma. Fu., Fl. De Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ministero della Difesa, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata Sezione Prima n. -OMISSIS- resa tra le parti; Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2024 il Cons. Raffaello Scarpato e uditi per le parti gli avvocati; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. -OMISSIS-, già titolare di porto d'armi n. -OMISSIS- rilasciato dalla Questura di Potenza e di una distinta licenza permanente per collezione di armi antiche, artistiche e rare, rilasciata dalla Questura di Potenza nell'anno 2001, è stata attinta da un decreto penale di condanna, in ragione della detenzione abusiva di 95 munizioni e dell'omessa denuncia del trasferimento di una pistola Beretta, legalmente detenuta in forza del suddetto porto d'armi, presso un diverso indirizzo di residenza. 2. Interposta opposizione avverso il suddetto decreto penale di condanna, il conseguente procedimento penale si è concluso con l'estinzione del reato contestato per avvenuta oblazione. 3. A seguito di tali accadimenti, la ricorrente è stata attinta, in via amministrativa, dal provvedimento di divieto di detenzione di armi, munizioni o materiali esplodenti, emesso dalla Prefettura di Potenza in data 1.2.2023 ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del R.D. n. 773/1931 (T.U.L.P.S.), non esplicitamente limitato alla pistola Beretta ed alle cartucce già oggetto della vicenda penale e, quindi, esteso a tutte le armi detenute, ivi comprese quelle facenti parte della collezione storica, con obbligo di cessione, ovvero di disattivazione, pena la successiva confisca e distruzione ai sensi dell'art. 6 comma 5 della L. n. 152/1975. 4. La ricorrente ha impugnato il divieto, in quanto illegittimo e carente dei presupposti, sia nella parte in cui è stato applicato alle armi comuni (pistola Beretta e munizioni), sia nella parte in cui l'Amministrazione ne ha esteso lo spettro applicativo anche alle armi storiche, facenti parte della Collezione autorizzata con il decreto questorile sopracitato. 5. Quanto al primo profilo, la ricorrente ha dedotto che il trasferimento della pistola Beretta dalla vecchia alla nuova residenza, risalente all'anno 2000, non era stato comunicato all'Amministrazione in buona fede, senza intenti fraudolenti; in relazione alla mancata denuncia delle cartucce, acquistate nel 1991, la ricorrente ha giustificato il proprio comportamento sotto il profilo dell'errore scusabile, avendo ritenuto che al di sotto delle 200 munizione non vi fossero obblighi di denuncia. 6. Quanto al secondo profilo, la ricorrente, premesso che il riferimento a "qualsiasi arma o munizione" contenuto nel provvedimento fosse idoneo ad estendere il divieto anche alla Collezione di armi storiche, ha eccepito che la licenza relativa a queste ultime non era mai stata formalmente ritirata dal Questore, non risultando il Prefetto competente a disporne il ritiro e non potendo in nessun caso le armi storiche essere passibili di distruzione, in caso di mancata cessione volontaria o disattivazione da parte del titolare, ai sensi dell'art. 32 commi 9 e 10 della L. n. 110/1975. 7. Il Tribunale amministrativo regionale della Basilicata, con la sentenza in epigrafe, ha respinto il ricorso, ritenendo il divieto giustificato dalla condizione di inaffidabilità della ricorrente, siccome emergente dalla vicenda penale, e correttamente esteso anche alle armi facenti parte della Collezione storica, dovendosi ogni ulteriore valutazione relativa all'eventuale distruzione delle stesse ritenere riservata all'Autorità competente per la fase esecutiva. 8. Con atto d'appello ritualmente notificato e depositato, la ricorrente ha impugnato la sentenza, deducendo, quanto al primo profilo, che erroneamente la Prefettura ed il T.a.r. avevano ritenuto la risalente ed isolata condotta penalmente rilevante indice di inaffidabilità, violando i limiti della ragionevolezza e della proporzionalità . Quanto al secondo profilo, l'appellante ha censurato il provvedimento impugnato e la decisione del primo giudice riproponendo i motivi già posti a fondamento del ricorso di primo grado, deducendo che la Collezione relativa alle armi storiche ha carattere permanente, potendo essere revocata solo mediante un provvedimento espresso, di competenza del solo Questore e non del Prefetto. 9. Il Ministero dell'interno si è costituito in giudizio, depositando la pertinente documentazione. 10. Con ordinanza n. 2023/5166 la Sezione ha sospeso l'efficacia esecutiva della sentenza, nelle more della definizione del giudizio nel merito. 11. All'udienza pubblica del 21 marzo 2024 l'appello è stato introitato per la decisione. 12. L'appello è parzialmente fondato, in relazione alla illegittima estensione del divieto anche alla Collezione di armi storiche, artistiche e rare, mentre la sentenza impugnata merita conferma limitatamente alle statuizioni relative alle armi comuni (pistola Beretta e munizioni), legittimamente colpite dal divieto di detenzione (capo n. 5.1 della decisione impugnata). 13. Deve richiamarsi, preliminarmente, il granitico orientamento della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, in relazione alla discrezionalità amministrativa che connota i provvedimenti relativi alla detenzione delle armi ed al conseguente sindacato del giudice amministrativo. La oramai univoca giurisprudenza ha infatti accertato l'insussistenza di una posizione di diritto soggettivo assoluto in relazione all'ottenimento ed alla conservazione del permesso di detenzione e porto di armi in deroga al generale divieto di cui all'art. 699 c.p. e di cui all'art. 4, comma 1, l. 18 aprile 1970, n. 110 (Corte cost. n. 440 del 1993; Cons. Stato, sez. III, n. 2974 del 2018; n. 3502 del 2018). Pertanto, ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del TULPS, l'Amministrazione può legittimamente fondare il giudizio di "non affidabilità " del titolare del porto d'armi valorizzando il verificarsi di situazioni genericamente non ascrivibili alla "buona condotta" dell'interessato, non rendendosi necessario al riguardo né un giudizio di pericolosità sociale del soggetto né un comprovato abuso nell'utilizzo delle armi (Cons. Stato, sez. III, n. 2987 del 2014; n. 4121 del 2014; n. 4518 del 2016; sez. VI, n. 107 del 2017; sez. III, n. 2404 del 2017; n. 4955 del 2018; n. 6812 del 2018) in quanto, ai fini della revoca della licenza, l'Autorità di pubblica sicurezza può apprezzare discrezionalmente, quali indici rivelatori della possibilità d'abuso delle armi, fatti o episodi anche privi di rilievo penale, indipendentemente dalla riconducibilità degli stessi alla responsabilità dell'interessato, purché l'apprezzamento non sia irrazionale e sia motivato in modo congruo (Cons. Stato, sez. VI, n. 107 del 2017; sez. III, n. 2974 del 2018; n. 3502 del 2018), trattandosi di un provvedimento, privo di intento sanzionatorio o punitivo, avente natura cautelare al fine di prevenire possibili abusi nell'uso delle armi a tutela delle esigenze di incolumità di tutti i consociati (Cons. Stato, sez. III, n. 2974 del 2018). Proprio la natura cautelare del provvedimento fa sì che lo stesso si fondi su considerazioni probabilistiche, basate su circostanze di fatto assistite da sufficiente fumus al momento della loro adozione (Cons. Stato, sez. III, n. 3979 del 2013; n. 5398 del 2014; n. 2404 del 2017; n. 6812 del 2018). In materia di autorizzazioni di polizia inerenti il porto e l'uso delle armi, infatti, l'autorità di pubblica sicurezza dispone, ai sensi degli artt. 10,11, 42 e 43 del T.U.L.P.S., di una lata discrezionalità nell'apprezzare se la persona richiedente sia meritevole del titolo, per le evidenti ricadute che tali atti abilitativi possono avere ai fini di una efficace protezione di due beni giuridici di primario interesse pubblico, quali l'ordine e la sicurezza pubblica (ex plurimis, Con. St., Sez. VI, 06.04.2010, n. 1925). La legislazione affida all'autorità di pubblica sicurezza il compito di valutare con il massimo rigore le eccezioni al divieto di circolare armati e, dunque, qualsiasi circostanza che consigli l'adozione del provvedimento di rigetto della domanda di porto d'armi, onde prevenire la commissione di reati e, in genere, di fatti lesivi della pubblica sicurezza. Infatti, ai sensi dell'art. 39, comma 1, T.U.L.P.S., "Il prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne". Pertanto, la revoca o il diniego dell'autorizzazione possono essere adottate sulla base di un giudizio ampiamente discrezionale circa la prevedibilità dell'abuso dell'autorizzazione stessa, potendo assumere rilevanza anche fatti isolati, ma significativi (cfr. Cons. Stato, III, n. 5398/2014), e potendo l'Amministrazione valorizzare nella loro oggettività sia fatti di reato diversi, sia vicende e situazioni personali del soggetto che non assumano rilevanza penale, concretamente avvenuti, anche non attinenti alla materia delle armi, da cui si possa desumere la non completa "affidabilità " all'uso delle stesse (cfr. Cons. Stato, III, n. 3979/2013; n. 4121/2014). Conseguentemente, il divieto non richiede una particolare motivazione e il successivo vaglio del giudice amministrativo deve limitarsi alla sussistenza dei presupposti idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate non siano irrazionali o arbitrarie (Consiglio di Stato sez. III, 18 aprile 2016, n. 1536). Alla luce di tali premesse, deve ritenersi che nel caso di specie il divieto risulti sufficientemente motivato rispetto alla mancata denuncia di acquisto di n. 95 cartucce ed alla mancata comunicazione di trasferimento della pistola presso la nuova residenza, che integrano circostanze indicative di una scarsa affidabilità e diligenza nella tenuta delle armi, violando il generale dovere informativo - che incombe su tutti coloro che posseggono armi - nei confronti degli organi di pubblica sicurezza. Proprio a tale riguardo, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare la sufficienza del mutamento del luogo di custodia delle armi, omettendone la comunicazione all'Autorità, a sostenere sotto il profilo motivazionale il divieto di detenzione. È, infatti, pacifico che "l'omessa denuncia del trasferimento delle armi, di per sé, evidenzia un comportamento superficiale indicativo di scarsa affidabilità nella custodia delle stesse, come tale sufficiente a legittimare l'imposizione del divieto ex art. 39 del TULPS" (Cons. Stato, sentenze nn. 4621/2018, 4334/2017). Non risultano pertanto fondate le censure relative al carattere non attuale ed isolato delle condotte, ovvero all'erroneo convincimento della titolare circa l'insussistenza dell'obbligo di comunicare all'autorità di pubblica sicurezza lo spostamento dell'arma, ovvero l'acquisto delle munizioni; così come l'esito del procedimento penale, culminato con l'estinzione del reato per avvenuta oblazione, non può privare di rilevanza il comportamento non diligente posto a fondamento del diniego impugnato. 14. Differenti considerazioni devono invece essere riferite all'estensione del divieto anche alla Collezione delle armi storiche. 14.1 Il divieto sub iudice, pur non recando alcuno specifico riferimento alla suddetta Collezione, si riferisce "a qualsiasi specie di armi, munizioni o materiali esplodenti", con lata estensione applicativa anche alle armi storiche, detenute dalla ricorrente in forza di un differente titolo, costituito dall'autorizzazione questorile datata 9.11.2001. Tale estensione non risulta legittima, per le seguenti ragioni. Le armi storiche sono sottoposte ad un regime giuridico parzialmente diverso rispetto a quello delle armi comuni e seguono un differente canale di autorizzazione alla detenzione e di revoca, come emerge: - dall'art. 47 del R.D. 6 maggio 1940, n. 635 e dall'art. 11 del D.M. 14.4.1982, che prevedono il carattere permanente della licenza; - dall'art. 32 della legge n. 110 del 1975, che vieta la distruzione delle armi antiche e artistiche comunque versate all'autorità di pubblica sicurezza o alle direzioni di artiglieria senza il preventivo consenso di un esperto nominato dal sovrintendente per le gallerie competente per territorio, prevedendo che le armi riconosciute di interesse storico e artistico debbano essere destinate alle raccolte pubbliche indicate dalla sovrintendenza; - dall'art. 8 del D.M. 14.4.1982, che disciplina un procedimento ad hoc per l'ottenimento della licenza di "Collezione"; - dall'art. 12 del medesimo D.M. 14.4.1982 "Collezioni - Revoca della licenza", il quale, nel richiamare l'art. 11 ultimo comma del R.D. n. 773/1931 ("Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego dell'autorizzazione"), affida la revoca alla competenza del Questore, che ha l'obbligo di riferire al Sovraintendente per i beni artistici e storici ed al Prefetto, il quale deve invitare l'interessato a trasferire le armi a persone od enti legittimati, ovvero a depositarle presso un ente di diritto pubblico abilitato, indicato dalla competente sovraintendenza. Tale particolareggiato quadro normativo consente di affermare che, in relazione alle Collezioni di armi storiche, non si applica l'obbligo di cessione a terzi o disattivazione, ovvero in mancanza la confisca con successivo versamento alla competente Direzione di artiglieria per la distruzione. Tali conseguenze, infatti, determinerebbero la compromissione dell'interesse alla conservazione del bene, in ragione del suo intrinseco valore storico artistico, oggetto di specifica tutela da parte del legislatore mediante la soprarichiamata specifica disciplina legislativa e regolamentare. Del resto, com'è stato correttamente evidenziato dall'appellante, il divieto di detenzione impugnato è stato adottato in dichiarata applicazione dell'art. 39 R.D. n. 773/1931, il quale attribuisce al Prefetto il potere di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, "denunciate ai termini dell'articolo precedente", ovverossia dell'art. art. 38, il quale esenta dall'obbligo di denuncia "i possessori di raccolte autorizzate di armi artistiche, rare o antiche" (cfr. comma 2). Ciò conferma che, indubbiamente, il divieto di detenzione impugnato può concernere esclusivamente le armi e munizioni per le quali sussiste l'obbligo di denuncia di detenzione ex art. 38 cit. (nella specie la Beretta e le sue cartucce) ma non anche la collezione di armi artistiche, rare o antiche di proprietà dell'appellante. Per tali ragioni, non può essere condivisa la decisione impugnata nella parte in cui, non considerando il sopradelineato quadro normativo, ha accomunato le armi artistiche, rare o antiche costituenti Collezione alle armi comuni da sparo, estendendo ad esse il divieto di detenzione e relegando ad una fase meramente esecutiva il compimento delle verifiche prescritte dall'art. 32, co. 9 e 10, della L. n. 110/1975. 14.2 A differenti conclusioni non potrebbe peraltro giungersi nemmeno attribuendo al provvedimento impugnato valore e sostanza di provvedimento di revoca implicita della licenza di raccolta e detenzione emessa dal Questore della Provincia di Potenza in data 9.11.2001. Ed infatti, nel tratteggiare i connotati ed i limiti di ammissibilità del cd. "provvedimento implicito", la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha chiarito che: "a) deve esistere, a monte, una manifestazione espressa di volontà della pubblica amministrazione (sub specie comportamento concludente o altro atto amministrativo); b) tale atto o comportamento deve provenire da un organo amministrativo competente e nell'esercizio delle sue attribuzioni; c) l'atto implicito deve, a sua volta, rientrare nella sfera di competenza dell'autorità amministrativa che ha emanato l'atto presupposto; d) per l'atto implicito la legge non deve richiedere una forma determinata a pena di nullità, dovendosi, comunque, rispettare le forme procedimentali previste per l'emanazione dell'atto; e) deve sussistere un collegamento esclusivo e bilaterale tra l'atto implicito e l'atto presupponente, il primo dovendo costituire l'unica conseguenza possibile dell'atto a monte espresso f) che in ogni caso, emergano e factis (avuto riguardo al concreto andamento dell'iter procedimentale e alle effettiva acquisizioni istruttorie) gli elementi necessari alla ricostruzione del potere esercitato" (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 1034/2018; Cons. Stato, sez. V, n. 5822/2019). Nel caso oggetto del presente giudizio, difettano i presupposti previsti dalla lettera "c", stante la competenza del Questore, normativamente prevista, per la revoca della licenza, e dalla lettera "e", dovendosi escludere, per le già indicate distinzioni di disciplina e di ratio giustificatrice, che la revoca della licenza della Collezione possa considerarsi l'unica conseguenza possibile dell'atto a monte, concernente le armi comuni detenute dall'appellante e soggiacenti alla disciplina propria delle stesse, non automaticamente estendibile anche alle Collezioni. 15. Per tali ragioni, in parziale riforma della decisione impugnata, l'originario ricorso deve essere accolto ed il provvedimento impugnato deve essere riformato, limitatamente alla parte in cui il divieto è stato esteso anche alla Collezione delle armi antiche, artistiche e rare, autorizzata con la licenza rilasciata dal Questore della Provincia di Potenza in data 9.11.2001. Il divieto rimane pertanto valido ed efficace in relazione alle rimanenti armi comuni e munizioni. 16. Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate, in ragione delle motivazioni poste a fondamento della decisione e della peculiarità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l'appellante; Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Giovanni Pescatore - Presidente FF Ezio Fedullo - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere Raffaello Scarpato - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. MASINI Tiziano - Consigliere Dott. SESSA Renata - Relatore Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere Dott. MELE Maria Elena - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Za.Bo. nato il (Omissis) avverso la sentenza del 22/09/2023 della CORTE APP. SEZ. MINORENNI di ANCONA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUIGI GIORDANO che ha concluso chiedendo udito il difensore RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 22.9.2023 la Corte di Appello di Ancona - Sezione Minori - in parziale riforma della pronuncia emessa in primo grado nei confronti di Za.Bo., che lo aveva dichiarato colpevole del reato di furto in abitazione, ha revocato la sospensione condizionale della pena concedendo il perdono giudiziale, confermando nel resto la decisione del primo giudice. 2. Avverso la suindicata sentenza, ricorre per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo, con l'unico motivo articolato, di seguito enunciato nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., la nullità della sentenza del Tribunale dei minorenni e della Corte di appello di Ancona per violazione degli articoli 420 - bis e seguenti del codice di rito. L'imputato veniva rinviato a giudizio con decreto del P.m. del 3 ottobre 2021, notificato a mezzo P.e.c. in data 8 settembre 2022 al difensore di ufficio nominato in sede di notifica del decreto di convalida del decreto di perquisizione e sequestro eseguito il 1 ottobre 2020, il quale aveva telefonicamente accettato la domiciliazione degli atti ai sensi dell'art. 162, comma 4 - bis del codice di rito. All'esito dell'udienza preliminare celebrata il 4/10/2022, in eccepita, inconsapevole e involontaria assenza dell'imputato, il Presidente del Tribunale dei minori, ritenendo di non dover procedere né alla richiesta sospensione del processo ai sensi dell'allora vigente art. 420 - quater cod. proc. pen. né alla definizione del procedimento in via anticipata ai sensi dell'art. 32 D.P.R. 448/88 in mancanza del necessario consenso dell'imputato alla definizione del processo e dei presupposti per la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 del codice di rito, disponeva il rinvio a giudizio del ricorrente. Anche il relativo decreto di fissazione dell'udienza dibattimentale veniva notificato all'imputato al domicilio eletto a mezzo P.e.c. inviata al suo difensore di ufficio domiciliatario il 26/11/2022. All'udienza dibattimentale del 23 Febbraio 2023 il Presidente, dopo aver rigettato l'eccezione preliminare sollevata ancora una volta dalla difesa in merito alla inidoneità, ai fini della celebrazione del processo in assenza, dell'elezione di domicilio presso il difensore di ufficio da parte dell'imputato, senza fissa dimora, con il quale il difensore non era riuscito ad instaurare alcun rapporto professionale ed informativo, procedeva alla celebrazione del giudizio in assenza dell'imputato. Ciò posto si osserva che l'art. 420 - bis, così come modificato dall'art. 23, comma 1, lett. c del decreto legislativo 152/22, a decorrere dal 30 dicembre 2022, consente tuttavia la celebrazione del processo in assenza nei soli casi in cui sia stata provata l'effettiva conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato e la riconduzione della sua assenza ad una scelta volontaria e consapevole, recependo le direttive impartite dalla Corte di Strasburgo. La Suprema Corte dì Cassazione ha, d'altra parte, in merito più volte evidenziato che la sola elezione di domicilio presso il difensore di ufficio da parte dell'indagato non può costituire di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza dovendo il giudice verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata un'effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l'indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest'ultimo abbia conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento stesso (Sezioni unite n. 23948 del 17 agosto 2020). Indi si citano le ulteriori pronunce di questa Cotte a sostegno della tesi rappresentata in ricorso, e si procede ad ulteriore analisi della vicenda processuale, evidenziando come, peraltro, l'eccezione in argomento veniva proposta anche dinanzi alla Corte di appello, tenuto conto che ancora una volta il relativo decreto di citazione dell'imputato era stato notificato nel domicilio eletto presso il difensore dì ufficio, ma anche in tal caso l'eccezione veniva rigettata sul rilievo che il difensore di ufficio aveva dato regolarmente consenso all'elezione di domicilio e che alcun dovere di verifica sussisteva all'epoca sull'effettività del rapporto con l'imputato, e che, d'altro canto, sarebbe stato eventualmente onere dello stesso difensore provvedere a prendere contatti con l'assistito. Indi, conclude il ricorso per l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale per i minorenni di Ancona. 3. Il ricorso è stato trattato - ai sensi dell'art. 23, comma 8, del d. l. n. 137 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, che continua ad applicarsi, in virtù del comma secondo dell'art. 94 del D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall'art. 11, comma 7, d. l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito con modificazioni dalla l. del 23.2.2024 n. 18, per le impugnazioni proposte sino al 30.6.2024 - senza l'intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto: il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso; il difensore dell'imputato ha insistito nell'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato. Si deve premettere che, nel caso oggetto del presente ricorso, alla data dì entrata in vigore del d.igs. n. 150/2022, era già stata pronunciata una ordinanza con la quale sì era disposto di procedere in assenza. Pertanto, ai sensi dell'art, 89 del citato decreto, devono essere applicate "le disposizioni del codice di procedura penale e delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie dei codice di procedura penale in materia di assenza anteriormente vigenti, comprese quelle relative alle questioni di nullità in appello e alla rescissione del giudicato". La questione processuale qui sollevata deve pertanto essere valutata alla stregua delle disposizioni antecedenti alla c.d. Riforma Cartabia e della giurisprudenza di questa Corte formatasi in relazione ad esse. Ciò posto, premesso che nella fattispecie in esame non trova applicazione il nuovo disposto normativo di cui all'art. 161, comma 1, del codice di rito, relativo all'onere di comunicazione, da parte dell'imputato, al difensore di ogni recapito, anche telefonico, si deve riaffermare che, allo stato, la mera accettazione dell'elezione di domicilio da parte del difensore di ufficio ai sensi dell'art. 162, comma 4 - bis, cod. proc. pen., costituente una mera formalità a cui è subordinata l'efficacia dell'elezione di domicilio presso il difensore di ufficio, è di per sé inidonea a garantire l'effettiva conoscenza da parte dell'imputato degli atti successivi. Ed invero, così come affermato da Sez. 1 n. 3043 del 15.9.2023, dep. il 24.1.2024, Rv. 285711 - 01, l'esigenza della verifica dell'effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra difensore domiciliatario ed assistito, a dimostrazione della sua effettiva conoscenza del processo ovvero della sua volontaria sottrazione ad esso, resta ferma anche dopo l'introduzione dell'indicata disposizione di cui all'art. 162, comma 4 - bis. La disposizione di cui all'art. 162, comma 4 bis, cod. proc. pen., invero, non prevede espressamente che il consenso sia manifestato all'esito di un preventivo contatto tra difensore d'ufficio e imputato, sicché non si può dare per supposto che sia avvenuta una interlocuzione tra essi, tale da permettere al difensore di esprimere un consenso consapevole alla domiciliazione. E, sebbene sia auspicabile che il difensore d'ufficio, seppur non abbia ancora avuto modo di confrontarsi con l'assistito, quanto meno manifesti l'assenso alla domiciliazione nei soli casi in cui ritiene fondatamente di poter tenere aperto un canale di comunicazione con esso, ciò nondimeno non si può, in mancanza di elementi certi al riguardo, desumere dal solo fatto che il difensore abbia accettato la domiciliazione che si sia poi effettivamente instaurato il rapporto processuale tra lo stesso e l'assistito. Se è vero che col consenso il difensore viene in un certo qual modo onerato di compiti informativi in relazione al primo atto propulsivo del processo (solo a partire dalla intervenuta conoscenza dell'avvio del processo può ritenersi - anche - l'imputato onerato di informarsi sul suo sviluppo), è altrettanto vero che ciò non è ancora sufficiente ai fini della dimostrazione della conoscenza del processo da parte dell'imputato non potendo essa essere ricavata da tale compito che potrebbe comunque non essere stato adempiuto, a fronte del preciso dovere del giudice che procede dì verificare, d'ufficio, oltre che la regolarità della notificazione, anche l'effettiva conoscenza, da pare del destinatario, dell'atto contenente l'accusa, la data e luogo dell'udienza, e quindi del processo. Si ritiene pertanto che, mancando, nel caso di specie, in atti, quell'elemento ulteriore indice della effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra legale e proprio assistito, si deve ritenere nulla la dichiarazione di assenza intervenuta in primo grado sulla sola base della notificazione della vocatio in iudicium presso il difensore di ufficio domiciliatario (che aveva accettato la domiciliazione). Tenuto conto dello specifico tema che occupa, viene, altresì, in rilievo la pronuncia di questa Corte, Sez. 4, Sentenza n. 48776 del 15/11/2023, Rv. 285572 - 01, che ha avuto modo di ribadire che in tema di processo in assenza - nel caso in cui la relativa dichiarazione risulti emessa nella vigenza della disciplina antecedente all'entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 - il giudice che, nel corso del giudizio, rileva la sussistenza di fatti da cui possa inferirsi, con ragionevole certezza, che l'imputato non ha avuto effettiva conoscenza del processo è tenuto a revocare, anche "ex officio", l'ordinanza dichiarativa dell'assenza (fattispecie relativa alla notifica al difensore d'ufficio dell'atto di citazione per il giudizio di appello, in cui la Corte ha precisato che non sussiste un onere del difensore di provare l'assenza di contatti con l'imputato, né di formulare istanza di revoca dell'ordinanza dichiarativa dell'assenza), laddove nel caso di specie, il giudice non solo ha erroneamente dichiarato l'assenza del ricorrente, nonostante il difensore di ufficio avesse rappresentato di non essere riuscito a mettersi in contatto con l'assistito, ma non ha ritenuto, neppure in seguito, di revocare tale dichiarazione, nonostante la sollecitazione in tal senso più volte effettuata dal difensore, appellandosi all'onere di informazione che incombeva sul difensore (in atti risulta anche una nota del Ministero della Giustizia, del 15.9.2022, indirizzata sia alla Procura che al Tribunale di Ancona, che dava atto del fatto che il difensore non fosse a conoscenza né di un domicilio o residenza né di un riferimento familiare dell'imputato, e che non era, quindi, mai riuscito a rintracciarlo). 2. Per quanto esposto, il ricorso è fondato. Ne consegue l'annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata e della sentenza di primo grado e la trasmissione degli atti, per nuovo giudizio, al Tribunale dei Minorenni di Ancona. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale dei Minorenni di Ancona. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge. Così deciso il 3 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8922 del 2021, proposto da Te. Va. S.r.l., Fi. Ca., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati St. Ve., Ma. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gu. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno Sezione Seconda n. 00486/2021, resa tra le parti, per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: A) del provvedimento n. 36 del 15.11.2019, con il quale si è ingiunta la demolizione di pretese opere abusive sul complesso immobiliare della società ricorrente, alla Località (omissis); B) ove occorra, del provvedimento n. 8436 del 9.07.2019, di comunicazione d'avvio del procedimento di demolizione, ai sensi dell'art. 7 l. 241/1990; C) ove occorra, ancora, della relazione di sopralluogo, n. 11966 del 15.10.2019, non conosciuta; Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da SOCIETÀ Te. Va. S.R.L. il 2\7\2020: D) del silenzio-rigetto formatosi sull'istanza di permesso di costruire in sanatoria presentata dal ricorrente in data 7.02.2020, per modeste opere sul complesso immobiliare alla Località (omissis), ai sensi dell'art. 36 d.p.r. 380/2001; per quanto riguarda i motivi aggiunti: E) del silenzio-rigetto formatosi sull'istanza di permesso di costruire in sanatoria presentata dal ricorrente in data 7.02.2020, per modeste opere sul complesso immobiliare alla Località (omissis), ai sensi dell'art. 36 d.p.r. 380/2001; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo; Nessuno è comparso per le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.E' appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno Sezione Seconda n. 00486/2021, di parziale accoglimento del ricorso e motivi aggiunti proposti da Te. Va. s.r.l. avverso, rispettivamente, l'ordinanza di demolizione (n. 36 del 15.11.2019), adottata dal Comune di (omissis), ed il silenzio-rigetto formatosi sull'istanza di permesso di costruire in sanatoria presentata in data 07.02.2020. 2. Interventi abusivi realizzati in area agricola, gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico sita alla località (omissis), quali: a) manufatto con struttura portante in legno a forma di poligono dodecagono di superficie pari a mq. 384,46 con una altezza variabile tra m. 3 e m. 5.35 al colmo e una volumetria complessiva pari a mc. 1.408,57; b) la realizzazione, in difformità rispetto alla menzionata C.E. n. 34 del 22.09.1995: Al Piano terra: 1) ingresso di mq. 12,45, altezza m. 2,70 e volumetria di mc. 33,61 in struttura in alluminio e vetrate; 2) corpo di fabbrica destinato a cucina di mq. 62,17, altezza m. 3,25 e volumetria pari a mc. 202,05 in cemento armato... ad una distanza inferiore a quella prescritta dalle norme (m. 20) dalla strada comunale (omissis) o (omissis); 3) portico con pilastri in cemento armato di mq. 67,44; 4) ampliamento della sala ricevimenti di mq. 184,36, altezza media m. 3,40 e volumetria pari a mc. 626,82 in struttura amovibile ed infissa al suolo in legno e pareti perimetrali in vetro. L'ampliamento e` stato realizzato ad una distanza di m. 1,70 dal torrente Pi.... posizionato su un canale Ir. interrato di proprieta` del Demanio o di Consorzio Ir.; 5) ampliamento della struttura di mq. 338,76, altezza media 2,82 e volumetria di mc. 955,30 in struttura mista cemento armato, legno e vetrate. L'ampliamento e` stato realizzato ad una distanza, rispettivamente, di m. 4,40, m. 8,40, m. 4 e m. 4,35 dal torrente Pi.; 6) struttura metallica poggiata sulla parete del fabbricato e aperta su tre lati di mq. 35,88, infissa al suolo a mezzo di bulloni. La struttura e` stata realizzata ad una distanza inferiore a quella prescritta dalle norme (m. 20) dalla strada comunale (omissis) o (omissis); Al Piano primo: 7) ampliamento dell'unita` abitativa sul lato opposto all'ingresso principale della sala ricevimenti di mq. 100,09, altezza m. 3 e una volumetria di mc. 300,27, in cemento armato e destinano a soggiorno. L'ampliamento e` stato realizzato ad una distanza di m. 4,05 dal torrente Pi.; 8) scala d'ingresso all'unita` abitativa di mq. 11,46 in cemento armato ad una distanza inferiore a quella prescritta dalle norme (m. 20) dalla strada comunale (omissis) o (omissis); Al Piano sottotetto: 9) ampliamento sul lato opposto all'ingresso principale della sala ricevimenti di mq. 45,12, altezza media m. 2,65 e una volumetria di mc. 119,56, con struttura in legno lamellare aperta su tre lati. L'ampliamento e` stato realizzato ad una distanza di m. 9,40 dal torrente Pi.; 10) balcone di mq. 6,16 sul lato verso la strada comunale (omissis) o (omissis); la realizzazione di un corpo scala in legno che dal soggiorno del primo piano collega il sottotetto di mq. 21,37. 2.1 La ricorrente, oltre denunciare lo scarso rilievo edilizio delle opere, ha lamentato che parte delle opere oggetto dell'ordinanza di demolizione erano state oggetto della concessione edilizia in sanatoria n. 150 del 04.08.2004, rilasciata in accoglimento dell'istanza d'accertamento di conformità (prot. n. 2406 del 31.03.1987). 3. Il Tar ha accolto il ricorso limitatamente a quest'ultimo profilo, respingendo nel resto il ricorso principale ed i motivi aggiunti, rilevando la pluralità delle opere abusive realizzate senza titolo in area agricola eseguite, "al più, in un periodo compreso tra il 2011 ed il 2018", ossia in epoca successiva l'entrata in vigore del d.lgs. 157/2006 ha introdotto il divieto di sanatoria successivo alla realizzazione dei lavori nelle zone vincolate. 4. Appella la sentenza Te. Va. s.r.l. Resiste il Comune di (omissis). 5. Alla pubblica udienza del 9 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 6. In limine va respinta la richiesta formulata dall'appellante di sospensione del giudizio, ex art 295 c.p.c., in attesa della definizione innanzi al Tribunale di Salerno della questione - qualificata come pregiudiziale - della natura demaniale o meno delle aree su cui ricadono parte delle opere abusive. In considerazione del fatto che si controverte sulla natura delle opere realizzate senza titolo edilizio in area agricola, gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico, l'accertamento della demanialità delle aree ove ricadono parte dagli abusi edilizi, nell'economia del decidere, non è ex dirimente, sì da non giustificare la sospensione del giudizio in corso. 7. Prima di affrontare i molteplici motivi d'appello, è bene richiamare la disciplina urbanistica ed ambientale che governa il territorio. L'area d'intervento ricade parte in zona agricola E5 "Zona Agricola Irrigua" e parte in zona E4 "Zona Agricola Semplice" del vigente Piano Regolatore Generale, in cui sono destinate prevalentemente attività dirette o connesse con l'agricoltura, per cui in esso sono consentite costruzioni a servizio diretto del fondo agricolo - residenza e attrezzature per l'agricoltura. L'area è sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi degli artt. 146 e 167 d.lgs. 4/2004 perché ricadente nella fascia di 150 metri dal torrente Pi., nonché assoggettata alle norme di salvaguardia sancite dal Piano Stralcio per l'Assetto Idrogeologico poiché "l'area risulta: parte area a pericolosità potenziale PUtr1 e parte PUtr3... parte area a rischio potenziale da frana RUtr2... parte RUtr3... parte RUtr4... (in) zone di attenzione". Va altresì precisato, al fine di delimitare il campo d'indagine dello scrutinio di legittimità qui esperito, che in forza delle allegazioni contenute nella relazione tecnica di accertamento del Comune (prot. n. 11966 del 15.10.2019) risulta che tutte le opere oggetto della sanzione demolitoria sono state realizzate entro l'arco temporale compreso tra il 2011 e il 2018. Il dato di fatto, avallato dai giudici di prime cure, trova conferma nell'allegazione dei rilievi aereofotogrammetrici storici presenti sul portale istituzionale Geosit e dalle foto munite di datario comunemente reperibili sul servizio Go. Ma. / St. Vi.. Sicché il compendio immobiliare e le opere realizzate sono ricomprese nella disciplina di cui agli artt. 146, comma 1, lett. c) e 167, comma 4, d.lgs. 4/2004. Conseguentemente, va affermato che le opere abusive sono state realizzate in assenza dei prescritti nulla osta e/o pareri da parte dell'autorità preposta gestione del vincolo idrogeologico; e,che esse, qualora abbiano generato nuove superfici o nuovi volumi, non sono suscettibili di sanatoria ex post. A questo riguardo, sotto il profilo urbanistico-edilizio, non va passato sotto silenzio che le opere abusive, quanto all'impatto sul tessuto urbanistico, vanno considerate complessivamente, non già atomisticamente in modo parcellizzato, frazionando i singoli interventi. 8. A questa stregua, l'unica che assicura il corretto governo del territorio, deve essere respinto il primo motivo d'appello. L'appellante, nel motivo in esame, contesta il capo della sentenza ove si afferma che quelle sanzionate dall'ordinanza n. 36/2019 sono "opere di stabile trasformazione del suolo, implicanti nuovi volumi o superfici e realizzate senza alcun titolo, tanto da necessitare la presentazione di una richiesta di permesso di costruire in sanatoria". In realtà, secondo il motivo in esame, le opere avrebbero scarso o nullo impatto sul tessuto urbanistico e paesaggistico. 8.1 Il motivo è infondato. La censura, di fatto, scinde i singoli interventi, prescindendo dall'impatto complessivo prodotto sull'intero comprensorio, avente oltretutto rilievo ambientale (cfr., Cons. Stato, n. 496/2022). Viceversa, proprio in ragione della peculiare disciplina del territorio qui in esame, va ribadito che la valutazione di abusi edilizi e illeciti compiuti richiede una visione d'insieme, e non parcellizzata delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva, non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall'insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni (cfr., Cons. Stato n. 2119/2023; Id., n. 8848/2022; Id., 7601/2019). 9. Con il secondo motivo di appello, l'appellante denuncia che erroneamente, ed in maniera tranciante, il TAR ha ritenuto che le immagini tratte da portali internet fossero attendibili circa l'epoca di realizzazione dei manufatti. L'attività istruttoria posta in essere dal Comune sarebbe stata smentita dalla "perizia (depositata) in data 21.01.2021...che ha puntualmente dato conto della realizzazione dei lavori in data precedente all'anno 2000". 9.1 Il motivo è infondato. A fronte delle precise allegazioni contenute nella relazione tecnica del Comune, la perizia di parte non assolve l'onere probatorio gravante sulla ricorrente quanto alla data d'ultimazione delle opere abusive. Va data continuità all'indirizzo giurisprudenziale, qui condiviso, a mente del quale - richiamando gli artt. 63, comma 1, e 64, comma 1, c. p. a. - pone in capo al ricorrente l'onere della prova in ordine a circostanze che rientrano nella sua disponibilità : quindi, l'onere di provare la data di realizzazione di un'opera spetta al ricorrente, perché solo questi può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone) atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione dell'intervento edilizio (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 2019 n. 3696; Id., sez. VI,5 marzo 2018 n. 1391). In aggiunta, va sottolineato che le fotografie, richiamate dal Comune, tratte da google earth e da google street view costituiscono, prova precostituita della loro conformità alle cose ed ai luoghi rappresentati, sicché chi voglia inficiarne l'efficacia probatoria ha l'onere di disconoscere tale conformità (cfr. Cass. civ., Sez. trib., 10 gennaio 2020, n. 308; T.A.R. Campania, Sez. II, 24 aprile 2015, n. 2380). 10. Negli ulteriori motivi d'appello, si lamenta la violazione dell'art. 10 bis l. 241/1990 con riferimento silenzio-significativo serbato dal Comune di (omissis) sulla istanza di accertamento di conformità presentata in data 07.02.2020; nonché l'illegittimità della sanzione ripristinatoria "perché le modeste opere di ampliamento non possono essere demolite senza pregiudizio per la porzione di fabbricato lecito"; ed infine che il dirigente comunale non ha proceduto ad alcuna necessaria comunicazione alla Soprintendenza che, "in virtù della normativa vigente, può e deve intervenire nel relativo procedimento repressivo". 10.1 I motivi sono infondati. Nell'ordine. Ai sensi dell'art. 36, comma 3, d.P.R. 380/2001, "sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata". Poiché la norma disciplina (nel tempo) la formazione del silenzio-diniego sull'istanza d'accertamento di conformità, non trova applicazione l'art. 10 bis l. 241/90 che scandisce il contraddittorio sul presupposto dell'esercizio di valutazioni discrezionali sottese all'adozione del provvedimento espresso. Quanto alla denunciata impossibilità di demolire senza pregiudizio per la porzione di fabbricato lecito, va osservato che la circostanza di fatto non inficia la legittimità della sanzione ripristinatoria. L'eventuale emersione di pregiudizio alle opere legittime, laddove fosse eseguita la demolizione, rileva ed inerisce alla fase esecutiva, con la conseguente possibilità di dare eventualmente corso alla c.d. f(omissis)lizzazione dell'abuso, ex artt. 33 o 34 d.P.R.. 380/2001. In definitiva, il previo accertamento dell'impossibilità di rimuovere la parte abusiva senza pregiudizio della parte conforme non costituisce requisito di legittimità dell'ordine di demolizione. Analogamente, l'invocato onere procedimentale del dirigente a sollecitare la valutazione della Soprintendenza si colloca nella fase esecutiva della riduzione in pristino del manufatto abusivo in danno dell'autore dell'abuso e non in quella, logicamente e cronologicamente presupposta, della fase di emissione dell'ordinanza di demolizione. 11. Conclusivamente l'appello deve essere respinto. 12. Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna Te. Va. s.r.l. al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore del Comune di (omissis) liquidate complessivamente in 3000,00 (tremila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8923 del 2021, proposto da Te. Va. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati St. Ve. e Ma. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gu. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno Sezione Seconda n. 00487/2021, resa tra le parti, per l'annullamento: a - dell'ordinanza n. 21 del 15.07.2019, successivamente notificata, con la quale il Responsabile dell'Ufficio Urbanistica del Comune di (omissis) ha disposto la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi di alcune opere realizzate presso l'area di proprietà sita alla Loc. (omissis); b - ove e per quanto occorra, della relazione prot. n. 8410 dell'08.07.2019 redatta dall'U.T.C. a seguito di sopralluogo, presupposta all'ordinanza sub a); c - di tutti gli atti, anche non conosciuti, presupposti, collegati, connessi e consequenziali. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Te. Va. S.r.l. il 2\1\2020: a - della determina n. 114 del 24.10.2019 Reg. Servizio e n. 603 del 24.10.2019 Reg. Generale, successivamente notificata, con la quale il Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di (omissis) ha irrogato la sanzione pecuniaria di Euro 20.000,00 per "la non osservanza dell'ordinanza di rimessa in pristino per le opere eseguite in assenza del titolo abilitativo"; b - del provvedimento di cui alla nota prot. n. 13168 del 12.11.2019, con il quale la P.A. ha disposto il diniego definitivo dell'istanza di permesso di costruire in sanatoria depositato ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001; c - ove e per quanto occorra, del verbale di sopralluogo redatto dal Comando di polizia Municipale in data 23.10.2019, assunto a presupposto del provvedimento sub a); non conosciuto; d - ove e per quanto occorra, della nota prot. n. 12772 del 31.10.2019, recante la comunicazione dei motivi ostativi; e - di tutti gli atti, anche non conosciuti, presupposti, connessi, collegati e consequenziali. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Te. Va. S.r.l. il 21\1\2020: avverso e per l'annullamento: a - dell'ordinanza n. 37 del 19.11.2019, con la quale il Responsabile dello Sportello Unico per l'Edilizia del Comune di (omissis), in seguito al diniego dell'istanza di accertamento di conformità depositata dalla ricorrente ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, ha ordinato la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi di alcune opere realizzate nell'ambito di un'area sita alla Loc. (omissis); b - di tutti gli atti, anche non conosciuti, presupposti, connessi, collegati e consequenziali. Per quanto riguarda il ricorso incidentale presentato da Comune di (omissis) il 24/11/2021: per la riforma della sentenza del T.A.R. Campania - Sezione di Salerno, Sez. II n. 00487/2021, pubblicata in data 24.02.2021 nella parte in cui ha accolto i motivi aggiunti proposti avverso la determina n. 114 del 24.10.2019 recante la comminatoria nei confronti Te. Va. S.r.l. (c.f. 05368130653) pecuniaria di Euro 20.000,00 ex art. 31 comma 4 bis del D.P.R. 380/2001 per la mancata riduzione in pristino delle opere abusive sanzionate dell'ordinanza di demolizione precedentemente comminata Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo; Nessuno è comparso per le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.E' appellata la sentenza del T.A.R. Campania - Sezione di Salerno, Sez. II n. 00487/2021, d'accoglimento in parte del ricorso e motivi aggiunti proposti da Te. Va. S.r.l. avverso (una prima) ordinanza di demolizione del Comune di (omissis) - sostituta in pendenza di giudizio da altra ingiunzione a demolire (n. 37 del 19.11.2019), impugnata con motivi aggiunti - nonché avverso la sanzione pecuniaria di Euro 20.000,00, comminata per l'inosservanza dell'ordine di rimessione in pristino. Con ulteriori motivi aggiunti, la società ha impugnato il diniego opposto all'istanza di accertamento di conformità presentata il 16.10.2019, per essere la pratica "carente della documentazione e degli elaborati tecnico-amministrativi". 2. Interventi abusivi realizzati in area agricola, gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico sita alla località (omissis), consistenti: - nella sopraelevazione del piano di campagna di altezza pari a m. 2, di un ampio spazio di circa mq. 1.150 con all'interno la realizzazione di una piscina ornamentale di dimensioni in pianta pari a m. 18,70 x m. 9,90 e per complessivi mq. 185,13 e una profondità di m. 1.40. Per la sopraelevazione del piano di campagna e` stato realizzato un muro di sostegno in calcestruzzo della lunghezza complessiva di m. 54,73 a forma di una "elle" con il lato minore di m. 6.97 e il lato maggiore di m. 47.76, spessore cm. 30 ed un'altezza media di m. 2; - in tre gazebo, che occupano una superficie complessiva di circa mq. 155, nonché nella parte retrostante e nelle immediate vicinanze del torrente Pi. di un manufatto, in legno e parte in muratura, avente destinazione di cucina, servizi igienici, nonché deposito, di complessivi mq. 103,82 e una volumetria complessiva di mc. 303; - in un ulteriore gazebo destinato a bar, in legno, di dimensioni pari a m. 9 x m. 7.20 e per complessivi mq. 64,80 ed un'altezza pari a m. 3; - in area parcheggio di complessivi mq. 4.600. 3. Il Tar, dichiarato improcedibile il ricorso proposto avverso l'originaria ordinanza di demolizione, ha accolto i motivi aggiunti limitatamente all'irrogazione della sanzione pecuniaria per inottemperanza all'ordinanza di demolizione n. 37 del 19.11.2019, "stante l'emanazione dell'atto sanzionatorio allorquando il procedimento di sanatoria non si era ancora concluso":, respingendo nel resto il gravame. Il Tar ha respinto l'impugnazione sia del diniego opposto dal Comune all'istanza di accertamento di conformità presentata, motivato sulla carenza della documentazione e degli elaborati tecnico-amministrativi, che della nuova ordinanza di demolizione, qualificata "come atto dovuto, vertendosi sulla realizzazione, in zona agricola e senza alcun titolo, di un'area attrezzata all'aperto della complessiva estensione di 1150 mq., costituita da una piattaforma in cemento armato sopraelevata e pavimentata, gazebi attrezzati a bar e servizi, piscina ed annesso parcheggio per 4600 mq.; mentre è evidente la sottoposizione delle dette opere al regime del permesso di costruire ed ad autorizzazione paesaggistica, perché ricadenti nella fascia di 150 metri dal torrente Pi.". 4. Appella la sentenza Te. Va. s.r.l.. Resiste il Comune di (omissis) che, a sua volta, ha proposto appello incidentale avverso il capo di sentenza d'annullamento della sanzione pecuniaria. 5. Alla pubblica udienza del 9 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 6. In limine va respinta la richiesta formulata dall'appellante di sospensione del giudizio, ex art 295 c.p.c., in attesa della definizione innanzi al Tribunale di Salerno della questione - qualificata come pregiudiziale - della natura demaniale o meno delle aree su cui ricadono parte delle opere abusive. In considerazione del fatto che si controverte sulla natura delle opere realizzate senza titolo edilizio in area agricola, gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico, l'accertamento della demanialità delle aree ove ricadono parte dagli abusi edilizi, nell'economia del decidere, non è ex dirimente, sì da non giustificare la sospensione del giudizio in corso. 7. Prima di affrontare i molteplici motivi d'appello principale, è bene richiamare la disciplina urbanistica ed ambientale che governa il territorio. L'area d'intervento ricade parte in zona agricola E5 "Zona Agricola Irrigua" e parte in zona E4 "Zona Agricola Semplice" del vigente Piano Regolatore Generale, in cui sono destinate prevalentemente attività dirette o connesse con l'agricoltura, per cui in esso sono consentite costruzioni a servizio diretto del fondo agricolo - residenza e attrezzature per l'agricoltura. L'area è sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi degli artt. 146 e 167 d.lgs. 4/2004 perché ricadente nella fascia di 150 metri dal torrente Pi., nonché assoggettata alle norme di salvaguardia sancite dal Piano Stralcio per l'Assetto Idrogeologico poiché "l'area risulta: parte area a pericolosità potenziale PUtr1 e parte PUtr3... parte area a rischio potenziale da frana RUtr2... parte RUtr3... parte RUtr4... (in) zone di attenzione". 8. Con il primo motivo, l'appellante denuncia l'errore di giudizio in cui sarebbe incorso il Tar nel respingere il gravame avverso il diniego di accertamento di conformità . Il Comune di (omissis), secondo la censura in esame, ha denegato l'accertamento di conformità sul presupposto della mancata allegazione di documentazione," omettendo di richiederla espressamente come era suo precipuo compito". 8.1 Il motivo è infondato. Il Comune resistente, prima di opporre il diniego impugnato, con nota (prot. n. 12023 del 16.10.2019), ha espressamente richiesto l'apporto partecipativo della società appellante che - va sottolineato - è rimasta senza esito. Sicché, la regolarizzazione documentale ex officio è stata richiesta dal Comune, assolvendo al precetto contenuto nell'10-bis l.241/90, 9. Con il secondo motivo d'appello, l'appellante denuncia l'erroneità della sentenza laddove si censura il comportamento della ricorrente per non avere chiesto la concessione del termine per effettuare il deposito della documentazione carente. 9.1 Il motivo è infondato. Contrariamente a quanto dedotto in fatto dall'appellante, il Comune, nell'istruire il procedimento, ha richiesto l'esibizione di documenti essenziali a comprovare la veridicità delle dichiarazioni rese ai sensi del d.P.R. 455/2000 quanto alla legittimazione ad intervenire anche all'interno dell'area demaniale e all'insussistenza di vincoli di natura paesaggistica e ambientale tali da rendere necessario il preventivo conseguimento dei prescritti nulla osta delle autorità preposte alla loro gestione. In risposta, la società ha lasciato scadere il termine, senza presentare alcuna osservazione. 10. Con il terzo motivo di appello, la ricorrente lamenta gli errori di giudizio nel respingere le censure proposte avverso l'ordinanza di demolizione. Le opere contestate, secondo la censura in esame, sarebbero in parte irrilevanti ai fini volumetrici e/o del carico urbanistico e, quindi, non sono assoggettate al regime del permesso di costruire né sanzionabili ex art. 31 d.P.R. n. 380/2001, e, per altra parte, sarebbero riconducibili al genus degli interventi pertinenziali "minimi", di cui agli artt. 3 e 6 d.P.R. n. 380/2001. 10.1 Il motivo è infondato. Le opere abusive realizzate in zona agricola gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico consistono: nella sopraelevazione del piano di campagna di altezza pari a m. 2, di un ampio spazio di circa mq. 1.150 con all'interno la realizzazione di una piscina ornamentale di dimensioni in pianta pari a m. 18,70 x m. 9,90 e per complessivi mq. 185,13 e una profondità di m. 1.40, nella realizzazione 3 gazebi, che occupano una superficie complessiva di circa mq. 155, nonché nella parte retrostante e nelle immediate vicinanze del torrente Pi. di un manufatto, in legno e parte in muratura, avente destinazione di cucina, servizi igienici, nel deposito, di complessivi mq. 103,82 e una volumetria complessiva di mc. 303; nella edificazione di ulteriore gazebo destinato a bar, in legno, di dimensioni pari a m. 9 x m. 7.20 e per complessivi mq. 64,80 ed un'altezza pari a m. 3 (...); nella realizzazione di un'area parcheggio di complessivi mq. 4.600. Va sottolineato che l'area occupata dalla piattaforma, "ricade per mq. 900 nella proprietà del demanio" (su una estensione di complessivi 1150 mq; mentre l'area occupata dal parcheggio, "risulta, ivi compreso l'ingresso al parcheggio, parzialmente di proprieta` del demanio per mq. 2.200" (su una estensione di complessivi 4600 mq). Il Comune ha accertato la realizzazione, senza alcun titolo autorizzativo, di area attrezzata per ricevimenti all'aperto, costituita da una piattaforma sopraelevata in cemento armato, con gazebi attrezzati a bar e servizi, impianto di illuminazione e piscina monumentale della complessiva estensione di 1150 mq e dell'annesso parcheggio per automezzi di ulteriori 4600 mq. Gli interventi complessivamente considerati incidono pesantemente sull'intero comprensorio, avente oltretutto valenza ambientale (cfr., Cons. Stato, n. 496/2022). In ragione della peculiare disciplina del territorio qui in esame, va ribadito che la valutazione di abusi edilizi e illeciti compiuti richiede una visione d'insieme, e non parcellizzata delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva, non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall'insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni (cfr., Cons. Stato n. 2119/2023; Id., n. 8848/2022; Id., 7601/2019). Correttamente il Tar ha qualificato come "atto dovuto" l'ordinanza di demolizione stante l'avvenuta realizzazione, in zona agricola e senza alcun titolo, "di un'area attrezzata all'aperto della complessiva estensione di 1150 mq., costituita da una piattaforma in cemento armato sopraelevata e pavimentata, gazebi attrezzati a bar e servizi, piscina ed annesso parcheggio per 4600 mq.; mentre è evidente la sottoposizione delle dette opere al regime del permesso di costruire ed ad autorizzazione paesaggistica, perché ricadenti nella fascia di 150 metri dal torrente Pi.". 11. Conseguentemente, anche il quarto motivo dell'appello principale, laddove si deduce che "le opere contestate sono riconducibili al regime sanzionatorio pecuniario di cui all'articolo 37 d.P.R 380/2001", è infondato. Le pluralità degli abusi commessi in zona agricola, gravata da vincoli ambientali, comporta l'applicazione del regime sanzionatorio rispristinatorio di cui agli artt. 31 d.P.R. 380/2001 e 167 d.lgs. 4/2004. 12. Conclusivamente, l'appello principale deve essere respinto. 13. Ad opposta conclusione deve giungersi con riguardo all'appello incidentale Il T.A.R. ha accolto l'impugnativa spiegata dalla società con esclusivo riferimento al provvedimento (n. 114 del 24.10.2019), con la quale il Comune di (omissis) le aveva comminato la sanzione prevista dall'art. 31, comma 4 bis, d.P.R. 380/2001 per non aver ottemperato all'ordinanza di demolizione n. 21 del 15.07.2019. Secondo i giudici di prime cure la sanzione pecuniaria, in pendenza del procedimento di sanatoria, non poteva essere adottata, poiché "il deposito dell'istanza comporta la sospensione dell'efficacia dell'ordinanza di demolizione fino alla definizione del procedimento".. Il Comune appellante deduce che il procedimento attivato dalla società per la sanatoria delle opere sanzionate non aveva alcuna valenza "sospensiva" e/o "interruttiva" del termine di novanta giorni ivi impartito per la riduzione in pristino degli abusi commessi in area demaniale. 13.1 Il motivo è fondato. La sanzione pecuniaria ex art. 31, comma 4° bis, d.P.R. 380/2001 consegue ex lege all'inottemperanza all'ingiunzione a demolire; la quantificazione nella misura massima di Euro 20.000,00 corrisponde al criterio normativo, stante la concorrente violazione della normativa paesaggistico-ambientale. La norma recita: "L'autorità competente, constatata l'inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti. La sanzione, in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell'articolo 27, ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, è sempre irrogata nella misura massima...". Nessuna norma prevede che l'esecutività della sanzione è sospesa per effetto della presentazione dell'istanza d'accertamento di conformità . 14. Pertanto, l'appello incidentale proposto dal Comune deve essere accolto, e, per l'effetto, in parziale riforma dell'appellata sentenza, devono essere respinti i motivi aggiunti proposti in prime cure avverso la sanzione pecuniaria comminata dal Comune. 15. Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello principale, come in epigrafe proposto, lo respinge. Accoglie l'appello incidentale proposto dal Comune e, per l'effetto, in parziale riforma dell'appellata sentenza, respinge i motivi aggiunti proposti in prime cure avverso la sanzione pecuniaria comminata. Condanna Te. Va. s.r.l. al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore del Comune di (omissis) liquidate complessivamente in 3000,00 (tremila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati Dott. CRISCUOLO Anna - Presidente Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere Dott. PACILLI Giuseppina Anna Rosaria - Consigliere - Relatore Dott. TRAVAGLINI Paola Di Nicola - Consigliere Dott. RICCIO Stefania - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da Di.Ma. , nata a R C il (Omissis) Mo.Lu. , nato a V V il (Omissis) avverso l'ordinanza del 7/12/2023 del Tribunale di Reggio Calabria Visti gli atti, l'ordinanza impugnata e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Giuseppina Anna Rosaria Pacilli; udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Nicola Lettieri, che ha concluso chiedendo di dichiarare l'inammissibilità dei ricorsi; udito l'Avv. Gi.Ia., difensore dei ricorrenti, che ha chiesto l'accoglimento dei ricorsi RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 7 dicembre 2023 il Tribunale di Reggio Calabria ha confermato il provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari della stessa città ha applicato a Di.Ma. e Mo.Lu. la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione ai delitti di cui agli artt. 591 e 572 cod. pen. 2. Avverso l'anzidetta ordinanza gli indagati, tramite difensore, hanno proposto due ricorsi per cassazione, sovrapponibili tra loro, deducendo i motivi di seguito indicati. 2.1. Con il primo motivo hanno dedotto la violazione dell'art. 273 cod. proc. pen. , per non avere il Tribunale valutato che le persone ospitate nella struttura non erano mai state prive di assistenza né esposte a una rilevante possibilità di danno per la vita o l'incolumità personale, anche perché mai sarebbe venuto meno il numero di personale adeguato alla loro cura. Peraltro, se i familiari degli ospiti avessero riscontrato le condizioni descritte nel provvedimento impugnato, avrebbero sicuramente trasferito i propri parenti in altre strutture. Per di più, il quadro indiziario, valorizzato dal Tribunale, sarebbe stato tratto da una singola ispezione dei Nas, operata nelle prime ore della mattina, quando ancora il personale della struttura si sarebbe dovuto attivare per le pulizie. 2.2. Con il secondo motivo hanno dedotto la violazione dell'art. 274 cod. proc. pen. , per avere il Tribunale desunto le plurime condotte degli indagati soltanto da una singola ispezione dei Nas e dalle sommarie informazioni di alcuni familiari degli ospiti e per non avere valutato l'attualità e la concretezza del pericolo. Sarebbe poi illogica la conclusione secondo cui sarebbe inadatta allo scopo cautelare la misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare determinate attività imprenditoriali o professionali, atteso che non risulterebbe alcun dato da cui trarre che gli indagati abbiano concretamente assunto accordi con soggetti terzi, a cui riservare il ruolo di teste di legno in una futura gestione di altre strutture o a cui affidare la formale amministrazione di ulteriori case di cura. Anche alla luce della rinuncia alle cariche da parte degli indagati non potrebbe dirsi sussistente il concreto e attuale pericolo di reiterazione dei reati. 3. Sono pervenute memorie nell'interesse dei ricorrenti, in cui si deduce che il Tribunale non avrebbe considerato che le condizioni, in cui sono stati trovati i locali della struttura al momento dell'accesso dei Nas, erano dovute all'orario mattutino, in cui è stata effettuata l'ispezione. Inoltre, il Tribunale non avrebbe argomentato in ordine al pericolo per l'incolumità del soggetto, che è elemento richiesto per la configurabilità del reato di cui all'art. 591 cod. pen. , e non avrebbe indicato quale fosse stata la condotta dei ricorrenti produttiva di un tale pericolo; per di più, non avrebbe considerato che nessuno avrebbe mai avvisato i ricorrenti della sussistenza di criticità, che avrebbero imposto un intervento. In considerazione delle caratteristiche della struttura, non sarebbe ravvisabile nemmeno l'esistenza di un rapporto di parafamiliarità. In ultimo, il Tribunale avrebbe errato nel non riconoscere un rapporto di consunzione tra i due reati contestati ai ricorrenti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono inammissibili. 2. Deve ribadirsi che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628 - 01; Sez. 6, n. 11194 dell'8/3/2012, Lupo, Rv. 252178 - 01). 3. Alla luce di siffatte coordinate ermeneutiche deve rilevarsi che il provvedimento impugnato è immune da vizi, rilevabili in questa sede. Il Tribunale, infatti, nell'affermare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dei ricorrenti con riferimento ai reati loro contestati ai capi 1) e 2) della provvisoria imputazione, ha rilevato che il resoconto sulle condizioni di salute degli ospiti, offerto dai parenti di alcuni degli stessi, le dichiarazioni di Sa.Ar. , An.Ma. e dello stesso ospite An.Ma. nonché gli esiti degli accertamenti svolti dai Nas avevano consentito di accertare che i residenti della struttura erano abbandonati in uno stato di forte incuria e degrado, privati delle più basilari tutele igieniche, alloggiati in una struttura di fatto abusiva e priva di adeguato personale, costretti così a vivere in ambienti nauseabondi tra le proprie deiezioni, a contatto con lenzuola e abiti non lavati, in assenza dei minimi presidi di controllo e in violazione delle più basilari regole sanitarie. Le modalità di gestione e organizzazione del personale, l'assenza di figure professionali specializzate per la cura e l'assistenza degli anziani, lo stato di sporcizia e degrado, in cui versavano tutti gli anziani, costituivano elementi dai quali trarre incontrovertibili indizi circa la sussistenza a carico dei ricorrenti della gravità indiziaria del delitto di abbandono di incapaci. Il Tribunale ha aggiunto che le condotte di mancata cura, di privazioni igieniche, sanitarie, assistenziali, perpetrate dagli indagati nei confronti di anziani non autosufficienti, o comunque di disabili loro affidati e che vivevano presso la residenza dagli stessi diretta e organizzata, peraltro dietro pagamento di una retta mensile da parte delle famiglie, integravano gli estremi oggettivi anche del reato di maltrattamenti. Le condotte lesive e mortificanti erano spalmate lungo un arco temporale di vari mesi, che avevano costretto gli ospiti, persone fragili in condizioni di soggezione e minorità rispetto agli indagati, a un regime intollerabile di vita, privati di dignità, di sicurezza alimentare e medica, di igiene, del diritto a vivere la propria quotidianità in un ambiente salubre e non pericoloso per la loro salute fisica e psichica. 4. Trattasi di argomentazioni che sfuggono a ogni rilievo censorio. Il Tribunale, infatti, nell'indicare le ripetute condotte, poste in essere dagli indagati, di mancata cura e assistenza, che avevano creato un complessivo clima vessatorio e di sistematica sopraffazione ed umiliazione, per giunta in danno di soggetti inermi e incapaci di reagire, ha correttamente e convincentemente sottolineato che gli elementi probatori acquisiti (dettagliatamente analizzati) non solo conclamavano la sussistenza dell'elemento materiale della fattispecie tipica prefigurata nell'art. 572 cod. pen. , ma consentivano anche di ribadire la sussistenza dell'elemento psicologico correlativo (potendosi inferire dalle circostanze esteriori, dalla reiterazione degli atti e dal loro carattere, la volontà unitaria di vessare abitualmente i soggetti passivi). Non è superfluo ricordare al riguardo che il delitto di maltrattamenti è integrato dalla sottoposizione dei soggetti tutelati a una serie di atti di vessazione continui e tali da cagionare sofferenze, privazioni, umiliazioni, le quali costituiscono fonte di un disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di vita; i singoli episodi, che costituiscono un comportamento abituale, rendono manifesta l'esistenza di un programma criminoso relativo al complesso dei fatti, animato da una volontà unitaria di vessare il soggetto passivo: è, pertanto, necessario che la condotta sia abituale e si estrinsechi in una pluralità di atti (Sez. 6, n. 7192 del 4/12/2003, dep. 19 febbraio 2004, Camiscia, Rv. 228461). Sotto il profilo psicologico, il reato è integrato dal dolo generico; non occorre, quindi, che l'agente sia animato dal fine di maltrattare la vittima, bastando la coscienza e volontà di sottoporre la persona di famiglia ad un'abituale condizione di soggezione psicologica e di sofferenza con la propria condotta abitualmente offensiva (Sez. 6, n. 15680 del 28/3/2012, F. , Rv. 252586 - 01; Sez. 6, n. 27048 del 18/3/2008, D.S. , Rv. 240879 - 01). 5. Giova inoltre precisare che questa Corte ha già avuto modo di affermare che, in tema di maltrattamenti in famiglia, l'art. 572 cod. pen. è applicabile anche quando le condotte siano realizzate nell'ambito di una situazione di para familiarità, intesa come sottoposizione di una persona all'autorità di un'altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita proprie delle comunità familiari, nonché di affidamento, fiducia e soggezione del sottoposto rispetto all'azione di chi ha la posizione di supremazia (Sez. 3, n. 13815 del 4/02/2021, P. , Rv. 281588 - 01). Situazioni queste che è innegabile sussistono nel caso in esame, in cui gli ospiti della struttura erano affidati ai gestori della stessa in un contesto di prossimità permanente. 6. Posto poi che, ai fini dell'integrazione del delitto di cui all'art. 591 cod. pen. , il necessario "abbandono" è integrato da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia) che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o per l'incolumità del soggetto passivo, deve rilevarsi che il Tribunale, in piena consonanza con tale disposizione normativa, ha affermato che gi indagati, pur avendo - sulla base dei contratti sottoscritti con gli ospiti della struttura o nell'interesse di questi ultimi - il dovere di cura nei loro confronti, avevano posto in essere una serie di condotte di mancanza di adeguata cura e assistenza, tali da avere creato condizioni di scarsa igiene, pericolose per la salute. Né tale conclusione può essere scalfita dal rilievo difensivo sulla mancata segnalazione di criticità da parte dei familiari degli ospiti. È agevole, infatti, osservare che i ricorrenti erano i gestori della struttura e, dunque, avevano una posizione di garanzia che li rendeva obbligati ad assicurare condizioni di cura e assistenza adeguate, senza necessità che qualcuno segnalasse criticità, che loro stessi erano tenuti non solo a verificare ed eliminare,ma anche, ove possibile, a prevenire. 7. A fronte della motivazione del provvedimento impugnato i ricorrenti hanno proposto doglianze tese ad ottenere una diversa ricostruzione della vicenda e una diversa valutazione degli elementi acquisiti: operazione, questa, non consentita al giudice di legittimità. 8. Né coglie nel segno la deduzione secondo cui fra i reati ascritti agli indagati sussiste un rapporto di consunzione. 8.1. Le pronunce più recenti delle Sezioni unite di questa Corte, al fine della soluzione del problema relativo alla selezione delle fattispecie penali astrattamente applicabili a fronte della realizzazione di un'unica condotta materiale, sono partite dalla considerazione dei principi vigenti sul concorso apparente di norme, regolamentato dall'art. 15 cod. pen. , e hanno affermato che da tale norma si trae il principio generale che, ove si escluda il concorso apparente, è possibile derogare alla regola del concorso di reati solo quando la legge contenga l'espressione delle c.d. clausole di riserva, le quali, inserite nella singola disposizione, testualmente impongono l'applicazione di una sola norma incriminatrice prevalente, che si individua seguendo una logica diversa da quella di specialità. Le Sezioni unite hanno escluso la possibilità di ricorrere alle figure dell'assorbimento, della consunzione e dell'ante - fatto o post - fatto non punibile, ritenute prive di sicure basi ricostruttive, poiché individuano elementi incerti quale dato di discrimine, come l'identità del bene giuridico, tutelato dalle norme in comparazione, e la sua astratta graduazione in termini di maggiore o minore intensità, di non univoca individuazione, e per questo suscettibili di opposte valutazioni da parte degli interpreti (tra le altre: Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668 - 01; Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, Di Lorenzo, Rv. 248722 - 01; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865 - 01; Sez. U. , n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, Rv. 235962 - 01). Posto, quindi, che il principio di specialità assurge a criterio euristico di riferimento, si è precisato che deve definirsi norma speciale quella che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale e che presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, in funzione specializzante, sicché l'ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell'ambito operativo della norma generale (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, cit.). In tale ambito ricostruttivo, si è chiarito che il criterio di specialità deve intendersi e applicarsi in senso logico - formale. Il presupposto della convergenza di norme, necessario perché risulti applicabile la regola sulla individuazione della disposizione prevalente posta dall'art. 15 cod. pen, risulta integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra fattispecie, alla cui verifica deve procedersi attraverso il confronto strutturale tra le norme incriminatrici astrattamente configurate, mediante la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie di reato (Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, cit.; Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, Di Lorenzo, cit.). 8.2. Tale elaborazione, fondata sul principio di specialità quale criterio dirimente, consente di escludere che tra le due fattispecie di cui agli artt. 572 e 591 cod. pen. , sussista un rapporto di specialità. Le figure di reato in questione sono caratterizzate da condotte diverse (non riguardando, quindi, lo "stesso fatto"), poiché l'una è integrata dalla condotta di programmatici e continui maltrattamenti psico - fisici ai danni di persone di famiglia, l'altra dall'abbandono ingiustificato di un soggetto incapace di provvedere a sé stesso e che si abbia l'obbligo giuridico di custodire, che lo esponga ad un pericolo anche solo potenziale. In questo senso si è già espressa questa Corte (Sez. 2, n. 10994 del 6/12/2012, Rv. 255174 - 01) e tale conclusione, per le ragioni anzidette può essere ora ribadita. 9. Anche il motivo dei ricorsi sulle esigenze cautelari è teso ad ottenere una inammissibile rivalutazione. Il Tribunale ha posto in evidenza che le plurime condotte, poste in essere dagli indagati, connotate da forte gravità e allarme sociale in quanto perpetrate in danno di persone fragili e incapaci di reagire ai soprusi, subiti lungo un apprezzabile arco temporale, senza soluzione di continuità, dimostravano l'assoluta spregiudicatezza di entrambi i ricorrenti nel portare avanti il loro progetto criminoso di incontrollato arricchimento a discapito della salute, della fiducia, del benessere psicofisico e della dignità di anziani e disabili, affidati alle loro cure. Peraltro, le condotte, fotografate nell'odierno procedimento, lungi dal costituire una isolata parentesi nella storia degli indagati, rappresentavano, invece, soltanto uno dei tasselli di un già rodato schema imprenditoriale che aveva già condotto al sequestro preventivo di due strutture socioassistenziali per anziani, precedentemente gestite dagli stessi con le stesse spregiudicate modalità operative. Siffatta motivazione, con cui il Collegio del riesame ha dato contezza del pericolo concreto e attuale di reiterazione del reato, in quanto logica e non inficiata da violazioni di legge, è esente da ogni vizio rilevabile in questa sede. 10. In definitiva, i ricorsi sono inammissibili e ciò comporta la condanna dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. , al pagamento delle spese processuali nonché - non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost. , 13 giugno 2000 n. 186) - della sanzione pecuniaria di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 23 aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta da: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. CENCI Daniele - Consigliere Dott. MARI Attilio - Relatore Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Ru.Da. nato a R il (Omissis); avverso l'ordinanza del 17/01/2024 della CORTE APPELLO di ROMA; udita la relazione svolta dal Consigliere ATTILIO MARI; lette le conclusioni del PG che ha chiesto l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata con trasmissione degli atti alla Corte di appello di Roma. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Roma ha dichiarato inammissibile l'appello proposto da Ru.Da. avverso la sentenza emessa il 22/02/2023 dal Tribunale di Roma e con la quale il suddetto imputato era stato condannato alla pena di mesi uno di arresto ed Euro 2.600,00 di ammenda, in relazione al reato previsto dall'art. 116, commi 15 e 17, D.Lgs. 30 aprile 1992, n.285. La Corte territoriale ha osservato che la motivazione della sentenza appellata era stata tardivamente depositata il 15/06/2023 e che il relativo avviso era stato comunicato al p.m. e notificato alla parte (al difensore a mezzo PEC e all'imputato, ai sensi dell'art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., presso il difensore medesimo) alla data del 28/06/2023; conseguendone - con il computo del termine di sospensione feriale e di ulteriori quindici giorni, trattandosi di imputato giudicato in assenza - che il termine per impugnare andava a scadere il 27/09/2023; con l'effetto che l'atto di appello, depositato il 09/10/2023, doveva ritenersi tardivo. 2. Avverso la predetta ordinanza ha presentato ricorso per cassazione Ru.Da., tramite il proprio difensore, articolando un unitario motivo di impugnazione, nel quale ha dedotto - ai sensi dell'art.606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. - la violazione di norme processuali in riferimento agli artt. 157, comma 8 bis, 544, 548, 585, 591 e 154, comma 4 bis, disp. att., cod. proc. pen. Ha dedotto che il termine per il deposito della sentenza, stante quello indicato dal giudice, andava a scadere il 23/05/2023; che, in data 24/05/2023, lo scrivente difensore aveva richiesto alla Cancelleria del Tribunale copia della citata sentenza e che la Cancelleria medesima - con mail del 26/05/2023 - aveva notificato al richiedente che, in relazione al termine di deposito, sarebbe stata concessa una proroga di novanta giorni e che il termine di deposito era quindi da intendersi come cadente al 21/08/2023; che, in data 28/06/2023, era stato notificato l'avviso di deposito della motivazione; che, in relazione al termine di scadenza notificato dalla Cancelleria, doveva ritenersi che il termine per il deposito dell'atto di impugnazione (tenendo conto della sospensione feriale e degli ulteriori quindici giorni previsti dall'art. 585, comma 1 bis, cod. proc. pen.) sarebbe andato effettivamente a scadere il 30/10/2023 e non il 27/09/2023, come ritenuto dall'ordinanza impugnata; conseguendone che l'appello, essendo stato depositato il 09/10/2023, doveva ritenersi tempestivo. Ha altresì rilevato che l'imputato, in sede di indagini, avesse eletto domicilio presso la propria residenza; dovendosi quindi considerare tamquam non esset la notifica eseguita ai sensi dell'art. 548 cod. proc. pen. effettuata presso il difensore di fiducia ai sensi dell'art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., essendo la relativa disposizione stata abrogata a decorrere dal 30/12/2022 ai sensi dell'art. 98, comma 1, lett. a), D.Lgs. 10 ottobre 2022 e dell'art. 6 del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162; conseguendone che il termine previsto a favore dell'imputato non poteva considerarsi ancora scaduto. 3. Il Procuratore generale ha concluso per l'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato con trasmissione degli atti alla Corte d'appello di Roma. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato, 2. Va premesso che, in tema di impugnazioni, allorché sia dedotto mediante ricorso per cassazione - come nel caso di specie - un error in procedendo ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. - la Corte è giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all'esame diretto degli atti processuali, che resta, invece, precluso dal riferimento al testo del provvedimento impugnato contenuto nella lett. e) del citato articolo, quando risulti denunziata la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092; Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, F., Rv. 273525). 3. Nel caso, di specie, dal fascicolo processuale emerge che la sentenza di primo grado è stata emessa il 22/02/2023 e che, in tale sede, il giudice aveva fissato il termine per il deposito della motivazione in giorni novanta, andanti quindi a scadere il 23/05/2023. Risulta quindi che, con provvedimento del 19/05/2023 - emesso ai sensi dell'art. 154, comma 4 bis, disp. att., cod. proc. pen. - il Presidente del Tribunale di Roma aveva disposto, per il procedimento in questione, la proroga di ulteriori giorni novanta per il deposito della sentenza, andanti pertanto a scadere il successivo 21/08/2023; mentre, alla antecedente data del 28/06/2023, era stato notificato alle parti l'avviso di deposito della sentenza in relazione al disposto dell'art. 548, comma 3, cod. proc. pen. 4. Va quindi richiamato quanto espresso in parte motiva da Sez. 6, n. 29150 del 09/05/2017, Briganti Rv. 270697; in tale sede, era stato rilevato come, secondo quanto disposto dal richiamato art. 154, comma 4 bis, disp. att. cod. proc. pen., il provvedimento di proroga del termine per il deposito della sentenza pronunciato dal Presidente della Corte d'appello ovvero dal Presidente del Tribunale non debba essere notificato alle parti, dovendo essere soltanto comunicato al CSM, per finalità di natura amministrativa (eventualmente disciplinari). Peraltro, detto provvedimento di proroga può nondimeno assumere rilievo processuale allorquando sia stato comunicato ovvero notificato alle parti, nel quale caso il termine per impugnare la sentenza, di cui all'art. 585, comma 1 lett. c), cod. proc. pen., decorre dalla nuova data fissata per il deposito della sentenza a norma del comma 2 lett. c) dello stesso art. 585 (Sez. 6, n. 15477 del 28/02/2014, P.G. in proc. Ambrosino e altri, Rv. 258963). In altri termini, la notifica alle parti del provvedimento di proroga del termine per il deposito della sentenza produce l'effetto di partecipare ad esse lo spostamento in avanti del termine per il deposito della sentenza e, dunque, di formalizzare il differimento del dies a quo ai fini della presentazione dell'impugnazione. Diversamente, nel caso in cui il provvedimento ex art. 154, comma 4 bis non sia comunicato alle parti, il termine per impugnare la sentenza decorre dall'avviso di deposito della sentenza stessa a norma del combinato disposto degli artt. 548, comma 2, e 585, comma 2 lett. d) cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 1514 del 21/10/2005 - dep. 2006, P.G. in proc. Cangiano ed altri, Rv. 233325). Pertanto, allorquando il provvedimento di proroga del termine per il deposito della sentenza non sia comunicato alle parti, il termine per impugnare la sentenza non può non decorrere dalla data della notifica dell'avviso di deposito del provvedimento in cancelleria, analogamente ai casi di deposito "tardivo" della motivazione della decisione. Dovendosi concludere che il nostro codice di rito non impone la comunicazione alle parti del provvedimento ex art. 154, comma 4 bis, disp. att. cod. proc. pen. e che, pertanto, nessuna nullità o altra sanzione processuale discende dall'omissione di tale adempimento partecipativo; adempimento che, qualora compiuto, produce peraltro effetto processuale di fissare il dies a quo ai fini della presentazione dei mezzi d'impugnazione (espressiva di principi analoghi, successivamente, Sez. 4, n. 58249 del 17/10/2018, Albanese, Rv. 274966). 5. Nel caso di specie, risulta quindi dagli atti che - in allegato a messaggio di posta elettronica del 26/05/2023 - la Cancelleria dibattimentale presso il Tribunale di Roma aveva comunicato al difensore dell'odierno ricorrente che era stata disposta la suddetta proroga di novanta giorni per il deposito della sentenza. A propria volta, trattandosi di messaggio comunicato mediante le modalità della posta elettronica certificata - come risultante dal complesso della documentazione depositata - la stessa deve ritenersi conforme al vigente disposto dell'art. 148, comma 1, cod. proc. pen., in relazione all'art. 157 bis, comma 1, cod. proc. pen.; rilevando, sul punto che - proprio per la sua intrinseca natura interna - non è prevista una specifica forma di comunicazione del relativo provvedimento di proroga nei confronti delle parti. 6. Dal complesso delle predette considerazioni consegue quindi che, andando effettivamente a decorrere il termine per la proposizione dell'impugnazione dalla data del 21/08/2023, ai sensi del combinato dell'art. 544, comma 3, cod. proc. pen. (in relazione all'art. 154, comma 4 bis, disp. att., cod. proc. pen.), il termine per la presentazione dell'appello, in riferimento al disposto dell'art. 585, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., andava a scadere - tenendo conto del periodo di sospensione feriale e della proroga applicabile ai sensi dell'art. 585, comma 1 bis, cod. proc. pen., trattandosi di imputato giudicato in primo grado in assenza - il 30/10/2023; con conseguente tempestività dell'impugnazione, in quanto proposta il 09/10/2023. 7. Pertanto, l'ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti alla Corte d'appello di Roma affinché proceda al giudizio. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti alla Corte di appello di Roma per l'ulteriore corso. Così deciso il 16 aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. CAPPUCCIO Daniele - rel. Consigliere Dott. MONACO Marco M. - Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS) ((OMISSIS)) il (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS) ((OMISSIS)) il (OMISSIS); avverso la sentenza del 11/05/2022 della CORTE di ASSISE di APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MARCO MARIA MONACO; udito il Sostituto Procuratore Generale LUCA TAMPIERI che ha concluso il rigetto dei ricorsi; uditi gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) che insistono per dei ricorsi rispettivamente proposti. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Assise di Appello di Milano, con sentenza del 11/5/2022, ha confermato le sentenze di condanna rispettivamente pronunciate dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di COMO il 27/10/2021, all'esito del giudizio abbreviato, nei confronti di (OMISSIS) e, all'esito del giudizio ordinario, dalla Corte di Assise di COMO il 7/10/2021 nei confronti di (OMISSIS), entrambi imputati in concorso dei reati di omicidio di cui agli articoli 575 in relazione all'articolo 576, comma 1 n. 2 c.p., occultamento di cadavere di cui agli articoli 412 e 61 n. 2 c.p. e detenzione e porto di un'arma da fuoco calibro 7,65 di cui agli articoli 61 n. 2 c.p. e 10 e 12 L. 497/74. 2. I due imputati sono stati rinviati a giudizio per avere cagionato la morte di (OMISSIS), avvenuta il 5 marzo 2017, con due separati decreti di giudizio immediato in virtu' dei diversi momenti nei quali e' stata eseguita l'ordinanza con la quale e' stata disposta nei loro confronti la misura della custodia cautelare in carcere. (OMISSIS) ha chiesto procedersi con le forme del rito abbreviato, nel corso del quale ha reso interrogatorio e ha dichiarato, in estrema sintesi, di avere lavorato per (OMISSIS) provvedendo ai pagamenti della sostanza stupefacente acquistata, svolgendo i compiti che man mano gli venivano assegnati ma sempre e comunque senza sapere quali fossero le intenzioni e i programmi di (OMISSIS), cio' anche con riferimento alla gestione dei rapporti intercorsi con la vittima e con alcuni soggetti calabresi a cui si e' fatto riferimento nel corso delle indagini. Il processo nei confronti di (OMISSIS), invece, si e' svolto con le forme del rito ordinario e durante l'istruttoria dibattimentale sono stati sentiti diversi testimoni quali gli operanti, che hanno riferito in ordine alle indagini effettuate, e' stata disposta la trascrizione delle intercettazioni e l'imputato ha reso dichiarazioni spontanee. 2.1. All'esito dei due processi i giudici di primo grado, sulla base al compendio indiziario contenuto in ciascun processo, hanno pronunciato sentenza di condanna, ognuno ritenendo che il rispettivo imputato avesse commesso il reato contestato. Secondo la conforme ricostruzione contenuta nelle sentenze di merito le indagini hanno preso le mosse il 2 aprile 2017 allorche', durante una domenica ecologica, alcuni ragazzi hanno rinvenuto il cadavere di un uomo in un bosco a (OMISSIS) nel (OMISSIS). A seguito dei primi accertamenti e' emerso che la vittima era sottoposta a indagini dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Venezia per traffico internazionale di stupefacenti e che le utenze a questa riferibili, cosi' come quelle di molti altri soggetti, erano intercettate. Dall'analisi dei risultati di tali indagini, quindi, la polizia giudiziaria ha estrapolato alcune utenze e analizzandone i contatti, il traffico e, anche ascoltando le conversazioni e leggendo i messaggi intercorsi, ha ricostruito gli spostamenti della vittima nei mesi antecedenti l'omicidio, sino al giorno in cui questo e' stato commesso. Nello specifico sono emersi i rapporti tra (OMISSIS), che operava in Veneto, e i due attuali ricorrenti, che avevano la loro sfera d'azione in Lombardia e che avevano acquistato, per loro conto e anche nell'interesse di alcuni soggetti di origine calabrese, ingenti quantitativi di sostanza stupefacente dalla vittima. Nel corso di tali rapporti (OMISSIS), anche in nome e conto del gruppo di calabresi per il quale fungeva anche da garante, avrebbe maturato un debito di circa 300.000,00 Euro che (OMISSIS), trovatosi esposto a causa della perdita di un ingente quantitativo di sostanza stupefacente, gli aveva chiesto di saldare in tempi brevi. Dall'analisi dei tabulati sono emersi numerosi contatti tra gli imputati e la vittima finalizzati a risolvere tale situazione e anche un viaggio effettuato da (OMISSIS) e (OMISSIS) in Calabria proprio al fine di recupera almeno una parte della somma. Tornato dalla Calabria senza avere avuto la somma richiesta (OMISSIS), coadiuvato da (OMISSIS), avrebbe cercato di far andare (OMISSIS) in Lombardia simulando un incontro decisivo con uno dei calabresi che avrebbe dovuto versargli quanto meno una buona parte di quanto dovuto. Dai contatti intercorsi e attraverso gli spostamenti delle utenze telefoniche riferibili agli imputati e alla vittima, sono stati cosi' ricostruiti cinque viaggi che i due ricorrenti, il piu' delle volte (OMISSIS), avrebbero effettuato dalla Lombardia al Veneto nei giorni 1, 2, 3, 4 e 5 marzo. In data 5 marzo 2017, finalmente, (OMISSIS) si sarebbe fatto convincere a farsi accompagnare in Lombardia e quella sera stessa sarebbe stato ucciso. Nei giorni immediatamente successivi, poi, (OMISSIS) ha lasciato la casa che condivideva con (OMISSIS) e si e' trasferito in albergo fino al 18 marzo quando ha lasciato l'Italia per andare, dopo un breve transito in (OMISSIS), prima in Francia e, dopo, in Germania, dove e' stato arrestato per cessione di stupefacenti e da dove, una volta scontata la pena, e' stato estradato in Italia. (OMISSIS), invece, si e' allontanato dall'Italia il 2 aprile 2017, il giorno del rinvenimento del cadavere, e si e' trasferito in (OMISSIS), dove e' stato catturato e da li' estradato in Italia. Nelle sentenze di primo grado i giudici di merito hanno valorizzato i contatti emersi dall'analisi del traffico telefonico relativo alle varie utenze attribuite a vario titolo agli imputati e, nello specifico, i contatti e gli spostamenti da questi effettuati nei giorni immediatamente precedenti la scomparsa di (OMISSIS) e, anche, le "indagini" effettuate dal fratello della vittima e la denuncia da questo presentata. 2.2. Avverso le due sentenze di primo grado gli imputati, ognuno facendo riferimento al processo celebrato nei propri confronti, hanno presentato appello. La Corte territoriale, ritenuto che fosse necessario procedere a una valutazione unitaria, ha sentito le parti sul punto e ha riunito i processi. Nello specifico la Corte territoriale ha fatto riferimento alla giurisprudenza di legittimita' per la quale la riunione di due processi celebrati con diverso rito e' possibile purche' la Corte d'appello utilizzi, per ognuno degli imputati, esclusivamente le prove acquisite nel rito dallo stesso scelto. Il giudice dell'appello, in ordine a tale aspetto, ha evidenziato che le prove erano in questo caso sovrapponibili in quanto gli atti di p.g. erano nella sostanza entrati nella conoscenza del giudice del dibattimento con l'audizione degli operanti e le intercettazioni erano state trascritte senza che vi fossero contestazioni circa la corrispondenza delle stesse ai c.d. brogliacci. All'esito del giudizio di appello le due sentenze, come indicato all'inizio, sono state confermate dalla Corte territoriale che ha nella condiviso il giudizio di convergenza indiziaria effettuato dai primi giudici. Secondo il giudice dell'impugnazione, d'altro canto, la diversa conclusione circa la persona che si era recata in Veneto a prendere la vittima il 5 marzo 2017 (secondo il giudice di primo grado del processo a carico di (OMISSIS) in Veneto a prendere la vittima sarebbe andato lo stesso (OMISSIS) e (OMISSIS) sarebbe rimasto in Lombardia, per la Corte di Assise di Appello, invece, (OMISSIS) sarebbe andato in Veneto e (OMISSIS) avrebbe effettuato i sopralluoghi in Lombardia) sarebbe nella sostanza indifferente in quanto ci sarebbe stata una totale fungibilita' nell'uso delle utenze riferibili ai due imputati, cio' anche per quelle apparentemente "personali". Ragione questa per la quale la Corte non ha ritenuto credibile la tesi difensiva di (OMISSIS) che ha affermato essere andato lui a prendere (OMISSIS) in Veneto per portarlo in Lombardia e di avere agito esclusivamente quale factotum e senza sapere quali fossero le reali intenzioni di (OMISSIS). 3. Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso gli imputati che, a mezzo dei rispettivi difensori, hanno dedotto i seguenti motivi. 3.1. Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) 3.1.1 Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 17, 19, 191 e 602 c.p.p. Nel primo motivo la difesa rileva che a seguito della riunione, alla quale pure era stato prestato assenso, la Corte territoriale sarebbe incorsa in una "confusione probatoria" cosi' che di fatto la pronuncia a carico del ricorrente si fonderebbe anche sulle prove acquisite nel corso del giudizio abbreviato in cio' violando il criterio che la giurisprudenza di legittimita' pone come indefettibile al fine di consentire la riunione di due processi celebrati con riti diversi. 3.1.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla dichiarazione di responsabilita' per i reati di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, occultamento di cadavere e detenzione a porto d'arma da fuoco. Nel secondo motivo la difesa rileva che la Corte territoriale avrebbe effettuato una valutazione confusa degli elementi emersi nei due processi e avrebbe proceduto a una errata valutazione degli indizi pervenendo a una conclusione che, in assenza di prove dirette, sarebbe il risultato di un ragionamento privo di effettiva consistenza. I riferimenti alle "indagini" effettuate dal fratello della vittima sarebbero inconferenti. Alcune delle utenze indicate e ritenute come significative, come quella con finale 544, utilizzata proprio il giorno 5 marzo 2017, non sarebbero mai state nella disponibilita' del ricorrente. Il tenore e il significato di alcuni messaggi sarebbero stati travisati o comunque non sarebbero stati correttamente compresi. La spiegazione fornita all'allontanamento dall'Italia del ricorrente sarebbe sbagliata, cio' in quanto l'imputato non si sarebbe dato alla fuga. Tutto l'impianto accusatorio, di fatto fondato sull'importanza attribuita alla geolocalizzazione effettuata attraverso i tabulati di cella sarebbe inconsistente 3.1.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla circostanza aggravante della premeditazione. Nel terzo motivo la difesa censura la conclusione circa la ritenuta sussistenza della premeditazione criticando i passaggi della motivazione sul punto e, in specifico, il rilievo attribuito dalla Corte ai viaggi effettuati in Veneto, all'interesse che avrebbe avuto il ricorrente di eliminare (OMISSIS) e, da ultimo, alle circostanze relative al noleggio dell'autovettura e al rinvenimento della pala con le tracce biologiche della vittima in prossimita' del cadavere. Circostanze queste che non avrebbero un effettivo valore dimostrativo quanto alla configurabilita' dell'aggravante. 3.1.4. Vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. 3.1.5. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 603 c.p.p. con riferimento al rigetto di assunzione di nuove prove. Nel quinto motivo la difesa rileva che sarebbe del tutto ingiustificato il diniego di rinnovare l'istruttoria dibattimentale al fine di verificare quanto contenuto nei c.d. criptofonini e di procedere all'audizione dei testi indicati, i "venditori" delle schede telefoniche. 3.2. Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) 3.2.1. Vizio di motivazione in relazione agli articoli 546 c.p.p. e 575 cod. Pen. in ordine alla responsabilita' dell'imputato per tutti i reati contestati. Nel primo articolato motivo la difesa rileva la carenza e la manifesta illogicita' della valutazione effettuata e della motivazione quanto al compendio indiziario posto a fondamento della dichiarazione di responsabilita' del ricorrente. Nello specifico la difesa censura: -la ritenuta attribuibilita' delle utenze a (OMISSIS) e cio' soprattutto sotto il profilo della fungibilita' dei due imputati nell'uso delle stesse. Una volta ritenuto che la stessa utenza possa essere stata utilizzata da diversi utenti, infatti, non sarebbe logico limitare tale fungibilita' ai soli due attuali imputati, soprattutto in un contesto nel quale la stessa Corte territoriale ha ritenuto che fossero coinvolti altri soggetti, peraltro anche in qualche modo individuati e pure indicati nelle sentenze di merito. Ragione questa per la quale quella che la difesa chiama "fungibilita' limitata" sarebbe illogica; -il ribaltamento causale che determina l'attribuzione a (OMISSIS) piuttosto che a (OMISSIS) il viaggio in Veneto effettuato in data 5 marzo 2017 per andare a prendere e accompagnare la vittima in Lombardia, cio' in considerazione del fatto che l'altra utenza, finale 810, ha effettuato i sopralluoghi nel posto in cui poi e' stato ritrovato il cadavere e senza che questo, per lo stesso principio della fungibilita' dell'uso delle utenze, consenta di stabilire con certezza chi vi abbia proceduto; -le conclusioni, che sarebbero il risultato di una semplificazione probatoria, circa il ruolo avuto da (OMISSIS) e la consapevolezza dello stesso in ordine al programma, di altri, di uccidere (OMISSIS); - la lettura attribuita dai giudici di merito al messaggio del 3/3/2017, "portalo", che sarebbe palesemente illogica; - il rilievo attribuito allontanamento dell'imputato nei giorni successivi la sparizione della vittima; - il mancato riconoscimento del ruolo gregario che avrebbe avuto il ricorrente che non aveva la consapevolezza di quanto sarebbe successo. 3.2.2. Vizio di motivazione in ordine all'elemento soggettivo. Nel secondo motivo la difesa evidenzia che i giudici di merito non avrebbero dato adeguato conto degli elementi posti a fondamento della ritenuta sussistenza di una consapevole, cosciente e volontaria partecipazione del ricorrente all'omicidio in quanto sul punto non sarebbe sufficiente la presunzione che (OMISSIS) condividesse i propositi e gli interessi di (OMISSIS). 3.2.3. Vizio di motivazione in relazione alla premeditazione. Nel quarto motivo la difesa rileva che la conclusione in ordine alla sussistenza dell'aggravante sarebbe carente. La Corte territoriale, infatti, avrebbe del tutto omesso di considerare che l'uccisone di (OMISSIS) avrebbe potuto essere stata il risultato di una decisione estemporanea, cioe' la conseguenza di una discussione sorta per il pagamento di quanto dovuto, e non il risultato di una programmazione. L'organizzazione del viaggio, d'altro canto, diversamente da quanto indicato nelle sentenze, non sarebbe sul punto significativa in quanto sarebbe stato pianificato per il diverso fine di discutere del pagamento del debito. 3.2.4 Vizio di motivazione in relazione alla richiesta di considerare il contributo fornito dal (OMISSIS) ai sensi dell'articolo 114 c.p.. 3.2.5. Vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi sono complessivamente infondati. 1. Ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS). 1.1. Nel primo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli articoli 17, 19, 191 e 602 c.p.p. evidenziando che la Corte territoriale, disposta la riunione tra i processi celebrati con diverso rito, sarebbe incorsa in una "confusione probatoria" e avrebbe cosi' violato il principio enucleato dalla giurisprudenza di legittimita' secondo il quale in questo peculiare caso di riunione il giudice deve tenere conto del diverso regime di ammissione delle prove e deve, pertanto, procedere a valutazioni separate. La doglianza e' infondata. La giurisprudenza di legittimita' ha piu' volte ribadito che la riunione e la trattazione congiunta in fase d'appello di procedimenti celebrati nei confronti di piu' coimputati con riti diversi (nella specie, l'uno con rito ordinario e l'altro con rito abbreviato) non e' causa di abnormita' o di nullita' della decisione, ne', tanto meno, di una situazione di incompatibilita' suscettibile di tradursi in motivo di ricusazione per il giudice, poiche' la coesistenza di tali procedimenti comporta solo la necessita' che, al momento della decisione, siano tenuti rigorosamente distinti i diversi regimi probatori rispettivamente previsti per ciascuno di essi (cfr. Si, n. 35293 del 1/2/2021, Rho, n. m; Sez. 1, n. 26642 del 10/4/2019, Villacaro, n. m.; Sez. 3, n. 35476 del 12/04/2016, B., Rv. 268122 - 01; Sez. 3, n. 14592 del 19/02/2015, Crini, Rv. 263054 - 01). La Corte territoriale, disposta la riunione anche con il consenso delle parti, si e' conformata ai principi enucleati sul punto. I giudici dell'appello, infatti, hanno dimostrato di avere proceduto a un'attenta analisi delle prove acquisite nei due diversi processi di primo grado. Nelle due parti distinte della sentenza la Corte territoriale ha fatto riferimento agli elementi rispettivamente emersi a carico di ognuno dei due imputati, dando conto del diverso regime di acquisizione ed evidenziando la diversa valutazione delle prove effettuata in ordine all'affermazione di responsabilita'. La conclusione in ordine alla responsabilita' di (OMISSIS) (OMISSIS) si fonda sulle fonti di prova acquisite dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini compendiate nelle e comunicazioni notizie di reato, sui tabulati delle utenze individuate, sui brogliacci delle intercettazioni contenenti le conversazioni e i messaggi intercorsi e dall'interrogatorio reso dall'imputato. La decisione resa nei confronti di (OMISSIS), invece, si basa sulle prove testimoniali, sulla perizia di trascrizione delle intercettazioni acquisite nel corso del dibattimento e tiene conto delle dichiarazioni spontanee dell'imputato. In tale contesto la preliminare considerazione secondo la quale molte delle prove acquisite nei due giudizi sono perfettamente sovrapponibili risulta corretta e non ha determinato alcuna "confusione probatoria". Il contenuto delle comunicazioni di notizie di reato e delle intercettazioni presenti negli atti del giudizio abbreviato, infatti, e' stato acquisito nel corso del dibattimento attraverso l'audizione dei testi che tali documenti hanno redatto ovvero con le trascrizioni delle conversazioni e dei messaggi. Le dichiarazioni delle persone informate dei fatti oggetto dei relativi verbali sono state acquisite in dibattimento esaminando i testimoni. Nello specifico, d'altro canto, non e' emersa alcuna differenza tra l'efficacia rappresentativa delle prove acquisite nel giudizio abbreviato e quelle assunte in dibattimento e nello stesso ricorso e al di la' di considerazioni generiche, non e' indicato alcun elemento specifico che possa far ritenere che la Corte abbia erroneamente posto a fondamento della decisione a carico del ricorrente prove acquisite nel solo giudizio abbreviato, ovvero, ad esempio, che il contenuto di una comunicazione di reato acquisita e utilizzata nell'abbreviato sia diverso dal tenore della dichiarazione resa sul punto in dibattimento dal soggetto che l'ha redatta. 1.2. Nel secondo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla dichiarazione di responsabilita' rilevando che la Corte territoriale avrebbe effettuato un'analisi confusa degli elementi emersi nei due processi e avrebbe proceduto a una errata valutazione degli indizi pervenendo a una conclusione che, in assenza di prove dirette, sarebbe il risultato di un ragionamento privo di effettiva consistenza. Le doglianze, formulate anche nei termini della violazione di legge ma che afferiscono esclusivamente la completezza e logicita' della motivazione, tese anche a sollecitare una diversa e non consentita lettura delle prove, sono manifestamente infondate. 1.2.1. La Corte, la cui motivazione si salda ed integra con quella del giudice di primo' grado, ha infatti fornito congrua risposta alle critiche contenute nell'atto di appello e ha esposto gli argomenti per cui queste non erano coerenti con quanto emerso nel corso dell'istruttoria dibattimentale. Alla Corte di cassazione, d'altro canto, e' precluso, e quindi i motivi in tal senso formulati non sono consentiti, sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito. Il controllo che la Corte e' chiamata ad operare, e le parti a richiedere ai sensi dell'articolo 606 lettera e) c.p.p., infatti, e' esclusivamente quello di verificare e stabilire se i giudici di merito abbiano o meno esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (cosi' Sez. un., n. 930 del 13/12/1995, Rv 203428; per una compiuta e completa enucleazione della deducibilita' del vizio di motivazione, da ultimo Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv 280601; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062: Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217; Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482). Sotto tale aspetto, a fronte di una motivazione coerente e logica quanto alla consistenza del compendio indiziario ogni ulteriore critica, che trova peraltro fondamento in una diversa ed alternativa lettura dell'istruttoria dibattimentale, risulta del tutto inconferente ("esula dai poteri della Cassazione, nell'ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacche' tale attivita' e' riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimita' solo la verifica dell-iter" argomentativo di tale giudice, accertando se quest'ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione", in questo senso Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217). 1.2.2. La Corte territoriale, invero, ha dato conto di avere proceduto a una verifica attenta e puntuale della tenuta del compendio indiziario acquisito a carico del ricorrente e cio' anche in riferimento alle specifiche censure evidenziate dalla difesa nell'atto di appello. La valutazione cosi' effettuata, nella quale si e' tenuto sia conto della consistenza e della tenuta di ogni singolo elemento e poi si e' proceduto a una lettura complessiva, risulta adeguata e coerente. La ricostruzione quanto alla riferibilita' delle utenze, ai rapporti intercorsi fino al giorno dell'omicidio tra la vittima e il ricorrente, nonche' ai viaggi e agli spostamenti in Veneto e in Calabria, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, non e' il frutto di alcuna commistione probatoria. Il rinvio della Corte territoriale a quanto gia' evidenziato nella parte relativa al coimputato (OMISSIS), infatti, e' stato correttamente effettuato facendo riferimento alle dichiarazioni rese dai testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che hanno reso un'articolata deposizione in ordine alle indagini svolte e ai relativi atti. Sotto tale profilo la considerazione del giudice dell'appello circa l'assenza di elementi contrari all'attribuzione delle utenze agli imputati e le trasferte che questi avrebbero fatto, non determina alcuna inversione dell'onere della prova quanto, piuttosto, rende conto dell'assenza di plausibili letture alternative a quella cui era pervenuto il giudice di primo grado. L'esistenza di contatti tra l'imputato e la vittima, la circostanza che tra i due esistessero dei rapporti illeciti, la necessita' che era sorta di recuperare delle somme presso "i calabresi" e che di cio' se ne sarebbe dovuto occupare (OMISSIS), d'altro canto, risultano nella sostanza essere stati confermati dallo stesso ricorrente e sono comunque stati oggetto di una puntuale e attenta e conforme ricostruzione che, in assenza di palesi illogicita', non e' sindacabile in questa sede. Ad analoghe conclusioni, inoltre, deve pervenirsi quanto all'attribuibilita' di alcune delle utenze a (OMISSIS) o, meglio, della conclusione quanto alla riferibilita' di tutte le utenze a entrambi gli imputati che le utilizzavano indifferentemente. Sul punto i giudici di merito hanno evidenziato i riscontri emersi non solo dall'analisi del traffico telefonico, ovvero dalla geolocalizzazione degli spostamenti, ma, anche e soprattutto, dal contenuto dei messaggi (in alcuni dei quali, ad esempio, si fa riferimento alla necessita' che il ricorrente aveva di tornare in Lombardia entro il lunedi' mattina cfr. pag. 23 della sentenza impugnata, ovvero anche al nome del ricorrente, "sono Moke", cfr. pag. 22 della sentenza impugnata e "ma sei Mondi", cfr. pag. 38 della sentenza impugnata) ovvero dal collegamento esistente tra i messaggi inviati da due utenze diverse, evidentemente riconducibili alla stessa persona o, considerata la fungibilita' di utilizzo, agli imputati, cio' con riferimento specifico all'utenza con finale 544. In ordine a tale utenza, infatti, utilizzata solo in data 5 marzo 2017, risulta una continuita' tra i messaggi inviati la sera del 4 marzo 2017 dall'utenza con finale 810 (in uso al ricorrente) per concordare l'incontro del giorno successivo e quello, appunto, inviato il 5 marzo 2017 dall'utenza con finale 544, "sono nel parcheggio" (cfr. pagine 83 e 84 della sentenza impugnata). Anche sotto tale profilo, pertanto, le censure della difesa quanto al mancato approfondimento dei temi da questa indicati nell'appello quanto alla c.d. geolocalizzazione risultano del tutto generiche non specificando quali incertezze o errori siano ravvisabili nell'attribuzione delle utenze o nella loro geolocalizzazione, come pure le ulteriori critiche in merito al tenore dei messaggi ovvero agli altri elementi emersi e valutati dal giudice dell'appello. Quanto alle obiezioni della difesa circa la lettura fornita dai giudici di merito dei messaggi, va ricordato che la portata dimostrativa del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto che e' rimessa alla valutazione del giudice di merito e, quindi, si sottrae al sindacato di legittimita' se tale valutazione, come nel caso di specie, e' motivata in conformita' ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 - 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337 - 01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389 - 01; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650 - 01; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784 - 01; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, dep. 30/04/2008, Gionta, Rv. 239724). In sede di legittimita', infatti, puo' essere prospettata una diversa interpretazione del significato di un'intercettazione da quella proposta dal giudice di merito soltanto qualora la difesa rilevi la sussistenza di un travisamento della prova, ovvero evidenzi che il giudice ha indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformita' risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, 2018. Di Maro, Rv. 272558 - 01; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, Napoleoni, Rv. 259516 01; Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, Asaro, Rv. 252190 - 01; Sez.2, n. 38915 del 17/10/2007, dep. 19/10/2007, Donno, Rv. 237994). 1.2.3. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi quanto alle ulteriori censure della difesa in ordine agli altri elementi di riscontro indicati dai giudici di merito. i. Le modalita' dell'allontanamento del ricorrente dall'Italia sono state correttamente ritenute significative del coinvolgimento dello stesso nell'omicidio. La motivazione della sentenza impugnata, con i riferimenti alle intercettazioni effettuate, nelle quali si da' atto che la partenza per l'(OMISSIS) non era prevista ma e' stata decisa repentinamente il pomeriggio del 2 aprile 2017, dopo il ritrovamento del cadavere e dopo le richieste di notizie da parte del fratello della vittima, tanto da spostare anche il matrimonio gia' fissato nei giorni immediatamente successivi, e' insindacabile in questa sede perche' fruttp di corretta valutazione dei dati probatori e di logico procedimento inferenziale. ii. Gli elementi tratti dalle dichiarazioni rese da (OMISSIS), cosi' come quelle di (OMISSIS), sono stati correttamente valorizzati. Sebbene i testi non conoscessero il nome del ricorrente prima del 5 marzo 2017, hanno comunque dato conto di elementi che hanno consentito di individuarlo in funzione della provenienza dello stesso, "il ragazzo di 9Scutari", della presenza di un vistoso tatuaggio sul collo e del luogo di residenza. Caratteristiche queste attribuite alla persona che il giorno 5 marzo 2017 era andata a prendere (OMISSIS) in Veneto anche dalla ex moglie della vittima, (OMISSIS), le cui dichiarazioni, pure se riferite dal teste (OMISSIS), in assenza di una espressa richiesta di esame da parte della difesa, sono utilizzabili ai sensi dell'articolo 195 c.p.p. (cfr. da ultimo Sez. 3, n. 33100 del 07/06/2022, F., Rv. 283651 - 02). Il motivo, inoltre, risulta generico anche a ragione della mancata confutazione di quanto riferito da (OMISSIS), che aveva appreso dal fratello poi ucciso che il "ragazzo di (OMISSIS)" e i soggetti calabresi avevano maturato un debito nei suoi confronti per oltre 300.000,00, mai saldato. iii. Le critiche circa l'uso del termine "montanaro" e l'attribuibilita' di questo al ricorrente ovvero ad altra persona risultano del tutto inconferenti. La Corte territoriale, infatti, non ha fatto riferimento a tale termine al fine di individuare il ricorrente quanto, piuttosto, per dare conto della spiegazione da questo data alla vittima della ragione per la quale la persona che lo aveva cercato non si era permessa di andare a casa sua senza che lui stesso fosse presente. iv. Le considerazioni circa la necessita' di acquisire i c.d. criptofonini e di sentire i titolari degli esercizi commerciali dove sono state acquistate le sim relative alle utenze sono prive di consistenza in quanto, come evidenziato nella sentenza impugnata, tali elementi risultano del tutto ininfluenti a fronte del quadro indiziario emerso a carico del ricorrente. v. L'assenza di testimonianze e prove dirette, infine, come correttamente indicato nella sentenza impugnata, assume un rilievo neutro e non inficia la tenuta del ragionamento posto a fondamento dell'affermazione di responsabilita'. 1.3. Nel terzo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione circa la ritenuta sussistenza della premeditazione censurando, in specifico, il rilievo attribuito dalla Corte ai viaggi effettuati in Veneto, all'interesse che avrebbe avuto il ricorrente di eliminare (OMISSIS) e, da ultimo, alle circostanze relative al noleggio dell'autovettura e al rinvenimento della pala con le tracce biologiche della vittima in prossimita' del cadavere. Le doglianze sono infondate. La Corte territoriale, la cui motivazione si salda e integra con quella del giudice di primo grado, ha fatto sul punto coerente riferimento agli elementi emersi nel corso del processo e ha cosi' ritenuto la sussistenza sia dell'elemento cronologico che di quello psicologico richiesti dalla giurisprudenza di legittimita' (cfr. da ultimo Sez. 1, n. 37825 del 29/04/2022, Tiscornia, Rv. 283512 - 01). In merito alla premeditazione, infatti, il rilievo attribuito ai numerosi contatti intercorsi tra le parti, al tenore degli stessi, tesi a individuare il luogo dove la vittima si trovava e poi a farla andare in Lombardia, ai viaggi effettuati e alle modalita' nel complesso utilizzate, alla promessa di cessione dell'auto Lexus Infinity che l'imputato sapeva essere stata noleggiata e non suscettibile di cessione, appare formalmente giustificato e logicamente connesso a un fatto programmato e attivato da tempo. Nel contesto cosi' delineato, poi, le ulteriori circostanze relative al rinvenimento della pala e, soprattutto, il fatto che siano stati effettuati dei sopralluoghi sul luogo dove poi e' stato rinvenuto il cadavere prima ancora dell'arrivo della vittima in Lombardia, risultano decisivi quanto alla sussistenza dell'aggravante contestata. 1.4. Nel terzo motivo la difesa deduce il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La doglianza e' manifestamente infondata. La sentenza impugnata, con riferimento alla misura della pena inflitta all'imputato ha fatto buon governo della legge penale e ha dato conto delle ragioni che hanno guidato, nel rispetto del principio di proporzionalita', l'esercizio del potere discrezionale ex articoli 132 e 133 c.p. della Corte di merito, e cio' anche in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto, quanto a quest'ultimo aspetto, della gravita' del fatto cosi' correttamente ritenuta per i mezzi e le modalita' utilizzate, per il danno cagionato alla vittima, per l'intensita' del dolo e per i motivi che lo hanno determinato (cfr. pagine 97 e 98 per come richiamate a pag. 128). Le censure mosse a tale percorso argomentativo, assolutamente lineare, sono meramente assertive, inconsistenti e, in parte, orientate anche a sollecitare, in questa sede, una nuova e non consentita valutazione della congruita' della pena (cfr. Sez. Un. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 266818). La sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell'articolo 62 bis c.p., d'altro canto, e' oggetto di un giudizio di fatto e puo' essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talche' la stessa motivazione, purche' congrua e non contraddittoria, non puo' essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato (cfr. Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, RV. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, RV. 248244; n. 42688 del 24/09/ 2008, Caridi, RV 242419). Il giudice, nell'esercizio del suo potere discrezionale deve quindi motivare nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena concreta alla gravita' effettiva del reato ed alla personalita' del reo. Pertanto, il diniego delle circostanze attenuanti generiche puo' essere legittimamente fondato anche sull'apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri, disattesi o superati da tale valutazione (cfr. Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, RV. 265826; n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, RV. 249163; Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Straface, RV. 248737) 1.5. Nel quinto e ultimo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all'articolo 603 c.p.p. con riferimento al rigetto di assunzione di nuove prove rilevando che sarebbe del tutto ingiustificato il diniego di rinnovare l'istruttoria dibattimentale al fine di verificare quanto contenuto nei c.d. criptofonini e di procedere all'audizione dei testi indicati, i "venditori" delle schede telefoniche. La doglianza e' manifestamente infondata ed esplorativa. La rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale, infatti, e' un istituto di carattere eccezionale, al quale puo' farsi ricorso, in deroga alla presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, esclusivamente allorche' il giudice dell'impugnazione ritenga, nella propria discrezionalita', che l'integrazione sia indispensabile, nel senso che non e' altrimenti in grado di decidere sulla base del solo materiale gia' a sua disposizione. A fronte di una richiesta di rinnovazione dell'istruttoria fondata sull'indicazione di prova preesistente al giudizio di appello ma non ancora acquisita, d'altro canto, l'articolo 603, comma 1, c.p.p., attribuisce al giudice il potere discrezionale di accogliere o meno la sollecitazione in ossequio alla regola di giudizio della "non decidibilita' allo stato degli atti", cosi' che la motivazione del provvedimento nel quale siano indicate, anche in sintesi (come nel caso di specie con il riferimento all'inutilita' di acquisire i dati eventualmente contenuti nei presunti criptofonini, della cui esistenza non si ha neanche certezza, ovvero di identificare chi materialmente ha acquistato le sim card utilizzate, cfr. pagine 118 e 121 della sentenza impugnata), le ragioni della scelta operata, non incorre in vizi di manifesta illogicita' (cfr. Sez. U, Sentenza n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 266818; Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, Panigoni, Rv. 203574; Sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018, dep. 2019, Motta Pelli s.r.l., Rv. 27511401). Nel caso in esame, poi, non e' stata specificato quali siano le utenze da verificare e dig ne abbia la disponibilita' e cio' ha precluso la fattibilita' di ogni verifica al riguardo. 2. Ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) (OMISSIS). 2.1. Nel primo articolato motivo la difesa deduce il vizio di motivazione in relazione agli articoli 546 c.p.p. e 575 c.p. in ordine alla responsabilita' dell'imputato per tutti i reati contestati rilevando la carenza e la manifesta illogicita' della valutazione effettuata e della motivazione quanto al compendio indiziario posto a fondamento della dichiarazione di responsabilita' del ricorrente. o' Le doglianze, tese anche a sollecitare una diversa valutazione delle prove che non e' consentita in questa sede, sono manifestamente infondate. Anche con riferimento alle censure sollevate da (OMISSIS) (OMISSIS) in ordine al processo celebrato con le forme del giudizio abbreviato, infatti, richiamato quanto evidenziato sub. 1.2.1., si deve rilevare che la Corte territoriale ha reso una motivazione adeguata e coerente gli elementi acquisiti nel corso delle indagini rispondendo in termini puntuali alle critiche gia' dedotte nei motivi di appello. Nello specifico. i. La conclusione quanto all'attribuibilita' delle utenze a (OMISSIS) e alla fungibilita' dei due imputati nell'uso delle stesse si fonda su di una ricostruzione puntuale degli spostamenti delle utenze, dei contatti intercorsi tra le stesse e tra queste e la vittima e questa, alla quale sono addivenuti in senso conforme entrambi i giudici di merito, in assenza di elementi dirimenti di segno contrario, non e' sindacabile in questa sede. Cio' neanche sotto il profilo prospettato dalla difesa secondo la quale, una volta che si e' comunque ipotizzato che nell'omicidio siano coinvolti altri soggetti, sarebbe illogico ritenere che la fungibilita' fosse limitata ai soli imputati dell'attuale processo. A fronte del ragionamento sviluppato nelle sentenze di merito, nella totale assenza di elementi che consentano di attribuire ad altri l'uso di una delle utenze individuate, infatti, quanto sostenuto dalla difesa e' il frutto di una mera affermazione di possibilita' in astratto. ii. L'attribuzione a (OMISSIS), piuttosto che al ricorrente, del viaggio effettuato in data 5 marzo 2017 per andare a prendere e accompagnare la vittima in Lombardia e' motivata facendo riferimento a elementi concreti ai quali la difesa si limita a contrapporre la fungibilita' nell'uso delle utenze. La conclusione sul punto, invero, si fonda sulla continuita' dei messaggi intercorsi la sera prima tra (OMISSIS) e la vittima e, a ben vedere, anche sulle dichiarazioni rese da (OMISSIS) e da (OMISSIS) circa la persona, il ragazzo di (OMISSIS) con un visibile tatuaggio sul collo, con cui (OMISSIS) si e' incontrato la mattina del 5 marzo 2017 in Veneto. Sotto tale profilo, quindi, l'attribuzione del viaggio a (OMISSIS) risulta essere non congetturaleima basata su concreti elementi di fatto cosi' come, proprio in virtu' della fungibilita' delle utenze e del coinvolgimento del ricorrente in tutte le fasi preparatorie dell'omicidio, risulta logico ritenere che (OMISSIS) si sia quindi occupato di effettuare i necessari sopralluoghi a (OMISSIS). La questione circa la fungibilita' nell'uso delle utenze fra due soggetti determinati, infatti, non esclude di poter individuare chi in effetti abbia utilizzato in una o piu' occasioni una determinata utenza quanto, piuttosto, consente di ritenere che la specifica attribuzione sia nella sostanza indifferente, fermo restando che, una volta individuato quale dei due imputati sta utilizzando in quel momento concreto una o piu' utenze, l'altro sta necessariamente utilizzando le altre che sono nella comune detenzione. iii. Quanto alla presunta illogicita' nella quale sarebbero incorsi i secondi giudici in merito alla lettura del messaggio del 3 marzo 2017 (quello nel quale il ricorrente, in cio' peraltro confermando di utilizzare una delle utenze individuate, afferma di riferirsi a una busta di denaro e non alla vittima) si rinvia a quanto indicato nel punto 1.2.2. circa i limiti del sindacato di questa Corte nella lettura delle conversazioni e dei messaggi intercettati. Nel caso di specie, d'altro canto, e' del tutto logica l'interpretazione fornita dalla Corte territoriale, che fa riferimento al tenore complessivo della chat, rilevando che in questa non vi e' nessuna espressa indicazione al denaro ovvero a buste da consegnare a (OMISSIS). Cio' anche considerato che la spiegazione fornita dall'imputato sulla pluralita' di viaggi per consegnare 5.000, Euro alla volta non e' plausibile ed e' illogica per i rischi connessi al trasporto del denaro e che il trasporto, di contro, e' coerente con l'intento di condurre la vittima in zona prossima a quella ove volevano i coimputati. iv. Ad analoghe conclusioni, infine, si deve pervenire in relazione alle critiche sollevate nel ricorso in merito al rilievo indiziario attribuito dai giudici di merito all'allontanamento dell'imputato nei giorni successivi la sparizione della vittima. Le circostanze e le modalita' con le quali l'allontanamento si e' verificato, proprio in concomitanza con i primi tentativi di (OMISSIS) di contattare (OMISSIS), quasi immediatamente individuato come l'ultima persona che aveva incontrato il fratello (cfr. anche pag. 115 della sentenza di primo grado), sono infatti significativi della necessita' avvertita dal ricorrente di evitare che si potesse risalire a lui come il "ragazzo di Valona", "socio" di (OMISSIS) che, secondo le logiche criminali, doveva essere collegato alla sparizione del fratello e che pertanto avrebbe potuto subire le conseguenze di una eventuale vendetta, sicuramente temuta dallo stesso (OMISSIS), ben consapevole delle regole imposte dal (OMISSIS), da lui stesso evocato. 2.2. Nell'ultima parte del primo motivo e, piu' compiutamente, nel secondo, la difesa deduce il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo evidenziando che i giudici di merito non avrebbero dato adeguato conto degli elementi posti a fondamento della conclusione secondo la quale (OMISSIS) aveva partecipato consapevolmente e volontariamente alla commissione dell'omicidio, cio' considerato che il ricorrente aveva sempre svolto un ruolo subalterno a quello del coimputato e che, quindi, non vi sarebbe la prova che sapesse quali erano le reali intenzioni di (OMISSIS) in ordine alla sorte di (OMISSIS), non essendo comunque sufficiente la presunzione che (OMISSIS) condividesse i propositi e gli interessi criminali di (OMISSIS). Le doglianze sono infondate. La Corte territoriale, seppure in termini sintetici nella parte specificamente dedicata alla sussistenza dell'elemento psicologico, ha dato comunque complessivamente atto della consapevole partecipazione del ricorrente alla commissione del reato evidenziando come lo stesso abbia contribuito alle fasi relative all'esecuzione dell'omicidio. Pure volendo ritenere che (OMISSIS) non abbia deliberato l'eliminazione di (OMISSIS), infatti, risulta che lo stesso ha effettuato i viaggi in Veneto, ha mantenuto i contatti con la vittima (anche facendogli credere di essere (OMISSIS)) finalizzati a convincerla ad andare in Lombardia e, da ultimo, ha effettuato i sopralluoghi nel posto dove poi e' stato rinvenuto il cadavere, ha fatto perdere le proprie tracce subito dopo il delitto. Elementi questi che, complessivamente considerati, impongono, pertanto, di ritenere che il ricorrente abbia fornito un consapevole e volontario contributo all'esecuzione dell'omicidio e che la motivazione in punto di sussistenza dell'elemento psicologico sia adeguata. In cio' non assumendo alcun rilievo, d'altro canto, qualsivoglia considerazione in ordine alla condivisione o meno degli interessi e dei propositi del concorrente nel reato, con il quale la sentenza impugnata ricostruisce identita' anche parziale di movimenti e di affari criminali. 2.3. Nel terzo motivo la difesa deduce il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell'aggravante della premeditazione in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che l'uccisone di (OMISSIS) avrebbe potuto essere stata il risultato di una decisione estemporanea, cioe' la conseguenza di una discussione sorta per il pagamento di quanto dovuto, e non il risultato di una programmazione. La doglianza e' infondata. Come gia' evidenziato nel punto 1.3., al quale e quali si rinvia, infatti, la Corte territoriale, la cui motivazione si salda e integra con quella del giudice di primo grado, ha fatto sul punto coerente riferimento agli elementi emersi nel corso del processo in ordine e ha cosi' ritenuto la sussistenza della circostanza aggravante, conformandosi cosi' alla giurisprudenza di legittimita' (cfr. da ultimo Sez. 1, n. 37825 del 29/04/2022, Tiscornia, Rv. 283512 - 01). In merito alla premeditazione, infatti, il rilievo attribuito alla partecipazione del ricorrente al c.d. "piano trappola", condiviso ed attuato da entrambi gli imputati che lo hanno congiuntamente posto in essere e all'attivita' di costante ausilio fornita da (OMISSIS) a (OMISSIS), appare congruamente giustificato e immune da vizi logici. Nel contesto cosi' delineato, poi, le ulteriori circostanze relative al rinvenimento della pala e, soprattutto, il fatto che prima ancora dell'arrivo della vittima in Lombardia siano stati effettuati dei sopralluoghi nel posto dove poi e' stato rinvenuto il cadavere, come gia' in precedenza evidenziato, risultano decisivi quanto alla sussistenza dell'aggravante contestata. 2.4 Nel quarto motivo la difesa deduce il vizio di motivazione in relazione alla richiesta di considerare il contributo fornito dal (OMISSIS) ai sensi dell'articolo 114 c.p.. La doglianza e' manifestamente infondata. La giurisprudenza di questa Corte e' consolidata nel ritenere che l'articolo 114 c.p. si applichi laddove l'apporto del correo risulti obbiettivamente cosi' lieve da apparire, nell'ambito della relazione eziologica, quasi trascurabile e del tutto marginale (cfr. Sez. 2, n. 46588 del 29/11/2011, Eraki EI Sayed, RV. 251223; n. 9491 del 07/06/1989, Pedori, RV. 184773; Sez. 6, n. 3053 del 27/10/1981, Stipo, RV. 152864). In tema di concorso di persone nel reato, infatti, ai fini dell'integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all'articolo 114 c.p., non e' sufficiente una minore efficacia causale dell'attivita' prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri quanto, piuttosto, e' necessario che il contributo sia di efficacia causale cosi' lieve rispetto all'evento da risultare trascurabile nell'economia generale dell'"iter" criminoso (cfr. Sez. 4, n. 49364 del 19/07/2018, P, Rv. 274037; Sez. 2, n. 835 del 18/12/2012, dep. 2013, Modafferi e altro, Rv. 254051; Sez. 3, n. 9844 del 17/11/2015, dep. 2016, Barbato, Rv. 266461), ovvero accessorio nel generale quadro del percorso criminoso di realizzazione del reato. (Sez. 6, n. 24571 del 24/11/2011, dep. 2012, Piccolo e altro, Rv. 253091) In tale corretto contesto, nel caso di specie il giudice di appello, con motivazione adeguata e coerente, ha evidenziato le ragioni per le quali il ruolo del ricorrente non possa essere ritenuto marginale e la richiesta difensiva di applicazione della circostanza attenuante prevista dall'articolo 114 c.p. dovesse essere disattesa. Nello specifico, infatti, la Corte territoriale ha evidenziato come il ruolo svolto dal ricorrente sia stato fondamentale per il "buon fine" dell'operazione e cio', eventualmente, anche volendo dare credito alle dichiarazioni rese dallo stesso quanto all'avere svolto "solo" il ruolo di autista che ha consegnato la vittima a chi avrebbe poi proceduto all'eliminazione, ruolo questo a cui non potrebbe comunque attribuirsi un rilievo marginale ovvero accessorio. 2.5. Nel quinto e ultimo motivo la difesa deduce il vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La doglianza e' manifestamente infondata per le ragioni esposte nel punto 1.4. al quale integralmente si rinvia. 3. Il rigetto dei ricorsi comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CATENA Rossella - Presidente Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 24/03/2022 della CORTE APPELLO di CAGLIARI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale MARIA FRANCESCA LOY che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Viene in esame la sentenza della Corte d'Appello di Cagliari, che ha confermato ai soli effetti civili la decisione di condanna del Tribunale di Cagliari, emessa nei confronti di (OMISSIS) in data 8.6.2018, ed invece, ai fini penali, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione dei reati di corruzione propria aggravata, turbativa d'asta aggravata e falso in atto pubblico (uno degli episodi di turbativa d'asta ed un altro reato collegato sono stati dichiarati estinti per prescrizione gia' dal primo giudice). All'imputato, che all'epoca dei fatti, tra il 2010 ed il 2011, rivestiva la funzione di comandante della Polizia Municipale di Pula, sono state contestate condotte di turbativa d'asta (capo A), in concorso con una collega agente di polizia municipale ed il titolare della ditta favorita (la (OMISSIS) s.r.l.), finalizzate a turbare, tra l'altro: - la gara per l'affidamento temporaneo, della durata di 9 mesi, del servizio di gestione esternalizzata delle procedure sanzionatorie da violazione del codice stradale e dei regolamenti comunali, nonche' del servizio per la gestione completa dei verbali elevati nei confronti dei veicoli con targa estera, di competenza della Polizia Municipale; - la gara per l'affidamento temporaneo del servizio di notificazione all'estero dei procedimenti sanzionatori amministrativi per violazioni del Codice della Strada, riportando, nella determinazione n. 215 del 25.3.2011, al centro della contestazione di falso in atto pubblico (capo B), circostanze di fatto non veritiere, funzionali ad affidare il servizio sopradetto alla ditta (OMISSIS) s.r.l.. Sullo sfondo degli illeciti, una corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, aggravata dal fatto che la stipulazione del contratto cui il patto corruttivo era finalizzato vedeva come parte il comune di Pula: il patto prevedeva che, in cambio dell'affidamento diretto alla ditta (OMISSIS) s.r.l. del servizio di notificazione all'estero dei procedimenti sanzionatori amministrativi per violazioni del Codice della Strada, tale societa' assumesse (OMISSIS), figlio dell'imputato, con contratto a profetto dal 3.10.2010 al 3.5.2011. 2. Avverso il provvedimento in esame ha proposto ricorso l'imputato, tramite il difensore, deducendo due motivi di censura. 2.1. Con il primo argomento difensivo si eccepisce nullita' della sentenza d'appello, ai sensi dell'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), articoli 179 e 185 c.p.p., per difetto di notifica del decreto che disponeva il giudizio di secondo grado, notificato al domicilio precedentemente eletto presso il difensore di fiducia revocato (avv. (OMISSIS)), piuttosto che al nuovo domicilio di elezione dichiarato all'udienza del 18.5.2018 dinanzi al Tribunale (il ricorrente allega stralcio del verbale d'udienza, pagg. 76 e 77) e nonostante la sentenza di primo grado fosse stata notificata correttamente presso il nuovo domicilio, corrispondente, peraltro, alla residenza del ricorrente. Alla prima udienza prevista per la citazione in appello l'imputato non era presente e si e' proceduto in sua assenza. Si denuncia, percio', la mancata conoscenza effettiva del processo da parte sua ed il verificarsi di una nullita' assoluta, come insegna la giurisprudenza di legittimita'. 2.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione di legge in relazione all'articolo 129 c.p.p., comma 2, per non avere la sentenza d'appello accolto la richiesta di proscioglimento nel merito da parte del ricorrente, a dispetto dei risultati probatori dibattimentali. La difesa rappresenta il proprio interesse a ricorrere pur in una fattispecie di nullita' assoluta che si riferisca ad una pronuncia di prescrizione del reato, evocando l'intervento della Corte costituzionale, con la sentenza n. 111 del 2022, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 568 c.p.p., comma 4, laddove interpretato nel senso che e' inammissibile, per carenza di interesse ad impugnare, il ricorso per cassazione proposto avverso sentenza d'appello che, in violazione del principio del contraddittorio, abbia dichiarato non doversi procedere per prescrizione, nonche' l'interesse concreto ad ottenere una pronuncia nel merito essendo stato l'imputato sospeso dal servizio, con riduzione del trattamento stipendiale della meta' e proporzionale riduzione del trattamento di fine rapporto, vista la richiesta di pensionamento avanzata. 3. Il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso con requisitoria scritta. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato e deve essere rigettato. 2. La difesa, con la prima delle due censure proposte alla sentenza impugnata, eccepisce nullita' assoluta della sentenza d'appello, per difetto di notifica del decreto che disponeva il giudizio di secondo grado, nonche' mancata conoscenza effettiva del processo da parte dell'imputato. L'eccezione non ha pregio. 2.1. Anzitutto, deve rilevarsi come, nel caso di specie, non vi sia questione di conoscenza effettiva del processo, poiche', per stessa ammissione del ricorrente, egli ha ricevuto le notifiche della sentenza di primo grado regolarmente ed ha avuto, dunque, perfettamente conoscenza del processo a suo carico. Pertanto, si e' fuori dal perimetro applicativo di garanzie disegnato dalle Sezioni Unite con le sentenze Sez. U, n. 28912 del 28/2/2019, Innaro, Rv. 275716, decisione con la quale la Cassazione ha evidenziato la necessita' che, ai fini della effettiva conoscenza del processo a suo carico, l'imputato abbia ricevuto una regolare notifica di un atto di vocatio in ius. Garanzie confermate, con argomenti del tutto condivisi dal Collegio, dalla decisione del massimo collegio nomofilattico Sez. U, n. 15498 del 26/11/2021, Lovric, Rv. 280931, secondo cui, vi e' necessita' di garantire primariamente l'effettiva conoscenza del processo da parte dell'imputato, pur in presenza di notifiche apparentemente e formalmente valide e tuttavia incapaci di assicurare detta conoscenza e, in ultima analisi, di assicurare il giusto processo funzionale alla tutela anche della presunzione di innocenza. 2.2. D'altra parte, la fattispecie in esame non si inserisce neppure nella convergente logica di tutela della regolare partecipazione al processo dell'imputato, sottesa alla pronuncia Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, Ismail, Rv. 279420, con cui questa Corte regolatrice ha stabilito che, ai fini della dichiarazione di assenza, non puo' considerarsi presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio da parte dell'imputato, ma, al contrario, il giudice deve, in ogni caso, verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata l'effettiva instaurazione di un rapporto professionale con il legale domiciliatario, tale da fargli ritenere con certezza che l'imputato abbia avuto conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente allo stesso. Nel caso in esame, l'atto di citazione in giudizio d'appello, seguito ad una regolare partecipazione informata al processo di primo grado, con notifica all'imputato della stessa sentenza che ha definito il grado di giudizio, e' stato recapitato al domicilio precedentemente eletto presso il difensore di fiducia revocato (l'avv. (OMISSIS)), piuttosto che al nuovo domicilio di elezione dichiarato all'udienza del 18.5.2018 dinanzi al Tribunale (il ricorrente ha allegato stralcio del verbale d'udienza, pagg. 76 e 77), corrispondente alla residenza del ricorrente ed utilizzato per la regolare notifica della decisione del Tribunale. Ebbene, il Collegio ritiene che la notifica all'imputato del decreto di citazione in appello in luogo diverso rispetto al domicilio validamente eletto (nel caso di specie, con dichiarazione in udienza nel corso del giudizio di primo grado) integri una nullita' di ordine generale a regime intermedio, come tale deducibile entro i termini decadenziali previsti dall'articolo 182 c.p.p., sempre che non risulti in concreto inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte del destinatario, nel qual caso integra invece una nullita' assoluta per omessa notificazione ex articolo 179 c.p.p. (cfr., nello stesso senso, in un caso con questioni analoghe, seppur in una fattispecie non identica, Sez. 5, n. 48916 del 1/10/2018, 0., Rv. 274183, in cui la Corte ha ritenuto valida la notificazione del decreto di citazione in appello avvenuta presso il luogo di residenza dell'imputato, nelle mani della suocera, piuttosto che nel domicilio eletto, dato che il ricorrente non aveva fornito specifica indicazione della inidoneita' della predetta notifica). La linea interpretativa cui si ispira la citata sentenza n. 48916 del 2018 e' quella sottesa anche alla fondamentale pronuncia delle Sezioni Unite n. 119 del 27/10/2004, dep. 2005, Rv. 229541, con cui e' stato chiarito come la nullita' assoluta e insanabile prevista dall'articolo 179 c.p.p. ricorra soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti in concreto inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato. Qualora, dunque, il ricorso non indichi specificamente le ragioni di tale inidoneita' assoluta in concreto della notifica irrituale a determinare la conoscenza effettiva del giudizio in appello, ed in mancanza di elementi dai quali il Collegio possa giungere autonomamente a tale conclusione, deve ritenersi la genericita' della deduzione del vizio relativo alla sussistenza di un'ipotesi di nullita' assoluta. Orbene, l'odierno ricorrente nulla argomenta sul perche' la notifica sia stata in concreto inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte sua, pur essendo stata diretta al precedente difensore di fiducia, ancorche' revocato. Ne' d'altra parte si espone (o risulta altrimenti) che il difensore revocato abbia espressamente dichiarato di non accettare ulteriori notifiche relative all'imputato, circostanza questa che creerebbe senz'altro evidenti, diversi dubbi circa l'assoluta non conoscibilita' dell'atto da parte del ricorrente (cfr., in ipotesi di rinuncia al mandato e contestuale espressa dichiarazione di non accettare notifiche al domicilio gia' eletto in passato, Sez. 6, n. 44156 del 3/11/2021, P., Rv. 282265; Sez. 4, n. 13236 del 23/3/2022, Piunti, Rv. 283019). D'altra parte, a fianco alla constatazione dell'assenza di simili indicazioni nella fattispecie concreta, e' rilevante evidenziare che i nuovi difensori di fiducia (gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS)) sono stati regolarmente presenti alla prima udienza d'appello - come risulta dagli atti processuali, ai quali il Collegio ha avuto accesso in ragione della natura del vizio dedotto - e, al darsi atto dell'assenza dell'imputato, nulla hanno eccepito al riguardo, sicche' e' stata dichiarata l'assenza (ed il processo non e' stato poi trattato per l'adesione all'astensione dalle udienze proclamata dall'Unione delle camere penali). Alla successiva udienza del giorno 11.1.2022 entrambi gli avvocati difensori erano presenti e nulla hanno nuovamente eccepito riguardo alla posizione processuale dell'imputato, concludendo per l'accoglimento dei motivi d'appello e depositando memorie scritte. Dunque, puo' affermarsi, in una simile fattispecie, che la nullita' a regime intermedio, verificatasi - per l'erroneita' della notifica al domicilio precedentemente eletto presso il difensore di fiducia revocato nel corso del giudizio di primo grado, piuttosto che al nuovo domicilio indicato - in mancanza di prova dell'inidoneita' assoluta a determinare la conoscenza del giudizio di secondo grado (che avrebbe generato la nullita' assoluta invocata dalla difesa), non e' stata dedotta tempestivamente, subito dopo la sua realizzazione (vale a dire alla prima udienza utile in appello, pur regolarmente celebratasi, come si e' detto, alla presenza dei due nuovi difensori di fiducia dell'imputato). In piu', non e' stata dedotta alcuna specifica lesione del diritto di difesa, che, anzi, risulta regolarmente espletato nel giudizio d'appello dal nuovo avvocato di fiducia del ricorrente. 2.3. Tali conclusioni convergono anche nella logica di fondo che permea la decisione delle Sezioni Unite Palumbo e la giurisprudenza di legittimita' successiva del massimo collegio nomofilattico. Invero, declinando un orientamento che si muove sotto l'egida di un canone generale di "pregiudizio effettivo", individuato come ragione ultima della disciplina delle nullita' e, al tempo stesso, limite capace di perimetrarne i confini applicativi, la giurisprudenza di legittimita' - con qualche voce consonante anche in dottrina - ricorre, ai fini di verificare l'esistenza effettiva di un error in procedendo, all'applicazione del principio di offensivita' processuale, secondo cui, perche' sussista la nullita', non e' sufficiente che sia stato posto in essere un atto non conforme al tipo, ma e' necessario valutare se la violazione abbia effettivamente compromesso le garanzie che l'ipotesi di invalidita' era destinata a presidiare. Costituiscono punti di emersione di tale indirizzo, che attraversa orizzontalmente l'ermeneusi della disciplina delle nullita', alcune pronunce delle Sezioni Unite, sia pur sempre attente a collocarsi nell'alveo del principio di tassativita' che domina il tema, collegando la sanzione di nullita' direttamente alla norma, anche in funzione "dissuasiva" alla inosservanza di determinate forme. Si tratta di una prospettiva meno formalistica e piu' moderna, che connette l'invalidita' alla presenza di un effettivo danno per la parte processuale quando la sanzione e' collegata al risultato o scopo della prescrizione violata. In tale traccia si inseriscono altre pronunce (il Collegio richiama l'analitica esposizione delle Sezioni Unite, n. 7697 del 24/11/2016, dep. 2017, Amato, Rv. 269027), oltre alla citata sentenza Sez. U, n. 119 del 2005, Palumbo (che, a sua volta, si ispira a Sez. U, n. 17179 del 27/2/2002, Conti, Rv. 221403 ed a Sez. U, n. 35358 del 9/7/2003, Ferrara, Rv. 225361), e tra queste anche le sentenze Sez. U, n. 10251 del 17/10/2006, dep. 2007, Michaeler, Rv. 235697; Sez. U, n. 19602 del 27/03/2008, Micciullo, Rv. 239396, Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, Rossi, dep. 2012, Rv. 251497. Una regola che si e' tradotta nell'affermazione di principio secondo cui se le forme processuali sono un valore, lo sono in quanto funzionali alla celebrazione di un giusto processo, i cui principi non vengono certamente compromessi da una nullita' in se' irrilevante o inidonea a riverberarsi sulla validita' degli atti processuali successivi (e cio' pur dando atto dell'esistenza di un altrettanto generale principio, sostenuto da una parte autorevole della dottrina, secondo cui rimane privo di rilievo, di fronte ad un atto nullo, il ricorrere di un concreto pregiudizio all'interesse protetto, considerato che tale pregiudizio deve considerarsi immanente nella circostanza pura e semplice che lo schema legale non si sia realizzato). Tali pronunce pongono una linea interpretativa valida anche al confronto con la recentissima e chiara scelta del massimo collegio nomofilattico di perseguire l'obiettivo di assicurare la conoscenza effettiva degli atti e della stessa esistenza del processo da parte dell'imputato, effettuata con le sentenze Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, Ismail, Rv. 279420 e Sez. U, n. 28912 del 28/2/2019, Innaro, Rv. 275716; sentenze che, anzi, leggono in un prisma altrettanto sostanzialistico la disciplina formale della regolare vocatio in iudicium. 2.4. La giurisprudenza di legittimita' ripercorsa consente di ritenere che notifiche simili a quella effettuata nei confronti dell'odierno ricorrente, lungi dal poter essere ritenute inesistenti o assolutamente inidonee tout court - e quindi equiparabili ad una notificazione "omessa" - devono, piuttosto, reputarsi idonee a determinare la conoscenza dell'atto da parte dell'imputato, a meno che non vengano specificamente dedotte ragioni di inidoneita' concrete. Ancora e' utile richiamare, su questo specifico aspetto, Sez. U, n. 58120 del 22/06/2017, Tuppi, Rv. 271771, che, pur emessa in riferimento ad una diversa fattispecie, ha chiarito come sia possibile per il giudice impiegare il parametro dell'esercizio effettivo dei diritti di difesa al fine di riscontrare il rispetto dei limiti di deducibilita' della nullita' o la sussistenza di una causa di sanatoria della stessa rilevabile da circostanze obiettive di fatto desumibili dagli atti del processo. Diritti di difesa che, nel caso del ricorrente, sono stati regolarmente espletati nel corso del giudizio d'appello dai difensori di fiducia. 3. Anche il secondo motivo di censura e' privo di pregio, in quanto generico e, dunque, inammissibile. Il ricorrente invoca la possibilita', per il giudice d'appello, di procedere ad un'assoluzione nel merito, ai sensi dell'articolo 129 c.p.p. (di qui, anche, l'inapplicabilita' in radice, al presente giudizio, della nuova disposizione introdotta dall'articolo 573 c.p.p., comma 1-bis, che si riferisce ai casi nei quali vengano in esame profili di responsabilita' agli effetti solo civili), alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale nella sentenza n. 111 del 2022. Il giudice delle leggi, con la richiamata pronuncia, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 568 c.p.p., comma 4, interpretato dal diritto vivente nel senso dell'inammissibilita', per carenza di interesse ad impugnare, del ricorso per cassazione proposto avverso sentenza d'appello che, in violazione del principio del contraddittorio, abbia dichiarato non doversi procedere per prescrizione. L'imputato, nel caso di specie, diverso da quello in esame da parte della Consulta, avrebbe un interesse concreto ad ottenere una pronuncia nel merito, essendo stato sospeso dal servizio, con riduzione del trattamento stipendiale della meta' e proporzionale riduzione del trattamento di fine rapporto, vista la richiesta di pensionamento avanzata. Orbene, ferma la valenza dei principi declinati dalla Corte costituzionale, avuto riguardo alla dichiarazione di illegittimita' costituzionale di una disposizione che non viene in rilievo nel caso oggi sottoposto al Collegio (che attiene ad una sentenza emessa all'esito dell'ordinario giudizio d'appello), il ricorso non si confronta con le ampie argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata ai fini degli interessi civili, all'esito delle quali si sono confermate le statuizioni di risarcimento del danno alla parte civile costituita, il comune di Pula (cfr. le pagine da 13 a 18). Da tali considerazioni, riferite a tutti i capi d'imputazione ascritti all'imputato, sia quello dichiarato prescritto sin dal primo grado (capo D) che gli ulteriori tre capi in contestazione, si comprende immediatamente l'insussistenza dei presupposti per procedere ad un proscioglimento nel merito dai reati, ex articolo 129 c.p.p.: vengono, infatti, ripercorse le ragioni dell'atto di appello, con puntuale disamina rispetto alle risultanze di prova, avuto riguardo alla condotta contestata come turbativa d'asta ed a quelle collegate di falso, con l'esclusione dalla gara d'appalto comunale del servizio di postalizzazione all'estero della ditta "rivale" di quella favorita, e corruzione; si esaminano, altresi', il coinvolgimento del ricorrente, quale comandante della Polizia Municipale di Pula, ed il prezzo della corruzione, costituito dall'assunzione del figlio del ricorrente nell'azienda privata controparte del patto corruttivo stilato con il pubblico ufficiale. Come noto, in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice e' legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'articolo 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi' che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga piu' al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessita' di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/5/2009, Tettamanti, Rv. 244274). Dunque, anche la possibilita' di procedere al proscioglimento da parte della Cassazione ai sensi dell'articolo 129 c.p.p., comma 2 richiamati dal ricorso evocando passaggi motivazionali della sentenza n. 111 del 2022 della Corte costituzionale, sono inconferenti rispetto al caso in esame. 4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. DE GREGORIO Eduardo - Consigliere Dott. Scarl INI Enrico V. S. - Consigliere Dott. GUARDIANO Alfredo - rel. Consigliere Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 21/03/2022 della CORTE APPELLO SEZ. DIST. di TARANTO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GUARDIANO ALFREDO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa MASTROBERARDINO PAOLA. IN FATTO E IN DIRITTO 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Lecce confermava la sentenza con cui il tribunale di Taranto, in data 16.3.2021, aveva condannato (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ciascuna alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, in relazione al reato di cui agli articoli 110, 610 c.p., commesso in danno di (OMISSIS), in rubrica loro ascritto, nell'ambito del procedimento penale sorto in seguito alla presentazione di querela da parte della (OMISSIS). Alle imputate viene contestato di avere impedito a (OMISSIS) moglie di (OMISSIS), figlio e fratello delle prevenute, in concorso e in unione tra loro, con violenze fisiche (tirandole i capelli) e con atti di violenza sulle cose (parziale rottura del telefono), di allontanarsi dalla loro abitazione, portando con se' il figlio neonato. 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiedono l'annullamento, hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione le imputate, con un unico atto di impugnazione, fondato su motivi comuni, lamentando: 1) violazione di legge, in relazione al combinato disposto degli articoli 125 e 546 c.p.p.; 2) mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione, con particolare riferimento all'articolo 192 c.p.p.; 3) mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione, con particolare riferimento all'articolo 610 c.p.; 4) violazione di legge processuale, in ordine al disposto dell'articolo 234 c.p.p.; 5) violazione di legge, in relazione alla omessa applicazione dell'articolo 56 c.p., comma 1, in riferimento al reato contestato. 3. Con requisitoria scritta dell'11.1.2023, depositata sulla base della previsione del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, che consente la trattazione orale in Udienza pubblica solo dei ricorsi per i quali tale modalita' di celebrazione e' stata specificamente richiesta da una delle parti, i cui effetti sono stati prorogati fino al 31 dicembre 2022, per effetto del Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, articolo 16, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15 il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, chiede che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili. Con conclusioni scritte del 23.1.2023, pervenute a mezzo di posta elettronica certificata, il difensore di fiducia della costituita parte civile, avv. (OMISSIS), chiede che i ricorsi delle imputate non siano accolti, con condanna delle stesse al pagamento delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalla suddetta parte civile. 4. I ricorsi non possono essere accolti, essendo inficiati da diversi profili di inammissibilita'. 4.1 Manifestamente infondato, oltre che genericamente formulato, appare il primo motivo di ricorso, posto che, a differenza di quanto sostenuto dalle ricorrenti, il giudice di secondo grado, dopo avere indicato puntualmente e in maniera conforme al contenuto dell'atto di appello i motivi di impugnazione, non si e' limitato a rinviare genericamente alla motivazione della sentenza di primo grado, ma ha proceduto a un'autonoma valutazione delle doglianze articolate dalle appellanti, pur partendo, ovviamente, dal percorso argomentativo seguito dal tribunale, in quanto su di esso si erano concentrate le censure delle imputate (cfr. pp.1-3 della sentenza oggetto di ricorso). 4.2. L'inammissibilita' del secondo motivo di impugnazione si apprezza gia' a partire dal titolo che lo introduce, con cui si eccepisce cumulativamente la mancanza, la contraddittorieta' o la manifesta illogicita' della motivazione. Come affermato, infatti, dall'orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimita', in tema di ricorso per cassazione, la denunzia cumulativa, promiscua e perplessa della inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonche' della mancanza, della contraddittorieta' e della manifesta illogicita' della motivazione rende i motivi aspecifici ed il ricorso inammissibile, ai sensi dell'articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c) e articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), non potendo attribuirsi al giudice di legittimita' la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio (cfr. Sez. 1, n. 39122 del 22/09/2015, Rv. 264535). In particolare, il ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimita' ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), ha l'onere - sanzionato a pena di a-specificita', e quindi di inammissibilita', del ricorso - di indicare specificamente, in relazione alle parti della motivazione oggetto di gravame, su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimita' la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Rv. 277518; Sez. 2, n. 31811 del 08/05/2012, Rv. 254329Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, Rv. 263541). In ogni caso, ove si volesse restringere il perimetro del denunciato vizio, come sembrerebbe di comprendere dal contenuto del ricorso, al difetto di motivazione in ordine alla valutazione della credibilita' personale della parte civile e dell'attendibilita' delle dichiarazioni dalla stessa rese, non puo' non rilevarsene la genericita', sotto un duplice profilo. Da un lato, le ricorrenti non vanno oltre la denuncia, per l'appunto generica e apodittica, che i contenuti del propalato "non solo non sono stati riscontrati, ma addirittura sono stati smentiti dagli organi di polizia e di assistenza intervenuti in occasione del fatto e che dei compartecipi all'atto lesivo dedotto in imputazione sia stato indicato un soggetto ritenuto gia' in primo grado assolutamente estraneo ai fatti e assolto dalle imputazioni". Dall'altro, esse omettono del tutto di confrontarsi con il contenuto della registrazione effettuata dalla persona offesa, che riporta le conversazioni intercorse l'11.9.2013 tra la (OMISSIS), le imputate, le assistenti sociali, gli agenti della Polizia municipale e i Carabinieri di Lizzano. Si tratta di un documento, come correttamente evidenziato dalla corte territoriale, di particolare importanza ai fini della conferma di quanto narrato dalla parte civile, in quanto dal suo contenuto risulta "che alla (OMISSIS) fosse stato sottratto il figlio, per evitare che lo stesso andasse via con la mamma da (OMISSIS) e che il bambino le fosse stato restituito solo a seguito dell'intervento delle assistenti sociali e delle forze dell'ordine, le quali, subito dopo, avevano consentito l'allontanamento della diade dal paese" (cfr. pp. 1-2). 4.3. Inammissibile appare anche la terza censura, sia per le ragioni gia' espresse nel punto n. 4.2. in tema di denunzia cumulativa, promiscua e perplessa di diversi motivi di ricorso, sia perche', come si evince dalla incontestata sintesi dei motivi di appello operata dalla corte territoriale, si tratta di motivo inedito, dunque non scrutinabile per la prima volta in sede di legittimita', ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 3. 4.4. L'inammissibilita' del quarto motivo di ricorso si apprezza sotto un duplice profilo. Manifestamente infondato e' il rilievo sulla inutilizzabilita' della registrazione tra presenti, trasfusa dalla persona offesa in una chiavetta USB, contenente un file audio, utilizzata, come si e' gia' detto, ai fini della decisione, in quanto effettuata nell'abitazione di residenza delle ricorrenti, a loro totale insaputa e senza alcun consenso. Come affermato, infatti, dall'orientamento da tempo dominante nella giurisprudenza di legittimita', la registrazione fonografica di colloqui tra presenti, eseguita d'iniziativa da uno dei partecipi al colloquio, costituisce prova documentale, come tale utilizzabile in dibattimento, e non intercettazione "ambientale" soggetta alla disciplina dell'articolo 266 c.p.p., e s.s., anche quando essa avvenga su impulso della polizia giudiziaria e/o con strumenti forniti da quest'ultima con la specifica finalita' di precostituire una prova da far valere in giudizio (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 12347 del 10/02/2021, Rv. 280996, in cui si e' affermata proprio l'utilizzabilita' di una fonoregistrazione effettuata dalla persona offesa nell'abitazione dell'imputato; Sez. 2, n. 40148 del 06/07/2022, Rv. 283977). Piu' recentemente si e' affermato, in un'isolata decisione, che la registrazione di conversazioni da parte di interlocutore consapevole costituisce prova atipica, precisandosi che essa, in ogni caso, non viola ne' lo statuto della prova testimoniale, risolvendosi nella incisione su un supporto di dati che possono essere riferiti sia dall'interlocutore consapevole che dall'ufficiale di polizia giudiziaria che vi assiste, ne' quello delle intercettazioni, non venendo in rilievo la violazione del diritto alla segretezza (cfr. Sez. 2, n. 46185 del 21/09/2022, Rv. 284226), sicche', ai fini che ci occupano, il risultato in termini di piena utilizzabilita' della menzionata registrazione tra presenti si mantiene fermo. Vero e' che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la registrazione fonografica di colloqui tra presenti, eseguita d'iniziativa della persona offesa dal reato, costituisce si' prova documentale ex articolo 234 c.p.p., utilizzabile in dibattimento, ma, nel caso in cui risulti accertato che detta registrazione presenta delle manipolazioni che rendono discontinua la conversazione, e' necessaria una specifica valutazione della sua capacita' probatoria, avuto riguardo alle ragioni della manipolazione medesima, e della attendibilita' delle dichiarazioni della persona offesa, non essendo a tal fine sufficienti la mera conseguenzialita' dei brani, ne' la loro concordanza con quanto riferito da quest'ultima (cfr. Sez. 6, n. 1422 del 03/10/2017, Rv. 271973). Tale principio, tuttavia, non puo' essere invocato nel caso in esame, risultando la manipolazione della registrazione fonografica di cui si discuta meramente affermata e non dimostrata dalle ricorrenti. 4.5. Manifestamente infondato e acriticamente reiterativo della doglianza disattesa dal giudice di appello si configura il quinto motivo di ricorso. Come correttamente rilevato dalla corte territoriale non vi e' spazio nel caso in esame per una diversa qualificazione del fatto in termini di tentativo di violenza privata, per la semplice ragione che, in conseguenza della condotta delle imputate, la persona offesa era stata costretta a rimanere nella loro abitazione per quarantacinque minuti in attesa della restituzione del figlio neonato, ragione per la quale e' stata integrata per un apprezzabile lasso di tempo un'evidente compressione della liberta' di autodeterminazione della vittima, conformemente al costante insegnamento della giurisprudenza di legittimita', secondo cui l'elemento oggettivo del reato di violenza privata e' costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l'effetto di costringere taluno a fare, tollerare od omettere una condotta determinata, diversa dal fatto in cui si esprime la violenza, sicche' il delitto di cui all'articolo 610 c.p., non e' configurabile qualora gli atti di violenza e di natura intimidatoria integrino, essi stessi, l'evento naturalistico del reato, ossia il "pati" cui la persona offesa sia costretta (cfr., ex plurimis, Sez. 5, Sentenza n. 6208 del 14/12/2020, Rv. 280507). Nessuna questione, infine, si pone in punto di estinzione del reato per prescrizione, tema che le ricorrenti hanno genericamente sollevato, collegandolo alla invocata diversa qualificazione della loro condotta in termini di tentativo. 5. Alla dichiarazione di inammissibilita', segue la condanna delle ricorrenti, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3000,00 a favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della circostanza che l'evidente inammissibilita' dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere queste ultime immuni da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilita' (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000). Nulla e' dovuto a titolo refusione delle spese in favore della costituita parte civile, in quanto il suo difensore si e' limitato a chiedere che i ricorsi delle imputate non venissero accolti, non esplicando, anche solo attraverso memorie scritte, un'attivita' diretta a contrastare l'avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, senza, dunque, fornire un utile contributo alla decisione (cfr., da ultima Sez. U. n. 877 del 14/07/2022, Rv. 283886). Va, infine, disposta l'omissione delle generalita' e degli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento, ai sensi del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 52, comma 5. P.Q.M. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Nulla sulle spese processuali tra le parti. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CASA Filippo - Presidente Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere Dott. FILOCAMO Fulvio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1) (OMISSIS), nato il (OMISSIS); Avverso la sentenza emessa il 24/03/2022 dalla Corte di assise di appello di Roma; Sentita la relazione del Consigliere Alessandro Centonze; Sentite le conclusioni del Sostituto procuratore generale Giulio Romano, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio; il rigetto, nel resto, del ricorso; Sentite, nell'interesse delle parti civili (OMISSIS) ed (OMISSIS), le conclusioni dell'avvocato (OMISSIS), che ha concluso come da comparsa conclusionale e nota spese; Sentite, nell'interesse del ricorrente, le conclusioni degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno chiesto l'accoglimento del ricorso. RILEVATO IN FATTO 1. Con sentenza emessa il 23 febbraio 2021 la Corte di assise di Roma giudicava (OMISSIS), colpevole dei reati ascrittigli ai capi A e B, unificati dal vincolo della continuazione, condannando l'imputato, riconosciuto il vizio parziale di mente e concesse le circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle contestate aggravanti, alla pena di ventiquattro anni di reclusione. L'imputato (OMISSIS), inoltre, veniva condannato alle pene accessorie di legge, al pagamento delle spese processuali e al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, (OMISSIS) ed (OMISSIS), da liquidarsi in separata sede processuale. Si disponeva, infine, a pena espiata, l'applicazione della misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa di cura e custodia, da eseguirsi presso una residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza (R:E.M.S.), per un periodo di tre anni. 2. Con sentenza emessa il 24 marzo 2022 la Corte di assise di appello di Roma, pronunciandosi sull'impugnazione proposta da (OMISSIS), in riforma della decisione impugnata, rideterminava il trattamento sanzionatorio irrogato all'imputato in diciannove anni di reclusione. La sentenza di primo grado, nel resto, veniva confermata. 3. Da entrambe le sentenze di merito, che divergevano nei termini sanzionatori di cui si e' detto, emergeva che (OMISSIS), nel corso di una rapina commessa il (OMISSIS), all'interno dell'abitazione di (OMISSIS), ubicata a Tolfa, in Viale d'Italia n. 35, causava la morte della persona offesa, dopo averla sottoposta a una brutale aggressione. L'imputato, in particolare, aggrediva violentemente la vittima, provocandole fratture multiple al corpo, un'emorragia biparietale alla testa e un diffuso edema cerebrale, che, nell'immediatezza dei fatti, venivano accertate dal consulente tecnico del Pubblico ministero, il dottore (OMISSIS), che eseguiva l'esame cadaverico presso l'abitazione della persona offesa. La ricostruzione degli accadimenti criminosi, innanzitutto, si fondava sull'esame delle immagini estrapolate dalle telecamere di videosorveglianza installate nei luoghi frequentati da (OMISSIS), nelle ore che precedevano e seguivano l'omicidio di (OMISSIS), commesso il (OMISSIS), che consentivano di monitorare gli spostamenti dell'imputato e di individuarlo, fin dalla prima fase delle indagini preliminari, quale autore dei fatti di reato di cui ai capi A e B. Tale monitoraggio investigativo veniva eseguito, con il coordinamento della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Civitavecchia, dai militari della Compagnia dei Carabinieri di Civitavecchia, che, fin dal ritrovamento del cadavere di (OMISSIS), conducevano le indagini che portavano all'individuazione di (OMISSIS), quale autore dell'assassinio. Su queste attivita' investigative, nei giudizi di merito, venivano compiuta un'accurata istruttoria, che prendeva le mosse dall'escussione dei testi che avevano seguito le indagini, individuati in (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Questi elementi probatori, a loro volta, si ritenevano corroborati dalle testimonianze rese dai soggetti che conoscevano (OMISSIS) o lo avevano incontrato nelle ore che precedevano e seguivano l'omicidio di (OMISSIS). Tra queste testimonianze, nei giudizi di merito, si attribuiva peculiare rilievo probatorio alle dichiarazioni rese dai familiari della vittima - (OMISSIS) ed (OMISSIS), e dagli altri soggetti che avevano incontrato l'imputato nella giornata del (OMISSIS), individuati in (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Il compendio probatorio si riteneva ulteriormente corroborato dalle attivita' di captazione svolte nel corso delle indagini preliminari, che coinvolgevano i nuclei familiari dell'imputato e della persona offesa, che fornivano la conferma decisiva del coinvolgimento personale dell'imputato nell'omicidio di (OMISSIS). In questo, univoco, contesto probatorio, si riteneva che (OMISSIS), si era introdotto nell'abitazione di (OMISSIS) allo scopo di impadronirsi del denaro e degli oggetti preziosi custoditi dalla persona offesa. L'introduzione nell'abitazione della vittima avveniva grazie al fatto che i due soggetti si conoscevano, atteso che la madre dell'imputato, (OMISSIS), frequentava abitualmente la casa della persona offesa, con cui collaborava nello svolgimento delle faccende domestiche. Dopo essersi introdotto nell'abitazione della vittima, a causa della sua reazione inaspettata, l'imputato aggrediva la persona offesa, colpendola violentemente e provocandole le numerose lesioni personali che ne causavano il decesso. Nei giudizi di merito, inoltre, venivano svolte approfondite verifiche sulle condizioni di salute psichica di (OMISSIS), condotte, tra l'altro, dai consulenti tecnici di parte - il dottore (OMISSIS) e il professore (OMISSIS), che giungevano a conclusioni contrastanti - e dal perito nominato dalla Corte di assise di appello di Roma - il professore (OMISSIS) -, attraverso le quali si accertavano le condizioni di disagio psichico del ricorrente, ritenute rilevanti quale vizio parziale di mente, ai sensi dell'articolo 89 c.p. Attraverso tali verifiche psichiatriche e soprattutto di quella condotta nel processo di secondo grado dal professore (OMISSIS), che veniva integralmente condivisa dal Giudice di appello romano, si accertava che l'imputato era affetto da "un disturbo evitante di personalita' e da un disturbo paranoide di personalita'", aggravati dall'abuso di sostanze alcoliche e stupefacenti. I giudici di merito ritenevano, ulteriormente, che le condotte illecite di (OMISSIS), integravano una rapina aggravata dalla relazione di ospitalita' e dalla minorata difesa della vittima, dalla quale era derivata la commissione dell'omicidio, eseguito dall'imputato per assicurarsi l'impunita' dei suoi comportamenti locupletativi. Venivano, infine, esclusi gli elementi costitutivi dell'aggravante della premeditazione, mancando nel ricorrente la determinazione derivante da un progetto criminoso sedimentato nel tempo, finalizzato ad assassinare la vittima, essendo emerso che la persona offesa era stata uccisa sulla base di una decisione di natura estemporanea e non programmata preventivamente. Sulla scorta di questa ricostruzione degli accadimenti criminosi l'imputato (OMISSIS), veniva condannato alle pene di cui in premessa. 4. Avverso la sentenza di appello (OMISSIS), ricorreva per cassazione attraverso due distinti atti di impugnazione. 4.1. Con il primo atto di impugnazione, proposto dall'avvocato (OMISSIS), venivano articolati sei motivi di ricorso. Con il primo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che non consentivano di ricondurre l'assassinio di (OMISSIS) alla fattispecie dell'omicidio preterintenzionale ex articolo 584 c.p., la cui configurazione si imponeva alla luce della ricostruzione della sequenza degli accadimenti criminosi posta a fondamento delle decisioni di merito, che individuava, quale causa del decesso, l'aggressione perpetrata da (OMISSIS), nel corso della rapina commessa nell'abitazione della vittima. Con il secondo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, conseguenti al fatto che la decisione in esame, a fronte delle specifiche censure difensive, aveva applicato erroneamente il disposto dell'articolo 438 c.p.p., comma 6-ter, omettendo di considerare il vizio parziale di mente riconosciuto a (OMISSIS) ex articolo 89 c.p., che imponeva di tenere conto delle sue gravi condizioni di salute e di concedere la riduzione di pena invocata nel suo interesse. Con il terzo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame non dava esaustivo conto del trattamento sanzionatorio irrogato a (OMISSIS), che veniva censurato per la sua eccessivita' dosimetrica, che appariva disarmonica rispetto alle circostanze di tempo e di luogo in cui erano maturati gli accadimenti criminosi e alla condizione di disagio psichico dell'imputato, resa incontroversa dal riconoscimento del vizio parziale di mente ex articolo 89 c.p.; condizioni, queste, che imponevano la concessione delle attenuanti generiche in regime di prevalenza anziche' di equivalenza. Con il quarto motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano di ritenere (OMISSIS), parzialmente capace di intendere e di volere al momento dell'aggressione di (OMISSIS), a fronte delle emergenze processuali, corroborate dalle verifiche psichiatriche eseguite nei giudizi di merito, che avevano accertato il grave disagio psichico dell'imputato, legittimando il riconoscimento del vizio totale di mente. Con il quinto motivo, prospettato in stretta correlazione con la doglianza precedente, si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame non dava esaustivo conto delle ragioni che non consentivano di ritenere (OMISSIS), totalmente incapace di intendere e di volere al momento dell'uccisione di (OMISSIS), pur essendo incontroverso il suo stato di intossicazione cronica da sostanze alcoliche, stupefacenti e farmacologiche, dovuto allo stato di grave disagio psichico patito dall'imputato, per effetto del quale gli doveva essere riconosciuto il vizio totale di mente ex articolo 88 c.p.. Con il sesto motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto dell'applicazione a (OMISSIS), della misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa di cura e custodia, da eseguirsi presso una R.E.M.S., per un periodo di tre anni, la cui irrogazione appariva in contrasto con gli esiti delle verifiche psichiatriche eseguite nei suoi confronti - con particolare riferimento agli accertamenti condotti dal professore (OMISSIS) e dal professore (OMISSIS) -, che avevano evidenziato la sottoposizione del ricorrente a un lungo periodo di recupero trattamentale, trascurato dalla Corte di assise di appello di Roma. Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata. 4.2. Con il secondo atto di impugnazione, proposto dall'avvocato (OMISSIS), veniva articolato un unico motivo di ricorso. Con questa doglianza, prospettata in termini sovrapponibili al primo motivo del ricorso dell'avvocato (OMISSIS), si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che non consentivano di ricondurre l'assassinio di (OMISSIS) all'omicidio preterintenzionale, la cui configurazione si imponeva alla luce della sequenza dell'aggressione, cosi' come ricostruita dalle stesse decisioni di merito, che individuavano, quale causa del decesso, l'azione estemporanea e non premeditata che si verificava nel corso della rapina di cui al capo B. Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso proposto da (OMISSIS) veniva articolato in due distinti atti di impugnazione, che devono ritenersi infondati. 2. Occorre, innanzitutto, esaminare l'atto di impugnazione proposto dall'avvocato (OMISSIS), che veniva articolato in sei motivi di ricorso. 2.1. Deve ritenersi infondato il primo motivo, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che non consentivano di ricondurre l'assassinio di (OMISSIS) alla fattispecie dell'omicidio preterintenzionale, la cui configurazione si imponeva alla luce della ricostruzione della sequenza degli accadimenti criminosi posta a fondamento delle stesse decisioni di merito, che individuava, quale causa del decesso, l'aggressione perpetrata da (OMISSIS), nel corso della rapina commessa nell'abitazione della vittima. Osserva il Collegio che l'assunto processuale da cui muove la difesa del ricorrente - secondo cui le modalita' estemporanee e non premeditate con cui si era concretizzata l'aggressione mortale di (OMISSIS) in danno di (OMISSIS) non dimostravano l'esistenza di una volonta' omicida in capo all'imputato - e' smentito dalle emergenze probatorie, che, al contrario, impongono di ritenere pienamente condivisibile il percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello nell'escludere la configurazione dell'omicidio preterintenzionale invocato. Deve, invero, rilevarsi che l'assenza di univocita' dell'intento omicidiario perseguito dal ricorrente e dell'animus necandi indispensabile alla riqualificazione del reato di cui al capo A della rubrica ex articolo 584 c.p., risulta categoricamente smentita dagli esiti delle verifiche medico-legali condotte nel corso delle indagini preliminari dal dottore (OMISSIS), che, quale consulente tecnico del pubblico ministero, eseguiva l'ispezione cadaverica e l'autopsia sul corpo della persona offesa, ricostruendo la brutale sequenza omicida all'esito della quale veniva assassinata (OMISSIS), all'interno della sua abitazione, in termini tali da non consentire di ipotizzare l'accidentalita' del suo decesso. Si consideri, in proposito, che gli esiti delle verifiche tanatologiche condotte dal dottore (OMISSIS), consentivano di affermare che la sequenza criminosa, oggettivamente cruenta, all'esito della quale la vittima veniva uccisa, non permettevano di ipotizzare una mera accidentalita' dei numerosi colpi che le venivano sferrati da (OMISSIS). La furia omicida che aveva caratterizzato l'aggressione dell'imputato, del resto, e' dimostrata dal fatto che la forza aggressiva esercitata all'indirizzo della persona offesa le aveva causato fratture multiple al corpo, un'emorragia biparietale alla testa e un diffuso edema cerebrale, che ne avevano provocato il decesso immediato. Le conclusioni medico-legali alle quali giungeva il dottore (OMISSIS), dunque, consentivano alla Corte di assise di appello di Roma di trarre conferma delle modalita', come detto cruente, con cui si era sviluppata l'azione che aveva portato all'uccisione di (OMISSIS), che apparivano avvalorate dalle circostanze di tempo e di luogo che avevano dato origine alla sua aggressione da parte dell'imputato, nel corso della rapina commessa nell'abitazione della vittima. Da questo punto di vista, la diffusione delle aree corporee investite dall'azione di (OMISSIS), unitamente alla pluralita' delle fratture ossee e delle lesioni interne provocate alla vittima, costituiscono elementi sintomatici dell'univoca determinazione criminosa dell'imputato, che non consente di escludere l'animus necandi della sua condotta e che appare obiettivamente incompatibile con la possibilita' di un'aggressione estemporanea e occasionale, indispensabile per la configurazione dell'omicidio preterintenzionale, invocato dalla difesa del ricorrente ex articolo 584 c.p.. Occorre, dunque, ribadire che la ricostruzione della dinamica degli accadimenti omicidiari effettuata dalla Corte di assise di appello di Roma, in linea con le conclusioni alle quali era giunto il Giudice di primo grado, e' fondata su una valutazione ineccepibile del compendio probatorio, che la rendeva incompatibile con l'accidentalita' dell'azione mortale invocata dalla difesa di (OMISSIS) in funzione dell'applicazione della fattispecie dell'omicidio preterintenzionale di cui all'articolo 584 c.p.. Le emergenze probatorie, pertanto, impongono di escludere la possibilita' di ricondurre l'uccisione di (OMISSIS), alla fattispecie dell'omicidio preterintenzionale, invocata in contrasto con le risultanze processuali, che devono essere vagliate alla luce della giurisprudenza consolidata di questa Corte, che si conferma,. secondo cui: "L'elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale non e' costituito da dolo e responsabilita' oggettiva ne' dal dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all'articolo 43 c.p. assorbe la prevedibilita' di evento piu' grave nell'intenzione di risultato. Pertanto, la valutazione relativa alla prevedibilita' dell'evento da cui dipende l'esistenza del delitto "de quo" e' nella stessa legge, essendo assolutamente probabile che da una azione violenta contro una persona possa derivare la morte della stessa" (Sez. 5, n. 791 del 18/10/2012, dep. 2013, Palazzolo, Rv. 254386-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 5, n. 44986 del 21/09/2016, Mule', Rv. 268299-01; Sez. 5, n. 40389 del 17/05/2012, Perini, Rv. 253357-01). Queste conclusioni, del resto, si rendono necessarie alla luce della giurisprudenza di questa Corte, che, nel distinguere l'omicidio volontario dall'omicidio preterintenzionale, invocato dalla difesa del ricorrente, afferma: "Il criterio distintivo tra l'omicidio volontario e l'omicidio preterintenzionale risiede nell'elemento psicologico, nel senso che nell'ipotesi della preterintenzione la volonta' dell'agente e' diretta a percuotere o a ferire la vittima, con esclusione assoluta di ogni previsione dell'evento morte, mentre nell'omicidio volontario la volonta' dell'agente e' costituita dall-animus necandi", ossia dal dolo intenzionale, nelle gradazioni del dolo diretto o eventuale, il cui accertamento e' rimesso alla valutazione rigorosa di elementi oggettivi desunti dalle concrete modalita' della condotta" (Sez. 1, n. 35369 del 04/07/2007, Zheng, Rv. 237685-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 4425 del 05/12/2013, dep. 2014, Cutrufello, Rv. 259014-01; Sez. 1, n. 25239 del 20/05/2001, Milici, Rv. 219434-01). Queste ragioni impongono di ritenere inammissibile il primo motivo di ricorso. 2.2. Deve ritenersi infondato il secondo motivo di ricorso, con cui si si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, conseguenti al fatto che la decisione in esame, a fronte delle specifiche censure difensive, aveva applicato erroneamente il disposto dell'articolo 438 c.p.p., comma 6-ter, omettendo di considerare il vizio parziale di mente riconosciuto a Serdal (OMISSIS) ex articolo 89 c.p., che imponeva di tenere conto delle sue gravi condizioni di salute e di concedere la riduzione di pena invocata. Osserva il Collegio che l'assunto difensivo e' smentito dalle emergenze processuali, atteso che la Corte di assise di appello di Roma non concedeva a (OMISSIS) la diminuente di cui all'articolo 442 c.p.p., comma 2, sull'assunto processuale, ineccepibile, che il riconoscimento del vizio parziale di mente in favore dell'imputato, ai sensi dell'articolo 89 c.p., non comportava l'esclusione della condizione ostativa prevista dall'articolo 438, comma 1-bis, c.p.p.. Ne discende che, ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio irrogato a (OMISSIS), quantificato in diciannove anni di reclusione, non rilevava il riconoscimento del vizio parziale di mente in suo favore, che non faceva venire meno la condizione ostativa prevista dall'articolo 438, comma 1-bis, c.p.p., introdotto dall'articolo 1, comma 1, lettera a), L. n. 33 del 2019, che stabilisce: "Non e' ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo". Queste conclusioni, del resto, sono in linea con la recente sentenza della Corte costituzionale 6 ottobre 2022, n. 207, che dichiarava "non fondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'articolo 438, comma 1-bis c.p.p., come inserito dalla L. 12 aprile 2019, n. 33 articolo 1, comma 1, lettera a), (...), sollevate, in riferimento agli articoli 3, 27 e 32 Cost. (...)". Pertanto, l'esclusione della riduzione di pena richiesta in favore di (OMISSIS) appare pienamente rispettosa del combinato disposto articolo 89 c.p., articolo 438, comma 1-bis, 442 c.p.p., comma 2, che non consentiva la mitigazione sanzionatoria invocata. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'infondatezza del secondo motivo di ricorso. 2.3. Deve ritenersi inammissibile il terzo motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto del trattamento sanzionatorio irrogato a (OMISSIS), che veniva censurato per la sua eccessivita' dosimetrica, che appariva disarmonica rispetto alle circostanze di tempo e di luogo nelle quali erano maturati gli accadimenti criminosi e alla condizione di disagio psichico dell'imputato, resa evidente dal riconoscimento del vizio parziale di mente ex articolo 89 c.p. Ne conseguiva che la peculiarita' delle condizioni di salute dell'imputato imponeva la concessione delle circostanze attenuanti generiche, pur riconosciute in favore dell'imputato, in regime di prevalenza anziche' di equivalenza. Osserva il Collegio che il trattamento sanzionatorio irrogato a (OMISSIS) risulta suffragato dalla ricostruzione compiuta dalla Corte di assise di appello di Roma, che si soffermava correttamente sulle connotazioni, oggettive e soggettive, dei reati contestati al ricorrente ai capi A e B, escludendo, sulla base di un giudizio dosimetrico ineccepibile, che fosse possibile attenuare la pena nella direzione invocata, tenuto conto della brutalita' dell'aggressione posta in essere in danno di (OMISSIS), con le modalita' su cui ci si e' soffermati nel paragrafo 2, cui si deve rinviare. Queste conclusioni, dunque, traevano origine da una verifica ineccepibile degli accadimenti criminosi, che teneva conto dell'elevato disvalore della vicenda criminosa e delle modalita', obiettivamente cruente, con cui le condotte illecite contestate ai capi A e B venivano commesse da (OMISSIS) in danno della persona offesa. Non e', pertanto, possibile censurare il percorso dosimetrico compiuto nella sentenza impugnata, tenuto conto dei parametri previsti dall'articolo 133 c.p., anche alla luce del fatto che la pena irrogata all'imputata era sensibilmente ridotto, nel giudizio di appello - venendo rideterminata in diciannove di reclusione -, sulla scorta di una rivalutazione complessiva del disvalore delle condotte illecite di (OMISSIS), rispettosa dei criteri di proporzionalita' e di adeguatezza del trattamento sanzionatorio. In questa, incontroversa, cornice, si consideri ulteriormente che il giudizio di comparazione circostanziale e' censurabile in sede di legittimita' solo laddove costituisca il risultato di un arbitrio dosimetrico o di un ragionamento illogico e non anche quando la soluzione adottata rappresenti l'espressione del potere discrezionale del giudice di merito, atteso che, come da ultimo ribadito da questa Corte, le statuizioni "relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita' qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione (...)" (Sez. 2, n. 31543 dell'08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450-01). Questo orientamento ermeneutico, del resto, si inserisce nel solco di un filone giurisprudenziale consolidato e risalente nel tempo, che e' possibile esplicitare richiamando l'arresto delle Sezioni Unite secondo cui: "Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita' qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la piu' idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto" (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931-01). Queste ragioni impongono di ribadire l'inammissibilita' del terzo motivo di ricorso. 2.4. Deve ritenersi infondato il quarto motivo di ricorso, con cui si si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano di ritenere Serdal (OMISSIS) parzialmente capace di intendere e di volere al momento dell'uccisione di (OMISSIS), a fronte delle emergenze processuali, corroborate dalle verifiche psichiatriche eseguite nei giudizi di merito, che avevano accertato il grave disagio psichico dell'imputato, legittimando il riconoscimento del vizio totale di mente. Osserva il Collegio che l'inquadramento delle questioni ermeneutiche sottese a questa doglianza impone il richiamo preliminare dell'orientamento ermeneutico affermatosi in seno alle Sezioni Unite nell'ultimo ventennio, che non ritiene l'imputabilita' una mera condizione psichica indispensabile per attribuire un reato all'agente, ma l'espressione della capacita' penale dell'imputato complessivamente valutabile alla luce del suo comportamento, nella convinzione che non puo' esservi colpevolezza senza piena consapevolezza delle proprie azioni delittuose. L'imputabilita', infatti, come evidenziato dalle Sezioni Unite, e' la condizione soggettiva indispensabile per affermare la responsabilita' penale dell'agente e presuppone l'accertamento di una condizione di rimproverabilita' verificabile processualmente, in relazione alla quale il percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello di Roma per giungere al riconoscimento del vizio parziale di mente in favore di (OMISSIS), ai sensi dell'articolo 89 c.p., deve ritenersi ineccepibile (Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, Rv. 230317-01). Attraverso questo percorso ermeneutico, che affonda le sue radici nella giurisprudenza di legittimita' affermatasi negli anni Ottanta del secolo precedente (Sez. 1, n. 4103 del 24/02/1986, Ragno, Rv. 172790-01), le Sezioni Unite ritenevano definitivamente superata la nozione tradizionale di infermita' mentale, reputandola una situazione di grave disagio psichico, che induce il soggetto in una condizione di alterazione di intensita' tale da fare escludere la sua capacita' di intendere e di volere o da farla scemare grandemente (Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, cit.). In questa prospettiva, non e' tanto la condizione di infermita' del soggetto attivo del reato a rilevare sul piano dell'accertamento giurisdizionale, quanto, piuttosto, lo stato di disagio mentale dell'individuo singolarmente inteso, che deve essere tale da incidere negativamente sulla capacita' di intendere e di volere dell'imputato (Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, cit.), la quale, a sua volta, deve essere intesa come la liberta' di autodeterminazione dell'agente, collegata eziologicamente alla condotta delittuosa oggetto di vaglio (Sez. 1, n. 35842 del 16/04/2019, Mazzeo, Rv. 276616-01; Sez. 1, n. 17853 del 17/02/2009, Broccatelli, Rv. 244538-01; Sez. 5, n. 8282 del 09/02/2006, Scarpinato, Rv. 233228-01). Ne discende che, prima di valutare la condizione di imputabilita' del soggetto attivo del reato, occorre individuare preliminarmente i "requisiti bio-psicologici che facciano ritenere che il soggetto sia in grado di comprendere e recepire il contenuto del messaggio normativo connesso alla previsione della sanzione punitiva"; ed e' solo sulla base di questa preliminare e indispensabile ricognizione nosografica che il giudice potra' provvedere all'individuazione delle "condizioni di rilevanza giuridica dei dati forniti dalle scienze empirico-sociali" sulle quali fondare le sue determinazioni processuali (Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, cit.). Tali conclusioni valgono a maggior ragione nelle ipotesi in cui viene riconosciuto il vizio parziale di mente dell'imputato, come nel caso di (OMISSIS), in ragione del fatto che, in questi casi, l'esistenza di una capacita' penale, sia pure residuale, rende indispensabile l'accertamento della ricorrenza degli elementi essenziali e circostanziali della fattispecie contestata, eseguito attraverso la verifica delle modalita' concrete di estrinsecazione del reato, valutate in correlazione alla condizione di disagio psichico dell'agente. 2.4.1. Tenuto conto di questi parametri ermeneutici, la motivazione della sentenza impugnata, in ordine alla verifica dell'imputabilita' di (OMISSIS) e all'elemento soggettivo dei reati ascrittigli ai capi A e B deve essere ritenuta congrua ed esente da discrasie motivazionali, fondandosi su una disamina ponderata degli elementi probatori acquisiti nel corso delle indagini preliminari e sull'assenza di dati nosografici dai quali desumere l'esistenza di condizioni patologiche tali prefigurare un'infermita' psichica rilevante ex articolo 88 c.p., modificando il giudizio posto a fondamento della sentenza di appello. La Corte di assise di appello di Roma, invero, escludeva correttamente che dalle verifiche peritali condotte dal professore (OMISSIS) - che era stato nominato nel giudizio di secondo grado per dirimere i contrasti maturati tra i consulenti tecnici di parte, il dottore (OMISSIS) e il professore (OMISSIS), - e dalla documentazione clinica acquisita al fascicolo del dibattimento, emergesse un disturbo della personalita' di gravita' tale da fare ritenere l'imputato totalmente incapace di intendere e di volere al momento della commissione del fatto ex articolo 88 c.p. Il percorso processuale attraverso cui si perveniva alla nomina del professor (OMISSIS), peraltro, appare esemplare, atteso che, nel giudizio di secondo grado, attesi i contrasti tra gli autorevoli consulenti tecnici di parte, induceva il Giudice di appello di Roma a compiere una verifica suppletiva sulle condizioni di salute psichicha di (OMISSIS), nominando un clinico noto nella comunita' scientifica internazionale. Si procedeva, in questo modo, nel rispetto della previsione dell'articolo 603 c.p.p., che consente al giudice, nel caso in cui la situazione processuale presenti effettivamente un significato incerto, di disporre ulteriori verifiche, sull'assunto che l'incombente espletato - probatorio o peritale - possa apportare un contributo considerevole e utile al processo, risolvendo i dubbi e consentendo una ricostruzione corretta degli accadimenti criminosi, sia sotto il profilo dell'elemento oggettivo sia il profilo dell'elemento soggettivo (Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013, dep. 09/05/2013, Ferrara, Rv. 256228-01; Sez. 3, n. 35372 del 23/05/2007, Panozzo, Rv. 237410-01; Sez. 3, n. 21687 del 07/04/2004, Novarese, Rv. 228920-01). Non puo', pertanto, non rilevarsi che sulla base delle verifiche psichiatriche condotte al professore Siani, che venivano integralmente recepite dal Giudice di appello romano, si accertava che l'imputato era affetto da "un disturbo evitante di personalita' e da un disturbo paranoide di personalita'", che non consentivano di ritenerlo pienamente capace di intendere e di volere al momento dell'uccisione di (OMISSIS). La condizione di grave disagio psichico di (OMISSIS), inoltre, era aggravata dall'abuso di sostanze alcoliche, stupefacenti e farmacologiche, reiterato nel tempo, che, pur scemando significativamente la capacita' di intendere e di volere dell'imputato, non poteva ritenersi idonea a configurare il vizio totale di mente previsto dall'articolo 88 c.p.. Veniva, quindi, esclusa la ricorrenza di una condizione di disagio psichico in capo a (OMISSIS), di intensita' e gravita' tali da elidere la sua capacita' di intendere e volere, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimita', richiamata attraverso la confutazione delle deduzioni difensive, a loro volta supportate dalle conclusioni del professore (OMISSIS), che, pur pregevoli, venivano riproposte in sede di legittimita' senza alcun confronto, scientifico e processuale, con le conclusioni peritali rassegnate dal professore (OMISSIS), su cui si fondava la ricostruzione della condizione nosografica del ricorrente effettuata dalla Corte di assise di appello di Roma, nel rispetto dei parametri ermeneutici richiamati nel paragrafo 4, cui si rinvia. Questi elementi di giudizio non lasciavano spazio a dubbi di sorta in ordine all'atteggiamento psichico assunto dall'imputato (OMISSIS) nel momento in cui aggrediva (OMISSIS), tenuto conto dei dati bio-psicologici di cui la Corte territoriale romana disponeva nel caso in esame, che nella sentenza impugnata venivano correttamente correlati alle conclusioni peritali del professore (OMISSIS), alla luce dei quali si evidenziava l'inconsistenza nosografica delle deduzioni difensive sull'assenza della capacita' di intende're e di volere dell'imputato, che imponeva di ribadire la correttezza dell'inquadramento del disturbo psichico del ricorrente ex articolo 89 c.p.. 2.4.2. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'infondatezza del quarto motivo di ricorso. 2.5. Dall'infondatezza del quarto motivo discende l'infondatezza della quinto motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame non dava esaustivo conto delle ragioni che non consentivano di ritenere (OMISSIS) totalmente incapace di intendere e di volere al momento dell'uccisione di (OMISSIS), pur essendo incontroverso il suo stato di intossicazione cronica da sostanze alcoliche, stupefacenti e farmacologiche, dovuto allo stato di grave disagio psichico dell'imputato, per effetto del quale gli doveva essere riconosciuto il vizio totale di mente ex articolo 88 c.p.. Non puo', in proposito, non ribadirsi, in linea con quanto si e' affermato nel paragrafo 2.4, cui si rinvia, che gli elementi acquisiti nei giudizi di merito, corroborati dagli esiti delle verifiche peritali condotte dal professore (OMISSIS), non lasciavano spazio a dubbi di sorta in ordine all'atteggiamento psichico assunto dall'imputato (OMISSIS) nel momento in cui aggrediva mortalmente (OMISSIS). Ne' e' possibile ritenere che le verifiche peritali compiute dal professore (OMISSIS) ex articolo 603 c.p. avessero trascurato la commistione tra i disturbi psichici dell'imputato e l'abuso di sostanze alcoliche, stupefacenti e farmacologiche, atteso che il perito affermava conclusivamente che il ricorrente era affetto da "un disturbo evitante di personalita' e da un disturbo paranoide di personalita'", aggravato dall'abuso di sostanze alcoliche e stupefacenti, che, pur reiterato nel tempo, non determinava una condizione di cronicita' dell'utilizzo di tali sostanze. Ne' sussistevano elementi da cui desumere che l'abuso di sostanze alcoliche e stupefacenti aveva determinato, in capo a (OMISSIS), una condizione irreversibile o comunque strutturale del disagio psichico, determinante per configurare una condizione di assenza di imputabilita' dell'imputato. Non v'e' dubbio, infatti, che per ritenere esclusa o anche solo diminuita l'imputabilita' dell'agente, l'intossicazione da sostanze alcoliche o stupefacenti deve essere caratterizzata da permanenza e irreversibilita', che sono da condizioni psichiche strutturali, che permangono indipendentemente dal rinnovarsi dell'assunzione delle sostanze adulteranti e che devono essere valutate con riferimento al momento in cui il fatto di reato e' stato commesso. Non si puo', in proposito, non richiamarsi la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui: "L'intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti puo' influire sulla capacita' di intendere e di volere soltanto qualora, per il suo carattere ineliminabile e per l'impossibilita' di guarigione, provochi alterazioni psicologiche permanenti configurabili quale vera e propria malattia, dovendo escludersi dal vizio di mente di cui agli articoli 88 e 89 c.p. anomalie non conseguenti ad uno stato patologico" (Sez. 6, n. 47078 del 24/10/2013, R., Rv. 257333-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 6, n. 25252 del 03/05/2018, B., Rv. 273389-01; Sez. 2, n. 44337 del 15/10/2013, C., Rv. 257521-01). Ne discende che, tenuto conto dei dati clinici acquisiti e delle conclusioni del professore (OMISSIS), la Corte di assise di appello di Roma riteneva che l'imputato, al momento del fatto, fosse solo parzialmente incapace di intendere e di volere, con la conseguente correttezza dell'inquadramento nosografico del disturbo psichico che lo affliggeva ai sensi dell'articolo 89 c.p.. Queste ragioni impongono di ritenere infondato il quinto motivo di ricorso. 2.6. Analogo giudizio di infondatezza deve essere espresso per il sesto motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame non dava esaustivo conto dell'applicazione a (OMISSIS) della misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa di cura e custodia, da eseguirsi presso una R.E.M.S., per un periodo di tre anni, la cui irrogazione appariva in contrasto con gli esiti delle verifiche psichiatriche eseguite nei suoi confronti - con particolare riferimento agli accertamenti condotti dal professore (OMISSIS) e dal professore (OMISSIS), che avevano evidenziato la sottoposizione del ricorrente a un lungo periodo di recupero trattamentale, trascurato dalla Corte di assise di appello di Roma. Non puo', in proposito, non ribadirsi, in linea con quanto si e' affermato nei paragrafi 2.4, 2.4.1 e 2.5, cui si deve rinviare, che gli elementi acquisiti nei giudizi di merito, corroborati dagli esiti delle verifiche peritali condotte dal professore (OMISSIS), non lasciavano spazio a dubbi di sorta in ordine all'atteggiamento psichico assunto da (OMISSIS) nel momento in cui aggrediva mortalmente (OMISSIS) e allo stato di disagio psichico in cui lo stesso versava; condizioni, queste, che imponevano di ritenere corretta l'applicazione della misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa di cura e custodia, da eseguirsi presso una R.E.M.S., per un periodo di tre anni. La Corte di assise di appello di Roma, invero, sulla scorta di una valutazione ineccepibile delle emergenze processuali, riteneva opportuna l'applicazione a (OMISSIS) della misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa di cura e custodia, eseguibile presso una R.E.M.S., sulla base di una verifica congrua sull'infermita' psichica del ricorrente e sulla sua pericolosita' sociale, eminentemente incentrata sugli accertamenti peritali svolti ex articolo 603 c.p.p., su cui ci si e' soffermati nel paragrafo 2.4.1, cui si deve rinviare ulteriormente. Pertanto, le emergenze processuali smentiscono le deduzioni difensive sull'incongruita' del percorso valutativo attraverso cui si era pervenuti all'applicazione della misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa di cura e custodia, dovendosi ribadire che il trattamento sanzionatorio e' pienamente rispettoso degli esiti delle verifiche psichiatriche eseguite nei confronti di (OMISSIS), che davano conto sia della sua storia clinica - esaminata alla luce della documentazione medica acquisita agli atti, attraverso i medici curanti del ricorrente -, sia delle attivita' di recupero terapeutico, effettuate dopo l'arresto dell'imputato. Queste ragioni impongono di ribadire l'infondatezza del sesto motivo di ricorso. 2.7. Le considerazioni esposte nei paragrafi precedenti impongono di ritenere infondato l'atto di impugnazione proposto dall'avvocato (OMISSIS) nell'interesse dell'imputato (OMISSIS). 3. Analogo giudizio di infondatezza deve essere espresso per l'atto di impugnazione proposto dall'avvocato (OMISSIS), articolato in un unico motivo di ricorso. Con tale doglianza, prospettata in termini sovrapponibili al primo motivo del ricorso dell'avvocato (OMISSIS), si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che non consentivano di ricondurre l'assassinio di (OMISSIS) all'omicidio preterintenzionale, la cui configurazione si imponeva alla luce della sequenza dell'aggressione, cosi' come ricostruita dalle stesse sentenze di merito, che individuavano, quale causa del decesso, l'azione estemporanea e non premeditata che si verificava nel corso della rapina di cui al capo B. Si tratta, come detto, di una doglianza che, relativamente all'impossibilita' di configurare l'assassinio di (OMISSIS) quale omicidio preterintenzionale, ex articolo 584 c.p., veniva proposta in termini assimilabili a quelli vagliati nel paragrafo 2.1, in cui si e' passato in rassegna il primo motivo del ricorso proposto dall'avvocato (OMISSIS). Occorre, pertanto, rinviare al paragrafo 2.1 di questa sentenza per la compiuta ricognizione delle doglianze che vi sono sottese, senza che occorra soffermarsi ulteriormente sulle ragioni che ne impongono il respingimento, essendo sufficiente richiamare la giurisprudenza di legittimita' citata in tale ambito, sia in relazione alla configurazione dell'omicidio preterintenzionale (Sez. 5, n. 44986 del 21/09/2016, Mule', cit.; Sez. 5, n. 791 del 18/10/2012, dep. 2013, Palazzolo, cit.; Sez. 5, n. 40389 del 17/05/2012, Perini, cit.) sia in relazione alla differenziazione tra la fattispecie in esame e l'omicidio volontario (Sez. 1, n. 4425 del 05/12/2013, dep. 2014, Cutrufello, cit.; Sez. 1, n. 25239 del 20/05/2001, Milici, cit.; Sez. 1, n. 35369 del 04/07/2007, Zheng, cit.). Queste ragioni impongono di ritenere infondato l'atto di impugnazione proposto dall'avvocato (OMISSIS) nell'interesse dell'imputato (OMISSIS). 4. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'infondatezza del ricorso proposto dall'imputato (OMISSIS), con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Consegue, infine, a tali statuizioni la condanna dell'imputato (OMISSIS) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS) ed (OMISSIS), che si liquidano in complessivi 4.000,00 Euro, oltre accessori di legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. BELMONTE Maria Teresa - Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. BORRELLI Paola - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 06/12/2021 della CORTE APPELLO di CATANZARO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; udito il Sostituto Procuratore Generale PASQUALE SERRAO D'AQUINO che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'Appello di Catanzaro, con la sentenza impugnata, ha confermato la decisione del Tribunale di Cosenza del 30.4.2018, con cui (OMISSIS) e' stato condannato alla pena di 7.200 Euro di multa, per alcune condotte di diffamazione, unificate dal vincolo della continuazione criminosa, commesse ai danni dei legali rappresentanti della societa' (OMISSIS) s.r.l. tramite la pubblicazione di scritti sulla sua pagina di profilo Facebook, che evocavano rapporti tra la ditta e "una serie di affiliati al clan (OMISSIS)", nonche' nei confronti del sindaco della citta' di Cosenza, accusato di essere stato appoggiato dal clan e di guidare, oggi, un comune "inginocchiato" alle esigenze di tale azienda e dei suoi referenti mafiosi. 2. Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo un unico motivo con cui evidenzia violazione di legge, avuto riguardo alla dichiarazione di assenza nei suoi confronti, emessa con ordinanza del 25.9.2017 dal giudice di primo grado, che ha ritenuto sufficiente la compiuta giacenza perfezionatasi all'indirizzo di residenza della notifica del decreto di citazione a giudizio e dell'ultimo verbale di udienza, ritenendo garantita l'effettiva conoscenza del processo dall'unica notifica effettivamente ricevuta a mani proprie dall'imputato nel procedimento: quella dell'avviso ex articolo 415-bis c.p.p.. La difesa rappresenta l'erroneita' di tale presupposto di conoscenza del processo, rappresentando che sulla cartolina di ritorno della notifica del decreto di citazione a giudizio, che non reca il nome della via o del numero civico, non risulta alcun CAD, ovvero l'attestazione del servizio postale da cui emerga che il ricorrente non si e' recato a ritirare il plico a lui diretto, sicche' e' attestata solo la spedizione del plico stesso. Insiste, altresi', sul fatto che nell'avviso non vi sia traccia del necessario avvertimento che, non comparendo nel giudizio, l'imputato sara' giudicato in assenza. 3. Il Sostituto Procuratore Generale Pasquale Serrao d'Aquino ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso, insistendo sulla valenza di conoscenza effettiva tratta dalla notifica a mani proprie dell'avviso di conclusione delle indagini ex articolo 415-bis c.p.p.. 3.1. Il difensore dell'imputato ha depositato conclusioni scritte con le quali contesta le conclusioni del PG presso la Cassazione, rifacendosi all'orientamento dettato dalla sentenza Sez. 6, n. 43140 del 19/9/2019, Shimi, Rv. 277210 (allegando anche una sentenza di assoluzione in favore dell'imputato, per fatti analoghi, non ancora passata in giudicato). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato. 2. Le Sezioni Unite hanno affermato, in una fattispecie di restituzione nel termine per impugnare ex articolo 175 c.p.p., ma con principio dalla valenza generale, che l'effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all'accusa contenuta in un provvedimento formale di "vocatio in iudicium" sicche' tale non puo' ritenersi la conoscenza dell'accusa contenuta nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, fermo restando che l'imputato non deve avere rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione oppure non deve essersi deliberatamente sottratto a tale conoscenza (Sez. U, n. 28912 del 28/2/2019, Innaro, Rv. 275716). Successivamente, si e' precisato che, in tema di rescissione del giudicato, l'incolpevole mancata conoscenza del processo non e' esclusa ne' dalla notifica all'imputato dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, dovendo tale conoscenza essere riferita all'accusa contenuta in un provvedimento formale di "vocatio in iudicium", ne' dalla notifica a persona diversa dall'imputato, ma con esso convivente, del decreto di citazione a giudizio, non incidendo il sistema di conoscenza legale in base a notifiche regolari sulla conoscenza effettiva del processo (Sez. 6, n. 43140 del 19/9/2019, Shimi, Rv. 277210). Deve, pertanto, rilevarsi la nullita' della dichiarazione di assenza dell'imputato, perche' carente sotto il profilo della verifica del necessario presupposto dell'accertamento della conoscenza del processo o della colpevole volontaria sottrazione a detta conoscenza da parte dell'imputato; ed infatti, la dichiarazione di assenza nei suoi confronti, emessa con ordinanza del 25.9.2017 dal giudice di primo grado, e' stata pronunciata ritenuta sufficiente la compiuta giacenza perfezionatasi all'indirizzo di residenza della notifica del decreto di citazione a giudizio e dell'ultimo verbale di udienza, senza che vi sia la prova della effettiva ricezione da parte del ricorrente di tali atti o quantomeno del processo. Viceversa, si e' creduto di desumere l'effettiva conoscenza del processo dall'unica notifica effettivamente ricevuta a mani proprie dall'imputato nel procedimento: quella dell'avviso ex articolo 415-bis c.p.p.: tale prospettiva si pone in contrasto con le affermazioni nomofilattiche delle Sezioni Unite, che si sono confrontate con la giurisprudenza della Corte EDU, ricavando il principio gia' enunciato e la regola che l'effettiva conoscenza del processo puo' essere garantita soltanto dalla notifica effettiva di un atto di vocatio in ius, e non di un atto prodromico, quale e' l'avviso di conclusione delle indagini preliminari. Nel caso di specie, risulta che la cartolina di ritorno della notifica del decreto di citazione a giudizio (che non reca il nome della via o del numero civico) sia stata notificata per compiuta giacenza, senza che risulti la prova CAD (comunicazione di avvenuto deposito), sicche' e' attestata solo la spedizione del plico stesso ma non la sua ricezione. Ebbene, secondo l'orientamento giurisprudenziale da preferirsi, in tema di notificazioni a mezzo posta, la notifica dell'atto rifiutato dal destinatario o non consegnato per la sua temporanea assenza o per l'assenza o l'inidoneita' di altre persone legittimate a riceverlo, non si perfeziona con la spedizione della raccomandata contenente la comunicazione dell'avvenuto deposito dell'atto presso l'ufficio postale, ma solo con la sua ricezione da parte del destinatario (cfr., Sez. 5, n. 21492 del 8/3/2022, Diaz, Rv. 283429; Sez. 2, n. 13900 del 05/02/2016, Firenze, Rv. 266718; Sez. 2, Sentenza n. 24807 del 04/04/2019, Lupica, Rv. 276968; Sez. 3, Sentenza n. 36330 del 30/06/2021, Schweiggl, Rv. 281947). Principio questo che ha ricevuto l'autorevole avvallo delle Sezioni Unite civili, che hanno affermato come, qualora l'atto notificando non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo ovvero per temporanea assenza del destinatario stesso ovvero per assenza/inidoneita' di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento della procedura notificatoria puo' essere data dal notificante esclusivamente mediante la produzione giudiziale dell'avviso di ricevimento della raccomandata che comunica l'avvenuto deposito dell'atto notificando presso l'ufficio postale (c.d. CAD), non essendo a tal fine sufficiente la prova dell'avvenuta spedizione della raccomandata medesima (Sez. U civ., n. 10012 del 15/04/2021, Rv. 660953). Il Collegio intendere recepire e dare seguito a tale ultimo orientamento, condividendone i fondamenti. Infatti, la mera spedizione dell'avviso non e' di per se' modalita' idonea ad informare l'imputato del deposito dell'atto (e dunque della possibilita' di prenderne effettiva conoscenza ritirandolo presso l'ufficio postale) se alla stessa non segue la ricezione dello stesso avviso da parte sua. 2.1. Ne consegue l'annullamento delle sentenze di primo e secondo grado ai sensi dell'articolo 623 c.p.p., comma 1, lettera b), che richiama l'articolo 604 c.p.p., comma 5-bis, che a sua volta prevede nel caso di inosservanza delle disposizioni di cui all'articolo 420-quater, che il giudice dell'appello dichiari la nullita' della sentenza con trasmissione degli atti al giudice di primo grado. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale di Cosenza per l'ulteriore corso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. BORRELLI Paola - Consigliere Dott. SGUBBI Vincenzo - Consigliere Dott. CUOCO Michele - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 9 settembre 2022, del Tribunale di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere MICHELE CUOCO; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale KATE TASSONE, che ha chiesto rigettarsi il ricorso; letta la memoria deposita il 16 marzo 2022, dall'avv. (OMISSIS), nell'interesse del ricorrente; letta la memoria depositata il 20 marzo 2023, dall'avv. (OMISSIS), nell'interesse del ricorrente; letti i motivi aggiunti depositati il 22 marzo 2023, dall'avv. (OMISSIS), nell'interesse del ricorrente. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 7 settembre 2022, il Tribunale del Riesame di Roma confermava l'ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di Velletri, che aveva applicato, a (OMISSIS), la misura cautelare dell'obbligo di dimora nel comune di residenza, ritenendo sussistenti, a carico del predetto, quale coamministratore di fatto della (OMISSIS) s.r.l. (successivamente dichiarata fallita), gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati di omessa presentazione della dichiarazione IVA (con evasione di 2.331.934,91 Euro) e di bancarotta fraudolenta documentale, nonche' le esigenze cautelari di cui alla lettera c) dell'articolo 274 del codice di procedura penale. 2. Avverso tale provvedimento, ricorre per cassazione il (OMISSIS), formulando quattro motivi di censura, ai quali se ne sono aggiunti ulteriori tre, successivamente formulati a mezzo di autonoma memoria. 2.1. Con il primo, il ricorrente denuncia inosservanza di norma processuale, in relazione agli articoli 309, commi 5 e 10, c.p.p., in ragione del deposito dell'ordinanza impugnata oltre il termine perentorio di dieci giorni di cui all'articolo 309, comma 9, c.p.p., decorrenti, in ipotesi, dal 27 agosto 2022, data in cui gli atti sono pervenuti al Tribunale, con conseguente inefficacia dell'ordinanza genetica. 2.2. Con il secondo, si denuncia violazione di legge ed inosservanza di norma processuale, in relazione agli articoli 125, 292 e 309 c.p.p., nella parte in cui, secondo la difesa, il Tribunale del riesame avrebbe erroneamente ritenuto sufficientemente motivata l'ordinanza genetica, senza considerare, si sostiene, l'assenza di un'autonoma valutazione degli elementi giustificativi della misura con specifico riferimento alla posizione del ricorrente. E cio' sia sotto il profilo della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, sia sotto quello dell'attualita' delle ritenute esigenze cautelari. 2.3. Con il terzo, si deducono plurime violazione di legge e vizi di motivazione, che, secondo la prospettazione difensiva, inciderebbero sulla tenuta logica e giuridica della decisione impugnata. Secondo la difesa, infatti, il Tribunale avrebbe attribuito valore indiziario ad elementi del tutto neutri (i tempi e le modalita' dei contatti tra il ricorrente e la (OMISSIS); le garanzie offerte in ordine alla bonta' dell'operazione; le indicazioni fornite circa quelli che dovevano essere i soggetti partecipanti all'operazione) o essi stessi presuntivi (essendo le celle vicine, i predetti soggetti, trovandosi nello stesso luogo, si sarebbero incontrati); sarebbe poi caduta in un evidente errore percettivo (rappresentato dal fatto, ritenuto dal Tribunale ma, documentalmente, non rispondente al vero, che la (OMISSIS) s.r.l., del quale il ricorrente e' amministratore, fosse stata amministratrice della (OMISSIS) dal 2012 al 2015) ed avrebbe ritenuto di poter fondare la responsabilita' del ricorrente sulla sua eventuale partecipazione a titolo di concorso esterno nel reato proprio, pur a fronte di una chiara imputazione quale coamministratore di fatto della medesima societa'. E con cio' modificando radicalmente il fatto contestato. 2.4. Con il quarto motivo, in ultimo, si deduce la violazione dell'articolo 274, lettera c), c.p.p., nella parte in cui il Tribunale, per giustificare l'esistenza di un attuale pericolo di reiterazione dei reati, avrebbe utilizzato elementi del tutto inidonei e privi di forza inferenziale. Tanto piu' alla luce del significativo distacco temporale esistente tra l'ipotizzata commissione dei reati (2019) e l'applicazione della misura (2022). 3. La difesa del ricorrente ha poi formulato, con autonoma memoria (depositata il 22 marzo 2023), ulteriori tre motivi di censura. 3.1. Con il primo si deduce l'assenza di elementi idonei dai quali dedurre l'attribuzione (in fatto), in capo al ricorrente, delle ipotizzate funzioni gestorie e la sua intraneita' rispetto alla vicenda. In senso contrario a quello ipotizzato dal Tribunale, deporrebbero, infatti, numerosi elementi, essi stessi significativi della sostanziale estraneita' del (OMISSIS) rispetto alla gestione societaria della (OMISSIS) (la circostanza per cui il ricorrente sarebbe "entrato" nella vicenda solo dopo quella rivoluzione societaria che avrebbe poi dato il via ai controlli tributari; l'assenza di contatti con il suo ritenuto coamministratore - (OMISSIS) - o con la (OMISSIS), diretta dipendente di quest'ultimo; l'irragionevole coinvolgimento dei suoi maggiori clienti; l'assoluta estraneita' del ricorrente rispetto a tutti gli altri soggetti che sono intervenuti nella complessa operazione economica). 3.2. Con il secondo motivo, formulato in termini parzialmente sovrapponibili al primo, si deduce, sotto il profilo del vizio di motivazione, l'assoluta inidoneita' degli elementi utilizzati dal Tribunale, radicalmente privi di valenza indiziaria: i contatti telefonici con la (OMISSIS) o con i suoi rappresentanti - (OMISSIS) e (OMISSIS) - o con lo spedizioniere (del tutto neutri); le celle agganciate nel corso delle telefonate (giustificabili in ragione della medesima collocazione geografica dei luoghi frequentati), le garanzie offerte in ordine al buon esito delle operazioni (perfettamente coerenti con il ruolo svolto); il ritorno economico (legittimamente conseguente alla stipula della transazione). 3.3. Il terzo, formulato sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, censura in ultimo l'ipotizzata sussistenza delle esigenze cautelari, irragionevolmente ritenute nonostante l'assoluta incensuratezza del ricorrente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorrente deduce, con il primo motivo, la sopravvenuta inefficacia dell'ordinanza genetica in ragione della ritenuta violazione del termine di dieci giorni, di cui all'articolo 309, comma 9, del codice di rito. La deduzione e' infondata. Questa Corte ha gia' avuto modo di affermare, in diverse occasioni, che il termine di dieci giorni entro cui deve intervenire la decisione sulla richiesta di riesame decorre, nel caso in cui il dies a quo ricada in periodo di sospensione feriale, dal primo giorno utile successivo alla scadenza di tale periodo e che la parte che non intende avvalersi della sospensione dei termini feriali, deve dichiararlo espressamente, non essendo sufficiente, a tal fine, la mera presentazione della relativa istanza (Sez. 3, n. 4903 del 12/1/2010, Rv. 266024; da ultimo Sez. 5, n. 28671 del 1/3/2016, Rv. 267370). Cio' premesso, l'istanza di riesame risulta depositata il 25 agosto 2002, gli atti pervenuti al Tribunale distrettuale il 27 agosto successivo e il dispositivo della successiva ordinanza depositato il 9 settembre. Quindi, alla luce di quanto in precedenza osservato, nel termine dei dieci giorni (decorrenti dal 1 settembre 2022) di cui al richiamato articolo 309. 2. Il secondo motivo, invece, e' fondato e assorbe gli altri. Il ricorrente, per come si e' detto, ha censurato l'ordinanza impugnata, deducendo che il Tribunale non avrebbe correttamente rilevato la violazione degli articoli 125, 273 e 292 c.p.p. e la conseguente nullita' dell'ordinanza applicativa per difetto di autonoma valutazione e carenza assoluta di motivazione, non emendabile, atteso che, in ipotesi, l'ordinanza impugnata si sarebbe limitata a richiamare le risultanze delle indagini della Guardia di Finanza di (OMISSIS) e la richiesta del Pubblico Ministero, omettendo qualsiasi valutazione critica sia in relazione agli elementi indiziari individuati a carico del ricorrente (quanto al contributo causale fornito dal ricorrente e in termini di imputazione psicologica della complessiva operazione), sia sotto il profilo delle specifiche esigenze cautelari che giustificano l'applicazione della misura nei suoi riguardi. Ebbene, e' principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che la motivazione della ordinanza cautelare non puo' limitarsi alla ratifica, con formule di stile, delle valutazioni offerte dal pubblico ministero, ma deve offrire una autonoma valutazione di tutte le emergenze procedimentali disponibili e rilevanti. Cosicche', la tecnica del rinvio testuale e' legittima solo nella misura in cui resta confinata nell'area della "esposizione" degli elementi posti a sostegno della misura, ma non puo' estendersi fino all'assorbimento dei contenuti valutativi della richiesta cautelare, confliggendo tale operazione con la strutturale funzione di controllo affidata al giudice per le indagini preliminari in materia di misure cautelari (Sez. 2, n. 46136 del 28/10/2015, Rv. 265212; Sez. 6, n. 46792 del 11/09/2017, Rv. 271507). Parallelamente, a fronte di eventuali omissioni o insufficienze motivazionali, il Tribunale del riesame ben puo' intervenire integrando o modificando il provvedimento impugnato, ma il potere-dovere di integrazione delle insufficienze motivazionali del provvedimento impugnato non ha una portata illimitata, in quanto non opera laddove l'ordinanza del GIP, limitandosi ad una sterile rassegna delle fonti di prova a carico dell'indagato, manchi totalmente di qualsiasi riferimento contenutistico e di enucleazione degli specifici elementi reputati indizianti (Sez. 5, Sentenza n. 643 del 06/12/2017, dep. 2018, Rv. 271925; Sez. 2, n. 25513 del 14/06/2012, Rv. 253247) o delle concrete ed attuali esigenze cautelari che hanno giustificato la misura (Sez. 4, n. 17540 del 22/05/2020, Rv. 279245). In questi casi, anche a seguito delle modifiche apportate dalla L. 16 aprile 2015, n. 47 agli articoli 292 e 309, c.p.p., lo stesso Tribunale non puo' avvalersi del menzionato potere integrativo o confermativo, bensi', mancando un sostrato su cui sviluppare il contraddittorio tra le parti, deve provvedere esclusivamente all'annullamento del provvedimento coercitivo, non essendo consentito un potere sostitutivo quanto all'emissione di un valido atto, che potra' eventualmente essere adottato dal medesimo organo la cui decisione e' stata annullata (Sez. 6, n. 10590 del 13/12/2017, dep. 2018, Rv. 272596; Sez. 1 n. 5122 del 19/09/1997, Rv. 208586; Sez. 5, n. 5954 del 07/12/1999 dep. 2000, Rv. 215258). Cosicche', se e' pienamente legittima la pedissequa trascrizione, senza alcuna aggiunta, degli elementi fattuali della vicenda cautelare, quale substrato oggettivo alla base della richiesta, prima, e della statuizione assunta, poi, e' invece imprescindibile che il profilo valutativo sia esplicitato, trattandosi del dato realmente qualificante della decisione assunta, premessa necessitata per l'eventuale esercizio successivo della facolta' d'impugnazione delle parti e quindi, per cio' che concerne l'indagato, per la concreta attuazione del diritto di difesa (Sez. 6, n. 46792 del 11/09/2017, Rv. 271507) Sotto questo profilo, il Tribunale ha rilevato l'esistenza di una parte "originale", nella quale il GIP avrebbe riassunto i fatti ed il meccanismo fraudolento congegnato dagli indagati ed altra nella quale lo stesso GIP avrebbe effettuato specifiche considerazioni in punto di scelta della misura, discostandosi dalla richiesta del Pubblico Ministero, che aveva ritenuto necessaria l'applicazione agli indagati della misura degli arresti domiciliari, indicando quale misura maggiormente proporzionata alla gravita' dei fatti quella applicata. Tanto non e' condivisibile. La parte ritenuta "originale" (peraltro evidentemente assertiva) e' limitata alla sola valutazione di adeguatezza della misura: non involge tutti i profili, evidentemente prodromici rispetto ad essa. Nulla di "originale" si dice con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza o in relazione alle connesse esigenze cautelari. Dopo aver dettagliatamente ricostruito l'operazione, indicando i soggetti coinvolti (fra i quali il ricorrente non figura mai, se non una sola volta con il nome di (OMISSIS)) e offerto ampie osservazioni in diritto, il GIP si limita a ritenere: - quanto al profilo soggettivo dei reati contestati, che e' "evidente che tutti gli indagati erano ben consapevoli di collaborare alla realizzazione del sistema frodatorio sopra descritto, e dunque di evadere il Fisco, e che lo stesso appare congegnato in maniera tale da poter essere replicato all'infinito, con la costituzione/coinvolgimento di nuove societa'; come pure appare evidente che tutti gli indagati erano consapevoli che, occultando le scritture contabili obbligatorie al fine di evasione fiscale, si sarebbe anche raggiunto lo scopo di impedire la ricostruzione del patrimonio societario e dei relativi movimenti di affari, con il conseguente inevitabile pregiudizio dei relativi creditori, ossia si sarebbe consumato il delitto di bancarotta fraudolenta documentale contestato al capo 2"; - quanto alla sussistenza delle concrete esigenze cautelari, che ricorre "il concreto ed attuale pericolo che gli indagati - alcuni dei quali pluripregiudicati commettano altri delitti della stessa specie di quel de cui si procede nell'immediato futuro (anche altre bancarotte di societa' costituite e operanti con le medesime modalita' fraudolente della (OMISSIS) s.r.l.)"; - quanto alla scelta della misura da applicare, che "la misura cautelare personale adeguata e sufficiente a scongiurare tale pericolo sia costituita dall'obbligo di dimora per ciascun indagato nel rispettivo talune di residenza, non essendo necessaria allo scopo limitare la liberta' personale degli indagati sino al punto di confinarli all'interno delle rispettive abitazioni 24 ore su 24... proporzionata alla gravita' complessiva dei fatti ed alla presumibile entita' della pena che per essi sara' irrogata agli indagati con la sentenza definitiva, e che quest'ultima, dati i limiti edittali, assai verosimilmente non potra' essere contenuta nei limiti che ne consentano la sospensione condizionale ai sensi dell'articolo 163 c.p. anche nel ipotesi che gli stesi accedano ad un rito alternativo". Si tratta, all'evidenza, di una motivazione del tutto apparente, strutturata, appunto, intorno ad una sterile rassegna delle fonti di prova e priva totalmente, quanto meno in relazione alla posizione dell'indagato, dell'enucleazione di quegli specifici elementi reputati indizianti e delle concrete ed attuali esigenze cautelari che hanno giustificato la misura. Manca una struttura motivazionale sulla quale introdurre il contraddittorio ed esercitare il diritto di difesa. Tanto piu' che, sia in relazione al profilo indiziario che a quello strettamente cautelare, il giudice non puo' assumere determinazioni complessive e generali, accumunando, in un'unica valutazione, la posizione di una pluralita' di indagati, ma deve valutare separatamente le posizioni individuali, dando conto della concreta e specifica ragione dei criteri logici adottati (Sez. 2, n. 6480 del 21/11/1997, dep. 1998, Rv. 210595). In conclusione, l'ordinanza impugnata deve essere annullata e, con essa, anche quella emessa dal GIP. Si dispone, pertanto, in applicazione dell'articolo 626 c.p.p., l'immediata comunicazione - a cura della cancelleria - del dispositivo della presente sentenza al Procuratore generale presso questa Corte, per i successivi provvedimenti da adottare. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e quella emessa il 27 luglio 2022 dal GIP del Tribunale di Velletri, limitatamente alla posizione di (OMISSIS) e dispone la cessazione della misura cautelare al medesimo applicata. Si provveda ai sensi dell'articolo 626 c.p.p..

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Mari - Presidente Dott. FERRANTI Donatella - rel. Consigliere Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere Dott. MARI Attilio - Consigliere Dott. RICCI Anna L. A. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI POTENZA; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS) avverso l'ordinanza del 01/12/2022 del TRIB. LIBERTA' di POTENZA; udita la relazione svolta dal Consigliere FERRANTI DONATELLA. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di Potenza sezione riesame in parziale accoglimento annullava l'ordinanza del GIP presso il Tribunale di Potenza emessa in data 11.11.2022, limitatamente al capo 1 della rubrica (Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, commi 1, 2, 3 e 4 per il delitto di partecipazione ad un'associazione finalizzata all'acquisto al trasporto e allo spaccio di sostanze stupefacenti, cocaina con il ruolo di fornitore di sostanza stupefacente), e applicava nei confronti di (OMISSIS) la misura degli arresti domiciliari con procedura di controllo mediante braccialetto elettronico, da eseguirsi presso l'abitazione di residenza in relazione al capo 36 della imputazione provvisoria. 2. Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica del Tribunale di Potenza lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1) quanto segue: 1) violazione di legge e vizi della motivazione sotto il profilo della manifesta illogicita' e carenza di motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza di gravi indizi di colpevolezza con riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, poiche' la pronuncia impugnata e' basata su argomentazioni che non si adeguano ai principi ermeneutici vigenti riguardo alla sussistenza del sodalizio criminoso e omettono di valutare elementi decisivi. In specie, con riferimento alla mancanza di predisposizione di mezzi messi a disposizione dell'organizzazione deduce che il Tribunale ha omesso di considerare l'utilizzo di apparecchi telefonici cellulari per mantenere contatti stabili e continui tra gli associati agevolati, rapporti rafforzati tra l'altro dai vincoli parentali esistente tra alcuni dei compartecipi; la messa a disposizione dell'abitazione familiare di (OMISSIS), come luogo di spaccio e detenzione della sostanza stupefacente, riguardante il filone eroina, luogo ritenuto piu' sicuro per evitare i controlli delle Forze dell'ordine, mentre, per la cocaina, veniva utilizzato il luogo messo a disposizione da (OMISSIS) o direttamente consegnata a (OMISSIS) dai fornitori. Quanto poi alla condivisione di mezzi di trasporto e all'uso di autovetture dell'organizzazione lamenta che il riesame ha omesso di considerare che il 9Castellaneta, promotore e organizzatore, era limitato nei suoi movimenti dal fatto che non era titolare di patente di guida e quindi utilizzava normalmente il sodale (OMISSIS) per avere a disposizione un'autovettura per gli spostamenti attinenti all'attivita' illecita, mentre erano frequenti i contatti tra i sodali per realizzare i vari collegamenti necessari per le consegne di droga (foll. 14 e 15 ricorso). Ribadisce i plurimi elementi indiziari richiamati nell'ordinanza genetica relativi al ruolo di organizzatore e finanziatore del 9Castellaneta oltre che di referente per fornitori e assuntori che indirizzava a seconda che fossero consumatori di eroina o cocaina a ciascuno dei suoi stretti collaboratori, (OMISSIS) o (OMISSIS), avendo dato vita a due filoni di spaccio, tra di loro collegati e occupandosi anche della consegna diretta di cocaina alla guardia giurata, pucher (OMISSIS). Evidenziava la manifesta illogicita' della motivazione con riferimento all'affectio societatis che legava il promotore 9Castellaneta e i sodali in quanto, da un lato, il Tribunale del riesame gli riconosceva la egemonia sullo smercio di droga nel territorio di (OMISSIS) (in linea con quanto dichiarato dal collaboratore di giustizia (OMISSIS), appartenente al Clan montese (OMISSIS)- (OMISSIS)), dall'altro, considerava il (OMISSIS) una sorta di finanziatore di due filoni aziendali", paralleli e separati, aventi ad oggetto l'uno lo smercio di cocaina e l'altro quello di eroina, Deduceva la omessa e manifestamente illogica valutazione dell'organizzazione malavitosa facente capo al (OMISSIS), soggetto accreditato presso trafficanti italiani e albanesi, collocati in Puglia, con un ruolo non solo di finanziatore ma di organizzatore delle due linee di approvvigionamento e di spaccio, con una netta attribuzione di ruoli tra i due suoi piu' stretti collaboratori, (OMISSIS) per il filone cocaina e (OMISSIS) per quello dell'eroina, e tra i vari sodali, con l'individuazione di luoghi per il trasferimento e la consegna oltre che per il deposito della droga. Un quadro indiziario grave e univoco, suffragato da intercettazioni telefoniche e attivita' di osservazione di polizia giudiziaria, che evidenziava un'associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti con la partecipazione diretta e attiva e consapevole dei vari sodali: (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS) 3. Il Procuratore generale preso la Corte di Cassazione nella requisitoria scritta, ha chiesto nella parte motiva l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata per fondatezza dei motivi; nelle conclusioni, per evidente refuso materiale, chiede dichiararsi la inammissibilita' del ricorso. Nella parte motiva ha ribadito, con riferimento al ricorso presentato, l'interesse ad impugnare del P.m, interessato a che si giunga ad un giudicato (anche se solo per la fase incidentale cautelare) che cristallizzi l'esistenza degli indicatori dei gravi indizi di colpevolezza per il reato originariamente contestato, ovvero il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, anche in assenza di specificazioni in ordine a richiesta di ripristino dell'originaria misura cautelare. Richiesta di ripristino che, a ben vedere, potrebbe anche implicitamente ricavarsi dal tenore del ricorso, alla luce del differente regime in ordine alla presunzione di pericolosita' che governa le due diverse fattispecie di reato; in particolar modo l'applicazione della misura cautelare in carcere nel caso di organizzazione dedita al narcotraffico e' in via presuntiva riconosciuta come misura idonea, salvo che non siano acquisiti elementi da cui dedurre l'insussistenza di esigenze cautelari, ipotesi quest'ultima neppure accennata dal giudice del riesame. Alla luce di tali principi, nella fattispecie concreta, appare ravvisabile la sussistenza dell'interesse a ricorrere del pubblico ministero, in considerazione del concreto risultato conseguibile a seguito dell'eventuale accoglimento. Quanto al merito dei motivi dedotti nel ricorso il P.M. ritiene fondati i vizi logici della motivazione, la presenza di veri e propri errores in iudicando, nonche' la carenza dei requisiti di completezza nella effettuata valutazione dell'attivita' di indagine espletata. 3.1. Ha presentato memoria difensiva l'Avv. (OMISSIS) chiedendo dichiararsi la inammissibilita' del ricorso per carenza di interesse, in quanto con provvedimento del Gip del 24/02/2023 allegato, su istanza del Pubblico Ministero, era stata disposta la revoca delle misure cautelari coercitive, in relazione al venir meno delle esigenze cautelari inizialmente ravvisate. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Va preliminarmente ribadito che il ricorso proposto dal Procuratore delle Repubblica del Tribunale di Potenza e' ammissibile, in quanto come recentemente affermato da questa Corte di legittimita' (Sez. 6 -, n. 46129 del 25/11/2021 Cc. (dep. 16/12/2021) Rv. 282355 - 01), ove le esigenze cautelari siano state ravvisate nell'ordinanza genetica, come nel caso di specie e in sede di riesame sia stata esclusa solo la gravita' indiziaria, qualora venga in rilievo uno dei reati per cui opera la presunzione di cui all'articolo 275 c.p.p., comma 3, rispetto alla quale devono essere concretamente valutati eventuali elementi contrari, forniti dalla parte interessata, la contestazione del giudizio in ordine all'esclusione della gravita' indiziaria di per se' comporta la sottostante reviviscenza della presunzione, ove la stessa non sia stata gia' concretamente superata sulla base di pregresse argomentazioni di merito: su tali basi deve ritenersi che nei casi indicati il ricorso del Pubblico ministero, incentrato sulla gravita' indiziaria, sia di per se' automaticamente evocativo dell'interesse all'impugnazione, essendo volto ad ottenere nel prosieguo un nuovo giudizio di merito, che muova dalla validita' della presunzione, salvo che siano offerti e reputati rilevanti elementi di segno contrario. Alla stregua di quanto fin qui osservato si rileva che nel caso di specie viene in rilievo uno dei reati per i quali opera la presunzione di cui all'articolo 275 c.p.p., comma 3, che non risulta essere stata gia' superata, tanto che era stata emessa ordinanza applicativa di misura cautelare: ne discende che il motivo incentrato sui vizi del provvedimento impugnato, inerenti alla gravita' indiziaria, di per se' evoca l'operativita' della presunzione ai fini indicati. 2. Deve essere valutata invece la sopravvenuta carenza di interesse, in quanto, nel caso di specie, su istanza del Pubblico Ministero di Potenza, la misura cautelare coercitiva applicata ad (OMISSIS) e' stata medio tempore revocata, con provvedimento del GIP del Tribunale di Potenza del 24.02.23 per venir meno delle esigenze cautelari. Ed invero, secondo i principi generali del nostro processo penale, in particolare quelli fissati nell'articolo 591 c.p.p. e articolo 568 c.p.p., comma 4, per proporre impugnazione occorre avervi interesse, che deve essere concreto - e cioe' mirare a rimuovere l'effettivo pregiudizio che la parte asserisce di aver subito con il provvedimento impugnato - e persistere sino al momento della decisione (Sez. U, n. 7 del 25/06/1997 Cc. (dep. 18/07/1997) Rv. 208165 - 01; Sez. 2, n. 4974 del 17/01/2017 Cc. (dep. 02/02/2017) Rv. 268990 - 01; Sez. 1, n. 1695 del 19/03/1998, Papajani Rv. 210562). L'interesse all'impugnazione va inteso come pretesa all'eliminazione della lesione attuale di un diritto o di altra situazione soggettiva, dell'impugnante tutelata dalla legge non gia' quale pretesa all'affermazione di un astratto principio giuridico o all'esattezza teorica della decisione, che non realizzano il vantaggio pratico cui deve tendere ogni impugnazione. 2.2. Ne discende che anche l'impugnazione cautelare proposta dal pubblico ministero deve essere sorretta da un interesse concreto ed attuale, che puo' ravvisarsi soltanto qualora il ricorso sia presentato per far valere l'illegittimita' della situazione derivante dall'ordinanza, la cui rimozione o modifica effettivamente incida sulla liberta' personale dell'indagato (Sez. 6, n. 29908 del 07/06/2018 Cc. (dep. 03/07/2018) Rv. 273438 - 01). In linea con tale regula iuris, in un caso sovrapponibile a quello di specie, si e' pertanto esclusa la sussistenza di un interesse del P.M. a ricorrere qualora egli si dolga dell'esclusione di una circostanza aggravante ad effetto speciale, ma medio tempore la misura cautelare sia gia' stata revocata per cessazione delle esigenze cautelari (Sez. 6, n. 3326 del 28/11/2014 - dep. 2015, Pm in proc. Papa, Rv. 262080). Ad ulteriore conforto della mancanza di un interesse del P.M. a ricorrere, non puo' sottacersi che - come gia' sopra chiarito - la riqualificazione giuridica del fatto compiuta nel procedimento incidentale de libertate non e' in alcun modo vincolante nel procedimento di merito, di tal che il P.M. non incontrera' alcuna preclusione a riproporre l'originario nomen iuris in sede di richiesta di rinvio a giudizio (fermo restando il potere del giudice dell'udienza preliminare di dare al fatto la veste giuridica stimata corretta). 3. In conclusione deve essere dichiararsi la inammissibilita' del ricorso. P.Q.M. Dichiara il ricorso inammissibile.

Ricerca rapida tra migliaia di sentenze
Trova facilmente ciò che stai cercando in pochi istanti. La nostra vasta banca dati è costantemente aggiornata e ti consente di effettuare ricerche veloci e precise.
Trova il riferimento esatto della sentenza
Addio a filtri di ricerca complicati e interfacce difficili da navigare. Utilizza una singola barra di ricerca per trovare precisamente ciò che ti serve all'interno delle sentenze.
Prova il potente motore semantico
La ricerca semantica tiene conto del significato implicito delle parole, del contesto e delle relazioni tra i concetti per fornire risultati più accurati e pertinenti.
Tribunale Milano Tribunale Roma Tribunale Napoli Tribunale Torino Tribunale Palermo Tribunale Bari Tribunale Bergamo Tribunale Brescia Tribunale Cagliari Tribunale Catania Tribunale Chieti Tribunale Cremona Tribunale Firenze Tribunale Forlì Tribunale Benevento Tribunale Verbania Tribunale Cassino Tribunale Ferrara Tribunale Pistoia Tribunale Matera Tribunale Spoleto Tribunale Genova Tribunale La Spezia Tribunale Ivrea Tribunale Siracusa Tribunale Sassari Tribunale Savona Tribunale Lanciano Tribunale Lecce Tribunale Modena Tribunale Potenza Tribunale Avellino Tribunale Velletri Tribunale Monza Tribunale Piacenza Tribunale Pordenone Tribunale Prato Tribunale Reggio Calabria Tribunale Treviso Tribunale Lecco Tribunale Como Tribunale Reggio Emilia Tribunale Foggia Tribunale Messina Tribunale Rieti Tribunale Macerata Tribunale Civitavecchia Tribunale Pavia Tribunale Parma Tribunale Agrigento Tribunale Massa Carrara Tribunale Novara Tribunale Nocera Inferiore Tribunale Busto Arsizio Tribunale Ragusa Tribunale Pisa Tribunale Udine Tribunale Salerno Tribunale Verona Tribunale Venezia Tribunale Rovereto Tribunale Latina Tribunale Vicenza Tribunale Perugia Tribunale Brindisi Tribunale Mantova Tribunale Taranto Tribunale Biella Tribunale Gela Tribunale Caltanissetta Tribunale Teramo Tribunale Nola Tribunale Oristano Tribunale Rovigo Tribunale Tivoli Tribunale Viterbo Tribunale Castrovillari Tribunale Enna Tribunale Cosenza Tribunale Santa Maria Capua Vetere Tribunale Bologna Tribunale Imperia Tribunale Barcellona Pozzo di Gotto Tribunale Trento Tribunale Ravenna Tribunale Siena Tribunale Alessandria Tribunale Belluno Tribunale Frosinone Tribunale Avezzano Tribunale Padova Tribunale L'Aquila Tribunale Terni Tribunale Crotone Tribunale Trani Tribunale Vibo Valentia Tribunale Sulmona Tribunale Grosseto Tribunale Sondrio Tribunale Catanzaro Tribunale Ancona Tribunale Rimini Tribunale Pesaro Tribunale Locri Tribunale Vasto Tribunale Gorizia Tribunale Patti Tribunale Lucca Tribunale Urbino Tribunale Varese Tribunale Pescara Tribunale Aosta Tribunale Trapani Tribunale Marsala Tribunale Ascoli Piceno Tribunale Termini Imerese Tribunale Ortona Tribunale Lodi Tribunale Trieste Tribunale Campobasso

Un nuovo modo di esercitare la professione

Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.